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Come ben sappiamo Lucio Sergio Catilina è sempre stato per la tradizione un personaggio molto

complesso e controverso, sia per ciò che si ricorda che per i suoi contemporanei. Innanzitutto
abbiamo pensato di presentarvelo così come viene ricordato oggi, da un punto di vista oggettivo e
postumo, successivamente andremo ad indagare circa la visione di questo per prima Cicerone e poi
Sallustio. Dunque parlerò prima della vita privata e in seguito parleremo di quella politica e
pubblica. In latino Lucius Sergium Catilina, nacque nella capitale, la nostra città eterna Roma, nel
108 a.C., mentre Gaio Mario si candidava alla carica di console. Il padre era Lucio Sergio Silo, un
patrizio di cui la famiglia, seppur nobile, da molti anni non aveva più un ruolo significativo nella
vita politica di Roma, di fatti l’ultimo console della famiglia dei Sergii fu nel 380 Gneo Sergio
Fidenate Cosso.
Circa questa gens ricordiamo pure che Virgilio ne esaltò l’origine, utilizzando una tecnica molto
usata sia da Virgilio che dalla cultura romana in generale, che è di fatto l’invenzione di sana pianta
dell’origine di una famiglia o di Roma, come avvenne nell’Eneide con il mito della fondazione,
infatti fece derivare il nome della famiglia da un antenato importante, Sergesto, giunto in Italia
insieme a Enea, facendo quindi dei Sergii una delle famiglie originarie nella storia dell'Urbe. In
realtà riguardo alla sua vita privata non se ne sa un granchè, ma sappiamo che ebbe due concubine
Gratiana, nipote di Gaio Mario e Aurelia Orestilla, figlia di un altro console minore. Come
sappiamo da Sallustio o almeno secondo lui, Catilina ebbe un solo figlio dalla prima che però fece
uccidere perché d’intralcio alle seconde nozze.

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Tra la copiosa produzione di Cicerone troviamo appunto una serie di orazioni, tra cui le Catilinarie.
Le Catilinarie sono il perno, delle opere monumentali di quest’uomo così poliedrico, insieme alle
Philippicae, orazioni in cui Cicerone si pone come difensore delle istituzioni repubblicane.
Quest’opera è di fatto composta da quattro orazioni che Cicerone espose durante il suo anno di
consolato, circa tra il novembre e il dicembre 63 a.C., ma pubblicate solo tre anni dopo in una
raccolta di orazioni ‘consolari’, perché appunto pronunciate durante l’anno del consolato.
La I Catilinaria la datiamo circa all’8 novembre e fu pronunciata in senato in presenza dello stesso
Catilina, qua Cicerone lo accusa apertamente e dimostra di aver capito chiaramente le sue
intenzioni. L’accusato durante la notte si dirigerà poi presso le dimore dei ribelli, confermando di
fatto che le parole di Cicerone erano veritiere. La particolarità e spettacolarità che questa orazione
porta con sé, rendendola trionfale e patetico è data dal fatto che Cicerone non sta a fare molti
preamboli sul principio dell’orazione, ma anzi questo attacca ex abrupto l’imputato, rinunciando ai
tipici exordia, rendendo l’orazione minacciosa e tuonante.
La II Catilinaria fu esposta il giorno successivo alla prima, dunque il 9 nov. Cicerone ribalta la
modalità rivolgendosi al popolo invece che ai rostri, spiegando alle genti le dinamiche e
informandoli della fuga dello stesso Catilina convincendo e dimostrando al popolo la corruzione,
l’oscurità e ignobiltà di costui e dei suoi sostenitori che cercano in modo patetico di fare scacco
matto utilizzando una mossa obbligata, per usare un lessico tipico degli scacchi. Inoltre Cicerone si
autocelebra per avere avuto la ‘pazienza’ e l’indulgenza di aspettare e smascherare costui.
La III Catilinaria invece, pronunciata il 3 dicembre è sempre una comunicazione in cui Cicerone si
pone segretario e e messaggero presso il popolo, spiegando degli arresti; mentre la IV Catilinaria fu
pronunciata il 5 dicembre fu in presenza dei senatori ed è una vera e propria orazione giudiziaria,
nel senso che è un discorso improntato alla decisione circa quale pena infliggere ai congiurati sotto
arresti. Cicerone, da sempre rivale di Catilina, si dichiara pro alla pena di morte, mentre Cesare più
restio sarà più protendente verso la carcerazione e non a qualcosa di così drastico come la pena di
morte.

In questa opera sin dalla prima Catilinaria, come abbiamo detto, Cicerone incalza direttamente
Catilina con domande dirette e rieccheggianti che abbiamo definito ex abrupto (all’improvviso)
mirate a mostrare tutto lo sdegno e il rimprovero per queste sue volontà. Due giorni prima i
catilinari si erano riuniti presso la casa di Leca e avevano deciso di eliminare il console Cicerone.
L’oratore, venuto a sapere della cosa grazie alla sua informatrice Fulvia, pone sotto sorveglianza
la propria casa. Il mattino successivo Cicerone decide di riunire il senato d’urgenza per
denunciare gli ultimi misfatti di Catilina. La riunione viene convocata straordinariamente presso il
tempio di Giove Statore 2 sul Palatino, un luogo riparato che poteva garantire una migliore difesa in
caso di attacchi improvvisi, mentre in città vengono posizionati presidi armati per evitare lo
scoppio di disordini. Catilina entra allora in senato e tutti i senatori si alzano, lasciando il
rivoluzionario completamente isolato nel suo seggio. Una grande parte dell’aggressività è anche
data dal fatto che Cicerone chiama per nome Catilina  apostrofe nei trattati di retorica vietata
nell’esordio, infatti più efficace rivolgersi a chi dobbiamo convincere, come disse Quintiliano, ma
lo stesso in seguito ne consentirà l’uso per dare maggior incisività al discorso.
Dunque inizia con:

Catilinaria I,
1 [1] Fino a che punto abuserai, o Catilina, della nostra pazienza? Quanto a lungo questo tuo
furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto arriverà la sfrontatezza sfrenata? Non ti
turbarono per niente il presidio notturno del Palatino, per niente le sentinelle notturne della città,
per niente il timore del popolo, per niente l'affluenza di tutti gli onesti, per niente questo
protettissimo luogo per tenere la riunione del senato, per niente la bocca e il volto di questi? Non
senti che i tuoi piani sono svelati, non vedi che la tua congiura, conosciuta già da tutti questi, è
tenuta sotto controllo? Chi di noi ritieni che ignori che cosa hai fatto la notte scorsa, che cosa in
quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso?
[2] Il senato comprende queste cose. Il console le vede; questo tuttavia vive. Vive? Anzi, viene
anche in senato, diventa partecipe delle decisioni pubbliche, annota e designa con gli occhi ognuno
di noi per la strage. Invece sembra che noi, uomini forti, facciamo abbastanza per lo stato, se
evitiamo il furore e le frecce di costui. A morte te, o Catilina; era opportuno che per ordine del
console già prima fossi condotto, contro di te era opportuno che fosse portata quella rovina che tu
progetti da tempo contro tutti noi. 
[3] […] Ci fu, ci fu un tempo all'interno di questo Stato una virtù tale che gli uomini forti punivano
un cittadino dannoso con pene più dure di un nemico durissimo. Abbiamo un senato consulto
contro di te, o Catilina, forte e autorevole, non manca allo stato il consiglio e l'autorevolezza di
questo ordine. Noi, noi - lo dico apertamente - noi consoli manchiamo.
[4] […] E invece noi per il ventesimo giorno ormai sopportiamo che la forza dell’autorità di questi
si indebolisca. Possediamo infatti un senato consulto di tale foggia, ma rinchiuso nelle scartoffie,
come (una spada) chiusa nel fodero; da questo senato consulto, Catilina, conviene che tu sia
ucciso. Vivi, e vivi non per abbandonare, ma per rinvigorire la (tua) audacia. Desidero, senatori,
essere clemente, desidero non sembrare negligente in tanti pericoli per lo stato, ma già mi
condanno di incapacità e inettitudine.
[8] Ed allora? Quando tu ti riproponevi di occupare Preneste con un’imboscata notturna, proprio
nel giorno delle calende di novembre, non ti accorgesti che quella località era fortificata dietro mio
ordine, con presidii, custodi, sentinelle? Tu non fai nulla, non intraprendi nulla, non mediti nulla
che io non solo ascolti, ma, altresì, veda ed avverta con chiarezza.
[11] In questa frase Cicerone pone le differenze tra lui e l’imputato e si autopone invece su un
piedistallo, elogiando la sua pazienza ed il suo coraggio. Finche Catilina, hai attentato alla mia
vita quando ero console designato, mi sono difeso ricorrendo a me stesso, non a guardie o forza
pubblica

Dopo il nostro exordium ex abrupto e la narratio dei paragrafi successivi, come di


consuetudine, abbiamo la confirmatio, mirata come ci spiega Cicerone ad una funzione
rafforzatrice, strutturale nei confronti della nostra tesi e confutante e defnitiva nei confronti
della tesi dei nostri avversari. In questi paragrafi celebri e appunto definitivi, Cicerone pone
la sua reputazione nella realtà cittadina, che dunque sarà controversa e maldicevole sempre
nella sua solita modalità schiacciante e dura che è appunto il far domande incalzanti spesso
poste in un climax di tensione ascendente. Successivamente procede parlando dei suoi crimini
e pure tutti i fallimenti dei suoi colpi di stato e nella parte finale vi è infine il volta spalle dei
giudici nei confroni di Catilina. Il climax in questi paragrafi è ascendentissimo che poi
culminerà con la Prosopopea in cui personificherà la patria nei rimproveri a Catilina.

[13] Che cosa c'è, Catilina, che ti possa trattenere ancora in questa città, nella quale non vi è
nessuno – tranne questa banda di tuoi scellerati complici – che non ti tema, che non ti abbia in
odio? Quale marchio di immoralità non bolla la tua vita privata? Quali azioni disonorevoli non
macchiano la tua fama? Da quale dissolutezza rifuggirono mai i tuoi occhi, da quale delitto le tue
mani, da quale scandalo la tua persona? Quale adolescente, dopo averlo irretito con gli
allettamenti della tua corruzione, non hai guidato al delitto o alla passione sfrenata?

[14] Accenando al duplice omicidio prima moglie-figlio, confermato da Sallustio, continua


parlando dell’economia dell’uomo. Ometto lo stato rovinoso delle tue finanze: ti accorgerai alle
prossime Idi della minaccia che incombe su di te; vengo piuttosto a quei fatti che non riguardano
l'obbrobrio della tua vita privata, né le tue difficoltà economiche, ma il supremo bene dello Stato e
la vita e la salvezza di tutti noi.

[15] Come può, Catilina, esserti gradita questa luce o l'aria che respiri, sapendo che nessuno dei
presenti ignora che l'ultimo giorno dell'anno di consolato di Lepido e Tullo hai preso parte ai
comizi armato, che avevi raccolto un manipolo di soldati per uccidere i consoli e i principali
cittadini e che al progetto scellerato non un tuo pensiero di ravvedimento o un qualche timore si è
opposto, ma la Fortuna del popolo romano? Ma tralascio anche questi delitti: infatti quelli
commessi in seguito non sono né sconosciuti né pochi. Quante volte hai tentato di uccidermi
quand'ero console designato e quante volte persino dopo che ero divenuto console! Da quanti tuoi
colpi assestati in modo che sembrasse impossibile evitarli mi sono difeso con un semplice scarto
del corpo! Perdi tempo, non ottieni nulla, eppure non metti fine ai tuoi velleitari tentativi. 
Linguaggio del combattimento

[16] Quante volte già questo pugnale ti è stato strappato dalle mani! Quante volte per qualche
motivo ti è caduto e non ha avuto effetto! Non so con quali riti sia stato consacrato e promesso in
voto (Ironia: Catilina consacra il suo pugnale per uccidere Cic., come se fosse un sacrificio
bestiale) se ritieni necessario conficcarlo nel corpo di un console. Ma dimmi, che vita è ora la tua?
Ormai io ti rivolgo la parola non mosso dall'odio, come dovrei, ma dalla misericordia, che tu non
meriti affatto. Poco fa sei venuto qui in senato. Chi di tutta questa folla, chi dei tuoi numerosi amici
e clienti ti ha rivolto il saluto? A memoria d'uomo non si ricorda che qualcuno abbia mai ricevuto
un'accoglienza così ostile: e allora? Attendi il disprezzo delle parole quando già sei colpito dal
durissimo giudizio del silenzio?

[17] Prosegue con la prosopopea, che illustra la proporzione figlio : genitore = Catilina :
patria. Con questo stupisce l’uditorio, Cedendo la parola alla patria stessa, personificata, che
amareggiata ricorda a Catilina i suoi crimini e lo invita ad abbandonare la città. Secondo la
tradizione Cicerone si sarebbe ispirato al Critone di Platone, Dove Socrate immagina che le
leggi gli si facciano innanzi e gli parlino, lo stratagemma verrà usato da Cicerone diverse
volte come anche nell’orazione Pro Caelio. Già nel primo verso Catilina e la patria vengono
affiancati
Ora te la patria, che è madre comune di tutti noi, odia e teme, e già da tempo giudica che tu non
mediti altro se non il suo parricidio; tu non rispetterai la sua autorità, né seguirai il suo parere, né
temerai la sua potenza?
[18] per la qualcosa vattene e toglimi questo timore: se esso è vero, perché io non sia rovinata; se
è falso, perché una buona volta finalmente smettere di temere.

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