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AUTORI LATINI

CICERONE

1) Un’occasione importante (T1, p. 270)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Quod erat optandum Ciò che era soprattutto da • quod… quod sono
maxime, iudices, et quod desiderare, giudici, e che, prolettici rispetto al
unum ad invidiam vestri solo, serviva a placare successivo id;
ordinis infamiamque l’ostilità verso la vostra classe • vestri ordinis è genitivo
iudiciorum sedandam sociale e il discredito verso i oggettivo;
maxime pertinebat, id non processi, sembra che sia stato • his iudiciis… posse
humano consilio sed prope dato e offerto a voi, in un damnari è una infinitiva
divinitus datum atque momento critico per lo Stato, esplicativa rispetto al
oblatum summo rei publicae non per decisione umana ma precedente opinio;
tempore videtur. Inveteravit quasi per volere divino. • actor è termine tecnico
enim iam opinio perniciosa Infatti si è ormai radicata del lessico giuridico
rei publicae vobisque un’opinione dannosa per lo latino e designa
periculosa, quae non modo Stato e pericolosa per voi, che l’«accusatore» o
apud nos sed apud exteras si è diffusa non solo presso di «pubblico ministero»,
nationes omnium sermone noi ma, nel discorso di tutti, come diremmo oggi;
percrebuit, his iudiciis quae [anche] presso le popolazioni • lo ius urbanum era la
nunc sunt pecuniosum straniere, [cioè che] con questi giurisdizione esercitata
hominem, quamvis sit processi, quali sono ora, dal praetor urbanus, che
nocens, neminem posse nessun uomo ricco, pur aveva il compito di
damnari. Nunc in ipso essendo colpevole, può essere giudicare le cause
discrimine ordinis condannato. Ora, proprio nel private tra cives
iudiciorumque vestrorum, momento decisivo per il romani;
cum sint parati qui vostro gruppo [lett. «del»] e • hoc è prolettico rispetto
contionibus et legibus hanc per il potere giudiziario [lett. a ut […] videatur.
invidiam senatus inflammare «del»], quando sono pronti
conentur, reus in iudicium coloro che tentano di
adductus est C. Verris, homo infiammare questa ostilità
vita atque factis omnium iam contro il senato con assemblee
opinione damnatus, pecuniae e proposte di legge, è stato
magnitudine sua spe et condotto a processo in qualità
praedicatione absolutus. Huic di imputato Caio Verre, uomo
ego causae, iudices, cum già condannato dall’opinione
summa voluntate et di tutti per la sua vita e i suoi
expectactione populi Romani crimini, (ma) assolto dalla sua
actor accessi, non ut augerem aspettativa (di corrompere i
invidiam ordinis, sed ut giudici) e dalle sue
infamiae communi proclamazioni (lett. singolare)
succurrerem. Adduxi enim a causa dell’entità delle [sue]
hominem in quo reconciliare ricchezze. Ho assunto questa
existimationem iudiciorum causa, giudici, in qualità di
amissam, redire in gratiam pubblico ministero con pieno
cum populo Romano, satis consenso e attesa del popolo
facere exteris nationibus romano, non per accrescere
possetis, depeculatorem l’ostilità nei confronti del
aerari, vexatorem Asiae atque [vostro] gruppo sociale, ma
Pamphyliae, praedonem iuris per rimediare al discredito
urbani, labem atque generale. Ho condotto [in
perniciem provinciae Siciliae. tribunale] infatti un uomo in
De quo si vos vere ac religiose cui poteste riconciliare la
iudicaveritis, auctoritas ea stima perduta dei processi,
quae in vobis remanere debet riconquistare il favore del
haerebit; sin istius ingentes popolo romano, soddisfare le
divitiae iudiciorum popolazioni straniere, [un
religionem veritatemque uomo] dilapidatore del
perfregerint, ego hoc tamen denaro pubblico, oppressore
adsequar, ut iudicium potius dell’Asia e della Panfilia,
rei publicae quam aut reus pirata del diritto urbano,
iudicibus aut accusator reo sciagura e rovina della
defuisse videatur. provincia di Sicilia. Se voi
giudicherete in modo
imparziale e scrupoloso circa
quest’uomo, l’autorevolezza
che deve rimanere presso di
voi [lett. «in voi»] resterà
salda; se invece le ingenti
ricchezze di costui
infrangeranno l’imparziale
scrupolo dei processi, io
otterrò nondimeno questo,
(cioè) che sembri esser
mancato un processo allo
Stato piuttosto che un
imputato ai giudici o un
accusatore all’imputato.

2) In Verrem, II, 72.5 – 87.2

TESTO LATINO TRADUZIONE


Segesta est oppidum pervetus in Sicilia, Segesta, giudici, è una città antichissima in
iudices, quod ab Aenea fugiente a Troia Sicilia, che si tramanda sia stata fondata da
atque in haec loca veniente conditum esse Enea che fuggiva da Troia e giungeva in
demonstrant. Itaque Segestani non solum questi luoghi. Quindi i Segestani ritengono
perpetua societate atque amicitia, verum di esser stati uniti al popolo romano non solo
etiam cognatione se cum populo Romano da un’alleanza e da un’amicizia perpetue
[lett. perpetua è riferito solo a societate], ma
coniunctos esse arbitrantur. Hoc quondam
anche dalla stirpe. Un tempo quella città,
oppidum, cum illa civitas cum Poenis suo
mentre faceva guerra contro Cartagine [lett.
nomine ac sua sponte bellaret, a «contro i Cartaginesi»] a proprio nome e di
Carthaginiensibus vi captum atque deletum propria iniziativa, venne conquistata e
est, omniaque quae ornamento urbi esse distrutta dai Cartaginesi con la violenza, e
possent Carthaginem sunt ex illo loco tutto ciò che potesse essere di ornamento per
deportata. Fuit apud Segestanos ex aere la città venne trasferito da quel luogo a
Cartagine. Vi fu presso i Segestani una statua
Dianae simulacrum, cum summa atque
di Diana in bronzo, sia dotata di massima e
antiquissima praeditum religione tum antichissima venerabilità sia realizzata con
singulari opere artificioque perfectum. Hoc straordinaria fattura e arte. Essa, trasferita a
translatum Carthaginem locum tantum Cartagine, aveva mutato solo il luogo e le
hominesque mutarat, religionem quidem persone, ma conservava la venerabilità di
pristinam conservabat; nam propter eximiam prima; infatti a causa della sua straordinaria
pulchritudinem etiam hostibus digna quam bellezza sembrava anche ai nemici degna di
essere venerata [lett. «degna che la
sanctissime colerent videbatur.
venerassero»] con moltissima devozione.
Aliquot saeculis post P. Scipio bello Punico
tertio Carthaginem cepit; qua in victoria, - Dopo alcuni secoli Publio Scipione prese
Cartagine durante la terza guerra punica;
videte hominis virtutem et diligentiam, ut et
durante questa vittoria – badate al valore e
domesticis praeclarissimae virtutis exemplis
alla diligenza di [quest’uomo], sia affinché vi
gaudeatis et eo maiore odio dignam istius rallegriate degli esempi patrii di illustrissima
incredibilem audaciam iudicetis, - convocatis prodezza sia perché giudichiate la sua
Siculis omnibus, quod diutissime inaudita audacia degna di avversità ancora
saepissimeque Siciliam vexatam a maggiore –, chiamati in adunanza tutti i
Carthaginiensibus esse cognorat, iubet Siculi, poiché era venuto a sapere che la
Sicilia era stata vessata molto a lungo e molto
omnia conquiri; pollicetur sibi magnae curae
spesso dai Cartaginesi, ordinò [lett. «ordina»]
fore ut omnia civitatibus, quae cuiusque
che venisse ricercato tutto [quello che era
fuissent, restituerentur. Tum illa quae stato sottratto]; promise [lett. «promette»] che
quondam erant Himera sublata, de quibus gli sarebbe stato molto a cuore che venisse
antea dixi, Thermitanis sunt reddita, tum alia restituito alle città tutto ciò che era
Gelensibus, alia Agrigentinis, in quibus appartenuto a ciascuna [di loro]. Allora sia
etiam ille nobilis taurus, quem crudelissimus quello che un tempo era stato portato via da
Imera, di cui ho parlato prima, venne reso ai
omnium tyrannorum Phalaris habuisse
Termitani, altro [venne restituito] agli
dicitur, quo vivos supplici causa demittere
abitanti di Gela, altro [venne restituito] agli
homines et subicere flammam solebat. Quem Agrigentini, tra cui anche quel famigerato
taurum cum Scipio redderet Agrigentinis, toro, che si dice abbia posseduto Falaride, il
dixisse dicitur aequum esse illos cogitare più crudele di tutti i tiranni, in cui era solito
utrum esset Agrigentinis utilius, suisne inserire [lett. «far scendere, calare»] delle
servire anne populo Romano obtemperare, persone vive per torturarle [lett. «ai fini della
tortura»] e[d era solito] accendere una
cum idem monumentum et domesticae
fiamma. Mentre Scipione rendeva questo
crudelitatis et nostrae mansuetudinis
toro agli Agrigentini, si dice che abbia
haberent. affermato che era giusto che essi pensassero
XXXIV quale delle due cose fosse più vantaggiosa
per gli Agrigentini, o essere schiavi dei loro
Illo tempore Segestanis maxima cum cura
(tiranni) o sottomettersi al popolo romano,
haec ipsa Diana, de qua dicimus, redditur;
dal momento che avevano il medesimo
reportatur Segestam; in suis antiquis sedibus ricordo sia della crudeltà della (loro) patria
summa cum gratulatione civium et laetitia sia della nostra benevolenza.
reponitur. Haec erat posita Segestae sane
excelsa in basi, in qua grandibus litteris P. XXXIV
Africani nomen erat incisum eumque In quel tempo venne resa [lett. «viene resa»]
ai Segestani con somma sollecitudine questa
Carthagine capta restituisse perscriptum.
stessa [statua di] Diana, di cui parliamo;
Colebatur a civibus, ab omnibus advenis viene ricondotta a Segesta; viene
visebatur; cum quaestor essem, nihil mihi ab riposizionata nelle sue antiche sedi con
illis est demonstratum prius. Erat admodum somma riconoscenza e gioia da parte dei
amplum et excelsum signum cum stola; cittadini. Questa era stata posta a Segesta sun
verum tamen inerat in illa magnitudine aetas di un piedistallo assai alto, su cui era stato
scolpito a grandi lettere il nome di Publio
atque habitus virginalis; sagittae pendebant
Africano ed era stato scritto che l’aveva
ab umero, sinistra manu retinebat arcum,
restituita lui, una volta presa Cartagine.
dextra ardentem facem praeferebat. Hanc Viene venerata dai cittadini, contemplata da
cum iste sacrorum omnium et religionum tutti i forestieri; quando ero questore, da essi
hostis praedoque vidisset, quasi illa ipsa face non mi venne mostrato niente di più insigne.
percussus esset, ita flagrare cupiditate atque Era una statua estremamente magnifica e alta
amentia coepit; imperat magistratibus ut con una stola [veste lunga tipica delle
matrone romane]; tuttavia in quella
eam demoliantur et sibi dent; nihil sibi
grandezza era davvero insita un’età e un
gratius ostendit futurum. Illi vero dicere sibi
portamento da fanciulla; delle frecce
id nefas esse, seseque cum summa religione pendevano dalla spalla, con la sinistra teneva
tum summo metu legum et iudiciorum un arco, con la destra portava innanzi una
teneri. Iste tum petere ab illis, tum minari, torcia ardente. Dopo che questo nemico e
tum spem, tum metum ostendere. ladro di tutte le cose sacre e di tutti gli oggetti
Opponebant illi nomen interdum P. Africani; di culto aveva visto questa, cominciò ad
ardere di bramosia e di follia [lett. «così»]
populi Romani illud esse dicebant; nihil se in
come se fosse stato colpito proprio da quella
eo potestatis habere quod imperator
torcia; ordina ai magistrati di rimuoverla e di
clarissimus urbe hostium capta consegnargliela; dichiara che non ci sarà per
monumentum victoriae populi Romani esse lui niente di più gradito. Quelli invero
voluisset. Cum iste nihilo remissius atque dicevano che ciò era per loro sacrilego, e che
etiam multo vehementius instaret cotidie, res essi [stessi] erano trattenuti sia dalla
agitur in senatu: vehementer ab omnibus moltissima devozione sia dalla massima
paura delle leggi e dei processi. Costui sia
reclamatur. Itaque illo tempore ac primo
chiedeva loro [la statua], sia li minacciava, sia
istius adventu pernegatur. Postea, quidquid
mostrava speranza e paura. Quelli intanto
erat oneris in nautis remigibusque exigendis, contrapponevano il nome di Publio Africano;
in frumento imperando, Segestanis praeter dicevano che quella [statua] era del popolo
ceteros imponebat, aliquanto amplius quam romano; [dicevano di] non avere affatto in
ferre possent. Praeterea magistratus eorum tanto potere ciò che un comandante
evocabat, optimum quemque et illustrissimo aveva voluto che fosse un
monumento della vittoria del popolo
nobilissimum ad se arcessebat, circum omnia
romano. Dal momento che costui incalzava
provinciae fora rapiebat, singillatim uni ogni giorno in modo niente affatto più calmo,
cuique calamitati fore se denuntiabat, ma anzi molto più violentemente, la
universis se funditus eversurum esse illam questione viene discussa in Senato: tutti si
civitatem minabatur. oppongono violentemente [lett. passivo].
Itaque aliquando multis malis magnoque Dunque in quel momento e al primo arrivo
di costui è negata. In seguito, qualunque
metu victi Segestani praetoris imperio
fardello vi fosse nel richiedere marinai e
parendum esse decreverunt. Magno cum
rematori, nell’esigere grano, lo addossava ai
luctu et gemitu totius civitatis, multis cum Segestani più degli altri, in misura alquanto
lacrimis et lamentationibus virorum maggiore di quanto potessero sopportare. In
mulierumque omnium simulacrum Dianae seguito convocava i loro magistrati, faceva
tollendum locatur. venire a sé tutti i migliori e i più illustri [lett.
XXXV «ogni migliore e ogni più illustre»],
sacchegiava tutti i centri della provincia dove
Videte quanta religio fuerit apud Segestanos.
si esercitava la giustizia [situati] nei dintorni,
Repertum esse, iudices, scitote neminem,
notificava che sarebbe stato capace di ogni
neque liberum neque servum, neque civem flagello, uno per uno [lett. «singolarmente»],
neque peregrinum, qui illud signum auderet minacciava tutti quanti di distruggere quella
attingere; barbaros quosdam Lilybaeo scitote città dalle fondamenta.
adductos esse operarios; ii denique illud Dunque un tempo i Segestani, vinti da molti
ignari totius negoti ac religionis mercede mali e da un grande timore, stabilirono che si
dovesse obbedire al comando del pretore.
accepta sustulerunt. Quod cum ex oppido
Con grande dolore e con grande lamento di
exportabatur, quem conventum mulierum
tutta la cittadinanza, con molte lacrime e con
factum esse arbitramini, quem fletum molti lamenti di tutti gli uomini e di tutte le
maiorum natu? quorum non nulli etiam donne si dispose [lett. presente] che la statua
illum diem memoria tenebant cum illa di Diana venisse portata via.
eadem Diana Segestam Carthagine revecta XXXV
victoriam populi Romani reditu suo Osservate quanto grande scrupolo religioso
vi fu presso i Segestani. Sappiate, giudici, che
nuntiasset. Quam dissimilis hic dies illi
non è stato trovato nessuno, né libero né
tempori videbatur! Tum imperator populi
Romani, vir clarissimus, deos patrios schiavo, né cittadino né forestiero, che osasse
reportabat Segestanis ex urbe hostium toccare quella statua; sappiate che sono stati
recuperatos: nunc ex urbe sociorum praetor condotti da Lilibeo certi barbari in qualità di
operai; essi poi, ignari dell’intera faccenda e
eiusdem populi turpissimus atque
della venerazione/religione, una volta
impurissimus eosdem illos deos nefario
ricevuto il salario, la spostarono. Quando
scelere auferebat. Quid hoc tota Sicilia est essa veniva trasportata fuori città, quale
clarius, quam omnis Segestae matronas et assembramento di donne credete che ebbe
virgines convenisse cum Diana exportaretur luogo [lett. «fu fatto»]? Quale pianto degli
ex oppido, unxisse unguentis, complesse anziani [lett. «maggiori (d’età) per nascita»]?
coronis et floribus, ture, odoribus incensis Alcuni di costoro conservavano ancora il
ricordo di quel giorno, quando quella
usque ad agri finis prosecutas esse? Hanc tu
medesima (statua di) Diana, ricondotta a
tantam religionem si tum in imperio propter Segesta da Cartagine, aveva annunciato con
cupiditatem atque audaciam non il suo ritorno la vittoria del popolo romano.
pertimescebas, ne nunc quidem in tanto tuo Quanto sembrava diverso questo giorno da
liberorumque tuorum periculo perhorrescis? quei momenti [lett. «quel tempo»]! Allora un
comandante del popolo romano, un uomo
illustrissimo, riportava ai Segestani gli dei
della patria, riconquistati da una città
nemica; adesso, un pretore del medesimo
popolo, (uomo) spregevolissimo ed
estremamente ignobile, sottraeva quegli
stessi dei da una città alleata con un crimine
scellerato. Cos’è più evidente a tutta quanta
la Sicilia di questo, del fatto che, quando (la
statua di) Diana era stata trasportata fuori
dalla città, tutte le matrone e le vergini di
Segesta si erano radunate, l’avevano cosparsa
d’unguento, riempita di corone e di fiori, di
incenso, (e) l’avevano accompagnata dopo
aver bruciato profumi [lett. costruzione
passiva] fino ai confini del territorio (di
Segesta). Se tu non temevi questa devozione
tanto grande allora, (quando eri) al potere, a
causa della (tua) cupidigia e impudenza, non
tremi nemmeno adesso, in un pericolo tanto
grande per te e per i tuoi figli?

3) L’incredibile storia di Diodoro da Malta (T2, p. 273)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Accipite, si vultis, iudices, Ascoltate, giudici, se volete, • tra apud eos e quo si
rem eius modi ut amentiam una storia di questo genere, riconosce un accordo a
singularem et furorem iam, affinché possiate adesso senso;
non cupiditatem eius comprendere la straordinaria • i gerundi inspiciendi e
perspicere possitis. demenza e follia di auferendi dipendono da
quest’[uomo], non la [sua] cupiditate e
XVIII cupidigia. C’è Diodoro da sottintendono
Melitensis Diodorus est, qui Malta, che ha prima l’accusativo pocula;
apud vos antea testimonium testimoniato [lett. «ha • minitari, vociferari e
dixit. Is Lilybaei multos iam pronunciato una tenere sono infiniti
testimonianza»] alla vostra storici;
annos habitat, homo et domi
presenza. Egli vive a Lilibeo • la partenza di Diodoro
nobilis et apud eos quo se
ormai da molti anni, un uomo viene descritta
contulit propter virtutem sia insigne in patria sia utilizzando il
splendidus et gratiosus. De rinomato e gradito per la sua linguaggio militare
hoc Verri dicitur habere eum virtù presso coloro dai quali (castra commovere,
perbona toreumata, in his [lett. «dove»] si era trasferito. «levare le tende», e
pocula quaedam, quae Riguardo a lui viene riferito a vasa colligere, «prendere
Verre che possiede oggetti i bagagli») per giocare
Thericlia nominantur,
cesellati di ottima qualità, (e) sul doppio senso di
Mentoris manu summo tra questi cento coppe, che vasa (che vale
artificio facta. Quod iste ubi son dette di Tericle, realizzate «equipaggiamento» in
audivit, sic cupiditate con somma arte dalla mano di senso militare ma
inflammatus est non solum Mentore. Quando costui ebbe «vasellame» nel
inspiciendi verum etiam ascoltato ciò, venne a tal linguaggio comune);
punto infiammato dalla • il periodo Iste non
auferendi ut Diodorum ad se
cupidigia non solo di dubitat iubere nomen
vocaret ac posceret. Ille, qui
esaminare (le coppe) da deferri, et tum primum
illa non invitus haberet, vicino ma anche di portarle ut opinor istum absentis
respondit Lilybaei se non via, che convocò [lett. nomen recepisse fa
habere, Melitae apud «convocava»] Diodoro e riferimento al fatto che
quendam propinquum suum (glielo) chiese [lett. il magistrato, dopo
reliquisse. Tum iste continuo «chiedeva»]. Egli, che le un’accusa, verificava le
possedeva non a malincuore prove a carico
mittit homines certos
[cioè: le possedeva volentieri], dell’imputato e
Melitam, scribit ad quosdam
rispose che non le aveva a accogliendo le istanze
Melitensis ut ea vasa Lilibeo, ma che le aveva dell’accusa (con la
perquirant, rogat Diodorum lasciate a Malta, da un (certo) cosiddetta nominis
ut ad illum propinquum suo parente. Allora costui receptio) avviava il
suum det litteras; nihil ei manda subito delle persone procedimento.
longius videbatur quam dum fidate a Malta, scrive a certi
maltesi perché cerchino quei
illud videret argentum.
vasi, chiede a Diodoro di
Diodorus, homo frugi ac
mandare [lett. «dare,
diligens, qui sua servare consegnare»] una lettera a
vellet, ad propinquum suum quel suo parente; non gli
scribit ut iis qui a Verre pareva che nulla fosse più
venissent responderet illud atteso [cioè: non vedeva l’ora]
argentum se paucis illis che vedere quell’argenteria.
Diodoro, uomo sobrio e
diebus misisse Lilybaeum.
coscienzioso, poiché voleva
Ipse interea recedit: abesse a
conservare i suoi beni, scrive
domo paulisper maluit quam al suo parente di rispondere a
praesens illud optime factum coloro che erano giunti per
argentum amittere. Quod ubi conto di Verre [oppure
iste audivit, usque eo «(mandati) da Verre»] che in
commotus est ut sine ulla quei pochi giorni aveva
spedito quell’argenteria a
dubitatione insanire omnibus
Lilibeo. Egli (stesso) nel
ac furere videretur. Quia non frattempo partì: preferì
potuerat eripere argentum restare lontano da casa per un
ipse Diodoro, erepta sibi vasa po’ piuttosto che, essendo
optime facta dicebat; minitari presente (a casa), perdere
absenti Diodoro, vociferari quell’argenteria
palam, lacrimas interdum nonmagnificamente lavorata.
Quando costui ebbe sentito
tenere. Eriphylam accepimus
ciò, (ne) venne turbato a tal
in fabulis ea cupiditate ut, punto che senza alcun dubbio
cum vidisset monile, ut sembrava a tutti che fosse
opinor, ex auro et gemmis, impazzito [lett. «impazzisse»]
pulchritudine eius incensa e che fosse fuori di sé.
salutem viri proderet. Similis Siccome non aveva potuto
sottrarre l’argenteria a
istius cupiditas, hoc etiam
Diodoro, sosteneva che i vasi
acrior atque insanior, quod
ottimamente rifiniti fossero
illa cupiebat id quod viderat, stati rubati a lui; minacciava
huius libidines non solum Diodoro in contumacia,
oculis sed etiam auribus gridava in pubblico, di tanto
excitabantur. in tanto non tratteneva le
XIX lacrime. Abbiamo appreso nei
miti che Erifile (fu) di una
Conquiri Diodorum tota
cupidigia tale che, dopo aver
provincia iubet: ille ex Sicilia
visto una collana – io credo –
iam castra commoverat et d’oro e di gemme, tradì [lett.
vasa collegerat. Homo, ut «tradiva»] la salvezza del
aliquo modo in provinciam marito [Anfiarao], infiammata
illum revocaret, hanc dalla bellezza di quella.
excogitat rationem, si haec Simile (fu) la brama di costui,
anzi ancor più intensa e folle,
ratio potius quam amentia
perché quella [Erifile]
nominanda est. Apponit de
suis canibus quendam qui bramava ciò che aveva visto,
dicat se Diodorum (mentre) i suoi [di Verre]
Melitensem rei capitalis reum desideri venivano accesi non
solo dagli occhi, ma anche
velle facere. Primo mirum
dalle orecchie.
omnibus videri Diodorum
XIX
reum, hominem Ordina che Diodoro venga
quietissimum, ab omni non cercato in tutta la provincia:
modo facinoris verum etiam quello aveva già levato le
minimi errati suspicione tende [lett.
remotissimum; deinde esse «l’accampamento»] dalla
Sicilia e aveva radunato i
perspicuum fieri omnia illa
bagagli [ma anche «vasi»:
propter argentum. Iste non Cicerone gioca ironicamente
dubitat iubere nomen referri, sul doppio senso della parola
et tum primum ut opinor vasa, alludendo a qualcosa che
istum absentis nomen il lettore già sa – Diodoro era
recepisse. Res clara Sicilia effettivamente partito con la
tota, propter caelati argenti sua preziosa argenteria]. Il
nostro uomo, per farlo
cupiditatem reos fieri rerum
tornare in qualche modo nella
capitalium, neque solum reos provincia, escogita il seguente
fieri, sed etiam absentis. piano (se questo deve essere
chiamato piano [in latino ratio
ha anche il senso di
«ragione»: il gioco di parole è
intraducibile in italiano]
piuttosto che follia). Incarica
uno dei suoi sgherri di dire
che egli voleva accusare
Diodoro da Malta di un
delitto capitale. Anzitutto
sembrava strano a tutti che
Diodoro, un uomo
estremamente tranquillo (e)
lontanissimo da ogni sospetto
non solo di un delitto, ma
persino del benché minimo
errore, (fosse) accusato; poi
divenne [lett. «fu»] evidente
che tutto ciò [lett. «tutte quelle
cose»] avveniva a causa
dell’argenteria. Costui non
esita a ordinare che il nome
venga denunciato, e allora
(fu) la prima volta, io credo,
che costui avesse accolto
un’accusa contro un assente
[lett. «il nome di un assente»].
L’accaduto (fu) evidente in
tutta quanta la Sicilia, (cioè)
che a causa della brama per
dell’argenteria cesellata si
diventava accusati di delitti
capitali, e non solo si
diventava accusati, ma
addirittura (lo si era) in
contumacia.

4) La vita lussuosa e corrotta di Verre (T3, p. 276)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Itinerum primum laborem, Prima di tutto, giudici, state a • l’ordine in cui tradurre
qui vel maximus est in re sentire quanto costui abbia è: Primum accipite,
militari, iudices, et in Sicilia reso agevole e piacevole per iudices, quam facilem
maxime necessarius, accipite, lui la fatica dei viaggi, che è sibi et iucundum ratione
quam facilem sibi iste et estremamente gravosa nella consilioque iste
iucundum ratione consilioque vita militare e soprattutto reddiderit itinerum
reddiderit. Primum necessaria in Sicilia, con laborem, qui vel
temporibus hibernis ad metodo riflessivo. In primo maximus est in re
magnitudinem frigorum et luogo si era procurato questo militari et in Sicilia
tempestatum vim ac brillante rimedio, durante maxime necessarius;
fluminum praeclarum hoc l’inverno [lett. «tempi • compararat è una forma
sibi remedium compararat. invernali»], contro la rigidità sincopata di
Urbem Syracusas elegerat, del clima [lett. «la grandezza comparaverat;
cuius hic situs atque haec dei freddi»] e la violenza delle • quin… viderint è una
natura esse loci caelique tempeste e dei fiumi. Aveva consecutiva negativa in
dicitur ut nullus umquam scelto la città di Siracusa, la cui quin = ut non (come
dies tam magna ac turbulenta cui posizione e la cui è possibile che accada
tempestate fuerit quin aliquo condizione di luogo e di clima nel caso in cui la
tempore eius diei solem si dice essere tali che non ci fu sovraordinata sia
homines viderint. Hic ita mai nessun giorno con una negativa, come in
vivebat iste bonus imperator tempesta così grande e così questo caso);
hibernis mensibus ut eum violenta che gli uomini non • si noti in latino la forte
non facile non modo extra abbiano visto, per un qualche ironia della
tectum, sed ne extra lectum tempo di quel giorno, il sole. paronomasia
quidem quisquam viderit; ita Qui questo valido tectum/lectum, che si
diei brevitas conviviis, noctis comandante viveva durante i perde in italiano;
longitudo stupris et flagitiis mesi invernali in un modo • audistis è una forma
continebatur. Cum autem ver tale che difficilmente sincopata di audivistis.
esse coeperat – cuius initium qualcuno lo ha visto non solo
iste non a Favonio neque ab fuori di casa, ma nemmeno
aliquo astro notabat, sed cum fuori dal letto; così la brevità
rosam viderat tum incipere del giorno si componeva di
ver arbitrabatur – dabat se banchetti, la lunghezza della
labori atque itineribus; in notte di orge scandalose [lett.
quibus eo usque se praebebat «orge e atti scandalosi»].
patientem atque impigrum ut Quando poi cominciava la
eum nemo umquam in equo primavera – il cui inizio
sedentem viderit. Nam, ut costui non lo distingueva dal
mos fuit Bithyniae regibus, favonio né da qualche stella,
lectica octaphoro ferebatur, in ma quando vedeva una rosa
qua pulvinus erat perlucidus [lett. «aveva visto»] allora
Melitensis rosa fartus; ipse capiva che cominciava la
autem coronam habebat primavera – si dedicava alle
unam in capite, alteram in fatiche dei viaggi [lett. «alle
collo, reticulumque ad naris fatiche e ai viaggi»]; in questi
sibi admovebat tenuissimo si mostrava così resistente e
lino, minutis maculiis, infaticabile che nessuno lo ha
plenum rosae. Sic confecto mai visto seduto a cavallo.
itinere cum ad aliquod Infatti, come fu costume per i
oppidum venerat, eadem re di Bitinia, veniva portato
lectica usque in cubiculum con una lettiga sorretta da
deferebatur. Eo veniebant otto portatori [lett. «a otto
Siculorum magistratus, portatori»], sulla quale vi era
veniebant equites Romani, id un cuscino trasparente [di
quod ex multis iurati audistis; stoffa] maltese, imbottito [di
controversiae secreto petali] di rosa; egli stesso
deferebantur, paulo post aveva poi una corona sul
palam decreta auferebantur. capo, (e) un’altra intorno al
Deinde ubi paulisper in collo, e si portava al naso una
cubiculo pretio non aequitate reticella di lino finissimo,
iura discripserat, Veneri iam dalle maglie fitte, piena di
et Libero reliquum tempus rose [lett. singolare].
deberi arbitrabatur. Compiuto così il viaggio,
quando arrivava [lett. «era
arrivato»] in qualche città, era
portato con la medesima
lettiga fino in camera da letto.
Là giungevano i magistrati
siciliani [lett. «dei siciliani»], i
cavalieri romani, ciò che avete
ascoltato da molti [testimoni]
sotto giuramento; le
discussioni erano svolte in
segreto, poco dopo le
decisioni venivano rese
pubbliche [lett. «strappare,
portare via»] apertamente
[cioè venivano comunicate in
pubblico]. In seguito, non
appena aveva assegnato per
un po’, in camera da letto, i
diritti sulla base del denaro,
non della giustizia, riteneva
che il tempo rimasto fosse
ormai dovuto a Venere e a
Bacco [cioè, rispettivamente,
ai piaceri dell’amore e del
vino].

5) Il potere della parola (T20, p. 332)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


«Neque vero mihi «Né in verità niente a me sembra • mentis sta per
quicquam», inquit, più insigne», disse, «che poter l’accusativo plurale
«praestabilius videtur, quam avvincere le menti degli uomini mentes;
posse dicendo tenere con la parola, attirare le [loro] • l’infinita existere
hominum mentis, adlicere volontà, spingerli dove uno unum dipende
voluntates, impellere quo voglia, oppure distoglierli via da dall’admirabile est
velit, unde autem velit dove uno voglia: solo questa che compare nella
deducere: haec una res in capacità [lett. «questa cosa sola»] sovraordinata;
omni libero populo soprattutto fiorì e prevalse • a tam iucundum…
maximeque in pacatis sempre presso ogni popolo auditu e aut tam
tranquillisque civitatibus libero e massimamente nelle potens… converti è
praecipue semper floruit comunità pacifiche e ordinate. sempre sottinteso
semperque dominata est. Che cosa vi è infatti o di tanto quid est;
Quid enim est aut tam ammirevole quanto il fatto che, • i subsellia sono per
admirabile, quam ex infinita in mezzo a uno sterminato antonomasia gli
multitudine hominum numero di uomini, ne sorga uno scranni su cui
existere unum, qui id, quod solo che possa fare ciò che è siedono i giudici e
omnibus natura sit datum, vel stato concesso a tutti dalla quindi, per
solus vel cum perpaucis natura, o da solo o insieme a metonimia, i
facere possit? aut tam pochissimi [altri]? O che cosa c’è tribunali;
iucundum cognitu atque di tanto gradito a sapersi e a • i rostra, invece, sono
auditu, quam sapientibus udirsi quanto un discorso ornato le tribune da cui gli
sententiis gravibusque verbis e raffinato da opinioni avvedute oratori
ornata oratio et polita? aut e da parole importanti? O che pronunciavano i
tam potens tamque cosa c’è di tanto potente e di discorsi nel foro;
magnificum, quam populi tanto magnifico quanto il fatto • la curia, infine, è il
motus, iudicum religiones, che lo stato d’animo del popolo, luogo di riunione
senatus gravitatem unius la scrupolosità [lett. plurale] dei del senato.
oratione converti? Quid porro giudici, la severità del senato • meditere sta per
tam regium, tam liberale, tam vengano trasformati dal discorso mediteris,
munificum, quam opem ferre di uno solo? Inoltre, cosa [vi è] congiuntivo
supplicibus, excitare adflictos, di tanto regale, di tanto nobile, presente di meditor;
dare salutem, liberare di tanto generoso, quanto • hoc... in eo: i due
periculis, retinere homines in prestare aiuto ai supplici, pronomi hanno
civitate? Quid autem tam risollevare gli afflitti, salvare valore “riassuntivo”
necessarium, quam tenere delle vite, affrancare dai pericoli, rispetto al periodo
semper arma, quibus vel trattenere gli uomini all’interno precedente;
tectus ipse esse possis vel della comunità [cioè: evitare che • quo uno («nella sola
provocare integer vel te siano esiliati]? Oppure, cosa [c’è] cosa in cui») è
ulcisci lacessitus? Age vero, di tanto indispensabile quanto prolettico rispetto al
ne semper forum, subsellia, disporre in ogni situazione di successivo in hoc;
rostra curiamque meditere, armi, con cui o si può essere
quid esse potest in otio aut protetti, o sfidare [gli altri]
iucundius aut magis incolumi, o vendicarsi dopo
proprium humanitatis, quam essere stati provocati? Suvvia,
sermo facetus ac in nulla re non pensiamo [lett. «non
rudis? Hoc enim uno pensare»] sempre al foro, ai
praestamus vel maxime feris, tribunali, ai rostri e alla curia,
quod conloquimur inter nos che cosa vi può essere nel tempo
et quod exprimere dicendo libero di più piacevole o di più
sensa possumus. Quam ob appropriato per una persona
rem quis hoc non iure miretur colta, di una conversazione
summeque in eo raffinata e per nulla rozza?
elaborandum esse arbitretur, Infatti noi siamo superiori alle
ut, quo uno homines maxime bestie in modo particolare in
bestiis praestent, in hoc quest’unica cosa, (cioè) che
hominibus ipsis antecellat? Ut parliamo tra di noi, e che siamo
vero iam ad illa summa capaci di esprimere con la parola
veniamus, quae vis alia potuit ciò che pensiamo. Per questo
aut dispersos homines unum motivo, chi non si
in locum congregare aut a meraviglierebbe giustamente e
fera agrestique vita ad hunc non riterrebbe che bisogna
humanum cultum civilemque impegnarsi al massimo in
iura describere? quest’arte, per essere superiori
Ac ne plura, quae sunt paene agli uomini stessi nella sola cosa
innumerabilia, consecter, in cui soprattutto gli uomini
comprehendam brevi: sic sono superiori alle bestie? Per
enim statuo, perfecti oratoris venire ormai alle cose più
moderatione et sapientia non importanti, quale altra forza
solum ipsius dignitatem, sed avrebbe potuto o radunare gli
et privatorum plurimorum et uomini dispersi in un unico
universae rei publicae luogo o condurli da una vita
salutem maxime contineri. selvaggia e agreste a questa
Quam ob rem pergite, ut condizione di civiltà o istituire
facitis, adulescentes, atque in leggi, tribunali e diritti dopo che
id studium, in quo estis, le comunità civili erano già state
incumbite, ut et vobis honori stabilite?
et amicis utilitati et rei E per non dilungarmi su più
publicae emolumento esse cose, che sono quasi infinite, ne
possitis. tratterò in poco tempo: dichiaro
infatti questo, che nella
moderazione e nella saggezza
del perfetto oratore è contenuta
non solo la sua dignità, ma
anche soprattutto la salvezza di
parecchi privati cittadini e
dell’intero Stato. Per questo
motivo, o giovani, perseverate,
come fate, e applicatevi nel
vostro studio, nel quale siete,
affinché possiate essere di onore
a voi stessi, di utilità agli amici e
di profitto allo Stato.

6) La sfrontata impudenza di Catilina (T4, p. 279)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Quo usque tandem abutere, Fino a quando insomma, • abutere è forma
Catilina, patientia nostra? Catilina, abuserai della nostra alternativa di abuteris,
quamdiu etiam furor iste tuus pazienza? Per quanto tempo seconda persona
nos eludet? Quem ad finem ancora codesta tua smania si dell’indicativo futuro
sese effrenata iactabit prenderà gioco di noi? A che del deponente abutor;
audacia? Nihilne te limite si spingerà una • habendi senatus è un
nocturnum praesidium Palati, impudenza senza freni? Non genitivo del gerundivo
nihil urbis vigiliae, nihil timor ti hanno turbato per nulla il con valore finale;
populi, nihil concursus presidio notturno sul Palatino • proximus (che qui
bonorum omnium, nihil hic [lett. «del Palatino»], i turni di compare come proxima,
munitissimus habendi guardia in città [lett. «della par. 1: Quid proxima,
senatus locus, nihil horum città»], la preoccupazione del quid superiore nocte
ora voltusque moverunt? popolo, l’accorrere di tutti i egeris...) indica la
Patere tua consilia non sentis? cittadini perbene, questo vicinanza nello spazio
constrictam iam horum posto sorvegliatissimo per e nel tempo; in senso
omnium scientia teneri convocare il senato, i volti e le temporale può riferirsi
coniurationem tuam non espressioni di costoro? Non sia al passato (come
vides? Quid proxima, quid capisci che il tuo piano è accade qui) sia al
superiore nocte egeris, ubi svelato [lett. «è manifesto»]? futuro;
fueris, quos convocaveris, Non vedi che la tua congiura • nel sintagma superiore
quid consili ceperis quem è ormai tenuta a freno dal nocte l’aggettivo
nostrum ignorare arbitraris? fatto che tutti costoro ne sono superior indica ciò che
O tempora, o mores! Senatus a conoscenza [lett. «dalla viene prima, in questo
haec intellegit, consul videt; conoscenza di tutti costoro»]? caso rispetto a
hic tamen vivit. Vivit? Immo Chi di noi credi che ignori che proxima… nocte)
vero etiam in senatum venit, cosa hai fatto la notte scorsa, • consili, all’interno del
fit publici consili particeps, quella prima, dove sei stato, sintagma quid consili
notat et designat oculis ad chi hai convocato, che ceperis, è un genitivo
caedem unum quemque decisioni hai preso? partitivo dipendente
nostrum. Nos autem fortes Che tempi, che costumi! Il dal neutro quid;
viri satis facere rei publicae senato capisce questo, il • rei publicae, nella frase
videmur, si istius furorem ac console lo vede; questi Nos autem, fortes viri,
tela vitamus. Ad mortem te, tuttavia è vivo. È vivo? Anzi, satis facere rei publicae
Catilina, duci iussu consulis viene anche in senato, si videmur, è un dativo di
iam pridem oportebat, in te rende partecipe delle vantaggio retto da satis
conferri pestem quam tu in decisioni pubbliche [lett. facere;
nos omnis iam diu singolare], indica e segnala • il verbo studeo (novis
machinaris. An vero vir ciascuno di noi in vista della rebus studentem) è qui
amplissimus, P. Scipio, strage. Ma noi, uomini costruito con il dativo;
pontifex maximus, Ti. coraggiosi, sembriamo fare • ne quid res publica
Gracchum mediocriter abbastanza per lo Stato se detrimenti caperet
labefactantem statum rei evitiamo la furia e le armi di ricalca la formula
publicae privatus interfecit; costui. Tu, Catilina, bisognava tipica del senatus
Catilinam orbem terrae caede già da tempo che fossi consultum ultimum;
atque incendiis vastare condannato a morte [lett. «che • convenit è un falso
cupientem nos consules fossi condotto a morte»] per condizionale: in latino
perferemus? Nam illa nimis ordine del console, compare all’indicativo,
antiqua praetereo, quod C. [bisognava già da tempo] far con una sfumatura che
Servilius Ahala Sp. Maelium cadere su di te la rovina che in italiano è resa dal
novis rebus studentem manu tu trami già da tempo contro condizionale;
sua occidit. Fuit, fuit ista tutti noi. O forse [vero è un • inertia nequitiaeque sono
quondam in hac re publica rafforzativo: letteralmente si genitivi di colpa;
virtus ut viri fortes acrioribus potrebbe rendere An vero con • il quartultimo periodo
suppliciis civem perniciosum «O forse, dunque»] un uomo va ordinato come
quam acerbissimum hostem importantissimo, Publio segue: Si te, Catilina,
coercerent. Habemus senatus Scipione, pontefice massimo, comprendi, si interfici
consultum in te, Catilina, uccise in qualità di privato iussero, erit verendum
vehemens et grave, non deest cittadino Tiberio Gracco, che mihi – credo – ne non
rei publicae consilium neque rappresentava un debole omnes boni (dicant) hoc a
auctoritas huius ordinis: nos, pericolo per la stabilità dello me (factum esse) serius,
nos, dico aperte, consules Stato [lett. «che faceva potius quam quisquam
desumus. mediocremente vacillare la dicat (hoc a me) factum
Decrevit quondam senatus uti stabilità dello Stato»], [e] noi esse crudelius;
L. Opimius consul videret ne consoli sopporteremo • interficiere è forma
quid res publica detrimenti Catilina, che desidera mettere alternativa di
caperet: nox nulla intercessit. a ferro e fuoco la terra [lett. interficieris.
Interfectus est propter «devastare con la strage e con
quasdam seditionum incendi»]? Infatti tralascio
suspiciones C. Gracchus, quegli esempi troppo antichi,
clarissimo patre, avo, cioè che Gaio Servilio Ahala
maioribus; occisus est cum uccise con le proprie mani
liberis M. Fulvius consularis. Spurio Melio, che ordiva una
Simili senatus consulto C. rivoluzione. Ci fu, ci fu un
Mario et L. Valerio consulibus tempo in questo Stato una
est permissa res publica. Numtale virtù che uomini
unum diem postea L. coraggiosi castigavano un
Saturninum tribunum plebis cittadino pericoloso con pene
et C. Servilium praetorem più severe rispetto al peggiore
mors ac rei publicae poena dei nemici. Abbiamo un
remorata est? At vero nos senatoconsulto contro di te,
vicesimum iam diem patimur Catilina, forte e severo; non
hebescere aciem horum manca allo Stato la saggezza
auctoritatis. Habemus enim né il prestigio di quest’ordine
eius modi senatus consultum, [il ceto senatorio];
verum inclusum in tabulis, manchiamo, lo dico
tamquam in vagina apertamente, noi, noi consoli.
reconditum, quo ex senatus Un tempo il senato decretò
consulto confestim te che il console Lucio Opimio
interfectum esse, Catilina, provvedesse a che lo Stato
convenit. Vivis, et vivis non non patisse alcun danno: non
ad deponendam, sed ad trascorse [neanche] una notte
confirmandam audaciam. [cioè: il provvedimento fu
Cupio, patres conscripti, me subito eseguito]. Fu ucciso,
esse clementem, cupio in per un qualche sospetto di
tantis rei publicae periculis insurrezione, Gaio Gracco,
non dissolutum videri, sed [uomo] dagli illustrissimi
iam me ipse inertiae padre, nonno e antenati;
nequitiaeque condemno. venne ucciso insieme ai figli
Castra sunt in Italia contra l’ex console Marco Fulvio.
populum Romanum in Con un simile senatoconsulto
Etruriae faucibus conlocata. lo Stato fu affidato ai consoli
Crescit in dies singulos Gaio Mario e Lucio Valerio.
hostium numerus; eorum Forse che Lucio Saturnino,
autem castrorum tribuno della plebe, e Gaio
imperatorem ducemque Servilio, pretore, hanno
hostium intra moenia atque aspettato un solo giorno la
adeo in senatu videmus morte e la punizione dello
intestinam aliquam cotidie Stato [lett. «Forse che la morte
perniciem rei publicae e la punizione dello Stato
molientem. Si te iam, Catilina, fecero attendere un solo
comprendi, si interfici iussero, giorno Lucio Saturnino,
credo, erit verendum mihi ne tribuno della plebe, e Gaio
non hoc potius omnes boni Servilio, pretore?»]? Invece
serius a me quam quisquam [lett. «Invece davvero»] noi
crudelius factum esse dicat. già sopportiamo che
Verum ego hoc quod iam s’indebolisca l’autorità di
pridem factum esse oportuit costoro. Abbiamo infatti un
certa de causa nondum senatoconsulto siffatto, ma
adducor ut faciam. Tum chiuso nei registri, come [una
denique interficiere, cum iam spada] riposta nel fodero; in
nemo tam improbus, tam base a questo provvedimento
perditus, tam tui similis [lett. «senatoconsulto»]
inveniri poterit qui id non sarebbe stato giusto, Catilina,
iure factum esse fateatur. che tu venissi ucciso subito.
Quam diu quisquam erit qui [Invece] vivi, e vivi non per
te defendere audeat, vives, et deporre la tua impudenza,
vives ita ut nunc vivis, multis ma per rafforzarla. Senatori,
meis et firmis praesidiis desidero essere clemente:
obsessus ne commovere te desidero non sembrare
contra rem publicam possis. indolente in una circostanza
Multorum te etiam oculi et tanto grave per lo Stato, ma io
aures non sentientem, sicut stesso mi accuso ormai di
adhuc fecerunt, inerzia e di incapacità. È stato
speculabuntur atque posto un accampamento
custodient. contro il popolo romano, in
Italia, nelle gole dell’Etruria;
il numero dei nemici aumenta
ogni giorno; tuttavia, il
comandante di
quell’accampamento, e capo
dei nemici, noi lo vediamo
dentro le mura [della città di
Roma] e soprattutto in senato,
mentre quotidianamente
trama qualche rovina interna
contro lo Stato. Se ormai,
Catilina, se ordinerò che tu sia
ucciso, che tu sia catturato,
dovrò temere [lett. «dovrà
essere temuto da parte mia»],
credo, che tutti i cittadini
perbene non dicano che
questo è stato fatto da parte
mia troppo tardivamente,
piuttosto che qualcuno dica
che è stato fatto in modo
troppo crudele. Tuttavia io
non sono ancora indotto a
fare ciò che già da tempo
sarebbe stato necessario che
venisse fatto, per una ragione
precisa. Sarai finalmente
ucciso [allora] quando ormai
non si sarà potuto trovare
[lett. «non avrà potuto essere
trovato»] nessuno così
malvagio, così depravato, così
simile a te, da non riconoscere
che ciò è stato fatto a norma
di legge. Fintanto che ci sarà
qualcuno che osi difenderti,
tu vivrai così come vivi [ora],
assediato dalle mie numerose
e salde guarnigioni, in modo
che tu non ti agiti contro lo
Stato. Inoltre, gli occhi e le
orecchie di molti, come hanno
fatto finora, ti osserveranno e
ti sorveglieranno, anche se
non te ne accorgi.

Figure retoriche

• l’anafora enfatizzante di nihil, che compare ben sei volte (Nihilne... nihil... nihil...
nihil... nihil... nihil...);
• l’anadiplosi (o epanastrofe) in hic tamen vivit. Vivit? (l’anadiplosi è una figura
retorica consistente nella ripetizione dell’ultima parola di una frase – o di un verso –
all’inizio della frase – o del verso – successiva);
• la preterizione Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium,
novis rebus studentem, manu sua occidit;
• le due geminationes in Fuit, fuit... e in nos, nos... (la geminatio è una figura retorica che
consiste nella ripetizione immediata di una parola o di un gruppo di parole).

7) La peroratio della prima Catilinaria, un capolavoro di retorica (T6, p. 286)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Quare secedant improbi, Dunque i malvagi si • Quare qui ha valore
secernant se a bonis, unum in allontanino, si separino dagli conclusivo;
locum congregentur, muro onesti, si radunino in un • il compito del pretore
denique, quod saepe iam dixi, unico luogo; alla fine, cosa urbano era la
secernantur a nobis; desinant che ho già detto di frequente, risoluzione delle cause
insidiari domi suae consuli, un muro li separi da noi [lett. private tra cittadini, ed
circumstare tribunal praetoris costruzione passiva]; la era quindi lui a
urbani, obsidere cum gladiis smettano di attentare alla vita condurre i processi per
curiam, malleolos et faces ad del console in casa sua, di debiti: per questo i
inflammandam urbem minacciare la tribuna del catilinari lo minacciano
comparare; sit denique pretore urbano, di assediare [(desinant) circumstare
inscriptum in fronte unius la curia con le armi, di tribunal praetoris
cuiusque quid de re publica preparare proiettili incendiari urbani];
sentiat. Polliceor hoc vobis, e torce per incendiare la città; • proficiscere è un
patres conscripti, tantam in sia alla fine scritto sulla fronte imperativo deponente
nobis consulibus fore di ciascuno che cosa pensa («parti»);
diligentiam, tantam in vobis dello Stato. Senatori, vi • l’uso dei due futuri
auctoritatem, tantam in prometto questo, che ci sarà arcebis e mactabis per
equitibus Romanis virtutem, una scrupolosità tanto grande esprimere una
tantam in omnibus bonis in noi consoli, preghiera-esortazione
consensionem ut Catilinae un’autorevolezza tanto è giustificato dal fatto
profectione omnia patefacta, grande in voi, un valore tanto che questo tempo,
inlustrata, oppressa, vindicata grande nei cavalieri romani, sviluppatosi piuttosto
esse videatis. Hisce ominibus, un consenso tanto grande in tardi all’interno del
Catilina, cum summa rei tutti i cittadini onesti, che con sistema verbale latino,
publicae salute, cum tua peste la partenza di Catilina voi deriva dal congiuntivo
ac pernicie cumque eorum vedrete ogni cosa rivelata, e conserva a volte una
exitio qui se tecum omni messa in luce, domata, sfumatura eventuale-
scelere parricidioque punita. Con questi presagi volitiva.
iunxerunt, proficiscere ad [qui], con la massima salvezza
impium bellum ac nefarium. dello Stato, con la tua
Tu, Iuppiter, qui isdem distruzione e rovina, e con la
quibus haec urbs auspiciis a disfatta di costoro, che si sono
Romulo es constitutus, quem uniti a te in ogni delitto e in
Statorem huius urbis atque ogni tradimento, parti per
imperi vere nominamus, hunc una guerra empia e scellerata.
et huius socios a tuis Tu, Giove, [il cui culto] venne
ceterisque templis, a tectis istituito da Romolo con i
urbis ac moenibus, a vita medesimi auspici con i quali è
fortunisque civium omnium stata fondata la città, che noi
arcebis et homines bonorum giustamente designiamo
inimicos, hostis patriae, Statore di questa città e di
latrones Italiae scelerum questo dominio, tieni lontano
foedere inter se ac nefaria costui [lett. «questo»] e i suoi
societate coniunctos aeternis alleati da tutti gli altri tuoi
suppliciis vivos mortuosque templi, dalle case e dalle
mactabis. mura della città, dalla vita e
dalle sostanze di tutti i
cittadini, e tutti gli uomini
avversari degli onesti, nemici
della patria, predoni d’Italia,
uniti tra loro da un patto di
scelleratezze e da un’empia
alleanza, puniscili con
castighi eterni da vivi e da
morti.

8) Il consensus omnium bonorum (T14, p. 313)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


[…] Huius autem otiosae […] Di questa dignità serena In seguito al fallimento del
dignitatis haec fundamenta queste sono le fondamenta, suo originario progetto di
sunt, haec membra, quae questi i principi costitutivi, concordia ordinum (tra i due
tuenda principibus et vel che vanno protetti e difesi ceti benestanti, quello
capitis periculo defendenda dalle persone autorevoli senatorio e quello equestre),
sunt: religiones, auspicia, anche a rischio della vita: i riti Cicerone definisce nella Pro
potestates magistratuum, religiosi, gli auspici, le cariche Sestio (98) una nuova
senatus auctoritas, leges, mos dei magistrati, l’autorità del prospettiva etico-politica,
maiorum, iudicia, iuris dictio, senato, le leggi, la tradizione, quella del consensus omnium
fides, provinciae, socii, imperi i processi, l’amministrazione bonorum: ci si propone di
laus, res militaris, aerarium. della giustizia, la fedeltà agli allargare la compagine di
impegni, le province, gli governo fino a includere gli
alleati, la gloria dell’impero, abitanti delle campagne e dei
l’esercito, le finanze municipi, gli uomini d’affari,
pubbliche. e persino i figli dei liberti, in
base a una nuova linea
divisoria che non è più socio-
politica ma, almeno in teoria,
etica; infatti «sono ottimati
tutti coloro che non fanno del
male, che non sono per natura
disonesti o squilibrati, né
impacciati da domestiche
difficoltà» (omnes optumates
sunt qui neque nocentes sunt,
nec natura improbi atque furiosi,
nec malis domesticis inpediti), e
perciò la «razza degli
ottimati» (natio optimatium)
cui alludeva, nella sua
domanda, l’accusatore M.
Tullio Albinovano è composta
da tutti i cittadini benestanti
che condividono una serie di
valori morali («uomini
integri, moralmente sani, di
benestante famiglia»: qui et
integri sunt et sani et bene de
rebus domesticis constituti) tesi
al raggiungimento di un
unico fine: «una vita
tranquilla e dignitosa» (cum
dignitate otium).

9) Origine e forme dello stato (T15, p. 316)

TESTO LATINO TRADUZIONE


«Est igitur», inquit Africanus, «res publica «Dunque», disse l’Africano, «la repubblica è
res populi, populus autem non omnis la cosa del popolo, ma il popolo non è ogni
hominum coetus quoquo congregatus, sed raggruppamento di uomini associato in
coetus multitudinis iuris consensu et qualunque modo, ma un’associazione
utilitatis communione sociatus. Eius autem riunitasi per accordo sulle leggi e per
prima causa coeundi est non tam imbecillitas comune interesse. La causa principale di
quam naturalis quaedam hominum quasi questo associarsi, poi, non è tanto la
congregatio; non est enim singulare nec debolezza quanto una certa naturale
solivagum genus hoc, sed ita generatum ut inclinazione, per così dire, degli uomini a
ne in omnium quidem rerum affluentia [...] vivere insieme; infatti la razza umana non è
quaedam quasi semina, neque reliquarum fatta per essere isolata né solitaria, ma
virtutum nec ipsius rei publicae reperiatur generata in modo tale che neppure
ulla institutio. Hi coetus igitur hac de qua nell’abbondanza di risorse […] certi, per così
exposui causa instituti, sedem primum certo dire, germi naturali, e non si potrebbe
loco domiciliorum causa constituerunt; trovare nessun patto istitutivo delle altre
quam cum locis manuque saepsissent, eius virtù né dello Stato stesso. Dunque questi
modi coniunctionem tectorum oppidum uel raggruppamenti, istituiti per questa causa
urbem appellaverunt, delubris distinctam della quale ho parlato, dapprima stabilirono
spatiisque communibus. Omnis ergo la loro sede in un luogo determinato per il
populus, qui est talis coetus multitudinis comune domicilio; dopo averla fortificata
qualem exposui, omnis civitas, quae est con le difese del luogo e con le opere umane,
constitutio populi, omnis res publica, quae ut chiamarono un agglomerato di edifici siffatto
dixi populi res est, consilio quodam regenda borgo oppure città, inframmezzato da templi
est, ut diuturna sit. Id autem consilium e da spazi pubblici. Quindi ogni popolo, che
primum semper ad eam causam referendum è un raggruppamento del genere che ho
est, quae causa genuit civitatem. Deinde aut descritto, ogni comunità di cittadini, che è
uni tribuendum est, aut delectis quibusdam, popolo dotato di costituzione, ogni
aut suscipiendum est multitudini atque repubblica, che come ho detto è la cosa del
omnibus. Quare cum penes unum est popolo, deve essere retta da una certa
omnium summa rerum, regem illum unum assemblea deliberante affinché sia duratura.
vocamus, et regnum eius rei publicae statum. E questa assemblea per prima cosa deve
Cum autem est penes delectos, tum illa sempre essere ricondotta a quella causa che
civitas optimatium arbitrio regi dicitur. Illa ha dato origine alla comunità politica.
autem est civitas popularis – sic enim Poi, [questa autorità] deve essere attribuita a
appellant –, in qua in populo sunt omnia. uno solo, oppure a uomini scelti, oppure
Atque horum trium generum quodvis, si dev’essere assunta dall’intera popolazione.
teneat illud vinculum quod primum homines Quando il potere assoluto è nelle mani di
inter se rei publicae societate devinxit, non uno solo, chiamiamo re quell’unico uomo, e
perfectum illud quidem neque mea sententia regno la forma di questa costituzione.
optimum, sed tolerabile tamen, et aliud ut Quando invece [il potere] è nelle mani di
alio possit esse praestantius. Nam vel rex alcuni prescelti, allora si dice che quella
aequus ac sapiens, vel delecti ac principes comunità politica è retta dal volere degli
cives, vel ipse populus, quamquam id est ottimati. Invece la democrazia – così infatti la
minime probandum, tamen nullius chiamano – è quella in cui tutto il potere
interiectis iniquitatibus aut cupiditatibus appartiene al popolo. E qualsivoglia di questi
posse videtur aliquo esse non incerto statu. tre generi di costituzione, purché conservi
Sed et in regnis nimis expertes sunt ceteri quel vincolo che in origine legò gli uomini
communis iuris et consilii, et in optimatium tra loro nella società politica, non è
dominatu vix particeps libertatis potest esse certamente perfetto né a parer mio il
multitudo, cum omni consilio communi ac migliore, ma tuttavia tollerabile, e tale che
potestate careat, et cum omnia per populum uno possa essere superiore per un aspetto,
geruntur quamvis iustum atque moderatum, un altro per un altro. Infatti o un re giusto e
tamen ipsa aequabilitas est iniqua, cum saggio, o i cittadini scelti e più in vista,
habet nullos gradus dignitatis. Itaque si oppure lo stesso popolo, sebbene possa
Cyrus ille Perses iustissimus fuit essere difficilmente approvato, tuttavia se
sapientissimusque rex, tamen mihi populi non intervengono iniquità e cupidigia
res – ea enim est, ut dixi antea, publica – non sembra poter esistere in una condizione
maxime expetenda fuisse illa videtur, cum stabile.
regerentur unius nutu atque modo; si Ma nei regni tutti gli altri cittadini sono
Massilienses, nostri clientes, per delectos et troppo esclusi dal diritto comune e
principes cives summa iustitia regentur, inest dall’autorità deliberativa, in uno Stato
tamen in ea condicione populi similitudo dominato dagli ottimati la moltitudine a
quaedam servitutis; si Athenienses malapena può godere della libertà, dal
quibusdam temporibus sublato Areopago momento che è esclusa da ogni assemblea
nihil nisi populi scitis ac decretis agebant, pubblica e dal potere, e quando tutto il
quoniam distinctos dignitatis gradus non potere è nelle mani del popolo, anche se
habebant, non tenebat ornatum suum civitas. giusto e moderato, tuttavia l’eguaglianza è in
Atque hoc loquor de tribus his generibus se stessa ingiusta, perché non prevede alcuna
rerum publicarum non turbatis atque classificazione di merito. Quindi se quel
permixtis, sed suum statum tenentibus. Quae celebre Ciro di Persia fu un re giustissimo e
genera primum sunt in iis singula vitiis quae molto saggio, tuttavia la cosa del popolo –
ante dixi, deinde habent perniciosa alia vitia; che infatti è, come ho detto prima, la
nullum est enim genus illarum rerum repubblica – non mi sembra sia stata la più
publicarum, quod non habeat iter ad desiderabile, poiché era governata dalla
finitimum quoddam malum praeceps ac volontà e dalle regole di un solo uomo; se i
lubricum. Nam illi regi, ut eum potissimum Marsigliesi, nostri clienti, sono retti con
nominem, tolerabili aut si voltis etiam somma giustizia da cittadini scelti e più
amabili Cyro subest ad inmutandi animi importanti, tuttavia in questa condizione del
licentiam crudelissimus ille Phalaris, cuius in popolo vi è una certa somiglianza con la
similitudinem dominatus unius proclivi schiavitù; se gli Ateniesi, in certi tempi, tolto
cursu et facile delabitur. Illi autem di mezzo l’Areopago, non facevano nulla se
Massiliensium paucorum et principum non per mezzo di decreti e decisioni del
administrationi civitatis finitimus est qui fuit popolo, siccome non avevano una
quodam tempore apud Athenienses triginta classificazione in base al merito, la [loro]
virorum illorum consensus et factio. Iam comunità non conservava il suo splendore. E
Atheniensium populi potestatem omnium dico questo riguardo queste tre forme di
rerum ipsi, ne alios requiramus, ad furorem costituzioni non stravolte e confuse, ma
multitudinis licentiamque conversam finché mantengono il proprio assetto. Queste
pesti<lentem rei publicae habuerunt> [...] forme, prima di tutto, sono soggette, una per
Taeterrimus, et ex hac vel optimatium vel una, a quei difetti di cui ho parlato prima, ma
factiosa tyrannica illa vel regia vel etiam ne hanno altri gravi: non c’è nessuna di
persaepe popularis, itemque ex ea genus quelle costituzioni che non tenda a scivolare
aliquod ecflorescere ex illis quae ante dixi verso qualche male vicino. Infatti a quel re
solet, mirique sunt orbes et quasi circuitus in tollerabile e se volete anche amabile, per fare
rebus publicis commutationum et il particolare il suo nome, Ciro, subentra per
vicissitudinum; quos cum cognosse sapientis la facoltà [di un re] di mutare animo quel
est, tum vero prospicere inpendentis, in famigerato Falaride, crudelissimo, a
gubernanda re publica moderantem cursum somiglianza del quale la dominazione di uno
atque in sua potestate retinentem, magni solo scivola facilmente lungo una strada in
cuiusdam civis et divini paene est viri. Itaque discesa. Al governo, poi, dei pochi e insigni
quartum quoddam genus rei publicae Marsigliesi è molto vicino l’accordo fazioso
maxime probandum esse sentio, quod est ex di quei trenta uomini che ci fu una volta ad
his quae prima dixi moderatum et Atene. Infine, [gli Ateniesi] stessi, per non
permixtum tribus». cercare altri [popoli], <ritennero> che il
potere assoluto del loro popolo,
trasformatosi nel furore e nella sfrenatezza
del volgo, [fosse] <rovinoso per lo Stato> [...]
[il potere assoluto del popolo] è
sommamente odioso, e da questa
[condizione] è solita sorgere o l’aristocrazia,
o quella oligarchia tirannica o la monarchia o
anche molto spesso la democrazia, e allo
stesso modo da questa condizione [è solita
sorgere] una delle forme di cui ho parlato
prima, e vi sono straordinari cerchi e, per
così dire, andamenti ciclici dei mutamenti e
delle alternanze nelle costituzioni; come
conoscerli è compito del sapiente, invece
scorgerli quando sono imminenti,
regolandone il corso nel governo dello Stato
e mantenendoli in proprio potere è proprio
di un grande cittadino e di un uomo quasi
divino. Perciò penso che sia massimente da
approvare, per così dire, una quarta forma, la
quale è composta e mescolata a partire da
queste tre che ho detto essere le principali.»

10) Il premio per i buoni cittadini: la vita dopo la morte (T16, p. 322)

TESTO LATINO TRADUZIONE


«Sed quo sis, Africane, alacrior ad «Ma per essere più risoluto nel difendere lo
tutandam rem publicam, sic habeto: Stato, Africano, abbi per certo questo: (che)
omnibus qui patriam conservaverint, per tutti coloro che hanno mantenuto,
aiutato, incrementato la patria, è riservato un
adiuverint, auxerint, certum esse in caelo
posto determinato in cielo, dove, beati,
definitum locum, ubi beati aevo
possano godere dell’eternità; infatti a quel
sempiterno fruantur; nihil est enim illi dio supremo, che regge l’intero universo,
principi deo, qui omnem mundum regit, nulla è più gradito – perlomeno di ciò che
quod quidem in terris fiat acceptius, quam accade in terra – delle assemblee e delle
concilia coetusque hominum iure sociati, aggregazioni degli uomini associate dal
quae civitates appellantur; harum rectores diritto, che si chiamano Stati; coloro che li
governano e li mantengono, partiti da qui,
et conservatores hinc profecti huc
ritornano qui». A questo punto io, sebbene
revertuntur.» Hic ego etsi eram perterritus fossi stato spaventato dal timore non tanto
non tam mortis metu quam insidiarum a della morte quanto delle insidie da parte dei
meis, quaesivi tamen viveretne ipse et miei, tuttavia (gli) chiesi se fosse vivo e se lo
Paulus pater et alii quos nos extinctos esse fossero (mio) padre Paolo e gli altri che noi
arbitraremur. «Immo vero», inquit, «hi ritenevamo defunti. «Proprio così», rispose,
vivunt qui e corporum vinclis tamquam e «sono vivi costoro, che sono volati via dai
vincoli del corpo come da una prigione,
carcere evolaverunt, vestra vero quae
mentre la vostra cosiddetta vita in verità è
dicitur vita mors est. Quin tu aspicis ad te
morte. Perché non guardi tuo padre Paolo
venientem Paulum patrem?». Quem ut che viene verso di te?». Non appena lo vidi,
vidi, equidem uim lacrimarum profudi, scoppiai certamente in un gran pianto, ma
ille autem me complexus atque osculans egli, abbracciandomi e baciandomi, mi
flere prohibebat. diceva di non piangere.
E io, non appena fui in grado di parlare una
Atque ego ut primum fletu represso loqui volta trattenute le lacrime, dissi: «Per favore,
posse coepi, «Quaeso», inquam, «pater padre venerabilissimo e ottimo, dal momento
sanctissime atque optume, quoniam haec che questa è la vita, come sento dire
est vita ut Africanum audio dicere, quid l’Africano, perché indugio sulla terra? Perché
moror in terris? Quin huc ad vos venire non mi affretto a venire da voi?». «No
davvero», rispose egli. «Se infatti non c’è un
propero?». «Non est ita», inquit ille. «Nisi
dio, al quale appartiene tutto questo spazio
enim cum deus is, cuius hoc templum est che vedi, a liberarti dai vincoli del corpo, non
omne quod conspicis, istis te corporis ti può essere aperto l’ingresso al cielo [lett. «a
custodiis liberaverit, huc tibi aditus patere qui»]. Gli uomini sono infatti generati in base
non potest. Homines enim sunt hac lege a questa legge, affinché si prendessero cura
generati, qui tuerentur illum globum, di quella sfera, che vedi al centro di questa
porzione di cielo, chiamata terra, e a loro è
quem in hoc templo medium vides, quae
stata data l’anima da quei fuochi eterni che
terra dicitur, iisque animus datus est ex
chiamate costellazioni e stelle, che, sferiche e
illis sempiternis ignibus, quae sidera et circolari, animate da intelligenze divine,
stellas vocatis, quae globosae et rotundae, percorrono le proprie orbite circolari con
divinis animatae mentibus, circos suos straordinaria velocità. Perciò tu, Publio, e
orbesque conficiunt celeritate mirabili. tutti gli uomini pii dovete mantenere l’anima
Quare et tibi, Publi, et piis omnibus nella prigione del corpo, né abbandonare la
vita degli uomini senza l’ordine di colui dal
retinendus animus est in custodia
quale essa vi è stata data, perché non sembri
corporis, nec iniussu eius a quo ille est
che abbiate tradito il compito umano
vobis datus, ex hominum vita migrandum assegnato dal dio. Così come, Scipione, il tuo
est, ne munus humanum adsignatum a antenato, come me, che ti ho generato,
deo defugisse videamini. Sed sic, Scipio, coltiva la giustizia e la devozione, che se è
ut avus hic tuus, ut ego, qui te genui, grande nei confronti di genitori e parenti,
iustitiam cole et pietatem, quae cum allora è massima nei confronti della patria;
questa vita è la via per il cielo e per quel
magna in parentibus et propinquis, tum in
concilio di coloro che già sono vissuti e che,
patria maxima est; ea vita via est in
liberati dal corpo, abitano quel luogo che
caelum et in hunc coetum eorum, qui iam vedi – c’era infatti un cerchio luminoso di un
vixerunt et corpore laxati illum incolunt candore abbagliante tra i fuochi astrali –, che
locum, quem vides – erat autem is voi, come avete imparato dai Greci, chiamate
splendidissimo candore inter flammas Via Lattea». Da esso, a me che contemplavo
circus elucens –, quem vos, ut a Grais tutto, gli altri (corpi celesti) sembravano
splendidi e meravigliosi. Vi erano infatti
accepistis, orbem lacteum nuncupatis».
quelle stelle, che non abbiamo mai visto da
Ex quo omnia mihi contemplanti praeclara qui, e quelle grandezze di tutte, che non
cetera et mirabilia videbantur. Erant abbiamo mai immaginato ci fossero, fra le
autem eae stellae, quas numquam ex hoc quali vi era quella più piccola che, ultima del
cielo, più vicina alla terra, splendeva di luce
loco vidimus, et eae magnitudines
altrui. La sfera delle stelle, poi, superava
omnium, quas esse numquam suspicati
facilmente la grandezza della terra. Ormai la
sumus, ex quibus erat ea minima, quae stessa terra mi sembrò così piccola che mi
ultima a caelo, citima a terris luce lucebat dispiacque per il nostro dominio, con il quale
aliena. Stellarum autem globi terrae occupiamo, per così dire, un punto di essa.
magnitudinem facile vincebant. Iam vero
ipsa terra ita mihi parva visa est, ut me
imperii nostri, quo quasi punctum eius
attingimus, paeniteret.

11) L’amicitia dei boni (T19, p. 329)

TESTO LATINO TRADUZIONE


Sed hoc primum sentio, nisi in bonis Ma in primo luogo ritengo che l’amicizia non
amicitiam esse non posse; neque id ad vivum possa esistere se non tra uomini perbene; e
reseco, ut illi qui haec subtilius disserunt, non la intendo in modo così assoluto, come
fortasse vere, sed ad communem utilitatem quelli che discutono di queste cose in modo
parum; negant enim quemquam esse virum troppo sottile, forse in maniera veritiera, ma
bonum nisi sapientem. Sit ita sane; sed eam insufficiente ai fini dell’utilità comune; infatti
sapientiam interpretantur quam adhuc sostengono che nessuno può essere un uomo
mortalis nemo est consecutus, nos autem ea virtuoso se non il sapiente. Sia pure così; ma
quae sunt in usu vitaque communi, non ea (costoro) intendono per sapienza quella che
quae finguntur aut optantur, spectare nessun mortale ha finora conseguito, mentre
debemus. Numquam ego dicam C. noi dobbiamo guardare a ciò che è nella vita
Fabricium, M’. Curium, Ti. Coruncanium, comune, non a ciò che viene immaginato o
quos sapientes nostri maiores iudicabant, ad auspicato. Io non direi mai che Gaio Fabrizio,
istorum normam fuisse sapientes. Quare sibi Manio Curio e Tiberio Coruncanio, che i
habeant sapientiae nomen et invidiosum et nostri antenati hanno giudicato sapienti,
obscurum; concedant ut viri boni fuerint. Ne furono sapienti secondo il criterio di costoro.
id quidem facient, negabunt id nisi sapienti Perciò si tengano un concetto odioso e oscuro
posse concedi. di sapienza, (ma) concedano che (questi)
Agamus igitur pingui, ut aiunt, Minerva. Qui siano stati uomini perbene. Non faranno
ita se gerunt, ita vivunt ut eorum probetur nemmeno questo, diranno che questo non si
fides, integritas, aequitas, liberalitas, nec sit può concedere se non al sapiente.
in eis ulla cupiditas, libido, audacia, sintque Ragioniamo, come dicono, alla maniera della
magna constantia, ut ii fuerunt modo quos grassa Minerva. Coloro che si comportano in
nominavi, hos viros bonos, ut habiti sunt, sic modo tale, che vivono in modo tale che ne
etiam appellandos putemus, quia sequantur, sia dimostrata la lealtà, l’integrità, l’equità, la
quantum homines possunt, naturam liberalità, e che non vi sia in essi alcuna
optimam bene vivendi ducem. Sic enim mihi passione sfrenata, arbitrio, impudenza, e vi
perspicere videor, ita natos esse nos ut inter sia grande coerenza, come furono quelli che
omnes esset societas quaedam, maior autem ho prima citato: costoro riteniamo che, come
ut quisque proxime accederet. Itaque cives sono stati ritenuti uomini perbene, così
potiores quam peregrini, propinqui quam vadano anche chiamati, perché seguono la
alieni; cum his enim amicitiam natura ipsa natura come miglior guida per vivere bene,
peperit; sed ea non satis habet firmitatis. per quanto è possibile agli uomini. Così
Namque hoc praestat amicitia propinquitati, infatti mi sembra di scorgere, che noi siamo
quod ex propinquitate benevolentia tolli stati generati in modo tale che fra di noi ci sia
potest, ex amicitia non potest; sublata enim un qualche vincolo, tanto più grande quanto
benevolentia amicitiae nomen tollitur, più ciascuno si avvicina. Quindi i
propinquitatis manet. concittadini sono preferibili agli stranieri, i
Quanta autem vis amicitiae sit, ex hoc parenti agli estranei. Con essi, infatti, la
intellegi maxime potest, quod ex infinita natura stessa ha generato l’amicizia; ma essa
societate generis humani, quam conciliavit non ha abbastanza saldezza. Infatti in questo
ipsa natura, ita contracta res est et adducta in l’amicizia supera la parentela, che alla
angustum ut omnis caritas aut inter duos aut parentela si può sottrarre l’affetto,
inter paucos iungeretur. all’amicizia no: infatti, sottratto l’affetto, il
Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium nome dell’amicizia scompare, quello della
divinarum humanarumque rerum cum parentela rimane. Quanto grande sia poi la
benevolentia et caritate consensio, qua forza dell’amicizia, lo si può capire
quidem haud scio an excepta sapientia nihil soprattutto dal fatto che dall’infinita società
melius homini sit a dis immortalibus datum. del genere umano, che ha messo insieme la
Divitias alii praeponunt, bonam alii stessa natura, il vincolo è così definito e
valetudinem, alii potentiam, alii honores, ristretto, che tutto l’affetto si concentra tra
multi etiam voluptates. Beluarum hoc due o tra pochi. Infatti l’amicizia non è
quidem extremum, illa autem superiora nient’altro che la condivisione di tutte le cose
caduca et incerta, posita non tam in consiliis umane e divine con benevolenza e affetto,
nostris quam in fortunae temeritate. Qui della quale di certo non so se, eccettuata la
autem in virtute summum bonum ponunt, sapienza, sia stato dato qualcosa di meglio
praeclare illi quidem, sed haec ipsa virtus all’uomo dagli dei immortali. Alcuni [le]
amicitiam et gignit et continet nec sine antepongono le ricchezze, altri la buona
virtute amicitia esse ullo pacto potest. salute, altri il potere, altri gli onori, molti
ancora i piaceri. Quest’ultima è di certo cosa
da bestie, quelle precedenti invece sono
precarie e incerte, riposte non tanto nei nostri
progetti quanto nel capriccio della sorte.
Quelli che invece pongono il bene supremo
nella virtù, (dicono) benissimo, ma questa
stessa virtù sia genera sia mantiene
l’amicizia, e senza virtù non vi può essere in
nessun modo amicizia.

SALLUSTIO

1) Il proemio della Congiura di Catilina: la lode dell’ingenium (T1, p. 460)

TESTO LATINO TRADUZIONE NOTE


Omnis homines, qui sese È bene che tutti gli uomini, che • Si noti la
student praestare ceterisbant desiderano elevarsi al di sopra costruzione del
animalibus, summa ope niti degli altri animali, si sforzino verbo relativamente
decet, ne vitam silentio con massimo impegno a non impersonale decet,
transeant veluti pecora, quae trascorrere la vita in silenzio con accusativo
natura prona atque ventri come le bestie, che la natura ha (Omnis homines) e
oboedientia finxit. Sed nostra creato piegate verso la terra e infinito (niti);
omnis vis in animo et corpore schiave del ventre. Tutta la • studere qui regge
sita est: animi imperio, nostra forza è situata nell’animo una costruzione
corporis servitio magis e nel corpo: dell’animo ci arcaica con
utimur; alterum nobis cum serviamo della guida, del corpo l’accusativo e
dis, alterum cum beluis piuttosto della sottomissione; l’infinito;
commune est. Quo mihi noi abbiamo l’uno in comune • praestare si
rectius videtur ingeni quam con gli dei, l’altro con le bestie. costruisce con il
virium opibus gloriam Per questo, a me sembra più dativo della persona
quaerere et, quoniam vita giusto cercare la gloria con le o cosa sopra la quale
ipsa qua fruimur brevis est, facoltà dell’ingegno piuttosto ci si «eleva»;
memoriam nostri quam che con le forze fisiche e, • sed, come spesso in
maxume longam efficere. siccome la vita stessa della quale Sallustio, non ha qui
Nam divitiarum et formae godiamo è breve, rendere il valore oppositivo,
gloria fluxa atque fragilis est, ricordo di noi quanto più ma segna solo
virtus clara aeternaque duraturo possibile. Infatti la l’inizio del nuovo
habetur. Sed diu magnum gloria delle ricchezze e della periodo;
inter mortalis certamen fuit, bellezza esteriore è passeggera e • quo è nesso relativo
vine corporis an virtute animi caduca, mentre la virtù è equivalente a qua re
res militaris magis posseduta illustre ed eterna. («perciò, per la qual
procederet. Nam et prius Ora, c’è stata a lungo fra gli cosa»);
quam incipias consulto, et ubi uomini una grande contesa, se il • efficere è retto
consulueris mature facto opus successo delle imprese di guerra sempre da mihi
est. Ita utrumque per se dipendesse [lett. «se le imprese rectius videtur;
indigens alterum alterius militari progredissero»] più • nostri è genitivo
auxilio eget. dalle forze fisiche o dalla oggettivo (= il
Igitur initio reges – nam in capacità intellettuale. Infatti, da ricordo che gli altri
terris nomen imperi id una parte prima di iniziare hanno di noi);
primum fuit – divorsi pars [un’azione bellica] è necessario • maxume è forma
ingenium, alii corporis riflettere; dall’altra, dopo che si è arcaica per maxime;
exercebant: etiam tum vita riflettuto, c’è bisogno di agire • habetur non ha qui il
hominum sine cupiditate prontamente. Così entrambe le valore copulativo di
agitabatur; sua quoique satis qualità [fisiche e intellettuali], di «è ritenuta» ma
placebant. Postea vero quam per sé insufficienti, hanno quello letterale di «è
in Asia Cyrus, in Graecia bisogno l’una dell’aiuto posseduta», e regge
Lacedaemonii et Athenienses dell’altra. i predicativi clara e
coepere urbis atque nationes Perciò al principio i re – infatti fu aeterna;
subigere, lubidinem questa la prima denominazione • sed, come al par. 2,
dominandi causam belli del potere nel mondo – non ha valore
habere, maxumam gloriam in esercitavano in base alla propria oppositivo ma di
maxumo imperio putare, tum indole parte l’ingegno, altri le transizione; il -ne
demum periculo atque forze fisiche; ancora allora la vita enclitico di vine
negotiis conpertum est in degli uomini veniva trascorsa introduce una
bello plururum ingenium senza cupidigia; a ciascuno interrogativa
posse. Quod si regum atque bastava il suo [lett. «a ciascuno indiretta
imperatorum animi virtus in piacevano a sufficienza le cose disgiuntiva, retta da
pace ita ut in bello valeret, proprie»]. Dopo che, però, Ciro magnum... certamen
aequabilius atque constantius in Asia e gli spartani e gli fuit, che oppone la
sese res humanae haberent, ateniesi in Grecia cominciarono vis corporis alla
neque aliud alio ferri neque a sottomettere città e popoli, a virtus animi;
mutari ac misceri omnia ritenere la brama di dominio • incipias e consulueris
cerneres. Nam imperium motivo di guerra, a ritenere che sono seconde
facile iis artibus retinetur, la massima gloria [fosse] in un persone generiche
quibus initio partum est. dominio smisurato, allora con valore
Verum ubi pro labore desidia, finalmente si vide chiaramente, impersonale;
pro continentia et aequitate tramite il pericolo e le difficoltà • opus est qui è
lubido atque superbia [= tramite l’esperienza diretta costruito alla
invasere, fortuna simul cum delle difficoltà], che in guerra maniera arcaica con
moribus immutatur. Ita l’ingegno conta di più. Se poi il l’ablativo del
imperium semper ad vigore dell’animo dei re e dei participio perfetto
optumum quemque a minus comandanti valesse così in (consulto, facto)
bono transfertur. Quae tempo di pace come in guerra, le invece dell’infinito;
homines arant, navigant, vicende umane si svolgerebbero • egeo è costruito con
aedificant, virtuti omnia in modo più uniforme e l’ablativo (auxilio)
parent. Sed multi mortales, regolare, e non si vedrebbero invece che con il
dediti ventri atque somno, [lett. «non vedresti»] tanti genitivo;
indocti incultique vitam sicuti rivolgimenti [lett. «una cosa • divorsi è forma
peregrinantes transiere; venire portata in una direzione, arcaica di diversi;
quibus profecto contra un’altra in un’altra»] e [non si • pars... alii è una
naturam corpus voluptati, vedrebbe] tutto cambiare e variatio, in luogo di
anima oneri fuit. Eorum ego venire mischiato alla rinfusa. pars... pars oppure
vitam mortemque iuxta Infatti il potere si conserva alii... alii;
aestumo, quoniam de utraque facilmente con quei mezzi con i • quoique è forma
siletur. Verum enim vero is quali è stato ottenuto all’inizio. arcaica di cuique;
demum mihi vivere atque frui Ma quando al posto della fatica • postea... quam è tmesi
anima videtur, qui aliquo si è fatta strada l’indolenza, al per postquam;
negotio intentus praeclari posto della moderazione e • coepere è forma
facinoris aut artis bonae dell’equilibrio [si sono fatte arcaica di coeperunt,
famam quaerit. strada] la passione e la così come lo è
prepotenza [lett. «arroganza»], lubidinem di
la sorte si modifica insieme con i libidinem, maxumam
costumi. Ciò che gli uomini di maximam,
realizzano in tempo di pace maxumo di maximo, e
quando coltivano i campi, plurumum di
navigano e costruiscono, plurimum;
obbedisce tutto alla virtù. Ma • periculo atque negotiis
molti uomini, dediti al mangiare è una coppia di
e al dormire, ignoranti e incolti ablativi strumentali
trascorrono la vita come che dipendono da
viaggiatori; per costoro, di certo conpertum est, dal
contro natura, il corpo è fonte di significato di
piacere, l’anima di peso. Di «tramite la prova
questi io reputo allo stesso modo diretta dei fatti»
la vita e la morte, perché non si [lett. «tramite il
parla dell’una né dell’altra. Ma pericolo e le
veramente mi sembra che viva difficoltà»];
davvero e si serva dell’anima • Quod... cerneres è un
colui che, intento in qualche periodo ipotetico
occupazione, cerca la gloria di dell’irrealtà (protasi:
un’impresa illustre o di una si... valeret; apodosi:
nobile attività. haberent, neque...
cerneres);
• cerneres è un
congiuntivo
potenziale, alla
seconda persona
singolare generica,
da tradursi
impersonalmente;
• invasere è costruito
apò koinoû («in
comune»): viene
usato una sola volta
ma introduce due
frasi, le temporali
introdotte da ubi;
• transiere e fuit sono
perfetti gnomici e
possono essere
tradotti come
presenti;
• iuxta equivale a
pariter.

2) Catilina, l’eroe nero (T6, p. 476)

TESTO LATINO TRADUZIONE


L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi Lucio Catilina, nato da nobile famiglia, fu di
et animi et corporis, sed ingenio malo grande forza d’animo e fisica, ma di indole
pravoque. Huic ab adulescentia bella malvagia e corrotta. Fin dall’adolescenza gli
intestina, caedes, rapinae, discordia civilis furono graditi le guerre interne, i massacri, i
grata fuere, ibique iuventutem suam saccheggi e la discordia tra i cittadini, e in
exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, queste pratiche temprò la sua giovinezza. Il
vigiliae supra quam cuiquam credibile est. suo fisico tollerava il digiuno, il freddo e la
Animus audax, subdolus, varius, cuius rei veglia al di là di ogni immaginazione. Il suo
lubet simulator ac dissimulator, alieni animo era sfrontato, ingannatore e versatile,
adpetens sui profusus, ardens in simulatore e dissimulatore di qualunque
cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae stato d’animo, avido dei beni altrui e
parum. Vastus animus inmoderata, scialacquatore dei propri, acceso nelle
incredibilia, nimis alta semper cupiebat. passioni; aveva sufficiente eloquenza, ma
Hunc post dominationem L. Sullae lubido non abbastanza assennatezza. Il suo animo
maxuma invaserat rei publicae capiundae; insaziabile desiderava sempre cose
neque id quibus modis adsequeretur, dum smisurate, incredibili, troppo alte. Dopo la
sibi regnum pararet, quicquam pensi dittatura di Lucio Silla si era impossessata di
habebat. Agitabatur magis magisque in dies lui una brama incontenibile di impadronirsi
animus ferox inopia rei familiaris et dello Stato; e non dava alcun peso ai modi
conscientia scelerum, quae utraque iis con cui l’avrebbe ottenuto, purché si fosse
artibus auxerat, quas supra memoravi. procurato il potere assoluto. Il suo animo
Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, fiero era tormentato ogni giorno sempre di
quos pessuma ac divorsa inter se mala, più dall’impoverimento del suo patrimonio e
luxuria atque avaritia, vexabant. dal rimorso dei suoi delitti, cose che aveva
accresciuto entrambe per mezzo di quelle
occupazioni che ho ricordato prima. Lo
incoraggiavano inoltre i costumi corrotti
della città, che mali assai gravi e tra loro
contrapposti, il lusso e l’avidità,
travagliavano.

3) I seguaci di Catilina (T5, p. 475)

TESTO LATINO TRADUZIONE


In tanta tamque conrupta civitate Catilina, id In una città tanto grande e tanto corrotta
quod factu facillumum erat, omnium Catilina, cosa che era assai facile a farsi,
flagitiorum atque facinorum circum se aveva intorno a sé, per così dire, orde di tutti
tamquam stipatorum catervas habebat. Nam i dissoluti e di tutti i criminali come guardie
quicumque inpudicus adulter, ganeo manu del corpo. Infatti tutti i corrotti, gli adulteri, i
ventre pene bona patria laceraverat, quique crapuloni che avevano dissipato i beni
alienum aes grande conflaverat, quo paterni con i dadi, con le mangiate, con le
flagitium aut facinus redimeret, praeterea orge, chi aveva contratto ingenti debiti per
omnes undique parricidae, sacrilegi, convicti riscattarsi da un’infamia o da un crimine;
iudiciis aut pro factis iudicium timentes, ad inoltre, tutti gli omicidi da ogni parte, gli
hoc quos manus atque lingua periurio aut empi, tutti quelli condannati nei processi o
sanguine civili alebat, postremo omnes quos che temono un processo in base ai loro
flagitium, egestas, conscius animus crimini; oltre a questo, coloro che la mano e
exagitabat, ei Catilinae proxumi la lingua sostentavano con lo spergiuro e il
familiaresque erant. Quod si quis etiam a sangue dei cittadini; infine, tutti coloro che
culpa vacuos in amicitiam eius inciderat, l’infamia, il bisogno, il rimorso
cotidiano usu atque inlecebris facile par tormentavano; costoro erano intimi e amici
similisque ceteris efficiebatur. Sed maxume di Catilina. E se qualcuno, ancora privo di
adulescentium familiaritates adpetebat: colpe, era incappato nella sua amicizia,
eorum animi molles et aetate fluxi dolis haud attraverso la frequentazione quotidiana e le
difficulter capiebantur. Nam ut cuiusque tentazioni diventava facilmente tale e quale a
studium ex aetate flagrabat, aliis scorta tutti gli altri. Ma cercava soprattutto
praebere, aliis canis atque equos mercari; l’intimità dei giovani: i loro animi ancora
postremo neque sumptui neque modestiae arrendevoli e malleabili venivano presi
suae parcere, dum illos obnoxios fidosque facilmente con l’inganno. Infatti come la
sibi faceret. Scio fuisse nonnullos, qui ita passione di ognuno ardeva per l’età, ad
existumarent, iuventutem, quae domum alcuni offriva prostitute, ad altri
Catilinae frequentabat, parum honeste commerciava cani e cavalli; insomma, non
pudicitiam habuisse; sed ex aliis rebus badava a spese né al suo decoro pur di
magis, quam quod cuiquam id compertum renderseli obbedienti e fedeli. So che ci
foret, haec fama valebat. furono alcuni che così pensavano, [e cioè] che
la gioventù che frequentava la casa di
Catilina non fosse stata pudica; ma questa
diceria traeva forza più da altri motivi che
dal fatto che fosse stata accertata da
qualcuno.

4) Un ritratto al femminile: Sempronia (T7, p. 479)

TESTO LATINO TRADUZIONE


Sed in eis erat Sempronia, quae multa saepe Ma fra di loro vi era Sempronia, che aveva
virilis audaciae facinora commiserat. Haec compiuto moltissime malefatte di un’audacia
mulier genere atque forma, praeterea viro degna di un uomo. Questa donna fu
liberis satis fortunata fuit; litteris Graecis et sufficientemente fortunata per la stirpe e per
Latinis docta, psallere, saltare elegantius la bellezza, e inoltre per il matrimonio e per i
quam necesse est probae, multa alia, quae figli; istruita nelle lettere greche e latine,
instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora esperta nel suonare, nel danzare in modo più
semper omnia quam decus atque pudicitia elegante di quanto sarebbe necessario a una
fuit; pecuniae an famae minus parceret, haud donna onesta, e in molte altre cose che sono
facile discerneres; lubido sic accensa, ut strumenti del lusso. Ma a lei tutto fu sempre
saepius peteret viros quam peteretur. Sed ea più caro del decoro e della modestia; non si
saepe antehac fidem prodiderat, creditum sarebbe facilmente distinto se avesse meno
abiuraverat, caedis conscia fuerat: luxuria riguardo per il denaro o per la reputazione;
atque inopia praeceps abierat. Verum una passione così accesa, che andava a
ingenium eius haud absurdum: posse versus cercare uomini più spesso di quanto era
facere, iocum movere, sermone uti vel cercata. Ma spesso, prima di allora [= di
modesto vel molli vel procaci; prorsus conoscere Catilina], era venuta meno alla
multae facetiae multusque lepos inerat. parola data, aveva negato falsamente di aver
ricevuto un prestito, era stata complice in un
delitto: per la sua smania di lusso e la
(conseguente) povertà era andata in rovina.
Tuttavia il suo ingegno non era inetto: sapeva
comporre versi, suscitare allegria, usare l’arte
della parola in modo decoroso, lusinghiero o
volgare; insomma, possedeva molto spirito e
molta grazia.

5) Confronto tra Cesare e Catone (T8, p. 482)

TESTO LATINO TRADUZIONE


Igitur iis genus aetas eloquentia prope Dunque essi ebbero quasi eguale stirpe, età
aequalia fuere, magnitudo animi par, item ed eloquenza, pari grandezza d’animo, come
gloria, sed alia alii. Caesar beneficiis ac anche la gloria, ma diversamente in ciascuno
dei due. Cesare era ritenuto grande per la
munificentia magnus habebatur, integritate
generosità dei suoi donativi, Catone per la
vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia
sua rettitudine di vita. Il primo divenne
clarus factus, huic severitas dignitatem celebre per la mitezza e la clemenza, al
addiderat. Caesar dando sublevando secondo la serietà aveva conferito dignità.
ignoscundo, Cato nihil largiundo gloriam Cesare ottenne la gloria donando,
adeptus est. In altero miseris perfugium erat, soccorrendo, perdonando, Catone senza
in altero malis pernicies. Illius facilitas, huius elargire nulla. Nell’uno vi era rifugio per gli
infelici, nell’altro rovina per i malvagi. Del
constantia laudabatur.
primo veniva lodata l’affabilità, del secondo
Postremo Caesar in animum induxerat la coerenza.
laborare, vigilare; negotiis amicorum In una parola, Cesare si era proposto di
intentus sua neglegere, nihil denegare quod faticare, di vegliare; tutto preso dagli
interessi degli amici, trascurava i propri, e
dono dignum esset; sibi magnum imperium,
non rifiutava nulla che fosse degno di esser
exercitum, bellum novom exoptabat, ubi
virtus enitescere posset. At Catoni studium donato [lett. «nulla che fosse degno di un
modestiae, decoris, sed maxume severitatis dono»]; si augurava per sé un grande potere
erat; non divitiis cum divite neque factione militare, un esercito, una nuova guerra in cui
potesse brillare il suo valore. Catone, al
cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum
contrario, aveva desiderio di onestà, di
modesto pudore, cum innocente abstinentia
decoro ma soprattutto di serietà; non
certabat; esse quam videri bonus malebat: gareggiava in ricchezze con il ricco, in
ita, quo minus petebat gloriam, eo magis faziosità con il fazioso, ma in valore con il
illum adsequebatur. coraggioso, in riserbo con il pudico, in
integrità con l’onesto; preferiva essere
virtuoso piuttosto che sembrarlo: quindi,
quanto meno cercava la gloria, tanto più essa
lo inseguiva.

6) La disfatta dei catilinari (T10, p. 486)

TESTO LATINO TRADUZIONE


Sed ubi omnibus rebus exploratis Petreius E così, quando Petreio, esaminata ogni cosa,
tuba signum dat, cohortis paulatim incedere diede il segnale con la tromba, ordinò alle
iubet; idem facit hostium exercitus. coorti di avanzare a poco a poco; lo stesso
fece l’esercito nemico. Dopo che si arrivò in
Postquam eo ventum est, unde a ferentariis
un luogo da dove l’azione poteva essere
proelium committi posset, maxumo clamore
cominciata dai soldati armati alla leggera, si
cum infestis signis concurrunt; pila omittunt, scontrarono con grandissimo clamore con le
gladiis res geritur. Veterani pristinae virtutis insegne spiegate contro il nemico; i veterani,
memores comminus acriter instare, illi haud memori dell’antico valore, incalzavano con
timidi resistunt: maxuma vi certatur. Interea violenza da vicino, quelli resistevano audaci:
Catilina cum expeditis in prima acie vorsari, si combatteva con estrema violenza. Nel
frattempo Catilina si trovava con soldati
laborantibus succurrere, integros pro sauciis
armati alla leggera in prima fila, soccorreva
arcessere, omnia providere, multum ipse chi era in difficoltà, faceva sostituire i feriti
pugnare, saepe hostem ferire; strenui militis con soldati illesi, provvedeva a ogni cosa,
et boni imperatoris officia simul combatteva molto per conto suo, spesso
exsequebatur. Petreius ubi videt Catilinam, feriva i nemici: allo stesso tempo eseguiva i
contra ac ratus erat, magna vi tendere, doveri di un soldato valoroso e di un buon
generale. Petreio, quando vide Catilina
cohortem praetoriam in medios hostis
combattere con grande forza, contrariamente
inducit eosque perturbatos atque alios alibi
a quanto si era aspettato, condusse la coorte
resistentis interficit. Deinde utrimque ex pretoria nel mezzo dei nemici e dopo averli
lateribus ceteros adgreditur. Manlius et scompaginati massacrò loro e altri che
Faesulanus in primis pugnantes cadunt. resistevano altrove. Poi assalì i (nemici)
Catilina postquam fusas copias seque cum rimanenti su entrambi i fianchi. Manlio e il
paucis relictum videt, memor generis atque Fiesolano caddero combattendo in prima fila.
Catilina, dopo aver visto le (sue) truppe
pristinae suae dignitatis, in confertissumos
hostis incurrit ibique pugnans confoditur. sbaragliate e se stesso superstite insieme a
pochi (altri), memore della (sua) stirpe e
Sed confecto proelio, tum vero cerneres,
della (sua) antica dignità si gettò nel folto
quanta audacia quantaque animi vis fuisset della mischia dei nemici e lì venne trafitto a
in exercitu Catilinae. Nam fere quem quisquemorte mentre combatteva.
vivos pugnando locum ceperat, eum amissa Allora, una volta terminata la battaglia, si
anima corpore tegebat. Pauci autem, quos sarebbe potuto distinguere senza dubbio
medios cohors praetoria disiecerat, paulo quanto grande audacia e quanto grande
forza d’animo vi era stata nell’esercito di
divorsius, sed omnes tamen advorsis
Catilina. Infatti quasi ciascuno, una volta
volneribus conciderant. Catilina vero longe a
persa la vita, copriva con il corpo il luogo che
suis inter hostium cadavera repertus est, da vivo aveva occupato combattendo. Invece
paululum etiam spirans ferociamque animi, pochi, che la coorte pretoria aveva sfondato
quam habuerat vivos, in voltu retinens. nel mezzo, erano caduti un po’ più in là, ma
Postremo ex omni copia neque in proelio tutti con ferite sul petto. Catilina, invece,
neque in fuga quisquam civis ingenuos venne trovato lontano dai suoi, tra i cadaveri
dei nemici, che ancora respirava un po’ e che
captus est: ita cuncti suae hostiumque vitae
manteneva in volto la fierezza d’animo che
iuxta pepercerant. Neque tamen exercitus aveva avuto da vivo. In tutto l’esercito non fu
populi Romani laetam aut incruentam catturato nessun libero cittadino né in
victoriam adeptus erat. Nam strenuissumus battaglia né in fuga: così tutti avevano avuto
quisque aut occiderat in proelio aut graviter riguardo allo stesso modo della propria vita
volneratus discesserat. Multi autem, qui e e di quella dei nemici. Né l’esercito romano
aveva ottenuto una vittoria lieta e indolore.
castris visundi aut spoliandi gratia
Infatti tutti i più valorosi o erano caduti in
processerant, volventes hostilia cadavera,
battaglia o ne erano usciti gravemente feriti.
amicum alii, pars hospitem aut cognatum Molti invece, che erano usciti
reperiebant; fuere item qui inimicos suos dall’accampamento per vedere o per fare
cognoscerent. Ita vari per omnem exercitum bottino, rivoltando i cadaveri dei nemici
laetitia, maeror, luctus atque gaudia alcuni trovavano un amico, altri un ospite o
agitabantur. un consanguineo; ci fu anche chi riconosceva
i suoi nemici personali. Così per tutto
l’esercito in vario modo si agitavano letizia,
tristezza, lutto e felicità.

LUCREZIO

1) L’inno a Venere (T1, p. 534): De rerum natura, I, 1-43

TESTO LATINO TRADUZIONE


Aeneadum genetrix, hominum divumque Madre degli Eneadi, piacere degli uomini e
voluptas, degli dei, alma Venere, che sotto gli astri
alma Venus, caeli subter labentia signa vaganti del cielo popoli il mare solcato da
quae mare navigerum, quae terras navi e la terra feconda di messi, poiché per
frugiferentis tuo mezzo ogni specie di esseri viventi si
concelebras, per te quoniam genus omne genera e vede, una volta nata, la luce del
animantum sole: te, dea, te fuggono i venti, te e il tuo
concipitur visitque exortum lumina solis: arrivo (fuggono) le nubi del cielo, per te la
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli terra industriosa fa spuntare i dolci fiori, per
adventumque tuum, tibi suavis daedala te ridono le distese del mare e il cielo placato
tellus brilla di luce diffusa. Infatti non appena si è
summittit flores, tibi rident aequora ponti reso manifesto l’aspetto primaverile del
placatumque nitet diffuso lumine caelum. giorno e liberato soffia il vento fecondante
nam simul ac species patefactast verna diei del Favonio, per primi gli uccelli dell’aria
et reserata viget genitabilis aura favoni, annunciano te, dea, e il tuo arrivo, colpiti nel
aeriae primum volucris te, diva, tuumque cuore dalla tua forza. Poi gli animali selvatici
significant initum perculsae corda tua vi. e gli armenti scorrazzano per i pascoli
Inde ferae pecudes persultant pabula laeta rigogliosi e attraversano i fiumi impetuosi:
et rapidos tranant amnis: ita capta lepore così, catturato dalla (tua) grazia, ogni
te sequitur cupide quo quamque inducere animale ti segue avidamente dove tu vuoi
pergis. portarlo.
Denique per maria ac montis fluviosque Infine, per i mari e i monti e i fiumi
rapacis impetuosi e le dimore frondose degli uccelli
frondiferasque domos avium camposque e le pianure verdeggianti, infondendo a tutti
virentis dolce amore nel petto, fai sì che nel desiderio
omnibus incutiens blandum per pectora propaghino le generazioni specie per specie.
amorem Poiché tu sola governi la natura delle cose e
efficis ut cupide generatim saecla propagent. senza di te nulla sorge nelle divine regioni
Quae quoniam rerum naturam sola gubernas della luce, e nulla di lieto e di amabile si
nec sine te quicquam dias in luminis oras produce, desidero che tu sia mia alleata per
exoritur neque fit laetum neque amabile scrivere i versi che io mi sforzo di comporre
quicquam, sulla natura delle cose per il nostro
te sociam studeo scribendis versibus esse, Memmiade, che tu, o dea, hai voluto che
quos ego de rerum natura pangere conor eccellesse sempre ornato di tutti i pregi.
Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore Tanto più conferisci, o dea, fascino eterno alle
in omni (mie) parole. Fa’ in modo che intanto le
omnibus ornatum voluisti excellere rebus. feroci opere della guerra riposino sopite per i
Quo magis aeternum da dictis, diva, mari e per tutte le terre. Infatti tu sola puoi
leporem. gratificare i mortali con una pace tranquilla,
Effice ut interea fera moenera militiai perché le crudeli opere della guerra le
per maria ac terras omnis sopita quiescant; governa Marte potente nelle armi, che spesso
nam tu sola potes tranquilla pace iuvare si rovescia nel tuo grembo sconfitto
mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors dall’eterna ferita d’amore, e così, guardandoti
armipotens regit, in gremium qui saepe dal basso con il tornito collo reclino, sazia in
tuum se te gli avidi occhi anelante d’amore, e dalla
reiicit aeterno devictus vulnere amoris, tua bocca è sospeso il respiro di lui supino.
atque ita suspiciens tereti cervice reposta Tu, o divina, riversandoti su di lui che riposa
pascit amore avidos inhians in te, dea, visus sul tuo corpo santo effondi dalla tua bocca
eque tuo pendet resupini spiritus ore. dolci parole, chiedendo una placida pace per
Hunc tu, diva, tuo recubantem corpore i Romani. Infatti noi non possiamo compiere
sancto quest’opera in un tempo avverso alla patria
circum fusa super, suavis ex ore loquellas con animo sereno, né l’illustre stirpe di
funde petens placidam Romanis, incluta, Memmio può mancare, in tali circostanze,
pacem. alla salvezza comune.
Nam neque nos agere hoc patriai tempore
iniquo
possumus aequo animo nec Memmi clara
propago
talibus in rebus communi desse saluti.

2) Gli errori della religio: il sacrificio di Ifigenia (T2, p. 540): De rerum natura, I, 80-101

TESTO LATINO TRADUZIONE


Illud in his rebus vereor, ne forte rearis A tal proposito temo questo, che tu creda di
impia te rationis inire elementa viamque iniziarti ai fondamenti di una dottrina empia
indugredi sceleris. e di intraprendere una via scellerata. Che
Quod contra saepius illa anzi, più spesso fu la religione a produrre
religio peperit scelerosa atque impia facta. azioni delittuose ed empie. Per esempio, in
Aulide quo pacto Triviai virginis aram Aulide, i condottieri scelti dei Danai, il fior
Iphianassai turparunt sanguine foede fiore dei guerrieri, turpemente violarono
ductores Danaum delecti, prima virorum. l’altare della vergine Trivia con il sangue di
Cui simul infula virgineos circum data Ifianassa. Non appena la benda sacrificale,
comptus avvolta intorno alle chiome virginali, le
ex utraque pari malarum parte profusast, ricadde uguale sull’una e sull’altra guancia, e
et maestum simul ante aras adstare non appena capì che il genitore stava triste
parentem davanti all’altare e presso di lui i sacerdoti
sensit et hunc propter ferrum celare nascondevano il coltello, e alla vista di lei i
ministros cittadini spargevano lacrime, muta per il
aspectuque suo lacrimas effundere civis, terrore cadeva a terra piegata sulle ginocchia.
muta metu terram genibus summissa E in quel momento non poteva giovare
petebat. all’infelice il fatto che per prima aveva
Nec miserae prodesse in tali tempore quibat, donato al re il nome di padre. Infatti, sorretta
quod patrio princeps donarat nomine regem. dalle mani dei guerrieri e tremante, fu
Nam sublata virum manibus tremibundaque condotta all’altare, non perché – una volta
ad aras compiuta la solenne cerimonia – potesse
deductast, non ut sollemni more sacrorum essere accompagnata con lo squillante
perfecto posset claro comitari Hymenaeo, imeneo, ma perché cadesse, impuramente
sed casta inceste nubendi tempore in ipso casta proprio nell’età delle nozze, mesta
hostia concideret mactatu maesta parentis, vittima per il sacrificio del padre,
exitus ut classi felix faustusque daretur. affinché fosse concessa alla flotta una
Tantum religio potuit suadere malorum. partenza fortunata e propizia. Così grandi
mali poté ispirare la religione.
3) Epicuro libera l’umanità dalla religio (T7, p. 556): De rerum natura, I, 62-79

TESTO LATINO TRADUZIONE


Humana ante oculos foede cum vita iaceret Mentre la vita umana giaceva sulla terra,
in terris oppressa gravi sub religione turpe a vedersi, oppressa dal grave peso
quae caput a caeli regionibus ostendebat della religione, che mostrava il capo dalle
horribili super aspectu mortalibus instans, regioni celesti incombendo con orribile
primum Graius homo mortalis tollere contra aspetto sui mortali, per primo un uomo di
est oculos ausus primusque obsistere contra, Grecia osò sollevare gli occhi mortali contro
quem neque fama deum nec fulmina nec [di lei], e per primo resisterle; non lo
minitanti domarono né le leggende degli dei né i
murmure compressit caelum, sed eo magis fulmini né il cielo con il [suo] fragore
acrem minaccioso, ma tanto più stimolarono il fiero
inritat animi virtutem, effringere ut arta valore del [suo] animo, a tal punto che per
naturae primus portarum claustra cupiret. primo desiderò infrangere le sbarre serrate
Ergo vivida vis animi pervicit, et extra delle porte dell’universo. Dunque trionfò la
processit longe flammantia moenia mundi vigorosa forza del [suo] animo, e si spinse
atque omne immensum peragravit mente lontano, oltre le fiammeggianti mura del
animoque, mondo, e percorse con la mente e con il
unde refert nobis victor quid possit oriri, cuore l’intero spazio infinito, da cui riporta a
quid nequeat, finita potestas denique cuique noi vincitore che cosa può nascere, che cosa
quanam sit ratione atque alte terminus non può, infine per quale ragione ciascuna
haerens. cosa ha un potere definito e un termine
Quare religio pedibus subiecta vicissim profondamente congenito.
obteritur, nos exaequat victoria caelo. Perciò la religione, abbattuta sotto i piedi,
viene a sua volta calpestata, mentre la
vittoria eguaglia noi al cielo.

4) Ricorrere alla poesia per spiegare la filosofia (T11, p. 568): De rerum natura, IV, 1-25

TESTO LATINO TRADUZIONE


Avia Pieridum peragro loca nullius ante Percorro i luoghi impervi delle Pieridi, mai
trita solo. Iuvat integros accedere fontis calpestati dal piede di nessuno. È bello
atque haurire, iuvatque novos decerpere accostarsi a sorgenti incontaminate e bere, è
flores bello cogliere fiori appena spuntati e
insignemque meo capiti petere inde intrecciare per il mio capo una gloriosa
coronam, corona di là da dove le Muse a nessuno
unde prius nulli velarint tempora Musae; hanno velato le tempie; in primo luogo
primum quod magnis doceo de rebus et artis perché insegno grandi questioni e mi
religionum animum nodis exsolvere pergo, impegno a sciogliere l’animo dagli stretti
deinde quod obscura de re tam lucida pango nodi della superstizione, poi perché
carmina musaeo contingens cuncta lepore. compongo dei versi tanto luminosi su una
Id quoque enim non ab nulla ratione videtur; materia oscura, cospargendo tutto della
nam vel uti pueris absinthia taetra medentes grazia delle Muse. Anche questo, infatti, non
cum dare conantur, prius oras pocula circum sembra privo di ragione. Infatti, come
contingunt mellis dulci flavoque liquore, quando i medici provano a dare ai fanciulli
ut puerorum aetas inprovida ludificetur l’amaro assenzio, prima cospargono
labrorum tenus, interea perpotet amarum tutt’intorno gli orli della tazza con il dolce e
absinthi laticem deceptaque non capiatur, biondo liquido del miele, affinché l’ingenua
sed potius tali facto recreata valescat, età dei fanciulli sia ingannata fino alle labbra,
sic ego nunc, quoniam haec ratio plerumque e intanto beva fino in fondo l’amaro succo
videtur dell’assenzio e, sebbene ingannata, non ne
tristior esse quibus non est tractata, retroque subisca un danno, ma piuttosto in questo
volgus abhorret ab hac, volui tibi modo si ristabilisca in salute, così io adesso,
suaviloquenti poiché questa dottrina spesso sembra essere
carmine Pierio rationem exponere nostram troppo rigida a coloro dai quali non è stata
et quasi musaeo dulci contingere melle; approfondita, e la gente comune si ritira
si tibi forte animum tali ratione tenere inorridita da questa, ho voluto esportela con
versibus in nostris possem, dum percipis il melodioso verso delle Pieridi e, per così
omnem dire, cospargerla con il dolce miele delle
naturam rerum ac persentis utilitatem. Muse, se per caso potessi in tal modo tenere
il tuo animo avvinto ai nostri versi, mentre
comprendi l’intero universo e ne cogli
l’utilità.

5) Perché è importante dedicarsi alla filosofia (T3, p. 544): De rerum natura, II, 1-33

TESTO LATINO TRADUZIONE


Suave, mari magno turbantibus aequora È dolce, quando i venti sconvolgono le
ventis distese del vasto mare, guardare da terra il
e terra magnum alterius spectare laborem; grande travaglio altrui; non perché sia un
non quia vexari quemquamst iucunda giocondo diletto che qualcuno venga
voluptas, tormentato, ma perché è dolce vedere da
sed quibus ipse malis careas quia cernere quali mali tu sia immune.
suave est. È dolce anche guardare le grandi contese di
Suave etiam belli certamina magna tueri guerra ingaggiate in campo, senza una tua
per campos instructa tua sine parte pericli; parte di pericolo. Ma nulla è più dolce che
sed nihil dulcius est, bene quam munita abitare gli elevati templi sereni saldamente
tenere costruiti dalla dottrina dei sapienti, da dove
edita doctrina sapientum templa serena, tu possa abbassare lo sguardo sugli altri e
despicere unde queas alios passimque videre vederli vagare qua e là e cercare errando il
errare atque viam palantis quaerere vitae, sentiero della vita, gareggiare per l’ingegno,
certare ingenio, contendere nobilitate, competere per nobiltà di sangue, sforzarsi
noctes atque dies niti praestante labore giorno e notte con straordinaria fatica di
ad summas emergere opes rerumque potiri. giungere a somma ricchezza e di
O miseras hominum mentis, o pectora caeca! impadronirsi del potere. O misere menti
Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis degli uomini, o animi ciechi!
degitur hoc aevi quod cumquest! Nonne In quale tenebrosa esistenza e fra quanto
videre grandi pericoli è trascorsa questa breve vita,
nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui di qualunque valore essa sia! Come non
corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur vedere che la natura non reclama per sé
iucundo sensu cura semota metuque? null’altro se non che il dolore stia lontano,
ergo corpoream ad naturam pauca videmus separato dal corpo, e nell’animo goda di un
esse opus omnino: quae demant cumque senso gioioso sgombra di affanno e di paura?
dolorem, Dunque vediamo che al corpo sono
delicias quoque uti multas substernere necessarie ben poche cose, che leniscano il
possint dolore e che possano anche offrire molti
gratius interdum, neque natura ipsa requirit, piaceri. Talvolta è più piacevole – né la stessa
si non aurea sunt iuvenum simulacra per natura lo richiede, se all’interno dei palazzi
aedes non vi sono auree statue di giovani che
lampadas igniferas manibus retinentia reggono con la destra fiaccole accese, perché
dextris, siano fornite luci ai notturni banchetti, e la
lumina nocturnis epulis ut suppeditentur, casa non brilla di argento e non risplende
nec domus argento fulget auroque renidet d’oro e le cetre non fanno echeggiare i
nec citharae reboant laqueata aurataque riquadri dorati dei soffitti – quando tuttavia
templa, fra amici, adagiati su molle erba, presso un
cum tamen inter se prostrati in gramine corso d’acqua, sotto i rami di un alto albero,
molli con mezzi modesti ristorano piacevolmente
propter aquae rivum sub ramis arboris altae il corpo, soprattutto se il tempo sorride e la
non magnis opibus iucunde corpora curant, stagione dell’anno cosparge le erbe
praesertim cum tempestas adridet et anni verdeggianti di fiori.
tempora conspergunt viridantis floribus
herbas.

VIRGILIO

1) Il pastore esiliato (T1, p. 38): Bucoliche, I

TESTO LATINO TRADUZIONE


ME. Tityre, tu patulae recubans sub tegmine ME. Titiro, tu riposando sotto la copertura di
fagi un ampio faggio, componi un canto silvestre
silvestrem tenui Musam meditaris avena; con la sottile zampogna, noi lasciamo il
nos patriae finis et dulcia linquimus arva. territorio patrio e i dolci campi, noi fuggiamo
Nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in dalla patria; tu, Titiro, rilassato nell’ombra
umbra insegni alle selve a riecheggiare [il nome]
formosam resonare doces Amaryllida silvas. della bella Amarillide.
TI. O Meliboee, deus nobis haec otia fecit. TI. O Melibeo, un dio ci ha procurato questa
Namque erit ille mihi semper deus, illius pace. Infatti egli per me sarà sempre un dio,
aram infatti molte volte un tenero agnello dei
saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus. nostri orti bagnerà [di sangue] il suo altare.
Ille meas errare boves, ut cernis, et ipsum Egli ha permesso, come vedi, ai miei buoi di
ludere quae vellem calamo permisit agresti. vagare, e a me di suonare quello che volevo
ME. Non equidem invideo, miror magis: con la mia sottile zampogna.
undique totis usque adeo turbantur agris. En ME. Io almeno non provo invidia per te,
ipse capellas piuttosto mi stupisco: da ogni parti c’è un
protinus aeger ago; hanc etiam vix, Tityre, tale sconvolgimento per tutti i campi.
duco. Io stesso spingo infelice le caprette dinanzi a
Hic inter densas corylos modo namque me: anche questa, o Titiro, conduco a stento.
gemellos, Qui tra i folti noccioli ha lasciato ora sulla
spem gregis, a! silice in nuda conixa reliquit. nuda pietra due gemelli, speranza del
Saepe malum hoc nobis, si mens non laeva gregge, dopo essersi sforzata. Ricordo che
fuisset, spesso le querce colpite dai fulmini ci
de caelo tactas memini praedicere quercus. predicevano questa sventura, se la [nostra]
Sed tamen iste deus qui sit, da, Tityre, nobis. mente non fosse stata malaccorta.
TI. Urbem quam dicunt Romam, Meliboee, Tuttavia dicci, Titiro, chi sia codesto dio.
putavi TI. Io ritenevo da sciocco, Melibeo, che la
stultus ego huic nostrae similem, quo saepe città che chiamano Roma fosse simile a
solemus questa nostra [città], dove noi pastori spesso
pastores ovium teneros depellere fetus. siamo soliti spingere i teneri cuccioli delle
Sic canibus catulos similes, sic matribus pecore. Sapevo che i cuccioli somigliano ai
haedos cani, i capretti alle madri ed ero solito
noram, sic parvis componere magna confrontare le cose grandi con quelle piccole.
solebam. Ma questa [città] innalza il suo capo sulle
Verum haec tantum alias inter caput extulit altre tanto quanto sono soliti fare i cipressi
urbes tra gli arbusti pieghevoli.
quantum lenta solent inter viburna cupressi. ME. E quale ragione fu tanto importante per
ME. Et quae tanta fuit Romam tibi causa vedere Roma?
videndi? TI. La libertà, che tardivamente ha guardato
TI. Libertas, quae sera tamen respexit a me in età [ormai] avanzata, quando la
inertem, barba mi cadeva più candida quando la
candidior postquam tondendi barba cadebat, tagliavo, ma mi ha guardato e dopo tanto
respexit tamen et longo post tempore venit, tempo è giunta, da quando ci possiede
postquam nos Amaryllis habet, Galatea Amarillide, mentre Galatea ci ha lasciato.
reliquit. Infatti, lo confesso, finché Galatea mi
Namque (fatebor enim) dum me Galatea possedeva, non c’era speranza di libertà né
tenebat, cura del risparmio. Sebbene molte vittime
nec spes libertatis erat nec cura peculi. uscissero dai miei recinti e fosse fabbricato
Quamvis multa meis exiret victima saeptis, grasso formaggio per la città ingrata, la mia
pinguis et ingratae premeretur caseus urbi, destra non tornava mai a casa carica di
non umquam gravis aere domum mihi denaro.
dextra redibat. ME. Mi chiedevo meravigliandomi,
ME. Mirabar quid maesta deos, Amarylli, Amarillide, perché tristemente invocassi gli
vocares, dei, per chi permettessi che la frutta
cui pendere sua patereris in arbore poma; rimanesse appesa al suo albero; Titiro era
Tityrus hinc aberat. Ipsae te, Tityre, pinus, lontano da qui. Questi stessi pini, Titiro,
ipsi te fontes, ipsa haec arbusta vocabant. queste stesse fonti e questi stessi arbusti ti
TI. Quid facerem? Neque servitio me exire chiamavano.
licebat TI. Cosa avrei dovuto fare? Non mi era
nec tam praesentis alibi cognoscere divos. permesso di uscire dalla schiavitù, né
Hic illum vidi iuvenem, Meliboee, quotannis conoscere altrove dei così propizi. Qui vidi,
bis senos cui nostra dies altaria fumant. Melibeo, quel giovane, per il quale dodici
Hic mihi responsum primus dedit ille volte all’anno i nostri altari fumano. Egli per
petenti: primo diede un responso a me che lo
«Pascite ut ante boves, pueri; submittite chiedevo: «Pascolate i buoi come prima,
tauros». ragazzi; allevate i tori».
ME. Fortunate senex, ergo tua rura ME. Fortunato vecchio, dunque ti resteranno
manebunt i tuoi campi e saranno abbastanza grandi per
et tibi magna satis, quamvis lapis omnia te, sebbene arida pietra e palude ricoprano
nudus tutti i pascoli con erbacce fangose. Pascoli
limosoque palus obducat pascua iunco: insoliti non contageranno le bestie gravide,
non insueta gravis temptabunt pabula fetas, né il pericoloso contatto con il gregge vicino
nec mala vicini pecoris contagia laedent. le danneggerà.
Fortunate senex, hic inter flumina nota Fortunato vecchio, qui tra corsi d’acqua noti
et fontis sacros frigus captabis opacum; e sacre fonti godrai la fresca ombra; qui dal
hinc tibi, quae semper, vicino ab limite vicino confine la siepe, come sempre,
saepes succhiata nel fiore del salice dalle api iblee ti
Hyblaeis apibus florem depasta salicti indurrà a prendere sonno con il [suo] dolce
saepe levi somnum suadebit inire susurro; mormorio; qui dall’alta rupe canterà al vento
hinc alta sub rupe canet frondator ad auras, il potatore, e tuttavia nel frattempo le roche
nec tamen interea raucae, tua cura, colombe, a te care, né la tortora smetteranno
palumbres di gemere dall’alto dell’olmo.
nec gemere aëria cessabit turtur ab ulmo. TI. Leggeri pascoleranno i cervi nell’etere
TI. Ante leves ergo pascentur in aethere cervi e i flutti del mare abbandoneranno i nudi
et freta destituent nudos in litore piscis, pesci sulla terra, dopo aver vagato ciascuno
ante pererratis amborum finibus exsul nel territorio dell’altro l’esule parto berrà
aut Ararim Parthus bibet aut Germania l’acqua dell’Arari e il germano del Tigri,
Tigrim, prima che il suo volto si cancelli dal nostro
quam nostro illius labatur pectore voltus. cuore.
ME. At nos hinc alii sitientis ibimus Afros, ME. Ma noi da qui ce ne andremo alcuni
pars Scythiam et rapidum cretae veniemus dagli africani assetati, parte in Scizia e
Oaxen arriveremo all’Oasse vorticoso di fango, e dai
et penitus toto divisos orbe Britannos. Britanni del tutto separati dal mondo.
En umquam patrios longo post tempore finis Ammirerò mai dopo lungo tempo,
pauperis et tuguri congestum caespite rivedendoli, il territorio patrio e il tetto della
culmen, povera capanna messo insieme con le zolle, il
post aliquot mea regna videns mirabor mio regno, dopo qualche stagione? Un
aristas? empio soldato possiederà questi campi
Impius haec tam culta novalia miles habebit, dissodati per la prima volta con tanta cura,
barbarus has segetes. En quo discordia civis un barbaro queste messi. Ecco dove la
produxit miseros: his nos consevimus agros! discordia ha portato i miseri cittadini: per
Insere nunc, Meliboee, piros, pone ordine costoro abbiamo seminato i campi!
vitis. Adesso innesta i peri, Melibeo, pianta le viti
Ite meae, felix quondam pecus, ite capellae. a regola.
Non ego vos posthac viridi proiectus in antro Va’, mio gregge un tempo felice, andate,
dumosa pendere procul de rupe videbo; caprette! D’ora in poi non vi vedrò, disteso in
carmina nulla canam; non me pascente, un antro verdeggiante, pendere da lontano
capellae, da una rupe ricoperta di cespugli; non
florentem cytisum et salices carpetis amaras. canterò nessun carme; non brucherete,
TI. Hic tamen hanc mecum poteras caprette, il citiso in fiore e i salici amari sotto
requiescere noctem la mia guida.
fronde super viridi: sunt nobis mitia poma, TI. Eppure potresti riposare qui con me
castaneae molles et pressi copia lactis, questa notte, sulle fronde verdeggianti:
et iam summa procul villarum culmina abbiamo frutta matura, morbide castagne e
fumant formaggio in quantità e ormai da lontano
maioresque cadunt altis de montibus fumano i comignoli delle fattorie e sempre
umbrae. più lunghe scendono le ombre dagli alti
monti.

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