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PRO CAELIO

Per affrontare la Pro Caelio, orazione scritta e pronunciata da Cicerone in difesa del giovane Marco Caelio,
occorre necessariamente immergersi nel mondo politico dell’allora attualità.

Questo potrà essere fatto da due punti di vista:

- dal punto di vista dell’oratore, di Cicerone


- da quello del giovane Caelio, precedentemente accusatore, a sua volta accusato.

CICERONE

- Nell’anno 58 a.C. uno degli esponenti della fazione dei populares, il politico Clodio, riuscì ad
emanare la “Lex Clodia de Capite Civis Romani”, secondo la quale chi avesse deliberato una
condanna a morte senza prima concedere la “provocatio ad populum” (ossia la facoltà
dell’imputato di appellarsi al popolo per evitare la condanna) sarebbe stato esiliato.

- Ora è nota la repentina condanna di Cicerone nei confronti di Catilina e dei ribelli suoi congiurati
nell’anno 63 a.C., condanna che gli costò l’esilio nel 58, 5 anni dopo.

- Egli, nemico politico di Clodio, scappò per evitare la condanna (nonostante ciò i suoi beni e la sua
casa furono bruciati e rasi al suolo) e trascorse la maggior parte dell’esilio a Salonicco, nell’attuale
Grecia.

- Il 4 Agosto del 57 a.C., quando finalmente una legge in suo favore fu approvata, nonostante i
numerosi e repentini tentativi di Clodio di bloccarla, egli ritornò a Roma.

- Il processo in difesa di Marco Caelio fu un’occasione, per Cicerone, di attaccare in maniera più o
meno indiretta il suo nemico Clodio, che era legato agli accusatori.

- Questo è perciò il clima politico che riscaldava i giorni di Cicerone.


MARCO CAELIO

- Altrettanto caldi si possono definire quelli del giovane imputato, Marco Caelio.

- Egli era avvocato e allievo dell’amico Cicerone, esponente degli optimates, ma noto voltafaccia, e
facente parte di quella categoria di accusatori così nota a Roma per la loro impudenza nello scalare
la montagna della carriera.

- La loro fama era dovuta alle accuse che essi facevano, da giovani attori sul palcoscenico politico di
Roma, alle personalità più mature e anziane, in un conflitto generazionale.

- Uno dei suoi accusati fu Lucio Calpurnio Bestia, padre del giovane Atratino, che, per vendicarsi,
accuserà a sua volta Marco Caelio.

- L’intero processo ebbe anche un lato pseudo-sentimentale: l’accusa venne infatti sfruttata da
Clodia, sorella dell’antico rivale di Cicerone, per muoversi contro il “tradimento” del suo amante
Caelio, che l’aveva abbandonata.

- Cicerone accettò per queste cause così evidenti la difesa nel processo che si tenne il 4 Aprile del 56
a.C., anche se il gioco politico dietro a tutta la questione è veramente grandioso. La vicenda infatti si
attua nello sfondo di scontri fra optimates e populares, fra Pompeo, il re Tolomeo e la fazione
Ciceroniana, e i loro crescenti avversari politici, che avevano tentato, con Catilina, di ribaltare la
situazione a loro favore.
ANALISI

Per cominciare in maniera effettiva, occorre fare un’analisi dell’opera, mettendo in luce le strategie
Ciceroniane.

- L’orazione avvenne il 4 Aprile del 56 a.C., durante i Ludi Megalenses, durante perciò, un giorno di
festa, giorno che sarebbe stato peraltro sfruttato da Clodio per celebrare la sua casata.
- L’opera si presenta come un'orazione giudiziaria in difesa dell'imputato.
- La struttura si compone seguendo la rigorosa retorica ciceroniana, cominciando con l’exordium,
indugiando sull’argomentatio, e concludendo con la peroratio.

- Come è noto, i doveri dell’oratore ciceroniano sono principalmente tre: docere (insegnare),
delectare (divertire), movere (suscitare emozione). La mano di cicerone si regola fra queste classi,
avendo cura di riuscire sempre amabile agli occhi del pubblico senatorio. Cicerone era infatti a
conoscenza dell’irritabilità dei senatori, privati peraltro di un giorno di festa per presiedere ad
un’accusa.

- Ad un occhio oggettivo la terza funzione, “movere” è poco utilizzata in quest’opera.

- L’officium docendi è invece presente nella prima sezione del testo, sfruttata per far luce sulle
accuse e sulla storia del giovane Caelio.

- La più importante delle funzioni (delectare) è sfruttata appieno nell’opera: il registro sublime /
tragico, poi comico si alternano in un combattimento contro l’irritabilità senatoria, con metodo
ricco e svariato, in grado di mutare in maniera estremamente veloce e agile. Si possono infatti
notare scene più ferme ed emotive come la descrizione della morte del marito di Clodia, e termini
decisamente più bassi e provenienti dal vulgus, con tracce del “sermo cotidianus” nei diminutivi e
superlativi utilizzati. Abbonda l’uso dell’ironia con doppi sensi e giochi di parole.

- Il tutto è racchiuso dall’occhio oggettivo della focalizzazione esterna.


EXORDIUM
L’opera comincia con l’Exordium, introduzione di grande maestria.

- Abbiamo detto che il processo si svolge durante la festa dei Ludi Megalenses, e ci siamo soffermati
sulla facile irritabilità dei senatori messa ulteriormente a prova dalla mancata possibilità di
partecipare ai giochi.

- La mossa di Cicerone è quella di cominciare con una sorta di “captatio benevolentiae” rivolta ai
giudici, riuniti “eroicamente” quel giorno per un processo “senza alcuna urgenza”.

- Egli ricorre ad un’immagine audace, quella di un giovane che, passo per passo, con una sorta di
CLIMAX discorsivo, tenta di apprendere la gravità di un processo, tale perché si debba svolgere
proprio in un giorno di festa.

Si quis (qualcuno, SOgg), iudices, forte (per caso, periodo ipotetico) nunc adsit (cong pres) ignarus
(sogg) legum (complementi di specificazione che indicano di cosa sia ignaro), iudiciorum,
consuetudinis nostrae, miretur (cong pres) profecto (avverbio=certamente), quae sit tanta atrocitas
huiusce causae, quod (avverbio interrogativo) diebus festis (iniziano complementi di tempo)
ludisque publicis, omnibus forensibus negotiis intermissis (part. Congiunto valore temporale) unum
hoc iudicium (soggetto) exerceatur (cong pres).

Se per caso, o giudici, fosse qui presente qualcuno ignaro delle leggi, dei tribunali/processi, della
nostra prassi giudiziaria, certo si meraviglierebbe di quale sia la così eccezionale gravità di questo
processo, per il fatto che solo questo è dibattuto in giudizio in giorni di festa e di pubblici giochi,
mentre tutte le altre attività giudiziarie sono sospese;

- Successivamente, proseguendo la sua immagine mentale, descrive come il giovane non saprebbe
spiegare la gravità del processo, appreso che non si tratta di accuse estremamente urgenti.

(..) nec dubitet (seguito da completiva introdotta da quin(=che), con consecutio temporum; cong
pres), quin tanti facinoris (compl specificazione, gen sing) reus (sogg) arguatur (cong pres), ut eo
(avv=a tal punto) neglecto (part perf) civitas (sogg) stare non possit (cong pres) (..)

e non dubiterebbe che l’imputato sia accusato di un delitto così grave che, se trascurato, la città
non potrebbe rimanere stabile;

- Egli, invece, appreso che si tratta di un delitto non grave

“(..) cum audiat nullum facinus, nullam audaciam, nullam vim (..)”

(..) Né di un attentato, né di un colpo di mano, né di una violenza qualsiasi (..),

ma che si tratta di una vendetta personale (da parte di Atratino) e del capriccio di una prostituta
(Clodia), allora chiederebbe che l’indegno capriccio venga represso. “(..) Libidinem muliebrem
comprimendam putet (..)”.
- È così dunque che si apre l’opera, cominciando con l’asserire la pochezza di queste accuse,
sminuendole già dal primo istante.

LE ACCUSE

- Ma quali sono, nello specifico, queste accuse?

- Ora, le accuse pronunciate a danno di Marco Caelio sono tante e si presentano suddivise in diversi
livelli.

- Una prima accusa si presenta al livello relazionale: si accusa il padre di Marco Caelio di vivere
facendo poco onore al suo titolo di cavaliere, e di essere trattato male dal figlio.

- La seconda accusa, di ordine politico, dichiara Marco Caelio come amico di Catilina e probabile
ribelle e facente parte della congiura.

- Non solo, ma la terza accusa è sfruttata per dichiararlo fra i colpevoli dell’assassinio del filosofo
Dione, capo della delegazione anti-Tolomeica.

- Successivamente si arriva poi all’ultimo ordine di accuse, quello morale: lo si accusa di cattiva
condotta, di frodi elettorali, di aver intrattenuto rapporti disonorevoli con Clodia e di averla
truffata prima, e poi di aver tentato di avvelenarla. MORALITÀ

Le accuse politiche sono trattate in maniera molto veloce da Cicerone, e non presentano grande interesse
dal punto di vista retorico (effettivamente queste accuse erano state confutate da i primi due difensori).
Cicerone, da ultimo difensore, per sua diretta volontà, si dedica per larga parte alla moralità del giovane.

CLODIA
Una fra le accuse più importanti è certamente quella rivolta da Clodia al giovane Celio, di immoralità.

- La difesa di Cicerone è di certo abbastanza retorica, poiché non ne sminuisce le azioni, ma


semplicemente si limita a domandarsi cosa possa significare moralità ai suoi tempi.

- Egli, lo sappiamo, faceva parte del gruppo degli optimates, ancora legato in qualche modo ai valori
etici tradizionali, ma ben disposto verso le nuove generazioni. Per questo motivo davanti alle
accuse di immoralità rivolte a Caelio egli si chiede cosa sia morale al suo tempo. Tempo che vedeva
lo scontro fra la generazione più aperta all’amore, alla libertà, che si contrapponeva con le rigide
discipline del mos maiorum.
- Appoggiando Celio egli si autoaccusa:

Haec igitur est tua disciplina? Sic tu instituis adulescentis? (39)


Ma allora è questa la tua scuola? Così tu educhi la gioventù?

- Cicerone prende la larga dall’accusa dell’immaginario interlocutore, ritraendo uno spaccato della
società romana, e asserendo che i valori tradizionali di Roma sono belli, ma quasi non si trovano più
neanche fra i libri: egli ne è ammiratore, ma occorre offrirsi alla cultura stabilità già da tempo che
non nega il piacere. “Anche in Grecia gli Stoici fanno lezione alle aule vuote”.

Sulla base di questa linea difensiva egli introduce l’attacco a Clodia, di certo il punto più importante
dell’intera opera.

TESTO:

(PERIODO IPOTETICO DI SECONDO TIPO) Se una donna non sposata apra la propria casa alle voglie di tutti,
si metta (conlocarit = conlocaverit) a fare apertamente (palam) una vita da meretrice, decida di dare (uti =
utor) banchetti con uomini totalmente sconosciuti; se lei faccia questo in città, in villa, se faccia (ciò) in
mezzo a quella folla di Baia; se si comporti infine così, non solo nel portamento ma anche
nell’abbigliamento e nella compagnia, non solo nell’ardore degli occhi, nella libertà dei discorsi, ma anche
con l’abbraccio, con il bacio, con le feste in riva al mare, con la gita in arca, con i banchetti, (SUBORDINATA
CONSECUTIVA) così da sembrare non solo una meretrice ma anche una meretrice sfacciata e provocante.

[Detto questo, diresti che un giovane che l’accompagna potrebbe essere chiamato adultero e attentatore al
pudore di lei?]

- Successivamente richiama alla memoria l’antica avversità di Clodia per Cicerone stesso, avendo lei
preso parte alle accuse a causa delle quali egli venne condannato all’esilio, ma:
“Io ormai desidero dimenticare le tue ingiurie; deporre la memoria delle mie sofferenze”

- Infine conclude dicendo:

Se esistesse una donna tale quale io l’ho descritta poco fa, diversa da te, di vita e costumi da meretrice, con
essa un giovane uomo avesse avuto una relazione (aliquid rationis), forse ti sembrerebbe (costruzione di
videor) straordinariamente turpe e scellerata? Ebbene se tu non sei quella (donna) cosa c’è che obbiettano
a Celio? Se vogliono che tu lo sia, che cosa c’è perché noi temiamo fortemente questa accusa, se tu la
disprezzi?

E perciò Dai a noi la via e la modalità della difesa.


GIOVENTÙ
Occorre, per concludere quella sezione, anche approfondita, della Pro Caelio, sull’educazione dei giovani,
agganciarsi al finale di una seconda orazione, la Pro Sestio:

Haec igitur est tua disciplina?

No, infatti dice:

Nam, si qui voluptatibus ducuntur et se vitiorum illecebris et cupiditatum lenociniis dediderunt, missos
faciant honores, ne attingant rem publicam, virorum fortium labore se otio suo perfrui patiantur.

Infatti, se coloro che sono trasportati dai piaceri e si sono abbandonati alle attrattive dei vizi e agli
allettamenti delle passioni, allora questi rinuncino alle cariche, e non si occupino di politica, si accontentino
di godere il proprio ozio grazie alle fatiche dei vivi forti.

Qui autem bonam famam apud bonos cives expetunt, aliis otium et commoda quaerere debent, non sibi.
Sudandum est iis pro communibus commodis, adeundae inimicitiae, subeundae saepe pro re publica
tempestates, cum multis audacibus, improbis, nonnumquam etiam potentibus, dimicandum est.

Coloro che invece desiderano una buona fama tra i cittadini onesti devono riservare l'ozio e gli agi agli altri,
non a sé stessi. Questi devono faticare per gli interessi comuni, devono assalire le inimicizie, devono
sobbarcarsi spesso le sciagure in favore dello Stato, devono combattere contro molti temerari, talvolta
anche potenti.

FINALE

- Cicerone infine riconosce come Caelio fino a quel momento abbia indirizzato le sue accuse verso
bersagli sbagliati, e ha scelto di perseguitare Calpurnio Bestia soprattutto per riapparire in Foro e
porre fine in qualche modo alle dicerie sulla sua moralità.

- Queste dicerie hanno cominciato a diffondersi proprio nel momento in cui egli ha cominciato a
frequentare la “donnaccia” Clodia: il giovane era da troppo tempo rigido e morale, repressivo e
represso dalla eccessiva morale tradizionale. E in un momento critico le sue passioni e i suoi
desideri sono esplosi, perché frenati troppo a lungo.

In questo modo Cicerone tenta di mostrare Celio come un ragazzino ingenuo, corrotto da una donna
matura e astuta, criticando nuovamente la morale traduzionale.

È proprio il tono arguto e vivace che rende la Pro Caelio una delle più famose orazioni, uno dei capolavori
della sua oratoria.
Tralasciando qualche piccola accusa minore, come quella di aver preso in prestito dei soldi e poi avvelenato
(o aver tentato di farlo) Clodia, la Pro Caelio finisce con l’arringa e l’accusa a Clodia:

Sed quoniam emersisse iam e vadis et scopulos praetervecta videtur oratio mea, perfacilis mihi reliquus
cursus ostenditur.

Ma poiché sembra che la mia difesa si sia ormai disincagliata dalle secche e abbia superato gli scogli, il resto
della rotta mi si presenta molto agevole

Le sue ultime parole sono significative:

Conservate igitur rei publicae, iudices, civem bonarum artium, bonarum partium, bonorum virorum.

Conservate dunque alla patria, o giudici, un cittadino amante della cultura, fedele al partito, amico di
ottimati

Conservate parenti filium, parentem filio, ne aut senectutem iam prope desperatam contempsisse aut
adulescentiam plenam spei maximae non modo non aluisse vos verum etiam perculisse atque adflixisse
videamini. Quem si nobis, si suis, si rei publicae conservatis, addictum, deditum, obstrictum vobis ac liberis
vestris habebitis omniumque huius nervorum ac laborum vos potissimum, iudices, fructus uberes
diuturnosque capietis.

(da notare il chiasmo e parallelismo insieme)

Conservate il figlio al padre, il padre al figlio, perché non sembri o che abbiate disprezzato una vecchiaia
ormai senza speranza, o che non solo non abbiate sostenuto un giovane pieno di ogni più rosea speranza
ma che l’abbiate anche colpito ed abbattuto. Se lo conservate a noi, ai suoi, allo Stato, lo avrete avvinto,
devoto, legato a voi e ai vostri figli e coglierete soprattutto voi, o giudici, i frutti maturi e durevoli di tutte le
sue energie e fatiche.

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