29/03/2022
“Interviste sulla musica antica”, Vox feminae: Barbara Thornton su Hildegard von Bingen (pag. 65)
Un capitolo interessante del libro “Interviste sulla musica antica: dal canto gregoriano a Monteverdi” è dedicato alla
voce della donna (vox feminae), intervista a Barbara Thornton su Hildegard von Bingen (1098-1179).
Hildegard von Bingen, monaca benedettina tedesca, è un personaggio abbastanza interessante, perché è una mistica
medievale tedesca. Nel contrasto tra il Papato e Federico Barbarossa, durante il periodo delle Crociate, interviene
anche Hindegard von Bingen, che era questa famosissima mistica che scrive musica (conservata fino a noi). Nei ludi
(rappresentazioni sceniche a carattere sacro) c’è questo Ordo Virtutum, dramma allegorico interamente musicato da
Hildegard von Bingen che parla della virtù (quindi di qualcosa di allegorico).
Qui l’Anima (un personaggio), viene contesa tra il Diavolo e la Virtù (→ classica parabola cristiana: l’anima dell’uomo
è in perenne equilibrio tra il bene e il male).
Questo Ordo Virtutum, ai musicologi e storici, non è sembrato altro che la riproposizione in chiave allegorica del
periodo di crisi politica, l’incertezza e le Crociate che la Chiesa stava vivendo.
https://www.youtube.com/watch?v=FCSm_euQtUo
In questo libro di Bernard Sherman, Barbara Thornton dice chi è Hildegard von Bingen, ovvero fondatrice e badessa
di un convento a Bingen, in Germania, che è stata sottoposta per la primissima volta all’attenzione dell’America
moderna (ovvero da Barbara Thorton) in un testo che parlava di emicranie. Questo perché nel libro “Musicofilia” di
Oliver Sacks, neuroscienziato morto di recente, nel 1970 ipotizza che le visioni mistiche di Hildegard von Bingen
fossero indiscutibilmente di origine emicranica (→ lei soffrisse di potenti mal di testa che la portavano all’estasi e al
raggiungimento di una conoscenza ultra divina), sebbene Sacks aggiunge di non trascurare la portata psicologica,
spirituale e mistica di questa grande figura femminile medievale, che addirittura venne chiamata dall’imperatore
Federico Barbarossa per appianare la situazione di instabilità con il Pontefice.
Ciò è rilevante perché, nel descrivere le eccezionali doti intellettuali e letterarie di Hilgedard, dalla sua opera non
risulta essere stata solo una poetessa, una suora, una poetessa e una drammaturga (Ordo Virtutum, dramma
allegorico), ma quando Bernard Sherman intervista Barbara Thornton, la prima domanda che si pone è a proposito
dell’inarrestabile e coinvolgente effondersi della melodia, che, a un orecchio abituato ad altro, risulta molto lontana.
“L’epoca di Hildegard, il XII secolo, fu un secolo innovativo e proiettato verso il futuro. L’Europa cominciò a
scoprire Aristotele, il pensiero scientifico moderno iniziò a emergere, la pietà cristiana divenne più personale ed
emotiva rispetto a quella sacramentale, la Vergine Maria acquisì una posizione centrale tra le figure di
devozione, apparve l’ideale di amore cortese, furono gettate le basi dell’Umanesimo (che si affaccerà tra XIV e
XV secolo, con la riscoperta di Aristotele e dei Greci), e così via.
In molti campi (certamente in quelli della letteratura e della musica), risponde Barbara Thornton, i secoli XI
e XII manifestarono una vera esplosione di energia che gli studiosi moderni hanno spesso descritto come una
sorta di Rinascimento. Credo, tuttavia, che oggi sia chiaro che i periodi di “rinascenza” sono di fatto
accuratamente preparati dalle epoche precedenti (stiamo uscendo da un Medioevo disgregato (con Crociate e
scontri tra Impero e Papato) per arrivare a un Medioevo dove c’è più accentramento del potere): per esempio,
il forte sviluppo del cosiddetto culto mariano, che giunse nel XII secolo a pervadere ogni aspetto dell’arte,
aveva cominciato a manifestarsi già dal IX secolo (epoca aurea carolingia, con il rassettamento di tutta la
liturgia → è ovvio che ci sia stata un’ascesa del culto mariano sia in pratica devozionale che in esaltazione
musicale).
Musicalmente parlando, il XII secolo mi sembra in qualche modo l’apogeo del pensiero arcaico. In questo
periodo il modo di pensare non è ancora diventato tecnologico in senso moderno, ma giunge a un’enorme
fioritura immaginativa sulla base delle regole preesistenti. […]
Lo spirito musicale e poetico del XII secolo implica, allo stesso tempo, tradizione e innovazione. Si tratta di
un modo di vedere lungimirante e d’avanguardia, poiché gli artisti consideravano le loro creazioni
assolutamente nuove, anche se le antiche regole creative non furono mai del tutto abbandonate. In alcuni
repertori musicali e poetici si riscontra una cerca insistenza su tale idea: “Questi sono nova cantica”, cioè
nuovi canti. […]
Hildegard, con la sua grande varietà di talenti, come visse quest’epoca innovativa e di rinascimento
culturale?
Non c'era molta gente come Hildegard a quei tempi. C'erano comunque alcuni “geni universali”, tra cui, per
esempio, il teologo, poeta e compositore Pietro Abelardo, che arricchì la tradizione di una grande quantità di
opere originali, e che fu un acclamato quanto discusso maestro; un altro fu il poeta e teologo Alain de Lille.
Hildegard può tranquillamente prendere posto tra loro. È stata paragonata anche ad Avicenna (980-1037),
filosofo, enciclopedico e medico arabo. Hildegard era molto conosciuta ai suoi tempi, sebbene non avesse la
stessa fama di Abelardo né fosse tanto diffusamente letta quanto Alain de Lille. Ma diversamente da Abelardo,
lei fece i passi necessari per essere sicura di non cadere in disgrazia con i più alti poteri politici del proprio
tempo, e di mantenere una posizione sicura nell’ambito della Chiesa. Nel tempo guadagnò anche
riconoscimenti ufficiali per le sue facoltà profetiche e visionarie;
- I re taumaturghi francesi: i re francesi, insegna Jacques Le Goff, da Ugo Capeto in poi erano unti
con l’olio santo di Clovis, olio santo con cui era incoronato Clodoveo, e, in quanto unti dal signore, i
sovrani francesi avevano poteri taumaturgici (con l’imposizione delle mani guarivano le malattie).
Quando ci fu la Rivoluzione Francese e tagliarono la testa a Luigi XVI, Le Goff afferma: con la
ghigliottina cadde non solo la testa dell’ultimo Capeto (→ era discendente dei Capetingi), ma cade
anche il potere mistico e divino dei re (perché una volta all’anno tutti i lebbrosi e i malati si
recavano alla corte del re, quest’ultimo imponeva le mani e tutti guarivano).
È ovvio che stiamo parlando di fantascienza, ma nel sentire popolare era veramente creduto. In
Europa medievale del XII secolo,
senza tali riconoscimenti, probabilmente si sarebbe scontrata con l’autorità più di quanto non abbia fatto:
infatti, verso la fine della sua vita, i prelati di Magonza bandirono temporaneamente la musica dal convento di
Hildegard, in risposta a una serie di sue disobbedienze. Tuttavia, in generale, Hildegard sapeva quali fossero le
mosse diplomatiche necessarie per assicurarsi la libertà creativa; se su di lei fosse calata l'ombra di un serio
sospetto, probabilmente le autorità l'avrebbero fermata subito.
In Hildegard vediamo anche una persona che, godendo di una posizione sicura (era la badessa di un
convento di benedettine), si preoccupò affinché i propri lavori fossero documentati e tramandati. A quanto
pare poté contare su scribi del più alto livello, copisti di grande maestria nella notazione musicale, e persino di
miniatori di grande talento: era chiaramente in una posizione tale da poter chiamare a sé le persone migliori.
[…]
- L’ingegno di Hildegard von Bingen nel XII secolo di avvalersi della scrittura musicale fornisce un
aggancio verso Guillaume de Machaut, nome aureo dell’ars nova francese. Il Codice C tramanda e
raccoglie alcune composizioni di Guillaume de Machaut, oltre che di altri autori che scrissero nello
stile dell’Ars subtilior.
È quindi probabile che questo monastero avesse una grande biblioteca e producesse nuovi testi?
Sì; tuttavia, secondo delle recenti teorie sulla vita intellettuale nel Medioevo, quelle di Mary Carruthers e
della sua scuola, sembra che in quest'epoca i libri fossero di grande importanza per la trasmissione del sapere,
ma non usati nel modo al quale siamo oggi abituati. Un libro, come ricettacolo di pensiero e saggezza, era
quasi un simbolo dell’abilità intellettuale di immagazzinare nella memoria parole che potessero essere usate
all'occorrenza per ragionare, parlare e comporre (→ era l’epoca della memoria, in cui veniva ampiamente
utilizzata la mnemotecnica. Torniamo al concetto medievale del tropo, ovvero della variazione). È stato
fondamentale per noi, avendo a che fare con tutti i periodi del Medioevo, assicurarci di avere adeguatamente
compreso questa premessa di base. Era normale che nell'educazione di un uomo, le opere disponibili di
Platone e di altri filosofi, la Bibbia, i commenti, e altre opere privilegiate, venissero interiorizzate attraverso la
memorizzazione attiva (mnemotecnica) più che essere semplicemente lette dalle pagine di un libro. Nel corso
della propria vita un intellettuale memorizzava, attraverso l’aiuto di particolari tecniche, enormi quantità di
conoscenze (così come i cantori memorizzavano i canti della liturgia). Di conseguenza, l’apprendimento,
soprattutto in campo musicale e letterario, avveniva soprattutto su basi orali.
Come si collega questa oralità a Hildegard?
[…] Non c'è modo di sapere esattamente con che spirito ella pretendesse di aver “visto” e “sentito” la luce
divina; tuttavia non credo che abbia assunto un atteggiamento modesto come espediente letterario (→ lei
veramente ci credeva), o al fine di creare una mitologia intorno alle sue capacità e alle sue composizioni per
conferire loro autenticità. […]
Una volta accettato seriamente il presupposto dell’oralità, si modifica profondamente la percezione e la
valutazione delle testimonianze del periodo. In particolare, gli intellettuali avevano a tal punto interiorizzato le
proprie conoscenze, che se qualcuno aggiungeva un commento o un contributo a ciò che si sapeva, compiva
un passo di enorme portata (→ ritorno al concetto del tropo, dove si aggiungeva sempre qualcosa al fine di
favorire la memorizzazione). Per noi oggi è facile dire che un contributo intellettuale dovrebbe innanzitutto
essere “originale”, ma per i pensatori del XII secolo l'originalità si esprimeva diversamente. Probabilmente, la
maggior parte della vita intellettuale di ciascuno consisteva nella trasmissione del sapere e nel suo scambio
con altri individui che avevano lo stesso tipo di informazioni testuali profondamente assimilate; all’epoca,
scambiarsi le idee su questo materiale (un testo, una musica, etc.) rappresentava già un livello fondamentale
di creatività intellettuale. Fare il passo ulteriore, dunque, e documentare in forma scritta l'opinione originale o
il commento di qualcuno su questo corpo basilare di conoscenze (per esempio i tropi o i commentari),
implicava che uno sforzo straordinariamente creativo era stato effettuato. È se a noi può sembrare che
commentatori di questo tipo aggiungessero di fatto una quantità minima di nuove informazioni o idee, è
perché in realtà noi ci avviciniamo alla “conoscenza” con una filosofia completamente diversa da quella degli
intellettuali dell’epoca. Noi tendiamo a “proiettare” il sapere nei libri; essi invece lo immagazzinavano, lo
rendevano facilmente disponibile, lo usavano per formare la propria anima. […]
A proposito di Hildegard, qual era il corpus di musiche esistente su cui ella ha lavorato?
Le sue composizioni sono strettamente religiose e sembrano essere saldamente basate sulle idee e le
tradizioni del canto gregoriano, di cui prendono le idee di base, come i modi, le formule e i soggetti, allargando
poi la portata dell'intera esperienza sia dal punto di vista tecnico sia da quello emozionale.
A proposito della struttura musicale, nel descrivere il modo in cui avete sviluppato «Ordo Virtutum», lei ha
affermato che per Hildegard i diversi strumenti avevano una particolare simbologia: gli archi rappresentavano
le cure mondane, l'arpa la benedizione celeste, i flauti la presenza di Dio. Ha dunque fatto uso di queste
informazioni, nella strumentazione del dramma?
[…] Noi non usiamo praticamente più strumenti, a differenza di quando abbiamo registrato l'Ordo Virturum,
più di dieci anni fa. Gli strumenti si rivelavano molto utili per i cantanti non avvezzi al pensiero modale, mentre
oggi ci sentiamo un po’ più sicuri. Gli strumenti (o, dovrei dire, gli strumentisti) realizzano queste cose con
grande rapidità e chiarezza, e stimolano l'immaginazione: sono tanto persuasivi che dovrebbero essere usati
con il massimo giudizio possibile, in modo che la parola e il gesto modale — realizzati dalla voce o dallo
strumento — rimangano le fonti e i mezzi principali di influenza sull’immaginazione.
https://www.youtube.com/watch?v=wGPZWUNwLG0
L’ARS NOVA
C’è una musica intellettuale e polifonica che si sviluppa nelle corti e tra l’alta borghesia trecentesca che è l’ars nova.
Nel Tardo Cinquecento, invece, Vencentio Galilei a Firenze nel 1583 scrive “Dialogo della musica antica e moderna”
→ nella storia della musica c’è sempre la dicotomia tra il moderno e l’antico. Saranno gli uomini del Rinascimento a
farci avere una percezione falsata del Medioevo: loro si reputavano più vicini a un ideale di bellezza classica. Quando
con l’Umanesimo si comincia a riscoprire la classicità, l’uomo Rinascimentale guarda il Medioevo con sdegno, perché
sente che quel periodo non gli appartiene più. Questo ha falsato molto la nostra opinione: tutt’oggi molte persone
pensano che il Medioevo sia qualcosa di brutto.
È La musica polifonica che partecipa del presidio delle corti e della borghesia mercantile che pian piano si afferma. La
sua conversazione non è garantita soltanto dal contesto elitario, ma scaturisce da una simbiosi anche con la scrittura:
dal periodo della mnemotecnica, con l’aumento dei supporti di scrittura, si passa alla grandissima rivoluzione della
stampa musicale, con la quale si abbattevano i costi e si riducevano i tempi.
Scrivere musica diventa pian piano normale con la liturgia. Tuttavia, il rito, pur praticando la polifonia, non aveva
ancora bisogno di affidarsi al segno (→ ritorna sempre il concetto della memoria). La polifonia in Chiesa è una forma
di tropo: la variazione di altre voci sulla vox principale (tenor) rappresentava una forma di tropo, quindi occasionale e
prima della necessità di essere affermata su pergamena → è la rappresentazione dell’originalità del singolo cantore
al momento.
Gli scriptoria più prestigiosi, luoghi deputati alla creazione dei libri, solo per mostrare il progresso delle esperienze
hanno pensato di trascrivere la polifonia → Davide Daolmi crede che non ci fosse un’esigenza vera di fissare su un
libro, perché era tutto nella mente. Basti pensare a due Chiese, come quella di San Marziale e quella di Notre-Dame
(dove c’era la più importante università d’Europa e l’attività di due importanti maestri, Leonino e Perotino).
Nascono studi riguardo al trivium (grammatica, dialettica, retorica) e quadrivium (aritmetica, musica, geometria,
astronomia) negli ambienti dove la pratica liturgica era connessa all’università (Parigi è una di queste capitali della
cultura).
Ci sono anche una serie di trattati, personaggi e speculazioni teoriche. Tra questi ci sono Johannes de Muris,
Marchetto da Padova e Philippe de Vitry.
A Parigi c’è Johannes de Muris, un matematico che predispone alcuni materiali di teoria musicale per gli studenti ed
elabora verso il 1320 un sistema che risolveva le incertezze di notazione → eravamo in un periodo di assestamento
ed evoluzione della notazione e della prassi musicale. I testi di Johannes de Muris furono ampiamente copiati e
studiati non solo a Parigi, ma anche fuori, e la nuova teoria fu rilanciata da un trattato che lega il suo nome a un altro
importante teorico, Philippe de Vitry.
Philippe de Vitry era un poeta, compositore e cortigiano francese. Insegnava musica a Parigi e propose le
innovazioni del collega Johannes de Muris in unione con altre sue intuizioni che riversava nelle sue composizioni.
Verso il 1320 alcuni allievi di Philippe de Vitry raccolsero le lezioni del maestro distinguendo:
− Ars vetus (poi chiamata ars antiqua): le tecniche già acquisite e consolidate;
− Ars nova: Le soluzioni di Johannes de Muris e di Philippe de Vitry ai problemi rimasti aperti.
Le proposte avranno un grande successo e il testo così redatto e nato occasionalmente da questa raccolta di questi
allievi sarà conosciuto con il nome di ars nova, che dà, in realtà, nome alla musica del Trecento.
In Italia, invece, c’è Marchetto da Padova, un teorico legato alla corte napoletana di Roberto d’Angiò (→ è sempre
legato ai francesi attraverso la dinastia angioina che domina a Napoli). Marchetto da Padova scrive il “Pomerium”,
nel quale sviluppa un sistema alternativo per individuare il valore delle note (a differenza della notazione quadrata).
Esperimenti simili forse si saranno svolti anche da altre parti, non solo a Napoli con Marchetto da Padova, ma il
problema è che a oggi non sono state rintracciate. È probabile che, infatti, nessuna tecnica raggiunse la compiutezza
di quella di Johannes de Muris e Philippe de Vitry (→ infatti la loro tecnica prevale in quanto efficacia nell’Europa di
tutto il Trecento) e quella di Marchetto da Padova in Italia.
Succede, però, che ci sono alcune diffidenze: c’è la differenza tra l’intellettualismo francese e, invece, una
piacevolezza della musica (del ductus, della flessuosità della linea melodica) italiana. Quindi si ha:
È come se fossero due scuole di pensiero: una iper-sofisticata in Francia e una piacevole con un ductus improntato
maggiormente al movimento aurale della musica in Italia.
Abbiamo musica per la scrittura: Guillaume de Machaut, compositore importantissimo dell’ars nova francese, farà
della scrittura un baluardo; allo stesso modo vedremo tra i compositori fiamminghi Josquin Desprez nei primi
decenni del Cinquecento sfrutterà la neonata stampa musicale per autopromuoversi → ogni epoca incontra le
piccole chance che la vita offre. Il famoso Codice C di Guillaume de Machaut parla di un rapporto con la scrittura
comunque molto più stretto.
Storicamente nel Trecento, a livello di storia franco-italiana, c’è la Cattività Avignonense, con un Papa in Italia e un
Antipapa ad Avignone. In questa instabilità politica si aspetteranno il Consilio di Pisa del 1409 e il Concilio di Costanza
del 1418 per stabilire l’unico vero papa → tutto il Trecento è attraversato da queste incertezze. Nel primo Trecento
già Dante Alighieri ci dà testimonianza degli scontri intestini fratricidi tra Guelfi e Ghibellini all’interno delle fazioni
papaline.
L’ars nova lascia tantissimi manoscritti: si comincia ad avere una quantità copiosa di manoscritti. Tra questi c’è un
romanzo, il famoso “Roman de Fauvel”, che riguarda un asino chiamato Fauvel.
Il Roman de Fauvel è carico di allegorie e di satira politica verso la monarchia francese. Lo stesso nome dell'asino,
infatti, è ricoperto di più significati: sillabato diventa fau-vel (che significa menzogna velata) e le sue lettere formano
un acrostico in cui ogni lettera indica uno dei sette vizi capitali (francese: flatterie, avarice, vilenie, variété, envie,
lascivité; italiano: adulazione, avarizia, villania, incostanza, invidia, vigliaccheria).
Proprio Philippe de Vitry scrive di questo asino (il monarca francese) che ne combina di tutti i colori → è una satira a
tutti i vizi della corte che sono compendiati in questa figura.
https://www.youtube.com/watch?v=_qczhnd_n2A