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1.1 LE OPERE
- Lo scudo di Achille (esametri): alla morte del Pelide le sue bellissime armi
sono oggetto di contesa tra Aiace Telamonio e Odisseo.
Quinto fornisce una nuova descrizione dello scudo dell’eroe, che però ricalca
l’originale omerico.
Nello scudo, che secondo molti interpreti antichi era una descrizione
dell’universo, sono presenti scene e immagini contrapposte: ‘’le guerre
assassine, e i tumulti ove regna il terrore’’ (vv. 24-25), ‘’opere stupende di pace’’ (v.
44).
2. TRIFIDORO
2.1 LE OPERE
- Davanti al cavallo di Troia: Trifidoro sembra qui riprendere (anche nello stile)
un’altra scena famosa della vicenda troiana, il discorso di Odisseo ai soldati,
quello che verrà poi interrotto da Tersite.
Questa volta però il re di Itaca non sprona i soldati a scendere in battaglia,
bensì gli dice di aver coraggio di entrare nel cavallo: ‘’L’occulta insidia, amici,
finalmente è stata compiuta...Obbeditemi dunque, e nel ventre del cavallo di
legno/entriamo senza timore ’’ (vv.120 e 135-136).
3. GREGORIO DI NAZIANZO
Gregorio di Nazianzo (330-390 d.C.) è uno dei pensatori e poeti che meglio
rappresenta la summa della cultura bizantina.
Nel millennio bizantino la sua fama e il suo successo furono enormi: tanto
come uomo di Chiesa e campione di un ortodossia messa in pericolo dal
progetto ellenico di Giuliano l’Apostata (360-363 d.C.), quanto come filosofo.
Letterato e poeta, Gregorio fu in grado di coniugare la chiarezza ad uno stile
classicamente perfetto.
Abbiamo moltissime informazioni riguardanti la sua biografia, desumibili in
primo luogo dalle sue opere, sia dalle Orazioni che dal ricco Epistolario.
Gregorio nasce nel 330 ad Arianzo in Cappadocia, vicino a Nazianzo, da una
famiglia particolarmente agiata.
Egli si forma tra Cesarea di Cappadocia , Cesarea di Palestina , Alessandria
e Atene, dove conosce Basilio di Cesarea (che diverrà suo amico fraterno) ed
il futuro imperatore Giuliano.
Al termine della sua formazione fa ritorno a Nazianzo, dove viene nominato
presbitero dal padre.
In seguito viene nominato dall’amico Basilio, dapprima vescovo di Sasima, e
in seguito anche vescovo di Nazianzo (374) alla morte del padre.
Nel 380 d.C. l’imperatore Teodosio I () lo nominò vescovo di Costantinopoli,
e l’anno seguente venne anche incaricato di dirigere i lavori del Concilio
Ecumenico II (381 d.C.), svoltosi a Costantinopoli.
La difficoltà dell’incarico lo spingerà però a dimettersi da tutte le cariche e a
decidere di ritirarsi a Nazianzo, dove muore nel 390 d.C.
3.1 LE OPERE
Opere poetiche: durante l’ultimo periodo della sua vita Gregorio compose i
Carmi, un’imponente raccolta che conta ben 18.000 versi.
L’opera è caratterizzata stilisticamente da una grande varietà di metri: distici
elegiaci, esametri, trimetri giambici, strofette anacreontee.
A parte vanno considerati invece i 245 Epigrammi, contenuti nel volume VIII
dell’Antologia Palatina.
- Antologia Palatina VIII 38: epitimbo dedicato alla madre Nonna, ‘’sorridente in
gloria fra le luci celesti’’ (v.1).
In distici elegiaci.
- De virtute: un carme che per lunghezza (ben 998 versi), può essere
considerato come un piccolo poemetto.
Il testo è indirizzato ad un giovane promettente, che Gregorio vuole educare
alla buona volontà attraverso una serie di exempla che vogliono spiegare
come i beni materiali siano vacui e insignificanti di fronte al vero Bene, che
ogni cristiano deve ricercare.
‘’anche se possiedi i beni di Gige ricco d’oro….anche se il Persiano Ciro che vanta il
potere dei trono siede sotto di te;...di tutte queste cose che ho detto, qual è il profitto?’’
(vv.31, 34-35 e 52).
In trimetri giambici.
4.1 LE OPERE
- Inno II: si tratta di una preghiera al Creatore (in 299 versi) in cui si sviluppa
la tematica della natura di Dio, che è Uno e Trino.
Gli accenti neoplatonici e cristiani si fondono nel rigore e nella sobrietà che
contraddistinguono lo stile di Sonesio, che riesce a sviluppare una dottrina
quasi a se’ stante.
L’anima di Sinesio vuole celebrare Dio come creatore del tutto, dispensatore
dei beni agli uomini.
In monometri anapestici.
‘’Te, o Beato, io canto/Signore del cosmo./Taccia la terra/al suono dei tuoi inni’’ (vv.
26-29).
- Inno VI: nonostante si tratti del testo più breve (42 versi), l’Inno VI tratta della
natura di Cristo attraverso un’interpretazione simbolica dei doni dei Magi:
l’oro come segno della regalità di Cristo, l’incenso indicatore della sua
divinità, la mirra simbolo del mistero della sua morte.
In telesillei.
‘’Quando, da ventre mortale,/ti effondesti sulla terra,/e l’arte sapiente dei Magi/di
fronte al sorgere di una stella/stupì’’ (vv. 18-22).
5. PALLADA
Sulla vita di Ciro (?-460 d.C.), nato a Panopoli nell’Alto Egitto, abbiamo poche
informazioni.
Intellettuale di notevole talento, egli ottenne la fiducia e il sostegno
dell’imperatore Teodosio II e della moglie Eudocia, grazie ai quali divenne
prefetto di Costantinopoli e in seguito console nel 441 d.C.
La sua fortuna conobbe una brusca fine probabilmente poiché coinvolto in un
intrigo di palazzo.
Ciro abbandonò il palazzo e Costantinopoli, divenendo vescovo della diocesi
di Cotieo in Frigia.
Dopo la morte di Teodosio II nel 450 d.C. tornò nella capitale, ma dopo questa
data di lui non sappiamo più nulla.
LE OPERE
EUDOCIA AUGUSTA
LE OPERE
LE OPERE
- Tifeo e il sacerdote di Zeus (Dionisiache, XIII 474-497): nel Canto XIII è presente
un catalogo dell’esercito bacchico diretto in India.
Una descrizione molto pesante, alleggerita dalla presenza di alcune sequenze
narrative, come quella del sacerdote lidio di Zeus che sconfisse il titano
Tifone, desideroso di distruggere il mondo.
Un mito che richiama un fatto di attualità: il disperato gesto di papa Leone I
(390-461 d.C.), che nel 452 d.C. convinse miracolosamente (e in maniera
ancora oggi molto misteriosa) l’unno Attila a non valicare il Mincio.
Il sacerdote di Zeus viene definito un uomo ‘’armato di una lancia mentale’’ (v.
497).
La Parafrasi del Vangelo di San Giovanni è una trasposizione poetica del Vangelo
di San Giovanni, un’opera che si ascrive alla produzione, molto in voga nella
Tarda Antichità, di parafrasi poetiche dei testi cristiani.
Il testo è caratterizzato a livello verbale dalla ridondanza e dal pleonasmo.
9. PROCLO
LE OPERE
Le sue opere filosofiche più famose sono gli Elementi di Teologia e la Teologia
platonica, in cui vengono trattate le nozioni generali di Platone intorno agli
dei.
Proclo fu però anche letterato e poeta, autore di 8 Inni di ispirazione
callimachea e omerica; risulta difficile invece attribuirgli la Crestomanzia, una
sorta di enciclopedia letteraria divisa per generi.
- Inno ad Helios (Inni, I): l’inno riflette il mutato atteggiamento, molto più
riflessivo-metafisico, con cui in epoca tardoantica si cominciò ad approcciare
la religione pagana tradizionale.
Rifacendosi al trattato di Giuliano l’Apostata Ad Helios Re, Proclo lo invoca
non perché protegga l’Impero, bensì perché offra all’uomo una speranza per
il proprio destino.
Ripresa da Giuliano è invece la visione del Sole come trino: inteso come ‘’Sole
di Verità’’, che fa da mediatore tra l’uomo e gli dei intellettuali; come disco
solare visibile e garante della visibilità delle cose sensibili; come Sole
supremo, il Bene in se’ identico all’Uno.
‘’Temono la minaccia della tua rapida frusta i demoni che danneggiano gli uomini,
esseri dal cuore selvaggio,/ che arrecano dolori alle nostre anime afflitte’’(si riprende
qui, ai vv. 27-29, la visione platonica del corpo come carcere dell’anima).
10. COLLUTO
LE OPERE
- Il giudizio di Paride (Il ratto di Elena, 131-168): uno dei rari momenti piacevoli
del lavoro è rappresentato senza dubbio dalla descrizione del giudizio di
Paride, ‘’Non conosco le cose di guerra: che c’entra con gli scudi Afrodite?/ Invece
del valore, ti offro un’amabile sposa,/ invece di un regno, ti farò salire sul letto di
Elena:/ e Lacedemone dopo Troia ti vedrà maritato’’ (vv. 161-164).
11. MUSEO
Di Museo non rimangono notizie biografiche, se non quelle legate alla sua
opera più famosa, l’epillio Ero e Leandro.
Da un’analisi del testo possiamo comprendere che Museo era senza dubbio
un estimatore di Nonno, ma anche un profondo conoscitore delle Sacre
Scritture.
Forse Museo è il giovane letterato a cui si rivolge il retore Procopio di Gaza in
alcune lettere; ciò significa collocare Museo tra il V e il VI secolo d.C., una
collocazione non troppo distante dalla realtà.
LE OPERE
Museo è passato alla storia soprattutto per il suo epillio Ero e Leandro, che
secondo alcuni critici rappresenta ‘’l’ultima rosa prodotta nel morente giardino
della letteratura greca’’ (Arminius Koechly, filologo attivo nel XIX secolo).
La storia narrata da Museo è quella dello sfortunato amore tra Ero e Leandro,
due giovani separati dall’Ellesponto (lui di Abido, lei di Sesto).
Ogni notte Leandro attraversa il mare per incontrare la sua amata, che gli
illumina la via accendendo una luce in cima ad una torre.
Una notte però il lume si spegne, facendo perdere Leandro, che muore
travolto da un mare in tempesta.
L’indomani Ero, vedendo il cadavere dell’amato sulla spiaggia, decide a sua
volta di suicidarsi.
Lo stile dell’epillio è molto accattivante, cosa che gli assicurò una fama
notevole (il testo è stato infatti tradotto i diverse lingue), anche se solo nel
XIX secolo questa toccò il suo apice.
Schiller ne fece una propria riscrittura in tedesco nel 1801, mentre nel 1810
Byron attraversò l’Ellesponto a nuoto in un’ora per poter rivaleggiare con
l’impresa di Leandro.
Il poeta epico Cristodoro (?-fine del V secolo d.C.) nacque nella Tebaide in
Egitto e visse al tempo del principato di Anastasio (491-518 d.C.).
Di lui sappiamo pochissimo, se non che fu autore di un Sugli uditori del grande
Proclo (del 485 d.C. circa) e di diversi ‘’patria’’, componimenti poetici misti,
riguardanti storia e mitologia.
Giunse a Bisanzio dopo il 497 d.C. e divenne il poeta di corte di Anastasio,
che lo incaricò di scrivere gli Isaurica, in 12 libri, in cui si parla delle vittorie
dell’imperatore sui pirati della Cilicia nel 491-498 d.C.
Cristodoro è autore anche dell’Ekphrasis delle statue presenti nel Ginnasio
pubblico detto Zeusippo, in 416 esametri; l’opera non ci dice in realtà molto a
livello descrittivo sul complesso termale, voluto da Settimio Severo, ma reso
da Costantino I il più ammirato della capitale.
Di lui ci sono pervenuti anche il poema Lydiaka e due epigrammi ; morì dopo
il 503 d.C.
LE OPERE
Pochi sono le notizie certe sulla vita di Macedonio Console (500-567 d.C.).
Nato sotto Zenone, egli riuscì a compiere una brillante carriera politica: fu
curator dominicae domus di Giustiniano e in seguito gli fu conferito il titolo,
ormai del tutto onorifico, di console.
Di lui ci sono rimasti 40 epigrammi (alcuni inseriti anche nel Ciclo di Agazia),
suddivisibili in sette categorie: 14 epigrammi erotici, 9 dedicatori, 5 epidittici
e ecfrastici, 2 protettrici, 4 simposiali, 5 scoptici e uno funerario.
- Epigrammi, V 240: come le api per fabbricare il miele hanno bisogno dei fiori,
così gli uomini per ottenere i doni di Afrodite hanno bisogno dell’oro.
‘’così per il miele di Venere/ l’oro è l’operaio più abile’’ (vv. 3-4).
- Epigrammi, AP IX 771: viene qui proposta una variante del mito dionisiaco.
- Epigrammi, AP XVI 107: viene qui descritta una statua di Icaro, talmente ben
fatta da spingere il poeta ad immaginare che questa si alzi e prenda il volo
per poi cadere come il figlio di Dedalo nel mito; ‘’Icaro, la cera ti uccise; ma ora
grazie alla cera/ lo scultore t’ha dato una nuova forma’’ (vv. 1-2).
LE OPERE
- Descrizione di Santa Sofia, 617-646: Paolo celebra la bellezza di Santa Sofia, dei
suoi ori e dei suoi argenti, degli elementi decorativi come i marmi policromi.
Una ricchezza non fine a se’ stessa, bensì segno tangibile della benevolenza
divina.
I pannelli di marmo di Santa Sofia vengono invece paragonati ad un prato.
‘’Come fiocchi di neve accanto a cupi bagliori/ la loro mista bellezza risvegliava la
pietra’’ (vv. 645-646).
- Epigrammi, AP V 250: si racconta qui del dolore della fanciulla che ama il
poeta, che dice di temere che questo lo lasci.
‘’Temo che tu mi lasci: voi uomini siete solo spergiuri’’ (v. 8).
- Epigrammi, AP X 74: epigramma sul valore della virtù, ‘’Salda e immutabile sta
la Virtù, sopra di lei/ attraversa fidente i flutti dell’esistenza’’ (vv. 5-6).
LE OPERE
- L’impotenza del male (Contacio XXI): questo contacio era in origine privo di
un titolo, furono gli editori ad assegnargli quello di ‘’Le potenze infernali’’.
Il protagonista del testo è proprio Satana, che spaventato da Cristo ricerca
l’alleanza dei Farisei e dei Giudei, che infine ottiene.
Ciò che caratterizza il testo è il fatto che Cristo rimanga sempre sullo sfondo,
lasciando ai suoi nemici diabolici il ruolo di protagonisti.
Cristo è definito ‘’ospedale’’ (Strofe 1, verso 1), in quanto porta salvezza per il
malato genere umano.
Il contacio, pieno di riferimenti ai Vangeli apocrifi non rinuncia al piacere
della poesia , si guardino i versi 1 e 2 della Strofe 13: ‘’Così l’ingannatore
rassicurò quegli empi,/ e piantò sulla sabbia le loro fondamenta’’.
- Novità della Santissima Madre di Dio (Contacio XXV): questo contacio, scritto
per celebrare la nascita della Vergine, riprende molte scene del cosiddetto
Protovangelo di Giovanni, un apocrifo che narra degli eventi miracolosi che
precedettero la nascita di Maria.
Il tutto si concentra su due elementi: la nascita di Maria da una donna sterile,
la madre Anna, e l’accostamento di questa a figure dell’Antico Testamento.
‘’La preghiera e il lamento di Gioacchino e Anna/ per sterilità e la mancanza dei figli
furono accolti,/ giunsero alle orecchie del Signore e fecero germogliare il frutto che
reca al mondo la vita’’ (Strofe 1, vv. 1-3).
Nell’ultima Strofe, l’undicesima, Romano dice che Dio da pace al popolo
‘’proteggendo i sovrani devoti’’ (v.4): da questo passo è possibile comprendere
che il contacio venne scritto nel periodo in cui Giustiniano era stato associato
al trono dallo zio Giustino I (518-527 d.C.).
Giovanni di Gaza (VI secolo d.C.) proveniva da una città, Gaza ovviamente,
che nel corso del V e del VI secolo d.C. era divenuta un vivace centro
culturale.
Si parla addirittura di una ‘’scuola di Gaza’’, all’interno della quale è
possibile ascrivere personaggi come il filosofo Enea, il retore Procopio e il suo
allievo Corcirio e per l’appunto il poeta Giovanni.
La sua fioritura avvenne nel corso del regno di Giustiniano I.
LE OPERE
- Inno Acastico: se Santa Sofia deve essere considerata la summa della civiltà
bizantina in ambito artistico-architettonico, questo stesso primato spetta
all’Inno, perfetto esempio di commistione tra tradizione classica e argomento
cristiano, in ambito letterario.
Il testo risulta difficilissimo da tradurre, in quanto ogni resa in un’altra lingua
va in qualche modo a tradire la versione originale, dal punto di vista formale
ma anche dottrinale.
L’Inno è composto da 24 Strofe: le stanze dispari sono più lunghe e
presentano un ‘’efimnio’’, un ritornello conclusivo; le stanze pari sono più
brevi e presentano un ritornello differente.
Nelle prime dodici strofe si trova un racconto dell’Incarnazione, mentre nelle
dodici finali un commento lirico a questo racconto.
‘’I retori dai lunghi discorsi muti come pesci/ vediamo innanzi a te, Madre di Dio;/
perché non riescono a dire come/ resti vergine pur avendo partorito’’ (Strofe XVII,
vv. 1-4).
Secondo alcuni giudizi Giorgio di Pisidia (fine del VI secolo-VII secolo d.C.)
fu ‘’l’ultima luce della civiltà letteraria dell’antichità’’, dopo il quale Bisanzio
sarebbe caduta nella desolazione della lotta iconoclasta.
Nato ad Antiochia di Pisidia (nel cuore dell’Anatolia, vicino a Miriocefalo),
Giorgio divenne diacono di Santa Sofia e in seguito referendario (nunzio
patriarcale) dell’imperatore Eraclio I (610-641 d.C.).
Divenne amico del patriarca Sergio I (610-638 d.C.), celebre per aver guidato
la difesa della capitale durante l’assedio avaro del 626 d.C., e in seguito
Giorgio partecipò a diverse campagne persiane di Eraclio.
Nella prima fase della sua attività poetica, tra il 620 e il 630 d.C., Giorgio fu il
principale panegirista di Eraclio, verso il quale nutriva una sincera
ammirazione, dovuta al trionfo raccolto dal sovrano contro il secolare nemico
persiano e condivisa dalla maggior parte della popolazione dell’Impero.
Nella seconda parte, dal 630 d.C. fino alla morte (la cui data è ignota), Giorgio
cominciò a dedicarsi ad opere di argomento teologico e morale; l’Esamerone è
il capolavoro di questa fase.
Il mutamento subito da Giorgio fu molto probabilmente causato dall’avvento
della minaccia araba, che non fu affrontata dal vecchio e malato Eraclio, bensì
da generali mediocri e incapaci di affrontare il nuovo e pericoloso nemico.
LE OPERE
- O fortuna, Alla vita umana vv. 1-22 e 59-90 (esametri): il carme si concentra su
un argomento classico, l’assurdità del comportamento degli uomini, che non
comprendono l’inconsistenza dei beni terreni.
Nella prima parte del carme (1-22) si dice che il diavolo, ‘’Ares vestito di carne’’
(v. 5), si nasconde dietro le azioni degli uomini peccatori; nella seconda parte
del carme (23-58) il poeta chiama in causa la Virtù perché testimoni la
debolezza umana; nella terza (59-90) viene invocata la Vergine affinché aiuti il
poeta a riportare quei sogni che ingannano gli uomini.
La terza parte, in cui la vita umana viene paragonata ad un sogno, è senza
dubbio quella più piacevole: ‘’poiché spesso il sonno, con la visione d’un potere
regale,/ rapisce l’uomo stolto, addormentato in fantasmine inani/ gli affida un
esercito e, radunata un’inferma ricchezza,/ lo persuade a tenere lo scettro fra le sue
misere mani,/ distendendo sulle sue tempie un irreale splendore’’.
Nato a Damasco nel 660 d.C., Andrea (660-740 d.C.) entrò nel monastero del
Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove perfezionò la forma poetica del
‘’canone’’.
In seguito si trasferì a Costantinopoli, dove divenne diacono e grande
orfanotrofo, ovvero direttore dell’Orfanotrofio, l’istituzione imperiale
preposta al mantenimento e all’educazione degli orfani.
Nel 711 d.C. venne nominato metropolita di Creta, ma in seguito venne
esiliato a Mitilene perché in contrasto con la politica iconoclasta di Leone III
(717-741 d.C.).
Morì a Mitilene nel 740 d.C.
LE OPERE
- Il mio peccato mi sta sempre dinanzi, Grande Canone, I Strofe 5-7: l’espressione
‘’εις τυπον του Χριστου’’ (lett. ‘’a immagine di Cristo’’), è usata per indicare
Giuseppe come allegoria e prefigurazione di Cristo.
‘’Dai suoi congiunti l’anima giusta fu tradita, fu venduta/ in schiavitù – il dolce
Giuseppe prefigurazione di Cristo;/ ma tu, anima mia, tutta intera fosti venduta dai
tuoi mali’’ (vv.165-167).
Il periodo della lotta iconoclasta fu uno dei più drammatici nella storia
dell’Impero Bizantino: minacciato da invasori esterni, gli Arabi; dalla rivalità
con l’Occidente franco, che si voleva erede di Roma; dalle lotte interne tra
iconoclasti be iconoduli.
Se l’Impero riuscì a risollevarsi, ponendosi nuovamente come erede della
Classicità, fu merito anche di personaggi come Teodoro Studita (759-826
d.C.).
Nato a Costantinopoli, Teodoro subì l’influenza dello zio materno Platone,
abate di Sakkudion in Bitinia, che favorì la sua vocazione monastica.
Durante il suo periodo in Bitinia l’indole polemica di Teodoro ebbe modo di
esprimersi: egli espresse il suo dissenso per la scelta di Costantino VI di
ripudiare la moglie e sposare una sua dama di corte.
Lasciata la Bitinia e ritornato nella capitale, Teodoro entrò nel monastero di
Studios, che grazie alla sua opera divenne il fulcro dell’ortodossia e, nei
secoli IX e X d.C., il principale centro di diffusione di cultura di tutto
l’Impero.
Quando sotto Leone V l’Armeno riaprì la lotta iconoclasta Toedoro tornò a
guidare il filone ortodosso con un’intransigenza che gli costò l’esilio nell’isola
dei Principi, dove morì nell’826 d.C.
LE OPERE
- Per la sposa di Leone: epitafio composto da Teodoro per una certa Anna, sposa
di Leone.
‘’Perciò anch’ella coltiva la speranza/ di correre un giorno al cielo, da Cristo stesso,/
quando Lui tutti gli uomini verrà a giudicare’’ (vv.6-8).
LE OPERE
Nel panorama del ‘’secondo iconoclasmo’’ (815-843 d.C.) Michele fu uno dei
personaggi che contribuì alla vivacità culturale.
Egli scrisse un Manuale di Sintassi, dedicato alle regole di costruzione della
frase, ma si dedicò anche alla poesia.
Tra la metà del IX secolo e l’inizio del X secolo d.C. si produsse a Bisanzio un
movimento di rinascita culturale definito ‘’Umanesimo bizantino’’.
In poesia questa rifioritura significò nuovo impulso per il genere
epigrammatico, caratterizzato da una ripresa di moduli classici e dal
confronto con i grandi modelli tardoantichi come Gregorio di Nazianzio,
inventore della poesia cristiana in versi profani.
Leone il Filosofo (790-869 d.C.), ritenuto da Paul Speck ‘’l’uomo più colto del
suo secolo’’, fu un intellettuale versato nelle scienze astratte e in quelle
applicative.
A lui il Cesare Bardas (816-866 d.C.) affidò il compito di riorganizzare la
cosiddetta Università di Costantinopoli (la sede era la sala della Magnaura,
un grande edificio vicino al palazzo imperiale), di cui fu anche nominato
rettore.
I suoi epigrammi sono raccolti nell’Antologia Greca, ma di suo ci è pervenuto
anche un poemetto satirico contro un medico incapace.
Cometa (VIII-IX secolo d.C.) fu il titolare della cattedra di grammatica
all’Università della Magnaura; da alcuni suoi epigrammi sappiamo che curò
una traslitterazione in minuscolo dell’Iliade e dell’Odissea.
Anastasio Balbo (identificabile con Anastasi Questore, IX-X secolo d.C.) è un
personaggio di cui sappiamo molto poco, se non che ottenne la carica di
questore a Costantinopoli nel 907 d.C.
Costantino Siculo (IX secolo d.C.) è un autore di anacreontiche vissuto al
tempo di Leone il Filosofo.
Con lui disputò Teofane, talvolta identificato con il Santo (758-818 d.C.)
autore di una Cronaca, o con l’innografo morto nell’845 d.C.
Gli epigrammi di questi autori sono inclusi nel XV libro dell’Antologia Greca,
che ospita una silloge di epigrammisti del IX-X secolo d.C.
Questi si rifanno allo stile di Gregorio di Nazianzio sia a quello di Nonno di
Panopoli (di quest’ultimo in particolar modo la Parafrasi).
Questi autori hanno duplice obiettivo: rifarsi al registro espressivo degli
antichi poeti classici, ma avere come materia dei contenuti cristiani.
A citazioni esplicite di modelli pagani, seguono addirittura delle evidenti
riprese della lingua omerica.
Risulta dunque evidente la volontà di recuperare la tradizione classica.
- Cometa (AP XV 38): epigramma utile perché ci informa del suo lavoro
sull’Iliade e l’Odissea.
‘’Quando io, Cometa, trovai i libri di Omero/ corrotti e privi di interpunzione,/ li
restaurai interpungendoli con arte’’ (vv. 1-3).
- Costantino Siculo (AP XV 13): una cattedra prende voce e ordina ai dilettanti
di stare lontano dalla poesia (la Musa).
‘’Siedi se sei davvero un sapiente; ma se la Musa/ l’hai sfiorata appena col dito, va
via, indotto!’’ (vv. 1-2).
25. CASSIA
LE OPERE
- Idomelo della peccatrice: in questo tropario (un inno breve tipico della liturgia
bizantina) Cassia riprende l’argomento che Romano il Melodo aveva trattato
nel suo decimo contacio.
Se Romano rende impossibile al lettore provare empatia per la peccatrice, al
contrario Cassia identifica la peccatrice a Maria Maddalena.
‘’La moltitudine dei miei peccati e l’abisso dei tuoi giudizi/ chi saprà ripercorrere, o
Redentore di anime, mio salvatore?/ Non disprezzare me, la tua serva, Tu che
possiedi immensa misericordia’’ (vv. 16-18).
Ogni tentativo di identificare Cristoforo (IX secolo d.C.) sono risultati inutili,
sappiamo solo che egli fu ‘’protasecretis’’, ovvero capo della cancelleria
imperiale.
Egli è autore di due anacreontiche contenute nel codice Vaticano Barberiniano
310, le quali alludono alla conversione forzata degli Ebrei voluta
dall’imperatore Basilio I (867-887 d.C.).
Il tema è davvero molto interessante, perché sono rarissime le occasioni in cui
il potere bizantino attuò delle politiche antisemite: solo al tempo di Eraclio,
di Leone III e di Basilio I si attuarono vere e proprie persecuzioni (nonostante
il Secondo Concilio di Nicea del 787 d.C. avesse proibito le conversioni
forzate).
27. ARETA
LE OPERE
Nativo di Lindo, nell’isola di Rodi, Costantino Rodio (IX-X secolo d.C.) visse
sotto il regno di Leone VI (886-912 d.C.) e di Costantino VII Porfirogenito
(913-959 d.C.).
Durante il regno di quest’ultimo compose la sua Descrizione della Chiesa dei
Santi Apostoli, un testo di 981 dodecasillabi che si riallaccia al filone tardo-
antico del genere ecfrastico.
Si tratta di un’opera molto interessante sia dal punto di vista stilistico-
letterario sia da quello storico-archeologico.
Vengono infatti descritte le ‘’sette meraviglie di Costantinopoli’’, argomento
che si rifà alla descrizione delle sette meraviglie di Roma, che a sua volta si
rifaceva al più celebre epigramma di Antipatro di Sidonia (170-100 d.C.)
sulle sette meraviglie del mondo.
Di Costantino possediamo anche tre epigrammi contenuti nel libro XV
dell’Antologia Palatina, un’invettiva contro Leone Cheresfatta in 34 giambi
composti in stile aristofanesco.
Sembra inoltre che egli abbia partecipato attivamente alla realizzazione
dell’Antologia Greca.
- Le colonne gemelle, Descrizione delle opere d’arte e della Chiesa dei Santissimi
Apostoli a Costantinopoli, vv. 202-254: l’ultima parte del lunghissimo proemio
dell’opera (ben 254 versi) Costantino ricorda la sesta e la settima meraviglia
della città: le colonne gemelle di Teodosio e Arcadio (395-408 d.C.).
Il confronto tra quanto dice il poeta e la realtà storico-architettonica risulta
però impietoso, sopratutto se si pensa che i due monumenti (ammiratissimi
anche dai visitatori stranieri) vengono entrambi erroneamente attribuiti ad
Arcadio.
La ‘’colonna del Tauro, splendida anch’essa,/ che l’inclito Arcadio un tempo elevò’’
(vv. 202-203) fu in realtà costruita da Teodosio I il Grande (379-395 d.C.) nel
386 d.C.
I ‘’barbari Sciiti’’ (v. 209) la cui sconfitta è descritta nei rilievi della colonna non
sono altro che i Grutungi, una popolazione gotica sconfitta da Teodosio nel
386 d.C.
Lo ‘’Xeropholos’’ (v. 242) è il nome della colonna di Arcadio (Costantino gliela
attribuisce giustamente stavolta), costruita tra il 403 e il 421 d.C. per celebrare
la vittoria dell’imperatore sul generale ribelle Gainas.
LE OPERE
Di Leone Magistro restano solo alcuni epigrammi, dei carmi religiosi e delle
anacreontee (genere in cui era molto portato).
La sua anacreontea più celebre è Per le terme fatte costruire nel palazzo imperiale
dall’imperatore Leone, un interessante connubio tra il genere lirico e quello
ecfrastico.
L’argomento è assolutamente originale: i Bizantini , veri eredi della Romanità,
amavano le terme.
Anche Leone VI fece costruire delle terme, non di uso pubblico, bensì un
complesso privato di dimensioni ridotte, a uso proprio e di una ristretta
cerchia di amici e familiari.
Fra le meraviglie presenti nell’edificio spiccano gli automi, oggetti meccanici
in grado, se caricati, di emettere suoni e di compiere dei movimenti.
- Per le terme fatte costruire nel palazzo imperiale dall’imperatore Leone: gli automi
sono detti ‘’πνευματικα’’.
‘’Poi, ai piedi del sovrano,/ tra verdi ramoscelli, si lava/ un uccello dal trillo
melodioso/ cinguettando dolci melodie’’ (vv. 63-66).
LE OPERE
LE OPERE
- Inno IV: come un vero mistico illuminato da Dio, Simeone riflette in maniera
limpida sulla vanità delle cose del mondo.
Per Simeone vincere le seduzioni del mondo significa essere consapevoli che
quella con la vanità è una lotta quotidiana: solo conducendo una vita retta,
basata sul rifiuto del peccato, Dio si mostrerà all’uomo.
‘’Non badare a null’altro al di fuori di questo;/ persino il tuo corpo consideralo come
un estraneo/ e, come un condannato, tieni in basso la sguardo’’ (vv. 6-8).
LE OPERE
- Gli orrori della guerra, De Creta Capta vv. 307-401: il tono che accompagna la
narrazione di Teodosio è senza dubbio l’accuratezza nei vocaboli militari.
‘’Niceforo mosse gli arieti e le testuggini,/ le catapulte che scagliano massi e le
composizioni tremende/ di scale non connesse contro di loro’’ (vv. 325-327).
- A Salomone Cartulario (carme 2): viene preso di mira un certo Salomone, che
a dispetto del nome può vantare ben poca saggezza.
‘’Coraggio Salomone, nel giudizio tu l’avrai:/ sei meno saggio dei neonati e dei
bambini’’ (vv. 4-5).
- Al mendicante Leone (carme 29): viene qui ridicolizzato un tale Leone, la cui
vita di povertà lo fa assomigliare, senza volerlo, ad un apostolo.
‘’Una vita da apostolo vivi, Leone, senza volerlo!’’ (v. 3).
- A Lazzaro (carme 80): viene qui lodato Lazzaro, perché mantenne il segreto
sui misteri dell’oltretomba.
‘’Fu un ringraziamento per la grazia della resurrezione,/ il non dir nulla, nulla
davvero di quanto è laggiù’’ (vv. 5-6).
- Al monaco Andrea (carme 114): con l’acutezza del miglior Luciano (120-
180/192 d.C.) Cristoforo prende in giro un collezionista di improbabili
reliquie.
‘’Tu dici, o venerabile, di avere sessanta denti,/- una vera scemenza- di Tecla la proto-
martire/ e del Sommo Precursore le chiome canute’’ (vv. 30-32).
- La neve: un enigma.
‘’Se pure mi stringi in mezzo alla mano,/ io fuggirò lasciandola vuota’’ (v. 4).
- Le ore dell’orologio:
LE OPERE
- Per Platone e Plutarco (Carmi, 43): Giovanni chiede qui a Cristo che salvi
dall’Inferno le anime di due pagani, Platone (428/427-348/347 d.C.) e Plutarco
(46/48-125/127 d.C.), affinché anche essi possano così godere della Salvezza.
‘’Se non seppero che tu sei il Dio di tutti,/ c’è solo bisogno della tua magnanimità,/
con cui gratuitamente tutti vuoi salvare’’ (vv. 6-8).
- Per se’ stesso, a Cristo (Carme, 89): il poeta, commosso, ringrazia Dio per
avergli concesso una vita lunga e felice.
‘’Portami, conducimi, mio Verbo,/ saldo, inconcusso e senza turbamento,/ restando
dentro nei limiti fissati’’ (vv. 29-31).
- Per i libri corretti: vengono qui ricordate le fatiche nel copiare ed emendare i
libri e si invoca la preghiera a Dio come rimedio.
‘’Ai libri io ho reso un buon servizio….Ho risanato le malattie di quelli/ ma io sto
male e perso la salute’’ (vv. 1, 3-4).
LE OPERE
- Contro un monaco Sabbaita (Carmi, 21): l’attacco che questo anonimo monaco
del convento di San Saba (presso Gerusalemme) fece a Psello, viene rievocato
da quest’ultimo anche in una sua lettera a Giovanni Mavropode.
Per vendicarsi di questo affronto Psello scrive una lunga invettiva in cui va a
prendere di mira i difetti del rivale, accusato di possedere una natura
perversa (‘’Tu che per natura sei un ibrido di contrari’’, v. 9), di essere l’opposto
dei grandi personaggi dell’Antico Testamento.
Nella conclusione si nasconde però l’attacco più duro: il sabbaita, proprio
come Tersite nell’Iliade, deve essere grato a Psello, perché con la sua invettiva
gli ha garantito una sgradita e imperitura fama.
‘’E tu potresti vantarti ed essere colmo d’orgoglio,/ poiché nei miei giambi sei messo
in ridicolo:/ anche Tersite, infatti, se mai fosse esistito,/ non avrebbe disdegnato
Calliope/ che in versi lo mise melodiosamente in ridicolo,/ ma avrebbe amato
moltissimo quella commedia’’ (vv. 316-321).
- Il prologo e l’arresto di Cristo, vv. 1-30 e 148-187: la vicenda della Passione non
è certo priva di fascino tragico: narra della virile accettazione di un fato sovra-
umano.
Nonostante il materiale però, l’opera non può certo definirsi un capolavoro, e
questo a causa della presenza di interi passi presi dai grandi capolavori della
tragedia classica, proprio quell’aggiunta che il compositore aveva senza
dubbio considerato come la parte privilegiata del suo lavoro.
2) L’ultima cena e l’arresto di Cristo: un messo racconta a Maria del discorso che
Gesù rivolse a Dio nell’orto del Getsemani.
‘’E Dio Padre di nuovo parlò con voce umana,/ svelando la gloria di Cristo con un
grido che percorse il cielo:/ <<Già prima ti ho glorificato, ora ti glorificherò ancora di
più>>’’ (vv. 170-172).
Stando a quanto dice Teodoro Prodromo, Nicola Callicle (fine del XI secolo-
metà del XII secolo) fu un medico e un professore di medicina, attivo nella
capitale, che ebbe tra i suoi pazienti anche personaggi di altissimo livello
della corte.
Il più illustre dei suoi pazienti fu senza dubbio l’imperatore Alessio I
Comneno (1081-1118), morto a causa di un’incurabile malattia di natura
polmonare.
I carmi di Nicola, in totale 31 o 32 componimenti, forniscono interessanti
informazioni sui rapporti di amicizia che egli intrattenne con la famiglia dei
Paleologi.
Secondo alcuni egli compose anche il Timarone, un dialogo pseudo-lucianeo
in cui si racconta il viaggio del protagonista nell’Ade.
Le sue composizioni non sono caratterizzate da originalità, ma da brevità e
raffinatezza formale, e si richiamano ai grandi modelli tardoantichi, in primo
luogo Gregorio di Nazianzio.
- Carmi, XXIII: nel carme, intitolato ‘’Per l’immagine di Cristo Salvatore ornata da
Anna Duca, il poeta attua un climax che lo porta dalla descrizione di
un’immagine alla contemplazione del mistero di Cristo.
‘’Ma, o Signore, proteggi me Anna e Alessio/ Paleologo, mio sposo,/ me Comnena,
pansebastos della stirpe dei Duca’’ (vv. 10-12).
LE OPERE
- Sulla varietà dei poeti: versi che ci spiegano cosa fosse divenuto a Bisanzio lo
studio della poesia antica.
‘’Del lirico ciclo ecco l’insieme:/ Corinna, Saffo, Bacchilide, Pindaro,/ Anacreonte,
Ibico, Alcmane, Alceo,/ Stesicoro e insieme Simonide,/ nobile decade perfettamente
compiuta’’ (vv. 18-22).
Come per molti altri autori, anche per Teodoro Prodromo (1110-1156/1158/
1180) la fonte principale per la biografia risultano essere le sue stesse opere,
in cui parla molto, e spesso eccessivamente bene di se’.
Nato a Costantinopoli da una famiglia agiata, sappiamo che fu allievo di
Stefano Scilitze e di Michele Italico, che lo avviarono agli studi filosofici e
letterari.
Si dedicò poi all’insegnamento (Niceta Eugeniata, che scrisse una toccante
monodia per la sua morte, fu suo allievo), senza però che questo gli
impedisse di avere contatti a corte.
Fu amico della sebastocratorissa Irene, moglie di Andronico Comneno (figlio
secondogenito di Giovanni II Comneno), ed entrò nel suo circolo letterario.
Morì di vaiolo nel 1156/1158 per alcuni, nel 1180 per altri.
LE OPERE
Teodoro fu uno scrittore molto prolifico, che si dedicò a numerosi generi della
prosa e della poesia.
Scrisse dialoghi alla maniera di Luciano (120-180 d.C.), autore che riportò in
auge a Costantinopoli, e anche un romanzo in versi intitolato Rodante e
Dosicle, in nove libri per un totale di 4614 endecasillabi.
Scrisse anche la Catiomiomachia, la Battaglia dei gatti e i topi, che si rifà alla
pseudo-omerica Batracomiomachia.
Scrisse un dialogo filosofico sull’amicizia e anche molte poesie di argomento
religioso, encomiastico e satirico (in esametri e giambi).
Merita un menzione a parte le composizioni satiriche in lingua demotica
intitolate Ptochoprodromica (‘’Composizioni di [Teodoro?] Prodromo il pitocco’’),
in cui il poeta narra della difficoltà dei problemi di tutti i giorni.
Gli epigrammi tetrastici (7a-7b,9a-9b) sulla vita di Gregorio di Nazianzio sono
invece da collocare all’interno di una più vasta controversia religiosa apertasi
nel 1081, al tempo di Alessio I Comneno.
Si erano infatti formate a Costantinopoli delle fazioni che si scontravano sulla
gerarchia dei padri della chiesa: chi sosteneva il primato di Giovanni
Crisostomo, chi quello di Gregorio di Nazianzio e chi quello di Basilio di
Cesarea.
Si sfiorò lo scisma, evitato grazie ad Alessio I, che per mitigare gli animi
incaricò Giovanni Mavropode di istituire una festa in cui i tre fossero
celebrati assieme (il 30 Gennaio).
Nei suoi componimenti Giovanni va a spiegare quanto sciocche siano queste
dispute.
- Epitafio per Teodora, nuora del fortunatissimo Cesare Niceforo Briennio: lo stile
raffinato di Teodoro emerge chiaramente nella composizione funeraria per
Teodora, figlia di Anna Comnena (1083-1153) e Niceforo Briennio.
Nel testo oltre ad Anna, viene ricordata anche Irene Sebastocratorissa, donna
di grande liberalità.
‘’Irene, famosa fra le donne,/ abisso spalancato di elargizioni inesauribili...ancora
dopo di lei ma simile a lei nei costumi/ il vanto dei Doukas, la saggia Anna,/ mente
retta, dimora delle grazie’’ (vv. 38-39, 42-44).
- Per Gregorio poeta di versi epici, a causa del divieto di Giuliano che i cristiani
leggessero Omero: si ricorda in questi epigrammi l’editto di Giuliano l’Apostata
che vietava ai Cristiani di insegnare.
‘’Giuliano perché mi vieti i discorsi/ e mi togli la Calliope di Omero’’ (9a).
‘’Cristo è molto più forte delle funeste dee./ Possa io recitare Gregorio: tu nascondimi
pure tutti gli Omeri’’ (9b).
LE OPERE
L’opera più famosa di Costantino è la sua Cronaca in 6733 versi politici, in cui
racconta la storia del mondo in compendio dalle origini fino alla morte di
Niceforo Botaniate nel 1081.
Egli scrisse anche un romanzo in versi, Aristandro e Callitea, anche se dei nove
libri originali non restano che vasti frammenti.
La sua opera più originale è però l’Hodoiporikòn, un testo unico nella
letteratura bizantina (e greca), paragonabile solo ai Discorsi Sacri di Elio
Aristide.
Nel testo si racconta dell’ambasciata del 1160, ma lo spazio per le descrizioni
dei luoghi è molto scarso, e a prevalere sono l’egocentrismo e l’ipocondria
dell’autore.
- Vita di Oppiano: scritta in versi politici, questo resoconto della vita del poeta
Oppiano di Apamea (III secolo d.C.) ci ribadisce che la poesia era usata a
Bisanzio spesso a scopo didattico.
‘’Oppiano il poeta era cilicio di nascita...nato da genitori illustri, tre volte beati……..
uomo dotato di educazione e saggezza/ la più vasta e la più sublime’’ (vv. 1, 3, 5-6).
LE OPERE
LE OPERE
- Lamento sulla perduta gloria di Atene: il testo, proprio per il suo sentore
nostalgico, ebbe una grande fama in Europa tra il XIX e il XX secolo.
Il poeta non si dispiace per la corruzione dei monumenti, che al suo tempo
erano ancora tutti intatti, bensì per la fine della civiltà classica, di cui non
restano che tracce.
‘’Io soffro davvero la pena degli innamorati,/ i quali non potendo vedere coi loro
occhi/ l’aspetto di coloro che amano,/ ne guardano solo l’immagine, e col pensiero/
mitigano la fiamma del loro dolore’’ (vv. 8-12).
I POETI SICULO-BIZANTINI
- Carme XI: si tratta di un dialogo di uno straniero con Ero e Leandro, che
però non si presentano come una coppia di amanti sconsolati, bensì felici che
nella morte abbiano potuto cominciare una nuova vita assieme.
‘’Ci dilettiamo d’un tenero amore senza paura dei genitori,/ né del mare pieno di
amarezza’’ (vv. 23-24).
- Carme XII: Apollo dialogando con uno straniero rievoca l’amore per Dafne.
‘’La inseguo e inseguendola non la raggiungo:/ è più veloce di me nella corsa/ e non
riesco a prenderla in nessun modo’’ (vv. 22-24).
- Carme XIII: viene qui rievocato il tradimento del comune di Parma (1247),
che venne meno agli accordi con Federico II, che cercava di rimettere in
comunicazione diretta la Germania e l’Italia.
La città venne posta sotto assedio , ma nel 1249 gli assedianti riuscirono a
sconfiggere l’esercito imperiale, facendo venire meno i sogni del sovrano, che
morì l’anno seguente.
Parma merita dunque il nome di ‘’Palma’’ per il poeta, che attinge all’originale
significato greco della parola ‘’παλμα‘’ (lett. ‘’instabile’’) per sostenere che la
stabilità delle alleanze di Parma non è solida.
‘’Sei ammalata poveretta, del morbo dell’infedeltà,/ - i tuoi abitanti si sono ribellati /
per i consigli di uomini senza Dio’’ (vv. 8-10).
LE OPERE
La sua opera più importante è la Cronaca, una narrazione dei fatti dal 1203 al
1261, una fonte molto importante perché si sforza di essere imparziale anche
nei confronti dei Latini.
Scrisse anche trattati di Teologia (prima del Concilio di Lione) , mentre come
poeta la sua opera più celebre è l’Epitafio per Irene Comnena.
LE OPERE
- Sulla natura degli animali: l’opera è composta da 2015 versi politici e riprende
il titolo dell’opera di Eliano (170/165-235 d.C.).
Il testo si colloca in continuità con un tradizione classica dunque, che trovò
nel Medioevo una nuova vita con la produzione di bestiari.
L’opera di Manuele, e in generale tutti questi tipi di testi, non sono
caratterizzati dall’accuratezza scientifica, quanto piuttosto dal gusto per
l’esotico e il meraviglioso.
Lo stile dell’opera è scorrevole, fatta eccezione per le parti proemiali, rese
oscure dalle metafore.
‘’Un’isola nutre gli aironi:/ che nobilitano essi stessi la propria stirpe’’ (vv. 152-153).
LE OPERE
Gli scritti del Pediasimo sono numerosi ed eterogenei, anche se senza dubbio
i suoi interessi furono principalmente di tipo scientifico (medicina e
matematica soprattutto); si occupò anche di filosofia, scrivendo dei commenti
ad Aristotele.
Scrisse anche opere di retorica e letteratura.
- Versi su una donna malvagia e perversa I/ Versi sulla donna buona e virtuosa II:
nella letteratura antica e in quella bizantina, la misoginia è senza dubbio un
tema costante.
Partendo da Elena e Clitemnestra, passando per la Pandora di Esiodo e
arrivando alla patristica, i motivi di accusa contro le donne rimasero per lo
più invariati.
Il poemetto di Giovanni è dovuto al fatto che esso riprende lo schema retorico
αντισκευη-κατασκευη, basato sull’equilibrio tra una posizione e la risposta a
questa.
Quindi in questi dodecasillabi il vero merito del poeta è soprattutto quello di
aver cercato di rendere più interessante un tema stupido e insensato.
‘’La donna malvagia è per gli uomini un naufragio;/ infermità mentale inguaribile
sotto lo stesso tetto’’ (vv. 1-2, I).
‘’La donna virtuosa è navigazione senz’onde per lo sposo;/ forza a lui affine, che non
viene meno’’ (vv. 1-2, II).
49. LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI
Gli eventi che portarono alla caduta di Costantinopoli nel 1453 vennero da
molti inquadrati nell’alveo dello scontro tra Cristianesimo ed Islam, in quello
della lotta fra la civiltà e la barbarie.
A lungo si è cantato delle brutalità atroci compiute dai Turchi nel momento
in cui presero la città, e di come queste furono qualcosa di inconcepibile e mai
visto prima.
Nonostante la tremenda violenza, talvolta veramente gratuita, con cui nella
norma agivano i Turchi sia qualcosa di verificato a livello storico, non si deve
pensare che quando i crociati presero Bisanzio nel 1204 non compirono
violenze paragonabili.
Gli stessi Bizantini si erano macchiati di violenze atroci, come quelle narrate
da Teodosio Diacono nel suo De Creta Capta, in cui si racconta di come gli
assalitori bizantini lanciarono le teste mozzate dei prigionieri nella città
assediata.
Paradossalmente l’esercito turco si macchiò di crimini spaventosi a danno dei
civili proprio mentre era guidato da uno dei sultani più europei e colti:
Maometto II il Conquistatore (1451-1481).
Figlio di Murad II (1421-1451), Maometto II parlava cinque lingue, amava la
filosofia ed era appassionato di storia e poesia a tal punto da voler visitare le
rovine di Troia e voler ripetere le gesta di Alessandro Magno.
Questa formazione, unita ad un inconsueto fanatismo religioso lo spinsero
forse a desiderare sopra ogni cosa la distruzione definitiva dell’Impero
Bizantino e la presa di Costantinopoli.
Contro di lui si stagliò eroicamente Costantino XI Paleologo (1449-1453),
figlio di Manuele II Paleologo (1391-1425), egli aveva combattuto in Morea
contro i potentati cattolici e poi anche contro i Turchi in Beozia.
Costantino guidò la resistenza della città in prima persona, perdendo la vita
presso la porta San Romano, mentre cercava di impedire ai Turchi di dilagare
in città.
Il suo cadavere non fu mai trovato: alcuni sostengono che Santa Sofia si aprì e
ne fece scomparire il cadavere, altri che il suo spirito ritornava nella notte a
cavallo per combattere i nemici.
A questo eroe romantico si accompagnava il mercenario genovese Giovanni
Giustiniani Longo (1418-1453), che guidò un manipolo di duemila uomini
nella difesa della città.
Ferito durante l’assalto finale , decise di fuggire a Chio, macchiando l’eroismo
che aveva contraddistinto la sua difesa con un gesto che gli abitanti
marchiarono come tradimento.
La presa di Costantinopoli fu raccontata in poesia attraverso il genere dei
‘’lamenti’’.
Contraddistinti da una lingua molto vicina a quella del parlato, i lamenti, per
lo più anonimi, appartengono ad un genere molto diffuso a Bisanzio, che si
richiamava alla letteratura antica (caduta di Troia) e alle lamentazioni di
Geremia sulla caduta di Gerusalemme.
LE OPERE
L’opera poetica di Filelfo, tanto quella in greco quanto quella in latino, è poco
studiata.
Ciò che lo distingue dagli altri umanisti italiani è la sua facilità di versificare
in greco, dimostrando una conoscenza della lingua classica e della metrica
antica realmente notevole.
Nella sua Psychagogia egli cerca di rievocare le forme antiche, riuscendoci a
metà forse, ma comunque compiendo un tentativo davvero notevole.
L’opera contiene solo carmi in greco, indirizzati ai potenti e riguardanti tutti
fatti d’attualità.
Di grande interesse è l’ode saffica, accompagnata da una lettera, dedicata a
Maometto II, a cui l’umanista chiedeva di lasciare libere la madre della
moglie e le sue figlie.
Facendo leva sul grande interesse che il sultano nutriva per la storia e la
letteratura antica (Maometto chiamava Atene ‘’la città dei sapienti’’ e si
circondò di artisti e poeti greci).
Nel 1454 il sultano lasciò libere le donne, che morirono tra il 1464 e il 1466 a
Creta.
- A Maometto, gran Signore e grande Emiro dei Turchi (Psychagogia, II 8): l’ode di
Filelfo suscitò ovviamente enorme scandalo tra gli intellettuali d’Europa, che
vedevano nel suo opportunismo un atto indegno, che andava a ritrarre in
modo positivo il conquistatore di Bisanzio.
Quello che però si deve ammettere è che Filelfo seppe toccare i tasti giusti,
specialmente quando andò a sostenere che Maometto era discendente dei
Troiani (cosa di cui anche il sultano era convinto davvero: arrivò a scrivere a
papa Niccolò II che anche i Romani erano discendenti dei Troiani).
‘’La tua gloria vince gli uomini antichi/ sia quelli degli illustri Greci, a tutti noti,/ sia
i Romani, quanti nei trionfi/ furono grandi’’ (vv. 13-16).