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CICERONZOLO

Marco Tullio Cicerone nasce il 3 gennaio 106 a.C. ad Arpinio, in provincia di Frosinone, da una
famiglia equestre (questa sua provenienza gli verrà sempre rinfacciata poichè gli verrà detto
che è un provinciale) Da giovane studia filosofia e retorica , nell’89 prende parte alla guerra
sociale (!) ed inizia la sua carriera da avvocato. Tra il 79 e il 77 a.C. fece un viaggio culturale in
Grecia e Asia Minore forse per scappare da Silla.

Il suo cursus honorum inizia nel 76 a.C. quando divenne questore della Sicilia e
successivamente riesce ad accedere al senato. Nel 70 gli viene chiesto aiuto dai siciliani per
andare contro il governatore corrotto Verre (Verrinae). Diviene edile nel 69 a.C. e pretore nel
66 a.C. quando appoggiò la concessione di poteri straordinari a Pompeo nella guerra contro
Mitridate. Nel 64 a.C. diventa console diventando così homo novus e schierandosi a favore
degli optimates.

Nel 63 a.C. scopre e reprime la congiura di Catilina (Catilinariae) che aveva progettato un
colpo di stato per uccidere il console. Nel 63 viene attaccato dai tribuni della plebe per il suo
ingiusto processo ai catilinari a cui non aveva lasciato la possibilità di ricorrere all’appello del
popolo poiché non gli riteneva degni di un diritto dei cittadini romani. non
Nel 63 si inimica Publio Clodio (della gens Claudia ma fa cambiare il nome sia a lui che alla sua
famiglia poiché Clodio era la pronuncia popolare del loro nome poiché era vicino ai populares).
Nel 58 Clodio diviene tribuno della plebe e fa esiliare Cicerone. Nel 57 rientra a Roma grazie
all’aiuto di Milone e di Pompeo.

Nel 53 i partigiani di Milone uccidono Clodio e Cicerone ne assume la difesa (pro Milone). Al
processo viene minacciato da dei sicari di Clodio e quindi non fa l’orazione che aveva
programmato ma una più debole che fa sì che Clodio venga esiliato.

Nella vecchiaia Cicerone si ritira in campagna dove studia retorica e filosofia.


Nel 44 rientra sulla scena politica e si avvicina ad Ottaviano attaccando apertamente Antonio
(Philippicae). Egli lo fece uccidere e gli fece tagliare le mani il 7 dicembre 43 a.C.

LE ORAZIONI
Furono composte più di 100 orazioni tra giudiziarie e politiche.
Pubblicate grazie all’aiuto del liberto Tirone.
Non tutte furono pronunciate, ma furono pubblicate comunque per far sì che potessero essere
studiate. (Verre e Milone)

-> VERRINAE, tra il 73 ed il 71 Cicerone svolge un’inchiesta sulla provincia siciliana per
prepararsi al processo per malgoverno contro Verre. Scrive 7 orazioni, ma ne pronuncia solo 2
poiché l’accusato richiede l’esilio volontario.
- prima: “Divinatio in Q. Caecilium” grazie alla quale Cice ottiene il ruolo dell’accusa;
- seconda: “Actio prima in Verrem” in cui Cice sintetizza i capi di accusa contro Verre;
- terza (non pronunciata): “Actio secunda” in cui Cice riporta le prove dei reati commessi
da Verre

ACTIO PRIMA IN VERREM I-II


(I) L'occasione che era soprattutto desiderabile, o giudici, l'occasione che più d'ogni altra
serviva a placare l'ostilità verso la vostra classe e il discredito dell'amministrazione giudiziaria
sembra data e offerta a voi, in un momento critico per lo Stato, non per decisione umana ma
quasi per volere divino.' Già da tempo infatti è invalsa questa opinione, dannosa per lo Stato e
pericolosa per voi, che si è diffusa per i discorsi di tutti non solo fra il popolo romano ma
anche fra le nazioni estere: con l'attuale amministrazione della giustizia un uomo danaroso,
colpevole quanto si voglia, non può in nessun caso essere condannato. Ora proprio al culmine
della crisi per la vostra classe e per la vostra amministrazione giudiziaria, mentre sono pronti
coloro che si accingono a inasprire l'ostilità verso il senato con adunanze del popolo e
proposte di legge, è stato sottoposto a processo Gaio Verre,? un uomo che secondo l'opinione
generale è già condannato per la sua vita e le sue azioni, ma secondo la sua personale fiducia e
le sue pubbliche asserzioni è assolto per la grande quantità del suo denaro. Io
ho assunto questa causa, giudici, con pieno consenso e vivissima attesa da parte del popolo
romano, non per accrescere l'ostilità verso una classe sociale ma per porre rimedio al
discredito generale. Infatti ho portato in tribunale un uomo che vi desse la possibilità di
ristabilire nell'amministrazione giudiziaria la stima perduta, di riconquistare il favore del popolo
romano, di dare soddisfazione alle nazioni straniere, un uomo che è stato dilapidatore del
denaro pubblico, persecutore dell'Asia e della Panfilia, pirata della giustizia nelle cause fra
cittadini, rovina e flagello della provincia di Sicilia. Se voi lo giudicherete con imparzialità e
scrupolo coscienzioso, resterà salda l'autorità che deve rimanere in voi; se invece le enormi
ricchezze di costui infrangeranno lo scrupolo coscienzioso e l'imparzialità dei processi, io
raggiungerò pur sempre questo scopo: risulterà che è venuto a mancare un processo allo
Stato piuttosto che un imputato ai giudici o un accusatore all'imputato. (II) Vi farò una
confessione, giudici. Gaio Verre, è vero, mi ha teso molti agguati per terra e per mare: li ho
respinti in parte con la mia attenzione, in parte per interessamento devoto e cortese di amici.
Tuttavia non mi è mai sembrato di affrontare un rischio così grave e non sono mai stato tanto
spaventato come ora al momento del processo. E non mi impressiona tanto l'aspettazione per
la mia accusa e l'affluenza di sì grande folla (circostanze che mi rendono nervoso) quanto le
scellerate insidie di costui, che egli tenta di mettere in atto contemporaneamente contro di me,
contro di voi, contro il pretore Manio Acilio Glabrione, contro gli alleati, contro le nazioni
estere, contro la classe senatoriale, contro il prestigio stesso del senato. Egli infatti va
ripetendo queste dichiarazioni: avrebbe da temere chi avesse sottratto quanto bastava a lui
solo, ma lui ha rubato tanto che può bastare a molti; non esiste probità così integra che il
denaro
non possa travolgere, non esiste luogo tanto fortificato che esso non possa espugnare. Se
fosse tanto riservato nell'azione quanto è audace nelle sue iniziative, forse una volta o l'altra
sarebbe riuscito a farci cadere in qualche inganno. Ma finora è stata una vera fortuna che una
singolare stoltezza sia congiunta alla sua incredibile audacia; infatti, come fu sfacciato ad
arraffare denaro, così rese evidenti a tutti i suoi propositi e i suoi tentativi nella speranza di
corrompere il processo. Dice di aver avuto paura una sola volta in vita sua: appena fu da me
formalmente accusato, perché incontrava in quel momento una situazione sfavorevole a
corrompere il processo: era rientrato di recente dalla provincia, e l'odio e la cattiva reputazione
che lo scottavano non erano recenti ma di vecchia data e di lunga durata.

-> CATILINARIAE, nel 63 a.C., 4 orazioni, 2 destinate al popolo (con uno stile semplice ed
esplicito) e 2 destinate al senato (con stile alto e molto argomentativo). Utilizza la prosopopea,
una figura retorica che vede un oggetto inanimato o una persona non più capace di parlare
(perché morta) esprimere la sua opinione ( in questo caso la patria rimprovera Catilina ).

PRIMA CATILINARIA
Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos
eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati,
nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus
habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis,
constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima,
quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum
ignorare arbitraris?
O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero
etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum
quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac
tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri
pestem, quam tu in nos omnes [omnes iam diu] machinaris. An vero vir amplissumus, P. Scipio,
pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus
interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules
perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus
studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes
acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus
senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque
auctoritas huius ordinis; nos, nos, dico aperte, consules desumus.

Traduzione:
Fino a quando, Catilina, abuserai dunque della pazienza nostra? Quanto a lungo ancora
codesta tua follia ci schernirà? A che punto si spingerà (questa tua) sfrontata audacia? Non ti
ha scosso né il presidio notturno sul Palatino, né la vigilanza della città, né il timore del popolo,
né l’accorrere di tutti i boni, né questo luogo assai fortificato per accogliere il senato né
l’espressione [lett.: la bocca] e il volto di questi? Non senti che i tuoi piani sono scoperti, non
vedi che a tua congiura è ostacolata dal fatto che tutti ne sono a conoscenza [lett.: è tenuta
ristretta dalla conoscenza di tutti questi]?
O tempora, o mores! Il senato è a conoscenza di queste cose, il console (le) vede; questi
tuttavia vive. Vive? Non solo, invero viene anche in senato, diviene partecipe alla pubblica
decisione, osserva e condanna a morte chiunque dei nostri. A noi forti uomini tuttavia sembra
di fare abbastanza per la repubblica, se evitiamo la follia e gli inganni di costui. Era opportuno,
Catilina, che tu fossi condotto a morte sotto ordine del console già molto prima, che in te
fosse raccolto il danno che tu [ormai da tempo] macchini per noi. O invero Publio Scipione,
uomo grandissimo, pontefice massimo, uccise da privato (cittadino) Tiberio Gracco che
(tentava di) danneggiare mediocremente la condizione della repubblica; noi consoli
sopporteremo Catilina, che desidera devastare il mondo intero con morte e incendi? Infatti
passerò avanti a quelle cose troppo antiche, ovvero che Caio Servilio Ahala uccise di sua mano
Spurio Melio, che progettava azioni rivoluzionarie. Vi fu, vi fu un tempo codesta virtù in questa
repubblica, (tanto che) uomini forti costringevano a supplizi più atroci un cittadino pericoloso
che un acerrimo nemico. Contro di te, Catilina, possediamo un senato consulto energico e
autorevole, non manca(no) l’avvedutezza della repubblica e l’autorità di questo ordine; noi, (lo)
dico apertamente, noi consoli veniamo meno (al nostro dovere).

CATILINARIA I 5-8
Ma in verità, un uomo grandissimo, Publio Scipione, pontefice massimo, benché privato
cittadino uccise Tiberio Cracco che danneggiava solo in parte la condizione dello stato, noi
consoli sopporteremo Catilina che vuole devastare la terra con la strage e gli incendi? Infatti io
trascuro quegli eventi antichi, che Caio uccise di sua mano Spario(??) che desiderava la
rivoluzione. Ci fu, ci fu un tempo all’interno di questo stato una virtù tale che gli uomini forti
punivano un cittadino dannoso con pene più aspre di un acerrimo nemico. Abbiamo un senato
consulto contro di te, o Catilina, forte ed autorevole, non manca allo stato il consiglio e
l’autorevolezza di questo ordine: noi, noi, lo dico apertamente, consoli manchiamo.

-> PRO SESTIO, nel 56 a.C., difende il tribuno della plebe Sestio che era accusato di aver
organizzato delle bande armate contro Clodio. Riprende e amplia il concetto di concordia
ordinum (!) trasformandolo nel concetto di consensus omnium bonorum.

LA RICOMPENSA FUTURA DI CHI SERVE LA PATRIA


Apud Athenienses non deerant qui rem publicam contra populi temeritatem defenderent ac
proinde e civitate eicerentur. Hi Graeci, iniqui a suis civibus damnati atque expulsi, tamen, quia
bene sunt de suis civitatibus meriti, tanta hosie gloria sunt non in Graecia solum sed etiam
apud nos atque in ceteris terris, ut eos a quibus illi oppressi sint nemo nominet, horum
calamitatem dominationi illorum omnes anteponant. Nemo Carthaginiensium pluris fuit
Hannibale consilio, virtute, rebus gestis, qui unus cum tot imperatoribus nostris per tot annos
de imperio et de gloria decertavit. Hunc sui cives e civitate eiecerunt: nos etiam hostem litteris
nostris et memoria videmus esse celebratum. Qua re imitemur nostros Brutos, Camillos,
Decios, Curios, Fabricios, Maximos, Scipiones, Lentulos, Aemilios, innumerabiles alios qui hanc
rem publicam stabiliverunt; quos equidem in deorum immortalium coetu ac numero repono.
Amemus patriam, pareamus senatui, consulamus bonis; praesentes fructus neglegamus,
posteritatis gloriae serviamus; id esse optimum putemus quod erit rectissimum; speremus quae
volumus, sed quod acciderit feramus; cogitemus denique corpus virorum fortium
magnorumque hominum esse mortale, animi vero motus et virtutis gloriam sempiternam;
magni existimemus eos qui hanc tantam rem publicam suis consiliis aut laboribus aut auxerint
aut defenderint aut servaverint esse immortalem gloriam consecutos.
Traduzione:
Presso gli Ateniesi non mancarono coloro i quali difesero lo Stato contro la sconsideratezza del
popolo e di conseguenza furono banditi dalla città, Questi Greci ingiustamente condannati dai
loro concittadini ed espulsi, tuttavia, poiché furono benemeriti riguardo alle loro città oggi:
sono talmente celebrati non solo in Grecia ma anche presso di noi e nelle altre nazioni, che
nessuno ricorda quelli dai quali sono stati perseguitati, e tutti anterpongono le loro disgrazie
alla prevaricazione degli altri. Nessuno dei Cartaginesi fu più grande per senno, coraggio ed
imprese belliche, di Annibale, che da solo combatté contro i nostri condottieri per tanti anni
riguardo al potere e alla gloria. I suoi concittadini lo bandirono dalla città: e noi anche se
nemico lo vediamo celebrato nei nostri scritti e nella memoria. Per questo motivo emuliamo i
nostri Bruti, Camilli, Deci, Curii, Fabrizi, Massimi, Scipioni, Lentuli, Emili, ed innumerevoli altri
che hanno reso solido questo Stato; questi per quanto mi consta li annovero nel rango e nel
numero degli dei immortali. Amiamo la patria, obbediamo al senato, onoriamo i cittadini onesti;
tralasciamo le utilità del presente, diamoci pensiero della gloria futura; riteniamo che sia per noi
la cosa migliore quella che sarà più giusta; confidiamo in ciò a cui aspiriamo, ma sopportiamo
ciò che accadrà; consideriamo che il corpo di grandi guerrieri e grandi uomini è mortale, ma i
sentimenti del (loro) animo e la gloria della (loro) virtù è eterna; stimiamo grandemente che
coloro i quali, con i loro consigli o le imprese hanno tanto ingrandito o difeso o salvato questo
Stato, hanno conquistato una gloria immortale.

-> PRO CAELIO, nel 56 a.C., in cui prende le difese di Celio, amante di Clodia, in cui distrugge
la dignità e la credibilità di quest'ultima facendo sapere a tutti la relazione incestuosa con suo
fratello.

PRO CAELIO 32-34


(32) Nunc agam modice nec longius progrediar quam me mea fides et causa ipsa coget.
Neque enim muliebres umquam inimicitias mihi gerendas putavi, praesertim cum a quam
omnes semper amicam omnium potius quam cuiusquam inimicam putaverunt. (33) Sed tamen
ex ipsa quaeram prius utrum me
secum severe et graviter et prisce agere malit an remisse et leniter et urbane. Si illo austero
more ac modo, aliquis mihi ab inferis excitandus est ex barbatis illis non ha barbula, qua ista
delectatur, sed illa horrida, quam in statuis antiquis atque imaginibus videmus, qui obiurget
mulierem et pro me loquatur, ne mihi ista forte suscenseat. Exsistat igitur ex hac ipsa familia
aliquis ac potissimum Caecus ille; minimum enim dolorem capiet, qui istam non videbit. (34)
Qui profecto, si exstiterit, sic aget ac sic loquetur: «Mulier, quid tibi cum Caelio, quid cum
homine adulescentulo, quid cum alieno? Cur aut tam familiaris huic fuisti, ut aurum
commodares, aut tam inimica, ut venenum timeres? Non patrem tuum videras, non patruum,
non avum, non proavum, non abavum, non atavum audieras consules fuisse; non denique
modo te Q. Metelli matrimonium tenuisse sciebas, clarissimi a fortissimi viri patriaeque
amantissimi, qui simul ac pedem limine extulerat, omnes prope cives virtute, gloria, dignitate
superabat? Cum ex amplissimo genere in familiam clarissimam nupsisses, cur tibi Caelius tam
coniunctus fuit? Cognatus, adfinis, viri tui familiaris? Nihil eorum. Quid igitur fuit nisi quaedam
temeritas ac libido? Nonne te, si nostrae imagines viriles non commovebant, ne progenies
quidem mea, Q. illa Claudia, aemulam domesticae laudis in gloria muliebri esse admonebat, non
virgo illa Vestalis Claudia, quae patrem complexa triumphantem ab inimico tribuno plebei de
curru detrahi passa non est? Cur te fraterna vitia potius quam bona paterna et avita et usque a
nobis cum in viris tum etiam in feminis repetita moverunt? Ideone ego pacem Pyrrhi diremi, ut
tu amorum turpissimorum cotidie fodera ferires, ideo aquam adduxi, ut ea tu inceste uterere,
ideo viam munivi, ut eam tu alienis viris comitata
celebrares?»

Traduzione:
(32) Ora procederò con moderazione e non andrò oltre i limiti impostimi dal mio dovere e dalla
causa in sé e per sé. D'altra parte, non ho mai ritenuto opportuno essere in guerra con le
donne, e soprattutto con chi è stata sempre l'amica di tutti piuttosto che la nemica di qualcuno.
(33) E tuttavia comincerò col domandare a lei personalmente se preferisce che io, trattando
con lei, usi un tono severo, solenne e all'antica, oppure affabile, dolce, cortese. Se preferisce il
comportamento e il tono severo d'altri tempi, devo evocare dagli inferi qualcuno di quegli
antichi barbuti - che portavano non già la barbetta di moda oggi e che piace tanto a costei, ma
quella barba lunga e ispida che vediamo nelle statue e nei ritratti antichi-, perché rimproveri
questa donna e parli al posto mio: eviterò così che costei s'adiri con me. Evochiamo dunque
uno dei membri di questa stessa famiglia, di preferenza il famoso Cieco: ché, non vedendola,
irrilevante sarà il suo dolore. (34) E certo, una volta apparso, la tratterà e le parlerà in questo
modo: "Donna, che hai a che fare con Celio, con un giovincello, con un estraneo? Perché sei
stata tanto intima con lui da prestargli dell'oro, o tanto nemica da temere il veleno? Non avevi
visto che tuo padre è stato console? Non avevi sentito dire che tuo zio, tuo nonno, il tuo
bisavolo, il tuo trisavolo e il tuo bisarcavolo sono stati consoli? E per finire, non sapevi che fino
a poco tempo fa tu eri maritata a un uomo famoso, intrepido e buon patriota com'era Quinto
Metello, che non appena metteva il piede fuori di casa, superava quasi tutti i concittadini col
suo valore, la sua fama e il suo prestigio? Ora, nata da una famiglia tanto illustre ed entrata col
matrimonio in una famiglia altrettanto illustre, perché tanta intimità con Celio? Un
consanguineo, un parente acquisito, un amico di tuo marito? Niente di tutto questo. Di che
altro s'è trattato dunque se non di una sfrenata passione? Se i ritratti dei maschi della nostra
famiglia non influivano affatto su di te, neppure la mia discendente, la famosa Quinta Claudia,
non ti incitava a rivaleggiare con la nostra famiglia così gloriosa anche per virtù femminili?
Nemmeno la famosa vergine vestale Claudia, che stringendo il padre tra le sue braccia non
permise che il suo avversario, un tribuno della plebe, lo tirasse giù dal cocchio mentre
celebrava il trionfo? Perché ti sei lasciata conquistare dai vizi di tuo fratello piuttosto che dalla
virtù di tuo padre e dei tuoi avi, ripetutesi, a cominciare da me, sia nei maschi che nelle donne
della nostra famiglia? Ho dunque io impedito di concludere la pace con Pirro perché tu
quotidianamente stringessi i patti più vergognosi con i tuoi amanti? Ho portato io l'acqua in
questa città perché la usassi per i tuoi impudichi bisogni? Ho fatto costruire una strada perché
tu vi andassi a passeggiare accompagnata dai mariti altrui?"
-> PRO MILONE, nel 52 a.C., difende Milone contro le accuse di omicidio di Clodio. Non riesce
a fare la sua orazione perché intimidito da dei sicari del morto, ottiene comunque l’esilio per
l’imputato e non la pena di morte.

MILONE È UN BENEFATTORE NON UN ASSASSINO


Quam ob rem si cruentum gladium tenens clamaret T. Annius «Adeste, quaeso, atque audite,
cives: P. Clodium interfeci; eius furore, quos nullis iamlegibus, nullis iudiciis frenare poteramus,
hoc ferro et hac dextera a cervicibus vestris reppuli, per me ut unum ius, aequitas, leges,
libertas, pudor, pudicitia in civitate maneret!», esset vero timendum, quonam modo id ferret
civitas! Nunc enim quis est qui non probet, qui non laudet, qui non unum post hominum
memoriam T. Annium plurimum rei publicae profuisse, maxima laetitia populum Romanum,
cunctam Italiam, nationes omnis adfecisse et dicat et sentiat? Non queo vetera illa populi
Romani gaudia quanta fuerint iudicare: multas tamen iam summorum imperatorum clarissimas
victorias aetas nostra vidit, quarum nulla neque tam diuturnam attulit laetitiam nec tantam.
Spero multa vos liberosque vestros in re publica bona esse visuros: in eis singulis ita semper
existimabitis, vivo P. Clodio nihil eorum vos visuros fuisse. In spem maximam, et (quem ad
modum confido) verissimam sumus adducti, hunc ipsum annum, hoc ipso summo viro consule,
compressa hominum licentia, cupiditatibus fractis, legibus et iudiciis constitutis, salutarem
civitati fore. Num quis est igitur tam demens, qui hoc P. Clodio vivo contingere potuisse
arbitretur?

Traduzione:
Perciò, se T. Annio tenendo la spada insanguinata urlasse: “Avvicinatevi,per favore, e
ascoltatemi, o cittadini: ho ucciso Publio Clodio, i suoi furori, che ormai non potevamo frenare
con nessuna legge e nessun processo, li ho allontanati dalle vostre teste con questa spada e
con questa destra, affinché grazie a me un solo diritto, giustizia, leggi, libertà, onore e purezza
restassero nella città”, sarebbe veramente da temere, in che modo la città (i cittadini)
prenderebbe ciò! Ora infatti chi è che non approverebbe, che non (lo) loderebbe, che non
direbbe e penserebbe che a memoria d’uomo nessuno soprattutto Tito Annio ha servito lo
stato e ha allietato (adfecisse + laetitia) al massimo il popolo romano, l’intera Italia, le nazioni di
tutti? Non sono in grado di giudicare quante sarebbero state quelle antiche gioie del popolo
romano: tuttavia l'età nostra ha già visto splendide vittorie di grandi generali, nessuna delle
quali ha prodotto una gioia né tanto duratura né tanto grande. Spero che voi e i vostri figli
assisterete a molti avvenimenti felici nella repubblica: in ciascuno di essi così sempre penserete
che, con Publio Clodio vivo non sareste in procinto di vedere nessuna di esse. Siamo stati
condotti verso una speranza grandissima e (come spero) verissima , in questo stesso anno, con
questo stesso grande uomo console, repressa la libertà degli uomini, infranti i desideri,istituite
leggi e processi, sarà salutare alla città. C'è forse qualcuno così tanto folle da ritenere che
questo potesse accadere con Publio Clodio vivo?

-> PHILIPPICAE, tra il 44 a.C. ed il 43 a.C., si schiera contro Antonio proprio come fece
Demostene in Grecia quando Filippo conquistò le poleis. Scrive 14 orazioni dai toni violenti
aggressivi ed appassionati, alcune per il senato, altre per il popolo ed altre ancora circolate
solo scritte. Queste orazioni portarono Antonio a mettere Cicerone nelle sue liste di
proscrizione ed egli fu ucciso da suoi sicari.

PHILIPPICA SECUNDA:
(118) Respice, quaeso, aliquando rem publicam, M. Antoni, quibus ortus sis, non quibuscum
vivas considera; mecum, ut voles, redi cum re publica in gratiam. Sed de te tu videris; ego de
me ipse profitebor: defendi rem publicam adulescens, non deseram senex; contempi Catilinae
gladios, non pertimescam tuos. (119) Quim etiam corpus libenter obtulerim, si repraesentari
morte mea libertas civitatis potest, ut aliquando dolor populi Romani pariat quod iam diu
parturit. Etenim si abhinc annos prope viginti hoc ipso in templo negavi posse mortem
immaturam esse consulari, quanto verius non negabo seni. Mihi vero, patres conscripti, iam
etiam optanda mors est, perfuncto rebus iis quas adeptus
sum quasque gessi. Duo modo haec opto, unum ut moriens populum Romanum liberum
relinquam - hoc mihi maius ab dis immortalibus dari nihil potest -, alterum ut ita cuique eveniat
ut de re publica quisque mereatur.

Traduzione:
118) Ti prego, Antonio, rivolgi una buona volta i tuoi occhi al nostro Stato, tieni conto della
nobiltà dei tuoi avi, non della gentaglia che ti circonda; con me comportati pure a tuo
piacimento, ma riconciliati con la repubblica. Ad ogni modo, per quanto riguarda te, è a te che
spetta la decisione; per parte mia, ecco spontaneamente la mia pubblica dichiarazione: io che
ho difeso la repubblica da giovane, non l'abbandonerò da vecchio; io che ho disprezzato le
armi di Catilina, non mi lascerò atterrire dalle tue. (119) Anzi offrirei volentieri la vita, se il mio
sacrificio può ridonare subito la libertà allo Stato, sicché una buona volta il popolo romano,
così pieno di risentimento, esploda in quella vendetta che già da tanto tempo porta in seno. E
se all'incirca vent'anni fa in questo stesso tempio io dichiarai che la morte non può mai
giungere troppo tardi per chi ha raggiunto la dignità di console, quanto più valida sarà adesso
tale mia dichiarazione, riferita com'è a un vecchio. E veramente, senatori, ormai la morte io
dovrei addirittura desiderarla, in considerazione di tutti gli onori che ho conseguiti e di tutte le
opere che ho compiute. In fondo i miei desideri sono ormai due soltanto: il primo è quello di
lasciare, morendo, il popolo romano libero - il dono più grande che gli dèi possano farmi! -; il
secondo è che ciascuno abbia una sorte corrispondente alle sue benemerenze verso il nostro
paese!

OPERE RETORICHE
Cicerone studiato come modello di prosa, non solo ha lasciato tante orazioni, ma anche delle
opere in cui spiega come si diventa un bravo oratore.
424- Riflessione sul rapporto tra chi parla e chi ascolta
rapporto tra il testo scritto che deve diventare orale e si deve completare con tutti quegli
elementi di comunicazione non verbale.
Si deve creare un rapporto tra chi parla e l’uditorio.
l’oratore deve dimostrare la verità, deve cercare di presentare il contenuto in modo valido.
Retorica= arte del parlare bene.

-> DE ORATORE, opera di tre libri, è in forma di dialogo ispirato a Platone


lo fa su due modelli: cinio crass, che è l'oratore studioso, Marco antonio, che rappresenta
l’oratore con una grande capacità di esporre.
L’oratore deve avere un senso morale, non deve solo fare studi di diritto ma anche di filosofia.
Deve essere uno studio a tutto tondo. Deve riuscire a combinare talento e preparazione anche
filosofica. Deve essere dotato di una cultura versatile e vasta.
Si parte dalla raccolta del materiale, poi la progettazione del discorso, la stesura di questo, la
memoria e poi l’actio.

DE ORATORE 16-20
(16) Ma quest'arte è veramente qualcosa di più grande di quello che la gente pensa: essa è la
sintesi di molti studi e discipline. Che altro, infatti, si può ritenere la ragione della scarsità di
oratori, nonostante la moltitudine di studenti, l'elevatissimo numero di maestri, gli ingegni
straordinari, la varietà illimitata di cause, i premi ricchissimi offerti dall'eloquenza, se non la
vastità pressoché incredibile dell'arte oratoria stessa e le sue difficoltà? (17) Si deve infatti
possedere una vasta cultura, senza la quale l'oratoria è un vaniloquio futile e ridicolo; e lo
stesso stile deve venire ben plasmato non solo con la scelta ma anche con la disposizione delle
parole; si devono poi conoscere a fondo tutti i sentimenti e le passioni di cui la natura ha
dotato il genere umano; perché tutta la potenza e tutta l'arte dell'eloquenza devono essere
impiegate a placare ed eccitare l'animo degli ascoltatori. Bisogna inoltre che nel discorso vi sia
una certa grazia e arguzia, e poi una cultura degna di un uomo ben nato, prontezza e
concisione sia nel replicare sia nell'attaccare, non disgiunte da fine garbo ed eleganza. (18) E
inoltre necessario conoscere bene la storia del passato e un ricco repertorio di vicende e
uomini esemplari. Né deve essere trascurata la conoscenza delle leggi e del diritto civile. E
perché dovrei dilungarmi proprio sul modo di porgere, che deve essere sorvegliato nei
movimenti, nei gesti, nella mimica e nella giusta e varia modulazione della voce? E di quale
importanza sia di per sé solo questo aspetto dell'arte oratoria lo dimostrano chiaramente l'arte
frivola dell'attore e il teatro: per quanto tutti si sforzino per controllare la pronuncia, la voce e i
movimenti del corpo, chi non sa quanti pochi siano e siano stati coloro che sopportiamo di
guardare? E che dire della memoria, scrigno di tutte le conoscenze? Se l'oratore non ne fa la
custode delle idee e delle espressioni già trovate e meditate, tutte le sue altre doti per quanto
eccelse - lo capiamo bene -, andranno perdute. (19) Per questo non dobbiamo più chiederci
stupiti il motivo per il quale sono così poconumerosi i buoni oratori, dal momento che
l'eloquenza è la sintesi di tutte quelle discipline, ciascuna delle quali esige una grandissima
fatica, ma dobbiamo piuttosto esortare i nostri figli e tutti gli altri di cui ci stiano a cuore la
fama e il prestigio, a rendersi consapevoli dell'importanza dell'eloquenza e a non ritenersi
soddisfatti dei precetti o degli esercizi o dei maestri cui tutti ricorrono, ma ad avere fiducia di
poter raggiungere il loro traguardo per altre vie. (20) A mio parere, nessuno può essere un
oratore compiuto se non ha acquisito la conoscenza degli argomenti e delle di-
scipline più importanti. Infatti il discorso deve sbocciare e sgorgare abbondante dal sapere; se
non è sotteso un contenuto ben conosciuto e padroneggiato dall'oratore, esso si riduce a
un'esposizione per così dire vuota e quasi puerile.

DE ORATORE 30-34
(30) Dopo aver detto che, a suo parere, Sulpicio e Cotta' non erano tanto da esortare, quanto
piuttosto da lodare, perché, per la grande perizia raggiunta, non solo erano considerati
superiori ai propri coetanei, ma venivano anche giudicati eguali agli anziani, così continuò: «In
verità, non c'è niente per me di più bello del potere con la parola dominare gli animi degli
uomini, guadagnarsi le loro volontà, spingerli dove uno voglia, e da dove voglia distoglierli.
Presso tutti i popoli liberi, e soprattutto negli stati tranquilli e ordinati, quest'arte è stata
sempre tenuta nel massimo onore e ha sempre dominato. (31) Infatti che cosa c'è di più
meraviglioso del veder sorgere dall'infinita moltitudine degli uomini uno che da solo o con
pochi possa fare quello che la natura ha concesso a tutti? O di più piacevole a conoscere e a
sentire di un discorso abbellito e adorno di saggi pensieri ed elevate espressioni? Che cosa è
così
imponente e sublime quanto il fatto che le passioni del popolo, i sentimenti dei giudici,
l'austerità del senato? siano modificati dal discorso di un solo uomo? (32) Che cosa inoltre è
così splendido, così nobile, così liberale quanto il portare aiuto ai supplici, sollevare gli afflitti,
dare salvezza agli uomini, liberarli dai pericoli, salvarli dall'esilio? Che cosa è così necessario
quanto l'avere sempre pronta un'arma, con cui tu possa difendere te stesso e attaccare gli altri
senza tuo danno e vendicarti se provocato? Orbene, per non parlare sempre di foro, tribunali,
rostri e senato, che cosa ci può essere, per chi è libero da impegni, di più piacevole o più
degno di una persona colta di un discorso arguto e bene informato su qualsiasi argomento?
Noi ci distinguiamo dalle fiere, soprattutto per questo, perché sappiamo conversare ed
esprimere con la parola i nostri pensieri. (33) Perciò chi non ammirerebbe, e a ragione,
quest'arte, e non riterrebbe suo dovere studiarla con tutte le sue forze, onde superare gli stessi
uomini in ciò in cui gli uomini si distinguono massimamente dalle bestie? Ed ora passiamo al
punto più
importante della questione: quale altra forza poté raccogliere in un unico luogo gli uomini
dispersi, o portarli da una vita rozza e selvatica a questo grado di civiltà, o, dopo che furono
fondati gli Stati, stabilire le leggi, i tribunali, il diritto? (34) Non voglio passare in rassegna tutti
gli altri vantaggi, che sono quasi infiniti. Per questo condenserò in poche parole il mio
pensiero: io affermo che dalla saggia direzione di un perfetto oratore dipendono non solo il
buon nome dell'oratore stesso, ma anche la salvezza di moltissimi cittadini e dell'intera nazione.
Perciò continuate, o giovani, la strada intrapresa e attendete con impegno ai vostri studi,
affinché possiate essere di onore a voi stessi, di utilità agli amici e di giovamento allo Stato».

-> BRUTUS, è un dialogo con un suo amico


Cice si ispira al modello di Demostene, in contrapposizione allo stile asciutto ed essenziale
attico di Lysia. Esalta l’originalità è la libertà del suo stile.
-> ORATOR è un trattato, è un esame dello stile oratorio, distingue i tre stili : piano, medio e
elevato. L’oratore deve saper mediare.
l'oratore deve
● informare, con uno stile semplice e chiaro
● tenere coinvolti, con uno stile medio
● riuscire a colpirli, con uno stile più elevato

OPERE POLITICHE
Opere di filosofia politica , cicerone ha avuto una formazione, da una parte parla della sacralità
delle leggi, che sono quello strumento che ci permette di proteggere lo stato.

->DE LEGIBUS, dialogo sull’origine naturale del diritto, e sulla sua evoluzione, ama la civiltà
giuridica degli antenati, le leggi sono una ricerca dell’ordine e di un armonia.

-> DE REPUBBLICA, cice spiega che Roma è riuscita nella sua forma repubblicana a
raggiungere un po’ l'ideale, perché ha da una parte il potere dei consoli che è quasi
monarchico ma senza tirannide, c’è una parte aristocratica che è il senato , e poi ha una parte
democratica dei comizi e dei tribuni della plebe. Il fatto che ci sia una coesistenza fa sì che si
evitino gli eccessi.
È un elogio allo stato romano.
Importante il “somnium Scipionis” è la parte finale.
Scipione l’emiliano(l’africano minore) sogna scipione l’africano (l’africano maggiore), suo
antenato. Gli spiega come è la vita nell'aldilà, spiega che c'è una vita dopo la morte, che è una
vita beata a cui si arriva se ti dai da fare per lo Stato.
il minore dice: allora mi ammazzo, il maggiore dice no idiota perché sennò vieni meno al tuo
dovere.

SOMNIUM SCIPIONIS
13) «Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus qui pa-
triam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in calo definitum locum, ubi beati aevo
sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo qui omnem mundum regit, quod quidem in
terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civita- tes
appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur».

Traduzione:
Ma, Africano, affinchè tu sia più solerte a difendere lo stato, tieni per certo questo: per tutti
quelli che hanno conservato, aiutato, accresciuto la patria certo è in cielo un luogo definito,
dove i beati godono dell’eternità, infatti nulla è più gradito a quella divinità suprema che
governa tutto il mondo, riguardo a ciò che accade in terra, di quelle aggregazioni politiche di
uomini legati dal diritto, che sono chiamati stati, i governanti e i salvatori di questi stati, partiti
da qui, qui ritornano.

SOMNIUM SCIPIONIS VI 15
(15) E io appena riuscii a trattenere le lacrime e a poter di nuovo parlare, «Ti prego» dissi
«padre mio, santissimo e ottimo, poiché questa è la vera vita, come ora ho sentito dire
dall'Africano, perché continuo a rimanere sulla Terra? Che cosa aspetto a venire qua da voi?».
«Non è possibile!» rispose lui «Fino a quando quel dio, il cui tempio è tutta l'immensità che
vedi, non ti avrà liberato dalla prigionia del corpo, non potrà spalancarsi per te la porta del
cielo. Infatti la legge per cui gli uomini vengono al mondo è quella di custodire quel globo che
tu vedi al centro di questo tempio e che si chiama Terra, ed a loro è assegnata un'anima che
prende origine da quegli eterni fuochi che voi denominate costellazioni e stelle; queste di forma
sferica e circolare, animate da mente divina, con straordinaria velocità compiono i loro giri e le
loro orbite. Perciò tu, Publio, e tutti gli uomini pii dovete trattenere l'anima nel carcere del
corpo, e non dovete fuggirvene dalla vita umana senza l'ordine di colui da cui quell'anima vi è
stata data, perché non sembri che vi siate sottratti al compito che il dio vi ha assegnato e che è
proprio dell'uomo».

EPISTOLARIO
Cice compone 864 lettere pubblicate da Tirone e Attico. 4 raccolte:
- Epistulae ad atticum
- Epistulae ad familiares
- Epistulae ad quintum fratrem
- Epistulae ad Marcum Brutum
Già sapeva che le avrebbero pubblicate ma ke scrive comunque con un contenuto stilistico
fresco e spontaneo. Grazie alle lettere conosciamo un Cicerone più intimo che ci offre anche
una documentazione sulla vita quotidiana e sulle vicende politiche.
lingua meno formale, stile medio con espressioni colloquiali.

CICERONE SCRIVE A TIRONE MALATO


Varie sum adfectus tuis litteris, valde priore pagina perturbatus, paulum altera recreatus. Qua re
nunc quidem puto, quoad plane valeas, te neque navigationi neque viae committere. Satis te
mature videro si plane confirmatum videro. De medico et tu bene existimari scribis et ego sic
audio, sed plane curationes eius non probo. Ius enim dandum tibi non fuit cum e stomacho
laborares. Sed tamen et ad illum scrpsi accurate et ad Lysonem. Ad Curium vero, suavissimum
hominem et summi offici summaeque humanitatis, multa scripsi. Tu igitur quid faciendum sit
iudicabis. Medico ipsi puto aliquid dandum esse quo sit studiosior. Innumerabilia tua sunt in me
officia, domestica, forensia, urbana, provincialia, in re privata, in publica, in studiis, in litteris
nostris: omnia viceris sit, ut spero, te validum videro. Ego puto te bellissime, si recte erit, cum
quaestore Mescinio decursum esse. Non inhumanus est teque diligit. Sed cum valetudini tuae
diligentissime consulueris, tum, mi Tiro, consulito navigationi. Nulla in re iam te festinare volo.
QUantam diligentiam in valetudinem tuam contuleris, tanti me fieri a te iudicabo. Vale, mi Tiro,
vale, vale et salve.
Traduzione:
Sono stato variamente impressionato dalla tua lettera: la prima pagina mi ha turbato non
lievemente, la seconda un po' confortato. Perciò ora penso che tu non debba intraprendere
una navigazione o un viaggio per via di terra, fino alla tua completa guarigione. Quanto al
medico mi scrivi che gode di buona reputazione ed io così sento, ma non approvo pienamente
il suo modo di curarti. Non si doveva somministrarti del brodo mentre soffrivi di stomaco.
Comunque ho scritto accuratamente a lui ed a Lisone. Ho inviato una lunga lettera a Curio,
uomo squisito, di grandissima gentilezza ed umanità. Tu deciderai sul da farsi. Penso si debba
dare qualcosa al medico perché sia più diligente. Innumerevoli sono i tuoi buoni servigi verso
di me e riguardanti la casa, il foro, l'attività a Roma, nelle province, gli affari pubblici e privati,
gli studi, la mia produzione letteraria; li supererai tutti, se, come spero, ti vedrò in buona salute.
Penso che navigherai splendidamente con il questore Mescinio, se la salute ti assisterà. Non è
illetterato e ti vuole bene. Ma, mio Tirone, penserai a metterti per mare una volta che avrai
provveduto più che diligentemente alla tua salute. Non voglio che ti affretti in alcuna cosa.
Quanto diligentemente provvederai a stare bene, altrettanto giudicherò d'essere stimato da te.
Stammi bene, mio Tirone, stammi bene e ti saluto.

DE NATURA DEORUM:

LA NATURA È GUIDATA DALLA PROVVIDENZA


Ut vero perpetuus mundi esset ornatus, ab antiquo maxime deorum interfuit, ut semper varia
essent et bestiarum genera et arborum omniumque rerum quae a terra stirpibus continerentur;
quae quidem omnia eam vim seminis habent in se, ut ex uno plura generentur. Magnae etiam
opportunitates ad cultum hominum atque abundantiam reperiuntur. Aegyptum Nilus inrigat, et
cum tota aestate obrutam oppletamque tenuit, tum recedit mollitosque et oblimatos agros ad
serendum relinquit. Mesopotamiam fertilem efficit Euphrates, in quam quotannis quasi novos
agros invehit. Indus vero, qui est omnium fluminum maximus, non aqua solum agros laetificat
et mitigat, sed eos etiam conserit; magnam enim vim seminum secum frumenti similium dicitur
deportare. Multaque alia in aliis locis commemorabilia proferre possum, multos fertiles agros
alios aliorum fructum. Sed illa quanta benignitas naturae, quod tam multa ad vescendum, tam
variae, tam iucunda gignit, neque ea uno tempore anni, ut semper et novitate delectemur et
copia! Sic undique loci omni ratione concluditur mente consilioque divino omnia in hoc mundo
ad salutem omnium conservationemque admirabiliter administrari.

Traduzione:
Perché realmente esistesse un eterna bellezza del mondo, sin dall'antichità ebbe soprattutto
importanza per gli dei, che ci fossero sempre numerose specie sia di animali che di alberi e di
ogni altro elemento che, sin dalle origini, si trova sulla terra; tutto ciò che è presente sulla terra
contiene in sé senza dubbio quell'energia rigenerante, da permettere che da un solo elemento
se ne riproducano parecchi. Inoltre si trovano molte zone favorevoli ad una coltivazione
produttiva da parte degli uomini. Il Nilo allaga l'Egitto e dopo averlo tenuto sommerso per una
intera estate se ne allontana e lascia il terreno, così ammorbidito e concimato, pronto per la
semina. La Mesopotamia deve la sua fertilità all'Eufrate che si può dire introduca ogni anno in
quella regione nuovi campi coltivabili. L'Indo, il più grande di tutti i fiumi, non si limita ad
ammorbidire e a concimare i campi con le sue acque, ma provvede anche a seminarli, se è vero
che, a quanto si dice, trascina con sé gran quantità di semi di cereali. E molte altre rimarchevoli
caratteristiche di determinate regioni potrei addurre e molti altri esempi di terreni fertili per
questo o quel prodotto. E molte altre rimarchevoli caratteristiche di determinate regioni potrei
addurre e molti altri esempi di terreni fertili per questo o quel prodotto. Quanto grande è la
benevolenza della natura poiché tanto numerosi, tanto vari e tanto allettanti prodotti produce,
e non in un'unica stagione dell'anno perché noi potessimo gustarne sempre il perenne
rinnovamento! La conclusione cui ad ogni modo si deve comunque giungere è che tutto in
questo mondo è mirabilmente governato da una mente e da una provvidenza divina in vista
della salvezza e della preservazione di tutti gli esseri.

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