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Le Verrinae sono composte da sette orazioni: la Divinatio in Q.

Caecilium, con la quale Cicerone ottiene che


nella causa contro Verre l’accusa sia affidata a se stesso e non a Quinto Cecilio, un amico di Verre che non
avrebbe fatto nulla per farlo condannare; la In C. Verrem actio prima, pronunciata dopo che Cicerone era
stato in Sicilia per acquisire le prove della colpevolezza di Verre; la In C. Verrem actio secunda, che l’oratore
non pronunciò mai, ma che provvide ugualmente a pubblicare. È divisa in cinque parti, ciascuna delle quali
è dedicata ai vari misfatti di Verre: quelli compiuti prima e durante la propretura in Sicilia; i furti di
frumento; le ruberie di opere d’arte; gli atti crudeli ai danni non solo di siciliani, ma anche di cittadini
romani. Le Verrinae segnano la più grande vittoria di Cicerone su Quinto Ortensio Ortalo, difensore di
Verre, non soltanto dal punto di vista forense, ma anche, e ancor di più, dal punto di vista stilistico. Infatti,
la sua oratoria risulta molto più efficace rispetto ai precedenti discorsi; lo stile è meno gonfio e ampolloso, è
più incisivo, e si segnala inoltre per la sua varietà. Cicerone fa ricorso a un’ampia gamma di tonalità e di
livelli espressivi per colpire Verre in tutte le sue malefatte: con un’ironia finissima, come quando si descrive
la lettiga sulla quale egli viaggiava, impreziosita da un morbido cuscino di stoffa maltese pieno di petali di
rose; a volte invece fa leva sul páthos, per suscitare lo sdegno dei giudici al ricordo delle infinite crudeltà
perpetrate da Verre, rappresentante del potere di Roma. Le Verrine raccontano di un processo avvenuto
nel 70 a.C. nella Roma repubblicana. Tale processo fu intentato dalla provincia di Sicilia contro Gaio Verre,
che era stato il governatore di Roma per ben tre anni. I siciliani scelsero come avvocato Marco Tullio
Cicerone, le sue accuse di condanna diventarono le sue opere maggiori, intitolate Le Verrine. Gaio Verre
terminò il suo mandato in Sicilia nel gennaio del 70 a.C., ma non fece in tempo a ritornare a Roma che 64
città dell’isola, saccheggiate dall’ex governatore, decisero di accusarlo per concussione. Affidarono a
Cicerone, a quel tempo Questore a Marsala, il patrocino dell’accusa. Fu Cicerone a presentare al giudice la
richiesta d’incriminazione del Senatore Gaio Verre. Quest'ultimo però, col tempo si era arricchito e non si
fece nessun problema a procurarsi un buon avvocato, il principe del Foro Romano Quinto Ortensio Ortalo.
Ortensio, per prima cosa, fece in modo che il processo fosse rimandato dopo l’autunno del 70, in modo che
potesse contare sui nuovi giudici ritenuti più influenzabili. Ma per sfortuna di Verre ebbero la meglio le
capacità di Cicerone, il quale riuscì a far fare il processo prima dell’interruzione estiva, evitando così che
Verre venisse giudicato dai suoi amici. Inoltre l’avvocato Ortensio, tentò di ostacolare l’elezione di Cicerone
come avvocato dell’accusa cercando di corrompere i giudici, ma tutto ciò servì a poco perché Cicerone fu
eletto con una maggioranza dei voti.               

ARRINGA DI CICERONE

 Afferma che i siciliani lo hanno scelto per difendere i loro interessi 


 Accetta l’incarico poiché sente che Verre ha stravolto le leggi di Roma per i suoi interessi personali
 A Cicerone vengono dati 110 giorni per raccogliere le prove
 Trovò prove e testimonianze in tutta la Sicilia tranne in 3 città: Siracusa, Messina, Lentini
 Verre cerca di non far tornare Cicerone a Roma ma non riesce, allora prova a corromperlo con una
somma di denaro che Cicerone rifiuta

Il processo partì nonostante i tentativi di Verre, ad un certo punto del dibattito Cicerone afferma che per
Gaio Verre il denaro è la sua arma vincente e che avrebbe voluto comprare anche la data del processo,
Cicerone prosegue dicendo se questo denaro farà in modo che l’imparzialità dei giudici sarà rovinata e che
non si assisterà più all’esercizio della giustizia e Verre la farà franca. Cicerone porta avanti tanti capi
d’imputazione, raccontando che quando divenne Pretore abbia iniziato ad emanare editti in cambio di
denaro, infatti il diritto romano deve a lui l’invenzione dell’editto “ad personam”. Vi furono altri reati più
gravi come: reati relativi a tasse e appalti, al furto di opere d’arte ci cui la Sicilia era piena, accusa di essere
un usuraio con tasso di usura altissimo che causava grossi problemi a chi gi chiedeva soldi. Ma tra le accuse
degne di essere ricordate vi è il mercato delle cariche pubbliche, un esempio fu l’elezione del Sommo
Sacerdote che avveniva ogni anno, i candidati erano Artemone, uomo ricco, ed Erodono, uomo illustre e
autorevole, Verre per favorire Artemone escogitò un piano. Scoprire tutte le malefatte di Verre non fu più
possibile , perché i suoi difensori capendo che il loro difeso non poteva uscire indenne, decisero di farlo
scappare con tutte le prove e la refurtiva per Marsiglia. Questo fu un colpo basso per Cicerone che
nell’ultima parte della requisitoria avrebbe deciso di parlare del reato commesso da Verre di concussione e
corruzione. Gaio Verre ritirandosi in maniera illecita dal processo aveva in parte ammesso le sue colpe. La
sentenza riconobbe Verre colpevole, ma solo di pochi reati. I Siciliani vennero risarciti in minima parte e le
vittime non vennero vendicate, la sentenza lasciò nel disgusto i siciliani.

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