5. Primavera
Nel 1481 Pierfrancesco de’ Medici commissiona a Botticelli un’opera con funzione celebrativa in
occasione del suo matrimonio con Semiramide Appiani: Venere è infatti la figura centrale, che si
staglia un un cespuglio di mirto (sacro al matrimonio). I significati allegorici della Primavera sono
varî e complessi; ma (e in questo il neoplatonismo botticelliano ritrova un pensiero di Dante) il
messaggio dell’opera sarà ricevuto a diversi livelli. Il significato concettuale (in questo caso dettato
dal Poliziano: la Venus-Humanitas) sarà chiaro soltanto ai filosofi, anzi agli iniziati; ma tutti
potranno coglierlo nell’amenità del boschetto e del prato fiorito, nel ritmo delle figure, nell’attraente
bellezza dei corpi e dei volti, nel fluire delle linee, nei delicati accordi dei colori.
La lettura dell’opera procede da destra verso sinistra: parte dalla figura di Zeffiro, tratta dalle
Metamorfosi di Ovidio, colto nell’attuo di inseguire e di afferrare la ninfa Cloris: ha una struttura
aerea (ne sottolinea il carattere di personificazione di un vento, differenziandosi dalle altre figure);
dalla bocca della ninfa sta già fuoriuscendo un ramoscello (diverrà Flora). Flora, con passo
danzante, sembra estrarre dal suo ventre gravido i fiori che sta distribuendo sulla terra (il dipinto è
con ogni probabilità ispirato al Giardino di Careggi, anche se Botticelli deve aver preso spunto, nel
dipingere il prato fiorito, agli erbarî che esistevano all’epoca e agli arazzi millefiori della tradizione
fiamminga. Al centro della composizione sta la Venus-Humanistas dei neoplatonici, conciliatrice
degli opposti: indica con una mano la via da seguire. Procedendo ulteriormente verso destra, le tre
Grazie sono colte nell’atto di intrecciare una danza che le lega: rappresentano l’amore che si dà,
l’amore che si riceve, e l’amore che si restituisce, e quindi la circolarità dell’Amore, che investe
l’universo tutto, e nel quale vive l’anima mundi aristotelica. Mercurio è colto nell’atto di eliminare
le ultime nubi che sono rimaste nell’aranceto con il caduceo (ha il volto rivolto verso l’alto, in uno
stato di contemplazione): volgendo le spalle al gruppo che ha accanto, interpreta un significato
diverso nel messaggio dell’opera.
Secondo un livello di lettura più profondo dell’opera, è possibile rivenire il messaggio che
attraverso la tavola Botticelli rivolse agli adepti dell’Accademia. Si tratta di un invito a tramutare
attraverso Venere, conciliatrice degli opposti, le cure materiali in motivi di contemplazione
spirituale, ad abbandonare, come indica Venere, la condizione terrena per trasformare le energie
umane in pura contemplazione. Fra i tronchi dell’aranceto, in lontananza, si intravede Firenze: la
città (e quindi la storia) è lontana dal giardino del sapere, locus amoenus per eccellenza, Giardino
delle Esperidi come riferimento mitico e Giardino di Careggi come riferimento reale. Un’altra
interpretazione legge l’opera come la rappresentazione di Firenze come una mitica età dell’oro,
dove i personaggî rappresenterebbero allora i mesi che gli umanisti dedicavano allo studio,
contrapposti all’inverno, il periodo in cui la coscienza si rigenerava: la Primavera diventa dunque,
nell’ottica neoplatonica, un momento fondamentale (sia per il Poliziano della Giostra sia per
Botticelli). Una terza possibile lettura vuole che l’opera sia un monito alla caducità dell’esistenza:
mentre Venere ricorda che tutto è destinato a cadere, le tre Grazie rappresentano l’anima leggera che
viaggia nell’Iperuranio, e Mercurio rappresenterebbe il rapporto continuo fra le anime e gli dei:
tutto è vanitas.
Se il valore dei segni non è più di inquadrare e spiegare la realtà, ma, all’opposto, di superarla,
cadono tutti i fattori di conoscenza positiva che si erano accumulati nella pittura fiorentina della
prima metà del secolo, culminando nella grande costruzione teorica di Piero: cade la prospettiva
come struttura dello spazio, cade la luce come realtà fisica, cade la ricerca della massa e del volume
come concretezza delle cose e dello spazio. Nulla di meno prospettico che l’allinearsi dei tronchi
paralleli o il ricamo delle foglie nel fondo della Primavera: ma è proprio rispetto a quel fondo senza
profondità e alla ribadita cadenza di quelle parallele che prende valore il fluire dei ritmi lineari delle
figure, così come i tenui passaggî del colore valgono meno rispetto al preciso stagliarsi degli scuri
degli alberi sul chiarore del cielo.
Tutta l’opera si fonda sulla Bellezza, che diventa appagante strumento di conoscenza, attraverso cui
l’uomo scorge il volto di Dio impresso nella natura. Le figure di Botticelli sono idee, prive di peso,
smaterializzate, quasi non toccano terra; la linea botticelliana è musicale, derivata dal ductus
lineare; nel ritmo continuo delle linee sono assenti o quasi le ombre, il chiaroscuro e persino la
prospettiva lineare. Infine, la luce non ha una fonte precisa né una direzione unica, ma si espande e
incide sulle figure in maniera morbidissima, si posa sulle bellezze femminili a cui le bellezze
maschili fanno solo da cornice (Zeffiro e Mercurio).
Le tre Grazie (Talìa, Eufrosine e Aglaia) meritano un discorso a parte. Sarebbero la
rappresentazione della bellezza, della sensualità intesa come pulchritudo e della castità
(rappresentata dalla figura di spalle). La pulchritudo è abbellita da gioielli, realizzati da Botticelli
stesso, che fanno parte della collezione dei Medici. Ognuna di queste figure è legata alle condizioni
della spiritualità umana: splendore, gloria, beatitudine.
6. Nascita di Venere
Tre anni dopo la realizzazione della Primavera, a Botticelli viene commissionata la Nascita di
Venere. Venere viene sospinta dai venti (Zeffiro e Bora) sulla conchiglia, dove un’a,tra figura
femminile la attende per ricoprirla. Venere è pudica (nega la sua stessa fisicità). Per i neoplatonici le
due incarnazioni di Venere sono Venere Pandemia e Venere Urania. La figura femminile è secondo
molti Flora, o viceversa una delle ore (rappresentazione del tempo). Il gesto della figura femminile
rimanda all’iconografia del Battesimo di Cristo: il Battesimo ha anche un significato legato alla
penitenza, ma all’interno della cerchia neoplatonica rappresenta il momento di rinascita del
cristiano, e la Venere l’innocenza e la purezza della Rinascita. In questa composizione sarebbero
presenti i quattro elementi (acqua, terra, aria, fuoco) che fondano la Bellezza e l’Armonia
dell’universo. Il sentimento di Bellezza come strumento di salvezza per gli uomini è onnipresente
nell’opera. Le figure smaterializzate, delineate dalla linea continua e sinuosa, con l’assenza di
ombre, sono quasi diafane, di una materia eterea che, sospinta dai venti, dona Bellezza. Il volto di
Venere è attraversato dalla malinconia, propria degli spiriti sofistici, elemento idiomatico in
Botticelli: rappresenta infatti la condizione dei neoplatonici.
Nel gran vuoto dell’orizzonte marino si sviluppano, con intensità diversa, tre episodî ritmici distinti:
i Venti, Venere sorgente dalla conchiglia, l’ancella che accorre col manto fiorito (allusione alla veste
d’erbe e di fiori della natura). Tre volte il ritmo nasce, sale all’intensità massima, si spegne; né altra
legge lo governa che l’ispirazione profonda, il dèmone platonico, il furor che Ficino chiamava
malinconicus, perché generato dall’aspirazione a qualcosa che non si ha o dalla nostalgia di
qualcosa che si è perduto.