Sei sulla pagina 1di 66

NANI SULLE SPALLE DI GIGANTI

INTRODUZIONE
Fonte → è la testimonianza coeva (contemporanea) [es: una moneta o un monumento sono documenti, cioè
fonti]
Bibliografia → quando gli autori, recuperando le fonti e studiando l’argomento, hanno scritto un testo. Ma deve
esserci una riflessione critica da parte dello storico che, raggruppando tutte le fonti, respingendo magari
considerazioni precedenti, considerando fonti nuove che prima forse non erano state considerate con attenzione
o magari non erano state pubblicate, propone un nuovo testo. Quindi la bibliografia è l’insieme della produzione
storica di un determinato tema.

Contenuti del corso:


- Individuazione degli strumenti della trasmissione della cultura, strumenti pubblici come le scuole ma anche
privati come l’azione della famiglia, che era molto importante; inizialmente con lo stesso sistema romano,
quindi con i precettori e poi con le madri che trasmettevano il loro sapere basato però su una sola
infarinatura.
- Interventi dei poteri pubblici. Fu fondamentale il ruolo che ebbero i due grandi poteri universali nel
medioevo: il potere spirituale (la chiesa) e il potere temporale (l’impero e i regni). Vedremo la chiesa
impegnarsi direttamente, stabilendo delle regole, norme conciliari (che per la chiesa sono norme legislative),
si impegnò anche nella preparazione culturale, all’inizio, del solo clero. Inoltre, vedremo anche ciò che fu
fatto dall’impero con Carlo Magno.
- Funzione politica e sociale della cultura nei secoli medievali che fu un obiettivo chiaro ai carolingi. Perché
quando Carlo si impegna in quella famosa azione di rinascita culturale lo fa perché il nuovo Impero Carolingio
(che significò il nuovo impero alla caduta del vecchio Romano Impero d’Occidente), è il Sacro Romano impero
d’Occidente, che caratterizza l’impero carolingio, è la sacralità dell’impero. Praticamente è il connubio stretto
tra la chiesa e l’impero, e questo infatti poggiava in una collaborazione strettissima tra Carlo e la chiesa.
Tuttavia, questo significava avere il supporto garantito della chiesa, che però era immersa in una decadenza
totale soprattutto dal punto di vista culturale, ecco infatti da dove nasce l’impegno in piano culturale dei
carolingi, dal fatto che avevano bisogno del supporto di una chiesa qualificata, Carlo Magno punta alla
formazione culturale del clero. Però allo stesso tempo la chiesa doveva essere più duttile, non pensando
soltanto alla formazione di coloro che erano inseriti nell’ordine ecclesiastico ma aprendosi anche alla società,
ma tutto ciò però creo dei problemi.

Intorno al 1120 Bernardo, Maestro di retorica (siamo intorno al 1110 e il 1120), capofila della scuola di
Chartres (era una delle scuole cattedrali, di altissimo livello, prima delle università era il livello massimo
di istruzione e poi invece diventa una sorta di liceo del periodo medievale), sembra aver dichiarato di
fronte ai suoi allievi: “Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose e più
lontano di quanto vedessero questi ultimi; non perché la nostra vista sia più acuta, o la nostra altezza ci
avvantaggi, ma perché siamo sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo” → si
tratta di una novità assoluta, in quanto siamo in un momento in cui la cristianità occidentale stava recuperando
il suo ruolo (momento di rinascita militare, ecc. ma anche culturale). Il periodo in cui accadeva tutto ciò si pone
tra la 1° e la 2° Crociata (XI e XII sec.) e la chiesa. Che, come abbiamo detto, sta recuperando appieno il suo ruolo,
è ormai capace di organizzare delle campagne militari tra cui una forte offensiva contro il mondo islamico e gli
infedeli che occupavano Gerusalemme, quindi è pronta a ripetere dopo 50 anni (dopo il 1095) una stessa
esperienza, che coinvolgeva tutta la cristianità, infatti partivano migliaia di uomini dei vari regni. Tutto questo era
favorito da una forte ripresa demografica che portò alla presenza di più uomini e al rinnovo della vita commerciale
e delle città e a seguire la presenza di una vivacità culturale. Quindi Bernardo è da collocare necessariamente in
quest’epoca altrimenti non capiremmo tale affermazione e queste parole di grande orgoglio, di rinascita e
certezza che se gli studiosi si mettono sulle spalle di giganti (gli autori dei testi classici del passato, dell’età greca
e romana) hanno la possibilità di vedere oltre.
Questa celebre frase racchiude tutta l’ambiguità dell’educazione medievale. Gli uomini di quel tempo
erano schiacciati dal peso dell’eredità culturale dell’Antichità e tutti i loro sforzi puntavano a ricostruire
e quindi possedere questa eredità così da proclamare la fine dell’“età di mezzo” e a dare inizio al mito di
un Medioevo barbaro e oscuro. In realtà, come avvertiva Bernardo, il debito dei medievali verso
l’Antichità non gli impediva assolutamente di sperimentare innovazioni e di compiere progressi.
Nei secoli precedenti, la civiltà antica aveva considerato con grande attenzione il problema
dell’educazione (peideia), almeno per quanto riguardava l’educazione degli uomini liberi, escludendo
tutti quelli che non appartenevano a quella categoria e questo fu un dato che non venne superato con
facilità neanche nel medioevo, e senza ignorare la figura del precettore privato né le forme di
trasmissione dei saperi più tecnici aveva spesso affidato il compito della trasmissione culturale a
istituzioni di tipo scolastico. La scuola, in origine privata, era divenuta pubblica al tempo dell’Impero
romano, che l’aveva posta a carico delle municipalità e poi anche dello stato (nelle città più grandi con
realtà più complesse), nei centri di particolare importanza (lo stato incomincia ad avere un ruolo di primo
piano a pensare alle spese riguardanti le istituzioni scolastiche). L’insegnamento si basava sulle arti
liberali: le più elevate erano grammatica e retorica e trovava coronamento nella filosofia. Ma esistevano
anche scuole professionali come quelle di diritto e medicina.
All’inizio del VI sec., verso il 500, però le scuole scompaiono. Inizialmente la colpa fu data ai barbari, ma
non è possibile imputare tale scomparsa alle invasioni barbariche perché anche se estranei alla cultura
latina, i Germani non le erano affatto ostili, non avevano motivo di aggredire le scuole.
[vi un esempio a riguardo: (siamo tra il 560 e il 580) Chilperico, nipote di Clodoveo, fu considerato da Gregorio di
Tours (vescovo) un nemico della chiesa, lo aveva anche definito, dopo la sua morte, l’erode del tempo, ed era da
condannare perché era stato ostile alla chiesa. Inoltre, afferma sempre Gregorio che Chilperico scrisse altri libri
diversi, ma a noi è rimasto un solo carme (inteso dal critico letterario come un esercizio elementare) dove si può
notare come egli sapesse scrivere anche se i versi non rispettano alcuna regola di metrica, inoltre egli aggiunse
altre 5 lettere all’alfabeto es: omega, ecc., e mandò epistole a tutte le città del regno affinché si insegnassero ai
bambini e venissero riscritti i libri dell’antichità. Ciò significa che i sovrani (siamo ancora nel VI sec.) attestano a
volte un atteggiamento positivo verso il mondo culturale.]
Allora poi si pensa alla chiesa ma anche stavolta il capo d’imputazione non può ricadere sul cristianesimo
e la Chiesa. Anche se sono esistiti (della chiesa regolare) monaci ed eremiti dalle tendenze ascetiche e
violente, si è sempre trattano comunque di una minorità, e i Padri della Chiesa hanno rispeso lo studio
dei classici anche se non è stato un percorso facile. Infatti, a volte i contenuti dei classici andavano contro
alcuni concetti della nuova religione che non dovevano assolutamente essere toccati un es. significativo
la differenza tra monoteismo nella religione e politeismo nei testi classici. Quindi bisognava affrontare
lo studio dei classici con grande attenzione (vi era, da parte della chiesa, un continuo sospetto che i
classici potessero essere dannosi per i giovani). Però Agostino aveva assunto una posizione positiva e
moderna, infatti nel testo fondamentale che riguarda questo argomento il “De Doctrina christiana”,
redatto tra il 396 e il 428, egli riconosce che il testo classico può presentare queste problematiche, e
bisogna fare un’opera di revisione ed eliminare i brani più pericolosi, perché il giovane che non ha ancora
gli strumenti adatti può essere deviato. Ma senza lo studio della Arti liberali nessuno può affrontare la
lettura e la comprensione delle Sacre Scritture, che per definizione rappresentano lo scopo essenziale
dell’educazione cristiana di quel periodo. Quindi in breve Agostino afferma ciò che ancora oggi è
importante, una preparazione fondata su uno studio attento che permetta di possedere gli strumenti di
base. La grammatica permetteva di comprendere la lettera del testo biblico; la logica ne restituiva la
forza argomentativa; le scienze (aritmetica, astronomia…) consentivano di spiegarne le allegorie (1=
divinità; 3= trinità; 4= i vangeli; 12= apostoli; ecc.) la retorica nutriva l’eloquenza cristiana consentendo
al pastore di arrivare al cuore dell’uditorio. A questo punto secondo Agostino si poteva procedere ad
una forma di cristianizzazione del sistema scolastico antico, ma questo progetto di Agostino non poté
realizzarsi in quanto le scuole sparirono. Fu il contesto complessivo del tempo, quali la decadenza della
vita urbana, la rapida ruralizzazione delle élite, il generale impoverimento dell’Occidente, la dislocazione
delle istituzioni pubbliche, la riduzione degli scambi con la parte orientale dell’impero, il rallentamento
della circolazione di uomini e merci, idee e libri: sono questi i fattori che portarono alla crisi del sistema
delle scuole municipali e imperiali. La causa principale furono le incursioni barbariche, quindi non è
esatto non imputare la colpa ai barbari, si può dire che non avevano l’intenzione di creare quei danni nel
mondo della cultura.
Le grandi famiglie senatorie, trasferitesi nei loro vasti possedimenti rurali, conservavano le loro belle
biblioteche e affidavano i loro figli o a dei membri della famiglia o a dei precettori privati. Ci fu una novità
assoluta, la Chiesa si sostituì allo Stato nell’ambito culturale, assumendosi questa enorme responsabilità
seguendo quello che era stato il pensiero di Agostino però dovendo ricominciare da capo, visto che
Agostino voleva cristianizzare il sistema scolastico che ora non esisteva più. Da ora in poi si dovette
reinventare il sistema scolastico.
La Chiesa è divisa in due grandi gruppi:
1. Regolare → (dal latino regola) è formata da tutti coloro i quali vivono seguendo una regola: i monaci
2. Secolare → (dal latino seculum= mondo) è l’insieme dei chierici che vivono non chiusi nei monasteri
seguendo una regola ma nel mondo, fanno parte dell’ordine ecclesiastico.
[Concilio di Toledo → avviene due anni prima di quello di Vaison, nel 527. I padri conciliari impongono ai vescovi
di aprire la casa vescovile e accogliervi i giovani per istruirli.
Concilio di Vaison → 529. I padri conciliari comandano ai parroci delle parrocchie rurali di fare la stessa cosa. Qui
però si parla di una formazione più capillare.]

Quali conseguenze porta però la presenza della Chiesa in prima fila nella scuola? Il fatto che la Chiesa si
sia assunta questa responsabilità è molto importante, perché in quel momento nessun’altro avrebbe
avuto la possibilità di farlo. Ma è comunque una cultura soprattutto riservata ai chierici, e quindi riguarda
soltanto un gruppo della società; anche se con delle aperture che prendono in considerazione le
attenzioni della Chiesa verso la società ma l’obiettivo principale era quello di preparare culturalmente i
chierici.
Ecco, quindi, la prima conseguenza → una cultura principalmente elitaria, che respingeva i laici. Ne derivò
un fenomeno di violenta esclusione sociale: la maggior parte dei laici si trovò respinta nella sfera delle
formazioni pratiche e nelle nebbie dell’analfabetismo. La scuola diventa affare del clero e il marchio
sopravvivrà a lungo.
Seconda conseguenza → lo studio era incentrato esclusivamente sui testi del cristianesimo, della Sacra
Scrittura, mentre viene accantonato lo studio della filosofia.
Terza conseguenza → il trionfo in latino, che diventa da questo momento in poi la lingua della chiesa.
Quindi la Chiesa conservò il latino ma i fedeli non lo comprendevano e non lo parlavano, si parla di
DIGLOSSIA. Infatti, si creò una divisione notevole tra coloro i quali conoscevano e parlavano il latino e
coloro che non lo conoscevano e parlavano altre lingue, cioè si diffusero le lingue germaniche e,
dall’evoluzione dialettale del latino, le lingue romanze.
Infine, altre tappe fondamentali che affronteremo sono la rinascita del XII sec., con proposta di definirlo
pre-rinascimento/pre-umanesimo, vi è una rinascita fondamentale, si moltiplicano le scuole, aumenta il
pubblico al quale si rivolgevano e soprattutto la comparsa o ricomparsa di discipline fino ad allora
ignorate come la filosofia greca, il diritto romano, ecc. e la nascita delle prime università., noi non
abbiamo una data precisa di istituzione delle primissime università, semplicemente perché non sono
istituzioni ex novo ma evoluzioni di strutture precedenti. Quindi in generale nascono agli inizi del 1200.
Ovviamente rappresentava il massimo del percorso scolastico, anche se rimangono le altre istituzioni
scolastiche, le scuole cattedrali, cittadine e soprattutto monastiche. Ma le uni sono importanti perché
sono un prodotto assolutamente nuovo del Medioevo.

CAPITOLO 1 – DALLA SCUOLA ANTICA ALLA SCUOLA CAROLINGIA (VI-VIII sec.)

Bisogna considerare le realtà locali. Si è detto che scompaiono le scuole e si è anticipato che il fenomeno
da un punto di vista quantitativo non si verifica in maniera uguale nelle varie parti dell’Impero Romano.
Infatti, ci furono parti in cui il fenomeno di distruzione fu molto più contenuto, una differenza di comodo
si può fare tra le regioni settentrionali del mondo romano e le regioni meridionali.
[Impero → doveva essere uno solo; Regno → ve n’è tanti e si trovano ad un livello inferiore].
Partiamo dalla situazione nell’Italia Ostrogota, e facciamo riferimento a Teodorico, il sovrano, e alla sua
conquista dell’Italia negli ultimi anni del 400 (V sec), e poi la presenza di Teodorico e degli Ostrogoti si
prolunga nei primi anni del VI sec.
Teodorico giunge in Italia inviato contro lo sciro Odoacre (protagonista del famoso episodio del 476 →
data che per molti rappresenta l’inizio del Medioevo, perché Odoacre depose l’ultimo imperatore
romano Romolo Augusto e non si autoincoronò Imperatore, a quel puntò si disse che non vi era più
l’Impero Romano d’Occidente) , che governava in Italia e che aveva fatto intendere a Bisanzio che non
avrebbe dovuto temere nulla di questo suo dominio, infatti, gli imperatori bizantini, in un primo
momento, tollerarono questa situazione. Ma ad un certo punto Bisanzio si accorge che in realtà quella
presenza poteva diventare pericolosa, così l’Imperatore del tempo, Zenone, stringe un accordo con
Teodorico (che conosceva bene perché da piccolo e per molti anni il padre fu costretto a lasciare
Teodorico a Costantinopoli come ostaggio) e lo convince a spostarsi con tutto il suo popolo in Italia per
eliminare questa presenza che era diventata scomoda. Così Teodorico giunge in Italia e con l’inganno
sconfigge Odoacre e si insedia in Italia; prima come Magister militum e poi con il titolo di Rex. Per evitare
che il suo popolo si disperdesse venne collocato in punti strategici. Teodorico, durante la sua
permanenza a Costantinopoli, aveva maturato una grande ammirazione per la superiorità della civiltà
romana, ed egli continua a mantenere questo pensiero quando arriva in Italia, si reca a Roma nel 500 e
innanzitutto va ad omaggiare il senato, va a pregare sulla tomba di San Pietro e omaggia anche la Chiesa,
anche se lui non era un cattolico ma un ariano, e volle che anche il suo popolo rimanesse tale ma forse
fu un errore.
Teodorico decise di amministrare in maniera particolare l’Italia, essendo convinto della superiorità sul
piano amministrativo dei romani, affidò l’amministrazione civile ai rappresentati di Roma. Mantenne,
ovviamente, il controllo dell’esercito infatti soltanto gli ostrogoti potevano usare le armi.
Si sa che la situazione dal punto di vista educativo non era molto compromessa, grazie alla presenza di
due fonti: la prima fonte è una lettera di Cassiodoro (senatore romano che godeva di altissima
preparazione culturale, al servizio prima di Teodorico e poi del nipote Atalarico, fu una sorta di
consigliere. Ci ha lasciato la fonte più importante del periodo ostrogoto → le Varie, lettere scritte da
Cassiodoro per conto di Teodorico e di Atalarico). Questa lettera, scritta in nome del re ostrogoto
Atalarico, fu inviata al Senato nel 533, significa che fu inviata dopo la morte di Teodorico che avvenne
nel 526. (Alla sua morte egli aveva lasciato una situazione gravissima, in quanto dopo un primo periodo
in cui era riuscito a far convivere le due etnie in maniera serena, fu costretto a cambiare politica perché
a Bisanzio ci si stava muovendo in maniera tale da porre le premesse per una riscossa imperiale
(l’Imperatore Giustino emana un documento con il quale condanna tutte le eresie, dicendo che l’impero
è pronto a combattere in nome dell’ortodossia cattolica). Teodorico capì quello che stava accadendo e
cercò di reagire, ma le cose non andarono come aveva sperato e ci fu uno scontro con il Senato.
Teodorico alla sua morte non ebbe eredi, in quanto vi erano solo la figlia femmina e un bambino.)
La lettera afferma:

Predecessori: i maestri che


erano vissuti prima, quindi
durante il regno di
Teodorico, dove i maestri
erano stati retribuiti e il
loro lavoro era stato
riconosciuto.

Il significato di questo documento è che le scuole c’erano state e continuavano ad esserci, anche se
ancora non si affrontava il problema organizzativo, come ad es. pagare i maestri.
Il contesto è quello della capitale del vecchio impero. Ma non è difficile constatare che anche in altre
città sono presenti maestri e allievi. Nell’Africa del Nord vandala, nonostante fosse stata conquistata dai
Vandali, che tra le popolazioni del tempo erano i peggiori, si produsse il testo di grammatica più
importante e rimase tale per tutto il Medioevo. Marziano Capella lo cita, un trattato in versi e in prosa:
Le Nozze di Mercurio e Filologia → che descrive le nozze di Filologia che sale al cielo con tutte le sue
ancelle, cioè le arti liberali, per sposare l’eloquenza che è impersonata da Mercurio. In effetti questo è
l’impianto del trattato che utilizza questa storia, questa finzione, per esaminare ad uno a uno le arti
liberali come fondamento di tutto l’insegnamento classico. Da qui si poteva ben vedere come le scuole
erano ancora aperte es. quella di Cartagine. (quindi tanto Vandali non furono, visto che mantennero le
scuole aperte e se ci fu anche la possibilità per personaggi come Capella di coltivare i propri studi.
Tornando in Italia, da varie fonti ci si accorge che le scuole ancora esistevano e vi era anche una certa
preparazione culturale dei sudditi perché, ad es. a Ravenna si continuava ad affiggere i documenti in
versione epigrafica, cioè le nuove normative e altro venivano scolpite su blocchi, marmi, ecc. e poi
esposti soprattutto nei sacrati delle chiese perché erano principali luoghi di incontro. Venivano esposti
perché se non ci fossero stati più uomini in grado di leggerli sicuramente quell’uso sarebbe stato da
tempo eliminato e invece, questa tradizione continuava anche perché gli studi a Roma non erano mai
stati interrotti.
Altra fonte p. 21 del Frova
La tradizione della cultura classica si conserva in seno alle famiglie aristocratiche fino al VII secolo. Scopo
degli studi è quello di dimostrarsi degni di appartenere alla buona società e di aspirare a un impiego
nell’amministrazione, che comunque continua a sopravvivere. Il programma degli studi però si limita alle
prime due arti liberali, grammatica e retorica. La terza, la dialettica, viene trascurata, malgrado gli sforzi
di Boezio (fu contemporaneo di Teodorico e subì le ritorsioni teodoriciane quando il Senato romano si
schierò di nuovo con Bisanzio. Egli era un cultore della dialettica, che però incominciava ad essere
trascurata, ed è anche autore di diversi trattati di aritmetica, geometria, astronomia e musica), che in
Italia è uno dei pochi rimasto a leggere ancora il greco e ad avere contatti con l’Impero d’Oriente.
Traducendo i trattaci greci delle discipline che egli definisce del quadrivium (dobbiamo a lui questo
termine) e cioè, aritmetica, geometria, astronomia e musica, Boezio trasmette all’intera cultura
medievale un’eredità di importanza capitale. Quindi la dialettica non viene completamente cancellata,
ma i suoi cultori, cioè coloro i quali sono in grado di essere cultori di quella disciplina, cominciano ad
essere sempre di meno. Ma comunque, più tardi, assisteremo alla rinascita della dialettica, grazie ad
esempio ad Abelardo. Quindi è chiaro che a questo periodo, che si più vedere come di decadenza dove
però si possono già scorgere i germogli della fioritura dei secoli successivi, seguirà un periodo di sviluppo
anche se con non poche difficoltà (es: i due Anselmi, Abelardo, Gerberto da Aurillac)
Tra i vari nomi che si possono fare per quanto riguarda vescovi importanti sicuramente l’esempio
massimo è Gregorio Magno. Appartenente ad una famiglia aristocratica romana fu avviato agli studi
classici e la sua preparazione dal punto di vista giuridico fu eccellente e sappiamo ciò grazie al Registrum.
Lo scopo della famiglia era quello di inserirlo nell’amministrazione pubblica e tale fu, infatti egli divenne
praefectus urbis, anche se poi decise di abbandonare tutto, di monacarsi e di trasformare la casa paterna
in un monastero dove si rinchiuse. Successivamente, però fu chiamato da Papa Vigilio che lo nominò suo
apocrisario a Costantinopoli, cioè ambasciatore. Da questo momento in poi si ha una svolta epocale nella
vita di Gregorio, perché al suo ritorno fu nominato, a furor di popolo, pontefice. Contrariamente a
quanto spesso si è sostenuto, neppure dopo la conversione alla vita monastica Gregorio diventa un
avversario della cultura classica. La accetta, a condizione che si traduca in una propedeutica allo studio
del testo sacro. Per questa via si ricongiunge alla visione di che Sant'Agostino aveva elaborato nel De
doctrina christiana, un'opera che è stata giustamente presentata come la “magna carta della cultura
cristiana”.
Noi abbiamo una serie di opere e commenti alle sacre scritture che danno conto della grande
preparazione culturale di Gregorio Magno. Tra i vari scritti di Gregorio, c’è una lettera, variamente
interpretata dalla critica e che rinnova il problema del rapporto tra cultura classica e Cristianesimo.
Frova p.62
Le scuole cristiane, a partire dalla fine del V sec. e inizio VI sec., si moltiplicarono sempre di più e
puntarono maggiormente sullo studio delle Sacre Scritture e della Bibbia. Quindi la Chiesa Regolare,
monastica, aveva, a partire da questi presupposti, messo a punto un suo programma educativo, aveva
cioè definito un progetto pedagogico, che era impostato sulla severità e nello stesso tempo sulla
tolleranza nei confronti dei giovani che ve ne facevano parte. D’altro canto, il monachesimo benedettino,
che era il più diffuso, puntava proprio sulla discretio → tolleranza che doveva qualificare l’atteggiamento
in primis dell’abbate (termine dal greco: padre), che aveva un atteggiamento paterno, quindi molto
attento, tollerante verso i suoi figli, ma nello stesso tempo, quando necessario, doveva essere severo.
Tale progetto monastico può essere recuperato dalla lettura delle varie regole che mostrano la rigida
organizzazione della giornata del monaco, che variava di stagione in stagione. Infatti, a scandire il tempo
vi era il sole → 3/4 ore al giorno erano destinate, secondo la regola benedettina, alla lettura; 6 ore al
lavoro (ma comunque, soprattutto in estate era previsto il riposo pomeridiano) [la regola benedettina
poggia sulla famosa frase Ora et Labora].
La Pedagogia monastica, benedettina, ovviamente puntava a rafforzare la volontà del monaco, che
dovendo intraprendere un percorso molto duro e rigido, era necessario che fosse deciso a farlo e che
avesse la forza per superare gli ostacoli; per raggiungere questo scopo, e cioè un processo che doveva
portare all’auto perfezionamento continuo, era importante l’azione correttiva e preventiva dell’abbate.
Infatti, se necessario, si doveva anche prevedere il castigo del monaco che aveva commesso una colpa.
Il castigo doveva essere innanzitutto commisurato alla colpa, si andava dalla negligenza, alla
disubbidienza, un peccato di invidia o ira, ecc. e poi si parla di un castigo che aveva uno sviluppo sempre
più rigido. A seconda della gravità della colpa, l’abbate poteva semplicemente punire il monaco in
privato, oppure la punizione diventava pubblica, quindi al cospetto di tutta la comunità monastica, o il
monaco, poteva essere escluso dalla vita comunitaria e anche dalla comunione, quindi ad esempio non
mangiava insieme ai suoi compagni, e questo rappresentava un’evidenza di colpa; ma l’abbate poteva
anche prevedere delle pene corporali, e se il monaco fosse risultato recidivo si sarebbe potuto decidere
per l’espulsione.
Ci sono delle regole nel primo periodo medievale, che naturalmente puntavano su una rigidità assoluta,
quindi con procedure che prevedevano fustigazioni, se non addirittura vere e proprie torture per il
monaco che fosse andato contro la regola, tanto è vero che il legislatore carolingio fu costretto ad
intervenire per evitare tutta quella rigidità, mentre la regola benedettina era, come abbiamo visto,
improntata alla discretio, quindi alla saggezza, allo spirito di carità dell’abate.
Per quanto riguarda la preparazione culturale del monaco → Frova p.40-43
[chiesa regolare → monachesimo; chiesa che poggiava nella sua organizzazione sulle regole;
chiesa secolare → chiesa che riguarda soprattutto i vescovi, in quanto l’iniziativa viene dall’alto, infatti tale chiesa
ha un’impalcatura verticistica in cui troviamo i chierici di base, diaconi su diaconi, poi c’è il vescovo e i metropoliti
(vescovi che avevano il controllo su un territorio più vasto → più diocesi). Naturalmente qui si parla di chierici
che agiscono continuamente a contatto con i fedeli nel mondo.]
Frova p.75-76
Passando all’iniziativa della Chiesa Secolare e quindi i vescovi → Frova p.44-45
(continuo Frova → la situazione è invece diversa nella Gallia. Perché nella Gallia franca il sovrano Clodoveo scelse
di convertirsi già nei primi anni del 500, fu una scelta dettata da pressioni varie, dalla moglie al vescovo di Reims
Remigio, ma sicuramente fu determinata da un suo preciso progetto politico, egli, infatti, voleva eliminare
qualunque tipo di scontro con i suoi sudditi di religione cattolica; inoltre, con ogni probabilità Clodoveo ancora
non era neanche ariano e proprio per questo il passaggio fu più semplice. Egli voleva ottenere il supporto della
chiesa, dell’aristocrazia ecclesiastica (i grandi vescovi) e voleva, anche, ottenere il riconoscimento di Bisanzio e lo
ottiene, infatti l’Imperatore Anastasio riconosce la sua autorità politica sulla Gallia e ciò portò ad un successo
enorme per Clodoveo. In entrambe le situazioni regionali, sia in Spagna che in Gallia, i concili venivano convocati
dall’autorità regia, per cui anche se non divennero mai immediatamente leggi dello Stato, erano però approvati
dal Sovrano e talvolta furono direttamente recepiti in alcuni Capitolari regi.
Il Concilio di Toledo (In Spagna) (527) → i padri conciliari prevedono la presenza di un maestro presso le case
vescovili che doveva istruire i futuri chierici. Quindi la chiesa si preoccupa di innalzare il livello culturale dei
chierici. I padri conciliari si occupano di ciò perché quando un concilio viene convocato si hanno all’ordine del
giorno alcuni punti importanti, che richiedono un intervento normativo per risolvere determinate questioni.
Quindi quando loro si occupavano di ciò era perché era un problema; la chiesa avverte che i chierici di base non
hanno una buona preparazione, a differenza del vescovo che poteva averla in quanto, magari, proveniva da ceti
sociali più elevati che gli avevano garantito una certa preparazione, ma spesso poteva capitare che i chierici non
avessero le basi. Quindi, appunto, i padri conciliari avvertono questa esigenza. C’è una novità i vescovi devono
preoccuparsi di curare la preparazione dei chierici.)
Il Concilio di Vaison (529) [Frova p.44-45] → Vaison si trova in Gallia, grossomodo nella regione della Provenza,
un’area che non apparteneva più ai Visigoti, visto che la persero nel 507 quando fu occupata da Teodorico. Ma
nel 529 ancora non tutta la Provenza è stata occupata dai franchi e bisogna aspettare il 536 perché gli ostrogoti
la cedano. L’area meridionale della Gallia è molto importante, dove una certa preparazione culturale era sempre
garantita dalle famiglie aristocratiche. Durante questa riunione conciliare venne emanato il canone che possiamo
leggere nel testo della Frova. Non si trattava di scuole, nel senso che si stavano costruendo. I monasteri avevano
i loro edifici e per quanto riguarda la chiesa secolare si puntava sulla casa del vescovo e sull’abitazione del parroco
di campagna.
A presiedere il Concilio fu il vescovo Cesario di Arles e fu anche il primo firmatario. Egli è un personaggio
molto importante: era stato monaco a Lèrins (una comunità monastica nota) e aveva organizzato nella
sua residenza episcopale una sorta di internato, i chierici della sua diocesi, della città di Arles, vivevano
in comunità come fossero monaci (anche se in realtà non lo erano e non rispettavano una regola
monastica) seguendo una determinata organizzazione anche della giornata, ad es: vi era l’organizzazione
rigida delle ore destinate alla preghiera, e di quelle destinate alla lettura, si preparavano alla celebrazione
delle liturgie (dovevano, quindi, essere ben preparati sui principi della dottrina cristiana), e in più, coloro
i quali intendevano accedere al diaconato, dovevano aver letto almeno quattro volte i libri dell’Antico e
del Nuovo Testamento. Cesario di Arles scrisse due Regole monastiche (Regula monastica): una per le
comunità maschili (la quale, però, non ebbe un grande successo) e una per le comunità femminili (la
quale, invece, fu molto più diffusa). Egli fece costruire un monastero per una comunità femminile che
affidò alla guida della sorella Cesaria e scrisse questa regola femminile.
Non è che mancassero già regole destinate alle donne ma erano regole non cucite addosso ad una
comunità femminile, perché erano regole, che con qualche piccola differenza, replicavano le regole
maschili, quindi a volte risultavano troppo dure e non rispettavano le esigenze di una comunità
femminile.
Questa regola ebbe un enorme successo e si sa, per esempio, che la Regina Radegonda addirittura si
recò ad Arles per andare a sperimentare di persona i principi della Regola e poi la importò nella comunità
che aveva già fondato a Poitiers (dove lei non sarà mai la badessa, ma lascerà questo compito alla sua
allieva Agnese), successivamente questa Regola si diffuse presso altre comunità femminili.
I principi più importante di questa Regola sono:
1. La clausura (la clausura, come la intendiamo noi, però fu istituita da Bonifacio VIII alla fine del 1200) e si fa
riferimento a un principio importante per il monachesimo e cioè la Stabilitas loci, il monaco entrava nel
monastero e bisognava che rimanesse in quel luogo, poteva uscire solo per precisi compiti affidati, per
esempio, dall’abbate.
2. Prima di procedere alla vera e propria monacazione, la Velatio (l’imposizione del velo sul capo), la monaca per
un anno doveva sperimentare al meglio la sua vocazione, quindi il periodo di praticantato.
3. Il principio della povertà, già affrontato nella regola benedettina, secondo cui nessuno deve possedere nulla.
Quindi la monaca che entrava nel monastero doveva rinunciare a tutti i suoi beni, che dovevano,
eventualmente, essere donati al monastero stesso. È da considerare che si monacavano soprattutto donne
proveniente dagli strati più elevati della società, talvolta appartenenti all’aristocrazia.
4. Cesario mise un limite di età per entrare nel monastero. Essendo che andava diffondendosi il fenomeno
dell’oblazione → donazione di neonati o bambini in giovane età al monastero; egli scrisse che dovevano avere
almeno 6/7 anni, altrimenti c’era il rischio di trasformare i centri monastici in asili nido
5. Il dormitorio comune
6. L’obbedienza alla badessa
7. Tutte le monache dovevano indossare un abito semplicissimo di lana grezza filata dalle monache stesse. Nella
regola è presente questo preciso ammonimento perché, come abbiamo detto prima, molte di queste monache
appartenevano alle classi aristocratiche e molte si erano ritirate nel monastero o perché costrette o perché
dovevano fuggire da determinate situazioni, anche se comunque vi erano anche le vocazioni individuali che
erano però in minoranza considerando i numeri di monache presenti nei monasteri. (per es. una principessa
merovingia che si richiudeva a Poitiers era stata costretta o aveva fatto quella scelta dovuta a motivi gravi.
Ovviamente voleva mantenere il suo status all’interno del monastero, status che voleva denotare a tutti
attraverso l’uso di abiti principeschi. La regola di Cesario però lo vieta e appena entrate nel monastero tutte
dovevano indossare la stessa “divisa”)
8. Tutte devono imparare (se non lo sanno ancora fare) a leggere e a scrivere, e con questo principio si può
notare la valenza del monastero come centro d’istruzione.

I PROTAGONISTI DELLE NOVITA’ EDUCATIVE NEI SECOLI VII-VIII


Cassiodoro → è un laico, collaboratore di Teodorico, senatore, questore, console, un ministro vero e
proprio e autore delle Varie, 12 libri, quasi 500 documenti che danno la possibilità di approfondire la
conoscenza sul funzionamento della macchina amministrativa, ecc. dell’Italia ostrogota. Cassiodoro può
essere considerato come uno dei protagonisti importanti del mondo culturale del tempo, e anche per il
suo impegno nel settore educativo, in quanto egli fondò al Vivario, nei pressi di Squillace (in Calabria,
città d’origine della famiglia di Cassiodoro) un monastero. Siamo già al 554 circa (stessa data della
Pragmatica sanctiones) e Cassiodoro aveva ormai abbandonato la corte degli ostrogoti, si era già chiusa
la guerra greco-gotica (e non essendoci più il regno ostrogota l’Italia è tutta bizantina), Cassiodoro si era
recato a Costantinopoli e al ritorno si ferma in Calabria e utilizzando la sua esperienza di amministratore,
e organizza un centro monastico, che è un centro modello anche da un punto di vista culturale. Tale
centro era impostato sullo studio e sulla conservazione della cultura classica, ed ebbe una risonanza tale
che Cassiodoro può essere accostato, per importanza, tra i fondatori del monastero occidentale,
addirittura a Benedetto.
Egli fonda questo monastero nelle sue proprietà di famiglia in modo tale da dare la sicurezza materiale,
visto che possedeva fondi, mulini e godeva di una sicurezza economica. Lo organizza come una vera e
propria comunità di studio, secondo il modello benedettino, infatti c’era una biblioteca, uno scriptorium
(e il monachesimo benedettino è importante per questo, perché nello scriptorium i monaci
riproducevano i testi sia delle Sacre Scritture che della classicità) e un laboratorio di produzione libraria:
questi sono gli elementi che caratterizzano il monachesimo medievale. Altro fattore importante, sempre
per quanto riguarda Cassiodoro, egli scrive le Istitutiones → opera a carattere enciclopedico che egli
impostò come una sorta di guida alla lettura di tutti i testi che conteneva la sua biblioteca; bisognava che
i monaci si avvicinassero a quei testi con le giuste competenze, in maniera tale da poter conciliare cultura
classica e principi cristiani. Quindi questo testo fu veramente importante.

Isidoro → siamo nella Spagna visigota. Egli divenne vescovo di Siviglia, e deve la sua preparazione di alto
livello al fratello Leandro, che divenne anch’egli vescovo di Siviglia (fra l’altro se si considera la data di
nascita e di morte di entrambi si capisce che questo può essere possibile, visto che passano una trentina
d’anni tra la nascita dei due). Isidoro rappresenta, per ciò che riguarda la Spagna visigota, un’eccellenza
che deve l’attenzione del fratello che lo cresce e lo educa in maniera superba. A Siviglia si ha l’azione dei
grandi monasteri. La cultura di Isidoro, che attesta la sua preparazione basata sui testi della classicità, fu
enciclopedica e sterminata come dimostra la sua opera più importante. Scrisse 20 libri di Etimologie
(un’opera enciclopedica), che insieme alla Istitutiones di Cassiodoro, furono i testi più importanti dei
secoli medievali, furono molto diffusi e molto utilizzati. Le Etimologie potremmo considerarle una sorta
di vocabolario, ma molto più approfondito. Il significato è: “significato delle parole”, nel senso che Isidoro
si preoccupò di recuperare la radice che spiega il significato delle parole → [es. nel testo di Isidoro si legge
l’etimologia del termine mulier: donna o del termine vir: uomo; il termine mulier per Isidoro deriva da mullizia
che porta ad attribuire una debolezza di base al mondo femminile, ma non si tratta di una debolezza fisica (come
sesso debole) ma di una debolezza in generale, quindi anche intellettuale, morale. Quindi con questo intervento
di Isidoro si spiega anche la forte misoginia che caratterizzò tutto il Medioevo, e che per certi aspetti, caratterizza
ancora tutt’oggi il mondo moderno. Vir, invece, deriva di virtus: valore, forza, e quindi forza fisica, intellettuale,
morale, ecc.
D’altro canto, Isidoro poggiava le sue convinzioni su autori importanti della classicità, ad esempio, Aristotele sulla
donna pensava che fosse un errore della natura, perché nasceva una donna quando il processo riproduttivo non
era andato in maniera perfetta, oppure attribuiva alla donna un cervello più piccolo e quindi una capacità
intellettiva molto più inferiore.]

Beda il Vulnerabile → siamo nella seconda metà del ‘600 (VII sec.). Egli era un monaco e fu, certamente,
l’autore più importante nell’ambito britannico. Divenne monaco a 7 anni, fu oblato (donato) al
monastero quando ancora era giovane e per tutto il resto della sua vita vi ci rimase studiando e
scrivendo. La sua opera più importante per quanto riguarda la testimonianza storica è la Storia
ecclesiastica degli Angli.
È importante ricostruire l’humus culturale del tempo in quanto l’ambiente culturale delle Isole
Britanniche si caratterizza per la sua originalità, perché quando finì in quelle regioni, siamo nel primo
decennio del 400, la dominazione romana scomparve quasi del tutto anche la cultura latina, insieme alle
scuole, e ciò che resta delle conoscenze culturali trova spazio nei monasteri, soprattutto nel Galles.
Per esempio, il Cristianesimo si diffuse soltanto alla fine del ‘500 (VI sec.) con la conversione del re del
Kent, Edelberto. Tale conversione fu il frutto di una missione evangelizzatrice voluta e organizzata da
Gregorio Magno, che inviò un gruppo di monaci con a capo il monaco Agostino (non c’entra niente con
Sant’Agostino), suo amico, per fare opera di proselitismo. Edelberto era sposato in quel periodo con una
principessa merovingia, quindi cattolica, Berta, che era arrivata in Britannia accompagnata dal suo
confessore che era un vescovo. Quindi la presenza di Berta e poi l’azione di convincimento di Agostino
spinsero Edelberto a convertirsi.
In quel periodo il latino era diventato una lingua straniera, infatti, scomparendo la dominazione romana
anche la lingua latina era stata abbandonata. Per cui, già alla fine del 400 e soprattutto durante il periodo
di Beda il Venerabile, bisognò fare in modo che venisse di nuovo appreso in ambiente monastico.
Naturalmente lo si poteva riapprendere utilizzando esclusivamente i testi latini, che erano i testi della
classicità. La necessità di utilizzare tali testi consentì un approccio alla cultura classica senza che si
rivivessero le preoccupazioni a cui già abbiamo fatto riferimento con Agostino, San Girolamo, Gregorio
Magno (se bisognava o meno avvicinarsi alla cultura classica, se era pericoloso); ciò significa che la
cultura, monastica e religiosa, si formò in maniera del tutto originale e che l’approccio tra mondo classico
e mondo cristiano avvenne in maniera naturale, senza preoccupazioni. Quindi se si parla di originalità
della cultura anglosassone si deve fare riferimento a ciò. L’esempio più celebre della cultura del tempo
è proprio Beda.

Colombano → monaco irlandese che giunse nella Gallia merovingia negli anni 80 circa del 500 (fine VI
sec.), insieme a 12 suoi compagni [a proposito del simbolismo medievale, qui è evidente che il numero
è simbolico perché 12 sono gli apostoli] per diffondervi il vangelo. È noto che i franchi si convertono ai
primi del 500 con Clodoveo, ma questo non significa che tutti i franchi erano convertiti e questo non
significa che non ci fossero delle “sacche” di Paganesimo soprattutto nelle campagne, e che quindi
Colombano, avendo nota la situazione, intendeva eliminare e convertire quei gruppi che ancora
resistevano.
Importante: il monaco irlandese parte dal suo monastero e giunge in Gallia, ma uno dei principi
fondamentali del monachesimo occidentale era la Stabilitas loci. Tutto questo si deve all’originalità del
mondo irlandese perché il monachesimo irlandese non prevedeva per nulla la Stabilitas loci, anzi, al
contrario imponeva la Peregrinatio Fidei → la missione evangelizzatrice, un compito che tutti i monaci
irlandesi dovevano fare proprio, per diffondere la fede.
In arrivo in Gallia in un primo momento viene accolto con un certo favore ed entusiasmo, sia dalle corti
merovinge, in particolare il re di Borgogna, sia dalle famiglie aristocratiche di quelle regioni, che erano,
per esempio, affascinate dal rigore della regola (La Regola di Colombano era talmente rigida che non si
poteva neanche lontanamente immaginare di proporla in un monastero femminile. Ma per le famiglie
merovinge aristocratiche o franche del tempo avere la garanzia che il figlio fosse educato in maniera
rigida e perfetta, non per diventare monaco ma per assolvere al meglio i suoi compiti in futuro nella
società, era un dato positivo e auspicabile. Quindi si registra questo entusiasmo da parte di alcune
famiglie aristocratiche che chiedono a Colombano di accogliere i loro figli nel monastero, non per poi
restarvi ma solo per essere educati secondo rigidi e determinati principi. Quindi egli costruì parecchi
monasteri sostenuto dagli aristocratici e dalla casa regnante, poi però si scontrò con la regina di
Austrasia, Brunechilde, di origine visigota. [nella monarchia franca vigeva il principio della concezione
patrimoniale dello Stato a partire da Clodoveo. Anche Carlo Magno aveva questa concezione. Significa
che lo stato è considerato come un patrimonio personale del sovrano, quindi così come tutti gli altri
patrimoni fondiari, essendo lo stato un territorio, alla morte del re segue i principi della successione
ordinaria e viene suddiviso tra tutti i figli maschi, perché le donne, secondo la legge salica, non potevano
succedere al trono. Il regno è uno ma è amministrato da diversi sovrani che lottano fra loro, infatti è una
situazione particolare che rimane così fino all’Ordinatio Imperi di Ludovico il Pio. Quando Carlo Magno
diviene Imperatore solo per un caso, dopo di lui, l’Impero viene trasmesso ad un unico Imperatore,
Ludovico il Pio, perché gli altri figli di Carlo erano già morti. Altrimenti sarebbe accaduto un fatto
inaudito, cioè la presenza di più Imperatori.]
Quindi la vicenda di Colombano in Gallia è molto articolata, colto con favore in un primo momento, in
un secondo momento si dovette scontrare con la regina Brunechilde che non era una nemica di
trascurare, infatti, alla fine, Colombano fu costretto ad abbandonare la Gallia. Passa attraverso la
Svizzera attuale e arriva in Italia, dove, con il sostegno della regina Teodolinda e del re longobardo
Agilulfo, fonda un importantissimo monastero che divenne un centro di cultura europea rinomatissimo:
il Monastero di Bobbio.
Colombano non prevedeva che i suoi monaci dovessero coltivare lo studio dei testi classici; il suo
progetto educativo che puntava soltanto sulla crescita del giovane secondo determinati e precisi principi
morali, e proprio per questo fu accolto bene dall’aristocrazia merovingia. Bisognava privilegiare l’ascesi
con pratiche durissime e la sua regola in realtà trascura gli studi letterali ma con la fondazione del
Monastero di Bobbio ci consente di inserirlo tra i personaggi più importanti di questo periodo.

Pipino il Breve e Bonifacio → Pipino: altro personaggio importante, era dotato di un’ottima preparazione
culturale, perché era stato educato dalle monache di Saint-Denis. Padre di Carlo Magno è un personaggio
strategico nella storia del mondo franco, perché con lui si passa dalla dinastia merovingia a quella
carolingia. La prima dinastia franca, che inizia con Clodoveo, si chiama merovingia. Poi, partendo
grossomodo dall’anno 500, la merovingia finisce con Pipino il Breve a metà del 700. Con il passare dei
secoli la dinastia merovingia inizia a perdere importanza e tutte le prerogative regie passano nelle mani
del maior domus (maggiordomo, l’amministratore più importante della casa regia, cioè il capo del
governo), che diviene personaggio importante e piano piano sostituisce in realtà il re. Gli ultimi sovrani
merovingi hanno un potere svuotato di contenuti, però ad un certo punto emerge la casata di Austrasia
e la famiglia dei Pipinidi, e Pipino il Breve si rende conto che forse è possibile fare un salto di qualità e
cioè ottenere la Corona Regia. Il papato a Roma aveva bisogno della forza militare dei Franchi, per
contrastare i Longobardi in Italia, e con l’accordo tra papato e Pipino il Breve l’ultimo dei sovrani
merovingi viene rinchiuso in un monastero e Pipino, per ben due volte, viene incoronato re, quindi da
maggiordomo diviene re e inizia la dinastia dei Carolingi. È interessante, per ricollegarci a quello che
abbiamo detto, sottolineare il fatto che anche con Pipino vigeva la concezione patrimoniale, per cui
morto un maggiordomo, in base a quanti figli aveva, il maggiordomato veniva suddiviso.
Durante questa fase di passaggio da maggiordomo a re, le fonti registrano un intenso rapporto di
collaborazione fra Pipino il Breve e il monaco Bonifacio. Egli in realtà era un nobile del Wessex, delle Isole
Britanniche, che era arrivato in pellegrinaggio a Roma dove aveva stretto rapporti con il papato, era stato
nominato vescovo ed era stato inviato nel Nord Europa per evangelizzare quelle popolazioni che ancora
non si erano convertite al Cattolicesimo (i Frìsoni, i Sassoni, ecc.). Strinse un rapporto di collaborazione
con Pipino in Breve, un rapporto che conveniva ad entrambi. Bonifacio aveva bisogno del sostegno della
corona per portare avanti il suo progetto di riforma della chiesa. Per attuare tale progetto bisognava
convocare i concili, compito che spettava al re, ed è per questo che Bonifacio aveva bisogno dell’assenso
di Pipino il Breve. All’ordine del giorno di questi concili vi era soprattutto la crescita morale del clero ma
anche la crescita culturale. Quindi Pipino il Breve intuì che in quella collaborazione ci poteva essere il
segreto del successo successivo, perché collaborare con Bonifacio significava stringere rapporti migliori
con Roma, ed avere l’appoggio che poi, in effetti, ebbe per diventare re.
Entrambi sono i personaggi che precedono la grande riforma voluta da Carlo Magno → la grande rinascita
carolingia.
Già con Pipino il Breve si ha la presenza di una scuola di corte, che era affidata alla moglie Bertrada, come
attesta Benedetto d’Aniane (in effetti già in età merovingia erano presenti queste scuole ma con Pipino
si hanno notizie più precise).

L’EDUCAZIONE DEI LAICI


Avveniva nei monasteri, ma anche a casa perché nelle famiglie aristocratiche, notizie che apprendiamo
dalle fonti, talvolta la madre, che aveva ricevuto una certa preparazione, era in grado di comunicare ai
propri figli i primi rudimenti della cultura, magari li accostava alla lettura; oppure, un’altra scuola
importante per questi giovani era quella di corte, dove non si insegnava a leggere e a scrivere, più che
altro si preparavano i giovani ad amministrare, infatti erano destinati a diventare funzionari importanti.
Naturalmente era un’educazione cristiana basata sui soliti principi e i soliti contenuti, sullo studio di
Trattati dal contenuto morale ispirato alla Bibbia (quindi, i testi che usavano erano dei Trattati dal
contenuto edificante).
[Riguardo l’educazione impartita a casa: dai trattati pedagogici del tempo si evince che, nelle casate importanti,
la prima educazione di entrambi i generi (maschi e femmine) era affidata esclusivamente alla madre fino al
settimo anno, poi i maschi passavano sotto il controllo del padre, mentre le giovani restavano sotto il controllo
della madre che le preparava a diventare buone madri e buone mogli. Dovevano essere controllate nel corpo e
nella mente e alcune venivano inviate e destinate alla vita monastica]
Come primo luogo abbiamo però il monastero e i laici furono accolti nei monasteri inglesi (abbiamo già
visto nella legge di Cesario che i laici studiavano nei monasteri. Dovevano avere almeno 7 anni, ma è
chiaro che il monastero è aperto alla realtà del tempo: giovani che venivano donati). Tra altri esempi, si
distinse, per quanto riguarda l’educazione dei laici, il monastero di Whitby, in modo particolare durante
il governo della badessa Hilda. Vi è da sottolineare un dato interessante: questo monastero era un
monastero doppio (è una realtà monastica che ebbe una notevole diffusione in questi secoli, per poi
declinare velocemente in Occidente, mentre le fonti attestano una sopravvivenza in Oriente).
Monastero doppio → un complesso di edifici che ospitano in due strutture monastiche completamente
separate due monasteri: una struttura ospita una comunità maschile e l’altra una comunità femminile.
è detto doppio perché appunto sono due comunità che vivono in due strutture separate ma sottoposte
ad un’unica guida. Il fatto assolutamente straordinario, visti i tempi, è che la guida era una badessa
(quella che molti chiamavano “Madre” svolge così, presso i grandi del tempo, un ruolo di educatrice e di
consigliera).
Queste due comunità erano impostate in maniera tale da essere funzionali l’una all’altra. Quindi, la realtà
monastica maschile garantiva alle monache tutto il servizio liturgico, l’amministrazione dei Sacramenti,
in particolare la confessione che era praticata continuamente, mentre le monache garantivano tutto
quello che era necessario per il quotidiano, come cibo, vestiti. Sappiamo che in questi monasteri, in
particolare in quello di Whitby, furono accolti molti giovani, perlopiù aristocratici, per un insegnamento
morale e culturale.
Nella Gallia merovingia (abbiamo già visto l’esempio di Colombano) spesso e volentieri mandavano
questi giovani presso i monasteri, soprattutto per affinare quella base culturale che gli era stata fornita
in famiglia. Un esempio interessante è quello del futuro vescovo di Cahors, Didier (Desiderio), inviato
presso la corte di Clotario II per prepararlo al suo futuro, che in questo cosa non è quello di un
amministratore pubblico ma di un vescovo. Egli era stato seguito in maniera puntuale e perfetta dalla
madre e quest’ultima decise di mandare una lettera presso la scuola di corte di Clotario II di Neustria.
Infatti, la madre lo seguiva costantemente da lontano, sappiamo ciò da alcune lettere che ci sono
rimaste, e che attestano un legame d’affetto profondo tra la madre e Desiderio. Lei continuava a
spingerlo a comportarsi bene e ad apprendere al meglio, mostrandogli continuamente la sua vicinanza
continua, infatti nelle varie lettere diceva al figlio che di qualcosa avesse avuto bisogno, bastava
chiederglielo: “Se ti manca qualcosa, a palazzo, scrivimene, e immediatamente te la invierò. Tienimi
informata dei tuoi successi, e abbi cura di te, nel nome del Signore”.

Si configura l’esistenza di tre agenzie educative, che emergono piano piano già a partire dalla fine del VI
sec.:
[una cosa che devo tenere sempre a mente: lo storico scrive utilizzando le fonti, quindi tutto quello che si scrive
a proposito dell’educazione dei giovani nel Medioevo, si scrive utilizzando le fonti che ne parlano. Se le fonti
fanno riferimento a casi specifici parlano soltanto degli ambienti più importanti, dei ceti elevati e di personaggi
di spicco. Semmai quando, ad esempio, abbiamo un canone conciliare possiamo avere un approfondimento
maggiore verso la società.]
1. la famiglia → quando è possibile. Intendiamo, naturalmente, la famiglia aristocratica dove c’è una madre,
che essedo aristocratica, ha avuto la possibilità di ricevere una certa educazione.
2. il monastero
3. la scuola di corte
CAPITOLO 2 – LA PRIMA RINASCITA CAROLINGIA (VIII - IX sec.)

Premessa: La rinascita culturale (tra gli ultimi decenni del 700 e poi proseguendo con 800, 900, ecc.) si
deve ad un preciso progetto di Carlo Magno, che aveva come obiettivo la crescita culturale del Clero e
dei laici e che pretendeva necessariamente la collaborazione fra lo Stato (visto che il suo progetto nasce
ancora prima che Carlo fosse incoronato Imperatore) e la Chiesa, senza la quale, infatti, Carlo non
avrebbe neanche potuto immaginare un progetto educativo. Tale progetto, fu poi seguito dai suoi
successori, può essere organizzato in tre fasi:
1. coincide con l’azione di Carlo Magno. Egli diviene re alla morte del padre (768 circa), Imperatore nell’800 e
poi muore nell’814. (quando muore Pipino il Breve gli succedono due figli: Carlo Magno e Carlo Manno. Il
regno viene diviso in due parti, poi Carlo Manno muore, Carlo Magno non rispetta i diritti ereditari dei nipoti
e occupa tutto il regno del fratello, ecco perché si parla soltanto di Carlo Magno).
2. Il periodo che vede l’azione dei successori di Carlo Magno. Da Ludovico il Pio fino a Carlo il Calvo, e siamo
vicini alla fine della dinastia carolingia.
3. Coincide con il regno della casa di Sassonia.
Il progetto di Carlo è presente in un documento che fu molto diffuso nel periodo medievale e oltre.
Frova p. 24-26
Approfondimento Frova da SLIDE → i punti importanti del documento vengono divisi tra dati che si possono
considerare veritieri, da un punto di vista storico, e dati controversi, che hanno comunque un loro importante
significato.
Dati storicamente veritieri: 1. Carlo come restauratore degli studi letterari in piena decadenza
2. Conseguenze sul piano religioso
3. Progetto di base e finalità
4. Maestri “stranieri” a corte
Dati controversi: 1. I dotti scozzesi e la loro mercanzia: la sapienza
2. Storicità del maestro Clemente e dell’invio del suo compagno a Pavia

Pipino tra i suoi collaboratori aveva i monaci di Saint-Denis perché egli stesso, come sappiamo, era stato
educato dalle monache di Saint-Denis.
Carlo per portare avanti il suo progetto aveva bisogno di uomini preparati, cioè che avessero un bagaglio
culturale importante e che potessero svolgere appieno i compiti che lui gli voleva affidare. Quindi dopo
la campagna d’Italia, nel 774, dove aveva conquistato l’Italia longobarda, ritorna in patria portando con
sé: il grammatico Piero da Pisa (se si legge la biografia di Carlo Magno, che si deve ad un suo stretto
collaboratore Eginardo, Piero da Pisa fu chiamato anche per insegnare a Carlo il latino, la grammatica,
quindi per affinare la preparazione di Carlo che certamente non era brillante, rispetto alla preparazione
del padre Pipino. Piero era anche un religioso, ed è importante un suo Trattato di grammatica dedicato
a Carlo); poi vi è un altro esponente della cultura del tempo, Fardulfo, un longobardo di origine nobile,
probabilmente anch’egli un ecclesiastico, che secondo una fonte, gli Annales di Eginardo, avrebbe
sventato una congiura contro il re, che sarebbe stata organizzata alla fine del ‘700, da un figlio naturale
di Carlo, Pipino il Gobbo. Per ringraziarlo Carlo Magno lo chiamò con sé e lo mise a capo della potente e
prestigiosa Abbazia di Saint-Denis. Sappiamo che Fardulfo svolse appieno il suo compito, per esempio:
incrementò le attività dello Scriptorium e scrisse diverse opere.

CONTESTO: In precedenza si è visto che Pipino appoggiò la politica di rinnovamento della chiesa di Bonifacio
perché vide in questa collaborazione una possibile svolta. Infatti, poteva stringere i rapporti con Roma e chiedere
a quest’ultima l’incoronazione imperiale, fu quello che accadde in quanto Roma aveva bisogno della forza militare
e quella dei franchi era certamente la più forte. Così Pipino, incoronato re, scende in Italia per aggredire i
longobardi, che erano sotto la guida del re Astolfo, lo sconfigge, conquista dei territori cedendone una parte a
Roma, ma si garantisce anche il versamento di un tributo annuo permettendo così l’apertura a suoi progetti
futuri.
Poi però la politica, alla morte di Pipino il Breve, sconfessava l’azione di Pipino perché per volontà della madre
Bertrada, Carlo sposa la figlia dell’ultimo sovrano longobardo, Ermengarda.
Ella è stata protagonista insieme a Carlo di una delle tragedie più importanti → l’Adelchi. Vi è un coro di
Alessandro Manzoni la cui protagonista è proprio questa principessa. Il coro ricorda il momento in cui Ermengarda
viene ripudiata e deve abbandonare la corte. Accade ciò perché Ermengarda aveva completamente cambiato la
politica franca, Pipino era stato nominato re dal Papa, e ciò prevedeva anche il suo intervento in Italia, infatti vi
scende due volte, sconfigge Astolfo, ma ancora il regno dei Longobardi non viene annullato. Alla sua morte, c’è
questo cambiamento totale di politica estera da parte dei franchi che è sottolineato dal matrimonio citato prima.
Il matrimonio significa alleanza. La chiesa si preoccupa.
Ma Desiderio (padre di Ermengarda) commise un errore strategico, immaginò che quel rapporto ormai di
collaborazione potesse essere tradotto ad un via libera alle sue azioni militari contro la chiesa, cioè una ripresa
dell’iniziativa espansionistica dei Longobardi nella penisola italiana. A questo punto è Carlo che rompe
immediatamente i rapporti con i Longobardi, ripudia sua moglie e attacca il regno. Alla fine, Carlo riesce a
sconfiggere Desiderio e diventa il nuovo sovrano dei Longobardi. Ed è così che non esiste più un regno
Longobardo in Italia.

Poi arrivano altri uomini di cultura, tra cui Paolino, anch’egli un ecclesiastico e un intellettuale che poi
divenne patriarca di Aquileia (nel Veneto), era un maestro di grammatica e a corte divenne un maestro
e un poeta ufficiale di corte, scrisse infatti diverse composizioni poetiche per celebrare, appunto, le
vittorie di Carlo Magno; poi vi giunse anche, Paolo Diacono, che fu uno dei protagonisti della scuola
Palatina. Egli certamente, insieme ad Alcuino, fu uno dei più noti esponenti della rinascita carolingia.
Paolo non arriva insieme a Carlo, ma egli si sposta dal Friuli in Gallia, già dopo la fine del regno
Longobardo, per risolvere una questione familiare, infatti cercò di ottenere la liberazione del fratello che
si era ribellato a Carlo. Egli poi rimase presso la corte di Carlo. Paolo era un monaco di Montecassino di
origine nobile, autore di una Historia Romana e soprattutto si una Historia Langobardorum (rappresenta
la fonte più importante per la storia longobarda in Italia).
Nel 781 ancora una volta Carlo stava rientrando da Roma, in quanto era sceso per incontrare di nuovo
la Corte Pontificia, e avviene l’incontro a Parma con Alcuino. Anglosassone, maestro di York e dotato di
una grande preparazione.
Gli elementi che accomunano tutti questi personaggi: sono tutti nobili quindi intellettuali, di ambiente
religioso e sono tutti, ad eccezione di Alcuino, di provenienza italiana. Ciò vuol dire che in Italia c’erano
delle scuole, monastiche o meno, in grado di dotare di grande preparazione culturale gli allievi.
Proprio per sottolineare, ancora di più, che il progetto di Carlo era di alto livello, che egli seguì con
particolare attenzione, abbiamo dei documenti legislativi, che fanno intendere che tale progetto può
essere seguito nelle intenzioni, nell’applicazione e nelle difficoltà attraverso i Capitolari → leggi emanate
nel periodo merovingio e poi soprattutto in quello carolingio. Si chiamano così perché sono suddivisi
come tutte le leggi, e poi sono divisi in Capitula. Questi Capitolari accompagnano e definiscono il
progetto.
Un dato interessante sono le date, si può collegare tutto questo sforzo legislativo di Carlo a cavallo tra il
789 e l’800 circa. Carlo fu incoronato Imperatore nella notte del Natale dell’800, ciò significa che in quel
momento egli era veramente impegnato su più fronti: stava allargando i confini del suo regno, nel 774
aveva già conquistato l’Italia, cercò di conquistare la Spagna senza grandi risultati e nel contempo a Roma
si crea una situazione molto favorevole a Carlo, che era già rex Langobardorum, cioè il Pontefice Leone
III vive una situazione molto complicata, infatti i sui nemici hanno avanzato contro di lui una serie di
accuse, dal piano religioso al piano morale, ecc., fino a destituirlo; così Leone III decide di rivolgersi a
Carlo per farsi aiutare; egli utilizza una procedura che era tipica dell’amministrazione della giustizia
franca, cioè che un accusato di qualsiasi reato poteva liberarsi dall’accusa semplicemente giurando la
sua innocenza insieme ad altri personaggi di un certo rilievo che sostenevano il giuramento. Carlo così
lo reintegra ponendolo nuovamente sul trono di Pietro. Naturalmente Leone III aveva maturato
un’enorme gratitudine nei confronti di Carlo, anche se non si può dire il motivo del perché lo incorona
Imperatore, perché non era possibile (infatti come si è detto potevano esserci più reges ma un solo
imperatore, se non avveniva ciò doveva esserci un motivo, come nel caso di Carlo). Carlo viene
incoronato Imperatore nonostante ci fosse l’Impero Romano d’Oriente, l’Impero Bizantino. Ma in quel
preciso contesto a Bisanzio regnava una donna, l’imperatrice Irene, che aveva fatto accecare il figlio
affinché non costituisse un pericolo per lei, perché una menomazione così grave escludeva la presenza
sul trono. Agli occhi del Pontefice e dell’intero Occidente questo significava che il trono di Bisanzio era
vacante, perché una donna non poteva diventare Regina, ma al massimo Reggente e quindi Irene si
poteva considerare Reggente in nome del figlio.
In questi stessi anni, in cui si ha questa corposa attività legislativa che punta su quello che era il tema
principale che stava più a cuore a Carlo, egli diventa Imperatore. Tutto ciò è un momento fondamentale
nella carriera di Carlo Magno e nella storia dell’Occidente ma Carlo, comunque si impegna a portare
avanti il suo progetto culturale, che aveva per lui una valenza straordinaria perché il nuovo impero di
Carlo sostituiva l’Impero Romano d’Occidente e prendeva il nome di Sacro Romano Impero d’Occidente,
perché la sacralità diventa la qualità fondamentale della nuova organizzazione politica e amministrativa.
Se è sacro, l’Imperatore diventa il Pontefice massimo che può legiferare su fatti di fede, ma significa
anche che la chiesa deve essere al fianco di Carlo, e deve essere una chiesa che abbia tutto il prestigio
che Carlo si aspetta debba avere nel territorio. La chiesa, però, era in piena decadenza, soprattutto
culturale. Carlo, quindi aveva bisogno che la Chiesa crescesse e insieme ad essa culturalmente, sarebbe
cresciuto tutto l’Impero.
Gli interventi a carattere legislativo:
1. Admonitio generalis → Frova p.21-22. È un Capitolare (i Capitolari sono scritti per capitolo, quindi non
hanno un unico tema. Sono delle leggi che contemplano diversi punti, argomenti che hanno bisogno di
essere ripresi.) che ha una caratteristica particolare, fu confezionato per essere inviato ai Vescovi che erano
riuniti in una riunione conciliare ad Aquisgrana (Marzo 789) si parla di un brano di questo Capitolare che
condensa tutto il progetto. Tale documento è considerato il più importante.
2. Encyclica de litteris colendis →Frova p.22-23. Tale documento non è un Capitolare, ma una lettera circolare
indirizzata all’abate di Fulda(come si può notare nelle ultime due righe di tale documento: “Procura di
inviare copia di questa lettera a tutti i vescovi tuoi suffraganei (evidentemente l’Abazia dell’abate di Fulda era a
capo di una certa regione ecclesiastica, dove esistevano varie diocesi, ed egli aveva il ruolo di guida e doveva
indirizzare tale lettera a tutti i vescovi) e a tutti i monasteri, se vuoi avere grazia presso di noi”). In generale, questa
lettera non aggiunge altri elementi, visto che tutto è condensato nell’Admonitio generalis, ma aggiunge
comunque dei particolari interessanti che le danno una certa valenza. In tale documento vi sono delle
massime di alto livello, si precisa la valenza della cultura: Bisogna agire bene, ma per agire bene bisogna
sapere che cosa è il bene. Quindi, in questo caso, la cultura viene prima della fede.
Altro punto fondamentale del documento è quello che spiega perché Carlo ad un certo punto ha deciso di
impegnarsi in maniera così profonda in questa azione di rinascita culturale. Egli era il sovrano, si avviava a
diventare Imperatore e veniva omaggiato costantemente. Egli vuole che questo testo sia conosciuto,
perché bisogna che si lavori su questo testo per portare avanti il suo progetto.
3. Capitolari carolingi → Frova p.26. Sono dei piccoli brani ripresi da due documenti corposi e importanti: il
Capitulare Francofurtense e i Capitula ecclesiastica. Questi documenti sono databili intorno all’800 circa
(quindi, forse, siamo a qualche anno dopo a questi interventi legislativi di Carlo). Il primo è generico, ma
pur essendolo, in realtà ci offre la possibilità di commentare e capire cosa stesse accadendo. Qui Carlo è
costretto a ripetere le stesse cose che aveva chiesto nei due interventi precedenti. La chiesa, che non
poteva non ottemperare alle richieste di Carlo, perché aveva fatto molte cose per la chiesa e aveva
un’autorevolezza personale che non poteva essere per nulla contrastata, incomincia a fare passi indietro,
Carlo si accorge che qualcosa non va ed è per questo motivo che tende a ripetere sempre le stesse cose.
Nel secondo documento si parla dell’importanza delle preghiere (a scrivere però non è un vescovo ma
Carlo). Carlo dà così tanta importanza alla preghiera e anche al canto perché sapeva che l’imparare a
memoria era già un esercizio culturale. Le preghiere cantante erano apprese più facilmente e si
memorizzavano meglio e memorizzare il credo era già una prima forma di apprendimento per i fedeli, per
i quali nessun altro si sarebbe preoccupato della loro istruzione. Quindi vi era un’istruzione prettamente
religiosa e che al contempo costituiva una buona base (per apprendere la lettura si imparavano a memoria
i salmi).
Inoltre, vi erano degli ufficiali che giravano per l’Impero in nome di Carlo che avevano anche il compito di
aiutare i vescovi e i conti nell’obbligare il popolo ad apprendere le preghiere.
4. L’Encyclica de emendatione librorum et officiorum ecclesiasticorum → Frova p.91-92

CENTRI DI STUDIO
Non devono però essere intese come scuole. Infatti, un conto è il centro di studio e un altro è il centro
che si apre all’insegnamento. Per esempio, ad Orléans vi è Teodulfo che aprì delle scuole rurali nel
territorio che gli era stato affidato in quanto vescovo di Orléans. Questa sua iniziativa fu voluta e richiesta
direttamente da Carlo Magno. Teodulfo scrive:
“che in ogni villaggio e in ogni borgo i preti organizzino una scuola. Qui sta dando di nuovo vigore alle
Se i fedeli affidano loro i propri figli perché apprendano le lettere, disposizioni conciliari di Vaison.
non rifiutino di accoglierli e di istruirli in spirito di carità. […] Per “in ogni villaggio” = scuole parrocchiali
svolgere questa funzione, i preti non esigono alcun salario, e se In questo testo però ci sono delle novità
accettano di ricevere qualcosa in cambio non si tratti mai d'altro rispetto a quello di Vaison, perché non
che di piccoli segni di liberalità da parte dei genitori” prevede delle disposizioni per quanto
Il chierico non poteva chiedere alla famiglia e al giovane una riguarda la ricompensa per chi svolge
ricompensa, perché era considerata un’offesa grave a Dio. questo lavoro presso le parrocchie.
Sarebbe diventato un mestiere illecito → in quanto, il maestro
insegna la scienza (la conoscenza) donatagli da Dio, quindi
non può permettersi di guadagnare sulla Scienza di Dio.

I centri di studio più importanti: in Gallia vi è Corbie, Riquier, Saint Denis, S. Martino di Tours (vi era
Alcuino, che era stato messo a capo della Basilica del monastero di San Martino per ricompensarlo del grande
lavoro che faceva a corte) e Orléans (Teodulfo d’Orléans). Sono grandi centri monastici o vescovili. Quindi
i risultati dell’impegno di Carlo già si vedono nel territorio se si considera la crescita culturale di questi
centri di studio, che diventano anche scuole come ad es. Orléans. Ma non tutti questi centri sono scuole,
ma più centri di studio in cui i monaci, i chierici, i vescovi, ecc. praticano lo studio, ma non trasmettendo
le conoscenze.
In Italia vi sono le città del Nord che vedono la presenza di scribi molto attivi ma non di maestri rinomati.
Solo Montecassino (casa madre della Regula benedettina) e San Vincenzo al Volturno (le due grandi
Abazie dell’Italia meridionale che avevano una rilevanza internazionale) sono i luoghi in cui gli studi
sembrano aver ricevuto una buona organizzazione [l’autore però dimentica un altro luogo: Bobbio, che,
in quel periodo era già diventato un centro importante].
LA CULTURA ALLA CORTE CAROLINGIA
I risultati che ebbe l’iniziativa di Carlo → partiamo dalla stessa cultura di Carlo attraverso il documento
principe “Vita et gesta Caroli Magni” di Eginardo. Leggendo possiamo vedere come Carlo avesse una sua
cultura che però era molto più modesta rispetto a quella del padre (allievo delle suore di Saint-Denis).
Ma questa sua lacuna fu del tutto colmata dalla curiosità e dall’interesse che lo caratterizzavano. Infatti,
si applica allo studio della grammatica, dell’astronomia, si interessa di teologia, ecc. e tutta questa
curiosità naturalmente lo aiuta nella crescita culturale, anche perché godeva della presenza di maestri
davvero importanti (Alcuino, Pietro da Pisa, Paolo Diacono).

Non si è veramente sicuri se fosse in


grado di leggere bene il greco, infatti a
molti è sembrata una forzatura, che per
esaltare la figura del suo Imperatore, gli
attribuisce anche questa capacità.

Da sottolineare che era un esercizio


molto difficile, che non era legato
all’apprendimento della lettura (erano
due specialismi differenti, che non
necessitavano dell’uno o dell’altro).
Importante nel monastero era la lettura,
non era necessario il saper scrivere.

Allargando lo sguardo sui componenti della corte, ci riferiamo ai membri della sua famiglia. Vi erano
diversi figli maschi, legittimi e non (ormai in una corte merovingia anche i figli non legittimi avevano gli stessi
diritti dei legittimi, bastava il riconoscimento da parte del padre e potevano aspirare anche ad una fetta del regno.
Nel regno carolingio, invece, le cose erano diverse perché la chiesa pretendeva la legittimità del successore. Nello
stesso periodo la chiesa riuscì anche a pretendere l’indissolubilità del matrimonio) e anche figlie femmine (Carlo
aveva una visione molto più ampia rispetto alla prospettiva che caratterizzava il medioevo, e quindi anche le figlie
potevano studiare, apprendere la lettura, ecc. Sappiamo inoltre che egli amava in maniera particolare le sue figlie,
anche se decise di non farle sposare in maniera legittima, si trattava di una sorta di grado superiore al
concubinato. Tutto questo fu perché non volle aumentare il numero di pretendenti al trono, in quanto con Carlo
la concessione patrimoniale dello Stato non era stata superata). Inoltre, tra gli altri componenti abbiamo
Alcuino, i membri della scuola, gli studenti, che oltre ai figli di Carlo vi erano giovani aristocratici del
regno che venivano inviati presso la scuola di corte per apprendere l’arte dell’amministrazione, e poi
scribi, notai, cantori, copisti che dovevano apprendere un altro tipo di arte: dovevano saper scrivere in
maniera corretta i documenti, dovevano conoscere la liturgia ed esercitarsi nella copiatura dei libri.
Questa era la Scuola di Corte. Mentre l’Accademia Palatina era rappresentata da un gruppo di dotti, che
Carlo volle vicino a sé, guidati da Alcuino che si impegnavano in diversi compiti ( es: a Paolo Diacono venne
affidato il compito di scrivere i Sermones), e discutevano insieme a Carlo di vari argomenti importanti per
affinare le proprie conoscenze in varie occasioni, per esempio a tavola o nella piscina del palazzo ad
Aquisgrana.
BILANCIO DELL’OPERA DI CARLO MAGNO
Per gli autori i risultati dell’impegno di Carlo furono modesti, ma sono presenti anche altri “pareri”: Carlo
Magno appare a giusto titolo come l’artefice della “rinascita carolingia”. Come dirà più tardi Walafrido
Strabone: “di tutti i re, era il più attento nel ricercare la presenza dei sapienti e il più prodigo nel procurare
loro i mezzi necessari a filosofare”. Carlo sapeva far “rivivere le fiamme dalle ceneri”, aggiunge nel IX
secolo Eirico di Auxerre. “Le lettere gli sono tanto debitrici che il loro omaggio gli garantirà eterna
memoria”, ripete Lupo, abate di Ferrières. Questi tre autori, che non hanno vissuto accanto a Carlo, sono
i protagonisti della seconda rinascita carolingia (oltre la morte di Carlo). Strabone era un abate, un
teologo, un poeta, studiò Fulda, era un discepolo di Rabano Mauro, visse alla corte di Ludovico il Pio e di
lui ci sono rimasti i commenti alla Sacra Bibbia. Fu un personaggio di grande cultura. Eirico fu monaco
benedettino e allievo di Lupo di Ferrières. Quindi parliamo di studiosi che hanno ricevuto un’istruzione
di alto livello e che sono diventati a loro volta rappresentati della cultura del periodo in cui vissero.
Si può dire che nelle frasi sopracitate stanno commentando ed esprimendo un giudizio su fatti che
conoscono direttamente, in quanto erano avvenuti poco tempo prima.
Gli altri risultati da affidare a Carlo sono:
- La Vulgata → la versione latina della Bibbia di San Girolamo. Alcuino si preoccupò di rivedere tutto il testo,
di correggerlo e di dare questa versione corretta della Bibbia. È un testo molto importante, se
consideriamo anche il fatto che fu uno strumento a disposizione della chiesa e di tutti per secoli e secoli.
- La minuscola carolina → altro successo strepitoso, perché fu messo a punto probabilmente sempre da
Alcuino ma sempre in questo periodo. Questa nuova forma di scrittura, che grossomodo corrisponde
all’odierna scrittura, era più scorrevole, più leggibile, più rotondeggiante, elegante. Qualche tempo dopo
la vita di Carlo, con questa stessa scrittura si andò avanti per rendere più intuibile il testo e si
incominciarono a distinguere le parole, che prima erano scritte tutte unite, poi si introdussero le lettere
capitali che erano grandi, con ornamenti, con colori vari che indicano l’inizio del capitolo, poi si iniziarono
a distinguere i paragrafi. Quindi con Carlo Magno inizia una rivoluzione nella scrittura, il testo è più
intuibile, leggibile, ed ecco un altro risultato importantissimo. Si diffuse in tutto l’impero ad eccezione di
Dalmazia e Italia, in quest’ultima perché c’era già in uso una scrittura più semplice, detta beneventana.
Per esempio, con questa scrittura carolina si scrivono molte Historiae come la biografia di Eginardo, poi
Paolo Diacono scrive i Sermones (cioè una raccolta di canovacci che dovevano servire poi ai chierici e ai
parroci per impostare le prediche): fu proprio Carlo a dare questo compito a Paolo perché la predica
doveva essere impostata in un certo modo.
- Carlo Magno, che era già Imperatore si propose di intervenire in una questione che agitò molto la chiesa
e i rapporti con l’Impero nella prima metà del 700, e si trasportò fino alla seconda metà: la questione
iconoclasta → l’Impero Bizantino si schiera contro l’adorazione delle immagini sacre. Nel 726 l’Imperatore
bizantino Leone III Lisaurico emanò due decreti: con il primo proibiva l’adorazione delle sacre icone (che
erano molto venerate nel mondo bizantino e che procurarono l’accusa al mondo bizantino di essere
politeisti da parte del mondo arabo); con il secondo decreta la distruzione delle icone. Iconoclastia →
rompere, spezzare le immagini. Tutto questo provoca uno scontro con Roma grave, e cercò di
approfittarne il re Liutprando invadendo i territori della chiesa. Il dibattito però non si concluse e continuò,
e negli anni ‘80 del 700 si riunì un concilio convocato da Irene, che ribadì la correttezza della decisione
dell’Imperatore Leone III (che non è il Papa che proclamò Carlo Imperatore), ma a questo concilio non fu
invitato nessun vescovo franco, quindi non c’era nessuno che rappresentasse la chiesa franca. Carlo si
risentì di tutto questo, e nonostante non fosse ancora Imperatore, ottenne da Roma che venisse
convocato un altro concilio a Francoforte nel 794, in quanto voleva che fosse data la giusta importanza
alla chiesa franca, il concilio si chiuse con la stessa condanna, ma Carlo aveva ottenuto il riconoscimento
dell’importanza della chiesa franca. Tutto ciò è importante nei risultati di Carlo perché: senza la crescita
culturale voluta a tutti i costi da Carlo c’è da chiedersi se la chiesa si sarebbe mai impelagata in una
questione del genere. Quindi tutto ciò è una spia della crescita culturale della corte o dei vescovi più
importanti dovuta alle sue iniziative.
- Recupero della regola di Benedetto → fu un’iniziativa che in prospettiva non fu del tutto positiva da parte
di Carlo, ma che si scrive perfettamente nella ratio della sua iniziativa. Egli aveva bisogno di monasteri per
portare avanti la sua riforma, ma in quel momento vivevano in uno stato di degrado e lui voleva che
appunto tornassero a vivere secondo la Regola benedettina. Quindi, si fa inviare dall’abate di
Montecassino in Italia una copia autentica della regola di benedetto, in maniera tale poi di proporla a tutti
i centri monastici, affinché si adeguassero alla regola appunto. Però egli perseguiva sempre il suo
obiettivo, quindi diciamo che calcò molto la mano sugli aspetti culturali della regola: ad esempio, fece sì
che si rinnovassero le attività negli Scriptoria (dove i monaci ricopiavano i testi sacri), puntò sui monasteri
come centri di istruzione. Quindi egli forzò i principi che Benedetto aveva voluto trasmettere nella regola,
che poggiava sull’equilibrio perfetto tra “Ora et Labora”, e ne fece dei centri di studio imitando ed
alterando la regola stessa, tanto è vero che, poco tempo dopo la sua morte, durante il regno di Ludovico
il Pio fu poi Benedetto d’Aniane che si preoccupò di riformare di nuovo la regola ma seguendo lo spirito
benedettino.

Soprattutto questi due ultimi punti, ma anche gli altri, danno conto dell’impegno enorme e dei risultati che ci
furono.
CAPITOLO 3 – LA SECONDA RINASCITA CAROLINGIA (IX sec.)

Limiti del progetto di Carlo Magno: non aveva per niente immaginato che doveva intervenire per
finanziare il progetto perché puntava sull’azione, che doveva essere di sostegno e doveva affiancare
l’iniziativa carolingia, della chiesa. Ma tutto questo poteva avvenire se i rapporti tra Chiesa e Corte fosse
rimasti sempre ottimali come erano all’inizio, e come in realtà, tranne qualche momento, lo furono per
tutto il regno di Carlo. Poi però ci si accorse che la scuola ecclesiastica si vedeva troppo costretta dalle
iniziative pubbliche e intendeva allentare e svincolarsi da ciò, per decidere soprattutto i programmi e i
testi, perché la chiesa voleva completa e piena autonomia.
A tutto questo si unisce la debolezza, rispetto alla chiesa, dei successori di Carlo che dovettero fare i
conti con il problema della chiesa che, era sempre più evidente, voleva sempre di più sentirsi libera di
affrontare con proprie iniziative il problema e svincolarsi dagli accordi presi con Carlo.
I successori di Carlo → come Imperatore, in realtà, abbiamo un unico successore, ma qui andremo ad esaminare
le iniziative di Pipino e del figlio Lotario. Alla morte nell’814 di Carlo Magno per un caso fortuito, la morte degli
altri suoi figli prima della sua scomparsa, rimase come unico erede Ludovico il Pio, perché Carlo non aveva
affrontato il tema della successione al trono, che rimase vincolata ai principi che erano stati applicati durante la
dinastia merovingia: la concezione patrimoniale dello Stato (la Stato è un patrimonio del sovrano e in quanto tale
viene suddiviso tra tutti i figli maschi. Quindi se alla morte di Carlo ci fossero stati due o più figli maschi, l’Impero,
che non può essere suddiviso, lo sarebbe stato secondo le regole vigenti).
Ludovico il Pio, che rimase unico Imperatore, affrontò per tempo questo problema, che in effetti doveva essere
superato in quanto limitava l’iniziativa dei sovrani, inoltre i vari sovrani pur essendo consapevoli di far parte di
un unicum, cioè un regno franco divisi in diversi regni, mettevano in atto vari scontri con ricadute pesantissime
sui sudditi, perché durante le guerre civili venivano fatti prigionieri o si schiavizzavano altri franchi e altro; quindi
riuscì a risolvere il problema dopo lunghe trattative con i suoi tre figli di primo letto, inoltre in queste trattative
entrò prepotentemente la Chiesa, e i grandi principi della Chiesa ebbero un ruolo forte di mediazione ma a volte
complicavano anche la stessa situazione, fino a quando nell’817 si giunse ad un accordo → L’Ordinatio Imperi:
che significava che doveva esserci un unico Imperatore, il primogenito per l’esattezza, che avrebbe ereditato non
tutto il territorio ma la carica imperiale e avrebbe avuto assegnato una parte dell’Impero come territorio. Quindi
il titolo avrebbe dovuto essere unico e l’Impero sarebbe stato diviso in tre parti; una di queste parti andava al
futuro Imperatore, Lotario, che avrebbe avuto Italia e Lotaringia, poi vi era Pipino che avrebbe dovuto avere la
Francia e infine Ludovico il Germanico, così detto perché ebbe la Germania.
Questo era quello che doveva accadere alla morte di Ludovico il Pio, Lotario già era stato inviato in Italia e a
riconoscimento di quello che doveva avvenire dopo, con ancora vivo Ludovico i documenti già lo intitolavano
Imperatore. Tutto questo fino a quando morta la prima moglie, Ludovico sposa Giuditta di Baviera e nasce Carlo
il Calvo. Figlio legittimissimo che però non aveva avuto nessun ruolo nella distribuzione dei territori. Da ciò ne
viene fuori una lunghissima vicenda, temporale, di scontri tra Ludovico e i figli con momenti molto gravi; ad
esempio, Giuditta viene costretta a rinchiudersi in un monastero, Ludovico viene costretto a dimettersi, ma poi
le cose si complicano al punto che gli stessi figli decidono di rimetterlo sul trono per evitare situazioni ancora più
gravi. Quindi l’Ordinatio Imperi venne disattesa; muore Pipino e restano tre figli, ma sono presenti sempre degli
scontri tra i tre fino al Giuramento di Strasburgo dove accanto al latino si erano delineate delle lingue locali, per
cui i due fratelli firmarono questo accordo contro Lotario giurando di rimanere uniti lottando contro l’Imperatore
designato, uno in lingua tedesca e l’altro in lingua francese. In fine si arriva al Trattato di Verdun che definisce
l’assetto dell’Impero. Quindi poi non esiste più l’idea di un unico Imperatore ma si hanno dei momenti che
precipitano verso la disgregazione e la fine dell’Impero Carolingio.
Quindi alla morte di Carlo Magno c’è un solo Imperatore, solo perché gli altri suoi figli erano morti, nel frattempo
ha anche un ruolo importante Lotario, che era stato individuato come il figlio che doveva assumere il titolo
imperiale e che era già stato dislocato in Italia ma il titolo imperiale doveva essere unico.
Tornando alla questione della Chiesa: abbiamo Ludovico il Pio e Lotario, che mirano a proseguire l’azione
di Carlo, che devono fronteggiare la realtà del dietrofront della Chiesa.
Nell’822 Concilium Attiniacense → Frova p.45-46
Quindi nell’822 i vescovi in qualche modo si erano raccordati con Ludovico e avevano accettato
quell’impegno garantendo che avrebbero rispettato le indicazioni dell’Imperatore, ma nell’825,
evidentemente, qualcosa non era andato per il verso giusto. Ludovico il Pio chiede ai vescovi di non
trascurare l’organizzazione di scuole efficienti in cui istruire i ministri della Chiesa.
Admonitio ad omnes regni ordines di Ludovico il Pio → Frova p.27
Poi si ha un altro documento nell’829 Concilium parisiense, relatio episcoporum. Leggendo i lavori del
concilio, sembrerebbe, da quelli che sono i canoni conciliari, che la Chiesa aveva di nuovo ripreso a
seguire le indicazioni imperiali, forse aveva accettato l’Admonitio. Ma poi, agli atti del Concilio è legata
questa relatio episcoporum. Quindi vi sono i canoni conciliari, che puntualizzano di nuovo gli impegni e
poi vi è questa relazione dei vescovi, dove, in effetti, fanno diversi distinguo e suggeriscono
all’Imperatore di seguire l’esempio del padre istituendo d’autorità “scuole pubbliche” in tre luoghi
specifici dell’Impero. Cioè i vescovi stanno dando la loro disponibilità ma l’iniziativa dicono che deve
essere dello Stato, in quanto loro non possono assumersi tutte le varie responsabilità. Quindi attaccano,
perché quando parlano di istituire scuole pubbliche, non nel senso moderno del termine, dicono che
deve essere lo Stato a istituirle, a seguirle, a finanziarle, ecc. e inoltre, non vogliono continuare l’azione
che avevano intrapreso insieme a Carlo; il progetto carolingio sembrava lì prossimo a crollare. [In effetti
tutto questo dà conto anche del fatto che Ludovico il Pio, a causa dei vari scontri con i figli, si era
indebolito, la sua autorevolezza ne aveva risentito, ed ecco che la Chiesa ne approfitto]
Questa traduzione la si può confrontare
con il documento n.7 della Frova a p. 27

Ma c’è anche da valutare l’iniziativa di Lotario in Italia, e ci si accorge che nel documento è presente una
maggiore dichiarazione di forza da parte dell’autorità statale. Il capitolare di Corteolona → Frova p.27-28
Si tratta del Cap. 6, ed è emanato sempre nell’825.
Le scuole più importanti che si possono recuperare nel territorio: alle scuole citate precedentemente
legate alla prima riforma di Carlo Magno si aggiungono altre scuole di prestigio come San Gallo,
nell’odierna Svizzera, poi Reims, nel nord-est della Gallia, Laon, Metz e Fulda, che è al centro dell’odierna
Germania. Vi sono alcuni grandi protagonisti, ad esempio a Reims abbiamo Incmaro che era un
esponente della chiesa e diviene maestro di Reims (era un matrimonialista), oppure a Fulda vi era Rabano
Mauro.
In Italia, a parte le scuole di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno, vi erano la scuola a Roma (sede
della corte pontificia e quindi, naturalmente, la scuola del Laterano continua a mantenere il suo altissimo
livello) e la scuola a Pavia.
LA VITA NELLE SCUOLE
È una pianta del IX secolo, quindi siamo nel periodo carolingio e il monastero è quello di San Gallo.
AREA DEDICATA A ALLOGGIO
OSPITI IMPORTANTI SCUOLA * ABATE

LA CHIESA
CONVENTO DEI NOVIZI
questa era la parte dove
vivevano gli oblati, i
FIENILI giovani che erano stati
OVILI donati al monastero, che
dovevano restare lì e
RICOVERI PER
sarebbero stati futuri
GLI ANIMALI
monaci
GIARDINO
GRA
NAIO

OSPEDALE FORNACE MULINI


PER I POVERI DI CALCE BIRRIFICIO LABORATORI
E PANIFICIO ARTIGIANALI

*Si è già detto che c’era la scuola nel quartiere dei novizi, quindi gli studiosi ne hanno dedotto che
quest’altra scuola era destinata anche agli esterni ed è questa che ci interessa più di tutte; perché il
monastero di San Gallo aveva recepito le richieste e le pressioni delle autorità statali e si era preoccupato
anche di dotarsi di una scuola in cui ogni giorno venivano istruiti giovani che non facevano parte
integrante del monastero e che quindi non erano destinati a diventare monaci.
Organizzazione della scuola → ha una pianta rettangolare con 14 aule di circa 10 metri quadrati, al centro
vi un grande spazio diviso in due parti, due cortili, dove i giovani probabilmente stavano nei momenti di
intervallo durante la giornata. Un corridoio portava alle latrine con 15 posti (i bagni).
Inoltre, si può dedurre che non ci fossero sedie per gli allievi, che l’unico mobilio presente era una sorta
di pedana (ammesso che ci fosse) per il leggio del maestro. I giovani, invece, si sedevano per terra e per
stare più comodi si sedevano lungo le pareti. Queste aule si suppone avessero un’apertura in alto per
arieggiare. Il maestro poteva essere aiutato anche nel mantenere l’ordine da una sorta di bidello. Quindi
il maestro aveva la dotazione del leggio e del libro, o della pergamena, mentre i giovani erano dotati
della due tavolette e dello stilo (portavano sempre queste due tavolette appese alla cintura). Poi vi era
la biblioteca che a San Gallo era collocata sopra lo scriptorium, a nord del coro della chiesa; era
indispensabile e non esisteva un grande monastero senza, perché era assolutamente importante la
dotazione libraria di testi classici, di testi soprattutto cristiani. Tali non venivano sistemati in scaffalature
ma in cassapanche e in bàuli; vi era una stretta sorveglianza in quanto i testi erano preziosissimi, infatti
non era per nulla scontato che venissero distribuiti anche all’interno del monastero.
Frova p.92-93 → l’epistolario a cui si fa riferimento è di un grande protagonista del nostro argomento. Questa
testimonianza ci conferma il fatto che le grandi abazie e i grandi vescovati erano costantemente alla ricerca di
altri testi dell’antichità o sacri, ecc. per arricchire la dotazione libraria della loro istituzione. Il personaggio in
questione è Gerberto di Aurillac, che nel momento in cui scrive queste lettere era già maestro a Reims. Gerberto
grande uomo del suo tempo era anche conosciuto per la sua profonda conoscenza dell’astronomia e sapeva
anche costruire le sfere armillari, cioè delle sorte di mappamondi (non disegnati) con dei cerchi concentrici che
rappresentano la volta celeste, i percorsi del Sole e della Luna, ecc.
Questo documento è così importante perché ci permette di dare uno sguardo più da vicino a quelle che erano le
realtà del tempo.
Frova p.93-94 → Gerberto, in un momento della sua strepitosa carriera, era diventato abate di Bobbio, quindi è
un momento che, cronologicamente, precede il dato storico delle lettere precedenti.
I rapporti tra i maestri e gli allievi erano di solito buoni, peraltro, ad esempio nella scuola di San Gallo,
abbiamo detto che accanto al maestro c’era di solito una sorta di bidello e se c’era qualcuno da
richiamare era lui che aveva questo compito. Inoltre, si immagina che in questi ambienti monastici
prevalesse quello che era il principio fondante della regola benedettina, la discretio, qualità che abbiamo
già visto e che Benedetto volle fosse prevalente nella figura dell’abate. Quindi, disciplina si, ma non
raggiunta con imposizioni violente ma con atteggiamenti paterni, cioè l’abate doveva avere la stessa
impostazione di un padre (il padre che ha davanti i propri figli deve farli crescere in un certo modo, dotati
di qualità morali, culturali, ecc. e deve tenerli sotto osservazione, imponendo loro determinati
comportamenti e se il caso anche punirli ma senza infierire). Abbiamo la ripresa di questi principi grazie
al commentario della Regola scritto da Paolo Diacono che raccomanda la moderazione nell’esercizio
della disciplina.
Per quei tempi vi è un’apertura
importante alla necessità che hanno i
bambini di giocare e di svagarsi, anche
se settimanalmente o mensilmente

Qui vi è la piena consapevolezza da parte


di Paolo che la violenza non risolve nulla,
semmai incattivisce gli animi

Una pedagogia monastica, per quei


tempi, veramente molto avanzata

[Riguardo la pianta del monastero si tratta appunto di una pianta monastica perché di scuole episcopali non
abbiamo alcuna pianta. Inoltre, da conto dell’importanza che avevano le comunità monastiche, infatti, se si
considera la pianta, è chiaro ed evidente che vi erano centinaia di monaci e che aveva un rapporto forte con tutto
il circondario.]

L’INSEGNAMENTO ELEMENTARE
Innanzitutto, si possono individuare dei gradini nell’insegnamento, quindi un insegnamento elementare
e uno superiore e all’interno di questi grandi contenitori le discipline che venivano approfondite.
Per ciò che riguarda l’insegnamento elementare gli specialismi di base erano: la lettura, la scrittura e il
calcolo. Riguardo la lettura → sappiamo che si apprendeva attraverso una serie di esercizi che partivano
dall’individuazione della lettera, poi si passava all’unione tra consonanti e vocali e quindi alla sillaba,
dopo di che si individuavano le parole e infine si arrivava alla frase. All’individuazione delle lettere si
giungeva attraverso l’apprendimento mnemonico dei salmi e quindi gli studenti li ripetevano tante volte
fino ad impararli a memoria. I salmi erano raccolti nel Salterio, un testo importantissimo nella chiesa, e
i ragazzi per aiutarsi, nell’impararli a memoria, spesso utilizzavano la versione cantata. Ma insieme al
Salterio vi erano altri testi come i Distici di Catone, i proverbi, le favole. Quindi grazie a questa lunga
procedura gli studenti piano piano riuscivano a recuperare gli strumenti adeguati per affrontare la
lettura.
Naturalmente quelli che potevano essere proposti agli studenti erano testi in latino, ma una cosa è
leggere il latino e un’altra è parlarlo e nelle fonti troviamo informazioni di come questi giovani venivano
aiutati. Inoltre, il giovane che iniziava a leggere il testo bisognava che lo capisse perché anche lì vi era
una forte difficoltà. (vi fu anche un altro strumento che serviva a facilitare la comprensione, la prosodia
che poggiava sulla diversa quantità delle sillabe). Siccome era difficile capire il latino allora si utilizzarono
dei testi bilingue, quindi vi erano dei volumi scritti in latino con la traduzione a fronte.
Riguardo la scrittura → sappiamo che Carlo Magno non riuscì ad apprendere questo specialismo perché
era molto più difficile e necessitava di un esercizio continuo e costante. D’altro canto, nel medioevo non
era considerato obbligatorio, e con la lettura erano considerati due specialismi completamente
distaccati, per cui soltanto i più colti, o chi doveva svolgere mansioni importanti, venivano avviati
all’insegnamento della scrittura. Anche nel basso medioevo le donne, in particolare, o non sapevano
scrivere o stentavano molto come si può vedere dalla grafia, ma si parla sempre comunque di donne
aristocratiche; nel periodo carolingio, invece, erano pochissime le donne capace di leggere e ancora più
poche quelle in grado di scrivere. Per l’apprendimento della scrittura si procedeva con un esercizio
costante e continuo sulle tavolette incerate; si passava all’utilizzo di supporti di pregio e preziosi, visto il
prezzo, come la pergamena soltanto con i più bravi.
Riguardo il calcolo → altro specialismo fondamentale di base. Era necessario per moltissime esigenze
quotidiane e nel mondo ecclesiastico era assolutamente importante per impostare tutto il calendario
liturgico a partire dalla data della Pasqua quando si decise un sistema unico (in questo periodo le Pasque
erano collocate in diversi momenti dell’anno a seconda della regione). Per aiutare nell’apprendimento
del calcolo si usavano degli esercizi speciali, che erano più che altro degli indovinelli, delle domande
particolari a base matematica che gli studenti dovevano risolvere. Erano degli esercizi per nulla scontati.
Alcuni esempi di un testo attribuiti ad Alcuino (testo a cura di Raffaella Franci “i giochi matematici alla
corte di Carlo Magno”):
“Tre fratelli hanno ciascuno una sorella. I sei viaggiatori arrivano a un fiume, ma il solo battello disponibile
contiene al massimo due persone. Ora, la morale richiede che ciascuna sorella passi col fratello. Come fare?”
(esercizio n. 17 del testo sopracitato che si può risolvere con l’andare avanti e indietro diverse volte con la barca)
“Sei uomini vengono ingaggiati per costruire una casa. Tra loro c'è un apprendista. I 5 manovali dividono tra loro
il salario di 25 denari al giorno, meno il salario dell'apprendista che corrisponde alla metà del salario di ciascun
manovale. Quanto riceverà ciascun lavorante?” (qui bisogna impostare un’equazione).
Altro strumento fondamentale è il computo digitale che non è un’invenzione medievale, infatti era già
presente in età ellenistica e fu riportata da Beda il Venerabile. Si tratta del calcolo basato sull’utilizzo
delle falangi delle mani: in una mano ci sono 14 falangi, le due falangi del pollice e le tre dell’indice
segnano le decine e le nove falangi rimanenti segnano le unità e piegandole davano la cifra che si voleva
comunicare; es. se estendo pollice e indice indico il numero 50, il 52 invece si forma con pollice e indice
stesi e con il medio steso per metà a indicare solo il numero 2. Era una pratica non facile ma molto molto
diffusa, poi si utilizzo anche il pallottoliere anch’esso non è una novità del medioevo ma era già in utilizzo
in Cina.
Poi vi era l’insegnamento del canto che era fondamentale perché il monaco e il chierico dovevano sapere
cantare per seguire la liturgia che nel periodo carolingio erano diverse in base alle varie regioni e invece
con Carlo Magno si cercò di unificarle seguendo come modello unico (anche se questo tentativo fallì)
quello romano. Ovviamente per apprendere a meglio la tecnica del canto si doveva conoscere la musica,
che, quindi, fu una materia importante insieme alle altre tre. Nella Admonitio generalis Carlo Magno
faceva riferimento alle note che, come abbiamo detto non indicano le note del pentagramma, quindi,
non si fa riferimento all’apprendimento della musica, bensì ad un’altra tecnica una sorta di stenografia;
si parla di note tironiane, sono dei segni che consentono di sintetizzare dei sostantivi e delle parole, e
sono molto utili per coloro i quali devono prendere degli appunti per poi stilare dei documenti
importanti. Quindi questo tipo di tecnica veniva proposta e insegnata ai chierici, ai monaci e in
particolare a coloro i quali avrebbero poi rivestito l’importante incarico di notaio nella chiesa (non si
tratta di notai che stendono atti pubblici ma uomini istruiti in maniera tale da mettere per iscritto tutti i
documenti che servivano alla chiesa o al monastero).
L’INSEGNAMENTO SECONDARIO
Poggia sulle sette arti liberali: il trivio e il quadrivio.
Il trivio → grammatica, retorica e dialettica
La GRAMMATICA → è lo strumento principale per affrontare la lettura di un testo cercando di capirne il
significato. Per capire, quindi, il testo in latino si doveva conoscere la grammatica che bisognava
approfondire, studiare. Il testo principe del medioevo è l’Ars minor di Donato e per tutto il medioevo si
può dire che fu il testo di riferimento per chiunque volesse affinare lo studio della grammatica. Per studio
della grammatica si intende, innanzitutto, l’approfondimento delle otto parti del discorso (il latino non
elenca l’articolo in quanto non c’è, e non distingue il nome dall’aggettivo, cioè è un tutt’uno con il nome ).
Per cui le otto parti del discorso in latino sono:
- Il nome che comprende anche l’aggettivo
- Il pronome
- Il verbo
- La preposizione
- La congiunzione
- L’interiezione
- L’articolo
Poi altri strumenti per avvicinarsi al testo, per comprenderlo erano i glossari cioè una sorta di vocabolari,
per esempio erano molto utilizzate le Etimologie di Isidoro, quelle di Rabano Mauro; andando avanti nei
secoli medievali ci sono alcuni glossari che andavano molto in voga come, ad esempio quelli di Uguccione
da Pisa, ecc. questo strumento fu considerato con attenzione per la sua importanza come supporto.
Poi si puntò molto sullo studio della prosodia vale a dire ogni parola suddivisa in sillabe brevi o lunghe,
e l’individuazione delle sillabe avviene in base a quanto si soffermi la voce (di più o di meno). Quindi lo
studio della prosodia era molto importante in particolare nella lettura della poesia, ma comunque nella
lettura in generale, perché comporta una modulazione diversa della voce che permette di leggere meglio
e far comprendere meglio a chi ascoltava. Ad esempio, doveva avere padronanza della prosodia il
monaco che, nei monasteri benedettini, per un’intera settimana leggeva mentre tutti gli altri membri
della comunità mangiavano.
Altro elemento importante, oggetto di insegnamento e di studio era l’ortografia. Fino agli anni 50 - 60
era pretesa dai maestri che la curavano molto. Tutta questa cura era dovuta al fatto che i testi nel
medioevo erano scritti a mano, quindi la grafia era fondamentale per poi leggere il testo in maniera
quanto più possibile semplice.
L’importanza dei classici. Per studiare la grammatica, il testo principe abbiamo detto essere l’Ars minor,
ma poi bisognava affinare il tutto attraverso la lettura dei classici. Qui c’è da ricordare però il timore da
parte degli ambienti ecclesiastici dovuto al fatto che lo studio di questi testi poteva corrompere l’anima
dei più giovani. Tra i classici più utilizzati vi erano: Virgilio, Orazio, Giovenale, si leggevano anche classici
cristiani come Prudenzio, Sedulio, ecc. Questi testi venivano considerati propedeutici per lo studio poi
della storia e della geografia, perché in questi classici vi erano appunto numerosi e continui riferimenti
a dati storici e geografici.
Vi è anche l’importanza del nome, che nel mondo latino in generale era considerato un elemento che
dava indicazioni sulla personalità di chi lo portava.
Vi è una famosa frase in nomen omen → quindi nel nome c’è il destino dell’individuo che porta il nome.
Nel medioevo furono molto diffusi i nomi di persone che si riferivano al mondo animale, es. leone: vi sono diversi
Papi con tale nome e sta tornando nuovamente di moda. Tale nome era dato dal fatto che chi lo portava avrebbe
avuto una sorta di auspicio e quindi le doti del re della foresta; oppure lupo: sempre con riferimento alle
caratteristiche dell’animale; Brunechilde: nome della principessa che significava corazza della battaglia e faceva
riferimento alle doti che dovevano avere per ricoprire nelle corti quei ruoli importanti, ma mai di regine.
La RETORICA → l’arte del discorso, o meglio un esercizio propedeutico all’arte del discorso. Si apprende
attraverso dei manuali di retorica: Quintiliano, Cicerone, quindi apprendendo una serie di norme
tecniche che consentono allo studioso di esporre il suo pensiero in una maniera quanto più possibile
ordinata e capace di convincere coloro i quali ascoltano (questo era lo scopo dell’esercizio retorico).
Bisogna impostare l’esercizio seguendo in maniera scrupolosa le cinque parti del discorso:
- Invenzione: cioè il contenuto dell’esercizio; un contenuto che deve avere già una sua credibilità. Quindi si deve
individuare il tema da esporre (i contenuti credibili da esporre).
- Disposizione: l’ordine logico (perché solo con la logica l’esercizio raggiungeva la credibilità) con il quale
bisognava esporre il tema, il materiale.
- Elocuzione: le forme con le quali si intendeva esporre il tema.
- Memoria: la capacità di fissare nella memoria degli altri, nell’animo di chi sta ascoltando il contenuto, e
soprattutto il messaggio. Quindi la capacità di essere convincenti.
- Pronuncia: il modo cortese e moderato con il quale si esponeva l’argomento. Quindi la voce che deve essere
modulata in maniera tale da non risultare alterata. Il volto, l’espressione, la postura di chi sta procedendo
nell’esercizio retorico deve essere improntata sul principio fondamentale della moderazione, che secondo i
latini è molto più efficace degli insulti, delle urla.
Nell’esposizione il retore utilizzava le figure retoriche e i topòi (topos = luogo comune) con il quale poteva
costruire un elogio, un panegirico o un discorso di circostanza.
Dalla retorica si passa alla disputatio, cioè al dibattito vero e proprio, una discussione in cui ci sono più
parti chi espone e l’interlocutore, che introduce allo studio della dialettica.
La DIALETTICA → nei primi secoli medievali era quasi scomparsa insieme alle scuole. Secondo Rabano
Mauro è “la disciplina delle discipline, che insegna a insegnare e ad apprendere” da un’esaltazione
massima di questa disciplina che però era stata dimenticata perché fu considerata inutile, bisognava
studiare soltanto le sacre scritture. Però era stata coltivata in maniera eccellente, nell’Italia ostrogota,
da Boezio, (che fu prima un collaboratore di Teodorico ma poi cadde in disgrazia quando i legami tra Teodorico
e Costantinopoli si erano guastati e poi fu condannato a morte da Teodorico ) ma poi fu abbandonata.
La dialettica è una parte della filosofia ed è un metodo di indagine razionale, cioè quell’indagine che
porta a determinare in maniera scientifica il contenuto concettuale della verità, quindi che va ad
indagare attraverso quest’analisi sempre più approfondita la verità del concetto. Si tratta di
un’argomentazione puramente logica. Boezio l’aveva studiata e aveva scritto, mentre era in prigione, il
De consolatione philosophiae un trattato di dialettica, e infatti fu ripreso in età carolingia. Ancora una
volta ritorna il nome di Alcuino, che fu un cultore della dialettica, ma il nome più noto è del filosofo
Giovanni Scoto Eriugena di origine irlandese, visse alla corte di Carlo il Calvo e dunque è un protagonista
della seconda rinascita carolingia, conosceva il greco e la sua opera più importante è il De divisione
naturae. [per lui: Dio è la causa finale dell’universo] Il suo pensiero: egli propone un accordo profondo
tra filosofia e religione, e qui il suo pensiero si ricollega con il pensiero di Agostino perché sta rivalutando
l’importanza della ragione, e poi lo si può collegare più avanti con il pensiero di Tommaso d’Aquino.
[approfondimento: secondo Giovanni Scoto nel momento in cui viene creato l’uomo, il corpo creato in
modo perfetto da Dio dopo il peccato originale qualcosa si è guastato, quindi tutte le esigenze del corpo
e in particolare l’esigenza sessuale è la conseguenza grave del peccato originale. Secondo Giovanni al
momento della creazione i corpi non erano differenziati per genere e riflettendo si comprende come
dietro ci sia la misoginia del periodo medievale e carolingio in particolare, cioè il pensiero misogino di
rifiuto della donna, che non era necessaria e che se tutto fosse rimasto perfetto al momento della
creazione, non ci sarebbe stato bisogno della donna.
Il quadrivium → (questo termine si deve a Boezio) aritmetica, geometria, musica e astronomia. Tutte
queste discipline dipendono dal primo, quindi tutte dipendono dal numero, come diceva Boezio “la
creazione riposa sulle cifre e non può essere spiegata che dalle cifre”.
L’ARITMETICA → è infatti la scienza del numero ed è, secondo Boezio, alla base della creazione.
La GEOMETRIA → la scienza che studia lo sviluppo lineare del numero (linee, segmenti, figure geometriche.
Ma se dal piano ci spostiamo nello spazio, sempre attraverso il numero, abbiamo i solidi). Quindi la geometria
deriva dall’aritmetica.
L’ASTRONOMIA → è la scienza del ritmo del tempo, ma è anche la scienza che studia la volta celeste con
i corpi celesti, gli astri, le costellazioni, ecc. e studia soprattutto i loro movimenti anche perché da questi
dipendono le stagioni, l’alternarsi del giorno e della notte.
La MUSICA → è la scienza degli intervalli e dei rapporti tra i toni. È nella quantità della nota che si crea
la musica, la melodia infatti nasce dall’attribuzione del valore che l’autore dà alle note che messe insieme
poi, creano la melodia.
Grazie a queste scienze, ad esempio, un agrimensore, così chiamavano in età romana e medievale i
moderni geometri, può misurare il terreno, può attribuire o meno una proprietà.
Nel periodo preso in esame ecco un’altra il nome di Alcuino e poi di Dungal, che dopo la morte di Alcuino
diventa l’astronomo più fidato di Carlo Magno (ad esempio sarà Dungal a informarlo delle due eclissi
verificatesi nell’810). Inoltre, non conosciamo l’autore, ma sotto Carlo Magno noi abbiamo la scrittura di
un Trattato di astronomia e già in quel periodo era chiara e nota a tutti la differenza forte tra astronomia
e astrologia: l’astronomia è una scienza a tutti gli effetti che studia gli astri e i loro movimenti; l’astrologia
poggia sull’interpretazione non scientifica dell’influenza che gli astri avrebbero sull’uomo.
Al quadrivio va aggiunta un’altra scienza cioè la MEDICINA, ma qui si tratta di un sapere pratico e
professionale. Ciò che attesta l’importanza di questo sapere è che si richiedeva al medico, prima che
esercitasse, un’ottima preparazione in tutte le sette arti liberali.
BILANCIO DELLE DUE RINASCITE CAROLINGIE
1. Grazie a quest’attenzione dei sovrani carolingi verso il mondo della cultura occidentale, quest’ultima
ha potuto contare sulla conoscenza e l’utilizzo di molti classici. Ma non tutti quelli che nel periodo
carolingio bene o male circolavano, infatti dalle opere di questo periodo ricaviamo circa 800 nomi di
autori latini ma ci sono rimaste 150 opere. Una parte non molto corposa ma comunque importante.
Quindi la cultura occidentale in generale ha un debito enorme nei confronti dei copisti carolingi, che
tramandavano queste opere.
2. Grazie a quest’azione intrapresa dalle corti carolingie il latino non scomparve, anche se rischiò di
scomparire ed essere sostituito dalle lingue germaniche, romanze. Anche se siamo in piena diglossia
il latino è la lingua della cultura degli studiosi, e quindi viene conservato.
3. Differenza tra letterati e illetterati. Letterati: in Latino era indicato con il termine “littera”, coloro i
quali conoscono il latino; tutti gli altri sono illetterati (erano analfabeti, nel senso che non
conoscevano la littera, il latino, ma potevano avere delle profonde conoscenze a livello professionale,
come i grandi artigiani che trasmettevano il loro sapere).
L’EDUCAZIONE DEI LAICI NEL IX SECOLO
Vi sono vari personaggi del mondo laico che ebbero una buona preparazione e che hanno lasciato dei testi. Nello
stesso tempo si parla di educazione dei laici come di laici da istruire, e nasce anche un nuovo genere letterario,
gli Specula, che ha dei contenuti specifici, sono dei testi indirizzati a categorie di uomini, di donne, di bambini per
istruirli. Non si tratta di un’istruzione letteraria ma di un’istruzione che doveva servire alla categoria interessata
a impostare bene la loro vita e ad aspirare poi alla salvezza eterna.
Personaggi come Eginardo e Dhuoda sono laici che godono di una preparazione tale da potere Eginardo
impegnarsi nella biografia di Carlo Magno, e Dhuoda nella stesura di un trattato di tipo pedagogico dedicato al
figlio, il Manuale.
EGINARDO → Biografo di Carlo Magno. Fu educato, in maniera eccellente, insieme a Ludovico il Pio nel
momento in cui la scuola di corte accoglieva i figli di Carlo e anche esponenti importanti o giovani di
buon livello; è questo il motivo per cui Eginardo è attendibile nella sua biografia, perché visse a corte e
quindi vicino ai figli di Carlo e a Carlo stesso. Egli fu un laico, si sposò e poi rimase vedovo; Ludovico il
Pio, preso il posto del padre, lo premia per i suoi meriti attribuendogli alcune abbazie: Saint Wandrille,
Saint-Bavon e Gand, Saint-Gervais, Saint-Cloud e altre. Ciò non significa che era diventato un monaco a
tutti gli effetti in quanto vi potevano essere degli abati laici; affidare un’abazia a vari personaggi significa
in realtà garantirgli delle entrate e quindi la possibilità di vivere tranquillamente.
ANGILBERTO → divenne abate laico. Aveva una sua personale biblioteca.
EBERARDO DEL FRIULI → cognato di Ludovico il Pio
DHUODA → una nobildonna della casata carolingia. Gli studiosi hanno dedotto essere nata nel nord della
Gallia, sposa il duca di Settimania, Bernardo (parente di Carlo Magno e figlio di Guglielmo d’Aquitania),
personaggio molto importante. Dhuoda fu mandata dal marito al sud perché fu incaricata di
amministrare i beni della famiglia, mentre il marito rimase a corte al nord. Poi però fu accusato di essere
diventato l’amante della regina, moglie di Ludovico il Pio, e tutto questo scatenò i suoi nemici. Quindi la
regina fu accusata di adulterio e lui di tradimento, venne incarcerato insieme al figlio Guglielmo (che
aveva avuto con Dhuoda). Il Manuale è indicato come la sola opera scritta da una donna nel corso
dell’alto Medioevo, in realtà non è così, sicuramente è un’opera importante, ma ci sono anche altre
opere.
Dhuoda scrive questo trattato per seguire il figlio e dargli consigli per aiutarlo a diventare un ottimo
giovane di corte, in quanto si trova lontano da lui e passando gli anni sa che sta crescendo; naturalmente
ne sente la mancanza anche perché non gli può essere vicina e non può dargli nessun tipo di
insegnamento. È un trattato pedagogico per la presenza di insegnamenti educativi che avrebbero dovuto
seguire il figlio fino al momento in cui egli avrebbe dovuto assumere degli impegni nell’amministrazione
(gli studiosi pensano che Dhuoda in realtà non sappia nulla di quello che sta accadendo al figlio). Però
questo testo è uno speculum, fa parte della categoria degli specula, un nuovo genere letterario che nasce
proprio in questo periodo. Speculum significa specchio e ne parla nella prefazione del testo. Infatti, anche
se tutto il testo è dedicato al figlio, in maggioranza lo è la prefazione.
Vi è una doppia valenza: questi
insegnamenti dovevano servire a
formare il futuro amministratore ma
anche l’uomo, secondo quelli che erano
i precetti del cristianesimo. Garantire al
figlio di salvare anche l’anima, quindi
ottimo amministratore e ottimo
cristiano.

Questo genere ha un buon successo perché l’uomo del tempo avvertiva l’urgenza e la necessità di avere
delle regole per avere la certezza di star agendo bene. il monaco ce le aveva: la regola monastica
appunto; se il monaco osservava tutti i recetti della regola monastica in maniera perfetta allora si
garantiva la salvezza eterna. Il laico aveva bisogno di regole e questi testi (oltre a quello di Dhuoda ne
furono prodotti diversi) dovevano appunto servire ai gruppi dei laici, infatti una caratteristica degli
Spucula è che sono indirizzati a gruppi del mondo civile ma anche del mondo monastico (es. la regola
virginum era indirizzata alle giovani che dovevano rimanere vergini e anche alle monache). Quindi i laici
dovevano rimanere laici e Dhuoda scrive un testo che è indirizzato al figlio ma può anche essere utilizzato
come speculum da tutti gli altri giovani di corte, infatti qualunque giovano cresciuto, educato a corte, o
aristocratico si può rispecchiare in quelle regole in quei consigli comportamentali.
Per Dhuoda le virtù del giovane di corte dovevano essere:
- Coraggio
- Lealtà
- Solidarietà, in maniera particolare. Vivere da soli a corte nasconde i suoi problemi, quindi se si fa gruppo si
possono superare meglio le difficoltà
Inoltre, gli raccomanda di avere sempre i punti di riferimento: le autorità, alle quali il figlio doveva
sempre obbedienza e rispetto assoluto, nell’ordine sono: Dio – suo padre – il signore feudale ciò è un
unicum.
In tutti gli altri testi del medioevo le autorità sono sempre queste tre ma cambia l’ordine, infatti al primo
posto c’è sempre Dio ma al secondo posto vi è il signore feudale e il padre terreno è al terzo posto,
Dhuoda invece indica al figlio questo ordine che è davvero originale e incuriosisce se si considera come
lei era stata trattata dal marito, eppure lo posiziona al secondo posto e raccomanda il figlio di onorarlo
e di pregare costantemente per la sua famiglia.
Altre caratteristiche: il testo è scritto in sermo quotidianus, cioè in un latino non molto ricercato, secondo
chi ha studiato il testo forse tutto questo non deriva dal fatto che Dhuoda non aveva una buona
preparazione e che quindi non era in grado di affinare la sua scrittura, ma da una precisa scelta.
Quest’ipotesi poggia sul fatto che gli studiosi sono riusciti a recuperare citazioni da testi classici, come il
De amicitia di Cicerone, che viene utilizzato e che fa immaginare che Dhuoda lo conosceva, e citazioni
dalle Sacre Scritture. Probabilmente è un Sermo quotidianus per scelta, per far sì che i giovani potessero
leggerlo con più facilità.
Vi è un dato curioso, il testo ha una struttura molto particolare, infatti ripete quasi le stesse cose,
soprattutto le stesse raccomandazioni all’inizio e poi alla fine; su tale struttura gli studiosi si sono
interrogati, l’ipotesi è che Dhuoda immagina che suo figlio non leggerà tutto il testo, lei avrebbe voluto
ma il figlio era impegnato nei vari impegni e incarichi a corte e non avrebbe avuto il tempo oltre che alla
voglia;
quindi da buona madre utilizza questo escamotage e qualsiasi parte il figlio leggerà o l’inizio o la fine
potrà ugualmente comprendere le sue raccomandazioni.
Riguardo l’utilizzo degli Specula vi sono vari nomi importanti:
Alcuino → vi è un suo testo molto vicino a questo genere “Trattato sui vizi e le virtù”.
Giona d’Orléans → un vescovo; scrisse un testo “De institutione laicali” che si occupa soprattutto dei
problemi dei coniugi, ed era un problema molto avvertito in quel tempo in particolare dagli uomini,
perché la chiesa non faceva altro che raccomandare ai coniugi di rimare quanto il più possibile casti, di
non avere rapporti sessuali nelle domeniche, nelle festività, nelle quaresime, ecc. quindi aveva deciso di
controllare i fedeli in maniera pressante anche nel letto coniugale e nello stesso vi era l’esortazione a
evitare atteggiamenti amorosi (es. se un uomo bacia in modo appassionato la propria moglie vuol dire
che la sta trattando da prostituta); una serie di indicazioni da parte dell’ambiente ecclesiastico che
naturalmente sconcertavano gli uomini. Quindi è un testo molto importante perché racconta di tutte
queste pesanti intromissioni della chiesa nella vita coniugale, con tutte le raccomandazioni, e anche dei
disagi dei fedeli che volevano salvarsi l’anima ma erano bloccati dal fatto che tutto quello che facevano
era considerato peccato.
Rabano Mauro → altro autore importante che scrive un’opera per raccomandare ai figli il
comportamento corretto nei confronti dei padri. Risponde ai casi gravi che erano accaduti quando i figli
di Ludovico il Pio si erano ribellati al padre che aveva deciso di sistemare diversamente la divisione.
Quindi Rabano dice che i padri devono essere sempre rispettati.
Come vengono educati gli altri giovani laici, i non chierici, quelli che ignorano il latino?
I giovani in generale erano educati in famiglia, quindi dalla madre i maschi fino al settimo anno, e poi
passavano sotto il controllo del padre, e le femmine che poi restavano sotto il controllo delle madri; e
poi dalla scuola di corte.
CAPITOLO 4 – LA TERZA RINASCITA CAROLINGIA (X-XI sec.)
Si ha con gli Imperatori della casa di Sassonia.
Bisogna recuperare i momenti fondamentali della scomparsa della dinastia carolingia, che nonostante i tentativi
di rafforzamento da parte di Ludovico il Pio in realtà dura ancora meno della dinastia merovingia. Possiamo
utilizzare varie date, per esempio nell’887 abdica Carlo il Grosso, che era rimasto l’unico Imperatore (perché alla
morte di Lotario non vi erano eredi ed erano rimasti solo Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo che aveva avuto
l’Italia e quindi il titolo imperiale. Muore anche quest’ultimo senza erede e così subentra Carlo il Grosso), ma poi
vi sono altri rappresentanti della casata carolingia, ma possiamo dire che alla fine del IX secolo (fine 800)
scompare la dinastia carolingia. Accade tutto questo perché in effetti la dinastia carolingia non era stata in grado
di fronteggiare le incursioni dei nuovi barbari in particolare per quanto riguarda la Francia → a sconvolgere
continuamente il territorio erano le incursioni dei normanni; questi ultimi imperatori non riuscirono a
fronteggiare efficacemente il pericolo e piano piano il loro posto fu preso dall’iniziativa dei grandi feudatari che
divennero i punti di riferimento dei vari territori e inizia a rafforzarsi la signoria feudale. Per esempio, già nel 911
Carlo il Semplice stipulò un accordo con il capo norvegese Rollone che consentì ai normanni di stanziarsi nella
Normandia (quindi non solo non erano riusciti a bloccarli, ma inoltre una parte del regno carolingio viene affidata
a questo gruppo).
Quindi dopo i Carolingi ecco ciò che accade nell’Impero:
- In Francia si rafforza la signoria feudale, non esiste un potere unificante fino a quando, circa un secolo dopo,
non si ricostituisce una nuova dinastia la Capetingia. Ma ancora in questa data (987 circa) Ugo Capeto è
riconosciuto come re ma sotto il suo controllo vi era solo l’Île-de-France (Parigi e dintorni) e in tutto il resto
aveva solo un’autorità nominale. In seguito, tale dinastia riuscirà ad estendere il suo potere in tutta la Francia.
- In Germania, situazione più complessa perché poi si creerà nuovamente la monarchia, ma il territorio non sarà
frazionato in maniera dettagliata come in Francia perché si formeranno i grandi ducati, ducato di Svevia, di
Sassonia, di Baviera e altri, che gestiranno quel territorio. La monarchia ritornerà con la casata di Sassonia con
Enrico l’Uccellatore e poi con Ottone I, II e III. La casata di Sassonia con Ottone sarà in grado di ricostruire
l’Impero.
- In Italia, una situazione ancora più grave in quanto non vi è un personaggio così forte da garantire una certa
autonomia; già nell’951 l’Italia settentrionale sarà considerata parte integrante prima del regno di Germania
e poi a partire dall’incoronazione di Ottone come Imperatore, nel 962, l’Italia farà parte integrante del nuovo
Impero. Si ha il nuovo Sacro Romano Impero di nazionalità tedesca perché non c’è la Francia dove si è costituita
la monarchia capetingia (monarchia nazionale).
(La dinastia capetingia non si sente ad un livello inferiore rispetto all’Impero di nazionalità tedesca)
La chiesa in tutto ciò subisce un momento di grave decadenza: la crisi più profonda. Il papato è del tutto
nelle mani delle famiglie romane (che per esempio indicano il successore alla morte di un Papa) che sono
sempre in lotta tra loro. La chiesa in generale si è profondamente feudalizzata, cioè è rimasta coinvolta
negli ingranaggi del sistema feudale, quindi ha perso valore, prestigio. [quando si parla di chiesa coinvolta
nel sistema feudale significa che anche gli uomini di chiesa sono utilizzati nel sistema feudale per cui il
vescovo diventa anche conte, il piccolo parroco di campagna è nominato direttamente da chi ha
costruito la chiesa, cioè dal signore feudale che non scegli qualcuno dell’ordine ecclesiastico ma mette a
capo della chiesa un uomo di sua fiducia, che nello stesso giorno viene nominato sacerdote. ( questa stessa
operazione si ha nella nomina di un vescovo a capo di una contea. In questo caso è l’Imperatore che lo sceglie,
ma non è un vescovo a diventare conte ma per saltum nello stesso giorno, un uomo viene scelto dall’Imperatore,
viene introdotto nell’ordine ecclesiastico e attraverso i vari gradi arriva fino a quello vescovile. Può anche
accadere che Ottone I scelga dei personaggi già noti come vescovi, arcivescovi, ecc. poi però il sistema decade
sempre di più per cui accede che diventare vescovo significa anche ottenere una contea, o diventare abate
significa anche ottenere un monastero, e così via con l’arricchimento che ne deriva. Quindi erano i laici che
avevano interesse a raggiungere quelle posizioni e per raggiungerle erano anche pronti a pagare, qui, così, si
definisce uno dei mali della chiesa del tempo che la sconvolse: la simonia → vendita o acquisto delle cariche
ecclesiastiche)].
La rinascita si può collocare soltanto alla fine del X secolo e fino alla metà del secolo successivo, fu un
po’ complicata. Tale rinascita si deve al fatto che vengono riorganizzate le biblioteche, in particolare per
es. quella di Bobbio, e grazie all’osmosi con altre culture, cioè i rapporti con la Spagna araba ( che fu
fondamentale perché grazie agli studi di arabo si poté attingere a tutte le opere che gli arabi avevano tradotto
dal greco, e quindi la cultura occidentale poté riscoprire le opere per es. di Aristotele) o con l’Oriente bizantino
(nel sud Italia vi è un momento di rinascita culturale quando Ottone II sposa la principessa greca Teofane, che
aveva una sua buona preparazione e diffonde la cultura bizantina in quelle regioni ). Quindi ci sono dei luoghi,
ancora ben circoscritti, come il sud della Francia o il sud dell’Italia che sono luoghi privilegiati dove gli
studi vanno avanti grazie alla cultura bizantina e alla cultura araba.
La terza rinascita carolingia coincide con la dinastia sassone soprattutto con i tre Ottone I, II e III in un
nuovo Impero. Ciò significa che si è disgregato l’Impero carolingio, ne è venuta fuori una situazione
abbastanza complicata, che però poi alla fine si è cristallizzata nella nascita di un nuovo Impero di
nazionalità tedesca (Germania e Italia), mentre la Francia vive la formazione di una grande monarchia
nazionale. Quindi abbiamo in Francia i capetingi e in Germania e Italia l’Impero Sassone. La crisi coinvolge
in maniera grave e pesante anche la Chiesa, il titolo pontificio va nelle mani delle grandi famiglie nobiliari
che si scontrano a vicenda, la nuova impostazione feudale assorbe in sé anche i rappresentanti della
Chiesa, infatti gli appartenenti all’ordine ecclesiastico vengono utilizzati dall’Impero e dai signori feudali,
e il ritorno economico è tale che anche i laici pagano per ottenere quelle cariche; da qui ne derivano i
due grandi mali della Chiesa: la simonia → (simon mago che, nella tradizione biblica, offrì del denaro per
acquistare i poteri degli apostoli) vendita o acquisto delle cariche ecclesiastiche; e il concubinato → infatti
essendo dei laici prestati al mondo della Chiesa continuavano a comportarsi come tali e, non potendosi
sposare, mantenevano delle concubine.
Quindi, come abbiamo detto, la Chiesa attraversa una grande crisi. I monasteri cadono in rovina,
soprattutto perché i Normanni avevano piena conoscenza del territorio e sapevano che quei monasteri
erano ricchissimi e così li aggredivano, senza naturalmente risparmiare le biblioteche che venivano
saccheggiate e distrutte con una grande danno per il mondo della cultura. Ma è soprattutto importante
da ricordare, che cominciano a rivitalizzare la cultura occidentale i rapporti della cultura araba attraverso
la Spagna musulmana e la cultura bizantina attraverso l’Italia bizantina, che ancora era greca.
I centri di studi sono: di Fleury, Reims, Chartres e in Italia: Parma → in cui vi studia Pier Damiani che è
protagonista della Riforma della Chiesa. Ad un certo punto esplode il problema della validità dei
sacramenti; vi erano vari preti, vescovi che erano concubinari e simoniaci, che vengono individuati e
accusati come tali e vengono anche allontanati dalle loro sedi, e così ci si chiede se tutto ciò che avevano
amministrato doveva essere considerato valido o meno. Es. un prete di campagna che aveva battezzato
o celebrato dei matrimoni avevano ancora valore? Così, nella Chiesa, si crearono due scuole di pensiero:
i rigoristi, guidati da un cardinale rigoroso e pessimo diplomatico, Umberto di Silva Candita e i moderati,
guidati da Pier Damiani, del quale prevalse la teoria che ancora oggi vale nella Chiesa, vale a dire che
l’efficacia della validità dei sacramenti vale in sé e non dipende dalla qualità morale di chi li ha
amministrati. Non valgono a seconda di chi li ha amministrati ma hanno valore in sé. Se fosse stata scelta
la soluzione dei rigoristi la Chiesa ne sarebbe stata dilaniata, distrutta.
Altre città in Italia: Pavia → con Lanfranco che divenne arcivescovo di Canterbury; Salerno → comincia a
crescere e ad aumentare la sua notorietà la scuola medica di Salerno; Montecassino → un monastero
continuò la sua missione, e per esempio in questo periodo furono utilizzati nuovi testi da proporre per
l’apprendimento.
Riguardo le scuole vi sono sempre degli scontri tra studenti e maestri, con quest’ultimi che vengono
accusati di essere troppo rigidi e che accusano agli studenti di essere poco attenti, di assentarsi
facilmente, ecc.
2 protagonisti importanti: Abbone di Flery e Gerberto d’Aurillac
Abbone di Flery → il suo biografo ci ricorda la sua formazione e le materie che erano oggetto del suo
insegnamento:
Egli aveva prima insegnato lettura e
canto, poi però egli stesso aveva
affinato le sue competenze, spinto
appunto da questa grande curiosità
intellettuale, per poi accostarsi anche
alla filosofia e alla astronomia, ma
quest’ultima gli risultò molto
complessa.
Quindi egli dominava 5 discipline delle arti liberali: grammatica, aritmetica, dialettica, retorica e musica.
Gerberto d’Aurillac → è considerato sicuramente l’uomo più colto del suo tempo e per alcuni di tutto il
Medioevo. Sono 5 i momenti importanti della sua vita: è monaco ad Aurillac, fin da piccolo fu affidato ai
monaci di Aurillac, visse sempre in monastero e lì fu preparato, infatti si può dire che la sua preparazione
di base la si deve a quei monaci; andò in Catalogna, vi arrivò per un colpo di fortuna perché fu scelto da
un grande feudatario ispanico, un conte catalano, come giovane di grande preparazione che egli volle al
suo seguito nella Marca di Spagna (La Marca è un’unità amministrativa più importante della contea; e quella
di Spagna faceva parte integrante dell’Impero carolingio fino a quando alla fine dell’Impero il conte di Barcellona
non riconobbe l’autorità regia di Ugo Capeto e non gli giurò fedeltà. La Marca di Spagna da quel momento vantò
la sua indipedenza). Il fatto che il nobile lo condusse in Catalogna fu fondamentale in quanto lì gli studi
erano vivacissimi, grazie alla traduzione dal greco di grandi classici. Studiò la matematica, la filosofia, si
accostò all’opera di Boezio, studiò la musica e i grandi classici; sempre al fianco di questo feudatario
giunse a Roma dove fu notato dall’Imperatore Ottone I, che per un piccolo periodo di tempo lo propose
come precettore del figlio Ottone II; poi rientra in Francia, e a Reims viene nominato maestro della scuola
cattedrale; Successivamente va in Italia dove viene nominato abate a Bobbio, dove accade una cosa
particolare tanto che i monaci si ribellano alla sua autorità ed egli è costretto ad abbandonarlo; rientra
in Gallia e diventa arcivescovo di Reims; ritorna a Roma dove viene nominato precettore di Ottone III,
ancora minorenne sotto la reggenza della madre Teofane e della nonna Adelaide. Ottone III si rende
conto della sua grande cultura e lo vuole come nuovo Papa. Gerberto lo diventa con il nome di Silvestro
II e muore da Papa.
Dalla Historia di Richero sappiamo quali erano i punti fondamentali e qualificanti del suo programma
d’insegnamento. Sono molto importanti perché attestano ciò che già sappiamo, cioè i contatti con la
cultura araba, che in Catalogna ebbe modo di approcciarsi con le opere di Aristotele, ecc.
Qui di seguito il percorso intrapreso da Gerberto per avvicinare all’arte della retorica e poi della dialettica
i suoi allievi
Prima di questa fonte non abbiamo mai sentito parlare di sillogismi, perché a teorizzare i sillogismi fu
Aristotele che ancora non era conosciuto in Occidente, ma Gerberto ebbe modo di accostarvisi. Così li
introduce nel suo programma di insegnamento: sillogismi categorici ed ipotetici.
Sillogismo → è un ragionamento concatenato; ci vogliono le due premesse che concatenate arrivano alla terza
parte: PREMESSA MAGGIORE + PREMESSA MINORE = CONCLUSIONE es. A = B A = C quindi C = B (ragionamento
matematico, logico); sillogismo ipotetico: comincia con il “se” e poi arriva alla stessa conclusione.
Qui avviene una vera rivoluzione che la conoscenza di Aristotele consente alla cultura occidentale, ed è
Gerberto per primo a coglierla e addirittura ad utilizzare il pensiero di Aristotele nei suoi insegnamenti.
Oltre all’Insegnamento dei sillogismi passa a quello della matematica e alla retorica. Ma capisce che
passare dai sillogismi direttamente alla retorica non è utile, si potrebbero sforzare i tempi e non offrire
agli allievi tutti gli elementi necessari per apprendere al meglio l’arte del discorso. Temeva che “fosse
per gli studenti impossibile progredire nell’arte oratoria, senza la conoscenza dell’eloquenza che solo la
lettura dei poeti può insegnare”. Cioè ci vogliono altri strumenti per affinare il discorso come, ad
esempio, conoscenze nel settore poetico, per cui propone ai suoi allievi le opere di Virgilio, Stazio… (leggi
sopra)
Inoltre, riguardo la frase finale: egli che padroneggiava tutti questi strumenti e che aveva una cultura
eccezionale, sapeva bene che l’arte perfetta è quella che non deve apparire come un’arte, ma puntare
sulla semplicità del discorso che poggia però su uno sviluppo totalmente logico attraverso parole
semplici. Infatti, l’oratore che usa parole difficili sta cercando di confondere l’uditorio. Per Gerberto era
questa la suprema perfezione, il suo allievo che fosse stato in grado di percorrere tutti gli studi fino a
questo momento finale, doveva avere queste caratteristiche, padroneggiare i classici, i contenuti
dell’arte retorica ed esprimersi in maniera quanto più possibile semplice.
Sempre dalla cronaca di Richero di Reims e attraverso il suo ricchissimo epistolario, sappiamo che
Gerberto era un esperto dell’uso dell’abaco, l’antico pallottoliere, che in quel momento in mancanza di
altri strumenti più sofisticati era quello che veniva utilizzato per l’insegnamento dell’aritmetica, della
matematica, ecc. inoltre egli sapeva costruire alla perfezione le famose sfere armillari (modelli della sfera
celeste). Sappiamo bene che un altro insegnamento delle arti liberali era la musica ed egli costruì uno
strumento semplicissimo per far distinguere ai suoi allievi il suono di una nota e soprattutto il tempo,
prende il nome di monocordo: semplice scatoletta rettangolare con un buco al centro nella parte superiore in
cui è tesa una cordicella che punta alle due estremità della facciata superiore, su questa cordicella scorre un
pezzetto di legno, un cursore. Tale monocordo rappresenta una cassa di risonanza e a seconda di come si sposta
il cursore, se si pizzica da una parte o dall’altra il suono cambia. Gerberto era esperto anche in questo.
Vi è un altro elemento importante, anche se non si hanno certezze assolute, riguardo una possibile introduzione
da parte sua dei numeri arabi. Sappiamo che Fulberto di Chartres utilizzava l’abaco di Gerberto e che si serviva
della numerazione araba e questo elemento ha fatto attribuire ciò a Gerberto. Quello che sappiamo con certezza
è che i numeri arabi in Italia furono introdotti nel XIII sec. da Leonardo Fibonacci.
CAPITOLO 5 – LA CRISI DELLE SCUOLE (XI sec.)
In realtà non comprende tutto l’XI sec. ma ne caratterizza soltanto una parte. Dato importante: l’XI sec.
è un momento di grande rinascita, perché inizia con il famoso anno mille, in cui vi era la credenza che il
mondo sarebbe finito proprio nell’anno mille, naturalmente non si sapeva l’attimo preciso, ma fu
evidente, anche alle menti più colte del tempo, che questa fine in realtà non si stava verificando, quindi
gli uomini del tempo si risero conto che il mondo continuava ad esistere. Così, in tutti, nasce un nuovo
entusiasmo in vari ambiti, per esempio nella coltivazione dei campi con un aumento nella produzione
agricola con conseguente aumento della curva demografica. In questo modo si innesca un circolo
virtuoso: più braccia, più produzione agricola, più possibilità di cibo, numero in aumento della
popolazione. Poi la presenza, anche, di più scambi commerciali, della rinascita delle città, in quanto
luoghi di scambio in cui arrivano le merci che non vengono solo messe sul mercato, ma vengono anche
trasformate, quindi rinascita anche degli artigiani. In questo modo le città si dotano di nuove istituzioni
(quindi i comuni con nuove disposizioni, per esempio all’interno non vi è la schiavitù, quindi nelle famiglie
poteva esserci il servo ma non lo schiavo, a questo proposito vi è una frase: “l’aria delle città rende liberi”
e quindi chi vive in città non può essere schiavo).
L’XI sec. è un secolo punteggiato da momenti fondamentali, ad esempio è il secolo della riforma della
Chiesa, si è detto che la chiesa fu invischiata nel sistema feudale e decadde, anche con i mali della chiesa.
Ma a partire da questo secolo la Chiesa comincia a scuotersi. Prima cominciano i fedeli, poi l’ambiente
monastico e poi i Papi che si incaricano di riformarla convocando una serie di concili fino ad arrivare a
Gregorio VII, all’affermazione della Libertas Ecclesiae. Ciò significa che la Chiesa ha avuto la forza di
riposizionarsi nei confronti dell’autorità imperiale (si è detto che, con Lotario, l’impero cerca di superare
per importanza e autorevolezza l’altro potere universale, la Chiesa). Quindi anche prima di Gregorio VII
si ribalta la situazione con le nuove modalità delle elezioni che furono imposte nel Concilio Lateranense
del 1059, dove il Papa era Niccolò II. in quell’anno furono dettate le nuove disposizioni che dovevano dal
momento in poi essere utilizzate per eleggere il nuovo Pontefice, che non doveva essere eletto più dal
clero e dal popolo romano bensì dal collegio cardinalizio, i Cardinali si riunivano ed eleggevano il nuovo
Papa (praticamente il sistema odierno).
Poi sempre in questo secolo il mondo Occidentale si riscuote e cerca di contrapporsi con forza
all’espansionismo arabo, ma soprattutto cerca di recuperare i luoghi della santità e da qui la prima
crociata (1095) (una crociata deve essere finanziata, la cristianità occidentale fino a 500 anni prima non avrebbe
avuto per niente la forza. Mentre adesso si, anche per altri motivi e ha le capacità militari, politiche e finanziarie
per partire per la crociata). Con l’XI sec, secolo della rinascita, la Chiesa si pone al centro di tutti; Gregorio
VII è il primo dei tre grandi Papi teocratici del Medioevo (Teocrazia: governo di Dio). Il Papa dice che è
lui l’unico rappresentante di Dio in terra e l’imperatore è una sua creatura (lo dice nel documento
“Dictatus Papae”). Nel periodo medievale, spesso e volentieri, i principi vengono enunciati con dei simboli,
infatti il simbolismo è imperante nel medioevo. Con Gregorio VII vi è il simbolo delle due spade: quella del potere
temporale e quella del potere spirituale che servono per reggere il mondo, e Gregorio VII afferma che entrambe
sono di sua competenza, tuttavia, visto che i compiti sarebbero gravosi, egli gestisce la spada del potere spirituale
e lascia gestire quella del potere temporale all’Imperatore che è una sua creature, se dovesse commettere degli
errori il Papa è obbligato a riprenderlo ed eventualmente a deporlo (tutto ciò avviene durante la lotta per le
investiture). Un altro Papa teocratico Innocenzo III utilizza un’altra immagine ancora più efficace: il Sole e la Luna.
Egli dice che c’è un unico astro che brilla di luce propria, il Sole, che è il Papa, poi l’altro astro non brilla di luce
propria ma di luce riflessa del Sole. La Luna è l’imperatore che brilla solo quando il Sole vuole.
Ritornando alla rinascita: nel settore delle istituzioni educative si riscontra un nuovo periodo di crisi, la
scuola attraversa una crisi profonda. Cosa sta succedendo? C’è da dire che ormai la spinta della rinascita
carolingia si è esaurita.
Vi è una fonte in cui un maestro analizza la situazione e lamenta il declino del presente, accusa
l’onnipotenza del denaro: “ribelli al grave insegnamento della morale, si lasciano portare come paglia
leggera dal vento di ogni dottrina alla moda” i giovani non hanno ben chiaro di come devono affrontare
la realtà, di che tipo di preparazione vogliono raggiungere. “Si fanno schiavi delle vane e perniciose novità
di linguaggio e di pensiero. Frequentano scuole pretenziose, raccolgono a caso qualche briciola di un
sapere infimo e sbruffone, vagano qua e là senza mai trovare un punto fisso”. Quindi attacca i giovani,
ma anche gli insegnanti: “Eccoli, i nuovi falsi maestri che insegnano dottrine da loro stessi inventate,
vagabondando qua e là per le campagne. I villaggi, le città. Inventano nuove interpretazioni dei Salmi,
delle lettere di San Paolo, dell’Apocalisse. Trascinando sul sentiero scivoloso dei piaceri una gioventù
avida di novità, folle di leggerezza, incapace della severa disciplina dello studio”. Accusa l’incompetenza
dei maestri.
Si è creata una diminuzione dell’attenzione, sia da parte dei giovani che da parte degli insegnanti, che
non svolgono appieno i loro compiti. I maestri vengono definiti ciarlatani, non hanno un’adeguata
preparazione e si inventano le materie.
Le cause della crisi
Sembra quasi come se l’ambiente fosse colmo di paura. Innanzitutto, si tratta di una reazione allo studio
degli autori pagani e di un tentativo di tornare alla sola meditazione del testo biblico. Bisogna capire qual
è il pensiero dei contemporanei, che cosa avvertono, cosa denunciano?
Primo autore a cui facciamo riferimento è Rodolfo il Glabro (colui che esaltava l’Europa che si riempiva
di bianche cattedrali). Con lui si incomincia ad avere chiaro che qualcosa è cambiato, e racconta di un
grammatico di Ravenna che avendo troppo frequentato i classici vede materializzarsi davanti i suoi occhi
un demone le cui fattezze ricordano quelle di Virgilio, Orazio, Giovenale. Il tutto è molto simile al sogno
di Girolamo, egli sognava infatti spesso di trovarsi davanti al tribunale divino e di essere accusato di
essere ciceronianus e non un cristianus, in quanto aveva studiato sui classici e anche se in quel momento
era quella la sua unica preparazione egli ci vedeva qualcosa di sbagliato.
Poi vi è Otlone di Sant’Emmerano, quest’altro autore, per esempio, ricorda che si leggono i proverbi
attributi a Seneca che vengono poi proposti ai giovani per commentarli ma soprattutto per insegnare
loro la lettura. Ma lui afferma che tali proverbi sono pericolosi e bisogna sostituirli con altri testi presi
dalla Sacra Scrittura. Egli individuava in quegli scritti dei punti delicati che potevano far deviare dalla
giusta via; non li condanna infatti dice che dopo essere stati istruiti nel modo adeguato, poi più in là
potranno apprendere in tutta sicurezza le lettere profane e l’arte grammaticale.
Pier Damiani: nasce a Ravenna, studia le arti liberali a Parma, torna a Ravenna dove studia diritto e
diventa avvocato, da tutto ciò si può comprendere che la sua preparazione è classica. Poi decide
completamente di cambiare la sua vita, smette di fare l’avvocato e si ritira in un monastero. Egli denuncia
nei suoi scritti i pericoli dello studio della dialettica. In primo luogo, afferma che l’allievo affidato al
grammatico perde il suo tempo e la sua anima nel tentativo di spiegare gli autori pagani. Pier Damiani
riprende tutti i luoghi comuni della tradizione sulle presunte menzogne di Virgilio e le fantasiose
invenzioni dei poeti in genere. In secondo luogo, la scuola di retorica, afferma, troppo spesso si riduce a
un teatro e gli eccessi di questa disciplina riducono i suoi cultori a semplici buffoni, inclini a servirsi di
una vuota eloquenza ed artificiosi sillogismi con cui dimostrare senza remore il vero tanto quanto il falso.
In una lettera indirizzata a un monaco egli scrive:
Conosceva benissimo Platone, sapeva quali erano i
contenuti delle sue opere, ma a lui non interessava.
Attribuisce a ciascun grande dell’antichità tutto
quello che gli si piò attribuire ma ai cristiani tutto ciò
non interessa. Per lui la salvezza non poteva
raggiungersi con lo studio dei classici
Se la filosofia fosse stata necessaria alla salvezza degli uomini, questa è la sua convinzione, Dio avrebbe
inviato filosofi a convertirli, non uomini qualunque, non pescatori: per raggiungere la salvezza basta un
uomo umile, pio, un semplice pescatore, Pietro.
Quindi vi è nuovamente un contrasto tra la classicità e la Chiesa, che impone come unica scuola quella
di Cristo per raggiungere l’obiettivo della salvezza. Tutto questo deriva anche dal fatto che si era creata
una vivacità culturale nelle città (la città rende liberi, non solo per quanto riguarda gli schiavi ma anche una
libertà di pensiero), vi era anche il rischio che si esercitasse in maniera pericolosa la libertà che dà la
cultura.
La Chiesa si chiude ancora di più perché si erano incominciate a delineare nel pensiero di uomini della
chiesa, che si erano anche avvicinati alla cultura classica, delle strane interpretazioni e così nascono delle
nuove eresie del secolo XI (eresia: l’ortodossia, cioè la via giusta da prendere, mentre quando si devia
prendendo altre strade ecco l’eresia). Tali eresie sono il risultato di un avanzamento del pensiero ma che la
Chiesa temeva fortemente, in quanto si trattava di andare ad intaccare alcuni principi della Chiesa stessa.
Si parla di una verità dogmatica che fu messa in dubbio da Berengario di Tours, non a caso allievo di
Fulberto di Chartres. Berengario sosteneva che bisognava utilizzare la ragione come una guida quando
si cerca la verità e si riflette su alcuni dati della Chiesa.
La dottrina di Berengario che fu condannata: egli cominciò le sue riflessioni sull’Eucarestia e affrontò
l’argomento con gli strumenti razionali. Si sa che l’Eucarestia è considerato un mistero della chiesa.
Berengario diceva che non era vero che l’ostia e il vino diventano corpo e sangue di Cristo, ma in realtà
secondo lui diventano simboli del sangue e del corpo, quindi negava la transustanziazione eucaristica.
Naturalmente tutto questo fece scalpore, questa dottrina andava completamente contro quelli che
ormai erano diventati dei dogmi, dopo vari dibattiti egli dovrà fare un passo indietro e rinunciare alla sua
posizione e nel 1059 fu costretto ad abiurare.
Quindi le preoccupazioni sono:
1 le eresie
2 il laicismo: cioè i chierici, gli uomini di chiesa istruiti, che avevano coltivato le arti liberali, che si erano
perfezionati, che, come Pier Damiani erano in grado di esercitare delle professioni importanti,
cominciano a sostituirsi ai laici.
Ecco che la Chiesa reagisce, riprende il controllo delle scuole, e il Papa Leone IX († 1053) nel concilio
romano del 1079 fa emanare un principio in virtù del quale tutti i vescovi devono gestire gli studi dei
futuri chierici, e questo programma di studi deve essere improntato solo e soltanto all’approfondimento
della conoscenza della Sacra Scrittura. Quindi la Chiesa ha il monopolio dell’insegnamento senza
aperture agli interessi dello Stato. Alla chiesa non interessa più preparare anche i laici. Si distanzia perché
è preoccupata, teme i due fenomeni eresia e laicismo. Inoltre, a tutto questo si accompagna un altro
fenomeno, viene del tutto dimenticata l’oblazione, i monasteri non possono più accettare bambini
piccoli e soprattutto non possono accettare dei laici. La preghiera prevale su tutti gli impegni del monaco.
[quando la Chiesa si riforma lo deve fare per forza perché è il centro della vita del tempo. Nell’immagine tripartita
di tutta la cristianità i monaci e i chierici hanno il primo posto, la società è suddivisa in: oratores (coloro che
pregano), guerrieri e laboratores. Tutte e tre hanno ruoli fondamentali ma essendo la Chiesa al primo posto ha
una responsabilità in più.
CAPITOLO 6 – LA RINASCITA DEL XII SECOLO
Nel XII secolo si riscontra da una parte il rinnovamento che accompagnava la crisi dei poteri universali e
dall’altra la rinascita culturale. Quindi troviamo dei forti ridimensionamenti dei poteri universali (potere
temporale e spirituale) e riferendoci alla situazione con Gregorio VII e la lotta per le Investiture il tutto si
concluderà con il Concordato di Worms, nel 1122. Quindi questa lotta va oltre i due grandi protagonisti,
Gregorio VII ed Enrico IV. Il Concordato risolve il problema e i due poteri si riappacificano ma ciascuno
ha dovuto cedere qualcosa perdendo parte della loro autorevolezza. Tale prevedeva che ognuno dei 2
grandi poteri dovevano intervenire nel loro preciso ambito: tutto quello che era della Chiesa era di
competenza del potere spirituale e tutto quello che era dell’Impero era solo competenza del potere
temporale. Quindi con il Concordato di Worms si mise fine al fatto che l’Imperatore poteva nominare
anche i vescovi e così il potere vescovile passava completamente alla Chiesa e solamente il Papa poteva
nominare i vescovi, e i conti dovevano essere nominati solo dall’Impero.
Inoltre, riguardo l’Impero, che dopo lo scontro con la Chiesa ne esce un po' abbattuto, nel frattempo si
erano definiti a partire dalla Francia delle novità importanti, si stavano imponendo le nuove monarchie
nazionali, come i Capetingi in Francia, i Plantageneti in Inghilterra, gli Aragonesi in Spagna, cioè grandi
monarchie che non si sentono sottomesse rispetto all’autorità dell’Imperatore. In questo modo l’autorità
imperiale è doppiamente ridimensionata.
Le città volevano ottenere l’autonomia gestionale, infatti i comuni restano sotto il potere imperiale,
artigiani e mercanti vi lavorano attivamente, gli Stati affermano per la prima volta la loro potenza.
Insieme alle città e quindi al commercio, si risveglia anche il mondo della cultura. Inoltre, in questo secolo
i poteri forti, in questo caso quello imperiale, cominciano ad emanare dei provvedimenti a sostegno delle
scuole importanti, e sono dei documenti che in realtà annunciano la nascita delle università, ma ancora
non vengono istituite, le università sono infatti da posizionare nel XIII secolo, mentre l’Authentica Habita
di Federico I è del 1159 (metà XII secolo), che NON È RIVOLTA AL FENOMENO UNIVERSITARIO, ancora
non esistono.
Ambito culturale, istituzioni: Emerge uno scontro tra chiostro (scuola monastica) e scuola. Quindi anche
se il problema risultava risolto, in realtà non era così. Per i personaggi più importanti del tempo la vera
scuola è quella del chiostro, dai testi però emergono varie preoccupazioni: il monaco non è fatto per
insegnare ma per pregare, questo però non deve essere visto come un’esclusione totale. Spiega molto
bene il pensiero contrapposto tra gli uomini che continuavano a insegnare nelle scuole pubbliche e gli
altri che erano schierati con la chiesa, una lettera di Filippo di Harvengt che esalta l’istruzione nel chiostro
e critica tutto quello che accadeva nelle scuole pubbliche, definendolo vero caos.
A testimoniare la voce che prevaleva in quel periodo è il rappresentante più importante di quegli anni:
Bernardo di Chiaravalle → vive a cavallo tra XI e XII secolo, fondatore dell’ordine cistercense, egli stesso
aveva fondato Chiaravalle e ne fu l’abate. (Il monastero di Chiaravalle pare che a metà del 1100 contasse circa
700 monaci e che si fossero affiliati a Chiaravalle 150 monasteri, in quanto la voce di San Bernardo era stata la
più autorevole). In particolare, è importante un sermone che egli pronunciò a Parigi intorno al 1140, qui
esalta la scuola del chiostro e prende occasione per condannare le idee di Abelardo, Bernardo fu il
nemico più autorevole di Abelardo. Nel sermone invita tutti, i giovani in particolare, ad abbandonare
Babilonia (Parigi e le sue scuole che rappresentavano nel suo pensiero il caos. Quindi chiede loro di
abbandonare tutto quello che offre una città, anche se molto importante, perché certamente
rappresentano il caos, e non offrono quell’unico percorso che serve veramente) per Gerusalemme
(considerata la città santa, rappresentava il monastero di Chiaravalle che in quel momento egli voleva
proporre come la scuola per eccellenza).
Approfitta di questo momento per accusare Abelardo di aver osato “entrare nella stanza del re”. Per
capire quest’espressione ci può essere utile il brano preso dal sermone di Bernardo:
Studiare soltanto per apprendere la scienza
era qualcosa che lui condannava.
Studiare solo per utilizzare le loro
conoscenze per mostrare la loro
superiorità era una vanità che condannava.
La scienza è un dono di Dio e non si può
Nelle ultime due frasi invece elenca ciò che è positivo.
guadagnare.
Quindi si può riscontrare nello studio tutto quello che di positivo può dare.
E appunto in questo contesto egli accusa Abelardo di avere, con i suoi trattati, osato commentare in modo
nuovo le Scritture. Per Bernardo nessun doveva correre il pericolo di tentare di andare sempre più in fondo fino
ad interpretare verità che non potevano essere interpretate. Ad esempio, Abelardo ad un certo punto comincia
a studiare le Trinità, che è un dogma, e per Bernardo questo è un peccato enorme → l’uomo che attraverso i
suoi studi pensa di aver affinato tanto i suoi strumenti per andare ad indagare le verità di fede.
Azione educativa di due personaggi: Anselmo d’Aosta o di Le Bec e Anselmo di Laon. Sono i maestri più
famosi del tempo, e spesso e volentieri i maestri di Abelardo si erano formati alla scuola di Laon o di Le
Bec. Sono i protagonisti della cultura del XII secolo.
Anselmo d’Aosta → il pensiero pedagogico: è importante, infatti una sua lettera fu considerata come
uno speculum del novizio, quindi un testo che doveva rappresentare uno specchio nel quale, in questo
caso il novizio, si doveva poter rispecchiare per trovarvi tutte le indicazioni necessarie per affrontare la
sua vita per aspirare alla salvezza eterna.
Egli dice che l’educatore, il maestro, in realtà, ha davanti una materia prima formidabile, cioè la mente
dei giovani, che però è, si nobile, ma molto delicata, perché egli la paragona all’oro, un materiale molto
prezioso, nobile e malleabile. L’orafo sa bene come lo deve lavorare. Nel pensiero pedagogico Anselmo
si avvicina molto alle linee educative che sono state attribuite alla Regola benedettina, improntata
all’estrema moderazione; l’educatore deve avere lo stesso atteggiamento paterno che aveva l’abate, i
giovani devono essere seguiti con attenzione, senza utilizzare la violenza, per evitare di rovinare la
materia prima, il giovane che corrisponde all’oro, che deve essere plasmato con attenzione; quindi
l’educatore procede con attenzione per avere un risultato finale splendido.
Il pensiero teologico: cioè il pensiero filosofico di Anselmo, egli si impegna nel tentativo di dimostrare
l’esistenza di Dio, “secondo l’evidenza del vero e la necessità della ragione, senza alcun ricorso all’autorità
Delle Sacre Scritture”, quindi l’esistenza di Dio si può dimostrare utilizzando bene la ragione. La sua opera
più importante il Monologion è considerato un esempio di meditazione sulla razionalità della fede,
quindi per approfondire la scienza di Dio non basta soltanto la fede, si utilizza anche l’elemento della
ragione.
Rapporto tra fede e ragione → credo ut intelligam (credo per capire)
Si può quindi fare un accostamento tra Anselmo e Agostino, perché anche per quest’ultimo la ragione
era un dono di Dio e l’uomo poteva servirsene. Ma per Anselmo prima viene la fede, mentre per Agostino
bisogna capovolgere la frase di sopra: intelligo ut credam.
Con Anselmo nasce la scienza sacra, cioè si definisce l’atteggiamento giusto per affrontare con gli
strumenti della razionalità la conoscenza dei testi sacri. Abelardo successivamente svilupperà ancora di
più questo principio.
Anselmo di Laon → fonda una delle scuole più famose del tempo insieme al fratello Rodolfo nel 1055.
Tra le sue opere più importanti eccellono i suoi commenti dei Salmi, delle Lettere di San Paolo e del
Cantico dei Cantici. Fu un grande maestro e Abelardo fu un suo allievo.
Importante giudizio sull’azione educativa di Anselmo di Laon di Giovanni di Salisbury:
“i due fratelli furono la luce abbagliate della Gallia e la gloria di Laon: la loro memoria è lieta e benedetta, nessuno
lì poté contestare vittoriosamente e nessuno poté restarne deluso, se non gli eretici e gli adepti del vizio e del
disordine.” Ci provò Abelardo ma fu un errore grave.

Tutta quella fioritura di pensiero fu possibile perché in questo stesso momento vi è un fenomeno da
sottolineare: si intensificarono le opere di traduzione, traduzioni dal greco o dall’arabo, ecc.
Rappresentarono un apporto vitale per gli ambienti culturali dell’Occidente.
Il contesto storico è quello più favorevole perché, ecco cosa accade:
innanzitutto, in Spagna nel 1085 si era dato avvio al tentativo di eliminare la presenza degli arabi, si tratta di un
tentativo di riscossa della cristianità. Quindi nel 1085 la cosiddetta riconquista (si tratta comunque di avvenimenti
che durano decenni e a volte anche secoli, soprattutto come in Spagna dove la situazione si presentò molto
difficile. Infatti, la resistenza della potenza islamica fu talmente forte da consentire la riconquista di quasi tutta la
Spagna, in effetti neanche nel 1212 con la battaglia di Las Navas de Tolosa si riuscì a conquistare tutto il territorio
spagnolo perché ancora restava il regno di Granada in mano araba.
A mano a mano i conquistatori strappano territori ai mori di Spagna e li riconsegnano alla cristianità.
Quindi 1085 → riconquista di Toledo, centro di studio formidabile ed era anche un centro di traduzione, ciò
significa che da questo momento in poi i risultati dell’impegno degli studiosi a Toledo vengono utilizzati dal
mondo culturale in Occidente.
Altra riscossa contro l’Islam è la conquista normanna della Sicilia (1061-1091). Furono i Normanni ad occupare e
ad eliminare la presenza araba dalla Sicilia. Quei Normanni che si erano spostati nell’Italia meridionale, ma
soltanto come piccoli gruppi, infatti non avevano nessuna intenzione di conquistarla, in realtà erano dei pellegrini
che avevano come meta finale del loro viaggio Gerusalemme. Si fermarono in Italia perché erano anche dei
cavalieri molto abili nell’uso delle armi ed essendo che in quel momento vi erano continui scontri, in Italia
meridionale, tra longobardi e bizantini, ne approfittarono per guadagnare qualcosa, ma poi capirono che poteva
esserci la possibilità di effettuare anche delle conquiste personali, come poi avvenne, e da lì quindi le prime
contee normanne, lo scontro con il papato e poi l’espansionismo normanno con i fratelli d’Altavilla.
A tutto questo dobbiamo aggiungere la crisi dei rapporti tra occidente e oriente, che precede per data la
conquista dei normanni. Tale crisi è tra l’Impero bizantino e la chiesa romana che porta allo scisma di Michele
Cerulario (1037), che divide le due cristianità come ancora tutt’oggi esiste: la chiesa ortodossa e la chiesa
cattolica. Si giunge allo scisma perché Roma, cioè il Papa, doveva rafforzare i suoi poteri per porsi con maggiore
autorevolezza nei confronti dei normanni in Italia meridionale e nei confronti dell’Impero. Leone IX, il Papa del
tempo si attribuisce il titolo di Universale perché doveva procedere velocemente nell’azione di riforma della
chiesa. Questa presa di posizione viene considerata un attacco all’autorità del patriarca di Costantinopoli che si
ribella e nasce questo scontro. Leone per cercare di convincere il patriarca Michele che quella era un’azione
necessaria ma che non lo voleva attaccare, manda a Costantinopoli il cardinale Umberto di Silvacandida.
Egli notando che Michele intende resistere, lo scomunica. Quindi si rompono i rapporti. Il fatto è importante in
quanto Roma resta sola e questo favorì l’accordo tra Roma e Roberto il Guiscardo.
In questo quadro: le traduzioni dall’arabo di opere greche che diventano patrimonio della cultura
occidentale. In particolare, Toledo diventa molto famosa, diventa il centro della cultura occidentale per
le varie traduzione che si stanno svolgendo. Tra cui l’intera opera di Aristotele, l’Organon, e di Avicenna,
un persiano filosofo e medico. I centri di traduzione più importanti sono: Toledo, che supera Parigi, e poi
Montpellier e Salerno, le due grandi scuole di medicina del medioevo. Un ruolo importante lo ebbe anche
la scuola palermitana, quindi nella Sicilia normanna si era definito un ambiente estremamente
favorevole presso la corte di Ruggero II, dove si può recuperare la presenza di grandi studiosi, come ad
esempio il grande geografo arabo Al Idrisi che costruì per Ruggero una grande planisfero che è andato
perduto. Quella che non è andata perduta, invece, è l’opera che descrive questi territori, “il libro di
Ruggero”. Mentre presso la corte di Guglielmo I vi è Aristippo che realizza la traduzione dei dialoghi di
Platone e di varie opere scientifiche greche.
CAPITOLO 7 – LA FIORITURA DELLE SCUOLE (XII sec.)
Un periodo in cui si riscontra in tutta Europa lo sviluppo delle grandi scuole cattedrali e a privilegiare è
Parigi, in quanto era diventata un centro politico importante, infatti era capitale dalla fine del 900 del
regno capetingio, si era ingrandita nei villaggi vicini, la presenza anche di nuove chiese, l’Abbazia di
Sainte-Geneviève diventa un luogo di pellegrinaggio, si costruiscono nuovi ponti che per la prima volta
uniscono le due rive e sull’île de la Cité si comincia a costruire la cattedrale di Nôtre-Dame (1163).
Quindi questa città si fa notare per il fervore che caratterizza tutti i comparti e cresce da un punto di
vista economico, politico. Inoltre, Parigi si caratterizza per la presenza di più scuole rinomate e per la
presenza di maestri; il primo maestro famoso fu Guglielmo di Champeaux, allievo di Anselmo di Laon.
Parigi, in quanto capitale del regno, risente positivamente del prestigio sempre in aumento dei sovrani
capetingi.
ABELARDO → Nato nel 1079 nel villaggio di Le Pallet, Pietro Abelardo era primogenito di una famiglia
dell’aristocrazia con un patrimonio familiare al quanto notevole ed era destinato a diventare capo famiglia e
gestire il patrimonio. Ma il padre, che amava le lettere, decide di offrire al figlio una buona preparazione culturale,
e a quel punto Abelardo decide di rinunciare ai suoi diritti di primogenito a favore dei fratelli e di dedicarsi agli
studi. Come racconta nella Storia delle mie disgrazie, decide di “lasciare la corte di Marte (rappresenta le cose
mondane) per nutrirsi al seno di Minerva (la sapienza)”.
Storia delle mie disgrazie è un’autobiografia con un titolo molto esplicito, infatti la sua vita la descrive come piena
di disgrazie, delle quali per la maggior parte è colpevole lui stesso (per caratterizzarlo si può dire che era
certamente un grande letterato ma anche molto presuntuoso e che a volte si spinse un po’ troppo da crearsi
delle forti inimicizie), soprattutto da un certo momento.
Decide, in una prima fase, di dedicarsi alla dialettica. In quel tempo le sedi dove esercitavano il loro magistero
maestri importanti era abbastanza noti, e i giovani cercavano di diventare allievi dei maestri che erano più famosi,
a volte capitava che lasciavano un maestro per un altro. Questo spiega il motivo per cui Abelardo cambia spesso
città, si stabilisce ad Angers, a Loches (qui perché c’è Roscellino, uno dei maestri più rinomati del tempo), a Parigi
(perché c’è Guglielmo di Champeaux). Egli emerge sia per le sue qualità, ma anche come un contestatore e
diventa una presenza scomoda, infatti, per molte volte decide di abbandonare quella scuola. Altri spostamenti
avvengono a Melun e a Corbeil.
Lui andava dove c’erano maestri di fama
europea e si impegnava, però voleva
primeggiare; non aveva nessuna remora nel
contestare, si impegnava in dispute e siccome
era un grande pensatore spesso e volentieri
finiva con il superare il suo maestro. Se ne
risentiva il maestro ma ancora di più gli allievi.
Gli allievi venivano da varie parti e avevano
deciso di andare a studiare con i più
prestigiosi, e la gloria del maestro si
riverberava sull’allievo. Quindi quando egli
controbatteva il maestro e a volte lo metteva
in forte disagio, finiva con lo sminuire
l’importanza del maestro e questo significava
Cominciò a pensare che era bravo, che era in grado di argomentare un danno per gli allievi.
con successo contro i grandi e allora pensò che potesse diventare un maestro.
Inizialmente comincia in una scuola meno famosa, ma poi cerca di diventare maestro a Parigi.

Egli aveva un punto a suo favore, era protetto dal cancelliere Stefano Garlando, che era un funzionario del re.
Questa protezione lo metteva al sicuro, infatti non poteva essere facilmente aggredito perché tutti sapevano
della sua protezione.
Garlando decide di fare ciò anche perché è lui stesso un avversario di Guglielmo di Champeaux.
Poi per motivi di salute, Abelardo ritorna in Bretagna. Quando torna a Parigi, Guglielmo aveva lasciato la città.
Nel 1108 rinuncia all’insegnamento e si ritira con qualche discepolo vicino alla cappella di San Vittore. Diviene
canonico regolare e adotta la regola di Sant’Agostino. I suoi studenti si stupiscono del fatto che questo maestro
tanto celebre e prestigioso abbia abbandonato e attraversano la Senna per andare da lui per esortarlo a tornare,
e tra questi vi è anche Abelardo.
Sempre sostenuto da Garlando, Abelardo chiede di nuovo di diventare maestro alla scuola cattedrale, ma
Guglielmo si oppone. Quest’ultimo poi viene nominato vescovo.
Ancora una volta Abelardo deve tornare in Bretagna per risolvere, stavolta, un problema familiare: i suoi genitori
hanno deciso di prendere i voti ed entrare in convento. Quando lascia la Bretagna va direttamente a Laon dove
c’è Anselmo con un’altra scuola cattedrale di spicco. Ma anche stavolta è deluso ed entra in conflitto con il
maestro. Si offendono soprattutto gli allievi di Anselmo e lo sfidano: gli assegnano un passo di Ezechiele che il
giorno successivo dovrà commentare pubblicamente. Il giorno dopo egli lo commenta stupendo tutti con la sua
dottrina. Ma Anselmo, che prende l’iniziativa, vieta ad Abelardo di andare avanti con i suoi progetti che
puntavano all’insegnamento.
Abelardo fa allora ritorno a Parigi e qui sembra che finalmente, viene premiato, perché diventa maestro all’Ile de
la Cité, siamo nel 1113. I suoi allievi lo acclamano riconoscendogli doti superiori ed egli diventa un maestro
famosissimo, raggiungendo la gloria ma anche una certa agiatezza personale.
Ma entra in scena la figura di Eloisa con la quale egli ha un legame sessuale, e ha inizio la sua fine.
Cosa accade: Abelardo era stato ospitato con enorme piacere dal canonico Fulberto. Rientra nella casa di
Fulberto la nipote Eloisa, giovane ed adolescente, che era stata invitata, per avere la prima preparazione
culturale, in un monastero. Tra i due nasce così una storia, Abelardo è molto più grande di lei, infatti ha circa 40
anni, tuttavia ciò non lo frena. Accade che tutti sapevano ciò che stava accadendo tra i due tranne lo zio Fulberto,
e quando Eloisa aspetta un figlio, Fulberto si sente tradito. Abelardo in un primo momento si dice pronto a
sposare Eloisa, ma vorrebbe che il matrimonio resti segreto a causa della sua grande fama di maestro. Eloisa però
non è d’accordo perché lui aveva una missione, essere un maestro, e di sicuro poi non poteva occuparsi di tutti i
problemi del quotidiano, ma il matrimonio avviene lo stesso e Fulberto, che aveva promesso che avrebbe tenuto
la notizia per sé, la divulga. Abelardo, allora, fa una mossa che infastidisce Fulberto, cioè rinchiude Eloisa, che è
d’accordo, nel monastero di Argenteuil. Fulberto pensa di essere stato preso in giro e che Abelardo ha fatto in
modo di sbarazzarsi di Eloisa e ritenendo ciò un ulteriore offesa si vendica facendo evirare Abelardo.
Tutto questo, tuttavia non chiude la carriera di Abelardo anzi le sue opere più importanti sono state scritte
successivamente.
Allora si allontana da Parigi, si fa monaco e si rinchiude nel monastero di Saint-Denis. Gli allievi di Abelardo erano
pienamente a conoscenza di quello che stava avvenendo a Parigi e non facendosi intimidire cercavano di farlo
tornare a insegnare. Allora Abelardo riceve il permesso di stabilirsi in un priorato (più volte ad Abelardo fu
concesso di non rientrare in monastero e c’è da ricordare che il monachesimo occidentale prevede la stabilitas
loci), procede con l’insegnamento ed è in questo momento che comincia a riflettere sul mistero della Santa Trinità
e incomincia a scrivere un trattato su ciò. Egli continua a volere entrare nei misteri della fede e per questo viene
accusato di eresia. Viene sottoposto ad una verifica durante un sinodo (concilio con pochi vescovi) e viene
obbligato a bruciare il suo libro. Continua con i suoi viaggi, ma essendo un monaco di Saint-Denis deve sempre
avere l’autorizzazione per non rientrare nel monastero, e la ottiene ancora una volta da uno dei più famosi abati,
Sugero, che autorizzandolo a non rientrare lo protegge. Dopo Abelardo fonda un oratorio, un istituto che
successivamente può diventare un monastero, che egli chiama Paracleto (Spirito Santo), in omaggio alla Trinità.
I suoi studenti ancora una volta lo raggiungono, quando lui si sposta in Francia. Ma è ancora troppo importante
per essere trascurato dai suoi nemici; stanco di ciò accetta l’offerta di una comunità monastica di rinchiudervi
per essere protetto per poi scoprire che un gruppo di monaci della comunità avevano tentato di ucciderlo, quindi
una nuova delusione. Ma è proprio qui che lui inizia a scrivere la sua autobiografia.
Accade che Eloisa viene espulsa da Argenteuil, Abelardo interviene e le fa donare il Paracleto e questa volta anche
il Papa Innocenzo II sostiene la donazione. Nonostante tutte le sue disgrazie, fino ad adesso, riesce a mantenere
un ruolo importante e godendo di protezioni. Egli scrive un’opera “Conosci te stesso”: dove dimostra che solo la
cattiva volontà con cui si compie un atto, e non l’atto in sé stesso, costituisce peccato. Nasce quella che è stata
chiamata la “morale dell’intenzione”. L’ignoranza non è peccato. Il peccato è tale quando c’è l’intenzione di
compiere l’atto, non quando il peccato avviene senza l’intenzione. Questo principio nasce con Abelardo e la
Chiesa l’ha mantenuto.
Accade un avvenimento: la famiglia dei Garlando cade in disgrazia ed è evidente che non possono più proteggere
Abelardo. Così si scatena la parte finale dell’attacco dei suoi nemici, in quanto un suo vecchio allievo lo denuncia
perché è convinto dei suoi errori dal suo nuovo maestro Bernardo di Chiaravalle. L’allievo scrive una lista di tredici
errori che trova negli scritti di Abelardo. San Bernardo si fida dell’amico e invia un plico di documenti a Roma.
Scrive anche che Abelardo non si fa scrupolo di entrare nella camera del re. Che è così presuntuoso che è convinto
di sapere tutto, è convinto che non gli sfugga niente, si equipara alla divinità. Per Bernardo i misteri andavano
oltre la ragione umana e quindi non si potevano capire bene nella loro profondità.
Abelardo non teme rivali, non pensa che qualcuno possa tendergli dei tranelli, e chiede di poter difendere
pubblicamente le sue tesi contro gli avversari. Così una domenica fu fissato il dibattito pubblico. Bernardo che,
non avrebbe avuto la meglio, non può tirarsi in dietro e accetta la sfida, ma temendo l’avversario riunisce i vescovi
alla vigilia del concilio e sottopone loro diciannove proposizioni di Abelardo chiedendogli di condannarle.
L’indomani, ormai, la situazione è del tutto diversa, Abelardo si trova a dover rispondere a delle sue idee già
condannate, quindi diventa un accusato e il sinodo si trasforma in un tribunale con un unico imputato: Abelardo.
Viene condannato, ma chiede di essere sentito dal Papa, ma Bernardo lo precede, Abelardo però riceve una
risposta positiva, quindi il Papa è disposto ad ascoltarlo, così si dirige verso Roma. Giunge a Cluny e chiede
ospitalità a Pietro il Venerabile, lì, vicino a Cluny, muore. La presenza di Pietro è documentata, in questi ultimi
momenti di Abelardo, da una bellissima lettera che scrive ad Eloisa informandola della morte del marito. Abelardo
è considerato il primo uomo moderno.
(dall’epistolario tra Eloisa e Abelardo gli studiosi hanno messo in dubbio il fatto che le lettere di Eloisa siano state
scritte da lei, e addirittura da una donna, tuttavia indagini recenti danno ragione ad Eloisa).

LE SCUOLE IN ITALIA
Sia l’Italia del Nord che del Sud ha la sua posizione importante. Nell’Italia del Nord spicca Bologna, perché
si erano mantenuti vivi gli studi di diritto. C’è da capire perché Bologna e non Ravenna. Bologna fino a
quel momento non aveva avuto una visibilità particolare, invece Ravenna era stata il centro e in vari
momenti aveva mantenuto il ruolo di capitale. Ma da un punto di vista culturale viene presa in
considerazione Bologna, forse anche perché piano piano gli studiosi si sono trasferiti. Quello che è certo
è che tra XI e XII sec. emergono degli studiosi di spicco di diritto, tra cui Pepo attivo già alla fine dell’XI
sec. e Irnerio. Sono i due nomi più importanti, sono doctores legum cioè dottori delle leggi, specialisti
nello studio della legislazione. Ci restano le loro glosse soprattutto sul Digesto, una parte del Corpus juris
civilis → il risultato del progetto dell’intero corpo legislativo che fu voluto dall’Imperatore Giustiniano,
grossomodo ci troviamo negli anni ’30 del 500 (VI sec.), e si può dire che deve la sua grande fama proprio
a questa iniziativa. Egli si accorse che bisognava ridare vigore alla raccolta delle leggi, e si trattava di
recuperare tutte le leggi che erano state emanate prima di quella data (in età romana). Affidò tale
compito ad un giurista, Triboniano. Il Corpus è diviso in 4 parti:
1. Le istituzioni → i principi fondativi di uno stato
2. Il digesto → la seconda parte del Corpus juris civilis. Raccoglie la giurisprudenza romana come sentenze, pareri,
ecc.
3. Il codice → tutte le leggi emanate prima di Giustiniano che, secondo i giuristi guidati da Triboniano, aveva
ancora significato, e quindi potevano essere recuperate e inserite nella raccolta
4. Le novelle → tutte le leggi emanate da Giustiniano in poi
Nel frattempo, si deve a Graziano, un cultore del diritto canonico, la compilazione di un’altra raccolta di
leggi ma che riguardavano la Chiesa, il Decretum Gratiani. Quindi una raccolta di diritto canonico ma non
di tutti i canonici conciliari, che riguardano problemi di ordine di fede o teologico, ma solo di quelli che
riguardavano l’amministrazione, il funzionamento, ecc. Fanno parte di questa raccolta anche tutte le
decretali dei Pontefici e alcuni punti fondamentali dei penitenziali (elenco di peccati con le varie modalità
di punizioni). È interessante notare che questo Decreto rimase in vigore fino al 1917.
La scuola di diritto di Bologna è una scuola laica, non cattedrale. Bologna spicca per i suoi studi ma non
è una città imperiale e viene esaltata dall’Authentica Habita di Federico Barbarossa (Federico I).
Contesto → Federico Barbarossa era in Italia durante la sua seconda discesa quando convoca una Dieta,
la seconda Dieta di Roncaglia ed emana due costituzioni: la Costitutio de regalibus (la costituzione sulle
regalie), che fu prodotta dai giuristi di Bologna e la Costitutio de pacis (la costituzione sulla pace),
quest’ultima perché proibiva leghe sui comuni.
Le regalie: da regalis, quindi tutto ciò che è del re. Costituzione…: tutti quelli che sono i diritti del re, e che, come
detto nel documento, potevano essere esercitati soltanto dal sovrano o da qualcun altro se il sovrano gli aveva
concesso di esercitarli.
Quindi le regalie cosa sono? → per es. imporre una nuova tassazione o eliminarla e riscuotere i tributi, ciò è un
diritto dello Stato, del re; controllare tutte le vie di comunicazione, come i fiumi, in quanto avvenivano anche
degli scambi commerciali; la conazione delle monete, che poteva farlo il re; l’arruolamento. Tutte queste sono
regalie.
Quindi in quel momento Federico I gode del sostegno incondizionato dell’ambiente giuridico di Bologna,
perché i giuristi bolognesi avevano in mente uno stato laico, sganciato dalla Chiesa, basato
esclusivamente sul diritto. Quest’idea di Stato corrisponde esattamente con quello che era il progetto
politico di Federico I Barbarossa. L’unione di Federico I e i giuristi di Bologna fu utile per la battaglia di
Federico I contro i comuni.
Federico per riconoscere l’importanza della realtà bolognese emana l’Authentica Habita, che è un
provvedimento che non riguarda soltanto Bologna, in quanto è una Costituzione imperiale inserita nel
Corpus juris civilis, come una legge dell’Impero e quindi riguarda tutte le realtà che sono affini a Bologna.
Non è l’atto di nascita dell’università bolognese. Frova p.29-30.
Riguardo l’Italia del sud, la Sicilia in particolare, sappiamo che Ruggero II mise mano su un’opera
importante, un corpo di leggi chiamate Assisi. Oggi è un’assemblea mentre nel medioevo erano le leggi
a chiamarsi così. Non furono emanate in Sicilia ma nel regnum siciliae, infatti sono le Assisi di Ariano,
una località in provincia di Avellino. Quando furono emanate queste leggi sicuramente furono coinvolti
esperti nel diritto, e dalla Francia all’Inghilterra giunsero studenti e maestri desiderosi di conoscere i
dotti siciliani: è il caso di Gervaso di Tilbury e Pietro di Blois. Quest’ultimo però non arriva in Sicilia per
conoscere i dotti siciliani ma arriva in un momento particolare, perché muore Guglielmo I e la regina di
Navarra è rimasta vedova con un erede al trono, però ancora minorenne, così prima fa riconoscere il
figlio come erede e dopo comunica la morte del re. Nel frattempo, arriva il cugino della regina insieme
ad alcuni dotti, tra cui Pietro di Blois, che non dovevano rimanere in Sicilia, ma fare solo tappa per poi
continuare il viaggio verso Gerusalemme. La regina convince il cugino a rimanerle accanto, perché ha
bisogno di una figura importante per governare. Pietro ebbe un ruolo importante perché fu scelto come
precettore di Guglielmo II, futuro sovrano.
CAPITOLO 8 – METODI E PROGRAMMI DI INSEGNAMENTO (XII sec.)
ENTRIAMO IN UNA SCUOLA → la giornata dello studente era organizzata con una lezione che durava fino
all’ora quarta (alle 10:00), seguiva il pasto e la siesta. Poi il gioco, gli esercizi spirituali (la meditazione) e
infine una seconda lettura che durava fino all’ora di cena.
Ugo di San Vittore racconta la situazione in un’aula:

Questo documento da conto di una


realtà che non avremmo mai
immaginato. Siamo abituati alla
divisione degli studenti per aule, 1
elementare, seconda, ecc. ognuno con
il proprio programma. In quel periodo
non era assolutamente così, e questa
stessa realtà verrà a presentarsi nelle
aule delle scuole comunali. Quindi gli
studenti sono tutti nella stessa aula
sotto la direzione di un maestro.

A Chartres il maestro teneva due lezioni al giorno, e alla fine di queste i giovani svolgevano una sorta di
meditazione.
Gli strumenti di lavoro: le tavolette, oppure all’interno di uno scriptorium monastico, i monaci avevano
il coltello ricurvo in maniera tale che raschiando la pergamena non si rischiassero di tagliarla; vi era la
presenza anche di altri supporti come i fogli di pergamena, mentre il libro era prerogativa solo dei
maestri. Inoltre, veniva richiesto l’esercizio mnemonico, l’apprendimento di tutte le discipline in maniera
mnemonica, ma il tutto era molto difficile, così si fece una doppia operazione: il rimando all’uso dei
compendia: delle sorte di antologie; e tutte le discipline vennero proposte in versi per facilitare la
memorizzazione; non solo per i testi classici, ma anche per quelli di storia, del computo, ecc.
Altra novità importante, strettamente legata al ritorno all’umanesimo, e allo studio dei classici. Quindi
si impone la cultura umanistica e da ciò l’ammirazione per gli Antichi e per l’Antichità, come il Romanzo
di Tebe (1152) o il Romanzo di Troia (1165), quindi si riscoprono i miti dell’antichità e c’è anche un
atteggiamento molto favorevole alla riscoperta di questi antichi miti. Questa ammirazione ha anche una
forte ricaduta negli scavi archeologici che si riprendono per recuperare le reliquie del passato, ed ecco
infatti che vengono effettuate queste ricerche che prima ci si sognava soltanto di farle, ad esempio nei
cimiteri, per offrire nuovi dati alla riflessione degli studiosi. Si incrementano anche i viaggi verso i luoghi
dell’Antichità, e addirittura, si incominciano a scrivere anche delle sorte di guide, per es. le Mirabilia
Urbis Romae, che pare siano state scritte da un canonico dopo aver visitato Roma, furono una guida
perfetta che ebbe un successo enorme.
Tuttavia, vi sono anche dei risvolti negativi, infatti quest’ammirazione dei vari monumenti, portò anche
al saccheggio, e si faceva a gara per chi doveva portare le reliquie, anche importanti, in patria.
Altra manifestazione dell’umanismo del XII sec. è l’elogio della natura e dell’amore, nei testi di elogio
alla natura non si parla più di una descrizione ideale ma di una descrizione quanto più possibile vicina
alla realtà, quindi si incomincia a dare molta importanza all’osservazione dei fenomeni. Allo stesso modo
vi è la presenza anche di nuove creazioni che esaltano l’amore, anche in questo caso, non più quello
ideale ma fisico, per esempio le liriche amorose che i discepoli di Abelardo scrissero per esaltare il
rapporto tra Abelardo ed Eloisa.
Un dato ancora più importante è l’insegnamento della retorica. È una novità, una nuova versione degli
studi di retorica con nuove produzioni e che poi si mantengono nel tempo.
Si chiama Ars Dictaminis → un esercizio retorico svolto sotto la guida del maestro (dictaminis deriva da
dictamen: dettato). Quindi tutto parte da un’esercitazione continua e costante che veniva proposta agli
allievi guidati dal maestro. Tale esercizio viene impostato secondo precise regole e piano piano si
trasforma in uno schema ben preciso che viene utilizzato in tutti i documenti pubblici e privati, quindi
sono dei modelli su cui si impostano tutti i documenti pubblici.
Quindi è un’arte che insegna a scrivere e che offre dei modelli da seguire obbligatoriamente. Tutto
questo perché siamo in un periodo in cui si impongono nuovi ordinamenti istituzionali e tali documenti
che avevano una valenza pubblica dovevano essere redatti da persone esperte, con una buona
preparazione.
L’impostazione era già stata offerta da Alberico di Montecassino in un trattato l’Ars dictandi, e già in
Italia questo sistema aveva avuto un successo enorme perché lo aveva adottato la Chiesa, ci troviamo
nel bel mezzo della lotta per le investiture (grave e pesante lotta tra i due poteri universali) e la Chiesa
vi sarà impegnata
fino al 1122. Ed era importante avere da parte della Chiesa dei chierici che sapessero ben impostare un
discorso, che sapessero essere convincenti, che sapessero affrontare un dibattito pubblico o pronunciare
in maniera convincente un’omelia, ecc. così questi personaggi si fornirono di uno strumento che
facilitava il loro compito: il modello che veniva dall’impostazione messa a punto da Alberico di
Montecassino. I centri in cui si cominciò a coltivare questa nuova forma di retorica furono Bologna e
Orléans.
Si giunse ad una struttura ben precisa, che però fu messa a punto piano piano. In un documento che
fosse stato redatto in maniera perfetta ci dovevano essere queste 5 parti:
1. saluto: lo scrivente aggiunge i dati, qualcosa sulla salute per esempio, o il grado di parentela o meno che aveva
con l’interlocutore, il destinatario
2. exordium: una sorta di captatio benevolentia, cioè una citazione anche di sfondo morale che aveva una precisa
finalità, doveva predisporre l’animo del destinatario
3. esposizione: la parte più importante. Si presenta il caso con un’esposizione attenta in maniera tale da attirare
l’attenzione
4. richiesta: lo scrivente in base a quello che ha esposto chiede qualcosa di preciso
5. chiusura: il saluto, ringraziamenti anticipati, invocazione della protezione divina sull’interlocutore ecc.
Questa è la struttura che venne mantenuta per tutto il medioevo sia per le lettere, che per gli atti notarili,
i documenti, ecc.

LE DIVERSE SCIENZE
Aritmetica → nel XIII sec. furono introdotti i numeri arabi da Leonardo Fibonacci, che era pisano. Egli
scrisse un Liber abaci, che promuoveva la diffusione di quei numeri che definiamo arabi, ma che in realtà
erano indo-arabi, perché sono di generazione indiana e poi gli arabi li recuperarono arrivando fino in
Occidente. In Italia sicuramente arrivarono nel XIII sec. Con Fibonacci è importante l’idea dello 0, che nei
numeri romani non c’è; lui traduce la parola “vuoto” con sephiro, che poi diventerà il nostro zero.
A Fibonacci si deve la “serie numerica”: 1 2 3 5(+3) 8(+5) 13… che è stata molto utilizzata.
Medicina → possiamo riscontrare novità interessanti. I centri di studi medici restano sempre Salerno,
Montecassino e Montpellier. Naturalmente crescono di importanza perché si traducono molti trattati
dell’antichità e così si recuperano testi di Ippocrate, Galeno o di Costantino Africano. La fama della scuola
di Salerno si diffonde, e oltre a medici uomini vi sono anche donne, tra cui Trotula che ci ha lasciato due
suoi scritti: un Trattato di cosmesi e uno di ginecologia, molto importante in quanto essendo una donna
poteva conoscere meglio tutti i problemi legati alla gravidanza, al parto.
A Salerno e a Montpellier si distingue tra medicina teorica e pratica, due saperi distinti in tutto.
Medicina teorica → scienza delle cause, e consente di realizzare la diagnosi. Lo specialista considerava il malato,
recuperava la causa possibile del malessere giungendo ad una diagnosi
Medicina pratica → la scienza dei segni, e consente di conservare la salute o curare la malattia. Lo specialista
recupera i sintomi e individua la cura
Dialettica → gli studi di dialettica non possono più basarsi soltanto su quello che dice l’Auctoritas ma
deve essere considerata alla luce della ratio, il pensiero appunto di Anselmo d’Aosta. Anche le verità di
fede possono essere sottoposte al vaglio della ragione. La posizione più originale è quella di Abelardo
che scrive un’opera fondamentale, Sic et non, con la quale egli propone di leggere criticamente i testi,
considerato la posizione dell’autorità ma senza sottostarvi, sottoponendo ogni singola questione ad
un’indagine che doveva mettere in rilievo sic et non, cioè la posizione positiva e il suo contrario (è così,
si è sostenuto così, ma potrebbe essere anche in un altro modo), in modo tale da confrontare le posizioni
opposte e prendere posizione nuova. È un ragionamento che prima era inimmaginabile e che ora
scardina tutto, propone una lettura del tutto nuova, moderna, perché consente di sottoporre tutti gli
scritti sui quali poggiava la chiesa a una revisione critica. Tutto ciò poi apre alla Scolastica.
In questo momento si apre un dibattito sugli Universali vale a dire sui concetti e crea due correnti di
pensiero: realisti e nominalisti.
per i realisti → i concetti di uomo o di bianco possiedono una loro realtà, esistono.
per i nominalisti → esiste solo ciò che ha un carattere particolare, non l’uomo ma Socrate, non la malattia ma il
malato, non il bianco ma ciò che è bianco, come un fiocco di neve, una stoffa, ecc.
Tutto questo ovviamente aprì un dibattito continuo durante il quale alcuni studiosi cambiarono
opinione, ma c’è da capire che era molto delicato e a volte prendere posizione era difficile. È importante
sottolineare questi aspetti perché significa che era un periodo veramente esaltante per la crescita
culturale degli uomini del tempo, uomini di un certo spessore culturale che, con una preparazione di alto
livello, potevano affrontare queste questioni al quanto delicate.
ESEGESI → studio e comprensione non immediata perché pretende una lettura a più livelli, e che scavi
nel significato sempre più in profondità. L’esegesi per eccellenza è quella della Sacra Scrittura. Quindi la
comprensione procede per gradi sempre più sofisticati:
- la storia: lo studioso legge un brano della Bibbia e ne ricava il dato storico, cioè l’evidenza storica del fatto
- l’allegoria: lo specialista si interroga su che cosa possa rappresentare un nome, un numero, una frase. Si chiede
se c’è un significato nascosto a livello simbolico
- la morale: il messaggio che passa attraverso quel testo sacro. Quindi l’insegnamento morale che ne può
derivare, che si intende trasmettere.
- l’anagogia: questa lettura in profondità che consente di passare dalla realtà del testo al significato spirituale.
Quindi è il significato più profondo della Sacra Scrittura. Attraverso quest’ultimo gradino il lettore può svelare
il significato spirituale contenuto nel testo.
Di seguito un esempio:
“Gerusalemme, secondo il senso storico, è una città; secondo l'allegoria, è la Chiesa; secondo il senso tropologico,
è l'anima che aspira alle cose celesti; secondo l'anagogia, è la vita degli esseri celesti, che vedono Dio e ammirano
nel suo volto disvelato. Questi quattro sensi sono i quattro piedi su cui poggia l'altare del santuario.”
Il culmine del commento e degli studi è la teologia o «scienza di Dio» (Abelardo).
«La TEOLOGIA parte dall’esegesi e dalle quaestiones sollevate intorno a un certo passo biblico e si serve della
dialettica come dello strumento principe con cui svolgere la propria ricerca». A questo punto esegesi e dialettica
concorrono a definire la scienza di Dio, a scendere sempre di più in profondità nella comprensione della Sacra
Scrittura attraverso il ragionamento, la ragione che acquista un ruolo fondamentale.

CAPITOLO 9 – GLI STUDENTI E I LORO MAESTRI (XII sec.)


Le fonti → sono innanzitutto le lettere di maestri e studenti, di studenti che scrivono ai loro familiari e
viceversa; quindi, tutto quello che è stato trovato nelle raccolte epistolari. È possibile anche che alcune
di queste lettere fossero degli esercizi fittizi inserite in delle raccolte epistolari ma mai spedite, perché si
è detto che ars dictaminis era un esercizio retorico impostato secondo determinate regole, quindi
l’esercizio era anche quello di scrivere ad un ipotetico destinatario ma essendo che non danno riscontri
reali ci si chiede perché bisogna utilizzarli, ma tali lettere sono ugualmente valide perché rimandano ad
una situazione sperimentata in quel periodo da allievi o da maestri. Tali esercizi anche se considerati
fittizi servono allo storico per andare ad indagare come funzionava la scuola in quel periodo.
Problemi degli studenti → la prima preoccupazione è il denaro, infatti sono poveri e questo li spinge a
fare appello alle famiglie. Un es: di uno zio che aveva il nipote che studiava in una località molto distante. Lo
zio risponde alla lettera del nipote in cui gli dice che i tempi sono duri e che bisogna pagare i maestri, ma allo zio
non sembra che il nipote abbia tanta voglia di studiare e che non può usare tutte le sue possibilità per lui, ha altri
familiari e amici che deve aiutare. Tuttavia, gli manda qualcosa per non mandare il messaggero a mani vuote, ma
lo informa che non riceverà altro fino alle calende di maggio.
Tutto sommato è uno zio molto generoso, rispetto ad altri familiari, genitori a volte, che lo erano molto
meno. Ad es: vi sono lettere di una famiglia di un giovane studente ad Orléans, che lo rimprovera di aver fatto
debiti su debiti e di passare le giornate a giocare a scacchi. Il padre pone delle condizioni per continuare a
mandare denaro, e il figlio risponde promettendo di abbandonare le cattive abitudini. Altri studenti chiedevano
soldi a un vescovo o ad un amico.
Il loro bisogno di soldi era dovuto a varie esigenze, tra cui una che si presentava appena i giovani
arrivavano nella città di studio: la ricerca di un alloggio e alcuni danno conto di averlo trovato, ma
bisognavano anche di altri strumenti come l’inchiostro o i fogli di pergamena, ecc. oltre al denaro, alcuni
chiedevano anche indumenti, perché acquistarli ad Orléans significava dar via tutto il denaro.
Tornando all’alloggio: arrivando in città, pare che i giovani si fossero abituati a trovare ospitalità
immediata e transitoria nel chiostro della canonica in cui studiavano. Poi però aumentavano e venivano
allontanati e costretti a cercare altre soluzioni. Poteva capitare che venissero ospitati dai loro maestri,
ma non per molto tempo, anche perché il maestro era molto esigente e li ospitava in cambio di continui
servizi. Potevano anche affittare una camera, ma erano molto costose e poco confortevoli. Nel 1189 il
vescovo di Bologna ricevette una lettera dal Papa del tempo che lo invitava ad abbassare i prezzi delle
camere. Vi era, anche, chi era fortunato ed era partito con una lettera di raccomandazioni da personaggi
importanti, ma questo gravava sugli studenti poveri che anche se bravi non potevano far affidamento su
nessuno, allora, già a partire dal XII sec. cominciarono a nascere i primi collegi, destinati ad ospitare gli
studenti più poveri. Era uno stanzone dell’Hotel-Dieu, che poteva ospitare 18 studenti, “il collegio dei
18”. Siamo nel 1180, e gli studenti vengono ospitati se hanno dato e continuano a dare dimostrazione di
essere persone serie, che vogliono vivere in quella città per studiare, che sono bravi, e inoltre, ricevono
una piccola borsa, una somma di denaro in cambio del loro impegno nel recitare i salmi penitenziali per
i defunti dell’ospedale.
I più fortunati in assoluto erano i chierici, perché quando un chierico partiva per andare a studiare in una
delle varie città, lo faceva perché si era già distinto per le sue qualità e quindi era già stato scelto come
lo studente che meritava di essere avviato agli studi. Egli veniva mandato con una prebenda, cioè era
garantito da una risorsa finanziaria costante.
Mentre vi erano alcuni studenti che trovavano troppo lungo il corso di studi e avevano fretta di iniziare
a loro volta ad insegnare, così da guadagnarsi da vivere → i cornificiani.
Giovanni di Salisbury ci ha lasciato una descrizione molto colorita di questi cornificiani, affermando che
sono studenti che non apprezzano gli studi, che disprezzano gli autori antichi, sono avari e debosciati, e
così via. Secondo loro bastava una prima infarinatura per abbandonare gli studi.
Altri studenti, invece, cercano di accelerare il loro percorso perché immediatamente vogliono
guadagnare, anche se non ne hanno assoluta necessità, perché hanno avuto borse e la sicurezza dalle
famiglie.
Al contrario, ci sono quelli che non vogliono smettere di studiare o perché pretendono troppo da loro
stessi o perché ancora si ritengono a metà dei loro studi e di non ancora avere appreso bene quella
scienza. Questi chiedono alle loro famiglie di restare ancora lontani e nelle loro sedi di studi. Vi sono
quelli che sono eterni studenti perché hanno compreso che è un modo per restare lontani dalla famiglia,
di essere sempre soggetti a finanziamenti e di poter vivere una vita spensierata, questi sono i goliardi.
Questi studenti viaggiano da una città all’altra e altri cominciano anche a scrivere delle poesie che
vendono, guadagnando qualcosa.
Infine, ci sono gli studenti seri che seguono il loro percorso, il loro maestro e che viaggiano per andare a
sentire i maestri più illustri.

LO SBOCCO DEGLI STUDI


Alcuni di questi studenti volevano diventare maestri, c’erano quelli che avevano come obiettivo quello
di dotarsi di una buona preparazione per poi entrare nell’ordine ecclesiastico, quindi diventare chierici;
i più ambizioni invece ambivano a diventare membri di una corte regia, di una famiglia importante, o alla
corte di un vescovo o alla corte pontificia. Erano i curiali; c’erano anche coloro i quali pensavano di poter
fare fortuna diventando dei precettori nelle famiglie più importanti.
Si riaffaccia il problema del laicismo, e vi erano dei chierici che anziché svolgere il loro lavoro erano
diventati avvocati, notai o medici, e vi sono molti canoni conciliari che si oppongono del tutto.
I MAESTRI
Bisogna fare una chiara distinzione tra magister e scolasticus, perché nei testi del tempo magister non
indicava l’insegnante, equivale al nostro dottore, è un titolo onorifico, e prende questo nome perché
tutti gli riconoscono determinate competenze in certi ambiti ed è arrivato a ciò al termine di un certo
corso di studi. Mentre per scolasticus si intende l’insegnante vero e proprio. In origine i maestri erano
canonici appartenenti al capitolo della cattedrale, quindi era il vescovo che attribuiva quel titolo. Mentre
nel pieno medioevo lo scolasticus raggiungeva quel titolo dopo aver superato un esame ottenendo la
licentia docendi (non indica il percorso universitario perché ha validità soltanto nell’ambito territoriale
dell’autorità vescovile che l’ha concessa. Mentre un’università attribuisce una licentia ubiqui docendi,
cioè di insegnare dovunque, gli studi universitari erano un lascia passare importantissimo).
Riguardo lo stato economico dei maestri, non tutti vivevano nell’agiatezza. Sappiamo di maestri come
Arnaldo di Brescia che vissero in stato di indigenza e a volte erano i loro studenti che facevano delle
collette per aiutarli, ma vi erano comunque realtà molto diverse, basti pensare ad Abelardo che con i
suoi insegnamenti guadagnò molto.
Spesso i maestri entravano in contrasto fra di loro: si insultavano, oppure uno definiva un altro un asino
che era messo lì per insegnare qualcosa a dei poveri studenti che erano capitati presso di lui, o c’era chi
preferiva i calices ai codices. Le aspirazioni di questi maestri: potevano restare maestri per tutta la vita;
decidevano di entrare nella carriera ecclesiastica per diventare vescovo, cardinale, abate; l’aspirazione
più ambita e apprezzata era diventare maestro di teologia.
CAPITOLO 10 – L’ISTRUZIONE DEI LAICI (XII sec.)
A partire dal XII sec. la situazione cambia in positivo perché ci sono nuove situazioni e nuovi interessi.
Intanto l’esigenza di essere istruiti era avvertita sempre di più, sia nelle città che nelle corti, dove principi,
sovrani e persone dell’aristocrazia, che avevano ormai una visibilità diversa, dovevano anche acquisire
la capacità di porsi alla pari con i rappresentanti del mondo ecclesiastico per eventualmente contrastare
delle loro posizioni o per discutere allo stesso livello con i chierici. Inoltre, molti di questi laici ricoprivano
ruoli sempre più importanti in campo sociale, politico, economico, quindi si amplia la platea dei laici
istruiti.
ISTRUZIONE NELLE CORTI
Da tempo si avvertiva la necessità che il sovrano avesse una sua preparazione non soltanto militare, o
che fosse sovrano solo perché destinato. Pietro di Blois usa altre immagini, da quelle come “re illetterato,
asino incoronato”, in una lettera a Enrico II d’Inghilterra dove lo esorta a preoccuparsi di più riguardo la
preparazione del figlio. Pietro di Blois si mostra un uomo perfettamente calato nei suoi tempi, dove
essendo il bambino nato sotto il peccato originale lo consideravano un essere demoniaco.
La novità consiste nel fatto che il termine “chierico” in realtà comincia ad essere usato con un significato
un po’ particolare, perché diventa sinonimo di uomo istruito, anche se non apparteneva all’ordine
ecclesiastico. Visto che, fino ad allora, gli unici che erano
detentori della cultura erano stati i chierici,
“chierico” era diventato sinonimo di
letterato. Siccome adesso lo erano anche i
principi appartenenti alle classi più levate,
non c’era motivo di attribuire questo
appellativo solo agli uomini appartenenti
alla chiesa. Chierico è un uomo istruito,
quindi anche un principe può prendere
questo appellativo.
Enrico I, re d’Inghilterra e duca in Normandia, era stato nominato Enrico il Chierico, proprio per denotare
questa sua grande preparazione culturale. Ma il dato che colpisce ancora di più, è che tra questi nuovi
letterati non ci sono solo uomini ma cominciano a primeggiare le donne, ovviamente sempre legate agli
ambienti regali, come per es. Maria di Champagne, una delle figlie di Eleonora di Aquitania, è protettrice
di Chrétien de Troyes, il più grande scrittore del XII sec.; oppure Adele, moglie di Stefano di Blois, che ci
ha lasciato un ricco epistolario, lettere che lei scriveva al suo corrispondente privilegiato, il vescovo di
Chartres; o anche Eleonora d’Aquitania, nipote del primo poeta trovatore, Guglielmo IX d’Aquitania, ed
era stata una protagonista di questa fioritura culturale in Francia ed era considerata la protettrice di tutti
i poeti e i trovatori del tempo.
Trovatori → non utilizzano il latino ma il volgare francese. Per molto tempo gli studiosi hanno sostenuto che i
trovatori cantavano l’amore ideale che nutrivano per le proprie amate, mentre studi più approfonditi hanno
sostenuto che cantano l’amore cortese. Quindi il poeta è al servizio della sua signora e la omaggia costantemente
con la sua presenza e scrivendole liriche amorose. Successivamente la poesia trovatorica si estende al di là dei
confini francesi e, per es., avrà una forte risonanza in Sicilia, presso la corte di Federico II.
Poi le fonti attestano un ritorno all’utilizzo, sempre nelle grandi famiglie, dei precettori. Vi sono degli
esempi importanti, possiamo ricordate che Abelardo era stato avviato agli studi per volontà del padre,
attraverso l’utilizzo di un precettore; ma un altro esempio, forse il più completo e bello, riguarda un altro
personaggio noto, legato poi all’ambiente monastico, Guiberto di Nogent, che ci ha lasciato anche una
sua biografia. La madre, vedova, aveva una sua preparazione culturale, ed era stata lei a seguirlo nelle
prime fasi, gli insena le lettere e fa in modo che il figlio conosca il latino. Ad un certo punto la madre
trova difficoltà a trovare un precettore per il figlio perché i maestri erano rari ed era difficile avere la loro
disponibilità, così la madre arrivò a rubare il precettore del nipote, quindi lo convinse ad abbandonare il
nipote e a seguire suo figlio. E Guiberto dice di questo precettore che la cultura era molto modesta, ma
aveva anche altri pregi, la sua azione era moralmente indiscutibile e aveva grande severità.
Guiberto riceve dunque un’istruzione mediocre fino ai 12 anni. Poi il suo precettore se ne va, così il
ragazzo riacquista la sua libertà. Fino a quando la madre lo affida all’abbazia di Fly, il cui si era ritirato il
suo precettore. Guiberto decide allora di farsi monaco e diviene allievo, a Le Bec, dell’abate Anselmo.
L’ISTRUZIONE DEI LAICI IN CITTA’
In realtà le scuole comunali possono definirsi come un fenomeno prettamente italiano.
Diciamo che quando l’attività economica si espande, crescono anche i mercanti gli artigiani, e si avverte
sempre di più la necessità di avere accanto delle persone istruite che potessero seguire l’ampliamento
del commercio. Certo ci si poteva sempre rivolgere a segretari, notai o chierici, ma avere delle persone
istruite in famiglia, quindi figli o addirittura figlie di certo non era male. Per dare istruzioni ai propri figli
quindi ci si poteva rivolgere a dei precettori o ai monasteri, che però man mano avevano cambiato idea
e non accoglievano più giovani che poi erano destinati alla vita monastica. Quando accadeva che qualche
monastero accoglieva giovani che le famiglie non avevano destinato alla vita monastica vi era un rischio,
il fatto che il giovane poteva essere affascinato, come fu per Guiberto, e rimanere in monastero.
Quindi vengono stabilite scuole cittadine destinate ai bambini.
Nelle campagne, oltre ai monasteri, sulla carta i preti avrebbero potuto svolgere questo ruolo ma in
realtà le fonti attestano una decadenza culturale pesante negli ambienti ecclesiastici di campagna,
perché per svolgere il ruolo di maestro un prete doveva padroneggiare le varie materie, ma i documenti
attestano che conoscono veramente male il latino: i novellieri del tempo spesso si fanno beffe
dell’incultura del piccolo clero.
Inoltre, pare che alcune monache di clausura si fossero impegnate in alcune aree (siamo nella regione
francese) ad accogliere i bambini, ma come avveniva? Secondo delle testimonianze vi erano delle
monache di clausura che si mettevano alla finestra e i bambini o i ragazzi si mettevano lì ad ascoltare la
suora che leggeva qualcosa, avviandoli alla lettura.
C’è da dire anche che si moltiplica la produzione letteraria, tra cui i romanzi epici, “chansons de gestes”,
e a questo punto è chiaro che la cultura riguarda anche i laici. Altro dato importante, proprio in questo
periodo la Bibbia comincia ad essere tradotta, perché c’erano sempre meno individui che erano capaci
di leggere e capire il latino. Il fattore interessante è che a occuparsi delle traduzioni sono frange
estremiste del mondo cristiano, i cosiddetti eretici, come ad es. i valdesi, i catari.
LE SCUOLE EBRAICHE
In alcune aree del mondo occidentale le colonie di ebrei erano cresciute di numero, le comunità erano
molto ricche e infatti sia in passato che dopo erano state spesso attaccate. Gli ebrei avevano le loro
scuole, e si dicevano orgogliosi del fatto che “se i cristiani istruiscono i loro figli non è per amore di Dio ma del
denaro. Gli ebrei, invece, pieni di zelo nei confronti di Dio, iniziano alle lettere tutti i loro figli senza eccezioni, così
che ciascuno di essi possa comprendere la legge di Dio”. Affermano inoltre, che l’insegnamento era destinato
sia ai maschi che alle femmine, ma i maschi andavano nella scuola a fianco della sinagoga e le femmine
venivano istruite a casa. Il fatto che anche le donne fossero istruite è attestato dal fatto che talvolta nelle
scuole ebraiche insegnavano anche delle donne, come Bala, sorella di Isaac ben Menahem, che dava
lezioni sul Talmud attraverso una finestra, nascosta da una tenda, perché comunque era pur sempre una
donna.
LE SCUOLE MUNICIPALI IN ITALIA
Il fenomeno comunale in Italia non ha eguali in tutta Europa, anche una studiosa tedesca ne riconobbe
l’originalità.
In queste realtà, che cominciano a distinguersi in maniera netta dalle realtà feudali, nascono e si
sviluppano delle nuove proposte educative: le scuole municipali
Nascono da una doppia esigenza: dall’alto e dal basso.
Ci sono i grandi mercanti, i grandi artigiani, c’è una borghesia mercantile che si è affermata e sta
crescendo sempre di più e che nell’ambito comunale sta diventando la forza principale dal punto di vista
finanziario, ma che ha sempre bisogno di crescere e per farlo deve contare sulla preparazione di base
culturale che riguardi la cerchia familiare. Questa è l’esigenza che proviene dal basso, ma vi è anche
quella che proviene dall’alto, cioè dall’istituzione comunale stessa. Il comune era un’organizzazione
nuova, che poggiava su nuove forme di amministrazione, che erano lontane dalle forme gestionali che
caratterizzavano il mondo feudale, dove il funzionario veniva ricompensato con un pezzo di terra o simili.
Il comune adesso aveva bisogno di burocrati che erano preparati in maniera specifica per svolgere i loro
compiti. Aveva bisogno di giuristi, notai, perché tutto doveva essere trascritto.
Le caratteristiche importanti di queste scuole:
la laicità: la scuola doveva essere laica perché serviva ai comuni, agli ambienti commerciali, ecc. quindi
preparava giovani che poi dovevano sostenere le imprese familiari, dovevano svolgere a pieno tutte le
mansioni che man mano nascevano nell’ambiente comunale. Il problema è che se consideriamo il
personale che insegnava, la scuola non era del tutto laica, perché chi era istruito in quel tempo tanto da
diventare maestri erano soltanto i chierici.
Istruzione di base: queste scuole non erano scuole superiori, quindi allo stesso livello delle scuole
cattedrali, ma erano scuole di base laddove si imparava a leggere, scrivere una lettera o un documento,
a fare di conto, e a tenere i libri contabili, perché i commerci si erano sviluppati e bisognava essere pronti
a adeguarsi alle nuove esigenze.
La lingua dell’insegnamento era il volgare, soprattutto toscano. Il latino non era stato dimenticato ma
rimase come lingua dei dotti e anche spendibili fuori, cioè il giovane più preparato in realtà masticava
anche il latino e così aveva anche la capacità di essere compreso in Francia o in Grecia, quindi da tutti.
Nello stesso tempo cominciarono a diffondersi alcune lingue straniere come il francese, che iniziò ad
essere molto usato nella corrispondenza.
In un primo momento i maestri continuarono a essere pagati dalle famiglie, ma la scuola veniva
autorizzata dalle autorità cittadine. Poi pian piano si passa a maestri che erano ricompensati
direttamente dal comune, quindi significa che il comune acquisì il monopolio sull’istruzione; è il comune
che apre la scuola, che ingaggia il maestro, che decide chi e come si deve pagare, che non faceva pagare
nulla al maestro per l’alloggio, ecc.
Il comune incominciò a voler essere l’attore principale nelle scuole perché il maestro pagato dai privati
talvolta era costretto a chiudere la scuola e ad abbandonare la città, in quanto le famiglie si impegnavano
in un primo momento a versare l’onorario e poi pian piano non lo facevano più. Quando il maestro
lasciava la scuola e andava via dal comune, per quest’ultimo era una grande perdita e non poteva, poi,
soddisfare l’esigenza detta in precedenza. C’era la necessità di istruire i giovani della città. Per cui i
comuni decisero loro di assumere la figura dell’attore principale e pagare i maestri.
Frova p.113
Il maestro, dunque, è un funzionario del comune, ma talvolta è privo di un titolo specifico.
Frova p.111 a-c
Per quanto riguarda l’ubicazione delle scuole, non bisogna immaginarsi edifici scolastici, ma spesso
coincideva con la casa del maestro, e talvolta poteva anche capitare che degli studenti vi alloggiassero.
Gli studenti erano divisi in sei classi virtuali (come quando abbiamo letto di scolari tutti in un’aula di
livello diverso):
1. chi impara a leggere
2. chi perfeziona lo specialismo della lettura memorizzando i salmi, ecc.
3. i donatisti che cominciano a studiare la grammatica e ad accostarsi ai classici
4. dalla 4° alla 6° classe gli studenti che arrivano ad affrontare gli studi superiori
Ma il maestro si trova anche a seguire studenti che hanno necessità diverse perché sono arrivati a diversi
livelli di apprendimento. Ci sono delle figure nuove come i ripetitori. Frova p.111 b
Punti fondamentali di queste istituzioni sono la finalità politica e civica dell’istruzione, e poi il fatto che
la scuola non può ancora essere considerata un fenomeno di massa.
Finalità politica e civica dell’istruzione → è evidente che la prima finalità è quella culturale, ma la scuola
non ha soltanto questo fine. Ai vertici dei comuni interessa anche andare oltre la preparazione culturale.
Quindi la finalità è politica e civica, politica perché devono formare i burocrati che possano sostenere
tutte le attività del comune, ma formare anche gli studenti così che possano diventare degli ottimi
cittadini, uomini nuovi che devono essere inseriti in una realtà nuova, quella delle città italiane
trasformate in comuni. Il cittadino ha dei precisi diritti e dei precisi doveri; deve essere preparato in
maniera tale da inserirsi nella comunità e deve sentire di essere appartenente a quella comunità, quindi
deve rispettare gli altri e pretendere che gli altri lo rispettino, onorare la comunità, cioè il cittadino deve
mostrare di essere onorato di far parte di quella comunità anche attraverso il suo vestiario, alla sua
igiene, ecc., e ha anche degli obblighi pubblici, infatti deve partecipare alle pubbliche manifestazioni.
Quindi si parla di una formazione civica ad altissimo livello.
A questo punto la scuola diventa anche il mezzo di promozione sociale per eccellenza.
Accanto alle scuole ve ne era un altro tipo: la bottega, che ha un ruolo formidabile in quel periodo perché
anche la bottega trasmette saperi, non letterari ma tecnici. La bottega ha per protagonisti il maestro,
che conosce quella specifica arte, e che è pronto a trasmettere i suoi saperi di altissimo livello
all’apprendista, cioè al giovane che viene messo a bottega per imparare quel tipo di mestiere, per poi
trascorsi parecchi anni, uscire da bottega e potere avere un ruolo nella società.
Di solito le botteghe erano ubicate dentro la città, talvolta nel centro, nelle stesse strade o rione e ogni
bottega era specializzata, quindi c’erano le botteghe dei lavoratori della lana, di quelli che lavoravano il
cuoio, ecc. poi questi lavoratori delle botteghe, piano piano, cominciarono ad acquistare un ruolo
sempre più importante, si organizzarono in corporazioni, associazioni di mestiere, che ebbero un ruolo
pubblico formidabile, perché per far parte del governo delle città bisognava essere iscritti ad un’arte.
Quindi vi erano associazioni di mestiere importanti, con appositi statuti, che definivano la qualità delle
merci, infatti nel periodo medievale, più che la quantità, l’associazione doveva garantire la qualità.
Un artista, in quel periodo, non era specializzato in una branca dell’arte, erano pittori, ingegneri,
praticamente artisti a tutto tondo e la preparazione, infatti, durava anni. Ma poteva capitare che degli
apprendisti non spiccassero il volo.
Frova p.116-117
CAPITOLO 11 – L’EVOLUZIONE NELLA SECONDA META’ DEL XII SECOLO
In linea generale: dopo la riforma di Gregorio VII, siamo nella seconda metà dell’XI sec., i Papi furono
totalmente coinvolti nello scontro della lotta per le investiture e trascurarono l’organizzazione anche
delle scuole cattedrali, che comunque avevano continuato la loro attività diventano centri sempre più
importanti, ma il papato non era intervenuto, appunto. Poi l’attenzione degli ambienti romani (il papato)
era stata attirata dalle notizie provenienti da Parigi a proposito dell’eccellenza degli studi, e di come i
chierici raggiungevano delle competenze superiori. Quindi da Roma si cercava di avere sempre più
contatti con quelle grandi scuole, e soprattutto con Parigi. Il primo Pontefice ad intervenire fu Alessandro
III (è il Papa che si contrappone a Federico I Barbarossa. Alessandro viene scelto dai comuni come il loro
palladino, ma Federico Barbarossa aveva sovra avanzato la Chiesa, perché quando Federico aveva
emanato l’Authentica habita, mentre la Chiesa era impegnata nei suoi affari, in realtà si era ritagliato un
ruolo di primo piano in ambito culturale, era infatti l’Imperatore che proteggeva gli studi, gli studenti e i
maestri.) che comincia a capire ciò che stava accadendo e inizia a mandare studenti a Parigi, già da
quando era cancelliere, poi diventato Papa si occupò ancora più da vicino del problema e dalle sue lettere
emergono due suoi preoccupazioni:
1. gli insegnanti non devono essere pagati
2. gli insegnanti devono essere autorizzati gratuitamente ad aprire una scuola
C’è ancora questa concezione dalla quale la Chiesa non si è ancora svincolata. In una lettera di Alessandro
III compare: “La scienza delle lettere è un dono di Dio, e ciascuno deve essere libero di distribuirlo gratuitamente,
dentro e fuori dai confini cittadini. Non si deve rendere venale quello che è un dono della grazia celeste”. Tuttavia,
egli sapeva, e lo denuncia, che “la Chiesa di Gallia brilla per la scienza e l’onorabilità delle sue autorità. Avendo
tratto rinomanze e prestigio dai maestri presenti nelle scuole legate alle loro chiese di rilasciare gratuitamente ai
maestri il permesso di insegnarvi”
Se si riceveva l’autorizzazione per aprire la scuola significava essere insignito della licentia docendi, e
tutto questo per Alessandro III doveva appunto avvenire in maniera gratuita.
Quindi la licentia docendi incominciò ad essere rilasciata in queto momento, ma comunque la Chiesa si
accorge presto che doveva intervenire economicamente. Il Papa parla della licentia nelle sue lettere e
tale, peraltro, nel pensiero di Alessandro III aveva una finalità un po’ particolare, doveva, cioè, indicare
gli studenti che avevano raggiunto un buon livello di preparazione e che potevano insegnare e
trasmettere i loro saperi a degli studenti, e aveva anche la finalità di etichettare, per es. poteva insegnare
una persona anziché un’altra perché quella persona la garantiva la Chiesa. L’importante è che, però, non
si ripetessero momenti pericolosi come quelli che avevano caratterizzato l’insegnamento di Abelardo,
quindi i maestri dovevano essere certificati dalla Chiesa, ecco la licentia docendi, che veniva rilasciata dal
vescovo o dai canonici di una collegiata e, questi documenti, avevano valore soltanto nel territorio di
competenza dell’autorità vescovile o del collegio dei canonici.
Ma presto ci si accorse che, questo maestro, non poteva di certo fare la fame e da qui, quindi delle
novità: le prebende.
Nel 1179 vi fu un concilio lateranense che comincia a smussare questa posizione un po’ pesante, dove il
chierico non doveva essere pagato e la Chiesa lo aiuta assegnandogli un beneficio, cioè una prebenda,
in modo tale che lui economicamente era tranquillo, senza bisogno di trovare altri mezzi di
sostentamento, e poteva insegnare in maniera del tutto gratuita.
Come ottenere la licentia? Non vi sono fonti a riguardo quindi procediamo per ipotesi. È possibile che il
maestro, dopo avere seguito l’alunno e capito che ha raggiunto un buon livello di preparazione, possa
concedere o meno la licentia, oppure è anche possibile che alla fine del corso si svolga un esame.
C.G. p.152-153 → documento interessante sul maestro ideale.
VERSO LE UNIVERSITA’
Notizie interessanti:
Siamo nella 2° metà del XIII sec. e si tratta di un’affermazione del canonico di Colonia, Alessandro di
Roes, in cui in un suo scritto egli teorizzò la presenza, ormai, di un terzo potere; come sappiamo il periodo
medievale poggia su due grandi poteri universali. Tale Alessandro dice che ormai la scienza, la
conoscenza, gli studi, sono andati talmente avanti da rappresentare un terzo potere: lo studium, il luogo
della scienza, cioè le università, ma in generale il sapere (Bacone poté scrivere, alla fine del XVI sec., “scienza
potentia est”, la scienza è un potere). Quindi l’università deve essere considerata con orgoglio perché
rappresenta l’apice degli studi (ma comunque uno studente poi può anche proseguire affinando i suoi studi,
perché non c’è mai limite alla conoscenza). Da questo momento in poi si sa che chi conosce ha più potere
dell’ignorante, infatti basta impostare un discorso o quel che sia per essere, che l’ignorante non può fare
nulla, non ha gli strumenti adatti per contestarlo.
L’università ha come obiettivo quello di potenziare e affinare le capacità l’intelletto per guidare le menti
verso il sapere.
La posizione di Alessandro di Roes è importante perché gli uomini del tempo capirono che quella era una
svolta formidabile; era comunque una novità, infatti non esiste fino al 1200 una realtà come quella
universitaria, perché è originale, nuova. Non esistevano le facoltà, i piani di studio, gli esami finali che
portavano alla licentia ubiqui docendi (quindi erano riconosciuti ovunque, es. di laurei a Padova e potevi anche
andare in Inghilterra, il tuo titolo era riconosciuto).
Ma accade un fenomeno stranissimo, nei primi documenti che riguardano le università, c’è sempre un
riferimento strano ad un’esperienza passata alla quale quell’università si ricollega, per es. Bologna si dice
che si ricolleghi direttamente a Teodosio II, il primo che aveva tentato di riformare il diritto teodosiano
e che aveva fondato una scuola superiore a Costantinopoli; Parigi si ricollega a Carlo Magno, che aveva
rinnovato l’Impero e si era impegnato nella crescita culturale di tutto l’Impero; Oxford si ricollega a
Alfredo il Grande d’Inghilterra, vissuto nel IX sec., che promosse gli studi, fondò una sorta di scuola
palatina, imitando grossomodo quella di Carlo Magno, fece tradurre in anglosassone opere della
classicità come Orazio, Gregorio Magno. Quindi queste sono novità eccezionali, cercano di rafforzarsi e
avere maggiore autorevolezza rifacendosi a fatti passati “inesistenti” perché non vi era un’università con
Carlo Magno per esempio.
CAPITOLI 12 – 13 – 14 – 15 – 16 – LE UNIVERSITÀ E I COLLEGI
Intorno al 1200 nascono in occidente le prime università, quindi agli inizi del XIII sec.
Non c’è un documento, che possa essere utilizzato, per indicare la data precisa di inizio, perché nasce in
un determinato humus culturale già pronto, quindi in quelle città in cui già da tempo c’erano le grandi
scuole, cattedrali o di diritto, ecc.
Dati comuni:
- novità educativa assoluta
- hanno un’influenza sociale straordinaria
- tutte le realtà hanno una collocazione territoriale particolare, cioè tutte nascono in centri importanti che sono
pochi, infatti nel medioevo le università sono pochissime
- le prime università che nascono, e che mantengono quel prestigio per tutto il medioevo e oltre, lo fanno quasi
tutte contemporaneamente. Ciò significa che queste nuove realtà rispondevano a un’esigenza che era avvertita
con la stessa intensità in diverse realtà politiche, praticamente si avvertiva da tempo la richiesta di un ulteriore
livello di istruzione e finalmente si era riuscita a sviluppare.
Cause: poche fonti dirette sulla data di nascita e poi il fatto che non nascono completamente dal nulla, ma sono
una conseguenza, che finalmente arriva, delle realtà culturali già presenti nei vari centri.
Iniziamo da Parigi, anche se con qualche arbitrio, perché appunto non vi alcun documento che possa
sostenere la primazia di Parigi nella nascita delle università.
Condizioni favorevoli che portarono alla nascita dell’università a Parigi:
1. era la capitale politica ed economica del regno capetingio.
2. si era ingrandita (aveva una popolazione di 100.000 abitanti) ed era in continuo sviluppo
3. era da tempo un centro culturale di fama europea, ma in un modo o in un altro era sempre sotto il controllo
della Chiesa (le principali scuole: Notre-Dame, Sainte-Geneviève e dei canonici di San Vittore)
4. era meta di numerosissimi studenti anche stranieri
Tutte queste novità avevano accentuato la forte immigrazione di studenti nella città, ma portando anche
a dei conflitti degli studenti con la popolazione, dovuti alla necessità di trovare un alloggio, degli
approvvigionamenti, ecc. Quindi questi studenti avevano bisogno di nuove protezione e garanzie. Si
delinea, così, l’esigenza di dover superare quella sorta di anarchia, nei rapporti ma soprattutto quella
che caratterizzava l’insegnamento nei suoi contenuti. Bisognava:
- precisare i contenuti disciplinari dell’insegnamento, e questo poi portò alla nascita delle facoltà;
- stabilire programmi, inizio e fine dell’anno accademico (programmi, corsi…)
- stabilire regole che portassero all’attribuzione di un titolo finale
- regolare il compenso dei maestri. Capire se intervenisse o meno lo Stato, se dovevano essere solo gli
studenti a pagare, ecc.
ad un certo punto, a Parigi, si avverte la necessità di ottenere tutte queste cose, così i maestri presero
l’iniziativa costituendosi in associazione e tentando di raggiungere tutti quegli obiettivi. Quindi si
attribuirono il diritto di definire i contenuti dei loro insegnamenti, affermandosi il ruolo principale e in
questo modo si delineò la libertà d’insegnamento che caratterizzerà le università. Si tratta anche di
libertà di pensiero, ogni maestro sceglie i testi e individua un percorso tematico.
Si delinea così l’università, che si chiama Universitas magistrorum (Bologna non è un’Universitas
magistrorum ma un’Universitas scholarium perché lì la parte di attore principale fu assunta dagli studenti).
A Parigi dobbiamo il ruolo principale ai maestri, che furono sostenuti dall’autorità dello Stato ed
ecclesiastica.
[un insieme di persone, in questo caso di maestri e studenti, che si uniscono con un preciso progetto comune, e
che poi elaborano degli statuti, nel medioevo prende il nome di Universitas, come unione di cittadini. Quindi
Universitas non solo come ente culturale ma come comunità. A differenza del termine Studium che indica, invece,
ente culturale]

L’università di Parigi nasce tra il 1200 e il 1215.


Il prestigio dell’università si riflette completamente sulla monarchia, che la sostiene, e da qui infatti la
protezione che Filippo Augusto garantisce agli studenti, garantendo loro il privilegio concesso con
l’Authentica Habita di potersi avvalere della giurisdizione ecclesiastica (quindi non solo della
giurisdizione regia). Inoltre, riconosce gli studenti come entità giuridica, come gruppo dotato di
autonomia d’azione riconosciuta dallo stato.
Universitas, comunità di studenti i maestri:
1. come organizzazione dotata di personalità morale e giuridica
2. come entità sociale, perché è sotto gli occhi di tutti, influenza la vita delle città
3. come corporazione, deve quindi avere un suo statuto proteggendo tutti i suoi componenti e individuando il
compenso per i suoi lavoratori, cioè i maestri.
Le scuole parigine erano controllate dall’autorità vescovile, oltre che dal cancelliere del capitolo di Notre-
Dame. L’Università magistrorum codette della protezione pontificia, che nel 1215 convalidò i primi
statuti e privilegi, così da poter creare un bilanciamento tra il potere della Chiesa e il potere dello Stato.
Momento importante dell’Università di Parigi è la crisi del 1229: durante la quaresima vi furono degli
scontri tra studenti e ufficiali regi, e gli studenti non ricevettero alcuna protezione né dal vescovo e né
dallo Stato. A quel punto i maestri decisero di sospendere ogni attività e, non ricevendo nessuna novità
a loro sostegno, abbandonarono Parigi studenti e maestri e nacque una vera e propria diaspora, cioè si
dispersero, chi si recò ad Orléans, chi ad Angers e chi ad Oxford. Lì, in questo modo, nacquero nuovi
centri universitari. Ma Parigi ricette un danno enorme di prestigio, d’immagine, economico, dal 1229 al
1231 perse l’Università.
1231: Bisognava recuperare la situazione e intervenne la Chiesa, Papa Gregorio IX, perché significava
recuperare un ruolo forte, emanando una bolla per riportare maestri e studenti a Parigi, la bolla Parens
scientiarum, che venne considerata la Magna charta dell’istituzione universitaria.
Frova p.129-132
Con il passare dei decenni l’organizzazione universitaria a Parigi si definì sempre di più per giungere
all’organizzazione di seguito riportata:
gli studenti erano divisi in 4 grandi gruppi, le nationes → franchi, normanni, piccardi e inglesi. Questi
gruppi davano conto della loro origine, quindi normanni, proveniente dalla Normandia, piccardi dal nord
della Francia, Inglesi dalla Gran Bretagna e franchi dalle varie regioni non solo franche.
Ciascun gruppo era retto da un procurator. I procuratores avevano il compito di eleggere il rettore, scelto
tra gli studenti, che era un personaggio autorevole in quanto rappresentava l’università con l’autorità
civile e con l’autorità ecclesiastica, presiedeva le assemblee, gestiva entrate e uscite controllando il piano
finanziario e si preoccupava di redimere questioni importanti che prevedevano interventi di peso vari.
Nell’università di Parigi si individuano 4 facoltà: quella di base, le arti liberali; e dopo essersi laureati si
passava alle università di specializzazione che erano medicina, diritto e teologia. L’ultima era la facoltà
più prestigiosa in assoluto, infatti Parigi era famosa per gli studi di teologia. Naturalmente la facoltà più
numerosa era quella delle arti liberali e in quanto tale predominava da un punto di vista organizzativo
sulle altre.
Altre università importanti: Oxford e Cambridge. Le due città non erano capitali, eppure vi erano delle
università, è evidente che vi erano altre ragioni, forse la forza dell’autorità vescovile; ad es. Oxford, che
non era neanche sede vescovile, dipendeva da Lincoln, sede vescovile.
L’altra grande università è Bologna, anch’essa non è una capitale, dipende da Ravenna, ma qui si può
individuare il motivo del perché l’università nasce a Bologna. Si erano sviluppati gli studi di notariato, la
pratica legale, lo studio del diritto romano, aveva avuto un ruolo importante durante lo scontro tra
Federico Barbarossa e i comuni. Ma a Bologna non si studiava solo il diritto civile perché vi era stato
affiancato lo studio del diritto canonico.
La differenza importante con Parigi è che Bologna non nasce dell’iniziativa dei maestri ma da quella degli
studenti, quindi → Universitas scholarium. Si riunivano in un’associazione e si davano un regolamento,
così da avere una maggiore forza
L’esigenza degli studenti nasce dal fatto che volevano tutelarsi:
- nei confronti della popolazione locale
- nei confronti dei maestri. Nacquero infatti diversi scontri e gli studenti.
Si riunirono in nationes, che, come a Parigi erano 4 e poi si riunirono in due associazioni: Ultramontani e
Citramontani. Anche qua eleggono il rettore, sempre uno studente, e che ha gli stessi compiti del rettore
parigino.
Ultramontani → coincidevano con tutti gli studenti che provenivano d’Oltralpe (al di là delle Alpi). Erano quelli
che avevano i problemi più gravi da risolvere.
Citramontani → tutti gli studenti provenienti dalle regioni al di qua delle Alpi.
Formate queste due associazioni i maestri reagiscono, perché capiscono che si stava definendo un
momento di grande debolezza per loro e così si riuniscono in collegi, cioè in corporazioni. Quindi ad un
certo punto vi erano due grandi corporazioni che si fronteggiavano, maestri e studenti. Gli studenti
possono contare su punti di forza: loro scelgono i maestri, nominano il rettore con il quale stabiliscono
il piano didattico, e sono loro che stabiliscono la paga dei maestri. Ma anche i maestri hanno dei punti a
loro favore: sono loro che esaminano gli studenti e gli conferiscono il titolo finale.
Vi furono quindi vari scontri, l’autorità laica era rappresentata dal Comune che intervenne e anche a
Bologna, tra il 1217 e il 1218, vi fu un momento di sospensione delle attività didattiche. Anche in questo
caso la Chiesa intervenne, il Papa Onorio III nel 1219, infatti, riconobbe diritti e privilegi (ciò che emanò
il Papa però, anche se importante, non aveva lo stesso spessore della Parens scientiarum). Un altro
parallelismo è dato dal fatto che anche in Italia, dalla diaspora di Bologna, nel 1222 nasce l’università di
Padova.
L’UNIVERSITA’ DI NAPOLI
È la prima università laica, non dipende dalla Chiesa, perché è stata voluta e fondata da Federico II,
l’imperatore per diversi motivi. L’università di Napoli è stata fondata nel 1224, una data collegata agli
eventi più importanti e centrali della storia federiciana → Federico II è tornato dopo aver sconfitto Ottone
IV nella battaglia di Bouvines, nel 1220 è giunto a Roma dove è stato incoronato Imperatore da Onorio III, il quale
gli ha fatto promettere di mantenere separate le due corone, quella del Regnum Siciliae, e quella imperiale,
perché la Chiesa temeva di essere schiacciata da un unico sovrano a capo di entrambi i regni, e gli fa promettere
anche di partire per la crociata, ma Federico rimanda a lungo fino a quando Gregorio IX non lo costringe. Quindi
nel 1220 scende nel Regnum Siciliae (che non riguarda solo la Sicilia ma tutto il regno che avevano formato i
Normanni), dove trova una situazione un po’ particolare, l’aveva lasciato nelle mani della moglie Costanza, e
convoca una Dieta a Capua. Poi arriva in Sicilia, dove si scontra con gli ambienti arabi e li sconfigge; gli ultimi
rimasti furono deportati a Lucera tra il 1224 e il 1225. Quindi quando riesce a stabilire il tutto fonda l’Università
di Napoli.
Vuole quest’università perché si è già incominciato a scontrare con il Papa che controlla l’università di
Bologna, e quindi decide di volerne una sua, dove dovevano obbligatoriamente andare a studiare gli
studenti del Regnum, che non potevano più andare a Bologna; poi perché capisce bene, come già aveva
intuito il nonno Federico Barbarossa, che è fondamentale per il potere civile, laico avere voce in capitolo
nel sistema culturale; e poi perché tutto questo rientra in un suo preciso progetto di riorganizzazione
amministrativa del regno, lui vuole superare l’impostazione feudale, senza cancellarli, cioè vuole
sostituire i grandi feudatari, che amministrano le grandi contee e che sono legati all’Imperatore da un
vincolo di fedeltà personale, con un insieme di burocrati che devono essere fedeli al signore, che devono
essere pagati e che naturalmente devono essere preparati in maniera eccellente; quindi devono andare
a studiare a Napoli e prepararsi prima di affrontare la gestione della cosa pubblica. Allo stesso tempo
garantisce la loro istruzione e protezione assoluta ma pretende anche che questi funzionari dimostrino
e lo continuino a dimostrare una moralità senza ombre, quindi fedeltà, onestà.
Inoltre, istituisce uno studium generale interamente orientato al servizio dello Stato:

Una serie di privilegi e concessioni che Federico II volle aggiungere all’istituzione dell’Università di Napoli
per convincere i suoi sudditi a rispettare la sua volontà e a dare prestigio con la frequentazione numerosa
a questa università.
L’UNIVERSITA’ DI CATANIA
1434: Alfonso il Magnanimo, che era diventato re dopo che la Sicilia aveva perso la sua indipendenza
dall’Aragona, aveva istituito lo Studium generale a Catania per un motivo politico. Infatti, le università a
questo punto iniziano a nascere per motivi di ordine politico.
Tutto questo proprio a Catania perché nel 300 durante il dominio di Martino I, II, era diventata la
Capitale, la corte risiedeva al castello Ursino, quindi aveva un ruolo prestigioso ma che poi perde quando
la Sicilia perde la sua indipendenza. Ed è per questo motivo che Alfonso il Magnanimo istituisce lo
Studium, ma non essendo un’autorità imperiale era la chiesa che doveva confermare l’istituzione, quindi
nel 1444, il pontefice Eugenio IV firmò il documento. I corsi iniziarono con sei docenti nel 1445. Il vescovo
di Catania fungeva anche da cancelliere; i fondi per mantenere lo Studium di Catania dovevano essere
recuperati dalle tasse che provenivano dal commercio dei grani al caricatoio del porto.
Inizialmente era ubicata in case vicine alla cattedrale; nel 1595 ebbe sede nel palazzo di Piazza Stesicoro;
nel 1684 si traferì nell’odierno Palazzo centrale (ricostruito dopo il terremoto del 1693).
I «SAPERI», ARISTOTELE E LA SCOLASTICA
Gli studi ebbero un notevole incremento quando si diffusero le traduzioni delle opere di Aristotele, ma
soprattutto quando il suo sapere fu sdoganato dall’interpretazione di Tommaso d’Aquino con la
Scolastica. Aristotele aveva un fascino e un’autorevolezza straordinari, perché il suo pensiero era
superiore, in quanto si passava dal simbolismo, che aveva dominato il medioevo, ad un’interpretazione
razionale della realtà: offriva una chiave di lettura scientifica sui principi generali (essere, materia, forma
…). Aristotele aveva una visione deterministica della realtà che andava contro la dottrina cristiana
fondata sulla Rivelazione. Fu Tommaso d’Aquino a conciliare Aristotele con il cristianesimo, a unire
scienza e fede: la teologia diventa scienza derivata dalla verità di fede. Le verità di fede sono dimostrate
attraverso un procedimento (ragionamento) logico (metodo scolastico).
Tommaso si impegna a dimostrare tutte le verità teologiche a partire dall’esistenza di Dio, con la forza
della ragione senza negare il dogma stesso.
L’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO
È basato sulle lezioni (lectiones) e sulle questioni (quaestiones).
Le lezioni rappresentano l’attività ordinaria. La lezione consiste nella lettura e nel commento di un testo.
Il docente individua un testo, lo fa approvare da una commissione e poi lo propone ai suoi allievi, che
devono avere un testo uguale a quello del maestro, perché, mentre quest’ultimo lo spiega e commenta,
gli studenti prendono appunti direttamente sul libro, che deve avere un’impostazione particolare: ampi
margini, materiale non di pregio e formati particolari, piccoli così da poter essere trasportati facilmente.
Il commento del docente si basava sulla pratica del pro et contra (sic et non).
Le quaestiones, un esercizio importante in cui si mette alla prova la capacità di approfondire il proprio
apprendimento. Sono momenti in cui si affronta un argomento e poi il maestro, dopo aver sentito i vari
pareri, e fatti ritirare dai baccellieri, l’indomani dà conto dei risultati del dibattito → questa è la quaestio
disputata, che il maestro poteva proporre più volte durante l’anno.
La quaestio quodlibetalis → su un argomento qualunque per il maestro. Proposta due volte l’anno. Quindi
la questione da dibattere non veniva individuata dal maestro, ma lui doveva presenziare alla quaestio
senza conoscere prima l’argomento. Avveniva che altri docenti individuavano un argomento mentre
c’era già tutta l’assemblea riunita, e il maestro doveva assistere a questo scambio di idee ma
rispondendo a qualunque tipo di domanda gli venisse rivolta da docenti, studenti, baccellieri, ecc.
Le quaestiones spesso erano molto delicate perché riguardavano problemi di teologia o problemi di
rapporto con l’autorità civile, con la monarchia o con l’impero, quindi politici. La risposta del maestro
talvolta poteva metterlo in estremo imbarazzo, in quanto a volte la sua risposta poteva essere attaccata
anche sul piano teologico, ad es. alcuni maestri furono accusati di eresia.
Lo studente aveva un solo maestro che sceglieva quando si immatricolava e a volte restava lo stesso fino
alla fine.
La carriera più lunga era quella in teologia. Nella carriera vi erano due gradini:
1° gradino: baccalaureato, una sorta di triennale odierna. Si chiudeva con un esame dove, di solito, era proposta
una lectio. Il baccalaureato dava un titolo che era già spendibile, infatti spesso gli studenti non proseguivano. Per
esempio, potevano utilizzarlo nelle amministrazioni pubbliche
2° gradino: dottorato. Di solito si chiudeva con una quaestio e completava gli studi universitari.
Inoltre, la lingua era e rimase a lungo il latino.
I COLLEGI
Sono un’istituzione nata a fianco delle università, per servirle, e nascono per consentire agli studenti che
avevano una particolare propensione allo studio, e non avevano le possibilità finanziarie, di studiare,
assicurando vitto e alloggio. Ma tali collegi poi subiranno un’evoluzione diventando essi stessi sedi di
studio universitari.
I primi furono organizzati da mecenati, persone che si accorgono dei vari problemi a cui gli studenti
dovevano dar conto e cercano di risolvere la situazione. Il primo è il Collegio dei Diciotto (1180); altro
esempio è il Collegio di Costantinopoli (1204). In un primo momento erano delle dimore più o meno
semplici, mentre in un secondo momento erano degli edifici prestigiosi e imponenti, che seguivano, dal
punto di vista architettonico, l’impostazione monastica. Degli es. sono la maison de Sorbonne e i collegi
inglesi.
Almeno fino al 1367, per quasi un secolo e mezzo, questo fenomeno riguarda solo le grandi università
del nord, come Oxford, Parigi, ma non Bologna perché forse non si avvertì la necessità di aiutare gli
studenti per la loro provenienza da famiglie agiate.
La Sorbona di Parigi → fu fondato da Roberto di Sorbona (metà del XIII sec.), e gli fu possibile perché
godeva del sostegno del sovrano Luigi IX, così questi edifici furono anche dotati di grandi rendite. Era
aperta a 30 maestri delle arti, quindi laureati nelle arti e iscritti poi a teologia. Potevano essere anche
stranieri, non dovevano avere dei beni personali ma dovevano avere un’alta qualità intellettuale.
Il collegio si dotò di uno statuto che prevedeva un’organizzazione monastica dove gli studenti venivano
considerati socii del collegio e ottenevano una borsa.
Inoltre, nel collegio vi erano una cappella e una biblioteca, che in quel momento era la più bella e aveva
una dotazione libraria straordinaria.
Collegio di Navarra → altro grande collegio. Fondato dalla regina Giovanna di Navarra e di Francia nel
1305. Ella divenne regina di Navarra e poi sposò il sovrano di Francia, Filippo IV.
Dovevano esserci al massimo 70 ospiti che godevano di una borsa, a seconda di quale gruppo
appartenevano, così divisi: 20 scolari in grammatica, 30 in logica e filosofia e 20 in teologia.
Impegnò una cifra sostanziosa per acquistare ei terreni che dovevano rappresentare una rendita
costante per il collegio. Stabilì che vi fosse un grammatico per insegnare la grammatica, e riceveva una
doppia borsa, quindi era anche possibile che fosse preso tra gli studenti più bravi.
Stabilì, inoltre, che nel caso in cui uno studente superasse il reddito, in base se fosse grammatico, o
studente di arti o teologo, un altro studente più bisognoso prendeva il suo posto.
Era un collegio reale per formare ufficiali di grado elevato e chierici destinati a raggiungere i gradini più
alti dell’ordine. Assume quindi un significato politico e diventa un centro anti-borghese, ma nel 1418
tutto questo porta ad uno scontro gravissimo con la borghesia che finirà con il saccheggio del collegio.
EVOLUZIONE DEI COLLEGI
Accade che, pian piano, nei collegi incominciarono ad organizzarsi delle ripetizioni, quindi dei maestri
che aiutavano chi ad es. non era riuscito a capire bene. Poi si passò oltre, e per fare esercitare gli studenti
e permettergli di fare bella figura durante le quaestiones disputate, si organizzarono delle disputae e
anche delle lectiones, quindi nel collegio vi erano dei maestri, diversi da quelli delle università, che
facevano lezione. A quel punto il collegio si trasformò in una sede universitaria a tutti gli effetti, ma con
un limite: non vi si potevano svolgere gli esami finali, che restavano appannaggio delle Università.
Nel 1452 ci fu il tentativo di imporre la residenza in un collegio ma non andò a buon fine.
Gli studenti che frequentavano i collegi, pian piano, cominciarono a adottare una divisa, e per chi
frequentava era un onore, perché si distinguevano come studenti di élite.
GLI ORDINI MENDICANTI E LE UNIVERSITÀ
Gli ordini Mendicanti più noti sono: i francescani e i domenicani.
Questi ordini nascono nei primi decenni del 1200, e i due, nei quali ci soffermiamo, nascono quasi per la
stessa esigenza: la chiesa aveva dimostrato di nuovo di essere ricaduta in un periodo di profonda crisi ed
erano cominciate a essere individuate delle dottrine che la chiesa considerava che andavano contro
l’ortodossia, eretiche.
Nascono questi movimenti con un punto in comune: riportare la Chiesa alla povertà evangelica e
recuperare il prestigio dell’istituzione ecclesiastica.
Presupposti dell’intervento dei Mendicanti nella pubblica istruzione, nell’università:
- nonostante tutto, ancora si riscontravano chierici e addirittura vescovi «illitterati». Questo significa che la Chiesa
ricadeva un po’ nell’incultura
- i Mendicanti intuirono la valenza dell’istruzione universitaria e il prestigio che ne derivava. Anche perché
ottenere la licentia docendi era una garanzia
- i Mendicanti videro nelle Università un campo fertile per fare proselitismo d’élite, e quindi convincere gli
studenti universitari, meglio ancora se vicini alla laurea, a fare una scelta di vita ed entrare nell’ordine. Es.
nell’inverno del 1224, i domenicani arruolano a Parigi 40 novizi
Tra i due ordini furono preminenti i Domenicani, infatti furono i primi a introdussi nel sistema
universitario perché contavano sulla preparazione culturale per affrontare gli eretici; seguirono poi i
Francescani, nonostante Francesco avesse proibito addirittura il possesso di libri, e anche gli Agostiniani
e i Carmelitani. L’obiettivo dei due ordini, citato sopra, doveva essere raggiunto ma in modi
diametralmente opposti, perché:
- i Domenicani puntavano sulla preparazione culturale dei loro monaci, i rappresentanti dell’ordine
domenicano, che dovevano quindi essere preparati al massimo culturalmente, in quanto il loro “mezzo
di lotta” fu individuato nel confronto diretto nelle piazze con i rappresentati delle dottrine eretiche.
Dovevano dimostrare, a coloro che ascoltavano, che l’errore era dalla parte degli eretici e che la Chiesa,
invece, era nell’ortodossia. Tutto questo significa che i Domenicani per primi istituirono delle scuole e
si interessarono al fenomeno universitario.
- i Francescani, invece, dicevano che bisognava dimostrare la purezza della Chiesa con l’esempio
personale. La Chiesa doveva essere riportata alla povertà evangelica, i primi poveri in assoluto
dovevano essere i Francescani. Il Francescano non doveva possedere nulla se non il saio e un coltellino
come strumento di uso quotidiano. Quindi doveva convincere i fedeli soltanto con il suo esempio.
Dopo questi due ordini riscontriamo nel mondo universitario la presenza degli Agostiniani e dei
Carmelitani.
Tra il 1209 e il 1229 la Chiesa, Innocenzo III, aveva scatenato una vera e propria crociata (crociata:
prendere la croce per combattere in nome della Chiesa) contro gli eretici, i Catari, che si dichiaravano
nemici di entrambi i poteri, civile ed ecclesiastico perché rifiutavano ogni tipo di gerarchia (nessun
vescovo o abate, ecc.). Secondo loro ognuno doveva essere in grado di redimersi e di raggiungere la
salvezza solo attraverso le proprie forze.
Tappe principali dei domenicani:
-i domenicani si dotano di scuole (studia), una vera rete. Gli studenti più brillanti venivano poi inviati a
studiare nelle università, per conseguire il titolo di dottore in teologia. Quindi non era come la scuola
monastica che preparava solo i monaci e basta, era, invece, una scuola propedeutica per l’università.
1227: i domenicani, che capirono subito l’importanza dell’istituzione universitaria, si installarono nel
convento di San Giacomo a Parigi. E poi si concentrarono ad Oxford e anche a Bologna.
LA PENETRAZIONE DEI MENDICANTI NELLE UNIVERSITÀ
1° fase: installarono dei loro studia (= collegi) nei centri universitari, delle residenze destinate ai monaci
domenicani, per approfittare dell’insegnamento dei grandi maestri, in un primo momento docenti esterni
(secolari)
2° fase: (anni trenta del duecento in poi) negli studia insegnano maestri già dottorati, appartenenti all’ordine e
che possono diventare essi stessi dei maestri per i monaci dell’ordine
3° fase: si riscontra un’evoluzione simile a quella che aveva caratterizzato i collegi. Gli studia diventano cioè
facoltà a tutti gli effetti: facoltà teologiche che entrano in concorrenza con quelle universitarie
Nel frattempo, peraltro, i mendicanti avevano occupato le cattedre di teologia nelle Università. Spesso
si trattava di vecchi maestri che avevano aderito all’ordine e conservano le loro cattedre (a Parigi su 12
cattedre di teologia, 4, nel 1231, furono affidate ai mendicanti). Ma vi erano anche i nuovi maestri, che
pian piano, riuscirono a inserirsi nel mondo universitario.
Il risultato è che: talvolta i collegi erano incorporati nelle università; più spesso, dal secolo XIV, nelle città
dove esistevano studia dei mendicanti, non si potevano istituire facoltà di teologia, anzi gli stessi studia
si trasformarono in facoltà.
Tutto questo portò a scontri che si verificarono a Parigi tra il 1252 e il 1290, e ad Oxford tra il 1303 e il
1330. Si venne a creare, cioè, un rapporto conflittuale tra maestri secolari e maestri degli ordini
medicanti. Nel frattempo, anche i francescani si erano avvicinati al mondo universitario, superando
quell’idea di povertà assoluta, perché si arrivò alla concezione che a non possedere nulla, non dovevano
essere i conventi, ma i singoli monaci.
Questi scontri, non furono dovuti solo all’invasione dei mendicanti, ma anche perché i domenicani
imposero una loro versione dell’insegnamento universitario dove non riconoscevano gli statuti, non
rispettavano la frequenza obbligatoria della facoltà delle arti per accedere agli studi di teologia, non
ammettevano compensi per i maestri e negavano anche il diritto allo sciopero. Nonostante tutto questo
però ottennero l’appoggio incondizionato del papato, e una figura importante è quella di Benedetto
Caetani, nel 1290 del legato pontificio poi diventa papa con il nome di Bonifacio VIII. (Un'altra figura che
si affianca ai mendicanti è quella del re Luigi IX il Santo).
Si riscontra, quindi, un‘ingerenza forte del papato all’interno del mondo universitario, perché se la
Parens si era espressa in un modo, nella seconda metà del XIII sec., gli equilibri si erano del tutto
modificati, e la chiesa aveva dimenticato lo spirito puro dei primi movimenti universitari, ed era decisa
ad avere una rappresentanza forte e a gestire le università, soprattutto di teologia, con i suoi
rappresentanti e con gli ordini Mendicanti. Quest’ingerenza, tuttavia, limitò moltissimo l’autonomia
delle università ed ebbe un peso negativo sugli studi e sul pensiero teologico, in quanto fu subordinato
al papato.
Nonostante, però, i maestri degli ordini mendicanti conquistarono il monopolio degli studi di teologia,
non si registrò nessun nuovo approfondimento delle tematiche dottrinali, e si delinea una sorta di
cristallizzazione del pensiero teologico che poi fu, diciamo, macchiato dall’insorgere dell’Inquisizione.
VIVERE E LAVORARE ALL’UNIVERSITÀ (CAPITOLO 15)
Le fonti utili sono:
1. Gli statuti: valenza e limiti (testi di natura normativa e non pratica). Le università si dotano presto di statuti.
Hanno i limiti di tutte le fonti legislative, cioè sono testi di natura normativa e non pratica: si possono
paragonare alla legge, che esprime l’intenzione del legislatore che individua un problema della società e
stabilisce qualcosa a proposito del problema. Lo statuto è importante ma non bisogna prenderlo alla lettera.
2. Lettere, atti notarili, fascicoli giudiziari
3. Fonti materiali: edifici, libri, quaderni…
Tutto questo ci permette di sostenere che non vi è solo una tipologia di Università, ma nelle fonti si
riscontra una varietà di situazioni concrete, quindi a Parigi accadeva una cosa, a Bologna un’altra e così
via.
I problemi erano legati a:
1. Viaggio (riguardo a qualcosa di nuovo sappiamo di scelte fatte dagli studenti per diminuire i rischi del viaggio
e per abbattere i costi, per es. partivano a gruppi) e immatricolazione (lo studente si presentava al rettore che
lo registrava, incamerava la quota d’iscrizione e chiedeva alla matricola di giurare sullo statuto;
l’immatricolazione poteva avvenire in qualsiasi momento dell’anno; inoltre, lo studente sceglieva il maestro);
cambi di facoltà
2. partecipazione alla vita universitaria (festa delle matricole)
3. spese varie (vitto, alloggio, abbigliamento, libri…)
Durante le vacanze estive parecchi studenti preferivano non tornare a casa per le spese e il viaggio
pericoloso da dover affrontare.
Non sempre gli studenti universitari riuscivano a completare il loro percorso di studi a causa di problemi
finanziari, e forse era il problema più ricorrente. E quindi si dovette intervenire per ridurre la durata degli
studi, per tagliare i costi, ad es. si cercò di ridurre il diritto degli esami. Ma i problemi finanziari non erano
solo degli studenti, infatti anche le università avevano questi problemi; in generale non godevano di
grandi ricchezze, incameravano le quote di immatricolazione e degli esami ma erano minime rispetto
alle uscite, perché le spese erano tante e non restava molto; potevano contare anche su qualche
donazione ma non permettevano comunque di affrontare tutte le spese.
Le strutture e le attrezzature: in un primo momento si trattò di piccole case, stanze e quando bisognava
riunire tutta l’assemblea avveniva nelle chiese, nei refettori, in spazi molto ampi. Le aule erano poche
arredate, con la cattedra, il leggio, dei banchi (e sorse il problema dell’assegnazione del posto perché molti
pretendevano le prime file, sia i rampolli delle famiglie agiate sia i chierici, o anche gli studenti proveniente dagli
ordini monastici. Tutto quello significava una distinzione elitaria).
Vi erano anche cerimonie a cui partecipava tutta l’istituzione accademica, e tutti si dovevano disporre
secondo un ordine ben preciso, gerarchico: il rettore aveva il primo posto, poi i dottori (anche tra loro ci
doveva essere un ordine, prima i maestri di teologia, poi i giuristi, i medici e così via), i grandi maestri, seguivano
i baccellieri. Tutto questo portò anche a dei momenti di tensione.
DAL LIBRO SACRO ALL’EDITORIA UNIVERSITARIA
Con le nuove esigenze del mondo universitario cambia completamente la produzione del libro, ma anche
il rapporto fra l’individuo e il libro. Il libro fino a quel momento era un oggetto sacro per contenuti ed
allegoria, perché raccoglieva il messaggio religioso. Nel mondo cristiano i libri sono definiti celesti perché
si considerano prodotti degli angeli o addirittura ispirati direttamente da Dio perché contengono la
Rivelazione, il libro rappresenta la parola di Dio. Nel medioevo bisognava simbolicamente rappresentare
tutto e vi sono dei testi che sono impaginati a forma di croce. Tali libri hanno un valore allegorico ma
hanno anche un enorme valore materiale perché erano prodotti con la pergamena che costava non poco,
venivano utilizzati dei colori nelle pagine anch’essi costosi, le copertine talvolta di cuoi impreziositi da
oggetti preziosi. Tali libri erano di culto, venivano esposti nelle chiese.
Si può cogliere anche un’evoluzione dell’iconografia del libro sacro: nei mosaici del IV-V sec. il libro è
rappresentato aperto, tra le mani dei santi, degli evangelisti, di piccole dimensioni a forma
quadrangolare, la scrittura riempie tutta la pagina, e la sua apertura rappresenta un fattore simbolico,
cioè si può leggere, è aperto a tutti alla lettura e alla comprensione. Mentre dal VI-VII sec. in poi il libro
viene rappresentato quasi sempre chiuso e stretto al petto o a tra le mani del santo o dell’evangelista,
tutto questo perché ora è diventato un oggetto di adorazione, uno scrigno di misteri non accessibili a
tutti, solo alcuni saprebbero procedere ad una lettura esegetica del libro. Quindi per gli “illetterati” la
Chiesa produsse gli affreschi, che diventavano dei libri aperti, e la parola divina viene interpretata
soltanto dai predicatori.
LIBRO MEDIEVALE → caratteristiche:
- oggetto sacro e di lusso
- viene prodotto quasi esclusivamente dagli scriptoria nei monasteri
- impiego per mesi di uomini e mezzi per passare dalla pelle dell’animale alla confezione del libro, per lavorare i
colori le pergamene, ecc.
LIBRO UNIVERSITARIO → L’editoria si trasforma nel secolo XIII in conseguenza delle nuove esigenze nella
lectio. Il controllo della produzione passa all’università, bisogna moltiplicare la produzione dei libri che
non devono essere troppo costosi, utilizzando materiale più scadente ed essere alla portata di tutti. Così
si mise appunto un sistema rivoluzionario, per cui i testi universitari furono prodotti in maniera del tutto
diversa a cura di librai e allo stesso tempo editori che si chiamavano stationarii.
Cosa accadeva: il docente individuava un testo che voleva adottare, chiamato exemplar, poi lo
sottoponeva ad una commissione, formata da altri docenti, chiamati petiarii, affinché lo valutassero e
dessero o meno la loro approvazione. Tale testo era prodotto in maniera poco curata, non rilegato, e
quello che era importante non era la qualità ma la bella calligrafia, perché poi si doveva ricopiare.
A quel punto la commissione redigeva una lista dei tesi adottati e la davano agli stationarii, che
affiggevano la lista nella loro bottega.
Novità: i petiarii, non solo sceglievano il testo, ma stabilivano anche il numero dei fascicoli, nei quali si
poteva suddividere il testo e davano un valore a ciascuno di quei fascicoli, i peciae, unità di lavoro
tariffate, che avevano un costo, e lo studente poteva comprare tutto il libro o solo alcune peciae. La cosa
fondamentale fu la velocità di produzione che questo sistema garantiva. La riproduzione era affidata a
scribi di professione.
I MATERIALI: la pergamena. Poi si diffuse la carta, che in un primo momento non si produsse con la polpa
di legno ma con i cenci (la polpa di stoffa), che dava maggiore resistenza e durava molto di più.
A partire dal 1300 i produttori, per distinguere le loro produzioni, cominciarono a bollarle, cioè inserirono
tra i vari strati della poltiglia sottile e fluida che veniva lavorata dei bolli che si vedevano in controluce.
I testi universitari non avevano rilegature importanti, ciò che importava è che gli studenti avessero il
testo per utilizzarlo durante le lezioni.

Potrebbero piacerti anche