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ARTE

CAPITOLO 1 – IL NEOCLASSICISMO
Durante il Neoclassicismo fu molto importante lo studioso tedesco Johann Winckelmann. Egli era contrario
al barocco e lo definiva come “il secolo della corruzione” e “peste del gusto”: egli criticava tale stile per
l’eccesso decorativo e rifiutava anche i temi disimpegnati e frivoli del Rococò. In questo nuovo periodo
venivano utilizzati regole e misure rigorose, linee ferme e geometriche, e colore unito e compatto: si
trattava di un recupero dell’arte classica e antica, connessa a saldi valori morali. Si sviluppa così il
Neoclassicismo.

I temi scelti dagli artisti neoclassici appartengono alla storia patria o a quella antica. In pittura si scelgono il
disegno (considerato il mezzo più puro e naturale), i contorni ben definiti, stesure compatte di colore e
chiare concezioni compositive. In scultura prevalgono la grazia, l’armonia e la compostezza.
Nell’architettura, invece, gli edifici sono caratterizzati da grandiosità e solennità. Si adotta poi il principio di
simmetria e corrispondenza delle parti. L’obiettivo è quello di pervenire ad una visione razionale,
equilibrata, lontana dagli eccessi e sensibile alle esigenze collettive.
ANTONIO CANOVA

Uno degli artisti più importanti fu Antonio Canova, che creò un linguaggio plastico che influenzò a lungo la
cultura figurativa occidentale. Egli nacque a Treviso e frequentò i corsi di nudo dell’Accademia di Venezia.
Poi si trasferì a Roma, dove entrò in rapporto con la cultura classica
TESEO E IL MINOTAURO (1781-1783, Victoria e Albert Museum – Londra)

Si tratta dell’opera con cui guadagnò la piena affermazione. L’eroe greco viene rappresentato non nel
tradizionale momento della lotta, ma seduto sul mostro che ha appena ucciso. Il corpo da eroe semidivino è
perfetto nelle forme; sul volto non si vede la furia della lotta, bensì un aspetto meditativo e pacato. Ciò
rappresenta la celebrazione della virtù e della ragione sopra la forza bruta e l’istinto.
LA TOMBA DI CLEMENTE XIV (1783, Basilica dei Santi Apostoli – Roma)

E’ una commissione molto prestigiosa ed è situata nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma. La scultura è
influenzata dal Monumento funebre per Urbano VIII di Bernini, ma si differenzia da esso perché Canova
esclude gli effetti pittorici dei marmi policromi e il tumulto dei panneggi. I colori usati sono due: il marmo
rosato per la cattedra del pontefice e quello bianco per basamento e figure; inoltre lo scultore concentro il
gruppo entro lo spazio delimitato dell’architettura, conferendogli equilibrio. L’impianto è rigoroso ed è
caratterizzato dalle due figure asimmetriche della Temperanza e dell’Umiltà. Simbolica è la porta ai piedi
dell’opera, aperta verso un vano scuro e vuoto, simboleggiante il mistero della morte. L’insieme delinea
una piramide culminante nel gesto di potere del papa.
AMORE E PSICHE (1788-1793, Louvre – Parigi)

Canova rappresenta il momento in cui Amore si appresta a baciare la fanciulla, sfiorando, con sottile
erotismo, il suo corpo. Il gruppo è fondato su una serie di geometrie compositive tra cui sono evidenti lo
schema a X delle due figure e il loro intreccio, che evidenzia un gioco di cerchi al centro. Quando si gira
attorno all’opera si colgono nuovi punti di vista. Le due figure si sfiorano appena, mentre si contemplano, e
sono animate da un’intensa sensualità.
MONUMENTO FUNEBRE DI MARIA CRISTINA DI SASSONIA (1798-1805, Chiesa degli Agostiniani – Vienna)

Una volta famoso, Canova è incaricato da Alberto di Sassonia per creare il monumento funebre dedicato
alla moglie Maria Cristina, in cui l’artisti affronta il tema del sepolcro. Si tratta di un corteo guidato dalla
Virtù, recante l’urna con le ceneri della defunta, seguita da un gruppo di figure, tra cui la Beneficenza, che si
dirige verso la porta di una piramide. Al lato opposto giace il Genio funebre, appoggiato al leone, che
simboleggia gli Asburgo, mentre, sopra la porta, sorretto dalla Felicità, vi è il ritratto di Maria Cristina,
incorniciato da un serpente che si morde la coda e simbolo di immortalità. Qui la visione classica e quella
cristiana si fondono: il corteo ricorda la virtù romana della Pietas, mentre la porta allude al mistero della
morte. Il trapasso di essa, però, non coincide con la speranza ultraterrena, bensì con l’oblio. Il ciclo
incessante tra la morte e la vita è espresso dal velo che scende lieve sui gradini del monumento.
PAOLINA BORGHESE BONAPARTE (1804-1808, Galleria Borghese – Roma)

Canova lavorò molto per Napoleone e la sua famiglia e uno dei suoi capolavori è “Paolina Borghese
Bonaparte come Venere vincitrice”, in cui la sorella viene rappresentata come la dea della bellezza, in una
sintesi tra la pittura di Giorgione e Tiziano e le figure giacenti dei sarcofagi etruschi. La donna è sdraiata su
una agrippina, con il busto sollevato e lievemente appoggiata sui cuscini. Il passaggio dalla posizione
orizzontale a quella verticale è graduale, attraverso linee sinuose. In alcune parti il marmo è lavorato in
modo da farlo apparire lucido, mentre sulle parti nude venne distesa la cera, affinchè risultassero rosate
come la pelle femminile. Anche qui la statua è stata studiata per essere osservata da più punti di vista ed è
stata collocata su un basamento ruotante.
JEAN AUGUSTE DOMINIQUE INGRES

Ingres entrò come allievo nell’atelier di David, ma mostrò orientamenti diversi da quelli del maestro. Per lui
l’arte ha in se stessa le ragioni della sua esistenza, per cui il soggetto non è importante, ma lo è la
perfezione dell’immagine.

Ne “La bagnante di Valpicon” l’artista dipinge un nudo di donna visto di spalle: qui il realismo si sottomette
alla sintesi fra forma e colore-luce, con effetti di grande nitidezza che rimandano a Raffaello. I suoi dipinti
sono anche caratterizzati da una sensibilità controllata e pura. Ne “Il bagno turco” il tema esotico viene
rappresentato in chiave classicheggiante: i corpi nudi femminili presentano grande complessità formale ed
equilibrio. Per i suoi quadri, Ingres faceva posare dei veri e propri modelli.

Ingres ottenne grandi successi nel ritratto. Importante è il ritratto di Mademoiselle Riviere, in cui rende
l’innocenza incantata e trepida della ragazza, inserendo armonicamente la figura nel paesaggio.
MADAME DE SENONNES (1814-1816) E MONSIEUR BERTIN (1832)

In questo ritratto l’ovale perfetto del viso è in contrasto con il fondo scuro e con i colori spenti del riflesso
nello specchio. Grazie allo specchio si ha una dilatazione dell’immagine. In Ingres troviamo le curiose
distorsioni, come l’ovale troppo affilato del volto e il realismo dei particolari.

Nel ritratto di Monsieur Bertin, potente uomo d’affari, il volto è ben definito e il pittore si concentra sui
particolari, dalla verruca sull’occhio destro all’orologio nel taschino del panciotto, fino al riflesso della
finestra sul bracciolo della poltrona. La luce colpisce il modello da sinistra. La possanza fisica simboleggia il
peso sociale del personaggio.
FRANCISCO GOYA

Francisco Goya, in un primo periodo, si distinse per le sue “pitture chiare”, ovvero scene gioiose e
spensierate. Tra il 1792 e il 1793, a causa di una malattia, egli divenne sordo e si isolò. Questa data segna la
sua svolta artistica: il Goya razionale, lirico e naturale, si trasforma in un ritrattista impietoso della società,
rappresentando scene di incubi e angosce. I capricci (1797-1799), incisioni ad acquaforte, sono dei dipinti
che analizzano i comportamenti deviati da superstizioni, ignoranza e malvagità. Goya non crede in un
illuminismo fiducioso nell’ottimismo della ragione, bensì sulla profonda drammaticità umana.
LA MAJA VESTIDA E LA MAJA DESNUDA (1799, Museo del Prado – Madrid)

Lo sguardo nuovo di Goya sulla realtà lo troviamo nelle due Majas, vestida e desnuda. Il tema e la posa
della figura femminile rimandano a Tiziano, ma l’artista fornisce l’immagine di una Venere moderna, priva
di riferimenti mitologici: la donna nuda e seducente, simboleggia la vitalità prorompente che sfida la
moralità puritana della Spagna dell’epoca. Il committente ordinò, poi, una seconda versione della Maja,
però vestita: essa appare molto formosa, con lo sguardo penetrante e i raffinati rapporti cromatici. I due
quadri erano perfettamente sovrapponibili: la Maja vestida era connessa all’altra con una cerniera che
permetteva di alzare la prima tela per scoprire la versione nuda.
LA FAMIGLIA DI CARLO IV (1800-1801, Museo del Prado – Madrid)

Goya divenne ritrattista ufficiale di corte. Il quadro mostra un realismo, soprattutto sui difetti fisici dei
personaggi. La corte appare come un gruppo di manichini e simboleggia una società vacua e prossima alla
fine. Al centro vi è Maria Luisa, che evidenzia il ruolo subalterno del re. I vari personaggi sono differenziati
per altezza e caratteri, equilibri cromatici e uso della luce. La luce esalta il lusso degli abiti, il brillio dei
gioielli e delle decorazioni, ma anche la bruttezza e la presunzione dei reali.

Gli ultimi anni di Goya furono segnati dalla solitudine. Si ritirò in una casa di campagna, della quale dipinse
le pareti con immagini visionario e disperate. Sono le “pitture nere”: Goya usava uno sfondo nero su cui
sovrapponeva tonalità più chiare, utilizzando dita, stracci, coltelli e spugne. In “Saturno che divora un figlio”
emerge dal fondo scuro la figura mostruosa, scura, su cui risalta il rosso – sangue del corpo dilaniato del
figlio. Simboleggia il potere ottuso, carnefice del suo stesso popolo.
3 MAGGIO 1808 (1808, Museo del Prado – Madrid)

Goya rappresenta la sua ribellione all’invasione francese della Spagna attraverso le incisioni “I disastri della
guerra”, che condannano violenza. Le tele più famose sono il “2 maggio 1808”, che rappresenta la
repressione degli insorti spagnoli per mano dei francesi, e il “3 maggio 1808”, rappresentante la fucilazione
dei patrioti sospetti. Il “3 maggio 1808” è il primo dipinto moderno di guerra privo di eroismo. Qui si
contrappone il gruppo anonimo dei soldati, visti di spalle e senza volto, a quello dei ribelli, indagati
nell’atteggiamento e nell’espressione. I due gruppi sono illuminati da una grande lampada posata a terra: la
sua luce colpisce la camicia bianca del condannato (simbolo della purezza del martire), rendendo visibile gli
spari. Vi è poi un mucchio di cadaveri in una pozza di sangue. I sentimenti che prevalgono sono terrore e
disperazione, mentre il culmine del martirio è rappresentato dalle braccia spalancate del fucilato. L’intensa
drammaticità dell’evento è data dai contrasti tra luce e ombra, movimento e immobilità. Il buio diventa
simbolo dell’assurdità e irrazionalità dell’evento.

CAPITOLO 2 – L’ARCHITETTURA NEOCLASSICA


Gli ideali neoclassici vennero applicati nell’architettura e nell’urbanistica. Le città diventano più moderne e
funzionali attraverso il principio della localizzazione omogenea di funzioni e una riqualificazione estetica; i
monumenti diventano il centro ideale di parchi e viali, come nel caso di Piazza del Popolo. I teatri, le
accademie, i mercati e gli ospedali sono progettati secondo criteri funzionalistici, ma che obbediscono
anche a esigenze di rappresentanza. Il linguaggio classico viene utilizzato anche per gli acquedotti o i
mercati, che potevano assumere l’aspetto di un tempio greco. Il tempio antico è il modello di riferimento.
L’ARCHITETTURA VISIONARIA E UTOPICA
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI

Piranesi a Roma realizzò incisioni, con cui ricostruiva i motivi decorativi e stilistici dell’Antichità. Egli
concepiva l’antichità come un periodo ineguagliabile che non poteva essere rivissuto, ma solo rievocato
nelle sue gigantesche rovine. Le sue incisioni risultano alterate nelle proporzioni degli edifici e nelle
prospettive, in modo da evidenziare la vastità degli ambienti. Piranesi si appassionò di paesaggi di rovine,
arricchiti da ricostruzioni ideali e, soprattutto, di antichità romana. La libertà con cui Piranesi assembla
diverse tipologie architettoniche dichiara l’impossibilità di creare uno spazio urbano reale, concreto.
GLI ARCHITETTI DELL’UTOPIA IN FRANCIA

Boullée era all’avanguardia e le sue erano più fantasie architettoniche che ipotesi di edifici funzionali. La sua
architettura era una combinazione grandiosa di forme essenziali (la sfera, la piramide, il cubo). Celebre è il
Cenotafio per Newton, costituito da un’enorme sfera che su eleva su una struttura circolare, circondata
all’esterno da più livelli di alberi e, all’interno, solo il sarcofago vuoto. Piccole aperture avrebbero permesso
l’illuminazione.

Ledoux perseguì un’architettura ideale ma meno visionaria, secondo forme geometriche elementari.
Famoso è il progetto per le Saline reali di Arc-et-Senans, in cui la fabbrica è circondata da una vera e propria
città su pianta ellittica articolata in moduli simmetrici. Vennero creati solo gli alloggi per gli operai e per gli
impiegati, ma non la città ideale. Molto fantasioso è il Cimitero di Chaux, costituito da gallerie sotterranee
che finiscono in un gigantesco spazio sferico e vuoto, che simboleggia il nulla eterno.
NEOCLASSICISMO EUROPEO E STATUNITENSE

In Inghilterra, nel Settecento, prevalse il cosiddetto Adam Style, di Robert Adam, che fondeva elementi
palladiani e rinascimentali in edifici per i quali curava anche l’arredo interno. Questi edifici sono
caratterizzati dalla ricerca di un’armonia complessiva e dal senso di intimità e comodità. Durante re Giorgio
IV, il classicismo fu ampiamente diffuso per nobilitare le costruzioni borghesi.

In Germania, tra il 1760 e il 1780, si diffuse un movimento di pensiero con una forte idealizzazione della
civiltà greca, che portò a progettare edifici monumentali, come la Porta di Brandeburgo di Berlino, ispirata
all’Acropoli di Atene, e il Walhalla di Ratisbona, ispirata al Partenone di Atene. L’architetto più importante
fu Schinkel che fissa la forma e la pianta degli edifici in base alle nuove esigenze funzionali. L’architettura
tedesca contemporanea si concentra sul movimento dei volumi.

In Russia il Neoclassicismo si espresse con Giacomo Quarenghi, che lavorò per Caterina II e i suoi successori.
Per San Pietroburgo progettò il Teatro dell’Ermitage (1783-1787), che riprende lo schema compositivo del
teatro antico e del Teatro Olimpico del Palladio. Qui si avverte la ricerca del senso di equilibrio e di elegante
proporzione, attraverso la personale rielaborazione dei modelli palladiani.

Il Neoclassicismo si impose in Francia durante Napoleone e, di riferimento, è l’età imperiale romana. Gli
architetti preferiti da Napoleone erano Percier e Fontaine, che ristrutturarono Parigi dal punto di vista
urbanistico e architettonico. Si deve a loro la costruzione, nel 1806-1810, dell’Arc du Carrousel su
imitazione di quello di Settimio Severo nel Foro romano. Vignon trasformò la Chiesa della Madeleine in un
Tempio della Gloria dedicato alla Grande Armèe: una costruzione classicheggiante, su un alto basamento,
circondata da colonne corinzie.

Jefferson, presidente degli Stati Uniti, progettò l’Università della Virginia, un complesso di edifici che si
dispongono attorno a uno spazio rettangolare e aperto sul fronte.
L’ARCHITETTURA NEOCLASSICA IN ITALIA

Giuseppe Piermarini trasformò Milano attraverso un linguaggio neoclassico sobrio e razionale, impeccabile
nelle proporzioni. Il Teatro alla Scala (1776-1778) è caratterizzato da palchetti, i retrostanti camerini, spazi
interni, rispondenti a molteplici funzioni e l’acustica della sala venne migliorata attraverso la curvatura
ribassata del soffitto.

A Roma di distinse Giuseppe Valadier, architetto di Piazza del Popolo, caratterizzata da una sintesi di natura
e architettura, motivi funzionali e simbolici. Il neoclassicismo lo ritroviamo nella Piazza del Plebiscito, a
Napoli, per la quale Laperuta immaginò un colonnato ad emiciclo, in mezzo al quale venne inserita la Chiesa
di San Francesco di Paola. Ispirata al Pantheon, il cui schema viene variato con l’inserimento di due cupole
minori tra il prònao e la forma cilindrica centrale.

CAPITOLO 3 – IL ROMANTICISMO
Il Romanticismo è un movimento di pensiero che, dalla Germania e dall’Inghilterra, si diffonde in tutta
Europa tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento. Il Romanticismo interpreta le inquietudini e le
tensioni della società e assume una visione antilluminista e anticlassica, poiché esso inaugura un nuovo
rapporto con la natura e con la storia di ciascun popolo.

L’artista romantico puntava sulla fantasia e sull’irrazionalità, sul sentimento e sull’istinto e fondeva uomo e
natura. L’arte diventa strumento di espressione dell’interiorità dell’artista. Egli, quindi, segue la propria
ispirazione, anche a costo di entrare in contrasto con la società. Nasce così il “genio” romantico, solo e
infelice a causa della sua “diversità”. L’arte romantica deve essere originale.

Un tema centrale è il rapporto tra uomo e natura, espresso dal sublime e dal sentimento pittoresco. Il
sublime è ciò che, in natura, supera la misura umana, da cui si genera un sentimento di attrazione e
repulsione. Un esempio di sublime sono le bufere e le tempeste, poiché, di fronte a esse, l’uomo si sente
piccolo. La teoria del pittoresco recupera una dimostrazione spontanea e selvaggia della natura.

L’arte romantica esprime l’interiorità dell’uomo e nasce quindi un’arte che predilige le manifestazioni
irrazionali della psiche, quali i sogni e gli incubi. Johann Fussli trattò questo tema in un suo quando,
“L’incubo”: qui si vede una giovane distesa sul letto, in una posizione innaturale, che sottintende
l’inquietudine del sogno; su di lei siede un mostro e, tra le tende, sullo sfondo, appare una testa di cavallo
che raffigura il termine inglese nightmare.

I romantici vedevano il Medioevo come un’epoca di forti sentimenti e nazionalità. La centralità della
dimensione interiore condusse al recupero della religione, dovuto anche all’insicurezza dell’uomo.
Attraverso l’arte era possibile raggiungere le zone più profonde della realtà.
CASPAR DAVID FRIEDRICH

MONACO IN RIVA AL MARE (1808-1809, Palazzo di Charlottenburg – Berlino)

In Germania emerse Caspar David Friedrich, cantore dell’immensità della natura. Nel suo dipinto più noto,
Monaco in riva al mare, il monaco, che si distingue a malapena sulla spiaggia, simboleggia la precarietà
della vita. Qui si ha la vastità del cielo, la cupezza del mare e la desolazione della riva. Il senso di infinito è
dato dalla diminuzione della forma. Le zone del dipinto sono tre: una striscia chiara in basso, una zona di
blu intenso e l’immenso cielo che evoca l’irraggiungibile. Con ciò, Friedrich esprime malinconia, solitudine e
l’angoscia dell’uomo di fronte la grandezza della natura.
VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA (1818, Museum for Kunst - Copenaghen)

In Friedrich ritroviamo la coesistenza di nitidezza visiva e sublime e, un esempio, è “Il viandante sul mare di
nebbia”, in cui alla definizione precisa del primo piano, con la rupe da cui il viandante contempla il
paesaggio, si contrappone la vastità del paesaggio, con montagne, nebbia e cielo. Il viandante ci è ignoto
perché ci volta le spalle, quindi non si sa nulla sulla sua fisionomia o sul suo stato d’animo. Non sappiamo se
l’uomo è in comunione con la natura o se ne viene sopraffatto. La contemplazione della natura è ricorrente
nel Romanticismo e, secondo Friedrich, essa parla il linguaggio di Dio. L’uomo vuole ricongiungersi con il
divino.
JOSEPH MALLORD WILLIAM TURNER

Turner fu protagonista del Romanticismo inglese e i suoi dipinti si svincolarono dalla rappresentazione
oggettiva, dalla veduta, per divenire pure variazioni di colore. Col tempo le forme si dissolvono, gli spazi
cessano di essere percepibili e i colori accrescono il loro valore emotivo. I temi sono drammatici e, in alcune
opere, si riflettono le emozioni provate dall’artista di fronte allo spettacolo della natura. Egli teorizzò la
luce.
LUCE E COLORE. IL MATTINO DOPO IL DILUVIO (1843, Tate Gallery – Londra)

Nel dipinto, ispirato al libro sui colori di Goethe, Turner utilizzò il rosso, il giallo e il verde per esprimere la
gioia del creato dopo il Diluvio Universale, quando la luce torna ad illuminare la Terra. “Luce e Colore” si
collega al dipinto “Ombra e oscuro”, in cui, con il blu e il viola, si rappresenta il Diluvio che sta per
abbattersi sulla Terra. La scena di “Luce e colore” venne immaginata dal pittore come incapsulata dentro
una bolla, sulla cui superficie si vedono i riflessi del colore.
PIOGGIA, VAPORE E VELOCITA’ (1844, National Gallery – Londra)

Il dipinto fu criticato poiché rappresenta una locomotiva a vapore. Esso si concentra sulla ricerca degli
effetti di umidità e di vapore, sulla fusione delle cose in una determinata condizione atmosferica, nella
quale si sfumano i contorni e ogni elemento del paesaggio perde la sua individualità. Il vero soggetto sono
proprio la pioggia, il vapore e la velocità. Il treno si integra nella natura. Stilisticamente, Turner si affida al
colore e focalizza la nostra attenzione sulla luce e sull’atmosfera: in questo modo si perde, attraverso il
colore, la forma.
JOHN CONSTABLE

Constable rappresenta la natura con lo sguardo pacato dell’osservatore curioso e incantato e, per studiarla,
si stabilì in campagna. Ebbe costante interesse all’osservazione del vero. Nacquero quindi opere come “Il
mulino di Flatford”.
IL MULINO DI FLATFORD (1817, Tate Gallery – Londra)

Qui l’artista evoca una scena della sua infanzia serena nella regione del Suffolk. Il paesaggio rappresenta la
realtà così come si presenta all’osservatore, senza significati simbolici. Il quadro mostra sia lo spettacolo
della natura (alberi, fiumi e cielo) sia le umili attività umane. La sua tecnica ricorda quella futura degli
impressionisti: piccoli tratti veloci. La sua arte si caratterizza da grandi cieli abitati da nuvole.
THÉODORE GÉRICAULT

Géricault fu un pittore molto inquieto. Le sue opere che meglio caratterizzano la sua poetica, insieme
romantica e realistica, sono “La zattera di Medusa” e “Ritratti di alienati”.
RITRATTI DI ALIENATI (1822-1823)

I dieci Ritratti di alienati (cinque sono andati perduti) furono dipinti tra il 1822 e il 1823 su incarico di un
medico parigino, che indagava le corrispondenze tra disturbi psichici e la fisionomia degli individui.
Géricault si sofferma sui suoi modelli con una partecipazione e una pietà che, al tempo, apparivano
sorprendenti. Dei modelli vengono sottolineati gli sguardi appannati o le espressioni alienate, ma anche i
sentimenti di emarginazione e solitudine.
LA ZATTERA DELLA MEDUSA (1818, Louvre – Parigi)

Si tratta dell’opera più significativa, di grandi dimensioni, per la quale l’artista scelse un tragico episodio di
cronaca che si era verificato nel 1816, al largo dell’Africa occidentale: l’affondamento della nave Medusa,
con il naufragio di 150 persone su una zattera che andò alla deriva per parecchi giorni, finchè la nave Argo
recuperò solo una quindicina di uomini. Il pittore scelse il momento culminante del naufragio, quello in cui i
naufraghi avvistano una nave all’orizzonte, ma non riescono a farsi vedere. Per realizzarla Gèricault si
informò bene sui fatti. Il suo intento, però, non era ricostruire l’avvenimento in modo fedele, bensì dare alla
vicenda un’impronta universale. In primo piano si vede un padre inebetito dal dolore per il figlio morto, con
i moribondi tutt’intorno e poi vi è un grappolo umano che si protende dalla zattera verso la nave lontana,
rappresentata da un punto. La scena è una metafora dell’uomo che lotta con tutte le sue forze contro le
avversità e il destino. La scena è costruita su un sistema di diagonali che convergono verso due apici, uno
rappresentato dall’albero della zattera, l’altro dalla camicia agitata da un naufrago: in questo modo si ha un
movimento verso l’orizzonte. La vela gonfiata dalla tempesta indica la direzione opposta del vento, mentre
il mare respinge la zattera. I riflessi rossastri accentuano la drammaticità della scena. Il disegno definisce i
contorni delle figure, il chiaro-scuro rende il dinamismo dei personaggi, i cui corpi ricordano i busti degli
eroi classici.
EUGÈNE DELACROIX

Lui sentiva la necessità di essere testimone della storia presente. Perciò ne “Il massacro di Scio” (1824)
rappresenta la distruzione del villaggio greco sull’isola di Scio da parte dei Turchi: qui Delacroix dimostra
una disinvoltura nella composizione, nella resa del colore, nella luce e nell’atmosfera, che suscita aspre
critiche.
LA BARCA DI DANTE (1822, Louvre – Parigi)

Quest’opera è un omaggio esplicito a “La zattera di Medusa”, soprattutto per il trattamento


classicheggiante dei nudi e la struttura piramidale. Qui si hanno le figure possenti, il cromatismo acceso e
l’espressione di una profonda sofferenza interiore. Delacorix si ispira alla Divina Commedia di Dante
Alighieri. ll poeta, che indossa un abito bianco e verde e un cappuccio rosso, è in piedi, sul lato sinistro della
barca che lo trasporta nel suo viaggio agli inferi. Si trova al quinto cerchio, dove sono puniti gli iracondi e gli
accidiosi, e deve attraversare la palude dello Stige per raggiungere la città di Dite. La vista di tanti fiorentini
immersi nella fetida palude scatena in lui una reazione di sgomento e compassione. Come per cercare
riparo, Dante appoggia il braccio sinistro a Virgilio che gli fa da guida nel suo viaggio oltremondano. Avvolto
in un mantello marrone, la testa coronata da foglie d’alloro, Virgilio emana un senso di superiore serenità.
La possente figura di schiena è Flegias. Lo sventolare del suo drappo blu nella tempesta e la torsione
estrema dei corpi dei dannati esprimono una lotta animalesca, un senso di disperazione esistenziale. Colpi
di luce creano contrasto e modellano duramente il profilo dei corpi. Sullo sfondo fumo e fiamme,
provenienti dall’infernale città di Dite.
LA LIBERTÀ GUIDA IL POPOLO (1830, Louvre – Parigi)
L’opera mostra un richiamo evidente a “La zattera di Medusa” di Géricault nei corpi ammassati in primo
piano e nella struttura piramidale della composizione. Delacroix raffigura il momento in cui i parigini di ogni
età e condizione sociale travolgono le truppe. Il pittore rappresenta una donna, l’allegoria della Patria-
Libertà, che sovrasta le altre figure, seminuda, con in testa il berretto frigio, simbolo della Grande
Rivoluzione, la bandiera in una mano e un fucile nell’altra. La figura mescola realismo e antichità: fu
criticata per la sua nudità, resa più vera dalla peluria sotto le ascelle, ma essa costituisce anche un
riferimento alla Venere di Milo. Alla destra della donna vi è un uomo con una carabina ed è Delacroix; in
ginocchio, in blusa azzurra, vi è un operaio; intorno vi è uno studente del Politecnico, un soldato della
Guardia Nazionale ed i borghesi. Sullo sfondo si erge Notre Dame. L’enfasi, la distribuzione delle figure a
piramide e le grandi dimensioni del quadro coinvolgono emotivamente lo spettatore, che ammira le virtù
eroiche dei parigini.
DONNE DI ALGERI NEL LORO APPARTAMENTO (1834, Louvre – Parigi)

Grazie ad un suo viaggio in Africa, l’artista creò questo quadro, che descrive una scena realmente vissuta da
Delacroix, che penetrò in un harem. Vi sono tre figure femminili, vestite di stoffe preziose, in un’atmosfera
intima e sensuale. I colori utilizzati sono brillanti e complementari.

CAPITOLO 5 – IL REALISMO
I PROTAGONISTI DEL REALISMO FRANCESE

Il realismo francese nasce alla fine degli anni Quaranta. Il protagonista è il presente, con la sua vita
pulsante, le sue contraddizioni e la sua estrema durezza. Artisti come Courbet, Daumier e Milet rivelano la
drammaticità della condizione dei lavoratori. La pittura di paesaggio è ormai un genere del tutto autonomo
e non più sfondo o contorno di scene principali. A Barbizon, un villaggio francese, nasce la nuova
concezione del paesaggio francese, che tiene conto delle conquiste espressive di Delacroix e delle
innovazioni del paesaggismo inglese, ma sviluppa anche una propria adesione al paesaggio naturale. Un
gruppo di artisti francesi decide perciò di stabilirsi nel villaggio, dipingendo all’aria aperta: danno così vita
alla “Scuola di Barbizon”, a cui aderirà anche Carot. I Barbizzoniers si concentrano sulle ore, sul tempo, sulle
stagioni e sul clima. Questa pittura è attenta agli effetti di luce ed è carica di colore.
IL PONTE DI NARNI, COROT (1826, Louvre – 1827, National Gallery of Canada)

Corot, che dipingeva realisticamente la realtà, fu costretto ad inserire nei paesaggi naturali presenze
letterarie o mitologiche. Le due versioni de Il ponte di Narni raffigurano un tratto della campagna umbra
vicino a Terni, dove il fiume Nera incrocia i resti di un antico ponte romano. L’opera fu realizzata en-plein-
air. Si tratta di un piccolo quadro in cui il colore è protagonista. Un colore caratterizzato da pennellate
dense che suggeriscono la struttura degli oggetti e la lontananza dal cielo. La seconda versione risulta più
dilatata, ampia, incantata e più classica. Vi si riconoscono le linee del disegno e vi sono due alberi centrali
come assi tra linee diagonali del fiume e del sentiero.
L’ANGELUS, MILLET (1858-1859, Louvre)

Millet fu autore di una serie di opere i cui protagonisti sono figure di lavoratori e veniva spesso influenzato
dal concetto cristiano. L’ispirazione cristiana si coglie ne L’Angelus, in cui due contadini interrompono il
lavoro nei campi per la preghiera. Il pittore si sofferma sui campi lavorati e nel fondo si intravede anche un
campanile: sull’ambiente, però, prevalgono i due contadini. Millet rende la particolare atmosfera dell’ora
attraverso la luce che, provenendo dall’orizzonte, illumina il terreno e, di spalle, i due personaggi, che sono
più in ombra, come a evidenziare l’intensità del loro sentimento. I temi principali sono la religiosità e
l’unione tra uomo e natura. Il quadro ebbe molto successo.
IL VAGONE DI TERZA CLASSE, DAUMIER (1862, National Gallery of Canada)

Sul tema del vagone di terza classe, Daumier realizzò diversi dipinti, ma il più famoso è quello del 1862. Qui
Daumier si concentra sull’interno di uno scompartimento in un treno popolare, fiocamente illuminato dalla
luce laterale che entra dai finestrini e si sofferma sulle figure: in primo piano vi è una giovane che allatta il
bambino, un’anziana che tiene in grembo una cesta e un ragazzino addormentato che le si poggia al fianco.
Poi vi è la seconda fila, di spalle, e una terza che si scorge a malapena. Quest’opera è vista come satirica, in
cui prevale, però, la solidarietà nei confronti degli umili viaggiatori. Daumier conferma così la sua
concezione della pittura come denuncia delle torture e dei mali della società.
GUSTAVE COURBET

Gustave Courbet voleva realizzare un’arte viva, ovvero aderire alla vita, senza alcuna idealizzazione;
Courbet cercava i propri soggetti nel popolo, tra spaccapietre affaticati dal duro lavoro, giovani donne in
pose disinvolte e scene di vita quotidiana. Egli frequentò gli studi di pittori e anche il Louvre. Ne “Gli
spaccapietre” (1849) vi sono due lavoratori, un giovane che sta portando la cesta di pietre spaccate e un
anziano con la mazza in aria, che sono visti nella meccanicità delle loro azioni. In “Funerale a Ornans”
(1849) è un’altra opera innovativa, soprattutto perché in essa un avvenimento comune assume il rilievo di
un evento storico. L’opera è vasta come un affresco e mostra circa cinquanta abitanti del paese. Un altro
quadro scandaloso mostra due ragazze dai vestiti slacciati e in disordine, in languido abbandono sulle rive
della Senna. Il soggetto è giudicato troppo realistico e crudele, poiché allude alla prostituzione.
L’ATELIER DEL PITTORE (1855, Musée d’Orsay – Parigi)

Ne L’atelier del pittore, Courbet volle simboleggiare, servendosi di personaggi reali, i suoi ideali, le sue
amicizie e i suoi gusti come artista. Il dipinto è manifesto del nuovo linguaggio artistico e del nuovo modo di
intendere il ruolo dell’artista nella società. Al centro il pittore sta dipingendo un paesaggio, osservato da un
bambino, puro e ingenuo, e da una modella nuda, parzialmente coperta da un drappo, che allude all’idea di
svelamento del vero. A desta gli amici e i collezionisti. A sinistra vi sono personaggi di diverse categorie
sociali: tra cui una dona che allatta il suo bambino e un bracconiere in primo piano con i suoi cani ai suoi
piedi.

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