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La terza maniera, chiamata anche maniera moderna, è la produzione artistica del Rinascimento

maturo, ovvero di quel periodo che va dal 1400 al 1527 in cui ritroviamo gli artisti più importanti
e i protagonisti di questa epoca, ovvero Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello
Sanzio.
In questo periodo la figura dell’artista cambia: lui doveva possedere conoscenze scientifiche e
teoriche che gli permettevano di svolgere un’attività polivalente dalla pittura alla scultura e
all’architettura. Gli artisti diventano così cortigiani colti e raffinati capaci di interagire con i
personaggi di alto rango della nobiltà.
Soffermandoci sul primo dei tre artisti, ovvero Leonardo, possiamo dire che era considerato il
genio per eccellenza del Rinascimento, il vero uomo universale dell’epoca. Era uno scienziato
che non sapeva molto di cultura, ma approfondì ugualmente il latino e la sua sete di sapere che
gli permise di studiare anche anatomia e botanica. Tutti i suoi saperi si possono riconoscere
nelle sue opere. Possiamo analizzare uno dei suoi quadri più famosi, ovvero la Gioconda
(ritratto di dama in un paesaggio), in cui viene raffigurata la moglie di Francesco del Giocondo,
Lisa. La donna si trova in primo piano con il viso frontale e lo sguardo diretto verso
l’osservatore, indossa una veste decorata che lascia scoperto il décolleté e sulle spalle porta un
tessuto scuro. Sullo sfondo invece viene raffigurato un paesaggio lacustre, disseminato di
colline, rupi e montagne elevate. A sinistra una strada serpeggia tra le alture rocciose mentre a
destra un ponte ad arcate traversa un fiume che nasce da un lago che si trova più un alto.
Leonardo raffigura nella Gioconda la natura e i segni dell’uomo in essa nel tempo e ciò si
riconosce nel passaggio dalle colline alla strada e al ponte a destra. Vi è anche un inserimento
della vita di Leonardo perchè molto probabilmente il fiume che egli dipinge sullo sfondo è
l’affluente dell’Arno, che scorre nel luogo in cui il pittore ha trascorso i primi anni di vita. Per
rendere al meglio lo sfondo il pittore usa la tecnica dello sfumato che gli permette di fondere
l’immagine della Gioconda con il paesaggio e viene realizzato cancellando ogni contorno della
figura che viene così a perdersi con lo spazio pittorico adiacente. La tecnica dello sfumato viene
utilizzata dall’artista anche in altre sue opere, come nel dipinto di Sant’Anna, la Vergine, il
Bambino e l’Agnello, in cui l’attenzione viene posta sulle figure della Vergine e del bambino, ma
specialmente sul loro rapporto. Lo sfumato permette di addolcire i contorni con delicatissimi
trapassi luministici (per esempio si possono notare gli occhi ambrati di Sant’Anna), rende i
panneggi lievi e morbidi ma allo stesso tempo sottolinea la tridimensionalità delle figure.
Anche nella Vergine delle rocce si può osservare lo sfumato, che permette di ottenere una resa
atmosferica e integrare le figure con l’ambiente. Infatti si vede come i contorni dei corpi e degli
abiti si fondono con la materia pittorica. Una tecnica molto utilizzata da Leonardo è sicuramente
la prospettiva, non quella che venne usata fino a quel tempo dagli altri pittori, ovvero quella
lineare, ma la prospettiva aerea, chiamata anche del perdimento. Prima con la prospettiva
lineare gli oggetti sullo sfondo posti in lontananza venivano solo rimpiccioliti (errore commesso
dalla pittura fiamminga per esempio); con la “nuova” prospettiva invece le cose lontane vengono
rappresentate con contorni indistinti e tendenti a una sfumatura grigio azzurrina, sicuramente
una tecnica che si avvicina alla raffigurazione naturale delle cose.
Leonardo arriva all’uso della prospettiva aerea grazie all’osservazione del mondo naturale e allo
studio delle sue leggi occupandosi anche di ottica. Si accorse infatti che l’area non è del tutto
trasparente, ha una sua densità, è ricca di pulviscolo atmosferico che si interpone tra l’occhio
dell’osservatore e l’oggetto osservato e in qualche modo sporca la percezione delle cose
specialmente quando queste sono poste a una certa distanza. A seconda della vicinanza o
meno dell’oggetto rappresentato variano le condizioni di luminosità che influiscono sulla visione.
Alla prospettiva ovviamente si accompagna lo sfumato, e queste due tecniche insieme
permettono di rappresentare quelli che vengono chiamati “i moti dell’animo” (da Vasari), ovvero
dinamismo ed espressività. La prospettiva è visibile in varie opere, come l’Annunciazione, la
Vergine delle rocce, e anche l’Ultima cena, e proprio in quest’ultima la resa prospettica viene
creata tramite il soffitto a lacunari, la quadratura del pavimento, gli arazzi appesi e le finestre di
fondi. Questi accorgimenti prospettici e la studiata illuminazione creano un forte effetto di
sfondamento. Una delle tecniche usate da Leonardo è anche la tempera su tavola, che
permetteva, usando pennellate piccole e dettagliate su una prima stesura di bianco di piombo
per illuminare le tinte, di rappresentare molti particolari.
L’uomo nei dipinti di Leonardo è molto presente non solo dal punto di vista fisico, perché
Leonardo grazie al suo studio dell’anatomia cercava di rappresentare le figure nel modo più
naturale possibile con tutte le loro caratteristiche, ma anche dal punto di vista simbolico.
Nell’Ultima cena per esempio, in cui vengono raffigurati Cristo e gli apostoli, questi ultimi, grazie
al modo in cui vengono dipinti, alle posizioni e ai loro gesti, danno vita e fanno percepire
all’osservatore i sentimenti che incarnano. Per esempio Giuda rappresenta la vergogna, Pietro
(che si sporge verso Gesù) l’aggressività, Filippo il dolore, Giovanni la rassegnazione ecc…
Il rapporto col divino nei dipinti di Da Vinci si vede, a mio parere, specialmente
nell'Annunciazione, che raffigura la Vergine seduta accanto a un leggio sulla soglia di casa
mentre a sinistra, inginocchiato, l’Arcangelo Gabriele si inchina a salutare Maria con le ali
ancora spiegate davanti il paesaggio di alberi e montagne lontane. La rappresentazione del
divino non si percepisce solo nella raffigurazione dell’Arcangelo ma anche con la luce stessa,
infatti come si può notare, Maria (e anche l’angelo) appare illuminata dalla luce che dal muro
rimbalza e le illumina il volto e i capelli, come per evidenziare e mettere in risalto ancora di più
l’avvenimento, ovvero che l’Arcangelo, sotto ordine di Dio, si presenta alla donna.
Michelangelo Buonarroti invece studiò l'arte di Giotto, Donatello, Masaccio e frequentò il
giardino mediceo di San Marco avendo così la possibilità di ammirare una parte della collezione
di statue antiche di Lorenzo il Magnifico. Le sue opere colpiscono molto per il violento pathos e
proprio da Masaccio prese il plasticismo delle figure. Michelangelo fu anche un pittore, ma si
concentrò molto di più sulla scultura, come si può vedere dalle sue opere. Sicuramente una
delle sculture più importanti, e a mio parere con più pathos, è la Pietà della Basilica di San
Pietro. Maria tiene tra le braccia il corpo senza vita di Gesù, appena deposto dalla croce ma
Michelangelo riesce a creare di questo episodio un simbolismo religioso. La madre di Gesù è
raffigurata come una fanciulla, quasi adolescente, per cui la sua giovinezza diventa allegoria di
eternità e perfezione non corrotta dal tempo. Il pittore, rispetto a Leonardo, riesce a raffigurare
molto più pathos senza però estremizzarlo, infatti la Madonna appare molto composta nella sua
posizione, ma allo stesso tempo si percepisce il dolore di quest’ultima, specialmente dai gesti:
la testa piegata in avanti in segno di rassegnazione e la mano destra che delicatamente
sorregge il figlio. Una cosa che però Leonardo e Michelangelo condividono è l’anatomia del
corpo. Leonardo si era interessato all’anatomia e cercò di inserire nelle sue opere ciò che ha
appreso negli anni, Michelangelo grazie alle sculture riuscì a realizzare un ottimo lavoro di resa,
come si può notare dal busto di Gesù, la sua posizione molto realistica e non innaturale (a
differenza del Cristo Morto in croce di Cimabue in cui la sua posizione e l’anatomia erano
innaturali). La Madonna allude al significato simbolico di Chiesa eterna che accoglie il corpo di
Cristo come strumento di redenzione. Nella pietà, come anche nelle altre sculture di
Michelangelo,le figure sembrano essere incastonate nel marmo, come se volessero uscire e
prendere vita. Da ciò si percepisce la bravura dello scultore nel riuscire a realizzare un’opera
partendo semplicemente da un blocco di marmo.
Una caratteristica delle sculture di Michelangelo è il gigantismo, visibile soprattutto nel David,
posto all’ingresso di palazzo Vecchio. L’artista raffigura l’episodio biblico in cui David sconfigge
con un colpo di fionda il gigante filisteo Golia che terrorizzava il popolo ebraico, ma il suo
significato religioso viene riletto in chiave politica. Infatti lo scultore si sofferma maggiormente
sulla volontà dell’azione: David non ha ancora scagliato la pietra e tutti sanno che lo farà, così
come tutti sanno che in caso di attacco la Repubblica fiorentina sarà energica e valorosa.
All’interno delle sue opere Michelangelo riesce quindi a portare anche la società del tempo e a
trasmettere dei messaggi che non hanno sempre a che fare con la religione nonostante le
sculture per la maggior parte siano tutte inerenti al divino. Nel David vi è sicuramente un
sincretismo tra sacro e profano, ovvero l’episodio biblico e il ricordo delle statue classiche
(specialmente il classicismo si nota nelle forme del corpo e anche dalla ponderazione, che è
basata sulla struttura a chiasmo tra le parti del corpo in tensione e in rilassamento). David viene
realizzato alto 4 metri, il che porta ad un grande impatto visivo e anche al fatto che, oltre che
gigante, appare anche sovraumano. Michelangelo ebbe anche l’idea di fare grandi la testa e le
mani in modo tale che, se la scultura fosse stata vista dallo spettatore collocato molto più in
basso, non ci sarebbero state deformazioni.
Il gigantismo venne applicato anche nella Tomba di Giulio II in cui Mosè, alto 235 centimetri,
viene raffigurato austero, potente, coi muscoli in tensione, con le corna in testa che
simboleggiano i raggi della luce divina sul profeta, tutte caratteristiche che ampliano la
grandezza di Mosè.
Una cosa che caratterizza Michelangelo, ma che in Leonardo non si vede, è la nudità. In molte
sue opere come il Diluvio Universale, Peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre, la
Creazione di Adamo e anche il Giudizio Universale si possono vedere uomini, donne e bambini
nudi, ma la troppa nudità non piacque in quel periodo, infatti successivamente alcuni dei corpi
del Giudizio Universali furono coperti con dei braghettoni aggiunti da Daniele da Volterra. Per il
maestro la raffigurazione del nudo aveva un profondo significato filosofico rappresentando
l’uomo nella sua essenza, che è insieme fragile ed eroica, e richiamando al contempo il suo
sottoporsi inerme al giudizio di Dio.
La presenza del divino si nota molto in Michelangelo, specialmente nel Giudizio Universale, in
cui però i corpi vengono rappresentati diversamente, per esempio i santi senza aureola, gli
angeli senza ali, Cristo giovane senza barba. Leonardo invece raffigurava le figure divine come
la Madonna e Gesù con l’aureola e l’angelo dell’Annunciazione con le ali. Un’altra novità che si
può vedere con Michelangelo è la raffigurazione dei dannati, nella parte bassa del dipinto.
Questi piangono, si disperano, si ribellano, creando un forte pathos nella scena.
Un’altra differenza tra le opere dei 3 artisti è la composizione. Raffaello e Leonardo usano lo
schema piramidale tipico quattrocentesco, mentre Michelangelo usa per esempio nel Tondo
Doni una costruzione dinamica a salire in senso elicoidale, che parte dalle gambe di Maria in
primo piano e sale in alto al Bambino. La composizione ruota anche intorno al movimento di
torsione della Madonna, la vera protagonista del quadro e per questo posta al centro.
La natura in Michelangelo fa da sfondo o addirittura non compare, è solo un’astrazione come
nel Giudizio Universale. In Leonardo invece è molto più presente (come si può notare
nell’Annunciazione e nella Gioconda, in cui si trova come sfondo ma viene modificata mettendo
in risalto l’artificio dell’uomo con la strada e il ponte). Nel Giudizio vediamo anche la presenza di
Michelangelo, infatti San Bartolomeo al centro in basso a destra rispetto a Gesù, tiene il corpo
senza anima del pittore.
Raffaello Sanzio è considerato il pittore della grazia, “il principe dei pittori” che molto
probabilmente studiò le opere di Piero della Francesca che lo resero molto abile nell’uso della
prospettiva e nell'applicazione di una rigorosa armonia compositiva tra spazio, figure e
architettura. La sua conoscenza dell’architettura infatti si nota nello Sposalizio della Vergine,
dipinto in cui è raffigurato in primo piano il matrimonio tra Giuseppe e Maria, mentre in secondo
piano come sfondo si trova il tempio di Gerusalemme al centro di un’ampia piazza. Il tempio ha
una struttura a pianta centrale che testimonia la conoscenza da parte di Raffaello degli ideali
architettonici rinascimentali. Venne usata la prospettiva aerea ad imbuto, con le linee di fuga
sottolineate dagli intarsi marmorei della pavimentazione che convergono in un punto al di là
dell’ingresso del tempio, accentua a dismisura la distanza tra il primo piano e l’edificio. Partendo
dal fondo è come se la curvatura del tempio originasse onde circolari via via crescenti a mano a
mano che ci si avvicina allo spettatore. In Raffaello lo spazio quindi diviene un organismo
complesso, in cui ogni elemento risulta logico e fondamentale, a differenza della versione di
Perugino, da cui Raffaello prese ispirazione, in cui non è presente la forma semicircolare del
Tempio. Una particolarità che richiama Leonardo è sicuramente, oltre alla prospettiva, lo
sfumato, usato sullo sfondo in cui si vede che le montagne si vanno perdendo nel colore del
cielo realizzando così al meglio il fuori fuoco.
La Pala Baglioni, che raffigura il trasporto di Cristo morto seguito da Maria Maddalena e Maria,
riprende alcune concezioni di Leonardo e Michelangelo. La simmetria e la gestualità vengono
prese da Leonardo, come anche l’interesse nel rappresentare la natura, il prato verde con le
pianticelle descritte analiticamente. Da Michelangelo invece prende il senso del dramma che
vediamo nella scena, in cui Maria viene sorretta dalle donne dietro di lei dopo lo svenimento. Il
contenuto ricorda anche il Compianto del Cristo morto di Giotto, però in quest’opera di Raffaello
il pathos è molto più presente. La posizione di Cristo con il braccio destro penzolante e la testa
all'indietro ricorda molto la Pietà di San Pietro realizzata da Michelangelo. Un altro riferimento
all’artista di Caprese è la posizione della donna inginocchiata che sorregge la Madonna
svenuta; la torsione del corpo rimanda alla Madonna del Tondo Doni.
Guardando invece la Madonna del Prato possiamo notare una vicinanza a Leonardo con la
Vergine delle Rocce, infatti anche qui vi è lo scambio di sguardi e gesti che costruiscono una
comunicazione tra i personaggi, ovvero la Madonna, Gesù e san Giovannino. Una differenza
che si può notare però è la luce, perché nel dipinto di Raffaello questa è chiarissima e illumina
colori molto vivaci, con un paesaggio naturale e rassicurante, che riesce ad esprimere armonia
e grazia (caratteristiche del pittore).
Il divino è sicuramente presente in Raffaello, specialmente nell’opera della Disputa sul
Santissimo Sacramento, nella stanza della Segnatura del Vaticano. La scena è divisa in due
parti, quella celeste nella parte superiore, in cui sono raffigurati i santi, gli apostoli protetti da
creature angeliche con al centro Gesù tra la Madonna e san Giovanni Battista, in quella
inferiore invece è schierata la chiesa militante, composta da teologi, predicatori, e papi che
discutono sul valore sacro dell’eucaristia. Anche qui viene usata la prospettiva aerea e la luce
dorata, che conferisce una maggiore concezione del divino.

-Macchiarella Aurora

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