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Tuttavia è proprio l’animale a portarci verso l’ipotesi più accreditata: quella di Cecilia Gallerani, nobile

lombarda colta e di intelletto acuto, ritratta quando a 16 anni era già l’amante del duca di Milano Ludovico
Sforza detto il Moro. In greco l’ermellino si chiama galè: la sua presenza nel dipinto alluderebbe quindi al
cognome della fanciulla, come avviene in un’altra grande opera di Leonardo, il Ritratto di Ginevra de’ Benci,
dove il nome della modella è evocato dal ginepro rigoglioso alle sue spalle. Simbolo della purezza e
dell’incorruttibilità della giovane, la bestiola è anche un richiamo a Ludovico, che nel 1488 ricevette dal re di
Napoli il titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino. A far quadrare il cerchio è la datazione del
dipinto, che secondo gli esperti fu realizzato nello stesso anno. E soprattutto del ritratto di Cecilia parla
anche una fonte quattrocentesca: si tratta di Bernardo Bellincioni, poeta fiorentino in quegli anni di stanza a
Milano, che ne celebra la bellezza in un sonetto. ma come potè Leonardo a mettere in braccio a Cecilia un
animale selvatico e ritroso come l’ermellino? Sono in molti a pensare che il genio rinascimentale - per il
quale l’osservazione dal vero della natura era un valore assoluto - abbia utilizzato come modello un più
docile furetto, all’epoca molto comune nella campagna lombarda. Lo testimonierebbero le dimensioni e le
fattezze della bestiola, descritte sulla tavola con precisione e vivacità. L’ermellino e la fanciulla sembrano
quasi identificarsi per la sottile comunanza di tratti, la figura slanciata, lo sguardo intenso e candido rivolto
nella stessa direzione: un elemento che rafforza la posa inusuale di Cecilia, protagonista di una doppia
rotazione, con il busto girato verso sinistra e la testa verso destra, come se qualcuno ne avesse attratto
l’attenzione entrando nella stanza. Con quest’opera Leonardo innova profondamente la tradizione del
ritratto lombardo, fino ad allora basata soprattutto sulla rappresentazione di profilo. Attraverso la postura e
l’espressione del volto continua la sua ricerca nella resa dei moti dell’animo, lasciando immaginare
emozioni e situazioni piuttosto che descriverle esplicitamente. Grande rilievo è dato al movimento della
mano, che accarezza l’animale con le dita affusolate sottolineandone grazia e purezza, mentre un
impercettibile sorriso aleggia sulle labbra della donna: lo stesso che possiamo osservare nel San Giovanni
Battista e nella Gioconda. L’abbigliamento della giovane è curatissimo e ricercato, come si addice a una
dama di corte che abbia il privilegio di essere l’amante di uno dei signori più potenti d’Italia. È proprio
Ludovico, preso da autentica passione per Cecilia, a commissionare il ritratto a Leonardo. La fanciulla veste
alla spagnola, come divenne di moda a Milano in seguito all’avvicinamento degli Sforza al Regno di Napoli.
L’acconciatura elaborata che sottolinea i lineamenti con un laccio sulla fronte e il velo dello stesso colore
dei capelli, le maniche ampie e preziose adornate da nastri, la collana di granati - simbolo di fedeltà - che
spicca sulla carnagione luminosa dipingono in maniera elegante e dettagliata i costumi di una grande
stagione, destinata a chiudersi presto con la cattura del Moro ad opera dei francesi.la risonanza del ritratto
tra i contemporanei fu notevole, come documenta il sonetto di Bellincioni solo cinque anni dopo la
realizzazione. La marchesa di Mantova Isabella d’Este conobbe l’opera grazie a Cecilia e cercò di farsi
immortalare a sua volta dal Maestro, ma ne ricavò solo un disegno che oggi possiamo ammirare al Louvre.

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