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LEONARDO DA VINCI

La dama con l’ermellino


La Dama con l’ermellino è una tavola ad olio del pittore Leonardo da Vinci (1452-1519), dipinta
tra il 1488 e il 1490. La critica è unanime nell’identificare i soggetti del quadro Cecilia Gallerani
nota per essere stata amante del duca Ludovico Sforza, detto il Moro, nella fanciulla e un
ermellino nell’animale. Al momento, l’opera è conservata presso il Museo Czartoryski a
Cracovia.La paternità della Dama con l’ermellino a Leonardo è un evento recente: fino al 900
l’opera era attribuita a diversi pittori leonardeschi, poiché la critica di quel tempo non era
concorde nel riconoscere questo dipinto all’artista fiorentino a causa del soggetto e dello stile
che non presentavano i suoi elementi caratteristici. Avvolta in uno sfondo nero, nel dipinto è
raffigurata una fanciulla con il viso orientato in delicata contrapposizione con il busto. Lo
sguardo della dama appare catturato da un elemento al di fuori del quadro
infine, tra le sue braccia è ritratto un ermellino, simbolo di purezza, regalità e curiosità. A
differenza dello schema ritrattistico del 400, ossia di tre quarti e di mezzo busto, Leonardo
inserì il contrapposto, ritraendo quindi la fanciulla in una posa con la testa rivolta a destra e il
busto a sinistra. Si osserva anche l’espressività più “terrena” della dama, riuscendo a farle
trasparire delle emozioni nonostante la gravità dello sguardo.

Salvator mundi
Il Salvator Mundi è un dipinto a olio su tavola di noce attribuito a Leonardo da Vinci e/o atelier,
databile tra il 1505 e il 1515 circa. Viene identificato anche come "versione Cook" (dal nome del
collezionista londinese Francis Cook, la cui famiglia sarà proprietaria dell'opera dal 1900 al
1958) per distinguerlo dalle numerose versioni conosciute dello stesso soggetto. Il dipinto è
stato reso noto al pubblico solo nel 2011 in occasione della mostra alla National Gallery di
Londra "Leonardo da Vinci”. Gesù Cristo è raffigurato frontalmente e a mezza figura, come
tipico dell'iconografia mentre leva la mano destra per benedire e nella sinistra tiene il globo,
simbolo del suo potere universale e della vita eterna.Ha i capelli ricci lunghi sulle spalle, i suoi
occhi non hanno luminosità e sembra quasi che sia stanco questo per il compito difficile che
esegue,. Barba e baffi, assenti nella pittura sottostante, vennero forse aggiunti dopo la
Controriforma per adeguare l'immagine di Cristo alla fisionomia "ufficiale". Il fatto che Cristo
sia rappresentato in un ambiente vuoto potrebbe avere un significato:è come se volesse
dimostrare che non vuole essere venerato ma voglia donare il bene al mondo senza chiedere
nulla in cambio.Durante il restauro è emersa una ricchezza cromatica paragonabile a quella
dell'Ultima Cena: ricchi sarebbero soprattutto gli azzurri e i rossi del panneggio.
L’ultima cena/ cenacolo
L’Ultima Cena, nota anche con il nome di Cenacolo, dipinta fra il 1494 e il 1498 per il refettorio
del Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano fu commissionata da Ludovico il Moro.
L’affresco rappresenta l’Ultima Cena di Gesù con i suoi apostoli. Il soggetto è frequente
nell’iconografia dell’arte cristiana. Nel 400 era rappresentato, secondo uno schema ricorrente,
con Giuda isolato nella parte opposta del tavolo. Leonardo, invece, modifica per la prima volta
questa impostazione. Dispone infatti gli apostoli lungo un solo lato della mensa,
simmetricamente alla figura di Gesù. L’artista comprende che il tradimento è parte del disegno
divino e Giuda è solo uno strumento nelle mani di Dio affinché il destino di Gesù possa
compiersi. Il momento raffigurato nell’Ultima Cena è tratto dal Vangelo di Giovanni e mostra
l’attimo successivo all’annuncio di Gesù dell’imminente tradimento.Il suo annuncio genera una
reazione a catena che coinvolge tutti gli apostoli tranne Giuda.Giuda è riconoscibile per la borsa
dei denari, sciagurato compenso per aver venduto Gesù ai suoi carnefici. Il coltello impugnato
da Pietro e tenuto dietro la schiena di Giuda è il simbolo del tradimento. Con la mano sinistra
Pietro scuote Giovanni e gli chiede a chi Gesù si riferisca.Il volto quieto e idealizzato del Cristo si
impone come centro prospettico della scena dipinta. Gioco di chiaroscuro: i rapporti tra luce e
ombre derivati da una doppia illuminazione diversificano il gruppo di destra e quello di sinistra.
Il primo si integra nel chiarore della parete, il secondo si distingue sul fondo scuro. Leonardo
dipinse l’Ultima Cena con una tecnica definita “a secco” con pigmenti stesi su uno strato
preparatorio di colore bianco, utilizzato per livellare e lisciare la parete e non direttamente
sull’intonaco bagnato. I colori, quindi, non sono assorbiti dall’intonaco, bensì è sovrapposta al
muro: ciò rende la pittura molto più vulnerabile e fragile rispetto all’affresco.
La vergine delle rocce
La prima versione della Vergine delle Rocce è un dipinto a olio su tavola trasportato su tela di
Leonardo da Vinci, databile al 1483-1486 e conservato nel Musée du Louvre di Parigi, mentre la
seconda versione è conservata alla National Gallery di Londra. Ad accogliere la scena è un
paesaggio roccioso, caratterizzato da fiori e piante acquatiche, descritti con minuzia. In
lontananza si intravede un corso d'acqua. Al centro, Maria allunga la mano destra a proteggere il
piccolo san Giovanni in preghiera, inginocchiato e rivolto a Gesù Bambino, che si trova più in
basso, a destra, in atto di benedirlo e con il corpo in torsione. Dietro c'è un angelo che accenna
un leggero sorriso, coinvolgendo lo spettatore nella rappresentazione, e indicando con la mano
destra il Battista. La mano sinistra di Maria si protende in avanti come a proteggere il figlio.
Sullo sfondo si aprono vedute di gruppi di rocce, che a sinistra sfumano nella foschia, secondo la
tecnica della prospettiva aerea. L'opera descrive l'incontro tra il piccolo Gesù e Giovanni Battista
attraverso un episodio che non è narrato nei vangeli canonici ma deriva principalmente dalla
Vita di Giovanni secondo Serapione. Le figure, circondate da un'atmosfera avvolgente,
emergono dallo sfondo scuro. I colori appaiono più cupi rispetto a quelli utilizzati da Leonardo
nella versione successiva, sebbene la luce appaia decisamente più calda rispetto a quella della
tavola conservata a Londra.

Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino


Dipinto a olio su tavola databile al 1510-1513 circa ,dalle collezioni reali passò al Louvre nel
1801. L’opera, raffigurante le tre generazioni della famiglia di Cristo, vede protagoniste
Sant’Anna, sua figlia Maria e il Bambino Gesù. La Madonna, seduta in bracio alla Santa, è
ritratta mentre si protende, con estrema dolcezza nei movimenti, verso il Bambino intento a
giocare con un piccolo agnello. Nel volto della donna il maestro racchiude tutta la forza
dell’amore materno. Sant’Anna, il vero perno attorno al quale ruota l’azione, sovrasta con la sua
testa l’intero gruppo al punto da generare una struttura piramidale. Ed è sempre Sant’Anna ad
assicurare l’equilibrio, compromesso dallo spostamento in avanti di Maria. Mentre la Vergine
sorregge il Figlio che ha abbracciato l’agnello, prefigurazione della futura Passione e del
sacrificio volontario di Gesù, la madre sorride con malinconica dolcezza. Lo sfondo è
caratterizzato da una montagna che sfuma in toni chiarissimi per effetto della prospettiva aerea.
La cromia spenta e brumosa amplifica la plasticità del gruppo centrale, dove spiccano gesti e
sguardi che si sviluppano anche in profondità, in un difficile equilibrio tra diagonali e linee
contrapposte. Nel dicembre 2008 un conservatore del museo francese scoprì, sul retro della
tavola, diversi schizzi che rivelarono presto tre disegni: una testa di cavallo, una parte di teschio
umano e un Gesù bambino con agnello. Eseguiti in pietra nera o carboncino, appartengono con
molta probabilità alla mano di Leonardo.

La Belle Ferronnière
Il Ritratto di Dama La Belle Ferronnière) è un dipinto a olio su tavola di noce databile al 1490-
1497 circa ed è conservato nel Musée du Louvre di Parigi. Raffigurata di tre quarti, con il busto
leggermente rivolto a sinistra e lo sguardo orientato verso lo spettatore, come attirato da
qualcosa, la bella donna ritratta, forse Lucrezia Crivelli, amante di Ludovico il Moro, rapisce
l’osservatore con l’intensità del suo sguardo. Avvolta nel suo abito elegantemente ricamato e
arricchito da preziosi drappeggi, dove è possibile cogliere la naturalezza delle pieghe, la dama
sfoggia al collo una collana bicolore avvolta in tre cerchi stretti e finemente lavorata. Sulla
guancia è riflesso il riverbero rosso dell’abito.La separazione tra lo spettatore e la giovane
ritratta, resa dalla balaustra alla fiamminga in primo piano, è solo apparente. Il pubblico viene
immediatamente coinvolto nella scena dall’intensità dello sguardo della donna le cui mani
restano tuttavia invisibili. "Ferronnière" alluderebbe al nastro con gioiello che cinge la fronte
della donna, ornamento tipico dell'epoca che prese il nome da Madame Ferron. L’opera faceva
parte della collezione di Francesco I, ed è per questo che il ritratto venne erroneamente
chiamato Belle Ferronière. Durante la compilazione dell’inventario delle collezioni reali nel 700,
infatti, la donna ritratta venne confusa con un’amante del re francese Francesco I, Madame
Ferron, e identificata con questo nome, e cioè “Bella moglie di un mercante di ferramenta”.
Rapporto tra Michelangelo e Da Vinci
Il rapporto tra Leonardo e Michelangelo fu sempre difficile, i due pare non andassero per niente
d’accordo. Gli elementi che sono alla base della presunta conflittualità potrebbero essere diversi,
sicuramente individuabili nel carattere e negli ideali artistici. Leonardo era riflessivo, pacato,
eclettico e interessato ai fenomeni e al mondo della natura; Michelangelo, invece, era
turbolento, idealista e molto impulsivo. L’enorme divario tra i due era anche dovuto alla
differenza d’età, con Leonardo di ben ventitré anni in più anziano di Michelangelo.
Dell’inimicizia tra i due maestri ci sono molti indizi e testimonianze indirette, ma niente di
esplicito. Un indizio potrebbe celarsi nel Trattato della pittura di Leonardo, nel quale il maestro
condanna, senza mai citare il rivale, gli “eccessi anatomici e la retorica muscolare”.Un altro
episodio abbastanza emblematico della rivalità tra i due maestri è quello che riguarda la
collocazione del David di Michelangelo. Leonardo, insieme con artisti e pensatori fiorentini, fece
parte della commissione che doveva decidere in quale punto, di piazza della Signoria, fosse
meglio posizionare la colossale statua appena scolpita da Michelangelo. Leonardo, forse spinto
dalla rivalità verso il collega, consigliò una posizione nascosta, nella Loggia della Signoria
incorniciata da una nicchia. La sua proposta non ebbe seguito e prevalse l’ipotesi di Filippino
Lippi, che prevedeva una posizione di massimo risalto davanti a Palazzo Vecchio. Anche una
novella dell’Anonimo Gaddiano racconta di un diverbio tra i due geni. Nonostante la presunta
reciproca antipatia, i due geni erano entrambi consapevoli della grandezza del collega. Leonardo
rimase colpito dal colossale David di Michelangelo, al punto da ricopiarlo in un suo disegno.
Anche Michelangelo rimase impressionato dall’arte di Leonardo, come accadde con il perduto
Cartone di Sant’Anna del 1501.

MICHELANGELO

Le Sibille
Michelangelo venne invitato nel 1508 dal papa Giulio II ad affrescare l’immensa volta della
Cappella Sistina. Dapprima l’artista riluttante ad accettare l’incarico, in quanto si considerava
più scultore che pittore, nel 1512 prima di intraprese l’opera.Tutte le sibille sono dipinte da
Michelangelo mentre portano bende avvolte in testa. Erano sacerdotesse e spose vergini della
divinità di cui trasmettevano gli oracoli. Michelangelo, attraverso loro, ci ricorda le decisioni
di Dio sulla venuta di Cristo. MIchelangelo ne ritrae solo 5 ma le più famose erano 10.
● La sibilla delfica risiedeva a Delfi presso il santuario del Dio Apollo. Prima di profetizzare era
solita masticare foglie di alloro. Nell'affresco è rappresentata bellissima con in mano un rotolo
dalla cui lettura è distratta, sorpresa da qualcosa
● la sibilla cumana ha le sembianze di una vecchia con carnagione scura. Il suo volto è rugoso e
tiene fra le sue mani un libro che aveva proposto a Tarquinio per l'acquisto. Il volume poggia su
un cuscino rosso sotto cui ci sono altre previsioni arrotolate e un pugnale
● La sibilla eritrea era una profetessa che presiedeva l'oracolo di Apollo a eritrea. Sta sfogliando le
pagine di un volume di profezie appoggiato su un leggìo. Dietro il leggìo uno dei due assistenti
accende una lampada con una fiaccola mentre l'altro, appena svegliato, stropiccia gli occhi
● La sibilla persica nella tradizione, si crede fosse figlia di Noè. Viene dipinta come donna anziana
con la gobba e avvicina lo sguardo ad un libro per leggere meglio. L'età avanzata si fa sentire
sulla sua vista
● La sibilla libica, la cui più importante profezia riguardava la venuta di Cristo, fa una torsione del
busto mentre solleva il libro delle profezie per poterlo leggere

La scultura e il metodo
Michelangelo usò sempre i colori naturali della pietra, senza arricchirli con dorature o
colorazioni. Per il maestro, il materiale principe era il marmo, in particolare quello di Carrara,
con il quale realizzò il suo primo capolavoro, la Pietà Vaticana. Definendosi artista “del levare” e
non “del mettere”, per Michelangelo il blocco di marmo andava scolpito affinché potesse
liberare la statua che vi era imprigionata dentro. Michelangelo acquistava non solo i marmi per
le opere commissionate ma anche altri blocchi, che avrebbe utilizzato per opere prodotte di sua
iniziativa, assumendo così un approccio imprenditoriale verso la sua arte.
1. studio preparatorio. Michelangelo disegnava i bozzetti per fissare l’idea della statua che
voleva realizzare e in alcuni casi sembra eseguisse anche dei modelli in cera o argilla. Con
il crescere della sua abilità e maturità artistica iniziò a saltarla
2. preparazione del blocco. Con un carboncino, a volte con dei forellini veri e propri,
Michelangelo disegnava sul marmo la sagoma della vista frontale della statua e iniziava a
togliere materiale con l’uso della “cagnaccia”.
3. sbozzatura. Era la prima scolpitura della veduta principale della statua nella pietra, che
iniziava così ad assumere le forme e i volumi immaginati dall’artista. Per la sbozzatura si
serviva di un mazzuolo e di un grosso scalpello a punta, la “subbia”.
4. scolpitura vera e propria, con la quale Michelangelo iniziava a creare profondità e forme,
tramite scalpelli dentati come il "calcagnolo" e la “gradina”.
5. livellatura, effettuata con uno scalpello piano per eliminare i segni della gradina quando
questi erano troppo evidenti.
6. rifinitura, procedeva alla levigatura della statua con limature, pietra pomice, raschietti e
batuffoli di paglia, producendo la lucentezza.

Osservando le opere non finite di Michelangelo, emerge chiaramente come non rispettasse la
sequenzialità delle fasi nella lavorazione di un’opera. Attuava contemporaneamente le diverse
fasi operative in varie parti della statua, avendo così diversi stati di avanzamento nella stessa
opera.

I Prigioni
I Prigioni sono un gruppo di sei statue eseguite per la tomba di Giulio II: due di essi, del 1513
circa (secondo progetto), sono finiti e si trovano oggi al Louvre a Parigi, mentre gli altri quattro,
databili al 1525-1530 circa, sono vistosamente "non-finiti" e sono conservati nella Galleria
dell'Accademia a Firenze. La funzione dei Prigioni era quella di movimentare l'architettura del
monumento sepolcrale, per aumentare il senso di tridimensionalità dell'insieme. Il significato
iconologico delle figure era probabilmente legato al motivo dei Captivi nell'arte romana, infatti
Vasari li identificò come personificazioni delle province controllate da Giulio II; per il Condivi
invece avrebbero simboleggiato le Arti rese "prigioniere" dopo la morte del pontefice. Da un
punto di vista stilistico, essi si rifanno alla statuaria ellenistica, come il Gruppo del Laocoonte,
ma anche le raffigurazioni sugli archi di trionfo a Roma o anche le rappresentazioni di san
Sebastiano, anche pittoriche. Particolarmente celebri sono i Prigioni fiorentini che proprio dal
loro stato non-finito traggono una straordinaria energia, come se fossero colti nell'atto
primordiale di liberarsi dal carcere della pietra grezza, in un'epica lotta contro il caos. I Prigioni
fiorentini, in diversi stati di finitura, permettono di approfondire la tecnica scultorea usata da
Michelangelo, che avviava il blocco tirando innanzitutto fuori la veduta principale, e poi
completando il resto scalpellando via il materiale circostante.

Il David
Il David è una scultura realizzata in marmo, databile tra il 1501 e l'inizio del 1504 e conservata
nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Largamente considerato un capolavoro della scultura
mondiale, è uno degli emblemi del Rinascimento nonché simbolo di Firenze e dell'Italia
all'estero. L'opera, che ritrae l'eroe biblico nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia,
originariamente fu collocata in Piazza della Signoria, come simbolo della Repubblica fiorentina
vigile e vittoriosa contro i nemici. Considerato l'ideale di bellezza maschile nell'arte. David è il
giovane eroe della Bibbia che sconfisse il gigante Golia con l’impiego di una semplice fionda e di
un sasso. Il David di Michelangelo è un ragazzo forte, imponente e fiero. La testa si volge a
sinistra di scatto e lo sguardo si ferma verso il nemico: egli è colto nel momento in cui fissa
l’avversario e si prepara a sferrare il colpo mortale. David è nudo. Il suo corpo è bello come
quello di una statua antica ed esprime la sua forza fisica e morale.Tutto il peso del corpo è sulla
gamba destra nella quale si contraggono al massimo i muscoli evidenziandone lo sforzo, mentre
la gamba sinistra si flette in avanti. Il braccio sinistro si piega a reggere la fionda sulla spalla e
quello destro è disteso sul fianco, ma pronto allo scatto.Il David di Michelangelo è ben diverso
da altre interpretazioni che lo avevano preceduto, come quello di Donatello, dalle forme
effeminate interpretabili in senso religioso come l'eroe la cui forza viene da Dio, e quello del
Verrocchio, un fanciullo sognante ancora più debole sul piano formale e del significato rispetto
al giovane eroe vittorioso di Donatello. Michelangelo, invece, trasmette un'idea di forza
assolutamente autosufficiente, espressa nel momento di tensione che precede la battaglia.

La pietà Vaticana

La Pietà di San Pietro è una scultura in marmo databile tra il 1497 e il 1499 e conservata nella
basilica di San Pietro in Vaticano. Maria siede su una struttura rocciosa che rappresenta il
monte calvario. La giovane Madre di Cristo tiene tra le braccia il corpo del figlio morto,
mollemente adagiato sulle sue gambe con naturalezza, privo della rigidità delle rappresentazioni
precedenti. La Madonna della Pietà di Michelangelo non appare disperata, ma molto discreta e
pacata. La sua mano sinistra è aperta e rivolta verso lo spettatore, a significare che tutto si è
compiuto e nulla più è in suo potere. Si nota la perfezione formale del volto e l’età della donna
raffigurata, vicina a quella del Cristo morente, a rappresentare la purezza, la santità e
l’incorruttibilità. Sul busto della Vergine c’è una fascia che riporta la firma di Michelangelo: si
tratta dell’unica opera da lui firmata. La Pietà ha una composizione piramidale, accentuata
dall’ampio panneggio della veste di Maria: una linea verticale, rappresentata dalla Vergine e una
curva, incarnata dal corpo di Cristo, si intersecano. L’opera appare un tutt’uno: la Madonna
contiene il corpo di Cristo, è insieme curvata verso l’interno e rivolta verso l’esterno con il
braccio.

La pietà Rondanini
La Pietà Rondanini è un'opera marmorea, scolpita nel 1552-1553 (prima versione) e rilavorata
dal 1555 circa al 1564; è conservata nel Museo del Castello Sforzesco a Milano. Si tratta
dell'ultima opera dell'autore che secondo le fonti vi lavorò fino a pochi giorni prima di morire.
Michelangelo intervenne sulla figura di Maria trasformandola in una nuova versione del corpo
di Gesù, della precedente concezione rimasero solo le gambe. Maria, nella nuova versione,
venne infine ricavata dalla spalla sinistra e dal petto del Cristo primitivo. Tutta l'attenzione
dell'artista è concentrata sul rapporto tra madre e figlio morto. Il torso del Cristo, leggermente
piegato in avanti, è schiacciato contro il corpo della Vergine quasi a formare un toccante
tutt'uno, con una grande tensione emotiva.Se guardata di lato, la statua appare curva in avanti.
Questa curvatura dà un senso di slancio verso l'alto come forse è dato intendere da un episodio
come la morte di Cristo prossimo alla Resurrezione.

Il Mosè
Il Mosè di Michelangelo fu pensato e scolpito per decorare la tomba di Papa Giulio II insieme a
circa cinquanta altre statue. Databile al 1513-1515 circa, ritoccata nel 1542 e conservata nella
Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma.Il profeta viene rappresentato in posizione seduta, con
la testa barbuta rivolta a sinistra, il piede destro posato per terra e la gamba sinistra sollevata
con la sola punta del piede posata sulla base.Il braccio sinistro è abbandonato sul grembo,
invece quello destro regge le tavole della Legge, mentre la mano arriccia la lunga barba.
Curiosamente le tavole della legge risultano rovesciate, come se fossero scivolate dalle braccia
del Mosè. Celebre lo sguardo del Mosè definito come “terribile”: esso è stato interpretato come
espressione del carattere di Michelangelo, irascibile, orgoglioso e severo, per il quale è stato
coniato il termine "terribilità". Il riferimento è l’arte classica, Donatello in particolare, della
quale si riprendono le proporzioni, l’armonia, l’idealizzazione delle figure e la monumentalità
delle forme. Le corna sul capo del Mosè, tipiche della sua iconografia, sono probabilmente
dovute ad un errore di traduzione del Libro dell'Esodo, nel quale si narra che Mosè, scendendo
dal monte Sinai, avesse due raggi sulla fronte. L'ebraico "karan" "raggi" potrebbe essere stato
confuso con "keren" "corna". All'errore può aver contribuito anche il fatto che nel Medioevo si
riteneva che solo Gesù potesse avere il volto pieno di luce.

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