Dedico questo lavoro a tutte quelle persone che, con la loro presenza, vicina e lontana, ne hanno
reso possibile la realizzazione:
Ai miei nonni, il mio ricordo pi dolce, la cui presenza invisibile non smette di colorare la mia
vita.
A Giovanni, Chiara, Rossella, Roberto e Francesco, i miei amici pi cari, il mio sostegno
insostituibile.
A tutti coloro che, ogni giorno, continuano a lottare, perch il razzismo, l'ingiustizia di classe e
lo sfruttamento abbiano fine.
1
INTRODUZIONE
2
1. Cratino e il suo teatro
dall'istituzione degli agoni comici (486 a.C.) alla morte di Aristofane (385 a.C.). La biblioteca di
Alessandria conservava ben 365 commedie di quel periodo che rappresentavano, per, soltanto
una selezione rispetto alla produzione complessiva, poich stato calcolato che tra il 486 e il 385
furono rappresentate circa seicento commedie1. Di questa imponente produzione resta ben poco:
le undici commedie di Aristofane, tramandate per intero dai codici bizantini, e un'impressionante
quantit di frammenti di diversa ampiezza, alcuni di un solo verso, altri molto lunghi. La nostra
conoscenza dell'archaia, quindi, estremamente ridotta e si basa quasi del tutto sulle opere
conservate di Aristofane. Questa situazione ha, purtroppo, determinato per molto tempo, negli
studi moderni, la tendenza ad identificare tutta la produzione comica attica con l'esperienza del
solo Aristofane, quale rappresentante supremo del genere comico, superiore per qualit e
importanza a tutti gli altri commediografi di cui si ha traccia. La pubblicazione dei vari volumi di
Kassel e Austin (PCG Berlin-New York 1983-) ha, invece, favorito negli ultimi decenni un
aumento crescente dell'interesse per i testi frammentari, nonch un graduale abbandono, da parte
degli studiosi, di quella lettura 'aristofanocentrica', per molti aspetti dominante. Si tramandano,
del resto, i nomi di circa cinquanta commediografi del periodo dell'archia, alcuni dei quali
certamente personalit poetiche di grande prestigio, se solo si pensa alla celebre triade con cui
Orazio apre il quarto componimento del primo libro delle sue Satire: Eupolis atque Cratinus
aristofaneo non pu essere considerato come emblematico di tutta la commedia attica di quinto
secolo, perch essa si sviluppa fin dall'inizio in una miriade di stili e forme differenti.
3
La produzione comica di Cratino, come si vedr in questo studio, con le sue specifiche
peculiarit e la sua evidente originalit, non fa che contribuire a rinsaldare questa linea esegetica.
La carriera teatrale di Cratino, immediato predecessore di Aristofane, va posta tra gli anni
cinquanta del quinto secolo, quando il poeta riporta la sua prima vittoria, secondo una
testimonianza epigrafica2, e gli anni venti, sulla base del fatto che nella Pace (421) considerato
Il suo valore e la sua fama presso i contemporanei sono testimoniati proprio da Aristofane nella
parabasi dei Cavalieri, in cui si rimproverano gli Ateniesi di non prendersi cura del
commediografo, ormai vecchio e dedito al vino, che, invece, per l'elevata qualit della sua arte,
per lo straordinario slancio poetico delle sue parole, cantate anche nei simposi, e per le numerose
vittorie riportate, meriterebbe di essere mantenuto a spese pubbliche, di bere nel Pritaneo e
sedere ben pasciuto a teatro presso la statua di Dioniso4. Aristofane, quindi, pur invitando lo
scomodo rivale, barcollante e sempre ubriaco, a porre fine alla sua carriera ormai conclusa, non
pu non riconoscere e sottolineare l'originalit e la ricchezza della sua arte, una travolgente forza
della natura, un fiume in piena in grado di sradicare e trascinare con s querce, platani e
2 Cfr. IG II 2325.50. L'iscrizione riporta una lista di comici vincitori alle Dionisie e inserisce il nome di Cratino
subito dopo Eufronio, il vincitore del 458 (cfr. Olson 2007 p. 408). La notizia, per, non sicura, perch,
secondo un'altra testimonianza, la prima vittoria del commediografo ateniese va posta dopo la cinquantottesima
Olimpiade, cio negli anni 440/439-437/436: Anon. De com. (Proleg. de com. 3) p. 8 Koster:
.
3 Ar. Pax vv. 700-703: . ; ; . / . .
; . ; / / . Trigeo sostiene che
Cratino sia morto con un colpo secco al tempo dell'ultima invasione spartana dell'Attica, avvenuta nella
primavera del 425 (cfr. Th. 4.2.1); questa notizia, per, falsa, perch il commediografo sicuramente ancora
vivo nel 423, quando, com' noto, riporta il primo premio con la Damigiana nell'agone dionisiaco in cui le
Nuvole di Aristofane conquistano soltanto il terzo posto. Aristofane, quindi, in questo passo della Pace, allude,
forse, scherzosamente solo alla morte artistica del rivale (cfr. Mastromarco 1983 pp. 615-617 n. 73).
4 Ar. Eq. vv. 526-536: , / ,
/ /
, / . /
, / /
, / , ,
, / , / ,
. Aristofane nomina pi volte Cratino nelle sue commedie: Ach. vv. 848-853; 1166-1173; Eq. v.
400; Pax vv. 700-703; Ra. v. 357.
4
avversari.
Nonostante la grande notoriet ai suoi tempi, oggi, purtroppo, non possibile leggere nessuna
commedia di Cratino per intero, ma di lui si conserva un corpus di frammenti molto consistente,
Nell'ambito degli studi letterari moderni, se si escludono le diverse edizioni dei frammenti
comici e i numerosi articoli, via via citati nel corso di questo lavoro, che sono incentrati su
singoli aspetti linguistici, metrici o tematici e mancano, quindi, di uno sguardo d'insieme sul
modo di fare teatro di Cratino, le uniche monografie interamente dedicate all'opera di questo
autore sono tre: il lavoro di Pieters (1946), che un vero e proprio studio letterario su Cratino e
sui legami del suo teatro con la realt politico-sociale del tempo; la dissertazione di dottorato di
Luppe (1963), indubbiamente interessante per l'acume filologico che lo studioso d prova di
la pi aggiornata monografia di Bakola (2009), in cui la studiosa inglese tenta s di fornire una
con la tragedia ed il meccanismo satirico, ma, come spesso accade in questi casi, nel tentativo di
essere esauriente su tutte le tematiche, finisce per essere evasiva e superficiale su numerose
questioni. Di fronte ad un corpus frammentario cos vasto , infatti, a mio avviso, difficile
strutturali che contraddistinguono l'opera del commediografo ateniese. Per questa ragione, si
deciso in tal sede di prendere in analisi cinque commedie e di puntare l'attenzione su un singolo
aspetto che, sulla base del materiale conservato, parso il pi significativo e quello
maggiormente distintivo, vale a dire la satira politica e la funzione che essa si pone nell'ambito
5
del sistema politico-sociale dell'Atene del tempo, cio la democrazia periclea.
L'elemento che pi di altri caratterizza la commedia attica antica lo stretto legame con
l'attualit politica e sociale della ateniese, mediante una fittissima trama di riferimenti ad
komoden, l'attacco mosso in tutta libert contro i personaggi negativi pi in vista della citt 5.
L'onomast komoden, che trova il suo antecedente letterario nella giambografia arcaica, in
particolare in Archiloco e Ipponatte, diviene ben presto lo strumento primario attraverso cui i
commediografi esplicano il loro impegno politico e, nell'Atene del quinto secolo, assume
un'importanza particolare per via delle sue potenzialit eversive e della capacit di mettere a
rischio la stabilit del quadro istituzionale della citt, soprattutto nei contesti storico-politici pi
difficili6. L'autore della Costituzione degli Ateniesi pseudo-senofontea non esita a ricordare che il
regime democratico esercitava pressanti forme di condizionamento politico nei riguardi del
teatro comico e non permetteva che sulla scena si parlasse male del popolo o lo si ponesse in una
luce negativa; solo i cittadini pi influenti, e dunque i nobili e i ricchi, potevano essere messi alla
6
berlina, mai i poveri e i democratici, a meno che questi ultimi non risultassero in qualche modo
comica di Cratino, riconosciuto da Aristofane, nella parabasi dei Cavalieri sopra citata, quale
massimo esponente del filone comico 'impegnato' e 'politico'. Il commediografo ateniese, infatti,
ben consapevole della capacit, propria della commedia, di influenzare l'opinione pubblica, si
serve dell'onomast komoden in termini di vera e propria lotta politica, quale mezzo
indispensabile per colpire Pericle, il paladino della democrazia ateniese, ed il suo governo, sia
per via diretta che indiretta, con la parodia mitologica. Il materiale conservato, se pure non
permetta nella maggior parte dei casi la ricostruzione dell'intreccio comico, testimonia pi volte
chiaro significato politico, quale pretesto per portare violenti attacchi contro il noto statista.
Esemplari, sotto questo aspetto, sono senza dubbio la Nemesi e il Dionisalessandro, due
La Nemesi sfrutta la saga mitica della dea violentata da Zeus e madre di Elena, ma dietro la
figura del re degli di, definito e (fr. 118 K.-A.), possibile riconoscere Pericle, a
mito di Nemesi alla politica del primo cittadino ateniese risiede, forse, come argomentato in
seguito, nel fatto che il sostantivo funge nel quinto secolo da sinonimo di e
7
Il Dionisalessandro, invece, il solo dramma di Cratino di cui ricostruibile la trama, almeno in
linea generale, grazie alla presenza della hypothesis (vd. infra). Nella commedia il gioco delle
parti intricato e tutto l'impianto si regge sulla parodia del noto mito di Paride ed Elena: il
protagonista , infatti, un personaggio ibrido, Dionisalessandro, ossia Dioniso che, nelle vesti di
Paride-Alessandro, pronuncia il giudizio delle tre dee, assegna il premio di bellezza ad Afrodite,
rapisce Elena e scatena la guerra di Troia; come si evince dalla parte finale dell'argumentum,
per, dietro il dio del teatro, vile, codardo e responsabile della guerra troiana, si cela Pericle, che,
causa diretta del conflitto peloponnesiaco, viene assimilato ad una divinit per vanit ed
arroganza e posto accanto ad Elena, ipostasi della guerra nell'immaginario collettivo greco e,
forse, in questo caso specifico, assimilabile ad Aspasia, la nota cortigiana di Mileto, bersaglio
polemico ad Atene, in quanto meteca e legata allo statista da vincoli amorosi. Quando il
Dionisalessandro viene rappresentato (Lenee del 430; vd. infra), la guerra scoppiata da meno
di un anno e lo statista si reso ben presto impopolare con il suo piano strategico di difesa a
infatti, oltre a provocare gravi disagi psicologici, costringendo la maggior parte della
popolazione rurale a riversarsi in citt, ne causa anche di materiali, per via del sovraffollamento e
del manifestarsi della peste7. In un simile contesto, allora, la rappresentazione di Pericle sotto le
attualit, sia pure svolte in chiave comica, non possono non coinvolgere emotivamente gli
7 La condizione contadina e l'avversione alla guerra saranno, alcuni anni pi tardi, com' noto, anche il tema
centrale di due commedie di Aristofane, gli Acarnesi (Dionisie 425) e la Pace (Dionisie 421). Nella prima,
infatti, il protagonista un vecchio contadino inurbato, Diceopoli, che da subito esprime il suo impegno
antibellicista e, desideroso della fine della guerra, stipula una pace privata con gli Spartani, per poi dover
affrontare l'ostilit, in un primo momento, del coro di bellicosi Acarnesi e, dopo, di Lamaco, una grottesca figura
di militare e un maniaco di guerra. Anche nella Pace, l'eroe comico un contadino, Trigeo, che, stanco del
conflitto, raggiunge in volo, in groppo ad uno scarabeo, le dimore degli di e, al fine di procurare la pace per tutti
i Greci, libera la dea Pace dalla prigionia, a cui Polemo l'ha costretta; dopo la parabasi, Trigeo fa ritorno sulla
terra e pu finalmente affermare di essere riuscito a realizzare quel desiderio espresso da Diceopoli quattro anni
prima, quello, cio, di porre fine alla guerra e di poter riprendere la pacifica e spensierata vita dei campi (vv. 569-
578). Si veda sulla questione Mastromarco 2003 pp. 48-49; 58-61.
8
spettatori e rafforzare, in qualche modo, il sentimento impopolare nei riguardi della politica
periclea. La parola comica, infatti, strettamente legata alla composita realt dell'Atene del quinto
A riprova di ci, va sottolineato che Cratino, negli anni quaranta del quinto secolo,
verosimilmente nel 443, porta in scena le Fuggitive (vd. infra), un dramma in cui si utilizza il
materiale della saga di Teseo, e Pericle, dietro la maschera del mitico re di Atene, duramente
attaccato per i suoi progetti imperialisti, nello specifico, per la fondazione della colonia
panellenica di Turi, realizzata qualche mese prima. Evidentemente la satira politica cratinea
riesce ad avere non poca influenza sul corpo civico, se qualche anno dopo Pericle ritiene
indicate per nome, decreto che, se anche limita la libert di espressione dei commediografi per
un periodo relativamente breve (tra il 440/39 e il 437/36), viene di fatto varato per mettere a
tacere l'opposizione interna e per impedire che gli attacchi dei comici nei suoi riguardi, in
particolare quelli di Cratino, il suo massimo avversario a teatro, abbiano ripercussioni politiche
di un certo peso.
Anche le Tracie, messe in scena con una certa probabilit lo stesso anno del Dionisalessandro,
alle Dionisie del 430 (vd. infra), si presentano come una commedia a tutti gli effetti anti-periclea
e questa volta lo stratega eguagliato a Zeus in maniera ridicola, con una testa enorme e
sproporzionata, e viene preso di mira per aver introdotto ad Atene il culto straniero di Bendis,
quasi certamente una manovra politica seguita all'alleanza bellica con il re tracio Sitalce,
8 Cfr. schol. Ar. Ach. v. 67 Wilson; sulla questione si veda anche Schmid 1946 pp. 40-41.
9
, per, con i Chironi9 che, a mio avviso, Cratino riesce maggiormente a svelare la reale essenza
del potere di Pericle ad Atene, solo a parole una democrazia, nei fatti una tirannide;
emblematico, in tal senso, il fr. 258 K.-A. in cui lo statista non solo compare come Zeus, figlio
Pisistrato, al cui fianco siede Era/Aspasia, la prostituta figlia di (fr. 259 K.-A.).
L'immagine che Cratino offre del noto uomo politico , allora, quella di un tiranno superbo,
arrogante, guerrafondaio, primo responsabile della guerra del Peloponneso, della cui conduzione
non capace per vilt e codardia; e il suo governo, simbolo del sistema democratico per il
mondo antico e per tutto il pensiero occidentale, assume sulla scena ateniese del quinto secolo,
lato, come si vedr, procede parallela alla nascita ed allo sviluppo della figura ideologica del
tiranno, quale personaggio ricorrente nel teatro tragico, ossessivamente presente anche nei
dibattiti politici e nelle dispute filosofiche del tempo, dall'altro sembra palesare una
contraddizione intrinseca, dal momento che essa si inserisce di fatto in quella linea ideologica
9 Sulla base del materiale conservato, non possibile stabilire una datazione precisa per la messa in scena di
questa commedia; sulla questione vd. infra.
10 Anche nei Pluti di Cratino, una commedia che qui non stata presa in esame, sembra si possa individuare una
possibile allusione alla tirannide di Pericle. Nel frammento papiraceo (fr. 171 K.-A.), che restituisce alcuni brani
del dramma, il coro, in dialogo con un personaggio che la lacunosit del testo non permette di identificare, si
autopresenta; i coreuti dichiarano di appartenere alla stirpe dei Titani e di chiamarsi, un tempo, Pluti (fr. 171.11-
12: [ / [ ); gli stessi pi avanti dicono di essere
giunti (ad Atene) alla ricerca di un vecchio fratello, non meglio identificabile, ora che la finita e il
popolo ha potere (fr. 171.22-26: [ / , / . [ /
/ [] ). Luppe 1967b p. 68 ravvisa nella caduta della
tirannide e nell'ascesa del demos, che favorisce la liberazione dalla schiavit e permette l'arrivo in citt dei Pluti,
un'allusione alla fine della strategia di Pericle e, dunque, alla fine del suo potere tirannico, avvenuta
nell'estate/inverno del 430. Se cos fosse, la rappresentazione della commedia andrebbe fissata al 429, datazione
accolta da Kassel-Austin, anche sulla base di un passo di Ateneo, in cui i Pluti di Cratino sono classificati,
insieme alle Bestie di Cratete e agli Anfizioni di Teleclide, come un dramma attinente al tema della vita beata
nell'et dell'oro (6 p. 267 E). In generale, sui Pluti si rimanda a Goossens 1935 pp. 405-434; 1943 pp. 131-134;
1946 pp. 93-107; Sodano 1960-1961 pp. 19-48; 1961 pp. 37-57; Luppe 1967b pp. 57-91; Schwarze 1971
pp. 40-54; 191-193; Carrire 1979 pp. 213-231; e, da ultima, Bakola 2009 pp. 122-141; 213-220.
10
antitirannica ed antipisistratica degli Alcmeonidi, che ha il suo inizio con Clistene e la sua
continuazione proprio con Pericle, alcmeonide per parte di madre. Pericle, icona indiscussa della
politica democratica e della lotta contro ogni forma di tirannide, diviene egli stesso tiranno sulla
2. Il tiranno tragico
Il termine e le forme ad esso correlate sono state a lungo oggetto di numerosi studi che,
giunti spesso a posizioni divergenti, rendono difficile la definizione precisa del significato. Senza
, per indicare il sovrano legittimo; successivamente, esso acquisisce anche una valenza
possibilit, si impadronisce con la forza e la violenza di un potere che non gli appartiene.
Stabilire con esattezza il momento in cui si verificato questo slittamento semantico non , per,
cosa facile, tant' che la maggior parte degli studiosi, che si sono occupati della questione, si
divide fra chi fissa il cambiamento al sesto secolo e chi, invece, lo posticipa al quarto, a partire
da Platone ed Aristotele11.
Il vocabolo e i suoi derivati, indoeuropei, ma di origine oscura e sicuramente non greci, sono
totalmente assenti in Omero, che fa uso solo di o , ed entrano nella lingua greca a
met del settimo secolo12. Il termine , infatti, compare per la prima volta in Archiloco,
11 Per una sintesi accurata degli studi sul termine e per un'analisi dei passi in cui ricorre si rimanda a O
Neil 1986 pp. 26-40; si veda, da ultimo, anche Parker 1998 pp. 145-172.
12 Cfr. Parker 1998 pp. 145-150.
11
dove designa semplicemente il potere regale di Gige in Lidia, associato all'idea di ricchezza e
A partire dal sesto secolo, per, oggettivamente difficile negare che il sostantivo cominci ad
acquisire una connotazione negativa, dal momento che Solone dichiara che avrebbe voluto avere
il potere, accumulare una grande ricchezza ed essere di Atene per un giorno, per poi
essere scuoiato come un'otre e vedere annientata la sua famiglia14; e in un altro passo il
legislatore afferma chiaramente di non vergognarsi affatto di aver risparmiato la sua terra e di
caratterizza as something which at first glance may seem desiderable, but in actuality rapidly
leads to ruin e considera il tiranno someone who, when the opportunity presents itself, takes
Nel quinto secolo, l'alternanza per di un valore puramente neutrale, come sinonimo di
Nell'ambito della prosa, solo Tucidide opera una distinzione netta tra e 17,
laddove Erodoto e l'oratoria le pongono sullo stesso piano18. Se, poi, si volge lo sguardo alla
e i suoi derivati, molto frequenti, designano, nella maggior parte dei casi, semplicemente il re e,
13 fr. 19W.: , / / ,
/ . Cfr. anche Archil. fr. 23W. L'associazione della
tirannide alla ricchezza e alla lussuria molto comune nella letteratura greca, cos come molto spesso e
derivati sono utilizzati in relazione ai regni orientali e barbari; sulla questione si veda il materiale raccolto da
O Neil 1986 pp. 27-29.
14 fr. 33.5-7W.: , , /
, / .
15 fr. 32W: / , / ,
, / / . Per un'analisi dei due
passi di Solone citati si veda De Martino-Vox 1996 2, pp. 761-763.
16 Parker 1998 p. 156.
17 Cfr. Parker 1998 p. 64 n. 94.
18 Cfr. Parker 1998 pp. 161-166.
12
in generale, il potere regale, ma, come si vedr, principalmente in Sofocle ed Euripide, non
mancano situazioni in cui queste parole assumono un'accezione negativa, soprattutto se riferite a
personaggi che di fatto mostrano sulla scena i comportamenti propri di un tiranno con potere
per indicare l'usurpazione illegale del potere; significativo in tal senso il passo delle Vespe in
cui si ironizza sul timore ossessivo che ad Atene si ha della tirannide 21.
Parker 1998 pp. 170-171, dunque, nel suo studio sull'evoluzione del concetto politico di
, sulla base della documentazione sopra riportata, arriva alla conclusione che
assoluto e illegittimo, ha dei confini geografici ben definiti: si tratta, a suo avviso, di una
specificazione semantica che, a partire dal sesto secolo con Solone, si sviluppa e cresce
nell'ambito ristretto del dialetto attico e trova la sua massima espressione in Tucidide, il primo
autore che scrive esclusivamente in attico. Secondo lo studioso, questa singolare constatazione
trova spiegazione nel fatto che soltanto nella regione dell'Attica yawned a gap of many
centuries betweeen the rise of the tiranny and the downfall of the kingship, so that the tyrants
never pretended to be kings and were in fact perceived as being something radically different
from the kings. The perceived political distinction manifested itself in a semantic distinction
which, however, did not exist outside of the regional dialect of Attica 22.
A partire dall'ipotesi di Parker, possibile fare un ulteriore passo in avanti. La regione dell'Attica
19 Per una documentazione accurata delle ricorrenze di e affini in tragedia si veda O Neil 1986 pp. 27-38;
Parker 1998 pp. 158-161.
20 Cfr. Ar. Nu. 564; Av. 483; 1605; 1643; 1673; 1708; Pl. 124.
21 vv. 463-507; cfr. anche Lys. vv. 614-635. Nello specifico, per il passo delle Vespe si veda, in questa sede, l'analisi
condotta su di esso nel capitolo relativo ai Chironi.
22 Parker 1998 p. 171.
13
e, in particolare, Atene rappresentano, forse, il terreno di gioco pi fertile in cui il termine
Basta prendere in considerazione i presupposti di base che conducono alla nascita stessa della
quale sistema preventivo contro il pericolo della tirannide, dopo la disastrosa esperienza di
Pisistrato e dei Pisistratidi. Uno degli obiettivi principali della riforma di Clistene proprio
quello di evitare in ogni modo lo sviluppo di qualunque forma di potere personale, centralizzato
e autoritario dall'interno delle aristocrazie locali e dei gruppi nobiliari; prova ne l'istituzione
dell'ostracismo, la nota procedura volta a denunciare il timore che qualcuno possa aspirare ad un
regime tirannico, divenuta solo in un secondo momento strumento di lotta fra orientamenti o
partiti diversi23.
Ne deriva, allora, che anche nell'immaginario comune ateniese il tiranno diventa ben presto il
maggiore nemico del popolo, la massima manifestazione del malvagio, in quanto negatore
assoluto dell'ordine su cui si regge la , quell'ordine rappresentato dallo spazio politico e dal
comune possesso della citt. l'ideologia stessa della a partorire la figura del tiranno,
quale mito polemico, personificazione di tutto ci che deve essere respinto dalla morale
pubblica, cio la perdita della libert, la dismisura e l'empiet, perch la citt ha bisogno della
esprimere tutta l'ambiguit di un termine come . Non bisogna, infatti, dimenticare che il
14
teatro ateniese del quinto secolo non un'iniziativa privata, ma un'istituzione pubblica, un
momento della vita associativa della , direttamente inserito nel calendario civile della citt.
pubblico per il loro spettacolo, perch esso assicurato e istituzionalmente garantito, come lo
quello della processione della festa del paese25. Il pubblico del teatro di Dioniso tutta la citt,
senza alcuna selezione sociale e senza distinzione di ceto26. In occasione delle Dionisie, inoltre,
nella cavea del grande teatro si ritrovano anche i cittadini provenienti da tutti i demi dell'Attica,
oltre che un gran numero di stranieri, meteci e ospiti occasionali, legazioni di altre citt, alleati
Tutta la vita pubblica ateniese dopo Clistene si muove in uno spazio politico e il teatro ne
dello spazio politico della citt, coinvolge tutto il corpo civico, senza stratificazioni sociali,
vive nello spazio politico della citt ed espressione diretta della sua vita politica, esso si fa
anche naturalmente strumento di celebrazione di tale spazio politico e del suo significato
ideologico pi profondo: l'identit dei cittadini, indipendentemente dal loro specifico ruolo
sociale, in quanto appunto cittadini, e la fondamentale organicit che tutti li lega in quella
struttura fisiologicamente coesa che la polis. E la polis, le sue contraddizioni, i suoi pericoli, le
sue crisi, i farmaci necessari per ricomporne l'unit, sono appunto i contenuti fondamentali delle
opere teatrali ateniesi, delle tragedie come delle commedie27. Ecco, allora, che se la tirannide
nel quinto secolo rappresenta ad Atene il maggior pericolo per la e riflette la diffusa paura
della perdita della libert e della catastrofe del sistema, essa trova espressione anche sulla scena
25 Lanza 1977 p. 8.
26 Sulla composizione del pubblico nel teatro attico si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 361-382.
27 Lanza 1977 p. 12.
15
teatrale con l'emergere del personaggio del tiranno tragico, quale trasposizione drammatica di
una figura sociale. Per quanto, come si gi detto, il termine sia spesso usato in
tragedia con valore del tutto neutrale, senza precise connotazioni politiche, c' tuttavia da
sottolineare che in alcuni casi questa parola viene messa in relazione a personaggi che, nei loro
gesti e nelle loro azioni, assumono di fatto i tratti del tiranno in carne e ossa; e, a mio avviso, in
questi casi quantomeno probabile, se non proprio sicuro, che il ricorso a quel sostantivo, per
via della sua forte carica ambivalente, non sia del tutto casuale e che la sua connotazione
negativa venisse, in qualche modo, colta dagli spettatori seduti a teatro. Non resta che fornire
alcuni esempi.
Nell'Antigone di Sofocle, Creonte assume i connotati del personaggio tirannico fin dall'inizio,
ancor prima del suo arrivo in scena, gi nel dialogo iniziale tra le due sorelle (vv. 1-99):
Antigone, nel mettere Ismene al corrente dei fatti, dapprima le riferisce che lo ha
emanato un per tutta la citt (vv. 7-8) e, poi, le spiega che l'editto vieta la sepoltura di
Polinice (vv. 26-30) e non esita a sottolineare con pesante sarcasmo l'intolleranza e
intenzionato a punire con la morte gli eventuali trasgressori (vv. 35-36). Risulta significativo il
fatto che Antigone non attribuisce mai a Creonte lo status costituzionale di re, come altri fanno28,
ma, dopo averlo definito (v. 8), lo chiama sempre per nome (vv. 21; 31; 549) e, nel
confronto diretto con lui, svela la reale essenza del suo potere, quando afferma che la
gode di molti benefici, in particolare quello di fare e dire tutto ci che vuole29. Gi Ismeme, per,
nel prologo, rispondendo sbigottita all'invito della sorella a seppellire il corpo del fratello,
incuranti del , si sofferma sulla matrice autocratica del potere che le sovrasta, ricorre
28 Il coro si rivolge a Creonte con i termini (v. 155) e (vv. 278; 724; 766; 1091; 1103; 1257); nel
rivolgersi direttamente al sovrano, il sostantivo che usa per ben due volte anche la guardia (vv. 223; 388)
ed una sola volta Ismene (v. 563). Si veda nel merito Griffith 1999 p. 122.
29 vv. 506-507: / .
16
proprio all'uso del termine e insiste sullo scontro di genere, affermando il dominio
incontrastato e incontrastabile del patriarcato: solo la morte spetta a chi trasgredisce l'autorit dei
tiranni (v. 60: ) e, per di pi, una donna non pu lottare contro gli uomini, ma
solo sottostare ed obbedire agli ordini dei pi forti, alla volont del potere maschile (vv. 58-64).
Eppure Creonte, nella sua prima (vv. 162-210), all'inizio del primo episodio, nel tentativo
di giustificare il suo operato, espone il suo programma politico ed insiste nel presentare se stesso
quale il buon sovrano, tutto proteso a garantire e mantenere la stabilit della sua citt, attraverso
l'esercizio costante della sua autorit; il suo discorso, incentrato sull'importanza per un buon
governante di curare sempre l'interesse generale della patria, senza anteporre nessun affetto
privato al bene pubblico, dal momento che solo la salvezza della patria garanzia di benessere
per tutti (vv. 178-191), non fa che rispecchiare il comune sentire democratico del tempo, nonch
richiamare, in maniera quasi esplicita, il manifesto della democrazia ateniese, ossia l'epitafio
attribuito a Pericle da Tucidide, in cui, com' noto, posta, quale principio fondamentale, proprio
La forza tirannica del suo potere, accuratamente rinnegata nella presentazione del suo
programma politico, si rende, invece, manifesta nella realizzazione pratica. Creonte convinto di
Lo scontro di genere, gi presente nelle parole di Ismene, torna a farsi sentire con pi forza e
prepotenza nel confronto diretto tra Creonte ed Antigone, di fronte all'ostinazione della ragazza,
che non teme di rivendicare la sua azione come giusta (vv. 441-525)32. Il sovrano non solo
30 Th. 2.40.2; cfr. anche 2.60.2-5; in generale, sulla questione si veda Griffith 1999 pp. 34-38; 155-156.
31 Cfr. Citti 1975-1976 p. 490.
32 Steiner 1990 pp. 260-261 sostiene che nell'Antigone di Sofocle si esprimono chiaramente le cinque opposizioni
che rappresentano le costanti principali del conflitto presente nella condizione umana: uomo-donna; vecchiaia-
giovinezza; societ-individuo; vivi-morti; uomini-divinit. In particolare, lo studioso ritiene che ognuna di queste
cinque categorie fondamentali venga realizzata in un solo atto di confronto, quello tra Antigone e Creonte (vv.
441-581), dal momento che Creonte e Antigone si scontrano come uomo e come donna. Creonte un uomo
maturo, anzi, quasi vecchio; Antigone rappresenta la verginit della giovinezza. La loro disputa finale
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replica con la minaccia di domare la fiera volont di chi gli si oppone, ma evidente che egli non
reagisce alla ribellione di Antigone in nome della sua autorit legale o in nome delle leggi della
citt e dell'interesse comune, bens affermando di non poter tollerare che una donna sfidi il suo
comando (vv. 473-485); ella non potr sfuggire ad una morte terribile, perch, se il successo le
arrider impunemente, non sar pi lui l'uomo, ma lei lo diventer33 e poi, conclude, finch lui
L'atteggiamento trasgressivo di Antigone va punito, perch lei non agisce solo per un uomo
Creonte riafferma questo punto di vista nel terzo episodio, nel dialogo con il figlio Emone (vv.
631-765), il momento in cui, forse meglio che altrove, si smaschera del tutto l'indole tirannica e
l'inadeguatezza del personaggio. Creonte insiste sulla necessit di rinnegare la passione amorosa
e non cedere mai al piacere che una donna pu offrire (vv. 648-650); chi trasgredisce e viola le
leggi non pu ricevere la sua approvazione, perch a chiunque la citt abbia affidato il potere si
deve obbedire nelle piccole e grandi cose, in quelle giuste e non (vv. 663-667); non c' sciagura
bisogna opporsi alle disposizioni dell'autorit, mai esser da meno di una donna, mai essere
imperniata sulla natura della coesistenza tra visione privata e necessit pubblica, tra ego e comunit. Su Creonte
pesano gli imperativi dell'immanenza, di chi vive nella ; in Antigone tali imperativi si incontrano con la non
meno esigente folla notturna dei morti. Nel dialogo tra Antigone e Creonte non viene pronunciata sillaba, non
viene fatto gesto che non sia portatore della prossimit molteplice, forse della doppiezza degli di (Steiner 1990
p. 261). Per un'analisi accurata del dialogo tra Antigone e Creonte (vv. 441-525) si veda Griffith 1999
pp. 198-212.
33 vv. 484-485: , , / .
34 v. 525: .
35 Belardinelli 2010 p. 21 e n. 73.
36 vv. 677-680: , / / ,
, , / .
Creonte non pu sopportare di essere vinto da una donna, perch coloro che enunciano, esercitano, seguono e
cos facendo preservano i principi dell'ordine sociale sono in armonia con le gerarchie fondamentali del mondo
18
La risposta di Emone, per, mette in luce tutti gli aspetti che svelano l'ambiguit ed il vuoto
interiore del padre (vv. 683-723): il timore che il popolo ha di lui, per via del suo atteggiamento
autoritario (vv. 690-691); la simpatia dei cittadini per Antigone e il serio rischio per Creonte di
incorrere nel biasimo generale e di perdere consenso, con la condanna della ragazza (vv. 692-
700); la stolta ostinazione nel credere di essere sempre nel giusto (vv. 705-706) e, soprattutto,
come emerge nella sticomitia successiva, il rifiuto di una grande verit, in base alla quale
nessuna citt appartiene ad un solo uomo; soltanto chi governa in un deserto pu credere che una
citt sia propriet di chi comanda37. Agli occhi del cieco Creonte, chiuso nell'affermazione della
sua volont indiscussa, le parole di Emone non possono che apparire quali frutto del
Antigone, quindi, non incarna soltanto l'immagine di chi si oppone all'ordine costituito, ma il suo
atto di ribellione si fa crimine ancora pi efferato, perch a compierlo una donna; la sua azione,
in tal modo, assume i tratti di un oltraggio insopportabile, nei termini in cui essa rischia di
intaccare il dominio del patriarcato, su cui si fonda non solo il potere di Creonte, nello specifico
del dramma, ma, in generale, anche l'intero sistema della . Non va, del resto, dimenticato,
che proprio Pericle, nel celebre epitafio, a ricordare alle vedove dei caduti che la pi grande
virt per una donna che di lei si parli il meno possibile, la pi grande virt l'anonimato (Th.
2.45.2).
naturale. Nella misura in cui la femminilit incarna l'amorfo e l'anarchico notturno, la rivendicazione che fa una
donna del suo predominio trascende in assoluto ogni contesa privata, particolare. Essa sfida la cosmologia
razionale di cui una ben governata l'emblema. Ne consegue che infinitamente preferibile, perch pi
naturale, pi consono alle catastrofi di cui vittima l'ordine cosmico e umano, cadere, andare in rovina per
mano di un uomo (l'espressione di Creonte omerica) che soccombere a una donna o essere visto cadere sotto
la sua spinta (Steiner 1990 p. 267). In generale, sulla mascolinit dell'azione di Antigone si vedano Citti
1975-1976 pp. 484-488; Steiner 1990 pp. 266-267; Belardinelli 2010 pp. 20-22.
37 vv. 737-739: . . / . ; / .
.
38 v. 746: ; v. 756: , .
19
L'atteggiamento inflessibile ed arrogante di Creonte viene fuori anche dalla crudelt della pena
inflitta alla giovane: la nipote, infatti, non viene semplicemente condannata a morte, ma a lei
tocca di essere abbandonata in un luogo deserto, chiusa viva in una tomba sotterranea e l
lasciata sola a decidere se continuare a vivere o morire (vv. 774-780) 39. Come sottolinea
Belardinelli 2010 pp. 9-10, significativo che in questo passo utilizzato il sostantivo
(v. 775) per indicare il cibo da somministrare ad Antigone durante la sua prigionia; il vocabolo,
allora, considerata e trattata alla stregua di un animale e diviene quindi una sorta di capro
espiatorio per volont di Creonte, secondo il quale la morte della figlia di Edipo dovrebbe
rappresentare un monito per i cittadini di Tebe, al fine di evitare ulteriori atti di insubordinazione
Creonte , in definitiva, il tiranno della citt, il padrone assoluto che legifera, impone i suoi
comandi, mette a morte chi trasgredisce e stabilisce il confine tra bene e male, tra ci che
giusto e ci che non lo , per il bene della patria; eppure, il suo dominio si rivela in fin dei conti
illusorio, distruttivo e mai costruttivo, ed egli, nel negare la citt, finisce per negare se stesso, in
quanto micropolis che verifica nella propria coscienza la razionalit di un ordine pluralistico
Nell'Edipo re, il personaggio di Edipo non si manifesta da subito nelle vesti di un tiranno, anzi
nei primi versi del dramma egli si definisce e come tale riconosciuto da tutti (v. 8),
sovrano attento alle sofferenze del suo popolo, il cui cuore geme per la citt schiacciata dalla
39 In realt, il decreto di Creonte prevedeva all'inizio per il trasgressore la lapidazione (vv. 35-36); in seguito, dopo
l'alterco con Emone, il sovrano stabilisce la commutazione della pena (vv. 773-780), per impedire che la citt
possa essere contaminata da una simile uccisione; cfr. sulla questione Belardinelli 2010 p. 2 n. 6.
40 Questo sostantivo, oltre che nel passo in questione, ricorre anche nel Filottete per indicare, non a caso, il cibo
dell'eroe sofocleo che, abbandonato sull'isola di Lemno, conduce una vita selvaggia, alla stregua di un animale
(cfr. vv. 43; 162; 707; 711; 1107). Sul termine si veda Belardinelli 2010 pp. 9-10 n. 32.
41 Belardinelli 2010 p. 10.
42 Lanza 1977 p. 159.
20
pestilenza, e si mostra disposto a tutto pur di liberare la sua gente dal flagello che la opprime (vv.
58-77). La seconda parte della tragedia segna, invece, il passaggio dall'Edipo buon sovrano
all'Edipo despota, che presenta i tratti tirannici pi tipici: l'ira, la paura, la presunzione, il
sospetto e l'empiet43. Come sottolinea Rodighiero 2000 p. 19, una caratteristica tipica degli eroi
sofoclei rappresentata dal fatto che il loro punto di vista destinato a evolversi e mutare con il
procedere degli eventi, man mano che un destino si compie e si svela un inganno. E cos Edipo
in un primo momento, sicuro di s e ignaro di quanto sta per accadere, si presenta politico,
comprensivo e paterno44, sofferente non soltanto per lui ma per l'intera comunit; non appena,
per, il suo sistema di certezze viene messo in crisi e rischia di crollare, egli si fa tiranno
altri e lo trasforma in un dominatore solitario, schiavo della paura, , dunque, dettato dalla
43 L'interpretazione tirannica dell'Edipo re ha tratto il suo impulso a partire dai lavori di Vernant 1976 pp. 82-85;
112-114; essa stata accuratamente sviluppata da Lanza 1977 pp. 141-144, ma stata ripresa anche di recente da
Cerri 1992 p. 322; Francis 1992 pp. 340-353; Ugolini 2000 pp. 129-131. Tale linea esegetica non stata, per, da
tutti condivisa e non ha mancato di sollevare polemiche a riguardo. Da ultimo, Condello 2009 pp. 69-109, al
quale, tra l'altro, si rimanda per l'accurata bibliografia sulla questione, imputa una simile lettura alla critica
colpevolistica, che individua, appunto, nei tratti tirannici di Edipo la colpa tragica dell'eroe. Lo studioso, per,
ritiene che essa sia estremamente riduttiva, a fronte della complessit e dell'irriducibilit della tragedia sofoclea,
in cui egli, riprendendo l'equivalenza stabilita da Knox 1975 pp. 61-67 - Edipo Atene -, vede piuttosto il
tentativo del tragediografo, tentativo destinato a restare in sospeso, di fornire una risposta storica dinanzi alla
crisi storica della cultura ateniese, di un'Atene che significa innanzitutto la cultura del razionalismo politico,
etico, tecnico di marca latu sensu sofistica o periclea, della quale Sofocle sembra riconoscere a un tempo
grandezza e insufficienza, eroismo e miseria (Condello 2009 p. 108); non a caso, a suo avviso, il ruolo di guida
politica, lasciato vacante da Edipo alla fine del dramma, assunto da un Creonte incapace di decisioni, in un
irrisolto conflitto fra due stili di leadership che l'esito ultimo, aperto e aporetico, della tragedia, dove il
giudizio di Sofocle attraverso la complessa macchina testuale o ideologica dell'Edipo re destinato a restare
splendidamente indeciso (Condello 2009 p. 109). Condello 2009 pp. 76-78, inoltre, nell'affrontare la questione
dell'attribuzione ad Edipo della qualifica di , sostiene che essa sia del tutto irrilevante, dal momento che
nelle quindici occorrenze di questo termine e dei suoi derivati vi una netta prevalenza del valore neutro.
Ammettendo anche che questo sia vero, sulla base di quanto scritto precedentemente su e affini, c' da
aggiungere che lo stesso O Neil 1986 p. 34, fermamente convinto del fatto che non sia individuabile alcuna
valenza negativa del termine in relazione ad Edipo, avanza, per, il dubbio che il pubblico ateniese possa aver
percepito l'utilizzo di quelle parole come an ominous choise; e, pi di recente, Budelmann 2000 pp. 218-219,
pur riconoscendo che nessuno dei personaggi, che definisce il potere di Edipo, lo consideri un cattivo
sovrano da destituire, nota tuttavia una singolare coincidenza nella tragedia: e derivati start appearing
at a time when Oedipus is a man who is more concerned with himself than with the large group, at a time when
he sees himself as a ruler under threat, as an individual with an uncertain past and as much else, but not as a
saviour (p. 219). A suo avviso, dunque, il ricorso a queste parole sottolinea inevitabilmente l'emergere di un
atteggiamento egoistico in Edipo che, come tipico del tiranno, si mostra pi attento al proprio vantaggio che al
bene della comunit.
44 Rodighiero 2000 p. 19.
21
prepotenza e dall'ostinato rifiuto di conoscere la verit. La contesa con Tiresia (vv. 300-462)
segna l'inizio del processo di degenerazione dell'eroe, quel processo che ha, poi, il suo seguito
Nel confronto iniziale con l'indovino, Edipo, ancora tranquillo, non esita a riconoscere l'autorit
della sua arte profetica e a vedere in lui il solo salvatore e difensore della citt, grazie ai suoi
vaticini (vv. 300-315). Successivamente, nel momento in cui le parole del vate fanno balenare la
minaccia del sospetto e cominciano ad alludere all'oscura verit che incombe sul suo destino, il
dell'espressione concitata di chi rifiuta che qualcuno che svela l'impensabile possa avere ragione,
Tiresia, il quale non ha timore di incolparlo della morte di Laio (v. 362) e di svelargli
l'inconsapevole unione incestuosa con i suoi cari (vv. 366-367). Ecco, allora, che agli occhi di
Edipo, in preda alla totale confusione, l'indovino diventa un ciarlatano falso e bugiardo e
Creonte, l'amico fidato, il fratello della sua sposa, viene giudicato un traditore, intenzionato a
tramare un complotto contro di lui per conquistare quel potere che egli rappresenta e che, per
altro, non esita, al v. 380, a definire (vv. 380-403). Ira smodata, aggressivit, eccesso
emergono dalla scena dialogica con l'indovino, in cui , soprattutto la rabbia a fare da padrona e
e derivati46. la rabbia incontenibile che Tiresia imputa, in primo luogo, ad Edipo e che,
22
alla fine, lo conduce ad accusare il sovrano di e a rivendicare il diritto di replica: se
anche Edipo un , a lui spetta comunque il diritto di parlare a partire da una condizione
di eguaglianza, dal momento che egli non un suo schiavo, ma un uomo al servizio di Apollo
(vv. 408-410: , / /
a tutti gli effetti politica47. L'indovino, che pure non rinuncia a svelare la verit (vv. 447-462),
Ancora pi complesso, ma nello stesso tempo incisivo, si rivela il successivo scontro con
Creonte, che al suo arrivo in scena qualifica immediatamente Edipo come (v. 514:
messi a confronto e contiene vere e proprie affermazioni gnomiche sul carattere della tirannide.
), un progetto del tutto insensato, dal momento che non si pu pretendere di assumere
il potere senza consenso popolare e senza alleati e denaro48; Creonte, preoccupato di allontanare
insistendo sull'inopportunit della tirannide: egli non potrebbe aspirare alla , perch essa
fonte di paura e di sofferenza, nonch privazione della libert49. La reazione di Edipo , ancora
una volta, aggressiva e intransigente: Creonte un traditore e a lui spetta solo la morte (vv. 618-
623).
difficile negare una certa somiglianza tra il comportamento di Edipo in questa scena e quello
23
del Creonte dell'Antigone nello scontro con la ribelle50 (vv. 441-525): entrambi gridano al
complotto (Ant. vv. 493-496; OT vv. 532-542), entrambi tentano di costringere l'interlocutore alla
confessione (Ant. vv. 441-442; 446-447; 449; OT vv. 555-575) e minacciano di morte l'accusato
(Ant. vv. 497-498; 524-525; OT v. 623). Quando, poi, Edipo fa appello alla citt (v. 629: ,
), Creonte gli risponde che la non appartiene soltanto a lui (v. 630:
padre, nell'Antigone, secondo cui nessuna citt propriet di un uomo solo (v. 737:
).
L'arrivo in scena di Giocasta al v. 634 pone fine al diverbio tra Edipo e Creonte, ma ormai
maniera esplicita nel secondo stasimo dedicato al dio di Delfi51 (vv. 863-910), allorch afferma
che (v. 873), una vera e propria condanna religiosa della tirannide come
Va, per, sottolineato che nell'Edipo re la tirannicit del protagonista non prosegue indisturbata
per tutta la tragedia, ma, come giustamente fa notare Lanza 1977 p. 142, rappresenta soltanto un
50 Sulle somiglianze fra le due scene si vedano Turolla 1948 pp. 101-102; Adams 1957 pp. 94-95; Webster 1969
pp. 45-46; Hester 1977 pp. 39-40; Ugolini 2000 pp. 121-136; Ehrenberg 2001 pp. 98; 106-107. Non manca,
per, chi si mostra di parere contrario e mette in luce le differenze; cfr., a riguardo, Perrotta 1935 p 232; Pohlenz
1961 p. 103; Cameron 1968 p. 45; Reinhardt 1990 pp. 117-118; Paduano 1994 pp. 96-98 e, da ultimo, Condello
2009 pp. 80-83, il quale sottolinea che, mentre il Creonte dell'Antigone del tutto isolato, con un'opinione
pubblica unanime e ridotta al silenzio dalla paura, e si pone come capo assoluto della citt, incapace di tollerare
dissensi o repliche, il comportamento di Edipo molto pi docile e accondiscendente; egli garantisce sempre il
diritto di replica all'interlocutore, a Tiresia come a Creonte, tratta alla pari Giocasta e il cognato, non perde mai il
favore del coro e, infine, non manda a morte il suo nemico (Creonte).
51 Il secondo stasimo dell'Edipo re, in realt, stato oggetto di numerosi studi, nonch di molteplici letture e il
giudizio espresso dal coro sulla tirannide stato ora riferito ad Edipo, ora a Giocasta, ora agli stessi Tiresia e
Creonte, coinvolti in una congiura ai danni del sovrano; anche se riferito ad Edipo, inoltre, non mancato chi ha
visto nel pronunciamento del coro un semplice monito rivolto ad un sovrano amato che, per questo, suscita la
preoccupazione dei suoi seguaci. Le parole del coro, infine, potrebbero anche riferirsi, in generale, ai rischi di
ogni forma di potere o, addirittura, rappresentare una sorta di parabasi tragica rivolta al pubblico, onde
metterlo in guardia dal pericolo di una tirannide storica. Per un'analisi approfondita dello stasimo si rimanda a
Condello 2009 pp. 102-109 (con relativa bibliografia).
52 Lanza 1977 p. 147.
24
preciso momento drammatico; essa strettamente legata alla fase precedente al raggiungimento
della verit e viene meno nel momento stesso in cui il vero si manifesta senza possibilit di
equivoco. Nella parte finale del dramma, infatti, dopo la rivelazione della propria identit, Edipo
Nelle Fenicie di Euripide, il tema politico emerge con forza nel primo episodio (vv. 469-585),
che prende la forma di un agone di discorsi contrapposti e inconciliabili, dal quale nessuno dei
contendenti esce vincitore: quello che dovrebbe essere un incontro di conciliazione tra Eteocle e
Le Fenicie vengono rappresentate tra il 410 e il 408 a.C.54, in un'Atene, che non solo sconta
ancora lo scacco della fallita spedizione in Sicilia, ma che anche reduce da un momento
difficilissimo della sua vita politica, il colpo di stato oligarchico del 411 a.C.; alla luce di questo,
le opposte argomentazioni dei due fratelli, che si affrontano in una brutale lotta per il potere, e
maggiore, perch dovevano, per forza di cose, richiamare nella mente degli spettatori il ricordo
dei recenti avvenimenti e riprendere, in qualche modo, il dibattito politico contemporaneo 55.
Il discorso di Polinice (vv. 469-496) si basa sulla dimostrazione della legittimit della sua
abbandonato la sua terra, per evitare la maledizione di Edipo, in attesa di riprendere il potere, una
volta giunto il suo turno (vv. 473-480); Eteocle, invece, non ha mantenuto la sua promessa e si
25
poi, la possibilit di una soluzione pacifica, cio si mostra disposto a rinunciare all'assedio se il
fratello terr fede al patto di alternanza (vv. 484-489); in caso contrario, non esiter a distruggere
la citt, in nome della giustizia (vv. 490-493). Egli , dunque, convinto di avere la ragione e la
giustizia dalla sua parte e, incurante delle sofferenze che infligger inevitabilmente alla sua
La risposta di Eteocle (vv. 499-525) si configura come un vero e proprio elogio della tirannide: la
ci che lui intende conquistare e detenere, il bene supremo che non disposto a cedere a
per tutta Tebe ne deriverebbe, se egli, per paura della lancia micenea, lasciasse il suo scettro nelle
mani del fratello (vv. 512-514); se, dunque, Polinice intenzionato a vivere a Tebe ad altro titolo,
cio non da re, gli concesso, ma il potere spetta solo a lui (vv. 518-519); venga pure il fuoco,
vengano le spade, si aggioghino i cavalli, si riempia la pianura di carri, ma lui non ceder mai il
suo potere; se necessario agire ingiustamente, la cosa migliore farlo per la e gli di
siano rispettati per tutto il resto57. Secondo Eteocle, quindi, la tirannide, associata alla ricchezza e
alla felicit, il solo scopo a cui un uomo di valore deve tendere e, in spregio al valore
del voler avere di pi, che si esplica nella forma di una prepotente affermazione di s sugli
altri58. Sarebbe, del resto, un comportamento da vile lasciare il pi per prendersi il meno e
56 Per un'analisi accurata del passo si veda Mastronarde 1994 pp. 280-287; cfr. anche Medda 2006 pp. 32-33.
57 vv. 521-525: , , / , , /
. / , / ,
. Sull'intero discorso di Polinice si veda, per un'analisi dettagliata, Mastronarde 1994 pp. 288-296; Medda
2006 pp. 33-41; pp. 172-175 nn. 95-97.
58 Questo concetto, strettamente connesso a quello dell', ricorre anche nel Gorgia di Platone, quando
26
sarebbe una vergogna per Tebe che il suo sovrano cedesse a delle minacce. Eteocle, in tal modo,
non solo trova un'adeguata giustificazione alla tirannide, ma crea persino un'accorta
identificazione tra il suo interesse e quello della citt, un meccanismo tipico di uomini politici
individuale59. Eteocle ricorre ai motivi della vilt e del biasimo, propri della morale omerica, per
sfruttarli a suo vantaggio; egli, infatti, ha ben poco dell'eroe omerico, perch la sua ambizione
non consiste nell'omerica ricerca della gloria, ma solo nel desiderio smodato di ricchezza e
dietro quel di pi ch'egli rivendica e che viola la legge universale dell'uguaglianza ed perci
Ad Eteocle che si presenta come il paladino di Tebe, citt che vive e si riconosce in lui e nelle
sue decisioni, si contrappone l'intervento di Giocasta (vv. 528-567), la quale riprende ad una ad
una le argomentazioni del figlio, per smontarle e ritorcergliele contro; la donna, pur incapace di
incidere sui fatti, offre un'accurata valutazione etico-politica della vicenda, nei toni di un vero e
proprio elogio della democrazia, e finisce col negare totalmente l'autorit del figlio e con lo
strappare una volta per tutte al personaggio l'aura di re preoccupato del bene comune, stabilendo
una netta antitesi tra la conservazione del potere e la sopravvivenza della polis61. Eteocle si
Callicle sostiene la tesi che le leggi sono state create dai deboli per arginare la superiorit dei pi forti e dichiara
che, al fine di impedire che questi ultimi abbiano il sopravvento, la massa debole, attraverso lo strumento delle
leggi, ha imposto l'idea che sia ingiustizia il cercare di avere pi degli altri, mentre la stessa natura vuole che
questo avvenga, cio che i migliori e i pi potenti posseggano di pi dei peggiori e dei meno potenti (483 c-d).
Poco pi avanti, lo stesso personaggio ribadisce il concetto, affermando che solo i deboli, incapaci di soddisfare i
loro desideri - a differenza dei forti - lodano la moderazione e la giustizia a causa della loro codardia (492b 1).
Sul confronto tra le affermazioni dell'Eteocle euripideo e Platone si vedano Mastronarde 1994 p. 293; Medda
2006 pp. 36-39.
59 Mastronarde 1994 p. 293: Et. now exploits the issue of shame (, ) in a patriotic fashion in
order to imply an identity of interest between himself and the city as a whole a typical ploy of politicians for
generating public support in defence of a policy actually dictated by individual imprudence or vice.
60 Lanza 1977 pp. 137-138.
61 Per un'attenta analisi del discorso di Giocasta si rimanda a Lanza 1977 pp. 134-140; Mastronarde 1994 pp. 297-
319; Medda 2006 pp. 42-46.
27
lasciato irretire dal fascino di Ambizione (), la peggiore tra gli di, una dea ingiusta
( ), che ha condotto alla rovina molte case e citt62. Ad Ambizione Giocasta oppone
l'Uguaglianza (), la sola dea che permette lo sviluppo di pacifiche e durature relazioni tra
le persone, le citt e gli alleati; solo ci che uguale giusto per gli uomini, mentre la disparit
tra deboli e forti fonte di odio e conflitto sociale63. La , tanto amata da Eteocle,
soltanto una sfortunata ingiustizia (v. 549: )64, la fama un vacuo piacere
(v. 551) e quel di pi, a cui il figlio mira con tanta foga, non che una parola (v. 553:
sceglier di (v. 561) esporr Tebe al rischio della distruzione e le donne della sua terra
a quello della schiavit e della violenza (vv. 561-565). Giocasta, poi, risponde anche a Polinice
(vv. 568-583) e lo accusa di stoltezza e di cecit, due mali che non potranno non condurlo
inevitabilmente alla rovina: in caso di vittoria, infatti, raggiunger una fama disgraziata che
nessuno vorrebbe avere, una fama ottenuta col sangue della sua gente e la schiavit delle sue
donne (vv. 569-577); in caso di sconfitta, l'esito sar ugualmente doloroso, perch la morte di
molti Argivi lo render odioso a coloro che lo hanno accolto esule e gli impedir di continuare a
vivere in quella citt (vv. 578-583). E, allora, l'invito finale, rivolto ad entrambi i figli, quello di
62 vv. 531- 534: / , ; /
/ ; Giocasta considera un
sinonimo di , come dimostra anche l'equivalenza di (v. 561) e (v. 567); sul
significato specifico del sostantivo cfr. Mastronarde 1994 pp. 299-300; Medda 2006 pp. 44-45 n. 65.
63 vv. 535-540: , , / , /
/ , / /
.
64 Mastronarde 1994 pp. 308-309 sottolinea che a striking oxymoron, combining two
opposing straims of the Greek tradition, admiration of tyranny as the opportunity to satisfy all one's desires and
condemnation of it as the ultimate injustice. In context, of course, Joc. speaks with irony, and the next
lines are devoted to arguing that the supposed advantages of tyranny are really empty. Per il tema tradizionale
di ammirazione della tirannide come fonte di benessere e felicit cfr. Medda 2006 p. 35.
65 significativo che Giocasta usa qui il termine , lo stesso utilizzato dal Eteocle al v. 509, che descrive
perfettamente la competizione umana per il possesso di beni e per il potere, e mostra, cos, come il tiranno,
impersonato in questo caso dal figlio, sia the supreme example of the , just as tyrannis is the
strongest temptation to the unwise in choosing a life (Mastronarde 1994 p. 303). La condanna del e
la sua convenzionale associazione con ricorre anche in Th. 1.77.4; X. Mem. 2.6.23; Anon. Iamblichi 89.6
D.-K.; cfr., nello specifico, Mastronarde 1994 p. 303; Medda 2006 p. 36 n. 51.
28
abbandonare l'eccesso ( ), perch una duplice stoltezza ( ) la sciagura pi
Nelle Fenicie, dunque, Euripide fa pronunciare a Giocasta un vero e proprio atto di fede
potere personale anche a discapito del bene collettivo, e, in un'Atene reduce dal colpo di stato
dibattito politico contemporaneo66, cos come dietro il rifiuto di Eteocle di adattarsi alla legge
dell'alternanza si staglia l'ombra dell'aspirazione alla signoria assoluta, a quella tirannide che,
bench fuori dalla storia ateniese da ormai un secolo, non aveva mai cessato di turbare i sonni
Nelle Supplici di Euripide lo scenario cambia completamente, perch la figura del tiranno non
al centro di questa tragedia. Eppure, il dibattito tra l'araldo tebano e Teseo (vv. 399-462), che qui
proprio quello di Creonte a Tebe, che, evidentemente, doveva essere altrimenti noto agli
spettatori. La disputa rappresenta una parentesi all'interno dell'intreccio drammatico, ma, nello
stesso tempo, degna di nota, in quanto contiene una delle pi complete descrizioni della
tirannide. Come scrive Lanza 1977 p. 100, la si pu considerare quasi una grande ekphrasis
dedicata all'esecrazione della tirannide. Il tebano entra in scena e chiede chi sia ad Atene
il a cui deve rivolgersi, per riferire i discorsi di Creonte, che governa () sulla
terra di Cadmo68. Probabilmente non nelle intenzioni dell'araldo avviare una discussione sul
sistema politico della citt e, usando la parola , egli vuole forse semplicemente far
66 Il sostantivo , da Giocasta personificato e presentato quale la pi giusta delle dee, esprime molto bene, la
connessione del principio di uguaglianza con la giustizia e l'armonia politica, un concetto tipico e molto
ricorrente nel dibattito filosofico del quinto secolo; sulla questione cfr. Mastronarde 1994 pp. 300-301.
67 Medda 2006 pp. 44-45.
68 vv. 399-402: ; / , , /
/ ;
29
riferimento al capo ateniese, ma il vocabolo, troppo scottante nell'Atene del quinto secolo, non
pu non suscitare una reazione di tipo emotivo da parte dell'interlocutore, la stessa che
evidentemente doveva, in qualche modo, scatenarsi anche nel pubblico69. Teseo, allora, non esita
a precisare che lo straniero ha iniziato male il discorso, cercando un tiranno (v. 404:
); il popolo che comanda con successioni annuali a turno (v. 406: ) e non
c' maggior potere per la ricchezza, perch anche il povero gode di uguali diritti (vv. 407-408).
, a questo punto, che l'araldo attacca duramente il sistema democratico: la sua citt, dice, nelle
mani di un uomo solo e non in balia della massa (v. 411: ); questo un
bene, perch, in tal modo, non vi spazio per il demagogo di turno, che si gonfia di discorsi per
il proprio guadagno privato e, dapprima compiacente, conduce rapidamente la citt alla rovina,
per poi far scomparire le sue colpe con nuovi inganni e sottrarsi alla giustizia70. Alla netta
governare: il povero che lavora la terra (), anche se non ignorante, come potrebbe,
sotto il peso del lavoro, guardare agli interessi pubblici? davvero malsano per i migliori,
quando un uomo ignobile, che prima era nulla, arriva con la sua lingua a possedere il popolo71.
Viene spontaneo pensare, per contrasto, a quanto afferma Pericle nell'epitafio, quando elogia la
capacit degli Ateniesi di prendersi cura insieme delle faccende politiche e di quelle private,
30
Quel che stupisce che la risposta di Teseo (vv. 426-462) non prende affatto in considerazione
(cfr. Di Benedetto 1971 pp. 180-181). La sua replica, infatti, si attiene solo ai principi generali di
Tucidide (2.37.1): non c' niente di pi dannoso per la citt di un (v. 429); laddove i
della democrazia sono , comuni (vv. 430-431), il tiranno, al contrario, esercita con la
forza il potere (v. 431: ), dopo essersi appropriato personalmente della legge (v. 431:
del libero intervento politico nell'assemblea, per portare il loro contributo e dare consigli e
compiace che crescano giovani cittadini; chi re (v. 444: ), invece, sopprime
(v. 446: ) i migliori, che ritiene capaci di ragionare (v. 445: ), perch teme per il
Come si vede, l' e l', che va ad identificarsi con l', cio la parit di diritti
nel parlare, e la , ossia il dire tutto ci che si vuole, diventano, nelle parole di Teseo, i
pilastri su cui si regge il sistema democratico ateniese, in netta opposizione alla tirannide,
caratterizzata dall'iniquit del potere e dal silenzio della paura73. Nessun accenno, per, alla
figura negativa del demagogo, che riempie di chiacchiere il popolo e finisce per ingannarlo.
Come chiarisce Musti 1997 p. 43, non c' risposta da parte di Teseo, perch non c' possibilit di
risposta: quanto l'araldo sostiene un dato di fatto, nel senso che la figura del demagogo un
rischio costante all'interno della pratica democratica e ne rappresenta l'aspetto degenerativo che,
73 Cfr. Musti 1997 pp. 42-43; nello specifico, sulla replica di Teseo si veda Collard 1975 pp. 224-233.
31
come tale, non pu essere oggetto di replica e di difesa; a tutti concesso il diritto di parola e, se
se ne serve anche un demagogo per fini negativi, parlare gli consentito, ma ci non toglie che
Da un punto di vista socio-economico, poi, Teseo, nel suo discorso, ribadisce pi volte
l'uguaglianza tra ricchi e poveri sul piano politico, senza preoccuparsi minimamente di mettere in
inevitabile. Tale concezione va di pari passo con quella teoria della valorizzazione della classe
media, sul piano della responsabilit e della partecipazione politica, espressa dallo stesso
personaggio alcuni versi prima (vv. 238-245). Dopo aver rivolto accuse nei riguardi di chi nella
sostiene una politica bellicista, in vista di obiettivi personali (vv. 195-237), Teseo fa, in
pochissimi versi, un excursus sulle varie classi sociali, per individuare quella in grado di salvare
la citt e fare il bene di tutti i cittadini; egli distingue tre parti nella cittadinanza: gli , inutili
attaccano i possidenti; c', infine, la parte che sta nel mezzo ( ), la sola che pu salvare
evidente che in questo passo Euripide esibisce un'ideologia centrista che esclude le parti pi
nullatenenti, strumento nelle mani dei demagoghi e vittime dell'invidia sociale, un male contro il
quale si era gi espresso Pericle, raccomandando ai poveri l'attivismo economico, cio l'impegno
74 vv. 238-245: / /
, / , / , /
. / , /
. stato avanzato da alcuni critici il sospetto di interpolazione per questi versi, ma la loro
ipotesi basata su argomenti poco convincenti; non si intende affrontare il problema in questa sede, ma sulla
questione si rimanda a Di Benedetto 1971 pp. 197-198; Collard 1975 pp. 171-174. In generale, per un'analisi
complessiva delle Supplici da un punto di vista politico-sociale si veda Di Benedetto 1971 pp. 154-192; nello
specifico, sulla teoria euripidea della classe media cfr. Di Benedetto 1971 pp. 193-211.
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a cogliere tutte le opportunit offerte dal processo produttivo75. In termini pi strettamente
politici, il tragediografo si fa portavoce di una posizione moderata, a favore di quei gruppi che
estreme, cio gli oligarchici e la democrazia radicale, impersonata dall'immagine negativa del
demagogo76.
La posizione politica del Teseo euripideo, che si basa s sull'esaltazione della libert di parola e
di voto, ma pure su una forte critica antidemagogica e, in particolare, su un violento attacco nei
riguardi della protesta sociale dei nullatenenti e di ogni forma di estremismo in stretta
assonanza con la politica di Pericle77 - si spiega alla luce del fatto che la democrazia classica non
un sistema politico rivoluzionario78. Essa prevede sempre l'esistenza di una classe dirigente,
espressione dei ceti pi abbienti, e di un capo politico, pi o meno moderato ed equo, che assume
una funzione di controllo sul corpo civico. Per quanto, poi, la democratica affronti il tema
della disuguaglianza sociale e non si mostri indifferente al problema dell'indigenza e del bisogno
economico, tale attenzione non si tramuta mai in un rovesciamento dei rapporti di propriet, per
il superamento del concetto stesso di classe, ma si esprime nei termini di una politica di
33
La democrazia greca affida agli abbienti, magari a quella classe media di cui si fa difensore
modo alle necessit di poveri ed emarginati, in una dinamica politica che non si presenta come
ogni comunit umana, che dia un riconoscimento sociale all'aumento continuamente accelerato della ricchezza,
che sancisca una volta per tutte la divisione della societ in classi e, soprattutto, garantisca alla classe dominante
il diritto allo sfruttamento della classe non abbiente e la piena giustificazione del dominio di quella classe su
questa. Una simile istituzione arriva, con l'invenzione dello Stato. E la storia politica ateniese permette di
seguire, almeno nella prima fase, come si sia sviluppato lo Stato, dagli originari organi della costituzione
gentilizia alla loro completa sostituzione con effettive autorit statali. Gi in et eroica, infatti, viene introdotta la
costituzione attribuita a Teseo, in base alla quale tutto il territorio della regione viene assoggettato ad
un'amministrazione centrale posta ad Atene, nasce un diritto pubblico generale ateniese, che si colloca al di sopra
delle consuetudini giuridiche delle trib e delle gentes, ed il popolo, senza considerazione di gens, fratria o trib,
viene diviso in tre classi, nobili, agricoltori e artigiani, con l'assegnazione soltanto ai primi del diritto esclusivo di
occupare uffici pubblici; si smembrano, in tal modo, le gentes, ossia si dividono i membri di ciascuna gens in
privilegiati e non privilegiati e questi ultimi, a loro volta, in due classi di mestiere, ponendoli gli uni contro gli
altri. Il passo successivo, in piena epoca storica, la riforma di Solone, un ulteriore attacco concreto alla
costituzione gentilizia. La crescita e il dominio della nobilt, residente in gran parte ad Atene per via del
commercio marittimo - fonte di appropriazione della ricchezza monetaria - la rovina dei piccoli contadini
dell'Attica, ormai privi della tutela degli antichi legami gentilizi, l'obbligazione e l'ipoteca sui beni, la nascita del
nuovo diritto - che garantisce il creditore nei riguardi del debitore, consacra lo sfruttamento del piccolo
contadino da parte del possessore di denaro e favorisce la schiavit per debiti - il conseguente aumento del
numero degli schiavi, nonch del numero di stranieri, che si riversano via via ad Atene per la maggiore facilit di
guadagno, tutto questo spinge Solone a varare una nuova costituzione: il legislatore invalida i debiti, proibisce la
schiavit per debiti, pone un limite alla propriet fondiaria che un individuo pu possedere, crea un consiglio di
quattrocento membri, cento per ogni trib, ma soprattutto divide i cittadini in quattro classi, secondo il loro
possesso fondiario ed il relativo reddito, pentacosiomedimni, cavalieri, zeugiti e teti, garantendo la pienezza dei
diritti politici ai primi tre e assegnando alla quarta classe solo il diritto di parola e di voto nell'assemblea
popolare. La riforma soloniana, quindi, sancisce l'introduzione ufficiale della propriet privata nella costituzione
e assesta un duro colpo all'ordinamento gentilizio: i diritti e i doveri dei cittadini vengono distribuiti e definiti in
base alla grandezza della loro propriet fondiaria e gli antichi organismi basati sulla consanguineit vengono
man mano soppiantati dal prestigio sempre crescente acquisito dalle classi possidenti. La sconfitta ed il tracollo
definitivo della societ gentilizia si ha, per, solo con Clistene. Il riformatore ignora del tutto le quattro antiche
trib attiche fondate su gentes e fratrie e introduce una nuova organizzazione che prevede la divisione dei
cittadini secondo il luogo di residenza: non pi il popolo, ma il territorio che viene diviso e gli abitanti ne
diventano politicamente una semplice appendice, operazione tipica di una forma politica, come quella ateniese,
in cui, accanto al centro urbano, anche la campagna rappresenta una componente essenziale con la sua
autonomia locale. Si spiega, cos, la razionale creazione di cento demi, amministrati autonomamente e
raggruppati in dieci trib locali, ognuna delle quali elegge cinquanta consiglieri nella boul di Atene; al consiglio
dei cinquecento va, poi, aggiunta, in ultima istanza, l'assemblea popolare, alla quale ogni cittadino accede con
diritto di voto, mentre arconti ed altri funzionari si occupano dei diversi rami dell'amministrazione e della
giurisdizione. Clistene, dunque, non fa altro che seguire la strada tracciata da Solone; il riformatore, infatti,
conserva le distinzioni censitarie e la divisione in classi, stabilite dalla costituzione del suo predecessore, e non
opera alcuna ridistribuzione delle terre, anzi salvaguardia la propriet privata della terra, assicura ai nobili il
mantenimento dei loro possessi e, in tal modo, conduce il processo di formazione dello stato ateniese al suo
punto conclusivo Per l'opera di Engels e, nello specifico, per la sua analisi della societ ateniese, qui sintetizzata,
si veda l'edizione di Codino 2005 pp. 137-147.
34
un sommovimento dal basso verso l'alto, ma come un movimento dall'alto verso il basso, o dalla
vastissima zona mediana verso le frange estreme, per riassorbirle e integrarle 80.
Il passo delle Supplici, appena analizzato, permette di ricondurre l'asse del discorso alla
Come si tentato di dimostrare, nella tragedia attica l'attacco alla tirannide, laddove sia
antiautoritario della ateniese, che ha la sua linea-guida nella politica ideologica degli
Alcmeonidi, la nobile famiglia di cui Pericle faceva parte. Non a caso, quindi, il discorso di
Teseo nel dramma euripideo, tutto incentrato sulla difesa dell'uguaglianza e della libert di
espressione, come pure le parole di Giocasta nelle Fenicie, presentano, come si visto, molti
primo responsabile della rovina di Atene. Ci che qui si intende rilevare che quella, che a prima
L'attacco politico, costantemente presente nella commedia dell'archaia, stato, a mio avviso,
molto spesso sottovalutato negli studi moderni e inteso semplicemente quale puro scherzo
parodico o, peggio, quale carnevalesco gioco di evasione dal reale, piuttosto che come una forma
35
di dissenso politico, uno strumento di analisi delle condizioni politico-sociali della citt e, di
conseguenza, anche come un monito a riflettere sulla realt contingente, nell'ottica di un teatro
politico, specchio diretto della , dei suoi meriti e delle sue contraddizioni. Questo secondo
punto di vista quello che si vuole riaffermare con forza in questa sede, a partire proprio dalla
descrizione di Pericle presente nella produzione comica di Cratino, una descrizione che, seppur
frammentaria, trova, come si vedr, un valido riscontro nel ritratto pi completo, che dello
Punto di partenza , senza dubbio, il famoso epitafio, il discorso tenuto dallo stratega, in teoria
per commemorare i caduti del primo anno di guerra, di fatto per tessere un elogio del sistema
democratico da lui rappresentato (Th. 2.35-46). Il celebre discorso tutto dominato dal senso
della come un organismo unitario, con un rapporto armonico tra tutte le sue parti e privo di
contrasti sociali: tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge e partecipano all'amministrazione
dello stato, non in base alla loro condizione economica, ma secondo i propri meriti (2.37.1); la
vita pubblica si fonda sul principio inviolabile della libert (2.37.2); il diritto di ospitalit
sacrosanto e costantemente rispettato (2.39.1); l'intero corpo civico dedica cura e attenzione,
nello stesso tempo, agli affari privati e a quelli politici, dal momento che un cittadino
disimpegnato reputato inutile 81 (2.40.2). Ma era davvero cos nella realt quotidiana?
Pericle parla a nome di tutta la citt e costruisce l'intero discorso sull'idea di un noi che lo
associa al popolo e che, come sottolinea Musti 1997 p. 6, gli permette di abbattere qualunque
distanza con l'uditorio e, in tal modo, di evitare di suscitare invidia, destando il sospetto di voler
essere l'interprete unico del miracolo ateniese; si tratta, ovviamente, del noto meccanismo
mistificatorio per cui chi detiene il potere tende a presentarsi non come esponente di un gruppo,
36
ma di tutto lo stato82. Ne consegue, dunque, che l'analisi periclea della democrazia ateniese non
pu non essere, a sua volta, soggetta ad una certa mistificazione e, pertanto, va presa in
Pericle sostiene che ad Atene tutti i cittadini sono liberi e uguali di fronte alla legge,
un'affermazione che pu essere ritenuta anche vera, a patto, per, che si definisca in maniera
cittadinanza e, di conseguenza, i diritti politici, questo vuol dire che la garanzia della libert
strettamente legata alla barriera del diritto di cittadinanza, ritenuto nel mondo greco un bene
prezioso da concedere con parsimonia, sulla base di requisiti rigidi ed escludenti, al fine di
limitare al massimo il numero dei beneficiari. In et periclea, infatti, sono riconosciuti come
cittadini solo i maschi adulti (in et militare), rigorosamente figli di padre e madre ateniese e
consistente numero di schiavi, di nati da un solo genitore ateniese e di stranieri immigrati, che
doveva costituire certamente la maggioranza in una citt cos dedita al commercio e sempre in
contatto col mondo esterno. Canfora 2008 p. 34, poi, sottolinea che in epoca classica il concetto
pieno titolo della comunit partecipando alle assemblee decisionali, chi in grado di esercitare la
principale funzione dei maschi liberi, la funzione a cui tutta la paidia li prepara, cio la guerra.
Ora, fino al quinto secolo la nozione di cittadino/guerriero si identifica con quella di possidente,
dal momento che essere guerriero implica avere i mezzi per provvedere all'armatura;
successivamente, con il potenziamento della flotta navale, Atene estende la cittadinanza anche ai
non possidenti (i teti), per via della necessit di una nuova manodopera bellica, i marinai, un
37
gruppo sociale e militare, armato e pagato dallo stato per spingere i remi e muovere le navi83.
Nonostante l'allargamento della cittadinanza ai teti, per, il corpo civico ateniese, limitato ai
maschi liberi purosangue, resta comunque molto ristretto, rispetto al gran numero di schiavi e
stranieri, i non-liberi, esclusi dai diritti civili e dalla compropriet dei beni pubblici della citt.
Ne deriva che nel quinto secolo tutto si gioca, nel sistema democratico, sull'opposizione netta tra
liberi e non-liberi; e Atene, mentre si impegna a garantire massima libert e uguaglianza politica
del suo impero navale, finisce col trarre sostentamento proprio da questi, fuori di s, tramite
regolare dei tributi, e al suo interno, spremendo fino all'osso gli schiavi, manodopera produttiva
indispensabile al funzionamento del sistema, costretti in larga parte a marcire nelle miniere e
incatenati in luoghi pestiferi, e i meteci che, soggetti comunque al pagamento delle tasse,
contribuiscono alla crescita della citt senza poter godere di alcun beneficio e di alcun diritto 84.
nel giusto, allora, Canfora 2008 p. 34, quando asserisce che la comunit ateniese, immersa in
un grande impero che di fatto la sovrasta e la dirige, pratica a tutti gli effetti una democrazia
decurtata.
La descrizione che Pericle fa, nel suo discorso, della ateniese tutta permeata da una
visione ottimista, accompagnata da un'enorme fiducia in quel sistema, che lo statista, pi di altri,
rappresenta, nonostante la sua insistenza nel parlare a nome dell'intera collettivit. La storia,
per, gli eventi storici, che segnano il governo pericleo sino alla sua tragica fine, dimostrano
frutto di una strategia politica, dettata dalla necessit di consenso, piuttosto che come riflesso
38
dello scenario reale. La profonda crisi politica, che sconvolge Atene nei primi anni della guerra
del Peloponneso, ne , infatti, la prova pi evidente, perch essa non fa altro che mandare in
frantumi e svelare l'intima inconsistenza di quell'ideale, sul quale si fonda tutta la politica di
Pericle, quell'ideale costruito su un'immagine della quale organismo unitario e armonico 85.
Nel suo recente studio su Tucidide e l'imperialismo pericleo, Foster (2010) dimostra molto bene
che il punto di vista dello storico non coincide affatto con quello del famoso politico: Tucidide,
com' noto, individua la causa profonda del conflitto peloponnesiaco, l'evento pi sconvolgente
della storia greca, nell'eccessiva di Atene, frutto della sua smodata ambizione, e nella
sua crescita esponenziale, in termini di ricchezza, materiali bellici e potere, una crescita
eccessiva destinata a condurla alla rovina; in un'ottica di questo genere, secondo la studiosa,
Pericle, ostinato com' nel considerare indistruttibili la ricchezza e la potenza della sua citt e,
pertanto, sostenitore a oltranza di una politica imperialista e bellicista, rappresenta, agli occhi
massimo responsabile, nonch il simbolo per eccellenza della tragedia di Atene 86.
Il primo libro delle Storie si conclude con il primo dei discorsi di Pericle (140-144), in cui lo
statista afferma con forza la superiorit economica e militare di Atene, al fine di convincere i
suoi cittadini ad entrare in guerra contro Sparta, and therefore defines the destiny of Athen's
resources in terms of their use as war materials87: non bisogna cedere assolutamente ai
Lacedemoni, perch essi sono nemici, minacciano aggressioni e, con il loro ordine di
abbandonare l'assedio di Potidea, lasciare autonoma Egina e abrogare il decreto che riguarda i
Megaresi, non fanno che tendere una trappola (1.140.1-3); se gli Ateniesi obbediranno, si
mostreranno deboli e gli Spartani, in seguito, si sentiranno autorizzati a chiedere cose ancora pi
39
pesanti (140.5).
Pericle, dunque, vede nelle richieste dei Lacedemoni un pericolo per la potenza ateniese, un
attacco costante al suo potere, che va inevitabilmente scongiurato. La sua intransigenza nel
volere la guerra dettata dalla convinzione che la citt ha tutte le carte in regola per vincere, una
convinzione basata sulla sua totale fiducia nella concreta e visibile superiorit materiale di Atene
su Sparta. Ne deriva, allora, che the Athenian acme of wealth and war materials is a necessary
foundation of Pericles' bellicosity88, come dimostra anche il fatto che tutto il resto del discorso
incentrato sulla rivendicazione della forza indistruttibile della : quanto alle risorse materiali,
infatti, lo stile di vita degli Spartani basato sull'agricoltura, che rappresenta la causa primaria
della loro povert e che, per di pi, li rende incapaci di condurre guerre a lungo termine al di l
del mare (141.2-3); essi, in assenza di ricchezze pubbliche e private, non sono in grado di
equipaggiare navi, n di inviare spesso eserciti per via di terra, perch non possono abbandonare
i loro possedimenti privati e non sono nelle condizioni per affrontare ingenti spese, col rischio di
finire sul lastrico (141.4-5); Atene, invece, dal canto suo, ha l'enorme vantaggio di essere ricca,
di possedere molte terre, di avere il dominio sul mare e una grandissima esperienza navale, un
vantaggio notevole che ne determina a tutti gli effetti la superiorit (142.5-9; 143.3-4). La
sottolinea Foster 2010 p. 143, che il ritratto degli Spartani, costruito da Pericle per gli Ateniesi,
fondamentalmente distorto e l'insistenza sulla loro inefficacia agricola e sulla loro povert non
che a rhetorical construction designed to lessen the Athenian's fears of Sparta's fabled infantry
Lo stratega conclude il discorso, incitando i suoi concittadini a lasciar perdere la loro terra e le
loro case e a sorvegliare soltanto il mare e la citt, gli elementi fondamentali del successo e della
40
gloria ateniese (143.5). Nell'ottica periclea, dunque, pi importante difendere i possedimenti
d'oltremare, cio l'impero, che le propriet dei singoli; ed questo ci a cui l'intera collettivit
deve tendere, al fine di assicurare ad Atene l'indipendenza da Sparta e il dominio sugli alleati, i
sconfitta.
Questi stessi concetti vengono riaffermati da Pericle nel suo ultimo discorso (2.60-64), tenuto nel
corso di un'assemblea da lui riunita, al fine di sedare il dissenso e placare la rabbia degli Ateniesi,
i quali, dopo la seconda invasione peloponnesiaca e la tragedia della peste, lo accusano di averli
costretti alla guerra e, di conseguenza, di essere il responsabile delle loro disgrazie (2.59): tutta la
comunit non deve perdersi d'animo di fronte alle difficolt, ma anteporre sempre la salvezza
della citt a qualunque beneficio privato; infatti, solo se una citt prospera nel suo insieme, pu
garantire benessere e fortuna a tutti i suoi cittadini; in caso contrario, ne determina soltanto la
rovina (2.60-61); gli Ateniesi, padroni assoluti del mare, non devono badare alla perdita di case e
terre, perch queste, in confronto alla potenza dell'impero, non sono che giardinetti o ornamenti
di poco conto (2.62.2-3); Atene ha conseguito la pi grande potenza, che sia stata mai
conquistata e di cui rester per sempre memoria fra i posteri; Atene la citt che ha avuto il
dominio sul maggior numero di Greci, che ha combattuto nelle guerre pi grandi, la citt in tutto
e per tutto pi grande e pi abbondantemente fornita di tutti i beni (2.64.3); , dunque, la sua
libert che va difesa strenuamente, perch solo la libert potr restituire i beni perduti; quando,
Pericle mostra di avere un'ambizione smisurata, un imperialista convinto, che crede ciecamente
nell'eternit e nell'invincibilit della gloria e della potenza ateniese; egli costruisce i suoi discorsi
41
ad arte, esalta oltremodo la grandezza di Atene, senza, per, fornire una descrizione dettagliata
delle reali vittorie conseguite e dei territori effettivamente conquistati, e, inoltre, pone sullo
stesso piano lo scontro con i Persiani e quello con i Greci. Pericle, infatti, ignora, o finge di
ignorare, la reale ragione che spinge gli Spartani alla guerra, cio il desiderio di liberare la
Grecia dall'oppressione ateniese, e assume una posizione difensiva, per cui he characterizes any
power that stands in the way of Athenian expansion as an offender who is legittimately warred
down89. Per contrasto, Tucidide, nel descrivere l'impero di Atene, non esita a sottolineare, con
lucido rigore storiografico, il duro stato di oppressione e la schiavit a cui sono soggetti gli
alleati, i quali, con i loro tributi, favoriscono la crescita della flotta ateniese, mentre, in caso di
e permette di rilevare una differenza sostanziale tra il narratore e il suo Pericle 90.
Tucidide ben lontano dall'idealizzazione della guerra, di stampo pericleo, e, soprattutto nel
secondo libro, d prova di considerarla soltanto la causa della pi grande tragedia della storia
greca. significativo, infatti, che la dettagliata descrizione della peste viene inserita proprio tra i
due famosi discorsi di Pericle, l'epitafio e l'ultimo, sopra analizzato (2.47-54). Dopo aver
accuratamente esposto i sintomi della malattia (2.49-51), lo storico si sofferma sui disagi sociali
e psicologici da essa provocati, innanzitutto l'ingente afflusso di persone dalla campagna in citt
e le loro disumane condizioni di vita: in assenza di case disponibili, infatti, essi sono costretti ad
abitare ammassati in capanne soffocanti, determinando cos la crescita della strage; i corpi dei
42
moribondi giacciono l'uno sull'altro e i malati si aggirano per le strade alla ricerca di acqua,
mentre i templi vengono riempiti di cadaveri, nel totale disprezzo della religione e dei luoghi
sacri (2.52). La descrizione delle sofferenze dei profughi inurbati dell'Attica fa da contraltare al
successivo invito rivolto loro da Pericle a lasciar perdere case e terre, beni futili di poco conto
(2.62.3); e il contrasto tra il tragico scenario dipinto qui da Tucidide e la noncuranza dello statista
dinanzi ad esso rivela, in qualche modo, l'insensibilit e la superficialit dell'uomo politico, che
finge di ignorare le reali condizioni ad Atene in order to achieve an ideal and future glory91.
repentino del loro carattere: essi, nel vedere il rapido mutamento di sorte dei ricchi, che muoiono
improvvisamente, e dei nullatenenti, che subito diventano padroni dei beni dei morti, cominciano
a pensare di dover godere di tutto ci che hanno e di non dover pi sopportare fatiche per ci che
reputato onesto, dal momento che, di fronte a quella sciagura, la vita effimera e non c'
indifferenza, che procede in direzione contraria agli insegnamenti di Pericle relativi alla necessit
di anteporre a tutto il bene della comunit, un comportamento che svela pure la vulnerabilit
dell'impero che, considerato dallo stratega eterno, non in grado alla fine di tutelare i suoi
Pericle considera la peste un semplice incidente inaspettato, che non deve impedire la
prosecuzione del conflitto (2.61.3-4; 2.64.2). Tucidide, invece, descrive lo scoppio della malattia
come uno sconvolgimento, che segna il punto di non ritorno, e riesce a cogliere qualcosa che lo
stratega non pu o non vuole prendere in considerazione, il fatto cio che la peste destinata a
cambiare Atene per sempre; lo stesso Pericle, del resto, morir di peste e questo non potr non
43
avere un decisivo effetto destabilizzante 93.
Nel descrivere i sintomi della malattia, inoltre, Tucidide dice che nessun corpo si dimostra
diverso, richiama la stessa coppia di parole usata da Pericle nell'epitafio per descrivere
l'individuo educato dalla , che con la sua versatilit e disinvoltura in grado di plasmare il
statista insiste sull'autosufficienza di Atene, il principio basilare che rende l'impero immune da
qualsiasi forma di deterioramento, lo storico fornisce la sua risposta ad una simile convinzione:
non esiste alcun , perch la generazione di Pericle non al di sopra delle leggi di
natura; gli Ateniesi, come tutti gli esseri umani, possono essere in qualunque momento
Nel capitolo 65 del secondo libro, Tucidide espone il suo giudizio finale su Pericle: dopo il suo
ultimo discorso, i cittadini si lasciano persuadere dalle sue parole; e cos, in pubblico ()
energia alla guerra; in privato (), per, non depongono la rabbia nei suoi riguardi, perch
soffrono per le loro disgrazie - sia i poveri, che hanno perso anche quel poco che avevano, sia i
ricchi, che sono stati privati dei loro possedimenti in campagna e, soprattutto, per il fatto che
continuano ad avere la guerra invece della pace; eppure, gli Ateniesi, non molto tempo dopo,
meno esposti alle sventure, rieleggono Pericle stratega e gli affidano nuovamente tutta la politica,
considerandolo l'uomo che meglio pu rispondere ai bisogni della citt nel suo
insieme (2.65.1-4).
nella natura del potere dello statista: egli, forte del consenso popolare, riesce a controllare il
44
popolo piuttosto che ad esserne controllato; perci, non teme di contraddirlo e rimproverarlo,
quando si mostra arrogante, e non esita a incoraggiarlo, quando vittima del timore e della paura
(2.65.8); solo a parole ad Atene vige la democrazia, di fatto il governo del primo cittadino
(2.65.9: , ).
evidente, allora, che la democrazia ateniese non un governo popolare, ma una guida del
regime popolare, da parte dei dirigenti politici, esponenti delle classi pi alte di censo, ricchi e
nobili, i quali, per il prestigio personale e per il potere, accettano il sistema e si fanno per questo
democratici, al fine di diventare la guida politico-militare della citt, nella convinzione, spesso
mistificatoria, di incarnare gli interessi della collettivit94. Pericle, quindi, percepito dallo
personale accettato e riconosciuto che finisce con lo snaturare, pur senza violarli, gli equilibri dei
poteri95.
Quattro secoli pi tardi Augusto dar vita a Roma ad un potere di questo tipo e nasconder il suo
costituzionale della sua posizione di monarca, infatti, si inquadrer nel principio dell'auctoritas;
il nuovo Cesare, dopo aver restituito la res publica al senato e al popolo romano, ricever di fatto
delle normali magistrature repubblicane, ma con pi di auctoritas degli altri magistrati 96.
Ad Atene, per, la leadership di Pericle doveva richiamare facilmente alla mente dei suoi
contemporanei, pi che il principato, un altro tipo di potere personale, a loro molto familiare,
quello della tirannide. Tucidide non designa mai lo statista con il termine , ma, quando
nell'Archeologia parla brevemente della tirannide in Grecia, informa che, in particolare ad Atene,
i tiranni erano stati abbattuti da Sparta e che il loro governo non era tanto caratterizzato da un
45
esercizio terroristico del potere, quanto piuttosto si basava sul perseguimento dell'interesse
personale, sul desiderio di accrescere il prestigio delle loro famiglie e sulla continuit ininterrotta
della loro presenza a capo della citt (1.17-18.1). Per quanto Pericle non venga mai accusato di
tirannide dallo storico, non si pu non riconoscere nella sua opera storiografica una certa affinit
tra la descrizione dello statista/primo cittadino e quella del tiranno di Atene per eccellenza,
Pisistrato, entrambi guida politica per lungo tempo, entrambi in conflitto con Sparta. Ecco,
quindi, che il cerchio si chiude, tornando da ultimo alla commedia, tornando a Cratino. Pericle,
novello Pisistrato, un guerrafondaio imperialista che, in nome di un effimero sogno di gloria, non
esita a spingere, con la sua forza demagogica, i cittadini alla guerra e ad esporli alle pi grandi
sventure. Quello che Tucidide non dice, ma che lascia in qualche modo presumere, si fa chiaro
sulla scena comica come un tiranno, perch questa la percezione, che la ha di lui, e il suo
La commedia politica di Cratino, quindi, pur con tutti i limiti dettati dalla sua frammentariet,
un prezioso strumento di analisi del sistema democratico ateniese e una finestra aperta su
un'epoca cruciale, quella che ha avuto, non a caso, maggior risonanza nel corso dei secoli,
l'epoca periclea. La perdita della totalit dei drammi del commediografo nella loro interezza
resta, a mio avviso, una lacuna incolmabile, perch se quei drammi si fossero conservati, se
97 Non bisogna, del resto, dimenticare che tra l'opera storiografica di Tucidide e un qualsiasi dramma intercorre una
differenza basilare, relativa alle modalit di composizione, dal momento che la prima, in virt della complessit
e del carattere ellittico dei costrutti, prevede quasi certamente una redazione scritta, mentre i testi teatrali si
basano esclusivamente sull'oralit. Una simile situazione comporta, com' ovvio, una distinzione netta anche per
quanto riguarda il tipo di pubblico, a cui ci si rivolge: mentre, infatti, quello del teatro variegato e stratificato,
tutta la citt riunita, l'insieme di tutti i cittadini, di cui il drammaturgo tenta di interpretare i sentimenti, le gioie e
i dolori, le opinioni favorevoli e il dissenso, e di restituirli ai loro occhi con l'immediatezza della performance,
l'opera di Tucidide, per la difficolt dello stile e della sintassi, oltre che per la sua resa in forma scritta, induce,
invece, a ipotizzare un pubblico di lettori molto ristretto o, al massimo, di ascoltatori selezionati, in grado di
seguire un testo tanto complesso e concepito per ammaestrare e guidare all'analisi politica, non di certo per
dilettare.
46
avessero potuto continuare a parlare a noi moderni, tante altre cose avrebbero, forse, svelato,
tanto avrebbero potuto insegnare al nostro presente, a tutto il mondo contemporaneo, un mondo
in cui troppo spesso il Potere, seguendo un falso mito che procede indisturbato dalle origini,
indossati i panni della democrazia, che lo rende pi allettante, si fa esecutore materiale di crimini
efferati, il pi delle volte nell'indifferenza e nel silenzio collettivo; un mondo, in cui la violenza e
accennano a finire; un mondo, infine, in cui la libert non che un privilegio nelle mani di pochi.
N.B.: Nel presente presente lavoro sono prese in esame cinque commedie di Cratino: Dionisalessandro (primo
capitolo), Fuggitive (secondo capitolo), Tracie (terzo capitolo), Nemesi (quarto capitolo) e Chironi (quinto capitolo).
Per ciascuno di questi drammi, per, non vengono analizzati tutti i frammenti conservati, ma solo quelli ritenuti
significativi, ai fini della satira politica e di un'eventuale ricostruzione dell'intreccio comico. Per gli autori antichi ed
i loro testi, poi, vengono seguite le abbreviazioni del LSJ e dell'Oxford Latin Dictionary. Quando non diversamente
segnalato, la numerazione dei frammenti dei commediografi greci quella dell'edizione curata da R. Kassel e
C. Austin (Berlin-New York 1983-).
47
PRIMO CAPITOLO
48
IL DIONISALESSANDRO
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49
giudizio, Hermes se ne va (dalla scena) e questi parlano agli spettatori di alcune cose
riguardo i figli (?) e deridono e sbeffeggiano Dioniso appena comparso; questo, arrivate a lui
da parte di Era il saldo potere, da parte di Atena il coraggio in guerra e da parte di Afrodite di
essere bellissimo e attraente, giudica vincitrice questa. Dopo ci, recatosi per mare a Sparta e
condotta via Elena, ritorna sullIda. Dopo poco sente che gli Achei devastano la regione e
vanno alla ricerca di Alessandro. Allora, dopo aver nascosto in fretta Elena in un cesto ed
essersi travestito da ariete, attende il seguito. Arrivato, poi, Alessandro ed avendoli sorpresi,
ordina di condurre entrambi alle navi per consegnarli agli Achei. Ma, dal momento che Elena
spaventata, egli, mosso da piet per lei, la trattiene per averla come moglie; invia, invece,
Dioniso (alle navi), perch sia consegnato, e i satiri lo accompagnano, confortandolo e
assicurandogli che non lo abbandoneranno. Nel dramma, con grande abilit e mediante una
velata allusione, messo in ridicolo Pericle per aver portato la guerra agli Ateniesi.
Prima della scoperta del papiro contenente l'argumentum del dramma, del Dionisalessandro si
conservavano solo tredici frammenti, pervenuti per tradizione indiretta (frr. 39-51 K.-A.), che per
leccessiva esiguit e brevit (non pi di due versi per ognuno) non permettevano di
Meineke (FCG I, pp. 57 e 413) ipotizz che il dramma fosse incentrato sulla figura di Alessandro
Magno e che, dunque, per ovvie ragioni cronologiche, fosse da attribuire a Cratino il giovane, ma
lincertezza della sua ipotesi lo port comunque a pubblicare i frammenti tra quelli di Cratino il
vecchio98. Kock 1880 pp. 23-24, invece, ritenne subito che la commedia fosse di Cratino il
vecchio e che lAlessandro citato nel titolo fosse leroe troiano Paride, ma suppose erroneamente
una sua sostituzione a Dioniso, sulla base del fr. 40 K.-A., ricondotto dallo studioso al momento
in cui Alessandro si reca da Elena accuratamente ornato e vestito da Afrodite come il dio 99.
La scoperta e pubblicazione del POxy 663 (cfr. Grenfell-Hunt 1904 pp. 69-72; Austin, CGFP pp.
35-37) ha fugato ogni dubbio circa la paternit del dramma, senzaltro da attribuire a Cratino il
98 Meineke 1839 p. 37: sed quum dubia res sit et incerta, fragmenta inter ceteras Cratini maioris fabulas exhibere
satius duxi.
99 Sul fr. 40 si veda infra.
50
vecchio, ed ha permesso di individuare il protagonista della commedia, che non , come
suggerito da Kock, l'eroe troiano Alessandro, bens il dio Dioniso, che si finge Paride e opera in
sua vece. Si tratta di un papiro risalente alla seconda met del II secolo d.C. oppure alla prima
met del III secolo, che contiene la hypothesis del Dionisalessandro e riporta non solo il titolo
del dramma, ma anche il nome dellautore. Il testo, irto di abbreviazioni, scritto in una piccola
onciale su un rotolo di dimensioni 19,8 x 12,3 cm ed suddiviso in due colonne, di cui la prima
occupa lintera altezza del foglio, mentre la seconda inizia pi in basso, poich, in maniera del
tutto insolita, il titolo e il nome dellautore, scritti in unonciale pi grande e in lettere ben
tracciate, non sono collocati in basso, ma in testa alla seconda colonna. Il testo della hypothesis,
inoltre, presenta numerosi problemi di interpretazione, perch mutilo della prima parte ed in
alcuni punti contiene evidenti lacune, che lo rendono a tratti non pienamente comprensibile.
La parte iniziale del testo conservato coincide con la parabasi (ll. 5-9); si legge, infatti, che, dopo
spettatori per discutere con loro e, successivamente, comparso Dioniso sulla scena, lo deride e lo
schernisce (ll. 10-12). Non del tutto chiaro loggetto della discussione intavolata con il
pubblico, perch alla l. 8 del papiro si legge soltanto . Blass 1906 p. 486 congettura
Krte 1904 p. 484 si pone sulla stessa linea di Blass, ma predilige la forma plurale
tramandata dal papiro (). Cratino, dunque, nella parabasi del Dionisalessandro
51
parlerebbe per mezzo dei coreuti di questioni attinenti ad altri poeti, forse suoi rivali, e la cosa
non sarebbe affatto strana dal momento che si tratta di una pratica usuale in Aristofane, il quale,
ad esempio, nella parabasi dei Cavalieri cita i suoi avversari Magnete, lo stesso Cratino e Cratete
(vv. 503-550).
discussione circa ladozione dei figli, in riferimento alla politica periclea. Lo statista ateniese,
com noto, nel 451/450 emise una legge, in base alla quale soltanto i bambini nati da genitori
entrambi ateniesi potevano avere la cittadinanza ateniese e godere a pieno di tutti i diritti civili e
politici (cf. Arist. Ath. 26.4; Plu. Per. 37; si veda anche Harrison 1968 pp. 21-29). Tale
provvedimento era ancora vigente nel 414, perch Aristofane, portando in scena gli Uccelli, fa
dire a Pisetero che Eracle escluso dai diritti di successione in qualit di , dal momento
che sua madre straniera (vv. 1646-1666). Di fatto, per, la legge sulla cittadinanza perse vigore
nel corso della guerra del Peloponneso, anche perch Pericle, rieletto stratego e persi i suoi figli
legittimi a causa della peste, chiese che venisse abrogata per paura che il suo nome e la sua stirpe
si estinguessero del tutto; gli Ateniesi, dunque, avendo piet della sua sventura familiare, gli
concessero di iscrivere tra i frateri con il suo nome (Pericle il giovane) il figlio illegittimo nato
dalla relazione con letera di Mileto, Aspasia (cf. Plu. Per. 37). Nella parabasi del
Dionisalessandro, quindi, secondo Rutherford, ci sarebbe una chiara allusione alla richiesta di
Pericle di assegnare la cittadinanza alla sua prole illegittima. La rielezione alla strategia dello
statista, per, avvenne pochi mesi prima della sua morte, nel febbraio del 429 (cf. Th. 2.65.4;
Plu. Per. 37) e, se si fissa, come si vedr in seguito, la rappresentazione del dramma di Cratino al
430, tale interpretazione opinabile, dal momento che in quellanno non c'era ancora stato il
52
tentativo di adozione di Pericle il giovane. Handley 1982 pp. 109-117, invece, accoglie la
supponendo che il POxy 2806101, pubblicato come frammento comico adespoto da Lobel (1971,
sotto il titolo Old Comedy) ed inserito da Austin, sia pure con un asterisco, tra i frammenti
papiracei di Cratino (CGFP p. 49 n. 76), contenga un passo della parabasi del Dionisalessandro,
di cui conserverebbe la parte finale della seconda ode e i primi versi del secondo epirrema. Si
tratta di un breve frammento incentrato sulla cura dei bambini da parte delle madri, sulla crescita
dei figli maschi, sul loro ingresso nellet adulta, con la comparsa della prima barba sul volto, e
sul loro successivo accoppiamento con altre donne. Handley 1982 p. 110 pensa che questo testo
sia una chiara rappresentazione di quello che definisce the Wonderful World of the Instant
hypothesis del Dionisalessandro, in cui, come si detto, viene esposto per sommi capi il tema
generare e, poi, il Pap. Oxy. 2806 menziona figli e figlie, non solo figli maschi (cfr. Luppe
1988 pp. 37-38; Bakola 2009 p. 298); sulla base, per, del fatto che vi sono numerosi paralleli in
documentazione in merito si veda Bakola 2009 p. 300 e n. 25), non da escludere che la
congettura di Rutherford sia giusta e che la discussione del coro prendesse di mira la legge sulla
cittadinanza e, magari, come sostiene Bona 1988 p. 194, vertesse anche polemicamente sulla
facilit con cui gli Ateniesi erano disposti ad assegnare lo status di cittadini agli stranieri che
101Luppe 1975 p. 192 ha respinto l'ipotesi di attribuzione a Cratino del frammento in questione, in assenza di prove
sicure e di testimonianze attendibili; per questa ragione, il frammento non stato collocato da Kassel-Austin nel
corpus del commediografo ateniese.
53
ritenevano utili nella guerra contro Sparta 102.
Il protagonista della commedia di Cratino non , come potrebbe sembrare a una lettura
superficiale del titolo e dellargumentum, Alessandro, noto anche col nome di Paride, ossia il
famoso eroe troiano, figlio di Priamo, che fu avvicinato sullIda da Hermes e da lui invitato a
giudicare quale fosse la pi bella delle tre dee che lo accompagnavano, Atena, Era ed Afrodite
(cfr. Apollod. 3.11.2-5). Lignoto scriba del papiro, infatti, sottolinea che nel corso della parabasi
non si presenta in scena Paride, ma al suo posto compare Dioniso (ll. 10-11:
), che si finge Alessandro, opera in sua vece e, per il suo aspetto ridicolo, viene deriso
personaggio ibrido, Dioniso nel ruolo di Alessandro, Dionisalessandro, appunto, come chiarisce
bene il titolo. La hypothesis, insomma, informa che nella sezione parabatica Dioniso si presenta
sulla scena e viene accolto con lazzi e scherzi dai coreuti. I verbi utilizzati nel testo per indicare
schernisco (cf. LSJ s.v. p. 553; s.v. p. 1729). Luppe 1966 pp. 170-171
()) e propone di espungere il primo dei due verbi, considerandolo una glossa al
secondo entrata successivamente nel testo. Lo studioso tedesco, infatti, sostiene che molto
strano che in una hypothesis cos concisa e priva di ridondanze ci sia spazio per due termini
sinonimici posti luno accanto allaltro; labbreviazione del primo verbo, poi, del tutto
anomala, poich in genere il troncamento finale non intacca la radice verbale; essa, inoltre,
avrebbe dovuto essere applicata solo al secondo verbo, la desinenza del quale sarebbe stata gi
chiarita dal verbo precedente. In effetti, questa coppia verbale non compare nellambito della
102In tal senso, un esempio diretto fornito dal caso di Sitalce: gli Ateniesi, intenzionati a dominare le localit
lungo la costa tracia e a porre fine alla potenza di Perdicca, loro nemico, strinsero un'alleanza con il re tracio e
concessero la cittadinanza ateniese a suo figlio Sadoco (cfr. Th. 2.29.4-5).
54
letteratura greca, ad eccezione di un passo delle Rane aristofanee (vv. 374-375: /
utilizzati in binomio, formando quasi delle espressioni formulari103. Il fatto, dunque, che essi non
siano abbreviati in maniera corretta nel testo papiraceo potrebbe essere spiegato supponendo che
espressioni di questo tipo erano molto frequenti per i lettori e non cera necessit di usare
abbreviazioni particolarmente precise (cfr. Farioli 1994 p. 135). Del resto, lipotesi di Luppe, in
base alla quale una glossa di finita per errore nel testo, non molto
convincente, perch alquanto strano che il primo verbo, non molto diffuso (cf. LSJ s.v.
pp. 1406-1407) e per di pi in forma composta, possa essere stato usato per spiegare il secondo.
Farioli 1994 pp. 131-136 sostiene, invece, che questa coppia verbale sia stata tratta direttamente
dal Dionisalessandro e che ci sia una chiara corrispondenza tra questo passo della hypothesis e
quello delle Rane di Aristofane sopra citato, in cui il coro di iniziati intona nellAde, alla
presenza di Dioniso e Santia, un inno in onore di Iacco, invitando chiunque ad avanzare con
vigore nei grembi fioriti dei prati, battendo il piede e prendendo in giro e scherzando e
schernendo104. La studiosa mette in rilievo una strana coincidenza: qualche verso prima di questo
passo delle Rane, ai vv. 354-357, il corifeo invita a stare lontano dai cori chi non puro di mente
e non vide n danz i riti delle nobili Muse, n fu iniziato ai bacchici Misteri dalla lingua di
Aristofane, dunque, cita il suo rivale usando unespressione che denota rispetto e ammirazione e,
per di pi, attribuendogli lepiteto , proprio di Dioniso (S. fr. 668 R.:
103Cfr. Pl. Erx. 397d: ; Plb. 4.3.13: ; Plu. Pomp. 64:
.
104 vv. 372-375: / / / /
.
55
). Tale attributo rimanda alla pratica dellomofagia nel rito sacrificale dionisiaco ed
allatto rituale di sbranare la vittima ancora viva e consumare le sue carni crude e sanguinanti.
Lidea di mangiar tori , secondo Totaro 2006 p. 598, una prefigurazione di un pasto
sacrificale che si identifica con il dio stesso e che, per questo, garantisce a chi se ne nutre la
Lattribuzione, quindi, di un epiteto proprio del dio del teatro a Cratino potrebbe essere
funzionale a unesaltazione del genio cratineo e della sua produzione poetica, ma, secondo la
da escludere l'idea che e ricorrano insieme per puro caso nella hypothesis
del dramma cratineo e in Aristofane, mentre , invece, probabile che lautore dellargumentum,
che certamente aveva sotto gli occhi il Dionisalessandro allatto di riassumerlo, abbia inserito
nel testo della hypothesis una coppia sinonimica di verbi contenuta nella commedia di Cratino, e
che un analogo inserimento abbia operato Aristofane, introducendo nelle sue Rane una citazione,
forse anche inconscia, della commedia del suo rivale, arricchita dalla variante del
La sezione successiva del testo papiraceo (ll. 12-19) introduce certamente una delle parti pi
significative del dramma, ossia la scena del giudizio sullIda, con la sostituzione di Dioniso a
Paride, le offerte delle tre dee e la vittoria finale di Afrodite. Alla l. 13 si tramanda
presentati a Dionisalessandro. Sulla stessa linea si pone Krte 1904 p. 484, il quale, per,
dee. In effetti, il participio trdito non ha molto senso, laddove non sia specificata la persona che
56
compare in scena. Il verbo attestato negli argumenta dei drammi con la funzione
tecnica di indicare la prima comparsa in scena di un personaggio e non ricorre solo in questo
hypotheseis di Aristofane105. chiaro, per, che le congetture avanzate non hanno alcun riscontro
concreto. Per questa ragione, Wilamowitz 1904 p. 665 mantiene il participio trdito e pensa che
scena da Hermes prima della parabasi. Di altro parere si mostra Blass 1906 p. 486, che pone alla
(comparse le dee in contesa e venendo a lui offerto). Luppe 1966 p. 172 accetta lipotesi
della lacuna, ma sostiene che il participio sia assolutamente inutile, dal momento che
si tratta di una forma piuttosto aulica e, dunque, non adatta al linguaggio misero e scarno di una
una possibile integrazione. E allora, sulla base del testo conservato, si pu supporre che, subito
dopo la parabasi, Dioniso, presente in scena, travestito da Alessandro e perci deriso dal coro, sia
pronto ad accogliere i doni di Era, Atena ed Afrodite, ad assumersi il ruolo di giudice delle dee,
Si pone per questa scena il problema del numero preciso di attori utilizzati, se cio vi sia o meno
una violazione del limite dei tre attori. Una notizia tarda di Tzetzes informa che la commedia ai
suoi esordi non aveva regole fisse e si presentava come uno spettacolo piuttosto fluido e
disordinato; successivamente, proprio al tempo di Cratino, il numero degli attori venne, invece,
105 Cfr. Hyp. Ar. Ach. I 19-20:
; Hyp. V. I 5-6:
; Hyp. Lys. I 21-22: , , .
57
fissato a tre106. Krte 1904 pp. 489-490 non assegna credibilit a questa testimonianza, poich
ritiene che essa si fondi su quella teoria, sorta in epoca tarda e assolutamente arbitraria, in base
alla quale la struttura della commedia non ha avuto unevoluzione propria, ma si costruita e
delineata sul modello della tragedia. Per questa ragione, lo studioso tedesco ipotizza, per la scena
del giudizio, la presenza di quattro attori, che impersonano rispettivamente Dioniso e le tre dee,
1904 p. 665 che, come si gi visto, presuppone la presenza scenica soltanto di Dioniso ed
Hermes, il quale mostra le offerte divine contenute in un cestello o in un vasetto visibile agli
spettatori gi prima della parabasi. Croiset 1904 p. 305, invece, sostiene che Dioniso sia una
presenza fissa sulla piattaforma scenica, mentre le divinit si alternano e, con tre discorsi
successivi, si presentano al dio una dopo laltra. Di un certo interesse , poi, la tesi di Norwood
1931 p. 123, seguita anche da Luppe 1966 pp. 173-174, secondo la quale ci sono sul
palcoscenico ben cinque attori, Dioniso, Hermes e le tre dee, ma di fatto agiscono solo i primi
Il testo della hypothesis informa della presenza scenica di Hermes prima della parabasi, ma non
dice nulla della sua comparsa subito dopo; la tradizione mitica del giudizio di Paride, per,
testimonia il suo ruolo di guida e accompagnatore delle dee sullIda. Per questo motivo, Blass
1906 p. 486 ritiene che Hermes, der schon vor der Parabase da war, msste dann als Fhrer
wieder erscheinen. Luppe 1966 p. 174 immagina addirittura che la comparsa del messaggero
106 Tzetze, Prol. de Com. 16 (Kaibel, p. 18 = Dbner, Anon. de Com. V):
( )
.
. Pickard-Cambridge 1996 pp. 192-193, per, ritiene che questa dichiarazione vada
accettata con cautela, perch Aristotele dichiara la sua ignoranza sull'argomento (Poet. 5.1449b) e, inoltre, nelle
commedie di Aristofane, sebbene sia rispettata in linea di massima la regola dei tre attori, non mancano casi
particolari, in cui lecito supporre l'impiego di un quarto attore, magari per parti molto brevi. Sul numero degli
attori e la distribuzione dei ruoli nei drammi di Aristofane si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 207-213.
58
debba essere stata in qualche modo indicata anche nel testo dell'argumentum e, perci, propone
> . La soluzione del problema alquanto complessa, dal momento che il testo
papiraceo non offre precise indicazioni sceniche, ma, accettando lindicazione di lacuna senza
che Hermes, dopo aver assegnato a Dioniso la funzione di giudice prima della parabasi,
ricompaia subito dopo con le dee, conservando cos il ruolo di guida, garantito dal mito, e
presenti lui stesso le offerte divine. In tal modo, nella scena del giudizio non ci sarebbe una
violazione del limite dei tre attori, perch se ne utilizzerebbero solo due, mentre le divinit
Dioniso, dunque, nei panni di Alessandro pronuncia sullIda il giudizio delle dee, un tema
tradizionale, noto agli spettatori, che Cratino poteva di poco cambiare, cos come tradizionali e,
in un certo senso, fissi erano anche i doni promessi dalle divinit e qui di seguito elencati nel
testo della hypothesis (ll. 14-19). Era offre il potere (ll. 14-15: () [] ()
) e il suo dono non si discosta di molto da quanto tramandato dal mito. Euripide nelle
Troiane menziona la promessa di regnare su tutta lAsia e sui confini dEuropa107 ed il regno
Dionisalessandro, per, non viene affatto indicata la precisa estensione geografica di tale
59
Secondo il mito, lofferta di Atena la vittoria in guerra110. Nella hypothesis non ben
non d senso e, perci, tutti gli studiosi, nel rispetto della tradizione mitica, ipotizzano una
contrario, cio la codardia, una caratteristica costante del dio, insieme all'effeminatezza, nel
mito e nel culto112. Nell'Iliade, inoltre, la descrizione di Paride, che Dioniso impersona, quella
di un uomo bellissimo, ma privo di forza e pi vile di tutti gli altri eroi omerici (cfr. 3.30-52;
428-454). Ne deriva, allora, che nella commedia di Cratino l'offerta di Atena si accorda
perfettamente sia con la versione mitica originale, dal momento che il coraggio rimanda
comunque alla sfera bellica, sia con la tipica caratterizzazione di Dioniso e di Paride, di
Per quanto riguarda, infine, la promessa di Afrodite, essa non consiste, come ci si aspetterebbe,
del tutto inutile, perch, se, come si vedr pi avanti, il personaggio di Dioniso non rappresenta altri che Pericle e
l'intero dramma finalizzato ad un chiaro attacco contro lo statista ateniese, il richiamo alla saldezza ed alla
solidit del potere acquista un valore significativo nell'ambito della satira politica, proprio nel momento in cui il
governo pericleo era fortemente in pericolo e stava per volgere al termine.
110 Cfr. Isoc. 10.41: ; Luc. DDeor. 20.12: , , ,
, , .
111 Isocrate, del resto, definisce i doni rifiutati da Paride:
, ,
, (10.44).
112 In un frammento del dramma satiresco di Eschilo, Theoroi o Isthmiastai, per esempio, uno dei satiri rimprovera
Dioniso di essere (fr. 78a.68 R.) ed ancora pi incisivo lo scolio al v. 741 della Pace di
Aristofane, in cui si dice che vi erano a quel tempo dei ritratti comuni e ricorrenti, cio quello di Eracle
mangione, di Dioniso codardo e di Zeus adultero ( ,
). Nello specifico, sulla questione si veda Bakola 2009 p. 190.
60
nell'unione con Elena, bens nella garanzia di bellezza e fascino irresistibile, qualit che, per,
esce vincitrice dalla contesa, si adatta molto bene al personaggio, ad Alessandro, la cui bellezza
divina pi volte richiamata nell'Illiade mediante l'epiteto (3.16; 27; 30; 37; 58; 6.290;
113 In realt, il passo della hypothesis relativo al dono di Afrodite stato diversamente interpretato da vari studiosi.
Nel papiro si legge () () () . Blass 1906 p. 486
espunge e lo sostituisce con , in accordo con le due costruzioni precedenti (l. 14: () []; l.
15: [] ). Si tratta, per, di una correzione insignificante, di un tentativo di normalizzazione
sintattica a posteriori assolutamente inutile; per questo nessuno accoglie l'intervento. Alla l. 18, invece, Edmonds
1957 p. 32 integra <>, cos da far in modo che al primo superlativo ne segua subito un altro, in
nome di una coerenza sintattica. La stessa soluzione sceglie anche Luppe 1966 p. 177, il quale, rigettando la
traduzione di Grenfel-Hunt 1904 p. 72, the prospect of becoming the most beautiful and most beloved of all,
dal momento che il verbo non ha mai il significato di diventare, rende der schnste und
liebenswerteste Mann zu sein. Anche in tal caso, per, la correzione non risulta affatto necessaria, poich non
assolutamente compromesso il senso dell'espressione e, per di pi, l'unione di un superlativo con un aggettivo
nella forma positiva non crea particolari difficolt. , dunque, del tutto condivisibile la scelta operata da Kassel-
Austin di conservare il testo trdito, in base al quale, come si detto sopra, Afrodite promette a Dioniso di
renderlo bellissimo e irresistibile, al fine di esaltarne maggiormente la vanit. Luppe 1966 pp. 178-179, per,
nota un'incoerenza con lo svolgimento successivo dell'azione scenica, che non prevede la realizzazione della
promessa della dea, uscita vincitrice dalla contesa, ma solo il rapimento ed il possesso di Elena. La tradizione
mitica, del resto, fa riferimento solo al dono di matrimonio con la donna spartana e, nel dialogo di Luciano tra
Afrodite e Paride, la dea dice espressamente che, consapevole della sua giovinezza e della sua bellezza, ha
intenzione di offrirgli non una donna rozza e villana, quali sono le donne sull'Ida, ma una giovane e bella
proveniente dalla Grecia, da Argo, da Corinto o da Sparta, cio Elena ( DDeor. 20.13), indicata pi avanti come la
sposa prescelta (DDeor. 16). Alla luce di questa testimonianza, lo studioso tedesco azzarda l'ipotesi di una lacuna
dopo e propone tale integrazione: <
> <> .
Afrodite, quindi, a suo avviso, offre all'eroe comico Elena, la spartana pi bella di tutte, poich egli in assoluto
il pi bello e attraente. In un articolo successivo (1980 pp. 154-158), inoltre, Luppe, seguendo lo stesso
ragionamento, suggerisce un'altra possibile congettura: <> <>
, cio da parte della dea il possesso della donna pi bella e irresistibile. Ebert 1978, infine, fornisce una
diversa interpretazione dell'intero passo relativo all'offerta dei doni (ll. 12-19). Lo studioso, infatti, non accetta
l'indicazione di lacuna alla l. 13, crea un collegamento tra e quanto segue e suppone che il
participio assoluto abbia tre soggetti gi espressi, , e , che, cio, compaiano in
scena, oltre alla dea dell'amore, anche il Saldo Potere, per conto di Era, ed il Successo in Guerra, da parte di
Atena, come personificazioni di concetti astratti. Ebert, inoltre, ritiene che alla l. 18 sia un errore
commesso dallo scriba, a causa dell'illeggibilit dell'antigrafo, e vada corretto con . Numerose sono, del
resto, le testimonianze letterarie che parlano del : E. Hel. vv. 27-29: ,
/ / ; Isoc. 10.42: ;
Apollod. Epit. 3.2: ; Luc. DDeor. 20.14: ,
; Lib. Narr. 27.2: , ; Colluth.
163-164: / . Sulla base
di queste fonti, lo studioso tedesco propone la seguente ricostruzione del passo del testo papiraceo: ()
/ / () [] / , [] / () ()()
(), / () () () / () /,
(Nachdem aber bei ihm erscheinen sind: erstens, von Hera (gesandt), 'Feste Herrschaft', zweitens, von Athena
(gesandt), 'Erfolg im Kriege' und drittens Aphrodite, um eine sehr schne und liebliche Hochzeit zu gewhren,
61
332; 517; 11.581; 13.774; 24.763; cfr. anche 3.39), e a Dioniso, il cui fascino estetico evocato
nelle Baccanti, quando Penteo descrive i suoi riccioli biondi e profumati, il colorito color del
vino e gli occhi pieni delle grazie di Afrodite (vv. 233-236; 453-459). E cos Cratino, nell'ambito
della parodia di un mito ben noto al pubblico, senza l'esplicita menzione di Elena, mette in risalto
rapimento e la conquista della donna, fatti prevedibili e logicamente attesi dagli spettatori,
La scena successiva del dramma prevede un momentaneo spostamento di luogo, dal momento
che il dio si reca per mare a Sparta, per prendere Elena, e con lei fa subito ritorno sullIda
(ll. 20-23). Il seguito dell'azione scenica, descritto nella parte finale della prima colonna, non
risulta pienamente comprensibile (ll. 23-25). Grenfell-Hunt 1904 p. 71 alla l. 23 leggono nel
papiro e lo intendono come forma abbreviata del participio aoristo (), mentre alla l.
25, dopo (), propongono [() ] : Dioniso, dopo aver sentito che
gli Achei saccheggiano e distruggono la regione, cio la Troade, fugge da Alessandro. Anche
Krte, seguito da Croiset ed Edmonds, sceglie tale soluzione, ma essa non sembra molto chiara:
perch il dio del teatro dovrebbe rifugiarsi da Paride, se lo svolgimento successivo dellintreccio
mostra chiaramente che egli non pu che temerlo? Alessandro, infatti, come si vedr a breve, una
da erklrt er mit seinem Urteilsspruch diese zur Siegerin). L'ipotesi di Ebert, che prevede la personificazione dei
doni, stata di recente condivisa da Bakola 2009 pp. 285-294, con la variante di , al posto di , in
accordo con la congettura di Kassel-Austin: () / / () [] () /
, [] / () ()() (), / () () () /
/. L'interpretazione dello studioso tedesco , per, a mio avviso, molto discutibile ,
innanzitutto per ragioni sintattiche, dal momento che, come fa notare Luppe 1980 p. 157, il verbo ,
usato per indicare la comparsa in scena di personaggi, non mai attestato in una costruzione col dativo della
persona; il verbo , poi, non si trova in nessun caso come transitivo attivo nel senso di concedere e,
infine, manca un parallelo nel testo greco per l'infinitiva finale retta da e ipotizzata da Ebert
nella sua traduzione. Bakola 2009 p. 294 n. 174, che conserva il testo trdito, tenta di risolvere l'anacoluto
presente nella frase relativa all'offerta di Afrodite, supponendo un genitivo assoluto con il participio
sottinteso, ma tale ipotesi risulta difficilmente accettabile. di gran lunga preferibile, a mio avviso,
salvaguardare la tradizione e presumere una lacuna alla l. 13, senza azzardare eventuali integrazioni e modifiche
che, per quanto ingegnose, restano del tutto inverificabili.
62
volta scoperta la coppia, ordiner di consegnarla agli Achei (ll. 33-37). Wilamowitz 1904 p. 665,
saccheggiano la regione e ha paura di Alessandro. Anche in questo caso il senso non molto
chiaro, poich non si comprende bene la connessione tra lopera di distruzione dei Greci e il
timore nei confronti delleroe troiano. Luppe 1966 p. 180 giustifica la scelta di Wilamowitz sulla
base di una lettura arbitraria dell'ultima lettera della prima colonna, identificata dallo studioso in
un ; in realt, nel papiro non c traccia di questa lettera, ma segnata solo una linea
leggermente sinuosa, la stessa del rigo 11 e del rigo 21, utilizzata come forma abbreviata per .
Lo studioso tedesco nota, poi, che subito dopo visibile anche una piccola linea obliqua, che pu
appartenere a una delle seguenti lettere, , , , , oppure . Luppe, quindi, ricostruisce in tal
.[ ] / . Egli pensa che nella lacuna vada inserito un infinito, che abbia
come iniziale una delle lettere sopra citate, e sceglie il verbo : gli Achei devastano la
Troade, perch credono che Paride abbia rapito Elena, e lo inseguono per fargliela pagare. Una
simile interpretazione porta ovviamente a riesaminare anche la l. 23, poich, per ragioni di
coerenza sintattica, non pu essere sciolto in (), ma necessaria una forma finita
del verbo, che possa reggere i due infiniti successivi. Lo studioso tedesco, inoltre, fa notare che
nel testo della hypothesis non si trova nessun participio in forma abbreviata (l. 20: ; l. 31:
; l. 32: ()(); ll. 34-35: /; l. 38: ), mentre per ben due volte
si ha labbreviazione di verbi in forma finita (l. 22: (); l. 39: ()); per questa
gli Achei mettono a ferro e fuoco la regione e vanno alla ricerca di Alessandro.
63
Successivamente, Dioniso, dopo aver nascosto Elena in un cesto, si camuffa da ariete e attende lo
svolgersi degli eventi futuri (ll. 29-33). Alla l. 30 Grenfell-Hunt 1904 p. 72 leggono e
, forse unoca o una gallina, in base ad una testimonianza di Ateneo, secondo cui
propriamente un cesto per pollame (1.23d); in tal modo, Elena subirebbe una metamorfosi in
unoca o in una gallina. Ma per quale ragione leroina, gi resa irriconoscibile dalla
trasformazione, dovrebbe essere anche nascosta e chiusa in un cesto? Luppe 1966 p. 181 ritiene
che anche in questo caso ci sia stato un errore di lettura da parte degli editori: dopo , infatti, si
conserva una linea verticale sormontata da una trasversale; non pu essere perch mai nel testo
tedesco, quindi, propone [], seguito anche da Kassel-Austin: Dioniso, per paura di
Paride, nasconde in fretta Elena in un cesto, si traveste da ariete e attende il seguito. Alessandro,
per, sopraggiunto, scopre i due e ordina che vengano condotti alle navi e consegnati ai Greci
(ll. 33-37). Successivamente, leroe troiano decide di trattenere con lui Elena e prenderla in
moglie, mentre consegna agli Achei solo Dioniso, accompagnato nel finale del dramma dai satiri,
La parte iniziale della seconda colonna (ll. 26-28) restituisce il titolo del dramma ed il nome
dell'autore. Tra le due indicazioni si legge alla l. 27 . Grenfell-Hunt 1904 pp. 69-70 ipotizzano
gli editori non danno questo dato per certo perch, anche se negli argumenta dellAntigone di
criterio di numerazione del tutto oscuro. Krte 1904 p. 485, allora, accogliendo la proposta del
numerale, immagina che esso faccia riferimento ad una collocazione alfabetica e suggerisce che
64
la commedia cratinea potesse occupare l'ottavo posto in unedizione alessandrina dedicata al
convincente perch, come fa notare Luppe 1966 p. 189, lindicazione del numero con una sola
lettera del tutto insolita e sarebbe, anzi, un'eccezione, dal momento che in tutti gli altri casi vi
strano, inoltre, che il numero si trovi compreso tra il titolo e il nome dellautore, perch in genere
dovuto trovare () , .
Edmonds 1957 p. 32 si mostra di altro parere e pensa che vada interpretata come la particella
disgiuntiva e che ci si trovi di fronte a un doppio titolo, il secondo dei quali andato perduto.
evidente che la sua ipotesi non ha alcun riscontro scientifico e, per di pi, frutto di una
supposizione assolutamente soggettiva e non altrimenti verificabile. Luppe 1966 pp. 185-192,
secondo titolo (gente dellIda), sulla base di due scoli ad Aristofane, in cui questo nome
compare proprio quale titolo di una commedia di Cratino115. Nel Dionisalessandro, del resto,
65
gran parte dellazione scenica si svolge proprio sullIda e potrebbe, allora, riferirsi al coro,
Nel testo della hypothesis il solo riferimento sicuro al coro del dramma alle ll. 6-12, in cui,
come si gi visto, si descrive lattivit dei coreuti durante e immediatamente dopo la parabasi,
anche se non si indica esplicitamente la loro identit, forse perch gi menzionata in precedenza,
nella parte dellargumentum andata perduta. I primi editori, seguiti da Krte 1904 p. 483, Croiset
1904 p. 299 e da Norwood 1931 p.118, deducono lidentit dalla forma plurale () della
l. 42: la presenza dellarticolo determinativo ha senso soltanto se i satiri sono stati gi nominati;
Luppe 1966 pp. 184-185, invece, ipotizza la presenza di un doppio coro, uno principale costituito
dai pastori e uno secondario formato da satiri, e immagina che siano i primi, al servizio di Paride
(ll. 6-12) e a ricevere ed attuare lordine delleroe troiano di consegnare il dio agli Achei
(ll. 34-37; 40-41). A riprova di ci, lo studioso tedesco focalizza la sua attenzione sul fr. 39 K.A.,
in cui si accenna alla tosatura delle pecore, un'attivit che pu essere svolta solo da pastori:
Dionisalessandro, in particolar modo alle tre dee, che Dioniso ha il compito di giudicare sull'Ida.
66
Bakola 2005 pp 50-51 pensa che l'ipotesi di Luppe, per quanto suggestiva, sia del tutto
distinto dalla prima persona plurale del verbo e, dunque, a suo avviso, un altro gruppo, non i
pastori, a pronunciare questi due versi. La studiosa sostiene che nel Dionisalessandro ci sia un
solo coro formato da satiri, che tradizionalmente costituiscono il corteggio dionisiaco: essi
pronunciano la parabasi e, poi, deridono il loro padrone, probabilmente perch ad un certo punto
dellazione scenica entrano in conflitto con Dioniso per ragioni a noi ignote, ma che forse erano
ben indicate nella sezione della hypothesis andata perduta; in tal modo, divenuti estranei al loro
signore, essi assumono temporaneamente il ruolo di pastori al servizio di Paride sullIda e da lui
prendono lordine di liberare la sua casa da Dioniso, quale impostore, e mandarlo in disgrazia;
soltanto nel finale della commedia, quando il dio viene consegnato agli Achei, i satiri, mossi da
piet, si riconciliano con lui e decidono di non abbandonarlo e di seguirlo nella sua prigionia.
Secondo la Bakola, quindi, la commedia sarebbe formata da un unico coro di satiri, i quali solo
temporaneamente nel corso dellazione scenica assumono le vesti di pastori, per poi tornare alla
loro tradizionale condizione nel finale, dopo la riconciliazione con Dioniso. Questa idea senza
dubbio molto affascinante, ma non offre alcuna garanzia di attendibilit, dal momento che nel
testo conservato della hypothesis non c traccia di un presunto litigio tra il dio e il suo seguito.
Resta, a mio avviso, maggiormente valida, anche se non certa, l'ipotesi del doppio titolo
che, come si detto, prevede la presenza di due cori, uno principale formato da pastori e uno
secondario di satiri, i quali, nel finale del dramma, non possono che dare conforto e sostegno al
67
La ricostruzione dell'intreccio comico, appena esposta, mostra che la commedia di Cratino
interamente incentrata sulla parodia del mito di Paride, ottenuta mediante l'accurata sostituzione
dell'eroe troiano con Dioniso. Ma perch proprio Dioniso? Perdrizet 1905 pp. 109-115, sulla base
di alcune raffigurazioni di vasi attici, su cui sono rappresentati la fuga di Paride e il tentativo di
Hermes di afferrarlo, ipotizza che una simile scelta sia dovuta proprio alla fuga delleroe troiano:
per una sorta di terrore religioso, un essere umano non pu entrare in contatto con una divinit e
reggere il suo sguardo; e allora Alessandro, in quanto uomo, si spaventa davanti allapparizione
delle tre dee e scappa; Hermes tenta di prenderlo, ma invano e, in assenza di un giudice, il
messaggero divino assegna tale compito a Dioniso. Ora, nonostante il motivo del timore umano
dinanzi al divino sia caro alla poesia greca (cfr. Hom. hCer. 275-283; hVen. 181-189), questa tesi
contro Dioniso. Se, invece, questultimo ha assunto per necessit la funzione di giudice, in
seguito alla fuga del primo, come lo studioso francese prova a sostenere, perch mai leroe
troiano dovrebbe avere un atteggiamento ostile nei suoi riguardi? C' poi da aggiungere che il
testo papiraceo mostra chiaramente che il dio si arroga il compito di giudicare le tre divinit non
per necessit, ma mediante un inganno. Egli, infatti, subisce due metamorfosi: in un primo
momento, agisce nei panni di Alessandro e, dunque, le stesse divinit, in attesa del verdetto, sono
convinte di avere dinanzi Paride; sempre nelle vesti di questultimo, Dioniso si reca a Sparta per
rapire Elena, ragion per cui gli Achei invadono la Troade e non si mettono sulle tracce del dio,
Elena, per sfuggire alleroe troiano, il quale, accortosi del tranello, subendo il fascino della
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consegnandolo ai Greci. Tutto, quindi, si gioca nel dramma di Cratino sulla capacit di
travestimento di Dioniso, sulle sue identit multiple, in primo luogo come dio del teatro e poi
come Paride, come ariete e, da ultimo, come si vedr, nelle vesti di Pericle. Non , allora,
difficile intuire la ragione della scelta di Dioniso quale eroe comico, dal momento che nessun
personaggio meglio di lui in grado di assumere forme diverse. Dioniso , infatti, il dio
dell'alterit per eccellenza ed il travestimento un elemento caratteristico del suo mito e del suo
culto: noto da Apollodoro che, per sottrarlo alla gelosia di Era, Zeus affida il piccolo Dioniso a
travestito da bambina (3.4.3); quanto al culto, poi, il retore Aristide informa che l'uso dionisiaco
prevedeva, innanzitutto, donne camuffate da uomini, ma anche uomini camuffati da donne, per
esempio in occasione delle feste di campagna, i komoi, oppure durante l'Oschrophoria, una festa
di efebi che rievocava l'arrivo di Dioniso al porto del Falero ed era introdotta da due ragazzi in
abiti femminili e con grappoli d'uva (41.9). Il travestimento, profondamente radicato nel mito del
dio del teatro, non fa altro che esprimere il piacere represso per il mutamento d'identit e
compare con insistenza anche nel suo culto, perch l'esperienza dionisiaca comporta sempre, in
forme diverse, un uscire dai limiti della propria persona: un'estasi, letteralmente; sia nel senso
pi neutro di partecipazione a danze e feste, o ad altri riti di isterismo collettivo, sia nel senso pi
Cratino sceglie Dioniso117 come protagonista della sua commedia, perch nessuno meglio di lui,
116 Fusillo 2006 p. 31. Per un approfondimento specifico sull'importanza del travestimento nella personalit di
Dioniso e sulla sua ricorrenza nelle Rane di Aristofane e nelle Baccanti di Euripide si vedano Fusillo 2006 pp.
15-43; Bakola 2009 pp. 253-272 (con relativa bibliografia).
117 Che Dioniso comparisse sulla scena nel suo abbigliamento usuale , del resto, testimoniato anche dal
fr. 40 K.-A.:
(.) ; .
(.) , , ,
69
costantemente soggetto a processi di metamorfosi, pu prestarsi al gioco comico di parodia del
mito di Paride e, nello stesso tempo, farsi strumento diretto dell'attacco politico contro Pericle.
Che, infatti, il Dionisalessandro sia una commedia a sfondo politico testimoniato dalla parte
finale dellargumentum, laddove si dice che nel dramma viene schernito Pericle, per aver portato
la guerra agli Ateniesi (ll. 44-48), senza ombra di dubbio la guerra del Peloponneso. Questa
permette anche di definire l'arco temporale per la sua rappresentazione, di certo immediatamente
dopo lo scoppio del conflitto e prima della morte dello statista, tra il 431 e il 429.
Il testo conclusivo della hypothesis, inoltre, ha indotto la maggior parte degli studiosi a fornire
un'interpretazione della commedia in termini di allegoria politica, con specifiche allusioni alle
vicende storiche contemporanee. Per primo, Croiset 1904 pp. 308-310 individua nella
rappresentazione della devastazione della Troade ad opera degli Achei un evidente richiamo alla
recente distruzione delle terre dell'Attica e dei demi intorno ad Atene, operata dall'esercito
spartano nell'estate del 431 (cfr. Th. 2.19.2; 2.23.1). Lo studioso, poi, convinto che il ritratto di
Dioniso, quale causa diretta della guerra troiana, sia un attacco esplicito a Pericle, il responsabile
del conflitto peloponnesiaco agli occhi dei suoi cittadini, cos come si ricava dai racconti di
Tucidide e di Plutarco (Th. 2.21.3; Plu. Per. 33). Allo stesso tempo, la reazione codarda del dio,
che, dopo l'invasione, si camuffa da ariete per non essere catturato, potrebbe essere letta come
(B.) Un tirso, una veste color zafferano, un mantello variopinto, una coppa
Macrob. Sat. V 21.6 (codd. NP) nec solus Asclepiades (Myrleanus, cf. Athen. XI p. 474F) meminit huius poculi (carchesii)
sed et alii illustres poetae (- codd.)
Alla richiesta di una presentazione dell'abbigliamento di un personaggio, dunque, una persona non meglio
specificata, pur senza svelarne l'identit, ne descrive l'aspetto in maniera cos inequivocabile, che non risulta
difficile pensare immediatamente a Dioniso; il tirso, il croceo (, la veste color zafferano) e il mantello
variopinto (), forse simile al o , il chitone dotato di maniche (cfr. Poll. 7.55),
rappresentavano, infatti, il costume abituale del dio del teatro (cfr. Poll. 4.116-117; 7.47). In generale, sulla
questione si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 279-280. Sul fr. 40 si veda anche Bakola 2009 p. 257.
70
una caricatura allusiva della irresponsabile e vile strategia difensiva messa in atto dallo stratega,
intenzionato a non uscire allo scoperto contro il nemico, nonostante le devastazioni (Th. 2.22.1;
Plu. Per. 33). Plutarco, del resto, nello stesso passo in cui descrive il comportamento dello
statista, riporta un frammento delle Moire di Ermippo, portate in scena nello stesso periodo del
Dionisalessandro (430), frammento in cui Pericle, nei panni del re dei satiri, accusato di essere
bravo a fare discorsi coraggiosi in tempo di pace e a liberarsi in fretta della lancia in battaglia118.
Secondo Croiset, infine, l'avventura amorosa di Dioniso con Elena, la portatrice della guerra di
Troia nell'immaginario collettivo greco, il cui nome tradizionalmente legato al topos della
guerra per colpa di una donna, ricalca in pieno la relazione di Pericle con Aspasia119, la
cortigiana di Mileto accusata da Aristofane negli Acarnesi ( vv. 523-537) di aver determinato lo
scoppio del conflitto peloponnesiaco, per via del rapimento di due sue prostitute da parte dei
Megaresi, rapimento che spinge Pericle, in preda all'ira, a promulgare il noto decreto contro
Megara, in base al quale vietato alla citt di servirsi dei porti dei territori soggetti ad Atene e
del mercato ateniese (cfr. anche Th. 1.67.4; 139.1; 144.2). Plutarco dice anche espressamente che
Aspasia la responsabile diretta del conflitto contro Samo, perch solo per la difesa della sua
citt natale, Mileto, che lo statista invia una spedizione navale contro i Samii (Per. 25.1).
Sempre nell'ottica di un'interpretazione allegorica, Schwarze 1971 pp. 11-24 ritiene che il
Pericle nei confronti del ateniese (impersonato da Paride), in occasione della prima
71
regolari e riunioni straordinarie, per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso e per evitare
cambi di programma (cfr. Th. 2.22.1). Dioniso-Pericle, inoltre, nel giudicare le tre dee, rifiuta un
potere stabile, offerto da Era, rigetta l' in guerra (o meglio l', il coraggio,
seguendo Kassel-Austin) e da vile e codardo assegna il premio ad Afrodite, che gli garantisce la
bellezza suprema, un'allusione, forse, allo statista come uomo privato, vittima del piacere dei
sensi, e, dunque, alla sua relazione con Aspasia. Secondo lo studioso tedesco, poi, la consegna di
Dioniso al nemico da parte di Paride rimanda alla richiesta spartana dell'esilio di Pericle, come
erede del sacrilegio degli Alcmeonidi, risalente al tentativo di Cilone di instaurare una tirannide
ad Atene (cfr. Th. 1.126-127). Infine, il fatto che Elena, allegoria di Aspasia e ipostasi della
guerra, venga risparmiata e presa in moglie da Paride, cio dal popolo ateniese, implica la
volont di continuare la guerra, con o senza Pericle. Schwarze, quindi, attribuisce a Cratino una
posizione bellicista che, nonostante i ripetuti attacchi alla politica dello statista, lo porta
comunque a prender le parti del partito guerrafondaio e ad incitare a una prosecuzione del
quanto scrive l'anonimo redattore della hypothesis, il quale asserisce in modo inequivocabile che
ricostruibile la trama solo per sommi capi, seppure conduce, come si visto, ad osservazioni
costante e simultaneo riferimento a fatti e circostanze reali, sganciate dal contesto della finzione
scenica, con il rischio, a volte, di operare forzature sul materiale conservato. Nel caso del
72
dramma di Cratino, identificare l'Elena del mito con Aspasia crea delle difficolt oggettive, dal
momento che, per quanto questa impressione possa essere ragionevole, vi sono alcuni punti
nell'intreccio che non permettono la continuit di una simile equazione (Elena = Aspasia): il
rapimento dell'eroina spartana, per esempio, ed il suo matrimonio con Paride non trovano
tradizionale. Anche l'individuazione di Elena come allegoria della guerra rende complicata
l'interpretazione di alcuni dettagli narrativi, come per esempio il fatto che la donna viene
nascosta in un cesto, quando Dioniso tenta di sottrarsi ad Alessandro. Luppe 1966 p. 183 ritiene
che questo escamotage alluda agli Ateniesi, soggetti, per volont di Pericle, ad una condizione di
segregazione all'interno delle mura della citt, al momento dell'invasione spartana; in tal caso,
allora, forse, preferibile, per quanto riguarda l'interpretazione della commedia, rinunciare alla
categoria allegorica e seguire una diversa linea esegetica maggiormente rispondente al materiale
frammentario conservato. Il testo della hypothesis, del resto, come fa notare Bakola 2009 p. 188,
dimostra chiaramente che, sebbene la dimensione politica sia una componente essenziale del
dramma, vi sono pure altri fattori non trascurabili, i quali rendono l'opera teatrale nel suo insieme
un lavoro molto complesso, che opera nello stesso tempo su pi livelli: il livello della parodia
comica del mito, di cui si gi detto, quello del dramma satiresco ed il livello della satira
politica.
Secondo la Bakola (2005 pp. 54-55; 2009 pp. 89-97), infatti, il Dionisalessandro si configura
come un vero e proprio caso di interazione tra due generi letterari, la commedia e il dramma
satiresco, con il quale condivide, oltre alla presenza dei satiri, alcuni motivi tipici 120:
120 In generale, sui motivi caratteristici del dramma satiresco si vedano Sutton 1980 pp. 145-159; Seaford 1984 pp.
33-44; Krumeich et al.1999 pp. 28-32; 666-667.
73
1) La prigionia e la schiavit: Dioniso catturato da Paride e consegnato ai Greci e i satiri
2) L'inganno e la frode: Dioniso assume il ruolo di Alessandro nel giudizio delle dee sullIda, ma
il fatto che gli Achei dopo il rapimento di Elena vadano alla ricerca delleroe troiano e non del
3) L'avventura damore di una divinit con una donna mortale e/o il matrimonio di un dio o di un
eroe: nella commedia di Cratino si ha sia lavventura di Dioniso con Elena, sia il della
4) Il tema della gara: nel Dionisalessandro presente la nota gara di bellezza tra Era, Atena ed
Afrodite, cio lo stesso mito messo in scena da Sofocle nel suo Crisis.
5) I motivi dionisiaci del travestimento e della trasformazione: Dioniso cambia due volte aspetto
nel corso dellazione scenica, perch in un primo momento agisce nelle vesti di Alessandro e poi
6) Il tema dell'ospitalit ed il suo abuso: Dioniso assume il ruolo di Paride, che nella mitologia
Per quanto, per, la commedia di Cratino faccia ricorso ai motivi caratteristici del dramma
satiresco, essa va comunque classificata a tutti gli effetti come un dramma comico, per la
La parte finale dell'argumentum d precise indicazioni sulla modalit specifica, con cui Cratino
rimanda alla sfera dell'abilit, come dimostrano due hypotheseis aristofanee, in cui esso ricorre
74
per sottolineare l'efficacia di certi effetti umoristici121. L'ignoto scriba del papiro, dunque, nel
anche un commento estetico su di esso, che pu sia far riferimento alla buona riuscita del
analizzate, esso inteso nel senso di allegoria. Quest'ultima, per, una figura retorica, che serve
soprattutto, esplicita e trasparente tra il primo e la seconda, una corrispondenza perfetta tra tutti
gli elementi. Un esempio pu essere rappresentato dai vv. 40-59 dei Cavalieri di Aristofane, in
cui il servo descrive la situazione nella casa del suo padrone, Demos. In questo passo, tutti gli
eventi descritti rinviano in maniera limpida, quasi letterale, a fatti reali: Demos non altro che il
popolo di Atene; gli schiavi sono i politici al servizio del e, in particolare Plafagone, il
L'122, invece, qualcosa di ben diverso, perch il retore Tiberio spiega che il sostantivo si
usa quando qualcuno non dice espressamente la cosa in s, ma la evidenzia per mezzo di un'altra
(Fig. 14: ) e,
121 yp. Ar. Nu. A5 17-18: ; Ra. I 22-24:
,
. Si vedano anche schol. Ar. V. 248a Koster: ( ):
, ; Av. 1155 Holwerda:
: , ; Plu. Mor. 747b:
.
122 Per un'analisi approfondita del sostantivo si rimanda a Bakola 2009 pp. 198-203 (con ulteriore bibliografia
citata in n. 35 p. 199).
75
ancora, il grammatico Trifone dichiara che un'espressione che amplifica il concetto
appearence in dreams, impression, or reflection (as of mirrors or water) (Bakola 2009 p. 200).
Nel Dionisalessandro, dunque, Dioniso prima di tutto se stesso, cio il dio del teatro che opera
in qualit di protagonista del dramma e con le sue azioni permette lo svolgimento dell'intreccio.
modo Pericle, lo richiama potenzialmente, e what activates this potentiality, or suggests to the
audience that Dionysus sometimes is also Pericles, is the technique of emphasis mentioned by
the author of the hypothesis (Bakola 2009 pp. 204-205). Gli elementi specifici della trama, che
avranno indotto il pubblico a pensare immediatamente allo statista, sono di sicuro quelli gi
esaminati: il rifiuto del saldo potere e del coraggio, la scelta della bellezza suprema, il fatto di
aver causato la guerra per una donna, la devastazione del territorio, l'irresponsabilit e la
codardia di fronte agli eventi. Nello stesso modo, anche Elena avr certamente richiamato alla
mente Aspasia, come responsabile del conflitto, senza, per, identificarsi per forza con lei per
characters only in so far as they suggest them, and the myth in which they partecipate reflects the
historical reality of the time in the same terms (Bakola 2009 p. 205).
L', in definitiva, una tecnica di suggestione usata da Cratino per far s che, nel corso
della rappresentazione, gli spettatori riuscissero a cogliere gli aspetti periclei del protagonista
Dioniso. Secondo Revermann 1997 p. 199, il personaggio compariva sulla scena anche con
qualche tratto fisico idoneo ad evocare la figura dello statista, per esempio, attraverso un
76
particolare adeguamento mimetico della maschera, con una testa sproporzionata, perch la
deformit cranica di Pericle era il difetto pi noto, per il quale egli veniva continuamente preso
comunque, con o senza una distorsione della maschera, l'allusione a Pericle poteva anche
un certo modo di parlare e di muoversi, che the Athenian audience would have associated with
the Athenian leader through their familiarity with his public speaking 124.
Resta ora da fare un'ultima osservazione sulla data di rappresentazione. Come si detto in
precedenza, la messa in scena del Dionisalessandro va fissata tra il 431 e il 429, subito dopo lo
scoppio della guerra e prima della morte di Pericle. Si pu, per, forse individuare l'anno con
maggiore precisione. Se, infatti, nel dramma rintracciabile uneffettiva allusione alla prima
posticipata agli agoni immediatamente successivi, quelli del 430. Plutarco (Per. 33.7-8), inoltre,
come si gi avuto modo di accennare, per mostrare lo sdegno e l'indignazione degli Ateniesi,
provocati dalla strategia difensiva attuata dallo statista, cita alcuni anapesti tratti dalle Moire di
Ermippo (fr 47 K.-A.), rappresentate, quindi, nel 430; nel frammento in questione lo stratega
apostrofato come ed attaccato per la sua vilt, che non si conf al tono
solenne dei suoi discorsi sulla guerra. Non , forse, azzardato ipotizzare che anche Ermippo
abbia portato in scena un Dioniso-Pericle, re dei satiri, magari prendendo a modello proprio il
123 Sul difetto fisico di Pericle e sulla sua derisione in commedia e, in particolare, nei drammi di Cratino si rimanda
in questa sede al capitolo relativo alle Tracie.
124 Bakola 2009 p. 261. Sull'importanza della voce e della gestualit degli attori si veda Pickard-Cambridge 1996
pp. 231-244. Sulle maschere della commedia antica e sulla libert nella loro produzione, libert finalizzata ad
imitare realisticamente i volti dei personaggi o a deformarli comicamente, cfr. Pickard-Cambridge 1996
pp. 289-306; si veda anche, in questa sede, l'analisi del fr. 73 K.-A. delle Tracie.
77
messa in scena della commedia cratinea andrebbe posta immediatamente prima della
rappresentazione delle Moire; e una soluzione plausibile potrebbe essere, allora, quella di
collocare il Dionisalessandro alle Lenee del 430 ed il dramma di Ermippo subito dopo, alle
Con una certa probabilit, quindi, alle Lenee del 430, di fronte ad un pubblico di soli Ateniesi,
Cratino porta in scena il dio del teatro, nelle vesti di un ingannatore vile e codardo, che sottrae a
Paride la funzione di giudice delle tre dee e, per questo, dopo aver scatenato il conflitto troiano,
viene miseramente punito e fatto prigioniero dagli Achei. Ora, ad un anno dallo scoppio della
guerra del Peloponneso, voluta con grande foga da Pericle, e dopo la prima invasione spartana
dell' Attica, causa di gravi disagi materiali e psicologici per la citt, in virt del sovraffollamento
e della peste, la rappresentazione di un Dioniso, che richiamava nell'aspetto, o anche soltanto nel
linguaggio e nelle movenze, i tratti specifici dello statista, doveva certamente essere di forte
sentimento impopolare nei riguardi di Pericle, gi preso di mira e duramente attaccato dai suoi
cittadini, non solo per la strategia difensiva, fortemente avversata, ma anche per il fatto stesso di
averli spinti alla guerra e di aver causato loro le pi grandi disgrazie e sofferenze.
78
SECONDO CAPITOLO
79
LE FUGGITIVE
Delle Fuggitive di Cratino si conservano sedici frammenti di tradizione indiretta (53-68 K.-A.),
ma il materiale troppo esiguo per una completa e corretta interpretazione della trama e per una
frammenti, che offrono la possibilit di avanzare interessanti ipotesi sulle questioni appena
nominate e permettono, con una certa sicurezza, di inserire questa commedia nel quadro dei
drammi politici.
Non da escludere che, anche in questo caso, come si gi visto per il Dionisalessandro, il
commediografo abbia sviluppato lintreccio drammatico sulla base di materiale attinto da saghe
mitiche per una finalit politica. Lanalisi dei frammenti, con tutti i limiti che derivano dalla
scarsit di versi tramandati, mostra, infatti, chiaramente che personaggio attivo in scena era
<>
125
125 Il testo stampato da Kassel-Austin accoglie al primo verso l'integrazione di suggerita, per ragioni metriche,
da Meineke 1839 p. 48, il quale pensa che ci si trovi di fronte ad un trimetro giambico seguito da un tetrametro
dattilico. Luppe 1969 p. 206, invece, sostiene che i due versi siano tetrametri giambici e propone: < X >
<> / . La tripla soluzione anapestica del
secondo verso, per, risulta piuttosto improbabile per un tetrametro giambico, dal momento che non mai
attestata in nessun poeta comico (cfr. Perusino 1968 p. 107 n. 15). Tale soluzione , invece, assolutamente
ammissibile in un trimetro giambico (cfr. Plu. 815: ); per questa
ragione, accogliendo lintegrazione di Meineke, preferibile pensare che ci si trovi semplicemente di fronte ad
un frammento costituito da due trimetri giambici.
80
Ho strangolato Cercione dopo averlo scovato mentre
di buon mattino cacava sulle verdure
Phot. (z) 2602 = Et. gen. A s.v. (Et. magn. p. 132.12) = Sud. (codd. AGITFM) 3468 = Lex. Bachm. p.
130.23 . ( , in marg. Phot., omissis reliquis)
(fr. 284 K.) (- Et. gen.) (- Sud. AF, - Lex. Bachm., - Et.)
-
I testimoni citano il frammento insieme al fr. 306 K.A. di Eupoli, come esempio delluso del
sterco, escremento. La Suda riporta anche alcuni versi di Aristofane: un passo degli Acarnesi,
allesasperante lentezza del Gran Re di Persia, di cui si dice che si chiuse nel cesso con tutto
lesercito per otto mesi a smerdare () sulle montagne doro (vv. 81-84); e tre versi del
migliaia di persone che si recano ormai al tempio solo per scaricare il ventre (vv. 1182-1184).
Nel frammento in esame, la persona che riferisce di aver sorpreso Cercione mentre faceva i suoi
bisogni sulle verdure126, come una scimmia, e di averlo strangolato, va senz'altro identificata con
Teseo, poich ben nota da pi fonti la vicenda mitica, in base alla quale egli, di ritorno ad
Atene, uccise Cercione nei pressi di Eleusi, dove il famoso brigante era solito costringere alla
che proprio ad Eleusi Teseo sollev in alto e fracass al suolo Cercione, figlio di Branco e della
126 Al secondo verso del frammento il trdito (verdure) stato corretto da Meineke 1839 pp. 48-49 in
(pitale, vaso da notte). Tale congettura accolta da Luppe 1963 p. 39, perch, secondo lo studioso,
lazione di fare la cacca sopra le verdure non trova spiegazione. evidente, per, che il tono del frammento
scherzoso e che il personaggio di Cercione, o di chi si cela dietro tale mitica figura, messo in ridicolo. Non c,
dunque, necessit di modificare la tradizione con un puro intervento normalizzatore, ma forse meglio
conservare, come fanno anche Kassel-Austin, la forma .
81
ninfa Argiope, e una simile notizia fornisce anche Diodoro Siculo127. Pausania, invece, dopo aver
nominato un luogo nei pressi di Eleusi detto palestra di Cercione, informa che l leroe
ateniese elimin il brigante proprio con il medesimo metodo, con cui lo stesso uccideva i
]) ed Ovidio indica Eleusi come il suo luogo di morte (Met. 7.439: Cercyonis letum
vidit Cerealis Eleusin). In ambito teatrale, inoltre, sappiamo per certo che Eschilo traspose
sei frammenti (frr. 102-107 R.). Il fr. 102 R. rimanda alla preparazione di un incontro di pugilato
(fr. 102 R.: ) e il fr. 104 R., che tramanda il verbo (da
morire), potrebbe alludere in qualche modo alla morte di Cercione per mano di
Teseo. Euripide, infine, compose un dramma dal titolo (frr. 105-113 K.), interamente
incentrato sul personaggio di Alope, figlia del brigante; il fr. 105 K., per, sembra attestare la
presenza in scena di un coro di ginnasti esausti per lo sforzo fisico (fr. 105 K.:
anche nella tragedia euripidea avesse un ruolo la palestra di Cercione e che comparisse lo
Le fonti sopra riportate, relative alla morte di Cercione per mano di Teseo, permettono di
82
stabilire con una certa sicurezza che nel fr. 53 K.A. delle Fuggitive la persona loquens proprio
Teseo, il quale riferisce con tono ironico e scherzoso, probabilmente al coro o ad un altro
personaggio, limpresa compiuta. , dunque, fuor di dubbio che in questa commedia leroe
ateniese fosse in qualche modo presente in scena e non da escludere che avesse anche un ruolo
di una certa rilevanza allinterno dellintreccio drammatico. D'altra parte, nel fr. 65 K.A. si allude
ad una , di sicuro la strada sacra percorsa dagli iniziati ateniesi diretti ad Eleusi129, ma
forse, nello specifico del dramma, anche un chiaro riferimento alla strada percorsa da Teseo di
ritorno ad Atene da Trezene, dopo luccisione di Cercione (cfr. Leo 1878 p. 409).
, ,
83
Kock 1880 p. 30 fa notare che la forma , vocativo dorico in , crea difficolt in
anapesti non lirici, dal momento che Aristofane in simili contesti utilizza sempre la forma attica
variante (o re della citt di Pandione). Sulla base degli esempi aristofanei appena
citati, per, non si vede la necessit di modificare per forza anche il caso; si potrebbe, al limite,
Pandionide, re della citt), pur lasciando cadere, in tal modo, la variazione stilistica; il vocativo
dorico , infatti, potrebbe anche essere stato usato intenzionalmente dal poeta per
Ma chi sarebbe il Pandionide, re della citt, a cui qualcuno, verosimilmente il coro, si sta
figli di Pandione, mitico re dellAttica - Egeo Lico Pallante e Niso - i quali dopo la morte del
padre, si spartirono il regno, dividendolo in quattro parti130. In Dionisio Periegeta (1024), per,
come figlio di, ma come nipote di, in riferimento al suo avo131. Ne deriva, quindi, che anche
84
la forma \ del fr. 61 di Cratino potrebbe essere un papponymicorum usus da riferire
a Teseo, discendente di Pandione per via paterna. In tal caso, questo frammento offrirebbe
unulteriore conferma della presenza in scena di Teseo in qualit di personaggio drammatico con
Il secondo verso del fr. 61 pone qualche problema, perch non di facile comprensione:
, per, non per nulla adatto a connotare lAttica oppure Atene, dal momento che ben
noto da Tucidide che questa regione era per la povert del suolo (1.2.5:
meliores (CL) . Per questa ragione, Tanner 1916 pp. 68-70 predilige la variante
in questa commedia. Ma la lezione pi accreditata in base allo stato della tradizione manoscritta
resta comunque che, perci, seguita e giustamente condivisa dal resto degli
studiosi. Leo 1878 p. 410 tenta di risolvere il problema integrando tra i vv. 1-2 [ ,
] e interpretando il fr. 61 come risposta del coro al fr. 60 K.A. di cui si parler a
breve.
,
, ;
85
Dicendo da quale luogo venite,
o ragazzine, non potrei sbagliare?
,
[ , ]
In tal modo, si elimina il riferimento ad Atene o ad unaltra citt dellAttica, dal momento che le
coreute dichiarano di essere giunte da unimprecisata terra dal suolo fertile. La soluzione
Luppe 1963 pp. 43-44, invece, fa notare che innanzitutto un aggettivo omerico e,
perci, esso potrebbe essere stato utilizzato da Cratino per ironia comica (cfr. Hom. Il. 6.315:
; Od. 13.234-235: ,
. Il coro, quindi, farebbe riferimento alla costa di una terra fertile, una terra in
cui si gioca anche a cane e citt. Secondo Luppe il senso del frammento oscuro e,
probabilmente, era chiarito da una successiva spiegazione o dal contesto generale andato
perduto. La congettura dello studioso tedesco, anche se in qualche modo affascinante, tuttaltro
86
fini comici; per questo bene, in accordo anche con Kassel-Austin, seguire i codices meliores,
che conservano tale aggettivo, pur con la consapevolezza di non poter cogliere a pieno il
significato del verso, a causa dello stato lacunoso della tradizione. Sulla base di quanto finora
analizzato, quindi, a mio parere, nel fr. 61 K.A. la persona loquens, con molta probabilit il coro,
si rivolge al Pandionide, cio a Teseo, re della citt dal suolo fertile, ossia re di Atene, in cui si
Una possibile chiave di interpretazione offerta dal terzo ed ultimo verso, in cui si allude ad un
fantomatico gioco, dal nome , che non doveva essere di molto diverso
dallodierno gioco degli scacchi o dalla dama. Polluce (9.98) cita il frammento in analisi proprio
come prova del fatto che tale gioco era gi in voga al tempo di Cratino e spiega che esso veniva
fatto utilizzando un gran numero di pedine di due diversi colori, dette , e una scacchiera,
seguente: due pedine dello stesso colore dovevano riuscire ad eliminare una pedina dellaltro
colore132. Anche Platone allude a questo gioco, laddove spiega che ogni non una citt, ma
probabilmente il filosofo pensa che la scacchiera sia un buon modello di rappresentazione di una
132 In realt, quella di Polluce soltanto una delle versioni su tale gioco, la cui costituzione argomento
controverso, a causa della discordanza delle fonti. Stupisce, innanzitutto, luso del singolare in Cratino (
), dal momento che tutte le attestazioni del gioco presentano il plurale ( ). Zenobio ( Ath. 3.16),
il secondo testimone del frammento cratineo, per, chiama tutto il gioco e informa che, in un primo
momento, le pedine erano dette e, successivamente, . Questa seconda notizia fornita, nello stesso
modo, anche da Esichio (p. 353 Schmidt: .
, ). Tale versione suscita, per, dei dubbi, perch
noi sappiamo, invece, da Polluce che le pedine erano chiamate , mentre erano le caselle. Fozio,
inoltre, pensa che le pedine fossero sessanta (Phot. s.v. Th.:
; cfr. anche Paus. att. 26). Tale notizia assolutamente incerta, dato che Polluce parla solo di
molte pedine, lasciando intendere che il numero fosse variabile. , forse, pi logico pensare, anche sulla base
delle implicazioni politiche di cui sopra, e dando attendibilit alla testimonianza di Polluce, che il gioco delle
constava di una scacchiera, detta , suddivisa in sessanta caselle, chiamate , sulle quali erano
disposte le pedine, dette . In generale, sul gioco cfr. RE XIII 2 (1927) pp. 1973-1975 (Lamer).
87
citt, sia per quanto riguarda la sua struttura fisica, sia per quanto concerne la sua composizione
sociale; ogni , infatti, suddivisa in strade (le linee di demarcazione delle caselle sulla
tavola), costituita da molteplici abitazioni (le caselle, appunto) e comprende, inoltre, al suo
interno una pluralit di piccole , dal momento che sempre spaccata in due campi, quello
dei ricchi e quello dei poveri, a loro volta divisi in gruppi di famiglie o eterie, centri di interessi
individuare unimplicazione politica anche nel fr. 61 K.A.: se il Pandionide Teseo, la citt dal
suolo fertile in cui si gioca a cane e citt non pu che essere Atene e dietro la figura di Teseo
non pu che celarsi Pericle, bersaglio costante degli attacchi comici di Cratino. Egli viene,
dunque, presentato come re della citt ( ) e la cosa non deve stupire, dal
al noto gioco di cui si detto, indica chiaramente che la citt a cui si allude non l'Atene del
Pandionide (Teseo), bens l'Atene attuale, l'Atene degli scontri politici e delle lotte tra partiti.
Cratino immagina la sua citt come una scacchiera, come il campo di gioco sul quale
quotidianamente vivo il confronto, che diviene conflitto, tra fazioni politiche opposte. Atene,
quindi, come centro della politica, quella che di fatto si esaur proprio con Pericle,
quando lo statista, eliminata ogni forma di opposizione e sbarazzatosi del suo pi fiero
avversario, Tucidide di Melesia, ostracizzato nel 443 a.C., divenne capo indiscusso,
Che nelle Fuggitive si faccia in qualche modo riferimento alla vivacit politica della
133 Lidentificazione di Teseo con Pericle ipotesi avanzata da Meineke 1839 p. 45 e, in seguito, condivisa anche
da Leo 1878 p. 410.
88
ateniese , forse, testimoniato anche dal fr. 59 K.A. in cui si parla di uomini continuamente in
Quelli che qui sono solo in lotta e vogliono diventare qualcuno 134
L' analisi condotta fin qui permette di affermare con un certo margine di sicurezza che le
Fuggitive sono da considerare una commedia politica e, in quanto tale, esse non fanno altro che
riflettere le problematiche socio-politiche dell'Atene del tempo, aggravate in gran parte dal
costante conflitto tra fazioni partitiche opposte, oligarchici e democratici, e prendere di mira il
personaggio allora pi in vista, Pericle, destinato di l a poco a concentrare tutto il potere nelle
democratico, il progetto di un imperialismo ateniese. Una conferma in tal senso potrebbe essere
fornita dall'invettiva contro l'indovino Lampone, rintracciabile innanzitutto nel fr. 62 K.A.:
134 Il fr. 59 K. A. tramandato come esempio dell'uso di con il valore di . Purtroppo, il materiale
conservato (un solo verso) troppo esiguo per permettere di individuare la persona loquens e per ricostruire il
contesto, ma, per il discorso di cui sopra, indubbiamente significativa la ricorrenza del verbo , un
derivato di , molto frequente nella prosa con valore intransitivo e forma attiva (cfr. LSJ s.v. : 1.1,
to be at variance; 1.2, form a party or faction, be at odds; 1.3, of the state themselves, to be distracted by
factions and party strife; 1.4, to be in a state of discord disagree). Nello specifico, su questo verbo cfr. Radici
Colace-Sergi 2000 p. 225 n. 8. In generale, sul vocabolo si rimanda, in questa sede, all'analisi del fr. 258
K.-A., in cui il termine ricorre, nel capitolo relativo ai Chironi. Il costrutto , invece, nel significato di
essere/diventare qualcuno si trova anche in E. Ion 596; Heracl. 973; El. 939; Men. fr. 121.2 K.A.; D. 21.213;
Theo. 11.79; Herod. 6.54.
89
,
,
Il contenuto del testo pi che chiaro: Lampone deriso per la sua voracit; nulla potrebbe,
infatti, distoglierlo da un banchetto tra amici e, per di pi, i suoi modi sono tutt'altro che raffinati,
dal momento che rutta in continuazione, divora tutto ci che ha a disposizione e sarebbe persino
in grado di fare a gara con una triglia. Non possibile, purtroppo, stabilire con certezza a quale
punto della commedia appartenga tale frammento e stupisce, senza dubbio, la ricorrenza del
per, lasciano pensare che il passo faccia parte di un'unica sezione da attribuire al coro. Ci si
attestato soltanto in tre frammenti di Eupoli, tutti appartenenti al coro (frr. 148 1.4; 250; 317
K.A.), in un altro frammento di Cratino (fr. 32 K.A.), in uno di Ferecrate (fr. 71 K.A.), nei versi
conclusivi delle Vespe di Aristofane, certamente pronunciati dal coro (Ar. V. 1528-1537) e, infine,
anche in un frammento adespoto tramandato da un papiro ossirinchita del secondo secolo d.C., di
90
discussa attribuzione, in cui presente un attacco proprio a Lampone come pederasta e avido
accumulatore di ingenti ricchezze, derivategli dalle citt che remuneravano i suoi discorsi (fr.
1105.98-103 K.-A.)135. La frequenza di archilochei nelle parti corali delle commedie lascia,
dunque, supporre che anche il fr. 62 K.A. sia da attribuire al coro e l'invettiva contro Lampone fa
un verbo di punizione che precedeva, accompagnata forse da altri nomi di personaggi nominati
di seguito dalla persona loquens come passibili di scherno: bestrafen muss man den und den,
der das und das tat, und Lampon (Luppe 1963 p. 46 n. 34)136. Se l'ipotesi giusta, ne deriva
che un'intera sezione corale del dramma, verosimilmente la parabasi, conteneva attacchi contro
personaggi noti del tempo e, sicuramente, l'invettiva contro il ghiotto indovino, forse anche pi
Nei primi due versi del frammento si dice che neppure una sentenza degli uomini (
certamente al fuoco (da , brucio) e potrebbe alludere in senso politico allo scontro tra
135 L'attribuzione di questo frammento stata oggetto di una lunga vexata quaestio: Lobel 1968 pp. 78-94, editore
principe dei 28 frammenti del papiro, li assegna alla Lemnomeda di Strattis; Luppe 1971 p. 121 li assegna ai
Demi di Eupoli, ma Tel 2007 p. 644 non esita a manifestare un certo scettiscismo in merito; Austin (CGFP p.
208), invece, seguito anche da Perusino 1979 pp. 135-136, proprio sulla base del riferimento all'indovino pi
volte menzionato da Cratino, propone l'assegnazione alle Fuggitive. Sulla paternit cratinea si mostrano
d'accordo anche Tammaro 1975-1977 pp. 101-102 che pensa, per, alle Tracie e, da ultimo, Orth 2009 pp. 55-58,
a cui si rimanda per un'aggiornata bibliografia sulla questione.
136 Zielinski 1885 p. 319, invece, sulla base dell'analisi metrica e con precise integrazioni, immagina una sorta di
dialogo caratterizzato dall'alternanza di due telesillei seguiti da un archilocheo e propone:
< , >
,
;
< , >
.
91
fazioni che, per gli interessi particolari dei singoli, si accendono e divampano in citt come un
incendio (sul binomio incendio/guerra cfr. Taillardat 1965 p. 363). L'aggettivo, inoltre, richiama
anche il di un frammento di Eupoli in cui ricorre un'espressione simile, perch si dice che n
il fuoco, n il ferro, n il bronzo possono impedire di andare a pranzo (Eup. fr. 175 K.A.:
senso figurato, una sentenza/decisione, ma rappresenta innanzitutto la pietra del voto e non
pu che avere, come scrive Pieters 1946 p. 76, una valenza politica. facile pensare, infatti,
all'ostracismo, o meglio all' , il coccio utilizzato per eliminare gli avversari politici e
conflitto. E chiss che, allora, nel passo in questione non sia da rintracciare anche una qualche
oligarchico e noto avversario di Pericle, episodio in cui, come si vedr meglio in seguito,
Lampone ebbe un ruolo di spicco, profetizzando la vittoria dello statista (cfr. Plu. Per. 62).
L'ultimo verso del frammento, invece, informa che l'indovino ateniese divora tutto ci che ha a
disposizione e sarebbe in grado di contendere persino con una triglia137. Tale verso ha creato
alcuni problemi, perch la menzione della triglia , secondo alcuni studiosi, priva di senso. Per
questa ragione, Rutherford (in van Herwerden 1903 p. 3) sostituisce con , citt
della Tessaglia famosa per i sacerdoti di Asclepio: Lampone, dunque, combatterebbe contro
Tricca, cio, in senso metaforico, con la sua voracit metterebbe continuamente a rischio la sua
salute fisica. Van Herwerden 1903 p. 3 rigetta tale congettura, perch spiega che gli Ateniesi
malati non erano soliti recarsi nella citt alle pendici del Pindo, ma, se non al Pireo, solo nella
137 La triglia era un pesce molto apprezzato in et classica e per un'ampia documentazione su di essa e sui
significati che ha assunto nel corso dell'antichit si rimanda a Thompson 1947 pp. 264-268; Pellegrino 2000
pp. 255-259.
92
prezzo: Lampone talmente ghiotto che sarebbe anche capace di rivaleggiare per una triglia.
Meineke V 1 p. 16, invece, difende la forma al dativo, sulla base del confronto con un
passo di Plutarco, in cui si dice che Diogene ebbe il coraggio di mangiare un polpo crudo per
estirpare l'abitudine di cuocere la carne col fuoco e, in mezzo ad un folto pubblico, affront il
bizzarro comportamento, a quanto pare, gli cost caro, dal momento che Luciano allude alla sua
morte, per aver mangiato un polpo o una seppia crudi (Vit.Auct. 10), e Ateneo (8.341e) e Diogene
Laerzio (6.76) riferiscono della sua morte, rispettivamente, in seguito a una dilatazione di
l'interpretazione di Meineke , per, tutt'altro che certa, dal momento che nel frammento la
triglia assolutamente innocua e Lampone non avrebbe motivo di lottare contro di essa,
mettendo cos a rischio la sua salute. , invece, condivisibile la spiegazione che offre Zielinski
1885 pp. 319-320 n. 2 per il finale del passo: lo studioso conserva la forma al dativo e
ritiene che non vada inteso nel senso di lottare contro qualcuno/qualcosa, ma
si dice che la triglia fra tutti gli animali di mare la pi ghiotta e indiscutibilmente la pi sfrenata
nel provare tutto ci che le capiti; essa, inoltre sarebbe in grado di mangiare il cadavere di un
uomo o di un pesce e la sua preferenza indubbiamente per i cibi sporchi e di cattivo odore 138.
Nel fr. 62 K.A., dunque, Lampone paragonato a una triglia, perch egli , proprio come il
pesce, ghiotto e poco esigente quanto a gusti alimentari. Secondo Zielinski, inoltre, questo
frammento rientra nel genere del , cio della presa in giro, e va messo a confronto
con il noto passo delle Rane di Aristofane in cui il coro deride personaggi allora in vista, quali
138 Ael. NA 2.41: ,
. , ,
, , .
.
93
Archedemo, il figlio di Clistene e Callia (vv. 416-430; sul passo si veda Totaro 2006 pp. 602-605
nn. 67-69).
Lampone, in definitiva, qui presentato come una persona dedita solo al cibo, vorace e
insaziabile, proprio come una triglia, e dai modi per niente raffinati.
testimoni informano che Cratino nel dramma in questione chiama il noto indovino
, mendicante e portatore dell'accetta sacrificale. I due sostantivi non sono altro che
infatti, indica il mendicante/ciarlatano139 e fa riferimento alla prima parte della parola coniata
94
L'invettiva cratinea contro il noto indovino non si trova soltanto nelle Fuggitive, ma a lui si
allude anche, come si vedr in seguito, nella Nemesi (fr .125 K.A.) e, come si gi detto sopra,
nel frammento adespoto 1105.98-103 K.A., verosimilmente di paternit cratinea, in cui egli
Lampone, per, fu anche un bersaglio privilegiato dei commediografi sin dagli anni Quaranta del
quinto secolo e, ancora, negli anni Trenta, per poi divenire un target comico ricorrente negli anni
424-410. Tra i famosi ghiottoni passati in rassegna nell'ottavo libro dei Deipnosofisti
(340f-346c), Ateneo lo menziona, in quanto dileggiato come non solo da Cratino nelle
Fuggitive (fr. 62 K.-A.), ma anche da Callia negli Incatenati (fr. 20 K.A.) e da Lisippo nelle
Baccanti (fr. 6 K.-A.), due drammi rappresentati forse negli anni Trenta 141. Nell'Et dell'oro di
Eupoli (fr. 319 K.-A.), commedia assegnata solitamente alle Dionisie del 424142, gli attribuita la
chiaro se essa vada intesa in senso tecnico, cio se Lampone sia stato effettivamente membro del
collegio degli exegetai Pythochrestoi, o se, invece, sia da considerarsi solo equivalente a quella
All'indovino ateniese, noto per avidit, egoismo, ipocrisia e ciarlataneria, allude, poi, come
testimonia lo scolio al passo sopra citato, il coro delle Nuvole di Aristofane, laddove nella
caratterizzazione dei , degli intellettuali, tutti nulla facenti e nutriti dalle celesti
nuvole, tra sofisti, medici, sfaccendati con anelli, unghie e capelli lunghi, contorti musicisti di
cori ciclici ed aerei imbroglioni, la categoria degli indovini evocata con il composto
141 Sulla questione della datazione degli Incatenati di Callia e delle Baccanti di Lisippo si rimanda a Imperio 1998
pp. 218; 234 n. 46.
142 Sulla datazione della commedia di Eupoli si veda, da ultimo, Neri 1994/1995 pp. 261-288, con la bibliografia
citata in n. 11.
95
, che richiama antonomasticamente la figura di Lampone, ecista della colonia
panellenica di Turi143. Quest'ultimo esplicitamente nominato due volte anche negli Uccelli:
al v. 521 da Evelpide, che ricorda il suo frequente giuramento sull'oca, una sorta di spergiuro
funzionale a non incorrere nell'ira degli di ogniqualvolta egli dica falsit (v. 521:
famoso interprete di oracoli, spesso oggetto di attacchi comici144, nella scena in cui un oracolista
si affaccia alle porte di Nubicuculia per preconizzare le pi splendide fortune per la citt appena
Nel quarto secolo, infine, Lampone doveva essere evidentemente assurto a paradigma della
maschera dell'indovino, se Antifane gli intitol addirittura una sua commedia ().
Prima di proseguire il discorso specifico sulla figura di Lampone, va, per, sottolineato, come
illustrato da Bremmer 1996 pp. 239-283 in un brillante saggio, che la satira dell'indovino nella
commedia strettamente legata all'evoluzione della storia della divinazione in Grecia, la quale,
dicitore di oracoli. La fisionomia dell'indovino sub, nel quinto secolo, profonde trasformazioni
rispetto all'et arcaica, quando, specialmente nel mondo omerico, egli non era altro che un
143 Ar. Nu. vv. 331-334: . , / ,
, / , , /
, .
144 Cfr. Ar. Eq. v. 1085; V. v. 380; Amips. fr. 10 K.-A.; Phryn. Com. fr. 9 K.-A.; Telecl. fr. 7 K.-A.; in generale, su
Diopite si vedano PA 4309; LGPN 2 [3].
96
guerriero indispensabile alle spedizioni militari, un tecnico specializzato, esperto nell'interpretare
il volo degli uccelli e le viscere degli animali sacrificati, custode di un'arte trasmessa per via
essere insegnato anche a persone estranee alle famiglie. In et classica, quindi, sebbene gli
scetticismo intorno a queste figure, dal momento che essi non potevano sfuggire immuni alla
alla sempre maggiore comprensione dei comportamenti di uomini e animali che port a
considerare naturali i fenomeni che una volta sarebbero passati per inspiegabili (Bremmer 1996
p. 245). Si comprende, in tal modo, anche la ragione per cui specialmente i commediografi
presero ad attaccare e deridere indovini e cresmologi per la loro cupidigia e corruzione. Bisogna,
per, aggiungere che l'attacco comico nei confronti dell'intera classe di indovini, in generale, e in
particolare in Aristofane, non era rivolto tanto alle pratiche divinatorie in quanto tali, n alla
faceva nell'ambito della vita politica ateniese ed al loro impiego come tecnica di persuasione e di
La figura di Lampone offre proprio la conferma di quanto detto sinora, poich egli, elemento di
spicco all'interno dell'entourage politico pericleo, ebbe anche importanti compiti politici.
Indicativo della posizione di grande rilievo che rivest nel circolo di Pericle, l'aneddoto
raccontato da Plutarco sulla profezia a favore della vittoria dello statista su Tucidide di Melesia,
profezia che di fatto si avver con l'ostracismo dell'avversario e che testimone della capacit
145 Sull'intera questione e, in generale, sulla figura dell'intellettuale nella commedia greca si rimanda a
Zimmermann 1993 pp. 255-280; Imperio 1998 pp. 43-130.
97
periclea di bilanciare religious interpretation with scientific investigation (Stadter 1989 p. 82):
guardando la testa di un ariete con un solo corno, portato a Pericle dalle sue campagne,
l'indovino profetizz che il potere sarebbe toccato a colui presso il quale si era verificato il
prodigio146.
Lampone fu, poi, negoziatore e primo firmatario della pace di Nicia e dell'alleanza con Sparta,
all'offerta delle primizie alle divinit eleusine, collocato cronologicamente dagli studiosi tra il
447 e il 416, un decreto nel quale, tra l'altro, proponeva se stesso come estensore di una legge
Gli scolii al v. 1084 della Pace di Aristofane, inoltre, informano che all'indovino fu conferito
anche il privilegio di pranzare ogni giorno nel Pritaneo a spese dello Stato, in qualit di
Lampone , infine, ricordato dalle fonti150 come ecista della colonia panellenica di Turi per
98
volont di Pericle, promotore assoluto dell'impresa, avvenuta nel 444/443, in concomitanza, cio,
con l'ostracismo di Tucidide di Melesia, che di fatto permise allo statista di assumere il pieno
controllo della potenza imperialista ateniese. Plutarco sottolinea bene che l'indovino prese parte
alla fondazione di Turi su incarico di Pericle (cfr. n. 25), ma non chiaro quale fu di fatto la sua
di oracoli, egli poteva, infatti, influire in maniera favorevole sulla realizzazione della nuova citt.
Nel mondo greco, figure fondamentali per la fondazione delle colonie erano, senza dubbio, gli
indovini, i quali con i loro auspici e presagi potevano fugare ogni dubbio su questioni di primaria
importanza, come la scelta del luogo di insediamento e la possibilit o meno di successo (cfr.
Leschhorn 1984 p. 134); per questa ragione, Lampone fu certamente in primo piano nell'impresa
periclea e, oltre a rivestire il ruolo di guida della spedizione, grazie alle sue funzioni sacrali, uno
dei suoi compiti fu quasi sicuramente anche l'interpretazione oracolare e l'istituzione di culti e
santuari nella citt appena fondata. Si comprende, cos, pure la qualifica di che Eupoli
gli attribuisce nell'Et dell'Oro (fr. 319 K.-A.) e la notizia fornita dallo scolio ad Ar. Nu. 332,
Turi fu, dunque, grazie alla propaganda periclea, una colonia panellenica151 sotto la guida di
Atene e Pericle mise a capo della spedizione Lampone, in ossequio alla sua usuale pratica di
utilizzare i suoi amici e collaboratori per realizzare i suoi progetti, invece di prendervi parte in
prima persona. Ma perch proprio Lampone? Non difficile, a mio avviso, rispondere a questa
, ,
; schol. Ar. Av. 521a-b Holwerda:
. ; Hsch. 66 Latte:
. .
151 In generale, sulla fondazione di Turi e sulle sue implicazioni politiche si rimanda a Wade Gery 1958 pp. 255-
258; Brard 1963, pp. 152-153; Leschhorn 1984 pp. 130-139; Stadter 1989 pp. 82-85; Podleki 1998 pp. 132-142.
99
domanda: l'indovino godeva, infatti, della fiducia dello statista, in quanto membro di spicco del
suo circolo, ed era indubbiamente la persona pi adatta a un simile compito, dal momento che
in ihm war religise Autoritt mit politischen Fhigkeiten und entsprechendem Einfluss
verbunden (Leschhorn 1984 p. 135) e, con l'autorit sacrale di cui era investito, avrebbe potuto
Per tornare a Cratino e in linea con tale ragionamento, non da escludere che nel suo dramma
venisse presa di mira anche l'importanza politica di Lampone e che vi fosse una qualche
allusione al ruolo da lui svolto nella fondazione di Turi. Una conferma, in tal senso, potrebbe
che d anche il titolo alla commedia. Chi sono le Fuggitive? Il solo riferimento esplicito al coro
, , ;
di Euripide manifesta stupore di fronte all'effeminato Agatone e chiede, appunto, da dove mai
, impreziosita dalla presenza di un termine caro ad Eschilo (cfr. anche nel fr. 78a, 68
100
R.), che d rilievo all'ambiguit sessuale di Agatone, novello Dioniso, una diretta citazione
dramma satiresco Licurgo, alla Licurgia, una tetralogia eschilea perduta154. Rau 1967 pp. 109-
110, per, non esclude che nel passo delle Tesmoforiazuse (vv. 134-140) vi siano ulteriori riprese
o riecheggiamenti eschilei, soprattutto sulla base del fatto che lo scolio al v. 137 sottolinea che il
Dioniso di Eubulo (IV sec. a.C.) iniziava proprio di qui (), cio da espressioni di
Eschilo presenti nei versi aristofanei sopra citati, sebbene, poi, egli operasse una parodia pi
Eschilo, quando Pelasgo chiede da quale paese provenga il gruppo di donne che indossa
pure la presenza di nel fr. 60 K.A. di Cratino sia una ripresa eschilea, a fini paratragici.
101
Il sostantivo certamente da attribuire al coro, le Fuggitive appunto. Esso , senza
dubbio, femminile e da riferire a donne (giovani donne, ragazzine) e, come tale, si trova pi
volte attestato in Aristofane (cfr. Ar. Th. 410; Ec. 611; Pl. 1071-1072; 1079; si veda anche DELG
s.v. p. 678; LSJ s.v. p. 1093); ma alcune fonti di grammatici, dopo aver fatto una
derisori, l'uso del primo termine in riferimento a uomini effeminati e pervertiti156. Tali notizie,
unite all'invettiva contro Lampone di cui si detto, hanno indotto Bergk 1838 p. 61 a ipotizzare
che le Fuggitive, coro del dramma cratineo, fossero uomini caratterizzati da connotati femminili,
e precisamente i coloni di Turi157. Non detto, per, che le fonti dei grammatici abbiano una
qualche attendibilit, dal momento che esse non trovano alcun riscontro in ambito letterario:
sempre riferito a donne, ad eccezione di un passo di Luciano, dunque tardo (Luc. Sol. 5;
cfr. anche LSJ s.v. p. 1093). Il fr. 60 K.-A. di Cratino sarebbe, quindi, l'unico caso,
102
almeno fino all'epoca classica e in ambito comico, di utilizzo di tale sostantivo per uomini
effeminati. Per questa ragione, Luppe 1963 p. 42 rigetta la proposta di Bergk e pensa
Schwarze 1971 pp. 74-75, invece, si spinge oltre, immaginando un coro costituito da donne e
ragazze, che cercano rifugio presso Teseo, per fuggire dai loro uomini o padri, dediti solo allo
scontro politico e alle beghe tra partiti; nelle Fuggitive, insomma, secondo lo studioso tedesco, ci
sarebbe una sorta di anticipazione del tema della rivolta delle donne, a noi noto grazie alla
Meineke 1839 pp 42-43, infine, sulla base dell'attacco a Lampone e, dunque, dell'indubbia
connotazione politica del dramma, propende per un coro formato dalle donne di Sibari, in fuga a
Sparta e ad Atene per chiedere aiuto per la ricostruzione della loro citt 158.
L'esiguit del materiale conservato, purtroppo, non permette di garantire con certezza la validit
dell'una o dell'altra ipotesi. , senza dubbio, preferibile immaginare per le Fuggitive un coro al
femminile, perch, come si detto, una struttura corale di tal sorta molto frequente in
commedia, nonch in Cratino. Se, poi, a questo si aggiunge che nel dramma, certamente politico,
presente un'invettiva contro Lampone, ecista della colonia panellenica di Turi, e, dunque,
la proposta di Meineke, per quanto non dimostrabile con sicurezza, ha il suo fascino. E se nel
dramma c' davvero, anche attraverso il coro, un riferimento esplicito alla fondazione di Turi,
questo fornisce un grande aiuto per quanto riguarda l'anno di rappresentazione della commedia.
158 Meineke 1839 pp. 42-43: ... ut fugitivas illas mulieres, de Sybaritis intelligendas credam, qui quum patria
profugi frustra Spartanorum opem implorassent, tandem intercedente Pericle ab Atheniensibus impetrarunt, ut
et ipsi in patriam restituerentur et nova colonia in Italiam deduceretur.
103
L'invettiva contro Lampone permette innanzitutto di individuare l'arco temporale preciso, perch
ovvio che l'attacco all'indovino (e, indirettamente, a Pericle) ha senso solo se effettuato
all'apice della sua carriera politica, all'interno dell'entourage pericleo. Come si gi detto,
di primizie alle divinit eleusine, databile tra il 447 e il 416159, e come ecista della colonia
panellenica di Turi, nel 444/443, in concomitanza, cio, con l'ostracismo di Tucidide che garant
a Pericle il controllo assoluto della . Dopo il 443, egli non visse pi ad Atene, ma a Sibari,
e, dunque, la derisione di Lampone da parte di Cratino nel teatro ateniese di Dioniso non avrebbe
pi senso negli anni successivi. , perci, abbastanza verosimile che le Fuggitive siano state
rappresentate negli anni Quaranta del quinto secolo, tra il 447 e il 443.
possibile, poi, ricavare un ulteriore indizio per la datazione dal fr. 58 K-A., in cui nominato
159 Tanner 1916 pp. 65-94, sulla base dell'allusione alla via sacra nel fr. 65 K-A., per il fatto che Teseo uno dei
personaggi e congetturando nel fr. 62 K.-A. la forma , al posto di tramandato dai
codices meliores, pensa che Cratino nelle Fuggitive attacchi Lampone proprio per il suo intervento nel decreto
eleusino e che, quindi, la datazione della commedia sia strettamente connessa all'anno di elaborazione del
decreto, che lo studioso, con una serie di osservazioni, per cui si rimanda all'articolo, fissa alla primavera del
443; in base a tale ragionamento, quindi, la commedia cratinea sarebbe da assegnare alla primavera del 442. Tale
ipotesi, per quanto ingegnosa, , per, a mio parere, da rigettare, poich il collegamento tra Lampone e il decreto
eleusino nel dramma di Cratino non ha alcun fondamento sicuro.
160 Sul termine e sulla traduzione proposta (inculata) si veda in questa sede l'analisi condotta sul
fr. 259 K.-A. dei Chironi, in cui il sostantivo nuovamente ricorre.
104
Ael. Nat. an. XII 10 (I p. 298.12 Herch.)
(hinc Apost. IX 28). Zenob. Ath. I 56
.
. (fr. 62.126 K.) (- cod.). Cratini
testim. abest a ceteris collect. prov.
L'esiguit del frammento non permette di individuare la persona loquens con certezza, anche se
Leo 1878 p. 412 pensa si tratti di Zeus per il riferimento al fulmine (, fulminare). Ci
che conta, per, , a mio avviso, l'allusione ad un tale Senofonte, identificato all'unanimit con
di sulla ben nota dedica dell'Acropoli i.400 (= DAA pp. 146-149 n. 135), che risale
forse a non molto tempo dopo il 457 ( cfr. DAA p. 151) o al 446 circa (cfr. Gomme 1956 p. 203);
2.70.1) e fu ucciso come generale a Spartalo all'inizio dell'estate del 429 (Th. 2.79.1-7; D.S.
12.47.3). Il riferimento a Senofonte nel fr. 58 K.-A., dunque, offre la conferma dell'esattezza
degli anni 447-443, come arco temporale da tenere in considerazione per la messa in scena delle
Fuggitive. Si pu, per, a mio avviso, essere ancora pi precisi. Se, infatti, si ammette, come fa
Bergk 1838 pp. 61-62, seguito anche da Meineke 1839 p. 43 e da Schmid 1946 p. 79, che nella
commedia ci sia un preciso riferimento, forse anche attraverso il coro, alla fondazione di Turi e
se a questo si aggiunge il fatto che, come si visto, nel fr. 62 K.-A. si allude probabilmente in
qualche modo all'ostracismo del noto avversario di Pericle, l'anno di rappresentazione non pu
Si pu allora concludere che le Fuggitive, portate in scena certamente negli anni Quaranta del
quinto secolo, verosimilmente nel 443, vanno inserite di sicuro nell'ambito dei drammi politici.
Come per il Dionisalessandro, anche in questo caso il commediografo sviluppa la fabula sulla
105
base di materiale mitico, la saga di Teseo, in funzione della satira politica. Il suo bersaglio
ancora una volta Pericle, celato dietro le sembianze del mitico re di Atene: un Teseo-Pericle
fiero avversario, Tucidide di Melesia, nel vivo del conflitto politico e delle beghe partitiche del
tempo; e un Teseo-Pericle, all'apice del successo, ma duramente attaccato per i suoi progetti
imperialisti, come l'avventura d'oltremare per la fondazione di Turi. L'invettiva contro Lampone,
ricostruita dall'analisi dei frammenti conservati (frr. 62; 66 K.-A.), inoltre, non certamente
emerge , dunque, quella di una commedia che si fa specchio delle problematiche sociali e
sistema, che fa delle pratiche democratiche il suo punto di forza, ma che, di fatto, si configura
106
TERZO CAPITOLO
107
LE TRACIE
(frr. 73-89 K.-A.), troppo brevi per una ricostruzione anche sommaria dell'intreccio comico, ma
sufficienti ad inserire questo dramma nel quadro delle commedie politiche e per avanzare alcune
Il titolo della commedia fa riferimento al coro, composto da donne tracie, custodi dei sacri riti in
onore di Bendis, una divinit originaria della Tracia, il cui culto fu introdotto e regolarizzato ad
Atene proprio sul finire del quinto secolo, come si vedr nello specifico pi avanti in merito alla
questione della datazione del dramma. La prova del fatto che le coreute fossero anche le
sacerdotesse di Bendis offerta dal fr. 85, il solo a garantire che Cratino nelle Tracie menzionava
161 Il Glossario comico una raccolta di glosse comiche rinvenuta nel Pap. Oxy. 1801, del I sec. d.C., in cui,
disposti su due colonne, si leggono, con ampie lacune, alcuni termini inizianti per , i rispettivi glossemi ed un
certo numero di citazioni; fra i termini doveva figurare anche , probabilmente alle rr. 34-35:
....] [
35 ..].. ..[
Gi i primi editori (Grenfell-Hunt 1922, p. 154) mettono in relazione il contenuto delle rr. 34-35 con la glossa
esichiana su Bendis sopra citata, ma alla r. 35, prima di , segnalano lo spazio solo per due lettere,
seguiti da Luppe 1967 p. 198 e Austin CGFP 343. Per questa ragione, dunque, Luppe colloca prima, nella
sezione di pi disperata lettura. Theodoridis 1978 pp. 69-72, invece, seguito anche da Kassel-Austin, integra
prima del leggibile (r. 35), sulla base di Fozio ( 590 Th.: ): egli pensa che
Cratino, nelle Tracie, dicesse e che l'inversione nel lemma di Fozio sia
dovuta alla volont, da parte del compilatore, di spiegare in primo luogo l'aggettivo . certo che il
lemma a cui fa riferimento la citazione di Cratino sia , ma, pur accettando che alla r. 35
fosse preceduto da , non affatto scontata l'attribuzione al commediografo del nome della dea; sulla base
della testimonianza di Esichio, , infatti, probabile che il lemma di Fozio sia frutto di banalizzazione (con il
passaggio di a ) e, come spiega bene Delneri 2004 p. 72, anche
108
.. [
utilizzato dal commediografo, attribuito alla dea tracia e di cui vengono fornite tre
interpretazioni: Bendis era definita perch esercitava il suo potere su due regni, quello
celeste e quello terreno; oppure per il fatto che era cacciatrice e portava due lance (dalla doppia
lancia), il che ne favor presto presso i Greci l'assimilazione con Artemide; o, ancora, perch
possedeva due luci, la propria e quella del Sole, come epiclesi della Luna (). Fozio 162
fornisce un'ulteriore spiegazione del lemma e dice che l'epiteto derivava forse anche dal
fatto che la dea aveva con s due fiaccole () e le torce erano dette appunto 163.
Dei quattro significati proposti dai lessicografi, per, il pi attendibile certamente quello dalla
doppia lancia, sia per la ricorrenza del sostantivo , sia per il fatto che l'aggettivo
ricorre, oltre che in questo frammento, unicamente al v. 643 dell'Agamennone di Eschilo, in cui
si parla di una maledizione delle due lance ( ), in riferimento alla sanguinosa coppia
Agamennone-Menelao, strumenti nelle mani di Ares per realizzare la distruzione di Troia. Sono
queste le sole due attestazioni del termine; il fatto , forse, significativo, ma non esiste alcun
elemento per poter sostenere l'idea di un rapporto diretto tra i due testi. Il verso eschileo induce,
per, certamente a preferire il significato dalla doppia lancia per , anche come epiteto
ipotizzabile che Cratino nella sua commedia non utilizzasse il nome della dea, ma vi alludesse con l'espressione
, in un contesto in cui questa non potesse dar adito a dubbi. Qui, insomma, la per
antonomasia sarebbe . Aristofane, del resto, nelle Lemnie, usa una formula simile proprio per indicare
Bendis: in Hsch. 456 Hansen, infatti, si legge (fr. 384 K.A.).
e nel fr 381 K.A. la dea semplicemente . Per un'analisi pi dettagliata della
questione, si veda Delneri 2004 pp. 69-73 e, da ultimo, Delneri 2006 pp. 191-194.
109
di Bendis. Sono, del resto, attestate rappresentazioni vascolari164 in cui la dea, raffigurata nei
panni di una cacciatrice, regge due aste o , e questo non pu che essere la conferma.
Un'ulteriore prova dell'allusione al culto di Bendis nelle Tracie garantita dai frr. 87 e 89:
Il primo attesta l'uso nella commedia del termine , che Fozio spiega con ,
sacerdote di Cibele, detto dagli Ioni anche 165. La testimonianza degna di nota perch
attestato.
La spiegazione fornita da Esichio potrebbe trovare una qualche giustificazione grazie ad una
(p. 557.9 Th. = EM p. 736.19 = Suid. 1661 Adler); l'aggettivo, dunque, indicherebbe
164 Si veda, ad esempio, il vaso di Verona del 440-430 a.C. (Mus. Teatro Romano 52) e il vaso di Tbingen (Univ.
S/10 1347), della fine del V secolo (rispettivamente LIMC s.v. Bendis 1-2 p. 96).
165 Cfr. anche Phot. p. 182.20 Th.: (= Hsch. 4373 Latte).
.
110
qualcosa di sconvolto, disordinato e sarebbe un qualificativo, in certo qual modo dispregiativo,
proprio di un auleta e adatto all'ambito comico. Perpillou 1973 p. 94 pone alla base del termine
citata, in particolare, da Ateneo per designare un coro in cui ciascun componente deve cantare
qualsiasi cosa gli piaccia, senza prestare attenzione a chi dirige ed istruisce166; in altre parole, un
coro mal regolato, scomposto, disordinato. Lo studioso francese, poi, sottolinea che, a partire
uno specialista in note discordi; a suo avviso, dunque, l'auleta di Cratino (fr. 89) sarebbe un
cacophoniste professionnel, ma tale ipotesi induce a pensare che il poeta usasse il termine in
relazione ad un unico personaggio. , invece, anche possibile che il commediografo, nello stesso
ricondurre ad un gruppo di auleti beoti, forse una folla di iniziati di Bendis impegnata nelle
celebrazioni (cfr. Delneri 2006 pp. 201-206), che costituiva probabilmente un secondo coro. La
111
,
Phot. (b, S) 1241 (sequitur fr. 78). Schol. (BCEQ) Pind. Ol. 6.152
: ,
(fr. 83 Sn.) -
Il frammento consiste in un tetrametro anapestico catalettico, in cui uomini beoti sono presentati
come porci e con ai piedi zoccoli di legno, ed ricordato, in particolare, dallo scoliasta di
maiale, infatti, nel panorama culturale greco l'incarnazione della stupidit, dell'ignoranza, della
rozzezza e della goffaggine167 e il suo accostamento, quasi proverbiale, alla popolazione della
Beozia, comunemente ritenuta rozza e stolta, , forse, da ricercare nel fatto che gran parte del
sostentamento della regione si basava su un'economia prettamente agricola 168. La reputazione dei
Beoti come maiali presso gli autori greci, in particolare attici, , poi, ricordata soprattutto da
Plutarco in un passo del De esu carnium169, in cui si accenna alla considerazione dei Beoti quali
ingordi e si riportano tre citazioni poetiche relative, appunto, alla proverbiale voracit e
l'inizio della citazione a memoria, pur restando fedele in qualche modo al ritmo dell'originale
167 Sull'impiego della figura del maiale in contesti proverbiali si veda Bettarini 1997 pp. 19-38 (con relativa
bibliografia).
168 Cfr. Hsch. 2754 Hansen: ; Phot. p. 557.2 Th.:
. In generale, sulla reputazione dei Beoti presso gli scrittori greci, in particolare attici, e latini si
veda Roberts 1895 pp. 1-9; Roller 1990 pp. 139-144.
169 Plu. Mor. 995E: ,
, , . Per un commento approfondito
del passo si veda Inglese 1999 pp. 205-206.
112
( / ); la seconda citazione il fr. 611 K.A. di Menandro (
) , infine, l'inizio del gi citato passo pindarico contenente la nota espressione offensiva
).
Nel frammento cratineo, dunque, l'uso del termine , un conio del poeta dall'evidente
ironica, la famosa e topica immagine di gente rozza, come i maiali, che la popolazione beotica
I personaggi qui presi di mira sono senza dubbio degli auleti e la prova di questo fornita
p. 588), infatti, spiega, sulla base delle testimonianze di Polluce, Fozio ed Esichio 170,
che erano propriamente dei calzari di legno utilizzati in Beozia per schiacciare le
olive, ma anche gli zoccoli adoperati dai suonatori di flauto per battere il tempo e segnare il
ritmo. , quindi, fuor di dubbio che i Porcibeoti del fr. 77 sono degli auleti e che le parole del
scalmanati, che, calzando zoccoli di legno, dovevano fare un gran baccano. E se questa banda di
auleti aveva effettivamente un carattere scomposto e disordinato anche altamente probabile che
tumultus (apud Kassel-Austin 4 p. 166). La cosa, infatti, non deve affatto stupire, dal momento
che Strabone attribuisce alle feste in onore della dea tracia (Bendideia) un carattere orgiastico
113
(10.3.16) e Proclo descrive la confusione ed il disordine dei Bendideia con l'espressione
conservato troppo esiguo per stabilire con certezza il loro ruolo specifico all'interno del
dramma: potrebbe, infatti, trattarsi di un gruppo isolato e con un ruolo marginale nell'intreccio
comico, oppure di un vero e proprio secondo coro171, in aggiunta a quello femminile costituito
Nell'ambito del tema relativo alla satira, senza dubbio possibile classificare anche le Tracie
come una commedia politica grazie al fr. 73, che testimonia l'ingresso in scena di Pericle:
<> ,
,
171 L'utilizzo nel fr. 77 del tetrametro anapestico catalettico potrebbe spingere, anche se in via del tutto ipotetica,
nella direzione di un semicoro di auleti beoti. Tale metro, infatti, generalmente usato nella commedia attica
antica nella parabasi e nell'agone, ma si trova anche nella parodo delle Nuvole, in particolare ai vv. 269-274, in
cui Socrate invoca e celebra le divinit che stanno per fare in quel momento il loro ingresso in scena
(cfr. Martinelli 1995 pp. 154-158); questo passo potrebbe in qualche modo richiamare la situazione del
frammento cratineo in questione; inoltre, ai vv. 268-304 degli Uccelli, una sezione in tetrametri trocaici
catalettici, Upupa introduce a uno a uno i componenti del coro, e nella parodo della Lisistrata, ai vv. 352-353, in
tetrametri giambici catalettici, il coro di vecchi annuncia l'entrata in scena dell'altro coro, composto da donne,
con cui dialogher fino al termine della sezione (v. 386). Anche i di Cratino, dunque, potrebbero
costituire uno dei due semicori del dramma e, in tal caso, il fr. 77 segnalerebbe il loro ingresso, annunciati da un
personaggio, che pronuncia versi in tetrametri anapestici catalettici; l'esiguit del materiale, per, non offre
alcuna certezza a riguardo. Sulla questione si veda anche Delneri 2006 pp. 170-173, che per riconduce il fr. 77
alla parabasi.
114
Plutarco, dopo aver passato in rassegna tutte le grandi opere artistiche commissionate da Pericle,
per dar conto dell'ambizioso programma edilizio volto a fare di Atene un incomparabile punto di
riferimento della cultura greca, e, dopo aver nominato il Partenone, il Telesterion, preposto alla
celebrazione dei misteri eleusini di Demetra e Kore, ed il lungo muro posto tra quello del Pireo e
quello del Falero (Per. 13.7-8), descrive l'Odeon172, una sala ipostila creata per gli agoni musicali
ai piedi dell'Acropoli e vicino al teatro di Dioniso, e riporta questi pochi versi delle Tracie, in cui
Cratino si fa beffe dell'imponente costruzione. Come si vede, Pericle, il principale bersaglio della
satira politica cratinea, qui chiamato in causa come personificazione del re degli di, topica
stigmatizzazione, soprattutto in ambito comico, del suo atteggiamento sicuro e superbo, della sua
Cratino e ricorre anche, come si vedr, nella Nemesi, in cui il noto politico ateniese appellato
come Zeus e (fr. 118 K.A.), e nei Chironi, in cui presentato come un
figlio di e (fr. 258 K.A.). Un simile accostamento, poi, non manca neppure in
172 L'Odeon era un'imponente sala ipostila creata per gli agoni musicali. Plutarco (Per. 13.9) ne offre una
descrizione di tipo morfologico e dice che l'edificio era con numerose serie di sedili, e
con molteplici serie di colonne all'interno; il tetto, invece, risolveva l'arduo compito di coprire una vasta area con
campate spioventi da un apice centrale: il tutto ad imitazione della tenda regale persiana, bottino ateniese di
Platea nel 479. Si sa per certo che l'opera fu distrutta nell'86 a.C., durante la prima guerra mitridatica, e
ricostruita nelle forme originarie, alla met del I secolo a.C. da C. e M. Stallius e da Melnippos, a spese del re
Ariobarzane Philoptor (cfr. Paus. 1.20.4; Vitr. 5.9.1). Non si conosce, invece, con sicurezza l'anno preciso in cui
l'edificio fu originariamente completato e di questo si molto discusso. Plutarco (Per. 13.9-11) inserisce la
descrizione dell'Odeon dopo quella del Partenone, del Telesterion e del lungo muro e prima di quella dei Propilei
dell'Acropoli, probabilmente seguendo un ordine cronologico; egli aggiunge, poi, che l'edificio fu realizzato in
concomitanza con un provvedimento pericleo, che prevedeva l'istituzione nel programma festivo delle Panatenee
di un agone musicale, con gare di auls, di cetra e di canto, deputato a svolgersi, da allora in avanti, proprio
nell'Odeon. Tale notizia certamente falsa, perch le rappresentazioni vascolari mostrano con certezza che gli
agoni musicali in occasione delle Panatenee esistevano gi a partire dal sesto secolo a.C. (cfr. Davidson 1958 pp.
23-42); probabile, invece, per dar credito all'informazione plutarchea, che tali gare siano state ad un certo punto
interrotte e, poi, ripristinate proprio da Pericle in occasione del completamento dell'Odeon, la cui datazione
precisa una vexata quaestio, che non si intende riproporre in questa sede. Per un'analisi completa della struttura
dell'edificio e per la sua data di costruzione si rimanda, invece, a Judeich 1931 pp. 306-308; Pickard-Cambridge
1946 pp. 15-19; 72-73; Pickard-Cambridge 1996 pp. 94-95; Travlos 1971 p. 387; Robkin 1976; 1979; Knell
1979 pp. 77-79; Meinel 1980 pp. 135-154; Hose 1993 pp. 3-11; Miller 1997 pp. 218-242; Podlecki 1998 pp. 77-
91; e, per finire, si veda l'accurata ricostruzione fatta da Mosconi 2000 pp. 217-316.
115
Aristofane, il quale nella parabasi degli Acarnesi appella Pericle con il soprannome e
lo considera la causa scatenante della guerra, per aver scagliato fulmini e tuoni su tutta la Grecia,
Cresila per aver rappresentato presso i Propilei dell'Acropoli un Pericle Olimpio, degno di questo
soprannome, cio per essere riuscito a rendere la sicurezza che caratterizzava lo stratega e ne
dignum cognomine).
Nelle Tracie, per, questo singolare Zeus-Pericle presentato anche con l'aggettivo
, ossia dalla testa di cipolla, non attestato altrove e che rimanda indubbiamente al
noto difetto fisico pericleo, spesso preso di mira dai commediografi. Plutarco173, infatti, ricorda
che lo statista era ben formato in tutte le parti del corpo, salvo che nella testa, piuttosto lunga ed
asimmetrica; per questa ragione, i suoi , per non offenderlo, lo ritraevano costantemente
comiche sulla famigerata scinocefalia di Pericle e riporta il gi citato fr. 118 della Nemesi, in
116
cui l'aggettivo richiama appunto il termine ; il fr. 258 dei Chironi, di cui pure si
Teleclide, in cui si dice che lo statista talvolta, angustiato dai pubblici affari, sedeva sull'Acropoli
con il capo appesantito e ciondoloni, tanto che a volte dalla sua testa, capace di ospitare ben
undici letti, era in grado di far scaturire da solo un grande tumulto; e, infine, il fr. 115 K.A. dei
quattro defunti, tra cui Pericle, in cui il termine non pu che riferirsi scherzosamente
alla sua particolare deformit cefalica (cfr. Tel 2007 pp. 458-462).
principale del dramma, assimilato ironicamente a Zeus, al fine di attaccare la sua condotta
politica, dai tratti distintamente tirannici; ma lo Zeus-Pericle che compariva in scena doveva
avere ben poco di divino agli occhi del pubblico ed essere ben lontano dall'assumere un
atteggiamento degno di rispetto; egli doveva, invece, apparire assolutamente ridicolo e diventare,
in tal modo, oggetto di beffa, suscitando risa ed ilarit. Come si dice nel fr. 73, egli era
, una testa di cipolla e, perci, non da escludere che l'attore, pur impersonando
il re degli di, si presentasse al pubblico con qualche tratto fisico idoneo ad evocare la figura del
noto politico e che, cio, fosse in qualche modo visualizzata sulla scena la sua scinocefalia
attraverso un particolare adeguamento mimetico della maschera174. Gli spettatori, inoltre, non
174 Polluce, del resto, informa che l'archaia, a differenza della nea, in completa libert produceva maschere da
adattare ai suoi personaggi (4.143:
). E Pickard-Cambridge 1996 pp. 299-
300, analizzando il passo di Polluce, sottolinea che dai testi risulta chiaramente che le maschere dei personaggi
viventi ridicolizzati potevano essere ritratti riconoscibili, ovviamente con qualche tratto caricaturale. Una prova,
in tal senso, fornita dal passo dei Cavalieri, in cui il primo servo afferma che Cleone non rappresentato
realisticamente, perch nessun artigiano ha osato realizzare una maschera che lo ritraesse (vv. 230-233). Si pu,
invece, essere abbastanza sicuri che in questa commedia, se i due schiavi erano riconoscibili come Nicia e
Demostene, le loro maschere ne dovevano consentire in qualche modo l'identificazione. Lo studioso, poi, fa
riferimento anche al fr. 73 K.-A. di Cratino, sulla base del quale ipotizza che Pericle nelle Tracie fosse presentato
in scena con una testa abnorme, un tratto fisico che ne rendeva immediato il riconoscimento. Sul travestimento e
117
dovevano avere alcuna difficolt a riconoscere in Zeus il loro statista anche per un altro
particolare messo ben in evidenza al secondo verso del frammento in analisi, in cui si dice che
Pericle, nelle vesti di Zeus, al posto dell'elmo con cui veniva solitamente ritratto dai suoi artisti,
previste nel suo programma di edilizia pubblica, di cui egli doveva menare gran vanto e per la
quale evidentemente Cratino non gli riconosce alcun merito. Non difficile, del resto,
comprenderne la ragione: Pericle era ben consapevole che il teatro si configurava come lo spazio
privilegiato per la mediazione del consenso politico della polis e, perci, diede particolare rilievo
alle strutture teatrali; riassett, infatti, il teatro di Dioniso e fece costruire, appunto, l'Odeon, un
edificio che divenne, non a caso, fondamentale per l'organizzazione degli agoni drammatici, dal
momento che l si stabil che avesse luogo la cerimonia del proagone, in occasione della quale il
drammaturgo, insieme agli attori ed ai coreuti, esponeva al pubblico l'argomento dell'opera che
sarebbe stata rappresentata di l a qualche giorno (cfr. Pickard-Cambridge 1996 pp. 94-95;
Mastromarco 2003 p 8). facile immaginare, dunque, che la presa in giro da parte del
commediografo di una delle opere, di cui forse lo stratega andava pi fiero, anche in vista della
sua propaganda politica, abbia avuto un certo effetto sugli spettatori, suscitando non poca
sorpresa .
In definitiva, i tre trimetri del fr. 73 mostrano uno Zeus-Pericle dalla testa di cipolla che, con un
ridicolo modello dell'Odeon sul capo, si presenta al pubblico in atteggiamento trionfale dopo
supporre, come nota Quaglia 1998 p. 29, che tali versi segnalino proprio la prima entrata in scena
del personaggio, dal momento che la descrizione troppo dettagliata per riferirsi a qualcuno gi
visto in precedenza. La studiosa ipotizza, in maniera condivisibile, che il fr. 73 faccia parte del
la deformazione di figure alte si vedano, invece Rau 1967 p. 18; Degani 1983 pp. 9-10.
118
prologo, sezione tradizionalmente in trimetri, in cui venivano presentati tutti i personaggi
principali del dramma: nella parte finale, dopo che si a lungo parlato di lui, Pericle fa il suo
ingresso, mentre uno tra i personaggi gi presenti ne rimarca l'entrata, pronunciando i tre versi in
analisi. Una conferma in tal senso offerta dal v. 146 dei Cavalieri di Aristofane, in cui il primo
servo, alla fine del prologo, introduce per la prima volta sulla scena il Salsicciaio con la battuta
, una frase che presenta una puntuale coincidenza linguistica con il primo
possibile asserire, sulla base di quanto sinora detto, che anche le Tracie sono da considerare a
tutti gli effetti una commedia anti-periclea, nel cui intreccio l'uomo politico doveva ricoprire un
Un ulteriore attacco nei suoi confronti, se pure indiretto, , poi, forse, rintracciabile nel fr. 81:
Schol. (V) Luc. Iov. trag. 48 p. 83.20 R. (de Callia, post fr. 12)
( , corr. Luppe Phil. 110, 1966, 137, om. V).
(fr. 127.6 Koe.)
.
p. 84.7 (solus ) ,
, cf. Schol. Ar. Av. 283 , 286
Il testimone rimanda alle Tracie, perch in questo dramma viene preso in giro Callia, presentato
175 La tradizione manoscritta tramanda per il primo verso del fr. 73 (MA) oppure
(SU); congettura di Bekker, accolta favorevolmente e giustamente da Kassel-Austin, sulla
base di alcuni passi aristofanei, tra cui il verso dei Cavalieri sopra citato, in cui il verbo ,
accompagnato dal deittico, tecnicamente usato per presentare un personaggio, mentre fa il suo ingresso in
scena: Eq. 146 . (il primo servo rimarca l'ingresso di Filocleone); V. 1324
(il servo annuncia l'arrivo di Filocleone); Lys. 77
(Lisistrata presenta Lampit); Pl. 1038 (la Vecchia annuncia
l'entrata in scena del Giovinetto).
176 Nel diritto attico la marchiatura era applicata ai beni concessi in ipoteca, cio terreni, case, ma anche schiavi
(cfr. Lipsius 1912 pp. 690-697; Harrison 1968 pp. 254-255) e, dunque, come fa notare Delneri 2006 p. 182, con
evidente esagerazione comica, Cratino vuol forse dire che Callia era talmente indebitato da poter essere egli
stesso marchiato, come i suoi possedimenti. La studiosa scrive inoltre: chiara la portata offensiva di tale
119
sua vita dissoluta, e come adultero colto in flagrante e costretto, per evitare guai giudiziari, a
sborsare tre talenti al marito dell'amante177, un tale Foco, non altrimenti conosciuto. Si tratta
senza ombra di dubbio di Callia III (PA 7826; LGPN II, s.v., nr. 84; si veda anche l'accurata
ricostruzione genealogica tracciata da Davies 1971 pp. 254-269), figlio di Ipponico II del demo
di Alopece (PA 7658; LGPN II, s.v., nr. 13) e nipote di quel Callia II (PA 7825; LGPN II, s.v., nr.
82) che, in vecchiaia, fu ambasciatore in Persia intorno al 448 178 ed a Sparta, per la pace dei
Trent'anni, nel 446/45179. L'uomo, nato intorno al 455 e morto dopo il 371, era, inoltre, legato a
Pericle per via materna, sulla base di quanto riferisce Plutarco, ossia per il fatto che la madre di
Callia, una donna di cui non si conosce il nome, divorzi da Ipponico II e, successivamente,
and in sposa a Pericle, a cui diede i due figli legittimi, Santippo e Paralo180. Callia, poi, era un
affermazione, che implicava un'infamazione del personaggio: erano per di pi chiamati anche certi
schiavi, quelli puniti per aver tentato di fuggire (cf. e.g. Ar. Av. 760). Del resto, i erano solitamente colpiti
da pene degradanti, come quella del , con cui venivano simbolicamente ridotti a donne o a
schiavi.
177 Sul pagamento di una multa pecunaria in caso di reato di cfr. Dem. 59.65: ,
,
, ,
, ,
; Lys. 1.25: , , ,
. ,
. In generale, sui procedimenti punitivi previsti in tema di
adulterio dalla legislazione ateniese si veda Harrison 1968 pp. 254-255; MacDowell 1978 pp. 124-126; Kapparis
1995 pp. 97-122; Kapparis 1996 pp. 63-77; Omitowoju 2002 pp. 109-110; e, da ultimo, per ulteriori riferimenti
bibliografici, Tel 2004 p. 8.
178 Cfr. D. 19.273: , ,
,
, ,
, , .
179 Cfr. D.S. 12.7:
,
.
180 Plu. Per. 24.8: , ,
.
, ,
. Cfr. anche Pl . Prt. 314E: ,
,
, .
La notizia fornita da Plutarco stata messa in discussione, per ragioni cronologiche, da Beloch 1916 II.2 p. 35 e
da Davies 1971 pp. 262-263, i quali hanno ipotizzato che fu in un primo momento Pericle a sposare la donna, da
cui ebbe Santippo e Paralo, e, successivamente, nel 455 circa, lo statista divorzi, concesse l'ex moglie a
Ipponico II e da questo matrimonio nacquero Callia e Ipparete, futura moglie di Alcibiade (420 circa). A
sostegno della sequenza plutarchea si vedano, invece, Thompson 1972 p. 213 n. 18; Cromey 1982 pp. 203-212.
120
personaggio molto in vista ad Atene, pi volte attaccato anche da altri commediografi del quinto
secolo, per l'ingente ricchezza ereditata dal padre, che sperper velocemente, e per la sua nota
passione per le donne, che lo port ad avere una vita matrimoniale piuttosto chiacchierata:
Eupoli negli Adulatori, rappresentati nel 421, gli assegna un ruolo centrale, ambientando il
dramma nella sua casa, e lo attacca molto probabilmente per aver dilapidato, a causa delle sue
insane abitudini di vita, l'immenso patrimonio del padre morto da poco, ammontante a duecento
talenti e considerato il pi consistente di tutta la Grecia (cfr. Storey 2003 pp. 180-184);
Aristofane, invece, negli Uccelli parla di lui come di un uccello di razza spennato da donne e
contro una fica182; l'oratore Andocide, infine, fornisce dettagli sulla sua vita matrimoniale e
racconta che Callia conviveva, nella stessa casa, con la moglie, sposata in seconde nozze, e con
la di lei madre, vedova di Iscomaco, dalla quale ebbe anche un figlio bastardo (1. 124-127;
).
Non da escludere, quindi, che Callia, personaggio noto ad Atene, legato per parte di madre a
Pericle e divenuto ben presto, soprattutto in ambito comico, stereotipo negativo del ricco dedito
ai piaceri ed a uno stile di vita sregolato, nelle Tracie venga preso di mira anche al fine di colpire
indirettamente lo statista; Cratino, del resto, come si visto, aveva gi sperimentato una pratica
simile nelle Fuggitive con l'invettiva contro l'indovino Lampone, esponente di spicco
In generale, sulle implicazioni politiche delle alleanze matrimoniali nell'Atene del quinto secolo si veda Cox
1989 pp. 34-46; Cox 1998, in particolare pp. 222-229.
181 Ar. Av. 283-286: . / . . /
, / .
Per l'analisi dettagliata del passo si rinvia a Dunbar 1995 pp. 235-236; Totaro 2006 pp. 145-146 n. 60.
Cfr. anche schol. Ar. Av. 283a Holwerda:
; 286a Holwerda: .
182 Ar. Ra. 428-430: / / .
Per l'analisi del passo si veda Totaro 2006 pp. 89-90.
121
dell'entourage pericleo. Su questa linea si pu procedere oltre. Callia, infatti, era anche intimo
amico di Protagora e seguace delle sue teorie, come provato dal Protagora platonico, dialogo che
ha interamente luogo nella sua abitazione, e dai frr. 157 e 158 K.-A. degli Adulatori di Eupoli, in
cui il nome del noto sofista compare a riprova del fatto che egli era molto probabilmente uno dei
personaggi del dramma, ambientato anch'esso nella casa del ricco aristocratico183. Tale
osservazione acquista rilevanza alla luce del fatto che ben attestato lo stretto legame tra Pericle
e Protagora (cfr. Podlecki 1998 pp. 93-99): Diogene Laerzio, in particolare, citando Eraclide
Pontico, informa che, in occasione della fondazione di Turi (444/443), fu proprio il filosofo a
redigere, per volont dello statista, la legislazione della nuova citt184; Plutarco, invece, racconta
che Santippo, sparlando di suo padre, lo prendeva in giro per aver trascorso una volta un'intera
giornata a discutere con Protagora se l'agente responsabile della morte di un giovane atleta,
giavellotto stesso, il lanciatore oppure i giudici di gara185; e nel Protagora di Platone, inoltre,
com' noto, i due figli legittimi di Pericle, Santippo e Paralo, sono tra gli astanti al discorso del
Callia, dunque, oltre ad essere legato a Pericle per parte di madre, aveva anche con lui
un'importante amicizia in comune, quella con il filosofo Protagora, e questo poteva di certo
essere una buona ragione perch egli divenisse nella drammaturgia cratinea, che ha nello statista
122
il suo bersaglio costante, strumento di attacco indiretto al politico ateniese. Una simile ipotesi
trova, a mio avviso, conferma, per quanto riguarda le Tracie, nel fatto che il fr. 82186 testimonia
una presa in giro di Cratino nei riguardi del retore e sicofante Evatlo, discepolo di Protagora 187
(PA 5238). Proprio su di lui Gellio (5.10) e Apuleio (Flor. 18.20) raccontano un interessante
aneddoto relativo alla sua formazione tra i sofisti: Evatlo, dopo aver frequentato le lezioni di
Protagora, si accord con il maestro circa il prezzo, ma pag di fatto soltanto la met dell'ingente
somma di denaro richiesta, promettendo che avrebbe versato il resto in occasione della sua prima
vittoria ad un processo; il tempo, per, trascorse senza che il giovane discepolo saldasse il debito
e Protagora lo cit in giudizio, dando prova dinanzi ai giudici della sua spiccata capacit
123
dialettica: il sofista, infatti, sostenne che, indipendentemente dall'esito del processo, l'allievo
avrebbe dovuto comunque rendergli il denaro, dal momento che, se la sentenza fosse stata a lui
favorevole, Evatlo avrebbe dovuto pagare per legge e se, al contrario, i giudici si fossero
pronunciati contro di lui, egli avrebbe ugualmente ottenuto i soldi come pattuito, perch in tal
caso il giovane avrebbe vinto per la prima volta; l'allievo, per, diede prova di essere in grado di
superare il maestro, sostenendo che, invece, in entrambi i casi, egli sarebbe riuscito a sottrarsi al
saldo del debito: se, infatti, la vittoria fosse stata dalla sua parte, egli non avrebbe pagato secondo
la legge; in caso contrario, egli sarebbe stato comunque esonerato dal pagamento in base a
quanto stabilito, dal momento che non avrebbe ancora ottenuto nessuna vittoria ad un processo.
La vicenda narrata dai due scrittori latini degna di interesse, perch questo personaggio pi
volte preso di mira in ambito comico come simbolo della sfacciataggine e della sfrenata
nella parabasi degli Acarnesi di Aristofane, egli compare come antagonista di Tucidide di
Melesia, che simboleggia la generazione degli anziani oltraggiati e soppiantati dal fanatismo dei
nuovi 188; per questa ragione il giovane demagogo attaccato anche nelle Vespe189 e nel
fr. 424 delle Navi da carico aristofanee190, in cui detto , cio, in base alla spiegazione
124
di Platone comico, infine, Evatlo doveva verosimilmente essere messo alla berlina per l'elevato
compenso richiesto nella sua professione, abitudine certamente derivatagli dalla formazione
sofistica (fr. 109 K.-A.; per un'analisi del frammento si veda Pirrotta 2009 pp. 231-232).
L'atteggiamento senza scrupoli, per cui il giovane demagogo era noto ad Atene, era forse anche
la ragione della sua presa in giro nelle Tracie, ma non da escludere, sulla base di quanto detto
sinora e di quanto ipotizzato in relazione a Callia, che egli fosse bersaglio del commediografo
pure per la sua stretta vicinanza a Protagora, amico di Pericle. E se nella commedia sono
evidentemente derisi Callia ed Evatlo, entrambi vicini al sofista, viene, a questo punto, da
chiedersi, per quanto non ve ne sia traccia nel materiale conservato, se in qualche modo, sulla
stessa linea dell'invettiva contro Lampone, Cratino attaccasse direttamente anche Protagora, in
quanto membro di spicco della cerchia periclea. Se cos fosse, anche l'idea, in base alla quale
l'attacco a Callia per le sue insane abitudini di vita sarebbe solo il pretesto per colpire
Il riferimento, al terzo verso del fr. 73 sopra analizzato, ad un presunto pericolo di ostracismo
evitato da Pericle ha indotto Bergk 1838 pp. 104-108, seguito dalla maggior parte degli
studiosi192, a ipotizzare che esso fosse un'esplicita allusione all'ostracismo di Tucidide di Melesia,
acerrimo avversario dello stratega messo politicamente fuori gioco nel 444/443, e che, di
conseguenza, le Tracie fossero da collocare tra il 443 e il 442. Lo studioso tedesco, inoltre,
Scizia, i cui abitanti erano noti come formidabili arcieri, sia alla sua abilit oratoria: le parole, scagliate negli
attacchi verbali, erano come frecce lanciate con un arco, frecce che colpivano sempre nel segno, sterminando
tutti quelli che si imbattevano nella sua parola e facendo cos deserto intorno a s, da cui la denominazione di
deserto scitico. In generale, per l'analisi del passo degli Acarnesi si veda Mastromarco 1983 pp. 166-167
n. 115; Napolitano 2002 pp. 89-103, in particolare pp. 94-98.
192 Cfr. Meineke 1839 pp. 61-62; Kock 1880 p. 34; Edmonds 1957 pp. 44-45; Norwood 1931 pp. 133-135; Pieters
1946 p. 84; Schmid 1946 pp. 78-79; Gomme 1959 I p. 347 n. 1; Schwarze 1971 pp. 64-71; Quaglia 1998 p. 28.
125
ritiene che la conferma di una simile datazione sia offerta dal fr. 76, in cui ci si riferisce a
personaggi non meglio identificati, che impedirono a dei ladri di rubare l'oro proveniente
dall'Egitto:
193
Per il fatto che fecero smettere ai corvi di rubare gli ori provenienti dall'Egitto
Poll. IX 91 -
Bergk suppone che esso contenga un chiaro riferimento all'ingente quantit di grano offerta agli
dell'aiuto militare prestatogli contro il re di Persia, notizia a noi nota grazie all'attidografo
Filocoro, la cui testimonianza riferita dallo scoliasta al v. 718 delle Vespe aristofanee194.
L'ipotesi avanzata da Bergk, per, non risulta attendibile per diverse ragioni.
193 Nell'immaginario greco il corvo (, Corvus corax) simbolo di impudenza e di voracit e, come tale, in
commedia sempre associato a personaggi negativi: nelle Vespe di Aristofane il corvo Teoro, un adulatore di
Cleone (v. 47: , / ;); nella Pace, invece, come corvo
apostrofato Ierocle, l'indovino che, durante il sacrificio, vorrebbe sottrarre a Trigeo le pelli di pecora (v. 1125:
; ; cfr. anche schol. Ar. Pax 1125: );
negli Uccelli, inoltre, Opunzio presentato dall'araldo di Pisetero come un monocolo soprannominato corvo
(v. 1294: ) e lo scolio al verso, citando come fonte Didimo, informa che
questo personaggio preso in giro, come uno privo di un occhio e che ha un grande grugno, da Callia nelle
Atalante (fr. 4 K.-A.; si veda Imperio 1998 pp. 203-204) e da Eupoli nei Tassiarchi (fr. 282 K.-A.; schol. Ar. Av.
1294 Holwerda: (sc. nomen dedit)
); ma oltre
che per le caratteristiche fisiche, l'appellativo gli fu certamente attribuito anche per la voracit e
l'impudenza, dal momento che egli ricordato da un altro scolio come (schol. Ar. Av. 1292a
Holwerda: , . .
; cfr. Totaro 2006 pp. 130-131 n. 30). In generale, sul corvo e la sua simbologia presso i
Greci si rimanda anche a Chantraine DELG s.v. ; Thompson 1936 pp. 90-95; Taillardat 1965 pp. 311-312.
194 Schol. Ar. V. 718 Koster: ,
[[ ]],
. Cfr. anche Plu.
Per. 37.4:
,
, .
,
.
126
In primo luogo, che il fr. 73 alluda in qualche modo all'ostracismo di Tucidide di Melesia solo
una supposizione, dal momento che ad Atene nel quinto secolo ogni anno era possibile ricorrere
a tale istituto per eliminare avversari politici e, dunque, esso poteva rappresentare per Pericle una
minaccia annuale (cfr. Wilamowitz 1879 p. 319). Anche ammesso, poi, che Cratino volesse
effettivamente far riferimento all'episodio del 443, si potrebbe semplicemente riconoscere in esso
un evento post quem datare la commedia e non per forza un elemento da utilizzare ai fini della
datazione della stessa (cfr. Luppe 1963 p. 53; Delneri 2006 pp. 157; 185).
In secondo luogo, sulla base delle testimonianze di Filocoro (schol. Ar. V. 718) e Plutarco (Per.
37.4), Psammetico invi agli Ateniesi grano, mentre nel fr. 76 delle Tracie si parla di oro (cfr.
Geissler 1969 p. 22). Per superare l'ostacolo, Pieters 1946 p. 84 pensa che con il poeta
intenda il ricavato della vendita dei cereali oppure che l'immagine comica indichi
quest'ultimo Psammetico abbia anche inviato una certa quantit di metallo prezioso. Si tratta,
per, di tentativi poco convincenti, volti a orientare il testo verso una precisa interpretazione, ed
a questo si deve aggiungere che altri studiosi hanno, invece, visto nel verso del fr. 76 un'allusione
ad un altro fatto storico, cio il dono di vasellame d'oro da parte di un certo Paapis (cfr. Muhl
1881 p. 88; Brandes 1886 p. 21; Kaibel apud Kassel-Austin 4 p. 161). Di questo personaggio
non si sa quasi nulla, se non che era forse un egiziano ricco ed influente195, ed anche
impossibile datare con precisione il suo gesto, che , per, sicuramente anteriore al 421, perch
127
406/405 esisteva, nel Partenone, una , (IG II 1383.6). Delle due
mio avviso, comunque molto discutibile, e senza possibilit di soluzione, stabilire a quale
Infine, la menzione di Evatlo nel fr. 82 induce a collocare senza dubbio il dramma cratineo negli
anni trenta del quinto secolo, dal momento che in tutte le ricorrenze aristofanee il discepolo di
Protagora presentato come un ragazzo giovane (Ach. 710; V. 592; fr. 424 K.-A.) e, dunque, egli
non poteva essere oggetto di attenzione da parte di Cratino gi un ventennio prima (cfr.
Wilamowitz 1879 p. 319; Geissler 1969 pp. 21-22). Diversamente, Gomme 1959 I p. 347
sostiene che Evatlo avrebbe potuto benissimo esercitare la sua professione dal 445 al 410,
restando, comunque, nel 425 sempre pi giovane del suo avversario Tucidide; Pieters 1946 p. 83,
invece, ritiene che il suo nome venga fatto semplicemente come rappresentazione, per
metonimia, della classe dei sicofanti, oppure che sia da supporre l'esistenza di due personaggi
storici omonimi, entrambi discepoli di Protagora: uno, pi giovane, sarebbe quello menzionato
da Aristofane; all'altro, gi attivo nel 443, farebbe invece riferimento Cratino nel fr. 82 (su
quest'ultima ipotesi cfr. anche Schwarze 1971 p. 67 n. 159). Tutte queste interpretazioni, nessuna
pienamente convincente, per, sono originate soltanto dal tentativo, quasi forzato, di salvare a
tutti i costi la datazione tradizionalmente proposta (443/442) e, perci, sono, a mio parere, da
rigettare. Geissler 1969 pp. 21-22, invece, fissa la rappresentazione della commedia nell'arco di
tempo compreso tra il 435 ed il 430 e, sulla base delle osservazioni sopra riportate, tale proposta
oltre ed essere ancora pi precisi. Come si detto all'inizio, nelle Tracie Cratino prende di mira il
culto straniero di Bendis, che ad Atene ebbe il privilegio di essere ufficialmente riconosciuto
128
dallo Stato nella seconda met del quinto secolo, al tempo di Pericle, dunque, molto
probabilmente all'inizio del 430/429. Infatti, un'iscrizione, databile con certezza al 429/428,
presenta il conto dei tesorieri delle divinit, tra cui quelli [], e fornisce senza dubbio il
terminus ante quem per il riconoscimento pubblico della dea (IG I 210 = IG I 310 = IG I 383);
una seconda iscrizione (IG I 136 = LSCG 6), poi, risalente probabilmente al 430/429, offre una
gran quantit di informazioni circa lo svolgimento della festa in onore di Bendis ad Atene: essa
ateniese e in parte tracia, che partiva dalla per arrivare al Pireo, centro di residenza della
comunit immigrata tracia e sede, non a caso, stando alla testimonianza di Senofonte196, di un
santuario della dea localizzato accanto al tempio di Artemide Munichia; al Pireo si svolgeva un
distribuita e la pelle venduta; la sera, inoltre, si poteva assistere a una fiaccolata a cavallo, seguita
da una 197. Queste due iscrizioni rappresentano le testimonianze pi antiche sul culto
ateniese di Bendis e, quindi, molto probabile che esso sia stato ufficialmente accolto per
volont di Pericle all'inizio del 430, prima cio del mese di Targelione, quando ebbero luogo
presumibilmente per la prima volta le Bendideie (cfr. Nilsson I 1967 p. 833). La motivazione che
196 Xen. Hell. 4.11: .
197 Per un'analisi dettagliata di questa iscrizione si veda Pappadakis 1937 pp. 808-823; Peck 1941 pp. 171-217;
Nilsson 1942 pp. 169-188; Ferguson 1949 pp. 130-163; Sokolowski 1962 pp. 20-23.
Un'ulteriore testimonianza del culto greco di Bendis ad Atene e della festa in suo onore si trova nella parte
iniziale della Repubblica platonica (1.327a:
. ,
; cfr. anche lo scolio al passo: .
, ,
. ). Questo testo letterario degno di nota, perch
Socrate afferma chiaramente che la festa cui sta assistendo (le Bendideie appunto, in base alla spiegazione dello
scoliasta) viene celebrata per la prima volta in citt, ma esso non fornisce alcun aiuto da un punto di vista
cronologico, dal momento che la datazione di tale evento non ricostruibile con certezza, vista anche la tendenza
di Platone agli anacronismi, e pare compresa tra il 429 e il 411 (per la bibliografia relativa alla questione si veda
Delneri 2006 p. 140 n. 9).
In generale, sul culto di Bendis e le sue caratteristiche si vedano RE s.v. Bendis pp. 269-271; LIMC 3.1 s.v.
Bendis pp. 95-97 (con relativa bibliografia); Dbner 1959 pp. 219-220; Nilsson I 1967 pp. 833-834; e, da ultimo,
con la bibliografia pi aggiornata, Delneri 2006, in particolare pp. 135-144.
129
spinse lo statista a riconoscere pubblicamente un culto straniero caso del tutto isolato , senza
dubbio, sociologica, per via della consistente comunit di Traci residenti ad Atene, le cui
esigenze andavano tenute in considerazione (cfr. Peek 1941 p. 215; Delneri 2006 p. 143), ma
soprattutto politica, dal momento che, allo scoppio della guerra del Peloponneso, gli Ateniesi
cercarono di ottenere il sostegno del re tracio Sitalce e nell'estate del 431 strinsero con lui
un'alleanza (cfr. Th. 2.29); il riconoscimento del culto di Bendis, finanziato dallo Stato, fu,
dunque, molto probabilmente una sorta di gesto di riconoscenza nei riguardi della Tracia, nuova
alleata (cfr. Nilsson I 1967 p. 834; Delneri 2006 p. 142). Alla luce di ci, se oggetto della
polemica di Cratino era il culto della divinit tracia, evidente che esso era stato gi
ufficializzato in citt e, di conseguenza, non resta che affermare che la commedia fu di fatto
messa in scena proprio nel 430, a un anno dallo scoppio del conflitto bellico, immediatamente
dopo il riconoscimento del nuovo culto e, evidentemente, pochi mesi prima della celebrazione
della prima festa in onore della dea (maggio/giugno 430)198. Se, inoltre, ha una certa attendibilit
l'ipotesi che nel dramma vi fosse in qualche modo una presa in giro del sofista Protagora, oltre
che del suo intimo amico Callia e del suo discepolo Evatlo, al fine di attaccare indirettamente
Pericle, la rappresentazione delle Tracie nel 430 acquista ancora pi rilevanza: proprio in quegli
anni, infatti, nel 432 circa, si svolsero ad Atene, sotto l'influenza della psicosi di guerra e
nell'ambito di quella che Dodds 1951 p. 189 chiama the reaction against the Enlightenment,
una serie di processi che portarono alla condanna di numerose persone molto vicine allo statista,
Fidia, Aspasia e, soprattutto Anassagora (cfr. Prandi 1977 pp. 10-26). Ne deriva che non doveva
198 La datazione del 430 per le Tracie accolta anche da Kassel-Austin ed , poi condivisa da Mattingly 1977 pp
66-69, sulla base del fr. 79 per la ricorrenza di (fr. 79: , avendo presieduto il
consiglio dello scorso anno); l'avverbio, infatti, ricorre, oltre che qui, soltanto in Aristofane (Ach. 378; V. 1038;
1044; Th. 627; 808; 1060; fr. 132.1 K.-A.) e in Platone comico (fr. 102.3 K.-A.), per cui questa di Cratino
sarebbe la prima attestazione. Lo studioso, dunque, rifiuta la datazione tradizionale (443/442), dal momento che
l'uso di in una data cos alta rappresenterebbe un caso stranamente isolato. Per un'analisi accurata del
frammento si rimanda a Delneri 2006 pp. 176-177).
130
passare assolutamente inosservato n avere poca presa sul pubblico un eventuale attacco al
momento a dir poco critico, ossia nel pieno delle difficolt e delle tempeste emotive, causate alla
popolazione dal clima bellico, e nel vivo di un conflitto, le cui responsabilit erano all'unanimit
additate a Pericle.
Resta da fare un'ultima osservazione: nel capitolo dedicato al Dionisalessandro, si stabilito per
l'anno di rappresentazione del dramma proprio il 430 in occasione dell'agone lenaico. Non si
pu, di conseguenza, che scegliere per le Tracie lo scenario dionisiaco dello stesso anno, in gara
con le Moire di Ermippo, in cui Pericle agiva nella parte del re dei satiri (fr. 47 K.-A.), un falso
eroe capace di grandi discorsi in tempo di pace, ma pronto a liberarsi della lancia in battaglia.
perch, come si gi ripetuto pi volte, la strategia bellica di Pericle prevedeva che gli abitanti
dei demi periferici si trasferissero in citt e lasciassero le loro terre agli invasori spartani. Questo
piano difensivo divenne ben presto impopolare, sia per i disagi psicologici, provocati
dall'abbandono delle proprie case, sia per i disagi materiali, dal momento che i profughi inurbati,
portarono ben presto allo scoppio della peste (vd. Introduzione). Ora, delle potenzialit
eversive della commedia e della sua influenza sull'opinione pubblica erano perfettamente
consapevoli i commediografi. E, allora, non fu di certo un caso che Cratino proprio nel 430, nel
bel mezzo di questa difficile situazione e nella fase indubbiamente pi critica del governo
pericleo, present, a distanza di soli due mesi, due commedie che condannavano in toto la
politica dello statista: una, il Dionisalessandro, dinanzi ad un pubblico ristretto di soli ateniesi, in
cui era presentato in scena un Dioniso-Pericle bellicista e guerrafondaio, ma anche vile e codardo
131
e assolutamente incapace nella conduzione bellica; e l'altra, le Tracie appunto, al cospetto di un
pubblico panellenico, in cui personaggio rilevante era ancora il politico ateniese, ma questa volta
nei panni di Zeus, o a lui equiparato, per via del suo strapotere e di un tipo di politica volto solo
in teoria all'accrescimento socio-economico e culturale della potenza ateniese, nei fatti destinato
132
QUARTO CAPITOLO
133
IL CONCETTO DI 'NEMESI' E LA NEMESI DI CRATINO
abbraccia tutta lantichit greca e nel corso del tempo assume una molteplicit di forme, dal
concetto psicologico ben attestato in Omero fino alla dea popolare della gelosia di epoca
venerate a Ramnunte e a Smirne. Ciascuno di questi aspetti stato oggetto di una lunga vexata
quaestio199 e di notevole importanza risulta, tra gli altri, uno studio condotto da Laroche sulla
storia della radice NEM- nel greco antico, in particolare il capitolo dedicato ad unanalisi
sottolinea che il sostantivo appartiene alla vasta famiglia dei termini astratti greci in
-(-); esso deriva da un antico * divenuto (s) sulla linea di totyos >
alla collera (cfr. Hom. Il. 6.335; 8.407-421; 2.222-223). Se, per, questultima rimanda ai segni
rappresenta, dunque, la passione interiore, lo sdegno che produce lira all'esterno: tale lo stato
199 Sul termine si vedano, tra gli altri, Tournier 1863; Drachmann 1911; Coman 1931; Chantraine 1933
p. 278; RE s.v. Nemesis XVI, 2, 1933 pp. 2338-2380 (H. Herter); Holt 1940 p. 54; Beaujon 1965; Turpin 1980
pp. 352-367.
134
danimo di Telemaco al cospetto di Atena, nelle vesti di Mente, ed esso non viene esteriorizzato
individuale, un puro riflesso della coscienza, la prima esprime, invece, una manifestazione
sociale, una sorta di riprovazione pubblica200: i Troiani, infatti, si sdegnano per la vigliaccheria di
Paride (Hom. Il. 6.350-351); motivo di biasimo collettivo trattenere e ospitare i pretendenti nel
palazzo (Hom. Od. 20.330; 21.147) e, per timore dellindignazione della sua gente, Nausica
rifiuta la compagnia di Odisseo (Hom. Od. 6.285-288)201. Laroche 1949 p. 91, per, fa notare che
nei poemi omerici non sempre attestato per un senso sociale, perch molto spesso il
altro uomo202, di un dio verso un mortale203 o di un dio verso un altro dio 204. Il rapporto tra
sentimento dellonore, mentre il secondo si configura come la collera, lo sdegno che subentra
quando l non viene rispettata e contiene in s anche il sentimento della colpa, che nella
societ omerica si confonde con lonta e assume i tratti di una vera e propria vergogna
135
caratteristiche di una civilt di vergogna e il bene supremo delluomo omerico sta nel possesso
della pubblica stima e nel rispetto dellopinione pubblica. Dodds 1951 p. 18 scrive che tutta la
societ omerica si fonda su una continua tensione fra impulso individuale e pressione del
conformismo sociale, per cui tutto quel che espone luomo al disprezzo o al ridicolo dei suoi
simili, tutto quel che gli fa perdere la faccia, sentito come insopportabile.
In Esiodo, invece, viene presentata come una divinit: ne Le Opere e i Giorni, nel corso
della descrizione della quinta et, quella del ferro, durante la quale mai cesseranno dolori e
affanni per gli uomini, il poeta dice che proprio allora , accompagnata da e
coperta da candidi veli, abbandoner i mortali per raggiungere gli di sullOlimpo (vv. 197-200);
nella Teogonia, la dea compare come figlia della Notte e sorella delle Moire, delle
Chere, delle Parche, di Inganno, di Amore, di Vecchiaia e di Discordia (vv. 217-225) ed vista
come (v. 223). Laroche 1949 p. 95, per, fa notare che laccostamento
di e non altro che una reminiscenza omerica e che la stretta parentela con
principi che, gi a partire da Omero, regolano i rapporti tra gli di e gli uomini e di cui anche il
termine fa parte. Nulla autorizza a credere che ai tempi di Esiodo esistesse gi un culto
nemesiaco ben organizzato; molto pi probabile, invece, che Nemesi sia entrata pi tardi nel
sistema teologico, anche perch Teognide non fa mai riferimento a una dea Nemesi, ma usa il
136
Quando da Omero si volge lo sguardo alla frammentaria letteratura dellet arcaica e a quegli
scrittori dellet classica che ancora conservano una visione generale arcaica, come Pindaro,
Eschilo, Sofocle ed Erodoto, si nota subito lemergere di una coscienza dellincertezza umana e
del senso dellostilit divina. Come fa notare Dodds 1951 p. 29, luomo non riesce ad elevarsi al
di sopra del suo stato, vive in balia di una Potenza arbitraria e dominatrice e gli di non tollerano
nessun successo che possa elevare lessere umano al di sopra della sua mortalit, usurpando le
prerogative degli immortali; per questa ragione, le divinit distribuiscono tra gli uomini
parimenti gioie e disgrazie e colui che tenta di sovvertire le leggi immutabili dellordine
universale e, dunque, di andare oltre misura, non pu che suscitare linvidia degli di, gelosi dei
loro privilegi, ed essere giustamente punito. Da qui nasce il concetto dello divino. In
questa fase, ossia a partire dalla fine del sesto e fino al quarto secolo, il sostantivo viene
accostato al termine e ne diventa quasi sinonimo, o meglio, assegna ad esso una veste
morale, per cui la gelosia divina diviene una giusta indignazione: chi ottiene un eccessivo
successo portato per natura a compiacersene oltre misura, questo genera , unarroganza
che si manifesta a parole, con i fatti, o anche solo col pensiero e che non pu non provocare la
gelosia, invidia e questo provato dalla sua rigorosa corrispondenza con 207. Il passo
successivo rappresentato dal collegamento di col destino, che nel mondo greco si
configura come una parte assegnata e accordata dagli di: Pindaro presenta Zeus come il
distributore del bene e del male (P. P. 5.55; I. 5-22) e tale processo si palesa bene in Eschilo che,
per designare una simile funzione per il re degli di, usa lattributo (A. Th. 485).
diviene allora la grande distributrice, colei che punisce la e controlla che ogni
207 Cfr. : S. Ph. 518; 601-602; E. Or. 1361-1362; Hdt. 134; : A. Pers. 362; E. IA 1097;
Hdt. 4.205: ; P. O. 13.25: , ; Hdt. 1.32; 3.40; 7.46:
; P. P. 10.31: ; unito a : A. Th. 235-236; S. El. 1466-1467.
137
uomo riceva ci che gli dovuto. Essa, inoltre, entra anche in rapporto con il mondo dei morti,
in quanto si preoccupa che la morte violenta di un uomo sia ripagata con altra morte (cfr. A. fr.
266 R.), e si pone in stretto legame con le Erinni: Elettra invoca lErinni di Oreste, che crede
Verso la fine del settimo secolo, per, si diffonde un mito che fa di Nemesi una divinit, madre di
Elena: nei Canti Ciprii, attribuiti a un tale Stasino di Cipro, infatti, si legge che la dea, amata da
Zeus, cerca di evitare labbraccio del dio e, per questo, fugge per terra e per mare assumendo
mille forme diverse; ma Zeus la insegue, riesce ad averla e da questa unione nasce Elena,
definita (Ath. 7.334b-d). Non da escludere, come scrive anche Laroche 1949
p. 103, che lautore dei Canti Ciprii abbia di sua iniziativa introdotto una parentela tra Nemesi e
la nota eroina spartana, al fine di dare alla guerra di Troia una spiegazione eziologica: se si
considera che nellIliade Priamo dice espressamente ad Elena di non trovare in lei alcuna colpa,
ma di considerare responsabili solo gli di (Hom. Il. 3.164-165), con lindicazione delleroina
quale figlia di Nemesi il poeta riesce a dare una soluzione mitologica al ruolo della donna,
presentandola come diretto strumento del destino. Tale versione del mito successivamente
subisce un ampliamento, che porta allintroduzione del noto uovo di Nemesi e ad una
contaminazione tra la saga mitica di questa dea e quella di Leda. Gi un frammento di Saffo
allude a un uovo per caso trovato da Leda (fr. 166 V.: pota
del re degli di, si trasforma in oca, mentre Zeus assume le sembianze di un cigno e si unisce a
lei; la dea d allora alla luce un uovo e lo abbandona; esso viene trovato da un pastore, che lo
esce fuori Elena, la fa passare per sua figlia, colpita dalla sua straordinaria bellezza (Apollod.
138
3.10.7). Ne risulta, dunque, che Elena figlia naturale di Zeus e Nemesi, ma cresciuta ed allevata
da Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta. Sulla stessa linea, ma con qualche piccola variazione, si
pone Igino, il quale racconta che Giove, innamorato di Nemesi e desideroso di unirsi a lei, si
degli di, fuggendo luccello rapace, trova rifugio presso Nemesi e si unisce a lei mentre dorme;
da questo amplesso, la dea partorisce un uovo che Mercurio porta a Sparta e consegna a Leda;
dalluovo nasce Elena e la moglie del re Tindaro decide di tenerla con s come sua figlia 208.
Nell'Atene del quinto secolo, Cratino mostra di conoscere molto bene il mito che riguarda
Nemesi, se ne fa l'oggetto principale di una sua commedia, la Nemesi appunto, sempre nell'ottica
di un'attualizzazione del materiale mitico, funzionale alla satira politica, come nel caso del
Dionisalessandro. La scarsit del materiale conservato, purtroppo, non permette di indicare con
certezza la versione mitica seguita dal commediografo forse, come si vedr a breve, la variante
di Igino , ma una testimonianza di Eratostene informa che Cratino nel suo dramma narrava di
come Zeus, assunte le sembianze di un cigno, vol sul demo attico di Ramnunte e violent
Nemesi; e da questa unione venne fuori un uovo da cui nacque Elena 209.
208 Hyg. Astr. 2.8 p. 44 B.: Iuppiter, cum amore inductus Nemesin dirigere coepisset neque ab ea ut secum
concumberet impetrare potuisset, hac cogitatione amore est liberatus. Iubet enim Venerem aquilae simulatam se
sequi, ipse in olorem conversus ut aquilam fugiens ad Nemesin confugit et in eius gremio se collocavit. Quem
Nemesis non aspernata, amplexum tenens, somno est consopita; quam dormientem Iuppiter compressit, ipse
autem avolavit et, quod ab hominibus alte volans caelo videbatur, inter sidera dictus est esse constitutus. Quod
ne falsum diceretur, Iuppiter e facto eum volantem et aquilam sequentem collocavit in mundo. Nemesis autem, ut
quae avium generi esset iuncta, mensibus actis, ovum procreavit, quod Mercurius auferens detulit Spartam et
Ledae sedenti in gremium proiecit; ex quo nascitur Helena ceteras specie corporis praestans, quam Leda suam
filiam nominavit. Tale versione nota anche ad Isocrate: (cio )
(Hel. 59).
139
Se si assegna attendibilit a questa fonte, ne deriva che il commediografo ateniese ha di sicuro
Ramnunte, una cittadina dell'Attica non lontano da Maratona, sulla costa dello stretto che separa
l'Attica dall'Eubea, dove a met del quinto secolo furono eretti un tempio e una statua per
Nemesi210.
La Nemesi di Cratino, quindi, tutta costruita su una storia di seduzione, rapimento e pulsioni
erotiche, background tipico di molte tragedie (cfr. Bakola 2009 pp. 171-172). E, inoltre, per
quanto del dramma si conservino solo quattordici frammenti di tradizione indiretta (frr. 114-127
K.-A.) e non sia possibile ricostruire con precisione l'intreccio comico, la vicenda, che fa di
Nemesi e Zeus i genitori di Elena, doveva certamente ricoprire un ruolo rilevante, dal momento
che una buona parte dei frammenti in nostro possesso (frr. 114-117; 119-121 K.-A.) sembrano
alludere ad essa.
140
Secondo Kock 1880 p. 48, si tratta delle parole di Afrodite o di Hermes rivolte a Zeus per indurlo
unoca. Non da escludere, per, come fa notare Marx 1959 p. 157 sulla base del v. 770 della
Rudens plautina, in cui ricorre magnis avibus certamente riferito alle aquile, che il
sia unimponente aquila e che, di conseguenza, il fr. 114 K.A sia la prova di uno stretto legame
tra Cratino e la versione fornita da Igino per il mito di Nemesi: Giove, intenzionato a
possa, nella fuga, trovare rifugio presso Nemesi e unirsi a lei 212. In tal caso, in questo frammento
Il fr. 116 K.A., invece, allude probabilmente al momento dell'amplesso tra le due divinit e
contiene, forse, le parole di Zeus che con tono esclamativo mostra compiacimento dei cibi a lui
posti davanti:
<>
uccello dalle ali purpuree). L'aggettivo attestato in et classica, oltre che in questo frammento,
soltanto al v. 273 degli Uccelli di Aristofane, dove si riferisce probabilmente al Phoenicopterus ruber, un uccello
palustre con piume rosse sulle ali ( ; in generale sull'aggettivo
si vedano Thompson 1936 pp. 181-182; Dunbar 1995 p. 231). Risulta alquanto difficile, per, pensare che nel fr.
121 K.-A. si alluda al fenicottero, dal momento che tale uccello non ha alcun legame con il mito di Nemesi. Per
questa ragione, Thompson 1936 p. 181 pensa che nel passo di Cratino si faccia riferimento al gallo e sulla stessa
linea si pone Edmonds 1957 p. 57, il quale traduce con a red-wing'd cock-bird. Marzullo
1962 p. 551, invece, pensando alla trasformazione di Zeus in un cigno completamente bianco, esclude
giustamente un qualsiasi riferimento preciso al colore delle ali ed assegna all'aggettivo un valore puramente
esornativo, sulla base di un verso di Orazio in cui si parla proprio di cigni purpurei (Carm. 4.1.10: purpureis
oloribus).
212 Cfr. Hyg. Astr. 2.8 pp. 44.24 B.: iubet (sc. Iuppiter) enim Venerem aquilae simulatam se sequi, ipse in olorem
conversus ut aquilam fugiens ad Nemesin confugit et in eius gremio se collocavit.
141
Come provo piacere dei cibi:
tutto mi sembra giardini di rose
e mele e sedani e menta
giambico non torna. Per questa ragione, Bothe 1855 p. 24, nel tentativo di salvaguardare la
, ma ipotizza una lacuna. Dbner (apud Kock 1880 p. 48) risolve la questione,
stravolgendo completamente il primo verso del frammento cratineo. Lo studioso, infatti, elimina
piacere a nutrirsi di passeri. Sulla stessa linea si pone Kock 1880 p. 48, il quale in apparato
assunte le sembianze di un cigno o di unoca, si meraviglia del fatto che gode nel mangiare
fringuelli213. Marzullo 1962 p. 551, invece, rifiuta giustamente qualunque introduzione di passeri
213 Kock 1880 p. 48: Qui fit igitur ut fringillarum cibis delecter? Videtur enim Iuppiter mirari, cur quamquam in
cycnum vel anserem se convertit tamen minimarum avicularum victu gaudeat. Edmonds 1957 p. 58, invece,
ponendosi sulla via di Kock, scrive , assolutamente incomprensibile.
142
e fringuelli, considera il trdito del tutto mendoso e ritiene un involontario
Lespressione con valore esclamativo ricorre anche in Aristofane (cfr. Ar. Nu. 773;
1171; Pax 291; Pl. 288) e proprio un passo della Lisistrata fornisce unulteriore conferma:
Cinesia, sofferente per lo sciopero sessuale in atto, dopo aver sollecitato Lisistrata a consegnargli
la moglie, dice che tutto intorno sembra a lui vuoto e non prova pi piacere a mangiare, a causa
oggettivamente difficile negare un rapporto tra il frammento di Cratino e questo passo, dal
da D. Heinsius. Lindicazione della posizione eretta del membro virile fornita dall e[stuka del v.
869 della commedia aristofanea, poi, non lascia dubbi sulla valenza oscena che assumono nel
la polivalenza semantica (cfr. Henderson 1975 pp. 135-136; 149). Lo scoliasta di Teocrito spiega
ossia lorgano genitale femminile, ed Esichio informa che il luogo in cui nascono le
214.
Il termine , cio mela, poi, legato alla sfera erotica, dal momento che utilizzato in
214 Hsch. 404 S.: . , ,
. ; 384 S.: ; cfr. anche Phot. p. 506.4 Th.:
. La connotazione oscena di attestata, inoltre, come fa notare Henderson 1975 p.
136, in un frammento di Ferecrate (fr. 138.4 K.-A.) in cui l'espressione spiegata da
Meineke 1839 p. 319, in apparato, come equivalente a .
143
Aristofane al plurale con valore metaforico, per indicare i seni della donna (cfr. Ar. Lys. 155, in
si rivolge a quella anziana e le dice che il piacere fiorisce sui seni: ...
comico attestato come nome di unetera (Theophil. fr. 11.2 K.A.) e Polluce lo pone in una lista
di sostantivi che rimandano ai cosmetici femminili e sono usati anche dai commediografi per
giochi di parole (5.101; cfr. Henderson 1975 p. 136). Negli Uccelli di Aristofane, inoltre, la
fondamentale del regime alimentare degli uccelli (vv. 159-160), ma rimanda anche a simbologie
vegetali attinenti ad Afrodite, alle cerimonie nuziali e, dunque, allidea di fecondit, dal
momento che lo scolio al verso spiega che con la menta si intrecciavano corone nuziali 215.
In definitiva, il fr. 116 K.A. senza dubbio da ricondurre alla sfera erotica ed molto probabile
che a parlare sia Zeus, il quale, assunte le sembianze di un cigno, ha trovato rifugio presso
Nemesi, dalla quale riceve del cibo, e, desideroso di ununione sessuale con lei, si diverte a
giocare sulla polivalenza semantica e sulla connotazione oscena dei termini sopra analizzati.
La contaminazione del mito di Nemesi con la saga di Leda provata per la commedia di Cratino
innanzitutto dal fr. 115 K.A., che rimanda al momento preciso della consegna dell'uovo di
215 Cfr. schol. Ar. Av. 160 Holwerda: . In occasione della cerimonia
nuziale, le corone erano di rose (cfr. Bacch. 17.116 Snell-Maehler; Stesich. 187.3 Page), o di mirto (cfr. Stesich.
187.2 Page; Pi. fr. 52n (a). 16-17 Maehler; Ar. Av. 160; Eub. fr. 104), oppure di viole (cfr. Stesich. 187.3 Page;
Men. Rh. 409.8-14, p. 152 Russell), oppure di menta acquatica (cfr. Ar. Av. 160; Ov. Fast. 4.868), tutte piante
sacre ad Afrodite. Le corone, appese sulle porte delle case dei genitori degli sposi, venivano indossate dagli
sposi, costituivano un regalo di nozze, erano anche usate, insieme alle torce, durante la cerimonia della
lutrophoria, il bagno della sposa, preparatorio alle nozze, e, infine, venivano indossate da tutti i partecipanti
durante la processione, con cui gli sposi, dopo il pranzo nuziale, raggiungevano la nuova dimora, cio la casa
paterna di lui. Nello specifico, sull'uso si torce e corone in occasione delle nozze e per una descrizione dettagliata
dei cortei nuziali si veda Belardinelli 1994 pp. 227-230 (con relativa bibliografia).
144
Nemesi alla regina di Sparta:
, 216
,
,
216 Lo Stefano ( TLG 1572 s.v. ) sostituisce il trdito del primo verso con la forma aggettivale
, accordata al termine successivo , una gallina dall'aspetto elegante. Tale espressione,
per, non ha molto senso e, inoltre, Marzullo 1959 p. 142 fa notare che la forma avverbiale ricorre
nella medesima posizione, cio in clausola, sia al v. 1210 delle Vespe di Aristofane, sia nel fr. 857.1 K.-A. di
Menandro. Nella commedia, soprattutto nuova, poi, tale avverbio deve essere stato molto frequente, se esso
ripreso e utilizzato caratteristicamente da Plauto (cfr. Mil. v. 213: euscheme; Trin. v. 625: haud ineuscheme).
Il passo delle Vespe appena citato, infine, molto significativo, perch ad ricorre Bdelicleone, per
prendere in giro Filocleone: il personaggio, infatti, con un tono chiaramente scherzoso, insegna all'interlocutore
il modo di partecipare ad un banchetto in societ e lo invita a sdraiarsi con eleganza, appunto, stendendo le
ginocchia e adagiandosi mollemente, come un atleta, sui tappeti (vv. 1208-1213). Parallelamente, allora, si pu
suggerire che la persona loquens del fr. 115 K.-A. di Cratino faccia la stessa cosa con Leda: prende, cio, in giro
la moglie di Tindaro e, scherzosamente, le ordina di covare l'uovo, che ha dinanzi, allo stesso modo di una
gallina, ma con la precisazione di farlo, a differenza del volatile, con una certa eleganza, come si conf ad una
regina. Se l'ipotesi giusta, non si vede, dunque, la ragione di rigettare e correggere il trdito .
217 Ateneo cita il frammento come prova dell'uso del termine al femminile. Lo stesso concetto
espresso anche da Esichio, il quale informa che gli antichi chiamavano le femmine degli uccelli
( 101 Latte: ). Aristofane, inoltre, gioca
proprio su questo particolare uso ai vv. 660-666 delle Nuvole, in cui Socrate accusa Strepsiade di non saper
distinguere il genere dei sostantivi e lo prende in giro per il fatto che chiama la femmina del pollo allo stesso
modo del maschio, e cio , invece di , un neologismo aristofaneo. Eppure questo uso
doveva essere abbastanza comune, se lo stesso commediografo se ne serve nel fr. 193 K.-A., appartenente al
Dedalo, in cui si parla di una persona che ha deposto un uovo enorme, come una gallina ( ,
). Bergk 1838 p. 398 mette in relazione questo frammento aristofaneo con il fr. 115 K.-A. di
Cratino in analisi e pensa si tratti di Leda.
145
essa attestata una volta in Eschilo218 e in Sofocle219 e di frequente in Euripide220. In ambito
comico, invece, lespressione usata spesso da Aristofane per elevare il tono221 e ricorre solo una
volta in Menandro222. Sulla base di tali testimonianze, Sandbach 1973 p. 232 considera
un'espressione solenne e poetica tipicamente tragica, usata in commedia con finalit paratragica.
Stevens 1976 pp. 39-40, invece, riscontrando pi volte luso di tale costrutto in Platone
(cfr. Pl. Smp. 188e; Men.75d; Grg. 459e; Prt. 335b) lo considera un semplice colloquialismo
attico. La sua presenza nel frammento cratineo, per, ha certamente valore paratragico, dal
momento che, come si vedr a breve, la persona loquens si esprime in maniera tragica. Per
questa ragione, se anche era una forma colloquiale, non da escludere che il
commediografo ateniese, cos come Aristofane, associandola alla tragedia, la utilizzasse per
) propria esclusivamente della tragedia; essa si compone di due diversi costrutti, con
due volte in Sofocle (S. Aj. 556-557: ... ; Ph. 54-55: ... ...
). Non affatto strano che una simile costruzione sia propriamente tragica, poich,
come sottolinea Moorhouse 1982 p. 308, lesortazione di unita al senso di obbligo espresso
146
chiaramente grottesco, che spicca in posizione prominente all'inizio del secondo verso. Il gioco
metrum, perch presenta due sillabe in eccesso. Per questo motivo, Runkel 1827 p. 33 ipotizza
accolto con favore l'intervento di Valckenaer 1755 pp. 165-166, il quale predilige la forma
Bothe 1855 p. 24; Kock 1880 p. 48; Edmonds 1957 p. 56). Kassel-Austin, invece, accettano
gemere, sulla base dellomologo verbo (cfr. A. Eu. 124; Ar. V. 1526-27 e, in generale,
Totaro 2006 p. 141-142 n. 52), ma, in tal caso, risulta difficile comprendere la ragione per cui la
Esichio, inoltre, spiega che, invece, significa propriamente sedere sulle uova, dunque
covare, e che tale verbo usato metaforicamente nella Niobe di Eschilo223. La grafia corretta ,
dunque, a mio avviso, e unulteriore prova fornita dal verbo retto da wJV, cio
, far uscire (v. 3: ). Esso ricorre anche al v. 1108 degli Uccelli di Aristofane,
quando il coro cerca di convincere i giudici a votare per la stirpe alata dal momento che le
civette del Laurio non li abbandoneranno mai, ma abiteranno nelle loro case, faranno il nido
nelle loro borse e deporranno uova da cui usciranno le monetine (vv. 1106-1108: /
223 Hsch. 5579 Latte: . ; A. fr. 154.6-7 R. Lo
stesso verbo, poi, attestato in un frammento dello pseudo-Epicarmo in cui si dice che le galline non
partoriscono i loro figli direttamente vivi, ma prima li covano e dopo danno loro la vita (fr. 278.3-5 K.-A.:
, / , / ,
).
147
, / );
chiaro che si tratta di un gioco di parole, con il paradossale meccanismo di scambio fra il
livello verbale e quello reale, perch le civette del Laurio non sono altro che le monete coniate
con largento estratto dal Laurio, il monte dellAttica meridionale, e contraddistinte sul verso
dallimmagine della civetta, luccello sacro ad Atena. Van Leeuwen 1902 p. 172, nel commento a
tale passo, sottolinea che il verbo proprio degli uccelli, dalle cui uova, giunte a
maturit, una volta rotto il guscio, escono i piccoli. Lo studioso cita, come prova, proprio il
Nel frammento in analisi, quindi, viene ordinato a Leda di covare, cio di custodire luovo di
Nemesi, da cui verr fuori un uccello bello e straordinario, che, fuor di metafora e nel rispetto
della tradizione mitica, non pu che essere Elena. molto probabile che questi pochi versi
facciano riferimento proprio al momento della consegna delluovo, come lasciano pensare i
dimostrativi (v. 3) e (v. 4). La persona che pronuncia tali parole si esprime
con tono solenne e in maniera tragica e pu trattarsi, come giustamente scrive Luppe 1974 p. 51,
solo di Zeus in persona o di un suo delegato, perch soltanto chi sa cosa verr fuori dalluovo
da Apollodoro, come si gi visto, un pastore si reca a Sparta per consegnare a Leda luovo
partorito da Nemesi (Apollod. 3.10.7). da escludere, per, che nel frammento di Cratino sia un
pastore a parlare, perch risulta difficile pensare che egli possa permettersi di impartire un ordine
alla moglie di Tindaro, re di Sparta. , a sua volta, improbabile identificare, come indicato da
van Leeuwen, la persona loquens con Tindaro in persona, poich egli non pu essere al corrente
del contenuto delluovo. Si pu, allora, affermare che in questa commedia Cratino si discosta sia
dalla versione fornita da Apollodoro sulle vicende mitiche di Nemesi, sia da quella contenuta nei
148
Canti Ciprii, che il mitografo prende a modello. Il commediografo ateniese, come gi detto a
proposito del fr. 114, si rif probabilmente al mito narrato da Igino, secondo il quale Mercurio si
reca a Sparta e consegna luovo a Leda (Hyg. Astr. 2.8 p. 44 B). E se questa ipotesi giusta,
sembra lecito suggerire che nel fr. 115 K.A. sia Hermes a parlare e ad ordinare, per volere di
sulla base del fr. 117, che restituisce con sicurezza il nome della citt:
Il testo del frammento ha posto numerosi problemi, perch nella forma trdita non d molto
senso, il termine non altrove attestato e, inoltre, come fa notare Luppe 1963 p. 83,
qualora si trattasse di un hapax, esso potrebbe andar bene in un trimetro giambico solo se posto
in apertura o in chiusura. Per questa ragione, Palmer 1883 p. 334 ha proposto di integrare
fatto che e si trovano spesso insieme, per esempio negli Acarnesi di Aristofane
(vv. 453-454: . / . , ,
149
arbitrario che, per di pi, non tiene conto del fatto che in questo verso possibile individuare
facilmente un gioco di parole sul nome di Sparta, la citt nemica di Atene. Il medesimo gioco di
parole si trova, infatti, negli Uccelli di Aristofane: nel momento della scelta del nome da dare
alla nuova citt degli uccelli, Evelpide propone il grande nome lacedemone di Sparta (),
ma Pisetero lo rigetta, dicendo di non voler usare dello sparto () nella sua citt,
nemmeno come materiale da costruzione per un letto224. evidente il gioco verbale fondato sulla
somiglianza tra il nome della nota citt greca e lo sparto, una graminacea molto diffusa in Africa
e in Spagna, le cui fibre, assai resistenti, cominciarono ad essere utilizzate in Grecia a partire dal
quinto secolo per fabbricare reti, vasi, cesti, abiti, calzature ed anche le corde dei letti (cfr.
studioso, quindi, immagina, come nel caso di Aristofane, un gioco di parole sul nome della citt
di Sparta e ipotizza che prima di questo verso Nemesi o un altro personaggio ordinavano di
portare luovo a Sparta probabilmente ad Hermes, il quale, per, confondeva il nome della citt
con il termine usato per indicare la cordicella di sparto. La congettura di Meineke, per quanto
interessante e arguta, non affatto sicura, anche perch la forma come variante di
, per indicare la citt dei Lacedemoni, non altrove attestata. Kaibel (apud Kassel-Austin
<> . Anche in questo caso, per, non si ha alcuna prova certa per
150
accettare un simile intervento e, per questa ragione, Kassel-Austin, pur accogliendo in apparato
tutti i tentativi di ricostruzione del testo sopra analizzati, conservano la tradizione e pongono il
Stefano di Bisanzio spiega che Psira una piccola isola vicino Chio, chiamata da Omero
(Od. 3.169) e da Strabone (14.1.35), in genere citata per indicare qualcosa di poco conto,
dal momento che lisoletta non ha alcun valore. Cratino la nomina due volte, in questo
). Fozio commenta il fr. 347 e spiega che si tratta di un proverbio: lisola di Psira
che ha scarsa importanza225. La Suda aggiunge che lisoletta di Psira non produce vino e, quindi,
il proverbio riferito a quelli che, pur prendendo parte ai simposi, si astengono dal bere226. Lo
scarso valore e la sterilit di Psira dovevano essere abbastanza note nellantichit, se anche
151
(Hsch. y 280 S.). Ne deriva che nel fr. 119 K.A. si pone Sparta sullo stesso piano dellisola di
Psira, cio non la si tiene in alcun conto; si tratta con molta probabilit di un rimprovero rivolto a
Alla luce della presenza, fin qui evidenziata, del mito di Nemesi nell'intreccio di questa
commedia, resta ora da chiarire l'eventuale finalit parodica di tale materiale e lo scopo che essa
si propone. A tal proposito, un elemento significativo sembra essere fornito dal fr. 118 K.-A.,
tramandato da Plutarco tra le fonti relative alla derisione, da parte dei commediografi, della
Plut. vit. Per. 3.5 (post fr. 258, vid. ad fr. 73) -
227 Il tono elevato dell'invocazione provato dalla presenza dell'aoristo , senza dubbio una forma poetica
ben attestata in Omero (cfr. Il. 11.604; 24.781; Od. 3.44), nella lirica (cfr. Mimn. 12.10; Pi. O. 14.18; P. 3.47; B.
16.101; 122) e assente nella prosa, ad eccezione di un passo di Senofonte (An. 7.1.33) e di testimonianze di
epoca pi tarda (Plb. 30.9; Plu. Cleom. 38.3). Questa forma verbale, inoltre, usata in abbondanza dai tragici, sia
nelle parti dialogiche che in quelle liriche (cfr. A. Ch. 935; 937; 946; S. Aj. 509; El. 506; E. Hipp. 661; Med. 681;
Andr. 119; Ph. 296), ed Aristofane vi ricorre pi volte, quasi sempre in passi corali: nei Cavalieri il coro gioca
sulla forma verbale per deridere il linguaggio euripideo (vv. 21-23:
/ . / / ; v. 73:
, ); negli Uccelli il corifeo si avvicina a Pisetero ed Evelpide per sapere da dove vengono e quali
sono le loro intenzioni (vv. 404-405: / ); in
particolare, in due passi della Lisistrata ricorre, come nel frammento di Cratino in questione, la forma imperativa
nell'ambito di un'invocazione alla divinit e all'interno di un inno cletico recitato dall'ambasciatore spartano
(vv. 1263; 1298); in due versi delle Tesmoforiazuse sono utilizzati (v. 1146) e (v. 1155)
nell'ambito di una preghiera, nel primo caso rivolta a Pallade Atena, nel secondo alle Tesmofore. Soltanto in tre
passi aristofanei l'aoristo compare in parti dialogiche, ma il contesto sempre elevato e solenne: nella
Lisistrata una donna prega la signora Ilizia, affinch trattenga il suo parto fino all'arrivo in luogo lecito (vv. 742-
743: , / ); nello stesso dramma, l'araldo
spartano usa proprio per dire di essere giunto da Sparta per la tregua (v. 984:
); nelle Rane, infine, Euripide cita l'incipit dell'Ifigenia in Tauride in cui ricorre la forma
152
personaggio a cui ci si rivolge uno Zeus insolito e ridicolo, caratterizzato non dal fulmine,
simbolo del suo potere olimpico, ma da una testa enorme (), forse visibile anche agli
spettatori. L'aggettivo 228 permette l'identificazione del dio con Pericle, famoso ad Atene
per la sua deformit cefalica 229. Sulla stessa linea delle Tracie, quindi, ecco di nuovo in scena uno
e in un contesto politico, non pu che avere una connotazione politica. Zndel (apud Meineke V
1 pp. 36-38) ipotizza che esso si riferisca alla concessione della cittadinanza a Pericle il giovane,
figlio illegittimo dello statista, nato dalla milesia Aspasia, ed al suo ingresso nella fratria paterna
in via del tutto eccezionale, vista la legge discriminante sulla cittadinanza emanata proprio da
Pericle nel 451/450230. Tale tesi sostenuta anche da Thieme 1908 pp. 24-25, il quale si spinge
153
oltre, dal momento che vede nel mito di Zeus e Nemesi unallusione alle modalit ateniesi di
attribuzione dei diritti civili e analizza i vari personaggi in chiave allegorica, Elena come Pericle
il giovane, Nemesi come sua madre Aspasia e Leda come lassemblea che nomina cittadino il
figlio illegittimo. Tali interpretazioni, per, per quanto affascinanti, non risultano pienamente
convincenti poich, innanzitutto, Pericle il giovane va classificato, nellambito del diritto attico,
come e non come e, poi, tutto il mito di Zeus e Nemesi si fonda su un inganno e un
abuso di cui vittima la dea; allora, se Nemesi non altro che lallegoria di Aspasia, non si
comprende quale mai possa essere linganno che la milesia avrebbe subto da Pericle. molto
pi probabile, invece, come nota Schwarze 1971 p. 35, seguito anche da Luppe 1974 p. 56, che
quindi, alle note amicizie dello statista con famosi intellettuali residenti ad Atene in qualit di
Il fr. 118, quindi, con il suo riferimento velato a Pericle, permette ancora una volta di individuare
nello statista l'oggetto dell'invettiva politica di Cratino, ma, per comprendere in pieno la ragione
Lo scolio ad un verso degli Uccelli dice che nellanno di rappresentazione di questa commedia
Lampone231 non era morto e che Cratino molto tempo dopo lo considerava ancora vivo nella sua
pace di Nicia del 421, abbia potuto portare sulla scena un dramma molto tempo dopo il 414,
231 Lampone messo alla berlina da Cratino anche nelle Fuggitive (frr. 62; 66 K.-A.) e si rimanda al capitolo
dedicato all'analisi di questa commedia per un'indagine specifica sul personaggio.
232 Cfr. fr. 125 K.-A. = schol. Ar. Av. 521c Holwerda: . ()
, , , .
, .
154
anno di rappresentazione della commedia aristofanea. Una soluzione del tutto riduttiva e poco
condivisibile quella avanzata da Zielinski 1884 pp. 301-307, secondo il quale esistevano due
commedie con lo stesso titolo oppure vi fu una seconda rappresentazione della Nemesi dopo la
morte di Cratino.
Capps 1904 pp. 61-75, invece, attribuisce il dramma a Cratino il giovane e, sulla base del fatto
che questo commediografo fu attivo prima della morte di Teramene e che Lampone visse almeno
fino al 410, fissa la rappresentazione agli anni compresi tra il 410 e il 404. Se, per, la Nemesi va
considerata una commedia politica contro Pericle, linvettiva contro di lui acquista un senso solo
se lo statista ancora in vita; ne deriva che lanno di rappresentazione della Nemesi non pu
andare oltre il 429. Krte (RE XI 2, p. 1655), inoltre, ricorda un passo di Polluce dal quale risulta
che la Nemesi e i Chironi appartengono allo stesso Cratino e non a due autori diversi (Poll.
10.186). In linea con un simile ragionamento, la tesi di Capps appare del tutto inaccettabile e non
pu essere accolta. Come si spiega allora lo scolio al passo di Aristofane? Si tratta evidentemente
di un errore dello scoliasta e di una confusione di arconti omonimi. Oellacher 1916 pp. 85-93
pensa alla confusione tra larconte Callia del 456/55 e il suo omonimo del 412/11 o del 406/5 e
fissa la rappresentazione della commedia al 455. La sua ipotesi, per, non affatto convincente
perch, come fa notare Luppe 1974 p. 55, Cratino riport la sua prima vittoria nel 453 e la
Nemesi sarebbe, cos, il suo primo dramma senza successo. Lampone, poi, si distinse in ambito
politico negli anni quaranta del quinto secolo e, dunque, il dramma cratineo non pu essere stato
Negli Uccelli di Aristofane, il coro, alla fine del suo canto, propone, per burla, che sia Cheride,
musicista verosimilmente di origine tebana (cfr. schol. Ar. Ach. 866a Wilson), come lo erano, del
resto, molti auleti del quinto/quarto secolo (cfr. West 1992 pp. 366-367), a fornire
155
laccompagnamento musicale alla processione sacrificale (vv. 857-858:
pessimo auleta che viene bruscamente interrotto e insultato da Pisetero (Ar. Av. 859-861). Tale
personaggio deriso in qualit di pessimo flautista anche negli Acarnesi (vv. 15-16; 866) e nella
Pace (v. 951). Lo scolio al v. 858 degli Uccelli spiega che esistevano due diversi uomini di nome
citarodo dopo Melete (fr. 6 K.A.), e un , menzionato da Cratino proprio nella Nemesi
(fr. 126 K.A.); lo scolio, per, non del tutto chiaro perch, pur facendo tale distinzione,
aggiunge anche che Cheride era un cattivo citarodo divenuto in un secondo momento un
auleta233. abbastanza strano, come fa notare Dunbar 1995 p. 507, pensare allesistenza di due
distinti musicisti con un nome cos raro ed molto pi probabile che ci si trovi di fronte ad
ununica persona dalla duplice abilit di citarodo e di auleta, attiva almeno a partire dal 425,
anno di rappresentazione degli Acarnesi, e fino al 414, anno della messa in scena degli Uccelli.
Se, dunque, si assegna attendibilit allo scolio al passo degli Uccelli e il musicista Cheride era
effettivamente preso in giro nella Nemesi, assolutamente da escludere per la sua datazione il
455, quando, del resto, non avrebbe nemmeno senso una commedia incentrata sulla figura di
Zeus/Pericle, deriso per la sua posizione di potere. , forse, preferibile collocare il dramma pi
tardi, magari negli anni trenta del quinto secolo, e perci Godolphin 1931 pp. 423-426, nel
tentativo di trovare una spiegazione razionale all'errore dello scoliasta di Aristofane, pensa ad
una confusione tra larconte Pitodoro del 432/31 e il suo omonimo del 404/03 e fissa la
rappresentazione della Nemesi al 431. Se il ragionamento corretto, ne deriva che Cratino nel
431, in prossimit dello scoppio della guerra del Peloponneso, offre al pubblico ateniese una
156
commedia anti-periclea, in cui l'invettiva contro lo statista celata dietro la rivisitazione parodica
del mito di Nemesi. Ma perch proprio questo mito? Qual il suo collegamento con l'attualit
politica?
Schwarze 1971 pp. 36-40 mette in evidenza la stretta corrispondenza tra la Nemesi e il
Dionisalessandro: entrambi i drammi sono scritti contro Pericle, che compare in scena in un
travestimento mitico, e in entrambi i casi il materiale tratto dalla saga di Elena. Lo studioso
tedesco, poi, sostiene che le due commedie non sono incentrate soltanto sulla figura di Pericle in
quanto tale, ma la presenza al suo fianco delleroina spartana, causa scatenante della guerra di
Troia, lascia pensare a una specifica invettiva contro lo statista, in quanto principale responsabile
della guerra del Peloponneso. Elena, infatti, nella Nemesi presentata come figlia della dea e
dallamplesso si genera un uovo che, condotto a Sparta, d alla luce Elena, la causa della guerra.
Schwarze vede addirittura nelluovo di Nemesi unallusione al noto decreto ateniese contro
Megara, in base al quale veniva vietato a questa citt di servirsi dei porti dellimpero ateniese e
del mercato di Atene; tale associazione basata sul fatto che fu proprio la mancata abrogazione
di tale decreto, per volont di Pericle, a determinare l'inizio del conflitto (cfr. Th. 1.139) e lo
studioso tedesco se ne serve anche ai fini della datazione della commedia, che colloca alle Lenee
o alle Dionisie del 429, qualche tempo dopo l'avvio delle ostilit.
Luppe 1974 p. 57, invece, recupera il punto centrale del mito di Zeus e Nemesi, ossia linganno,
e vede nella dea unallegoria della ateniese, ingannata dalla politica bellicista dello statista
e costretta a subire il suo volere, e in Leda lintera comunit spartana spinta al conflitto dallo
stesso Pericle.
157
Queste ipotesi sono certamente degne di interesse e non prive di fascino, ma anche poco
attendibili, visto che di fronte ad una cos rilevante esiguit di materiale conservato davvero
difficile dire con precisione in che modo la satira politica poteva intrecciarsi con il mito e con lo
sviluppo dell'intreccio drammatico. Bisogna, poi, fare molta attenzione a qualsiasi forma di
interpretazione allegorica, not only because the textual evidence is limited, but because even
within themselves such allegories could not uphold the degree of correspondence often argued
for (Bakola 2009 p. 224). Eppure, possibile, a mio avviso, fare un'ultima considerazione e
All'inizio di questo capitolo, nell'ambito della ricostruzione dei significati che il termine
ha assunto nel corso dell'antichit greca, si detto che, a partire dalla fine del sesto e fino al
quarto secolo, tale sostantivo spesso accostato a e ne diventa quasi sinonimo, nel senso
di una giusta indignazione, per il fatto che chi ottiene un grande successo e se ne compiace
oltre misura portato per natura a compiere un atto di , un'arroganza eccessiva che non pu
non provocare la punizione divina. Questa osservazione significativa, dal momento che i trenta
anni di potere politico-militare, quasi ininterrotto, di Pericle ad Atene (462-430) trovano, a mio
avviso, la loro conclusione proprio in un grande atto di : lo statista, infatti, forte del suo
costruire con una sempre maggiore espansione territoriale; e, cos, inseguendo il suo sogno,
L'esito, per, non felice, perch proprio il conflitto, che avrebbe dovuto garantire una volta per
nell'evento pi drammatico e disastroso di tutta la storia greca, e segna anche, beffa del destino,
158
il tracollo definitivo della democratica per antonomasia, nonch la condanna in toto della
politica di Pericle e la fine della sua esistenza, vittima dell'ingranaggio da lui stesso azionato.
Lungi dal voler fornire una nuova interpretazione allegorica, viene, per, da chiedersi se Cratino
abbia forse voluto rappresentare e, nello stesso tempo, condannare proprio questa situazione con
la sua Nemesi: Zeus/Pericle, nel pieno del suo potere, compie un abuso e violenta Nemesi;
dall'unione viene fuori Elena, cio, fuor di metafora, si scatena la guerra. Il personaggio, quindi,
che potrebbe renderlo vulnerabile e soggetto ad una necessaria punizione. La scarsit dei
formulazione di un ipotetico finale, ma sarebbe bello immaginare, come nel caso del
Dionisalessandro, che la conclusione del dramma prevedesse sulla scena uno Zeus/Pericle, non
pi soltanto goffo e ridicolo, ma anche ormai privo di qualunque forma di autorit, con addosso i
segni evidenti del misero declino di una gloria e di un potere che hanno finito per rivoltarglisi
contro.
159
QUINTO CAPITOLO
160
I CHIRONI
Dei Chironi si conservano poco pi di venti frammenti di tradizione indiretta (246-268 K.-A),
ma il materiale trdito non permette una precisa ricostruzione dell'intreccio comico; si cercher,
tuttavia, di evidenziare qui di seguito i nuclei tematici principali e di fornire alcune proposte
tempo.
In primo luogo, necessario determinare la fisionomia del coro, composto dai Chironi appunto,
come si evince dal titolo. Ma chi sono i Chironi? La questione non di semplice soluzione, dal
momento che ben nota la vicenda mitica che coinvolge il centauro Chirone e, invece, nulla
Coppola 1936 p. 30, che riprende Bergk 1838 p. 225, sulla base della presenza in scena di Solone
provata dal fr. 246, di cui si parler nello specifico in seguito, suppone che i coreuti siano
antichi Ateniesi, Solone, Dracone, Clistene, Cimone, Milziade, Temistocle, ecc. travestiti da
centauri appunto perch in vita essi operarono e scrissero per la grandezza della citt e
l'educazione civile dei cittadini. Farioli 2000 pp. 408-409, per, sottolinea giustamente che tale
ipotesi, se pur suggestiva, va contro i canoni dell'archaia, il cui coro non di solito composto
categorie animali, umane o fantastiche, per rispondere alla funzione precisa di esprimere un
commento all'azione tramite una voce collettiva ed impersonale, portavoce del pensiero del
poeta. I Chironi, dunque, secondo la studiosa, potrebbero essere un'invenzione di Cratino, nello
specifico una moltiplicazione fantastica di Chirone, cio personaggi modellati sui tratti
161
caratterizzanti il centauro nell'immaginario mitico, e forse anche suoi accompagnatori234. L'idea
, a mio avviso, molto convincente per il fatto che una simile struttura corale si riscontra anche
altrove in Cratino: nei Pluti, infatti, un dramma per molti aspetti affine ai Chironi, il coro
composto proprio da figure create dal poeta moltiplicando un personaggio mitico, ossia da Titani
La sezione del mito del centauro pi nota e maggiormente ripresa in ambito letterario di certo
quella relativa all'istruzione di Achille, grazie alla quale i precetti di Chirone diventano ben
presto presso i Greci il paradigma dell'educazione ideale235; e allora, se vero che nella
commedia di Cratino il coro di Chironi avr in qualche modo ripreso gli attributi pi significativi
della figura mitica di riferimento, non da escludere che il suo arrivo ad Atene, e quindi in
scena, rispondesse all'esigenza di svolgere una vera e propria missione educativa. In tal senso, un
aiuto pu essere fornito dal fr. 253, in cui i coreuti, con un'autopresentazione, svelano la loro
Il periodo ovviamente mutilo, ma la comprensione del testo non risulta difficile, perch si
234 di questo avviso gi Kock 1880 p. 82, seguito da Norwood 1931 p. 126; Schmid 1946 p. 83; Kassel-Austin
1983 p. 245; e da ultima, riprende questa ipotesi anche Bakola 2009 p. 54.
235 Per la documentazione letteraria sul centauro si rimanda ad Escher in RE III 1899 pp. 2302-2308;
sull'insegnamento di Chirone come modello di educazione ideale si veda Brillante 1991 pp. 7-28.
162
intuisce facilmente che da intendere come accusativo di relazione e che la proposizione
introdotta da una finale: i Chironi nel presentare se stessi al loro ingresso in scena,
annunciano anche la ragione () del loro arrivo ad Atene, che doveva poi essere illustrata
con precisione nei versi seguenti andati perduti, e, non a caso, utilizzano proprio il termine
, che richiama direttamente gli insegnamenti del centauro236. molto probabile che il
passo sia da assegnare alla parte iniziale dell'opera, verosimilmente alla parodo (cfr. Quaglia
I Chironi, dunque, giungevano in citt per diffondere dei precetti e, come ipotizza Farioli 2000
p. 407, vista la caratterizzazione mitica del coro, esso era evidentemente chiamato a svolgere una
missione civilizzatrice, cio giungeva col pretesto di controllare che i precetti di Chirone fossero
osservati dai cittadini, ovvero per riproporre il modello educativo tradizionale a una citt che lo
aveva abbandonato per accogliere nuove modalit di insegnamento, forse quelle dei sofisti.
L'ipotesi, molto interessante, pare suffragata dal confronto con i Pluti237: in questa commedia,
infatti, il coro dei Titani arriva ad Atene per ritrovare un vecchio fratello di dubbia identit e
/ [] . / ] / ] ) e la
sua molto probabilmente la punizione di tutti coloro che si sono arricchiti ingiustamente
affine, i Pluti e i Chironi presentano anche lo stesso meccanismo, in base al quale i coreuti da un
le commedie, poi, assegnano al coro una funzione educativa e civilizzatrice dinanzi alla
236 di Esiodo un'opera sul tema dal titolo ; essa era nota ai comici, come attesta il
fr. 239 K.-A. ( ) di Aristofane in cui, secondo Frinico che ne il testimone, il
commediografo si prendeva gioco delle esiodee (Ecl. 64: , .
, .
).
237 Cfr. Introduzione n. 10.
163
corruzione dilagante nella polis.
L'Atene che si presentava agli occhi dei Chironi era, per, quella degenerata e corrotta del
governo pericleo ed , allora, verosimile che, nella loro azione punitiva e moralizzatrice, essi
prendessero di mira, in particolare, personaggi pubblici corrotti, legati in qualche modo anche
allo statista, sicuramente ancora in vita e a capo della polis nell'anno di rappresentazione del
dramma, come si vedr pi avanti. Un sostegno in tal senso fornito dal fr. 251:
E prima di tutto porto via tre mostri sfacciati dinanzi ai giudici marittimi
Lo scolio al verso 766 degli Uccelli di Aristofane, in cui si nomina un certo Pisia, rimanda a tre
commedie di Cratino, Pylaa (fr. 185), Stagioni (fr. 282) e Chironi (fr. 251); e da quest'ultimo
dramma lo scoliasta cita il frammento in questione, in quanto contiene un violento attacco contro
Pisia, Osfione e Diitrefe. Il passo aristofaneo fa riferimento a una vicenda che coinvolge il figlio
/ , , /
Cinesia, detto ed annoverato quale pessimo citarodo nei Selvaggi di Ferecrate (fr. 6 K.-
164
negli Uccelli, dal momento che lo scoliasta non menziona affatto Melete; gli scolii ai versi
aristofanei238, poi, attribuiscono a Pisia, ovvero a suo figlio, una qualche responsabilit nella
vicenda della mutilazione delle Erme, senza, per, offrire dati circostanziati ed utili
all'identificazione (per un'analisi dettagliata del passo di Aristofane si veda Totaro 2006 pp. 198-
199 n. 166).
Quanto a Osfione, non esiste su di lui alcuna fonte, ma non per questo bisogna concludere, come
fa Bergk 1838 p. 247, che si tratti di un nome inventato; Osfione sar stato sicuramente un
insieme a Pisia e Diitrefe, assolutamente reali. Diitrefe (PA 3755, LGPN II 115 s.v.
[8], PAA 323750), infatti, era un noto parvenu ateniese, figlio di Nicostrato ovvero di Ermolico,
che fece fortuna con la produzione di damigiane e rivest anche importanti incarichi militari: nel
413 gli fu affidato il compito di ricondurre in patria un contingente di mercenari traci, che non
da soma (cfr. Th. 7.29-30; Paus. 1.23.3); nel 411, invece, ricevette un ruolo di comando in Tracia
e rovesci la democrazia a Taso (cfr. Th. 8.64.2). Diitrefe viene dileggiato in commedia da
Platone Comico nelle Feste per la sua presunta origine straniera, definito un matto di Creta, a
. ,
165
); e viene canzonato anche negli Uccelli come un nuovo ricco, un fulvo ippogallo
giunto da essere nessuno a ricoprire incarichi di prestigio nella cavalleria, prima come filarco e
, / ). Non da
escludere che Diitrefe fosse tacciato di non essere ateniese pure da Cratino nei Chironi, e
un'analoga accusa era forse rivolta anche a Pisia e Osfione, non perch necessariamente stranieri,
ma in quanto nuovi ricchi, una tipica strategia comica volta a delegittimare gli avversari, non
solo da un punto di vista politico, ma anche come cittadini (cfr. Farioli 2000 p. 413, con relativa
bibliografia sull'argomento). Nei Pluti, infatti, preso di mira Agnone239, un simpatizzante della
corrente periclea, per la sua ricchezza illecita e, sebbene fosse quasi certamente ateniese,
accusato di essere uno straniero (fr. 171.66-76 K.-A.). Nel fr. 251, inoltre, la persona loquens,
imprecisata, forse il coro, dichiara di condurre i tre mostri dinanzi ai giudici marittimi (
preposta alle questioni di marineria, ad un certo punto, forse dopo la legge periclea sulla
cittadinanza del 451/450, fu assegnato proprio il compito di occuparsi dei problemi relativi agli
dunque, conferisce alla vicenda una dimensione giudiziaria e questo induce a pensare che la reale
motivazione del viaggio dei Chironi fosse quella di perseguire tutti i trasgressori degli
insegnamenti del centauro, cio, fuor di metafora, tutti coloro che con i loro atti illeciti, come
l'educazione, probabilmente personaggi pubblici in vista e, come Agnone nei Pluti, legati alla
corrente periclea ovvero membri della cerchia dello statista inseriti nelle istituzioni.
239 Su questo personaggio e sul suo ruolo nei Pluti di Cratino si veda Bakola 2009 pp. 214-220.
240 Al mutato ruolo dei allude Aristofane nel fr. 237 K.-A. dei Banchettanti:
. In generale, sulla questione si veda Harrison 1971 pp. 23-25; Cohen 1973
pp. 162-163.
166
Un altro passo della commedia di Cratino che potrebbe far riferimento alla corruzione dell'Atene
, 241
Schol. (TW) Plat. apol. p. 22 A (p. 5 Gr.) = Schol. (A) Plat. rep. III p. 399 E (p. 213 Gr.) = Phot. p. 481.1 = Sud.
13 ( add. Schol.) (. . Schol., Phot., Sud.)
( . . Schol.) . (- Phot.).
. Schol. (TW) Plat. Phaedr. p. 228 B (p. 70 Gr.)
, . .
, . eodem tenus Cratini verba affert Apost. XV 17, omisso poetae et
fabulae nomine. Zenob. vulg. V 81 .
, () (461 F 3 Jac.)
. Prov. Bodl. 818 (brevius cod. Par. suppl. gr. 676)
, . cf. Hesych. 14
Europa e proverbiale modello di giustizia, a cui si faceva risalire la norma di giurare in nome
dell'oca, del cane, del montone e simili, e non in nome degli di (vd. supra). Con la formula
() giura pi volte Socrate nei dialoghi platonici (Ap. 22a; Grg. 482B; cfr. Hirzel 1902
pp. 96-97 n. 2; pp. 100-102 n. 3; Dodds 1959 pp. 262-263 n. 482b5) ed una volta il servo Santia
nelle Vespe di Aristofane (v. 83; sul passo si veda Dillon 1995 pp. 146-147). Negli Uccelli,
invece, si accenna al giuramento sull'oca, uno spergiuro funzionale a non incorrere nell'ira divina
ogniqualvolta si dicano falsit, e viene deriso, per farvi ricorso costantemente, l'indovino
Lampone, membro di spicco dell'entourage di Pericle, attaccato anche da Cratino nella Nemesi
241 I due versi del frammento sono tetrametri giambici, ma nella divisione metrica fa soprattutto difficolt
l'anapesto strappato in seconda sede al v. 2 ; per questa ragione, Kassel-Austin conservano lo stato
della tradizione, ma pongono le cruces. Sulla questione si rimanda a Perusino 1968 pp. 106-107.
167
(fr. 125 K.-A.) e nelle Fuggitive (frr. 62; 66 K.-A.)242. Sulla base delle testimonianze qui
riportate, , allora, possibile che anche nel frammento dei Chironi la menzione del
inclini a giurare sugli animali in quanto atei (cfr. Schmid 1946 p. 84), ovvero lo stesso Lampone
ed altri indovini a lui affini e politicamente strumentalizzati, quale attacco indiretto nei riguardi
dello statista, un gioco comico abbastanza frequente nella drammaturgia di Cratino (cfr. Farioli
2000 p. 415).
Se i frr. 249 e 253, sopra analizzati, attestano in qualche modo la critica da parte di Cratino ai
costumi corrotti dell'Atene periclea, il fr. 258 permette di affermare con una certa sicurezza che
anche nei Chironi il principale bersaglio del commediografo ancora una volta Pericle:
242 Ar. Av. v. 521: , . Per un'analisi del passo di Aristofane si veda
Dunbar 1995 pp. 357-358; Totaro 2006 pp. 174-175 n. 114. In generale, su Lampone, sull'attacco di Cratino nei
suoi riguardi e sui legami dell'indovino con Pericle si rimanda in questo studio al capitolo sulle Fuggitive.
168
243 244
169
. ( codd.) , , .
sequitur fr. 118
La persona loquens, forse il coro, vista la natura lirica dei versi (cfr. Quaglia 1998 pp. 56-57),
si tratta certamente di Zeus, dal momento che , non attestato altrove, un'evidente
re degli di245; non risulta difficile, per, l'identificazione di Zeus con Pericle, come chiarisce lo
stesso Plutarco, perch l'aggettivo in questione allude indirettamente alle insolite dimensioni
della testa dello statista, difetto per cui, come si gi visto, egli era spesso deriso in ambito
comico (sull'argomento si rimanda nello specifico al capitolo relativo alle Tracie). Anche i
Chironi, dunque, come la Nemesi e le Tracie, si presentano come una commedia anti-periclea, in
cui il noto politico ateniese viene esplicitamente assimilato a Zeus per la sua politica dai tratti
propriamente tirannici.
Il frammento, per, pone al secondo verso un problema rilevante, per il fatto che la tradizione
245 Cfr. Hom. Il. 1.511; 517; 560; 4.30; 5.631; 736; 764; 888; 7.280; 454; 8.38; 387; 469; 10.552; 11.318; 14.293;
312; 341; 15.154; 220; 16.666; 17.198; 20.10; 19; 215; 22.182; 23.499; 24.64; Od. 1.63; 5.21; 9.67; 12.313; 384;
13.139; 153; 24.477.
Si rende nella traduzione l'aggettivo con adunatore di teste sulla base dell'osservazione di
Tammaro 1984-1985 p. 41, secondo il quale l'epiteto non fa riferimento soltanto alla deformit del capo di
Pericle, ma si fa anche tramite di un'accusa di demagogia: se teniamo presente che pu indicare fin da
Omero sia la 'testa', sia la singola 'persona' , che cosa sar, alla lettera, un se non un espressivo
'adunator di popolo'?.
Non deve, poi, affatto stupire la ripresa da parte di Cratino di un epiteto omerico, perch l'intero frammento
arcaizzante nel lessico e nello stile: epici sono, infatti, anche e la forma al secondo verso,
cos come omerica l'espressione , con il verbo non contratto (cfr. per esempio Hom. Il.
1.403; 20.74; Od. 10.305; in generale, si veda Farioli 2000 p. 417 n. 3).
246 L'emendamento di un correttore anonimo e compare nelle edizioni delle Vite plutarchee stampate a
Francoforte nel 1599 e nel 1620 a cura di A. Wechel.
Quasi tutti gli editori moderni dei frammenti comici accolgono : Meineke 1839 p. 147; Bothe 1855 pp.
46-47; Kock 1880 p. 86; Edmonds 1957 p. 110. Su questa linea si pongono anche Bergk 1838 p. 236; Schwarze
1971 p. 57; Tammaro 1978-1979 pp. 13-14; Bona 1988 pp. 204-205; Luiselli 1990 pp. 85-99; Farioli 2000 p.
418; da ultimo, Di Marco 2005 p. 198.
170
Emperius 1847 p. 218, secondo il quale la personificazione del concetto di tempo
simboleggerebbe il buon tempo antico in opposizione al nuovo corso politico introdotto da Zeus-
Pericle mediante una sedizione; ma Tammaro 1978-79 p. 208 fa notare, giustamente, che all'idea
di un passato felice pu essere associato soltanto , sotto il cui regno Esiodo pone il
dei primi uomini (Op . vv. 109-126), e che Aristofane presenta quale
sulla base di tre argomenti: la presenza di richiede un altro astratto personificato; per
quanto riguarda il senso, si adatta bene ad esprimere la lunga durata delle lotte intestine
che hanno portato Pericle al potere; infine, potrebbe alludere a , cos come
argomentazioni, per, non reggono ad un'analisi attenta. Luiselli 1990 pp. 86-87 sottolinea che la
solo ad una meccanica simmetria, e, poi, il frammento di Cratino chiaramente una parodia
della teogonia olimpica e doveva per forza attingere alla pi pura tradizione teogonica greca,
patrimonio culturale del pubblico ateniese, quale garanzia per la comprensibilit della parodia
nell'ambito della tradizione nota a tutti, modifiche funzionali alla satira che il poeta si prefigge.
Ora, tale meccanismo tipico di Cratino, che pi volte sceglie un mito conosciuto dagli
spettatori per esempio, il mito del giudizio di Paride nel Dionisalessandro o quello della
nascita di Elena nella Nemesi e, pur rispettando in linea di massima il patrimonio tradizionale,
introduce piccole varianti che scardinano il senso del racconto, lo colorano di comicit e di toni
Difendono, invece, la lezione trdita prima Emperius 1847 p. 218 e, in seguito, Luppe 1963 p. 220. Lo
studioso tedesco , poi, immediatamente seguito da Kassel-Austin 1983 p. 253 e, pi di recente, da Noussia 2003
pp. 83; 84; 86. Si predilige qui la correzione dell'anonimo per le varie ragioni sopra discusse e, dunque,
prendendo le distanze da Kassel-Austin, si stampa il fr. 258 con la lezione .
171
satirici e permettono di veicolare il messaggio politico del poeta. molto probabile, allora, che
Cratino abbia agito in questo modo anche nei Chironi, in particolare nel fr. 258: Zeus, figlio di
Crono e Rea nella teogonia tradizionale, diventa qui inaspettatamente frutto dell'unione di Crono
con , Guerra Civile. Ma Zeus non altro che Pericle e, di conseguenza, la variante mitica
permette di sottolineare, da un lato l'origine violenta del potere del dio, dall'altro l'identico
carattere del governo del suo omologo Pericle, il dominio del quale in Atene nasce da una lotta
tra fazioni, si fonda sulla ed causa di un'ininterrotta discordia civile (Farioli 2000
non convincente perch, per prima cosa, il gioco di parole costruito sui due
aggettivi con tutta evidenza finalizzato soltanto a porre in risalto con uno straniamento comico
il difetto fisico dello statista e, in secondo luogo, , diffusosi come concetto cosmogonico
soltanto alla fine del quinto secolo ad Atene, non era un concetto familiare al pubblico ateniese e,
quindi, non poteva caricarsi nel dramma di Cratino di quella valenza politica volta a definire
tirannico il potere di Zeus e, di conseguenza, di Pericle (cfr. Luiselli 1990 pp. 87-93).
Pi di recente, Noussia 2003 pp. 83-84 ha tentato ancora di difendere la lezione , quale
simbolo del lungo tempo di cui ha bisogno un tiranno per portare il suo potere al massimo grado,
un concetto ben noto agli Ateniesi grazie ai carmi di Solone, the first of the Greeks to present a
genuine political interpretation of the genesis of tiranny, e per il fatto che ancora viva nella
memoria del tempo doveva essere l'esperienza di Pisistrato, whose advent to absolute power
was prepared step by step through a long span of time and phases. Ma questo non basta per
172
il nesso genealogico con l'effettivo padre del mito, Crono che doveva facilitare il
riconoscimento della parodia da parte del pubblico e potenziarne al tempo stesso gli effetti
Sulla base delle ragioni fin qui addotte, dunque, giusto, a mio avviso, accogliere la correzione
dell'anonimo, nonostante l'unanimit dei codici sulla lezione ; essa, del resto, potrebbe
essere dovuta ad un errore di trascrizione avvenuto nella fase tardo-antica o medievale della
trasmissione del testo plutarcheo, oppure ad un errore risalente allo stesso Plutarco (cfr. Luiselli
Una volta accolta la lezione , viene a questo punto da chiedersi perch mai Cratino abbia
posto proprio Crono, insieme a , come concausa della genesi della tirannide di Pericle. Dal
momento che gli antichi, come si detto, legavano al nome di Crono l'idea di un passato felice e
dell'anonimo ha attribuito alla sua presenza nel fr. 258 una connotazione del tutto positiva. Cos,
per esempio, Tammaro 1978-1979 p. 209 ritiene che Crono rappresenti il buon tempo antico
finito quando con lui si unita Stasis, 'Sedizione': frutto di tale mostruoso accoppiamento
(in luogo di quello tradizionale con Rea) uno Zeus deforme e tirannico, Pericle appunto.
Luiselli 1990 p. 97, invece, individua nel Titano la critica del commediografo, in primo luogo a
quegli elementi interni al regime ideale (il dell'et di Crono) che hanno permesso
la sua degenerazione fino a dar luogo a un regime opposto (unione con e generazione da
per aver egli combattuto contro i conservatori, dalle cui file egli stesso era uscito, come contro
suo padre.
Farioli 2000 pp. 421-422, infine, seguendo Bona 1988 p. 204, convinta che nei riferimenti alla
173
e, in particolare, alla vi sia un'allusione ad un preciso evento storico alle origini
del governo pericleo, cio all'ostracismo di Cimone del 462/1 a.C., preceduto da un'aspra lotta
politica tra fazioni; secondo la studiosa, dunque, poich Cratino era un estimatore di Cimone,
egli avr inteso dire che l'et dell'oro di Atene era coincisa con il governo cimoniano, e che la
che l'aveva abbattuta corrispondeva all'ascesa di Efialte e Pericle. Una prova, in tal
senso, sarebbe fornita da un passo di Plutarco che d conferma dell'identificazione tra Cimone e
Crono, sulla base del fatto che il ricco aristocratico riport alla vita degli uomini la comunanza di
).
Di Marco 2005 p. 199, per, fa giustamente notare che tutte queste proposte di interpretazione
non chiariscono una contraddizione di fondo: se Cratino vuole evocare, con il riferimento a
Crono, un modello di governo ideale e un passato felice, perch fa unire proprio il Titano con
ipotesi, a mio parere condivisibile, in base alla quale dietro la figura di Crono si cela un'allegoria
sua tirannide come una seconda et dell'oro, pari a quella del tempo di Crono247; Cratino, allora,
nei Chironi, con un'operazione burlesca, riprende tale posizione politica e la riutilizza in termini
di parodia comica: Crono/Pisistrato ha profittato della stasis per ergersi a tiranno, e ora, con
Pericle che ne ricalca le orme, i miseri Ateniesi si trovano a scontare, pur a distanza di tempo, le
conseguenze nefaste della sua rovinosa esperienza (Di Marco 2005 p. 200). Non va, del resto,
dimenticato che l'esistenza di affinit tra Pisistrato e lo statista doveva essere un'opinione
abbastanza diffusa, se Plutarco mette in rilievo che i suoi seguaci erano chiamati novelli
247 Aristotele informa che la liberalit e la generosit di Pisistrato erano state tali che [ ][]
(Ath, 16.7); l'autore dell'Ipparchico pseudoplatonico, poi, spiega
che soltanto con Ippia ci fu una vera tirannide, mentre con Pisistrato gli Ateniesi vissero
(229b).
174
Pisistratidi248 e che sin da giovane Pericle suscitava sospetti circa le sue aspirazioni politiche,
dal momento che gli Ateniesi vedevano in lui una certa somiglianza fisica con il tiranno 249.
Cratino, dunque, sfrutta nella sua commedia il mito tradizionale che vuole Crono padre di Zeus
ma, al tempo stesso, mette insieme due riferimenti simbolici affatto indipendenti, da un lato
l'idealizzazione della tirannide di Pisistrato come nuovo regno di Crono, dall'altro l'appellativo
di Zeus, con cui Pericle era spesso designato in commedia (Di Marco 2005 p. 202). Ponendo,
cos, Zeus-Pericle come figlio diretto di Crono-Pisistrato, il commediografo riesce a far scattare
un procedimento satirico geniale volto a richiamare sulla scena e all'attenzione del pubblico, in
termini assolutamente negativi, l'esperienza storica della tirannide del tutto rovinosa,
ossessivamente presente nei dibattiti politici e nelle dispute filosofiche dell'Atene del quinto
secolo e strettamente legata alla paura della perdita della libert e della catastrofe della polis.
Nel tiranno, infatti, venne a identificarsi ben presto tutto ci che doveva essere respinto e
condannato dalla morale politica della citt e, a poco a poco, questo personaggio arriv a
configurarsi quale il simbolo della schiavit, della dismisura e dell'empiet, una controfigura,
tempo stesso, ne verificava la validit, offrendo alla citt la possibilit di affermare se stessa
(cfr. Lanza 1977 p. 13). L'Atene democratica, erede di Clistene e governata da Pericle, in cui
l'uguaglianza era essenzialmente l'uguaglianza politica, cio uguale potere sulla cosa pubblica e
partecipazione collettiva all'arte politica, sent con maggiore forza nel corso del quinto secolo la
fobia della tirannide, in quanto il tiranno era per antonomasia colui che negava l'ordine su cui si
costituiva la polis e che si identificava nello spazio politico e nel comune possesso della citt.
248 Plu. Per. 16.1: ,
, ,
.
249 Plu. Per. 7.1: .
,
.
175
Non a caso, Erodoto pone alla base della crescita inarrestabile della potenza ateniese dopo le
guerre persiane, oltre alla coraggiosa difesa di fronte al dispotismo barbaro, proprio la fine del
aver definitivamente estirpato la tirannide, con la cacciata dei Pisistratidi, e questo le ha dato
Gli anni della Pentecontaetia diventarono cos anche gli anni, in cui sulla scena del teatro
ateniese si affacci con insistenza il tema della tirannide, e il tiranno, quale manifestazione del
malvagio, divenne un personaggio drammatico, riscoperto nel mito in ambito tragico 250 e
Se, del resto, lo spettro del tiranno era visto come il maggior pericolo per la democrazia ateniese,
non deve stupire che il governo dello statista, percepito sempre pi come il governo di un uomo
solo e dai tratti quasi tirannici, abbia destato non pochi sospetti e non sia restato immune dagli
La polemica anti-tirannica, per, non si esaur con l'et periclea, ma anche durante la guerra del
Peloponneso si accentu a tal punto da sfociare persino in piazza, tanto che, nelle Vespe di
Aristofane, Bdelicleone ironizza sul fatto che per gli Ateniesi tutto tirannide e cospirazione,
grande o piccola che sia l'accusa, e, nonostante da cinquant'anni non se ne senta neppure il nome,
ormai la tirannide a pi buon mercato del pesce in salamoia e la parola circola ovunque per la
piazza; addirittura al mercato, se uno vuole comprare degli scorfani invece che delle sardelle, un
pesce democratico, perch meno costoso e alla portata di tutti i cittadini, viene accusato dal
venditore di sardelle di essere un fautore della tirannide; e se, poi, un cliente chiede gratis al
250 Sulla figura del tiranno sulla scena tragica si rimanda, in questa sede, al paragrafo introduttivo, Il tiranno
tragico.
176
pescivendolo una cipolla per condire le alici, subito l'erbivendola, contrariata, lo guarda di
traverso e gli urla contro di aspirare alla tirannide e di esigere persino un tributo (vv. 489-499).
terrore dilagante in citt, e a tratti ridicolo, per tutto ci che in qualche modo potesse mettere a
rischio l'integrit e la libert della polis ed avesse il sapore di cospirazione. Eppure, nonostante
l'ironia aristofanea, il dominio tirannico, tanto temuto e deprecato, alla fine si abbatt su Atene,
frutto di un duro tentativo di restaurazione aristocratica, e il tiranno non fu uno solo, ma trenta.
Quanto detto sinora trova, a questo punto, conferma proprio nel fr. 258 dei Chironi, in cui Pericle
statista anche presentato come figlio di Crono e e, se dietro la figura del Titano
davvero possibile, come si visto, rintracciare un'allusione a Pisistrato, il gioco fatto: Pericle
progenitore ideale nel tiranno che lo ha preceduto, la cui esperienza profondamente negativa
replica. Su questa linea si pu procedere, a mio avviso, ancora oltre. Nei Chironi, infatti,
personaggio del dramma anche Solone e la prova fornita dal fr. 246:
, ,
177
Diogene Laerzio cita il frammento a conferma di una curiosa notizia su Solone, in base alla quale
ossa a Salamina e, dopo averle incenerite, di disseminarle per tutta l'isola 251.
L'uso della prima persona singolare nel passo di Cratino induce a credere che i due versi siano da
attribuire proprio a Solone il quale, in qualit di personaggio del dramma, presenta se stesso al
pubblico e agli altri personaggi, entrando per la prima volta in scena (cfr. Quaglia 1998 p. 43) . Il
noto , per, parla di s come gi morto, alludendo alla propria sepoltura ed alle proprie
ceneri sparse per l'isola di Salamina252, e questo fa pensare che il personaggio giunga dagli inferi
e faccia la sua comparsa come (cfr. Farioli 2000 pp. 413-414). Una simile scelta
drammaturgica non sarebbe, del resto, cos insolita, se solo si considera che anche nei Demi di
Eupoli proprio Solone, accompagnato da Milziade, Aristide e Pericle, torna in vita ed arriva ad
Atene direttamente dall'oltretomba (cfr. Tel 2007, in particolare pp. 24-33; 67-72; 102-105).
Viene, per, da chiedersi quale sia nei Chironi la funzione specifica del legislatore e la ragione
della sua presenza in citt. Farioli 2000 p. 422 ipotizza che Cratino nel dramma auspichi un
ritorno del regno di Crono, cio un ritorno all'et aurea di Atene che di fatto coincide con il
dominio pericleo, quale simbolo del buon governo, sul cui esempio modellata anche la politica
251 La tradizione conservata da Diogene Laerzio, e documentata anche da Elio Aristide ( Or. 46.172, II p. 230 Dind),
attesta un costume inusitato. Alla base del culto eroico, infatti, c'era la tomba dell'eroe, innalzata in luoghi
importanti della citt, e, se le citt volevano ricevere la potenza protettrice dell'eroe, mandavano a prendere le
sue ossa o quelle ritenute tali e le seppellivano in patria. Solo di rado, quindi, si ricorreva alla combustione e allo
spargimento delle ceneri, come nel caso di Solone (cfr. sul tema Piccirilli 1977 pp. 283-284 con relativa
bibliografia). Questa tradizione, del resto, respinta da Plutarco come favolosa e assurda (Sol. 32.4) e anche
Eliano afferma di conoscere una variante secondo la quale Solone avrebbe avuto una tomba ad Atene (VH 8.16;
cfr. anche Jacoby 1956 pp. 285-286 n. 64). Si tratta evidentemente di una leggenda che deve essersi formata e
diffusa molto presto, se gi nel quinto secolo Cratino vi fa riferimento in maniera esplicita nel frammento in
questione.
252 Nel fr. 246, in realt, si nomina la citt di Aiace (v. 2: ), ma essa non pu che essere Salamina,
come attestano un passo di Simonide (epigr. 11.2: ) ed uno di Pindaro (I.
5.48: ). L'isola di Salamina definita secondo un uso omerico (cfr. Il. 2.677;
14.230; schol. Ar. Pax 251a Holwerda: .
).
178
cimoniana, stricto sensu un tipo di governo ideale di stampo aristocratico e un modello statale
caratterizzato da un comune benessere dovuto non a una reale uguaglianza fra i cittadini, ma alla
condiscendenza della classe dirigente. Una simile interpretazione, a mio avviso, non regge gi
solo per il fatto che di Cimone non vi traccia nel materiale conservato. Ora, per, in una
commedia come i Chironi, anti-periclea e in cui l'accusa principale rivolta allo statista quella di
aver dato vita a una tirannide, la figura di Solone pu effettivamente essere stata introdotta in
supposta dalla studiosa. Solone, infatti, doveva essere presente nella memoria storica dell'Atene
del quinto secolo, ossessionata dalla fobia della tirannide, non tanto per la sua riforma sociale e
per la sua attivit di nomoteta, quanto per la netta posizione anti-tirannica. Solone colui che ha
rifiutato di farsi tiranno, nonostante ne avesse le possibilit (cfr. Plu. Sol. 14.6-9), in nome di un
agire politico basato sulla mediazione e su una composizione politica dei conflitti, in nome di
una soluzione ricercata nella legge e nel consenso, e non nell'aperta violenza253. Il legislatore,
Cratino egli rappresenti l'anti-tiranno proprio come Pericle il nuovo Pisistrato, richiamato in
vita, non quale modello di governo ideale, ma quale simbolo del buon comportamento politico e
Un ulteriore attacco a Pericle nei Chironi , forse, rintracciabile nel fr. 250:
253 In generale, sulla figura del legislatore si rimanda allo studio di Masaracchia 1958, parte I pp. 1-78; parte II pp.
79-200. Su Solone come anti-tiranno, invece, si veda Lanza 1977 pp. 184-185; Musti 1998 pp. 223-231; Parker
1998 pp. 155-157; e da ultima, Noussia 2003 pp. 80-86, con la bibliografia di riferimento.
179
I due versi sono citati a dimostrazione del fatto che in occasione di un l'esecutore deve
prova fornita anche dal secondo verso in cui l'ignoto personaggio invita l'altrettanto
infatti, utilizzata, per esempio ad Atene nel corso delle Targelie, nei riti di espulsione del
da Cratino a Pericle nelle Tracie (fr. 73), ed , allora, molto probabile che la sua menzione in una
commedia come i Chironi, dai toni fortemente satirici nei riguardi dello statista, alluda ancora
una volta alla deformit della testa, cui si accenna, come si visto, anche nel fr. 258 con l'epiteto
purificazione qui evocato acquista un altro significato: necessario liberare Atene dal
254 Sull'uso di rivolgere la testa ad oriente durante le cerimonie di purificazione si veda il commento al passo di
Sofocle in Jebb 1889 2 p. 83.
255 Le prove sono fornite da Hippon. fr. 6 West: /
; Diph. fr. 125.3 K.-A.: / ,
, / , /
/ . /
/ , ; Thphr. Char. 16.14:
< > ,
. ;
Thphr. HP 7.12.1: ,
, ,
. Sulle qualit purificatrici della 'scilla' si veda anche
Gow 1950 pp. 114; 158; Rohde 1952 pp. 605-607; Burkert I 1984 p. 113. In generale, sui riti di espulsione del
capro espiatorio si rimanda a Gebhard in RE 19, 2 1938 pp. 1841-1842; Rotolo 1980 pp. 1947- 1961; Bremmer
1983 pp. 299- 320; Burkert 1996 pp. 95-123. Sul frammento di Cratino in questione cfr. anche Farioli 2000 pp.
427-431.
180
che la corrode, estirpandolo alla radice, ed il solo modo per farlo ricorrere al rito di espulsione
del e scacciare il suo male pi grande, cio Pericle, come atto di purificazione dello
spazio cittadino.
con grande abilit a dar vita ad una situazione comica affatto ambivalente. Il sostantivo, infatti, si
trova a svolgere una duplice funzione, perch da un lato richiama riti di purificazione
pubblico l'esatta valenza della cerimonia catartica; dall'altro rivela, attraverso l'allusione alla
'testa di cipolla', quale sia la fonte dei mali da cui la citt deve essere liberata (Farioli 2000 p.
428). Pericle, quindi, responsabile della corruzione ateniese e accusato di aver assunto un potere
tirannico, discendente diretto sul piano ideale di Pisistrato, deve sacrificarsi per il bene dei suoi
cittadini. Non da escludere, di conseguenza, che, da un punto di vista scenico, nel corso della
sottoposto al rituale (cfr. Farioli 2000 p. 427); e forse, ma solo un'ipotesi, a presiedere il rito era
lo stesso Solone, l'anti-tiranno per eccellenza, in posizione antitetica a Pericle, richiamato dagli
inferi per verificare le sventure di Atene e ripristinare la giustizia 256. Farioli 2000 p. 429, del
resto, spiega bene che esiste un legame molto stretto tra i e i capi della citt, dal
momento che il sovrano, responsabile del bene della comunit, in caso di disgrazia costretto
talvolta a sacrificarsi e il capro espiatorio spesso finisce per essere un sostituto simbolico del
re; persino l'ostracismo pu, in un certo senso, essere interpretato come una razionalizzazione
256 Di diversa opinione Hanow 1830 p. 64, il quale pensa che la cerimonia fosse fatta per purificare Pericle ut
post, abiectis moribus pristinis, civitati bene consuleret. Bergk 1838 p. 239, invece, convinto che i due versi
fossero pronunciati per richiamare in vita Solone; ma, se cos fosse, la menzione di non troverebbe
un'adeguata spiegazione, dal momento che non attestato il suo utilizzo in riti psicagogici, e, inoltre, essa
perderebbe tutta la sua ambiguit, privando il passo dell'ambivalenza comica che, a mio avviso, lo
contraddistingue (cfr. anche Farioli 2000 pp. 427-428).
181
dei riti di espulsione, perch con esso l'elemento perturbatore viene scacciato tramite i cocci,
comica dell'espulsione rituale dei Chironi potrebbe in qualche modo celarsi un invito indiretto da
parte di Cratino al suo pubblico a ostracizzare Pericle e porre fine al suo dominio per molti
aspetti autocratico.
Plutarco riporta questo frammento in un capitolo interamente dedicato ad Aspasia, in cui informa
che spesso in ambito comico la compagna di Pericle definita nuova Onfale o Deianira oppure,
come in questo caso, Era. Il motivo di una simile identificazione nei Chironi non risulta difficile:
dal momento che Pericle Zeus, Cratino ricostituisce comicamente la coppia divina tradizionale,
ponendo al suo fianco Aspasia, ma nelle vesti di Era (cfr. Farioli 2000 p. 419). Inoltre, anche
questo frammento accenna ad una vicenda teogonica; la Milesia, infatti, detta figlia di
182
spudoratezza femminile257 ed evidentemente epico, perch ricorre pi volte in Omero (cfr. Il.
3.180; 18.396; Od. 4.145; 8.319; 11.424), di cui per due volte riferito ad Elena (Il. 3.180; Od.
senza vergogna in ambito sessuale (Henry 1995 p. 21, Shameless Lust; Quaglia 1998 p. 57,
Svergognatezza; Farioli 2000 p. 419, Impudicizia); ma una simile traduzione non riesce a
rendere il violento attacco di Cratino alla donna, dal momento che il termine fortemente
abusivo e rimanda, nello specifico, alla condizione di passivit di chi, per cos dire, subisce un
quasi sempre nella forma del participio , propriamente l'invertito passivo258. Per
questa ragione, Podlecki 1998 p. 115 rende il sostantivo con Buggery, ma la scelta non , a
mio avviso, adeguata al contesto del fr. 259, in cui riferito ad una donna. Di
conseguenza, anche se forse non esiste nella nostra lingua un termine in grado di esprimere la
per restituire quanto meno il significato originario e la valenza oscena, che dovevano essere
Ma perch Aspasia rappresentata dal commediografo come una donna svergognata e senza
257 Cfr. Hsch. s.v. Latte che glossa . In generale, sull'immagine della donna-cagna, simbolo di
impudenza, si veda Lilja 1976 p. 81; Mainoldi 1984 p. 163.
258 Cfr. Ar. Ach. 79; Eq. 639; Nu. 1023; V. 84; 687; Th. 200. e sono, poi, i due protagonisti,
rispettivamente il personaggio positivo e quello negativo, dei Banchettanti, la commedia con cui Aristofane
esord agli agoni drammatici del 427 e a cui proprio il commediografo fa riferimento, per bocca del corifeo, nella
parabasi delle Nuvole (vv. 528-529: , , /
). In relazione a questo passo, Cassio 1977 p. 27 e Segoloni 1994 p. 112 spiegano
bene che il participio , ossia l'invertito passivo, riferito al figlio cattivo, frequentatore di Alcibiade e
dei retori, spesso caratterizzati proprio come invertiti, recupera in pieno il significato originario. A maggior
ragione, allora, anche in Cratino il termine , in relazione ad Aspasia, esprime, a mio avviso, un
attacco fortemente abusivo nei riguardi della donna e mette in atto un violento gioco derisorio che doveva essere
ben comprensibile agli spettatori dell'epoca. In generale, sul sostantivo si veda Henderson 1975 p. 210.
183
freni? Per rispondere alla domanda, bene tentare, sulla base delle testimonianze conservate, una
ricostruzione storica della sua vita, a partire proprio dalla definizione di che ne offre
Cratino.
Pericle, l'uomo pi potente nell'Atene, che va dalla riforma di Efialte fino allo scoppio della
guerra del Peloponneso (460-430 circa), e Plutarco le dedica un intero capitolo nella Vita di
Pericle (cap. 24). Di lei dice che era originaria di Mileto, in Asia Minore, figlia di un tale
Assioco, e che si leg ad uomini potenti in rivalit con Targelia, una cortigiana della Ionia molto
), amante di molti Greci, che fece diventare tutti filopersiani e partigiani del gran
Re; Pericle si innamor della Milesia per la sua elevata intelligenza politica (
), da lei ebbe un
che lo statista lasci per lei la moglie, si prese Aspasia e non passava giorno che non
); persino Socrate la
); dopo la morte di Pericle, Aspasia inizi una relazione con Lisicle (PA
9417; APF 9417; LGPN II 4), un commerciante di pecore che, grazie a lei, divenne il primo tra
gli Ateniesi, prima di Cleone (cfr. Ar. Eq. 128-143; 763-766), e che, dunque, inaugur ad Atene
259 In generale, su Aspasia si veda Judeich in RE II (1896) pp. 1716-1721; Delcourt 1939, in particolare pp. 76-77;
196-197; Davies 1971 pp. 458-459; Montuori 1977-1978 pp. 63-85; Laurenti 1988 pp. 41-61; Henry 1995, in
particolare pp. 9-56; Loraux 1993 trad. it. pp. 125-154; Imperio 1998 pp. 237-240; Podlecki 1998 pp. 109-117.
184
Il passo di Plutarco una testimonianza preziosa per far luce sulla vita di questa donna; eppure,
molti punti restano oscuri. Innanzitutto, non si conosce la ragione del suo arrivo ad Atene da
Mileto, che va probabilmente collocato intorno al 450, sulla base del fatto che la relazione con
Pericle deve aver avuto inizio intorno al 445, se dalla loro unione nacque, di sicuro prima del
440, Pericle il giovane, stratega nel 406 e condannato a morte al processo delle Arginuse (cfr. X.
HG 1.6-7; Plu. Per. 37.7; si veda anche Montuori 1977-1978 pp. 68-69). Una cosa, per, certa:
Aspasia giunse ad Atene come straniera, in qualit di meteca, e, in quanto tale, dovette cercare
un patrono che, forse, trov nel suo uomo, Pericle: lo statista se ne innamor, la prese sotto la
sua protezione, ma, dopo aver lasciato la moglie, non pot unirsi a lei in un matrimonio vero e
proprio, perch Atene e Mileto non erano legate dall'epigama e la legge non lo consentiva (cfr.
Loraux 1993 trad. it. pp. 141-142); Aspasia, dunque, ne divenne la concubina (),
, attribuita alla Milesia da Cratino nel fr. 259 dei Chironi, proprio quella che rispecchia
Resta, invece, da chiedersi se Aspasia, al suo arrivo ad Atene, fosse effettivamente una
cortigiana, come lascia intravedere Plutarco e come specificano gli attacchi dei comici.
Aristofane, infatti, negli Acarnesi, tramite Diceopoli, le attribuisce la responsabilit della guerra
del Peloponneso, a causa del rapimento di due sue prostitute da parte dei Megaresi, parodiando,
cos, il topos, di ascendenza erodotea, della guerra per colpa di una donna (vv. 517-531). Su
questa linea, Eupoli, nei Prospaltii, la identifica con Elena, la causa della guerra di Troia (fr. 267
K.-A.); nei Demi, invece, la attacca in quanto madre del avuto dalla relazione con Pericle
- ragione per cui anche presa di mira nel Maricante (fr. 192.166-169 K.-A.: ]
[ / ] [ / ] [ / ]
185
[) - e la apostrofa come (fr. 110 K.-A.: (.) ; (.)
Atene per esercitarvi il mestiere di etera, perch non affatto pensabile che un uomo nella
condizione di Pericle accogliesse in casa sua una prostituta straniera facendosi moralmente e
giuridicamente responsabile della condotta di lei, e che una tale donna preferisse poi alla moglie
cittadina ripudiata per lei. Ora, l'osservazione dello studioso certamente priva di valore
scientifico e frutto di una semplice considerazione, non scevra da pregiudizi morali, ma non
bisogna dimenticare che assegnare sempre alle testimonianze comiche validit storica un
procedimento affatto arbitrario, dal momento che in commedia spesso l'invettiva contro i costumi
sessuali nasconde l'invettiva politica: dietro Aspasia c' Pericle e se lo statista presentato sulla
scena comica quale uomo dissoluto e dedito ai piaceri sessuali molto facile che la sua
compagna diventi una prostituta, quale attacco indiretto nei suoi riguardi. Loraux 1993 p. 140,
poi, in un capitolo dedicato alla Milesia, sottolinea l'importanza di operare una netta distinzione,
per il mondo greco, tra la prostituta che d piacere per denaro () e l'etera, raffinata ed
elegante, e di ricordare che ad Atene forse anche pi che nelle altre citt greche l'immagine
della donna scomposta tra la figura della moglie, madre di figli legittimi, priva di qualsiasi
vogliono ignorante al massimo, e quella della cortigiana, sempre disponibile, esperta nei piaceri
dell'amore, intelligente e buona consigliera. E allora, se anche si vuole assegnare alla Milesia la
260 A queste testimonianze comiche va aggiunta anche la notizia fornita da Plutarco, in base alla quale in non
meglio specificate commedie Aspasia veniva presentata come una novella Onfale e Deianira (Per. 24.9-10),
identificata senza dubbio con la prima per aver soggiogato Pericle, proprio come la mitica regina della Lidia fece
con Eracle, con la seconda per aver rovinato lo statista, nuovo Eracle, con il suo amore ossessivo. Sulla figura di
Aspasia nella commedia si veda anche Henry 1995 pp. 19-28.
186
condizione di cortigiana, certamente nella categoria delle etere che va posta, quale intellettuale
libera e liberata. Che Aspasia fosse un'intellettuale degna di questo nome, del resto, confermato
dalle numerose fonti della tradizione socratica che la presentano quale maestra di eloquenza, al
punto che lo stesso Plutarco, dopo aver ricordato il suo rapporto con Socrate, si chiede quale arte
avesse mai questa donna e quale potenza da riuscire a dominare prestigiosi uomini politici e
Il Menesseno di Platone quasi interamente incentrato sulla figura di Aspasia come maestra di
retorica; nel prologo, infatti, recitato da Socrate al giovane Menesseno, il filosofo sottolinea che
l'epitafio, che sta per pronunciare per commemorare i caduti della guerra di Corinto nel 387,
stato, in realt, approntato da Aspasia, una donna tutt'altro che di poco conto nell'arte retorica
Pericle (236c-349c; cfr. Loraux 1993 pp. 128-130; Henry 1995 pp. 32-40).
Eschine socratico, inoltre, scrisse un dialogo intitolato Aspasia (VI A 66 p. 614 Giannantoni; cfr.
anche Loraux 1993 pp. 133-134; Henry 1995 pp. 40-45) e lo scolio a un passo del Menesseno
(235e Greene) informa che in quest'opera e negli Incatenati di Callia (fr. 21 K.-A.; cfr. Imperio
1998 pp. 237-240) si faceva riferimento alla straordinaria eloquenza della Milesia, che aveva
insegnato a Pericle a parlare in pubblico e aveva fatto diventare un importante uomo politico
Lisicle, un mercante di pecore da lei sposato dopo la morte dello statista e a cui diede un figlio di
nome Poriste (APF 11811 IV; LGPN II 1). Anche Antistene dedic un intero scritto alla sua
che leg Pericle ad Aspasia e sulla figura di quest'ultima, in termini del tutto negativi, quale
incarnazione del piacere (cfr. Ehlers 1966, in particolare pp. 30-33; Henry 1995 pp. 30-32).
Senofonte, invece, ricorda Aspasia due volte, nell'Economico (3.14) e nei Memorabili (2.6.36).
187
Nel primo passo si parla dei rapporti marito-moglie e dei relativi problemi e a Critobulo, che
chiede se gli uomini che hanno buone mogli hanno saputo educarle, Socrate risponde che lo
sottolinea la necessit di essere sinceri con chi si vuole come amico e rafforza tale affermazione
con un suggerimento di Aspasia, in base al quale le brave mezzane riescono a unire gli uomini in
matrimonio solo quando il bene che prospettano corrisponde a verit; in caso contrario, gli sposi,
ingannati, cominciano a odiarsi tra di loro e finiscono per odiare pure la mezzana (su i due passi
di Senofonte si veda anche Laurenti 1988 pp. 50-52; Henry 1995 pp. 45-52). Aspasia, dunque,
era una donna esperta di saperi maschili e fu di Socrate, che da lei impar l'arte
In definitiva, dalle testimonianze finora riportate emerge che tutta la tradizione sulla donna di
Mileto spaccata tra la riprovazione dei commediografi, che la presentano quale concubina e
prostituta, nuova Elena e responsabile della guerra del Peloponneso, e l'esaltazione dei socratici,
che la ricordano come la maestra di retorica, esperta nell'eloquenza, consigliera di Pericle, che
l'am intensamente, e legata a Socrate da un'amicizia basata sulla stima e sul rispetto
intellettuale. Plutarco, per, fornisce un'ulteriore notizia: il comico Ermippo accus Aspasia di
empiet () e di lenocinio, per aver accolto donne libere per incontri con Pericle, e
261 Lo stretto legame tra Aspasia e il filosofo, del resto, confermato anche dall'etera Taide che, nella Lettera di
Taide ad Eutidemo, istituisce un singolare confronto tra l'educazione impartita da sofisti e cortigiane e pone
come esempi per le due categorie rispettivamente Aspasia, di cui stato allievo Pericle, e Socrate, che ha
formato Crizia (Alciphr. 4.7.7 = I A 15 Giannantoni). L'abilit retorica della Milesia , inoltre, ricordata in tutta
l'antichit: Ateneo la descrive come (5.219b); Flavio
Filostrato informa che la donna affin la lingua di Pericle alla maniera di Gorgia (Ep . 73.23); Clemente
Alessandrino riporta la notizia che da Aspasia Socrate ottenne utili consigli per la filosofia, Pericle per la retorica
(Strom. 4.19.122.3). Cfr. anche Aristid. Or. 46 p. 131.1 Dindorf; Harp. s.v. p. 62.3 Dindorf; Hieronym.
Comm. in Sophon. prophet. 1.671; Them. Or. 26.22 (329c); Synes. Dion. 1.37c; 15.59 Aa; Olympiod. In Plat.
Alc. Comm. 136.11; Suid. 4202 Adler; schol. Ar. Ach. 527 Wilson.
188
quest'ultimo la difese durante il processo, supplicando i giudici e versando pi lacrime di quanto
non avesse mai fatto in altre circostanze dolorose della sua vita (Per. 32.1; 5). Ma Plutarco non
spiega in che cosa consistesse il reato di . Montuori 1977-1978 pp. 75-79 convinto che
l'accusa 'reale', taciuta dalle fonti, fosse ben pi grave, quella, cio, di medismo, sulla base del
fatto che la compagna di Pericle era pienamente inserita nella cerchia intellettuale, vicina allo
statista, di meteci-filosofi, quali Protagora, Damone, Anassagora, Ippodamo, che avevano tutti
stretti legami con la Persia; Plutarco, poi, insiste sull'imitazione, da parte di Aspasia, di Targelia
(Per. 24.3-4) e lo studioso conclude che la competizione si giocava proprio sul terreno del
reazione della democrazia ateniese alla pericolosa tendenza eversiva di ispirazione monarchico-
tirannica, suggerita al governo di Pericle dagli amici e consiglieri di lui, tra i quali appunto
Aspasia (p. 84), inviata ad Atene dagli ambienti medizzanti della Ionia con una missione ben
difficile da sostenere, in assenza di riscontri oggettivi. Nulla, infatti, permette di affermare con
sicurezza che l'imitazione di Targelia consistesse nel suo medismo; anzi, leggendo il passo
plutarcheo, sembra piuttosto che la competizione si basasse unicamente sul fatto che Targelia
rappresentava un esempio concreto di ci che in una donna pu la deintes, l'abilit (qualit del
retore o del sofista) coniugata alla bellezza, per cui Aspasia finiva per trattare come scopo
quello che la bella Ionica usava come mezzo, il 'sedurre' sistematicamente gli uomini pi
potenti (Loraux 1993 p. 136). E allora perch la Milesia fu accusata di empiet? La risposta ,
forse, possibile trovarla nell'influenza che dovette esercitare su Pericle e sulla sua politica. Gran
parte delle fonti prese in analisi, infatti, sottolineano che tra i due vi era un rapporto d'amore
189
probabilmente, fu proprio questa la colpa che i cittadini non perdonarono mai al loro statista. Se
Pericle, infatti, avesse continuato a vivere con la moglie, pur avendo accanto Aspasia come
, non avrebbe affatto suscitato scandalo in una societ, come quella ateniese, in cui il
matrimonio aveva un valore puramente economico e la donna non era riconosciuta nella sua
indispensabile alla continuazione della famiglia262. Non bisogna, del resto, dimenticare che
proprio Pericle, nel famoso epitafio tucidideo, d un'idea di quale fosse la considerazione della
donna ad Atene: rivolgendosi alle mogli dei soldati morti per la patria, lo statista riserva loro un
invito all'anonimato, sottolineando che la gloria pi grande per una donna che di lei si parli il
meno possibile263. Coerenza politica e ragione privata, dunque: Pericle, in qualit di stratega e di
oratore ufficiale della citt, non esita a riproporre la validit della morale collettiva, mettendo da
parte proprio quello che egli apprezzava in una donna, l'intelligenza ed il prestigio, e per cui si
innamor di Aspasia, in aperta contraddizione con il suo comportamento privato. Egli, infatti,
abbandon la moglie legittima, un'aristocratica ateniese e una parente del suo stesso strato
sociale, per andare a vivere con la straniera dell'Asia Minore, troppo colta, troppo libera e troppo
spregiudicata per poter esser accolta favorevolmente dalla morale cittadina (cfr. Loraux 1993 pp.
150-151). E cos Aspasia dovette attirare ben presto su di s molte dicerie popolari e da l
divenne un target privilegiato della commedia, quale novella Onfale, Deianira, Elena e, ancora,
Era. E gli Ateniesi, memori di simili rappresentazioni comiche, finirono anche per trovare un
accusatore, Ermippo o chi per lui, e trascinare la bella milesia in giudizio con un pretesto
qualsiasi, per esempio l'accusa di empiet, al fine di liberarsi della 'svergognata', ma, soprattutto
262 Sulla condizione della donna e lo statuto del matrimonio si veda Paoli 1953; Harrison 1968 pp. 3-9; MacDowell
1978 pp. 86-90; Flacelire 1983 trad. it. pp. 80-112.
263 Th. 2.45.2: , , ,
.
. Cfr. anche X. Oec. 2.13; 7.5.
190
per colpire indirettamente il loro primo cittadino, sulla scia dei processi contro altri membri del
Quanto detto sinora, quindi, permette anche di fornire una spiegazione alla rappresentazione di
Aspasia nel fr. 259 dei Chironi, quale riflesso delle opinioni che su di lei circolavano in citt:
l'etera di Mileto, nelle vesti di Era, concubina dallo sguardo di cagna e figlia di , a
sottolineare ancor di pi la sua sregolatezza, rappresenta, a tutti gli effetti, sulla scena comica, la
degna compagna di uno Zeus/Pericle, personificazione della figura del tiranno e discendente
dal commediografo nella Nemesi con la seduzione della dea da parte di Zeus/Pericle
caratteristiche fondamentali dello stereotipo del (cfr. Farioli 2000 pp. 420-421; e, in
Per quanto riguarda il dramma di Cratino, resta ora da trattare la questione relativa all'anno di
rappresentazione. Il materiale conservato, purtroppo, non offre elementi utili per datare la
commedia con sicurezza e l'unico riferimento cronologico fornito dal fr. 255:
191
Il frammento va quasi certamente ricondotto all'esodo dei Chironi, dato che il poeta sembra
chiaramente alludere al tempo di composizione dell'opera, costata due anni di fatiche (cfr. Farioli
2000 p. 425; Bakola 2009 p 55). Nonostante il verso non contenga alcuna allusione all'anno della
messa in scena, Cobet 1840 pp. 22-25 vi ha visto un riferimento al decreto di Morichide, che per
tre anni viet ai commediografi l'onomast komoden, e che, a suo avviso, costrinse Cratino a
rappresentare i Chironi solo in seguito alla sua abrogazione, per non incorrere nella censura. Nel
fr. 255, per, il commediografo, o chi per lui, forse il coro, non dichiara di essere stato costretto
al silenzio, ma soltanto di aver impiegato due anni per ultimare l'opera. Farioli 2000 pp. 427-431,
invece, per datare il dramma si serve del fr. 250, precedentemente preso in esame, in cui
possibile, come si visto, scorgere un velato invito all'ostracismo di Pericle. Secondo la studiosa,
richiesta avanzata dagli Spartani agli Ateniesi di scacciare lo statista, immediatamente prima
della dichiarazione ufficiale di guerra, nell'inverno 432/431, come informa Plutarco (Per. 33.1-2;
cfr. anche Th. 1.126-127). In tal senso, la rappresentazione dei Chironi andrebbe fissata agli
agoni drammatici del 431 o del 430. Anche tale ipotesi, per, tutt'altro che sicura e, dunque,
poco convincente.
Il dramma sar stato portato in scena certamente dopo il 445 circa, periodo in cui, come si
detto, ebbe inizio la relazione tra Pericle e Aspasia, e prima del 429, anno della morte dello
statista, senza la cui presenza ad Atene la satira e l'invettiva contro di lui perderebbero la vis
polemica. Se, poi, l'attacco a Pericle si basava essenzialmente sull'accusa di tirannide, anche
probabile che il terminus post quem sia da abbassare al 443, anno dell'ostracismo di Tucidide di
Melesia, dopo il quale il potere pericleo si consolid e rest incontrastato fino allo scoppio della
guerra del Peloponneso (cfr. Farioli 2000 p. 425). Nel materiale conservato, inoltre, manca
192
qualunque accenno al conflitto bellico, e questo potrebbe essere indicativo dell'anteriorit della
commedia rispetto ad esso, anche se c' da dire che lo stato della tradizione troppo
frammentario perch l'argumentum e silentio possa essere valido (cfr. Kock 1880 p. 82; Geissler
1969 pp. 20-21). Ne deriva che necessario, a mio avviso, rinunciare a qualsiasi tentativo di
significativi, ma possibile soltanto offrire un arco di tempo indicativo, da fissare tra il 442 e il
432, se si accetta anche l'ipotesi dell'anteriorit del dramma rispetto alla guerra del Peloponneso.
In conclusione, i Chironi, rappresentati tra il 442 e il 432 e dalla forte connotazione anti-periclea,
rappresentano forse l'opera di Cratino che meglio riuscita a farsi specchio, non solo del vivo
fervore anti-tirannico, da cui era ossessionata l'Atene di quegli anni, ma, soprattutto, della reale
essenza del potere di Pericle, rappresentato, sotto la maschera di Zeus, quale stereotipo del
Crono/Pisistrato, nonch incontinente e avido, come emerge dall'attacco per niente leggero
rivolto alla sua compagna, Aspasia, sfrenata e senza vergogna, strumento nelle mani dei comici
193
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Roma 2010
214
INDICI
215
INDICE DELLE COSE NOTEVOLI
Aspasia
nelle vesti di Elena (Dionisalessandro) 70-72; 76
nelle vesti di Era (Chironi) 182-183; 191
relazione con Pericle 184-187; 189-191
maestra di retorica 187-188
gioco del 87
giuramento di Radamanto 167
216
odeon 114-115; 118
onomast komoden 6-7; 192
Osfione 164-166
ostracismo 14; 181-182; 192
Senofonte 104-105
Solone 161; 177-179
sparto 149-151
Teseo
mitico re di Atene 34
nelle Supplici di Euripide 29-34
come rappresentazione scenica di Pericle in Cratino 81-85; 87-88
travestimento (nel mito e nel culto di Dioniso) 68-69
Tucidide di Melesia (come avversario di Pericle) 92; 97; 99; 106
217
INDICE DELLE PAROLE GRECHE
94 100-101
169
108-110
141; 143
145; 148
152-153 141; 143
75-77 141; 143-144
54-56 114-116; 180
145; 147-148 145-146
85-87 149-151
145 89; 169
60; 72 10; 115; 117; 169-174; 177; 193
112-114
115; 117; 152-153 110-111; 113
10; 104; 182-183
117; 169-172; 180 55-56
126 92-93
113 10-16; 21-24; 29-31; 35; 45-46; 169;
110 177; 191; 193
102-103 91-92
141; 143-144 140-141
20
164; 166
7; 134-138; 158 54-56
7; 152-154 92
56-59
75
218
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE 3
1. Cratino e il suo teatro 4
2. Il tiranno tragico 12
3. Pericle tiranno nella commedia politica di Cratino 36
PRIMO CAPITOLO 49
IL DIONISALESSANDRO 50
SECONDO CAPITOLO 80
LE FUGGITIVE 81
BIBLIOGRAFIA 195
INDICI 216
INDICE DELLE COSE NOTEVOLI 217
INDICE DELLE PAROLE GRECHE 219
219