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Le orazioni di Cicerone: giudiziarie e deliberative.

Cicerone compose e pronunciò più di 100 orazioni, ma ce ne sono pervenute soltanto 58. La


maggior parte dei discorsi appartiene al genere giudiziario. In esse Cicerone affrontò questioni
come l’occupazione illegittima di un terreno; il parricidio; la richiesta di risarcimento danni; gli
atti di violenza; i reati di concussione; la legittimità o illegittimità di un testamento; l’accusa di
veneficio; l’omicidio; la corruzione elettorale ecc.
Altre orazioni invece fanno parte del genere politico o deliberativo: sono discorsi politici
pronunciati o nel Senato o nelle assemblee popolari.
Le orazioni di Cicerone: schema riassuntivo
Pro Quinctio – Cicerone nell’81 a.C. difende, in una causa civile Publio Quinzio spossessato
illegittimamente di un suo terreno da un certo Sesto Nevio, difeso a sua volta da Quinto Ortensio
Ortalo. Cicerone vince il suo avversario considerato il più grande oratore del tempo.
Pro Sexto Roscio Amerino – Nell’80 a.C. Cicerone è chiamato a difendere Sesto Roscio
accusato di parricidio. Roscio era stato inserito nelle liste di proscrizione (elenchi pubblici di
cittadini dichiarati traditori dello Stato, i cui beni venivano confiscati) da Crisogono,
potente liberto e favorito di Silla, che aveva così potuto acquistare a basso prezzo i beni
dell’ucciso posti all’asta. Assumere dunque la difesa di costui comportava per Cicerone il rischio
di esporsi a possibili ritorsioni da parte di Silla. Fatto è che Cicerone patrocinò la causa di
Roscio, smascherò l’intrigo e, per la seconda volta nel giro di un anno, sconfisse Quinto Ortensio
Ortalo, difensore degli accusatori di Roscio, con un discorso ancora tutto legato agli schemi
dell’asianesimo, chiassoso e roboante, forse per battere Ortensio con le sue stesse armi.
Verrinae – Cicerone vi sostiene l’accusa contro Gaio Verre, governatore della Sicilia dal 73 al
71 a.C. Verre è accusato dai Siciliani di averli derubati e depredati. Essi chiedono a Cicerone di
difenderli nel processo intentato contro Verre. Le Verrinae sono composte da sette orazioni:
 la Divinatio in Q. Caecilium, con la quale Cicerone ottiene che nella causa contro
Verre l’accusa sia affidata a se stesso e non a Quinto Cecilio, un amico di Verre che
non avrebbe fatto nulla per farlo condannare;
 la In C. Verrem actio prima, pronunciata dopo che Cicerone era stato in Sicilia per
acquisire le prove della colpevolezza di Verre;
 la In C. Verrem actio secunda, che l’oratore non pronunciò mai, ma che provvide
ugualmente a pubblicare. È divisa in cinque parti, ciascuna delle quali è dedicata ai
vari misfatti di Verre: quelli compiuti prima e durante la propretura in Sicilia; i furti di
frumento; le ruberie di opere d’arte; gli atti crudeli ai danni non solo di siciliani, ma
anche di cittadini romani.
Le Verrinae segnano la più grande vittoria di Cicerone su Quinto Ortensio Ortalo, difensore di
Verre, non soltanto dal punto di vista forense, ma anche, e ancor di più, dal punto di vista
stilistico. Infatti, la sua oratoria risulta molto più efficace rispetto ai precedenti discorsi; lo stile è
meno gonfio e ampolloso, è più incisivo, e si segnala inoltre per la sua varietà. Cicerone fa
ricorso a un’ampia gamma di tonalità e di livelli espressivi per colpire Verre in tutte le sue
malefatte: con un’ironia finissima, come quando si descrive la lettiga sulla quale egli viaggiava,
impreziosita da un morbido cuscino di stoffa maltese pieno di petali di rose; a volte invece fa
leva sul páthos, per suscitare lo sdegno dei giudici al ricordo delle infinite crudeltà perpetrate da
Verre, rappresentante del potere di Roma.
Le Verrinae hanno anche grande importanza dal punto di vista storico perché costituiscono un
ottimo osservatorio per rendersi conto della corruzione dei governatori romani.
Al periodo che va dal 66 al 62 a.C. – gli anni nei quali Cicerone ricopre le due più alte cariche
delo Stato romano – la pretura nel 66 e il consolato nel 63 – appartengono importanti discorsi
politici. Il primo è:
De imperio Cn. Pompei – pronuncata nel 66 a.C. perché si assegni a Gneo Pompeo il comando
della guerra contro Mitridate.
Ma il momento più alto dell’oratoria politica ciceroniana in questo periodo è costituito dalle
famose:
Catilinarie – quattro orazioni, due pronunciate in Senato e due davanti al popolo, contro Lucio
Sergio Catilina, ideatore e organizzatore di una congiura contro lo Stato (per un
approfondimento sulle Catilinarie leggi qui).
Al 62 a.C. risalgono due orazioni:
Pro Sulla – Cicerone, che ormai non è più console, difende un nipote di Silla accusato di aver
partecipato alla congiura di Catilina.
Pro Archia poeta – Cicerone difende Archia, poeta greco e suo maestro, dall’accusa di essersi
appropriato in modo illegittimo della cittadinanza romana. Ne chiede l’assoluzione, che si augura
sia accolta in quanto non si può disprezzare ed espellere da Roma un uomo come il poeta greco,
non solo perché dotato di grande ingegno, ma anche perché si è dedicato con amore
all’esaltazione delle imprese del popolo romano.
L’ultima orazione prima dell’esilio è la Pro L. Flacco, del 59 a.C:
Pro L. Flacco – Cicerone difende Lucio Valerio Flacco dall’accusa di aver governato malamente
l’Asia Minore.
Post reditum – Tornato dall’esilio, Cicerone scrive quattro orazioni. Le prime tre sono composte
nel 57 a.C. e la quarta nel 56 a.C. Nella prima, Cum senatui gratias egit, ringrazia il Senato e
nella seconda, Cum populo gratias egit, ringrazia il popolo per avergli consentito di recuperare
la propria libertà; nella terza De domo sua chiede ai pontefici la restituzione del terreno dove si
trovava la sua casa, abbattuta in forza di un decreto fatto approvare da Clodio; nella quarta, De
haruspicum responso, si difende dall’accusa di sacrilegio lanciatagli da Clodio.
Sono del 56 a.C:
Pro Sestio – Cicerone difende Publio Sestio dall’accusa di brogli elettorali.
Pro Caelio Rufo – Cicerone difende Marco Celio Rufo accusato da Clodia, sua amante, di aver
tentato di avvelenarla. Si tratta della stessa Clodia amata e cantata da Catullo con il nome di
Lesbia, sorella di Clodio, il tribuno che aveva mandato Cicerone in esilio. L’oratore presenta
Clodia come una donna di corrotti costumi, tanto che Cicerone ne insinua perfino rapporti
incestuosi con il fratello (per un approfondimento leggi Cicerone – La Pro Caelio, riassunto).
De provinciis consularibus – Cicerone propone di prorogare a Cesare il governatorato delle
Gallie (per un approfondimento leggi Cesare alla conquista della Gallia).
Pro L. Cornelio Balbo – in difesa di Lucio Cornelio Balbo, amico sia di Cesare che di Pompeo,
accusato di possesso illegittimo della cittadinanza romana.
In Pisonem – è del 55 a.C. Cicerone si difende da un attacco sferrato contro di lui in Senato da
Calpurnio Pisone, suocero di Cesare. Cicerone lo presenta come uno squallido “epicureo”,
contribuendo così in maniera decisiva a dare dell’epicureismo una visione deteriore e volgare.
Del 54 a.C. sono la Pro Plancio, la Pro Scauro, la Pro Rabirio Postumo. Sono tre discorsi in
difesa di Gneo Plancio, di Marco Emilio Scauro e del banchiere Caio Rabirio Postumo, accusati
rispettivamente di brogli elettorali, di concussione e di traffici finanziari illeciti.
Pro Milone – è del 52 a.C. Da molti studiosi è considerata il capolavoro dell’oratoria
ciceroniana. Milone era stato accusato di aver ucciso il 18 gennaio del 52 a.C. presso Boville,
sulla via Appia, Clodio, il peggior nemico di Cicerone. Il processo, iniziato il 4 aprile, si svolse
in un clima reso rovente dalla presenza di numerosi amici di Clodio, che rumoreggiavano e
intimidivano i giudici. Cicerone, pesantemente condizionato, pronunciò un discorso fiacco e
privo di ogni efficacia: poche parole e poi tacque, suscitando lo stupore di tutti. Milone,
condannato, si recò in esilio a Marsiglia. Successivamente Cicerone scrisse il discorso, e ne
venne fuori l’opera che oggi leggiamo, definita
da Quintiliano pulcherrima e nobilissima. Cassio Dione racconta (Storia romana, XL, 54, 3-4)
che Milone, esule a Marsiglia, dopo aver letto il bellissimo discorso, disse, con l’evidente intento
di deridere l’oratore, che se Cicerone avesse parlato nel modo in cui aveva scritto, egli non
avrebbe potuto mangiare a Marsiglia delle triglie così buone.
Le orazioni cesariane – Due furono pronunciate nel 46 a.C.: la Pro M. Marcello e la Pro Q.
Ligario, entrambe per sollecitare la clemenza di Cesare nei confronti dei due pompeiani; una nel
novembre del 45 a.C., la Pro rege Deiotaro, a favore del re della Galazia, accusato di aver
complottato contro Cesare. Le tre orazioni cesariane furono subito giudicate negativamente per
gli elogi eccessivi rivolti a Cesare, giudicate esempio di ipocrisia e di incoerenza.
Infine tra il settembre del 44 a.C. e l’aprile del 43 a.C., Cicerone, dopo la morte di Cesare,
attacca Marco Antonio, che si presentava sulla scena politica romana come continuatore
dell’opera del dittatore ucciso. Cicerone vedeva in Antonio colui che avrebbe definitivamente
affossato la repubblica. Così pronunciò 14 vibranti orazioni, le Filippiche, come le chiamò lo
stesso oratore prendendo a modello le Filippiche di Demostene (ma da alcuni sono dette anche
“Antoniane“), firmando la propria condanna a morte.

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