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Poesie di Quasimodo:

Ed è subito Sera
Ed è subito sera è, senza dubbio, uno dei componimenti più brevi e allo stesso tempo famosi
di Salvatore Quasimodo, poeta siciliano, rappresentativo come pochi altri della corrente ermetica. I
tre versi di cui si compone questa poesia erano parte, in origine, di una poesia più lunga dal
titolo Solitudini, che era contenuta in Acqua e terra, la prima delle raccolte di poesie pubblicata
dall’autore nel 1930.

Ognuno sta solo sul cuore della terra


trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

La lirica fa riferimento a un soggetto collettivo, quell’”ognuno” che rende la dolorosa


esperienza del poeta l’esperienza che viviamo tutti noi. Ogni parola ha un significato
estremamente denso e difficile da rendere in una parafrasi, per cui sarà bene analizzare i
punti più importanti di questi versi:

 Ognuno: Quasimodo con questa parola si riferisce all’intera umanità, incapace di


comunicare realmente e per questo destinata alla solitudine; elemento che viene
mostrato in modo chiaro da quel “solo” che segue nel verso.
 solo: l’autore sottolinea la condizione a cui è costretto l’uomo, non in grado di
esternare in modo efficace i suoi sentimenti, pensieri e sensazioni;
 sul cuore della terra: una metafora che spiega in maniera incisiva come quel
“ognuno” sia convinto di essere il centro nevralgico dell’universo e delle cose
terrestri;
 trafitto da un raggio di sole: in questo secondo verso si ha tutto il senso della vita,
che viene paragonata a un raggio di sole, che illumina e porta gioia, ma
che trafigge anche l’uomo, ferendolo, nel momento in cui gli reca dolori e dispiaceri.
Il raggio di sole è metafora di vita e felicità, che però si trasforma in un’arma,
essendo accostato al verbo trafiggere; la luce diventa così una spada che ferisce
ciascuna persona e la tiene attaccata alle cose terrene, che generano
inevitabilmente sofferenza e dolore.
 ed è subito sera: la sera simboleggia la morte, che arriva in maniera fulminea,
senza che ci si renda conto che la propria esistenza volge al termine. Con questo
verso Quasimodo mostra il senso della vita, la sua caducità e soprattutto il suo
essere precaria.

*Appunti
Quasimodo rappresenta una condizione umana in ogni verso: nel primo la solitudine nel
secondo il dolore e nel terzo la fugacità della vita/brevità della gioia. La realizzazione della
fugacità della vita è data dall’esperienza autobiografica del maremoto e la vita viene
paragonata ad una giornata, data dal veloce alternarsi di sole e sera, cioè vita e morte.

Alle fronde dei salici

“Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo è stata composta e pubblicata per la prima


volta su una rivista nel 1946, per poi essere inserita nella raccolta Giorno dopo giorno del
1947.
La poesia è stata scritta in seguito all’armistizio con le truppe anglo-americane, durante
l’occupazione nazista di Milano.
Con quest’opera Quasimodo si allontana definitivamente dall’Ermetismo e dal suo
individualismo avvicinandosi a una poesia mirata alla riscoperta dei valori di una società
collettiva (seconda fase, poesia civile). La riflessione di Quasimodo in questa poesia è
volta al significato e al ruolo della poesia stessa, muta e priva di valore dinanzi all’orrore e
al dolore provocati dalla guerra.
Sinestesie

E come potevano noi cantare


con il piede straniero sopra il cuore, ->dominazione straniera straziante e non dignitosa (Calgaco)
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo? -> immagine cristol., vittime del progresso
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

Questa poesia, uno dei più celebri componimenti di Salvatore Quasimodo - se non il più
celebre - è composta da dieci  endecasillabi sciolti.
Come già accennato, questa poesia testimonia il passaggio dal Salvatore Quasimodo
ermetista a quello del dopoguerra, fatto di testi concreti e calati nella storia, una poesia
forgiata negli orrori della guerra vissuti dall’uomo.
Il tema affrontato ne “Alle fronde dei salici” è chiaro fin da subito: Quasimodo parla di
come si vive da poeta durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo della resistenza ai
tedeschi.
La poesia è stata costruita a partire da un passo biblico, il Salmo 136, che racconta degli
israeliti che, deportati a Babilonia, si rifiutano di cantare lontani da casa loro.
Questo passo è contestualizzato nel recente passato di Quasimodo, che ha vissuto come
tutti oppresso dall’invasore tedesco, costantemente circondato da dolore e morte. In
questo contesto è impossibile per il popolo, per i poeti, abbandonarsi al canto e alla
scrittura.
Nella poesia si passa da un io privato a un “noi” che sa di popolo, di disperazione
condivisa.
Sul finale si intravede la riflessione sulla poesia in quella cetra appesa, poiché nemmeno i
poeti possono più cantare; la poesia rimane impotente e sconcertata davanti alle brutture
del conflitto mondiale. La guerra è letta solamente come l’invasione straniera, in questo
caso, vista attraverso gli occhi delle tante vittime italiane e senza far riferimenti alcuno al
Fascismo o alla Resistenza durante la guerra civile.
Questa poesia è la concretizzazione del cambio di direzione della poetica di Salvatore
Quasimodo: per alcuni versi ci sono elementi che danno una continuità rispetto al vecchio
sé, ma ciò che veramente cambia nel profondo sono i temi affrontati, molto più concreti e
di natura sociale e civile. La concretezza la si trova anche nel linguaggio, una concretezza
che era già visibile in poesie come “Ed è subito sera”.
*Appunti (natura)
Il salice è un simbolo molto forte, per i cristiani il salice ha simboleggiato alternativamente
la purezza, la riverenza e il dolore. In quest’ultimo senso va inquadrata la leggenda
secondo cui Cristo sul Golgota si rialzò aiutandosi con un ramo di salice. Leggenda vuole
che il salice avrebbe teso i rami verso il basso per aiutarlo. Dopo che Cristo riprese il
calvario, il salice non ripiegò le sue fronde e pianse per sempre. Ecco come e quando il
salice avrebbe assunto il portamento che tuttora conserva, con i caratteristici rami
decombenti.

Uomo del mio tempo


Uomo del mio tempo è una poesia composta da Salvatore Quasimodo, che compare come
ultima nella raccolta Giorno dopo giorno, pubblicata nel 1946. Come già accennato, il tema
centrale è l’eterno ritorno della guerra nelle esistenze dell’uomo; egli modifica solamente il
modo in cui le combatte, ma rimane primitivo poiché continua a farle. Così come altri
famosi componimenti dell’autore, anche questi versi nascono dal
profondo sconvolgimento interiore generatosi nell’autore in seguito agli orrori
della Seconda guerra mondiale. Questa poesia vuole essere un monito per le nuove
generazioni, un appello di pace e fratellanza perché ciò che è accaduto non debba mai più
ripetersi.
Vediamo ora insieme la parafrasi di Uomo del mio tempo e l’analisi del testo della poesia
di Quasimodo, uno dei più grandi esponenti dell’Ermetismo.
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Com’è subito intuibile, il tema centrale della poesia è il fatto che la natura umana sia
rimasta, nonostante millenni di evoluzione, la stessa di quella dell’uomo della pietra. Istinti,
sentimenti, pulsioni ed egoismo sono la chiave del modo di agire che, ancora in tempi
moderni, spinge l’uomo a fare la guerra, nonostante egli sia pienamente cosciente di cosa
comporta. La scienza ha fatto grandi passi, vero, ma l’uomo utilizza le conoscenza
acquisite per perfezionare le sue armi e portare sempre più distruzione e morte.
La civiltà, quindi, non ha fatto altro che dare la possibilità di fare guerre più grandi e
distruttive; l’uomo non ha imparato nulla dagli errori passati, e questo è evidente non
appena lo sguardo si posa su missili, carri armati, aerei costruiti apposta per uccidere le
persone.
L’"uomo del mio tempo", dice Quasimodo, ha perso ogni tipo di considerazione per i suoi
simili. Solidarietà, fratellanza, religione: per il poeta tutti questi valori sono ben lontani,
schiacciati dalla violenza che ha sopraffatto l’uomo, considerati gli orrori della Seconda
guerra mondiale.
La mente di Quasimodo va addirittura ai tempi di Caino e Abele, quando il fratello tradiva
l’altro fratello e lo uccideva. Così come allora, anche oggi l’uomo tradisce l’altro uomo e
pone fine alla sua vita. Menzogne e inganno sono giunti fino a noi, ma qui, nella parte finale
del componimento, Quasimodo lancia un appello, che si riapre a una flebile speranza:
i giovani, i figli di oggi, dovrebbero discostarsi da ciò che hanno fatto i padri, che tanto
giacciono ormai nelle tombe e hanno solamente avvoltoi a rodere il loro cuore, mentre
nell’aria si diffonde l’odore dei loro cadaveri portato dal vento.
La crudeltà umana, quindi, rimane nei secoli uguale a se stessa: l’uomo era e rimane
primitivo, istintivo, selvaggio e spietato come quando per uccidere utilizzava utensili
approssimativi. Non ci sono né amore né solidarietà per gli altri, nel nostro tempo.
Quest’orrore di cui Salvatore Quasimodo è stato testimone, che trapela in maniera forte e
chiara anche da altri suoi componimenti come Alle fronde dei salici e Ed è subito sera,
spinge però il poeta ad aprirsi a una speranza sottile, o quantomeno a esortare le nuove
generazioni perché quanto accaduto possa, finalmente, non ripetersi.

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