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STORIA DELLA CRITICA

D'ARTE
DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO

3^ LEZIONE
Rinascimento Manierismo Barocco

Anno Accademico 2019/2020


IL RINASCIMENTO

Con il Rinascimento inizia la stagione moderna (che finirà con metà Ottocento e primo
Novecento). Fondamentale lo studio della natura. La religione concentra la sua
attenzione sull’uomo. Si cerca l’interpretazione della natura ma manca ancora il metodo
scientifico che arriverà con Galileo. Diventano fondamentali matematica e geometria.
L.B. Alberti e Leonardo presentano una autonoma concezione della natura. Arte diventa
il modo di conoscere la natura. Viene superato Aristotele (imitazione della natura),
superato Plotino (emanazione divina), l’artista non si dissolve in Dio, ma diventa egli
stesso quasi Dio e l’arte sostituisce la natura a Dio e la mente umana diventa l'origine
dell’arte.

I Commentari

Lorenzo Ghiberti (1378-1455) Preannunzia il Rinascimento. Ghiberti considera la sua


epoca un’epoca di decadenza, malgrado Masaccio, Donatello e sé stesso. L’età migliore
è tra fine '200 e inizio ‘300, e al primo posto mette Giotto il quale ha ripreso un’arte
rimasta sepolta per 600 anni. Giotto “arrecò l’arte naturale e la gentilezza con essa non
uscendo dalle misure”. Ma allarga lo sguardo a Siena (Simone Martini e Ambrogio
Lorenzetti.
Ghiberti – San Giovanni - 1415
La storia della Trinità del Masaccio si svolge tra 1425 ed il 1427. Questa è una
delle ultime opere di questo famoso artista che morirà l’anno successivo, nel 1428
a 26 anni. Si trova a Firenze, nella basilica di Santa Maria Novella: per essere
precisi, sta proprio al centro del corridoio sinistro dell’edificio.

Di fronte all’affresco c’era sicuramente un’antica entrata; in questo modo, quando


l’osservatore entrava nella stanza, aveva la sensazione di trovarsi davanti ad
un’opera in tre dimensioni. Negli anni successivi, poi, è stato inserito anche un
altare che divideva (come una mensola) la parte superiore dell’affresco da quella
inferiore, smascherando quest’effetto di tridimensionalità.

I committenti sono incerti (forse della famiglia Berti a destra e della famiglia Lenzi a
sinistra).
Pare che abbiano collaborato con Masaccio anche Alessio Strozzi, un frate, e
Filippo Brunelleschi, l‘ illustre architetto.
Masaccio – Trinità - 1427
Di questo affresco dirà il Vasari, chiamato da Cosimo I a restaurare S. Maria Novella
nel 1568 :

“Ma quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in
prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così
bene, che pare che sia bucato quel muro.”Il Vasari lascia l’affresco così com’è.

Trono di Grazia presenza di Dio padre che sorregge la croce del figlio, ma
Masaccio fonde il modello del Trono di Grazia con elementi appartenenti ad altre
tradizioni (Maria, san Giovanni e il sepolcro nella parte inferiore) e invece di
rappresentare Dio seduto su un trono, lo rappresenta in piedi.
Anche se il Padre sembra più grande ha le stesse dimensioni del Figlio, è solo un
gioco prospettico.
La prospettiva è stupefacente: sembra che ci sia un’altra cappella.

I protagonisti formano un triangolo al cui vertice c’è il Padre.


Donatello – Maria Maddalena Donatello – David - 1440
penitente - 1455
Donatello realizza il David su richiesta di Cosimo de’ Medici per celebrare la vittoria
ottenuta dai fiorentini sui milanesi nella battaglia di Anghiari del 1440.
Dunque il David di Donatello ha anche un significato politico: la vittoria contro il
gigante è il simbolo della vittoria di Cosimo sui suoi avversari.
Il soggetto è David, il fanciullo ebreo vittorioso sul gigante filisteo Golia, ma
secondo altri è forse Mercurio, dio presso i Romani, messaggero degli dèi.
Secondo la mitologia Mercurio uccise Argo per liberare Io, la sacerdotessa amata
da Giove e rinchiusa dalla gelosa Giunone in un giardino.

Sia il David di Donatello che Mercurio, soggetti uno sacro, l’altro mitologico,
possono comunque essere interpretati come affermazione dei nuovi valori
rinascimentali.
Il David di Donatello è la prima scultura a tutto tondo di una figura maschile nuda a
grandezza naturale dai tempi dell’antichità. Diversamente da quanto avveniva per
le statue medievali, solitamente legate a un architettura, il David è una statua
autonoma, che lo spettatore può ammirare girandoci attorno da ogni lato, come se
fosse una persona viva e reale.
L’eroe è raffigurato con una lunga spada nella mano destra, mentre nella mano
sinistra tiene il sasso usato per colpire Golia, la cui testa decapitata giace sotto i
suoi piedi. È nudo e non ha bisogno di armatura perché è protetto dalla volontà di
Dio.
La luce che scivola sulla superficie bronzea del David di Donatello scolpisce le
forme e mette in risalto la varietà della lavorazione dei diversi materiali: le
decorazioni dei gambali, la pelle liscia e levigata del corpo del giovane eroe, le
ciocche ondulate dei capelli e la fisionomia del volto. La fisicità è evidenziata anche
da effetti di chiaroscuro.
Il David di Donatello è un nudo dalle proporzioni perfette, che rivela una profonda
conoscenza della statuaria classica ma anche un attento studio dell’anatomia
umana e dei modelli dal vero.
La composizione della figura è impostata su due linee curve che si contrappongono
tra loro equilibrandosi: quella ascendente, che dalla gamba sinistra sale verso il
capo di David, e quella rivolta verso il basso disegnata dall’arco delle spalle e dalle
braccia.
La figura è attraversata da un senso di movimento grazie alla posa leggermente
arcuata e al lieve sbilanciamento del corpo sulla gamba destra, ma anche dal
sorriso ambiguo appena accennato del giovane eroe.
S.Martini – Santi Senesi

Lorenzetti - Crocifissione
L.B. Alberti (1404-1472) Trattato della pittura (1453)

E’ il trattato che segna l’inizio vero del Rinascimento.

Brunelleschi, Donatello e Masaccio possono essere paragonati agli antichi. Ha un


forte influsso sulla pittura fiorentina del tempo. Teorizza la pittura come visione
prospettica (Panofskj) della natura, la visione sostituisce la tecnica.

Prospettiva omologa con la stampa (1455 invenzione della stampa)dal punto di


vista della percezione investiamo la pagina con una visione monoculare che ne
rispetta la morfologia quadrangolare.

Giustifica l’apparenza in pittura (che Platone condannava). Ama i colori chiari e


freschi e le superfici tonde (colonne, sfere…). Disprezza (come il Petrarca) l’oro,
perché non permette il chiaroscuro.
E il realismo del mondo terreno caccia via l’oro dalla pittura dei fondi. Le
composizioni non debbono essere affollate ma ripartite in zone belle per sé stesse,
coordinate, segnate dal chiaroscuro e non dal contorno.
Le figure vanno disegnate prima con ossa, poi i muscoli, poi le vesti.
Leonardo (1452-1519) Con Raffaello, Michelangelo, Correggio e Tiziano segna il
passaggio al ‘500.

Però più si conosce la natura più la fede in Dio viene meno. Nel ‘400 si conosceva la
natura attraverso l’arte, adesso si ricorre alla scienza per fare arte.
Leonardo: il pittore deve rappresentare tutti gli aspetti della natura (pioggia,
nebbia…), la sua prospettiva non è più lineare, ma di colore. Ombre non nere ma
azzurre. Luminosità dei colori. La figura è unita alla natura circostante dall’ombra.
Bellezza è la gradazione dell’ombra.
Oltre l’ombra Leonardo ama il movimento: è la fonte di vita, la spiegazione
scientifica della natura. Ama il paesaggio. Porta all’estremo la necessità di
nascondere il contorno che deve nascere dal contrasto fra figura e sfondo.
La scienza prevale sullo spirito.
L'arte di Leonardo. si manifesta sin dai suoi inizî come cosciente rielaborazione
della tradizione quattrocentesca e insieme opposizione a essa, in uno sforzo che a
prima vista sembrerebbe quello di infondere vita alle immagini, immettere aria nelle
rappresentazioni, ma che, a un esame più approfondito, si dimostra come quello di
rendere nell'arte lo spirito cosmico dell'universo, anzi di ritrovare per essa le "regole"
della multiforme natura, in una continua tensione che mira a provare quale sia la
"potenza" dell'arte.
Per Leonardo si tratta di "comprendere ogni forma secondo l'apparenza e la sua
causa interna": donde la straordinaria novità grafica delle sue ricerche scientifiche,
l'interesse per il fenomeno naturale o per i moti dell'animo.

Nella raccolta postuma di appunti di Leonardo che va sotto il nome di Trattato della
pittura e in altri scritti si ritrovano efficaci testimonianze del suo pensiero estetico.
Sostenne la superiorità della pittura sulla scultura appunto in nome delle
straordinarie possibilità evocatrici, simili a quelle della poesia, che egli riconosceva
alla prima.
Eccezionale per il suo tempo è il peso che nel corpus complessivo delle opere
hanno i disegni, intesi non più, come voleva la tradizione, come opere in sé,
apprezzabili per l'eleganza del delineare, ma come tracce di idee e di problemi
inseguiti in maniera persino ossessiva, e quindi pieni di pentimenti, seppure, molte
volte, carichi di una capacità espressiva prima intentata.
Prevalente, nel gruppo non grande di dipinti sicuramente suoi pervenutici, il numero
delle opere non finite; fosse, talora, l'ansia della ricerca che lo induceva a
interrompere il lavoro per l'insorgere di nuovi problemi; fosse, talaltra, la convinzione
di aver raggiunto appieno il risultato estetico propostosi allo stadio cui l'opera era
stata condotta; fosse, ancora, l'insofferenza per la mera esecuzione.

Già nelle prime opere si avverte l’ applicazione dello "sfumato" che disperde la linea,
e ottiene con lo sgranare dei contorni l'atmosfera.
Al 1481 risale l'Adorazione dei Magi , incompiuta, opera profondamente nuova per
l'esaltazione messianica che ne agita i particolari e che ne anima la composizione,
quasi a vortice, spalancata su infinite lontananze. Le figure si piegano, si attorcono
variando con il variare delle luci, accomunate in un'unità compositiva superiore, ma
nello stesso tempo acutamente differenziata nelle varie espressioni dell'animo.

La tavola della Vergine delle Rocce. Secondo uno schema piramidale, la Vergine
con Gesù, il Battista e un angelo si dispongono entro una grotta, fantastico scenario
d'ombre, aperta da squarci verso la luce lontana del tramonto. I contorni dei
lineamenti si smarriscono, sfumano; il rilievo velato sboccia dove la luce sfiora le
cose, svanisce dove l'ombra le inghiotte; la gamma dei colori va sempre più
limitandosi a poche tinte. Di questa tavola si posseggono due redazioni.
Leonardo – Adorazione dei magi - Leonardo – La Vergine delle rocce
1481
Seconda grande opera pittorica del periodo milanese è il Cenacolo nel refettorio di
S. Maria delle Grazie, purtroppo giunto a noi in stato alterato dai molteplici e talora
improprî interventi di consolidamento del colore, poiché era stato dipinto da
Leonardo non a buon fresco ma a tempera. Un restauro condotto a partire dal 1979
(durato 12 anni) ha cercato di liberare l'opera dalle varie ridipinture e ha posto come
condizione primaria per la sopravvivenza del dipinto la climatizzazione
dell'ambiente. Nell'ampia sala, alla cui architettura l'affresco si accorda con sottili
accorgimenti e con un effetto illusionistico che va al di là delle ricerche prospettiche
fiorentine, gli apostoli sono disposti, secondo un ritmo ternario, in modo che il
Redentore appare dominante al centro: i gruppi si agitano di indignazione e di
dolore alle parole "uno di voi mi tradirà", in un moto che si origina dal Cristo e
converge di nuovo su di lui, lasciando isolato Giuda.

Il Maggior Consiglio gli commissionò l’affresco di un episodio della Battaglia


d'Anghiari (sulla parete opposta Michelangelo doveva affrescare la Battaglia di
Cascina). Anche qui Leonardo tentò di affrontare un problema tecnico, con l'intento
di restaurare l'antico procedimento dell'encausto, convinto che la tecnica
tradizionale dell'affresco non gli avrebbe concesso gli effetti di profondità delle
ombre, di sfumato e di luce che egli si proponeva. Ma il risultato fu disastroso e
Leonardo abbandonò la pittura appena iniziata.
Leonardo - Il Cenacolo - 1498
Forse Leonardo eseguì in quel tempo il ritratto che va sotto il nome di Gioconda.
Al celebre vago sorriso (un moto psichico colto al suo primo manifestarsi prima che
divenga più determinato) s'accorda il velato paese, che dell'immagine è il
commento ed eco nella mutabilità delle ombre, nelle brume che ci sottraggono le
linee dei contorni; il paesaggio affonda di grado in grado in un tenebrore
azzurrognolo di acque e cielo.

L'arte di Raffaello non si sottrasse al fascino di Leonardo. Vasari pose


risolutamente Leonardo come iniziatore della "maniera" moderna, ossia dell'arte
del Rinascimento maturo, in contrasto con la "secchezza" di tutta la pittura
precedente.
Leonardo – La Gioconda - 1504
Rispetto a Leonardo, Michelangelo (1475-1564) è un reazionario: si concentra solo sulla
forma. Niente paesaggi, solo figure.

Michelangelo – Cappella Sistina – 1475/1481


Michelangelo: accolto nella cerchia degli eruditi Neoplatonici che ritenevano che la
perfezione umana e la felicità fossero raggiungibili in questo mondo, senza
attendere l'aldilà e che la bellezza fosse un elemento essenziale nel cammino verso
questo obiettivo, Michelangelo, si lascia coinvolgere da Marsilio Ficino, Angelo
Poliziano e Pico della Mirandola allo studio dell'antico ed alla fede nella bellezza
umana, sintetizzando i due mondi apparentemente contrastanti della cristianità e del
paganesimo, nella fusione della bellezza visibile con la bellezza spirituale,
dell'anima.

Non bisogna dimenticare che Michelangelo, mentre discuteva di cristianità, di


paganesimo e di bellezza con i neoplatonici, non aveva ancora diciassette anni!
Per comprendere l'arte dell’ultimo periodo occorre sottolineare una forma di
misticismo che allontanava Michelangelo dal contatto diretto con la natura e gli
faceva credere, come riferisce Francisco de Hollanda, che il pittore non dovesse
essere soltanto esperto di soggetti religiosi ma «deve tener buona vita e, se
possibile, essere santo». Questo aspetto avvicina Michelangelo al pensiero di
Savonarola sull'arte religiosa (il frate era stato condannato e giustiziato per eresia
nel 1498 a Firenze).
Michelangelo – La Creazione di Adamo
Gruppo del Laoconte – II sec. a.C.
Michelangelo – La Pietà - 1499
Michelangelo – Mosè - 1515 Michelangelo – Schiavo morente -
1513
Per incarico di papa Leone X nel 1519 Raffaello inizia a dipingere la
Trasfigurazione di Cristo che lascerà incompiuta morendo l’anno successivo.
Viene completato, solo nella parte inferiore, dagli aiutanti e resta poi a Roma fino al
1797 quando viene portato in Francia da Napoleone dove viene studiato, fra gli
altri, anche da Jacques-Louis David e da William Turner. Alla morte di Napoleone il
quadro torna in Italia
Nella parte superiore del dipinto c’è Cristo che sta ascendendo al cielo,
esattamente sopra al Monte Tabor (dove secondo le fonti sarebbe avvenuta la
trasfigurazione di Gesù) ed ai suoi lati ci sono Mosé ed Elia, 2 importanti profeti.
Guardando da sinistra a destra, nella parte alta della scena ci sono Giacomo, Pietro
e Giovanni, i quali sono anche i rappresentanti della fede, della speranza e
dell’amore, ed anche i colori dei loro vestiti sembrano favorire questa identificazione
(infatti sono abbigliati di colori accesi come il blu, giallo, verde e rosso). nella
sezione inferiore del quadro, l’artista rappresenta alcuni degli Apostoli che stanno
cercando di liberare il ragazzo dalla possessione del demonio, ma sembra che non
riescano ad avere la meglio. Quando tutto sembra perduto, però, arriva Gesù e la
situazione si ribalta: il ragazzo ormai allo stremo delle forze, ha la bocca aperta ed il
demone sta finalmente abbandonando il suo corpo. Il vero centro delle 2 storie che
Raffaello dipinge è il potere curativo e salvifico di Cristo.
Raffaello – Trasfigurazione di
Cristo - 1519
Raffaello, oltre che rappresentare una scena estremamente complessa, decide di
inserire dei piccoli indizi di un “conflitto” più grande: da una parte c’è l’uso dello stile
del Manierismo (caratterizzato dalle pose contorte delle figure nella parte inferiore
della scena) e del Barocco (che puoi notare nella tensione evidente in tutte le
figure ed il palese chiaroscuro che domina tutto il quadro).
Oltre lo stile, è il contrasto l’aspetto più importante di questo capolavoro: nella parte
alta c’è Cristo, puro e perfetto; nella sezione inferiore, invece, c’è l’uomo con tutti i
suoi difetti, circondato da caos e colori scuri.
Sono proprio queste tonalità che conferiscono grande drammaticità alla scena; le
poche tonalità chiare Raffaello le riserva soltanto alle vesti di Cristo e per qualche
personaggio in primo piano nella parte bassa dell’opera.
Raffaello – Madonna del Belvedere Raffaello – La Resurrezione - 1501
1506
Stando alle fonti storiche ed agli studi effettuati, “Crocifissione Gavari” sarebbe
stata richiesta su commissione della famiglia Gavari (da cui prende il nome) per la
chiesa di San Domenico presso la Città di Castello. L’opera è stata successivamente
venduta ai francesi, per poi giungere presso la collezione Fesch, poi presso quella
del principe di Canino ed infine in varie collezioni inglesi, di cui ricordiamo in
particolare la collezione Mond, dove infine venne lasciata in eredità presso la
National Gallery di Londra nel 1924.
Differentemente da altre opere del Sanzio, questa ha avuto una storia relativa alla
sua trasmissione molto più semplificata, ma ciò non toglie che anche questa
“Crocifissione Gavari” sia un’opera di prim’ordine e di notevole importanza artistica.
Adesso procediamo all’analisi stilistica della scena rappresentata.
Stando al titolo dell’opera, sulla croce è rappresentato Cristo, in alto a sinistra si
trova il Sole, mentre in alto a destra la Luna; sotto i due astri si trovano due angeli
vestiti con colori opposti, i quali stanno raccogliendo attraverso dei vasi, il sangue
che sgorga dalle ferite di Gesù. Ai piedi della croce si trovano quattro santi, dove
oltre alla tradizionale triade (Maria, San Giovanni Apostolo, Maria Maddalena)
presente di solito alla Crocifissione, si aggiunge anche la figura di San Girolamo.
Proprio la figura di San Girolamo riveste particolare importanza, poiché l’altare dove
doveva giungere l’opera era intitolato proprio a lui. Dietro al gruppo di personaggi si
nota un paesaggio naturale, con in estrema lontananza qualche accenno di edifici,
che alcuni studiosi hanno identificato come uno scorcio di Firenze.
Raffaello – Crocifissione Gavari
1502
Concentriamoci sulle figure presenti nella composizione: l’inedita presenza del Sole
e della Luna, tradizionalmente sembrano rimandare all’Alfa ed all’Omega, che
rappresentano inizio e fine dell’Incarnazione divina; curiosamente questi due
elementi sono presenti nella composizione di Raffaello anche se proprio durante il
Concilio di Costantinopoli del 680, fu chiaramente proibito di utilizzare questi
elementi perché potevano essere simboli anche di altri religioni non cristiane.

Il primo storico dell’arte, Vasari, riporta all’interno dei suoi studi che ad una prima
analisi, nessuno darebbe adito al fatto che questo quadro potesse essere di
Raffaello, bensì verrebbe subito legato allo stile inconfondibile di Pietro Perugino:
le figure sono rappresentate in una posa di contemplazione, l’inconfondibile
rappresentazione del paesaggio naturale e anche la presenza dei due angeli in
modo simmetrico e con i tradizionali nastri mossi dal vento. Nonostante tutti questi
richiami al Perugino, il Sanzio si distingue particolarmente per l’innovativa posizione
dei Santi presso la croce, che trasmette un senso di profondità e poi anche la
rappresentazione di Cristo che sembra tendere verso sinistra e che lascia presagire
una migliore veduta a sinistra da parte dello spettatore.

I colori sono molto interessanti: cromie scure si alternano a quelle chiare, ponendo
sfumature scure in primo piano e dando la possibilità di risaltare ai personaggi con
delle vesti sgargianti e allo stesso modo anche il paesaggio in secondo piano,
pregno di colori molto leggeri, sembra essere una veduta di un piccolo paradiso
terrestre.
Raffaello – Incoronazione della Raffaello – Le tre Grazie - 1504
Vergine - 1502
Raffaello – Stanza della Segnatura – Musei Vaticani -
1514
Raffaello – Stanza di Eliodoro – Musei Vaticani - 1514
Alla metà del ‘500 un'altra scuola pittorica nasce a Venezia, soprattutto con Tiziano
e Tintoretto. La cultura scientifica non si sviluppò come a Firenze.

Aretino promuove l’abbozzo contro la pedanteria dei grammatici.

Ludovico Dolce: il rilievo è soggetto al colore (Tiziano) e non il colore al rilievo


(fiorentini). Fuggire la troppa diligenza.
Annuncio della crisi dell’umanesimo: l’immagine pittorica dell’uomo non è più isolata
dall’universo.

Giorgio Vasari (1511-1574)Vite dei pittori, scultori e architetti. Mette in


relazione la teoria dell’arte con le biografie. Riduce il ruolo della scienza, più
importante è l’immaginazione e l’imitazione dei maestri. Era scolaro di Michelangelo
e fu un manierista di Michelangelo e Raffaello. Divide tre età a) l’antica,
imperfetta e poco buona, due e trecento, Giotto, Cimabue, i senesi intrisa di
spiritualità dopo l’eccesso di ornato e decorazione del Basso Medioevo; b) quella di
mezzo, migliore, primo utilizzo della prospettiva non scientifica legata
all’Umanesimo ancora legato al culto dell’antico (Piero d. Francesca, Mantegna); c)
il periodo 1440-1460 (Perugino, Pinturicchio, Botticelli arrestano la corsa verso la
prospettiva per concentrarsi sull’anatomia umana e utilizzando simbologie colte,
filosofiche, letterarie con uno stile ermetico).
Più tardi, per influenza dell’Aretino, riconoscerà che Michelangelo è limitato alla
figura e ammetterà l’importanza delle ombre e dei colori riconoscendo la pittura
veneta. Raffaello invece lo riconosce abile in tutto ciò che non è nudo e si perde
quando cerca di imitare il disegno michelangiolesco (critica confermata oggi). Quindi
ognuno dovrebbe fare solo sé stesso, non imitare. Detto da un manierista…

In questo terzo periodo nasce Leonardo (1452) che darà il suo contributo alla critica
nel Trattato sulla pittura in cui codifica l’utilizzo della prospettiva: sfumato,
chiaroscuro, diluizione della figura umana nell’ambiente… Anticipatore come
Cezanne.
Tiziano – Assunta- 1518 Tiziano – Pala Pesaro -
1526
Tiziano – Il Concerto - 1508
Tiziano - Danae - 1553
Tiziano – La Venere - 1538
Giorgione – Venere dormiente - 1510
Tiziano – Pietro Bembo - 1540 Tiziano – Pietro l'Aretino -
1562
Tiziano – Paolo III con i nipoti - 1546 Tiziano – Autoritratto - 1562
Tiziano – Incoronazione di spine - 1544
IL MANIERISMO

Finito il 1400, per tutto il 1500 si estende l’epoca del MANIERISMO (alla maniera di…)
Ossia si prende spunto dall’arte classica del Rinascimento (particolarmente Raffaello e
Michelangelo), si interiorizza fino a farne un concetto astratto, diventa un simbolo
culturale da cui partire per fare altro, come avevano fatto i greci nell’epoca ellenistica. Il
termine maniera è all’incirca quello che noi oggi chiamiamo “stile”.
L'età della maniera inizia fra il 1520, anno della morte di Raffaello Sanzio, e il 1527, anno
del Sacco di Roma che causa la fuga da Roma dei discepoli di Raffaello diffondendo il
nuovo stile in tutta la penisola. Nel Seicento la parola Manierismo indica semplicemente
la "vuota imitazione dell'ultimo cinquantennio del secolo precedente" erano Pittori di
Maniera o Manieristi quanti non realizzavano uno stile proprio e si rifacevano allo stile del
Cinquecento. Alla fine del Settecento, con l'affermarsi del Neoclassicismo, il termine
Manierismo servì ad indicare un modo di dipingere legato ad uno stile perfezionato da
altri, diverso dall'ideale proprio dell'artista. Nell'Ottocento il termine serve a definire, in
modo sprezzante, l'arte italiana fra il Rinascimento e il Barocco.

Storicamente è un periodo di grave degrado del papato, della riforma protestante, del
richiamo all’ordine religioso della controriforma.
La vita non è più sicura e pacifica come prima per guerre, pesti, invasioni; gli artisti
viaggiano di corte in corte in cerca di mecenati e protezione.
L’artista si rende conte di non poter fare di meglio, per arrivare alla perfezione del
Rinascimento, se non copiare o esagerare ed esasperare i vecchi stili. Lo studio
della natura (la mimesi) è stato codificato da regole precise anche di tipo
matematico (vedi prospettiva , sezione aurea ecc.) , la bellezza della natura è
raggiunta.
Si cerca perciò la novità nel concetto di BELLEZZA IDEALE, superiore alla natura,
dove il più bel viso viene unito al più bel corpo, con le più belle gambe ecc.
secondo un concetto fantastico dell’arte.

Per tutto il periodo del Manierismo si ha una divisione fra la rappresentazione


precisa della realtà e della natura (icastica = rappresentazione efficace), e la
rappresentazione fantastica.

L'opera manieristica doveva contenere, secondo Giorgio Vasari: "la varietà di tante
bizzarrie, la vaghezza de' colori, la università de' casamenti, e la lontananza e
varietà ne' paesi ", poi: "una invenzione copiosa di tutte le cose".
Regole che furono applicate dai pittori manieristi in composizioni pittoriche molto
studiate, talvolta con distorsioni della prospettiva, talvolta con eccentricità nella
disposizione dei soggetti.
La luce fu usata per sottolineare le espressioni ed i movimenti, gli sguardi e le
espressioni, alcune volte intense e dolorose, a volte assenti e metafisiche.
Il drappeggio degli abiti diventa importante fino a risultare stucchevole, come i colori
degli sfondi, tanto innaturali da dare a tutta l'opera un'aria artefatta.

A differenza della pittura Rinascimentale nelle opere manieristiche non compaiono


immagini prospettiche di paesaggi o di architetture; le immagini delle persone non
sono disposte su piani rigidamente definiti dalle regole, spesso spostate dal centro
dell'opera; passando dal primo piano allo sfondo i colori passano da tonalità naturali
e reali a tonalità fantastiche, innaturali come la prospettiva, quando presente, era
spesso distorta.

Il pittore di Maniera e Manierista

La preparazione richiesta ad un pittore nel Cinquecento, non si fermava


all'abilità artistica, ma comprendeva anche una cultura ed una formazione
universale e religiosa.
Le norme di comportamento etico e sociale per rapportarsi correttamente
alle istituzioni ed ai committenti entravano nelle regole della "maniera" e,
per il Vasari, l'espressione più alta della "buona maniera" di essere e di
dipingere era in Raffaello e Michelangelo.
I principali pittori della maniera furono Giorgio Vasari, Jacopo da Pontormo,
Rosso Fiorentino, Gaudenzio Ferrari, Andrea del Sarto , Parmigianino,
Giuseppe Arcimboldi.
Vasari - Cosimo I de' Medici - 1563
A. del Sarto – Sacrificio di L.Giordano – Sacrificio di Isacco
Isacco - 1529
Il veronese Paolo Caliari, detto il Veronese (1528-1588), è il più completo dei
pittori manieristi.

Attento a Giulio Romano, al Raffaellismo del Correggio, all'eleganza del Bronzino,


alle architetture di Palladio, non affronta problemi che non siano di forma o di
colore.

Colorista eccelso capace di far brillare dello stesso incanto il dettaglio sfarzoso di
un costume e la muscolatura di un cane da caccia, vertiginoso inventore di
architetture dipinte, interpreta la gioia di vivere della Venezia cinquecentesca.

Lascia, fra i suoi capolavori, uno stupendo ciclo di affreschi alla villa Barbaro di
Masèr, le imponenti Cene, le tele nel palazzo Ducale e il prodigioso insieme delle
opere a San Sebastiano, sempre a Venezia.
Il Veronese – Le Nozze di Canaa - 1563
Jacopo Robusti conosciuto come il Tintoretto (Venezia 1518-1594), è il
grande maestro del Manierismo drammatico a Venezia.

Pittore di stupefacente velocità e prolificità, influenzato dal Tiziano, influenza


a sua volta il gusto barocco.

Le sue opere più ricordate, sono quelle realizzate per la Scuola Grande di
San Marco, per la Scuola Grande di San Rocco e quelle create per il
Palazzo Ducale di Venezia.

Le sue figure femminili, fra cui la Susanna ora a Vienna, rivelano una calda
sensualità ed i suoi bei ritratti una grande forza d'introspezione psicologica.
Tintoretto – Susanna e i vecchioni - 1557
Nel 1591 il pittore milanese, diventato cieco, LOMAZZO (1538 1600) pubblicò
“L’idea del tempio della pittura” dove auspicava una sintesi delle specialità dei
più bravi artisti dell’epoca. Michelangelo per il disegno, Tiziano per il colore,
Raffaello per le proporzioni e armonia, Correggio per le ombre ecc.. Questa
operazione di unione fa sì che la natura e il reale venga accantonata per una pittura
di tipo concettuale, intellettuale, filosofica.

Altri intellettuali italiani scrivono di teoria durante il Manierismo: Paolo PINO


(1548 ,” Dialogo di pittura”) o Lodovico DOLCE (1557 – “ L’Aretino”) con
richiami anche contradditori fra arte-natura, creazione-imitazione e ciò si prolunga
per una stagione lunghissima , fino ai nostri giorni, anche nel 1976 Achille Bonito
Oliva scrive “ “ideologia del traditore” dove ribadisce la presenza moderna del
Manierismo. Il Manierismo pone il dubbio che fare un quadro a partire dallo studio
della natura costringe a usare artifici tecnici, perciò la riproduzione non sarà mai la
realtà scientifica ma una costruzione dell’intelletto e bravura tecnica e stilistica.
Il manierismo precede e introduce il Barocco in Italia, per estendersi poi all'Europa.
Fine del Manierismo

La Maniera può dirsi conclusa, per quanto riguarda l'Arte Sacra, con la fine
del Concilio di Trento nel 1563, quando si chiese ai pittori di rappresentare
soggetti semplici e chiari, tutto il contrario dei soggetti manieristici, che
erano sfociati in una tale complessità, da risultare composizioni profane.

Il Manierismo nella sua nascita, evoluzione e superamento, rappresenta la


crisi dell'arte che, dopo aver toccato le più alte cime, sfocia nello "scadente
ed effimero barocchismo".
Lo stesso scadente ed effimero barocchismo che verrà altamente glorificato
soltanto nel Novecento.
Il XVII secolo, attraverso la nascita delle Accademie, intese come sacrari di
un fare artistico strutturato secondo un insieme di regole, esprime la volontà
di recuperare quel naturalismo che il fenomeno manierista aveva
abbandonato.
La rivalutazione del Manierismo

Nei secoli, il termine Manierismo assunse un significato sempre più negativo.


Solo negli anni 1910 - 1920 i pittori manieristi furono riabilitati e, sotto l'influsso dell'
Espressionismo e del Surrealismo, si valutò positivamente la sua cultura,
sottolineandone la capacità di distaccare l'arte dalla realtà.

L'abbandono da parte dei Manieristi dell'idea che la bellezza della natura sia
insuperabile e che l'imitazione della realtà non sia lo scopo dell'arte, fa sì che i pittori
del primo Novecento vedano nei Manieristi i precursori dell'idea di un'arte "fine a se
stessa" da loro molto apprezzata.
IL BAROCCO

Nel 1600 , alla nascita del Barocco, Caravaggio si rende pienamente conto di questo
problema e pone rimedio con uno scrupoloso verismo.
Ma è l’unico.
Per la maggior parte degli artisti c’è il ritorno al classico idealizzato , modernizzato e
variato da forme ovali, asimmetriche, strutture portanti (in architettura) che non hanno più
quella funzione ma sono solo a scopo decorativo, composizioni aperte e vastissime su
paesaggi e cieli infiniti.
Le figure si muovono tutte insieme, le espressioni sono esagerate e contorte.

La prospettiva è di preferenza quella Aerea inventata da Leonardo, con visione dall’alto o


dal basso.

In questo periodo Copernico, Keplero e Galileo inventano la scienza moderna fondata


su esperimenti certi e ripetuti che si separa totalmente dall’arte che è invece imitazione e
fantasia.
Caravaggio – La vocazione di S. Matteo - 1599
Caravaggio – Il bacchino malato - 1594
Caravaggio – Giuditta e Oloferne - 1597
Altro scrittore d’arte dell’epoca fu Marco Boschini (veneziano) con il suo “Carta del
navigar pittoresco” che sostiene invece il forte colorismo, il sentimento gioioso,
come nella pittura veneziana (per la verità l’area di Venezia persegue una strada
tutta sua).

All’inizio del ‘700: a) interpretazione della natura e b) distinzione delle maniere.

Non più l’arte ma la scienza scopriva la natura (Galileo).


Tutta la pittura fiorentina del ‘400 diventa inconcepibile.
Tutto il ‘600 fece come Caravaggio e si liberò dal manierismo per attaccarsi con
vigore alla natura: fiamminghi (Rubens, Van Dick), olandesi (Rembrandt, Vermeer),
spagnoli (Velàzquez).
In architettura si conservò il manierismo e si aggiunsero elementi passionali 
barocco (gusto corrotto e confuso)

Distinzione delle maniere (es disegno di Michelangelo, colore di Tiziano):


L’attività autonoma dell’arte, che si farà nell’’800, si prepara nel ‘700 esasperando
l’intellettualismo estetico (in omaggio al manierismo) e il sensualismo artistico.
Concezione moralistica dell’arte riportata con il Concilio di Trento (1545-63)

Le correnti critiche del ‘700 sono due:


Bellori abate contro il manierismo (chi copia i maestri non fa opere figlie della
natura). Il naturalismo piace al popolo che non capisce l’Idea che è cosa divina. Per
questo Dio ha mandato in terra Raffaello, poi Agostino e Annibale Carracci. Però
luci e ombre dei veneziani erano in funzione del colore, nel Correggio in funzione
della forma. Bellori teorizza l’arte di Caravaggio come ribellione a Raffaello, ma ne
condanna la mancanza di invenzione, di disegno, cioè di scienza. Rubens e Van
Dick mancano di disegno. In Bellori manca l’elezione morale, sostituita dall’elezione
sociale (Controriforma). La bellezza morale e plebea (Rembrandt) si afferma solo in
terra protestante.

Boschini, meno colto di Bellori, ma i suoi giudizi non dipendono dalle idee
accettate dall’esterno, bensì dal suo modo di sentire la pittura che è un modo felice,
quindi dall’esperienza empirica della pittura. Quindi senza rendersene conto,
accompagna e anche anticipa quelle riflessioni sul carattere sensibile e
immaginativo dell’arte che apriranno alla fondazione dell’estetica.
APPENDICE
Leonardo

Paolo Giovio (vescovo, studioso) parla di Leonardo come di "meraviglioso creatore ...
soprattutto dei dilettevoli spettacoli teatrali"; infatti l'idea di teatro si evidenzia in
Leonardo fino dai suoi esordî fiorentini.

Noti anche alcuni progetti di "teatri per udir messa", che contenevano delle novità nella
tipologia delle chiese.

Notevoli i suoi studî urbanistici in rapporto alla distribuzione del traffico, alla
canalizzazione, all'igiene (specialmente nel primo periodo milanese).
L'opera scientifica
Nella natura Leonardo scorge pitagoricamente una trama di rapporti razionali
("ragioni"), esattamente calcolabili e misurabili, che può essere colta dall'uomo per
mezzo dell'esperienza e della ragione: l'esperienza, cui Leonardo dà grande rilievo
soprattutto nella sua concreta attività di meccanico e di scienziato, apre la via a una
conoscenza diretta della natura, libera dall'autorità della tradizione; la ragione coglie
nei fenomeni la legge che li regola poiché "la natura è costretta dalla ragione della
sua legge, che in lei infusamente vive".
Nei confronti dell'attività scientifica contemporanea e posteriore, l'opera di Leonardo
risulta però isolata: sia per le origini particolari della sua ricerca, che partiva da
un'esigenza artistica cui costantemente s'intrecciava; sia perché essa si svolgeva al
di fuori del tirocinio pratico accademico e degli itinerarî teorici della scienza
contemporanea, e quindi né poteva profondamente influenzarla, né comprenderne
appieno i problemi attuali e proporsi d'innovarla; sia infine perché le sue
osservazioni, per quanto geniali, non furono da lui coordinate in organici sistemi
scientifici, e d'altra parte restarono ignote ai contemporanei e agli studiosi di molti
secoli successivi.
Si può dire che la scoperta di Leonardo scienziato è avvenimento relativamente
recente.
Anatomia e fisiologia
Leonardo si dedicò con grande fervore anche a studî di anatomia e fisiologia,
materie che egli considerava indissolubilmente connesse, proteso com'era a
stabilire di ogni organo "l'uso, l'uffizio e il giovamento". I suoi disegni anatomici
rappresentano il primo materiale iconografico scientificamente elaborato e aprono
la serie dei validi e coraggiosi tentativi di disancoramento dell'anatomia umana dalle
concezioni allora imperanti. Numerose furono le dissezioni operate da Leonardo
nonostante le difficoltà di diversa natura. I contributi vinciani nell'anatomia e nella
fisiologia sono imponenti. In campo osteologico sono particolarmente rilevanti: la
scoperta del seno mascellare (detto anche antro di Highmore, dal nome del
medico e anatomista inglese che lo descrisse nel 1651); la prima esatta
raffigurazione della colonna vertebrale con le sue curve fisiologiche giustamente
valutate; la corretta interpretazione dell'osso sacro, considerato come risultante
dalla fusione di cinque vertebre (e non di tre, come voleva l'anatomia tradizionale);
il riscontro della giusta inclinazione del bacino; ecc.
Gli studî sull'apparato muscolare hanno portato Leonardo a compiere la prima
rassegna iconografica dei muscoli dell'uomo; a studiare la funzione dei varî muscoli
degli arti sostituendoli con fili di rame; a introdurre un originale metodo di studio
degli elementi morfologici degli arti, con particolare riguardo ai muscoli, basato
sull'impiego di tagli trasversali praticati a piani diversi: questo procedimento, che è
usato anche dai moderni anatomisti, e quello della descrizione per strati, pure
attuata da Leonardo, possono far considerare quest'ultimo come l'iniziatore
dell'anatomia topografica.
All'apparato cardiocircolatorio Leonardo dedicò diligenti studî che, tra l'altro, lo
portarono alla scoperta di quella formazione intracardiaca che oggi in suo onore è
chiamata trabecola arcuata di Leonardo da Vinci.

L'incorporamento dell'occhio in materiale coagulabile (albume d'uovo), per poterlo


tagliare senza pregiudizio dei rapporti dei suoi costituenti, fa di Leonardo, in un certo
senso, un precursore dei metodi di inclusione usati nella moderna istologia.
Egli studiò anche la funzione visiva in quasi tutti i suoi aspetti fondamentali: la
visione monoculare e binoculare, il senso stereoscopico, l'acuità visiva, la sensibilità
cromatica, le modificazioni pupillari al variare dell'intensità degli stimoli luminosi, il
fenomeno della persistenza delle immagini, le illusioni ottiche, la questione della
grandezza delle immagini in rapporto all'angolo visivo, le leggi della prospettiva
geometrica e aerea, l'applicazione delle leggi fisiche della rifrazione allo studio di
alcuni fatti patologici, come la diplopia e la presbiopia.

In anatomia artistica, infine, Leonardo pur attenendosi per lo più ai canoni di Vitruvio
e di Varrone, formulò alcuni principî antropometrici; così, per esempio, egli faceva
corrispondere la lunghezza del piede a 1/7 di quella dell'intero corpo ("piede
leonardesco"), anziché 1/6, come aveva codificato Vitruvio.
Aritmetica e geometria
L'aritmetica e la geometria, che trattano con "somma verità della quantità
discontinua e della continua", sono per Leonardo fondamento di tutte le scienze
naturali, in particolare della meccanica, "paradiso delle scienze matematiche".
Tuttavia, le conoscenze matematiche di Leonardo restarono relativamente limitate,
poiché si dedicò quasi esclusivamente allo studio di questioni geometriche. Ideò
nuovi metodi per calcolare il volume di numerosi solidi, intuendo quei procedimenti
geometrici di tipo infinitesimale che saranno più di un secolo dopo scoperti da B.
Cavalieri ed E. Torricelli. Infine fu uno dei fondatori della prospettiva aerea,
disciplina di natura prettamente artistica che studia le variazioni di intensità
luminosa e di gradazione dei toni in rapporto alla distanza.

Botanica
Le conoscenze botaniche di Leonardo furono certamente notevoli, con osservazioni
che vanno al di là dell'interesse iconografico. Studiò, oltre al resto, i movimenti
delle linfe negli organismi vegetali e i loro effetti, infine per primo dedusse l'età e
l'orientamento originario dei fusti dall'osservazione dei cerchi concentrici della
sezione.
Geologia
Oltre a riaffermare l'origine organica dei fossili, Leonardo indagò acutamente i
processi di sedimentazione e di erosione e formulò le leggi delle acque correnti,
dedusse il continuo mutare nel tempo dei limiti fra terra e mare, dimostrò infine la
sufficienza delle cause attuali per spiegare i fenomeni geologici avvenuti in passato.
Le sue geniali intuizioni non poterono però diffondersi ed essere conosciute tra i
suoi contemporanei, poiché i codici leonardeschi che più da vicino riguardano
questioni di geologia sono stati fatti conoscere solo in epoca recente.

Idraulica e aerodinamica
I lavori di ingegneria idraulica portarono Leonardo a occuparsi del moto
dell'acqua. Oltre a intuire alcuni principî fondamentali dell'idrostatica, stabilì per il
moto delle acque correnti il principio della portata costante, secondo il quale in un
corso d'acqua uniforme a sezione variabile la velocità della corrente varia in ragione
inversa della sezione (legge di Leonardo). I suoi studî sul volo degli uccelli e sul
"volo strumentale" lo portarono a investigare le leggi dell'aerodinamica: egli osservò
la compressibilità e il peso dell'aria e intuì l'importanza di questi elementi ai fini del
volo, ai fini cioè del sostentamento nell'aria del più pesante.
Meccanica
La meccanica può ben considerarsi la scienza prediletta da Leonardo, alla quale
può dirsi che egli abbia portato il maggiore contributo di originalità. Infaticabile
sperimentatore, non può stupire che fra tante intuizioni corrette ve ne siano anche di
sbagliate, che poi altrove, nei suoi appunti, si trovano spesso modificate o rettificate
sulla base di altri ragionamenti o esperienze. Le sue fonti maggiori d'informazione
sono le opere di Aristotele e di Archimede. Riprendendo le loro ricerche sulla leva e
la bilancia, gli si fa chiara la nozione del momento di una forza rispetto a un punto.
Deriva il principio del parallelogramma delle forze e lo applica a risolvere il problema
della determinazione delle tensioni nei due tratti di una fune fissata agli estremi e
soggetta a un peso in un punto intermedio. La teoria delle macchine semplici è
oggetto di molti appunti nei manoscritti vinciani. Notevoli sono anche gli studî di
Leonardo sui baricentri, che segnano i primi reali progressi dopo la classica teoria di
Archimede, e sulla resistenza dei materiali. Pure indubbiamente primo è Leonardo
nel considerare in modo razionale l'attrito o "confregazione".
Le conoscenze dinamiche di Leonardo derivano e si ricollegano a quelle della
dinamica greca. Compaiono in Leonardo alcune precise idee sul concetto di forza e
di percussione e sulla resistenza dell'aria che, in netto contrasto con la dottrina
aristotelica, è correttamente considerata come un ostacolo che "impedisce e
abbrevia il moto al mobile". Leonardo è così tra coloro che hanno maggiormente
contribuito a porre i presupposti alla scoperta della legge d'inerzia. Leonardo
sembra avere inoltre una precisa idea del principio di azione e reazione, e una
convinzione non meno precisa circa l'impossibilità del moto perpetuo. Nonostante
l'intralcio dovuto alla parziale adesione alla concezione aristotelica, l'intuizione di
Leonardo riesce a cogliere profondi aspetti dei fenomeni dinamici, come, per es., gli
effetti della rotazione della Terra sulla caduta dei gravi.
Ottica
Seguendo generalmente le idee aristoteliche o quelle degli Arabi, Leonardo accetta
in ottica la teoria delle specie emanate dai corpi luminosi; si occupa di problemi della
visione semplice e di quella binoculare, della dispersione della luce, della teoria
delle ombre. Perspicua la sua descrizione della camera oscura e della sua teoria.
Zoologia
Leonardo prospettò con chiarezza le affinità morfologiche e funzionali che corrono
fra l'uomo "prima bestia infra gli animali" e varie specie di Mammiferi, specialmente
le scimmie. Molti i disegni di animali.
Invenzioni, opere, progetti
Idee e invenzioni, progetti e disegni di macchine e dispositivi, nei varî rami della
tecnica, molti dei quali attuati in seguito, sono in tal numero e di tal ricchezza da
sbalordire. Non è facile, peraltro, attribuire con sicurezza la paternità di ciascuna di
tali invenzioni e progetti a Leonardo: ciò che si può dire, è che si tratta di idee ed
elaborazioni che compaiono per la prima volta nei manoscritti vinciani.
Gli studî sul volo risalgono in parte al primo periodo del soggiorno a Milano, tra il
1486 e il 1490, e in parte al secondo periodo del soggiorno a Firenze, verso il 1505,
e a Fiesole. Leonardo progettò macchine che, se pur oggetto oggi soltanto di un
interesse storico, restano capolavori di ingegnosità. Tra queste macchine volanti
sono il paracadute e l'elicottero, in cui viene impiegata come organo propulsore la
vite. Resta dubbio peraltro se Leonardo abbia mai tentato di volare o di far volare,
benché G. Cardano in De Subtilitate dica "Leonardus tentavit, sed frustra".
Leonardo fu anche un espertissimo tecnico militare, studî per sottomarini,
disegni di cannoni (con carrello e dispositivi per la rapida elevazione del fusto);
dispositivi di accensione per armi da fuoco; cannoni a organo, e ancora norme di
guerra terrestre e navale, ecc.
Leonardo scrittore
Di una personale o quanto meno programmata coscienza letteraria di Leonardo
sembra improprio parlare. I suoi testi, disseminati nelle carte dei codici sotto forma
di abbozzi di trattato, notazioni a margine, appunti di letture e meditazioni, sentenze
in rima, proverbî, enunciati gnomici, o brani di invenzione fantastica, configurano
piuttosto un eterogeneo e personalissimo corpus di scritture. Definitosi, con
espressione fin troppo esagerata dalla critica "omo sanza lettere", Leonardo attinge
a una sua istintiva memoria culturale di maestro d'arte. Ortografia approssimativa e
incoerente, l'impronta vernacolare toscana con tracce di fonetica lombarda,
l'andamento sintattico semplificato, che procede per coordinazioni successive,
insofferente alle mediazioni del dettato colto e mirante a fissare direttamente e in
breve la sostanza del pensato. E se ciò rende estraneo Leonardo, ignaro per di più
delle lingue classiche, alla civiltà letteraria dell'Umanesimo, viceversa ne riconferma
la più ovvia appartenenza all'ambiente "illetterato" degli artisti e dei tecnici. Su
questo fondo Leonardo innesta la personale dote di un linguaggio fortemente
pregnante e lucido nel significare, alimentato, per un verso, da una inesauribile
curiosità intellettuale e dall'esperienza concreta, e, per altro verso, esercitato
all'astrazione e all'enunciazione assiomatica proprie dei trattati di geometria e dei
teatri di macchine. Sull'analogo terreno delle formulazioni brevi ed emblematiche si
colloca il gusto di Leonardo per le Facezie, le Favole, gli Indovinelli, le Profezie e il
genere del Bestiario, mutuati dallo stile comico-burlesco o sentenzioso-
moraleggiante della letteratura popolare e fantastica del Quattrocento, ma in cui più
marcati persistono, diversamente che nella produzione alta e colta della filologia
umanistica, elementi trecenteschi e del tardo enciclopedismo medievale.
Raffaello

Raffaello Sanzio, nato a Urbino nel 1483, fu probabilmente il pittore più completo,
celebre e amato del Rinascimento.
Talento straordinario, senso squisito dell’ordine armonico e dell’equilibrio formale,
raccolse i frutti della tradizione quattrocentesca, delle conquiste, proprie e altrui, e fu in
grado di fonderli in una visione unitaria, assolutamente completa.
Il percorso stilistico del maestro appare ben articolato in tre momenti distinti, tre
fasi di sviluppo: il periodo umbro, fino al 1504, riguardò la sua prima formazione e il suo
esordio, l’esperienza fiorentina, dal 1504 al 1508, che gli permise di arricchire la sua
cultura e infine l’attività romana, dal 1508 al 1520, che prese forma attraverso vari stadi,
dal pieno trionfo della sua arte matura ai primi sintomi di una precoce stanchezza.
Il periodo giovanile lo vide apprendista innanzitutto alla scuola del padre Giovanni Santi e
poi sotto la tutela di Evangelista di Piandimeleto. Per Raffaello, però, il primo vero
maestro fu il Perugino. Tutta la sua produzione iniziale reca la viva impronta della
pittura di quest’ultimo, della quale il giovane allievo andò a sviluppare con grande
coerenza le tendenze all’armonia compositiva e alla semplificazione formale. Tracce
che sono ben visibili nella Resurrezione, nella Crocifissione Mond (o Gavari) e
nell’Incoronazione della Vergine.
La mano di Raffaello, già in questi primi dipinti, si dimostra sicura, i motivi e le
forme tipiche del Perugino sono come purificati nel disegno e nel colore, una
naturalezza di racconto che già rivela la particolare inclinazione del giovane artista
per la pittura di storie. Il punto di arrivo di questa prima fase del maestro, nella
quale perfezionò l’arte del Perugino, è la pala dello Sposalizio della Vergine,
in una composizione accentrata dove il tempietto funge da perno e non più da
sfondo della rappresentazione grazie alla perfetta resa prospettica in cui sia lo
spazio che le figure circolano con libertà e si dispongono su curve concentriche e in
gruppi perfettamente simmetrici.
Nell’ottobre del 1504 Raffaello si recò a Firenze, dove proprio in quegli anni
l’arte tornava a vivere una breve ma intensa stagione per la presenza
soprattutto di Leonardo e Michelangelo. Un mondo talmente ricco e nuovo,
quello toscano, dove acquisire un’esperienza tale da poter disorientare l’ingegno
più pronto. Il grande maestro, tuttavia, riuscì a non abbandonarsi a tutte queste
suggestioni e a selezionare con saggezza le esperienze che gli tornavano più
congeniali.
Ogni nuovo elemento, conquista e arricchimento sembravano trovare nella
sua arte una sistemazione precisa, una funzione chiara che pareva seguire un
ordine quasi prestabilito di armonia formale creando un’ardita innovazione. Al
suo periodo fiorentino vengono generalmente assegnati alcuni piccoli dipinti tra cui
San Giorgio, Sogno del Cavaliere, Le Tre Grazie e altri. Agli stessi anni
appartengono la Madonna Connestabile e la Dama con l’unicorno, numerose invece
sono le serie di Madonne col Bambino e San Giovannino. Proprio in questa fase,
l’artista nativo di Urbino creò quel tipo di bellezza femminile che unì in sé la grazia
del Perugino e il sottile animismo di Leonardo, dall’aspetto devoto e soavemente
umano.
Diventato ormai un artista affermato e rinomato, Raffaello fu chiamato a Roma
nel 1508 da Giulio II risultando poi l’anno successivo stipendiato come pittore
di palazzo con l’incarico di dipingere o ridipingere le quattro stanze destinate
ad abitazione privata del Papa. La decorazione di queste aree fu sicuramente
l’impresa più impegnativa per il maestro che si risolse con la più alta affermazione
del suo genio artistico.
Un ciclo grandioso, complesso, condotto in molti anni con interruzioni e
riprese, in cui non fu seguito l’ordine di successione delle quattro stanze.
Con incredibile chiarezza, Raffaello riuscì a dare alla rappresentazione un valore di
vera e propria azione storica narrata con serena obiettività. Le figure risultano
pienamente equilibrate tra loro in una perfetta fusione di disegno e di colore,
concepite individualmente, quasi isolate, ma allo stesso tempo animate da
un’incredibile mimica nei gesti e nelle espressioni.
Nel 1514 Leone X, succeduto a Giulio II, riconoscendo gli straordinari meriti
artistici del maestro, lo nominò architetto della nuova fabbrica di San Pietro,
sostituendo il Bramante che morì in quel periodo. Un incarico davvero
importante, al quale si aggiunse l’anno successivo anche la nomina a
soprintendente alle antichità romane con il compito di eseguire una pianta
monumentale della Roma antica. L’incredibile arte di Raffaello, però, si
manifestava soprattutto nella pittura e furono tantissime le opere che ne esaltarono
sempre più la maestria. La sua ultima opera, Trasfigurazione, anche se reca ancora
il fascino irresistibile della sua mano, fu un quadro giudicato incoerente
stilisticamente parlando e mancante di un’unità compositiva per la sovrapposizione
di due episodi distinti: in alto la Trasfigurazione di Cristo e in basso la Guarigione
dell’Ossesso.
Raffaello morì all’età di trentatré anni, nel 1520, proprio quando la sua
maestria stava iniziando la progressiva conquista dell’Italia e dell’Europa.

La sua importanza nella storia dell’arte è senza dubbio pari a quella di Giotto
o di Masaccio, pur avendo essa stupito il mondo per la sua perfezione e non per la
novità apportata. Il pittore fu un felicissimo interprete della cultura, amato e
ammirato sin dall’inizio della sua carriera, diventando in vita l’idolo di una
schiera innumerevole di seguaci, papi, principi, umanisti, poeti e letterati.

La sua fu un’esistenza breve, intensissima, conclusasi in appena due decenni di


attività con una delle più ricche e feconde esperienze della storia dell’arte europea.
Tiziano Vecelio

Il periodo giovanile

Allievo di Giorgione, l'arte di Tiziano, nei primi anni di attività, è ovviamente pervasa da un
certo giorgionismo, eppure è già possibile ravvisare il carattere individuale dell'artista. Ne
è un esempio "Il Concerto" del 1510, dapprima attribuito a Giorgione poi a Tiziano e
infine riconosciuto come un'opera sulla quale entrambi hanno lavorato. Le due figure
laterali, infatti, meditative e assorte, esprimono appieno l'indole pittorica di Giorgione,
mentre la figura al centro con il gesto subitaneo di girare il capo ha una vitalità tutta
tizianesca.

Le opere successive del pittore percorrono rapidamente la strada dell'emancipazione dal


maestro. Il distacco definitivo dal maestro avviene con "L'Assunta" della Chiesa di Santa
Maria Gloriosa dei Frari, opera talmente rivoluzionaria da essere inizialmente rifiutata dai
francescani, convintisi solo dopo l'interessamento alla tavola di un altro acquirente.
Tiziano all'epoca (1516-1518) dimostra di conoscere l'opera romana di
Michelangelo e Raffaello. Prendendo come esempio "La Trasfigurazione" di
Raffaello (coeva a "L'Assunta") spicca una certa comunanza di intenti nella
disposizione delle figure, ma i colori di Tiziano hanno maggiore contrasto tonale e
una forte alternanza di luce e ombra. L'opera è stata accusata di teatralità, ma
questa è una caratteristica funzionale allo scopo. La tavola è destinata ad una
chiesa ed è certo che Tiziano si voglia rivolgere alla totalità di fedeli che comprende
religiosi, nobili, ma anche il popolo. L'ampiezza dei gesti, la forza dei colori, la
pennellata densa sono necessari a definire l'immagine dell'assunzione davanti agli
occhi di tutti, anche di coloro che sono più distanti.

La maturità
Dopo "L'Assunta" i committenti di Tiziano sono sempre più numerosi, il suo lavoro è
incredibile, il numero delle opere è stimato intorno ai 500 pezzi, che arrivano a 600
se si considerano quelli persi. E' impossibile rendere ragione di una tale
complessità di materiale, che peraltro solo in rari casi è inferiore alla grandezza
consueta del Maestro. Prendere ad esempio alcune opere rappresentative basta
appena a definire la grandezza dell'artista.
Sempre nel 1519, il pittore riceve un incarico sempre per la Chiesa dei Frari, questa
volta da un privato, il vescovo Jacopo Pesaro, proprietario di un altare laterale. Si
tratta della "Pala Pesaro" che celebra la famiglia committente, vi sono ritratti il
vescovo e i parenti (tra cui spicca il nipote Leonardo) introdotti al cospetto di Maria.
Dopo gli anni Venti Tiziano entra in contatto con molte corti italiane. Dipinge per i
duchi di Urbino. Tra le tele spicca la splendida "Venere di Urbino" (1537-38). Forte
è il ricordo della Venere di Giorgione. Laddove la donna di Giorgione dorme
sognante in un paesaggio campestre, la figura di Tiziano è nella sua stanza da
letto, distesa con un cagnolino ai piedi in attesa di vestirsi.
La pittura è, in entrambi i casi, tonale, ma Tiziano usa colori più vividi e realistici,
che si esaltano reciprocamente.
Celebre e presa ad esempio negli anni a venire, la "Venere di Urbino" ispira al
Maestro altri capolavori. Del 1548 è la tela "Venere, Amore e organista", del 1553-
54 l'impareggiabile "Danae". Quest'ultima è quasi una variazione sul tema della
bellezza femminile. Al di fuori di ogni pregiudizio derivante dai dettami religiosi (la
donna nuda aspetta serena Giove in forma di pioggia d'oro che la feconderà),
l'opera è, come lo stesso autore la definisce, una vera e propria poesia. La
posizione elegante e aggraziata si ispira a influssi del Manierismo, le pennellate
sono libere e non sfumate come avviene nella maturità, mentre negli anni giovanili
le pitture sono sfumate e levigate. La profondità è annullata dal fondo di pioggia
dorata e resta solo sulla figura.
I ritratti
Tiziano è pittore celebre e ricercato dai committenti, non solo per le sue opere a
soggetto religioso e profano ma anche per i ritratti. Così come Raffaello, la capacità
di Tiziano di riprodurre sulla tela le caratteristiche psicologiche del soggetto
rappresentato è incredibilmente efficace.
E' il caso della tela dedicata al cardinale Pietro Bembo, nella quale il contraltare di
appena tre colori: rosso, nero, bianco e le sue sfumature, rende ragione della
dignità, del portamento e del ruolo sociale del protagonista. Altro esempio è il ritratto
dell'amico di Tiziano "Pietro Aretino" (che rifiuta l'opera, a tela ultimata) perfetta
espressione del carattere passionale e sanguigno del "flagello dei principi".
Nell'ottobre del 1545, quando il Maestro ha già realizzato alcune opere per la
famiglia papale dei Farnese, riceve alcune commissioni, fra le quali la tela "Paolo III
con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese". Lo spunto è il "Leone X" di Raffaello,
l'analisi psicologica lucida e spietata di Tiziano è molto sofisticata. Il Papa anziano,
curvo per gli anni, ma avvezzo alle scorrettezze politiche e ancora avvinto al soglio
pontificio, e dunque al potere, con il braccio serrato, il nipote Ottavio in posizione
quasi strisciante, sicuramente ambigua e adulante. La tela è espressione di quella
spregiudicata politica nepotista messa in atto da Paolo III.
Nel 1530 Tiziano incontra e ritrae per la prima volta Carlo V. Suo pittore prediletto (si
narra addirittura che Carlo V si chinasse a raccogliere i pennelli caduti di mano al
Maestro) Tiziano realizza per lui e la sua famiglia numerose opere attribuendo a
Carlo le qualità di "miles christianus" codificate da Erasmo da Rotterdam e messe in
pittura da Durer. Al novero di ritratti realizzati dal pittore si aggiunge un cospicuo
numero di autoritratti che suggeriscono molto della sua indole. Dipinti
semplicemente per soddisfare l'impulso di dipingere e di indagare nel proprio animo,
gli autoritratti non hanno un committente e sono una pura espressione artistica di
libertà.

Le opere tarde
Il più tardo collaboratore di Tiziano è Palma il Giovane, che dell'opera del maestro
dà una definizione interessante. "Il condimento degli ultimi ritocchi era andar di
quando in quando unendo con sfregazzi delle dita negli estremi de' chiari,
avvicinandosi alle mezze tinte, ed unendo una tinta con l'altra". Questa caratteristica
di pittura a macchie di colore è evidente ne "L'incoronazione di spine" del 1570
(dunque quasi trent'anni dopo un'opera di medesimo soggetto). I volumi e le forme
sembrano sfaldarsi, qualcuno ha inteso in questo una suggestione proveniente dal
Tintoretto. E' possibile che Tiziano sia attento, nonostante l'età, alle novità che lo
circondano, al Manierismo per esempio, ma la sua posizione è comunque
individuale. Prima di morire il pittore attende insieme al discepolo Palma il Giovane
alla "Pietà", rimasta incompiuta.
Caravaggio

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (nome tratto dal paese lombardo che gli ha dato
i natali), nasce il 29 settembre del 1571 da un architetto a servizio del marchese di
Caravaggio, Francesco Sforza. Va presto a bottega. Nel 1592 l'irrequieto pittore decide di
trasferirsi a Roma.

Ancora poco autonomo si vede costretto a lavorare per artisti piuttosto noti al tempo,
pittore di soggetti floreali, di nature morte o di soggetti religiosi.
In questi anni "fu assalito da una grave malatia che, trovandolo senza denari, fu
necessitato andarsene allo Spedal della Consolazione" (Baglione): è il periodo in cui
dipinge i famosi ritratti allo specchio ed il "Bacchino malato" (conservato nella Galleria
Borghese).

La svolta nella carriera di Caravaggio è segnata dall'acquisto de "I bari" da parte del
cardinal Francesco Maria del Monte: dopo questo avvenimento, si trasferisce in Palazzo
Madama, residenza del cardinale, dove resta fino al 1600.

L'ammirazione del cardinale viene condivisa anche da un suoi importanti vicini di casa,
che figurano tra i committenti di Caravaggio. Tra il 1600 e il 1601 dipinge la "Crocifissione
di San Pietro" e la "Conversione di San Paolo"; nel 1604 la "Madonna dei pellegrini o di
Loreto", nel 1605 la "Morte della Vergine", rifiutata dai religiosi di Santa Maria della
Scala e acquistata invece dal duca di Mantova, su consiglio del giovane Rubens.
Denunce alla polizia, risse, processi, omicidio. Comincia allora una vita da
fuggiasco, in cui si alternano successi e sventure. Nel 1607 si reca a Napoli dove
esegue per chiese e conventi alcuni capolavori come la "Flagellazione di Cristo" .

Ma le sue peregrinazioni non si fermano e anzi lo portano a Malta, in Sicilia, a


Napoli, a Porto Ercole dove colpito dalla febbre, Michelangelo Merisi si spegne il
18 luglio 1610 in una locanda, in solitudine, qualche giorno prima che fosse
annunciata l'approvazione della domanda di grazia.

Per inquadrare meglio la personalità di Caravaggio, riportiamo in conclusione un


profilo riassuntivo: "Il Romanticismo non ha fatto altro che [basandosi su biografie
dell'epoca. N.d.r.] creare un mito che, nel XX secolo, come accade in moltissimi altri
casi, è stato a fatica ridimensionato. Ancora oggi il grande pubblico conosce
Caravaggio nella versione poco fedele generata in quegli anni. Ne risulta così un
artista "maledetto", bohemien, senza nessuna considerazione del contesto.
Caravaggio infatti è un violento, ma il suo naturalismo fu forse più religioso del culto
della bellezza in Carracci. La sua luce non infonde grazia e morbidezza al corpo:: è
dura e abbagliante a contrasto con ombre profonde, e fa risaltare tutta la scena con
una franchezza senza compromessi che ebbe un’influenza decisiva sugli artisti
posteriori. Durante l’Ottocento passò di moda e solo adesso torna ad essere
apprezzato.

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