in Firenze sotto il simbolico nome augurale di Leonardo per intensificare la propria esistenza, elevare il proprio pensiero, esaltare la propria arte. Nella Vita son pagani e individualisti amanti della bellezza e dell'intelligenza, adoratori della profonda natura e della vita piena, nemici di ogni forma di pecorismo nazareno e di servit plebea. Nel Pensiero sono personalisti e idealisti, cio superiori ad ogni sistema e ad ogni limite, convinti che ogni filosofia non che un personal modo di vita negatori di ogni altra esistenza di fuor dal pensiero. Nell'Arte amano la trasfigurazione ideale della vita e ne combattono le forme inferiori, aspirano alla bellezza come suggestiva figurazione e rivelazione di una vita profonda e serena. Fra l'espressioni delle loro forze, de' loro entusiasmi, e dei loro sdegni sar un periodico intitolato Leonardo che pubblicheranno in fascicoli di 8 pagine ornati d'incisioni lignee ed impressi con ogni cura. (da Leonardo, I, 1903, p. 1; dall'antologia La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, I, Leonardo, Hermes, Il Regno, a c. di D. Frigessi, Einaudi, Torino, 1960, p. 89).
Per coloro che risorgono (programma del Regno) Io e gli amici miei fondando questa rivista abbiamo un solo scopo: di essere una voce fra tutti coloro i quali si dolgono e si sdegnano per la vilt della presente ora nazionale. Il popolo italiano, quella gran maggioranza che forma il vero popolo italiano, mostra gi di essersi scosso dal torpore. Dalla guerra d'Africa in poi per le citt e per i campi, per le officine e per i fondaci, il popolo prolifico e paziente si va facendo ogni giorno pi industre. Le basi della prosperit sono cos gettate e su queste dovranno sorgere le opere e i monumenti della grandezza. Noi fondando questa rivista partiamo dal primo fatto certo, volti verso la certezza futura. Dall'oscura fatica degli umili cittadini al trionfo nazionale tutta l'ascensione di un popolo. Noi vogliamo essere una voce fra quanti, se non altro con i voti, affrettano questa ascensione per la patria. Una voce dunque contro la vilt presente. prima di tutto, contro quella dell'ignobile socialismo, di questo gigantesco tumulto delle nuove forze mondiali finito in pochi Saturnini che ne hanno fatto il proprio saturnale con le loro fecce. In luogo d'ogni ordine di idee generose fu posta l'ira dei pi bassi istinti della cupidigia e della distruzione. Tutte le classi furono messe al bando per una sola, e la mercede dei braccianti divent principio e termine dell'umana societ. Le furie del numero furono scatenate contro tutti i valori. Dinanzi alle orde del numero vennero all'assalto i Saturnini frenetici, semiuomini dall'animo maligno e imbelle cui l'abiezione dei tempi dona una ferocia perigliosa, pari a quella degli eunuchi di Bisanzio dalla voce stridula. E l'assalto per il saccheggio fu menato in nome della giustizia, tutte le pi pure parole furono proferite da bocche piene di menzogna e di calunnia. A servire la menzogna e la
calunnia fu tratta in piazza la morale e fatta meretrice per batter nei fianchi della bestialit, scherano per colpire. Il sogno augusto della felicit saturnia che le umane generazioni si tramandano di et in et, parve rinnovellato soltanto per appagare la pi spregevole cosa, l'ambizione degli omiciattoli; i quali seppero usarlo come grosso inganno per prendere le moltitudini e ghermire, strepitando d'una pi civile libert, la tirannide della strada, quale l'avevano i capi della barbarie nella foresta, di condottieri, di re, di giudici, di sacerdoti, di idoli, contro ogni altro ordinamento e reggimento sollevato sopra la foresta e sopra la strada, dalla reggia alla religione, dalla milizia al tribunale. Ora, a tutti questo stato di cose muove lo stomaco, di qualunque parte politica, anche, anzi soprattutto ai seguaci di un socialismo non ignobile; ma pochi osano ancora parlar forte. Noi che facciamo parte da noi stessi, vogliamo essere una voce tra questi pochi, forte come l'odio senza paura. E una voce altres per vituperare quelli che mostrano di far di tutto per esser vinti. Per vituperare la borghesia italiana che regge e governa. Non parlo della sua paura che forma l'audacia degli aggressori, non del suo fuggire tanto pi veloce del loro inseguire; parlo di ci che tra la nausea e l'ira torce le viscere dal riso, del suo rendersi loro manutengola alla propria perdita. La lotta di classe ha bisogno di aver le mani libere dentro e di romper fuori quelle grandi armonie etniche e storiche che si chiamano nazioni? E la borghesia italiana si ostina a intenerirsi ogni giorno di pi per le dottrine della libert e dell'internazionalismo. Esso diventata la sentina del socialismo sentimentale. Diventano sue verit le menzogne di cui quello si spoglia nella sincerit dell'azione. Come una barcaccia da carico d'immondizie, essa va a tutti gli sbocchi delle cloache che portano i rifiuti ostili, e li prende con s, finch non affondi. Profondamente ha assorbito la luce delle sociologie, delle filosofie, delle politiche, del misticismo cosmopolitico laico ed ateo che sono il terreno ben concimato in cui la mala pianta del socialismo cresciuta e prospera. Tutti i segni della decrepitudine, il sentimentalismo, il dottrinarismo, il rispetto smodato della vita caduca, la smodata piet dell'umile e del debole, l'utile e il mediocre posti come canoni di saggezza, l'oblio delle maggiori possibilit umane, il dileggio dell'eroico; tutti i peggiori segni della putrida decrepitudine delle genti degeneri sono nella vita contemplativa della borghesia che regge e governa [...] Fondando questa rivista noi siamo contro gli uni e contro gli altri, nemici tra loro ma congiunti nel sentimento pi materiale e pi basso della vita. Con la nostra voce aiuteremo a rialzare le statue degli alti valori dell'uomo e della nazione dinanzi agli occhi di quelli che risorgono. (da E. Corradini, in Il Regno, ediz. cit., pp. 441-442).
La nostra promessa (programma de La Voce) Che cosa promettiamo? Non promettiamo di essere dei geni, di sviscerare il mistero del mondo e di determinare il preciso e quotidiano menu delle azioni che occorrono per diventare grandi uomini. Ma promettiamo di essere onesti e sinceri. Non promettiamo di non sbagliare mai, perch, in un certo senso, ci impossibile; ma promettiamo di correggerci appena ci accorgeremo dell'errore, e ci, credete a me, quasi pi raro del non sbagliar mai, ed , in ogni modo, pi prezioso. Crediamo che l'Italia abbia pi bisogno di carattere, di sincerit, di apertezza, di seriet, che di intelligenza e di spirito. Non il cervello che manca, ma si pecca perch lo si adopera per fini frivoli, volgari, e bassi: per l'amore della notoriet e non della
gloria, per il tormento del guadagno o del lusso e non dell'esistenza, per la frode voluttuosa e non per nutrire la mente. Lo scopo di molti che leggono e scrivono e studiano non che quello di darsi un'aria di superiorit che permetta e giustifichi il sorriso. Moltissimi che s'infischiano santamente degli uomini, credon necessario d'occuparsi di quello che essi fanno; tanti che se la.ridono della filosofia si credono obbligati a leggersene dei volumi. Risparmino la fatica! Tanto quell'attitudine non permetter mai a loro di capire la seriet della vita e la grandezza del pensiero. Per fare una smorfia sopra le carte dei grandi e sulla storia affannosa dello spirito umano, non c' bisogno n di lauree, n di bibliografie; qualunque bertuccia pu permettersene il lusso. Noi sentiamo fortemente l'eticit della vita intellettuale, e ci muove il vomito a vedere la miseria e l'angustia e il rivoltante traffico che si fa delle cose dello spirito. Da una parte c' una glaciale freddezza spirituale che non si scuote che per ragioni materiali. Guardate certe note e certe recensioni di riviste in -voga, che voglion tenersi buone con Cajo e con Tizio e salvar Sempronio non dicendo male di Mevio, che non han per linea di condotta altro criterio che quello di non offender gli interessi di nessuno, e finiscon quindi per non dire mai nulla che non sia lavato da dieci liscive di vergogna e da dieci bucati di timore; ebbene, in quelle note ci si sente lo sbadiglio e la noia repressa, perch il travet che le ha fatte o il professorino che le ha compilate, o l'uomo di mondo (peggio ancora) che le ha tirate gi, era in fondo indifferente a ci che diceva o raccoglieva. [...] Dall'altro lato si trova la fabbrica degli articoli. Noi riteniamo che scrivendo e pubblicando non cessino le regole dell'onest. Per noi metter la firma in fondo ad un articolo metter la firma in fondo ad una cambiale. Per costoro no. Sono queste le infinite forme d'arbitrio che intendiamo denunciare e combattere. Tutti le conoscono; molti ne parlano; nessuno le addita pubblicamente. Sono i giudizi leggeri e avventati senza possibilit di discussione, la ciarlataneria di artisti deficienti e di pensatori senza reni, la mondanit chiacchierina e femminile che trasporta le abitudini dei salotti e delle alcove nelle questioni d'arte e di pensiero, il lucro e il mestiere dei fabbricanti di letteratura, la vuota formulistica che risolve automaticamente ogni problema, l'egoismo ben pasciuto che vuole la rendita annua e l'anima immortale, la paura di ogni mutamento e di ogni scossa sociale. Ma qui intendiamoci bene. Noi non vogliamo uscire in escandescenze inutili, in nervosit fanciullesche. Intendiamo star sempre al sodo, a cercare di rendere fruttiferi i campi abbandonati, senza coprirli, con lo sdegno di un torrente, di ghiaia e di melma; intendiamo di innestare i tronchi selvatici e di non usare soltanto l'accetta. Nel numero passato, di fronte ad alcuni che son rimasti meravigliati di certe crudezze di linguaggio, necessarie per restituire alla lingua un po' di sodezza e per togliere il pregiudizio che vi siano parole sudicie (mentre soltanto l'intenzione pu essere sudicia), altri abituati ad altre nostre pi pepate pubblicazioni si aspettavano che ci fossero sette impiccagioni e quattordici roghi e ci fossero drizzate una cinquantina di berline. Tengo ad assicurar queste egregie persone che quando per si tratta di far sul serio, stanno sempre nella tribuna degli spettatori che i denti li abbiamo sempre buoni, e le unghie sempre affilate: ma che non cercheremo affatto di adoprarle che in estrema e dura necessit. La Voce non dev'essere un cenacolo di maldicenti o un'inquisizione permanente, e tenter tutti i mezzi per collaborar seriamente al progresso pratico e teorico della
cultura italiana. Noi aspettiamo anzi che la passata generazione, la quale ha le mani sul timone, ci dia modo di adoprar per il bene comune quel po' di buon senso e di non spregevole intelligenza che parecchi ormai ci concedono. Non faremo dell'opposizione che quando i modi di intesa e di accordo per favorire la seriet e la sincerit della vita italiana saranno esauriti. Di lavorare, abbiamo voglia. Gi ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali che si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di informare, senza troppa smania di novit, di quel che di meglio si fa all'estero; di proporre riforme e miglioramenti alle biblioteche pubbliche; d; occuparci della crisi morale delle universit italiane; di segnare le opere di lettura e di commentare la vilt della vita contemporanea. [...] Soltanto occorre che il pubblico risponda. Col pubblico vogliamo stare in contatto soprattutto con quello delle province e dei piccoli centri e delle campagne, dove si respira aria meno scettica che nelle mezze grandi citt d'Italia. E occorre che il pubblico ci permetta di portare La Voce a sei pagine, in modo da dire tutto quello che dobbiamo dire; che ci permetta di mantenere la nostra promessa, e forse pi ancora della nostra promessa. (da G. Prezzolini, in La Voce, 1, 1908, ora in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, II, La Voce (1908-14), a c. di A. Romano, Einaudi, Torino, 1960, pp. 116118). Introibo (programma di Lacerba) 1. Le lunghe dimostrazioni razionali non convincono quasi mai quelli che non son convinti prima per quelli che son d'accordo bastano accenni, tesi, assiomi. 2. Un pensiero che non pu esser detto in poche parole non merita d'esser detto. 3. Chi non riconosce agli uomini d'ingegno, agli inseguitori, agli artisti il pieno diritto di contraddirsi da un giorno all'altro non degno di guardarli. 4. Tutto nulla, nel mondo, tranne il genio. Le nazioni vadano in isfacelo, crepino di dolore i popoli se ci necessario perch un uomo creatore viva e vinca. 5. Le religioni, le morali, le leggi hanno la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria degli uomini e nel loro desiderio di star tranquilli e di conservare alla meglio i loro aggruppamenti. Ma c' un piano superiore dell'uomo solo, intelligente e spregiudicato in cui tutto permesso e tutto legit timo. Che lo spirito almeno sia libero! 6. Libert. Non chiediamo altro; chiediamo soltanto la condizione elementare perch l'io spirituale possa vivere. E anche se dovessimo pagarlo coll'imbecillit saremo liberi. 7. Arte: giustificazione del mondo contrappeso nella bilancia tragica dell'esistenza. Nostra ragione di essere, di accettar tutto con gioia. 8. Sappiamo troppo, comprendiamo troppo: siamo a un bivio. O ammazzarsi o combattere, ridere e cantare. Scegliamo questa via per ora. 9. La vita tremenda, spesso. Viva la vita! 10. Ogni cosa va chiamata col suo nome. Le cose di cui non si ha il coraggio di parlare francamente dinanzi agli altri sono spesso le pi importanti nella vita di tutti. 11. Noi amiamo la verit fino al paradosso (incluso) la vita fino al male (incluso)
e l'arte fino alla stranezza (inclusa). 12. Di seriet e di buon senso si fa oggi un tale spreco nel mondo, che noi siamo costretti a farne una rigorosa economia. In una societ di pinzocheri anche il cinico necessario. 13. Noi siamo inclinati a stimare il bozzetto pi della composizione, il frammento pi della statua, l'aforisma pi del trattato, e il genio mancato e disgraziato ai grand'uomini olimpici e perfetti venerati dai professori. 14. Queste pagine non hanno affatto lo scopo n di far piacere, n d'istruire, n di risolvere con ponderatezza le pi gravi questioni del mondo. Sar questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sar uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi. 15. Si dir che siamo ritardatari. Osserveremo soltanto, tanto per fare, che la verit, secondo gli stessi razionalisti, non soggetta al tempo e aggiungeremo che i Sette Savi, Socrate e Ges sono ancora un po' pi vecchi dei sofisti, di Stendhal, di Nietzsche e di altri disertori. 16. Lasciate ogni paura, o voi ch'entrate! (da Lacerba, 1, 1913; dall'ed. La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, IV, Lacerba, La Voce (1915-1916), a c. di G. Scalia, Einaudi, Torino, 1960, pp. 123-124).