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NESSUNO ESSERE PREFERITO A ME PER SOSTENERE L’ACCUSA

Se qualcuno di voi, o giudici, o di quelli che sono presenti qui, per caso si
meraviglia che io, mentre da tanti anni mi sono occupato di questioni civili e
penali difendendo molti e non danneggiando nessuno, ora, all'improvviso,
mutando proposito, mi sia adattato al ruolo si accusatore, se considererà le
profonde ragioni della mia decisione,
da un lato approverà il mio
comportamento e dall'altro penserà che, senza dubbio, in questo processo,
nessuno deve essere preferito a me come pubblico accusatore. Quando sono
stato in Sicilia come questore e sono ripartito da quella provincia lasciando in
tutti i Siciliani un caro, indelebile ricordo della mia questura e del mio nome, è
avvenuto che essi considerassero il più valido appoggio per i loro interessi sia
i molti protettori di vecchia data, ma, in qualche modo, anche me. Per questo
ora essi, depredati e perseguitati, sono venuti u cialmente da me di
frequente a pregarmi di voler accettare il patrocinio dei loro interessi.

NON ESISTE VIRTÙ CHE NON SI POSSA COMPRARE CON IL


DENARO
O giudici ciò che era da desiderare moltissimo e che solo era più di ogni altra adatta a placare
l'invidia per il vostro ordine e l'infamia verso i tribunali, questo sembra vi sia stato dato e o erto
questo compito non per volontà umana ma quasi per volere divino in un momento di crisi infatti è
radicata l'opinione -luogo comune- dannosa per lo stato e pericolosa per voi che è cresciuta col
chiacchierare di tutti non solo presso di noi ma presso le genti straniere, l'opinione è che con
questi tribunali che ci sono ora nessun uomo ricco anche se colpevole possa essere condannato
Ora nel momento stesso della crisi dell'ordine e dei vostri giudici benché siano stati preparati qui
coloro che si sforzino di aumentare questa invidia contro il senato con discorsi propagandistici e
leggi, un colpevole è stato condotto tribunale Verre uomo ormai condannato dall'opinione di tutti
per la vita e le sue azioni, assolto invece secondo la sua speranza per la grandezza della sua
ricchezza e per la predicazione. In questa causa io o giudici mi sono accostato in qualità di
accusatore a questa causa non per aumentare l'invidia verso l'ordine -sottinteso senatorio, ma
per venire in soccorso alla cattiva fama comune. Infatti ho portato in tribunale un uomo nel quale
possiate riconciliare la stima perduta dei giudici riappaci carvi col popolo romano, dare
soddisfazione alle genti straniere. Un uomo sperperatore di denaro pubblico vessatore dell'Asia e
della Grecia, ladro di diritto civile disgrazia e calamità della provincia di Sicilia. A dire il vero per
farvi una c0nfessione personale benché mi siano state fatte da Verre molti agguati per terra e per
mare che in parte ho evitato per la mia accortezza in parte ho respinto per l'amore e l'applicazione
degli amici tuttavia mai mi è sembrato di essere andato verso un pericolo così grande, ne ho
temuto per la tanta fatica come ora per questa causa. Non tanto mi preoccupa l'aspettativa
dell'accusa e l'a uenza di tanta moltitudine dalle quali sono fortemente agitato, quanto l'insidia
nefasta di costui che si sforza di fare nello stesso tempo verso di me, verso Gabbione il popolo
romano i soci e l'ordine senatorio. Egli continua a ripetere così che devono avere paura quelli; non
esiste virtù (propriamente niente è tanto inviolabile) che non possa essere violata col denaro, ne
fortezza che col denaro non possa essere espugnata.

VERRE HA SACCHEGGIATO TUTTA LA SICILIA


lo dico che in tutta la Sicilia, cosi ricca, provincia cosi antica, non c'era
nessun vaso d'argento, di Corinto o di Delo, nessuna gemma o perla, nessun
oggetto d'oro o d'avorio, nessuna statua di liscio e duro avorio, dico che non
c'era nessun dipinto, né su tavola né su tela che Verre non abbia ricercato,
esaminato, portato via se gli fosse piaciuto. Sembra che io dica un'enormità,
ma fate attenzione anche al modo in cui parlo. Dico questo: non lasciò niente
nella casa di qualcuno, neppure nella casa degli ospiti, niente nei luoghi
comuni, neppure nei templi, niente presso i Siculi, niente presso i cittadini
Romani. In breve niente che gli fosse caduto sotto gli occhi e avesse
risvegliato la sua cupidigia né privato né pubblico né profano né sacro in tutta
la Sicilia.
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I CANI DI VERRE
A Cibira ci sono due fratelli, Tlepomeno e Gerone, dei quali uno era solito
scolpire la cera, l'altro era pittore. Costoro a Cibira, essendo venuti in
sospetto ai loro concittadini di aver saccheggiato il tempio di Apollo, temendo
il castigo del giudice e della legge, scapparono di casa. Poiché avevano
saputo che Verre era desideroso della loro arte, si rifugiarono come esuli
presso di lui, che si trovava in Asia. Li tenne con sé in quel periodo e nei
saccheggi e nei furti usò molto la loro opera e il loro consiglio. Dopo averli
conosciuti tanto bene e approvati per l'operato, li portò con sé in Sicilia. Dopo
che vi giunsero, utavano (li avresti detti cani da caccia) e cercavano in modo
così straordinario che trovavano con qualunque mezzo qualsiasi cosa dove
fosse. Una cosa trovavano minacciando, un'altra promettendo, un'altra
tramite servi, un'altra tramite uomini liberi, un'altra tramite un amico, un'altra
tramite un nemico: qualunque cosa piacesse loro doveva essere persa.
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