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PROGRAMMA ITALIANO 2020-2021.

MEDIOEVO: il termine è stato coniato da Flavio Biondo con accezione negativa,


volto ad individuare un’età di mezzo fra la cultura classica e quella umanistico
rinascimentale. Tale periodo è possibile suddividerlo in due grandi fasi: Alto
Medioevo (476 d.C.[il generale germanico Odoacre depone l’ultimo imperatore
d’Occidente, Romolo Augustolo] fino all’anno 1000), dove si avvisa una crisi politica,
economica e sociale, ma soprattutto culturale; Basso Medioevo (dall’anno 1000 fino
al 1492[scoperta dell’America]), dove si avvisa una rinascita politica, economica e
sociale, con un miglioramento dei traffici commerciali, viene coniata una moneta,
nascono università e centri di cultura.
Durante il periodo dell’Alto Medioevo si assiste alle cosiddette invasioni
germaniche, ovvero popolazioni che si mossero da nord ad est occupando i territori
dell’Impero romano e fondando i regni romano- barbarici, chiamati così perché
mantennero amministrazione e cultura romana, ma costumi, usi e tradizioni proprio
di queste popolazioni. Tali invasioni generarono una sorta di anarchia feudale,
ovvero molti signori feudali si comportano nei loro territori come dei veri e propri
re, non rispettando la volontà del sovrano. Nasce una struttura gerarchica, gestita
secondo una piramide sociale, così disposta: signore, vassalli, valvassori, valvassini e
servi della gleba. Tra signore e vassallo vi è un rapporto di beneficium servitium, che
consta nel fatto che il signore dava sostentamento economico al vassallo, che in
cambio gli mostrava lealtà e omaggio.
L’Alto Medioevo presenta dunque: dal pdv politico, un clima critico dovuto appunto
all’anarchia feudale; dal pdv economico, non vi erano scambi e non vi era neanche
una moneta, si procedeva per baratto; dal pdv sociale, il paese era diviso in
BELLATORES(cavalieri), ORATORES(chierici e uomini di chiesa, intellettuali) e
LABORATORES(contadini). Meno rilevanti erano le figure di artigiani e mercanti. È
anche un periodo in cui si avvisa un certo spopolamento delle città, con il
conseguente spostamento nelle campagne.
Per quanto concerne la cultura, gli intellettuali del tempo erano i chierici, uomini di
chiesa, e il luogo di cultura più in voga era il monastero. All’interno dei monasteri si
pregava, ma anche ci si dedicava alla lettura e al lavoro. Emblematica è la frase di
San Benedetto Da Norcia: Ora et labora!. Luoghi di grande importanza nel
monastero sono gli scriptoria, in cui i monaci ricopiavano i testi della letteratura
classica, anche se prediligevano quelli di cultura medioevale. Tali monaci
commettevano degli errori nella stesura dei testi, pertanto si servivano di glosse
esplicative. Non vi era la carta, dunque scrivevano in pergamene. Il libro era
considerato patrimonio per pochi e si trovava all’interno delle biblioteche, a cui
avevano accesso solamente gli intellettuali. Nascono le scuole laiche episcopali,
parrocchiali e religiose gestite dagli stessi chierici. La Chiesa è il principale rifugio
dell’uomo medioevale.
Assistiamo, in questo periodo, ad un degrado della lingua latina in cui ritroviamo gli
uomini colti che parlano il sermo litteratus e gli uomini meno colti che parlano il
sermo vulgaris. Il latino colto pian piano si va ad imbastardire a causa delle lingue di
sostrato, parlate dai popoli che i romani sottomettevano e a causa delle lingue di
superstrato, parlate dai barbari.
In questo periodo si affermano due tipologie di intellettuali: i clerici vagantes, che
vivevano ai margini della società( si spostavano di continuo in cerca di
sostentamento economico) e ricostruivano delle parodie dei valori
correnti(=Carnevale); i giullari che si dividevano in giullari di piazza( si esibivano
durante le feste popolari ad un pubblico poco colto), giullari di corte( si esibivano a
corte ed avevano a che fare con un pubblico colto).[grazie a queste tipologie di
intellettuali che si affermerà un po’ più avanti la poesia goliardica].
La mentalità di questo periodo era statica, non vi era progresso e non si andava a
conoscere al di là dell’ignoto. A tal proposito, Dante nella Commedia parlerà del
folle volo di Ulisse, il quale aveva avuto la tracotanza di superare le colonne d’Ercole,
sfidando i limiti imposti da Dio. In questo periodo di disordine la verità è data dalle
Sacre Scritture, dai filosofi e dai pensatori.
Si sviluppano due principi importanti nel corso dell’alto medioevo: il principio
dell’ipse-dixit, secondo cui è presente una verità incontrastabile. Tale precetto si
riferisce ad Aristotele, poiché elaborato da Averroè che è un seguace dello stesso,
secondo cui il pensiero di Aristotele è sacro ed intoccabile; principio dell’auctoritas,
secondo cui una tesi viene accettata solo in virtù dell’autorità di chi la presenta.
Si sviluppano anche due importanti visioni del periodo: una visione teocentrica, con
Dio al centro dell’Universo. Una visione trascendente, secondo cui Dio si trova in
uno spazio trascendente che porta alla svalutazione della vita terrena.
La patria dell’uomo è il Paradiso dove avrà stretto contatto con Dio. Vengono
esaltati i piaceri spirituali e la natura diventa un artificio da cui comprendere
naturale e soprannaturale.
Concezione dello spazio: lo spazio viene visto secondo un piano orizzontale, nel
senso che la terra è concepita come spazio morale al cui centro c’è Gerusalemme, e
un piano verticale, secondo cui la dimora prossima dell’uomo è il Paradiso terrestre.
Concezione del tempo: il tempo è scandito secondo cicli con ritmi lunghi. Il tempo
degli uomini confluisce nella dimensione biblica dell’eternità. Non a caso le storie
medievali sono storie universali che iniziano con la Creazione e finiscono col Giudizio
Universale.
Siamo in un periodo in cui si avvisa un’assenza di storicità, che è una conseguenza
dell’appropriazione globale dei saperi, in cui bisogna ordinare in gerarchie ogni
elemento dello scibile umano. Pertanto nascono le enciclopedie, che sono dei
manuali di istruzione a carattere circolare col compito di raccogliere tutto il sapere
universale di una data disciplina.
Siamo in presenza di una visione simbolica della realtà, dove vi è una tendenza a
ricercare dietro l'apparenza dei fenomeni sia naturali che culturali, l' autentico
significato a cui essi alludono. Nascono in questo periodo le figure retoriche di
allegoria e concezione figurale.
ALLEGORIA (allon+agoreuo “io dico altro”) è una figura retorica in cui il
significante può essere reale o immaginario e il significato astratto. Esempio di
allegoria: nel primo canto dell’Inferno Dante si ritrova davanti alle tre belve della
selva oscura che vengono lette in chiave allegorica, poiché la lonza rappresenta la
lussuria, il leone l’avidità e la lupa la cupidigia(vizio che Dante condanna più di tutti).
L’allegoria è rintracciabile anche nelle figure di Beatrice e Virgilio che sono
rispettivamente allegoria della teologia e della ragione.
CONCEZIONE FIGURALE  figura retorica in cui significante e significato sono
entrambi reali o storici. Tale figura retorica deriva dalla concezione medievale della
storia che si divide in due fasi: a.C. e d.C., dove il primo è l’anticipazione di quello
che avverrà nel secondo. Esempio di concezione figurale: Bibbia i fatti dell’A.T.
sono l’anticipazione dei fatti narrati nel N.T. Vita la vita terrena diventa
l’anticipazione di quello che sarà la vita ultraterrena( l’uomo in questo periodo
aspira al Cielo, dunque cerca di commettere buone azioni per risiedere nella Patria
divina). Divina Commedia Virgilio siccome in vita era stato un pagano, in vita
ultraterrena si trova nel Limbo, dove risiedono coloro che non sono stati battezzati o
che erano pagani; Beatrice siccome in vita aveva sempre indirizzato dante al bene,
adesso risiede nella Candida Rosa tra i beati al cospetto di Dio.
In questo periodo figura importantissima è Carlo Magno, il quale fu incoronato per
mano del papa la Vigilia di Natale dell’ 800 d.C nella basilica di S. Giovanni in
Laterano.
Grazie a lui abbiamo la “rinascita carolina”: da perfetto analfabeta, comprese
l’importanza di rilanciare gli studi e amplificare l’istruzione, per cui si parla di una
rinascita culturale che coinvolse un gran numero di intellettuali.
Al fianco di Carlo Magno operarono due grandissimi intellettuali: Paolo Diacono, il
quale scrisse l’Historia romana e l’Historia Longobardorum, in cui emergono proprio
i rapporti tra queste due popolazioni; Alcuino, che fu il ministro della cultura di
Carlo, a lui si deve l’introduzione di un nuovo tipo di scrittura all’interno dei centri
monastici, ovvero la cosiddetta minuscola carolina.
Sono state volute da Carlo Magno: la Schola Palatina, cioè una scuola in cui
venivano letti testi classici e venivano formati i funzionari e gli amministratori
imperiali; L’Accademia Palatina, ovvero un circolo di intellettuali impegnati in un
lavoro comune sotto la protezione del sovrano.
Per quanto concerne il sistema del latino bipartito prima descritto, ci sono due testi
che bisogna menzionare: i Giuramenti di Strasburgo, ovvero il più antico
documento redatto in due volgari opposti da cui emerge la consapevolezza che
ormai il francese è distaccato dal latino; L’Indovinello veronese, scritto da uno
scrivano veronese e può considerarsi il primo uso consapevole della lingua volgare
italiana nella scrittura, anche se vacilla tra latino e volgare, esso è più affine a
quest’ultimo.
Perché la letteratura in Italia nasce in ritardo? A causa della frammentazione
politica della penisola, ovvero vi erano diverse realtà feudali senza una guida
centrale; ma anche a causa dell’influenza della Chiesa, in quanto nell’Alto Medioevo
la cultura era a panaggio della Chiesa.
Nel XIII secolo nascerà la letteratura italiana prima in volgare umbro (Cantico delle
creature di S. Francesco D’Assisi) e in seguito in volgare siciliano, con la nascita della
corte palermitana di Federico II. Per comprendere bene le varie sfumature della
letteratura italiana bisogna fare un passo indietro ed andare a rivedere la letteratura
francese che nasce all’interno della corte. Nascerà, a partite dal XII secolo una
cultura cortese, il cui aggettivo rimanda sicuramente a corte, ma anche all’ideale di
cortesia che si stava diffondendo in quel periodo, poiché siamo in piena cultura
cavalleresca. Al servizio dei signori feudali vi erano i cavalieri, che erano i figli cadetti
dei signori, non primogeniti, esponenti della nobiltà minore, che incarnavano i valori
come coraggio, onore, lealtà , fedeltà e cortesia. Con la nascita delle crociate, i
cavalieri combatteranno a fianco della chiesa per liberare i territori occupati dai
saraceni. Quindi i cavalieri incarneranno, valori religiosi come la difesa della fede
cristiana, delle donne e dei poveri. A seguito della raffinatezza delle corti, i cavalieri
incarneranno valori civili quali liberalità, magnanimità e culto della misura.
In questo periodo nasce anche una visione nuova dell’ amore della donna
attraverso l'affermazione della cultura cortese. Nell’ Alto Medioevo sia l'amore che
la donna erano entrambi visti come dei demoni, infatti, lo storico francese Le Goff
dirà che la donna è un essere diabolico, la peggiore incarnazione del male. Nella
cultura cortese, nasce una visione differente che è proprio quella dell'amore
cortese. A teorizzare i punti salienti di tale concezione è Andrea Cappellano che
scrive un trattato chiamato “De amore”, in cui elenca i comandamenti che ci fanno
comprendere la nuova concezione dell'amore cortese che nasce dalla vista degli
occhi per poi trovare nutrimento nel cuore attraverso l'immaginazione. Altro punto
importante, è che tra la donna e l’uomo vi è lo stesso rapporto di beneficium
servitium che vi era tra signore feudale e vassallo. Accadeva che il signore feudale
doveva allontanarsi dalla corte per motivi lavorativi, e quindi lasciava la moglie in
preda alle attenzioni dei cavalieri. La donna concedeva al cavaliere un beneficium,
ovvero uno sguardo, un saluto od anche una concezione di se stessa, in cambio
l’uomo svolgeva un servitium amoris, cioè cantava le lodi della donna. Si trattava
però di un amore inappagato, poiché la donna non corrisponde l’amore del
cavaliere, dunque si parla di un amore che non viene concretizzato e genera
sofferenza. La donna è posta, dunque, in una posizione di superiorità rispetto
all’uomo, ed è vista come una figura irraggiungibile. Inoltre l’amore cortese è un
punto di elevazione sociale e spirituale per il cavaliere, in quanto aspira a ascendere
socialmente in quanto si innamora di una nobil donna, e l’amore permette all’animo
di purificarsi. Questo genere di amore entra in conflitto con la Chiesa, in quanto non
accetta l’adulterio. Nasce il binomio amore-gentilezza, secondo cui può amare chi
ha un cuore gentile, e viceversa.
Parlare dell’amore cortese è importante perché sarà il tema centrale di alcuni
componimenti che si svilupparono intorno all’XI e XII sec., ovvero il romanzo cortese
cavalleresco e la lirica provenzale.
CHANCON DE GESTE: è un romanzo cortese cavalleresco formato da lasse
assonanzate, ovvero unità minime narrative, ed è in lingua d’oil. Poema narrativo
cantato di genere epico, dove vengono narrate le res gestae del passato. Tali
componimenti, inizialmente, erano recitati oralmente. In queste opere, vengono
narrate le gesta di Carlo Magno e dei suoi valorosi paladini che si scaglieranno
contro i saraceni. La più famosa delle Chancon de geste, è la Chancon de Roland,
dove vengono narrate le gesta di Orlando, un mitico paladino di C.Magno che sarà
poi citato da M.M. Boiardo ne “L’Orlando innamorato” e da L.Ariosto ne “L’Orlando
furioso”. In questa chancon, si parla della tragica disfatta dell’esercito cristiano e
della notte di Orlando tradito da un guerriero cristiano che era geloso della sua
fama. Viene presentato come un martire cristiano che muore per l’assoluta fedeltà
nei confronti del proprio signore e per aver combattuto strenuamente contro i
saraceni.
Il romanzo cortese cavalleresco trova la sua fortuna all’interno della corte, dove vi è
un pubblico più colto. Il tema era l’amore cortese, le cui caratteristiche principali
erano l’aventure e la quete: il cavaliere doveva passare varie prove per la ricerca
della donna amata; questa spasmodica ricerca aveva anche connotazione religiosa,
poiché si andava alla ricerca del Sacro Grahal, ovvero il calice in cui si pensa ci fosse
il sangue di Cristo. Altra caratteristica del romanzo cortese cavalleresco è
l’introduzione di elementi fantastici e fiabeschi. Si parla anche in questi romanzi del
ciclo bretone, ovvero dei cavalieri della tavola rotonda di Re Artù. Le vicende più
narrate sono quelle riguardanti Lancillotto( paladino di re Artù) e Ginevra(moglie di
re Artù). Possiamo trovare la narrazione riguardante questi due personaggi nel
Lancelot di Chetrienne de Troyes, dove il cavaliere è visto come un servitore
sottomesso a Ginevra e dunque perde la testa nei pensieri amorosi e nella ricerca
dell’avventura. È anche importante, in questo periodo, il testo di Thomas
D’Angleterre, ovvero il Roman de Tristan, che racconta la storia di Tristano e Isotta.
TRAMA: Tristano viene cresciuto alla corte dello zio re Marco di Cornovaglia, la
regione si trova sotto il giogo di un terribile guerriero mostruoso, che impone alla
popolazione un tributo annuale di fanciulli e fanciulle, i quali non ne fanno mai
ritorno. Una volta cresciuto, Tristano si reca sull’isola e uccide il nemico, ma viene
ferito dalle armi avvelenate del nemico stesso. Pertanto si lascia abbandonare ai
flutti d’Irlanda e verrà trovato da Isotta, che lo aiuta a guarire. Mentre si trovano
sulla nave, i due bevono inconsapevolmente un filtro d’amore e si innamorano.
Giunti alla meta, Isotta sposa Marco e Tristano e Isotta vivono un amore adultero, a
causa del quale vennero condannati al rogo. Si salvano solo perché Tristano decide
di lasciare la Cornovaglia e si reca in Bretagna, dove conoscerà Isotta dalle Mani
Bianche, con la quale non consuma il matrimonio poiché innamorato dell’altra
Isotta. Infine, Tristano viene colpito da un dardo avvelenato, e chiede aiuto ad Isotta
la quale doveva issare una vela bianca se andava in soccorso, nera se non lo faceva.
Nel frattempo, Isotta dalle Bianche Mani cotta dalla gelosia issa le vele nere, e
dunque Tristano muore. Quando finalmente Isotta arriva nelle coste bretoni, trova
Tristano morto e si lascia morire al suo fianco.
La lirica provenzale è un genere che nasce nel XIII sec in Francia in lingua d’oc, i cui
esecutori sono i trovatori( da trobar, comporre musica). La lirica provenzale era
accompagnata dalla musica. I trovatori appartenevano o al ceto feudale( nobili
signori feudali, come Guglielmo IX di Aquitania, che fu il primo trovatore nonché un
poeta aristocratico), o cavalieri o ministeriales( dipendenti del signore). I trovatori
scrivevano sia i versi che la musica, che potevano far intonare da un giullare di corte.
I temi della lirica provenzale erano svariati: popolari, politici, morali, guerreschi,
satirici, ma soprattutto amorosi(amore cortese).
Il cavaliere scriveva liriche sulla donna utilizzando un senhal, ovvero uno
pseudonimo affinché la donna non sia oggetto delle chiacchiere dei mal parlieri. Si
tratta sempre di un amore inappagato, volto alla sofferenza. La forma metrica più
importante di tale lirica, era la Canzo e aveva una struttura ben precisa, sebbene
potesse avere un numero variabile di strofe con all’interno versi di diversa
lunghezza. Si parla anche di una struttura tematica ben precisa: la canzone si apriva
con un topos riguardante la natura, poi venivano cantate le lodi della donna, in
seguito venivano introdotte le figure dei mal parlieri per poi approdare al congedo,
ovvero la decisione dell’innamorato in merito alla sua vicenda d’amore.
Due furono gli stili utilizzati dalla lirica provenzale: il trobar clue, ovvero un poetare
chiuso, uno stile difficile con sintassi ipotattica, linguaggio ermetico e abbandona le
figure retoriche; il trobar lieu, che era un poetare lieve, uno stile comprensibile con
sintassi lineare e poche figure retoriche.
Esponenti del trobar clue: Arnault Daniel, considerato il miglior fabbro e artefice di
tale lirica, e Rimbaud D’Arenga. Mentre per il trobar liei, l’esponente più conosciuto
è Bernard de Ventadorn, che scopre il nesso indissolubile tra cuore e canto,
identificando nello spazio interiore dell’individuo l’unica fonte possibile di creazione
poetica.
La lirica provenzale cessò di esistere intorno al 1208-1209 d.C. quando papa
Innocenzo III bandì una crociata contro gli albigesi. Le corti provenzali cessarono di
essere fiorenti e i trovatori si spostarono nel nord della Francia, dove verranno
chiamati trovieri, perché poetavano in lingua d’oil. L’influenza provenzale si fece
sentire nell’Italia settentrionale con Sordello D’Agoito, il quale verrà citato da Dante
nel sesto canto del Purgatorio.
BASSO MEDIOEVO: è un periodo totalmente diverso dall’Alto Medioevo. Per quanto
riguarda l’aspetto politico, nell’Italia settentrionale abbiamo la rinascita di unità
politiche, chiamate comuni. Al centro abbiamo lo Stato della Chiesa, e al Meridione
persiste il feudalesimo a causa delle monarchie straniere. Terminata la dinastia
sveva del 1266 d.C., subentrano gli angioini e poi gli aragonesi. I comuni erano delle
vere e proprie città stato con un ordinamento repubblicano, quindi il governo era in
mano ai cittadini che avevano, appunto, ordinamento repubblicano. Erano presenti
in ogni parte d’Europa con una differenza: nei paesi europei le spinte liberatorie
autonome dei comuni vennero frenate dal potere centralizzato delle monarchie
nazionali. In Italia ciò non avvenne perché mancava un governo nazionale. I comuni
non vivevano in tranquillità fra loro, infatti possiamo parlare di particolarismo
comunale o municipale, in quanto ciascun comune voleva espandere il suo
territorio fino alla campagna. La vita del B.M. dunque si svolge in città, e avvisiamo il
cosiddetto fenomeno di inurbamento. I comuni allargano i propri confini e nascono i
conflitti tra loro, e tali conflitti erano ravvisabili anche all’interno di uno stesso
comune in quanto i cittadini appartenevano a fazioni politiche differenti: da una
parte vi erano i guelfi, che erano filoimperiali, d’altra parte vi erano i ghibellini, che
erano filopapali. Dopo la fine della dinastia sveva il partito dei ghibellini cesserà di
esistere, pertanto la società sarà divisa in guelfi bianchi, che non appoggiavano
l’ingerenza del Papa nella vita politica(famiglia Cerchi), e guelfi neri che
appoggiavano l’ingerenza del Papa nella vita politica( famiglia Donati). Con
l’affermazione dei comuni, Impero e Chiesa vanno in crisi. Gli ecclesiastici sono
sempre più corrotti, vogliono impossessarsi del potere temporale, non pensano ai
beni spirituali, con la conseguente nascita delle eresie. Per combattere tali eresie
nascono due ordini mendicanti: i francescani, capeggiati da S. Francesco( il quale fa
voto alla povertà e il suo messaggio consiste nel dare immediata visibilità del
linguaggio del vangelo), che mirano al contatto diretto col pubblico; i domenicani,
capeggiati da S. Domenico, i quali mirano a dare la più alta istruzione teologica
attraverso una rete fitta di scuole domenicano, inoltre aderiscono al voto di povertà
per una fonte di maggiore autorevolezza per il predicatore.
A partire dal 1300 d.C. abbiamo un periodo di decadenza a causa delle continue
lotte tra i comuni italiani, che decisero di dare potere ad un solo uomo che avrà
potere politico, delle armi e amministrativo, e verrà chiamato signore. Abbiamo
dunque il passaggio dai comuni alle signorie. Le più famose in Italia sono quelle degli
Estensi, dei Visconti, degli Sforza e dei Dapolenta. Con l’affermarsi del comune nasce
la figura del mercante.
non tutti i cittadini potevano far parte della vita politica del Paese, solo chi era
iscritto ad una corporazione. Le corporazioni si dividevano in: maggiori, coloro i
quali che godevano di più diritti, e minori, coloro i quali esercitavano un’arte di serie
B. Pertanto, nel 1348, le arti minori si scaglieranno contro le arti maggiori nel
famosissimo Tumulto dei Ciompi. Dante partecipò attivamente alla vita del comune
di Firenze, poiché iscritto all’arte di Medici e degli speziali, anche se non esercitava
tale mestiere.
Dal pdv economico, nel Baso Medioevo abbiamo la rinascita dell’economia grazie
alla figura del mercante, che compra e vende le merci, diventando un vero e proprio
imprenditore, poiché investe e fa fruttare il denaro. Assume anche la funzione di
banchiere perché presta denaro ad usura.
La società del B.M. è più ricca caratterizzata da tante classi con relativa mobilità: 1.
Magnati( esponenti dell’antica aristocrazia feudale); 2. Popolo grasso( esponenti
ricca borghesia); 3. Popolo minuto( piccola borghesia); 4. Liberi
professionisti( svolgevano attività giuridica, notarile ecc..);5. Lavoranti
salariati( esclusi dalle arti, lavoravano a giornate sotto il pagamento di un salario); 6.
Clero( chierici); 7. Contadini( coloro che lavoravano la terra e non possedevano
nulla). I magnati e il popolo grasso si unificheranno perché a comandare sarà la ricca
borghesia. Ai consoli si sostituisce la figura del podestà che è un esponente della
ricca borghesia. Viene rivalutato l’uomo come un essere dotato di ingegno che è in
grado di plasmare la realtà a suo piacimento.
Per quanto riguarda la cultura del B.M, abbiamo una laicizzazione di essa. Compare
l’intellettuale laico. La Chiesa continua ad avere un ruolo culturale preminente, in
quanto i chierici scrivono sia in latino sia in volgare, per diffondere i precetti morali e
religiosi ai ceti più bassi. Altri luoghi di cultura sono le scuole laiche, frequentate dai
futuri mercanti, che imparavano a leggere e a scrivere, grazie a degli insegnanti
pagati dal comune o dai genitori. Nascono le università che erano strutture
associative, garantite dai privilegi e fornite da uno specifico piano di insegnamento,
con la conseguente attribuzione di un titolo, dopo un percorso di studio di 10 anni.
L’università più famosa è quella di Bologna del 1158. Inizialmente erano libere
associazioni fra maestri e studenti, poi divennero delle istituzioni dove i maestri
venivano pagati e l’insegnamento era in latino. Venivano insegnate le arti liberali,
del tridio e del quadrivio, e anche medicina, diritto e teologia. Il percorso di studi si
concludeva con la laurea, dove lo studente riceveva una corona d’alloro, che
significava gloria. Altri luoghi di cultura erano le corti, infatti tra il 1230-1250
abbiamo la corte siciliana di Federico II, dove nascerà la scuola poetica siciliana. Le
corti avranno massimo sviluppo nel ‘400 quando avremo l’affermarsi
dell’Umanesimo. Altri luoghi di cultura erano piazze, fiere, mercati, dove si esibivano
i giullari. Altro luogo di cultura le botteghe dei copisti, dove anche i laici andavano a
trascrivere gli antichi manoscritti. Ci sono anche le biblioteche, destinate ad un
pubblico ridotto. L’intellettuale si fraziona in: intellettuale cortigiano, che opera
all’interno della corte; intellettuale cittadino, che è attivo nella vita politica del
paese. Nasce il fenomeno del mecenatismo, dove il signore ama attorniarsi da
intellettuali per dare lustro alla corte. Il letterato poteva essere un funzionario del
signore, che gli concedeva dei beni per ricevere opere encomiastiche.
IL GENERE DELLA NOVELLA: molto prima dell’opera di Boccaccio, il volgare si
estende in una scrittura in prosa di tipo letterario che si affianca al genere-novella.
Le informazioni di base che ci sono giunte, è che si tratta di un testo breve,
essenziale ed eterogeneo. Tale genere, talvolta, include elementi fiabeschi o del
romanzo cavalleresco. Essendo predisposta ad aprirsi a più temi, la novella avrà una
straordinaria fortuna. L’elemento fondamentale del nuovo genere letterario è
l’adozione del volgare, col fine di assecondare quell’interesse realistico tanto
ricercato. Fra il XIII e il XIV secolo circolano i volgarizzamenti e le compilazioni di
testi già diffusi nella tradizione europea, ma di diversa provenienza. L’intento di
questi testi è di tipo pedagogico, infatti affonda le sue radici in quella tradizione
classica dell’exemplum, un genere letterario brevissimo che ha come intento quello
di dare un modello di comportamento. Ebbe grande fortuna in questo periodo “Il
Novellino” di Masuccio Salernitano.
IL NOVELLINO: è una raccolta antologica composta da 100 novelle, caratterizzata da
una varietas di temi e di forme, e redatta in ambiente fiorentino. Le testimonianze
giunte fin qui, ci fanno capire che il Novellino abbia una struttura aperta, costituita
da un nucleo organico. È possibile rintracciare un numero di fonti di provenienza
diversa, quali: 1. Biografie antiche e vicende esemplari dei personaggi del passato; 2.
Racconti orientali; 3. Romanzo cortese e cavalleresco; 4. Episodi biblici; 5. Favola
esopica o mitica; 6. Vicende contemporanee di ambito fiorentino. Tali fonti vengono
raccolte, decontestualizzate e riproposte in un’ottica nuova. In questa raccolta
quello che colpisce è la costruzione discendente della materia narrativa, che vede
prevalere nella sezione principale le storie dei sovrani, per lasciare spazio a storie di
mercanti e personaggi comuni. Tale raccolta rappresenta l’ultimo anello di una
tradizione di fonti francesi, ma anche latine, classiche e medioevali. In tale opera
possiamo riscontrare spazi di modernità.
Abbiamo già detto che la società comunale è una società in cui si afferma la figura
del mercante, il quale attraverso i suoi viaggi destinati alla vendita dei suoi prodotti,
è sottoposto a rischi e avventure varie. Ecco che si diffonde in questo periodo il libro
del viaggio, sicuramente un’innovazione del periodo che presuppone un passo verso
la modernità. In questi racconti è possibile rintracciare la meticolosità, da parte dei
mercanti, di descrivere usi, costumi e tradizioni delle popolazioni che incontrano nel
loro cammino. Bisogna ricordare anche, che, talvolta, i mercanti abbinano alla realtà
memorie fantastiche.
IL MILIONE DI MARCO POLO: tale opera rappresenta la mentalità mercantile del
200, ed è stata scritta da Marco Polo coadiuvato da Rustichello da Pisa, negli anni in
cui si trovano in carcere. Il titolo principale dell’opera era “Descrizione del mondo” o
“Libro delle meraviglie”. I due detenuti stringono un patto: ovvero il pisano metterà
la propria esperienza e abilità di narratore. Da qui nasce il più celebre libro di viaggio
dell’umanità, e rappresenta un’ enciclopedia dove viene descritto il mondo. In
quest’opera emergono due prospettive diverse: la tensione della conoscenza oltre i
confini della realtà e la rottura dei confini con un approdo al mondo fantastico. In
questo racconto viene trattata l’esperienza diretta che Marco Polo ha visto con i suoi
stessi occhi. Il Milione è un testo enciclopedico e geografico-mercantile, un
romanzo del viaggio, in cui il viaggiatore riveste un po’ quella che è la funzione del
cavaliere errante, protagonista anch’egli di una quete che è di tipo conoscitivo.
LA LIRICA SICILIANA.
La Magna Curia è un insieme di uffici in cui si articolava la vita politico-istituzionale
del Regno di Sicilia. Abbiamo detto che la lirica provenzale cessa di esistere tra il
1208 e il 1209, quando papa Innocenzo III bandisce una crociata contro gli albigesi.
Gli anni che vanno dal 1230 al 1250 sono gli anni di Federico II( figlio di Enrico VI e
Costanza D’Altavilla), che viene eletto imperatore nel 1220 e sogna la restaurazione
imperiale in Italia. Modificò il modello della Magna
Curia e scelse i dignitari tra i notai e giuristi che si erano distinti per meriti e fedeltà.
Dal punto di vista culturale, è un uomo molto impegnato, in quanto favorì la nascita
della Scuola di Capua, della Scuola Mediana di Salerno e dell’Università di Napoli.
Conosceva tante lingue come il francese, il provenzale, il tedesco, il latino, l’arabo, il
siciliano. Sebbene la sua corte fosse itinerante, aveva una sede a Palermo.
L’imperatore, insieme ai figli Manfredi ed Enzo, erano poeti in lingua volgare. La
Scuola Siciliana annovera circa 25 poeti e il suo periodo di massimo splendore va dal
1230 al 1250, anche se alcuni critici spostano la fine di tale scuola alla morte di
Manfredi, avvenuta nel 1266, nella battaglia di Benevento. Con la fine della dinastia
sveva quindi non termina solo il sogno di una restaurazione imperiale, ma anche
quello della lirica siciliana. Ci sono delle differenze tra la nuova lirica e quella
provenzale: l’intellettuale nella lirica provenzale era il trovatore, nella nuova lirica è
un funzionario di corte del ceto nobile; la realtà non è più cortese ma cortigiana; la
nuova lirica, a differenza di quella provenzale, è destinata alla sola lettura. Cambia
anche il nucleo tematico, in quanto la lirica provenzale abbracciava vari temi, tra cui
l’amore cortese; nella lirica siciliana, invece, si sceglie come tema principale gli
effetti psicologici dell’amore. Muta anche la figura della donna che non è più moglie
del signore feudale, ma è sicuramente più astratta e irreale. I poeti siciliani
affrontano soltanto il tema amoroso perché Federico II aveva creato una monarchia
assolutistica e all’interno della sua corte non vi erano tutti quei conflitti interni fra i
comuni. Il metro utilizzato dalla nuova lirica era la canzone(endecasillabi e settenari
di max. 5 strofe), la canzonetta(versi più brevi) e il sonetto, il cui ipotetico fondatore
è Giacomo da Lentini, a cui sono state attribuite 16 tra canzoni e canzonette e 24
sonetti, ed era un notaio alla corte di Federico II. Il linguaggio utilizzato è un volgare
siciliano che è completamente diverso da quello parlato, in quanto è più illustre. Nel
1250 termina la lirica siciliana e si affermano i poeti siculo-toscani, ovvero dei copisti
che nella trascrizione dei testi siciliani apportarono delle modifiche e crearono la
rima siciliana o imperfetta, che constava nel sostituire la U con la O, e la I con la E.
dopo il tramonto di tale lirica, nell’Italia settentrionale nasce la lirica siculo-toscana.
Tra i poeti ricordiamo:
1. BONAGIUNTA ORBICCIANI, il quale si trova in una posizione mediana tra
antico e moderno. Sarà scelto da Dante nel XXIV del Purgatorio per
pronunciare la famosa definizione omaggio allo Stil Novo.
2. GUITTONE D’AREZZO, il quale lo ricordiamo per la sua conversione religiosa e
per l’appellativo Frate Guittone. Nella sua poesia predilige lo sperimentalismo
e l’innovazione metrico-formale. Oltre che composizioni di carattere religioso
si concentra su quelle di carattere politico.
3. CHIARO DAVANZATI, è il più produttivo dopo Guittone. Predilige uno stile
mediano basato sulla facile leggibilità, lontano dai temi guittoniani. La sua
attività si intreccia con lo Stil Novo.

LO STIL NOVO: tra il 1280 e il 1310, si afferma a Firenze( centro storico e


culturale fervido) una corrente letteraria che si distingueva dalle precedenti. I
poeti stilnovistici sono: Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante, Cino Da
Pistoia. Il precursore di questo movimento è sicuramente il bolognese Guido
Guinizzelli, di cui abbiamo un canzoniere di 15 sonetti e 5 canzoni che
anticipano temi prettamente stilnovistici, quali le lodi della donna, gli effetti
psicologici dell’amore, e lo stretto binomio amore-gentilezza. Lo Stil Novo
presuppone, dunque, una novità stilistica e tematica. Dante nel XXIV canto del
Purgatorio, mentre discute con Bonagiunta Orbicciani dirà: “Io sono uno che
quando amor mi ispira, annoto, e mi esprimo nel mondo in cui egli mi detta
interiormente.” Con questa frase, Dante vuole sottolineare l’assoluta fedeltà
nell’esperienza amorosa, puntualizzando che l’amore produce effetti
psicologici molto forti, positivi o negativi. L’amore è concepito come una forza
che può rendere felice l’uomo, ma può anche distruggerlo, come vedremo
con Cavalcanti il quale ritiene che l’amore è il maggiore centro di
disgregazione delle qualità fisiche e psichiche dell’uomo. Altra novità riguarda
la figura della donna, la quale assume delle sembianze astratte, infatti
parleremo di donna angelo, colei che fa da tramite tra mondo profano e
divino. Tema fondamentale è quello del saluto, la cui radice “salus” si
riconduce anche al nome salvezza. Altro elemento è l’elevazione spirituale, in
quanto la donna angelo permette all’uomo di giungere fino a Dio. Mentre
nella lirica provenzale la cortesia era propria di un’aristocrazia feudale minore
che aspirava ad elevarsi socialmente, nello Stilnovismo era propria del nuovo
ceto borghese che aspira a sostituire l’antica aristocrazia feudale al vertice del
comune. I poeti stilnovistici provengono da un certo ceto borghese e il
pubblico a cui si riferivano era anch’esso borghese, ma selezionato e ristretto,
formato da persone che avevano conseguito degli studi universitari, in grado
da capire certi riferimenti filosofici, retorici e teologici presenti all’interno dei
componimenti.
GUIDO GUINIZZELLI: (1230-1276) Nell’opera “Al cor gentil rempaira sempre
amore”, l’autore vuole dimostrare lo stretto binomio tra amore e gentilezza
utilizzando termini naturali, ovvero similitudini. Si introduce una corte ideale
che racchiude una cerchia di spiriti eletti accomunati da specifici interessi
comuni, quali l’altezza d’ingegno, l’amore, la poesia e l’amicizia. Lo stile non è
più astruso come quello della lirica provenzale e siciliana, e viene
rappresentata la realtà cittadina. Dante nel XXVI canto del Purgatorio,
incontra Guinizzelli e lo chiamerà “Padre mio”, in quanto introdusse le rime
dolci e leggiadre. Possiamo descrivere vari livelli di stile: livello fonico,
assenza di suoni aspri; livello metrico, assenza di rime rare e difficili; livello
lessicale, lessico semplice e raffinato; livello sintattico, sintassi lineare con
poche inversioni e prevale la paratassi; livello retorico, scarse sono le figure
retoriche, tranne similitudini e metafore; livello ritmico, fluido e lento con
pochi enjambement. “Al cor gentil rempaira sempre amore” è il manifesto
stilnovistico ed è una canzone di 6 strofe o stance, ognuna composta da una
fronte divisibile in due piuedi, e da una sirma divisa in due volte, dove l’ultima
strofa costituisce il congedo. Nella prima strofa si ribadisce il binomio amore-
gentilezza, può amare solo chi ha un cuore gentile( similitudine dell’uccello il
cui habitat è la foresta). Nella strofa finale compare il tema della donna che
non farà altro che acuire il conflitto tra amore e religione. Il poeta parla spesso
in prima persona mettendosi nei pannoi dell’amante e parla di un’esperienza
fittizia.
GUIDO CAVALCANTI: (1260-1300) è uno dei primi esponenti dello Stil Novo.
Nasce a Firenze e proviene da una famiglia di stampo guelfo, molto vicina ai
bianchi, infatti Cavalcanti era amico della famiglia dei Cerchi. Inoltre,partecipò
attivamente alla vita politica del comune di firenze ed ebbe varie schermaglie
con Corso Donati( esponente famiglia dei guelfi neri), che tentò di uccidere
Cavalcanti e quest’ultimo per vendicarsi volle fare lo stesso gesto. Per
dirimere la situazione, i priori di firenze tra cui Dante, decisero di mandare in
esilio i capi più intransigenti delle due fazioni e quindi Cavalcanti venne
mandato in esilio a Sansana. Poi tornò a Firenze dove morì di malaria nel
1300. Cavalcanti compose un canzoniere di circa 52 liriche tra canzoni, sonetti
e ballate. Le sue tematiche sono tragiche in quanto intende l'amore come una
forza oscura travolgente, irrazionale, che produce effetti sconvolgenti quali lo
sbigottimento, il tremore, le lacrime e i sospiri. Quindi l'amore produce
angoscia e sofferenza, arrivando perfino a disgregare l’io nelle sue diverse
facoltà fisiche psichiche che Cavalcanti chiama spiriti, infatti nel sonetto “Voi
che per li occhi mi passaste il core”, vi è un verso poeta dichiara che, in
seguito alla passione travolgente dell'amore, vengono meno le componenti
fisiche e psichiche dell’io, che diventano dei veri e propri attori del dramma
amoroso. L' incontro con la donna amata, dunque, produce sofferenza. Quella
che racconta il poeta è una vicenda universale. L'amore è per tutti
un’esperienza devastante fuori dalla ragione. Dante prenderà spunto da
Cavalcanti per la sofferenza provocata dall'amore e cercherà di collegare
sentimento e ragione, non prendendola come una cosa razionale e scura.
CINO DA PISTOIA: tra gli stilnovisti minori si segnala Cino da Pistoia, che
appartenne alla nobile famiglia dei Sigibuldi, schierata con la fazione dei
guelfi neri. Nel 1303 fino al 1306, fu esiliato da Pistoia dove aveva prevalso la
parte bianca. Dante gli inviò, in questo frangente, una delle sue epistole
“All’esule pistoiese”. Egli dovette assistere all’ esilio della donna cantata nelle
sue rime con lo pseudonimo di Selvaggia, identificata come appartenente alla
famiglia di parte bianca dei Vergiolesi. Come Dante, Cino da Pistoia sì
entusiasmo al momento della discesa in Italia dell'imperatore Arrigo VII, per il
quale ricoprì importanti incarichi politici e diplomatici. Dopo aver insegnato
diritto in varie città, si ritirò a Pistoia dove morì 1336 e il 1337. Cino
continuerà a riproporre il repertorio di topoi ed immagini dello Stilnovo
inclinando maggiormente un tono sentimentale patetico che lo porterà
essere, con i suoi compianti, uno degli anticipatori del genere tre-
quattrocentesco del lamento. Ricordato nel “De vulgari eloquentia” dantesco
come uno dei massimi lirici d'amore, Cino esercitò un ruolo fondamentale di
mediazione tra lo Stilnovo fiorentino e la successiva esperienza poetica
petrarchesca. Proprio Petrarca citerà l'incipit della sua più celebre canzone
“La dolce vista e ‘l bel sguardo soave”, nella canzone 70 del canzoniere e ne
celebrerà la morte nel sonetto “Piangete donne, e con voi pianga amore”.
I POETI COMICO-REALISTICI:
Nella stessa realtà borghese e comunale in cui aveva avuto massimo
splendore lo Stil Novo, si affermano poeti come Rustico Filippi, Cecco
Angiolieri e Folgore da San Gimignano, i quali operano secondo una poetica
totalmente opposta dai dettami stilnovistici. Si parla della poesia comico-
realistica, la cui forma metrica è costituita dal sonetto. Tale poesia nasce da
una visione del mondo borghese, pratica ed utilitaristica che mette in rilievo
soprattutto gli aspetti fisici e carnali della passione amorosa. Alla donna
stilnovistica, si sostituisce una donna interessata ai soldi, a provocare e ad
essere sensuale, che intende dannare l’uomo anziché salvarlo(per esempio la
Becchina di alcuni testi di Cecco Angiolieri). Non bisogna pensare, però, che
tali poeti si rifacciano ad un modo di fare poesia rozzo, in quanto essi sono
eredi di un a doppia tradizione linguistica, retorica e tematica. Per quanto
concerne la lingua, essi prediligono una lingua umile. Inoltre le loro poesie
hanno un ampio repertorio tematico, dove la figura della donna e le sue
azioni diaboliche hanno il primo piano. Il repertorio retorico è molto raffinato,
costituito da ritmi incalzanti, anafore e antitesi, iperboli.
RUSTICO FILIPPI: con lui siamo davanti ad una produzione bifronte, che
dimostra come la pratica della lirica “alta” e di quella comica non fossero
soggette a specializzazione. Il suo corpus di poesie è costituito da poesie
auliche e poesie realistiche, si tratta per lo più di sonetti. Nei sonetti realistici
prevale il gusto per il furbesco, la passione per la caricatura calunniosa,
grottesca, e l’inclinazione verso la descrizione burlesca si situazioni licenziose.
CECCO ANGIOLIERI: nei suoi testi abbiamo tre filoni tematici principali: le
alterne vicende del suo amore, l’odio verso i genitori e laa battaglia con
Monna Malinconia. Il suo genere è per lo più comico. Egli invierà tre sonetti a
Dante, ma non ci sono pervenute le risposte del sommo. Il vitalismo poetico di
Cecco è possibile intravederlo nella sua celòeberrima opera: “S’ì fosse foco”.
FOLGORE DA SAN GIMIGNANO: Si distingue per una corona di sonetti
dedicati ai mesi dell'anno composta secondo il modello provenzale del
plazer. Ne fa una vera e propria parodia il poeta aretino Cenne della Chitarra
che, invece di riprendere il plazer, egli sfrutta il modello dell’enueg, un
componimento di tradizione occitanica che ha per oggetto ciò che reca
fastidio. Alla mano di Folgore si devono anche altre 2 corone di sonetti: una
dedicata ai giorni della settimana e una dedicata alle virtù del perfetto
cavaliere.
DANTE ALIGHIERI: nasce a Firenze nel 1265, sotto il segno dei Gemelli, e
appartiene ad una famiglia della nobiltà cittadina di stampo guelfo. Il suo
cognome “Alighieri” lo troveremo per la prima volta in Boccaccio, che fu un
seguace di Dante. Secondo a quanto narra nella VITA NOVA, pare che nel
1274 abbia conosciuto, all’età di 9 anni, Beatrice( secondo Boccaccio, la
donna è Bice Portinari), l’amore della sua vita. Avviene un secondo incontro,
intorno al 1283, quando i due hanno ormai 18 anni. Nel 1285 il poeta sposa
Gemma Donati, secondo un accordo matrimoniale, da cui avrà 3 figli: Pietro,
Jacopo e Antonia. Nel 1290 muore Beatrice, da ciò scaturisce un periodo di
sofferenza per il nostro autore, che si abbandona al cosiddetto periodo di
traviamento, in cui conduce una vita dissoluta, dove abbandona la poesia e la
teologia per dedicarsi a studi filosofici, tanto che nel CONVIVIO parlerà di una
donna gentile, che è appunto la filosofia che lo consola dai dolori dopo la
morte di Beatrice. Questo periodo va dal 1290 al 1293, quest’ultimo è l’anno
della VITA NOVA, opera giovanile in cui vuole attuare il rinnovamento
spirituale a seguito del periodo di traviamento. Nel 1295 Dante comincia a
partecipare attivamente alla vita politica di Firenze, e per farlo si iscriverà all’
arte dei Medici e degli speziali, pur non esercitando tale professione. Nel 1300
viene nominato priore e prenderà parte al Consiglio dei 30 e al Consiglio dei
100. Nel 1301 papa Bonifacio VIII chiama in soccorso Carlo di Valois che
depone i bianchi a favore dei neri. Nel 1302 Dante viene colpito da una
condanna a morte in contumacia, che porterà lo stesso a non tornare più a
Firenze, e in un’epistola si dichiarerà fiorentino di nascita, ma non di costumi.
Dal punto di vista culturale, Dante passa da essere un intellettuale cittadino
ad un intellettuale cortigiano, perché costretto a chiedere sostentamento
economico a ricchi signori. Nel 1310 scende in Italia Arrigo VII e Dante
comincia a coltivare il sogno di una restaurazione imperiale. Il sogno cade in
frantumi nel 1313, quando muore l’imperatore. Perciò decise di stabilirsi dal
1313 al 1318 a Verona, presso la corte di Cangrande della Scala, ovvero il
dedicatario del Paradiso. Dal 1318 al 1321 si trasferisce alla corte dei
Dapolenta, dove morirà colto da febbri malariche.
Dante è un uomo del Medioevo poiché vive a cavallo tra 200 e 300. La sua
mobilità è più vicina a quella chiusa statica dell’ alto medioevo, mentre
Boccaccio e Petrarca sono visti come preumanisti in quanto hanno la
mentalità tipica del basso medioevo.Il suo sapere non è di tipo specialistico,
ma enciclopedico in quanto si interessò agli studi filosofici letterari teologici e
politici. Per quanto riguarda la concezione della storia, egli abbraccia la
concezione figurale, non crede che la storia sia un casuale susseguirsi di eventi
legati tra loro mediante rapporto di causa-effetto, ma una concezione
provvidenziale della storia secondo cui ogni evento storico è legato alla
volontà di Dio. La realtà è regolata da un ordine provvidenziale in cui ogni
cosa ha un proprio posto e un proprio fine. La storia si può dividere in due
grandi fasi il cui punto di divisione sarebbe la nascita di Cristo, la fase pagana
è la figura della fase cristiana. Tale concezione figurale della storia porta
Dante ad abbracciare il sincretismo, cioè la fusione di elementi classici con
elementi cristiani. A testimoniare tale sincretismo è la figura di Virgilio che,
pur essendo un personaggio dell'antichità, viene scelto come guida
dall’Inferno al Purgatorio e viene considerato nel Medioevo l'uomo più
sapiente dell’antichità, poiché nella quarta ecloga delle Bucoliche egli
profetizzò la nascita di un puer che avrebbe salvato l’umanità, ovviamente il
puer è Gesù Cristo. Dal punto di vista della politica, dobbiamo distinguere due
momenti: momento pre-esilio, dove Dante ha una precisa visione politica
ovvero municipalistica, partecipa attivamente alla vita politica del suo comune
e abbraccia il particolarismo comunale; momento post-esilio, abbraccia una
visione universale espressa in molte sue opere, ovvero la” teoria dei due soli”
dove impero e chiesa sono due soli che brillano di luce propria. Dante così
pensa che l'imperatore deve esercitare il potere temporale mentre il Papa
deve esercitare il potere spirituale. Per quanto riguarda il rapporto teologia-
filosofia, distinguiamo due fasi: la prima fase riguarda la creazione del
Convivio, dove la filosofia è la scienza umana e la teologia è la scienza divina.
Nel Convivio teologia e filosofia sono separate, nella commedia vi è
superamento della teologia sulla filosofia. Dante apprezza la dottrina
tomistica, ovvero la filosofia aristotelica applicata da San Tommaso, che
prevedeva la conciliazione tra scienza e fede e cioè le verità rivelate potevano
essere comprensibili attraverso rivelazioni razionali. Non mancano comunque
anche interessi filosofici inerenti a Platone. 2 autori da cui prende
maggiormente spunto sono Sant'Agostino con le sue confessioni, e Boezio
con il suo “De consolatione filosofiae”, dove la filosofia assume la stessa
funzione che per ha Dante, quella di consolare gli uomini dagli affanni della
vita. Dante è il padre della letteratura, ma anche della lingua italiana. A lui si
deve la creazione di un volgare letterario, che ha espresso nella sua opera in
latino, il “De vulgari eloquentia”,concepito come un modello astratto adatto
allo stile alto e sublime, ovvero lo stile tragico. Quando scriverà la Commedia
quest'idea cadrà in quanto rimanda allo stile medio. Il volgare sarà utilizzato
non soltanto per trattare temi alti e sublimi, ma per trattare la realtà nei suoi
vari aspetti dai più alti e più bassi. Questa concezione del volgare adatta solo
allo stile tragico, nella stesura della Commedia decade. La formazione
culturale di Dante fu varia: egli si interessò a tutte le espressioni liriche
italiane e straniere, come la lirica cortese, provenzale, siciliana, siculo-toscana
e stilnovismo.
LE RIME: Dante nel corso della sua vita scrive ben 54 componimenti, più 26
liriche senza attribuzione all'autore, più 26 liriche di poeti corrispondenti che
inviano dei componimenti a Dante, a cui lui stesso risponde. Il Canzoniere di
Dante non è stato organizzato dall’ autore stesso, ma dai moderni editori,
stessa cosa “Le Rime”, le quali non si trovano in nessun opera di Dante.
Distinguiamo vari gruppi di liriche a seconda dei temi affrontati: 1. Rime
stilnovistiche, scritte da Dante tra il 1283 e il 1293. I temi principali sono la
lode della donna e gli effetti psicologici che ne conseguono. È molto evidente
l’influenza di Guinizzelli e Cavalcanti. Si utilizzano rime dolci e leggiadre. 2.
Rime allegoriche e dottrinali, dove Dante canta il suo amore per una donna
gentile che allegoricamente è la filosofia. 3. Rime morali, composte da Dante
quando si integrò nella vita politica del comune di Firenze. L’autore si
presenta come cantor rectudinis e appare come un conservatore che
rimpiange gli antichi valori cortesi e condanna la corruzione del tempo. 4.
Rime fatte negli anni dal 1293 al 1296, che formano la cosiddetta Tenzone a
Forese Donati, ovvero tre sonetti inviati all’amico, con tre altrettanti di
risposta dal destinatario. Linguaggio plebeo, ricco di invettive mordaci. 5.
Rime petrose, indirizzate a una certa Madonna Pietra, dove Dante si rifà al
trobar clue di Arnaut Daniel. Componimenti che hanno come protagonista
Madonna Pietra di cui si sconosce l’identità. Probabilmente si tratta di un
senhal volto ad individuare la durezza e la malvagità della donna. Rivoluzione
tematica e stilistica: mentre nelle rime stilnovistiche avevamo una concezione
spirituale dell’amore, nel senso che l’amore consentiva di elevarsi fino a Dio,
nelle rime petrose abbiamo una concezione più sensuale dell’amore che
devasta l’amante fino a condurlo alla morte. Non c’è più una donna
angelicata, ma assume tratti sensuali, fatta di carne e sangue, l’amore diventa
una passione erotica che genera sofferenza. Scompaiono le rime dolci e
leggiadre per dare spazio a rime rare, aspre e difficili. A livello lessicale vi sono
temi astrusi, complessi. A livello retorico abbiamo un’abbondanza di figure
retoriche. A livello sintattico abbiamo la prevalenza di subordinate, anastrofi,
chiasmi, iperbati. 6. Rime dell’esilio(1302-1307), in cui Dante compare come
exul immeritus, colui che ha subito l’esilio immeritatamente e che giudica tale
pena come un onore. Ritornano i temi come il rimpianto per il passato e
l’aspra critica per il presente, in cui ha trionfato il profitto, il guadagno,
l’avarizia e la cupidigia della borghesia.
CONVIVIO: Dante compone quest’opera tra il 1304 e il 1307, durante gli anni
dell’esilio. L’opera avrebbe dovuto avere 15 trattati, ma Dante ne compone 4,
il cui primo funge da introduzione. Si presenta come un prosimetro in cui
convergono parti in versi e in prosa, infatti inserisce 3 canzoni in versi ed 1
commento in prosa. Mentre ne La Vita Nova narrava un’esperienza
soggettiva, ovver l’amore per Beatrice ed era un’opera giovanile, nel Convivio
affronta temi scientifici e filosofici, tant’è che verrà definita enciclopedia del
sapere medievale, ed è un’opera della maturità. Dante nel Convivio esprime
tutto il suo amore per la filosofia, per la sapienza, indicata allegoricamente
mediante la terminologia di “donna gentile”. Dante ha interrotto l’opera
probabilmente perché stava scrivendo la sua opera più importante, ovvero la
Commedia. Mentre nel Convivio egli esalta la filosofia, nella Commedia questa
disciplina viene soppiantata dalla teologia. Il primo trattato funge da
introduzione perché Dante vi chiarisce gli scopi e l’intento dell’opera. Parte
con la spiegazione del titolo:”IL TERMINE CONVIVIO RIMANDA AL TERMINE
LATINO CONVIVIUM CHE SIGNIFICA BANCHETTO”; Dante immagina di
allestire un banchetto in cui si somministra il pane degli angeli che
metaforicamente indica gli argomenti filosofici e scientifici trattati dai dotti,
infatti descrive una tavola allestita in cui sono seduti i maggiori intellettuali di
quel tempo che discutono circa temi filosofici e scientifici. Il cibo viene distinto
metaforicamente in vivande e pane: le vivande sono allegoria delle canzoni in
versi e il pane allegoria del commento in prosa. Dante si raffigura ai piedi di
tale mensa a raccogliere le briciole del sapere, in quanto il suo intento è
quello di divulgare a un pubblico più ampio possibile queste conoscenze. Il
Convivio è dedicato a tutti coloro che per impegni familiari e per difetto di
luogo si sono mostrati desiderosi di sapere, ovvero i filosofi. L’opera è scritta
in volgare in quanto: 1. Non è erivolta ad un pubblico di specialisti; 2. Per non
screare disomogeneità tra le parti in versi ed in prosa; 3. Perché Dante giudica
il volgare con la stessa dignita del latino. Dopo aver spiegato le ragioni
dell’opera, si apre il secondo trattato dove viene inserita la canzone “ voi che
‘ntendendo il terzo ciel movete”, in cui compare la struttura del Paradiso
formato da 9 cieli con le menti celesti. La canzone è dedicataalla gerarchia
angelica del terzo cerchio del Paradiso. Dante vi espone il tema
dell’immortalità dell’anima e comincia a introdurre la figura della donna
gentile, ovvero della filosofia di cui ne parlerà nel trattato successivo. Nel
terzo trattato viene inserita la canzone “Amor che ne la mente mi ragiona”,
la quale è un inno alla sapienza perché viene approfondita la figura della
donna gentile. Nel quarto trattato inserisce la canzone “Le dolci rime
d’amore io solia”, dove Dante discute del problema della nobiltà. Il poeta si
distacca dalla concezione aristocratica di Federico II, secondo cui la vera
nobiltà è quella di sangue. Vi si trova anche il tema politico della necessità di
un impero universale, creato dai Romani, che deve mettere fine a tutte le
lotte politiche di quel tempo. Tale tematica sarà espressa nella Monarchia. Per
quanto riguarda lo stile, il Convivio è una prosa filosofica in volgare ispirata ai
classici latini con struttura argomentativa, infatti Dante fa una tesi sostenuta
da argomentazioni. Prevale una struttura ipotattica, con un linguaggio
complesso, filosofico e dotto.
DE VULGARI ELOQUENTIA: è un’opera composta tra il 1304 e il 1307, il cui
titolo si traduce “Sull’eloquenza del volgare”. L’opera non è in volgare, ma in
latino perché indirizzata ad un pubblico dotto. Quest’opera doveva
comprendere 4 libri, ma Dante ne scrive 1 e mezzo. Può essere considerato un
manuale di retorica volto a fissare le norme per l’uso del volgare come lingua
letteraria. Dante si propone di trovare un volgare che sia adatto allo stile
tragico, alto e sublime, e si rifà alla poetica medioevale degli stili, secondo cui:
1. Lo stile tragico è alto e sublime; 2. Lo stile comico è medio; 3. Lo stile
elegiaco è basso. Nel primo libro, abbiamo la definizione di questo volgareche
ha delle caratteristiche ben precise. Esso deve essere: 1. ILLUSTRE, perché
deve fare lustro a tutti coloro che ne fanno uso; 2. CARDINALE, deve costituire
da cardine attorno al quale ruotano tutti gli altri volgari; 3. AULICO o REGALE,
da aula=reggia, nel senso che se in Italia ci fosse stata una reggia tale volgare
sarebbe stato utilizzato all’interno di essa; 4. CURIALE, perché il volgare è la
lingua adatta per essere utilizzata nelle corti. Quindi Dante passa a scrivere la
storia della lingua partendo dalla confusione linguistica della Torre di Babele,
descrive le caratteristriche della lingua d’oil, d’oc e del si ed esamina i vari
dialetti della penisola italiana individuando principalmente 14 varietà di
volgare, però precisa che in nessuno di essi si identifica il volgare ideale,
anche se tali volgari riconosciuti potrebbero diventare ideali se si spogliano
dei loro limiti provinciali(eliminare terminologie rozze, basse e plebee). Nel
secondo libro si sofferma a trattare gli argomenti che devono essere trattati
da questo volgare illustre, ovvero argomenti amorosi, epici, morali. La
struttura metrica è la canzone: Dante descrive la struttura della canzone, ogni
strofa è composta da un’aòternanza di endecasillabi e settenari, ogni strofa
divisa da una fronte in due piedi, e da una sirma in due volte. Il libro si
interrompe bruscamente.
LA MONARCHIA: é un'opera composta tra il 1310 e il 1313, divisa in tre libri.
Nel primo libro Dante appare come garante della monarchia universale,
sostiene la potenza di un unico imperatore a capo di tutti gli altri re, che
coordini l' operato di tutti i regnanti e si faccia garante della giustizia, e che sia
arbitro tra le loro contese. Nel secondo libro Dante si riferisce all'impero
romano voluto direttamente da Dio, che aveva fatto in modo che il popolo
romano pacificasse l'impero per accogliere il messaggio di Cristo, nato sotto
l'impero di Tiberio. Infine, nel terzo libro, appare espresso il pensiero politico
di Dante, ovvero la famosa teoria dei due soli: il potere spirituale del Papa e il
potere terreno dell’ imperatore sono autonomi, ma complementari perché
brillano di luce propria come il sole, e perché il compito dell’ imperatore è
quello di garantire al popolo felicità terrena, mentre il Papa deve garantire agli
uomini beatitudine eterna. Siccome il compito del Papa è ben più alto,
l'imperatore deve concedergli omaggio riverenza. Dante non appoggia nè il
commento dei filoimperiali che credevano che le autorità imperiali fossero
superiori al potere spirituale, nè appoggia il pensiero politico dei filopapali, di
coloro che pensavano che il potere spirituale fosse superiore a quella
imperiale.

VITA NOVA: è un'opera composta da Dante tra il 1290 e il 1293. Il titolo sta
per indicare un rinnovamento spirituale della vita del poeta nel periodo di
traviamento. Si presenta come un prosimetro, parti in versi e parti in prosa,
raccogliendo alcune liriche scritte in giovinezza a cui fa seguire o precedere un
commento in prosa. La vicenda del suo amore per Beatrice si snoda in 42
capitoli ed è divisibile in 3 parti. Dopo un bravissimo incipit che comprende il
primo capitolo in cui Dante utilizza la metafora del libello per indicare la
memoria, il ricordo, il sommo poeta racconta il primo incontro con la sua
donna amata avvenuto a soli 9 anni nel 1274. I due erano presso a poco
coetanei perché Dante stava entrando nel nono anno di età, mentre Beatrice
aveva all'incirca 8 anni e quattro mesi. Dante rimane particolarmente colpito
dalla bellezza della donna. Notiamo subito l'importanza del numero 9, come
forza semantica fortissima con un significato allegorico in quanto il 9 è
multiplo di 3 rimandando alla Trinità divina, perché Dante vuole sottolineare
fin da subito il carattere miracoloso della donna Beatrice, che è una donna
angelo. Il secondo incontro avviene a 18 anni, dopo appunto 9 anni. Un
giorno in chiesa, in cui sono presenti entrambi, Dante rivolge uno sguardo
intenso alla sua donna amata; per i fedeli in realtà non sta guardando
Beatrice, ma una donna che si era frapposta tra i 2, ovvero una donna
schermo(topos della lirica cortese). Beatrice comprende l'interesse di Dante e
gli porge saluto, inteso come fonte di beatitudine e salvezza. Successivamente
i due si rincontrano di nuovo in chiesa: Dante guarda Beatrice e si frappone
tra loro una seconda donna schermo; a Dante la cosa non dispiace perché ciò
serve per preservare Beatrice dalle malelingue. Ciò disturba molto le
chiacchiere della gente, secondo cui Dante guardava queste donne anziché
Beatrice, suscitando appunto la gelosia della donna amata che gli nega il
saluto. Dante cerca di essere felice in un altro modo visto che la donna gli ha
negato il saluto e decide di scrivere delle rime in lode a Beatrice, l'unico
mezzo di appagamento è la lode della donna amata. Il poeta viene turbato
una notte da una visione che preannuncia la morte di Beatrice, che avviene
poco dopo realmente. Dopo la morte di Beatrice vi è un periodo di sofferenza
per il poeta tanto che si dedica all'amore di una donna gentile, dove non è
specificato all'interno della Vita Nova; poi nel Convivio ravvisiamo che era la
filosofia, la quale lo consolava per la morte di Beatrice. Dopo poco tempo,
Dante ha un'altra visione di Beatrice, beata in cielo posta tra i beati in
Paradiso, che lo rimprovera aspramente per essersi interessato ad un'altra
donna. Così Dante decide di interrompere la sua storia per dire in seguito
quello che non fu mai detto ad alcuna. Si propone di trattare più degnamente
di Beatrice. Alla fine Dante ha l'ultima visione, la mirabile visione sempre di
Beatrice. Dalla narrazione della trama la vicenda si può suddividere in tre parti
a cui corrispondono tre diversi stati dell’amore: la prima parte riguarda
l'amore cortese dunque gli effetti psicologici dell'amore; nella seconda parte
incontriamo la lode quella della donna amata e si tratta di un amore fine a se
stesso; nella terza parte invece vi è la morte della gentilissima che si riallaccia
all’amore mistico, in quanto dopo la morte di Beatrice, l’amore del poeta nei
confronti della donna angelo è paragonabile all’amore dei fedeli verso Dio.
Dal punto di vista stilistico, Dante abbraccia in pieno le novità stilistiche dello
stilnovismo. Il pubblico è cortese e colto come quello di guinizzelli e
cavalcanti. Per quanto riguarda la concezione figurale, dal punto di vista
stilnovistico è la stessa di guinizzelli e cavalcanti, i quali parlano di fedeli
d’amore.
LA COMMEDIA: Secondo molti storici non fu Dante a dare il titolo di
“Commedia” alla sua opera. Nella XIII epistola a Cangrande Della
Scala(signore di Verona, presso cui fu ospite, nonché dedicatario del
Paradiso), Dante scrive:”IL TITOLO DEL LIBRO è << COMINCIA COSì LA
COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI FIORENTINO DI NASCITA, MA NON DI
COSTUMI.>>”. Vuol dire che Dante si sentiva fiorentino di nascita, in quanto
nato a Firenze, ma non si sentiva più appartenente alòla civiltà del suo tempo,
poiché profondamente in crisi. I critici prendendo spunto da tale
affermazione, sono arrivati al titolo di Commedia, anche perché nei passi
dell’Inferno egli afferma:”Questa comedìa è mia come dìa”. Quindi per i critici
il titolo dell’opera poteva essere o “commedia”, o “comedia” o “comedìa”. In
tale epistola Dante chiarisce il significato della sua opera facendo una
differenza fra i generi della commedia e della tragedia: mentre la tragedia ha
un inizio felice ed un finale triste, la commedia inizia infelicemente per
terminare con un lieto fine. Quindi
Dante nella XIII epistola chiarisce che la sua opera è più vicina allo stile
commedia perché inizia con Dante smarrito nella selva oscura, e termina con
Dante che si trova al cospetto di Dio. Altro motivo che il titolo potrebbe
essere Commedia rimanda alla concezione medievale degli stili, secondo cui lo
stile tragico(alto) si abbina alla tragedia, lo stile comico(medio) si abbina alla
commedia e lo stile elegiaco(basso) si abbina all’elegia. Dante sostiene che la
sua opera è vicina allo stile medio. Inoltre, la commedia era quel genere che
si pèrostrava ad una varietas di temi e di stili e registri linguistici, infatti Dante
afferma che sebbene lo stile sia umile e dimesso(tipico delle donnette), in
esso si può riscontrare un pluristilismo e plurilinguismo. I critici, in merito alla
Commedia, parlano anche di realismo mimetico, ovvero ogni personaggio
presente nell’opera dantesca parla con il proprio linguaggio aderente alla sua
realtà geografica di provenienza e anche alla classe sociale di appartenzenza.
Un esempio è il termine “vecchio” che nell’Inferno, nel Purgatorio e nel
Paradiso viene usato in tre modi differenti, anche in base all’innalzamento
dello stile: infatti nell’Inferno Dante chiama “veglio” Catone, custode del
Purgatorio; e in Paradiso Dante chiama “sene” S. Bernardo, che guiderò Dante
alla visione di Dio. Inoltre nell’Inferno, dove ci sono i dannati costretti a subire
le pene infernali, vi è un lessico basso, con termini scurrili, rozzi e plebei,
anche se non mancano canti in cui lo stile si innalza, come ad esempio il 5
canto che parla dell’amore adultero di Paolo e Francesca. Nel Purgatorio
abbiamo un innalzamento di stilre, anche se non mancano episodi in cui viene
ripreso lo stile plebeo, come ad esempio nel 6 canto in cui Dante tramite il
personaggio di Sordello D’Agoito, fa una violenta invettiva contro la
corruzione che imperava in Italia in quel periodo. Nel Paradiso si ha uno stille
ancor più alto, in cui prevalgono latinismi, neologismi, arcaismi, provenzalismi,
un linguaggio alto; anche qui non mancano momenti in cui il linguaggio si
riconduce a quello infernale, quando ad esempio S. Pietro lancia una
maledizione contro i suoi successori che hanno portato la chiesa alla
corruzione. Nell’epistola XIII, Dante riprende la distinzione tra allegoria dei
poeti(senso letterale fittizio) e allegoria dei teologi(senso letterale vero), che
Dante aveva ripreso nel Convivio. Dante utilizzandola, vuole far capire che la
sua esperienza è un fatto realmente compiuto. Dante chiarisce che la sua
opera ha un valore polisemico, in quanto in essa possiamo rintracciare un
significato letterale, allegorico, morale, pedagogico, analogico ecc. Le date di
pubblicazione dell’opera sono incerte, ma Petrocchi ci fornisce una via più
attendibile, secondo cui: tra il 1304-1308 Dante compone l’Inferno; tra il 1309
e il 1312 Dante compone il Purgatorio; tra il 1316-1321 Dante compone il
Paradiso. Non c’è arrivato il manoscritto originale del poeta. La struttura
dell’opera si basa sull’importanza del numero 3, allegoria della Trinità Divina,
e quindi i numeri su cui si basa l’opera sono il 9(multiplo di 3) e il 10(multiplo
di 3 più 1 che simboleggia Dio uno e Trino). La Commedia è divisa in 3
cantiche, ciascuna formata da 33 canti, tranne l?inferno che ne presenta 34,
poiché uno è introduttivo. La strofa è la terzina e prevede una rima
incatenata. Anche la struttura dei tre regni dell’Oltretomba rimanda alla
numerologia simbolica prima descritta: L’Inferno è strutturato in 9 cerchi più
l’Antinferno(zona in cui vi sono gli ignavi, i quali non sono voluti né da Dio né
da Satana); il Purgatorio è formato da un Antipurgatorio, 7 cornici e il Paradiso
terrestre; il Paradiso è formato da 9 cieli e l’Empireo. Dante nell’opera
racconta che il suo viaggio comiciò la notte del giovedì-venerdì santo, tra il 7-8
aprile del 1300 e conclusosi il mercoledì dopo Pasqua, 13 aprile 1300. Dante
all’alba del venerdì santo fino alla domenica di Pasqua visita l’Inferno, il
giorno di Pasqua fino al mercoledì dopo Pasqua è in Purgatorio e il mercoledì
stesso visita il Paradiso. L’anno è il 1300, dove papa Bonifacio VIII convocò il
Primo Giubileo. Dante immagina di fare il suo viaggio in un tempo
antecedente rispetto alla stesura della Commedia. Quindi visita i tre regni
dell'oltretomba: l’Inferno è dove sono collocati i peccatori peggiori, da cui non
possono più uscire; il Purgatorio è il regno della purificazione spirituale, dove
sono collocate le anime salvate da Dio, ma che hanno bisogno di scontare un
determinato periodo di espiazione per poi accedere al Paradiso; il Paradiso è il
regno dove sono collocate le anime beate salvate dalla grazia divina. Dante
incontra moltissime anime di diversa provenienza geografica, diversa classe
sociale e si ferma spesso a parlare con loro. Dante, essendo un uomo del
medioevo, non ritiene che ci sia un rapporto stretto di causa-effetto tra gli
avvenimenti storici, ma individua gli eventi storici come frutto della volontà
di Dio. A tale visione provvidenziale della storia si lega la concezione figurale,
caratterizzata da figura e adempimento, entrambi reali e storici. La vita
terrena delle anime è considerata un’ombra del mondo ultraterreno ed è
importante perché gli uomini con i loro atti stabiliscono il loro destino
ultraterreno. Secondo la concezione figurale della storia, essa si può dividere
in due fasi: tutto ciò che c'è prima della nascita di Cristo presenta la fase
classica; tutto ciò che avviene dopo presenta la fase cristiana. Tale concezione
della storia giunge all’utilizzo del sincretismo, ovvero la fusione tra elementi
classici con elementi cristiani. Virgilio è collocato nel Limbo, il primo cerchio
dell'inferno, dove vi sono i bambini non battezzati e gli spiriti grandi vissuti
prima di Cristo. Beatrice ha portato Dante a compiere buone azioni, lo ha
sempre indirizzato verso il cielo, ed è per questo che è collocata nella Candida
Rosa, beata tra i beati, concetto già anticipato nella Vita Nova. Il viaggio di
Dante assume una duplice valenza, già ravvisabile nei primi due versi del
primo canto dell’inferno: “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in
una selva oscura”. Attraverso l'aggettivo “nostra”,Dante vuole sottolineare
che il suo viaggio ha una valenza universale ed è valido per tutti gli uomini,
oltre ad avere una valenza individuale. Dante compie questo viaggio dopo un
periodo di traviamento morale, seguito alla morte Beatrice. Dante ha bisogno
di purificarsi dai peccati e per questo compie tale percorso. Nello stesso
tempo gli vuole mostrare all'umanità la retta via. Anche l'umanità, come
Dante, deve redimersi e per questo egli deve mostrare a tutti gli uomini ciò
che ha visto nell’oltretomba in modo tale che l'umanità riacquisisce la retta
via. Dante nel secondo canto dell’inferno, dopo aver incontrato Virgilio,
cominciò ad avere dei seri dubbi, cioè che egli non sia all'altezza di compiere
tale viaggio, che nella storia hanno compiuto solo Enea e San Paolo. Virgilio,
nel sesto libro dell'Eneide, parla di Enea che scende nell’oltretomba pagano e
incontra il padre Anchise, il quale gli predice il destino glorioso di Roma che
sarebbe diventata grande e avrebbe instaurato un glorioso impero. San Paolo
fu l’altro personaggio che da vivo è asceso al cielo. Il viaggio di Enea e San
Paolo è un viaggio provvidenziale voluto da Dio. Virgilio rassicura Dante
dicendogli che il suo è un viaggio provvidenziale. Infatti Virgilio racconta,
mediante un flash-back, che Beatrice si era spostata dalla candida rosa dei
beati ed era scesa fino al limbo per pregare il poeta di sostenere il pellegrino
Dante nel viaggio nell’Inferno e nel Purgatorio. A sua volta Beatrice era stata
sollecitata da Santa Lucia, alla quale Dante era stata devota, che a sua volta
viene sollecitata da Dante. Virgilio sottolinea che il viaggio di Dante è stato
voluto da tre donne benedette. Il viaggio di Dante si oppone a quello di Ulisse
perché quest'ultimo, con la sua tracotanza, osò sfidare Dio perché voleva
superare le colonne d'ercole e quindi fu punito con un naufragio ed, in
seguito, con la morte. Dante compie un viaggio che allegoricamente rimanda
alla situazione della Firenze contemporanea e del passato. I 3 regni
corrispondono a 3 situazioni diverse della storia della città: l’Inferno
corrisponde alla Firenze contemporanea afflitta da una crisi politica; il
Purgatorio rappresenta la possibilità della città di tornare allo splendore di un
tempo; il Paradiso rappresentala situazione della Firenze del passato in cui
regnavano gli antichi valori feudali. All’interno dei 3 regni, bisogna distinguere
la figura di Dante, che da un latto appare personaggio, dall’altro autore.
Pertanto abbiamo la figura del narratore omodiegetico e onnisciente, che
conosce passato, presente e futuro, quest’ultimo non combacia con la figura
di Dante personaggio in quanto è in preda agli eventi.
Il ‘300 è caratterizzato da processi di profonda trasformazione e transizione
storico-politica, socio-economica e culturale. Tale periodo può essere
descritto come “autunno del Medioevo”, nel senso che tale periodo di
transizioni e trasformazioni dà vita ad un nuovo scenario. In questo periodo
assistiamo ad una crisi dell’Impero e della Chiesa, vediamo il consolidarsi delle
monarchie nazionali e l’affermarsi delle signorie. Sul piano economico,
possiamo vedere una profonda recessione, dovuta alle epidemie, che causano
spopolamento delle aree urbane e delle campagne: famosa è la peste nera
del 1348, citata da Boccaccio nel Decameron. L’impoverimento della
popolazione causerà delle lotte tra classi sociali. Dopo la morte
dell’imperatore Arrigo VII, l’impero va in crisi. A partire dalla Bolla d’Oro del
1356, la corona imperiale verrà assegnata a 7 elettori tedeschi. L’impero
diventerà privo di ogni concreta capacità d’azione. Assistiamo anche ad una
crisi del Papato. L’ultimo grande papa teocratico fu Bonifacio VIII, ma alla
morte di quest’ultimo nel 1309, la sede pontificia venne spostata ad
Avignone; ciò garantisce la perdita dell’autonomia del papato. La Chiesa vive
un periodo di difficoltà anche a causa di proble mi interni, dovuti alla
mondanizzazione della vita nella corte papale in cui sono frequenti il lusso, le
abitudini secolari, il dispendio delle risorse non legati alla fede e alla
spiritualità. Si avvisa quindi la polemica da parte dei francescani, che volevano
il ritorno della sede pontificia a Roma e volevano attuare una riforma
spirituale. In questo contesto si registra il tentativo di Cola di Rienzo, nel 1347,
di instaurare le istituzioni repubblicane a Roma. Cola cerca di restaurare i fasti
della Roma repubblicana e di restituire alla città la funzione di guida spirituale
della cristianità. Alla fine del secolo, il mondo cattolico si spacca
ulteriormente: papa Gregorio XI riesce a riportare la sede pontificia a Roma
nel 1377, ma la sua morte prematura crea una drammatica scissione. In
quanto al soglio pontificio vennero eletti due papi, uno italiano ed uno
francese. Questa spaccatura è chiamata Scisma d’Occidente e durerà fino al
1417. Alla decadenza dell’Impero e della Chiesa si contrappone l’affermazione
degli Stati Nazionali. In Francia vediamo effettuarsi una politica
sull’accentramento del potere. Questo progetto viene attuato grazie
all’organizzazione di un apparato burocratico di funzionari che esercitano
varie forme di potere per indebolire i signori locali. Abbiamo una
trasformazione della concezione dello Stato, in cui accanto al potere centrale
si riconoscono organi assembleari di tipo rappresentativo che riuniscono gli
esponenti degli strati sociali più importanti. L’affermazione degli Stati
Nazionali contribuisce allo sfogo della Guerra dei Cent’anni che oppone
Francia e Inghilterra dal 1337 al 1453. Tale guerra diviene un affare che
arricchisce i soldati mercenari e le compagnie bancarie che finanziano
monarchie e principi. La difficoltà a pagare i debiti, causerà tracolli e fallimenti
all’interno delle famiglie di banchieri, come quelle dei Bardi e dei Peruzzi. Fra
il XII e il XIII secolo la fioritura del mondo comunale aveva portato alla ribalta
nuovi modelli politici, sociali ed economici. Questo mondo era incline
all’espansione. Nel XIV secolo assistiamo a una riorganizzazione del sistema
economico e sociale. Si verifica da parte delle elites economiche, l’espansione
del proprio territorio verso le campagne, approdando ad una
rifeudalizzazione. All’interno del comune abbiamo un divario fra le classi come
il Tumulto dei Ciompi, del 1378. In Italia si afferma la nascita delle Signorie, al
cui vertice vi è il signore che riesce ad affermare il suo potere ed a controllare
la città per via indiretta. Nacquero le signorie degli Estensi, dei Visconti, degli
Sforza, dei Dapolenta, degli Scalingeri e dei Carrara. La crisi avvenuta nel ‘200
non comporta una crisi del mondo urbano, ma una sua trasformazione. Alla
fine del ‘300 assisteremo a un rafforzamento delle oligarchie cittadine, ma
anche ad una trasformazione della figura del mercante. Sul piano dei modelli
culturali, la borghesia urbana si avvicina sempre di più all’aristocrazia
cittadina. Dante stesso nella Commedia aveva parlato di un’età dell’oro del
mondo urbano, non contaminato dalla corruzione, ispirato ai valori di
gentilezza e nobiltà trasmessi dalla cultura cortese. Nei decenni, però
possiamo cogliere dei segni di un’involuzione nella borghesia mercantile, che
è protagonista delle novelle del Decameron di Boccaccio, in cui si avverte la
nostalgia per i valori cortesi. Le università sono caratterizzate da un processo
di trasformazione, in cui maturano la decadenza della scolastica e il declino
del simbolismo e dell’allegorismo. Si affermano nuovi auctores, come
Agostino. I francescani sostengono la centralità dell’esperienza, con la netta
separazione degli ambiti che la scolastica aveva ispirato a tenere uniti.
Fondamentale è il pensiero di Guglielmo di Ockham, il quale pensa che
l’esperienza è al centro di ogni prospettiva di conoscenza. Alla base di questo
atteggiamento domina un’esigenza di libertà, che si esprime nel bisogno di
svincolare il pensiero filosofico dal controllo della teologia, ma anche della
tirannia del principio di autorità, in primis da quella di Aristotele. In questo
quadro acquista rilievo anche la decisa separazione tra filosofia e letteratura.
Alla logica e alla dialettica, vengono opposte la retorica e l’eloquenza. Su
questa linea si collocherà Petrarca, che sosterrà la superiorità della poesia e
della letteratura su tutte le altre arti e scienze. In questo periodo Petrarca
sceglie di farsi incoronare poeta laureato a Roma, nella speranza di dare un
valore alla città eterna. Anche il recupero delle lettere classiche faceva
emergere il suo attaccamento alla città di Roma. Molto importante è anche il
suo soggiorno presso il re di Napoli Roberto D’Angiò. Tale incontro fu voluto
principalmente da Dionigi da Borgo Sansepolcro. Sempre a Napoli, il sovrano
aveva commissionato delle opere a Giotto. Queste iniziative rivelano un
progetto di politica culturale, volto ad esaltare gli eroi del passato , assunti a
modello per i moderni. Con la morte di re Roberto, assistiamo ad un culto per
la classicità e recupero delle lettere latine. Con Petrarca abbiamo un
intellettuale che concepisce il proprio ruolo culturale al di là di un’ottica
strettamente municipale, che si realizza grazie alla sua straordinaria mobilità.
Nascono nuovi centri culturali, laici, coincidenti con le corti signorili. Possiamo
parlare della nascita di un mecenatismo culturale, in quanto il sovrano ama
attorniarsi di intellettuali ed artisti. Ed è proprio con l’affermarsi di
quest’ultimo che Petrarca definisce quello che, secondo lui, è l’intellettuale
ideale. Con Petrarca si profila l’idea che l’attività dell’intellettuale e la scrittura
costituiscano una vera e propria professione. Boccaccio, invece, svolgerà un
ruolo più marcato di meditazione tra i poeti stilnovisti e quelli della sua
corrente. In lui possiamo intravedere persistenze medioevali e uno spirito
umanistico. Egli crea una nuova forma di narrazione in prosa e l’ottava rima,
che verrà utilizzata dagli autori successivi. Boccaccio è stato definito un
rivoluzionario dissimulato, in quanto incarna un tipo di intellettuale ibrido,
complesso. Egli riconosce che vi è un nuovo pubblico borghese e femminile, e
vi sono nuove forme d’accesso non specialistico alla lettura. Egli fu
sicuramente un uomo partecipe all’autunno del medioevo: da un lato egli
mostra un attaccamento al passato, dall’altro le sue scelte approdano ad una
centralità della cultura laica, più affine all’epoca umanistica. Questo è il
periodo in cui si avvisa un allargamento del pubblico, formato da donne, e da
popolazione appartenente al ceto borghese. Il pubblico sente ormai la
necessità di essere circondato da cultura, per cui la letteratura si esprime
come intrattenimento e svago. Memorabile sarà la rivisitazione della
Commedia di
Dante da parte di Boccaccio nella Chiesa di S. Stefano in Badia a Firenze nel
1373. Firenze resta sempre il centro più fervido di cultura, ed è affiancata da
numerosi centri di notevole cultura. Le università sono al centro di
trasformazioni, in quanto subiscono una nazionalizzazione o regionalizzazione
perdendo la loro caratteristica di istituzioni internazionali. Il potere dei sovrani
mira a tenere sotto controllo tali istituzioni. In questo periodo si nota la
graduale aristocraticizzazione degli allievi e dei docenti. Oinoltre, all’interno
delle università, si coltivano vari interessi connessi sicuramente all’epoca
umanistica che incombe. Sarà molto innovativa la cattedra di greco presso lo
Studio cittadino di Firenze, assegnata a Leonzio Pilato. Tra il XIV e il XV secolo
assistiamo ad una netta trasformazione delle biblioteche. Assistiamo ad un
recupero dei classici, grazie alla ricerca spasmodica di manoscritti rari e
preziosi. Basta pensare alle grandi scoperte filologiche, che porteranno alla
scopertas di testi fino ad allora sconosciuti. Al centro di quest’attività si
collocano Petrarca e Boccaccio. Sorgono le biblioteche private, dovute
all’iniziativa di intellettuali che raccolgono libri rari e poco noti, collezionati e
scambiati in una fitta rete di relazioni. Petrarca ricercherà testi rari e li farà
circolare in tutta Europa. A seguito di questa iniziativa aumenta il numero di
codici in circolazione e molti signori diventano bibliofili. Le feconde amicizie
tra intellettuali che si intessono in Italia, permettono l’avanzata di una
sensibilità pre-umanistica. In questa direzione si affermerà Boccaxxio che nella
sua casa creerà un vero e proprio cenacolo intellettuale. Un intellettuale
come Sennuccio del Bene aveva riunito nel suo cenacolo intellettuali come
Zanobi da Strada, Francesco Nelli e Forese Donati. Nel ‘300 persistono ancora
modelli di genere, lingua e stile che avevano caratterizzato la produzione
duecentesca. Infatti sul versante della lirica si mantengono vivi modi e temi
dell’esperienza stilnovistica. Franco Sacchetti è noto per la sua raccolta
“Trecentonovelle”, ed è noto per aver composto più di 300 rime di genere e
metro vari. Nella sua produzione lirica, raccolta nel “Libro delle rime”, egli
raccoglie ballate, madrigali, frottole e cacce del sentimento amoroso.
Sennuccio del Bene riprende i temi amorosi dello Stilnovismo in maniera
limitata, nei ritmi di un’armoniosa musicalità. Una sola canzone è dedicata al
tema politico. La centralità della lezione dantesca si avverte nella persistenza
del genere allegorico-didattico. Nei primi decenni del ‘300, Francesco da
Barberino compone “documenti d’amore”, destinata ad un pubblico maschile,
e “Reggimenti e costumi di donna”, destinata ad un pubblico femminile, dove
vengono forniti i modelli di comportamento in cui i precetti dell’amore
cortese si calibra sull’esperienza borghese umana. Sulla linea di imitazione
dantesca abbiamo Fazio degli Uberti, il quale nel suo “Dittamondo” riprende il
metro in terzine e l’espediente del viaggio. L’esempio di Dante si avverte per
tutto il secolo, anche se dà vita ad opere che non vanno oltre l’intento morale
enciclopedico. L’ineguagliabilità del modello è dimostrata anche da Petrarca
nei “Trionfi” e da Boccaccio ne “L’amorosa visione”. Cecco D’Ascoli, nella
composizione de “L’Acerba”, invece, si pone con un intento polemico
antidantesco, volto a dimostrare che un’opera dottrinaria e didascalica non
poteva affermarsi sull’espediente del viaggio oltremondano, né doveva
ricorrere all’allegorismo religioso. Le conoscenze fisiche, astronomiche e
astrologiche vengono presentate in forma enciclopedica e il linguaggio è
oscuro. Anche se Cecco si pone in netto contrasto con Dante, notiamo che
nella sua opera ebbe l’influenza da quest’ultimo per quando riguarda il metro
della terzina in endecasillabi. Nel ‘300 assistiamo anche a varie forme di
realismo. Pieraccio Tedaldi affiancherà il genere comico-realistico a interessi
di natura morale e religiosa. L’influenza comica la avvertiamo anche nelle rime
di Bindo Bonichi. Si intensifica una produzione di carattere popolareggiante,
legata all’esperienza locale, con finalità educative, di polemica civile o di
pubblico divertimento. La personalità che meglio sintetizza questa tendenza è
Antonio Pucci, il quale fu autore di cronache in versi, di cantari sia di
tradizione romanzesca , di numerose opere generate da eventi e situazioni
dell’attualità. Fin dal XIII secolo si era affermata nel contesto comunale una
prosa in lingua volgare, che dava spazio alla nascita di nuovi generi letterari, i
quali puntavano alla brevitas. Poco spazio si dava all’approfondimento
psicologico, mentre l’emergere di tratti realistici era soppiantato da temi
piuttosto fiabeschi. L’aspetto fondamentale di questi nuovi generi constava
nell’adozione del volgare. La produzione in prosa della seconda metà del XIV
secolo si confronta con il modello boccacciano della cornice. Tra le opere
dotate di cornice abbiamo: il Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino e il
Novelliere di Giovanni Sercambi. La più originale opera novellistica post-
boccacciana è il Trecentonovelle di Franco Sacchetti, della quale possediamo
solo 222 novelle. L’autore pone tali novelle in un ordine casuale e ciò consiste
un maggiore impatto con l’attualità sulla narrazione. Caratteristico, in
quest’opera, è il moralismo su cui le novelle convergono. Tra le esperienze
innovative del periodo abbiamo la riscoperta dell’antichità classica. I segnali
di novità variano a seconda dei vari centri della penisola. Nelle aree di più
largo successo della letteratura volgare duecentesca, si riscontra il maggiore
conservatorismo, ovvero attaccamento ai classici. È il caso del fiorentino
Zanobi da Strada, amico di Petrarca e Boccaccio, autore di testi in latino e
volgarizzamenti da autori classici o cristiani. Un ruolo di primo piano della
diffusione della poesia in volgare lo ha Padova, dove operano autori come
Lovato de’Lovati e il suo allievo Albertino Mussati. Sarà poi la seconda
generazione trecentesca,a portare avanti i valori codificati con Petrarca.

FRANCESCO PETRARCA: con lui la lirica diventa un genere letterario che è


espressione dello stato d’animo, dei sentimenti e delle emozioni del soggetto
poetante. Mentre Dante nel 1302 veniva mandato in esilio, Petrarca nasce già
in esilio, nel 1304 ad Arezzo da una famiglia borghese fiorentina di parte
bianca. Il padre, che era un notaio molto importante di Firenze, viene esiliato
nel 1302 insieme ad altri esponenti dei bianchi e si rifugia ad Arezzo. Dante
anche dopo l'esilio si impegna politicamente, mentre Petrarca predilige il
culto della letteratura istituendo l’otium letterario, che è una tipica
concezione umanistica. Dante predilige il pluristilismo e il plurilinguismo,
mentre Petrarca preferisce il monolinguismo e il monostilismo. Nel 1312 la
famiglia si trasferisce ad Avignone, in Francia, sede della curia pontificia, in cui
Petrarca viene avviato agli studi giuridici. Ha frequentato le università di
Montelleur, di Bologna e infine torna ad Avignone senza aver conseguito il
titolo di studio. Il 6 aprile 1327 nella chiesa di Santa Chiara conosce Laura. La
data è simbolica perché è il Venerdì Santo e anche il nome “Laura” rimanda ad
“auro”, ovvero alloro che è la pianta sacra di Apollo, dio della poesia. Non
sappiamo chi si celasse dietro questo pseudonimo e non si sa se la donna
fosse realmente esistita. L’esistenza amorosa di Petrarca ebbe significati
importanti(allusioni simboliche), così come fu per Dante e Beatrice. Nel 1330
Petrarca prende gli ordini minori e non aveva una vera e propria parrocchia,
cosicchè poteva dedicarsi all’attività letteraria. Entra al servizio del cardinale
Colonna che gli conferisce incarichi importanti. Egli comincia a viaggiare
all'estero, ma anche in Itali,a alla ricerca affannosa di codici manoscritti del
passato che erano rimasti sepolti nelle biblioteche di abbazie, vescovati e
monasteri. Egli intende il viaggio sia come frutto dell’inquietudine minore, in
quanto non gli piaceva stare sempre nello stesso posto, sia come bisogno
insaziabile di conoscenza, infatti va alla ricerca di tali codici. A questa attività
del viaggiatore continuamente si contrappone un bisogno di pace, di
raccoglimento interiore. Si trasferisce a Valchiusa in Provenza, una località alla
foce del fiume Sorga, dove riesce a trovare quella serenità che lo spinge a
scrivere svariate opere letterarie. L’8 aprile del 1341, domenica di Pasqua,
viene incoronato sul Campidoglio dal Senato di Roma “poeta laureato”, sotto
il patrocinio del re Roberto d'Angiò. Il suo dissidio interiore si acuirà sempre di
più anche in seguito alla conversione religiosa del fratello Gherardo che aveva
deciso di diventare monaco di clausura, idea apprezzata molto da Petrarca
che in seguito la tralasciò a causa del contrasto tra attaccamento alle passioni
mondane e bisogno di cercare Dio(ragione e sentimento a confronto) e nasce
dall'impossibilità di conciliare l’umano con il divino. Sono anni in cui matura
una posizione politica ben precisa. Sostiene il ritorno a Roma da Avignone del
Papa e condanna le lotte tra stati italiani e sogna una restaurazione imperiale.
Il 6 Aprile 1348 muore Laura, a causa della peste nera che condannò a morte
migliaia di uomini. Comincia per lui un periodo di dolore intenso e ricomincia
a viaggiare. Nel 1350 si reca a Firenze dove incontra Boccaccio, con il quale
scambia un fitto epistolario. Si reca a Milano, presso i Visconti, dove riceve
numerosi incarichi. Quindi a Padova, a Venezia e nel 1370 si stabilisce
definitamente ad Arquà, vicino Padova sui colli Euganei e muore nel 1374 tra
il 18 e il 19 luglio. È un nuovo poeta(nuovo modello di intellettuale), nonché
letterato specializzato che mette l’attività letteraria al primo posto, che utilizza
il latino per la stesura della maggior parte di opere, ma non abbandona il
volgare con il quale scrive “I Trionfi” e “Il Canzoniere”. Petrarca intende le
due lingue in maniera diversa: il latino è la lingua pubblica, dei dotti europei,
della comunicazione tra intellettuali; il volgare, invece, è la lingua del privato,
dell’interiorità, della coscienza; non a caso le liriche del Canzoniere, che vanno
a ricostruire un’esperienza unitaria, riguardante la storia d’amore tra il poeta
e Laura, sono scritte in volgare. Non frequentò sistematicamente le scuole,
ma si formò da autodidatta nell’immensa biblioteca del padre che conteneva
classici latini, greci. Petrarca, infatti, sarà il primo bibliofilo moderno, in
quanto mette a punto un nuovo modo di leggere i classici, proprio per il suo
rapporto privilegiato con la cultura classica. Nella sua biblioteca privata sono
raccolte importanti scoperte, con le quali Petrarca ha restituito alla cultura
opere che erano ritenute perdute, come la Pro Archia di Cicerone. Inoltre,
Petrarca è conosciuto pure per la sua abilità da filologo, in quanto ricerca più
copie di uno stesso manoscritto per confrontarne le differenze ed
eventualmente intervenire. Petrarca mostra un atteggiamento nuovo nei
confronti degli auctores, che appaiono al poeta come un esempio di saggezza
e virtù da cui trarre una lezione di vita. Egli in questo modo studia l’uomo, lo
capisce in un ottica totalmente morale; ciò è possibile risalendo alle parole
originali con cui gli auctores si sono espressi. Ciò fa si che Petrarca venga
considerato un preumanista o protumanista. L’esperienza di Petrarca ha un
legame con la cultura cristiana. Infatti accanto ai grandi maestri come
Cicerone, Virgilio e Seneca, non mancano autori come Sant’Agostino e Boezio.
Petrarca, in questo modo, cerca una conciliazione tra cultura classica e
dottrina cristiana. Non mancano testi della letteratura romanza e delle liriche
precedenti. Petrarca ammirava i classici e non disdegnò la tradizione lirica
precedente, nella quale attuò un rinnovamento. Petrarca è un autore che ci
ha detto molto di sé grazie alla creazione di un autoritratto ideale da
consegnare ai futuri lettori. Mai prima d’ora un autore aveva legato la vita alla
scrittura. Tutta la produzione di Petrarca si basa sull’attenzione all’interiorità.
L’opera petrarchesca nasce come strumento con cui dare ordine e valore
simbolico ai riferimenti sparsi della propria vita interiore. Un riferimento
importante per Petrarca, sono le Confessiones di Sant’Agostino e anche la Vita
Nova di Dante. La vocazione dell’autoanalisi è una chiave fondamentale di
tutta l’opera petrarchesca. Nel Canzoniere, Petrarca intreccia il messaggio di
Agostino con la lirica d’amore, che sarà frutto dell’invenzione del codice lirico
moderno. Petrarca pone una certa attenzione al testo a partire dalla sua
dimensione materiale. È il primo grande autore di cui abbiamo degli
autografi: egli attende personalmente alla trascrizione dei suoi libri o
sorveglia con cura questa operazione quando l’affida agli altri. Altro aspetto
importante sono le continue ri-scritture e quella spasmodica ricerca della
perfezione propria di Petrarca nella stesura delle opere. Petrarca attribuisce
un grandissimo valore alla letteratura: secondo il nostro autore, letterato e
poeta hanno il compito di farsi mediatori della cultura del passato, per
assicurarne la trasmissione alle generazioni future. Egli esalta la figura
dell’intellettuale, come depositario di una missione civilizzatrice affidata alle
lettere. Petrarca si riconosce in un intellettuale che sia apolide e cosmopolita,
che guarda ad una cultura ampia e internazionale. Nel 1348 assistiamo ad una
crisi da parte del nostro autore, il cui esito è ben rappresentato dal Secretum
di Sant’Agostino: questo testo ha come protagonisti Francesco e
Sant’Agostino; quest’ultimo rimprovera al poeta di aver inseguito il mito della
fama più di ogni altra cosa. Petrarca mostra una consapevolezza del dissidio
tra l’aspirazione tipicamente cristiana alla salvezza dell’anima e la fama
terrena conseguita grazie al valore letterario. A questo dissidio matura la
concezione della mutatio animi, ovvero l’esigenza di trasformare l’animo
trasformandolo nel profondo.
IL CANZONIERE:La stesura occupa ben 40 anni della vita del nostro autor,e
abbiamo 9 redazioni, l'ultima del 1374, anno della morte del poeta. Egli voleva
innalzare il volgare alla stessa dignità del latino. il nome dell'opera non venne
dato da Petrarca, in quanto compare per la prima volta in un'edizione del
1500. Petrarca amava chiamare la sua raccolta di liriche con l’espressione
latina “rerum vulgarium fragmenta”, ovvero frammenti di cose in volgare. La
parogla “fragmenta” è collegata al termine latino NUGAE, infatti Petrarca
considerava le sue opere delle “cose di poco conto” proprio perché scritte in
volgare. Egli riteneva il volgare un terreno vergine in cui poter sperimentare e
in cui poter arrivare alla stessa perfezione del latino. Il termine “fragmenta”
può anche riferirsi alla volgarità dell’autore di ricostruire frammento dopo
frammento la sua personalità lacerata da conflitti interiori. Il Canzoniere è
conosciuto con il titolo di “Rime sparse”, espressione che deriva dal primo
verso del sonetto proemiale :”Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” e che
voleva dire che nel suo canzoniere ha raccolto molte liriche che erano
staccate, andando a formare una vera e propria vicenda autobiografica, a
testimonianza di ciò è l’ordine cronologico dei fatti narrati. È composto da 366
liriche, togliendo il sonetto proemiale dove l’autore chiarisce le ragioni della
stesura dell’opera e traccia un bilancio negativo della sua vita, ne rimangono
365 tra sonetti, canzoni, ballate e sestine. Le liriche rappresentano
simbolicamente i 365 giorni esemplari di un anno di vita. In quest’opera
vengono scanditi: 1. Passato, dato dalla rievocazione dell’amore per Laura; 2.
Presente, ovvero il piano della consapevolezza e della coscienza dell’errore
amoroso; 3. Futuro, piano della speranza di ricomporre i conflitti interiori. Egli
vuole ricostruire una vicenda autobiografica della passione per Laura fino al
pentimento, alla conversione, purificazione ed innalzamento a Dio(itinerario
morale). Il tema principale dell’opera è l’amore per Laura che è descritta con
tratti stilnovistici: capelli biondi, labbra rosa, pelle chiarissima, non è più un
angelo ma una figura umana e sensuale. La testimonianza di ciò è che Laura è
inserita all’interno di una dimensione del tempo, fa parte del ciclo della vita,
quindi nasce, cresce, si riproduce, muore e si disgrega. È, infatti, descritto
l’invecchiamento, la malattia e la morte dell’amata. Le donne stilnovistiche
erano immerse in un eterno presente e non erano soggette allo scorrere del
tempo. A testimonianza di ciò è il sonetto “Erano i capei d’oro a Laura sparsi”.
Già l’imperfetto del verbo essere fa capire che la bellezza di Laura è
circoscritta al passato e i suoi occhi sono privi di quella luce che aveva in
giovinezza. È un amore inappagato, di ispirazione cavalcantiana, il poeta soffre
anche se con il passare del tempo la ama di più perché non è innamorato
della sua bellezza esteriore, ma interiore. Il centro del Canzoniere è
sicuramente l’io del poeta con i suoi sentimenti, stati d’animo e sensi di colpa.
Il Canzoniere lo possiamo dividere in 2 parti: la prima parte è costituita dalle
rime in vita di Laura, ovvero quei componimenti che parlano di Laura ancora
viva. In tali componimenti Petrarca contempla l’immagine della donna creata
dal sogno, dalla fantasia o dalla memoria, infatti Laura non è presente, è
lontana nel tempo e nello spazio e la definisce con un ossimoro “fiera bella e
mansueta” per sottolineare la sua crudeltà, la sua indifferenza ed esprime la
sua ansia di purificazione, in quanto comprende che l’amore di Laura è
terreno e lo allontana da Dio. La seconda parte è costituita dalle rime in
morte di Laura, dove la donna appare più mite e compassionevole nei
confronti del poeta, il quale la vagheggia in cielo beata in Paradiso e ricorda
con nostalgia i luoghi in cui si sono incontrati. Il componimento finale
dell’opera è un inno alla Vergine Maria, quindi una preghiera in cui esprime il
suo desiderio di purificazione e cioè di avvicinarsi a Dio per conquistare quella
pache che il poeta precedentemente non aveva avuto; non a caso l’ultima
parola del libro è PACE, collegata alla meditazione sulla morte, binomio tra
fugacità del tempo e aspirazione alla pace.(ne parlerà nel Secretum).
Egli non riuscirà ad ottenere tale serenità poiché il conflitto interiore è
insuperabile. Oltre al tema amoroso, nel Canzoniere c’è il tema religioso, ma
anche politico, in quanto l’autore biasima che gli stati chiedevano aiuto alle
milizie mercenarie, straniere per acquisire la pace tanto sperata, infatti invita i
signori italiani a non fidarsi dello straniero, ma basarsi sulle proprie foorze.
Tale tema sarà approfondito da Machiavelli ne “Il Principe”. Non mancano
invettive contro la corruzione della curia pontificia che al suo tempo risiedeva
ad Avignone. Emerge anche il tema dell’amicizia e degli affetti familiari. Il
Canzoniere offre un ampliamento metrico con le novità della sestina e del
madrigale. All’interno del componimento, il sonetto conosce una
stabilizzazione delle forme, perché 303 su 317 sonetti presentavano lo
schema ABBA per le quartine; la canzone viene sempre rappresentata
attraverso un numero fisso di stanze. In quest’opera si manifesta un
monolinguismo caratterizzato dall’utilizzo di uno stile medio, dalla scelta
accurata dei vocaboli che determina, quanto il lessico sia ridotto. Dal pdv della
sintassi, essa è lineare e con la prevalenza della paratassi, legate tra loro
mediante anafore ed enjambement. Sul piano retorico-stilistico, possiamo
notare antitesi(accostamento termini opposti), dittologia(andamento binario
di vari termini) e chiasmo. Petrarca ricorre spesso ad accumulazione per
asindeto e per polisindeto. Viene posta attenzione nel verso finale dove si
deposita il senso del testo. La fortuna del Canzoniere riguarda soprattutto la
fortuna del suo linguaggio poetico. Una data importante del successo di tale
opera fu il 1501 quando Aldo Manuzio stampa un’edizione del libro in forma
tascabile, allestita da Pietro Bembo. Nel 1525 nelle Prose della volgar lingua,
Bembo individuerà nel Canzoniere il modello di lingua poetica da offrire ai
nuovi scrittori. Nel 1530 la pubblicazione della raccolta bembiana di Rime
segna l'atto di nascita del petrarchismo, una corrente che consacra la poesia
petrarchesca come codice lirico comune un’intera generazione di poeti al di là
dell' appartenenza geografica e culturale. Il petrarchismo diventa persino un
costume esteso a poeti e poetesse, esponenti della vita cortigiana e
aristocratica. Di questa moda si trova traccia nei dipinti cinquecenteschi come
nelle tele di Andrea del Sarto o del Bronzino. Sulla spinta del petrarchismo
l'influenza del poeta diventa un fenomeno europeo come testimonia la
fortuna della forma-sonetto tra 500-600. Nel ‘900 il richiamo a Petrarca sarà
molto evidente in autori come Umberto Saba e Ungaretti, quest’ultimo
sottolinea che Petrarca sia l’inventore del tempo in poesia.
I TRIONFI: Le prime notizie di composizione dell’opera si aggirano intorno al
1350 e il 1360. Quest'opera è stata scritta in volgare e Petrarca adotta il
genere del poema in terzine, che è il più idoneo a rappresentare in forma di
visione allegorica il senso delle sue trascorse vicende biografiche. La scelta
del genere del metro riportano a Dante e alla Commedia, che Petrarca rilegge
proprio intorno agli anni 50, spinto dalle sollecitazioni dell’amico Boccaccio. Il
modello dantesco è riconoscibile nell’ intento di dare un valore universale alla
propria esperienza autobiografica. Il titolo originale è in latino e rinvia all'idea
del trionfo romano in cui il vincitore celebra la propria vittoria mostrando
pubblicamente le prede conquistate e nemici fatti schiavi. L’opera si presenta
in un impianto di quadri staccati, attraverso i quali Petrarca descrive come le
cose terrene sono ingannevoli e fugaci.Vediamo come, autore e personaggio
coincidono, dunque abbiamo un narratore omodiegetico e onnisciente.
L’inizio dell’opera ci porta a Valchiusa, in un’alba del 6 aprile, anniversario
dell’innamoramento di Francesco per Laura. I Trionfi di cui si compone il
poema sono 6: 1. Triumphus Cupidinis, dove al protagonista appare in sogno
la visione di Amore che trionfa su un carro a cui sono asserviti dei personaggi
da lui sconfitti; 2. Triumphus Pudicitiae, vede Laura che non cede alle
lusinghe d’amore e non ricambia il sentimento di Francesco; 3. Triumphus
Mortis, dove la Morte insidia Laura che non è turbata dalle sue minacce, ma si
affida serenamente. Siamo al 6 aprile 1348; 4. Triumphus Famae, viene vista
la Fama come l’unica che può sottrarre all’oblio eterno la memoria degli
uomini; 5. Triumphus Temporis, il Tempo trionfa sulla Fama, travolta dalla
fugacità del suo passaggio come ogni umana realtà; 6. Triumphus Eternitatis,
l’autore assiste a quest’ultimo trionfo che vede affermarsi una sorta di eterno
presente, in cui la contemplazione a Dio si pone come solo punto fermmo e
stabile dell’universo. Quest’opera risalta l’importanza della simbologia del
numero 6. Nell’organizzazione interna è possibile intravedere come i valori
posivi siano alternati ai valori negativi. L’idea di base è quella di costruire un
disegno unitario, prorpio come Dante fece con la Commedia.

IL SECRETUM: può essere considerata l’opera bilancio di Petrarca, dove


penetra nella profondità della propria coscienza per mettere a nudo le sue
debolezze e sottoporre se stesso ad un’indagine serrata. Quest’opera è scritta
in latino ed è un dialogo in prosa, i cui personaggi sono l’autore e
Sant’Agostino, che discutono sulla presenza della Verità. Il dialogo viene
scritto intono al ’47 e il ’53, nonostante l’opera sia ambientata intorno al 42’ e
il 43’, assistiamo perciò ad un caso di retrodatazione. Possiamo notare che la
vera e propria crisi esistenziale del nostro poeta si colloca verso il 1348, con il
fenomeno della mutatio animi, ovvero volontà di cambiare vita. Il Secretum si
snoda in tre libri, corrispondenti alle tre giornate in cui l’azione si svolge e in
questo modo Petrarca garantisce una conciliazione tra tempo e azione.
Petrarca riprende la tradizione del dialogo da vari autori quali Platone,
Cicerone, Seneca, Agostino e Boezio. Il dialogo è basato sul confronto di più
voci e posizioni, e mette in scena la rappresentazione di un dibattito interiore
tra due parti dell’anima espresse una da Agostino e una da Francesco. La
conclusione aperta dell’opera fa emergere le debolezze di Francesco.
Petrarca trovò in Agostino l’ideale di una religiosità intima e profonda, che
poteva mettere a nudo le debolezze del nostro autore. I due protagonisti
personificano due sistemi di valori umani e culturali: da un lato quello
ascetico-cristiano, dall’altro quello dell’etica classica. Adesso esaminiamo
quelli che sono i libri del Secretum: 1. Il primo libro vediamo Agostino che
individua nel difetto di volontà la ragione che impedisce a Francesco di
abbandonarsi alla mutatio animi; 2. Il secondo libro vede l’esaminare dei 7
peccati capitali e come Francesco si dispone a ciascuno di essi; 3. Il terzo libro
vede Agostino che tocca il profondo del cuore del poeta, ovvero l’amore per
Laura e per la gloria. Il primo risulta pericoloso. Inoltre in questo libro viene
affrontato il tema della vanità e della fugacità del tempo. La conclusione
lascia irrisolto il conflitto.

GLI EPISTOLARI: Costituiscono una fitta rete di relazioni con intellettuali di


tutta Europa. L'interesse di Petrarca per il genere epistolare è motivato dalla
sua passione per la cultura classica, ma anche dalla centralità che per lui
ebbero l'ideale e la pratica dell’amicizia, che lega in un rapporto elettivo
individui accomunati dagli stessi valori umani e culturali. La novità consiste
nell’idea di innalzare attraverso le lettere l'esperienza autobiografica a
modello esemplare da consegnare ai posteri. La produzione epistolare di
Petrarca si compone di diverse raccolte in prosa e in versi: appartengono al
primo gruppo le FAMILIARIUM RERUM LIBRI, le SENILIUM RERUM LIBRI e le
SINE NOMINE. Al secondo le EPYSTOLAE. A completamento vanno poi
aggiunte quelle lettere che non hanno trovato posto nelle varie sillogi e che
sono note come VARIAE o DISPERSAE. Petrarca ebbe un ruolo di spicco nella
ripresa del genere epistolare, soprattutto perché riportò alla luce opere come
la raccolta di lettere AD ATTICUM di Cicerone, e le EPISTULAE AD LUCILIUM di
Seneca. Le lettere sono scelte mediante criteri artistico-letterari e un preciso
disegno ideologico-morale. Fra tutti i temi afrrontati, centrale negli Espistolari
è il confronto fra l’io del poeta del passato e del presente, che fa emergere la
personalità contraddittoria del poeta attraverso mille sfaccettature. Sono netti
i tratti innovativi delle lettere di Petrarca: al voi si sostituisce il tu; vengono
semplificate le formule di apertura e chiusura; vengono eliminati gli
appellativi troppo solenni. Petrarca vuole porre al centro del suo colloquio
intimo con i suoi corrispondenti se stesso. Gli Epistolari vengono scritti in
latino, in quanto il pubblico è dotto e raffinato. FAMILIARES:La raccolta si
compone di 24 libri che riuniscono 350 lettere. Il lavoro di selezione, revisione
e ordinamento iniziò tra il 49 e il 50, ma si protrasse fino al 1361. La
molteplicità dei destinatari rivela la ricchezza delle relazioni umane e
intellettuali intessute da Petrarca e ci restituisce il profilo di una nuova e
feconda comunità culturale, che coinvolge vari interlocutori reali e
immaginari: tra questi alcuni classici come Cicerone, Virgilio e Seneca. LE
SENILES E LE VARIAE:Raccolgono quasi tutte le lettere scritte tra il 1361 al
1366, fino al 1374. La raccolta si compone di 17 libri in cui sono ordinate 128
lettere. Il diciottesimo libro avrebbe dovuto contenere la sola POSTERITATI,
rimasta incompleta. Il contesto storico-biografico che fa da sfondo alle
SENILES è segnato dal dolore per alcuni lutti personali e da un fastidio sempre
più acuto nei confronti della vita pubblica. Molte sono le lettere che Petrarca
non inserisce nelle FAMILIARES nelle SENILES, in quanto una parte di esse è
arrivata fino a noi grazie a studiosi del poeta e vanno sotto il nome di VARIAE.
LE SINE NOMINE: si tratta di 19 lettere che furono raggruppate in una piccola
silloge perché non viene in essa indicato il nome dei destinatari. Questo
espediente e la scelta di farne una raccolta a sè si spiegano con ragioni di
opportunità politica; le epistole in questione hanno come tema comune la
polemica contro la corruzione della corte papale ad Avignone. LE EPYSTOLAE
METRICAE: Tra il 1348 e il 1350 Petrarca riunisce in 3 libri le 66 epistole latine
scritte in esametri, sul modello del poeta latino Orazio. La raccolta viene
ultimata solo nel 1364 e inviata all'amico Barbato da Sulmona, a cui è
dedicata. Nella lettera proemiale, l'autore ricorda re Roberto d'Angiò, ormai
morto, quindi laura, la sua scomparsa e il progressivo affievolimento della
passione.
Petrarca, oltre ad altre opere minori, scrisse anche delle invettive, ovvero
delle operette in cui sollecita delle polemiche in risposta agli attacchi subiti in
ambiente universitario. Esse sono: le INVETTIVE CONTRO UN MEDICO,
L’IGNORANZA MIA E DI MOLTI ALTRI, l’INVETTIVA CONTRO UN UOMO DI
ALTRO RANGO MA PRIVO DI DOTTRINA E VIRTù, e l’INVETTIVA CONTRO COLUI
CHE PARLO’ MALE DELL’ITALIA.

GIOVANNI BOCCACCIO: excursus del ‘300. Mentre Dante è un poeta


medievale con una mentalità prettamente religiosa, Boccaccio e Petrarca sono
due letterati del ‘300 che si possono definire preumanisti in quanto
anticipano la mentalità tipica dell'Umanesimo, tendenza culturale sviluppatasi
in Italia nel 1300 e che rivaluta l'uomo e la visione di una realtà che può
essere plasmata dall'uomo stesso, è un uomo che grazie al suo ingegno, alla
sua intelligenza, alla sua astuzia e industria, riesce a modificare la realtà
asservendola ai propri bisogni. L'industria umana è la virtù principale dei
mercanti ed è l'unica forza volta a contrastare la fortuna, ovvero una forza
laica. Altro principio dell’ Umanesimo è la rivalutazione dei classici:
troveremo tali elementi in Boccaccio e Petrarca, entrambi sono dei filologi, in
quanto riscoprono testi antichi greci e latini. Dal punto di vista politico i
comuni entrano in crisi e danno spazio alle signorie dove a capo c'è il signore,
il quale ha potere politico- economico- sociale-militare-culturale. Le più
importanti signorie sono: gli Sforza e i Visconti a Milano, gli Estensi a Ferrara,
gli Scaligeri a Verona e i Dapolenta a Rimini. La vita di Boccaccio. Nacque a
Certaldo nel 1313, figlio illegittimo del mercante Boccaccino di Chiellino, il
quale deopo averlo leggittimato lo accoglie nella sua casa. Trascorsa la sua
infanzia a Firenze, nel 1327 si trasferisce con il padre a Napoli, dove starà fino
al 1340. Il padre era socio della potente banca fiorentina dei Bardi che
amministrava gli affari della corte angioina di Napoli. Il padre vuiole avviarlo
all’arte per la mercatura, ma non è la vocazione di Boccaccio, che, invece, ama
la letteratura. A Napoli, Boccaccio stando al banco, vede sfilare molti individui
appartenenti a varie classi sociali: aristocratici, borghesi, popolo. A Napoli
comincia a frequentare l’ambiente raffinato ed elegante della corte angioina.
Si forma da autodidatta, legge i classici latini, infatti conosceva sia latino che
greco. Comincia a scrivere le sue prime opere e si distingue per l’arte del
raccontare, cioè far entrare la letteratura nella realtà. Scriverà le rime
dedicate ad una certa donna Fiammetta, probabilmente dietro a tale
pseudonimo si celava la figlia di Re Roberto D’Angiò, una certa Maria. Scrive
anche “La caccia di Diana”, “Il filocolo”, “Il filostrato” e “Il Teseida”. Nel 1340
Bocciaccio rientra con il padre a Firenze perché la compagnia dei Bardi entra
in crisi e dunque ha bisogno di trovare una nuova fonte da cui trarre
sostentamento economico. All’ambiente cortese napoletano, si sostituisce
l’ambiente cortese fiorentino. Il comune di Firenze gli assegna una serie di
incarichi diplomatici che gli permettono di vivere agiatamente. Scrive diverse
opere tra cui “L’amorosa visione”, “La Comedìa delle ninfe fiorentine”, “Il
Ninfale fiesolano” e “L’elegia a madonna Fiammetta”. Nel 1348 scoppia una
violenta epidemia a Firenze, la cosiddetta “Peste nera” che condanna a morte
milioni di morti. Questa peste verrà descritta da Boccaccio nella sua più
importante opera, il Decameron. Nel 1350 stringe una forte amicizia con
Petrarca, con il quale si scambia un fitto epistolario, e in qualche modo
Petrarca influenzerà il modo di fare poesia di Boccaccio, in quanto da una
letteratura a scopo edonistico passa ad una letteratura moralmente
impegnata. Inoltre l’incontro con Petrarca gli fa nascere una crisi religiosa
tanto che nel 1360 diventa chierico, prende gli ordini dei frati minori. Papa
Innocenzo VI gli fornisce delle rendite ecclesiastiche che gli garantiscono
sicurezza economica. Nello stesso anno viene ordita una congiura contro il
comune di Firenze: vengono accusati di complicità alcuni amici di Boccaccio e
a quest’ultimo gli avevano tolto gli incarichi assegnati dal comune. Nel 1362 si
trasferisce a Certaldo, dove vivrà 4 anni di solitudine, lontano dal comune di
Firenze. Scriverà il “Corbaccio”(in quest’opera Boccaccio nega che una donna
possa essere come Beatrice, e dunque argomenti etici e religiosi non sono più
conformi), dove viene fuori quel senso di misoginia che si contrappone alla
filoginia del Decameron. Nel 1365 ritorna a Firenze dove il comune gli dà
prestigiosi incarichi, tra cui quello di commentare la Commedia di Dante(copia
3 volte l’intera opera, scrisse il trattato in Laude di Dante che è la prima
biografia del sommo) , ma non riesce ad ultimare il suo compito perché si
ammala e morirà nel 1375 a Certaldo.
LE OPERE GIOVANILI:
IL FILOSTRATO: L’opera è stata scritta a Napoli intorno al 1335 ed indirizzata
ad una certa donna Giovanna. L’identità dell’autore viene celata attraverso lo
pseudonimo “filostrato” che significa “vinto d’amore”. Nel proemio in prosa,
l’autore chiarisce che si sta indirizzando verso una narrazione che rappresenti
la sua vicenda personale. Delle nove parti successive, in ottave, le prime otto
sono dedicate alla storia e l’ultima al congedo dell’autore. La trama è
incentrata su una vicenda amorosa che assume un valore concreto e fisico. Se
nel Filocolo la vicenda condurrà al matrimonio, nel Filostrato prevale il
concetto dell’amore per diletto, consumato nel piacere. Racconta la storia di
Troiolo che si innamora di Criseida, figlia dell’indovino Calcante. Grazie alla
mediazione di Pandaro riesce ad avere l’amore e la fedeltà della donna.
Accade però che Criseida si deve recare al campo greco scortata da diomede,
il quale se ne innamora. A questo punto Troiolo, convinto di essere stato
tradito, vuole vendicare quest’ultimo, ma viene ucciso da Achille. La
narrazione ovviamente rimanda al mondo omerico. L’importanza letteraria di
quest’opera è sicuramente l’ottava rima, su cui Boccaccio inaugura una forma
metrica che dominerà la narrazione romanzesca per diversi secoli.
IL FILOCOLO: E’ un'opera composta in prosa e il suo impianto narrativo
rimanda al Decameron. I protagonisti del romanzo d'amore d'avventura sono
Brancifiore cristiana e Florio saraceno, figlio del re Felice. I due giovani
leggendo l’ “Ars amandi” di Ovidio, del primo secolo a.C., si innamorano. Il
libro per Brancifiore e Florio avrà la stessa valenza del “Lancelot” letto dai
lussuriosi Paolo e Francesca (quinto canto dell’Inferno), i due cognati adulteri.
La relazione tra i due giovani è contrastata dal padre che prima allontana
Florio, in seguito vende Brancifiore ad alcuni mercanti che la cedono
all’armiraglio di di Alessandria d'egitto. Florio non si rassegna e comincia la
ricerca della donna amata con lo pseudonimo di Filocolo. Tra i suoi viaggi
giunge a Napoli, dove si sta svolgendo il gioco delle questioni d'amore di cui è
regina Fiammetta. Terminata questa esperienza, Filocolo torna ad Alessandria
dove finalmente incontra Brancifiore. I due si sposano, Florio si converte al
cristianesimo e diventa il re alla morte del padre.
IL TESEIDA: è un’opera iniziata nel 1339 e conclusa nel 1341. Si tratta di un
poema epico in ottave, composto da 12 libri, nel quale l’elemento centrale è
costituito dalla vicenda d’amore tra Emilia, Arcita e Palemonte. I primi due
libri sono dedicati all’antefatto. Teseo muove una guerra contro le Amazzoni,
le sconfigge e sposa la regina Ippolita che porta con sé ad Atene la sorella
Emilia. Teseo fa prigionieri alcuni uomini tebani, tra cui gli amici Arcita e
Palemonte, che vengono condotti ad Atene. Dal III al X libro si sviluppa la
vicenda amorosa. I due giovani si innamorano di Emilia e da amici diventano
nemici. Teseo allora indice un torneo tra i due e chi vince prende la mano di
Emilia. La fortuna girerà attorno Arcita che si ammala gravemente e cederà la
sua moglie a Palemonte. I libri XI e XII contengono il compianto di Arcita, il
rogo del suo cadavere e i giochi funebri. Emilia, infine, convinta da Teseo,
sposerà Palemonte. Boccaccio in quest’opera, vuole risuscitare la poesia
epica. Anche per questo testo, egli prenderà spunto dal De vulgari eloquentia
di Dante, per cui Boccaccio potrà dire che avrà creato il primo poema epico in
volgare. In questo testo sono frequenti i riferimenti alla mitologia, alle
letterature classiche, alla letteratura medioevale francese e alla poesia
italiana.
L’ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA: OPERA SCRITTA NEGLI ANNI 1343-1344.
Narrazione in prosa dove Fiammetta parla in prima persona(narratore
autodiegetico)della sua vicenda sotto forma di una lunga lettera indirizzata
alle donne innamorate. Boccaccio prende spunto da un'opera latina, “Le
Eroidi” di Ovidio, ovvero lettere che le eroine del mito inviavano ai loro
amanti per confessare loro le proprie pene d'amore . Fiammetta è una donna
sposata che vive a Napoli, città dove conoscePanfilo(tutto amore), un giovane
fiorentino. I due si innamorano e vivono una relazione clandestina in quanto
adultera. Panfilo dice Fiammetta di dover ritornare a Firenze per affari, ma le
promette che dopo quattro mesi sarebbe ritornato da lei; la giovane donna ha
come un presentimento e quando Panfilo non mantiene la promessa viene a
conoscenza del tradimento del giovane e inizia la sua sofferenza d'amore.
Cade in depressione e il marito per farla svagare la porta in territori della
Riviera napoletana dove la donna aveva vissuto momenti con Panfilo e quindi
tenta il suicidio fallito. Fiammetta è soggetto della passione amorosa e
Boccaccio prova simpatia per Fiammetta, sottolineando che l’eros è una forza
naturale che non si può dirimere.
DECAMERON: Tale libro venne identificato a metà ‘900 grazie ad un
autografo. È il primo grande libro della tradizione occidentale moderna. Ha
come precedente il Novellino e il libro dei 7 savi. È l’opera più celebre di
boccaccio, composta tra il 1349 e il 1351-53, un anno dopo lo scoppio della
peste nera a Firenze che aveva condannato a morte migliaia di uomini.
L’impianto narrativo del Decameron è presente ne “Il Filocolo”. Il titolo
rimanda al greco deca+emeron= dieci giornate, infatti l’opera presenta 100
novelle, narrate 10 per giornata, da 10 novellatori ( 7 uomini e 3 donne), che
formano l’allegra brigata. Vi è una perfetta sintesi tra il mondo cortese
napoletano e il mondo cortese fiorentino. L’opera comincia così:” COMINCIA
IL LIBRO INTITOLATO DECAMERON COGNOMINATO PRINCIPE GALEOTTO IN
CUI SONO RACCOLTE 100 NOVELLE RACCONTATE IN 10 GIORNI DA 7
FANCIULLE E 3 GIOVANI UOMINI”. Boccaccio dirà “cognominato principe
Galeotto”, in relazione al 5 canto dell’Inferno in cui Francesca dice a Dante
“Galeotto il libro e chi lo scrisse”, proprio volto ad indicare Galeotto il
siniscalco di re Artù, colui che aveva permesso a Lancillotto di dichiarare il suo
amore per Ginevra. Il Decameron ha la stessa funzione di mediazione perché
deve consolare le donne afflitte dalle pene d’amore, in quanto vuole fornire
loro degli utili ammaestramenti e vuole spingerle ad accettare ciò che è bene
ed evitare ciò che è male. Il proemio del Decameron è una dedica alle donne
e precisa che vuole fare ammeda al peccato della fortuna, riparando questo
peccato. Le donne sono sommerse in questo peccato perché non hanno
distrazioni a differenza degli uomini. Il pubblico è del tutto nuovo in quanto è
raffinato ed elegante, composto maggiormente dall’universo femminile. Le
donne sono le interlocutrici privilegiate e sono considerate simbolo di
letteratura e poesia. Inoltre, le donne hanno la capacità di ispirare la poesia,
e proprio Boccaccio dirà:”Muse son donne!”.Nel proemio si evincono due
temi fondamentali: la fortuna e l’amore. Boccaccio ha una visione laica e dirà
che la fortuna è una forza volubile che muta le situazioni degli uomini; per
quanto concerne l’amore, sostiene la visione naturalistica dell’eros. Dopo il
proemio, abbiamo l’introduzione alla prima giornata che contiene sia la
descrizione della peste del 1348, sia il racconto dell’incontro dei 10
novellatori. Inizialmente le fanciulle si ritrovano nella chiesa di S. Maria
Novella a Firenze e lì Pampinea propone alle sue compagne di trasferirsi in
campagna, non tanto per fuggire al contagio della peste, ma per ricomporre
quella socialità minata dall’epidemia vivendo in armonia, e cercando di
coltivare i valori di ordine, misura ed equilibrio. Ellissa propone che ad esse si
aggiungano 3 giovani uomini, formando un’allegra brigata. I 10 novellatori
sono: Panfilo, Filostrato, Dioneo, Fiammetta, Filomena, Pampinea, Ellissa,
Lauretta, Emilia e Neifile. Finisce l’introduzione alla prima giornata. In ogni
introduzione alle giornate vi è una rubrica che sintetizza ogni momento della
giornata. Tale rubrica(breve sintesi dell’argomento di ogni giornata) si trova
pure all’inizio di ogni novella. La giornata si conclude con una ballata cantata
da uno dei giovani. La rubrica ha una duplice funzione: informativa, perché
doveva informare il lettore sulla trama; ideologica, perché doveva orientare le
scelte del lettore. Emergono 3 livelli:una supercornice in cui il narratore e il
protagonista coincidono(proemio, per spiegare il motivo per cui dedica
l’opera alle donne, introduz. Prima giornata, perché descrive la peste,
introduz. Quarta giornata per difendersi dai detrattori attraverso la novella
delle papere e conclusioni dove rafforza le sue difese); una cornice in cui
protagonisti e narratori sono i 10 novellatori; le novelle in cui i protagonisti
sono i personaggi delle novelle. Le novelle sono accomunate da una cornice
narrativa che ha una duplice funzione di collegare le novelle e dare unità alle
varietà delle novelle. Ogni giorno i giovani novellatori raccontano 10 novelle e
a turno viene scelto un tema specifico, con la conseguente elezione di un re
od una regina. I temi sono: 1 giornata= tema libero. 2 giornata= tema della
fortuna; nelle novelle raccontate in questa giornata vi è il condizionamento
della fortuna che porta i personaggi a ottenere ciò che pensavano di avere
perso, e soprattutto tali uomini si sanno adeguare di volta in volta al mutare
delle situazioni. 3 giornata= dedicata all’industria e testimonia come certe
risorse umane offrano all’uomo l’occasione per farsi valere; in queste novelle
è assente il senso di una sofferenza psicologico-esistenziale e il mercante è il
personaggio chiave dell’intero libro. 4 giornata= amori infelici; qui l’amore ha
esito tragico, è un amore tormentato dalla gelosia, fonte di sofferenza e
angoscia. 5 giornata= amori felici; qui l’amore assume un lieto fine, in quanto
l’universo narrabile si raccoglie sempre nell’armonia. 6 giornata= motti di
spirito e battute ardite, dove il protagonista di ogni novella afferma la propria
forza attraverso l’esercizio della parola, ovvero dire la parola giusta al
momento giusto; il motto può essere considerato una piccola applicazione
all’ingegno ed industria. 7 e 8 giornata= rispettivamente beffe ai mariti e altre
beffe; si ritorna al tema dell’amore, ma ad un amore adultero ricco di beffe,
prendendo come esempio il modello popolare dei fabliaux; in queste novelle i
personaggi principali sono il prete, il marito o la donna. 9 giornata= tema
libero. 10 giornata= esempi di liberalità, magnanimità; è sicuramente una
giornata difficile da descrivere dal pdv tematico, sicuramente il registro
stilistico di tale giornata è alto; in questa giornata vengono esaltati i valori
della civiltà cortese. Inoltre, la decima giornata è differente dalle altre perché
prevede la gara tra i novellatori.
La scrittura di Boccaccio registra la varietà della lingua viva, che approda a
raffinate scelte retoriche. La scelta del registro comico permette alla lingua
del Decameron di misurarsi con le varietà regionali, con il linguaggio gergale e
popolare. La ricchezza delle scelte lessicali lega le novelle del Decameron alla
società borghese che esse intendono soprattutto rappresentare. Il Decameron
presenta spazio e tempo abbastanza vari. Il raggio d’azione accoglie una
geografia dilatata e un arco temporale che dal presente va fino al mondo
antico. Il Decameron viene definito una “commedia umana”, proprio per la
grande varietà di personaggi che sono stati scelti, appartenenti a classi sociali
differenti. Vengono anche descritte quelle che sono le forze che aiutano
l’uomo a compiere determinate azioni, e cioè la natura, la fortuna e l’ingegno.
Possiamo dire quindi che Boccaccio si preoccupa molto del comportamento
degli uomini. Ciò comunque approda a pensare che Boccaccio sia molto legato
alla realtà, e sarà per questo motivo che molti critici dell’800 parleranno di
realismo boccacciano.

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