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Riassunto Introduzione alla Storia Medievale - Paolo Delogu

Storia Medievale I A (Università degli Studi di Siena)

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Capitolo 1. Storia dell’idea di medioevo

Gli umanisti italiani e l’età di mezzo: Comunemente si dice che il Medioevo sia un periodo di decadenza dei
valori culturali e del gusto letterario. Appunto i letterati avvertirono del 400 avvertirono di star vivendo un
senso di radicale trasformazione della cultura consistente nel recupero della letteratura e soprattutto dello
spirito dell’antichità classica ritenuti modelli ideali di stile e di umanità. Anche gli artisti e i precettisti d’arte del
400 ritennero di aver recuperato i valori estetici e morali dell’arte antica oltre che l’abilità tecnica., dopo un
periodo di oscurantismo durato molti secoli. Letterati e artisti vollero tracciare un itinerario della civiltà distinta
in tre fasi: 1) antichità classica, in cui i valori umani e culturali avevano avuto la massima espressione; 2) età di
imbarbarimento o decadenza seguita alla caduta dell’impero romano; 3) età in cui si era avuta una rinascita dei
valori, degli ideali, della forma dell’età classica. L’età che va dalle invasioni barbariche fino alla rinascita delle
lettere e delle arti è definita da noi medioevo. Sembrerebbe che l’idea del medioevo fosse già compiuta nel 400,
ma bisogna tener presente che gli umanisti italiani sapevano che sotto il profilo politico, istituzionale, religioso,
la loro epoca non rappresentava una rinascita dell’antichità ma un evoluzione iniziata dalla decadenza
dell’impero romano. Scrittori umanisti, di storia come Leonardo Bruni (1370-1444) e Flavio Biondo (1392-1463)
consideravano il corso della storia diviso tra un’età antica fino alla caduta dell’impero romano ed un età recente
che giungeva fino ai loro tempi durante la quale si erano formate le città, i governi municipali, la chiesa romana
senza condannare gli eventi che avevano portato ad esse. Anche Niccolò Macchiavelli (1469-1527) per spiegare
le condizioni dell’Italia del suo tempo fece riferimento ai principati regionali e al potere politico del papato dei
secoli precedenti. Certamente non si può affermare che gli umanisti italiani ritenessero che la decadenza delle
lettere e delle arti corrispondesse ad un periodo storico di decadenza ben distinto sia dal presente che dal
passato. Il vescovo umanista Giovanni Andrea Bussi (1414-1475) sembrerebbe avesse usato il termine età di
mezzo nel lodare le conoscenze storiche di Niccolò Cusano sia antiche che della <<media tempestas>>. Ma nel
latino del Bussi medio poteva significare <<intermedio>> ma anche <<meno antico>> quindi <<media
tempestas>> potrebbe semplicemente indicare un’ epoca più recente rispetto al passato.

L’età barbarica nella cultura europea del 500: Anche gli umanisti francesi e tedeschi del 500 erano consapevoli
di star vivendo un’epoca di grande progresso intellettuale, ma erano interessati a valorizzare le lori tradizioni
storiche come fecero Dumoulin, Etienne Pascquier, Claude Fauchet. Essi vedevano nell’età barbarica l’origine
delle loro istituzioni politiche nazionali, soprattutto della monarchia. Perciò essi rivolsero la loro attenzione allo
studio del diritto, della legislazione e della letteratura dell’epoca feudale in Francia. Anche in Germania fin dal
400, storici, antiquari e teologi della storia come Schedel e Verge considerarono con rispetto sia le invasioni
barbariche che l’impero medievale ritenendoli momenti di affermazione della nazione tedesca nella storia
europea. La riforma religiosa di Martin Lutero consolidò la coscienza nazionale. Anche la storia della Chiesa
occupò un posto di rilievo nella cultura protestante. Filippo Melantone e altri collaboratori di Lutero ritenevano
che la Chiesa romana fosse venuta meno alla missione affidata da Cristo ai suoi discepoli e, mirando soprattutto
all’affermazione del primato papale, aveva provocato una profonda decadenza della religione fino alla riforma
di Lutero. Queste idee furono sviluppate nella Historia Ecclesiastica dall’istriano Mathias Vlacic, seguace di
Lutero. Per i protestanti dunque, le cause della decadenza non erano state le invasioni barbariche, m la
mondanizzazione della Chiesa iniziata al tempo di Costantino.

L’età di mezzo nella cultura del 600: Il 500 fu caratterizzato dal recupero e dalla pubblicazione di
documentazioni tratte dagli archivi e dalle biblioteche dove erano abbandonate e non si prefiggeva lo studio del
medioevo come epoca storica bene indentificata e definita. Ricordiamo in Francia Pierre Pithou che pubblicò
due raccolte di antiche cronache relative alla storia di Francia tra l’VIII e il XIII secolo. In Germania Canisius
pubblicò sei volumi di Antiquae lectiones contenenti testi religiosi, letterari e cronistici dell’epoca medievale; in
Inghilterra William Camden pubblicò testi relativi alla storia inglese. Ma lo studio di questi testi mise in evidenza
aspetti dell’età medievale che suscitarono l’interesse degli eruditi; es. la quantità di testi allora scritti,
l’originalità della lingua latina adoperata, la peculiarità del vocabolario tecnico, soprattutto giuridico. Nel 1627
l’olandese Johan Gerard Voss o Vossius, pubblicò una disertazione sugli scrittori di storia in latino, divisa in tre
parti: la prima dedicata agli scrittori antichi fino al II secolo d.C; la seconda agli scrittori del periodo che andava
dal III sec. d.C. al Petrarca; la terza agli storici più recenti. L’età di mezzo era considerata un periodo minore
autonomo della storia letteraria. Lo stesso Vossius scrisse un trattato sul latino barbarico, il latino del medioevo
riconoscendone l’originalità ma condannando la qualità. L’esigenza di un vocabolario specializzato per il latino
dell’età più tarda, venne soddisfatta con la compilazione del “Glossarium ad scriptores mediae et infimae
latinitatis” di Charles Du Fresne Du Cange (1610-1688). Questi, studioso di storia, geografia, archeologia e
legislazione, realizzò più che un vocabolario un vero repertorio enciclopedico di termini relativi a concetti,
istituzioni, usanze, oggetti della tarda antichità e dell’età di mezzo. Il concetto di <<infima latinità>> riferito alla
lingua scritta nel medioevo non aveva un significato dispregiativo, non evidenziava la sua collocazione tardiva

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rispetto al latino classico. Attraverso i lessico venivano definite anche le istituzioni, i costumi, le concezioni del
medioevo arrivando ad una conoscenza sempre più precisa di quel passato diverso dal presente. Il 600 dedicò grande
interesse alla storia ecclesiastica. Già alla fine del 500 il cardinale Cesare Baronio rispose alla polemica dei protestanti
l’opera storica Annales Ecclesiastici. Tale opera era una ricostruzione della storia della chiesa dalla nascita di Cristo al
1198 sulla base della documentazione trovata nella biblioteca Vaticana. In Belgio un piccolo gruppo di gesuiti animati
da Bolland pubblicarono dei testi sulle vite dei santi venerati dalla chiesa cattolica usando il metodo critico –
filologico dei testi letterari e storiografici. Per tale lavoro consultarono un’enorme quantità di testi in gran parte di
età medievale. Un altro centro di erudizione sacra fu la congregazione dei monaci benedettini di St. Germain de Près
a Parigi chiamati Maurini in onore di San Mauro, compagno di San Benedetto. Essi ritenevano che lo studio della
storia ecclesiastica fosse di fondamentale importanza nella formazione intellettuale e spirituale dei monaci. I Maurini
non si limitarono solo all’analisi dei testi spirituali e letterari ma perfezionarono soprattutto il metodo critico –
filologico (Jean Luc d’Achery, Jean Mabillon). Le ricerche che i Maurini svolsero concorsero a mettere in luce molte
caratteristiche manifestazioni della religiosità e della vita ecclesiastica medievale. Il medioevo cosi, pur essendo
ancora considerato un’ epoca barbarica, cominciava ad essere apprezzato per le peculiari espressioni di fede. Nel 600
maturò la consapevolezza che l’età moderna, era decisamente originale rispetto a tutto il passato, sia classico che
medievale, quindi il medioevo era un’epoca conclusa, dista e autonoma. Non solo i letterati, ma anche i giuristi, i
filosofi politici, gli scienziati, si rendevano conto della novità della loro epoca, novità che si estendeva anche
all’economia, alla politica, alle scienze, ai costumi. Nella seconda metà del 600 George Horn Arca Noae separò la
storia antica (vetus) da quella più recente (recentior) e all’interno di questa distinse due periodi: il medium aevum e
l’aevum recentius, divisi dall’invenzione delle armi da fuoco e dalla stampa, dalle scoperte geografiche, dalla nuova
organizzazione degli Stati, dalla rinascita delle lettere. In un'altra opera, l’Historia ecclesiastica et politica, Horn fissò i
termini cronologici dell’età di mezzo tra la caduta dell’impero romano nel 476 e la conquista di Costantinopoli da
parte dei Turchi nel 1453. La scansione della storia universale in tre epoche antica, media e recente, fu condivisa da
molti dotti del 600 tra cui Keller. Egli pose come termine di arrivo del medioevo l’epoca di Costantino in cui si verificò
la cristianizzazione dell’impero. Più tardi Keller scrisse la Storia del Medioevo dai tempi di Costantino il Grande fino
alla presa di Costantinopoli che rappresenta il primo manuale scolastico di storia medievale e che, altro non è che
una semplice esposizione degli imperatori e dei re che si succedettero nei diversi regni d’Europa con i principali fatti
politici e militari di ciascuno. Per ogni secolo un capitoletto viene dedicato agli eventi ecclesiastici ed uno allo stato
delle lettere. Pur mancando di giudizi sintetici sullo svolgimento delle vicende e sui caratteri dell’intero periodo, esso
mette in evidenza una certa organicità della storia dall’antichità all’età moderna. Per Keller l’età medievale è quella in
cui la cristianità conserva ancora la dimensione geografica disegnata dall’impero romano. Egli perciò espone
parallelamente le vicende dell’impero bizantino e quelle delle provincie dell’antico impero d’Occidente dove nascono
i nuovi regni. In seguito è la corruzione del papato che lascia la cristianità occidentale senza una guida morale proprio
nel momento in cui i turchi sopprimano la cristianità orientale. Il bilancio finale dell’epoca non è negativo: grazie alle
scoperte geografiche e all’invenzione della stampa l’Europa cristiana può spandersi oltre l’Atlantico. Nell’opera di
Keller il medioevo è l’epoca in cui si forma la struttura geopolitica dell’Europa moderna che emerge nella sua
originale identità nel momento in cui cadono le ultime sopravvivenze dell’antico impero romano. Solo nel campo
delle lettere i secoli del medioevo, secondo Keller, presentano caratteri negativi di povertà e rozzezza.

La filosofia dei costumi, il medioevo e la storia d’Europa: Nel 700 l’età medievale fu oggetto di studio in senso
critico e le sue caratteristiche furono confrontate con quelle dell’epoca moderna. In effetti tale procedimento
era già cominciato nella seconda metà del 600. Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) può essere il fondatore
della ricerca critica sul medioevo italiano. Ecclesiastico, bibliotecario nell’Ambrosiana di Milano e nell’Estense di
Modena egli, sull’esempio dei Maurini, si adoperò per dotare l’Italia di una raccolta di fonti storiche simile a
quella che già possedevano le altre nazioni. Poiché in Italia non esisteva come in Francia uno stato unitario,
sostenne che gli italiani anche se non erano politicamente uniti, avevano una tradizione comune che si era
formata nel medioevo basandosi sulla concezione che molte istituzioni e concezioni giuridiche del suo tempo al
medioevo. Indagare dunque, su quel periodo significava scoprire le origini del mondo moderno. Mosso da
queste idee e dalla fede nella funzione civile dell’erudizione, egli raccolse un gran numero di cronache relative
alla storia d’Italia tra gli anni 500 e 1500 e le pubblicò in una collezione di 25 volumi intitolata Rerum Italicarum
Scriptores. Diversi eruditi lo aiutarono nella ricerca dei testi nelle biblioteche d’Italia sui quali Muratori operò
una revisione critica e filologica, perfezionando i metodi dei Maurini. Contemporaneamente si dedicò allo studio
dei costumi, delle istituzioni, della cultura, della religione dell’età medievale servendosi non solo delle cronache
ma anche di altri documenti come diplomi di sovrani, test normativi, memorie letterarie. Compose 75
dissertazioni che pubblicò in sei volumi tra il 1738 e 1742 con titolo Antiquitates Italicae Medii Aevi. Muratori
non ammirava del tutto il medioevo, egli la considerava un’epoca di barbarie, ma non negava che tra i barbari si

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riscontravano atteggiamenti etici e politici degni di rispetto come la semplicità dei costumi e la ragionevolezza
delle leggi. Egli si accorse che il medioevo non era un’epoca uniforme: la civiltà aveva compiuto un notevole
progresso dopo l’anno Mille e uno ancora più accentuato dopo il XIII secolo. Egli considerò questi progressi
come un progressivo superamento delle barbarie e l’inizio della cultura e dei costumi dei suoi tempi
caratterizzati dal buon gusto letterario e dalla ragionevolezza nei rapporti sociali. L’importanza del Muratori è
duplice: da un lato egli fu il fondatore di una conoscenza del medioevo italiano basata sull’indagine storico-
erudita; dall’altro fu tra i primi a descrivere il rapporto tra medioevo ed età moderna in termini di progresso
della civiltà iniziato già durante il medioevo. Orientamenti analoghi si trovano nell’opera del francese Jean
Baptiste de la Curne de Sainte Palaye, il quale si dedicò anche alo studio dei testi letterari in antico francese di
cui comprese l’importanza. Egli progettò e in parte realizzò un Glossaire (glossario) de l’ancienne langue
francaise (l’equivalente del Glossarium latino del Du Cange) con indagini sull’evoluzione delle parole e del loro
significato. Egli si dedicò anche alla conoscenza storica dei trovatori e pubblicò la Storia letteraria dei Trovatori.
Compilò un dizionario delle antichità francesi che era una specie di enciclopedia dei costumi, delle istituzioni,
delle condizioni di vita del medioevo che però non riuscì a completare. Da questa enciclopedia però trasse il
materiale per due monografie: i Memoires relative alla nobiltà medievale, ai suoi ordinamenti, ai costumi e ai
valori morali. Anche La Curne, come Muratori, era persuaso dalla superiorità dei valori etici e culturali del suo
tempo rispetto all’epoca medievale. Ma egli vedeva nel medioevo non solo l’epoca in cui si erano formate la
monarchia e la nobiltà, istituzioni politiche fondamentali nella storia della Francia, ma stessa tradizione
letteraria nazionale. Egli apprezzava della civiltà medievale il tono ingenuo e spontaneo come inizio del
progresso dello spirito umano che aveva raggiunto ai suoi tempi traguardi ben più alti. Nel 700 anche filosofi
politici e critici sociali dell’illuminismo francese rivolsero la loro attenzione al medioevo. Voltaire nella sua opera
l’Essai sosteneva che, scopo principale della storia era quello di conoscere lo spirito, i costumi, gli usi della
principali nazioni per riconoscere gli errori compiuti dal genere umano e facilitarne il suo progresso. Egli rivolse
la sua attenzione soprattutto al medioevo europeo, considerato come un’epoca di rozzezza e violenza, di
povertà e superstizione, mentre le antiche civiltà cinese e indiana e anche quella islamica avevano conservato
una lodevole saggezza nel governo della società. La Chiesa cattolica aveva contribuito alla crisi della società
trasformando la religione in uno strumento di oppressione e dominio. Secondo Voltaire queste condizioni si
erano protratte ben oltre il medioevo e solo nei 50 anni più recenti la società europea aveva cominciato a
liberarsi del peso del passato e ad indirizzarsi verso la ragionevolezza e la giustizia. Nel corso dei più di mille anni
trascorsi dalla fine del mondo antico c’erano stati sintomi di ripresa, alcuni sovrani, a partire dal XIII e XIV
secolo, avevano governato in modo efficace, le città si erano sviluppate, il commercio era rifiorito e le arti
avevano prodotto opere di grande valore ma l’oppressione e l’intolleranza avevano sempre dominato e la
società non aveva forze per ribellarsi. Alcuni aspetti del passato, come il privilegio nobiliare e l’autoritarismo
ecclesiastico, erano ancora forti ai suoi tempi per cui il significato della ricostruzione storica è quello di suscitare
sdegno per un sistema sociale e politico dominato dai soprusi e dalla superstizione. Una visione del medioevo
meno polemica si ha in Robertson il quale nella sua opera sosteneva che proprio nel medioevo erano da
ricercare le basi dell’organizzazione politica, economica e civile dell’età moderna. Anche Robertson sosteneva
che le invasioni barbariche avevano causato la decadenza dell’impero romano, della civiltà antica e la
degenerazione del Cristianesimo. Tuttavia egli sosteneva che dalle barbarie erano nate delle situazione che
avevano portato al suo superamento. Le crociate ad esempio se da un lato erano frutto del fanatismo e della
violenza della società feudale, dall’altro avevano portato l’occidente a contatto con le superiori civiltà orientali;
le lotte tra papato e impero avevano favorito l’emergere delle libertà cittadine in Italia; il clero aveva corretto il
diritto barbarico attraverso quello ecclesiastico. Neanche Robertson considerava il medioevo come un’età
conclusa e a sé stante; l’epoca medievale era si un momento negativo della storia europea, ma da essa aveva
avuto inizio il mondo moderno. Una considerazione diversa dell’età medievale si trova nell’opera di Edward
Gibbon, un patrizio inglese che, durante un suo viaggio a Roma fu colpito dal contrasto tra la grandezza
dell’impero romano antico e le rovine del Foro e decise di ricostruire e narrare la decadenza dell’impero
romano. Egli, come già nel 600, considerava l’impero bizantino come la prosecuzione di quello romano perciò la
sua narrazione va dal II secolo d.C. alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453. L’opera del
Gibbon sulla decadenza della civiltà romana metteva in discussione la fiducia illuministica nel progresso storico,
ma Gibbon riteneva che per la civiltà europea del suo tempo non c’era pericolo di un simile disastro. Il Gibbon
nella sua opera descriveva l’affermazione di nuovi popoli, germani, arabi, turchi, le crociate, le invasioni, le
trasformazioni religiose con grande sensibilità e talento tanto da coinvolgere il lettore e farlo meditare sulla
grandezza degli eventi narrati. L’epoca medievale, sebbene non fosse chiaramente distinta, finiva cosi con
l’avere una grandezza e un significato esemplare.

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Il mito dell’età medievale nella cultura tedesca: In Germania il medioevo fu interpretato come un epoca storica
di riferimento per la coscienza nazionale tedesca. Il Moser rievocò la storia del popolo tedesco dalle più antiche
testimonianze trovate nelle opere di Cesare e Tacito fino all’età medievale e sostenne, contrariamente
all’illuminismo francese secondo il quale le differenze tra i popoli erano dovute al clima e ai sistemi giuridici, che
ogni popolo aveva una propria individualità storica, caratterizzata da un proprio patrimonio culturale. La
peculiarità del popolo tedesco, dei germani primitivi, fino all’età di Carlomagno consisteva nel fondere interessi
individuali a quelli collettivi nella organizzazione della società, dell’attività economica, dello Stato.
Successivamente la diffusione del grande possesso fondiario e l’affermazione del feudalesimo avevano
provocato la disgregazione dell’originaria società germanica. Sempre in Germania il poeta e drammaturgo
Schiller riteneva il medioevo un’epoca in cui la libertà era stata il fondamento della società e della civiltà in
contrasto col dispotismo e lo schiavismo dell’impero romano. Schiller ritenne il medioevo un’epoca di ordine e
serenità spirituale, un’epoca poetica nella cui letteratura si manifestavano sentimenti di vitalità, grandezza,
bellezza, che compensavano la rozzezza della forma e del gusto letterario. Inoltre Schlegel attribuiva all’epoca
medievale il merito di aver raccolto l’eredità della cultura classica e di averla trasmessa, arricchita dal
cristianesimo all’età moderna. L’età medievale, dunque era concepita positivamente, addirittura come un epoca
di valori esemplari che l’umanità avrebbe potuto recuperare. Lo svizzero Muller narrò la storia del suo popolo
che aveva conquistato nel medioevo la libertà politica, un tema che ispirò il famoso dramma di Schiller,
Guglielmo Tell. Presto vennero presi in considerazione altri periodi della storia medievale tedesca oltre quello
delle origini. Raumer ravvisò nell’epoca degli imperatori svevi un momento glorioso del popolo tedesco
caratterizzato dalla fusione delle tradizioni germaniche con quelle romane e cristiane. Grande interesse fu
dedicato allo studio del diritto tedesco i cui caratteri si erano mantenuti coerenti e costanti lungo tutto il loro
sviluppo storico. Nel 1818 in Germania fu fondata una Società per la documentazione dell’antica storia tedesca
che doveva pubblicare in forma critica le fonti della storia medievale tedesca, ma lo spirito era tendenzialmente
umanistico. Il progetto fu messo a punto nel 1824 da Pertz il quale realizzò una grande collana di fonti storiche
intitolata Monumenta e articolata in 5 sezioni: Scriptores, Leges, Diplomata, Epistolae e Antiquitates. Negli
stessi anni vennero fissate le regole del metodo storico caratteristiche di gran parte dell’800. La storia divenne
lavoro praticato da specialisti che operavano nelle università e Ranke affermò l’importanza dell’uso diretto delle
testimonianze, mentre giudizi fondati su informazioni di seconda mano mancavano attendibilità. Per Ranke le
testimonianze antiche dovevano essere genuine e vicine agli eventi e avevano valore diverso a seconda degli
autori. Ranke infine, sebbene si occupasse soprattutto dell’età della riforma e della Controriforma, vide, come
già alcuni pensatori precedenti, nell’universalismo cristiano del medioevo la base dell’unità della civiltà europea
moderna.

Romanticismo e medioevo in Francia: In Francia, nel periodo della restaurazione si diffuse l’idea di un medioevo
come età di fede religiosa rassicurante e pacificatrice in antitesi al periodo della rivoluzione e dell’impero
napoleonico. Questa ideologia culturale fu diffusa da Francois Renè de Chateaubriand. Interesse fu rivolto anche
ai costumi, alle espressioni letterarie e alle forme della vita politica. Simonde de Sismondi, un pensatore e
filosofo ginevrino studiò le manifestazioni della libertà politica dei popoli europei nel medioevo come
espressione della loro energia morale. Egli dedicò la sua opera ai comuni italiani espressione di libertà e di
espansione economica, sociale e politica dell’Italia medievale. Invece l’affermazione delle tirannidi alla fine del
medioevo e l’influenza della chiesa nella vita politica avevano causato la decadenza morale e politica della
nazione. Pienamente romantica è invece l’opera di Thierry che, tra i temi della storia medievale predilesse i
conflitti tra gruppi nazionali opposti. Nel suo lavoro più famoso descrisse lo stato politico culturale, morale della
Gallia sotto il dominio dei franchi. Nell’opera di Thierry il medioevo si caratterizza come un’epoca di eventi
esemplari e drammatici, un’epoca di origine ma non certo di valori positivi. Analogamente fu avvertito il
medioevo da Guizot il quale sottolineò l’originalità delle idee e dei sentimenti, la forza delle energie sociali nel
medioevo, ma condannò le forme rozze e irregolari in cui si erano espresse. Uno dei più popolari scrittori
francesi di storia della metà dell’800 fu Michelet il quale riteeva che lo storico dovesse mirare alla resurrezione
integrale del passato. Egli considerò il medioevo come un’epoca semplice e pittoresca, l’epoca in cui si forma e
si afferma la nazione francese. Ma agli inizi degli anni 40 egli ebbe una forte crisi personale e politica che lo
portò ad assumere atteggiamenti polemici contro la Chiesa e la tradizione cristiana. Cambiò anche la sua
opinione sul medioevo ritenendo le sue precedenti interpretazioni riferite più agli ideali che non alla concreta
realtà dell’epoca. Il rinascimento era ormai il grande periodo storico da cui aveva avuto origine lo spirito
moderno. Più tardi dichiarò che il medioevo era un’epoca morbosa ancora capace di corrompere gli spiriti.

Il romanticismo italiano: In Italia, nel primo 800 il Manzoni cattolica fu il più importante scrittore che rivolse le
sue attenzioni al medioevo. Scrisse due tragedie, il Conte di Carmagnola e l’Adelchi, ambientate entrambe in un
periodo problematico del medioevo italiano quando cioè l’Italia era sotto il dominio straniero, cosa che egli

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considerava un’ingiustizia umana. Soprattutto la dominazione dei longobardi in Italia era un esempio di
ingiustizia: i longobardi avevano imposto ai latini un dominio barbaro ed egoista fino a quando essi stessi furono
travolti dalla superiorità dei franchi. All’Adelchi seguì il “Discorso sopra alcuni punti della storia longobarda in
Italia” in cui critica tutti gli autori, compresi il Muratori che avevano attribuito ai longobardi una civiltà giuridica
fondata su criteri di ragionevolezza ed equità e che avevano sostenuto che durante il dominio longobardo i
romani avevano conservato diritti e ordinamenti propri. Il napoletano Carlo Troya confermò le concezioni del
Manzoni mettendo in evidenza il carattere barbarico della dominazione longobarda durante la quale i romani
furono costretti ad accogliere i costumi e gli usi dei longobardi. Troya intrapresa la stesura di una Storia d’Italia
che andava dalla fine dell’impero romano ai tempi di Dante di cui pubblicò solo 4 volumi senza andare oltre l’età
longobarda. Secondo Troya la difesa dell’eredità romana e della fede cristiana era stata assunta dal papato che
poi con l’evangelizzazione erano state diffuse in tutta Europa. Dopo il Mille le attività commerciali in Italia e in
Europa avevano determinato un ulteriore recupero dell’eredità romana e un passo decisivo verso il
superamento degli ordinamenti e costumi barbarici. Troya e gli uomini colti degli anni 30 e 40 dell’800
avvertirono l’esigenza di comporre una storia generale d’Italia per la formazione della coscienza nazionale.
L’impresa fu realizzata da Cesare Balbo. Egli divise la storia d’Italia in quattro momenti caratterizzati
dall’incapacità di governarsi in modo indipendente: governo dei barbari, regno feudale d’Italia, età dei Comuni,
età delle preponderanze straniere fino al 1814. Balbo riponeva molta fiducia nel papato ritenendolo aiuto
indispensabile per la conquista dell’indipendenza italiana. Balbo assegnava una funzione etica e pedagogica alla
storia. Scrittori come Manzoni, Troya, Balbo costituiscono una scuola di pensiero denominata <<cattolico-
liberale>> o <<neoguelfa>> per l’importanza che attribuiva al papato nella storia d’Italia. Il palermitano Michele
Amari scrisse la storia del vespro siciliano in cui rivendica l’identità regionale della Sicilia contro la prevalenza di
Napoli nel regno delle due Sicilie. Successivamente si persuase che le province italiane dovevano unirsi per
conquistare la libertà. Dopo la II guerra d’indipendenza egli vide nella monarchia l’unica speranza per
l’unificazione italiana. Amari per motivi politici fu costretto ad andare in Francia dove scrisse la Storia dei
Musulmani in Sicilia. Dopo il fallimento dei moti del 1848 e la perdita della speranza nel ruolo nazionale del
papato Giuseppe Ferrari scrisse Guelfi e Ghibellini in cui sosteneva la necessità di due partiti antagonisti che
impedissero reciprocamente di costruire un potere monocratico su tutta la nazione. Nel medioevo il papato e
l’impero (Guelfi e Ghibellini) avevano svolto tale ruolo garantendo la libertà della nazione. Diversa era la
posizione di Cattaneo il quale credeva nel federalismo unico sistema per potenziare le risorse morali e materiali
delle diverse regioni d’Italia. Nel 1814 Cattaneo progettò un’indagine sulla Lombardia che doveva trattare
geologia e geografia, flora e fauna, popolamento a salute pubblica, agricoltura, industria e commercio,
istituzioni civili ed ecclesiastiche, lingua, legislazione, istruzione e sviluppo intellettuale ed artistico della
regione. Egli ricorse alla storia per mostrare come si era formata la struttura cittadina e il medioevo fu il centro
dell’indagine perché proprio in quell’epoca, dopo il collasso delle invasioni barbariche e la preminenza assunta
dalle campagne, solo in Italia si era ricostruita una civiltà cittadina che aveva promosso il benessere economico
e il progresso morale, tecnico e scientifico.

La storia della costituzione inglese: In Inghilterra, agli inizi dell’800 l’attività storiografica continuava ad essere
svolta da filosofi e poligrafi secondo la tradizione di Robertson e Gibbon. Uno studioso del medioevo fu Henry
Hallam il quale, a differenza di Gibbon, considerava quest’epoca storica ben definita indicandone l’inizio e la
fine. Egli rivolse la propria attenzione non al vasto mondo uscito dalla disgregazione dell’impero romano, ma
alle nazioni che si erano formate nel medioevo. Egli, nella sua opera, sul medioevo, dedicò un capitolo alla storia
dei principali stati europei, Francia, Inghilterra, Spagna, Italia, dalle invasioni barbariche fino alla fine del XV
secolo. Dedicò dei capitoli alla Chiesa romana, al sistema feudale, alla storia del commercio, dei costumi e della
letteratura. Nel capitolo dedicato all’Inghilterra medievale, parlò del sistema costituzionale inglese basato
sull’equilibrio dei poteri tra monarchia e parlamento, l’unico sistema, secondo Hallam favorevole alla libertà dei
cittadini. Quando i normanni avevano conquistato l’Inghilterra, gli inglesi avevano rischiato di perdere la libertà,
ma l’avvicinamento dei sudditi normanni e di quelli sassoni aveva fatto si che i re accettassero un patto
costituzionale, una carta della libertà rimasta nei secoli. Nella prima metà dell’800 il tema delle origini nazionali
fu molto sentito anche in Inghilterra come possiamo notare nei romanzi di Wlater Scott. Un altro studioso del
medioevo fu Palgrave il quale diede rilievo all’influenza della tradizione romana sulle antiche istituzioni di
governo e che in Inghilterra si sarebbe conservata anche dopo l’invasione degli Angli e dei Sassoni. William
Stubbs si dedicò alla studio della costituzione inglese sostenendo che l’integrazione tra le antiche istituzioni
sassoni, caratterizzate dalla libertà popolare e le istituzioni regie di origine normanna si sarebbe realizzata solo
nel corso del XII secolo e dando luogo a quel modello di Parlamento rimasto a fondamento della costituzione
inglese. William Maitland, giurista e avvocato, rivolse il suo studio alla formazione della common law (il
complesso di leggi). Egli sosteneva che il diritto inglese era noto con i sassoni ma aveva subito influenze
successive da parte dei normanni, della Chiesa, delle scuole di diritto continentali raggiungendo una prima

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sistemazione organica solo nel 200. Egli dunque, rifiutava l’idea di un nucleo originario di istituzione e pratiche
giuridiche sopravvissuto immutato nei secoli.

La storiografia del positivismo: Nella seconda metà dell’800 la storiografia si prefisse la conoscenza oggettiva del
passato. In Germania si puntò ad una ricostruzione minuziosa e critica delle vicende soprattutto nel campo della
storia politico-diplomatica. Di questa storiografia furono gli Annali della storia tedesca (1866) in cui si parla delle
attività degli imperatori medievali tedeschi. In Germania soprattutto in questo periodo, ebbe particolare rilievo
la storia del diritto riguardo alle istituzioni e all’ordinamento costituzionale dei popoli. All’interno della scuola
storica si distinsero i <<Germanisti>> Jacob Grimm e Georg Waitz. Essi ricostruirono la storia dell’ordinamento
istituzionale tedesco dagli antichi germani alle formazioni politiche medievali sulla base di una larga e
sistematica conoscenza delle fonti. Essi si impegnarono a definire la natura e le caratteristiche della libertà delle
persone, discussero sull’esistenza o meno di una nobiltà come classe giuridicamente distinta; studiarono la
genesi del potere regio in relazione alla società; discussero il sistema feudale e l’origine dei poteri privati di
comando. A conclusione di queste ricerche e discussioni Waitz scrisse la Storia costituzionale tedesca 1844-1878
in cui fa un’organica ricostruzione dell’ordinamento istituzionale dei popoli germanici dalle prime attestazioni al
XII secolo. Verso la metà del secolo si svilupparono in Germania anche gli studi sulla storia dell’attività
economica. Ricordiamo il testo di List “Il sistema nazionale dell’economia politica”, in cui l’autore afferma che la
nazione è un organismo collettivo che sviluppa un’organizzazione economica peculiare. Dall’opera di List prese
ovvio la cosiddetta scuola storica dell’economia nazionale che si dedicò soprattutto a studiare le caratteristiche
dell’economia urbana medievale in Germania, il sistema fondiario dell’alto medioevo e quello commerciale del
tardo medioevo. Lo studio dell’economia medievale riguardò l’evoluzione dell’attività economica. Hildebrand
ipotizzò tre stadi della vita economica: economia naturale, economia monetaria, economia creditizia. Bucher
invece distinse un’economia domestica, un economia di villaggio, un’ economia cittadina ed un’economia di
popolo. L’età medievale fu caratterizzata dal prevalere di alcuni di questi tipi e venne studiato per individuare le
modalità di passaggio dall’uno all’altro. Marx individuò quattro modi di produzione: asiatico, schiavistico,
feudale e capitalistico borghese. Il modo di produzione feudale e i prodromi di quello borghese si attuarono nel
medioevo europeo. Marx però riteneva che l’evoluzione socio-economica non aveva percorso le stesse tappe
perciò potevano coesistere modi di produzione diversa in una stessa epoca. Marx dedicò gran parte della
riflessione alle dinamiche che provocano il passaggio da un modo di produzione all’altro rivendicando la
spontaneità dei movimenti di lotta che realizzano il superamento dei modi di produzione. Le idee, chiaramente
socialiste, di Marx, inizialmente non ebbero seguito tra gli storici poi, dopo l’abolizione della legislazione
antisocialista di Bi Bismarck, furono accolte d un gruppo di <<socialisti cattedratici>> che si dedicarono allo
studio dell’origine della borghesia e del sistema produttivo capitalistico nell’economia mercantile e
manifatturiera delle città medievali. Un altro orientamento della storiografia di questo periodo la storia della
cultura che intendeva ricostruire le varie fasi della vita di un popolo nelle diverse manifestazioni: letteratura,
istituzioni, attività politica, organizzazione economica, espressione artistica e religione. Ricordiamo l’opera di
Jacob Burckhardt relativa al risorgimento italiano e quella di Lamprecht. Quest’ultimo studiò l’attività
economica medievale e si servì della documentazione amministrativa per ricostruire l’organizzazione della
proprietà fondiaria, ricorrendo anche all’analisi statistica per avere una valutazione quantitativa dei fenomeni.
Studiò anche la produzione artistica e particolari atteggiamenti della mentalità medievale. Egli cercò anche di
individuare le leggi oggettive che governano l’evoluzione delle culture, e in un primo momento, influenzato dal
pensiero di Marx, le individuò nei rapporti economici. Poi, accogliendo le teorie della psicologia collettiva,
sostenne che l’evoluzione delle culture era determinata da atteggiamenti psicologici collettivi, che si succedono
in ordine costante. Egli perciò divise la storia tedesca in epoca animistica (pre- medievale), epoca simbolica (fino
al X secolo), epoca tipologica (X e XII secolo), epoca soggettivistica (XIX secolo).

Storia e scienze sociali in Francia e in Italia: In Francia la ricerca storica alla fine dell’800 fu caratterizzata da un
orientamento positivista. Lo storico doveva lavorare sui dati ricavati direttamente dalle fonti, doveva essere un
giudice imparziale. I momenti fondamentali del lavoro dello storico dovevano essere : reperimento della
documentazione limitate ai soli documenti scritti; vaglio della sua genuinità e della sua qualità,; selezione,
ordinamento e confronto delle informazioni. La personalità più importante del periodo è Numa -Denis Fustel che
affrontò il problema dell’influenza delle invasioni barbariche sulle istituzioni e in genere sulla società romana. Fustel,
in contrasto con l’impostazione tradizionale della storiografia francese dell’800, sostenne che le invasioni non
avevano segnato l’inizio di una nuova epoca, caratterizzata dal conflitto etnico e culturale tra germani e romani
perché l’organizzazione della società fondata sulla proprietà fondiaria non era cambiato. Per Fustel le istituzioni
mutano lentamente e a seconda dei bisogni e delle concezioni della società. In questo periodo si cercò, senza
successo, di arricchire la storiografia di altre informazioni provenienti dalla sociologia e dalle scienze umane. Anche in
Italia (De Sanctis e Carducci), dopo la metà dell’800 la ricerca storica fu caratterizzata

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da un orientamento positivista e assunse grande importanza lo studio delle istituzioni giuridiche. Francesco
Schupfer e Antonio Pertile indagarono sulla genesi ed evoluzione della società medievale italiana le istituzioni
del diritto privato e pubblico e dedicarono grande attenzione al ruolo esercitato dalle tradizioni germaniche e da
quelle romane nella formazione della nuova civiltà medievale. Esponenti di primo piano della storiografia
positivista furono Pasquale Villari ed Amedeo Crivellucci che indagarono sui fondamenti della storia d’Italia
nell’età delle invasioni barbariche e dei Comuni. Verso la fine del secolo anche in Italia si diffuse l’interesse per
la storia economica e sociale sotto l’influenza del marxismo. Villari abbandonò la tradizionale interpretazione
dei conflitti sociali medievali come eredità dell’irrisolto dualismo tra germani e romani dando risalto allo scontro
tra le classi. Altri si dedicarono allo studio dei patti agrari, della condizione giuridica dei contadini, delle
associazioni rurali e delle corporazioni di mestiere mirando a ricostruire caratteristiche della società medievale
italiana intesa come origine della nazione. Emerse tra gli studi Gioacchino Volpe il quale, influenzato
inizialmente dal marxismo, si dedicò ad una ricostruzione della vita della società medievale italiana dando
grande rilievo alle masse. Tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 Henri Pirenne vide nelle città medievali strutture
originali, diverse dalle città antiche, caratterizzate da un nuovo ceto sociale, i mercanti. Una realtà sociale sorta
dal nulla in un certo momento del medioevo, grazie al concorso di circostanze favorevoli.

La storiografia del 900:Nella prima metà del 900, fino alla seconda guerra mondiale continuò ad essere praticata
la storia narrativa, riferita alle vicende politiche e fondata sulla minuziosa ricostruzione dei fatti. Nei primi
decenni del 900 si affermò un nuovo orientamento filosofico e storiografico, lo storicismo che rivendicava una
netta distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, che perciò dovevano impiegare metodi
conoscitivi diversi. Lo storicismo rivendicò l’unicità del fatto storico: per comprendere l’intima ragione degli
eventi, dei movimenti, bisognava considerarli nel loro contesto morale, politico, religioso, senza però
generalizzare. È esemplare di questa storiografia l’Autunno del Medioevo dello storico e pensatore olandese
Huizinga che descrisse la civiltà tardomedievale in Fiandra e nella Francia settentrionale. In Germania gli storici
tedeschi studiarono le manifestazioni e le teorie del potere medievale come espressione di moralità e cultura.
Negli anni 30 del 900 presero rilievo anche gli studi sulla storia della spiritualità religiosa. Il medioevo insieme
all’età della riforma protestante offriva largo campo per lo studio del bisogno religioso della società e del
rapporto tra espressioni spontanee e istituzionalizzazione della religiosità. in Italia Ernesto Buonaiuti mise in
evidenza gli aspetti più intensi e spontanei della religiosità protocristiana e medievale. un altro studioso italiano
che giunse ad un'interpretazione unitaria della civiltà medievale fu Giorgio Falco. Egli nella sua opera descrisse il
medioevo come un’epoca in cui si era sviluppata l’aspirazione ad organizzare l’intera società in un’unica entità
politica e spirituale guidata da due grande istituzioni: l’impero e il papato. Quest’aspirazione però fu sempre
contrastata e venne meno nel XV secolo quando nacquero gli stati nazionali. Un caso a parte è costituito da
alcuni sponenti della storiografia francese che propugnavano lo studio della società, della sua organizzazione in
rapporto ai sistemi economici ed agli atteggiamenti mentali. Parallelamente facevano ricorso anche alle
testimonianze fornite dalla geografia, archeologia, dalle tradizioni popolari, dall’iconografia. Recentemente si è
affermato, soprattutto negli Stati Uniti, il decostruttivismo che nega la possibilità di una ricostruzione oggettiva
del passato ritenendo le fonti discorsi costruiti secondo codici linguistici e comunicativi del tutto svincolati dalla
realtà dei fatti.

Capitolo 2. Il problema della periodizzazione


Unità e varietà dell’epoca medievale: Non è possibile indicare una data precisa per l’inizio e per la fine del medioevo.
L’inizio del medioevo si può collocare in un periodo di almeno tre secoli, dal IV al VII in cui si verificarono
l’istituzionalizzazione del cristianesimo, con la sua integrazione nell’impero romano e l’organizzazione della chiesa
ufficiale; le invasioni barbariche con la costituzione di una società mista germano-romana, nei territori dell’impero; la
fine del sistema economico imperiale, caratterizzato dal controllo statale sulla produzione e dall’integrazione tra le
diverse provincie affacciate sul Mediterraneo. questo periodo non presenta ancora i caratteri del Medioevo, esso
viene definito <<Tarda antichità>> nel cui interno però va maturando il medioevo man mano che le istituzioni
imperiali romane vengono meno. L’anno 476 che tradizionalmente segna la fine del mondo antico, non ha grande
significato. La deposizione dell’ultimo imperatore romano d’occidente diede il colpo di grafia a quanto restava
dell’organizzazione istituzionale creata due secoli prima da Diocleziano e Costantino, ma non ebbe particolare
risonanza tra i contemporanei. Anche la fine del Medioevo va definita facendo riferimento agli avvenimenti riferiti ad
un paio di secoli: gli squilibri socioeconomici nella società europea causati da una crisi demografica iniziata nei primi
decenni del 300 e durata fino al 400; una lunga serie di crisi economiche che depresse le condizioni di vita in tutte le
regioni europee per di più di un secolo e mezzo; la perdita di prestigio del papato, dell’impero, della nobiltà
cavalleresca; l’aspirazione a nuovi valori religiosi, etici e a nuovi criteri di verità. Il passaggio dal medioevo alla prima
età moderna fu lento e progressivo per cui non si può stabilire una data precisa. Il medioevo non si può certo

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considerare un’epoca unitaria, un’epoca in cui i mille e più anni costituiscono uno stato di immobilità. Infatti
non vi sono analogie se non molto labili tra i regni tribali dell’inizio e le monarchie della fine del medioevo; non
vi è alcuna parentela tra il sistema economico basato sulla grande proprietà fondiaria dei primi secoli è il
capitalismo commerciale del medioevo avanzato. Già i pensatori del 700 Voltaire aveva messo in evidenza il
primo formarsi delle borghesie e degli stati. Robertson divise il medioevo in due parti dalle caratteristiche ben
diverse: la prima dominata dalla barbarie, sia nella vita culturale che nelle istituzioni civili ed economiche; sulla
seconda invece si gettarono le basi dell’età moderna. Anche gli storici dell’800 e del 900 avvertirono una
sostanziale diversità tra la prima e la seconda parte del medioevo e chiamando la prima <<primo medioevo>> o
<<alto medioevo>>, la seconda <<tardo>> o <<basso medioevo>>. La prima parte era caratterizzata
dall’insediamento dei germani nel territorio dell’impero romano, dal predominio dei ceti militari, dall’economia
signorile e dalle prime sintesi culturali e istituzionali fra tradizioni germaniche, cristiane e romane. Essa parve
segnata da una sua carenza chela definiva come un momento con caratteri propri. La seconda parte (dalla metà
del 200 fino al 400), basso medioevo, era caratterizzata da una complessa articolazione della società, distinta in
ordini e classi diverse e spesso contrapposte, dalla crisi dell’unità cattolica, sia sotto il profilo ecclesiastico che
culturale e dalla depressione economica. Però molte caratteristiche storiche dell’XI, XII e XIII secolo e per certi
aspetti del X secolo, non potevano essere assimilate né a quelle dell’alto medioevo, né a quelle del basso
medioevo. In essi infatti si affermano attività economiche e valori umani più vari, con la comparsa di nuove
classi sociali come il mercante e il chierico. Nel XII secolo il medioevo esprime una civiltà originale, governi,
mercati, scuole, grazie alla maggiore ricchezza economica, all’influenza della religione nella vita laica, alla
modernizzazione della sapienza antica. Trasmessa dalle lettere classiche. Non a caso il XII secolo è stato
considerato il primo <<rinascimento>> nella storia europea. Anche i secoli centrali, dunque, presentano una
coerenza propria per cui si pensò di dividere il medioevo in tre fasi; nella storiografia tedesca e inglese esse
vengono indicate come <<primo medioevo>>, <<alto medioevo>>e <<tardo medioevo>>. In italiano non si è
ancora affermata una designazione per la parte centrale. La storiografia italiana di fine 800 aveva parlato di
<<età comunale>> ma questa definizione non può essere estesa a tutta la storia europea perché nel complesso
il fenomeno comunale ebbe incidenza limitata. Anche in francese manca una designazione per i secoli centrali
del medioevo che vengono talvolta indicati come l’età feudale per eccellenza. La divisione del medioevo in tre
fasi potrebbe dissolvere l’unità del medioevo, ma in realtà le tre fasi iniziale, centrale e finale, pur essendo dei
momenti diversi e bene identificabili, come essere considerati come i tempi della formazione, della piena
esplicazione e poi della decomposizione di una stessa realtà, in cui gli aspetti sociali, economici e culturali si
modificarono con processi interni. L’evoluzione dei caratteri del medioevo si può rappresentare con una curva
che parte dal basso tra il VI e VII secolo, tende verso l’alto e raggiunge il culmine tra il XII e XIII secolo per poi
volgere verso il basso sena tornare però ai livelli di partenza ma predisponendosi per un nuovo cambiamento in
un rapporto di continuità.

Il medioevo e la storia europea: L’epoca medievale può essere considerata come un’epoca significativa per i
valori e le forme di vita che vi si sono realizzate. Oppure può essere considerata come parte integrante di un
divenire più lungo in cui si modellarono realtà ed ideali ancora viventi e che costituiscono l’identità storica
dell’Europa distinta dalle altre parti del mondo. Secondo la prima concezione la civiltà medievali ha un valore
autonomo e non ha senso porla in relazione comparativa o evolutiva con le altre epoche della storia. Con l
seconda concezione si rischia di apprezzare il medioevo solo perché epoca di origine di situazioni e concezioni
che maturano solo successivamente. Qualunque sia il punto di vista prescelto, bisogna tener presente che il
medioevo è un periodo riferito esclusivamente alla vicenda storica europea. È privo di significato parlare di
medioevo cinese o indiano, tuttalpiù si può estendere il concetto alle società come quelle che ebbero rapporti
di scambio reciproco con l’Europa nel periodo medievale fermo restando però che, nel periodo corrispondente
al medioevo europeo, in esse si verificarono situazioni con caratteri propri che diedero vita ad una civiltà
diversa. Ed è proprio perché il medioevo appartiene esclusivamente all’Europa che non si può parlare di esso
come una parte di passato neutra. I due punti di vista storiografici possono essere fusi: il medioevo è
certamente la fase iniziale della formazione dell’Europa, una fase congiunta e significativa, ma la sua civiltà non
è andata perduta nel proseguire della storia, ha continuato ad esercitare influenza sia nella vita della società
europea che in quella culturale.

Capitolo 3. Qualche tema generale per qualificare il medioevo.

Invasioni, barbari, germani: Con le invasioni barbariche, vennero a contatto due mondi completamente diversi
dando luogo ad un confronto diretto. Una lunga tradizione ha considerato le barbarie come una condizione
culturale e morale destinata a cedere di fronte ad una civiltà superiore come quella romana. Ma i barbari non
accettarono passivamente i principi della civiltà con cui erano venuti a contatto, ma ne riconobbero i valori,
sforzandosi di correggere i principi stessi delle barbarie. Ma quest’interpretazione perde rilevanza se al concetto

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di barbarie si sostituisce quello di germanesimo, se cioè si attribuisce ai barbari una civiltà diversa, più semplice
di quella classica. In base a questa interpretazione non si può più parlare di scomparsa della civiltà degli invasori
davanti alla superiore tradizione dei vinti, ma di interazione tra le tradizioni classiche e mediterranee, cioè tra la
cultura imperiale romana e quelle germaniche che portò alla trasformazione sia dell’una che delle altre sebbene
in maniera diversa da territorio a territorio. In alcuni ambiti prevalse la tradizione romana, in altri quella
germanica dando luogo alla differenziazione della civiltà europea. Questa concezione fu accettata soprattutto
dalla cultura tedesca che voleva difendere la propria diversità rispetto a quella francese e tedesca. Tra la fine
dell’800 e le due guerre mondiali, si sospettò che la singolarità tedesca fosse legata effettivamente all’eredità
barbarica. Ipotesi però priva di significato perché non tiene conto della complessa evoluzione della cultura
germanica del medioevo all’età moderna, né della varietà culturale dei popoli di lingua tedesca.

Cristianesimo e chiesa: Il Cristianesimo viene spesso definito come l’età della fede, l’età in cui la religione
cristiana guidò le anime e le menti, mitigando i costumi e influenzando l’organizzazione della società, la cultura
e soprattutto l’educazione morale e sentimentale predicando l’amore, la fratellanza tra gli uomini in quanto figli
di un unico padre. Ma la storia del Cristianesimo medievale non fu facile ma tormentata e spesso drammatica.
L’epoca fu caratterizzata dalla continua ricerca dei modi di realizzare la vita cristiana senza però trovare
soluzioni soddisfacenti. Il monachesimo con la separazione dal mondo, sembrò la strada ideale per condurre
una vita conforme alle indicazioni di Gesù nei vangeli. Le forme istituzionali monastiche cambiarono col tempo,
ma rimase a lungo la concezione che il mondo non consentiva di praticare una vita veramente cristiana. D’altra
parte, nella tradizione cristiana per salvarsi sono necessari i sacramenti oltre alla pratica delle virtù spirituali. I
sacramenti possono però essere impartiti solo da persone che hanno ricevuto una particolare consacrazione
grazie alla quale diventano i mediatori dello spirito. Nella Chiesa cristiana il clero impartisce i sacramenti,
escludendo da essi i cattivi ed esercitando una certa autorità sui fedeli. Nel medioevo la scelta del sacerdote per
impartire i sacramenti doveva essere fatta in base alla purezza della sua vita e in base alle sue competenze
dottrinali. Ma si mise anche in discussione la necessità di un mediatore per predicare il messaggio evangelico e
per impartire i sacramenti, ritenendo sufficiente l’osservanza dei precetti evangelici per realizzare una vita
cristiana. Posizioni estreme giunsero persino a negare l’importanza dei sacramenti per la salvezza del credente.
La chiesa dichiarò eretiche queste dottrine e perseguitò i loro seguaci. In realtà queste posizioni erano
espressione di un grave problema, il ruolo dei laici nella chiesa, se cioè essi potevano conseguire solo una
limitata perfezione come subordinati, o potessero invece partecipare alla propagazione della fede ed essere
protagonisti della propria salvezza. Nella seconda metà del medioevo la chiesa cercò una soluzione al problema
organizzandosi come apparato giuridico, politico, economico, culturale chiuso, separato all’interno della società
cristiana su cui cercò di esercitare un ferreo controllo non solo nel campo spirituale ma anche in quello politico
e sociale. Ciò provocò forte resistenza da parte degli stati che rivendicavano l’autonomia del governo temporale
e da parte dei fedeli che cercarono all’interno e fuori della chiesa istituzionale di nuove forme organizzative per
soddisfare le loro esigenze di religiosità interiore. Si cercarono nuove forme di vita religiosa intermedie tra lo
stato monastico e quello laicale, si cercò di ripotare la Chiesa alla sola funzione spirituale, ma proposero anche
riforme radicali della Chiesa negando al clero l’infallibilità teologica e la loro funzione di mediatori. Anche il
sistema dottrinale basato sulla fede fu soggetto a incertezze quando si diffusero le nuove concezioni filosofiche
greche riguardanti il mondo, la natura, l’uomo e in molti casi si parlò della doppia verità, una fondata sulla
ragione, una fondata sulla fede.

Il potere e i suoi limiti: Nel medioevo vi sono due concezioni di potere che si contrappongono dall’impero
romano e dalle formazioni politiche germaniche. Nella versione tardoimperiale tutte le funzioni, legislative,
giuridiche, burocratiche, sono nelle mani dell’imperatore e i cittadini sono solo sudditi che non possono
interferire con la gestione del potere. Inoltre l’autorità imperiale e considerata sacra sia nell’età pagana che in
quella cristiana. Nella tradizione germanica invece si era affermata la sovranità popolare esercitata da tutti gli
uomini liberi riuniti in assemblea, mentre il re eletto aveva poteri di guida essenzialmente militari soggetti a
verifica e a limiti. Ma appena i regni barbarici si consolidarono nel territorio romano, l’assemblea cittadina
venne sostituita con quella costituita da un ristretto numero di capi militari e titolari di giurisdizione, mentre i re
cercavano di imitare i caratteri dell’autorità imperiale. Il principio di autorità ricevette un consolidamento
dall’idea di origine biblica che il potere deriva direttamente da Dio verso il quale i sovrani sono responsabili.
L’unzione, importante ai sovrani dalla metà dell’VIII secolo, li metteva al di sopra di tutti gli altri membri della
società politica (l’unzione era una sorta di sacramento). Ma questa concezione non sciolse re e imperatori da
ogni controllo poiché proprio perché la loro autorità derivava dalla grazia trasmessa dal sacramento, la chiesa
doveva esercitare su di loro un controllo non solo come fedeli, ma anche come sovrani. Quest’idea avrebbe
portato successivamente alla conseguenza che il sovrano dovesse esercitare il suo potere su indicazione e sotto
la guida del sacerdote. Nei regni carolingi e postcarolingi si affermarono nuove istituzioni derivanti dalle

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concezioni germaniche. In questi regni esisteva un ceto laico di governo, costituito dall’aristocrazia fondiaria e
militare che collaborava con i re nell’attività politica e il rapporto tra sovrano e questo ceto politico prevedeva
diritti e doveri per entrambe le parti. Certo il diritto di collaborare col re era ormai limitato ad un ceto
privilegiato di potenti, ma d’altra parte la società politica nei secoli IX e X era ristretta ed escludeva i ceti rurali
da ogni attività politica né esistevano formazioni politiche cittadine. il ceto feudale costituiva il ceto politico
laico del regno che poteva collaborare col sovrano e controllarne l’attività. Forme nuove di autorità regia si
affermarono nel XII secolo in cui il potere del sovrano era autoritario e privo di controllo da parte di sudditi e
questo non per consacrazione religiosa, ma per una nuova concezione secondo la quale la società solo se
costretta poteva vivere secondo giustizia. Sovrani come Enrico II d’Inghilterra, Federico Barbarossa, Ruggero II di
Sicilia non riconoscevano né il controllo del clero, né quello del ceto feudale. In questa concezione solo il re
poteva istituire le leggi. Allora fu posta la questione se anche il re fosse soggetto alla legge da lui stessa creata.
Le posizione monarchiche e autoritarie teorizzarono che il sovrano era la <<legge animata>> oppure <<ciò che
piace al principe ha forza di legge>> e che il volere del principe era arbitrario e insindacabile. Ma a questa
concezione ne vennero opposte altre in parte frutto dell’influenza del rinnovamento nel XII secolo della filosofia
e della logica. Si teorizzò che il re era subordinato alla legge, e proprio per questo si differenziava dal tiranno. I
sudditi potevano rifiutare l’obbedienza al sovrano che si sottraeva alla legalità. In Inghilterra si affermò il
principio che la sovranità spettava alla communitas regni, formata dal re, dai baroni laici ed ecclesiastici e dal
popolo; l’autorità di fondare la legge fu riconosciuta al re e ai baroni congiuntamente. Inoltre si affermò il
principio era vincolato non solo ai principi generali della legalità, ma alla legge del paese intesa come tradizione
comune di tutto il regno. Fin dal medioevo si delinearono le linee della costituzione inglese espressa
giuridicamente nella Magna Charta. In altri stati europei non si ebbero limitazioni del potere regio, anche se in
Spagna le cortes e il collegio elettorale dei principi nell’impero tedesco sono espressioni di controllo del potere
regio. (le cortes svolgevano un controllo politico e fiscale). Solo in Francia si sviluppano monarchie di
reminiscenza romane in cui il sovrano non era soggetto a controllo da parte degli ordini politici del regno. Negli
ultimi secoli del medioevo le teorie teocratiche propugnate dalla Chiesa affermavano una sovranità limitata
degli stati e un potere di controllo e intervento in tutte le questioni del mondo, comprese quelle politiche. Ma le
teorie ecclesiastiche vennero contrastate e fu sostenuta l’autonomia dello stato definito come società naturale
che doveva realizzare le migliori condizioni di vita terrena per tutti i suoi membri. Tale concezione discendeva
dalla filosofia aristotelica che si era diffusa fin dal XIII secolo, ma i teorici politici del 300 di cui il più noto è
Marsilio da Padova affermarono che lo stato era costituito dalla collettività dei cittadini soggetti a diritti e
doveri, mentre il clero e gli ordini privilegiati, non avevano alcun potere politico. La sovranità risiedeva nella
comunità dei cittadini che creava leggi e delegava i poteri esecutivi a organi di governo scelti liberamente e
revocabili. Alla fine del medioevo si formulò una dottrina della sovranità popolare che però non ebbe attuazione
pratica. L’attuazione più significativa di queste teorie si ebbe all’interno della stessa chiesa in occasioni dei
concili del 400 che misero fine al Grande Scisma in cui si affermò il principio dela superiorità della comunità
rappresentata in questo caso dai credenti, sul monarca rappresentato dal papa, anche in materia di fede.

Nazioni: Le origini delle nazioni va ricercata nel medioevo. Il concetto moderno di nazione comprende due
versioni: 1) nazione come gruppo umano caratterizzato da un’esperienza storica propria ma in rapporto con gli
altri gruppi; 2) nazione come gruppo umano chiuso ostile agli altri. Questa seconda concezione si trova nei
documenti degli inizi del medioevo nelle popolazioni germaniche ciascuna delle quali si considerava un popolo
scelto superiore agli altri. L’identità del gruppo risiedeva nel fatto che i suoi componenti discendessero da un
progenitore comune e che fossero quindi consanguinei. In alcune culture ancora pagane l’antenato era
considerato un dio o un semidio il che conferiva al popolo una consacrazione religiosa. Origine divina veniva
attribuita anche alle leggi, ai poteri di comando, ai costumi che caratterizzavano l’identità di un popolo e che si
tramandavano nel tempo. In conclusione, viste le analogie tra le primordiali concezioni di nazione e quelle
moderne, si può affermare che l’idea di nazione sia un’eredità barbarica. Nella cultura romantica dell’800 si
trascurò l’idea dei legami di sangue tra i connazionali conservando l’idea che la nazione fosse un corpo organico
chiuso caratterizzato da un proprio spirito che si esprimeva nelle tradizioni popolari.

Il ciclo demografico: L’inizio dell’età medievale coincide con una drastica riduzione della popolazione dopo di che
cominciò a crescere, infatti le terre rimaste incolte, cominciarono ad essere di nuovo coltivate, ripresero i traffici, si
formarono nuovi insediamenti. Nel XIII secolo la popolazione era raddoppiata ma nel XIV secolo una grande epidemia di
peste causò la scomparsa di un terzo della popolazione europea che riprese a crescere solo nei decenni centrali del 400.
Dunque il ciclo demografico dell’età medievale si articola in tre fasi: depressione – espansione – depressione con le punte
minime nel VII secolo e dopo la metà del XIV. Si capisce chiaramente che dinamica della popolazione è dinamica socio-
culturale e i fenomeni del medioevo sono in stretto rapporto. Infatti nel primo periodo si ha un impoverimento dell’attività
produttiva e culturale; nel secondo periodo si ha una forte espansione della produzione, di commerci, delle città, fioritura
intellettuale, creazione di organismi politici complessi; nel terzo periodo si ha recessione economica, crisi sociale e

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involuzione ideologica. I due periodi di minimo demografico furono contrassegnati da una serie di epidemie di peste e da gravi
carestie. I due flagelli, peste e carestia, sono connessi fra loro: la carestia indebolisce la resistenza fisica della popolazione
favorendo il diffondersi delle epidemie; queste provocano un abbassamento nella produzione, a causa della morte di molte
persone, e quindi favorisce nuove carestie. L’espansione demografica dei secoli centrali del medioevo si può spiegare con
l’aumento della produzione dovuta all’adozione di nuove tecniche agricole e attrezzature più efficienti. Per spiegare la dinamica
demografica si sono prese in considerazione anche le variazioni climatiche nel continente europeo. All’inizio e alla fine del
medioevo si ebbe un notevole abbassamento della temperatura e un aumento della piovosità che avrebbe provocato alluvioni,
impaludamenti, danni alle colture agricole e un indebolimento biologico della specie umana, cosa che favorì la diffusione delle
carestie e delle epidemie. Invece tra il X e XIII secolo le condizioni climatiche migliorarono, la temperatura aumentò e fu
addirittura possibile coltivare la vite in Inghilterra e il grano in Groenlandia.

Europa: Il termine Europa compare agli inizi del medioevo e designava una delle tre parti del mondo conosciuto senza
attribuire ad essa alcuna caratterizzazione culturale, politica o ideale. Furono gli esponenti delle culture barbariche
cristianizzate ad usare il termine Europa per definire non solo un continente, ma un insieme di popoli che condividevano
qualche importante connotato culturale. Il monaco irlandese Colombano, verso l’anno 600 volendo designare tutte le
chiese in cui si venerava San Pietro, parlò di <<chiese dell’Europa tutta>>. Nel VII e VIII secolo il termine Europa designava
l’area continentale cristianizzata in cui si estendeva l’egemonia dei franchi. Era chiara però la consapevolezza che l’Europa
fosse una totalità formata da parti distinte. Secondo la Bibbia, dopo il diluvio universale i tre figli di Noè si diressero in
diverse parti del mondo ripopolandole con la loro discendenza. Secondo i dotti delle chiese barbariche a Iafet, uno dei figli
di Noè, toccò il ripopolamento dell’Europa, per cui tutti i popoli che l’abitavano discendevano da lui ed erano affini tra loro
anche se ciascuno aveva una propria individualità. Oltre al mito di Iafet c’è un’altra tradizione storico-leggendaria secondo
cui gli apostoli si sarebbero divisi le regioni da evangelizzare e Pietro e Paolo avrebbero perso quelle che una fonte
carolingia chiama <<regni d’occidente>>, ma che nel XII secolo vengono fatte corrispondere all’Europa. Era chiaro che
l’Europa intesa come sede di civiltà, non poteva coincidere con l’Europa geografica in quanto al di là dei regni cristiani
c’erano regioni ancora barbare. L’Europa dunque intesa come comunità di popoli che hanno tradizioni e caratteri comuni,
ma anche individualità propria e piena autonomia politica non coincide con i limiti del continente definiti dalla geografia
antica. Però i confini i potevano estendere a nuovi popoli man mano che essi diventavano partecipi della tradizione
comune. Nel tardo medio vi fu un fatto nuovo che contribuì a consolidare la solidarietà tra i popoli europei: l’avanzata dei
turchi nei Balcani che, nel giro dei poco più di un secolo portò Europa e cristianità a coincidere ed identificarsi. Il pericolo
dell’avanzata turca fece intravedere la possibilità di un coordinamento politico tra gli stati europei per fronteggiare il
nemico e scongiurare il pericolo comune (tale coordinamento non si fece). (Boccaccio formulò il termine <<europico>> che
poi venne espresso con piena consapevolezza dal papa umanista Pio II. Il termine europeo designava tutti i membri della
comunità politica, religiosa e culturale al di sopra delle distinzioni nazionali)

Capitolo IV. Le fonti della conoscenza storica


Una teoria delle fonti: La storia si fa con le fonti, cioè il passato può essere conosciuto e ricostruito solo attraverso le
testimonianze di esso giunti fino a noi. Le testimonianze sono appunto le fonti della conoscenza storica. Una
testimonianza per essere attendibile deve essere prossima agli avvenimenti a cui si riferisce e diretta. Nell’800 ci si
preoccupò di verificare l’attendibilità delle informazioni fornite da testimonianze scritte distinguendo quelle
attendibili da quelle incerte e da quelle false in base alla naturale formale della testimonianza, alla personalità del
testimone, alle condizioni in cui la testimonianza prese forma. Atti ufficiali e documenti di natura legale parvero più
attendibili, mentre resoconti cronistici e memorie private parvero più esposte all’alterazione volontaria o
involontaria. ci si accorse che molti documenti legali erano stati falsificati e che molti testi informativi alteravano le
notizie secondo la natura e gli interessi dell'autore.’nell’800, grazie ai progressi dell’archeologia classica si rivolse
l’attenzione anche ad epigrafi e monete. Le fonti si distinsero cosi in testimonianze, cioè informazioni esplicite e resti
cioè sopravvivenze materiali della civiltà del passato. Si distinsero ancora le fonti in intenzionali cioè finalizzate a
trasmettere certi tipi di informazioni e fonti preterintenzionali sopravvivenze del passato non finalizzate
all’informazione; una distinzione che coincideva con quella fra testimonianze scritte e resti archeologici. Si ritenne
che le fonti preterintenzionali fossero più attendibili perché meno soggette ad una intenzionale falsificazione. In
tempi recenti è maturata la consapevolezza che nessuna fonte intenzionale è cosi lucida e controllata da non
contenere informazioni che l’autore non intendeva o non sapeva di trasmettere. Perciò l’assimilazione di fonte scritta
e fonte intenzionale perde molto della sua automaticità. D’altra parte non in tutte le fonti preterintenzionali
l’informazione è realmente involontaria. Infatti qualunque monumento e per monumento si intende sia l’effigie di un
personaggio pubblico che una cattedrale, un palazzo comunale, un castello signorile o semplici commemorazioni
funerarie, anche quando non contiene testi scritti, comunica idee, valori, credenze affidate consapevolmente ad esso
dal committente. Anche le informazioni trasmesse dal monumento sono dunque intenzionali, ma come in un
monumento archeologico vi sono delle informazioni che i costruttori non erano interessati a fornire, ad esempio le
tecniche di costruzione, la provenienza delle materie prime, cosi informazioni involontarie si trovano anche nelle
testimonianze scritte come ad esempio la qualità della pergamena, il tipo di impaginazione, la grafia

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usata per la stesura del testo, l’eventuale presenza di decorazioni e di illustrazioni. Anche le fonti scritte hanno
dunque per certi aspetti una fisionomia materiale ricca di informazioni.

La tipologia delle fonti: Le fonti scritte si distinguono in fonti narrative, fonti documentarie, fonti legislative e
normative, fonti giudiziarie, amministrative e fiscali, corrispondenza privata e ufficiale, fonti agiografiche, fonti
liturgiche e fonti letterarie e dottrinali.
Le fonti narrative comprendono tutte le testimonianze che riferiscono di eventi storici con lo scopo di conservarne e
trasmettere il ricordo. Rientrano fra le fonti narrative anche biografie, memoriali, panegerici.

Le fonti documentarie sono rappresentate da documenti di natura giuridica come ad esempio diplomi, privilegi, bolle
emanate da un’autorità pubblica, laica o ecclesiastica a favore di singoli beneficiari, oppure accordi, contratti tra privati.

Le fonti legislative e normative sono rappresentate da testi normativi come i capitolari carolingi, le costituzioni imperiali e
regie, i deliberati dei parlamenti feudali, dei consigli comunali, le codificazioni di leggi promulgate dai sovrani medievali.
Rientrano tra le fonti legislative anche la legislazione e la normativa ecclesiastica espressa negli atti dei concili, nei decreti
popolari, nelle raccolte di canoni.

La fonti giudiziarie, amministrative e fiscali riguardano il funzionamento di organismi sociali. Rientrano in questa categoria i
deliberati dei tribunali e delle corti di giustizia; i mandati dei sovrani contenenti istruzioni e disposizioni per i funzionari
periferici, i censimenti fiscali, gli inventari di beni e rendite fondiarie. Vanno ricordate anche le fonti costituite dai libri
memoriales, cioè codici in cui erano registrati i nomi di persone che si affidavano alle preghiere dei monaci per la salvezza
spirituale; le liste di defunti da commemorare in occasione dell’anniversario della morte; i libri di matricola degli scritti ad
arti e confraternite e degli studenti universitari.

Corrispondenze privata ed ufficiale comprende raccolte di lettere per lo più inviate da persone di alto livello sociale e
culturale.

Fonti agiografiche sono le vite dei santi e sono importanti perché ci danno informazioni sulla religiosità e sulla mentalità
collettiva.

Le fonti liturgiche sono costituite dai testi in cui erano registrate le letture e le preghiere, i riti delle varie cerimonie
ecclesiastiche.

Le fonti letterarie e dottrinali sono i testi letterari (poemi, romanzi, novelle) e i testi dottrinari (trattati teologici, giuridici,
politici) prodotti nel medioevo.

Fonti materiali: Le fonti materiali si riferiscono ad un manufatto che trasmette informazioni attraverso la forma,
la posizione, la funzione. Le fonti materiali si distinguono in fonti archeologiche, fonti numismatiche, sigilli e
stemmi, epigrafi e fonti artistiche.
Le fonti archeologiche sono costituite da manufatti che si possono misurare, numerare, valutare, interpretare. Rientrano in
questa categoria i corredi deposti nelle tombe barbariche; le attrezzature domestiche, i residui di attività produttive, le
abitazioni e gli edifici monumentali.

Le fonti numismatiche sono costituite dalle monete metalliche coniate nel medioevo.

I sigilli ci danno informazioni importanti sui costumi e sui gesti rituali delle autorità; gli stemmi possono essere utilizzati per
studiare famiglie e signorie.

Epigrafi. L’epigrafe è sia una comunicazione verbale che materiale. Le epigrafe medievali vennero frequentemente apposte
sulle sepolture per commemorare il defunto oppure su edifici monumentali per celebrare la loro costruzione e il loro
patrono.

Fonti artistiche. Anche la produzione artistica medievale, come quella letteraria può costituire fonte per la ricostruzione
storica. L’opera d’arte, soprattutto pittorica, ci da informazioni importanti sulla realtà quotidiana dell’epoca.

La lingua delle fonti medievali: La massima parte dei testi medievali, di qualunque natura, è scritta in latino anche se
la lingua parlata era diversa. Solo nel XII secolo si cominciò ad utilizzare la lingua corrente per testi di natura poetica e
poi nel XIII secolo la lingua parlata fu usata per altri tipi di testi. Tuttavia il latino rimase per molto tempo ancora la
lingua della chiesa, della scuola e della dottrina. Si deve tener presente però che il latino del medioevo era diverso dal
latino classico e che esso ha avuto una sua evoluzione. Le principali caratteristiche del latino barbarico sono: la
riduzione delle declinazioni a uno o due casi; la perdita di molte forme verbali, l’introduzione di parole di origine
germanica, gli errori ortografici dovuti alla diversa pronuncia di vocali di vocali e consonanti. Il latino dei testi
barbarici si presenta dunque impoverito e scorretto rispetto al canone classico. Le

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cose cambiarono durante il regno di Carlomagno: furono recuperate le regole del buon latino attraverso lo
studio dei grammatici e degli autori antichi pagani e cristiani. Il latino venne usato per la comunicazione scritta
separandosi dalla lingua parlata. Nei paesi come l’Italia meridionale, in cui non arrivò la riorganizzazione
carolingia, la lingua scritta continuò a subire l’influenza di quella parlata. Il latino medievale non fu una lingua
morta e in questo senso fu arricchito di forme linguistiche sconosciute al latino classico. Dall’XI secolo ci fu un
approfondimento dello studio dei classici ma nello stesso tempo furono create parole nuove, si curò la
raffinatezza dell’espressione creando allitterazioni, parole in rima, sequenze ritmiche. Nel XII secolo nella prosa
venne usato il cursus cioè i periodi si concludevano con un gruppo di parole i cui accenti davano un ritmo
prestabilito. Nel secolo successivo il latino fu semplificato e divenne la lingua della scienza, del diritto e della
teologia. Si crearono ancora nuove parole derivanti dal greco e dall’arabo ma la lingua perse splendore e
divenne monotona e arida. Comunque il latino non perse il carattere di lingua universale usata da tutti gli
studenti e i dotti d’Europa per apprendere e comunicare il proprio pensiero al di sopra della varietà delle lingue
parlate.

Capitolo V. la scrittura della storia nel medioevo

Il medioevo e la cultura storica: Nel medioevo come in ogni altra epoca storica, vi furono delle persone che si
dedicarono a scrivere eventi di cui erano testimoni, per se stessi o per trasmetterne la conoscenza ai posteri.
Queste scritture possono riguardare eventi isolati o possono essere racconti estesi ed elaborati che narrano la
vita di un personaggio o la storica antica e recente di un popolo. Nel medioevo abbondante fu la produzione di
opere storiche nei periodi di maggior interesse culturale XII e XII secolo; modesta nell’età barbarica. La ricerca
storica però ritiene le informazioni incomplete e spesso inaffidabili perché imprecise o favolose anche perché la
cultura medievale non dava molta importanza alla conoscenza storica ma alla religione e considerava la vita
terrena solo un passaggio finalizzato alla conquista della vita eterna. Cosi si è sostenuto che l’espressione più
tipica della storiografia medievale sarebbe una narrazione distinta in tre parti: la prima inizia con la creazione
dell’uomo e ricorda sinteticamente tutta la storia del passato; la seconda espone le vicende più vicine all’autore;
la terza predica la fine dei tempi e l’avvento dell’eternità. In questo tipo di esposizione definita <<storia
universale>> perché la storia degli uomini viene considerata come l’esplicazione di un disegno divino cominciato
con la creazione di Adamo e proseguito fino alla seconda venuta di Cristo che redimerà gli uomini e porrà fine
alla storia. Quindi nel suo insieme è essenzialmente storia sacra. Ma, anche se la mentalità religiosa influenzò la
spiegazione degli eventi e il giudizio su di essi, il medioevo assegnava alla storia il compito di ricordare le
tradizioni gloriose dei popoli e dei regni, celebrare le gesta di personaggi illustri, di fare propaganda politica e
ideologica, di ricordare fatti straordinari da cui si potevano trarre ammaestramenti morali, di dare informazioni
culturale e politica e anche meraviglia e diletto. Ma la storiografia medievale non si preoccupò solo di riferire gli
avvenimenti, ma cercò spesso di spiegarli; studiò il ruolo dell’individuo, del caso e della fortuna nello
svolgimento dei fatti; propose soluzioni varie ed originali al problema del rapporto tra la volontà degli uomini e
quella divina nello svolgimento della storia. Per queste ragioni non si possono più considerare i testi storici
medievali dei semplici repertori di notizie incomplete e poco affidabili perché essi sono una testimonianza
importante di idee, giudizi, sentimenti, attitudini mentali della cultura medievale.

Autori, forme, pubblico: Eusebio di Cesarea, in Asia Minore, contemporaneo e biografo di Costantino, cercò di sintetizzare tutta
la storia dell’antichità nella sua opera <<Cronografia>> incontrando però gravi difficoltà per i diversi calcoli del tempo; infatti il
tempo greco si basava sulla serie delle olimpiadi; quello romano contava gli anni partendo dalla fondazione di Roma; i regni
orientali, babilonesi, persiani ed ebrei, facevano riferimento alla Bibbia. L’opera di Eusebio fu corretta e aggiornata alla fine del IV
secolo da San Girolamo. Sant’Agostino fu certamente il più grande pensatore della tarda antichità il quale attribuiva alla storia un
ruolo importante nell’educazione cristiana. I pagani, ancora attivi, attribuivano alla diffusione del cristianesimo la caduta della
potenza romana perciò la conoscenza della storia doveva servire per controbattere queste accuse. Soprattutto Sant’Agostino
ravvisava nella storia il senso dell’intera vicenda umana. Egli infatti dice che l’umanità è composta da persone che conoscono il
bene e ad esso tendono e coloro che sono egoisti e immorali.. parla di due <<città>>, quella di Dio e quella degli uomini che
convivono nel mondo e nella storia; il prevalere dell’una o dell’altra spiega gli alti e i bassi delle vicende umane, individuali e
collettive ma il destino finale di esse è diverso perché i cittadini della città di Dio parteciperanno alla sua gloria, mentre quelli della
città degli uomini saranno dannati in eterno. Al centro della storia si pone l’incarnazione di Cristo che libera l’umanità dal peccato
originale e chiarisce la destinazione finale degli uomini. Il suo discepolo Paolo Orosio scrisse <<Storie contro i pagani>> in cui egli
cercò di dare un significato mistico anche alla successione dei grandi sistemi politici che si erano succeduti dall’antichità fino ai
suoi tempi. Una profezia biblica contenuta nel libro del profeta Daniele prevedeva la successione di quattro monarchie universali
che avrebbero governato l’umanità fino alla fine dei tempi. Per Orosio l’impero romano era l’ultima e sarebbe durata per tutto il
resto della storia. Unificando il mondo l’impero romano aveva creato le premesse per la diffusione del cristianesimo e cosa che
doveva ancora fare nei confronti delle popolazioni barbariche. Le opere storiche del VI secolo si riallacciarono alle storie di Orosio
e proseguirono l’esposizione dei fatti fino ai loro tempi con l’aggiunta di notizie relative ai regni e ai territori

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in cui vivevano gli autori. Cassiadoro, senatore romano e collaboratore del re ostrogoto Teodorico tentò di creare un’opera
storica di tipo nuovo, adatta alle situazioni politiche del tempo; in essa egli espose le tradizioni storiche del popolo
ostrogoto per dimostrare che non erano certo di minore importanza di quelle romane per cui i due popoli potevano
convivere collaborando e rispettandosi reciprocamente. Per ricostruire il passato gotico si servì dei testi storici greci e
romani ma anche leggende riferitegli dagli stessi goti. L’opera però andò perduta ed è nota solo perché viene citata dal
notaio goto Jordanes. A partire dal VII secolo e fino al XIII i monasteri furono i principali centri di produzione della
storiografia medievale. I monasteri, durante tutto il medioevo furono importanti centri politici ed economici, oltre che
spirituale. I monasteri erano anche importanti centri di formazione scolastica e intellettuale che conservavano la memoria
e i testi delle opere storiche antiche sacre e profane. Essi, grazie ai patrimoni (case, terre…) distribuiti anche in regioni
molto lontane dal centro monastico, potevano essere ben informati sulle situazioni e gli eventi in corso in un raggio
d’osservazione anche molto vasto. Inoltre i monasteri erano fondati o protetti dai sovrani o da potenti famiglie
aristocratiche e conservavano buoni rapporti con i fondatori con i quali condividevano fortune e interessi. Proprio nei
monasteri vennero redatte nell’VIII secolo altre storie dei popoli barbarici che dominavano territori dell’impero romano
come la storia ecclesiastica del popolo degli angli, e la storia dei longobardi scritta nel convento di Montecassino dal
longobardo Polo Diacono. Sempre nell’VIII secolo in alcuni monasteri si diffuse l’uso di registrare le vicende che accadevano
anno per anno. Per quanto riguarda il computo del tempo, c’era stata una novità. A Roma verso il 525 il monaco Dionigi il
Piccolo aveva abbandonato il computo degli anni dalla fondazione di Roma e lo aveva sostituito col computo dell’anno di
nascita di Cristo che egli faceva corrispondere al 754 dalla fondazione di Roma e poneva come primo anno di una nuova era
l’era cristiana, instaurando cosi il sistema di numerazione degli anni che è in uso ancora oggi in gran parte del mondo. Su
questo calendario Dionigi il Piccolo aveva calcolato la data delle domeniche di Pasqua per un lungo periodo che andava
dall’anno 1 all’anno 532 d.C. (ricorda che la data della Pasqua varia e si calcola in rapporto al ciclo lunare; essa cade la
prima domenica dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera). Nell’VIII secolo il monaco Beda riprese e corresse
l’opera di Dionigi e calcolò un ciclo pasquale che andava dal 532 fino a 1063. Su queste basi vennero redatte le tabule
paschales utilizzate dai monasteri dell’occidente barbarico per la previsione dell’anno liturgico. Poi nei monasteri
dell’Europa continentale si cominciò ad inserire nelle tabelle pasquali notizie storiche relative ai fatti salienti dell’anno. Fu
questa l’origine dell’annalistica medievale nei monasteri legati alla famiglia dei Carolingi. Gli annali non si prefiggevano
finalità letterarie e la narrazione era oggettiva e impersonale. Il loro valore era essenzialmente documentario ma anche
politico. Nell’XI e XII secolo si ritornò alla cronaca universale in relazione alla lotta per le investiture ecclesiastiche,
combattuta tra impero e papato. Anche in questi secoli furono i monaci a dedicarsi alla storiografia ma essi avevano una
preparazione culturale più vasta e profonda. Essi si dedicavano alla storia non solo per conservare memoria delle grandi
vicende del ruolo dell’impero e del papato nella guida della cristianità: una sola doveva essere la chiesa e uno solo l’impero.
Per rendere storicamente credibile questa concezione, si diffuse in quest’epoca la teoria della <<traslazione dell’impero>>
secondo la quale l’impero romano non si era estinto con le invasioni barbariche ma era stato trasferito dalla Provvidenza in
Grecia (impero bizantino) per essere riportato in occidente da Carlomagno. Un terzo trasferimento aveva affidato l’impero
romano ai sassoni e più generalmente ai tedeschi i cui imperatori erano a tutti gli effetti imperatori romani e portavano
avanti la missione data da Dio all’impero. Un monaco del tempo corresse la data della nascita di Cristo proposta da Dionigi
il Piccolo e l’anticipò di 22 anni (in realtà gli studi moderni fissano la data della nascita di Cristo nel 750 dalla fondazione di
Roma). La storiografia dell’XI secolo, a differenza di quella carolingia, narra i fatti in modo organico e complesso e l’autore
interviene spesso a commentare le vicende. Di questo periodo ricordiamo la storia delle due città di Ottone, monaco e poi
vescovo di Frisinga. Nell’opera di richiamo agostiniano, Ottone esprime tutte le sue preoccupazioni religiose. Secondo
l’autore, dopo l’incarnazione di Cristo, la città di Dio e la città degli uomini (cosi egli chiamava le due città di Sant’ Agostino)
si erano fuse nella chiesa terrena. Nella chiesa si distinguevano due funzioni: il regno e il sacerdozio che insieme dovevano
guidare l’umanità alla salvezza eterna. Ma l’unione delle due città non era perfetta come dimostrava il grave scisma che si
era aperto fra il regno e il sacerdozio. Ottone accolse la teoria delle traslazioni dell’impero romano e secondo lui ogni
trasferimento era stato accompagnato da catastrofi epocali e riteneva che gli ultimi tempi della storia sarebbero stati
dominati dal regno dell’Anticristo e la città celeste si sarebbe realizzata dopo la fine dei tempi. Nella vita terrena solo i
monaci proprio perché separati dal resto del mondo possono aspirare alla serenità dello spirito. Nella storia di Ottone il
passato, il presente e il futuro sono oggetto di indagine storica, dopo di lui la storia divenne uno strumento di informazione
scolastica ed enciclopedica. La storiografia dell’XI e XII secolo non si dedicò solo alla storia universale ma anche alla
produzione di biografie e riguardanti non solo imperatori e re, ma anche gli altri protagonisti dell’epoca. La carriera del
protagonista era il filo conduttore dell’esposizione storica. Con la conquista dell’Italia meridionale da parte dei normanni la
storiografia acquistò una finalità spiccatamente politica atta a giustificare e legittimare i poteri che nascevano dalla
conquista. La storiografia riguardò soprattutto la narrazione delle imprese straordinarie compiute da un gruppo di guerrieri
quali Roberto il Guiscardo, suo fratello Ruggero I e poi Ruggero II che fondò il regno di Sicilia e ritenne addirittura che esse
fossero volute da Dio. Queste opere storiche sono espressione della società militare dell’epoca e presentano molte
analogie con le canzoni di festa che si diffusero in Europa nello stesso periodo. Una delle biografie più ricche e complesse è
quella che riguarda Federico Barbarossa scritta da Ottone che, all’apparire di un cosi potente imperatore, recuperò fiducia
nell’impero. Grande ruolo si attribuì alla Fortuna, il caso che governava le vicende umane, secondarie ma anche vanificare
l’azione virtuosa dell’eroe. È sempre nei monasteri che venne creata un genere di storiografia che aveva per oggetto la
formazione dei regni che nel XII XIII secolo si andavano organizzando in forme nuove intorno ad un potere monarchico più
efficiente e capace di un controllo capillare del regno. Verso la metà del XII secolo l’abate Sugeri del monastero di St. Denis,
presso Parigi, scrisse una vita del re di Francia Luigi VI. In seguito i monaci storiografici di St. Denis raccolsero le varie
biografie e cronache della storia di Francia creando un’opera unitaria, una grande cronaca che venne poi tradotta in
Francese ea dimostrazione che la conoscenza della storia del regno non era più destinata solo ai dotti ma ad un pubblico

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più vasto. Nel periodo in cui la storiografia monastica produce le sue espressioni più complesse, si affermò la storiografia
laica. Autori laici produssero opere riguardanti i grandi eventi del momento: le crociate e la nascita del Comuni. Per quanto
riguarda le crociate vi furono dei partecipanti che composero resoconti delle spedizioni in lingua latina servendosi di un
chierico letterato. Ma la IV e X crociata avvenute nel XIII secolo furono descritte da autori appartenenti al ceto feudale e in
francese. La storiografia comunale nasce contemporaneamente alla formazione dei comuni da due componenti distinte ma
convergenti. Da un lato fu avvertita la necessità di ricordare anno per anno la cronologia delle magistrature, le deliberazioni
assunte dagli organi di governo e le imprese salienti compiute dal Comune. Queste notizie dovevano formare una specie di
archivio storico della vita del Comune. A Genova nel XII secolo un mercante magistrato, Caffaro di Caschifellone registrò
anno per anno le notizie relative alle <<campagne>>, associazioni di imprenditori commerciali che avevano grande
influenza sul governo della città, sulla nomina dei consoli, sulle imprese militari e commerciali e sulle emissioni di monete. Il
comune di Genova fece copiare gli Annali di Caffaro in un codice custodito negli archivi pubblici e periodicamente
aggiornato. L’altra componente della storiografia comunale riguarda le <<lodi delle città>>. Le composizioni letterarie
erano rivolte alla celebrazione dei pregi, delle tradizioni, della disposizione urbanistica di varie città. Nell’XI secolo, a Milano
due esponenti del clero cittadino Arnolfo e Landolfo narrarono le vicende della chiesa milanese dell’XI secolo esaltando
l’importanza della tradizione ecclesiastica e della città. Nel 200 le due componenti della storiografia cittadina, quella
cronologico-istituzionale e quella politico-ideologica si fusero dando luogo ad opere più complesse riguardanti la vita del
Comune. Gli autori di queste opere furono spesso notai che partecipavano alla vita dei comuni e avevano accesso agli
archivi pubblici. Per buona parte del 200 i testi vennero scritti in latino, ma, a partire dalla seconda metà del 200
compaiono anche nell’Italia comunale le prime opere storiche scritte in volgare che divennero più frequenti nel 300. Esse
dunque non erano più destinate solo ai dotti ed ecclesiastici, ma a un pubblico più vasto che sapeva leggere e scrivere. Nel
XIII secolo si afferma un altro tipo di storiografia, quella di carattere enciclopedico che aspirava a ricapitolare l’intero corso
della storia antica e recente con finalità didattiche erudite e morali. Le opere erano destinate all’istruzione storica nelle
scuole e nelle università, fornivano informazioni ai giuristi ed agli amministratori pubblici; venivano utilizzate anche dai
predicatori per l’ammaestramento morale degli ascoltatori (i predicatori ebbero grande importanza nella società del tardo
medioevo). Gli autori appartengono ai nuovi ordini monastici mendicanti, francescani e domenicani che nel 200
acquistarono molta importanza nell’insegnamento universitario, nella predicazione e nella lotta contro l’eresia. Ricordiamo
fra le principali espressioni di questo tipo di storiografia le opere Lo specchio della Storia e la Cronaca dei papi e degli
imperatori.

L’utilizzazione delle storie medievali: Il gran numero di opere storiche prodotte nel medioevo ci dimostra il
grande interesse per la storia intesa sia come registrazione e commento degli eventi correnti, sia come indagine
e riflessione sul passato. Il fondamento religioso della cultura medievale non impedì agli storici di interessarsi
anche alle motivazioni umane degli avvenimenti, alla personalità dei personaggi, cogliendo gli aspetti più
suggestivi, eroici, romanzeschi e persino comici delle vicende narrate. È stato notato che gli storici dell’epoca
tendevano a presentare le vicende, i personaggi come tipi perenni che si ripetevano nella storia e proprio dalla
tipicità traevano il loro significato storico e la loro importanza ideale. Gli storici medievali si servivano di fonti
ben informate e degne di fede. Fonti dirette come protagonisti stessi, monasteri dove i pellegrini e i viaggiatori
riportavano notizie dai paesi lontani o ancora le grandi compagnie bancarie. Gli storici medievali si servivano
anche degli archivi ecclesiastici e civili in cui trovavano leggi e patti, concessioni sovrane, verbali di assemblee,
titoli di proprietà e di giurisdizione. Ma gli storici medievali per quanto impegnati nella ricerca, non sempre
riuscirono a comporre quadri completi e organici delle vicende né seppero sempre distinguere le notizie false o
addirittura favolose da quelle genuine. Spesso furono introdotte informazioni false di proposito per dare
maggiore credibilità alla loro narrazione. La critica moderna si è impegnata a distinguere le notizie false da
quelle vere presenti in ogni testo medievale. Nel corso dell’800 vennero effettuati controlli incrociati sulle fonti
per verificare la veridicità. Tenendo conto della personalità dell’autore, della sua preparazione culturale e
politica o de condizionamenti politici, sociali ideologici. Più recentemente ci si è resi conto che anche la
personalità dell’autore, la struttura dell’opera, le falsificazioni sono testimonianze preziose e suggestive della
vita e della cultura dell’epoca.

Capitolo 6. La documentazione giuridica: La documentazione giuridica del medioevo riguarda i diritti


giuridici goduti da enti e persone o per concessione di un’autorità o per accordo fra parti interessate. Tali diritti
possono essere : proprietà di beni, esenzioni e privilegi, garanzia di attività economiche, esercizio di
giurisdizione. Nel medioevo il godimento di un diritto era valido solo se acquisito davanti ad un’assemblea di
liberi. Nel mondo romano un diritto veniva concesso mediante una documentazione scritta. Quando i germani
occuparono i territori imperiali, essi accolsero l’uso della documentazione scritta. Lo studio critico della
documentazione giuridica ha innanzitutto cercato di stabilire quali documenti fossero genuini e quali falsi. Nel
medioevo vennero frequentemente prodotti documenti falsi dalle stesse persone o dagli uffici che dovevano
redarre documenti autentici o per interesse pratico o anche per divertimento erudito. La critica dei documenti,
iniziata già nel Medioevo, fece progressi con la nascita della filologia testuale umanistica; famoso è il caso della
Donazione di Costantino che l’umanista Lorenzo Valla dimostrò verso il 1440 essere falsa, soprattutto
esaminando la lingua. Ma solo nella seconda metà del XVII secolo si stabilirono i criteri per la verifica dei

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documenti antichi. Essi riguardavano sia l’aspetto esteriore (materiale su cui è scritto un documento) che la
struttura e la formulazione del testo. Nacque cosi una disciplina specialistica, la diplomatica, che poi man mano
si è arricchita aggiungendo a questi criteri, l’indagine storica sugli uffici, le persone, le occasioni in cui i
documenti venivano redatti; la cultura grafica, letteraria e giuridica dei redattori; il valore del documento nella
prassi giuridica. Gli atti giuridici ci danno tre tipi di informazioni: uno relativo all’atto stesso, alla sua natura e
alle sue caratteristiche; un secondo sull’evento cui il documento si riferisce; un terzo relativo all’organizzazione,
la cultura, le istituzioni, le pratiche della società in cui l’atto è stato prodotto. I documenti studiati dalla
diplomatica vengono distinti in atti pubblici e privati. Gli atti pubblici sono quelli emanati da un’autorità
istituzionale per conferire ad una persona o un ente diritti di vario genere (la forma è il diploma di un sovrano).
Gli atti privati (gli atti notarili) sono quelli in cui il diritto non nasce da una concessione dell’autorità, ma
riguardano la sfera privata delle persone.

Gli atti pubblici: Gli atti pubblici in senso stretto dovrebbero essere solo gli atti degli imperatori e dei re ma
rientrano in questa categoria anche documenti emanati da altre autorità come ad esempio i documenti papali
anche se riferiti alla giurisdizione spirituale ed ecclesiastica, i documenti emanati dai signori dei principati
feudali e ancora quelli emanati dai vescovi ed arcivescovi. La produzione degli atti scritti veniva affidata a
scrivani professionisti laici referendari e notai che redigevano l’atto con la partecipazione del re. Con l’avvento
al potere dei Carolingi, i nuovi sovrani fin da Pipino il Breve si servirono solo di ecclesiastici per stendere i loro
atti forse a causa del declino dell’istruzione laica. Sotto Ludovico il Pio (820), l’ecclesiastico, scelto
dall’imperatore per redarre gli atti divenne persona influente nella corte. Egli ebbe il titolo prima di arcinotaio o
di sommo cancelliere poi quello di arcicancelliere. Nell’impero romano il cancelliere era il custode dei cancelli
che nei tribunali separavano il giudice dal pubblico; poi si chiamò cancelliere il segretario che redigeva i verbali
del processo. L’arcicancelliere però non redigeva gli atti, ma era solo il capo tecnico addetto al controllo finale
del documento, ricognizione. Gli atti venivano redatti da altri notai dipendenti da un notaio capo o cancelliere.
Anche il papato ebbe nel medioevo una cancelleria propria. Gli atti venivano redatti da un gruppo di notai o
scriniarii (organizzati in associazioni) sotto la guida di un primicerio dei notai. Dalla fine del VIII secolo gli atti da
loro prodotti venivano autenticati da alti ufficiali della curia papale, i giudici palatini che opponevano in calce al
documento la datazione con il nome e il titolo del giudice operante. Nel corso del IX secolo i papi crearono
un’altra figura, quella del bibliotecario che era un cardinale o un vescovo addetto alla conservazione dei
documenti. La figura del bibliotecario fu sostituita da quella del cancelliere che era un cardinale, prete o
diacono. I notai ecclesiastici seguivano i papi anche durante i loro spostamenti fuor Roma e dipendevano
esclusivamente dalla Chiesa. Nel XII secolo i notai del servizio papale si distinsero nettamente dai notai e dagli
scriniari di vecchia tradizione che divennero scribi cittadini. Il cancelliere divenne il capo della cancelleria ed era
affiancato da un vicecancelliere che, sotto il pontificato di Innocenzo III (1198 -1216) sostituì del tutto il
cancelliere. Il vicecancelliere era un tecnico esperto di diritto, non un ecclesiastico, e doveva giurare fedeltà al
papa. Col vicecancelliere collaborava un gruppo di sei o sette notai papali assistiti da un uditore e da un
correttore. Gli atti venivano assegnati per la stesura definitiva ai notai scrittori dai notai distributori dopo che le
minute dei documenti erano state redatte dagli abbreviatori. L’apposizione della bolla spettava ad un apposito
ufficio la Bullaria. Tutto l’apparato della cancelleria dipendeva dal papa. Durante il periodo avignonese si attuò
la separazione dell’espletamento delle pratiche di concessione da quelle di giustizia. A partire dal XIII secolo
anche le cancellerie regie in Francia e Inghilterra articolarono le funzioni e impiegavano nella cancelleria un
numero di addetti reclutati tra laici esperti di diritto. Nell’antichità e fino al regno dei merovingi, gli atti
venivano scritti sul papiro importato dall’Egitto. Quando però i collegamenti commerciali divennero difficili si
cominciò ad usare la pergamena (dalla città asiatica di Pergamo dove fu usato per la prima volta). Gli atti
pubblici dovevano essere redatti con una scrittura elegante e regolare e spesso contenevano anche segni grafici
come ad esempio il monogramma, una figura formata dalle lettere del nome dell’autorità emanante collegate
fra loro in modo da formare una specie di cifra araldica. Un altro segno era la rota, un doppio circolo all’interno
del quale una croce spartisce quattro campi in cui erano scritti i nomi degli apostoli Pietro e Paolo e quello del
papa regnante. Completamento essenziale del documento era il sigillo che poteva essere di cera o di metallo
(piombo) applicato direttamente sulla pergamena oppure appeso ad essa mediante una cordicella di canapa o
di seta. I sigilli solitamente raffiguravano l’autorità emanante nella sua veste ufficiale. Questi erano i caratteri
estrinseci dei documenti, quelli intrinseci erano: l’invocatio, l’intitulatio, l’inscriptio, la salutatio.

- Invocatio. L’atto pubblico si apre con l’invocazione verbale della trinità o di Cristo preceduta da una croce o un
segno, il chrismon risultante dall’intersezione delle lettere greche chi (X) e rho (P) iniziali del nome di Cristo.

- Intitulatio. Segue l’indicazione del nome e dei titoli dell’autorità che emana il documento. I titoli di autorità furono
molto curati nel medioevo; nell’età carolingia al titolo regio venne aggiunta la formula <<per grazia di Dio>>, <<per
volontà di Dio>>.

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- Inscriptio. Seguiva l’indicazione del destinatario o ente col suo nome, i titoli, le qualifiche ufficiali.

- Salutatio. Un’espressione di saluto e di augurio completava la parte inziale del documento. Questa parte iniziale
del documento costituiva il <<protocollo>>, mentre l’esposizione del contenuto giuridico dell’atto costituiva il
testo in senso vero e proprio. Esso iniziava con l’arenga che evidenziava il motivo, il significato della concessione
sovrana mettendo in evidenza le virtù e i sentimenti benefici del sovrano.

Segue la promulgatio o notificatio, un’espressione del tipo <<sappiamo tutti che>> che introduceva la narratio
che descrive i beni e i diritti richiesti all’autorità. Nella parte successiva, la dispositio, viene descritta la decisione
dell’autorità. La dispositio è preceduta da un verbo tipo <<doniamo>>, <<concediamo>>.il testo del documento
termina con una formula di sanzione minacciando pene spirituali e temporali per i trasgressori della
disposizione. L’atto termina con l’escatocollo o protocollo finale comprendente la sottoscrizione dell’autorità
apposta per esteso o sostituita dal monogramma e la ricognizione apposta dal responsabile dell’ufficio di
cancelleria o da un suo rappresentante. L’atto era datato facendo riferimento agli anni del regno dell’autorità
emanante (primo, secondo, terzo anno di regno). Raramente un atto di autorità recava le sottoscrizioni dei
testimoni. Gli atti pubblici sono testimonianze importanti della storia dei potenti del medioevo.

L’atto privato: L’atto privato riguarda un accordo tra privati per esempio la vendita, l’acquisto o la donazione di
un immobile. L’atto privato in età imperiale romana già veniva trascritto da scribi privati a pagamento, i
tabellioni, ma non avevano valore legale di prova. All’epoca di Costantino venne affidato alle amministrazioni
pubbliche, centrali, provinciali e municipali (le curie) il compito di ricevere gli atti scritti stipulati tra privati e di
conservarli e di farne copie autentiche all’occorrenza che servivano come prova. Il deposito della scrittura
privata nell’ufficio era chiamato insinuazione ed era una procedura costosa che venne abbandonata con la crisi
delle istituzioni romane dopo le invasioni barbariche. Infatti presso i barbari, la validità di un atto era affidata
alla semplice presenza di testimoni riuniti in assemblea. Ma la prassi dell’atto scritto continuò ad esistere anche
sotto il dominio dei barbari che pian piano l’adottarono anche nell’ambito del diritto privato. Però nei territori
bizantini (Ravenna, Roma, Napoli) continuarono ad operare gli scrittori pubblici di documenti conservando la
qualifica di <<tabellioni>> organizzati in collegi professionali che curavano la preparazione tecnica dei propri
membri e cercavano di garantire l’autenticità degli atti rogati. Invece nei territori conquistati dai longobardi
vennero meno le curie municipali e anche i collegi professionali, cosi gli scrittori degli atti privati operavano
individualmente senza controllo. Questi scrivani non avevano più un titolo professionale, per lo più si
chiamavano scriptor, scriba o notarius. L’atto redatto veniva consegnato alle parti interessati senza che lo
scriptor tenesse una copia per sé quindi l’atto era esposto a vari rischi di perdita, di sottrazione ma anche di
falsificazione. Gli scrivani stessi potevano redigere atti falsi per i quali però i re longobardi avevano stabilito
pene severe. Nel IX e X secolo, per dare più validità all’atto, si facevano presentare le parti interessate in un
tribunale dove avveniva un dibattimento, dopo di che il giudice dava ordine allo scriba del tribunale di stendere
un verbale. Questa procedura fu poi sostituita da una semplice dichiarazione resa dalle parti davanti al giudice e
registrata in un atto scritto del tribunale. Durante il governo carolingio in Italia gli scrittori degli atti vennero
sottoposti ad un maggiore controllo da parte dell’autorità pubblica che venivano nominati dai conti e dallo
stesso re dopo averne controllato la preparazione professionale. Il titolo di notaio del sacro palazzo, notaio del
re, e cosi via divenne sempre più frequente. Essi non potevano rogare atti, (rogare: redazione del documento
scritto) al di fuori della propria contea. Gli stessi conti ebbero propri notai che gli atti amministrativi. Sia nei
territori romanici che in quelli longobardi le chiese provvidero la redazione degli atti che le riguardavano; i notai
erano solitamente membri del clero e occasionalmente rogavano anche gli atti dei privati. Però anche gli atti
erogati dai notai ecclesiastici dovevano essere, in caso di necessità, ratificati dal sovrano o dal giudice. Più tardi
(IX secolo) i notai regi assunsero sempre più importanza fino ad assolvere essi stessi la funzione di giudice che
convalidava gli atti privati e a conservare presso di loro una copia degli atti. Noto è il registro o protocollo del
notaio genovese Scriba del 1154. Nel XII secolo a questi notai che conservavano copie degli atti nella propria
bottega, venne riconosciuta la pubblica fides, cioè la capacità di creare atti autentici e validi legalmente propri
come i notai delle cancellerie e delle autorità pubbliche ed ecclesiastiche. L’atto notarile assunse cosi natura di
instrumentum publicum. Questa trasformazione fu necessaria perché essendo cambiati il sistema economico e i
rapporti sociali erano necessarie registrazioni più rapide. La figura del notaio divenne sempre più importante
tanto da eliminare gli altri estensori di atti privati, compresi quelli ecclesiastici. Il notaio stesso scriveva nel suo
registro i dati essenziali dell’atto: luogo, data, identità delle parti, termini del negozio senza però trascrivere le
parole delle parti. Questa sintetica formulazione dell’atto veniva chiamata imbreviatura. Da essa, a richiesta
dell’interessato, potevano essere ricavate redazioni più estese e regolari a seconda dell’esigenza e della spesa.
La redazione completa del testo e chiamata in mundum. Il documento, redatto su pergamena, presentava una
scrittura chiara e ordinata, era sottoscritto dal notaio e terminava con vari segni di autenticazione.
L’imbreviatura rimaneva presso il notaio che la trasmetteva ai suoi successori. Ma anche con questo sistema

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c’era la possibilità di frode perciò molti comuni tra il XIII e XIV secolo istituirono registri ufficiali, i libri memoriali,
in cui venivano trascritti i contratti già registrati nei protocolli notarili. Istituirono anche gli archivi notarili per
conservare le imbreviature dei notai alla fine della loro attività. Nelle città comunali (Bologna) nacquero le
corporazioni notarili al fine di preparare professionalmente i futuri notai attraverso una scuola e un tirocinio
pratico presso le botteghe di un notaio esercitante. Si venne cosi configurando l’ars notarie (arte del rotatario)
che in seguito col bolognese Rolandino fu ritenuta un settore del diritto civile. Nella Francia meridionale dove le
tradizioni giuridiche erano simili a quelle dell’Italia settentrionale, il notariato si sviluppò già nel XII secolo con gli
stessi caratteri di quello italiano. Cosi in Spagna nel XIII secolo, ma in Germania il notariato cominciò a
svilupparsi nella prima metà del XIII secolo convivendo per molto tempo con la redazione di atti non legalizzati.
Nella Francia settentrionale, solo alla fine del medioevo, sotto l’influenza del diritto romano e della
centralizzazione monarchica si ebbero notai di nomina regia capaci di produrre atti autentici. Gli archivi
ecclesiastici si sono conservati mentre quelli laici altomedievali sono sconosciuti a noi anche se è certa la loro
esistenza. Archivi privati laici si cominciarono a conservare in Italia non prima del XIII secolo con la costituzione
delle grandi famiglie della nobiltà. Il ricorso al notaio si diffuse enormemente nella società italiana del tardo
medioevo; al notaio si presentavano persone di tutti i ceti per far registrare negozi di ogni genere: passaggio di
proprietà, accordi commerciali, prestiti finanziari, locazioni agrarie, affitti di case e botteghe, patti di matrimoni,
testamenti, promesse di varia natura, anche l’acquisto di un sacco di castagne. Il notaio registrava giorno per
giorno nei suoi registri le imbreviature che rappresentavano straordinarie testimonianze della vita sociale nei
vari aspetti. Per quanto riguarda i caratteri estrinseci sono simili a quelli dell’atto pubblico. Il foglio su cui si
scriveva era la pergamena. La scrittura era regolare e leggibile. L’atto veniva sottoscritto dal notaio che tracciava
accanto alla sua firma dei segni grafici. Raramente veniva adoperato un sigillo. Il testo (caratteri intrinseci) era
articolato come gli atti pubblici sia pure in forma semplificata. Anche il documento notarile offre una vastissima
quantità di informazioni non solo sui negozi giuridici, sui diritti vigenti, sulle normative locali, ma anche su
aspetti quali genesi (nascita) composizione, estensione e sfruttamento dei patrimoni fondiari di enti e persone;
sfruttamento del suolo, culture agrarie, patti colonici, caratteristiche degli abitati e delle abitazioni; toponimi
che conservano tracce della stratificazione, della cultura delle società locali
- Le circoscrizioni su cui si trovavano le persone o i luoghi menzionati negli atti;

- Composizione della popolazione, la qualifica personale delle persone, la loro provenienza, la loro nazionalità, la
loro condizione giuridica;

- Antroponimi, cioè nomi di persone con il loro significato culturale, soprannomi, cognomi;

- Strutture familiari, genealogie, rapporti giuridici ed economici tra coniugi e tra genitori e figli;

- Notizie biografiche su singole persone;

- Mezzi di pagamento e sistemi monetari;

- Alfabetizzazione dei partecipanti all’atto.

Inoltre essi possono darci anche informazioni storiche perché per molto tempo si usò datare gli atti facendo
riferimento agli anni di regno dei sovrani.

Capitolo 7. Le monete

Le monete come testimonianza storica: Le monete sono una documentazione materiale molto interessante sia
perché rare sia per le immagini e le iscrizioni che vi sono impresse. Esse sono state oggetto di collezione a
partire dall’umanesimo, ma già Petrarca ne aveva una raccolta. Tra 700 e 800 nacque la numismatica, una
disciplina che si interessò della monetazione medievale e moderna, ed ebbe come obiettivo principale la
realizzazione di cataloghi delle grandi collezioni pubbliche e private e la ricostruzione sistematica delle emissioni
monetarie dei vari stati antichi e moderni. In seguito le monete servirono per ricostruire e comprende meglio gli
aspetti economici del passato. (numismatica: collezione di monete antiche). Un approfondita conoscenza dei
fenomeni monetari del medioevo può servire alla ricostruzione della sua complessa e singolare civiltà
economica. Analizzando (intesa come oggetto metallico. Tieni presente che nella lingua italiana moneta ha
anche un significato più generico indicando il complesso degli strumenti economico-finanziari utilizzati da una
determinata società in una data epoca) le figurazioni e le scritte che l’autorità emanante faceva imprimere nelle
due facce (diritto e rovescio) e il peso e il metallo di cui ogni moneta era fatta,, è possibile risalire al contesto
storico e definire il valore delle monete come mezzo di scambio. (nel passato il metallo e il peso erano un
elemento essenziale nella determinazione del valore delle monete mentre oggi le autorità statali possono

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attribuire alle monete un valore superiore a quello del metallo contenuto). I metalli usati per la coniazione delle
monete nell’antichità e nel medioevo furono soprattutto l’oro, l’argento, il bronzo o il rame. I metalli preziosi
però raramente venivano usati allo stato puro, di solito venivano aggiunti ad essi altri metalli come il rame, sia
per dare maggiore consistenza alle monete e sia per risparmiare. La quantità di fino (oro o argento) veniva
definita dalle autorità emittenti ed era uguale in ogni moneta dello stesso valore. Nel medioevo per individuare
la quantità di fino presente in ogni moneta si ricorreva a metodi empirici (sperimentali) adoperati anche oggi.
Ad esempio si può confrontare il peso di una moneta con quello che dovrebbe avere se fosse tutta di un solo
metallo in base al peso specifico di esso (il peso specifico è il peso dell’unità di volume di una sostanza ed è
proprio di quella sostanza. Ogni sostanza ha un suo peso specifico). Molto più attendibili sono le analisi
chimiche che però provocano una piccola distruzione della moneta. Oggi si preferisce esaminare i raggi x
emanati dalla moneta bombardata con neutroni e protoni. (ogni metallo emette raggi x diversi). Anche il peso
delle monete veniva stabilito per legge dalle autorità emittenti. In età romana e nell’alto medioevo l’unità di
peso fu la libbra corrispondente a gr. 327,43 nell’età romana e a gr. 409 dopo la riforma di Carlomagno. A
partire dall’XI secolo l’unità di misura fu il marco corrispondente a gr. 244,75. Ma le monete venivano coniate
manualmente per cui non sempre il peso teorico delle monete corrispondeva a quello reale. Il procedimento
per coniare le monete era questo: si riduceva il metallo in lamine dalle quali si tagliavano con le forbici dei
tondelli che poi venivano posti tra due coni di metallo duro su cui si batteva con un martello e in cui erano incise
in negativo le immagini che dovevano figurare sul diritto e sul rovescio della moneta. Quindi le monete
potevano presentare lievi differenze di peso e di forma che erano però consentite. Il peso delle monete però
poteva variare anche con l’uso; le monete preziose poi, venivano sottoposte ad una <<tosatura>> illegale per
sottrarre piccole quantità di metallo preziose. Le autorità, per riportare le monete ai pesi standard, le facevano
consegnare alle zecche dove venivano fuse e riconiate. A volte il peso delle monete veniva appesantito o
diminuito dalle zecche per volere delle autorità emittenti per motivi economici do per la quantità di metallo
prezioso a disposizione. È molto difficile stabilire quante monete di un dato nominale (valore) venissero coniate
per ogni emissione; si è calcolato che un monetiere (l’operaio addetto) poteva produrre fino a tremila monete al
giorno, ma poiché non si hanno informazioni sul numero dei giorni, né sul numero degli operai impiegati in ogni
emissione, questa informazione non può servire per conoscere il volume della produzione. Inoltre il
rinvenimento di un gran numero di esemplari non può far pensare che esse siano state coniate in maggiore
quantità perché bisogna tener presente la casualità e provvedimenti di ritiro dalla circolazione e rifusione di
grandi quantità di pezzi. Per valutare la quantità di monete emesse oggi viene usato il metodo fondato sul conto
dei coni. Esso si basa sul fatto che il numero delle coppie dei coni doveva essere alto poiché essi si logorano con
l’uso. Però l’usura dei due coni è diversa: quello che riceve il colpo di martello (il rovescio della moneta) si
logora più rapidamente dell’altro. I coni impiegati si possono riconoscere da lievi differenze dell’immagine. Dal
numero dei coni e degli incroci fra diritti e rovesci si cerca di risalire al numero delle monete prodotte mediante
calcoli matematici. Un altro aspetto interessante è il sistema monetario cioè la quantità e la qualità delle specie
monetarie utilizzate in una determinata organizzazione politica.
SINTESI (importante):

Il sistema monetario tardoromano era trimetallico cioè circolavano monete d’oro, d’argento e di bronzo. Il
sistema monetario carolingio fu monometallico perché circolavano solo monete d’argento. A partire dal XIII
secolo si affermò nell’Europa occidentale un sistema bimetallico fondato su monete di oro e di bronzo. A partire
dal XV secolo si cercò di ritornare al sistema monetario trimetallico. Con lo sviluppo commerciale (XI-XII secolo)
era necessario superare il sistema monetario di Carlo Magno basato sulla libra d’argento. In particolare, nei
primi decenni del XIII secolo gli operatori economici italiani dominavano i mercati dell’Europa e del
Mediterraneo, e Federico II riprese nel 1231 la coniazione dell’oro, facendo battere nel Regno di Sicilia
l’augustale, seguito dal Firoino e dal Genoino, e nel 1284 dallo Zecchino (ducato veneziano); alla fine del XIII
secolo la monarchia francese conio lo Scudo.

Informazioni importanti sulla storia delle diverse monete ci possono venire dalla documentazione scritta, ad
esempio gli atti amministrativi con cui i re di Francia alla fine del medioevo stabilivano il corso delle monete; le
monete erano menzionate nelle carte notarili per definire il prezzo o il valore dei beni su cui verte il negozio;
ancora le monete vengono menzionate nei libri di mercatura. Anche l’archeologia può darci informazioni sulla
storia delle monete. Infatti il rinvenimento di una data specie monetaria consente di ricostruire l’area della sua
diffusione e capire se essa aveva uso locale, regionale o internazionale, se fosse al servizio di un’economia
ristretta o di un’economia espansiva e conquistatrice. Inoltre le monete trovate nei depositi di terra sono
nominali smarriti usati correntemente e di modesto valore perché non si andava in giro portando monete
preziose; mentre quelle trovate nei ripostigli sono monete preziose e ci informano circa il patrimonio monetario
spesso costituito da monete di epoca e natura diverse.

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Storia monetaria dell’Europa medievale: Nel tardo impero romano, con la riforma di Costantino, si utilizzò un sistema
monetario trimetallico, basato sulla contemporanea circolazione di monete d’oro, d’argento e di bronzo. Le monete d’argento
erano prodotte in due versioni, una pesante e una leggera, mentre le monete di bronzo erano coniate in 4 nominali. Nel V e VI
secolo vennero aboliti alcuni nominali, mentre le monete di bronzo erano coniate in 4 nominali. Nel V e VI secolo vennero aboliti
alcuni nominali anche se si continuò ad usare il sistema trimetallico. In seguito venne abbandonata prima la coniazione delle
monete in bronzo poi di quelle d’argento a causa della scarsità di metallo e poi di quella d’argento a causa della scarsità di
metallo. I regni barbarici nel VI secolo si limitarono a coniare solo monete d’oro tra l’altro segno di prestigio e di sovranità. Nel
fissare il valore delle monete i popoli barbarici fecero riferimento solo alla moneta d’oro di tradizione romana, il solidus, il cui
peso era fissato in gr. 4,55. In pratica però vennero coniati prevalentemente tremissi (terzi di solido) cioè monete con minore
quantità d’oro e minore potere d’acquisto del solido. Ma dalla fine del VI secolo nella Gallia merovingia e nella Spagna visigota la
quantità di fino nella lega cominciò a diminuire perché l’oro divenne raro. Infatti i metalli preziosi defluivano verso i mercati
orientali per importare beni di lusso, in parte venivano utilizzati per altri usi. Inoltre gli invii di metallo prezioso dall’Oriente
diminuirono e poi cessarono del tutto nella prima metà del VII secolo. L’uso della moneta però non venne meno; anzi nella Gallia
merovingia e nella Spagna Visigota aumentarono le zecche. Anche in alcune regioni come la Frisia e l’Inghilterra dove non
esistevano zecche imperiali romane, furono coniate monete d’oro che imitavano quelle romane. Il fatto che le monete venissero
coniate in luoghi come la Gallia e la Spagna potrebbe significare che i re non erano in grado di coniare monete per tutto il regno e
che esse erano destinate ai mercati locali. Il sistema monetario antico venne meno definitivamente nella seconda metà del VII
secolo quando nella Gallia merovingia si cominciò a coniare un nuovo nominale il denarius che era d’argento e non aveva alcun
rapporto né di tipo né di peso con le monete romane. Anche in Frisia e in Inghilterra si cominciarono a coniare monete d’argento
chiamate pennies simili al denaro merovingio. Molto probabilmente l’argento usato per coniare le monete provenisse dalle
miniere francesi e che esso raggiunse la Frisia in cambio di merci pregiate (pellicce) che i frisoni si procuravano in Scandinavia.
Nelle regioni mediterranee la monetazione aurea di origine romana si mantenne più a lungo e cosi in Spagna e Provenza. Essa
venne meno quando con l’espansione degli Arabi nel Medio Oriente e in Africa l’importazione di oro dalle provincie venne meno.
Invece il vastissimo dominio islamico unificato ebbe un sistema monetario fondato su una moneta aurea di peso lievemente
inferiore al solido romano- bizantino, il dinar e su una moneta d’argento pesante il dirham. Nell’Europa continentale dell’VIII
secolo si affermò il franco d’argento. Pipino il Breve concentrò la coniazione in zecche poste sotto il diretto controllo regio; adottò
un tipo monetario più sottile e largo del denaro merovingio con impresso il nome o il monogramma del sovrano stabilendo che da
una libbra d’argento dovessero essere ricavati 264 denari. In seguito Carlo Magno stabilì che da una libbra si dovessero tagliare
240 denari. Si stabilì cosi un sistema monetario monometallico che durò nell’Europa continentale sino alla metà del XIII secolo.
Nella seconda metà del IX secolo il sistema monetario carolingio entrò in crisi sia perché la quantità di metallo prezioso cominciò
a diminuire per l’esaurimento delle miniere sia perché i vichinghi cominciarono ad ostacolare il commercio verso le regioni
nordiche. Col tramonto dell’impero carolingio le zecche furono gestite dai grandi signori laici ed ecclesiastici. Le monete
continuarono a portare l’immagine e il nome di un re che però non corrispondeva a quello regnate. Nel corso del X secolo i signori
feudali sostituirono o aggiunsero anche il loro nome sulle monete. In Scandinavia i metalli preziosi continuarono ad arrivare frutto
di un’intensa attività commerciale verso sud soprattutto di pellicce e schiavi. Nel IX secolo in Sicilia, con la conquista saracenica, si
diffuse la coniazione del Tari (pari a un quarto di dinaro, pesante gr. 1,03 g.) che ritroviamo poi anche nelle città costiere della
Campania ma non fuori. Sotto la dinastia degli Ottoni furono scoperte in Sassonia nuovi giacimenti d’argento che consentirono la
coniazione di una nuova moneta d’argento il pfennig, una nuova versione del denaro d’argento dell’epoca carolingia. Questa
nuova moneta favorì l’importazione di prodotti stranieri quali pellicce dal Baltico e dai paesi slavi; prodotti esotici e preziosi da
Venezia; lane dai paesi Bassi e dall’Inghilterra. Il pfenning si diffuse nell’area scandinava, in Inghilterra, in Polonia, Boemia e
Ungheria. Nel regno italico, annesso da Ottone I l’argento arrivò dalla Germania con gli scambi commerciali e servì per la
coniazione di denari chiamati ottolini ed enriciani (in onore di Ottone ed Enrico II), che ben presto si diffusero nell’Italia
settentrionale e centrale. L’argento proveniente dalla Germania rese possibile nell’XI secolo la coniazione di monete anche in
Norvegia e Danimarca. Ben presto le miniere d’argento della Germania cominciarono ad esaurirsi determinando in Europa un
nuovo periodo di crisi monetaria e quindi fu necessario coniare denari con un contenuto d’argento sempre più basso detti
brunetti per il colore. Intanto dopo la metà dell’XI secolo arrivò nei paesi mediterranei l’oro africano grazie all’intensificazione
degli scambi commerciali. La Spagna settentrionale disponeva di tanto oro da coniare una propria moneta i maravedis che si
diffusero anche in Provenza e in Liguria. Anche nell’Italia meridionale l’oro arrivò in maggiore quantità nell’XI secolo grazie
all’intensificazione dei rapporti commerciali con la Sicilia e l’Africa tanto che anche ad Amalfi e Salerno si cominciarono a coniare
Tari di tipo siciliano. D’altra parte le città marinare Pisa, Genova e Venezia continuarono a ricevere argento europeo in cambio di
merci pregiate che trasportavano da Costantinopoli, dalla Terrasanta e dall’Egitto. Genova e Pisa cominciarono a coniare proprie
monete d’argento. Nell’XII secolo, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti d’argento in Sassonia, nello Harz, in Toscana, in Boemia,
in Sardegna, aumentarono le zecche tendenti a riordinare le emissioni monetarie. In Francia per un po’ continuò il frazionamento
monetario dell’età feudale e solo nel 1226 con il re Luigi VIII si ebbe la riunificazione monetaria del regno col decreto del re che in
tutto il regno dovevano circolare solo la moneta regia e che quelle feudali dovevano circolare solo nel dominio in cui erano state
battute. Nel XIII secolo l’Inghilterra continuò a coniare l’argento estratto in Sassonia e Boemia in cambio di merci o di monete. Nel
XIII e XIV secolo in Italia, grazie allo sviluppo del commercio giungevano non solo oggetti di lusso e prodotti esotici ma anche
materia prime industriali come il cotone, prodotti alimentari come grano, olio e zucchero; oggetti d’uso domestico come stoviglie
e vetri. A loro volta i mercanti italiani continuavano ad esportare l’argento sia in Africa che in Oriente dove ben presto si
cominciarono a coniare monete proprie. I mongoli coniarono una moneta chiamata espri portata in Italia dai mercanti veneziani e
genovesi. Con l’espansione dell’attività commerciale fu necessario attuare una riforma monetaria caratterizzata

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dalla coesistenza di diversi nominali d’argento e poi anche d’oro. Questa trasformazione si verificò nel 200 in Italia dove
l’economia commerciale era più sviluppata e la disponibilità di metallo maggiore e poi si diffuse in tempi diversi negli altri
paesi d’Europa. Per pagamenti alti furono creati i cosiddetti <<denari grossi>> monete d’argento e più pesanti che
coesistevano con i <<denari piccoli>> più leggeri utilizzati per le piccole spese quotidiane. Il valore dei grossi nei traffici
internazionali era ancora troppo basso per i grossi pagamenti per cui si preferiva pagare con lingotti e piastre. Si
cominciarono a coniare, sempre in Italia, monete d’oro proveniente dall’Africa grazie al commercio che aveva importato
anche monete d’oro coniate nel mondo islamico. Nella Spagna cristiana, Castiglia, Leon, Aragona si coniarono le dobles che
valevano due denari.

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