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VITA NOVA: è un'opera composta da Dante tra il 1290 e il 1293. Il titolo sta
per indicare un rinnovamento spirituale della vita del poeta nel periodo di
traviamento. Si presenta come un prosimetro, parti in versi e parti in prosa,
raccogliendo alcune liriche scritte in giovinezza a cui fa seguire o precedere un
commento in prosa. La vicenda del suo amore per Beatrice si snoda in 42
capitoli ed è divisibile in 3 parti. Dopo un bravissimo incipit che comprende il
primo capitolo in cui Dante utilizza la metafora del libello per indicare la
memoria, il ricordo, il sommo poeta racconta il primo incontro con la sua
donna amata avvenuto a soli 9 anni nel 1274. I due erano presso a poco
coetanei perché Dante stava entrando nel nono anno di età, mentre Beatrice
aveva all'incirca 8 anni e quattro mesi. Dante rimane particolarmente colpito
dalla bellezza della donna. Notiamo subito l'importanza del numero 9, come
forza semantica fortissima con un significato allegorico in quanto il 9 è
multiplo di 3 rimandando alla Trinità divina, perché Dante vuole sottolineare
fin da subito il carattere miracoloso della donna Beatrice, che è una donna
angelo. Il secondo incontro avviene a 18 anni, dopo appunto 9 anni. Un
giorno in chiesa, in cui sono presenti entrambi, Dante rivolge uno sguardo
intenso alla sua donna amata; per i fedeli in realtà non sta guardando
Beatrice, ma una donna che si era frapposta tra i 2, ovvero una donna
schermo(topos della lirica cortese). Beatrice comprende l'interesse di Dante e
gli porge saluto, inteso come fonte di beatitudine e salvezza. Successivamente
i due si rincontrano di nuovo in chiesa: Dante guarda Beatrice e si frappone
tra loro una seconda donna schermo; a Dante la cosa non dispiace perché ciò
serve per preservare Beatrice dalle malelingue. Ciò disturba molto le
chiacchiere della gente, secondo cui Dante guardava queste donne anziché
Beatrice, suscitando appunto la gelosia della donna amata che gli nega il
saluto. Dante cerca di essere felice in un altro modo visto che la donna gli ha
negato il saluto e decide di scrivere delle rime in lode a Beatrice, l'unico
mezzo di appagamento è la lode della donna amata. Il poeta viene turbato
una notte da una visione che preannuncia la morte di Beatrice, che avviene
poco dopo realmente. Dopo la morte di Beatrice vi è un periodo di sofferenza
per il poeta tanto che si dedica all'amore di una donna gentile, dove non è
specificato all'interno della Vita Nova; poi nel Convivio ravvisiamo che era la
filosofia, la quale lo consolava per la morte di Beatrice. Dopo poco tempo,
Dante ha un'altra visione di Beatrice, beata in cielo posta tra i beati in
Paradiso, che lo rimprovera aspramente per essersi interessato ad un'altra
donna. Così Dante decide di interrompere la sua storia per dire in seguito
quello che non fu mai detto ad alcuna. Si propone di trattare più degnamente
di Beatrice. Alla fine Dante ha l'ultima visione, la mirabile visione sempre di
Beatrice. Dalla narrazione della trama la vicenda si può suddividere in tre parti
a cui corrispondono tre diversi stati dell’amore: la prima parte riguarda
l'amore cortese dunque gli effetti psicologici dell'amore; nella seconda parte
incontriamo la lode quella della donna amata e si tratta di un amore fine a se
stesso; nella terza parte invece vi è la morte della gentilissima che si riallaccia
all’amore mistico, in quanto dopo la morte di Beatrice, l’amore del poeta nei
confronti della donna angelo è paragonabile all’amore dei fedeli verso Dio.
Dal punto di vista stilistico, Dante abbraccia in pieno le novità stilistiche dello
stilnovismo. Il pubblico è cortese e colto come quello di guinizzelli e
cavalcanti. Per quanto riguarda la concezione figurale, dal punto di vista
stilnovistico è la stessa di guinizzelli e cavalcanti, i quali parlano di fedeli
d’amore.
LA COMMEDIA: Secondo molti storici non fu Dante a dare il titolo di
“Commedia” alla sua opera. Nella XIII epistola a Cangrande Della
Scala(signore di Verona, presso cui fu ospite, nonché dedicatario del
Paradiso), Dante scrive:”IL TITOLO DEL LIBRO è << COMINCIA COSì LA
COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI FIORENTINO DI NASCITA, MA NON DI
COSTUMI.>>”. Vuol dire che Dante si sentiva fiorentino di nascita, in quanto
nato a Firenze, ma non si sentiva più appartenente alòla civiltà del suo tempo,
poiché profondamente in crisi. I critici prendendo spunto da tale
affermazione, sono arrivati al titolo di Commedia, anche perché nei passi
dell’Inferno egli afferma:”Questa comedìa è mia come dìa”. Quindi per i critici
il titolo dell’opera poteva essere o “commedia”, o “comedia” o “comedìa”. In
tale epistola Dante chiarisce il significato della sua opera facendo una
differenza fra i generi della commedia e della tragedia: mentre la tragedia ha
un inizio felice ed un finale triste, la commedia inizia infelicemente per
terminare con un lieto fine. Quindi
Dante nella XIII epistola chiarisce che la sua opera è più vicina allo stile
commedia perché inizia con Dante smarrito nella selva oscura, e termina con
Dante che si trova al cospetto di Dio. Altro motivo che il titolo potrebbe
essere Commedia rimanda alla concezione medievale degli stili, secondo cui lo
stile tragico(alto) si abbina alla tragedia, lo stile comico(medio) si abbina alla
commedia e lo stile elegiaco(basso) si abbina all’elegia. Dante sostiene che la
sua opera è vicina allo stile medio. Inoltre, la commedia era quel genere che
si pèrostrava ad una varietas di temi e di stili e registri linguistici, infatti Dante
afferma che sebbene lo stile sia umile e dimesso(tipico delle donnette), in
esso si può riscontrare un pluristilismo e plurilinguismo. I critici, in merito alla
Commedia, parlano anche di realismo mimetico, ovvero ogni personaggio
presente nell’opera dantesca parla con il proprio linguaggio aderente alla sua
realtà geografica di provenienza e anche alla classe sociale di appartenzenza.
Un esempio è il termine “vecchio” che nell’Inferno, nel Purgatorio e nel
Paradiso viene usato in tre modi differenti, anche in base all’innalzamento
dello stile: infatti nell’Inferno Dante chiama “veglio” Catone, custode del
Purgatorio; e in Paradiso Dante chiama “sene” S. Bernardo, che guiderò Dante
alla visione di Dio. Inoltre nell’Inferno, dove ci sono i dannati costretti a subire
le pene infernali, vi è un lessico basso, con termini scurrili, rozzi e plebei,
anche se non mancano canti in cui lo stile si innalza, come ad esempio il 5
canto che parla dell’amore adultero di Paolo e Francesca. Nel Purgatorio
abbiamo un innalzamento di stilre, anche se non mancano episodi in cui viene
ripreso lo stile plebeo, come ad esempio nel 6 canto in cui Dante tramite il
personaggio di Sordello D’Agoito, fa una violenta invettiva contro la
corruzione che imperava in Italia in quel periodo. Nel Paradiso si ha uno stille
ancor più alto, in cui prevalgono latinismi, neologismi, arcaismi, provenzalismi,
un linguaggio alto; anche qui non mancano momenti in cui il linguaggio si
riconduce a quello infernale, quando ad esempio S. Pietro lancia una
maledizione contro i suoi successori che hanno portato la chiesa alla
corruzione. Nell’epistola XIII, Dante riprende la distinzione tra allegoria dei
poeti(senso letterale fittizio) e allegoria dei teologi(senso letterale vero), che
Dante aveva ripreso nel Convivio. Dante utilizzandola, vuole far capire che la
sua esperienza è un fatto realmente compiuto. Dante chiarisce che la sua
opera ha un valore polisemico, in quanto in essa possiamo rintracciare un
significato letterale, allegorico, morale, pedagogico, analogico ecc. Le date di
pubblicazione dell’opera sono incerte, ma Petrocchi ci fornisce una via più
attendibile, secondo cui: tra il 1304-1308 Dante compone l’Inferno; tra il 1309
e il 1312 Dante compone il Purgatorio; tra il 1316-1321 Dante compone il
Paradiso. Non c’è arrivato il manoscritto originale del poeta. La struttura
dell’opera si basa sull’importanza del numero 3, allegoria della Trinità Divina,
e quindi i numeri su cui si basa l’opera sono il 9(multiplo di 3) e il 10(multiplo
di 3 più 1 che simboleggia Dio uno e Trino). La Commedia è divisa in 3
cantiche, ciascuna formata da 33 canti, tranne l?inferno che ne presenta 34,
poiché uno è introduttivo. La strofa è la terzina e prevede una rima
incatenata. Anche la struttura dei tre regni dell’Oltretomba rimanda alla
numerologia simbolica prima descritta: L’Inferno è strutturato in 9 cerchi più
l’Antinferno(zona in cui vi sono gli ignavi, i quali non sono voluti né da Dio né
da Satana); il Purgatorio è formato da un Antipurgatorio, 7 cornici e il Paradiso
terrestre; il Paradiso è formato da 9 cieli e l’Empireo. Dante nell’opera
racconta che il suo viaggio comiciò la notte del giovedì-venerdì santo, tra il 7-8
aprile del 1300 e conclusosi il mercoledì dopo Pasqua, 13 aprile 1300. Dante
all’alba del venerdì santo fino alla domenica di Pasqua visita l’Inferno, il
giorno di Pasqua fino al mercoledì dopo Pasqua è in Purgatorio e il mercoledì
stesso visita il Paradiso. L’anno è il 1300, dove papa Bonifacio VIII convocò il
Primo Giubileo. Dante immagina di fare il suo viaggio in un tempo
antecedente rispetto alla stesura della Commedia. Quindi visita i tre regni
dell'oltretomba: l’Inferno è dove sono collocati i peccatori peggiori, da cui non
possono più uscire; il Purgatorio è il regno della purificazione spirituale, dove
sono collocate le anime salvate da Dio, ma che hanno bisogno di scontare un
determinato periodo di espiazione per poi accedere al Paradiso; il Paradiso è il
regno dove sono collocate le anime beate salvate dalla grazia divina. Dante
incontra moltissime anime di diversa provenienza geografica, diversa classe
sociale e si ferma spesso a parlare con loro. Dante, essendo un uomo del
medioevo, non ritiene che ci sia un rapporto stretto di causa-effetto tra gli
avvenimenti storici, ma individua gli eventi storici come frutto della volontà
di Dio. A tale visione provvidenziale della storia si lega la concezione figurale,
caratterizzata da figura e adempimento, entrambi reali e storici. La vita
terrena delle anime è considerata un’ombra del mondo ultraterreno ed è
importante perché gli uomini con i loro atti stabiliscono il loro destino
ultraterreno. Secondo la concezione figurale della storia, essa si può dividere
in due fasi: tutto ciò che c'è prima della nascita di Cristo presenta la fase
classica; tutto ciò che avviene dopo presenta la fase cristiana. Tale concezione
della storia giunge all’utilizzo del sincretismo, ovvero la fusione tra elementi
classici con elementi cristiani. Virgilio è collocato nel Limbo, il primo cerchio
dell'inferno, dove vi sono i bambini non battezzati e gli spiriti grandi vissuti
prima di Cristo. Beatrice ha portato Dante a compiere buone azioni, lo ha
sempre indirizzato verso il cielo, ed è per questo che è collocata nella Candida
Rosa, beata tra i beati, concetto già anticipato nella Vita Nova. Il viaggio di
Dante assume una duplice valenza, già ravvisabile nei primi due versi del
primo canto dell’inferno: “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in
una selva oscura”. Attraverso l'aggettivo “nostra”,Dante vuole sottolineare
che il suo viaggio ha una valenza universale ed è valido per tutti gli uomini,
oltre ad avere una valenza individuale. Dante compie questo viaggio dopo un
periodo di traviamento morale, seguito alla morte Beatrice. Dante ha bisogno
di purificarsi dai peccati e per questo compie tale percorso. Nello stesso
tempo gli vuole mostrare all'umanità la retta via. Anche l'umanità, come
Dante, deve redimersi e per questo egli deve mostrare a tutti gli uomini ciò
che ha visto nell’oltretomba in modo tale che l'umanità riacquisisce la retta
via. Dante nel secondo canto dell’inferno, dopo aver incontrato Virgilio,
cominciò ad avere dei seri dubbi, cioè che egli non sia all'altezza di compiere
tale viaggio, che nella storia hanno compiuto solo Enea e San Paolo. Virgilio,
nel sesto libro dell'Eneide, parla di Enea che scende nell’oltretomba pagano e
incontra il padre Anchise, il quale gli predice il destino glorioso di Roma che
sarebbe diventata grande e avrebbe instaurato un glorioso impero. San Paolo
fu l’altro personaggio che da vivo è asceso al cielo. Il viaggio di Enea e San
Paolo è un viaggio provvidenziale voluto da Dio. Virgilio rassicura Dante
dicendogli che il suo è un viaggio provvidenziale. Infatti Virgilio racconta,
mediante un flash-back, che Beatrice si era spostata dalla candida rosa dei
beati ed era scesa fino al limbo per pregare il poeta di sostenere il pellegrino
Dante nel viaggio nell’Inferno e nel Purgatorio. A sua volta Beatrice era stata
sollecitata da Santa Lucia, alla quale Dante era stata devota, che a sua volta
viene sollecitata da Dante. Virgilio sottolinea che il viaggio di Dante è stato
voluto da tre donne benedette. Il viaggio di Dante si oppone a quello di Ulisse
perché quest'ultimo, con la sua tracotanza, osò sfidare Dio perché voleva
superare le colonne d'ercole e quindi fu punito con un naufragio ed, in
seguito, con la morte. Dante compie un viaggio che allegoricamente rimanda
alla situazione della Firenze contemporanea e del passato. I 3 regni
corrispondono a 3 situazioni diverse della storia della città: l’Inferno
corrisponde alla Firenze contemporanea afflitta da una crisi politica; il
Purgatorio rappresenta la possibilità della città di tornare allo splendore di un
tempo; il Paradiso rappresentala situazione della Firenze del passato in cui
regnavano gli antichi valori feudali. All’interno dei 3 regni, bisogna distinguere
la figura di Dante, che da un latto appare personaggio, dall’altro autore.
Pertanto abbiamo la figura del narratore omodiegetico e onnisciente, che
conosce passato, presente e futuro, quest’ultimo non combacia con la figura
di Dante personaggio in quanto è in preda agli eventi.
Il ‘300 è caratterizzato da processi di profonda trasformazione e transizione
storico-politica, socio-economica e culturale. Tale periodo può essere
descritto come “autunno del Medioevo”, nel senso che tale periodo di
transizioni e trasformazioni dà vita ad un nuovo scenario. In questo periodo
assistiamo ad una crisi dell’Impero e della Chiesa, vediamo il consolidarsi delle
monarchie nazionali e l’affermarsi delle signorie. Sul piano economico,
possiamo vedere una profonda recessione, dovuta alle epidemie, che causano
spopolamento delle aree urbane e delle campagne: famosa è la peste nera
del 1348, citata da Boccaccio nel Decameron. L’impoverimento della
popolazione causerà delle lotte tra classi sociali. Dopo la morte
dell’imperatore Arrigo VII, l’impero va in crisi. A partire dalla Bolla d’Oro del
1356, la corona imperiale verrà assegnata a 7 elettori tedeschi. L’impero
diventerà privo di ogni concreta capacità d’azione. Assistiamo anche ad una
crisi del Papato. L’ultimo grande papa teocratico fu Bonifacio VIII, ma alla
morte di quest’ultimo nel 1309, la sede pontificia venne spostata ad
Avignone; ciò garantisce la perdita dell’autonomia del papato. La Chiesa vive
un periodo di difficoltà anche a causa di proble mi interni, dovuti alla
mondanizzazione della vita nella corte papale in cui sono frequenti il lusso, le
abitudini secolari, il dispendio delle risorse non legati alla fede e alla
spiritualità. Si avvisa quindi la polemica da parte dei francescani, che volevano
il ritorno della sede pontificia a Roma e volevano attuare una riforma
spirituale. In questo contesto si registra il tentativo di Cola di Rienzo, nel 1347,
di instaurare le istituzioni repubblicane a Roma. Cola cerca di restaurare i fasti
della Roma repubblicana e di restituire alla città la funzione di guida spirituale
della cristianità. Alla fine del secolo, il mondo cattolico si spacca
ulteriormente: papa Gregorio XI riesce a riportare la sede pontificia a Roma
nel 1377, ma la sua morte prematura crea una drammatica scissione. In
quanto al soglio pontificio vennero eletti due papi, uno italiano ed uno
francese. Questa spaccatura è chiamata Scisma d’Occidente e durerà fino al
1417. Alla decadenza dell’Impero e della Chiesa si contrappone l’affermazione
degli Stati Nazionali. In Francia vediamo effettuarsi una politica
sull’accentramento del potere. Questo progetto viene attuato grazie
all’organizzazione di un apparato burocratico di funzionari che esercitano
varie forme di potere per indebolire i signori locali. Abbiamo una
trasformazione della concezione dello Stato, in cui accanto al potere centrale
si riconoscono organi assembleari di tipo rappresentativo che riuniscono gli
esponenti degli strati sociali più importanti. L’affermazione degli Stati
Nazionali contribuisce allo sfogo della Guerra dei Cent’anni che oppone
Francia e Inghilterra dal 1337 al 1453. Tale guerra diviene un affare che
arricchisce i soldati mercenari e le compagnie bancarie che finanziano
monarchie e principi. La difficoltà a pagare i debiti, causerà tracolli e fallimenti
all’interno delle famiglie di banchieri, come quelle dei Bardi e dei Peruzzi. Fra
il XII e il XIII secolo la fioritura del mondo comunale aveva portato alla ribalta
nuovi modelli politici, sociali ed economici. Questo mondo era incline
all’espansione. Nel XIV secolo assistiamo a una riorganizzazione del sistema
economico e sociale. Si verifica da parte delle elites economiche, l’espansione
del proprio territorio verso le campagne, approdando ad una
rifeudalizzazione. All’interno del comune abbiamo un divario fra le classi come
il Tumulto dei Ciompi, del 1378. In Italia si afferma la nascita delle Signorie, al
cui vertice vi è il signore che riesce ad affermare il suo potere ed a controllare
la città per via indiretta. Nacquero le signorie degli Estensi, dei Visconti, degli
Sforza, dei Dapolenta, degli Scalingeri e dei Carrara. La crisi avvenuta nel ‘200
non comporta una crisi del mondo urbano, ma una sua trasformazione. Alla
fine del ‘300 assisteremo a un rafforzamento delle oligarchie cittadine, ma
anche ad una trasformazione della figura del mercante. Sul piano dei modelli
culturali, la borghesia urbana si avvicina sempre di più all’aristocrazia
cittadina. Dante stesso nella Commedia aveva parlato di un’età dell’oro del
mondo urbano, non contaminato dalla corruzione, ispirato ai valori di
gentilezza e nobiltà trasmessi dalla cultura cortese. Nei decenni, però
possiamo cogliere dei segni di un’involuzione nella borghesia mercantile, che
è protagonista delle novelle del Decameron di Boccaccio, in cui si avverte la
nostalgia per i valori cortesi. Le università sono caratterizzate da un processo
di trasformazione, in cui maturano la decadenza della scolastica e il declino
del simbolismo e dell’allegorismo. Si affermano nuovi auctores, come
Agostino. I francescani sostengono la centralità dell’esperienza, con la netta
separazione degli ambiti che la scolastica aveva ispirato a tenere uniti.
Fondamentale è il pensiero di Guglielmo di Ockham, il quale pensa che
l’esperienza è al centro di ogni prospettiva di conoscenza. Alla base di questo
atteggiamento domina un’esigenza di libertà, che si esprime nel bisogno di
svincolare il pensiero filosofico dal controllo della teologia, ma anche della
tirannia del principio di autorità, in primis da quella di Aristotele. In questo
quadro acquista rilievo anche la decisa separazione tra filosofia e letteratura.
Alla logica e alla dialettica, vengono opposte la retorica e l’eloquenza. Su
questa linea si collocherà Petrarca, che sosterrà la superiorità della poesia e
della letteratura su tutte le altre arti e scienze. In questo periodo Petrarca
sceglie di farsi incoronare poeta laureato a Roma, nella speranza di dare un
valore alla città eterna. Anche il recupero delle lettere classiche faceva
emergere il suo attaccamento alla città di Roma. Molto importante è anche il
suo soggiorno presso il re di Napoli Roberto D’Angiò. Tale incontro fu voluto
principalmente da Dionigi da Borgo Sansepolcro. Sempre a Napoli, il sovrano
aveva commissionato delle opere a Giotto. Queste iniziative rivelano un
progetto di politica culturale, volto ad esaltare gli eroi del passato , assunti a
modello per i moderni. Con la morte di re Roberto, assistiamo ad un culto per
la classicità e recupero delle lettere latine. Con Petrarca abbiamo un
intellettuale che concepisce il proprio ruolo culturale al di là di un’ottica
strettamente municipale, che si realizza grazie alla sua straordinaria mobilità.
Nascono nuovi centri culturali, laici, coincidenti con le corti signorili. Possiamo
parlare della nascita di un mecenatismo culturale, in quanto il sovrano ama
attorniarsi di intellettuali ed artisti. Ed è proprio con l’affermarsi di
quest’ultimo che Petrarca definisce quello che, secondo lui, è l’intellettuale
ideale. Con Petrarca si profila l’idea che l’attività dell’intellettuale e la scrittura
costituiscano una vera e propria professione. Boccaccio, invece, svolgerà un
ruolo più marcato di meditazione tra i poeti stilnovisti e quelli della sua
corrente. In lui possiamo intravedere persistenze medioevali e uno spirito
umanistico. Egli crea una nuova forma di narrazione in prosa e l’ottava rima,
che verrà utilizzata dagli autori successivi. Boccaccio è stato definito un
rivoluzionario dissimulato, in quanto incarna un tipo di intellettuale ibrido,
complesso. Egli riconosce che vi è un nuovo pubblico borghese e femminile, e
vi sono nuove forme d’accesso non specialistico alla lettura. Egli fu
sicuramente un uomo partecipe all’autunno del medioevo: da un lato egli
mostra un attaccamento al passato, dall’altro le sue scelte approdano ad una
centralità della cultura laica, più affine all’epoca umanistica. Questo è il
periodo in cui si avvisa un allargamento del pubblico, formato da donne, e da
popolazione appartenente al ceto borghese. Il pubblico sente ormai la
necessità di essere circondato da cultura, per cui la letteratura si esprime
come intrattenimento e svago. Memorabile sarà la rivisitazione della
Commedia di
Dante da parte di Boccaccio nella Chiesa di S. Stefano in Badia a Firenze nel
1373. Firenze resta sempre il centro più fervido di cultura, ed è affiancata da
numerosi centri di notevole cultura. Le università sono al centro di
trasformazioni, in quanto subiscono una nazionalizzazione o regionalizzazione
perdendo la loro caratteristica di istituzioni internazionali. Il potere dei sovrani
mira a tenere sotto controllo tali istituzioni. In questo periodo si nota la
graduale aristocraticizzazione degli allievi e dei docenti. Oinoltre, all’interno
delle università, si coltivano vari interessi connessi sicuramente all’epoca
umanistica che incombe. Sarà molto innovativa la cattedra di greco presso lo
Studio cittadino di Firenze, assegnata a Leonzio Pilato. Tra il XIV e il XV secolo
assistiamo ad una netta trasformazione delle biblioteche. Assistiamo ad un
recupero dei classici, grazie alla ricerca spasmodica di manoscritti rari e
preziosi. Basta pensare alle grandi scoperte filologiche, che porteranno alla
scopertas di testi fino ad allora sconosciuti. Al centro di quest’attività si
collocano Petrarca e Boccaccio. Sorgono le biblioteche private, dovute
all’iniziativa di intellettuali che raccolgono libri rari e poco noti, collezionati e
scambiati in una fitta rete di relazioni. Petrarca ricercherà testi rari e li farà
circolare in tutta Europa. A seguito di questa iniziativa aumenta il numero di
codici in circolazione e molti signori diventano bibliofili. Le feconde amicizie
tra intellettuali che si intessono in Italia, permettono l’avanzata di una
sensibilità pre-umanistica. In questa direzione si affermerà Boccaxxio che nella
sua casa creerà un vero e proprio cenacolo intellettuale. Un intellettuale
come Sennuccio del Bene aveva riunito nel suo cenacolo intellettuali come
Zanobi da Strada, Francesco Nelli e Forese Donati. Nel ‘300 persistono ancora
modelli di genere, lingua e stile che avevano caratterizzato la produzione
duecentesca. Infatti sul versante della lirica si mantengono vivi modi e temi
dell’esperienza stilnovistica. Franco Sacchetti è noto per la sua raccolta
“Trecentonovelle”, ed è noto per aver composto più di 300 rime di genere e
metro vari. Nella sua produzione lirica, raccolta nel “Libro delle rime”, egli
raccoglie ballate, madrigali, frottole e cacce del sentimento amoroso.
Sennuccio del Bene riprende i temi amorosi dello Stilnovismo in maniera
limitata, nei ritmi di un’armoniosa musicalità. Una sola canzone è dedicata al
tema politico. La centralità della lezione dantesca si avverte nella persistenza
del genere allegorico-didattico. Nei primi decenni del ‘300, Francesco da
Barberino compone “documenti d’amore”, destinata ad un pubblico maschile,
e “Reggimenti e costumi di donna”, destinata ad un pubblico femminile, dove
vengono forniti i modelli di comportamento in cui i precetti dell’amore
cortese si calibra sull’esperienza borghese umana. Sulla linea di imitazione
dantesca abbiamo Fazio degli Uberti, il quale nel suo “Dittamondo” riprende il
metro in terzine e l’espediente del viaggio. L’esempio di Dante si avverte per
tutto il secolo, anche se dà vita ad opere che non vanno oltre l’intento morale
enciclopedico. L’ineguagliabilità del modello è dimostrata anche da Petrarca
nei “Trionfi” e da Boccaccio ne “L’amorosa visione”. Cecco D’Ascoli, nella
composizione de “L’Acerba”, invece, si pone con un intento polemico
antidantesco, volto a dimostrare che un’opera dottrinaria e didascalica non
poteva affermarsi sull’espediente del viaggio oltremondano, né doveva
ricorrere all’allegorismo religioso. Le conoscenze fisiche, astronomiche e
astrologiche vengono presentate in forma enciclopedica e il linguaggio è
oscuro. Anche se Cecco si pone in netto contrasto con Dante, notiamo che
nella sua opera ebbe l’influenza da quest’ultimo per quando riguarda il metro
della terzina in endecasillabi. Nel ‘300 assistiamo anche a varie forme di
realismo. Pieraccio Tedaldi affiancherà il genere comico-realistico a interessi
di natura morale e religiosa. L’influenza comica la avvertiamo anche nelle rime
di Bindo Bonichi. Si intensifica una produzione di carattere popolareggiante,
legata all’esperienza locale, con finalità educative, di polemica civile o di
pubblico divertimento. La personalità che meglio sintetizza questa tendenza è
Antonio Pucci, il quale fu autore di cronache in versi, di cantari sia di
tradizione romanzesca , di numerose opere generate da eventi e situazioni
dell’attualità. Fin dal XIII secolo si era affermata nel contesto comunale una
prosa in lingua volgare, che dava spazio alla nascita di nuovi generi letterari, i
quali puntavano alla brevitas. Poco spazio si dava all’approfondimento
psicologico, mentre l’emergere di tratti realistici era soppiantato da temi
piuttosto fiabeschi. L’aspetto fondamentale di questi nuovi generi constava
nell’adozione del volgare. La produzione in prosa della seconda metà del XIV
secolo si confronta con il modello boccacciano della cornice. Tra le opere
dotate di cornice abbiamo: il Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino e il
Novelliere di Giovanni Sercambi. La più originale opera novellistica post-
boccacciana è il Trecentonovelle di Franco Sacchetti, della quale possediamo
solo 222 novelle. L’autore pone tali novelle in un ordine casuale e ciò consiste
un maggiore impatto con l’attualità sulla narrazione. Caratteristico, in
quest’opera, è il moralismo su cui le novelle convergono. Tra le esperienze
innovative del periodo abbiamo la riscoperta dell’antichità classica. I segnali
di novità variano a seconda dei vari centri della penisola. Nelle aree di più
largo successo della letteratura volgare duecentesca, si riscontra il maggiore
conservatorismo, ovvero attaccamento ai classici. È il caso del fiorentino
Zanobi da Strada, amico di Petrarca e Boccaccio, autore di testi in latino e
volgarizzamenti da autori classici o cristiani. Un ruolo di primo piano della
diffusione della poesia in volgare lo ha Padova, dove operano autori come
Lovato de’Lovati e il suo allievo Albertino Mussati. Sarà poi la seconda
generazione trecentesca,a portare avanti i valori codificati con Petrarca.