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Il sistema Giulio-Claudio
Stati “clienti” ed eserciti mobili, da Augusto a Nerone
In epoca giulio-claudia oltre alle legioni della fanteria pesante, ancora costituite in massima parte da
cittadini volontari a lungo servizio, esistevano gli auxilia, generalmente reclutati fra i peregrini.
Suddivisi in ali di cavalleria (alae), in coorti di fanteria leggera o unità miste di cavalleria e fanteria
(cohortes equitatae), erano funzionalmente complementari alle forze legionarie.
Le legioni vengono dislocate in modo da formare una sottile linea di confine con forze di riserva
praticamente inesistenti (le quattro coorti urbane presenti in Italia erano forze di polizia, e le nove
coorti pretorie erano una sorta di scorta degli imperatori); al tempo stesso, le legioni erano dislocate
anche seguendo logiche di sicurezza interna (es. in Spagna, appena pacificata, o in Dalmazia), per
prevenire e sedare le rivolte locali, che potevano sorgere ad esempio in reazione al sistema di
tassazione e di coscrizione imperiale (es. rivolta in Illiria del 6-9 d.C, o quella di Tacfarina in Africa, a
più riprese fra il 14 e il 24 d.C.). Le rivolte interne vengono avvertite come più pericolose delle
minacce esterne, che in questa fase sono rappresentate solo dai Parti (sotto gli Arsacidi vengono
indeboliti da lotte interne e non vengono avvertiti come una seria minaccia; secondo Tacito ad
esempio i Germani destavano più preoccupazione)
Un secondo strumento di controllo strategico sono le colonie (v. territori assegnati da Cesare e
Augusto ai veterani), basi di osservazione e controllo i cui abitanti, ex soldati e figli di soldati,
costituivano un esercito già pronto e capace di difendere le città in caso di attacco
In questa fase non esiste una demarcazione precisa dei confini dell’impero, né un sistema fisso di
difesa di tali confini; le legioni non sono ancora alloggiate in fortificazioni stabili costruite in pietra,
ma in tende di pelle o in quartieri invernali di legno; non dovevano difendere o intercettare gruppi di
predatori ma servire come forze mobili pronte ad attaccare di sorpresa. Non esisteva un limes (nel
suo significato posteriore; originariamente era invece la via perpendicolare al confine, quindi di
penetrazione nel territorio nemico). La protezione veniva assicurata in un modo indiretto che
permetteva di risparmiare il potenziale militare diretto, sfruttando invece gli stati e i popoli “clienti”
di Roma. A Oriente inoltre ci si affidava alle 4 legioni di stanze in Siria, e allo status di stato-
cuscinetto dell’Armenia
Rapporto patronus/cliens tipico della società romana, con concessione di beneficia da parte del
protettore in cambio di officia da parte del protetto
Non è corretto parlare di “stati cuscinetto” perché tali clienti non avevano un ruolo militare passivo
Anche qualora gli stati-clienti non fossero in grado di sostenere la difesa fino all’arrivo delle forze
imperiali, sarebbe stato comunque il loro territorio a subire i danni e non quello romano
Vespasiano inverte questa politica, annettendo in Anatolia gli stati del Ponto, della Cappadocia e
della Commagene, creando un presidio permanente di due legioni e nuovo settore di difesa, con
annessa infrastruttura stradale di sostegno
L’altro evidente contributo degli stati “clienti” era il reclutamento di truppe locali (auxilia), che
integravano l’esercito regolare romano (es. con arcieri) e venivano poi inserite nell’ordinamento
regolare quando lo stato veniva assorbito dall’impero
Roma governava anche i rapporti tra i suoi clienti, che non potevano ingrandirsi l’uno a spese
dell’altro (es. quando Erode inviò delle truppe nell’Arabia Nabatea, Augusto gli ordinò di fermarsi)
Una differenza tra i clienti orientali e i popoli dell’Europa continentale è che i primi sarebbero stati
meglio in grado di comprendere in astratto il potenziale militare romano, mentre i secondi avevano
bisogno di manifestazioni di forza concrete
I capi barbari potevano essere ricompensati con la cittadinanza o il grado di cavalieri, o, se non
sufficienti, con sussidi per le popolazioni (procedura comune già prima del principato)
Nel II secolo a.C. esistevano tre classi di fanteria pesante (hastati, principes, triarii), cui si
aggiungevano 1200 fanti leggeri (velites)
Con la riforma di Mario i velites vengono aboliti e il contingente di cavalleria, pare,
gradualmente ritirato (es. al tempo di Cesare non figurano); in seguito vengono eliminati anche i
triarii, per passare a una nuova organizzazione tattica con una coorte standard di 480 uomini,
muniti di gladium e pilum
Durante il principato la struttura rimane simile, tranne per un piccolo contingente di cavalleria
che, a quanto pare, viene introdotto di nuovo
Le legioni eccellevano in condizioni di combattimento ad alta intensità, contro masse compatte
e concentrate e contro i centri del potere nemico che piegavano con l’assedio e con l’assalto; la
cavalleria non aveva una forza d’urto ma era usata solo per azioni di avanscoperta e picchetto
Le legioni avevano un predominio nelle situazioni ad alta intensità anche sugli auxilia, che a volte
potevano essere poco fidati (nelle fonti si fa spesso riferimento a ciò); le condizioni però non
dovevano essere eccessivamente sfavorevoli (es. durante la rivolta di Civile e dei suoi batavi del
69-70 d.C. due legioni, sguarnite e a corto di vettovaglie, ebbero la peggio durante un assedio)
L’assenza di staffe ha fatto pensare che la cavalleria non potesse essere usata come forza d’urto,
e in ogni caso già nel periodo classico masse serrate di fanti scoraggiavano le cariche; i Parti
adottarono la soluzione di combinare cavalleria pesante (armata con lance) e leggera (armata
con archi) in modo da indurre la fanteria a serrare i ranghi e renderla più vulnerabile al tiro degli
arcieri
È possibile comunque che anche le alae di cavalleria ausiliaria possedessero un elemento d’urto,
almeno contro la fanteria leggera o corpi di fanteria male organizzati
Durante le guerre di Cesare in Gallia compare già il classico trio formato da arcieri cretesi,
frombolieri balearici e fanti numidi (lancieri?), che rimarrà una costante delle truppe ausiliarie
sotto il principato
Il vantaggio maggiore dell’arco sul pilum non era tanto la gittata ma il volume di tiro
Frombolieri e arcieri svolgevano la stessa funzione, cioè di copertura della fanteria durante
l’avanzata o la ritirata; lo stesso deve dirsi dell’artiglieria (ballistae), che in caso di terreno solido
e regolare veniva usata anche nelle battaglie campali
Gli ausiliari solitamente non erano dotati di artiglieria, perlopiù per ragioni di sicurezza
Le difficoltà che i Romani incontrarono con alcuni popoli (Parti, Daci, Sarmati, nomadi
dell’Arabia e dell’Africa settentrionale) erano in parte dovuti al fatto che essi non avevano una
struttura socio-economica basata sulle città da distruggere, ma abitavano in modo disperso e
per essere sconfitti era necessario il loro completo sterminio (es. Domiziano con i Nasamoni
nell’Africa settentrionale); se questa analisi è esatta, ciò costituiva un limite all’espansionismo
romano
Inizialmente istigati alla ribellione a favore di Vespasiano durante la guerra civile, quando non
servirono più i Batavi di Civile continuarono a perseguire la propria causa per la creazione di un
impero gallico, ma non trovarono l’appoggio degli altri Galli o dei Germani; in ogni caso, la
rivolta inflisse un grave colpo al prestigio romano
Tra il 70 e il 96 d.C. non vi furono grandi guerre di conquista; Domiziano affrontò i Daci (che non
era stato possibile ridurre a più miti consigli per via diplomatica) con alterna fortuna, per poi
abbandonare la guerra a causa dell’insorgere di minacce di invasione da parte dei Germani
(Marcomanni, Quadi, Iazigi) e dei Sarmati, e del tentativo di usurpazione di L. Antonio
Saturnino, governatore della Germania superiore
Un analogo tentativo di Traiano di ridurre la Dacia a uno stato-cliente dopo la campagna del
101-2 d.C. fallì, e nel 105-6 l’imperatore dovette riprendere le operazioni di guerra. Seguì la
campagna in Oriente del 114-117 (a causa come al solito dell’Armenia), ma dopo averla
condotta a termine con successo Traiano si ammalò e morì. Adriano attuò una politica di
consolidamento, abbandonando le conquiste di Traiano (tranne la Dacia), che allungavano
inutilmente i confini
L’accampamento mobile
Nella repubblica e all’inizio del principato, il mezzo più caratteristico dell’arte bellica romana era
stato l’accampamento mobile, che veniva eretto alla fine di ogni giornata di marcia; i critici
moderni hanno spesso osservato che la sicurezza garantita da questo tipo di accampamento non
era commensurabile all’enorme sforzo necessario per costruirlo. Va comunque sottolineato che
l’effetto psicologico di sicurezza che forniva, e che il lavoro impiegato permetteva di ridurre il
numero di sentinelle necessarie, garantendo il riposo al resto delle truppe
Al tempo di Adriano si avverte un mutamento nella percezione dei confini di Roma, che si fa
più definita: la linea invisibile di demarcazione del potere imperiale lascia il posto a concrete
difese di frontiera, come in Germania o nell’Africa settentrionale (Fossatum Africae, in Algeria,
forse la prima linea di demarcazione continua di epoca imperiale, se costruita sotto Domiziano)
Tale nuova strategia difensiva si fa risalire ai Flavi, che in oriente smantellano il sistema
clientelare annettendo l’Armenia Minore, la Sofene e la Commagene: da lì in poi in ogni settore
del limes si costruiscono reti stradali, fortini, torri di osservazione o di segnalazione; si passa dal
sistema delle clientele a un metodo basato sull’uso diretto della forza militare; avvento di una
nuova strategia di difesa basata sui confini di sbarramento; creazione di nuove infrastrutture
amministrative e di una nuova rete di comunicazioni, aumento del contingente legionario (dalle
4 legioni giulio-claudie al tempo di Adriano ne figurano 8) senza però aumentare
sostanzialmente gli effettivi, esaurendo le riserve e togliendo elasticità all’esercito
In epoca post-Flavia si applica uno schema di difesa “avanzata”, che aveva lo scopo di
intercettare il nemico oltre i confini imperiali
Nel II secolo rispetto all’età giulio-claudia e alle sue frontiere scarsamente vigilate si fa strada
l’esigenza di assicurare una sicurezza continua alla vita e alla proprietà dei civili, e tenere
separate le popolazioni provinciali da quelle barbariche
Progressivamente i rapporti di sovvenzionamento tra i “clienti” e l’impero mutano, dalla
funzione iniziale di donazione come ricompensa per qualche valido comandante si passa a una
rendita per buona condotta
Il Fossatum Africae
La sua costruzione fu condizionata dal fattore idrico, giacché il fossatum corrispondeva a degli
schemi lineari di approvvigionamento d’acqua che permettevano di creare delle oasi coltivate
lungo un vasto tratto di quella che sarebbe stata altrimenti una fascia di deserto; esempio di
barriera continua di confine progettata non come linea Maginot ma per permettere lo sviluppo
di una vita civilizzata secondo criteri intesi a facilitare la sopravvivenza a lungo termine
dell’impero, creando un ambiente sociale capace di recepire gli ideali romani e di rispondere
adeguatamente all’autorità imperiale
Il Vallo di Antonino alla fine del secolo fu abbandonato perché – anche se più conveniente
rispetto a quello di Adriano – racchiudeva e confinava con una popolazione refrattaria alla
romanizzazione
La campagna militare di Domiziano contro i Germani (83-5) portò alla creazione di una linea di
frontiera meglio organizzata
Il limes Porolissensis creato con la conquista della Dacia rappresentava un saliente i cui fianchi
erano occupati da popolazioni soggette al controllo diplomatico di Roma (Iazigi e Roxolani); con
la crisi del III secolo divenne una zona vulnerabile perché Roma aveva perso il controllo sui
Sarmati su entrambi i lati, e sotto Aureliano (o appena dopo) fu abbandonato
La guerra di Traiano contro i Parti (114-117), iniziata sempre a proposito di contese in Armenia,
da alcuni è stata interpretata come un tentativo di creare una frontiera “scientifica” al di là
dell’Eufrate, giacché i Romani si trovavano in una posizione svantaggiosa dove dovevano
difendere una striscia di terra lunga e stretta, compresa fra il mare a ovest, e un fianco
vulnerabile a est; altri pensano che mirava a un controllo delle vie di penetrazione commerciale
verso l’India
Oltre l’Armenia l’altro stato-cuscinetto era l’Osroene, su cui però nacquero conflitti fino
all’annessione definitiva con Settimio Severo
Durante il II secolo aumenta la proporzione di truppe ausiliarie, più leggere e adatte a compiti
di guardia e sentinella sul confine
Introduzione del corpo dei numeri, unità più piccole degli auxilia che al contrario di essi avevano
mantenuto un carattere nazionale; manodopera facilmente reperibile e che si rinnovava perché
al contrario degli auxilia al congedo non ricevevano la cittadinanza ma tramandavano il proprio
ruolo ai figli
Data la territorializzazione delle legioni, le truppe legionarie richieste per le operazioni su larga
scala venivano fornite sotto forma di distaccamenti (vexillationes), uso che si intensifica dopo
Traiano; in genere si trattava di soldati privi di legami familiari che non avevano motivo di
rimanere attaccati a un territorio. L’uso di vexillationes evitava di dover spostare intere legioni,
cosa che avrebbe esposto a gravi rischi il settore rimasto scoperto (subito dopo la conclusione
della guerra contro i Parti, Marco Aurelio fu costretto a muovere contro i popoli settentrionali)
Alla fine, per compensare la minore elasticità del sistema nel 165 fu necessario ricorrere al
reclutamento di nuove legioni (II e III Italicae)
Avendo sviluppato nel II secolo un ampio sistema di difesa di confine, la risposta dei Romani alla
prima grave penetrazione nemica, avvenuta sotto Marco Aurelio (166 ca.), consisté
nell’incrementare e riparare il sistema difensivo già esistente. Non fu adottato né un metodo di
difesa «elastica» né di difesa «in profondità», bensì furono rafforzate le opere di fortificazione e
aumentate le guarnigioni lungo i tratti di confine più vulnerabili; furono create due nuove legioni
(II Italica e III Italica), e dislocate rispettivamente nel Norico e nella Rezia, due province che fino
a quel momento erano state sprovviste di presidi legionari. La fondamentale strategia difensiva
di confine non fu abbandonata neppure quando, un secolo più tardi, fu creato il primo nucleo di
una riserva strategica sotto l’imperatore Settimio Severo, e continuarono invece i tentativi di
porre rimedio localmente alle carenze del sistema difensivo, mediante la costruzione di ulteriori
fortificazioni e la creazione di nuove guarnigioni.
Con il tracollo delle difese durante la crisi del III secolo, nel punto in cui le difese fossero state
sfondate si passa alla strategia di tipo elastico, ma nel caso fosse stato possibile operare una
scelta deliberata si preferiva una strategia di difesa in profondità. L’adozione di questo sistema
di difesa, avvenuta alla fine del III secolo, non fu né totale né definitiva, e ogni volta che
mostrava segni di successo veniva abbandonata e si cercava di restaurare il sistema di
sbarramento. Su questo principio era basata la politica militare di Diocleziano e quella dei più
fortunati tra i suoi successori, fino a Valentiniano (364-375), sotto il quale fu fatto l’ultimo
tentativo di difesa mediante il sistema a sbarramento.
Durante il tardo impero, il vantaggio più importante rimasto alle forze romane era quello della
logistica e dell’approvvigionamento
I forti del I e II secolo non erano adatti a resistenze prolungate perché servivano da basi per
operazioni tattiche di tipo offensivo; nel III secolo vengono rivisti aggiungendo tutta una serie di
dispositivi e miglioramenti difensivi
Il precedente sistema a sbarramento era superiore per i benefici che garantiva alla società, ma
eccessivamente costoso da mantenere, in presenza di nemici divenuti capaci di concentrare un
enorme numero di soldati su qualsiasi settore dei confini; inoltre questo sistema non
presentava una resistenza elastica, poiché non esistevano fortificazioni dietro le difese della
linea di confine. Una difesa in profondità, invece, poteva sopravvivevere anche a penetrazioni
gravi e prolungate senza subire un tracollo totale.
In presenza di continui flussi migratori da nord a sud e da est a ovest la strategia romana
doveva mirare non a una vittoria totale ma al mantenimento di un livello minimo ma
adeguato di sicurezza, al minor costo possibile per la società
La differenza tra i conflitti con i popoli settentrionali e quelli con i Parti è che i secondi erano
sporadici, con una fine e un inizio precisi
Nel 167 Quadi e Marcomanni arrivarono fino ad Aquileia; si trattava comunque di razzie su
larga scala che non provocavano danni alla base logistica dell’impero, rendendo la vittoria
finale dei Romani solo una questione di tempo (179 d.C., vittoria sul Danubio)
Alla metà del III secolo i pericoli si fanno più gravi: i Goti, avversari più temibili dei precedenti
Carpi e Sarmati, nel 238 si spingono a ovest fino ad attaccare Tira (sul Dnestr) e ad attraversare
la foce del Danubio quattro anni più tardi; dal 253 al 269 circa Goti ed Eruli saccheggiano le
coste del Mar Nero e in seguito quelle del Mar Egeo, penetrando anche nell’entroterra; gli
Alemanni nel 260 costringono i Romani a evacuare il limes antoniniano oltre il Reno e il
Danubio; i Franchi nel 275 oltrepassano il confine in seguito alla caduta dell’impero gallico;
inoltre pirati sassoni che minacciavano le coste della Britannia meridionale e della Gallia, le cui
devastazioni dovettero intensificarsi nel periodo 268-282 d.C.
I pericoli maggiori si manifestavano in presenza di attacchi simultanei (es. Alemanni nel 233, in
simultanea alla controffensiva romana contro Ardashir; il crollo finale del confine terrestre fra il
Reno e il Danubio avviene nel 260, al tempo delle massime pressioni sul fronte orientale)
A Oriente esisteva un chiaro rapporto reciproco, più o meno intenzionale, fra il ritmo degli
attacchi per terra e per mare dei Goti, e l’intensificarsi delle pressioni persiane. Nel 250 Decio
partì per ristabilire il confine lungo il corso inferiore del Danubio, ma l’anno successivo subisce
una disastrosa sconfitta ad Abritto; nel 252 Shapur dà inizio a un’offensiva, e nei quattro anni
seguenti si verificano invasioni (la Dacia viene sommersa dai barbari, i Goti raggiungono
Salonicco, Shapur conquista il territorio fino ad Antiochia, Franchi e Alemanni sottopongono la
frontiera romana a pressioni costanti
A causa dei ripetuti spostamenti delle vexillationes, verso la fine del III secolo le basi legionarie
dovevano ospitare perlopiù soldati anziani e quelli altrimenti inadatti al combattimento sul
campo; la riorganizzazione delle difese di confine rappresenta quindi un adattamento del
sistema alle proprie risorse, giacché era impensabile che unità militari fisse e sempre più simili a
una sorta di milizia potesse servire efficacemente come forze mobili d’attacco, ma se provviste
di mura e torri potevano resistere a lungo
Nel 288 l’impero riesce a organizzare un attacco su grande scala con Massimiano che attraversa
tutta l’Africa settentrionale; ciononostante, il limes di Volubile viene evacuato, giacché la
vittoria aveva creato le condizioni per una riorganizzazione dei confini in base a considerazioni
strategiche che riguardavano l’impero nel suo insieme
La pace con la Persia del 298 rappresenta l’unica situazione in cui si registra un miglioramento
strategica; altrove invece si abbandona la Dacia (sotto Aureliano il confine si ritira sulla linea
fluviale di epoca precedente a Traiano, e stessa cosa in Germania); analoga ritirata nella
Mauritania Tingitana
Dalla seconda metà del III secolo in poi, in seguito alla grande invasione dell’Italia del 259-260 a
opera degli Alemanni (poi sconfitti a Milano da Gallieno) e a quella degli Iutungi (messi in fuga
da Aureliano nella valle del Po) sia i forti normali che i fortini stradali iniziano a essere edificati
sulle vie di comunicazione all’interno dei confini (sotto il principato, alle maggiori vie di
comunicazione erano stati riservati solo limitati presidi, formati da distaccamenti di soldati scelti
fra i legionari e adibiti al servizio di sentinella); creazione di barriere multiple attraverso i
corridoi di invasione che conducevano all’Italia settentrionale; i fortini stradali erano sufficienti
a garantire una certa sicurezza contro le invasioni che si disperdevano durante le varie
scorrerie, e contro il brigantaggio, quest’ultimo favorito dall’oppressione fiscale
Diverse città si affrettano a costruire cinte murarie (es. Atene in seguito all’attacco degli Eruli
del 267), anche incorporando le strutture urbane; talvolta si abbandonano vaste strutture fisse
tornando ai villaggi fortificati in altura; processo di ibridazione tra città e forti, con città che si
trasformano in forti e viceversa (es. fattorie fortificate in Libia lungo il limes Tripolitanus)
La trasformazione dei centri rurali in punti fortificati era più semplice nelle zone aride, dove le
disponibilità idriche già imponevano una concentrazione della vita rurale; più difficile invece
nelle regioni in cui esistevano vaste riserve d’acqua (Europa), dove la vita rurale era diffusa ad
ampio raggio e il problema delle difese non poteva essere risolto in modo economico e solo i
proprietari terrieri più ricchi potevano potevano permettersele
1
Muro di cinta basso, situato esternamente rispetto alla cinta muraria principale, utile per aumentare la linea
difensiva raddoppiandone il tiro, oltre che per effettuare spostamenti all’esterno della città senza essere visti
Le truppe imperiali erano più numerose di prima, ma non venivano più dislocate esclusivamente
lungo la linea di confine; di conseguenza, i forti e le fortezze del tardo impero erano occupati da
un numero di soldati molto minore di quello del I e II secolo.
Dal III secolo l’importanza delle legioni subisce un costante deterioramento; sui confini ora non
avevano il tipo di mobilità richiesta ai compiti di difesa, la loro funzione era stata quella di
stabilizzare politicamente più che militarmente le frontiere
Nel IV secolo le truppe a tempo pieno che avevano esercitato la sorveglianza dei confini in base
a una tattica mobile e difensiva cedono il posto a soldati-contadini (limitanei) che coltivano la
terra a esse assegnata e prestano unicamente una difesa statica e localizzata (la nuova strategia
richiedeva soprattutto soldati capaci di resistere nelle loro posizioni); più adatti al ruolo di
difensori in quanto avevano le proprie famiglie e i propri possedimenti da proteggere in situ
Probabilmente la qualità dei limitanei era influenzata anche da quella delle truppe a tempo
pieno di stanza nel loro settore (se si trattava di unità mobili valide, o di truppe già degenerate
in una milizia territoriale o composte da pensionati); ai limitanei era richiesto solo di offrire una
tenace resistenza e di servire da appoggio alle truppe mobili in azione nella zona
Non è detto che nel III secolo le legioni avessero perso la propria leggendaria efficienza, giacché i
pericoli si trovarono ad affrontare erano di molto superiori a quelli sotto il principato
La Notitia Dignitatum (fine IV – inizi V secolo) parla di 188 tipi di “legioni”, ma si tratta di unità
da combattimento diverse, formate probabilmente da 1000 uomini per quelle mobili da campo,
e 3000 circa o anche meno per quelle territoriali; i soldati non erano più forze scelte di fanteria
pesante ben addestrata ed equipaggiata; l’artiglieria non faceva più parte dell’organico
legionario; al gladium si sostituiva la spatha, spada lunga di origine barbarica più adatta a un tipo
di battaglia indisciplinato e in ordine sparso; già al tempo di Diocleziano le legioni erano state
indebolite dalle rimozioni di vexillationes non risarcite, dallo sfacelo a livello dei rifornimenti e
del comando, dalle ripetute invasioni
Fin quando Diocleziano non riformò le legioni, non era più possibile realizzare una strategia
basata sulla difesa avanzata (poiché richiedeva una netta superiorità tecnica a livello locale), e
tantomeno una difesa in profondità, che richiedeva una rete sicura di forti e avamposti
fortificati; l’unico tipo di difesa possibile nel periodo 250-284 era quello elastico, che in ogni
caso garantiva una sicurezza finale al potere imperiale (ma non al suo territorio)
Diocleziano si propone di ristabilire una difesa territoriale, se non di sbarramento almeno in
profondità, con cui esporre alle operazioni belliche solo le zone esterne ai confini; costruzione di
innumerevoli fortificazioni e infrastrutture su tutto il territorio (es. Strata Diocletiana costruita
dopo la guerra contro i Persiani fra il 293 e il 305), mantenimento di teste di ponte fortificate
(es. sul lato opposto del Danubio, nella Ripa Sarmatica) per intercettare in tempo gli attacchi
nemici; rioccupazione dei vecchi forti lungo il Danubio; tutto ciò era finanziato da uno spietato
sistema di tassazione in natura
È possibile che al tempo dell’abdicazione di Diocleziano (305) fossero state aggiunte fino a 35
nuove legioni (per un totale di 67 o 68), che non erano i battaglioni di 1000 uomini caratteristici
dell’epoca successiva)
Costantino
Il sistema viene sostituito da un altro in cui valide forze mobili da campo (comitatenses)
vengono concentrate per servire in operazioni che interessavano tutto l’impero, indebolendo di
conseguenza le truppe provinciali; decadimento anche qualitativo (dequalificazione delle
caratteristiche fisiche richieste nel reclutamento)
L’evoluzione post-costantiniana
Alla fine del IV secolo si osserva una nuova organizzazione:
Nuove unità, i c.d. palatini, fungono da truppe centrali da campo, sotto il comando diretto degli
imperatori di Oriente e Occidente
I comitatenses sono diventati eserciti regionali da campo di rango inferiore
I limitanei sono decaduti a un rango ancora più basso