Sei sulla pagina 1di 220

L'attualit ci fa vivere davvero il passato,

la psicologia degli uomini del passato. E ci


chiarisce le idee, e ci obbliga a trasformare
il vocabolario. Lasciamo cadere la parola
tiranno: sostituiamola con quella di
stupido: faremo del passato storia
contemporanea

Antonio Gramsci, Sotto la mole (1916-1920)


Un ringraziamento speciale va alla Prof.ssa Anna Maria Belardinelli, per l'indispensabile aiuto e
la preziosa collaborazione. Una sentita riconoscenza al Prof. Bernhard Zimmermann, per la
disponibilit mostrata durante il mio soggiorno a Freiburg.

Dedico questo lavoro a tutte quelle persone che, con la loro presenza, vicina e lontana, ne hanno
reso possibile la realizzazione:

A mamma e pap, la mia luce.

Ai miei nonni, il mio ricordo pi dolce, la cui presenza invisibile non smette di colorare la mia
vita.

A Giovanni, Chiara, Rossella, Roberto e Francesco, i miei amici pi cari, il mio sostegno
insostituibile.

A Salvatore, Matteo e a tutti i miei compagni, la mia forza.

A tutti coloro che, ogni giorno, continuano a lottare, perch il razzismo, l'ingiustizia di classe e
lo sfruttamento abbiano fine.

1
INTRODUZIONE

2
1. Cratino e il suo teatro

I grammatici alessandrini designano con il nome di archaia la commedia attica che va

dall'istituzione degli agoni comici (486 a.C.) alla morte di Aristofane (385 a.C.). La biblioteca di

Alessandria conservava ben 365 commedie di quel periodo che rappresentavano, per, soltanto

una selezione rispetto alla produzione complessiva, poich stato calcolato che tra il 486 e il 385

furono rappresentate circa seicento commedie1. Di questa imponente produzione resta ben poco:

le undici commedie di Aristofane, tramandate per intero dai codici bizantini, e un'impressionante

quantit di frammenti di diversa ampiezza, alcuni di un solo verso, altri molto lunghi. La nostra

conoscenza dell'archaia, quindi, estremamente ridotta e si basa quasi del tutto sulle opere

conservate di Aristofane. Questa situazione ha, purtroppo, determinato per molto tempo, negli

studi moderni, la tendenza ad identificare tutta la produzione comica attica con l'esperienza del

solo Aristofane, quale rappresentante supremo del genere comico, superiore per qualit e

importanza a tutti gli altri commediografi di cui si ha traccia. La pubblicazione dei vari volumi di

Kassel e Austin (PCG Berlin-New York 1983-) ha, invece, favorito negli ultimi decenni un

aumento crescente dell'interesse per i testi frammentari, nonch un graduale abbandono, da parte

degli studiosi, di quella lettura 'aristofanocentrica', per molti aspetti dominante. Si tramandano,

del resto, i nomi di circa cinquanta commediografi del periodo dell'archia, alcuni dei quali

certamente personalit poetiche di grande prestigio, se solo si pensa alla celebre triade con cui

Orazio apre il quarto componimento del primo libro delle sue Satire: Eupolis atque Cratinus

Aristophanesque poetae. Molti frammenti, poi, testimoniano abbondantemente che il corpus

aristofaneo non pu essere considerato come emblematico di tutta la commedia attica di quinto

secolo, perch essa si sviluppa fin dall'inizio in una miriade di stili e forme differenti.

1 Cfr. Mastromarco 2003 p. 12.

3
La produzione comica di Cratino, come si vedr in questo studio, con le sue specifiche

peculiarit e la sua evidente originalit, non fa che contribuire a rinsaldare questa linea esegetica.

La carriera teatrale di Cratino, immediato predecessore di Aristofane, va posta tra gli anni

cinquanta del quinto secolo, quando il poeta riporta la sua prima vittoria, secondo una

testimonianza epigrafica2, e gli anni venti, sulla base del fatto che nella Pace (421) considerato

gi morto, almeno da un punto di vista artistico 3.

Il suo valore e la sua fama presso i contemporanei sono testimoniati proprio da Aristofane nella

parabasi dei Cavalieri, in cui si rimproverano gli Ateniesi di non prendersi cura del

commediografo, ormai vecchio e dedito al vino, che, invece, per l'elevata qualit della sua arte,

per lo straordinario slancio poetico delle sue parole, cantate anche nei simposi, e per le numerose

vittorie riportate, meriterebbe di essere mantenuto a spese pubbliche, di bere nel Pritaneo e

sedere ben pasciuto a teatro presso la statua di Dioniso4. Aristofane, quindi, pur invitando lo

scomodo rivale, barcollante e sempre ubriaco, a porre fine alla sua carriera ormai conclusa, non

pu non riconoscere e sottolineare l'originalit e la ricchezza della sua arte, una travolgente forza

della natura, un fiume in piena in grado di sradicare e trascinare con s querce, platani e

2 Cfr. IG II 2325.50. L'iscrizione riporta una lista di comici vincitori alle Dionisie e inserisce il nome di Cratino
subito dopo Eufronio, il vincitore del 458 (cfr. Olson 2007 p. 408). La notizia, per, non sicura, perch,
secondo un'altra testimonianza, la prima vittoria del commediografo ateniese va posta dopo la cinquantottesima
Olimpiade, cio negli anni 440/439-437/436: Anon. De com. (Proleg. de com. 3) p. 8 Koster:
.
3 Ar. Pax vv. 700-703: . ; ; . / . .
; . ; / / . Trigeo sostiene che
Cratino sia morto con un colpo secco al tempo dell'ultima invasione spartana dell'Attica, avvenuta nella
primavera del 425 (cfr. Th. 4.2.1); questa notizia, per, falsa, perch il commediografo sicuramente ancora
vivo nel 423, quando, com' noto, riporta il primo premio con la Damigiana nell'agone dionisiaco in cui le
Nuvole di Aristofane conquistano soltanto il terzo posto. Aristofane, quindi, in questo passo della Pace, allude,
forse, scherzosamente solo alla morte artistica del rivale (cfr. Mastromarco 1983 pp. 615-617 n. 73).
4 Ar. Eq. vv. 526-536: , / ,
/ /
, / . /
, / /
, / , ,
, / , / ,
. Aristofane nomina pi volte Cratino nelle sue commedie: Ach. vv. 848-853; 1166-1173; Eq. v.
400; Pax vv. 700-703; Ra. v. 357.

4
avversari.

Nonostante la grande notoriet ai suoi tempi, oggi, purtroppo, non possibile leggere nessuna

commedia di Cratino per intero, ma di lui si conserva un corpus di frammenti molto consistente,

pi di cinquecento, a riprova, comunque, della sua notevole vitalit scenica.

Nell'ambito degli studi letterari moderni, se si escludono le diverse edizioni dei frammenti

comici e i numerosi articoli, via via citati nel corso di questo lavoro, che sono incentrati su

singoli aspetti linguistici, metrici o tematici e mancano, quindi, di uno sguardo d'insieme sul

modo di fare teatro di Cratino, le uniche monografie interamente dedicate all'opera di questo

autore sono tre: il lavoro di Pieters (1946), che un vero e proprio studio letterario su Cratino e

sui legami del suo teatro con la realt politico-sociale del tempo; la dissertazione di dottorato di

Luppe (1963), indubbiamente interessante per l'acume filologico che lo studioso d prova di

possedere, ma quasi esclusivamente focalizzata su interpretazioni testuali ed emendamenti e

priva di approfondimento su questioni pi specificamente letterarie e drammatiche; e, da ultimo,

la pi aggiornata monografia di Bakola (2009), in cui la studiosa inglese tenta s di fornire una

visione complessiva della commedia cratinea, evidenziandone le riprese mitologiche, i legami

con la tragedia ed il meccanismo satirico, ma, come spesso accade in questi casi, nel tentativo di

essere esauriente su tutte le tematiche, finisce per essere evasiva e superficiale su numerose

questioni. Di fronte ad un corpus frammentario cos vasto , infatti, a mio avviso, difficile

riuscire a sviscerare tutte le peculiari caratteristiche linguistiche, metriche, politiche, letterarie e

strutturali che contraddistinguono l'opera del commediografo ateniese. Per questa ragione, si

deciso in tal sede di prendere in analisi cinque commedie e di puntare l'attenzione su un singolo

aspetto che, sulla base del materiale conservato, parso il pi significativo e quello

maggiormente distintivo, vale a dire la satira politica e la funzione che essa si pone nell'ambito

5
del sistema politico-sociale dell'Atene del tempo, cio la democrazia periclea.

L'elemento che pi di altri caratterizza la commedia attica antica lo stretto legame con

l'attualit politica e sociale della ateniese, mediante una fittissima trama di riferimenti ad

avvenimenti, personaggi ed istituzioni del tempo e, soprattutto, con il ricorso all'onomast

komoden, l'attacco mosso in tutta libert contro i personaggi negativi pi in vista della citt 5.

L'onomast komoden, che trova il suo antecedente letterario nella giambografia arcaica, in

particolare in Archiloco e Ipponatte, diviene ben presto lo strumento primario attraverso cui i

commediografi esplicano il loro impegno politico e, nell'Atene del quinto secolo, assume

un'importanza particolare per via delle sue potenzialit eversive e della capacit di mettere a

rischio la stabilit del quadro istituzionale della citt, soprattutto nei contesti storico-politici pi

difficili6. L'autore della Costituzione degli Ateniesi pseudo-senofontea non esita a ricordare che il

regime democratico esercitava pressanti forme di condizionamento politico nei riguardi del

teatro comico e non permetteva che sulla scena si parlasse male del popolo o lo si ponesse in una

luce negativa; solo i cittadini pi influenti, e dunque i nobili e i ricchi, potevano essere messi alla

5 Cfr. Hor. Sat. 1.4.1-5.


6 Cfr. Mastromarco 2003 pp. 21-27. Dell'onomast komoden stata fornita anche una lettura in chiave
carnevalesca: la commedia attica antica, legata al culto di Dioniso e inserita nel contesto gioioso della festa,
rappresenterebbe un'evasione temporanea dalle norme che regolano la vita quotidiana e, mettendo in ridicolo i
personaggi pi in vista della citt, offrirebbe al suo pubblico un momentaneo sollievo dalla pressione
dell'autorit; in quest'ottica, il teatro comico non si ispirerebbe a un serio impegno sociale, ma, per mezzo dello
scherno e dell'invettiva personale, intenderebbe affermare il motivo del mondo alla rovescia, il giocoso
rovesciamento della realt quotidiana, istituendo, sia pure per il breve spazio temporale della festa, un ordine
regolato da rapporti gerarchici radicalmente differenti da quelli vigenti nella societ contemporanea
(Mastromarco 2003 pp. 27-28). Nello specifico, sull'onomast komoden si vedano anche Gomme 1938
pp. 97-109; Zimmermann 1983 pp. 57-77; Halliwell 1984 pp. 6-20; Rsler-Zimmermann 1991; Degani 1993
pp. 1-49; il volume di Ercolani (a cura di) 2002, con particolare riguardo al suo interno agli articoli di M.
Napolitano, Onomast komoden e strategie argomentative in Aristofane (a proposito di Ar. Ach. 703-718)
pp. 89-103; C. Mann, Aristophanes, Kleon und eine angebliche Zsur in der Geschichte Athens, pp. 105-124;
A.H. Sommerstein, Die Komdie und das Unsagbare, pp. 125-145; I. Stark, Athenische Politiker und Strategen
als Feiglinge, Betrger und Klaffrsche. Die Warnung vor politischer Devianz und das Spiel mit den Namen
prominenter Zeitgenossen, pp. 147-167; A. Bierl, Viel Spott, viel Ehr! - Die Ambivalenz des onomast komoden
im festlichen und generischen Kontext, pp. 169-187; G. Mastromarco, Onomast komoden e spoudaiogeloion,
pp. 205-223; T. Gelzer, Spott auf Personen des ffentlichen Lebens mit den Mitteln der traditionellen Formen
der alten Komdie, pp. 345-374; e, da ultimo, Zimmermann 2010 pp. 53-58. In generale, per una bibliografia
dettagliata e aggiornata sulla commedia antica si rimanda a Zimmermann 2010 pp. 221-226.

6
berlina, mai i poveri e i democratici, a meno che questi ultimi non risultassero in qualche modo

pericolosi, perch decisi a contare pi del popolo (2.18).

Tali osservazioni si rivelano estremamente significative, se si volge lo sguardo alla produzione

comica di Cratino, riconosciuto da Aristofane, nella parabasi dei Cavalieri sopra citata, quale

massimo esponente del filone comico 'impegnato' e 'politico'. Il commediografo ateniese, infatti,

ben consapevole della capacit, propria della commedia, di influenzare l'opinione pubblica, si

serve dell'onomast komoden in termini di vera e propria lotta politica, quale mezzo

indispensabile per colpire Pericle, il paladino della democrazia ateniese, ed il suo governo, sia

per via diretta che indiretta, con la parodia mitologica. Il materiale conservato, se pure non

permetta nella maggior parte dei casi la ricostruzione dell'intreccio comico, testimonia pi volte

il ricorso, da parte di Cratino, a racconti mitologici, opportunamente variati e ricaricati di un

chiaro significato politico, quale pretesto per portare violenti attacchi contro il noto statista.

Esemplari, sotto questo aspetto, sono senza dubbio la Nemesi e il Dionisalessandro, due

commedie rappresentate in concomitanza dello scoppio della guerra del Peloponneso,

rispettivamente nel 431 e nel 430 circa (vd. infra).

La Nemesi sfrutta la saga mitica della dea violentata da Zeus e madre di Elena, ma dietro la

figura del re degli di, definito e (fr. 118 K.-A.), possibile riconoscere Pericle, a

cui si contesta l'atteggiamento superbo e l'eccessivo potere. La ragione dell'accostamento del

mito di Nemesi alla politica del primo cittadino ateniese risiede, forse, come argomentato in

seguito, nel fatto che il sostantivo funge nel quinto secolo da sinonimo di e

designa l'indignazione e la giusta punizione di qualunque atto di , la stessa di cui

evidentemente si macchia il noto statista, scatenando di l a qualche mese il conflitto bellico, al

fine di rafforzare l'impero ateniese.

7
Il Dionisalessandro, invece, il solo dramma di Cratino di cui ricostruibile la trama, almeno in

linea generale, grazie alla presenza della hypothesis (vd. infra). Nella commedia il gioco delle

parti intricato e tutto l'impianto si regge sulla parodia del noto mito di Paride ed Elena: il

protagonista , infatti, un personaggio ibrido, Dionisalessandro, ossia Dioniso che, nelle vesti di

Paride-Alessandro, pronuncia il giudizio delle tre dee, assegna il premio di bellezza ad Afrodite,

rapisce Elena e scatena la guerra di Troia; come si evince dalla parte finale dell'argumentum,

per, dietro il dio del teatro, vile, codardo e responsabile della guerra troiana, si cela Pericle, che,

causa diretta del conflitto peloponnesiaco, viene assimilato ad una divinit per vanit ed

arroganza e posto accanto ad Elena, ipostasi della guerra nell'immaginario collettivo greco e,

forse, in questo caso specifico, assimilabile ad Aspasia, la nota cortigiana di Mileto, bersaglio

polemico ad Atene, in quanto meteca e legata allo statista da vincoli amorosi. Quando il

Dionisalessandro viene rappresentato (Lenee del 430; vd. infra), la guerra scoppiata da meno

di un anno e lo statista si reso ben presto impopolare con il suo piano strategico di difesa a

oltranza, malgrado le devastazioni dell'Attica operate dall'esercito spartano; la tattica difensiva,

infatti, oltre a provocare gravi disagi psicologici, costringendo la maggior parte della

popolazione rurale a riversarsi in citt, ne causa anche di materiali, per via del sovraffollamento e

del manifestarsi della peste7. In un simile contesto, allora, la rappresentazione di Pericle sotto le

spoglie di un vile Dioniso travestito da Paride e il riferimento a tematiche di cos scottante

attualit, sia pure svolte in chiave comica, non possono non coinvolgere emotivamente gli
7 La condizione contadina e l'avversione alla guerra saranno, alcuni anni pi tardi, com' noto, anche il tema
centrale di due commedie di Aristofane, gli Acarnesi (Dionisie 425) e la Pace (Dionisie 421). Nella prima,
infatti, il protagonista un vecchio contadino inurbato, Diceopoli, che da subito esprime il suo impegno
antibellicista e, desideroso della fine della guerra, stipula una pace privata con gli Spartani, per poi dover
affrontare l'ostilit, in un primo momento, del coro di bellicosi Acarnesi e, dopo, di Lamaco, una grottesca figura
di militare e un maniaco di guerra. Anche nella Pace, l'eroe comico un contadino, Trigeo, che, stanco del
conflitto, raggiunge in volo, in groppo ad uno scarabeo, le dimore degli di e, al fine di procurare la pace per tutti
i Greci, libera la dea Pace dalla prigionia, a cui Polemo l'ha costretta; dopo la parabasi, Trigeo fa ritorno sulla
terra e pu finalmente affermare di essere riuscito a realizzare quel desiderio espresso da Diceopoli quattro anni
prima, quello, cio, di porre fine alla guerra e di poter riprendere la pacifica e spensierata vita dei campi (vv. 569-
578). Si veda sulla questione Mastromarco 2003 pp. 48-49; 58-61.

8
spettatori e rafforzare, in qualche modo, il sentimento impopolare nei riguardi della politica

periclea. La parola comica, infatti, strettamente legata alla composita realt dell'Atene del quinto

secolo, pu facilmente sviluppare nell'opinione pubblica presente a teatro posizioni politiche di

dissenso nei riguardi dell'establishment cittadino.

A riprova di ci, va sottolineato che Cratino, negli anni quaranta del quinto secolo,

verosimilmente nel 443, porta in scena le Fuggitive (vd. infra), un dramma in cui si utilizza il

materiale della saga di Teseo, e Pericle, dietro la maschera del mitico re di Atene, duramente

attaccato per i suoi progetti imperialisti, nello specifico, per la fondazione della colonia

panellenica di Turi, realizzata qualche mese prima. Evidentemente la satira politica cratinea

riesce ad avere non poca influenza sul corpo civico, se qualche anno dopo Pericle ritiene

opportuno ricorrere al decreto di Morichide8, contro l'offesa recata in commedia a persone

indicate per nome, decreto che, se anche limita la libert di espressione dei commediografi per

un periodo relativamente breve (tra il 440/39 e il 437/36), viene di fatto varato per mettere a

tacere l'opposizione interna e per impedire che gli attacchi dei comici nei suoi riguardi, in

particolare quelli di Cratino, il suo massimo avversario a teatro, abbiano ripercussioni politiche

di un certo peso.

Anche le Tracie, messe in scena con una certa probabilit lo stesso anno del Dionisalessandro,

alle Dionisie del 430 (vd. infra), si presentano come una commedia a tutti gli effetti anti-periclea

e questa volta lo stratega eguagliato a Zeus in maniera ridicola, con una testa enorme e

sproporzionata, e viene preso di mira per aver introdotto ad Atene il culto straniero di Bendis,

quasi certamente una manovra politica seguita all'alleanza bellica con il re tracio Sitalce,

all'inizio del 430.

8 Cfr. schol. Ar. Ach. v. 67 Wilson; sulla questione si veda anche Schmid 1946 pp. 40-41.

9
, per, con i Chironi9 che, a mio avviso, Cratino riesce maggiormente a svelare la reale essenza

del potere di Pericle ad Atene, solo a parole una democrazia, nei fatti una tirannide;

emblematico, in tal senso, il fr. 258 K.-A. in cui lo statista non solo compare come Zeus, figlio

di e , ma designato, soprattutto, quale 10, quasi un novello

Pisistrato, al cui fianco siede Era/Aspasia, la prostituta figlia di (fr. 259 K.-A.).

L'immagine che Cratino offre del noto uomo politico , allora, quella di un tiranno superbo,

arrogante, guerrafondaio, primo responsabile della guerra del Peloponneso, della cui conduzione

non capace per vilt e codardia; e il suo governo, simbolo del sistema democratico per il

mondo antico e per tutto il pensiero occidentale, assume sulla scena ateniese del quinto secolo,

proprio al tempo della sua massima espressione, la connotazione e i tratti di un regime

autocratico. Questa rappresentazione comica estremamente significativa e merita un

approfondimento specifico. L'attribuzione a Pericle della qualifica di tiranno, infatti, se da un

lato, come si vedr, procede parallela alla nascita ed allo sviluppo della figura ideologica del

tiranno, quale personaggio ricorrente nel teatro tragico, ossessivamente presente anche nei

dibattiti politici e nelle dispute filosofiche del tempo, dall'altro sembra palesare una

contraddizione intrinseca, dal momento che essa si inserisce di fatto in quella linea ideologica
9 Sulla base del materiale conservato, non possibile stabilire una datazione precisa per la messa in scena di
questa commedia; sulla questione vd. infra.
10 Anche nei Pluti di Cratino, una commedia che qui non stata presa in esame, sembra si possa individuare una
possibile allusione alla tirannide di Pericle. Nel frammento papiraceo (fr. 171 K.-A.), che restituisce alcuni brani
del dramma, il coro, in dialogo con un personaggio che la lacunosit del testo non permette di identificare, si
autopresenta; i coreuti dichiarano di appartenere alla stirpe dei Titani e di chiamarsi, un tempo, Pluti (fr. 171.11-
12: [ / [ ); gli stessi pi avanti dicono di essere
giunti (ad Atene) alla ricerca di un vecchio fratello, non meglio identificabile, ora che la finita e il
popolo ha potere (fr. 171.22-26: [ / , / . [ /
/ [] ). Luppe 1967b p. 68 ravvisa nella caduta della
tirannide e nell'ascesa del demos, che favorisce la liberazione dalla schiavit e permette l'arrivo in citt dei Pluti,
un'allusione alla fine della strategia di Pericle e, dunque, alla fine del suo potere tirannico, avvenuta
nell'estate/inverno del 430. Se cos fosse, la rappresentazione della commedia andrebbe fissata al 429, datazione
accolta da Kassel-Austin, anche sulla base di un passo di Ateneo, in cui i Pluti di Cratino sono classificati,
insieme alle Bestie di Cratete e agli Anfizioni di Teleclide, come un dramma attinente al tema della vita beata
nell'et dell'oro (6 p. 267 E). In generale, sui Pluti si rimanda a Goossens 1935 pp. 405-434; 1943 pp. 131-134;
1946 pp. 93-107; Sodano 1960-1961 pp. 19-48; 1961 pp. 37-57; Luppe 1967b pp. 57-91; Schwarze 1971
pp. 40-54; 191-193; Carrire 1979 pp. 213-231; e, da ultima, Bakola 2009 pp. 122-141; 213-220.

10
antitirannica ed antipisistratica degli Alcmeonidi, che ha il suo inizio con Clistene e la sua

continuazione proprio con Pericle, alcmeonide per parte di madre. Pericle, icona indiscussa della

politica democratica e della lotta contro ogni forma di tirannide, diviene egli stesso tiranno sulla

scena comica. Si tratta davvero di una contraddizione?

2. Il tiranno tragico

Il termine e le forme ad esso correlate sono state a lungo oggetto di numerosi studi che,

giunti spesso a posizioni divergenti, rendono difficile la definizione precisa del significato. Senza

dubbio, il sostantivo ha inizialmente un valore del tutto neutrale e funge da sinonimo di

, per indicare il sovrano legittimo; successivamente, esso acquisisce anche una valenza

negativa e va a designare il dittatore illegittimo, l'usurpatore, colui il quale, non appena ne ha la

possibilit, si impadronisce con la forza e la violenza di un potere che non gli appartiene.

Stabilire con esattezza il momento in cui si verificato questo slittamento semantico non , per,

cosa facile, tant' che la maggior parte degli studiosi, che si sono occupati della questione, si

divide fra chi fissa il cambiamento al sesto secolo e chi, invece, lo posticipa al quarto, a partire

da Platone ed Aristotele11.

Il vocabolo e i suoi derivati, indoeuropei, ma di origine oscura e sicuramente non greci, sono

totalmente assenti in Omero, che fa uso solo di o , ed entrano nella lingua greca a

met del settimo secolo12. Il termine , infatti, compare per la prima volta in Archiloco,
11 Per una sintesi accurata degli studi sul termine e per un'analisi dei passi in cui ricorre si rimanda a O
Neil 1986 pp. 26-40; si veda, da ultimo, anche Parker 1998 pp. 145-172.
12 Cfr. Parker 1998 pp. 145-150.

11
dove designa semplicemente il potere regale di Gige in Lidia, associato all'idea di ricchezza e

lussuria, caratteristiche peculiari di quel regno orientale 13.

A partire dal sesto secolo, per, oggettivamente difficile negare che il sostantivo cominci ad

acquisire una connotazione negativa, dal momento che Solone dichiara che avrebbe voluto avere

il potere, accumulare una grande ricchezza ed essere di Atene per un giorno, per poi

essere scuoiato come un'otre e vedere annientata la sua famiglia14; e in un altro passo il

legislatore afferma chiaramente di non vergognarsi affatto di aver risparmiato la sua terra e di

aver rigettato la e la violenza implacabile15. evidente che Solone, pur riconoscendo

implicitamente i vantaggi e i benefici della , ne offre un'immagine negativa, la

caratterizza as something which at first glance may seem desiderable, but in actuality rapidly

leads to ruin e considera il tiranno someone who, when the opportunity presents itself, takes

power which does not belong to him16.

Nel quinto secolo, l'alternanza per di un valore puramente neutrale, come sinonimo di

, e di un'accezione negativa, come termine che designa l'autocrate, molto forte.

Nell'ambito della prosa, solo Tucidide opera una distinzione netta tra e 17,

laddove Erodoto e l'oratoria le pongono sullo stesso piano18. Se, poi, si volge lo sguardo alla

tragedia attica, la situazione si fa ancora pi complessa, dal momento che il sostantivo

e i suoi derivati, molto frequenti, designano, nella maggior parte dei casi, semplicemente il re e,

13 fr. 19W.: , / / ,
/ . Cfr. anche Archil. fr. 23W. L'associazione della
tirannide alla ricchezza e alla lussuria molto comune nella letteratura greca, cos come molto spesso e
derivati sono utilizzati in relazione ai regni orientali e barbari; sulla questione si veda il materiale raccolto da
O Neil 1986 pp. 27-29.
14 fr. 33.5-7W.: , , /
, / .
15 fr. 32W: / , / ,
, / / . Per un'analisi dei due
passi di Solone citati si veda De Martino-Vox 1996 2, pp. 761-763.
16 Parker 1998 p. 156.
17 Cfr. Parker 1998 p. 64 n. 94.
18 Cfr. Parker 1998 pp. 161-166.

12
in generale, il potere regale, ma, come si vedr, principalmente in Sofocle ed Euripide, non

mancano situazioni in cui queste parole assumono un'accezione negativa, soprattutto se riferite a

personaggi che di fatto mostrano sulla scena i comportamenti propri di un tiranno con potere

assoluto e agiscono come tali19.

Nella commedia di Aristofane, inoltre, nonostante sia utilizzato pi volte in maniera

neutrale, in particolar modo in relazione al dominio di Zeus20, attestato anche l'uso di

per indicare l'usurpazione illegale del potere; significativo in tal senso il passo delle Vespe in

cui si ironizza sul timore ossessivo che ad Atene si ha della tirannide 21.

Parker 1998 pp. 170-171, dunque, nel suo studio sull'evoluzione del concetto politico di

, sulla base della documentazione sopra riportata, arriva alla conclusione che

l'attribuzione al sostantivo di un senso peggiorativo, che designa il detentore di un potere

assoluto e illegittimo, ha dei confini geografici ben definiti: si tratta, a suo avviso, di una

specificazione semantica che, a partire dal sesto secolo con Solone, si sviluppa e cresce

nell'ambito ristretto del dialetto attico e trova la sua massima espressione in Tucidide, il primo

autore che scrive esclusivamente in attico. Secondo lo studioso, questa singolare constatazione

trova spiegazione nel fatto che soltanto nella regione dell'Attica yawned a gap of many

centuries betweeen the rise of the tiranny and the downfall of the kingship, so that the tyrants

never pretended to be kings and were in fact perceived as being something radically different

from the kings. The perceived political distinction manifested itself in a semantic distinction

which, however, did not exist outside of the regional dialect of Attica 22.

A partire dall'ipotesi di Parker, possibile fare un ulteriore passo in avanti. La regione dell'Attica
19 Per una documentazione accurata delle ricorrenze di e affini in tragedia si veda O Neil 1986 pp. 27-38;
Parker 1998 pp. 158-161.
20 Cfr. Ar. Nu. 564; Av. 483; 1605; 1643; 1673; 1708; Pl. 124.
21 vv. 463-507; cfr. anche Lys. vv. 614-635. Nello specifico, per il passo delle Vespe si veda, in questa sede, l'analisi
condotta su di esso nel capitolo relativo ai Chironi.
22 Parker 1998 p. 171.

13
e, in particolare, Atene rappresentano, forse, il terreno di gioco pi fertile in cui il termine

e i suoi derivati possono affermarsi in tutta la loro ambivalenza semantica e farsi

portavoce di un significato negativo.

Basta prendere in considerazione i presupposti di base che conducono alla nascita stessa della

democratica, che ha in Clistene il suo ideatore. Essa, infatti, si costituisce, innanzitutto,

quale sistema preventivo contro il pericolo della tirannide, dopo la disastrosa esperienza di

Pisistrato e dei Pisistratidi. Uno degli obiettivi principali della riforma di Clistene proprio

quello di evitare in ogni modo lo sviluppo di qualunque forma di potere personale, centralizzato

e autoritario dall'interno delle aristocrazie locali e dei gruppi nobiliari; prova ne l'istituzione

dell'ostracismo, la nota procedura volta a denunciare il timore che qualcuno possa aspirare ad un

regime tirannico, divenuta solo in un secondo momento strumento di lotta fra orientamenti o

partiti diversi23.

Ne deriva, allora, che anche nell'immaginario comune ateniese il tiranno diventa ben presto il

maggiore nemico del popolo, la massima manifestazione del malvagio, in quanto negatore

assoluto dell'ordine su cui si regge la , quell'ordine rappresentato dallo spazio politico e dal

comune possesso della citt. l'ideologia stessa della a partorire la figura del tiranno,

quale mito polemico, personificazione di tutto ci che deve essere respinto dalla morale

pubblica, cio la perdita della libert, la dismisura e l'empiet, perch la citt ha bisogno della

controimmagine del tiranno per affermarsi essa stessa 24.

Se il ragionamento giusto, il teatro attico rappresenta lo strumento culturale migliore per

esprimere tutta l'ambiguit di un termine come . Non bisogna, infatti, dimenticare che il

23 Cfr. Musti 1997 pp. 93-96; 1998 pp. 271-272.


24 Lanza 1977 p. 13. Per essere pi chiari, si pu, in un certo senso, affermare che la ateniese nasce come
reazione alla precedente esperienza della tirannide e, dunque, si basa su principi e valori assolutamente
antitirannici, proprio come la Repubblica democratica italiana trova la sua ragion d'essere nel ripudio del
fascismo e fa dell'antifascismo la sua carta costituzionale.

14
teatro ateniese del quinto secolo non un'iniziativa privata, ma un'istituzione pubblica, un

momento della vita associativa della , direttamente inserito nel calendario civile della citt.

Come tale, il tragediografo o il commediografo di turno non hanno bisogno di conquistarsi un

pubblico per il loro spettacolo, perch esso assicurato e istituzionalmente garantito, come lo

quello della processione della festa del paese25. Il pubblico del teatro di Dioniso tutta la citt,

senza alcuna selezione sociale e senza distinzione di ceto26. In occasione delle Dionisie, inoltre,

nella cavea del grande teatro si ritrovano anche i cittadini provenienti da tutti i demi dell'Attica,

oltre che un gran numero di stranieri, meteci e ospiti occasionali, legazioni di altre citt, alleati

giunti per discutere una causa o per versare i tributi.

Tutta la vita pubblica ateniese dopo Clistene si muove in uno spazio politico e il teatro ne

rappresenta la massima espressione: esso costituzionalmente politico, perch parte integrante

dello spazio politico della citt, coinvolge tutto il corpo civico, senza stratificazioni sociali,

favorendone la ricomposizione in un'unit organica e armonica. E se il teatro politico, in quanto

vive nello spazio politico della citt ed espressione diretta della sua vita politica, esso si fa

anche naturalmente strumento di celebrazione di tale spazio politico e del suo significato

ideologico pi profondo: l'identit dei cittadini, indipendentemente dal loro specifico ruolo

sociale, in quanto appunto cittadini, e la fondamentale organicit che tutti li lega in quella

struttura fisiologicamente coesa che la polis. E la polis, le sue contraddizioni, i suoi pericoli, le

sue crisi, i farmaci necessari per ricomporne l'unit, sono appunto i contenuti fondamentali delle

opere teatrali ateniesi, delle tragedie come delle commedie27. Ecco, allora, che se la tirannide

nel quinto secolo rappresenta ad Atene il maggior pericolo per la e riflette la diffusa paura

della perdita della libert e della catastrofe del sistema, essa trova espressione anche sulla scena

25 Lanza 1977 p. 8.
26 Sulla composizione del pubblico nel teatro attico si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 361-382.
27 Lanza 1977 p. 12.

15
teatrale con l'emergere del personaggio del tiranno tragico, quale trasposizione drammatica di

una figura sociale. Per quanto, come si gi detto, il termine sia spesso usato in

tragedia con valore del tutto neutrale, senza precise connotazioni politiche, c' tuttavia da

sottolineare che in alcuni casi questa parola viene messa in relazione a personaggi che, nei loro

gesti e nelle loro azioni, assumono di fatto i tratti del tiranno in carne e ossa; e, a mio avviso, in

questi casi quantomeno probabile, se non proprio sicuro, che il ricorso a quel sostantivo, per

via della sua forte carica ambivalente, non sia del tutto casuale e che la sua connotazione

negativa venisse, in qualche modo, colta dagli spettatori seduti a teatro. Non resta che fornire

alcuni esempi.

Nell'Antigone di Sofocle, Creonte assume i connotati del personaggio tirannico fin dall'inizio,

ancor prima del suo arrivo in scena, gi nel dialogo iniziale tra le due sorelle (vv. 1-99):

Antigone, nel mettere Ismene al corrente dei fatti, dapprima le riferisce che lo ha

emanato un per tutta la citt (vv. 7-8) e, poi, le spiega che l'editto vieta la sepoltura di

Polinice (vv. 26-30) e non esita a sottolineare con pesante sarcasmo l'intolleranza e

l'atteggiamento oltraggioso e intransigente del buon Creonte (v. 31: ),

intenzionato a punire con la morte gli eventuali trasgressori (vv. 35-36). Risulta significativo il

fatto che Antigone non attribuisce mai a Creonte lo status costituzionale di re, come altri fanno28,

ma, dopo averlo definito (v. 8), lo chiama sempre per nome (vv. 21; 31; 549) e, nel

confronto diretto con lui, svela la reale essenza del suo potere, quando afferma che la

gode di molti benefici, in particolare quello di fare e dire tutto ci che vuole29. Gi Ismeme, per,

nel prologo, rispondendo sbigottita all'invito della sorella a seppellire il corpo del fratello,

incuranti del , si sofferma sulla matrice autocratica del potere che le sovrasta, ricorre
28 Il coro si rivolge a Creonte con i termini (v. 155) e (vv. 278; 724; 766; 1091; 1103; 1257); nel
rivolgersi direttamente al sovrano, il sostantivo che usa per ben due volte anche la guardia (vv. 223; 388)
ed una sola volta Ismene (v. 563). Si veda nel merito Griffith 1999 p. 122.
29 vv. 506-507: / .

16
proprio all'uso del termine e insiste sullo scontro di genere, affermando il dominio

incontrastato e incontrastabile del patriarcato: solo la morte spetta a chi trasgredisce l'autorit dei

tiranni (v. 60: ) e, per di pi, una donna non pu lottare contro gli uomini, ma

solo sottostare ed obbedire agli ordini dei pi forti, alla volont del potere maschile (vv. 58-64).

Eppure Creonte, nella sua prima (vv. 162-210), all'inizio del primo episodio, nel tentativo

di giustificare il suo operato, espone il suo programma politico ed insiste nel presentare se stesso

quale il buon sovrano, tutto proteso a garantire e mantenere la stabilit della sua citt, attraverso

l'esercizio costante della sua autorit; il suo discorso, incentrato sull'importanza per un buon

governante di curare sempre l'interesse generale della patria, senza anteporre nessun affetto

privato al bene pubblico, dal momento che solo la salvezza della patria garanzia di benessere

per tutti (vv. 178-191), non fa che rispecchiare il comune sentire democratico del tempo, nonch

richiamare, in maniera quasi esplicita, il manifesto della democrazia ateniese, ossia l'epitafio

attribuito a Pericle da Tucidide, in cui, com' noto, posta, quale principio fondamentale, proprio

la subordinazione degli interessi familiari e privati a quelli della citt 30.

La forza tirannica del suo potere, accuratamente rinnegata nella presentazione del suo

programma politico, si rende, invece, manifesta nella realizzazione pratica. Creonte convinto di

essere un buon sovrano, ma, di fatto, agisce da tiranno31.

Lo scontro di genere, gi presente nelle parole di Ismene, torna a farsi sentire con pi forza e

prepotenza nel confronto diretto tra Creonte ed Antigone, di fronte all'ostinazione della ragazza,

che non teme di rivendicare la sua azione come giusta (vv. 441-525)32. Il sovrano non solo

30 Th. 2.40.2; cfr. anche 2.60.2-5; in generale, sulla questione si veda Griffith 1999 pp. 34-38; 155-156.
31 Cfr. Citti 1975-1976 p. 490.
32 Steiner 1990 pp. 260-261 sostiene che nell'Antigone di Sofocle si esprimono chiaramente le cinque opposizioni
che rappresentano le costanti principali del conflitto presente nella condizione umana: uomo-donna; vecchiaia-
giovinezza; societ-individuo; vivi-morti; uomini-divinit. In particolare, lo studioso ritiene che ognuna di queste
cinque categorie fondamentali venga realizzata in un solo atto di confronto, quello tra Antigone e Creonte (vv.
441-581), dal momento che Creonte e Antigone si scontrano come uomo e come donna. Creonte un uomo
maturo, anzi, quasi vecchio; Antigone rappresenta la verginit della giovinezza. La loro disputa finale

17
replica con la minaccia di domare la fiera volont di chi gli si oppone, ma evidente che egli non

reagisce alla ribellione di Antigone in nome della sua autorit legale o in nome delle leggi della

citt e dell'interesse comune, bens affermando di non poter tollerare che una donna sfidi il suo

comando (vv. 473-485); ella non potr sfuggire ad una morte terribile, perch, se il successo le

arrider impunemente, non sar pi lui l'uomo, ma lei lo diventer33 e poi, conclude, finch lui

sar vivo, non permetter che una donna comandi 34.

L'atteggiamento trasgressivo di Antigone va punito, perch lei non agisce solo per un uomo

(Polinice), cio nell'interesse di quest'ultimo, ma, poich la sua azione politica,

pubblicamente polemica, agisce come un uomo35.

Creonte riafferma questo punto di vista nel terzo episodio, nel dialogo con il figlio Emone (vv.

631-765), il momento in cui, forse meglio che altrove, si smaschera del tutto l'indole tirannica e

l'inadeguatezza del personaggio. Creonte insiste sulla necessit di rinnegare la passione amorosa

e non cedere mai al piacere che una donna pu offrire (vv. 648-650); chi trasgredisce e viola le

leggi non pu ricevere la sua approvazione, perch a chiunque la citt abbia affidato il potere si

deve obbedire nelle piccole e grandi cose, in quelle giuste e non (vv. 663-667); non c' sciagura

pi grande dell', a cui fa da contraltare la (vv. 672-676), e, dunque, mai

bisogna opporsi alle disposizioni dell'autorit, mai esser da meno di una donna, mai essere

definiti suoi succubi36.

imperniata sulla natura della coesistenza tra visione privata e necessit pubblica, tra ego e comunit. Su Creonte
pesano gli imperativi dell'immanenza, di chi vive nella ; in Antigone tali imperativi si incontrano con la non
meno esigente folla notturna dei morti. Nel dialogo tra Antigone e Creonte non viene pronunciata sillaba, non
viene fatto gesto che non sia portatore della prossimit molteplice, forse della doppiezza degli di (Steiner 1990
p. 261). Per un'analisi accurata del dialogo tra Antigone e Creonte (vv. 441-525) si veda Griffith 1999
pp. 198-212.
33 vv. 484-485: , , / .
34 v. 525: .
35 Belardinelli 2010 p. 21 e n. 73.
36 vv. 677-680: , / / ,
, , / .
Creonte non pu sopportare di essere vinto da una donna, perch coloro che enunciano, esercitano, seguono e
cos facendo preservano i principi dell'ordine sociale sono in armonia con le gerarchie fondamentali del mondo

18
La risposta di Emone, per, mette in luce tutti gli aspetti che svelano l'ambiguit ed il vuoto

interiore del padre (vv. 683-723): il timore che il popolo ha di lui, per via del suo atteggiamento

autoritario (vv. 690-691); la simpatia dei cittadini per Antigone e il serio rischio per Creonte di

incorrere nel biasimo generale e di perdere consenso, con la condanna della ragazza (vv. 692-

700); la stolta ostinazione nel credere di essere sempre nel giusto (vv. 705-706) e, soprattutto,

come emerge nella sticomitia successiva, il rifiuto di una grande verit, in base alla quale

nessuna citt appartiene ad un solo uomo; soltanto chi governa in un deserto pu credere che una

citt sia propriet di chi comanda37. Agli occhi del cieco Creonte, chiuso nell'affermazione della

sua volont indiscussa, le parole di Emone non possono che apparire quali frutto del

ragionamento di un giovane, schiavo di una donna38, e la sua decisione di uccidere Antigone

viene ribadita in tutta la sua irreversibilit (vv. 758-761).

Antigone, quindi, non incarna soltanto l'immagine di chi si oppone all'ordine costituito, ma il suo

atto di ribellione si fa crimine ancora pi efferato, perch a compierlo una donna; la sua azione,

in tal modo, assume i tratti di un oltraggio insopportabile, nei termini in cui essa rischia di

intaccare il dominio del patriarcato, su cui si fonda non solo il potere di Creonte, nello specifico

del dramma, ma, in generale, anche l'intero sistema della . Non va, del resto, dimenticato,

che proprio Pericle, nel celebre epitafio, a ricordare alle vedove dei caduti che la pi grande

virt per una donna che di lei si parli il meno possibile, la pi grande virt l'anonimato (Th.

2.45.2).

naturale. Nella misura in cui la femminilit incarna l'amorfo e l'anarchico notturno, la rivendicazione che fa una
donna del suo predominio trascende in assoluto ogni contesa privata, particolare. Essa sfida la cosmologia
razionale di cui una ben governata l'emblema. Ne consegue che infinitamente preferibile, perch pi
naturale, pi consono alle catastrofi di cui vittima l'ordine cosmico e umano, cadere, andare in rovina per
mano di un uomo (l'espressione di Creonte omerica) che soccombere a una donna o essere visto cadere sotto
la sua spinta (Steiner 1990 p. 267). In generale, sulla mascolinit dell'azione di Antigone si vedano Citti
1975-1976 pp. 484-488; Steiner 1990 pp. 266-267; Belardinelli 2010 pp. 20-22.
37 vv. 737-739: . . / . ; / .
.
38 v. 746: ; v. 756: , .

19
L'atteggiamento inflessibile ed arrogante di Creonte viene fuori anche dalla crudelt della pena

inflitta alla giovane: la nipote, infatti, non viene semplicemente condannata a morte, ma a lei

tocca di essere abbandonata in un luogo deserto, chiusa viva in una tomba sotterranea e l

lasciata sola a decidere se continuare a vivere o morire (vv. 774-780) 39. Come sottolinea

Belardinelli 2010 pp. 9-10, significativo che in questo passo utilizzato il sostantivo

(v. 775) per indicare il cibo da somministrare ad Antigone durante la sua prigionia; il vocabolo,

infatti, di ascendenza omerica, fa riferimento, nello specifico, al pasto di animali40. Antigone,

allora, considerata e trattata alla stregua di un animale e diviene quindi una sorta di capro

espiatorio per volont di Creonte, secondo il quale la morte della figlia di Edipo dovrebbe

rappresentare un monito per i cittadini di Tebe, al fine di evitare ulteriori atti di insubordinazione

contro il suo governo41.

Creonte , in definitiva, il tiranno della citt, il padrone assoluto che legifera, impone i suoi

comandi, mette a morte chi trasgredisce e stabilisce il confine tra bene e male, tra ci che

giusto e ci che non lo , per il bene della patria; eppure, il suo dominio si rivela in fin dei conti

illusorio, distruttivo e mai costruttivo, ed egli, nel negare la citt, finisce per negare se stesso, in

quanto micropolis che verifica nella propria coscienza la razionalit di un ordine pluralistico

armonicamente connesso, la razionalit della polis 42.

Nell'Edipo re, il personaggio di Edipo non si manifesta da subito nelle vesti di un tiranno, anzi

nei primi versi del dramma egli si definisce e come tale riconosciuto da tutti (v. 8),

sovrano attento alle sofferenze del suo popolo, il cui cuore geme per la citt schiacciata dalla

39 In realt, il decreto di Creonte prevedeva all'inizio per il trasgressore la lapidazione (vv. 35-36); in seguito, dopo
l'alterco con Emone, il sovrano stabilisce la commutazione della pena (vv. 773-780), per impedire che la citt
possa essere contaminata da una simile uccisione; cfr. sulla questione Belardinelli 2010 p. 2 n. 6.
40 Questo sostantivo, oltre che nel passo in questione, ricorre anche nel Filottete per indicare, non a caso, il cibo
dell'eroe sofocleo che, abbandonato sull'isola di Lemno, conduce una vita selvaggia, alla stregua di un animale
(cfr. vv. 43; 162; 707; 711; 1107). Sul termine si veda Belardinelli 2010 pp. 9-10 n. 32.
41 Belardinelli 2010 p. 10.
42 Lanza 1977 p. 159.

20
pestilenza, e si mostra disposto a tutto pur di liberare la sua gente dal flagello che la opprime (vv.

58-77). La seconda parte della tragedia segna, invece, il passaggio dall'Edipo buon sovrano

all'Edipo despota, che presenta i tratti tirannici pi tipici: l'ira, la paura, la presunzione, il

sospetto e l'empiet43. Come sottolinea Rodighiero 2000 p. 19, una caratteristica tipica degli eroi

sofoclei rappresentata dal fatto che il loro punto di vista destinato a evolversi e mutare con il

procedere degli eventi, man mano che un destino si compie e si svela un inganno. E cos Edipo

in un primo momento, sicuro di s e ignaro di quanto sta per accadere, si presenta politico,

comprensivo e paterno44, sofferente non soltanto per lui ma per l'intera comunit; non appena,

per, il suo sistema di certezze viene messo in crisi e rischia di crollare, egli si fa tiranno

intransigente. Il suo atteggiamento tirannico, che stravolge il personaggio, lo contrappone agli

altri e lo trasforma in un dominatore solitario, schiavo della paura, , dunque, dettato dalla
43 L'interpretazione tirannica dell'Edipo re ha tratto il suo impulso a partire dai lavori di Vernant 1976 pp. 82-85;
112-114; essa stata accuratamente sviluppata da Lanza 1977 pp. 141-144, ma stata ripresa anche di recente da
Cerri 1992 p. 322; Francis 1992 pp. 340-353; Ugolini 2000 pp. 129-131. Tale linea esegetica non stata, per, da
tutti condivisa e non ha mancato di sollevare polemiche a riguardo. Da ultimo, Condello 2009 pp. 69-109, al
quale, tra l'altro, si rimanda per l'accurata bibliografia sulla questione, imputa una simile lettura alla critica
colpevolistica, che individua, appunto, nei tratti tirannici di Edipo la colpa tragica dell'eroe. Lo studioso, per,
ritiene che essa sia estremamente riduttiva, a fronte della complessit e dell'irriducibilit della tragedia sofoclea,
in cui egli, riprendendo l'equivalenza stabilita da Knox 1975 pp. 61-67 - Edipo Atene -, vede piuttosto il
tentativo del tragediografo, tentativo destinato a restare in sospeso, di fornire una risposta storica dinanzi alla
crisi storica della cultura ateniese, di un'Atene che significa innanzitutto la cultura del razionalismo politico,
etico, tecnico di marca latu sensu sofistica o periclea, della quale Sofocle sembra riconoscere a un tempo
grandezza e insufficienza, eroismo e miseria (Condello 2009 p. 108); non a caso, a suo avviso, il ruolo di guida
politica, lasciato vacante da Edipo alla fine del dramma, assunto da un Creonte incapace di decisioni, in un
irrisolto conflitto fra due stili di leadership che l'esito ultimo, aperto e aporetico, della tragedia, dove il
giudizio di Sofocle attraverso la complessa macchina testuale o ideologica dell'Edipo re destinato a restare
splendidamente indeciso (Condello 2009 p. 109). Condello 2009 pp. 76-78, inoltre, nell'affrontare la questione
dell'attribuzione ad Edipo della qualifica di , sostiene che essa sia del tutto irrilevante, dal momento che
nelle quindici occorrenze di questo termine e dei suoi derivati vi una netta prevalenza del valore neutro.
Ammettendo anche che questo sia vero, sulla base di quanto scritto precedentemente su e affini, c' da
aggiungere che lo stesso O Neil 1986 p. 34, fermamente convinto del fatto che non sia individuabile alcuna
valenza negativa del termine in relazione ad Edipo, avanza, per, il dubbio che il pubblico ateniese possa aver
percepito l'utilizzo di quelle parole come an ominous choise; e, pi di recente, Budelmann 2000 pp. 218-219,
pur riconoscendo che nessuno dei personaggi, che definisce il potere di Edipo, lo consideri un cattivo
sovrano da destituire, nota tuttavia una singolare coincidenza nella tragedia: e derivati start appearing
at a time when Oedipus is a man who is more concerned with himself than with the large group, at a time when
he sees himself as a ruler under threat, as an individual with an uncertain past and as much else, but not as a
saviour (p. 219). A suo avviso, dunque, il ricorso a queste parole sottolinea inevitabilmente l'emergere di un
atteggiamento egoistico in Edipo che, come tipico del tiranno, si mostra pi attento al proprio vantaggio che al
bene della comunit.
44 Rodighiero 2000 p. 19.

21
prepotenza e dall'ostinato rifiuto di conoscere la verit. La contesa con Tiresia (vv. 300-462)

segna l'inizio del processo di degenerazione dell'eroe, quel processo che ha, poi, il suo seguito

nello scontro con Creonte (vv. 532-633).

Nel confronto iniziale con l'indovino, Edipo, ancora tranquillo, non esita a riconoscere l'autorit

della sua arte profetica e a vedere in lui il solo salvatore e difensore della citt, grazie ai suoi

vaticini (vv. 300-315). Successivamente, nel momento in cui le parole del vate fanno balenare la

minaccia del sospetto e cominciano ad alludere all'oscura verit che incombe sul suo destino, il

linguaggio del sovrano subisce un cambiamento repentino ed assume il ritmo parossistico

dell'espressione concitata di chi rifiuta che qualcuno che svela l'impensabile possa avere ragione,

possa anzi avere la ragione45. Al non sapere di Edipo fa da contraltare la conoscenza di

Tiresia, il quale non ha timore di incolparlo della morte di Laio (v. 362) e di svelargli

l'inconsapevole unione incestuosa con i suoi cari (vv. 366-367). Ecco, allora, che agli occhi di

Edipo, in preda alla totale confusione, l'indovino diventa un ciarlatano falso e bugiardo e

Creonte, l'amico fidato, il fratello della sua sposa, viene giudicato un traditore, intenzionato a

tramare un complotto contro di lui per conquistare quel potere che egli rappresenta e che, per

altro, non esita, al v. 380, a definire (vv. 380-403). Ira smodata, aggressivit, eccesso

d'orgoglio e irriverenza religiosa sono, dunque, le principali caratteristiche edipiche che

emergono dalla scena dialogica con l'indovino, in cui , soprattutto la rabbia a fare da padrona e

ad essere ampiamente esemplificata, come dimostra la frequente e impressionante ricorrenza di

e derivati46. la rabbia incontenibile che Tiresia imputa, in primo luogo, ad Edipo e che,

45 Rodighiero 2000 p. 21.


46 vv. 335; 337; 339; 344-345; 364; 405. Condello 2009 pp. 78-79 ritiene che nel famigerato scontro con Tiresia la
rabbia di Edipo non sia dettata dal suo carattere intransigente, ma sia da giustificare per via delle ripetute offese
dell'indovino (vv. 324-325; 328-329); secondo lo studioso, anzi, le continue provocazioni sono sempre aggirate
da Edipo con toni persuasivi e supplichevoli (vv. 319; 326-327). A mio avviso, invece, l'eroe mantiene un
atteggiamento rispettoso solo nella parte iniziale del dialogo, quando ancora ignaro di tutto; non appena, per,
le parole di Tiresia lasciano intravedere il sospetto della colpa, Edipo, schiavo della paura, assume
repentinamente un tono aggressivo e prepotente.

22
alla fine, lo conduce ad accusare il sovrano di e a rivendicare il diritto di replica: se

anche Edipo un , a lui spetta comunque il diritto di parlare a partire da una condizione

di eguaglianza, dal momento che egli non un suo schiavo, ma un uomo al servizio di Apollo

(vv. 408-410: , / /

, ). La terminologia usata in questi tre versi non sacerdotale,

a tutti gli effetti politica47. L'indovino, che pure non rinuncia a svelare la verit (vv. 447-462),

finisce per restare inascoltato e viene bruscamente cacciato dalla scena.

Ancora pi complesso, ma nello stesso tempo incisivo, si rivela il successivo scontro con

Creonte, che al suo arrivo in scena qualifica immediatamente Edipo come (v. 514:

). Il dialogo significativo, innanzitutto perch delinea due sistemi di vita

messi a confronto e contiene vere e proprie affermazioni gnomiche sul carattere della tirannide.

Edipo accusa il cognato di voler farsi al suo posto (v. 535:

), un progetto del tutto insensato, dal momento che non si pu pretendere di assumere

il potere senza consenso popolare e senza alleati e denaro48; Creonte, preoccupato di allontanare

da s il sospetto del complotto, replica, richiamando alla e, di conseguenza,

insistendo sull'inopportunit della tirannide: egli non potrebbe aspirare alla , perch essa

fonte di paura e di sofferenza, nonch privazione della libert49. La reazione di Edipo , ancora

una volta, aggressiva e intransigente: Creonte un traditore e a lui spetta solo la morte (vv. 618-

623).

difficile negare una certa somiglianza tra il comportamento di Edipo in questa scena e quello

47 Cfr. Lanza 1977 pp. 145-146.


48 vv. 540-542: , / / ,
;
49 vv. 584-593: , , / /
, . / /
, / . / , / ,
. / / ;

23
del Creonte dell'Antigone nello scontro con la ribelle50 (vv. 441-525): entrambi gridano al

complotto (Ant. vv. 493-496; OT vv. 532-542), entrambi tentano di costringere l'interlocutore alla

confessione (Ant. vv. 441-442; 446-447; 449; OT vv. 555-575) e minacciano di morte l'accusato

(Ant. vv. 497-498; 524-525; OT v. 623). Quando, poi, Edipo fa appello alla citt (v. 629: ,

), Creonte gli risponde che la non appartiene soltanto a lui (v. 630:

, ) e questa espressione richiama con forza proprio la replica di Emone al

padre, nell'Antigone, secondo cui nessuna citt propriet di un uomo solo (v. 737:

).

L'arrivo in scena di Giocasta al v. 634 pone fine al diverbio tra Edipo e Creonte, ma ormai

chiaro che il rifiuto di conoscere la verit ha condotto l'eroe sofocleo ad assumere un

atteggiamento tirannico; la sua prepotenza () a renderlo tiranno e il coro lo ribadisce in

maniera esplicita nel secondo stasimo dedicato al dio di Delfi51 (vv. 863-910), allorch afferma

che (v. 873), una vera e propria condanna religiosa della tirannide come

empiet, infrazione religiosa operata da un atteggiamento di prepotenza 52.

Va, per, sottolineato che nell'Edipo re la tirannicit del protagonista non prosegue indisturbata

per tutta la tragedia, ma, come giustamente fa notare Lanza 1977 p. 142, rappresenta soltanto un
50 Sulle somiglianze fra le due scene si vedano Turolla 1948 pp. 101-102; Adams 1957 pp. 94-95; Webster 1969
pp. 45-46; Hester 1977 pp. 39-40; Ugolini 2000 pp. 121-136; Ehrenberg 2001 pp. 98; 106-107. Non manca,
per, chi si mostra di parere contrario e mette in luce le differenze; cfr., a riguardo, Perrotta 1935 p 232; Pohlenz
1961 p. 103; Cameron 1968 p. 45; Reinhardt 1990 pp. 117-118; Paduano 1994 pp. 96-98 e, da ultimo, Condello
2009 pp. 80-83, il quale sottolinea che, mentre il Creonte dell'Antigone del tutto isolato, con un'opinione
pubblica unanime e ridotta al silenzio dalla paura, e si pone come capo assoluto della citt, incapace di tollerare
dissensi o repliche, il comportamento di Edipo molto pi docile e accondiscendente; egli garantisce sempre il
diritto di replica all'interlocutore, a Tiresia come a Creonte, tratta alla pari Giocasta e il cognato, non perde mai il
favore del coro e, infine, non manda a morte il suo nemico (Creonte).
51 Il secondo stasimo dell'Edipo re, in realt, stato oggetto di numerosi studi, nonch di molteplici letture e il
giudizio espresso dal coro sulla tirannide stato ora riferito ad Edipo, ora a Giocasta, ora agli stessi Tiresia e
Creonte, coinvolti in una congiura ai danni del sovrano; anche se riferito ad Edipo, inoltre, non mancato chi ha
visto nel pronunciamento del coro un semplice monito rivolto ad un sovrano amato che, per questo, suscita la
preoccupazione dei suoi seguaci. Le parole del coro, infine, potrebbero anche riferirsi, in generale, ai rischi di
ogni forma di potere o, addirittura, rappresentare una sorta di parabasi tragica rivolta al pubblico, onde
metterlo in guardia dal pericolo di una tirannide storica. Per un'analisi approfondita dello stasimo si rimanda a
Condello 2009 pp. 102-109 (con relativa bibliografia).
52 Lanza 1977 p. 147.

24
preciso momento drammatico; essa strettamente legata alla fase precedente al raggiungimento

della verit e viene meno nel momento stesso in cui il vero si manifesta senza possibilit di

equivoco. Nella parte finale del dramma, infatti, dopo la rivelazione della propria identit, Edipo

abbandona il campo della blasfemia e dell'empiet e si fa punitore di se stesso, vittima

inconsapevole di un destino avverso (vv. 1308-1523).

Nelle Fenicie di Euripide, il tema politico emerge con forza nel primo episodio (vv. 469-585),

che prende la forma di un agone di discorsi contrapposti e inconciliabili, dal quale nessuno dei

contendenti esce vincitore: quello che dovrebbe essere un incontro di conciliazione tra Eteocle e

Polinice dinanzi a Giocasta, si trasforma in un vero e proprio scontro di personaggi,

anticipazione del successivo fratricidio reciproco 53.

Le Fenicie vengono rappresentate tra il 410 e il 408 a.C.54, in un'Atene, che non solo sconta

ancora lo scacco della fallita spedizione in Sicilia, ma che anche reduce da un momento

difficilissimo della sua vita politica, il colpo di stato oligarchico del 411 a.C.; alla luce di questo,

le opposte argomentazioni dei due fratelli, che si affrontano in una brutale lotta per il potere, e

l'intervento conciliatorio della madre, destinato a fallire, acquistano un'importanza ancora

maggiore, perch dovevano, per forza di cose, richiamare nella mente degli spettatori il ricordo

dei recenti avvenimenti e riprendere, in qualche modo, il dibattito politico contemporaneo 55.

Il discorso di Polinice (vv. 469-496) si basa sulla dimostrazione della legittimit della sua

richiesta: egli per primo si preoccupato dell'interesse di Tebe e, spontaneamente, ha

abbandonato la sua terra, per evitare la maledizione di Edipo, in attesa di riprendere il potere, una

volta giunto il suo turno (vv. 473-480); Eteocle, invece, non ha mantenuto la sua promessa e si

tiene il potere e la sua parte di casa (vv. 482-483: / ). Polinice offre,


53 Cfr. Lanza 1977 p. 130; Medda 2006 p. 27.
54 Per la data di rappresentazione delle Fenicie si rimanda a Di Benedetto 1971 p. 203 n. 32; Mastronarde 1994 pp.
11-14; Medda 2006 pp. 77-81.
55 Cfr. Di Benedetto 1971 pp. 203-204; Medda 2006 pp. 27-28.

25
poi, la possibilit di una soluzione pacifica, cio si mostra disposto a rinunciare all'assedio se il

fratello terr fede al patto di alternanza (vv. 484-489); in caso contrario, non esiter a distruggere

la citt, in nome della giustizia (vv. 490-493). Egli , dunque, convinto di avere la ragione e la

giustizia dalla sua parte e, incurante delle sofferenze che infligger inevitabilmente alla sua

gente, pensa di essere autorizzato a qualsiasi iniziativa 56.

La risposta di Eteocle (vv. 499-525) si configura come un vero e proprio elogio della tirannide: la

, personificata e presentata quale la pi grande delle dee (v. 506: ),

ci che lui intende conquistare e detenere, il bene supremo che non disposto a cedere a

nessuno, costi quel che costi (vv. 507-508: , , /

); codardia , infatti, se uno lascia il pi per prendere il meno

(vv. 509-510: , / ) e infamia ()

per tutta Tebe ne deriverebbe, se egli, per paura della lancia micenea, lasciasse il suo scettro nelle

mani del fratello (vv. 512-514); se, dunque, Polinice intenzionato a vivere a Tebe ad altro titolo,

cio non da re, gli concesso, ma il potere spetta solo a lui (vv. 518-519); venga pure il fuoco,

vengano le spade, si aggioghino i cavalli, si riempia la pianura di carri, ma lui non ceder mai il

suo potere; se necessario agire ingiustamente, la cosa migliore farlo per la e gli di

siano rispettati per tutto il resto57. Secondo Eteocle, quindi, la tirannide, associata alla ricchezza e

alla felicit, il solo scopo a cui un uomo di valore deve tendere e, in spregio al valore

dell'uguaglianza, egli mira all'acquisizione di un potere personale e fa proprio anche il principio

del voler avere di pi, che si esplica nella forma di una prepotente affermazione di s sugli

altri58. Sarebbe, del resto, un comportamento da vile lasciare il pi per prendersi il meno e
56 Per un'analisi accurata del passo si veda Mastronarde 1994 pp. 280-287; cfr. anche Medda 2006 pp. 32-33.
57 vv. 521-525: , , / , , /
. / , / ,
. Sull'intero discorso di Polinice si veda, per un'analisi dettagliata, Mastronarde 1994 pp. 288-296; Medda
2006 pp. 33-41; pp. 172-175 nn. 95-97.
58 Questo concetto, strettamente connesso a quello dell', ricorre anche nel Gorgia di Platone, quando

26
sarebbe una vergogna per Tebe che il suo sovrano cedesse a delle minacce. Eteocle, in tal modo,

non solo trova un'adeguata giustificazione alla tirannide, ma crea persino un'accorta

identificazione tra il suo interesse e quello della citt, un meccanismo tipico di uomini politici

intenzionati ad ottenere il consenso pubblico, in difesa di una politica dettata dall'imprudenza

individuale59. Eteocle ricorre ai motivi della vilt e del biasimo, propri della morale omerica, per

sfruttarli a suo vantaggio; egli, infatti, ha ben poco dell'eroe omerico, perch la sua ambizione

non consiste nell'omerica ricerca della gloria, ma solo nel desiderio smodato di ricchezza e

dietro quel di pi ch'egli rivendica e che viola la legge universale dell'uguaglianza ed perci

empiet, non vi la disuguaglianza di Achille, ma un'altra disuguaglianza assai meno lontana

dallo spettatore ateniese60.

Ad Eteocle che si presenta come il paladino di Tebe, citt che vive e si riconosce in lui e nelle

sue decisioni, si contrappone l'intervento di Giocasta (vv. 528-567), la quale riprende ad una ad

una le argomentazioni del figlio, per smontarle e ritorcergliele contro; la donna, pur incapace di

incidere sui fatti, offre un'accurata valutazione etico-politica della vicenda, nei toni di un vero e

proprio elogio della democrazia, e finisce col negare totalmente l'autorit del figlio e con lo

strappare una volta per tutte al personaggio l'aura di re preoccupato del bene comune, stabilendo

una netta antitesi tra la conservazione del potere e la sopravvivenza della polis61. Eteocle si

Callicle sostiene la tesi che le leggi sono state create dai deboli per arginare la superiorit dei pi forti e dichiara
che, al fine di impedire che questi ultimi abbiano il sopravvento, la massa debole, attraverso lo strumento delle
leggi, ha imposto l'idea che sia ingiustizia il cercare di avere pi degli altri, mentre la stessa natura vuole che
questo avvenga, cio che i migliori e i pi potenti posseggano di pi dei peggiori e dei meno potenti (483 c-d).
Poco pi avanti, lo stesso personaggio ribadisce il concetto, affermando che solo i deboli, incapaci di soddisfare i
loro desideri - a differenza dei forti - lodano la moderazione e la giustizia a causa della loro codardia (492b 1).
Sul confronto tra le affermazioni dell'Eteocle euripideo e Platone si vedano Mastronarde 1994 p. 293; Medda
2006 pp. 36-39.
59 Mastronarde 1994 p. 293: Et. now exploits the issue of shame (, ) in a patriotic fashion in
order to imply an identity of interest between himself and the city as a whole a typical ploy of politicians for
generating public support in defence of a policy actually dictated by individual imprudence or vice.
60 Lanza 1977 pp. 137-138.
61 Per un'attenta analisi del discorso di Giocasta si rimanda a Lanza 1977 pp. 134-140; Mastronarde 1994 pp. 297-
319; Medda 2006 pp. 42-46.

27
lasciato irretire dal fascino di Ambizione (), la peggiore tra gli di, una dea ingiusta

( ), che ha condotto alla rovina molte case e citt62. Ad Ambizione Giocasta oppone

l'Uguaglianza (), la sola dea che permette lo sviluppo di pacifiche e durature relazioni tra

le persone, le citt e gli alleati; solo ci che uguale giusto per gli uomini, mentre la disparit

tra deboli e forti fonte di odio e conflitto sociale63. La , tanto amata da Eteocle,

soltanto una sfortunata ingiustizia (v. 549: )64, la fama un vacuo piacere

(v. 551) e quel di pi, a cui il figlio mira con tanta foga, non che una parola (v. 553:

; )65; alle persone sagge basta il necessario (v. 554). Se Eteocle

sceglier di (v. 561) esporr Tebe al rischio della distruzione e le donne della sua terra

a quello della schiavit e della violenza (vv. 561-565). Giocasta, poi, risponde anche a Polinice

(vv. 568-583) e lo accusa di stoltezza e di cecit, due mali che non potranno non condurlo

inevitabilmente alla rovina: in caso di vittoria, infatti, raggiunger una fama disgraziata che

nessuno vorrebbe avere, una fama ottenuta col sangue della sua gente e la schiavit delle sue

donne (vv. 569-577); in caso di sconfitta, l'esito sar ugualmente doloroso, perch la morte di

molti Argivi lo render odioso a coloro che lo hanno accolto esule e gli impedir di continuare a

vivere in quella citt (vv. 578-583). E, allora, l'invito finale, rivolto ad entrambi i figli, quello di
62 vv. 531- 534: / , ; /
/ ; Giocasta considera un
sinonimo di , come dimostra anche l'equivalenza di (v. 561) e (v. 567); sul
significato specifico del sostantivo cfr. Mastronarde 1994 pp. 299-300; Medda 2006 pp. 44-45 n. 65.
63 vv. 535-540: , , / , /
/ , / /
.
64 Mastronarde 1994 pp. 308-309 sottolinea che a striking oxymoron, combining two
opposing straims of the Greek tradition, admiration of tyranny as the opportunity to satisfy all one's desires and
condemnation of it as the ultimate injustice. In context, of course, Joc. speaks with irony, and the next
lines are devoted to arguing that the supposed advantages of tyranny are really empty. Per il tema tradizionale
di ammirazione della tirannide come fonte di benessere e felicit cfr. Medda 2006 p. 35.
65 significativo che Giocasta usa qui il termine , lo stesso utilizzato dal Eteocle al v. 509, che descrive
perfettamente la competizione umana per il possesso di beni e per il potere, e mostra, cos, come il tiranno,
impersonato in questo caso dal figlio, sia the supreme example of the , just as tyrannis is the
strongest temptation to the unwise in choosing a life (Mastronarde 1994 p. 303). La condanna del e
la sua convenzionale associazione con ricorre anche in Th. 1.77.4; X. Mem. 2.6.23; Anon. Iamblichi 89.6
D.-K.; cfr., nello specifico, Mastronarde 1994 p. 303; Medda 2006 p. 36 n. 51.

28
abbandonare l'eccesso ( ), perch una duplice stoltezza ( ) la sciagura pi

amara (vv. 584-585).

Nelle Fenicie, dunque, Euripide fa pronunciare a Giocasta un vero e proprio atto di fede

nell'organizzazione democratica ed egualitaria della citt, messa in pericolo da chi mira ad un

potere personale anche a discapito del bene collettivo, e, in un'Atene reduce dal colpo di stato

oligarchico, quelle parole dovevano certamente rievocare i recenti avvenimenti e richiamare il

dibattito politico contemporaneo66, cos come dietro il rifiuto di Eteocle di adattarsi alla legge

dell'alternanza si staglia l'ombra dell'aspirazione alla signoria assoluta, a quella tirannide che,

bench fuori dalla storia ateniese da ormai un secolo, non aveva mai cessato di turbare i sonni

dei cittadini, e non soltanto a teatro 67.

Nelle Supplici di Euripide lo scenario cambia completamente, perch la figura del tiranno non

al centro di questa tragedia. Eppure, il dibattito tra l'araldo tebano e Teseo (vv. 399-462), che qui

interessa prendere in considerazione, presuppone sullo sfondo l'esistenza di un regime tirannico,

proprio quello di Creonte a Tebe, che, evidentemente, doveva essere altrimenti noto agli

spettatori. La disputa rappresenta una parentesi all'interno dell'intreccio drammatico, ma, nello

stesso tempo, degna di nota, in quanto contiene una delle pi complete descrizioni della

tirannide. Come scrive Lanza 1977 p. 100, la si pu considerare quasi una grande ekphrasis

dedicata all'esecrazione della tirannide. Il tebano entra in scena e chiede chi sia ad Atene

il a cui deve rivolgersi, per riferire i discorsi di Creonte, che governa () sulla

terra di Cadmo68. Probabilmente non nelle intenzioni dell'araldo avviare una discussione sul

sistema politico della citt e, usando la parola , egli vuole forse semplicemente far
66 Il sostantivo , da Giocasta personificato e presentato quale la pi giusta delle dee, esprime molto bene, la
connessione del principio di uguaglianza con la giustizia e l'armonia politica, un concetto tipico e molto
ricorrente nel dibattito filosofico del quinto secolo; sulla questione cfr. Mastronarde 1994 pp. 300-301.
67 Medda 2006 pp. 44-45.
68 vv. 399-402: ; / , , /
/ ;

29
riferimento al capo ateniese, ma il vocabolo, troppo scottante nell'Atene del quinto secolo, non

pu non suscitare una reazione di tipo emotivo da parte dell'interlocutore, la stessa che

evidentemente doveva, in qualche modo, scatenarsi anche nel pubblico69. Teseo, allora, non esita

a precisare che lo straniero ha iniziato male il discorso, cercando un tiranno (v. 404:

); la , infatti, non retta da un uomo solo, ma libera (v. 405:

); il popolo che comanda con successioni annuali a turno (v. 406: ) e non

c' maggior potere per la ricchezza, perch anche il povero gode di uguali diritti (vv. 407-408).

, a questo punto, che l'araldo attacca duramente il sistema democratico: la sua citt, dice, nelle

mani di un uomo solo e non in balia della massa (v. 411: ); questo un

bene, perch, in tal modo, non vi spazio per il demagogo di turno, che si gonfia di discorsi per

il proprio guadagno privato e, dapprima compiacente, conduce rapidamente la citt alla rovina,

per poi far scomparire le sue colpe con nuovi inganni e sottrarsi alla giustizia70. Alla netta

posizione antidemagogica fa seguito la messa in discussione della capacit del di

governare: il povero che lavora la terra (), anche se non ignorante, come potrebbe,

sotto il peso del lavoro, guardare agli interessi pubblici? davvero malsano per i migliori,

quando un uomo ignobile, che prima era nulla, arriva con la sua lingua a possedere il popolo71.

Viene spontaneo pensare, per contrasto, a quanto afferma Pericle nell'epitafio, quando elogia la

capacit degli Ateniesi di prendersi cura insieme delle faccende politiche e di quelle private,

della e degli 72.


69 Cfr. Lanza 1977 pp. 100-101. Musti 1997 p. 38 sottolinea che il dibattito tra i due personaggi fa certamente
appello a reazioni ateniesi di tipo emotivo e a dimostrarlo soprattutto, nelle parole iniziali dell'araldo, la
presenza dell'allitterazione, che col graffiante rotacismo del kr-, etimologicamente connesso alla parola krtos,
subito orienta l'ascoltatore nell'ottica di un potere tirannico (Krontos, hs krate v. 400).
70 vv. 412-416: / /
, / , / .
Per un'analisi del passo si veda Collard 1975 pp. 220-221.
71 vv. 420-425: / , /
. / , / / ,
.
72 Cfr. Th. 2.40.2; si veda in merito anche Collard 1975 p. 222.

30
Quel che stupisce che la risposta di Teseo (vv. 426-462) non prende affatto in considerazione

l'argomentazione dell'araldo tebano contro la demagogia, semplicemente la ignora

(cfr. Di Benedetto 1971 pp. 180-181). La sua replica, infatti, si attiene solo ai principi generali di

uguaglianza e libert di parola, che richiamano il manifesto democratico enunciato da Pericle in

Tucidide (2.37.1): non c' niente di pi dannoso per la citt di un (v. 429); laddove i

della democrazia sono , comuni (vv. 430-431), il tiranno, al contrario, esercita con la

forza il potere (v. 431: ), dopo essersi appropriato personalmente della legge (v. 431:

), in spregio al principio di uguaglianza (v. 432: ); in

presenza delle leggi scritte e di fronte ad esse (v. 433: ), il povero

() e il ricco () godono di uguale diritto (v. 434) ed entrambi hanno la possibilit

del libero intervento politico nell'assemblea, per portare il loro contributo e dare consigli e

suggerimenti (vv. 435-441); dove il popolo sovrano (v. 442: ), ci si

compiace che crescano giovani cittadini; chi re (v. 444: ), invece, sopprime

(v. 446: ) i migliori, che ritiene capaci di ragionare (v. 445: ), perch teme per il

suo potere tirannico (v. 446: ).

Come si vede, l' e l', che va ad identificarsi con l', cio la parit di diritti

nel parlare, e la , ossia il dire tutto ci che si vuole, diventano, nelle parole di Teseo, i

pilastri su cui si regge il sistema democratico ateniese, in netta opposizione alla tirannide,

caratterizzata dall'iniquit del potere e dal silenzio della paura73. Nessun accenno, per, alla

figura negativa del demagogo, che riempie di chiacchiere il popolo e finisce per ingannarlo.

Come chiarisce Musti 1997 p. 43, non c' risposta da parte di Teseo, perch non c' possibilit di

risposta: quanto l'araldo sostiene un dato di fatto, nel senso che la figura del demagogo un

rischio costante all'interno della pratica democratica e ne rappresenta l'aspetto degenerativo che,

73 Cfr. Musti 1997 pp. 42-43; nello specifico, sulla replica di Teseo si veda Collard 1975 pp. 224-233.

31
come tale, non pu essere oggetto di replica e di difesa; a tutti concesso il diritto di parola e, se

se ne serve anche un demagogo per fini negativi, parlare gli consentito, ma ci non toglie che

vada contrastato legalmente, senza compromettere il sistema in quanto tale.

Da un punto di vista socio-economico, poi, Teseo, nel suo discorso, ribadisce pi volte

l'uguaglianza tra ricchi e poveri sul piano politico, senza preoccuparsi minimamente di mettere in

discussione il concetto stesso di classe, come se si trattasse di una condizione naturale e

inevitabile. Tale concezione va di pari passo con quella teoria della valorizzazione della classe

media, sul piano della responsabilit e della partecipazione politica, espressa dallo stesso

personaggio alcuni versi prima (vv. 238-245). Dopo aver rivolto accuse nei riguardi di chi nella

sostiene una politica bellicista, in vista di obiettivi personali (vv. 195-237), Teseo fa, in

pochissimi versi, un excursus sulle varie classi sociali, per individuare quella in grado di salvare

la citt e fare il bene di tutti i cittadini; egli distingue tre parti nella cittadinanza: gli , inutili

e desiderosi di possedere sempre di pi, che, mancando di mezzi di sussistenza,

sono e, abbindolati dai discorsi di cattivi rappresentanti, si lasciano prendere dall'invidia e

attaccano i possidenti; c', infine, la parte che sta nel mezzo ( ), la sola che pu salvare

la , preservando l'ordine () che la citt come tale ha posto 74.

evidente che in questo passo Euripide esibisce un'ideologia centrista che esclude le parti pi

estreme, da un lato i ricchi, tesi soltanto all'accumulazione della ricchezza, dall'altro i

nullatenenti, strumento nelle mani dei demagoghi e vittime dell'invidia sociale, un male contro il

quale si era gi espresso Pericle, raccomandando ai poveri l'attivismo economico, cio l'impegno

74 vv. 238-245: / /
, / , / , /
. / , /
. stato avanzato da alcuni critici il sospetto di interpolazione per questi versi, ma la loro
ipotesi basata su argomenti poco convincenti; non si intende affrontare il problema in questa sede, ma sulla
questione si rimanda a Di Benedetto 1971 pp. 197-198; Collard 1975 pp. 171-174. In generale, per un'analisi
complessiva delle Supplici da un punto di vista politico-sociale si veda Di Benedetto 1971 pp. 154-192; nello
specifico, sulla teoria euripidea della classe media cfr. Di Benedetto 1971 pp. 193-211.

32
a cogliere tutte le opportunit offerte dal processo produttivo75. In termini pi strettamente

politici, il tragediografo si fa portavoce di una posizione moderata, a favore di quei gruppi che

auspicano un equilibrio politico, assumendo un atteggiamento di mediazione tra le parti pi

estreme, cio gli oligarchici e la democrazia radicale, impersonata dall'immagine negativa del

demagogo76.

La posizione politica del Teseo euripideo, che si basa s sull'esaltazione della libert di parola e

di voto, ma pure su una forte critica antidemagogica e, in particolare, su un violento attacco nei

riguardi della protesta sociale dei nullatenenti e di ogni forma di estremismo in stretta

assonanza con la politica di Pericle77 - si spiega alla luce del fatto che la democrazia classica non

un sistema politico rivoluzionario78. Essa prevede sempre l'esistenza di una classe dirigente,

espressione dei ceti pi abbienti, e di un capo politico, pi o meno moderato ed equo, che assume

una funzione di controllo sul corpo civico. Per quanto, poi, la democratica affronti il tema

della disuguaglianza sociale e non si mostri indifferente al problema dell'indigenza e del bisogno

economico, tale attenzione non si tramuta mai in un rovesciamento dei rapporti di propriet, per

il superamento del concetto stesso di classe, ma si esprime nei termini di una politica di

intervento sociale dall'alto 79.


75 Cfr. Th. 2.40.1; in generale, si veda Musti 1997 pp. 44-48.
76 Cfr. Di Benedetto 1971 pp. 198-199.
77 Di Benedetto 1971 pp. 179-180 non esita a individuare Pericle dietro il Teseo delle Supplici. Lo studioso mette in
evidenza i vv. 349-353, in cui Teseo dichiara di aver concesso la libert e il diritto di voto a tutto il popolo; per
questa ragione, prosegue, al popolo che deve rivolgersi, prima di decidere se aiutare gli Argivi, ma non ha
dubbi sul fatto che il parere popolare coincida con il suo: volendolo io, anche la citt sar d'accordo (vv. 349-
350: . / ). Questi versi offrono chiaramente una
raffigurazione di Teseo in termini periclei, dal momento che rispecchiano in pieno il giudizio di Tucidide su
Pericle, giudizio in base al quale lo statista ateniese, in quanto , era capace di tenere sotto controllo
la massa () e non si lasciava condurre da essa (2.65.8-9).
78 Cfr. Musti 1997 p. 48.
79 Gi Engels, del resto, nell'Origine della famiglia, della propriet privata e dello stato, aveva sottolineato che la
struttura della democratica ateniese si pone, innanzitutto, quale punto di arrivo di un lungo e graduale
processo politico scaturito dall'introduzione della propriet privata, dal momento che l'introduzione di
quest'ultima, lo scambio tra individui, la trasformazione dei prodotti in merci e, dunque, l'affermarsi
dell'economia monetaria, mettono ben presto in crisi nel mondo greco l'originaria organizzazione gentilizia e
fanno scaturire la necessit di un'istituzione che assicuri le ricchezze degli individui contro le tradizioni
comunistiche dell'ordinamento gentilizio, che riconosca la propriet privata e la consideri lo scopo pi alto di

33
La democrazia greca affida agli abbienti, magari a quella classe media di cui si fa difensore

Euripide nelle Supplici, il compito di salvare la citt e la responsabilit di provvedere in qualche

modo alle necessit di poveri ed emarginati, in una dinamica politica che non si presenta come

ogni comunit umana, che dia un riconoscimento sociale all'aumento continuamente accelerato della ricchezza,
che sancisca una volta per tutte la divisione della societ in classi e, soprattutto, garantisca alla classe dominante
il diritto allo sfruttamento della classe non abbiente e la piena giustificazione del dominio di quella classe su
questa. Una simile istituzione arriva, con l'invenzione dello Stato. E la storia politica ateniese permette di
seguire, almeno nella prima fase, come si sia sviluppato lo Stato, dagli originari organi della costituzione
gentilizia alla loro completa sostituzione con effettive autorit statali. Gi in et eroica, infatti, viene introdotta la
costituzione attribuita a Teseo, in base alla quale tutto il territorio della regione viene assoggettato ad
un'amministrazione centrale posta ad Atene, nasce un diritto pubblico generale ateniese, che si colloca al di sopra
delle consuetudini giuridiche delle trib e delle gentes, ed il popolo, senza considerazione di gens, fratria o trib,
viene diviso in tre classi, nobili, agricoltori e artigiani, con l'assegnazione soltanto ai primi del diritto esclusivo di
occupare uffici pubblici; si smembrano, in tal modo, le gentes, ossia si dividono i membri di ciascuna gens in
privilegiati e non privilegiati e questi ultimi, a loro volta, in due classi di mestiere, ponendoli gli uni contro gli
altri. Il passo successivo, in piena epoca storica, la riforma di Solone, un ulteriore attacco concreto alla
costituzione gentilizia. La crescita e il dominio della nobilt, residente in gran parte ad Atene per via del
commercio marittimo - fonte di appropriazione della ricchezza monetaria - la rovina dei piccoli contadini
dell'Attica, ormai privi della tutela degli antichi legami gentilizi, l'obbligazione e l'ipoteca sui beni, la nascita del
nuovo diritto - che garantisce il creditore nei riguardi del debitore, consacra lo sfruttamento del piccolo
contadino da parte del possessore di denaro e favorisce la schiavit per debiti - il conseguente aumento del
numero degli schiavi, nonch del numero di stranieri, che si riversano via via ad Atene per la maggiore facilit di
guadagno, tutto questo spinge Solone a varare una nuova costituzione: il legislatore invalida i debiti, proibisce la
schiavit per debiti, pone un limite alla propriet fondiaria che un individuo pu possedere, crea un consiglio di
quattrocento membri, cento per ogni trib, ma soprattutto divide i cittadini in quattro classi, secondo il loro
possesso fondiario ed il relativo reddito, pentacosiomedimni, cavalieri, zeugiti e teti, garantendo la pienezza dei
diritti politici ai primi tre e assegnando alla quarta classe solo il diritto di parola e di voto nell'assemblea
popolare. La riforma soloniana, quindi, sancisce l'introduzione ufficiale della propriet privata nella costituzione
e assesta un duro colpo all'ordinamento gentilizio: i diritti e i doveri dei cittadini vengono distribuiti e definiti in
base alla grandezza della loro propriet fondiaria e gli antichi organismi basati sulla consanguineit vengono
man mano soppiantati dal prestigio sempre crescente acquisito dalle classi possidenti. La sconfitta ed il tracollo
definitivo della societ gentilizia si ha, per, solo con Clistene. Il riformatore ignora del tutto le quattro antiche
trib attiche fondate su gentes e fratrie e introduce una nuova organizzazione che prevede la divisione dei
cittadini secondo il luogo di residenza: non pi il popolo, ma il territorio che viene diviso e gli abitanti ne
diventano politicamente una semplice appendice, operazione tipica di una forma politica, come quella ateniese,
in cui, accanto al centro urbano, anche la campagna rappresenta una componente essenziale con la sua
autonomia locale. Si spiega, cos, la razionale creazione di cento demi, amministrati autonomamente e
raggruppati in dieci trib locali, ognuna delle quali elegge cinquanta consiglieri nella boul di Atene; al consiglio
dei cinquecento va, poi, aggiunta, in ultima istanza, l'assemblea popolare, alla quale ogni cittadino accede con
diritto di voto, mentre arconti ed altri funzionari si occupano dei diversi rami dell'amministrazione e della
giurisdizione. Clistene, dunque, non fa altro che seguire la strada tracciata da Solone; il riformatore, infatti,
conserva le distinzioni censitarie e la divisione in classi, stabilite dalla costituzione del suo predecessore, e non
opera alcuna ridistribuzione delle terre, anzi salvaguardia la propriet privata della terra, assicura ai nobili il
mantenimento dei loro possessi e, in tal modo, conduce il processo di formazione dello stato ateniese al suo
punto conclusivo Per l'opera di Engels e, nello specifico, per la sua analisi della societ ateniese, qui sintetizzata,
si veda l'edizione di Codino 2005 pp. 137-147.

34
un sommovimento dal basso verso l'alto, ma come un movimento dall'alto verso il basso, o dalla

vastissima zona mediana verso le frange estreme, per riassorbirle e integrarle 80.

3. Pericle tiranno nella commedia politica di Cratino

Il passo delle Supplici, appena analizzato, permette di ricondurre l'asse del discorso alla

commedia di Cratino e, di conseguenza, alla politica di Pericle ad Atene.

Come si tentato di dimostrare, nella tragedia attica l'attacco alla tirannide, laddove sia

rintracciabile con un certo margine di sicurezza, rispecchia essenzialmente lo spirito

antiautoritario della ateniese, che ha la sua linea-guida nella politica ideologica degli

Alcmeonidi, la nobile famiglia di cui Pericle faceva parte. Non a caso, quindi, il discorso di

Teseo nel dramma euripideo, tutto incentrato sulla difesa dell'uguaglianza e della libert di

espressione, come pure le parole di Giocasta nelle Fenicie, presentano, come si visto, molti

punti di contatto con le idee politiche dello statista.

Nelle commedie di Cratino, invece, Pericle diventa un , imperialista e guerrafondaio,

primo responsabile della rovina di Atene. Ci che qui si intende rilevare che quella, che a prima

vista pu sembrare un'incoerenza di fondo, non che una contraddizione apparente.

L'attacco politico, costantemente presente nella commedia dell'archaia, stato, a mio avviso,

molto spesso sottovalutato negli studi moderni e inteso semplicemente quale puro scherzo

parodico o, peggio, quale carnevalesco gioco di evasione dal reale, piuttosto che come una forma

80 Musti 1997 p. 48.

35
di dissenso politico, uno strumento di analisi delle condizioni politico-sociali della citt e, di

conseguenza, anche come un monito a riflettere sulla realt contingente, nell'ottica di un teatro

politico, specchio diretto della , dei suoi meriti e delle sue contraddizioni. Questo secondo

punto di vista quello che si vuole riaffermare con forza in questa sede, a partire proprio dalla

descrizione di Pericle presente nella produzione comica di Cratino, una descrizione che, seppur

frammentaria, trova, come si vedr, un valido riscontro nel ritratto pi completo, che dello

statista ci giunto, quello fornito da Tucidide nella sua opera storiografica.

Punto di partenza , senza dubbio, il famoso epitafio, il discorso tenuto dallo stratega, in teoria

per commemorare i caduti del primo anno di guerra, di fatto per tessere un elogio del sistema

democratico da lui rappresentato (Th. 2.35-46). Il celebre discorso tutto dominato dal senso

della come un organismo unitario, con un rapporto armonico tra tutte le sue parti e privo di

contrasti sociali: tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge e partecipano all'amministrazione

dello stato, non in base alla loro condizione economica, ma secondo i propri meriti (2.37.1); la

vita pubblica si fonda sul principio inviolabile della libert (2.37.2); il diritto di ospitalit

sacrosanto e costantemente rispettato (2.39.1); l'intero corpo civico dedica cura e attenzione,

nello stesso tempo, agli affari privati e a quelli politici, dal momento che un cittadino

disimpegnato reputato inutile 81 (2.40.2). Ma era davvero cos nella realt quotidiana?

Pericle parla a nome di tutta la citt e costruisce l'intero discorso sull'idea di un noi che lo

associa al popolo e che, come sottolinea Musti 1997 p. 6, gli permette di abbattere qualunque

distanza con l'uditorio e, in tal modo, di evitare di suscitare invidia, destando il sospetto di voler

essere l'interprete unico del miracolo ateniese; si tratta, ovviamente, del noto meccanismo

mistificatorio per cui chi detiene il potere tende a presentarsi non come esponente di un gruppo,

81 Per un'analisi dell'epitafio pericleo si veda Musti 1997 pp. 3-19.

36
ma di tutto lo stato82. Ne consegue, dunque, che l'analisi periclea della democrazia ateniese non

pu non essere, a sua volta, soggetta ad una certa mistificazione e, pertanto, va presa in

considerazione con la dovuta cautela.

Pericle sostiene che ad Atene tutti i cittadini sono liberi e uguali di fronte alla legge,

un'affermazione che pu essere ritenuta anche vera, a patto, per, che si definisca in maniera

precisa il corpo civico. Se l'insieme dei che, in quanto tali, esercitano la

cittadinanza e, di conseguenza, i diritti politici, questo vuol dire che la garanzia della libert

strettamente legata alla barriera del diritto di cittadinanza, ritenuto nel mondo greco un bene

prezioso da concedere con parsimonia, sulla base di requisiti rigidi ed escludenti, al fine di

limitare al massimo il numero dei beneficiari. In et periclea, infatti, sono riconosciuti come

cittadini solo i maschi adulti (in et militare), rigorosamente figli di padre e madre ateniese e

liberi di nascita. evidente che la limitazione molto forte, soprattutto se si considera il

consistente numero di schiavi, di nati da un solo genitore ateniese e di stranieri immigrati, che

doveva costituire certamente la maggioranza in una citt cos dedita al commercio e sempre in

contatto col mondo esterno. Canfora 2008 p. 34, poi, sottolinea che in epoca classica il concetto

di cittadinanza racchiuso nell'identificazione cittadino/guerriero, perch cittadino, fa parte a

pieno titolo della comunit partecipando alle assemblee decisionali, chi in grado di esercitare la

principale funzione dei maschi liberi, la funzione a cui tutta la paidia li prepara, cio la guerra.

Ora, fino al quinto secolo la nozione di cittadino/guerriero si identifica con quella di possidente,

dal momento che essere guerriero implica avere i mezzi per provvedere all'armatura;

successivamente, con il potenziamento della flotta navale, Atene estende la cittadinanza anche ai

non possidenti (i teti), per via della necessit di una nuova manodopera bellica, i marinai, un

82 Di Benedetto 1971 p. 117.

37
gruppo sociale e militare, armato e pagato dallo stato per spingere i remi e muovere le navi83.

Nonostante l'allargamento della cittadinanza ai teti, per, il corpo civico ateniese, limitato ai

maschi liberi purosangue, resta comunque molto ristretto, rispetto al gran numero di schiavi e

stranieri, i non-liberi, esclusi dai diritti civili e dalla compropriet dei beni pubblici della citt.

Ne deriva che nel quinto secolo tutto si gioca, nel sistema democratico, sull'opposizione netta tra

liberi e non-liberi; e Atene, mentre si impegna a garantire massima libert e uguaglianza politica

ai primi, cio la minoranza, riduce a non-persone i secondi e, parallelamente al potenziamento

del suo impero navale, finisce col trarre sostentamento proprio da questi, fuori di s, tramite

guerre di rapina e sfruttamento indiscriminato degli alleati sudditi, obbligati al versamento

regolare dei tributi, e al suo interno, spremendo fino all'osso gli schiavi, manodopera produttiva

indispensabile al funzionamento del sistema, costretti in larga parte a marcire nelle miniere e

incatenati in luoghi pestiferi, e i meteci che, soggetti comunque al pagamento delle tasse,

contribuiscono alla crescita della citt senza poter godere di alcun beneficio e di alcun diritto 84.

nel giusto, allora, Canfora 2008 p. 34, quando asserisce che la comunit ateniese, immersa in

un grande impero che di fatto la sovrasta e la dirige, pratica a tutti gli effetti una democrazia

decurtata.

La descrizione che Pericle fa, nel suo discorso, della ateniese tutta permeata da una

visione ottimista, accompagnata da un'enorme fiducia in quel sistema, che lo statista, pi di altri,

rappresenta, nonostante la sua insistenza nel parlare a nome dell'intera collettivit. La storia,

per, gli eventi storici, che segnano il governo pericleo sino alla sua tragica fine, dimostrano

visibilmente che quell'atteggiamento oltremodo ottimista sia da intendere semplicemente come

frutto di una strategia politica, dettata dalla necessit di consenso, piuttosto che come riflesso

83 Cfr. Canfora 2008 pp. 34-35.


84 Cfr. Canfora 2008 pp. 36-38.

38
dello scenario reale. La profonda crisi politica, che sconvolge Atene nei primi anni della guerra

del Peloponneso, ne , infatti, la prova pi evidente, perch essa non fa altro che mandare in

frantumi e svelare l'intima inconsistenza di quell'ideale, sul quale si fonda tutta la politica di

Pericle, quell'ideale costruito su un'immagine della quale organismo unitario e armonico 85.

Nel suo recente studio su Tucidide e l'imperialismo pericleo, Foster (2010) dimostra molto bene

che il punto di vista dello storico non coincide affatto con quello del famoso politico: Tucidide,

com' noto, individua la causa profonda del conflitto peloponnesiaco, l'evento pi sconvolgente

della storia greca, nell'eccessiva di Atene, frutto della sua smodata ambizione, e nella

sua crescita esponenziale, in termini di ricchezza, materiali bellici e potere, una crescita

eccessiva destinata a condurla alla rovina; in un'ottica di questo genere, secondo la studiosa,

Pericle, ostinato com' nel considerare indistruttibili la ricchezza e la potenza della sua citt e,

pertanto, sostenitore a oltranza di una politica imperialista e bellicista, rappresenta, agli occhi

dello storico, che pure ne riconosce inevitabilmente l'intelligenza e la capacit politica, il

massimo responsabile, nonch il simbolo per eccellenza della tragedia di Atene 86.

Il primo libro delle Storie si conclude con il primo dei discorsi di Pericle (140-144), in cui lo

statista afferma con forza la superiorit economica e militare di Atene, al fine di convincere i

suoi cittadini ad entrare in guerra contro Sparta, and therefore defines the destiny of Athen's

resources in terms of their use as war materials87: non bisogna cedere assolutamente ai

Lacedemoni, perch essi sono nemici, minacciano aggressioni e, con il loro ordine di

abbandonare l'assedio di Potidea, lasciare autonoma Egina e abrogare il decreto che riguarda i

Megaresi, non fanno che tendere una trappola (1.140.1-3); se gli Ateniesi obbediranno, si

mostreranno deboli e gli Spartani, in seguito, si sentiranno autorizzati a chiedere cose ancora pi

85 Cfr. Di Benedetto 1971 pp. 106-123.


86 Cfr. Foster 2010 p. 121.
87 Foster 2010 p. 138.

39
pesanti (140.5).

Pericle, dunque, vede nelle richieste dei Lacedemoni un pericolo per la potenza ateniese, un

attacco costante al suo potere, che va inevitabilmente scongiurato. La sua intransigenza nel

volere la guerra dettata dalla convinzione che la citt ha tutte le carte in regola per vincere, una

convinzione basata sulla sua totale fiducia nella concreta e visibile superiorit materiale di Atene

su Sparta. Ne deriva, allora, che the Athenian acme of wealth and war materials is a necessary

foundation of Pericles' bellicosity88, come dimostra anche il fatto che tutto il resto del discorso

incentrato sulla rivendicazione della forza indistruttibile della : quanto alle risorse materiali,

infatti, lo stile di vita degli Spartani basato sull'agricoltura, che rappresenta la causa primaria

della loro povert e che, per di pi, li rende incapaci di condurre guerre a lungo termine al di l

del mare (141.2-3); essi, in assenza di ricchezze pubbliche e private, non sono in grado di

equipaggiare navi, n di inviare spesso eserciti per via di terra, perch non possono abbandonare

i loro possedimenti privati e non sono nelle condizioni per affrontare ingenti spese, col rischio di

finire sul lastrico (141.4-5); Atene, invece, dal canto suo, ha l'enorme vantaggio di essere ricca,

di possedere molte terre, di avere il dominio sul mare e una grandissima esperienza navale, un

vantaggio notevole che ne determina a tutti gli effetti la superiorit (142.5-9; 143.3-4). La

contrapposizione Sparta-agricoltura/Atene-mare centrale in tutto il discorso, ma chiaro, come

sottolinea Foster 2010 p. 143, che il ritratto degli Spartani, costruito da Pericle per gli Ateniesi,

fondamentalmente distorto e l'insistenza sulla loro inefficacia agricola e sulla loro povert non

che a rhetorical construction designed to lessen the Athenian's fears of Sparta's fabled infantry

while emphasizing Athen's material advantages.

Lo stratega conclude il discorso, incitando i suoi concittadini a lasciar perdere la loro terra e le

loro case e a sorvegliare soltanto il mare e la citt, gli elementi fondamentali del successo e della

88 Foster 2010 p. 140.

40
gloria ateniese (143.5). Nell'ottica periclea, dunque, pi importante difendere i possedimenti

d'oltremare, cio l'impero, che le propriet dei singoli; ed questo ci a cui l'intera collettivit

deve tendere, al fine di assicurare ad Atene l'indipendenza da Sparta e il dominio sugli alleati, i

quali non tarderebbero a minacciare la sicurezza ateniese e a rivendicare l'autonomia, in caso di

sconfitta.

Questi stessi concetti vengono riaffermati da Pericle nel suo ultimo discorso (2.60-64), tenuto nel

corso di un'assemblea da lui riunita, al fine di sedare il dissenso e placare la rabbia degli Ateniesi,

i quali, dopo la seconda invasione peloponnesiaca e la tragedia della peste, lo accusano di averli

costretti alla guerra e, di conseguenza, di essere il responsabile delle loro disgrazie (2.59): tutta la

comunit non deve perdersi d'animo di fronte alle difficolt, ma anteporre sempre la salvezza

della citt a qualunque beneficio privato; infatti, solo se una citt prospera nel suo insieme, pu

garantire benessere e fortuna a tutti i suoi cittadini; in caso contrario, ne determina soltanto la

rovina (2.60-61); gli Ateniesi, padroni assoluti del mare, non devono badare alla perdita di case e

terre, perch queste, in confronto alla potenza dell'impero, non sono che giardinetti o ornamenti

di poco conto (2.62.2-3); Atene ha conseguito la pi grande potenza, che sia stata mai

conquistata e di cui rester per sempre memoria fra i posteri; Atene la citt che ha avuto il

dominio sul maggior numero di Greci, che ha combattuto nelle guerre pi grandi, la citt in tutto

e per tutto pi grande e pi abbondantemente fornita di tutti i beni (2.64.3); , dunque, la sua

libert che va difesa strenuamente, perch solo la libert potr restituire i beni perduti; quando,

invece, si sudditi di un'altra potenza anche i possedimenti precedentemente acquisiti subiscono,

per forza di cose, una drastica riduzione (2.62.3).

Pericle mostra di avere un'ambizione smisurata, un imperialista convinto, che crede ciecamente

nell'eternit e nell'invincibilit della gloria e della potenza ateniese; egli costruisce i suoi discorsi

41
ad arte, esalta oltremodo la grandezza di Atene, senza, per, fornire una descrizione dettagliata

delle reali vittorie conseguite e dei territori effettivamente conquistati, e, inoltre, pone sullo

stesso piano lo scontro con i Persiani e quello con i Greci. Pericle, infatti, ignora, o finge di

ignorare, la reale ragione che spinge gli Spartani alla guerra, cio il desiderio di liberare la

Grecia dall'oppressione ateniese, e assume una posizione difensiva, per cui he characterizes any

power that stands in the way of Athenian expansion as an offender who is legittimately warred

down89. Per contrasto, Tucidide, nel descrivere l'impero di Atene, non esita a sottolineare, con

lucido rigore storiografico, il duro stato di oppressione e la schiavit a cui sono soggetti gli

alleati, i quali, con i loro tributi, favoriscono la crescita della flotta ateniese, mentre, in caso di

ribellione, rischiano di entrare in guerra senza risorse e senza esperienza (1.96-99).

Lo storico, dunque, se da un lato enfatizza l'intelligenza politica di Pericle e la sua accurata

conoscenza delle risorse materiali ateniesi, dall'altro ne riconosce pure l'eccessiva

sopravvalutazione; la sua in netto contrasto con il linguaggio idealizzato dello statista

e permette di rilevare una differenza sostanziale tra il narratore e il suo Pericle 90.

Tucidide ben lontano dall'idealizzazione della guerra, di stampo pericleo, e, soprattutto nel

secondo libro, d prova di considerarla soltanto la causa della pi grande tragedia della storia

greca. significativo, infatti, che la dettagliata descrizione della peste viene inserita proprio tra i

due famosi discorsi di Pericle, l'epitafio e l'ultimo, sopra analizzato (2.47-54). Dopo aver

accuratamente esposto i sintomi della malattia (2.49-51), lo storico si sofferma sui disagi sociali

e psicologici da essa provocati, innanzitutto l'ingente afflusso di persone dalla campagna in citt

e le loro disumane condizioni di vita: in assenza di case disponibili, infatti, essi sono costretti ad

abitare ammassati in capanne soffocanti, determinando cos la crescita della strage; i corpi dei

89 Foster 2010 p. 193.


90 Cfr. Foster 2010 p. 184.

42
moribondi giacciono l'uno sull'altro e i malati si aggirano per le strade alla ricerca di acqua,

mentre i templi vengono riempiti di cadaveri, nel totale disprezzo della religione e dei luoghi

sacri (2.52). La descrizione delle sofferenze dei profughi inurbati dell'Attica fa da contraltare al

successivo invito rivolto loro da Pericle a lasciar perdere case e terre, beni futili di poco conto

(2.62.3); e il contrasto tra il tragico scenario dipinto qui da Tucidide e la noncuranza dello statista

dinanzi ad esso rivela, in qualche modo, l'insensibilit e la superficialit dell'uomo politico, che

finge di ignorare le reali condizioni ad Atene in order to achieve an ideal and future glory91.

Tucidide, poi, passa ad evidenziare il deterioramento morale degli Ateniesi ed il cambiamento

repentino del loro carattere: essi, nel vedere il rapido mutamento di sorte dei ricchi, che muoiono

improvvisamente, e dei nullatenenti, che subito diventano padroni dei beni dei morti, cominciano

a pensare di dover godere di tutto ci che hanno e di non dover pi sopportare fatiche per ci che

reputato onesto, dal momento che, di fronte a quella sciagura, la vita effimera e non c'

certezza di futuro (2.53). La disperazione collettiva induce ad un comportamento di totale

indifferenza, che procede in direzione contraria agli insegnamenti di Pericle relativi alla necessit

di anteporre a tutto il bene della comunit, un comportamento che svela pure la vulnerabilit

dell'impero che, considerato dallo stratega eterno, non in grado alla fine di tutelare i suoi

cittadini dalla minaccia naturale che li sta annientando 92.

Pericle considera la peste un semplice incidente inaspettato, che non deve impedire la

prosecuzione del conflitto (2.61.3-4; 2.64.2). Tucidide, invece, descrive lo scoppio della malattia

come uno sconvolgimento, che segna il punto di non ritorno, e riesce a cogliere qualcosa che lo

stratega non pu o non vuole prendere in considerazione, il fatto cio che la peste destinata a

cambiare Atene per sempre; lo stesso Pericle, del resto, morir di peste e questo non potr non

91 Foster 2010 p. 208.


92 Cfr. Foster 2010 p. 209.

43
avere un decisivo effetto destabilizzante 93.

Nel descrivere i sintomi della malattia, inoltre, Tucidide dice che nessun corpo si dimostra

autosufficiente di fronte al male (2.51.3); e quel , seppur posto su un piano

diverso, richiama la stessa coppia di parole usata da Pericle nell'epitafio per descrivere

l'individuo educato dalla , che con la sua versatilit e disinvoltura in grado di plasmare il

mondo su se stesso (2.41.1: ). Come spiega Foster 2010 p. 205, mentre lo

statista insiste sull'autosufficienza di Atene, il principio basilare che rende l'impero immune da

qualsiasi forma di deterioramento, lo storico fornisce la sua risposta ad una simile convinzione:

non esiste alcun , perch la generazione di Pericle non al di sopra delle leggi di

natura; gli Ateniesi, come tutti gli esseri umani, possono essere in qualunque momento

sopraffatti dalle forze naturali e la loro storia pu essere modificata.

Nel capitolo 65 del secondo libro, Tucidide espone il suo giudizio finale su Pericle: dopo il suo

ultimo discorso, i cittadini si lasciano persuadere dalle sue parole; e cos, in pubblico ()

continuano ad obbedirgli, non inviano pi messaggi ai Lacedemoni e si dedicano con maggiore

energia alla guerra; in privato (), per, non depongono la rabbia nei suoi riguardi, perch

soffrono per le loro disgrazie - sia i poveri, che hanno perso anche quel poco che avevano, sia i

ricchi, che sono stati privati dei loro possedimenti in campagna e, soprattutto, per il fatto che

continuano ad avere la guerra invece della pace; eppure, gli Ateniesi, non molto tempo dopo,

meno esposti alle sventure, rieleggono Pericle stratega e gli affidano nuovamente tutta la politica,

considerandolo l'uomo che meglio pu rispondere ai bisogni della citt nel suo

insieme (2.65.1-4).

Lo storico individua la spiegazione di un simile comportamento, apparentemente incoerente,

nella natura del potere dello statista: egli, forte del consenso popolare, riesce a controllare il

93 Cfr. Foster 2010 p. 205.

44
popolo piuttosto che ad esserne controllato; perci, non teme di contraddirlo e rimproverarlo,

quando si mostra arrogante, e non esita a incoraggiarlo, quando vittima del timore e della paura

(2.65.8); solo a parole ad Atene vige la democrazia, di fatto il governo del primo cittadino

(2.65.9: , ).

evidente, allora, che la democrazia ateniese non un governo popolare, ma una guida del

regime popolare, da parte dei dirigenti politici, esponenti delle classi pi alte di censo, ricchi e

nobili, i quali, per il prestigio personale e per il potere, accettano il sistema e si fanno per questo

democratici, al fine di diventare la guida politico-militare della citt, nella convinzione, spesso

mistificatoria, di incarnare gli interessi della collettivit94. Pericle, quindi, percepito dallo

storico come un vero e proprio princeps, un tipo di primato, o di principato, un potere

personale accettato e riconosciuto che finisce con lo snaturare, pur senza violarli, gli equilibri dei

poteri95.

Quattro secoli pi tardi Augusto dar vita a Roma ad un potere di questo tipo e nasconder il suo

status di principe con la rivendicazione di aver restaurato la Repubblica: la sistemazione

costituzionale della sua posizione di monarca, infatti, si inquadrer nel principio dell'auctoritas;

il nuovo Cesare, dopo aver restituito la res publica al senato e al popolo romano, ricever di fatto

delle normali magistrature repubblicane, ma con pi di auctoritas degli altri magistrati 96.

Ad Atene, per, la leadership di Pericle doveva richiamare facilmente alla mente dei suoi

contemporanei, pi che il principato, un altro tipo di potere personale, a loro molto familiare,

quello della tirannide. Tucidide non designa mai lo statista con il termine , ma, quando

nell'Archeologia parla brevemente della tirannide in Grecia, informa che, in particolare ad Atene,

i tiranni erano stati abbattuti da Sparta e che il loro governo non era tanto caratterizzato da un

94 Cfr. Canfora 2008 pp. 39-44.


95 Canfora 2008 p. 13.
96 Cfr. Mazzarino 2002 p. 72 (ed. or. 1973).

45
esercizio terroristico del potere, quanto piuttosto si basava sul perseguimento dell'interesse

personale, sul desiderio di accrescere il prestigio delle loro famiglie e sulla continuit ininterrotta

della loro presenza a capo della citt (1.17-18.1). Per quanto Pericle non venga mai accusato di

tirannide dallo storico, non si pu non riconoscere nella sua opera storiografica una certa affinit

tra la descrizione dello statista/primo cittadino e quella del tiranno di Atene per eccellenza,

Pisistrato, entrambi guida politica per lungo tempo, entrambi in conflitto con Sparta. Ecco,

quindi, che il cerchio si chiude, tornando da ultimo alla commedia, tornando a Cratino. Pericle,

per Tucidide, diventa nei drammi del commediografo, il di Atene, il

novello Pisistrato, un guerrafondaio imperialista che, in nome di un effimero sogno di gloria, non

esita a spingere, con la sua forza demagogica, i cittadini alla guerra e ad esporli alle pi grandi

sventure. Quello che Tucidide non dice, ma che lascia in qualche modo presumere, si fa chiaro

ed esplicito in Cratino, che evidentemente rispecchia il sentire collettivo97. Pericle presentato

sulla scena comica come un tiranno, perch questa la percezione, che la ha di lui, e il suo

ruolo di guida non nasconde i connotati di un effettivo potere personale.

La commedia politica di Cratino, quindi, pur con tutti i limiti dettati dalla sua frammentariet,

un prezioso strumento di analisi del sistema democratico ateniese e una finestra aperta su

un'epoca cruciale, quella che ha avuto, non a caso, maggior risonanza nel corso dei secoli,

l'epoca periclea. La perdita della totalit dei drammi del commediografo nella loro interezza

resta, a mio avviso, una lacuna incolmabile, perch se quei drammi si fossero conservati, se
97 Non bisogna, del resto, dimenticare che tra l'opera storiografica di Tucidide e un qualsiasi dramma intercorre una
differenza basilare, relativa alle modalit di composizione, dal momento che la prima, in virt della complessit
e del carattere ellittico dei costrutti, prevede quasi certamente una redazione scritta, mentre i testi teatrali si
basano esclusivamente sull'oralit. Una simile situazione comporta, com' ovvio, una distinzione netta anche per
quanto riguarda il tipo di pubblico, a cui ci si rivolge: mentre, infatti, quello del teatro variegato e stratificato,
tutta la citt riunita, l'insieme di tutti i cittadini, di cui il drammaturgo tenta di interpretare i sentimenti, le gioie e
i dolori, le opinioni favorevoli e il dissenso, e di restituirli ai loro occhi con l'immediatezza della performance,
l'opera di Tucidide, per la difficolt dello stile e della sintassi, oltre che per la sua resa in forma scritta, induce,
invece, a ipotizzare un pubblico di lettori molto ristretto o, al massimo, di ascoltatori selezionati, in grado di
seguire un testo tanto complesso e concepito per ammaestrare e guidare all'analisi politica, non di certo per
dilettare.

46
avessero potuto continuare a parlare a noi moderni, tante altre cose avrebbero, forse, svelato,

tanto avrebbero potuto insegnare al nostro presente, a tutto il mondo contemporaneo, un mondo

in cui troppo spesso il Potere, seguendo un falso mito che procede indisturbato dalle origini,

indossati i panni della democrazia, che lo rende pi allettante, si fa esecutore materiale di crimini

efferati, il pi delle volte nell'indifferenza e nel silenzio collettivo; un mondo, in cui la violenza e

il razzismo di Stato, la repressione, l'ingiustizia, lo sfruttamento e le guerre imperialiste non

accennano a finire; un mondo, infine, in cui la libert non che un privilegio nelle mani di pochi.

N.B.: Nel presente presente lavoro sono prese in esame cinque commedie di Cratino: Dionisalessandro (primo
capitolo), Fuggitive (secondo capitolo), Tracie (terzo capitolo), Nemesi (quarto capitolo) e Chironi (quinto capitolo).
Per ciascuno di questi drammi, per, non vengono analizzati tutti i frammenti conservati, ma solo quelli ritenuti
significativi, ai fini della satira politica e di un'eventuale ricostruzione dell'intreccio comico. Per gli autori antichi ed
i loro testi, poi, vengono seguite le abbreviazioni del LSJ e dell'Oxford Latin Dictionary. Quando non diversamente
segnalato, la numerazione dei frammenti dei commediografi greci quella dell'edizione curata da R. Kassel e
C. Austin (Berlin-New York 1983-).

47
PRIMO CAPITOLO

48
IL DIONISALESSANDRO

Hypothesis del Dionisalessandro


Pap. Oxy 663 (CGFP 70) col. I (1-25) et II (26-48)

] . [
. . . . . . . . . .]( ) [
. . . . . . . . . .] [
. . . . . . . ] [(). () ()
. . . . . ] () 5 [ 30
] () , [
() () ()()
() () . -
() () () -
10 () 35
() () ()
() () - (). ()
< () ()
> (),
() [] () () () - 40
, [] 15 () , -
() ()() (), () () -
() () () ()
- . -
, . - 45
()() () () 20
() ()
()
. () () -
-
] () () [ 25

49
giudizio, Hermes se ne va (dalla scena) e questi parlano agli spettatori di alcune cose
riguardo i figli (?) e deridono e sbeffeggiano Dioniso appena comparso; questo, arrivate a lui
da parte di Era il saldo potere, da parte di Atena il coraggio in guerra e da parte di Afrodite di
essere bellissimo e attraente, giudica vincitrice questa. Dopo ci, recatosi per mare a Sparta e
condotta via Elena, ritorna sullIda. Dopo poco sente che gli Achei devastano la regione e
vanno alla ricerca di Alessandro. Allora, dopo aver nascosto in fretta Elena in un cesto ed
essersi travestito da ariete, attende il seguito. Arrivato, poi, Alessandro ed avendoli sorpresi,
ordina di condurre entrambi alle navi per consegnarli agli Achei. Ma, dal momento che Elena
spaventata, egli, mosso da piet per lei, la trattiene per averla come moglie; invia, invece,
Dioniso (alle navi), perch sia consegnato, e i satiri lo accompagnano, confortandolo e
assicurandogli che non lo abbandoneranno. Nel dramma, con grande abilit e mediante una
velata allusione, messo in ridicolo Pericle per aver portato la guerra agli Ateniesi.

Prima della scoperta del papiro contenente l'argumentum del dramma, del Dionisalessandro si

conservavano solo tredici frammenti, pervenuti per tradizione indiretta (frr. 39-51 K.-A.), che per

leccessiva esiguit e brevit (non pi di due versi per ognuno) non permettevano di

comprendere il soggetto e la trama della commedia.

Meineke (FCG I, pp. 57 e 413) ipotizz che il dramma fosse incentrato sulla figura di Alessandro

Magno e che, dunque, per ovvie ragioni cronologiche, fosse da attribuire a Cratino il giovane, ma

lincertezza della sua ipotesi lo port comunque a pubblicare i frammenti tra quelli di Cratino il

vecchio98. Kock 1880 pp. 23-24, invece, ritenne subito che la commedia fosse di Cratino il

vecchio e che lAlessandro citato nel titolo fosse leroe troiano Paride, ma suppose erroneamente

una sua sostituzione a Dioniso, sulla base del fr. 40 K.-A., ricondotto dallo studioso al momento

in cui Alessandro si reca da Elena accuratamente ornato e vestito da Afrodite come il dio 99.

La scoperta e pubblicazione del POxy 663 (cfr. Grenfell-Hunt 1904 pp. 69-72; Austin, CGFP pp.

35-37) ha fugato ogni dubbio circa la paternit del dramma, senzaltro da attribuire a Cratino il

98 Meineke 1839 p. 37: sed quum dubia res sit et incerta, fragmenta inter ceteras Cratini maioris fabulas exhibere
satius duxi.
99 Sul fr. 40 si veda infra.

50
vecchio, ed ha permesso di individuare il protagonista della commedia, che non , come

suggerito da Kock, l'eroe troiano Alessandro, bens il dio Dioniso, che si finge Paride e opera in

sua vece. Si tratta di un papiro risalente alla seconda met del II secolo d.C. oppure alla prima

met del III secolo, che contiene la hypothesis del Dionisalessandro e riporta non solo il titolo

del dramma, ma anche il nome dellautore. Il testo, irto di abbreviazioni, scritto in una piccola

onciale su un rotolo di dimensioni 19,8 x 12,3 cm ed suddiviso in due colonne, di cui la prima

occupa lintera altezza del foglio, mentre la seconda inizia pi in basso, poich, in maniera del

tutto insolita, il titolo e il nome dellautore, scritti in unonciale pi grande e in lettere ben

tracciate, non sono collocati in basso, ma in testa alla seconda colonna. Il testo della hypothesis,

inoltre, presenta numerosi problemi di interpretazione, perch mutilo della prima parte ed in

alcuni punti contiene evidenti lacune, che lo rendono a tratti non pienamente comprensibile.

La parte iniziale del testo conservato coincide con la parabasi (ll. 5-9); si legge, infatti, che, dopo

luscita di Hermes, il coro (l. 6: ), verosimilmente composto da satiri, si rivolge agli

spettatori per discutere con loro e, successivamente, comparso Dioniso sulla scena, lo deride e lo

schernisce (ll. 10-12). Non del tutto chiaro loggetto della discussione intavolata con il

pubblico, perch alla l. 8 del papiro si legge soltanto . Blass 1906 p. 486 congettura

(o ) , sulla base del confronto con tre hypotheseis di Aristofane, in cui

ricorrono espressioni analoghe100.

Krte 1904 p. 484 si pone sulla stessa linea di Blass, ma predilige la forma plurale

, poich, a suo avviso, si adatta decisamente meglio allespressione incompleta

tramandata dal papiro (). Cratino, dunque, nella parabasi del Dionisalessandro

100Cfr. Hyp. Ar. Ach. I 14-15:


; Hyp. Ar. Eq. I 10-12: ,
;
Hyp. Ar. Pax 3.20: .

51
parlerebbe per mezzo dei coreuti di questioni attinenti ad altri poeti, forse suoi rivali, e la cosa

non sarebbe affatto strana dal momento che si tratta di una pratica usuale in Aristofane, il quale,

ad esempio, nella parabasi dei Cavalieri cita i suoi avversari Magnete, lo stesso Cratino e Cratete

(vv. 503-550).

Rutherford 1904 p. 440 congettura, invece, alla l. 8, al fine di salvaguardare la tradizione, ()

(), seguito anche da Kassel-Austin, e intende l'espressione nel senso di una

discussione circa ladozione dei figli, in riferimento alla politica periclea. Lo statista ateniese,

com noto, nel 451/450 emise una legge, in base alla quale soltanto i bambini nati da genitori

entrambi ateniesi potevano avere la cittadinanza ateniese e godere a pieno di tutti i diritti civili e

politici (cf. Arist. Ath. 26.4; Plu. Per. 37; si veda anche Harrison 1968 pp. 21-29). Tale

provvedimento era ancora vigente nel 414, perch Aristofane, portando in scena gli Uccelli, fa

dire a Pisetero che Eracle escluso dai diritti di successione in qualit di , dal momento

che sua madre straniera (vv. 1646-1666). Di fatto, per, la legge sulla cittadinanza perse vigore

nel corso della guerra del Peloponneso, anche perch Pericle, rieletto stratego e persi i suoi figli

legittimi a causa della peste, chiese che venisse abrogata per paura che il suo nome e la sua stirpe

si estinguessero del tutto; gli Ateniesi, dunque, avendo piet della sua sventura familiare, gli

concessero di iscrivere tra i frateri con il suo nome (Pericle il giovane) il figlio illegittimo nato

dalla relazione con letera di Mileto, Aspasia (cf. Plu. Per. 37). Nella parabasi del

Dionisalessandro, quindi, secondo Rutherford, ci sarebbe una chiara allusione alla richiesta di

Pericle di assegnare la cittadinanza alla sua prole illegittima. La rielezione alla strategia dello

statista, per, avvenne pochi mesi prima della sua morte, nel febbraio del 429 (cf. Th. 2.65.4;

Plu. Per. 37) e, se si fissa, come si vedr in seguito, la rappresentazione del dramma di Cratino al

430, tale interpretazione opinabile, dal momento che in quellanno non c'era ancora stato il

52
tentativo di adozione di Pericle il giovane. Handley 1982 pp. 109-117, invece, accoglie la

congettura () (), ma nel senso di un discorso riguardo il fare figli,

supponendo che il POxy 2806101, pubblicato come frammento comico adespoto da Lobel (1971,

sotto il titolo Old Comedy) ed inserito da Austin, sia pure con un asterisco, tra i frammenti

papiracei di Cratino (CGFP p. 49 n. 76), contenga un passo della parabasi del Dionisalessandro,

di cui conserverebbe la parte finale della seconda ode e i primi versi del secondo epirrema. Si

tratta di un breve frammento incentrato sulla cura dei bambini da parte delle madri, sulla crescita

dei figli maschi, sul loro ingresso nellet adulta, con la comparsa della prima barba sul volto, e

sul loro successivo accoppiamento con altre donne. Handley 1982 p. 110 pensa che questo testo

sia una chiara rappresentazione di quello che definisce the Wonderful World of the Instant

Family e ritiene che sia in stretto collegamento con il () () della l. 8 della

hypothesis del Dionisalessandro, in cui, come si detto, viene esposto per sommi capi il tema

principale della parabasi. Lipotesi di Handley certamente interessante e ben argomentata, ma

piuttosto inverosimile, dal momento che il termine non ha mai il significato di

generare e, poi, il Pap. Oxy. 2806 menziona figli e figlie, non solo figli maschi (cfr. Luppe

1988 pp. 37-38; Bakola 2009 p. 298); sulla base, per, del fatto che vi sono numerosi paralleli in

letteratura, in cui il sostantivo (o ) qualificato da una parola con radice -, sempre in

contesti relativi all'adozione dei figli (, o il verbo ; per la

documentazione in merito si veda Bakola 2009 p. 300 e n. 25), non da escludere che la

congettura di Rutherford sia giusta e che la discussione del coro prendesse di mira la legge sulla

cittadinanza e, magari, come sostiene Bona 1988 p. 194, vertesse anche polemicamente sulla

facilit con cui gli Ateniesi erano disposti ad assegnare lo status di cittadini agli stranieri che

101Luppe 1975 p. 192 ha respinto l'ipotesi di attribuzione a Cratino del frammento in questione, in assenza di prove
sicure e di testimonianze attendibili; per questa ragione, il frammento non stato collocato da Kassel-Austin nel
corpus del commediografo ateniese.

53
ritenevano utili nella guerra contro Sparta 102.

Il protagonista della commedia di Cratino non , come potrebbe sembrare a una lettura

superficiale del titolo e dellargumentum, Alessandro, noto anche col nome di Paride, ossia il

famoso eroe troiano, figlio di Priamo, che fu avvicinato sullIda da Hermes e da lui invitato a

giudicare quale fosse la pi bella delle tre dee che lo accompagnavano, Atena, Era ed Afrodite

(cfr. Apollod. 3.11.2-5). Lignoto scriba del papiro, infatti, sottolinea che nel corso della parabasi

non si presenta in scena Paride, ma al suo posto compare Dioniso (ll. 10-11:

), che si finge Alessandro, opera in sua vece e, per il suo aspetto ridicolo, viene deriso

dal coro (ll. 11-12: () () ()). Il protagonista, quindi, un

personaggio ibrido, Dioniso nel ruolo di Alessandro, Dionisalessandro, appunto, come chiarisce

bene il titolo. La hypothesis, insomma, informa che nella sezione parabatica Dioniso si presenta

sulla scena e viene accolto con lazzi e scherzi dai coreuti. I verbi utilizzati nel testo per indicare

la derisione sono e , due sinonimi col significato di prendo in giro,

schernisco (cf. LSJ s.v. p. 553; s.v. p. 1729). Luppe 1966 pp. 170-171

mette in discussione la legittimit di questa lezione (ll. 11-12: () ()

()) e propone di espungere il primo dei due verbi, considerandolo una glossa al

secondo entrata successivamente nel testo. Lo studioso tedesco, infatti, sostiene che molto

strano che in una hypothesis cos concisa e priva di ridondanze ci sia spazio per due termini

sinonimici posti luno accanto allaltro; labbreviazione del primo verbo, poi, del tutto

anomala, poich in genere il troncamento finale non intacca la radice verbale; essa, inoltre,

avrebbe dovuto essere applicata solo al secondo verbo, la desinenza del quale sarebbe stata gi

chiarita dal verbo precedente. In effetti, questa coppia verbale non compare nellambito della
102In tal senso, un esempio diretto fornito dal caso di Sitalce: gli Ateniesi, intenzionati a dominare le localit
lungo la costa tracia e a porre fine alla potenza di Perdicca, loro nemico, strinsero un'alleanza con il re tracio e
concessero la cittadinanza ateniese a suo figlio Sadoco (cfr. Th. 2.29.4-5).

54
letteratura greca, ad eccezione di un passo delle Rane aristofanee (vv. 374-375: /

) e di un passo aristotelico, in cui per il primo dei due verbi in

questione usato nella forma semplice (Rh. 2.3.1379a.28:

). C, per, da dire che verbi di questo genere sono a volte

utilizzati in binomio, formando quasi delle espressioni formulari103. Il fatto, dunque, che essi non

siano abbreviati in maniera corretta nel testo papiraceo potrebbe essere spiegato supponendo che

espressioni di questo tipo erano molto frequenti per i lettori e non cera necessit di usare

abbreviazioni particolarmente precise (cfr. Farioli 1994 p. 135). Del resto, lipotesi di Luppe, in

base alla quale una glossa di finita per errore nel testo, non molto

convincente, perch alquanto strano che il primo verbo, non molto diffuso (cf. LSJ s.v.

pp. 1406-1407) e per di pi in forma composta, possa essere stato usato per spiegare il secondo.

Farioli 1994 pp. 131-136 sostiene, invece, che questa coppia verbale sia stata tratta direttamente

dal Dionisalessandro e che ci sia una chiara corrispondenza tra questo passo della hypothesis e

quello delle Rane di Aristofane sopra citato, in cui il coro di iniziati intona nellAde, alla

presenza di Dioniso e Santia, un inno in onore di Iacco, invitando chiunque ad avanzare con

vigore nei grembi fioriti dei prati, battendo il piede e prendendo in giro e scherzando e

schernendo104. La studiosa mette in rilievo una strana coincidenza: qualche verso prima di questo

passo delle Rane, ai vv. 354-357, il corifeo invita a stare lontano dai cori chi non puro di mente

e non vide n danz i riti delle nobili Muse, n fu iniziato ai bacchici Misteri dalla lingua di

Cratino, il Mangia-tori (v. 357: ).

Aristofane, dunque, cita il suo rivale usando unespressione che denota rispetto e ammirazione e,

per di pi, attribuendogli lepiteto , proprio di Dioniso (S. fr. 668 R.:
103Cfr. Pl. Erx. 397d: ; Plb. 4.3.13: ; Plu. Pomp. 64:
.
104 vv. 372-375: / / / /
.

55
). Tale attributo rimanda alla pratica dellomofagia nel rito sacrificale dionisiaco ed

allatto rituale di sbranare la vittima ancora viva e consumare le sue carni crude e sanguinanti.

Lidea di mangiar tori , secondo Totaro 2006 p. 598, una prefigurazione di un pasto

sacrificale che si identifica con il dio stesso e che, per questo, garantisce a chi se ne nutre la

piena comunione con Dioniso e la possibilit di assimilarne la forza soprannaturale.

Lattribuzione, quindi, di un epiteto proprio del dio del teatro a Cratino potrebbe essere

funzionale a unesaltazione del genio cratineo e della sua produzione poetica, ma, secondo la

Farioli, potrebbe anche rappresentare un voluto riferimento al Dionisalessandro. Sarebbe allora

da escludere l'idea che e ricorrano insieme per puro caso nella hypothesis

del dramma cratineo e in Aristofane, mentre , invece, probabile che lautore dellargumentum,

che certamente aveva sotto gli occhi il Dionisalessandro allatto di riassumerlo, abbia inserito

nel testo della hypothesis una coppia sinonimica di verbi contenuta nella commedia di Cratino, e

che un analogo inserimento abbia operato Aristofane, introducendo nelle sue Rane una citazione,

forse anche inconscia, della commedia del suo rivale, arricchita dalla variante del

(Farioli 1994 p. 132).

La sezione successiva del testo papiraceo (ll. 12-19) introduce certamente una delle parti pi

significative del dramma, ossia la scena del giudizio sullIda, con la sostituzione di Dioniso a

Paride, le offerte delle tre dee e la vittoria finale di Afrodite. Alla l. 13 si tramanda

| | . Grenfell-Hunt 1904 p. 72 propongono di sostituire con

(tendere innanzi, porgere), che starebbe ad indicare propriamente i doni divini

presentati a Dionisalessandro. Sulla stessa linea si pone Krte 1904 p. 484, il quale, per,

suggerisce (annunciare) e immagina che le offerte vengano annunciate dalle

dee. In effetti, il participio trdito non ha molto senso, laddove non sia specificata la persona che

56
compare in scena. Il verbo attestato negli argumenta dei drammi con la funzione

tecnica di indicare la prima comparsa in scena di un personaggio e non ricorre solo in questo

contesto (cfr. anche ll 33-34: ), ma anche tre volte nelle

hypotheseis di Aristofane105. chiaro, per, che le congetture avanzate non hanno alcun riscontro

concreto. Per questa ragione, Wilamowitz 1904 p. 665 mantiene il participio trdito e pensa che

vengano mostrate al pubblico le offerte divine, contenute in un cestello o in un vasetto, portato in

scena da Hermes prima della parabasi. Di altro parere si mostra Blass 1906 p. 486, che pone alla

l. 13 una lacuna e integra: < >

(comparse le dee in contesa e venendo a lui offerto). Luppe 1966 p. 172 accetta lipotesi

della lacuna, ma sostiene che il participio sia assolutamente inutile, dal momento che

si tratta di una forma piuttosto aulica e, dunque, non adatta al linguaggio misero e scarno di una

hypothesis. Lo studioso tedesco, quindi, accoglie lintegrazione di Edmonds 1957 p. 32:

< > . Kassel-Austin, invece, in maniera del tutto

condivisibile e nel rispetto della tradizione, accettano lindicazione di lacuna, ma si astengono da

una possibile integrazione. E allora, sulla base del testo conservato, si pu supporre che, subito

dopo la parabasi, Dioniso, presente in scena, travestito da Alessandro e perci deriso dal coro, sia

pronto ad accogliere i doni di Era, Atena ed Afrodite, ad assumersi il ruolo di giudice delle dee,

proprio delleroe troiano, e ad assegnare il primato di bellezza ad Afrodite.

Si pone per questa scena il problema del numero preciso di attori utilizzati, se cio vi sia o meno

una violazione del limite dei tre attori. Una notizia tarda di Tzetzes informa che la commedia ai

suoi esordi non aveva regole fisse e si presentava come uno spettacolo piuttosto fluido e

disordinato; successivamente, proprio al tempo di Cratino, il numero degli attori venne, invece,
105 Cfr. Hyp. Ar. Ach. I 19-20:
; Hyp. V. I 5-6:
; Hyp. Lys. I 21-22: , , .

57
fissato a tre106. Krte 1904 pp. 489-490 non assegna credibilit a questa testimonianza, poich

ritiene che essa si fondi su quella teoria, sorta in epoca tarda e assolutamente arbitraria, in base

alla quale la struttura della commedia non ha avuto unevoluzione propria, ma si costruita e

delineata sul modello della tragedia. Per questa ragione, lo studioso tedesco ipotizza, per la scena

del giudizio, la presenza di quattro attori, che impersonano rispettivamente Dioniso e le tre dee,

pronte ad annunciare contemporaneamente le loro offerte al dio. Di altro parere Wilamowitz

1904 p. 665 che, come si gi visto, presuppone la presenza scenica soltanto di Dioniso ed

Hermes, il quale mostra le offerte divine contenute in un cestello o in un vasetto visibile agli

spettatori gi prima della parabasi. Croiset 1904 p. 305, invece, sostiene che Dioniso sia una

presenza fissa sulla piattaforma scenica, mentre le divinit si alternano e, con tre discorsi

successivi, si presentano al dio una dopo laltra. Di un certo interesse , poi, la tesi di Norwood

1931 p. 123, seguita anche da Luppe 1966 pp. 173-174, secondo la quale ci sono sul

palcoscenico ben cinque attori, Dioniso, Hermes e le tre dee, ma di fatto agiscono solo i primi

due, perch Atena, Era ed Afrodite operano in qualit di e il messaggero divino

funge da intermediario e si assume il compito di annunciare i doni.

Il testo della hypothesis informa della presenza scenica di Hermes prima della parabasi, ma non

dice nulla della sua comparsa subito dopo; la tradizione mitica del giudizio di Paride, per,

testimonia il suo ruolo di guida e accompagnatore delle dee sullIda. Per questo motivo, Blass

1906 p. 486 ritiene che Hermes, der schon vor der Parabase da war, msste dann als Fhrer

wieder erscheinen. Luppe 1966 p. 174 immagina addirittura che la comparsa del messaggero
106 Tzetze, Prol. de Com. 16 (Kaibel, p. 18 = Dbner, Anon. de Com. V):
( )
.
. Pickard-Cambridge 1996 pp. 192-193, per, ritiene che questa dichiarazione vada
accettata con cautela, perch Aristotele dichiara la sua ignoranza sull'argomento (Poet. 5.1449b) e, inoltre, nelle
commedie di Aristofane, sebbene sia rispettata in linea di massima la regola dei tre attori, non mancano casi
particolari, in cui lecito supporre l'impiego di un quarto attore, magari per parti molto brevi. Sul numero degli
attori e la distribuzione dei ruoli nei drammi di Aristofane si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 207-213.

58
debba essere stata in qualche modo indicata anche nel testo dell'argumentum e, perci, propone

unulteriore congettura per la lacuna: < () ()

> . La soluzione del problema alquanto complessa, dal momento che il testo

papiraceo non offre precise indicazioni sceniche, ma, accettando lindicazione di lacuna senza

azzardare possibili integrazioni assolutamente ipotetiche e incerte, non comunque da escludere

che Hermes, dopo aver assegnato a Dioniso la funzione di giudice prima della parabasi,

ricompaia subito dopo con le dee, conservando cos il ruolo di guida, garantito dal mito, e

presenti lui stesso le offerte divine. In tal modo, nella scena del giudizio non ci sarebbe una

violazione del limite dei tre attori, perch se ne utilizzerebbero solo due, mentre le divinit

sarebbero personaggi muti.

Dioniso, dunque, nei panni di Alessandro pronuncia sullIda il giudizio delle dee, un tema

tradizionale, noto agli spettatori, che Cratino poteva di poco cambiare, cos come tradizionali e,

in un certo senso, fissi erano anche i doni promessi dalle divinit e qui di seguito elencati nel

testo della hypothesis (ll. 14-19). Era offre il potere (ll. 14-15: () [] ()

) e il suo dono non si discosta di molto da quanto tramandato dal mito. Euripide nelle

Troiane menziona la promessa di regnare su tutta lAsia e sui confini dEuropa107 ed il regno

dAsia citato anche da Isocrate, da Luciano e da Colluto108. Per quanto riguarda il

Dionisalessandro, per, non viene affatto indicata la precisa estensione geografica di tale

dominio, ma il termine accompagnato da un aggettivo, che non si trova in

nessunaltra fonte, 109 (stabile, saldo).


107 vv. 927-928: / . In generale, sul giudizio di Paride,
con particolare attenzione ad Euripide, si veda Stinton 1965.
108 Isoc. 10.41: , ,
, ; Luc. DDeor. 20.11:
, , , ; Colluth. vv. 147-148:
, . Nei Cypria, invece, la dea offre a Paride
semplicemente la (cfr. Apollod. Epit. 3.2).
109 Wilamowitz 1904 p. 665 propone alla l. 15 la correzione (invincibile), ma tale sostituzione appare

59
Secondo il mito, lofferta di Atena la vittoria in guerra110. Nella hypothesis non ben

comprensibile alla l. 16 il vocabolo che precede ()() ; nel papiro si ha che

non d senso e, perci, tutti gli studiosi, nel rispetto della tradizione mitica, ipotizzano una

confusione tra e e tra e e ricostruiscono il passo con il sostantivo : []

. L'offerta di Atena sarebbe, dunque, il successo in guerra111. Kassel-Austin,

invece, prediligono il termine (coraggio), poich, evidentemente, notano una

maggiore somiglianza tra le lettere e e ritengono pi plausibile la possibilit di un simile

errore (ll. 15-16: [] ). Sebbene trovi piena corrispondenza con il

mito, il termine decisamente pi appropriato in relazione a Dioniso, perch il suo

contrario, cio la codardia, una caratteristica costante del dio, insieme all'effeminatezza, nel

mito e nel culto112. Nell'Iliade, inoltre, la descrizione di Paride, che Dioniso impersona, quella

di un uomo bellissimo, ma privo di forza e pi vile di tutti gli altri eroi omerici (cfr. 3.30-52;

428-454). Ne deriva, allora, che nella commedia di Cratino l'offerta di Atena si accorda

perfettamente sia con la versione mitica originale, dal momento che il coraggio rimanda

comunque alla sfera bellica, sia con la tipica caratterizzazione di Dioniso e di Paride, di

Dionisalessandro, dunque, il quale, effeminato e codardo, non pu che rifiutare il dono.

Per quanto riguarda, infine, la promessa di Afrodite, essa non consiste, come ci si aspetterebbe,

del tutto inutile, perch, se, come si vedr pi avanti, il personaggio di Dioniso non rappresenta altri che Pericle e
l'intero dramma finalizzato ad un chiaro attacco contro lo statista ateniese, il richiamo alla saldezza ed alla
solidit del potere acquista un valore significativo nell'ambito della satira politica, proprio nel momento in cui il
governo pericleo era fortemente in pericolo e stava per volgere al termine.
110 Cfr. Isoc. 10.41: ; Luc. DDeor. 20.12: , , ,
, , .
111 Isocrate, del resto, definisce i doni rifiutati da Paride:
, ,
, (10.44).
112 In un frammento del dramma satiresco di Eschilo, Theoroi o Isthmiastai, per esempio, uno dei satiri rimprovera
Dioniso di essere (fr. 78a.68 R.) ed ancora pi incisivo lo scolio al v. 741 della Pace di
Aristofane, in cui si dice che vi erano a quel tempo dei ritratti comuni e ricorrenti, cio quello di Eracle
mangione, di Dioniso codardo e di Zeus adultero ( ,
). Nello specifico, sulla questione si veda Bakola 2009 p. 190.

60
nell'unione con Elena, bens nella garanzia di bellezza e fascino irresistibile, qualit che, per,

permettono comunque la facile conquista della donna pi bella113 (ll. 16-19: ()

() () ). Anche in questo caso il dono della dea, che

esce vincitrice dalla contesa, si adatta molto bene al personaggio, ad Alessandro, la cui bellezza

divina pi volte richiamata nell'Illiade mediante l'epiteto (3.16; 27; 30; 37; 58; 6.290;

113 In realt, il passo della hypothesis relativo al dono di Afrodite stato diversamente interpretato da vari studiosi.
Nel papiro si legge () () () . Blass 1906 p. 486
espunge e lo sostituisce con , in accordo con le due costruzioni precedenti (l. 14: () []; l.
15: [] ). Si tratta, per, di una correzione insignificante, di un tentativo di normalizzazione
sintattica a posteriori assolutamente inutile; per questo nessuno accoglie l'intervento. Alla l. 18, invece, Edmonds
1957 p. 32 integra <>, cos da far in modo che al primo superlativo ne segua subito un altro, in
nome di una coerenza sintattica. La stessa soluzione sceglie anche Luppe 1966 p. 177, il quale, rigettando la
traduzione di Grenfel-Hunt 1904 p. 72, the prospect of becoming the most beautiful and most beloved of all,
dal momento che il verbo non ha mai il significato di diventare, rende der schnste und
liebenswerteste Mann zu sein. Anche in tal caso, per, la correzione non risulta affatto necessaria, poich non
assolutamente compromesso il senso dell'espressione e, per di pi, l'unione di un superlativo con un aggettivo
nella forma positiva non crea particolari difficolt. , dunque, del tutto condivisibile la scelta operata da Kassel-
Austin di conservare il testo trdito, in base al quale, come si detto sopra, Afrodite promette a Dioniso di
renderlo bellissimo e irresistibile, al fine di esaltarne maggiormente la vanit. Luppe 1966 pp. 178-179, per,
nota un'incoerenza con lo svolgimento successivo dell'azione scenica, che non prevede la realizzazione della
promessa della dea, uscita vincitrice dalla contesa, ma solo il rapimento ed il possesso di Elena. La tradizione
mitica, del resto, fa riferimento solo al dono di matrimonio con la donna spartana e, nel dialogo di Luciano tra
Afrodite e Paride, la dea dice espressamente che, consapevole della sua giovinezza e della sua bellezza, ha
intenzione di offrirgli non una donna rozza e villana, quali sono le donne sull'Ida, ma una giovane e bella
proveniente dalla Grecia, da Argo, da Corinto o da Sparta, cio Elena ( DDeor. 20.13), indicata pi avanti come la
sposa prescelta (DDeor. 16). Alla luce di questa testimonianza, lo studioso tedesco azzarda l'ipotesi di una lacuna
dopo e propone tale integrazione: <
> <> .
Afrodite, quindi, a suo avviso, offre all'eroe comico Elena, la spartana pi bella di tutte, poich egli in assoluto
il pi bello e attraente. In un articolo successivo (1980 pp. 154-158), inoltre, Luppe, seguendo lo stesso
ragionamento, suggerisce un'altra possibile congettura: <> <>
, cio da parte della dea il possesso della donna pi bella e irresistibile. Ebert 1978, infine, fornisce una
diversa interpretazione dell'intero passo relativo all'offerta dei doni (ll. 12-19). Lo studioso, infatti, non accetta
l'indicazione di lacuna alla l. 13, crea un collegamento tra e quanto segue e suppone che il
participio assoluto abbia tre soggetti gi espressi, , e , che, cio, compaiano in
scena, oltre alla dea dell'amore, anche il Saldo Potere, per conto di Era, ed il Successo in Guerra, da parte di
Atena, come personificazioni di concetti astratti. Ebert, inoltre, ritiene che alla l. 18 sia un errore
commesso dallo scriba, a causa dell'illeggibilit dell'antigrafo, e vada corretto con . Numerose sono, del
resto, le testimonianze letterarie che parlano del : E. Hel. vv. 27-29: ,
/ / ; Isoc. 10.42: ;
Apollod. Epit. 3.2: ; Luc. DDeor. 20.14: ,
; Lib. Narr. 27.2: , ; Colluth.
163-164: / . Sulla base
di queste fonti, lo studioso tedesco propone la seguente ricostruzione del passo del testo papiraceo: ()
/ / () [] / , [] / () ()()
(), / () () () / () /,
(Nachdem aber bei ihm erscheinen sind: erstens, von Hera (gesandt), 'Feste Herrschaft', zweitens, von Athena
(gesandt), 'Erfolg im Kriege' und drittens Aphrodite, um eine sehr schne und liebliche Hochzeit zu gewhren,

61
332; 517; 11.581; 13.774; 24.763; cfr. anche 3.39), e a Dioniso, il cui fascino estetico evocato

nelle Baccanti, quando Penteo descrive i suoi riccioli biondi e profumati, il colorito color del

vino e gli occhi pieni delle grazie di Afrodite (vv. 233-236; 453-459). E cos Cratino, nell'ambito

della parodia di un mito ben noto al pubblico, senza l'esplicita menzione di Elena, mette in risalto

la vanit dell'eroe comico e lascia presagire il successivo svolgimento dell'azione, cio e il

rapimento e la conquista della donna, fatti prevedibili e logicamente attesi dagli spettatori,

memori delle vicende di Paride.

La scena successiva del dramma prevede un momentaneo spostamento di luogo, dal momento

che il dio si reca per mare a Sparta, per prendere Elena, e con lei fa subito ritorno sullIda

(ll. 20-23). Il seguito dell'azione scenica, descritto nella parte finale della prima colonna, non

risulta pienamente comprensibile (ll. 23-25). Grenfell-Hunt 1904 p. 71 alla l. 23 leggono nel

papiro e lo intendono come forma abbreviata del participio aoristo (), mentre alla l.

25, dopo (), propongono [() ] : Dioniso, dopo aver sentito che

gli Achei saccheggiano e distruggono la regione, cio la Troade, fugge da Alessandro. Anche

Krte, seguito da Croiset ed Edmonds, sceglie tale soluzione, ma essa non sembra molto chiara:

perch il dio del teatro dovrebbe rifugiarsi da Paride, se lo svolgimento successivo dellintreccio

mostra chiaramente che egli non pu che temerlo? Alessandro, infatti, come si vedr a breve, una

da erklrt er mit seinem Urteilsspruch diese zur Siegerin). L'ipotesi di Ebert, che prevede la personificazione dei
doni, stata di recente condivisa da Bakola 2009 pp. 285-294, con la variante di , al posto di , in
accordo con la congettura di Kassel-Austin: () / / () [] () /
, [] / () ()() (), / () () () /
/. L'interpretazione dello studioso tedesco , per, a mio avviso, molto discutibile ,
innanzitutto per ragioni sintattiche, dal momento che, come fa notare Luppe 1980 p. 157, il verbo ,
usato per indicare la comparsa in scena di personaggi, non mai attestato in una costruzione col dativo della
persona; il verbo , poi, non si trova in nessun caso come transitivo attivo nel senso di concedere e,
infine, manca un parallelo nel testo greco per l'infinitiva finale retta da e ipotizzata da Ebert
nella sua traduzione. Bakola 2009 p. 294 n. 174, che conserva il testo trdito, tenta di risolvere l'anacoluto
presente nella frase relativa all'offerta di Afrodite, supponendo un genitivo assoluto con il participio
sottinteso, ma tale ipotesi risulta difficilmente accettabile. di gran lunga preferibile, a mio avviso,
salvaguardare la tradizione e presumere una lacuna alla l. 13, senza azzardare eventuali integrazioni e modifiche
che, per quanto ingegnose, restano del tutto inverificabili.

62
volta scoperta la coppia, ordiner di consegnarla agli Achei (ll. 33-37). Wilamowitz 1904 p. 665,

allora, congettura [] / : Dioniso viene a sapere che gli Achei

saccheggiano la regione e ha paura di Alessandro. Anche in questo caso il senso non molto

chiaro, poich non si comprende bene la connessione tra lopera di distruzione dei Greci e il

timore nei confronti delleroe troiano. Luppe 1966 p. 180 giustifica la scelta di Wilamowitz sulla

base di una lettura arbitraria dell'ultima lettera della prima colonna, identificata dallo studioso in

un ; in realt, nel papiro non c traccia di questa lettera, ma segnata solo una linea

leggermente sinuosa, la stessa del rigo 11 e del rigo 21, utilizzata come forma abbreviata per .

Lo studioso tedesco nota, poi, che subito dopo visibile anche una piccola linea obliqua, che pu

appartenere a una delle seguenti lettere, , , , , oppure . Luppe, quindi, ricostruisce in tal

modo le ultime due righe della prima colonna:

.[ ] / . Egli pensa che nella lacuna vada inserito un infinito, che abbia

come iniziale una delle lettere sopra citate, e sceglie il verbo : gli Achei devastano la

Troade, perch credono che Paride abbia rapito Elena, e lo inseguono per fargliela pagare. Una

simile interpretazione porta ovviamente a riesaminare anche la l. 23, poich, per ragioni di

coerenza sintattica, non pu essere sciolto in (), ma necessaria una forma finita

del verbo, che possa reggere i due infiniti successivi. Lo studioso tedesco, inoltre, fa notare che

nel testo della hypothesis non si trova nessun participio in forma abbreviata (l. 20: ; l. 31:

; l. 32: ()(); ll. 34-35: /; l. 38: ), mentre per ben due volte

si ha labbreviazione di verbi in forma finita (l. 22: (); l. 39: ()); per questa

ragione, alla l. 23 predilige l'indicativo presente (). Kassel-Austin condividono questa

correzione, ma alla l. 25, dopo il segno di abbreviazione per , suggeriscono linfinito [:

gli Achei mettono a ferro e fuoco la regione e vanno alla ricerca di Alessandro.

63
Successivamente, Dioniso, dopo aver nascosto Elena in un cesto, si camuffa da ariete e attende lo

svolgersi degli eventi futuri (ll. 29-33). Alla l. 30 Grenfell-Hunt 1904 p. 72 leggono e

integrano [ (come un formaggio), mentre Krte 1904 p. 484 propone [

, forse unoca o una gallina, in base ad una testimonianza di Ateneo, secondo cui

propriamente un cesto per pollame (1.23d); in tal modo, Elena subirebbe una metamorfosi in

unoca o in una gallina. Ma per quale ragione leroina, gi resa irriconoscibile dalla

trasformazione, dovrebbe essere anche nascosta e chiusa in un cesto? Luppe 1966 p. 181 ritiene

che anche in questo caso ci sia stato un errore di lettura da parte degli editori: dopo , infatti, si

conserva una linea verticale sormontata da una trasversale; non pu essere perch mai nel testo

in questione questa lettera scritta in tal modo, ma si tratta probabilmente di . Lo studioso

tedesco, quindi, propone [], seguito anche da Kassel-Austin: Dioniso, per paura di

Paride, nasconde in fretta Elena in un cesto, si traveste da ariete e attende il seguito. Alessandro,

per, sopraggiunto, scopre i due e ordina che vengano condotti alle navi e consegnati ai Greci

(ll. 33-37). Successivamente, leroe troiano decide di trattenere con lui Elena e prenderla in

moglie, mentre consegna agli Achei solo Dioniso, accompagnato nel finale del dramma dai satiri,

che gli assicurano sostegno e conforto (ll. 37-44).

La parte iniziale della seconda colonna (ll. 26-28) restituisce il titolo del dramma ed il nome

dell'autore. Tra le due indicazioni si legge alla l. 27 . Grenfell-Hunt 1904 pp. 69-70 ipotizzano

che si tratti di un numerale; il Dionisalessandro sarebbe, dunque, lottavo dramma di Cratino, ma

gli editori non danno questo dato per certo perch, anche se negli argumenta dellAntigone di

Sofocle, dellAlcesti di Euripide e degli Uccelli di Aristofane vi sono numeri corrispondenti, il

criterio di numerazione del tutto oscuro. Krte 1904 p. 485, allora, accogliendo la proposta del

numerale, immagina che esso faccia riferimento ad una collocazione alfabetica e suggerisce che

64
la commedia cratinea potesse occupare l'ottavo posto in unedizione alessandrina dedicata al

commediografo ateniese, secondo un ordine di questo tipo: , , ,

, , , , . La tesi di Krte non

convincente perch, come fa notare Luppe 1966 p. 189, lindicazione del numero con una sola

lettera del tutto insolita e sarebbe, anzi, un'eccezione, dal momento che in tutti gli altri casi vi

sempre anche la presenza di un verbo, , , oppure 114. molto

strano, inoltre, che il numero si trovi compreso tra il titolo e il nome dellautore, perch in genere

indicato insieme allanno di rappresentazione del dramma. In base al ragionamento di Luppe,

insomma, se il Dionisalessandro fosse stato davvero lottavo dramma di Cratino, avremmo

dovuto trovare () , .

Edmonds 1957 p. 32 si mostra di altro parere e pensa che vada interpretata come la particella

disgiuntiva e che ci si trovi di fronte a un doppio titolo, il secondo dei quali andato perduto.

Lo studioso, sulla base di un ditirambo di Bacchilide, in cui si legge il doppio titolo

/ ? (B. 14 L.G. 3.92), propone [] []. , per,

evidente che la sua ipotesi non ha alcun riscontro scientifico e, per di pi, frutto di una

supposizione assolutamente soggettiva e non altrimenti verificabile. Luppe 1966 pp. 185-192,

allora, accoglie s la proposta di considerare una particella disgiuntiva, ma sceglie come

secondo titolo (gente dellIda), sulla base di due scoli ad Aristofane, in cui questo nome

compare proprio quale titolo di una commedia di Cratino115. Nel Dionisalessandro, del resto,

114 Cfr. Hyp. S. Ant. 1: ; Hyp. E. Alc. 2: ;


Hyp. Ar. Av. 1: ; Pap. Oxy. 1235 105-106 (Men. Imbrioi): []/ [ ...]/
[.
115 Cfr. schol. Ar. Ec. 1121; Th. 215. In particolare, nello scolio al verso delle Tesmoforiazuse si legge:
<> . Si pone qui il problema dell'interpretazione di
, perch difficile pensare che ci sia un riferimento ad un punto preciso della commedia, cio alla parte
iniziale, dal momento che in genere nelle note di commento la citazione di limita esclusivamente all'autore e al
dramma. Luppe 1966 pp. 185-192, allora, ipotizza la sostituzione di con , sulla base del fatto
che indica propriamente l'epifania di divinit (cfr. Hom. Il. 20.131; Od. 7.201-202; 16.161;
Luc . Cal . 18). Il passo dello scolio conterrebbe, quindi, secondo lo studioso, una chiara allusione al

65
gran parte dellazione scenica si svolge proprio sullIda e potrebbe, allora, riferirsi al coro,

formato, forse, dai pastori dellIda al seguito di Paride.

Nel testo della hypothesis il solo riferimento sicuro al coro del dramma alle ll. 6-12, in cui,

come si gi visto, si descrive lattivit dei coreuti durante e immediatamente dopo la parabasi,

anche se non si indica esplicitamente la loro identit, forse perch gi menzionata in precedenza,

nella parte dellargumentum andata perduta. I primi editori, seguiti da Krte 1904 p. 483, Croiset

1904 p. 299 e da Norwood 1931 p.118, deducono lidentit dalla forma plurale () della

l. 42: la presenza dellarticolo determinativo ha senso soltanto se i satiri sono stati gi nominati;

perci, l della l. 6 non pu che essere identificato con () della l. 42.

Luppe 1966 pp. 184-185, invece, ipotizza la presenza di un doppio coro, uno principale costituito

dai pastori e uno secondario formato da satiri, e immagina che siano i primi, al servizio di Paride

sullIda, ad eseguire la parabasi, a deridere subito dopo Dioniso travestito da Alessandro

(ll. 6-12) e a ricevere ed attuare lordine delleroe troiano di consegnare il dio agli Achei

(ll. 34-37; 40-41). A riprova di ci, lo studioso tedesco focalizza la sua attenzione sul fr. 39 K.A.,

in cui si accenna alla tosatura delle pecore, un'attivit che pu essere svolta solo da pastori:

Ci sono qui forbici,


con le quali tosiamo le pecore e i pastori ()

Poll. X 140 (codd. ABCL) , , .


. Phryn. praep. soph. p. 80.22 (: . cod.,
cf. Et. gen. AB = Et. magn. p. 534.8) . cf. Hesych. 421

Dionisalessandro, in particolar modo alle tre dee, che Dioniso ha il compito di giudicare sull'Ida.

66
Bakola 2005 pp 50-51 pensa che l'ipotesi di Luppe, per quanto suggestiva, sia del tutto

congetturale, anche perch in questo frammento laccusativo plurale sembra ben

distinto dalla prima persona plurale del verbo e, dunque, a suo avviso, un altro gruppo, non i

pastori, a pronunciare questi due versi. La studiosa sostiene che nel Dionisalessandro ci sia un

solo coro formato da satiri, che tradizionalmente costituiscono il corteggio dionisiaco: essi

pronunciano la parabasi e, poi, deridono il loro padrone, probabilmente perch ad un certo punto

dellazione scenica entrano in conflitto con Dioniso per ragioni a noi ignote, ma che forse erano

ben indicate nella sezione della hypothesis andata perduta; in tal modo, divenuti estranei al loro

signore, essi assumono temporaneamente il ruolo di pastori al servizio di Paride sullIda e da lui

prendono lordine di liberare la sua casa da Dioniso, quale impostore, e mandarlo in disgrazia;

soltanto nel finale della commedia, quando il dio viene consegnato agli Achei, i satiri, mossi da

piet, si riconciliano con lui e decidono di non abbandonarlo e di seguirlo nella sua prigionia.

Secondo la Bakola, quindi, la commedia sarebbe formata da un unico coro di satiri, i quali solo

temporaneamente nel corso dellazione scenica assumono le vesti di pastori, per poi tornare alla

loro tradizionale condizione nel finale, dopo la riconciliazione con Dioniso. Questa idea senza

dubbio molto affascinante, ma non offre alcuna garanzia di attendibilit, dal momento che nel

testo conservato della hypothesis non c traccia di un presunto litigio tra il dio e il suo seguito.

Resta, a mio avviso, maggiormente valida, anche se non certa, l'ipotesi del doppio titolo

, suggerita da Luppe e accolta anche da Austin (CGFP p. 37), ipotesi

che, come si detto, prevede la presenza di due cori, uno principale formato da pastori e uno

secondario di satiri, i quali, nel finale del dramma, non possono che dare conforto e sostegno al

loro padrone, fatto prigioniero, e scortarlo in processione, un comportamento che rispecchia in

pieno la loro condizione servile.

67
La ricostruzione dell'intreccio comico, appena esposta, mostra che la commedia di Cratino

interamente incentrata sulla parodia del mito di Paride, ottenuta mediante l'accurata sostituzione

dell'eroe troiano con Dioniso. Ma perch proprio Dioniso? Perdrizet 1905 pp. 109-115, sulla base

di alcune raffigurazioni di vasi attici, su cui sono rappresentati la fuga di Paride e il tentativo di

Hermes di afferrarlo, ipotizza che una simile scelta sia dovuta proprio alla fuga delleroe troiano:

per una sorta di terrore religioso, un essere umano non pu entrare in contatto con una divinit e

reggere il suo sguardo; e allora Alessandro, in quanto uomo, si spaventa davanti allapparizione

delle tre dee e scappa; Hermes tenta di prenderlo, ma invano e, in assenza di un giudice, il

messaggero divino assegna tale compito a Dioniso. Ora, nonostante il motivo del timore umano

dinanzi al divino sia caro alla poesia greca (cfr. Hom. hCer. 275-283; hVen. 181-189), questa tesi

applicata al Dionisalessandro risulta assolutamente inaccettabile, perch pecca di incoerenza con

lo svolgimento successivo dellazione scenica, che prevede un intervento risoluto di Paride

contro Dioniso. Se, invece, questultimo ha assunto per necessit la funzione di giudice, in

seguito alla fuga del primo, come lo studioso francese prova a sostenere, perch mai leroe

troiano dovrebbe avere un atteggiamento ostile nei suoi riguardi? C' poi da aggiungere che il

testo papiraceo mostra chiaramente che il dio si arroga il compito di giudicare le tre divinit non

per necessit, ma mediante un inganno. Egli, infatti, subisce due metamorfosi: in un primo

momento, agisce nei panni di Alessandro e, dunque, le stesse divinit, in attesa del verdetto, sono

convinte di avere dinanzi Paride; sempre nelle vesti di questultimo, Dioniso si reca a Sparta per

rapire Elena, ragion per cui gli Achei invadono la Troade e non si mettono sulle tracce del dio,

ma vanno alla ricerca di Alessandro; successivamente Dioniso si traveste da ariete e nasconde

Elena, per sfuggire alleroe troiano, il quale, accortosi del tranello, subendo il fascino della

donna spartana, la trattiene a s e la prende in moglie, ma si infuria con il dio e si vendica

68
consegnandolo ai Greci. Tutto, quindi, si gioca nel dramma di Cratino sulla capacit di

travestimento di Dioniso, sulle sue identit multiple, in primo luogo come dio del teatro e poi

come Paride, come ariete e, da ultimo, come si vedr, nelle vesti di Pericle. Non , allora,

difficile intuire la ragione della scelta di Dioniso quale eroe comico, dal momento che nessun

personaggio meglio di lui in grado di assumere forme diverse. Dioniso , infatti, il dio

dell'alterit per eccellenza ed il travestimento un elemento caratteristico del suo mito e del suo

culto: noto da Apollodoro che, per sottrarlo alla gelosia di Era, Zeus affida il piccolo Dioniso a

Hermes e questo, a sua volta, ai sovrani di Orcomeno, con la raccomandazione di allevarlo

travestito da bambina (3.4.3); quanto al culto, poi, il retore Aristide informa che l'uso dionisiaco

prevedeva, innanzitutto, donne camuffate da uomini, ma anche uomini camuffati da donne, per

esempio in occasione delle feste di campagna, i komoi, oppure durante l'Oschrophoria, una festa

di efebi che rievocava l'arrivo di Dioniso al porto del Falero ed era introdotta da due ragazzi in

abiti femminili e con grappoli d'uva (41.9). Il travestimento, profondamente radicato nel mito del

dio del teatro, non fa altro che esprimere il piacere represso per il mutamento d'identit e

compare con insistenza anche nel suo culto, perch l'esperienza dionisiaca comporta sempre, in

forme diverse, un uscire dai limiti della propria persona: un'estasi, letteralmente; sia nel senso

pi neutro di partecipazione a danze e feste, o ad altri riti di isterismo collettivo, sia nel senso pi

marcato di alterazione della personalit, follia, possessione 116.

Cratino sceglie Dioniso117 come protagonista della sua commedia, perch nessuno meglio di lui,

116 Fusillo 2006 p. 31. Per un approfondimento specifico sull'importanza del travestimento nella personalit di
Dioniso e sulla sua ricorrenza nelle Rane di Aristofane e nelle Baccanti di Euripide si vedano Fusillo 2006 pp.
15-43; Bakola 2009 pp. 253-272 (con relativa bibliografia).
117 Che Dioniso comparisse sulla scena nel suo abbigliamento usuale , del resto, testimoniato anche dal
fr. 40 K.-A.:

(.) ; .
(.) , , ,

(A.) Aveva una veste? Dimmelo.

69
costantemente soggetto a processi di metamorfosi, pu prestarsi al gioco comico di parodia del

mito di Paride e, nello stesso tempo, farsi strumento diretto dell'attacco politico contro Pericle.

Che, infatti, il Dionisalessandro sia una commedia a sfondo politico testimoniato dalla parte

finale dellargumentum, laddove si dice che nel dramma viene schernito Pericle, per aver portato

la guerra agli Ateniesi (ll. 44-48), senza ombra di dubbio la guerra del Peloponneso. Questa

osservazione significativa, perch, oltre a garantire la matrice antipericlea del dramma,

permette anche di definire l'arco temporale per la sua rappresentazione, di certo immediatamente

dopo lo scoppio del conflitto e prima della morte dello statista, tra il 431 e il 429.

Il testo conclusivo della hypothesis, inoltre, ha indotto la maggior parte degli studiosi a fornire

un'interpretazione della commedia in termini di allegoria politica, con specifiche allusioni alle

vicende storiche contemporanee. Per primo, Croiset 1904 pp. 308-310 individua nella

rappresentazione della devastazione della Troade ad opera degli Achei un evidente richiamo alla

recente distruzione delle terre dell'Attica e dei demi intorno ad Atene, operata dall'esercito

spartano nell'estate del 431 (cfr. Th. 2.19.2; 2.23.1). Lo studioso, poi, convinto che il ritratto di

Dioniso, quale causa diretta della guerra troiana, sia un attacco esplicito a Pericle, il responsabile

del conflitto peloponnesiaco agli occhi dei suoi cittadini, cos come si ricava dai racconti di

Tucidide e di Plutarco (Th. 2.21.3; Plu. Per. 33). Allo stesso tempo, la reazione codarda del dio,

che, dopo l'invasione, si camuffa da ariete per non essere catturato, potrebbe essere letta come

(B.) Un tirso, una veste color zafferano, un mantello variopinto, una coppa

Macrob. Sat. V 21.6 (codd. NP) nec solus Asclepiades (Myrleanus, cf. Athen. XI p. 474F) meminit huius poculi (carchesii)
sed et alii illustres poetae (- codd.)

Alla richiesta di una presentazione dell'abbigliamento di un personaggio, dunque, una persona non meglio
specificata, pur senza svelarne l'identit, ne descrive l'aspetto in maniera cos inequivocabile, che non risulta
difficile pensare immediatamente a Dioniso; il tirso, il croceo (, la veste color zafferano) e il mantello
variopinto (), forse simile al o , il chitone dotato di maniche (cfr. Poll. 7.55),
rappresentavano, infatti, il costume abituale del dio del teatro (cfr. Poll. 4.116-117; 7.47). In generale, sulla
questione si veda Pickard-Cambridge 1996 pp. 279-280. Sul fr. 40 si veda anche Bakola 2009 p. 257.

70
una caricatura allusiva della irresponsabile e vile strategia difensiva messa in atto dallo stratega,

intenzionato a non uscire allo scoperto contro il nemico, nonostante le devastazioni (Th. 2.22.1;

Plu. Per. 33). Plutarco, del resto, nello stesso passo in cui descrive il comportamento dello

statista, riporta un frammento delle Moire di Ermippo, portate in scena nello stesso periodo del

Dionisalessandro (430), frammento in cui Pericle, nei panni del re dei satiri, accusato di essere

bravo a fare discorsi coraggiosi in tempo di pace e a liberarsi in fretta della lancia in battaglia118.

Secondo Croiset, infine, l'avventura amorosa di Dioniso con Elena, la portatrice della guerra di

Troia nell'immaginario collettivo greco, il cui nome tradizionalmente legato al topos della

guerra per colpa di una donna, ricalca in pieno la relazione di Pericle con Aspasia119, la

cortigiana di Mileto accusata da Aristofane negli Acarnesi ( vv. 523-537) di aver determinato lo

scoppio del conflitto peloponnesiaco, per via del rapimento di due sue prostitute da parte dei

Megaresi, rapimento che spinge Pericle, in preda all'ira, a promulgare il noto decreto contro

Megara, in base al quale vietato alla citt di servirsi dei porti dei territori soggetti ad Atene e

del mercato ateniese (cfr. anche Th. 1.67.4; 139.1; 144.2). Plutarco dice anche espressamente che

Aspasia la responsabile diretta del conflitto contro Samo, perch solo per la difesa della sua

citt natale, Mileto, che lo statista invia una spedizione navale contro i Samii (Per. 25.1).

Sempre nell'ottica di un'interpretazione allegorica, Schwarze 1971 pp. 11-24 ritiene che il

comportamento ingannevole di Dioniso di fronte a Paride evochi l'atteggiamento di superbia di

Pericle nei confronti del ateniese (impersonato da Paride), in occasione della prima

invasione peloponnesiaca dell'Attica, quando lo statista impone la strategia difensiva, senza

preoccuparsi del consenso popolare, e proibisce ai cittadini la partecipazione ad assemblee

118 fr. 47.1-4 K.-A.: , / , /


, / ;
119 Aspasia presa di mira anche nei Chironi di Cratino (fr. 259 K.-A.) e si rimanda al capitolo specifico su questo
dramma per un approfondimento sulla figura di questa donna.

71
regolari e riunioni straordinarie, per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso e per evitare

cambi di programma (cfr. Th. 2.22.1). Dioniso-Pericle, inoltre, nel giudicare le tre dee, rifiuta un

potere stabile, offerto da Era, rigetta l' in guerra (o meglio l', il coraggio,

seguendo Kassel-Austin) e da vile e codardo assegna il premio ad Afrodite, che gli garantisce la

bellezza suprema, un'allusione, forse, allo statista come uomo privato, vittima del piacere dei

sensi, e, dunque, alla sua relazione con Aspasia. Secondo lo studioso tedesco, poi, la consegna di

Dioniso al nemico da parte di Paride rimanda alla richiesta spartana dell'esilio di Pericle, come

erede del sacrilegio degli Alcmeonidi, risalente al tentativo di Cilone di instaurare una tirannide

ad Atene (cfr. Th. 1.126-127). Infine, il fatto che Elena, allegoria di Aspasia e ipostasi della

guerra, venga risparmiata e presa in moglie da Paride, cio dal popolo ateniese, implica la

volont di continuare la guerra, con o senza Pericle. Schwarze, quindi, attribuisce a Cratino una

posizione bellicista che, nonostante i ripetuti attacchi alla politica dello statista, lo porta

comunque a prender le parti del partito guerrafondaio e ad incitare a una prosecuzione del

conflitto. Tale interpretazione, per, assolutamente fuorviante e in netta contraddizione con

quanto scrive l'anonimo redattore della hypothesis, il quale asserisce in modo inequivocabile che

nel Dionisalessandro il commediografo si scaglia contro Pericle, perch individua in lui il

responsabile principale della guerra.

La lettura in chiave allegorica di una commedia frammentaria, come il Dionisalessandro, di cui

ricostruibile la trama solo per sommi capi, seppure conduce, come si visto, ad osservazioni

interessanti, si rivela un procedimento arbitrario ed opinabile, perch l'utilizzo del termine

allegoria presuppone sempre la possibilit di individuare dietro le vicende della narrazione un

costante e simultaneo riferimento a fatti e circostanze reali, sganciate dal contesto della finzione

scenica, con il rischio, a volte, di operare forzature sul materiale conservato. Nel caso del

72
dramma di Cratino, identificare l'Elena del mito con Aspasia crea delle difficolt oggettive, dal

momento che, per quanto questa impressione possa essere ragionevole, vi sono alcuni punti

nell'intreccio che non permettono la continuit di una simile equazione (Elena = Aspasia): il

rapimento dell'eroina spartana, per esempio, ed il suo matrimonio con Paride non trovano

corrispondenze effettive in nessuna vicenda reale, ma richiamano semplicemente il mito

tradizionale. Anche l'individuazione di Elena come allegoria della guerra rende complicata

l'interpretazione di alcuni dettagli narrativi, come per esempio il fatto che la donna viene

nascosta in un cesto, quando Dioniso tenta di sottrarsi ad Alessandro. Luppe 1966 p. 183 ritiene

che questo escamotage alluda agli Ateniesi, soggetti, per volont di Pericle, ad una condizione di

segregazione all'interno delle mura della citt, al momento dell'invasione spartana; in tal caso,

per, Elena corrisponderebbe allegoricamente al popolo ateniese e non alla guerra.

allora, forse, preferibile, per quanto riguarda l'interpretazione della commedia, rinunciare alla

categoria allegorica e seguire una diversa linea esegetica maggiormente rispondente al materiale

frammentario conservato. Il testo della hypothesis, del resto, come fa notare Bakola 2009 p. 188,

dimostra chiaramente che, sebbene la dimensione politica sia una componente essenziale del

dramma, vi sono pure altri fattori non trascurabili, i quali rendono l'opera teatrale nel suo insieme

un lavoro molto complesso, che opera nello stesso tempo su pi livelli: il livello della parodia

comica del mito, di cui si gi detto, quello del dramma satiresco ed il livello della satira

politica.

Secondo la Bakola (2005 pp. 54-55; 2009 pp. 89-97), infatti, il Dionisalessandro si configura

come un vero e proprio caso di interazione tra due generi letterari, la commedia e il dramma

satiresco, con il quale condivide, oltre alla presenza dei satiri, alcuni motivi tipici 120:

120 In generale, sui motivi caratteristici del dramma satiresco si vedano Sutton 1980 pp. 145-159; Seaford 1984 pp.
33-44; Krumeich et al.1999 pp. 28-32; 666-667.

73
1) La prigionia e la schiavit: Dioniso catturato da Paride e consegnato ai Greci e i satiri

decidono di seguirlo nella sua sorte sventurata.

2) L'inganno e la frode: Dioniso assume il ruolo di Alessandro nel giudizio delle dee sullIda, ma

il fatto che gli Achei dopo il rapimento di Elena vadano alla ricerca delleroe troiano e non del

dio denota un deliberato inganno.

3) L'avventura damore di una divinit con una donna mortale e/o il matrimonio di un dio o di un

eroe: nella commedia di Cratino si ha sia lavventura di Dioniso con Elena, sia il della

donna con l'eroe troiano.

4) Il tema della gara: nel Dionisalessandro presente la nota gara di bellezza tra Era, Atena ed

Afrodite, cio lo stesso mito messo in scena da Sofocle nel suo Crisis.

5) I motivi dionisiaci del travestimento e della trasformazione: Dioniso cambia due volte aspetto

nel corso dellazione scenica, perch in un primo momento agisce nelle vesti di Alessandro e poi

si traveste da ariete, per sfuggire alleroe troiano.

6) Il tema dell'ospitalit ed il suo abuso: Dioniso assume il ruolo di Paride, che nella mitologia

greca rappresenta il simbolo per eccellenza dell'oltraggio al principio di ospitalit.

Per quanto, per, la commedia di Cratino faccia ricorso ai motivi caratteristici del dramma

satiresco, essa va comunque classificata a tutti gli effetti come un dramma comico, per la

preponderante e indiscutibile presenza della componente fondamentale della produzione

dell'archaia, ossia la satira politica. Ma come si esplica il meccanismo satirico?

La parte finale dell'argumentum d precise indicazioni sulla modalit specifica, con cui Cratino

mette alla berlina Pericle, ossia (ll. 46-47). L'avverbio

rimanda alla sfera dell'abilit, come dimostrano due hypotheseis aristofanee, in cui esso ricorre

74
per sottolineare l'efficacia di certi effetti umoristici121. L'ignoto scriba del papiro, dunque, nel

ricordare il background politico della commedia, esprime, con l'utilizzo dell'avverbio ,

anche un commento estetico su di esso, che pu sia far riferimento alla buona riuscita del

procedimento satirico (), sia qualificare maggiormente la tecnica utilizzata dal

commediografo per condurre l'attacco politico ( ). Il termine , infatti,

identifica la tecnica satirica usata da Cratino e, nelle interpretazioni politiche precedentemente

analizzate, esso inteso nel senso di allegoria. Quest'ultima, per, una figura retorica, che serve

a veicolare un concetto attraverso un'immagine e presuppone una relazione continua e,

soprattutto, esplicita e trasparente tra il primo e la seconda, una corrispondenza perfetta tra tutti

gli elementi. Un esempio pu essere rappresentato dai vv. 40-59 dei Cavalieri di Aristofane, in

cui il servo descrive la situazione nella casa del suo padrone, Demos. In questo passo, tutti gli

eventi descritti rinviano in maniera limpida, quasi letterale, a fatti reali: Demos non altro che il

popolo di Atene; gli schiavi sono i politici al servizio del e, in particolare Plafagone, il

(v. 44), inequivocabilmente Cleone; la caratterizzazione di Demos come

, , (v. 41) (vv. 42-43)

riflette in pieno le qualit degli Ateniesi in assemblea; e la rappresentazione di Plafagone come

un adulatore (vv. 46-49) richiama visibilmente l'attitudine demagogica di Cleone.

L'122, invece, qualcosa di ben diverso, perch il retore Tiberio spiega che il sostantivo si

usa quando qualcuno non dice espressamente la cosa in s, ma la evidenzia per mezzo di un'altra

(Fig. 14: ) e,
121 yp. Ar. Nu. A5 17-18: ; Ra. I 22-24:
,
. Si vedano anche schol. Ar. V. 248a Koster: ( ):
, ; Av. 1155 Holwerda:
: , ; Plu. Mor. 747b:
.
122 Per un'analisi approfondita del sostantivo si rimanda a Bakola 2009 pp. 198-203 (con ulteriore bibliografia
citata in n. 35 p. 199).

75
ancora, il grammatico Trifone dichiara che un'espressione che amplifica il concetto

immediato, tramite un meccanismo allusivo (Trop. p. 199.15-20 Spengel:

). Il termine, dunque, indica piuttosto un'allusione velata o,

meglio, implica la creazione di un'immagine mentale, an elusive appearence, such as

appearence in dreams, impression, or reflection (as of mirrors or water) (Bakola 2009 p. 200).

Nel Dionisalessandro, dunque, Dioniso prima di tutto se stesso, cio il dio del teatro che opera

in qualit di protagonista del dramma e con le sue azioni permette lo svolgimento dell'intreccio.

Parallelamente, per, come l'espressione suggerisce, il suo ritratto evoca in qualche

modo Pericle, lo richiama potenzialmente, e what activates this potentiality, or suggests to the

audience that Dionysus sometimes is also Pericles, is the technique of emphasis mentioned by

the author of the hypothesis (Bakola 2009 pp. 204-205). Gli elementi specifici della trama, che

avranno indotto il pubblico a pensare immediatamente allo statista, sono di sicuro quelli gi

esaminati: il rifiuto del saldo potere e del coraggio, la scelta della bellezza suprema, il fatto di

aver causato la guerra per una donna, la devastazione del territorio, l'irresponsabilit e la

codardia di fronte agli eventi. Nello stesso modo, anche Elena avr certamente richiamato alla

mente Aspasia, come responsabile del conflitto, senza, per, identificarsi per forza con lei per

tutto il corso dell'azione scenica. Dioniso ed Elena, insomma, correspond to historical

characters only in so far as they suggest them, and the myth in which they partecipate reflects the

historical reality of the time in the same terms (Bakola 2009 p. 205).

L', in definitiva, una tecnica di suggestione usata da Cratino per far s che, nel corso

della rappresentazione, gli spettatori riuscissero a cogliere gli aspetti periclei del protagonista

Dioniso. Secondo Revermann 1997 p. 199, il personaggio compariva sulla scena anche con

qualche tratto fisico idoneo ad evocare la figura dello statista, per esempio, attraverso un

76
particolare adeguamento mimetico della maschera, con una testa sproporzionata, perch la

deformit cranica di Pericle era il difetto pi noto, per il quale egli veniva continuamente preso

in giro dai commediografi e, soprattutto, da Cratino123. L'ipotesi certamente suggestiva, ma,

comunque, con o senza una distorsione della maschera, l'allusione a Pericle poteva anche

realizzarsi semplicemente attraverso il linguaggio e la gestualit, magari attribuendo a Dioniso

un certo modo di parlare e di muoversi, che the Athenian audience would have associated with

the Athenian leader through their familiarity with his public speaking 124.

Resta ora da fare un'ultima osservazione sulla data di rappresentazione. Come si detto in

precedenza, la messa in scena del Dionisalessandro va fissata tra il 431 e il 429, subito dopo lo

scoppio della guerra e prima della morte di Pericle. Si pu, per, forse individuare l'anno con

maggiore precisione. Se, infatti, nel dramma rintracciabile uneffettiva allusione alla prima

invasione peloponnesiaca dellAttica, risalente all'estate del 431, la rappresentazione va di certo

posticipata agli agoni immediatamente successivi, quelli del 430. Plutarco (Per. 33.7-8), inoltre,

come si gi avuto modo di accennare, per mostrare lo sdegno e l'indignazione degli Ateniesi,

provocati dalla strategia difensiva attuata dallo statista, cita alcuni anapesti tratti dalle Moire di

Ermippo (fr 47 K.-A.), rappresentate, quindi, nel 430; nel frammento in questione lo stratega

apostrofato come ed attaccato per la sua vilt, che non si conf al tono

solenne dei suoi discorsi sulla guerra. Non , forse, azzardato ipotizzare che anche Ermippo

abbia portato in scena un Dioniso-Pericle, re dei satiri, magari prendendo a modello proprio il

Dionisalessandro e ispirandosi al personaggio comico costruito da Cratino. Se cos fosse, la

123 Sul difetto fisico di Pericle e sulla sua derisione in commedia e, in particolare, nei drammi di Cratino si rimanda
in questa sede al capitolo relativo alle Tracie.
124 Bakola 2009 p. 261. Sull'importanza della voce e della gestualit degli attori si veda Pickard-Cambridge 1996
pp. 231-244. Sulle maschere della commedia antica e sulla libert nella loro produzione, libert finalizzata ad
imitare realisticamente i volti dei personaggi o a deformarli comicamente, cfr. Pickard-Cambridge 1996
pp. 289-306; si veda anche, in questa sede, l'analisi del fr. 73 K.-A. delle Tracie.

77
messa in scena della commedia cratinea andrebbe posta immediatamente prima della

rappresentazione delle Moire; e una soluzione plausibile potrebbe essere, allora, quella di

collocare il Dionisalessandro alle Lenee del 430 ed il dramma di Ermippo subito dopo, alle

Dionisie dello stesso anno (cfr. Croiset 1904 pp. 309-310).

Con una certa probabilit, quindi, alle Lenee del 430, di fronte ad un pubblico di soli Ateniesi,

Cratino porta in scena il dio del teatro, nelle vesti di un ingannatore vile e codardo, che sottrae a

Paride la funzione di giudice delle tre dee e, per questo, dopo aver scatenato il conflitto troiano,

viene miseramente punito e fatto prigioniero dagli Achei. Ora, ad un anno dallo scoppio della

guerra del Peloponneso, voluta con grande foga da Pericle, e dopo la prima invasione spartana

dell' Attica, causa di gravi disagi materiali e psicologici per la citt, in virt del sovraffollamento

e della peste, la rappresentazione di un Dioniso, che richiamava nell'aspetto, o anche soltanto nel

linguaggio e nelle movenze, i tratti specifici dello statista, doveva certamente essere di forte

impatto per il pubblico e, probabilmente, contribuiva anche a rafforzare, in qualche modo, il

sentimento impopolare nei riguardi di Pericle, gi preso di mira e duramente attaccato dai suoi

cittadini, non solo per la strategia difensiva, fortemente avversata, ma anche per il fatto stesso di

averli spinti alla guerra e di aver causato loro le pi grandi disgrazie e sofferenze.

78
SECONDO CAPITOLO

79
LE FUGGITIVE

Delle Fuggitive di Cratino si conservano sedici frammenti di tradizione indiretta (53-68 K.-A.),

ma il materiale troppo esiguo per una completa e corretta interpretazione della trama e per una

precisa indicazione dellanno di rappresentazione. , per, importante prendere in esame alcuni

frammenti, che offrono la possibilit di avanzare interessanti ipotesi sulle questioni appena

nominate e permettono, con una certa sicurezza, di inserire questa commedia nel quadro dei

drammi politici.

Non da escludere che, anche in questo caso, come si gi visto per il Dionisalessandro, il

commediografo abbia sviluppato lintreccio drammatico sulla base di materiale attinto da saghe

mitiche per una finalit politica. Lanalisi dei frammenti, con tutti i limiti che derivano dalla

scarsit di versi tramandati, mostra, infatti, chiaramente che personaggio attivo in scena era

Teseo e prova di questo ne , innanzitutto, il fr. 53 K.A.:

<>
125

125 Il testo stampato da Kassel-Austin accoglie al primo verso l'integrazione di suggerita, per ragioni metriche,
da Meineke 1839 p. 48, il quale pensa che ci si trovi di fronte ad un trimetro giambico seguito da un tetrametro
dattilico. Luppe 1969 p. 206, invece, sostiene che i due versi siano tetrametri giambici e propone: < X >
<> / . La tripla soluzione anapestica del
secondo verso, per, risulta piuttosto improbabile per un tetrametro giambico, dal momento che non mai
attestata in nessun poeta comico (cfr. Perusino 1968 p. 107 n. 15). Tale soluzione , invece, assolutamente
ammissibile in un trimetro giambico (cfr. Plu. 815: ); per questa
ragione, accogliendo lintegrazione di Meineke, preferibile pensare che ci si trovi semplicemente di fronte ad
un frammento costituito da due trimetri giambici.

80
Ho strangolato Cercione dopo averlo scovato mentre
di buon mattino cacava sulle verdure

Phot. (z) 2602 = Et. gen. A s.v. (Et. magn. p. 132.12) = Sud. (codd. AGITFM) 3468 = Lex. Bachm. p.
130.23 . ( , in marg. Phot., omissis reliquis)
(fr. 284 K.) (- Et. gen.) (- Sud. AF, - Lex. Bachm., - Et.)
-

I testimoni citano il frammento insieme al fr. 306 K.A. di Eupoli, come esempio delluso del

verbo (andare al cesso, cacare), collegato ai sostantivi / ,

sterco, escremento. La Suda riporta anche alcuni versi di Aristofane: un passo degli Acarnesi,

in cui compare il sostantivo nel significato di bagno, cesso, in riferimento

allesasperante lentezza del Gran Re di Persia, di cui si dice che si chiuse nel cesso con tutto

lesercito per otto mesi a smerdare () sulle montagne doro (vv. 81-84); e tre versi del

Pluto di Aristofane, in cui il verbo () usato dal sacerdote per indicare le

migliaia di persone che si recano ormai al tempio solo per scaricare il ventre (vv. 1182-1184).

Nel frammento in esame, la persona che riferisce di aver sorpreso Cercione mentre faceva i suoi

bisogni sulle verdure126, come una scimmia, e di averlo strangolato, va senz'altro identificata con

Teseo, poich ben nota da pi fonti la vicenda mitica, in base alla quale egli, di ritorno ad

Atene, uccise Cercione nei pressi di Eleusi, dove il famoso brigante era solito costringere alla

lotta ed ammazzare i viandanti che passavano di l: un verso di Bacchilide fa riferimento ad una

palestra di Cercione (18.26-27: / ), Apollodoro racconta

che proprio ad Eleusi Teseo sollev in alto e fracass al suolo Cercione, figlio di Branco e della

126 Al secondo verso del frammento il trdito (verdure) stato corretto da Meineke 1839 pp. 48-49 in
(pitale, vaso da notte). Tale congettura accolta da Luppe 1963 p. 39, perch, secondo lo studioso,
lazione di fare la cacca sopra le verdure non trova spiegazione. evidente, per, che il tono del frammento
scherzoso e che il personaggio di Cercione, o di chi si cela dietro tale mitica figura, messo in ridicolo. Non c,
dunque, necessit di modificare la tradizione con un puro intervento normalizzatore, ma forse meglio
conservare, come fanno anche Kassel-Austin, la forma .

81
ninfa Argiope, e una simile notizia fornisce anche Diodoro Siculo127. Pausania, invece, dopo aver

nominato un luogo nei pressi di Eleusi detto palestra di Cercione, informa che l leroe

ateniese elimin il brigante proprio con il medesimo metodo, con cui lo stesso uccideva i

viandanti, ossia sfidandolo alla lotta128.

Callimaco, poi, nellEcale, accenna alle lotte di Cercione (fr. 328: [-

]) ed Ovidio indica Eleusi come il suo luogo di morte (Met. 7.439: Cercyonis letum

vidit Cerealis Eleusin). In ambito teatrale, inoltre, sappiamo per certo che Eschilo traspose

questo mito nellambito di un dramma satiresco, il , di cui si conservano solo

sei frammenti (frr. 102-107 R.). Il fr. 102 R. rimanda alla preparazione di un incontro di pugilato

(fr. 102 R.: ) e il fr. 104 R., che tramanda il verbo (da

morire), potrebbe alludere in qualche modo alla morte di Cercione per mano di

Teseo. Euripide, infine, compose un dramma dal titolo (frr. 105-113 K.), interamente

incentrato sul personaggio di Alope, figlia del brigante; il fr. 105 K., per, sembra attestare la

presenza in scena di un coro di ginnasti esausti per lo sforzo fisico (fr. 105 K.:

/ ) e questo lascia supporre che

anche nella tragedia euripidea avesse un ruolo la palestra di Cercione e che comparisse lo

stesso Teseo per sconfiggere ed eliminare nella lotta il brigante.

Le fonti sopra riportate, relative alla morte di Cercione per mano di Teseo, permettono di

127 Apollod. Epit. 1.3: .


;
D.S. 4.59.5:
.
128 Paus. 1.39.3: ,
.
,
. ,

.

82
stabilire con una certa sicurezza che nel fr. 53 K.A. delle Fuggitive la persona loquens proprio

Teseo, il quale riferisce con tono ironico e scherzoso, probabilmente al coro o ad un altro

personaggio, limpresa compiuta. , dunque, fuor di dubbio che in questa commedia leroe

ateniese fosse in qualche modo presente in scena e non da escludere che avesse anche un ruolo

di una certa rilevanza allinterno dellintreccio drammatico. D'altra parte, nel fr. 65 K.A. si allude

ad una , di sicuro la strada sacra percorsa dagli iniziati ateniesi diretti ad Eleusi129, ma

forse, nello specifico del dramma, anche un chiaro riferimento alla strada percorsa da Teseo di

ritorno ad Atene da Trezene, dopo luccisione di Cercione (cfr. Leo 1878 p. 409).

La presenza scenica di Teseo provata anche dal fr. 61 K.A.:


, ,

O Pandionide, re della citt


fertile, tu sai quella che intendiamo
e in cui giocano a cane e citt

Poll. IX 98.99 (codd. F, ACL) , .


( om. F),
, .
- . Zenob. Ath. III 16 = vulg. V 67 (Cratini memoriam om. Prov. Bodl.
762) (- Zenob. vulg. Bodl.) (- Zenob. vulg.).
(defic. Zenob. Ath., Bodl. V).
, . cf. Paus. att. 26

129 Harp. p. 158.15 Dind. .


(p. 44 Pr.). (
Q). Alla strada sacra tra Atene ed Eleusi alludono anche Dicearco (fr. 21 W.:
) e Pausania (1.36.3:
, ). In generale, sulla strada sacra e
sulla sua precisa collocazione si rimanda a Frazer 1898 pp. 484-487; Judeich 1931 p. 187; Travlos 1971 pp. 299-
300; 302-303 (con relativa bibliografia).

83
Kock 1880 p. 30 fa notare che la forma , vocativo dorico in , crea difficolt in

anapesti non lirici, dal momento che Aristofane in simili contesti utilizza sempre la forma attica

in (Ar. Eq. 1055: ; V. 438: ). Per questa ragione, lo studioso propone la

variante (o re della citt di Pandione). Sulla base degli esempi aristofanei appena

citati, per, non si vede la necessit di modificare per forza anche il caso; si potrebbe, al limite,

come sottolineano Kassel-Austin in apparato, rendere semplicemente (o

Pandionide, re della citt), pur lasciando cadere, in tal modo, la variazione stilistica; il vocativo

dorico , infatti, potrebbe anche essere stato usato intenzionalmente dal poeta per

enfatizzare il tono elevato dell'invocazione (cfr. Bakola 2009 p. 146).

Ma chi sarebbe il Pandionide, re della citt, a cui qualcuno, verosimilmente il coro, si sta

appellando? Sappiamo da Strabone, Pausania ed Apollodoro che i erano i quattro

figli di Pandione, mitico re dellAttica - Egeo Lico Pallante e Niso - i quali dopo la morte del

padre, si spartirono il regno, dividendolo in quattro parti130. In Dionisio Periegeta (1024), per,

attestata l'espressione in riferimento a Teseo, figlio di Egeo e nipote di

Pandione. Si tratta evidentemente, come osserva Meineke 1843 pp. 70-71, di un

papponymicorum usus, in base al quale il personaggio non individuato con il patronimico,

come figlio di, ma come nipote di, in riferimento al suo avo131. Ne deriva, quindi, che anche

130 Str. 9.1.6: , , , ,


, ,
; Paus. 1.5.4:
,
,
. Apollod. 3.15.206:

. cfr. anche schol. Ar. Lys. 58: ,
, , , .
131 Tale uso attestato pi volte in Omero per Achille, designato come , nipote di Eaco (cfr. :
Hom. Il. 1.184; 17.271; 18.221-222; 21.178; .: Hom. Il. 16.140; 854; .: Il. 2.860; 874;
16.134; 165; 865; 17.388; Od. 11.472; . : Il. 10.402; 17.76; - : Il. 9.191; . : Od.
11.805); In Euripide (IA 217) si trova, invece, , Eumelo discendente di Fere, perch figlio di
Admeto, a sua volta figlio di Fere; la Suda ( 1276 Adler), infine, spiega: .

84
la forma \ del fr. 61 di Cratino potrebbe essere un papponymicorum usus da riferire

a Teseo, discendente di Pandione per via paterna. In tal caso, questo frammento offrirebbe

unulteriore conferma della presenza in scena di Teseo in qualit di personaggio drammatico con

uno specifico ruolo nella fabula comica.

Il secondo verso del fr. 61 pone qualche problema, perch non di facile comprensione:

, . Si allude, infatti, a una citt del Pandionide dal terreno fertile

(), necessariamente una citt dellAttica, verosimilmente Atene. Laggettivo

, per, non per nulla adatto a connotare lAttica oppure Atene, dal momento che ben

noto da Tucidide che questa regione era per la povert del suolo (1.2.5:

). In realt, se si osserva lo stato della tradizione, si nota che la

prima edizione di Polluce (F) ha , un solo codice (A) , mentre i codices

meliores (CL) . Per questa ragione, Tanner 1916 pp. 68-70 predilige la variante

e pensa ad unallusione allindovino Lampone, che, come si vedr, preso di mira

in questa commedia. Ma la lezione pi accreditata in base allo stato della tradizione manoscritta

resta comunque che, perci, seguita e giustamente condivisa dal resto degli

studiosi. Leo 1878 p. 410 tenta di risolvere il problema integrando tra i vv. 1-2 [ ,

] e interpretando il fr. 61 come risposta del coro al fr. 60 K.A. di cui si parler a

breve.

Ne deriva che alla domanda del Pandionide (fr. 60 K.A.)

,
, ;

85
Dicendo da quale luogo venite,
o ragazzine, non potrei sbagliare?

Il coro risponde (fr. 61 K.A.):

,
[ , ]

O Pandionide, re della citt


dei Cecropidi, noi siamo giunte da una terra
fertile tu sai quella che intendiamo
e in cui giocano a cane e citt

In tal modo, si elimina il riferimento ad Atene o ad unaltra citt dellAttica, dal momento che le

coreute dichiarano di essere giunte da unimprecisata terra dal suolo fertile. La soluzione

offerta da Leo senza dubbio interessante, ma non altrimenti verificabile.

Luppe 1963 pp. 43-44, invece, fa notare che innanzitutto un aggettivo omerico e,

perci, esso potrebbe essere stato utilizzato da Cratino per ironia comica (cfr. Hom. Il. 6.315:

; Od. 13.234-235: ,

/ ;); proprio sulla base del passo dellOdissea

appena indicato, lo studioso interviene sul testo cratineo proponendo per il v. 2

. Il coro, quindi, farebbe riferimento alla costa di una terra fertile, una terra in

cui si gioca anche a cane e citt. Secondo Luppe il senso del frammento oscuro e,

probabilmente, era chiarito da una successiva spiegazione o dal contesto generale andato

perduto. La congettura dello studioso tedesco, anche se in qualche modo affascinante, tuttaltro

che certa, ma assolutamente condivisibile la sua ipotesi circa la ripresa omerica di a

86
fini comici; per questo bene, in accordo anche con Kassel-Austin, seguire i codices meliores,

che conservano tale aggettivo, pur con la consapevolezza di non poter cogliere a pieno il

significato del verso, a causa dello stato lacunoso della tradizione. Sulla base di quanto finora

analizzato, quindi, a mio parere, nel fr. 61 K.A. la persona loquens, con molta probabilit il coro,

si rivolge al Pandionide, cio a Teseo, re della citt dal suolo fertile, ossia re di Atene, in cui si

soliti giocare a cane e citt.

Una possibile chiave di interpretazione offerta dal terzo ed ultimo verso, in cui si allude ad un

fantomatico gioco, dal nome , che non doveva essere di molto diverso

dallodierno gioco degli scacchi o dalla dama. Polluce (9.98) cita il frammento in analisi proprio

come prova del fatto che tale gioco era gi in voga al tempo di Cratino e spiega che esso veniva

fatto utilizzando un gran numero di pedine di due diversi colori, dette , e una scacchiera,

detta , costituita da molteplici caselle suddivise da linee e chiamate ; la tecnica era la

seguente: due pedine dello stesso colore dovevano riuscire ad eliminare una pedina dellaltro

colore132. Anche Platone allude a questo gioco, laddove spiega che ogni non una citt, ma

una pluralit di citt, proprio come nel gioco (R. 423a: ,

, ). Il passo platonico non pu che avere unimplicazione politica:

probabilmente il filosofo pensa che la scacchiera sia un buon modello di rappresentazione di una
132 In realt, quella di Polluce soltanto una delle versioni su tale gioco, la cui costituzione argomento
controverso, a causa della discordanza delle fonti. Stupisce, innanzitutto, luso del singolare in Cratino (
), dal momento che tutte le attestazioni del gioco presentano il plurale ( ). Zenobio ( Ath. 3.16),
il secondo testimone del frammento cratineo, per, chiama tutto il gioco e informa che, in un primo
momento, le pedine erano dette e, successivamente, . Questa seconda notizia fornita, nello stesso
modo, anche da Esichio (p. 353 Schmidt: .
, ). Tale versione suscita, per, dei dubbi, perch
noi sappiamo, invece, da Polluce che le pedine erano chiamate , mentre erano le caselle. Fozio,
inoltre, pensa che le pedine fossero sessanta (Phot. s.v. Th.:
; cfr. anche Paus. att. 26). Tale notizia assolutamente incerta, dato che Polluce parla solo di
molte pedine, lasciando intendere che il numero fosse variabile. , forse, pi logico pensare, anche sulla base
delle implicazioni politiche di cui sopra, e dando attendibilit alla testimonianza di Polluce, che il gioco delle
constava di una scacchiera, detta , suddivisa in sessanta caselle, chiamate , sulle quali erano
disposte le pedine, dette . In generale, sul gioco cfr. RE XIII 2 (1927) pp. 1973-1975 (Lamer).

87
citt, sia per quanto riguarda la sua struttura fisica, sia per quanto concerne la sua composizione

sociale; ogni , infatti, suddivisa in strade (le linee di demarcazione delle caselle sulla

tavola), costituita da molteplici abitazioni (le caselle, appunto) e comprende, inoltre, al suo

interno una pluralit di piccole , dal momento che sempre spaccata in due campi, quello

dei ricchi e quello dei poveri, a loro volta divisi in gruppi di famiglie o eterie, centri di interessi

conflittuali. Prendendo in considerazione il passo di Platone, possibile, a mio avviso,

individuare unimplicazione politica anche nel fr. 61 K.A.: se il Pandionide Teseo, la citt dal

suolo fertile in cui si gioca a cane e citt non pu che essere Atene e dietro la figura di Teseo

non pu che celarsi Pericle, bersaglio costante degli attacchi comici di Cratino. Egli viene,

dunque, presentato come re della citt ( ) e la cosa non deve stupire, dal

momento che lo statista ateniese appellato in qualit di anche in un

frammento di Ermippo (fr. 47 K.A.: )133. Il fr 61 K.A., allora, con il riferimento

al noto gioco di cui si detto, indica chiaramente che la citt a cui si allude non l'Atene del

Pandionide (Teseo), bens l'Atene attuale, l'Atene degli scontri politici e delle lotte tra partiti.

Cratino immagina la sua citt come una scacchiera, come il campo di gioco sul quale

quotidianamente vivo il confronto, che diviene conflitto, tra fazioni politiche opposte. Atene,

quindi, come centro della politica, quella che di fatto si esaur proprio con Pericle,

quando lo statista, eliminata ogni forma di opposizione e sbarazzatosi del suo pi fiero

avversario, Tucidide di Melesia, ostracizzato nel 443 a.C., divenne capo indiscusso,

in un certo senso o, per dirla citando Tucidide, (2.65.9).

Che nelle Fuggitive si faccia in qualche modo riferimento alla vivacit politica della

133 Lidentificazione di Teseo con Pericle ipotesi avanzata da Meineke 1839 p. 45 e, in seguito, condivisa anche
da Leo 1878 p. 410.

88
ateniese , forse, testimoniato anche dal fr. 59 K.A. in cui si parla di uomini continuamente in

lotta, ambiziosi di raggiungere posizioni importanti:

Quelli che qui sono solo in lotta e vogliono diventare qualcuno 134

Phot. p. 658.14 = Sud. 14 (III p. 605) , , .


(- Phot., in litura)

L' analisi condotta fin qui permette di affermare con un certo margine di sicurezza che le

Fuggitive sono da considerare una commedia politica e, in quanto tale, esse non fanno altro che

riflettere le problematiche socio-politiche dell'Atene del tempo, aggravate in gran parte dal

costante conflitto tra fazioni partitiche opposte, oligarchici e democratici, e prendere di mira il

personaggio allora pi in vista, Pericle, destinato di l a poco a concentrare tutto il potere nelle

sue mani, alla stregua di un tiranno, e a concretizzare, dietro la parvenza di un sistema

democratico, il progetto di un imperialismo ateniese. Una conferma in tal senso potrebbe essere

fornita dall'invettiva contro l'indovino Lampone, rintracciabile innanzitutto nel fr. 62 K.A.:

134 Il fr. 59 K. A. tramandato come esempio dell'uso di con il valore di . Purtroppo, il materiale
conservato (un solo verso) troppo esiguo per permettere di individuare la persona loquens e per ricostruire il
contesto, ma, per il discorso di cui sopra, indubbiamente significativa la ricorrenza del verbo , un
derivato di , molto frequente nella prosa con valore intransitivo e forma attiva (cfr. LSJ s.v. : 1.1,
to be at variance; 1.2, form a party or faction, be at odds; 1.3, of the state themselves, to be distracted by
factions and party strife; 1.4, to be in a state of discord disagree). Nello specifico, su questo verbo cfr. Radici
Colace-Sergi 2000 p. 225 n. 8. In generale, sul vocabolo si rimanda, in questa sede, all'analisi del fr. 258
K.-A., in cui il termine ricorre, nel capitolo relativo ai Chironi. Il costrutto , invece, nel significato di
essere/diventare qualcuno si trova anche in E. Ion 596; Heracl. 973; El. 939; Men. fr. 121.2 K.A.; D. 21.213;
Theo. 11.79; Herod. 6.54.

89
,


,

Lampone, che neppure un'infiammata sentenza di uomini


in grado di distogliere da un banchetto con gli amici
e ora rutta di nuovo;
divora, infatti, tutto ci che c' e potrebbe anche fare a gara con una triglia

Athen. VIII p. 344E () (fr. 20)


(fr. 6 K.). -
( nomen fab. et priores duos versus om. CE)

Il contenuto del testo pi che chiaro: Lampone deriso per la sua voracit; nulla potrebbe,

infatti, distoglierlo da un banchetto tra amici e, per di pi, i suoi modi sono tutt'altro che raffinati,

dal momento che rutta in continuazione, divora tutto ci che ha a disposizione e sarebbe persino

in grado di fare a gara con una triglia. Non possibile, purtroppo, stabilire con certezza a quale

punto della commedia appartenga tale frammento e stupisce, senza dubbio, la ricorrenza del

nome dell'indovino all'accusativo. L'analisi metrica e la presenza del verbo in Ateneo,

per, lasciano pensare che il passo faccia parte di un'unica sezione da attribuire al coro. Ci si

trova, infatti, di fronte ad una successione alternata di telesillei (X ) ed archilochei

(X X ). Quest'ultimo metro alquanto raro in commedia; esso

attestato soltanto in tre frammenti di Eupoli, tutti appartenenti al coro (frr. 148 1.4; 250; 317

K.A.), in un altro frammento di Cratino (fr. 32 K.A.), in uno di Ferecrate (fr. 71 K.A.), nei versi

conclusivi delle Vespe di Aristofane, certamente pronunciati dal coro (Ar. V. 1528-1537) e, infine,

anche in un frammento adespoto tramandato da un papiro ossirinchita del secondo secolo d.C., di

90
discussa attribuzione, in cui presente un attacco proprio a Lampone come pederasta e avido

accumulatore di ingenti ricchezze, derivategli dalle citt che remuneravano i suoi discorsi (fr.

1105.98-103 K.-A.)135. La frequenza di archilochei nelle parti corali delle commedie lascia,

dunque, supporre che anche il fr. 62 K.A. sia da attribuire al coro e l'invettiva contro Lampone fa

pensare proprio alla sezione parabatica.

La forma all'accusativo va spiegata, secondo Luppe 1963 p. 46, come dipendente da

un verbo di punizione che precedeva, accompagnata forse da altri nomi di personaggi nominati

di seguito dalla persona loquens come passibili di scherno: bestrafen muss man den und den,

der das und das tat, und Lampon (Luppe 1963 p. 46 n. 34)136. Se l'ipotesi giusta, ne deriva

che un'intera sezione corale del dramma, verosimilmente la parabasi, conteneva attacchi contro

personaggi noti del tempo e, sicuramente, l'invettiva contro il ghiotto indovino, forse anche pi

articolata di quella a noi nota grazie al fr. 62 K.A. in analisi.

Nei primi due versi del frammento si dice che neppure una sentenza degli uomini (

) in grado di distogliere Lampone da un banchetto con gli amici. L'aggettivo

, spiegato in modo troppo semplicistico da Esichio con (violento), rimanda

certamente al fuoco (da , brucio) e potrebbe alludere in senso politico allo scontro tra
135 L'attribuzione di questo frammento stata oggetto di una lunga vexata quaestio: Lobel 1968 pp. 78-94, editore
principe dei 28 frammenti del papiro, li assegna alla Lemnomeda di Strattis; Luppe 1971 p. 121 li assegna ai
Demi di Eupoli, ma Tel 2007 p. 644 non esita a manifestare un certo scettiscismo in merito; Austin (CGFP p.
208), invece, seguito anche da Perusino 1979 pp. 135-136, proprio sulla base del riferimento all'indovino pi
volte menzionato da Cratino, propone l'assegnazione alle Fuggitive. Sulla paternit cratinea si mostrano
d'accordo anche Tammaro 1975-1977 pp. 101-102 che pensa, per, alle Tracie e, da ultimo, Orth 2009 pp. 55-58,
a cui si rimanda per un'aggiornata bibliografia sulla questione.
136 Zielinski 1885 p. 319, invece, sulla base dell'analisi metrica e con precise integrazioni, immagina una sorta di
dialogo caratterizzato dall'alternanza di due telesillei seguiti da un archilocheo e propone:

< , >
,
;
< , >
.

Tale ipotesi senza dubbio interessante, ma assolutamente incerta.

91
fazioni che, per gli interessi particolari dei singoli, si accendono e divampano in citt come un

incendio (sul binomio incendio/guerra cfr. Taillardat 1965 p. 363). L'aggettivo, inoltre, richiama

anche il di un frammento di Eupoli in cui ricorre un'espressione simile, perch si dice che n

il fuoco, n il ferro, n il bronzo possono impedire di andare a pranzo (Eup. fr. 175 K.A.:

/ / ). Il sostantivo , poi, indica, in

senso figurato, una sentenza/decisione, ma rappresenta innanzitutto la pietra del voto e non

pu che avere, come scrive Pieters 1946 p. 76, una valenza politica. facile pensare, infatti,

all'ostracismo, o meglio all' , il coccio utilizzato per eliminare gli avversari politici e

strumento indispensabile alla democrazia, al fine di contenere e reprimere il dissenso, fonte di

conflitto. E chiss che, allora, nel passo in questione non sia da rintracciare anche una qualche

allusione, se pur implicita, all'ostracismo di Tucidide di Melesia, esponente del partito

oligarchico e noto avversario di Pericle, episodio in cui, come si vedr meglio in seguito,

Lampone ebbe un ruolo di spicco, profetizzando la vittoria dello statista (cfr. Plu. Per. 62).

L'ultimo verso del frammento, invece, informa che l'indovino ateniese divora tutto ci che ha a

disposizione e sarebbe in grado di contendere persino con una triglia137. Tale verso ha creato

alcuni problemi, perch la menzione della triglia , secondo alcuni studiosi, priva di senso. Per

questa ragione, Rutherford (in van Herwerden 1903 p. 3) sostituisce con , citt

della Tessaglia famosa per i sacerdoti di Asclepio: Lampone, dunque, combatterebbe contro

Tricca, cio, in senso metaforico, con la sua voracit metterebbe continuamente a rischio la sua

salute fisica. Van Herwerden 1903 p. 3 rigetta tale congettura, perch spiega che gli Ateniesi

malati non erano soliti recarsi nella citt alle pendici del Pindo, ma, se non al Pireo, solo nella

vicina Epidauro; lo studioso, allora, propone semplicemente la forma , come genitivo di

137 La triglia era un pesce molto apprezzato in et classica e per un'ampia documentazione su di essa e sui
significati che ha assunto nel corso dell'antichit si rimanda a Thompson 1947 pp. 264-268; Pellegrino 2000
pp. 255-259.

92
prezzo: Lampone talmente ghiotto che sarebbe anche capace di rivaleggiare per una triglia.

Meineke V 1 p. 16, invece, difende la forma al dativo, sulla base del confronto con un

passo di Plutarco, in cui si dice che Diogene ebbe il coraggio di mangiare un polpo crudo per

estirpare l'abitudine di cuocere la carne col fuoco e, in mezzo ad un folto pubblico, affront il

pericolo lottando con un polpo crudo (Mor. 995D: ); e questo

bizzarro comportamento, a quanto pare, gli cost caro, dal momento che Luciano allude alla sua

morte, per aver mangiato un polpo o una seppia crudi (Vit.Auct. 10), e Ateneo (8.341e) e Diogene

Laerzio (6.76) riferiscono della sua morte, rispettivamente, in seguito a una dilatazione di

stomaco o ad un attacco di colera, conseguenti all'essersi cibato di un polpo crudo. Anche

l'interpretazione di Meineke , per, tutt'altro che certa, dal momento che nel frammento la

triglia assolutamente innocua e Lampone non avrebbe motivo di lottare contro di essa,

mettendo cos a rischio la sua salute. , invece, condivisibile la spiegazione che offre Zielinski

1885 pp. 319-320 n. 2 per il finale del passo: lo studioso conserva la forma al dativo e

ritiene che non vada inteso nel senso di lottare contro qualcuno/qualcosa, ma

come contendere/fare a gara con qualcuno/qualcosa, in relazione ad un passo di Eliano in cui

si dice che la triglia fra tutti gli animali di mare la pi ghiotta e indiscutibilmente la pi sfrenata

nel provare tutto ci che le capiti; essa, inoltre sarebbe in grado di mangiare il cadavere di un

uomo o di un pesce e la sua preferenza indubbiamente per i cibi sporchi e di cattivo odore 138.

Nel fr. 62 K.A., dunque, Lampone paragonato a una triglia, perch egli , proprio come il

pesce, ghiotto e poco esigente quanto a gusti alimentari. Secondo Zielinski, inoltre, questo

frammento rientra nel genere del , cio della presa in giro, e va messo a confronto

con il noto passo delle Rane di Aristofane in cui il coro deride personaggi allora in vista, quali
138 Ael. NA 2.41: ,
. , ,
, , .
.

93
Archedemo, il figlio di Clistene e Callia (vv. 416-430; sul passo si veda Totaro 2006 pp. 602-605

nn. 67-69).

Lampone, in definitiva, qui presentato come una persona dedita solo al cibo, vorace e

insaziabile, proprio come una triglia, e dai modi per niente raffinati.

Un ulteriore attacco a Lampone si trova nel fr. 66 K.A.:

Hesych 461 ( cod., corr. Bergk Rel. p. 46) .


, . (lac. Ind.
Bergk). (fr. 6 K.) < add. Bergk> . Sud. 2595
. (hucusque = Phot. p. 183.4 = Hesych. 4377). ,
. (- codd.) . Phot. (b,z) 146 = Lex.
Bachm. p. 21.17 . .
(- Phot. z, om. b) , . Et. gen. (A
deest, B evan.; Et. magn. p. 8.9, Et. Sym. 49S.) 22 Lass.-Liv.
(cf. Lex. Bachm. p. 9.15). . .
.

testimoni informano che Cratino nel dramma in questione chiama il noto indovino

, mendicante e portatore dell'accetta sacrificale. I due sostantivi non sono altro che

la spiegazione fornita dai lessicografi di , comica creazione cratinea. ,

infatti, indica il mendicante/ciarlatano139 e fa riferimento alla prima parte della parola coniata

dal commediografo, -, che rimanda al verbo , raccogliere, mendicare appunto, e

qualifica l'indovino come un mendicante imbroglione; , invece, l'accetta

sacrificale140, da cui , portatore di accetta, e fa pensare all'attivit ufficiale di

Lampone quale . Lampone , dunque, agli occhi di Cratino un -,

una sorta di raccogli-accetta, con evidente allusione a tratti di avidit e parassitismo.

139 cfr. Hsch. 866 Latte s.v. *. . . . .


140 cfr. Hsch. 461 Latte: ; Suid. 2595 Adler: ; Phot.
146: ; Et. gen. 22 Lass.-Liv.: . cfr. anche
Hsch. 4374: < >; 4375: .
; 4376: . , ; 4377 Latte:
.

94
L'invettiva cratinea contro il noto indovino non si trova soltanto nelle Fuggitive, ma a lui si

allude anche, come si vedr in seguito, nella Nemesi (fr .125 K.A.) e, come si gi detto sopra,

nel frammento adespoto 1105.98-103 K.A., verosimilmente di paternit cratinea, in cui egli

presentato quale pederasta e avido accumulatore di ricchezze.

Lampone, per, fu anche un bersaglio privilegiato dei commediografi sin dagli anni Quaranta del

quinto secolo e, ancora, negli anni Trenta, per poi divenire un target comico ricorrente negli anni

424-410. Tra i famosi ghiottoni passati in rassegna nell'ottavo libro dei Deipnosofisti

(340f-346c), Ateneo lo menziona, in quanto dileggiato come non solo da Cratino nelle

Fuggitive (fr. 62 K.-A.), ma anche da Callia negli Incatenati (fr. 20 K.A.) e da Lisippo nelle

Baccanti (fr. 6 K.-A.), due drammi rappresentati forse negli anni Trenta 141. Nell'Et dell'oro di

Eupoli (fr. 319 K.-A.), commedia assegnata solitamente alle Dionisie del 424142, gli attribuita la

qualifica di , ossia di interprete ufficiale di leggi di argomento religioso, anche se non

chiaro se essa vada intesa in senso tecnico, cio se Lampone sia stato effettivamente membro del

collegio degli exegetai Pythochrestoi, o se, invece, sia da considerarsi solo equivalente a quella

di , come risulta dallo scolio ad Ar. Nu. 332b Holwerda ( ,

; cfr. Imperio 1998 pp. 235-236 n. 51, con relativa bibliografia).

All'indovino ateniese, noto per avidit, egoismo, ipocrisia e ciarlataneria, allude, poi, come

testimonia lo scolio al passo sopra citato, il coro delle Nuvole di Aristofane, laddove nella

caratterizzazione dei , degli intellettuali, tutti nulla facenti e nutriti dalle celesti

nuvole, tra sofisti, medici, sfaccendati con anelli, unghie e capelli lunghi, contorti musicisti di

cori ciclici ed aerei imbroglioni, la categoria degli indovini evocata con il composto

141 Sulla questione della datazione degli Incatenati di Callia e delle Baccanti di Lisippo si rimanda a Imperio 1998
pp. 218; 234 n. 46.
142 Sulla datazione della commedia di Eupoli si veda, da ultimo, Neri 1994/1995 pp. 261-288, con la bibliografia
citata in n. 11.

95
, che richiama antonomasticamente la figura di Lampone, ecista della colonia

panellenica di Turi143. Quest'ultimo esplicitamente nominato due volte anche negli Uccelli:

al v. 521 da Evelpide, che ricorda il suo frequente giuramento sull'oca, una sorta di spergiuro

funzionale a non incorrere nell'ira degli di ogniqualvolta egli dica falsit (v. 521:

, ); e al v. 988 insieme al grande Diopite, un altro

famoso interprete di oracoli, spesso oggetto di attacchi comici144, nella scena in cui un oracolista

si affaccia alle porte di Nubicuculia per preconizzare le pi splendide fortune per la citt appena

fondata (v. 988: ); egli, in realt, non che un

impostore, un , che mira esclusivamente al suo tornaconto personale e, per questo,

inevitabile la reazione indignata di Pisetero, che scaccia bruscamente l'intruso e offre al

commediografo la possibilit di un'aspra polemica sull'intera classe di e ,

disonesta e piena di ingordigia (cfr. vv. 959-991).

Nel quarto secolo, infine, Lampone doveva essere evidentemente assurto a paradigma della

maschera dell'indovino, se Antifane gli intitol addirittura una sua commedia ().

Prima di proseguire il discorso specifico sulla figura di Lampone, va, per, sottolineato, come

illustrato da Bremmer 1996 pp. 239-283 in un brillante saggio, che la satira dell'indovino nella

commedia strettamente legata all'evoluzione della storia della divinazione in Grecia, la quale,

basata sull'interrogazione e l'interpretazione degli oracoli, rientrava nella sfera di competenza di

due specifiche categorie, quella del e quella del , collezionatore ovvero

dicitore di oracoli. La fisionomia dell'indovino sub, nel quinto secolo, profonde trasformazioni

rispetto all'et arcaica, quando, specialmente nel mondo omerico, egli non era altro che un
143 Ar. Nu. vv. 331-334: . , / ,
, / , , /
, .
144 Cfr. Ar. Eq. v. 1085; V. v. 380; Amips. fr. 10 K.-A.; Phryn. Com. fr. 9 K.-A.; Telecl. fr. 7 K.-A.; in generale, su
Diopite si vedano PA 4309; LGPN 2 [3].

96
guerriero indispensabile alle spedizioni militari, un tecnico specializzato, esperto nell'interpretare

il volo degli uccelli e le viscere degli animali sacrificati, custode di un'arte trasmessa per via

ereditaria, all'interno delle varie dinastie di . Pi tardi, invece, parallelamente alla

progressiva professionalizzazione dell'esercito, la mantica divenne un sapere tecnico, che poteva

essere insegnato anche a persone estranee alle famiglie. In et classica, quindi, sebbene gli

indovini serbassero sempre un qualche prestigio, cominci a manifestarsi anche un certo

scetticismo intorno a queste figure, dal momento che essi non potevano sfuggire immuni alla

crescente autocoscienza e fiducia in s degli Ateniesi, alla professionalizzazione dell'esercito, e

alla sempre maggiore comprensione dei comportamenti di uomini e animali che port a

considerare naturali i fenomeni che una volta sarebbero passati per inspiegabili (Bremmer 1996

p. 245). Si comprende, in tal modo, anche la ragione per cui specialmente i commediografi

presero ad attaccare e deridere indovini e cresmologi per la loro cupidigia e corruzione. Bisogna,

per, aggiungere che l'attacco comico nei confronti dell'intera classe di indovini, in generale, e in

particolare in Aristofane, non era rivolto tanto alle pratiche divinatorie in quanto tali, n alla

divinazione esercitata attraverso gli oracoli, ma piuttosto alla strumentalizzazione che se ne

faceva nell'ambito della vita politica ateniese ed al loro impiego come tecnica di persuasione e di

dominio nei luoghi del confronto politico 145.

La figura di Lampone offre proprio la conferma di quanto detto sinora, poich egli, elemento di

spicco all'interno dell'entourage politico pericleo, ebbe anche importanti compiti politici.

Indicativo della posizione di grande rilievo che rivest nel circolo di Pericle, l'aneddoto

raccontato da Plutarco sulla profezia a favore della vittoria dello statista su Tucidide di Melesia,

profezia che di fatto si avver con l'ostracismo dell'avversario e che testimone della capacit

145 Sull'intera questione e, in generale, sulla figura dell'intellettuale nella commedia greca si rimanda a
Zimmermann 1993 pp. 255-280; Imperio 1998 pp. 43-130.

97
periclea di bilanciare religious interpretation with scientific investigation (Stadter 1989 p. 82):

guardando la testa di un ariete con un solo corno, portato a Pericle dalle sue campagne,

l'indovino profetizz che il potere sarebbe toccato a colui presso il quale si era verificato il

prodigio146.

Lampone fu, poi, negoziatore e primo firmatario della pace di Nicia e dell'alleanza con Sparta,

che ne consegu147, e apport un importante emendamento a un decreto sulle procedure relative

all'offerta delle primizie alle divinit eleusine, collocato cronologicamente dagli studiosi tra il

447 e il 416, un decreto nel quale, tra l'altro, proponeva se stesso come estensore di una legge

relativa alle primizie dell'olio di oliva 148.

Gli scolii al v. 1084 della Pace di Aristofane, inoltre, informano che all'indovino fu conferito

anche il privilegio di pranzare ogni giorno nel Pritaneo a spese dello Stato, in qualit di

ovvero di , prerogativa esclusiva di gruppi di individui considerati benefattori della

citt, come i discendenti dei tirannicidi, Armodio e Aristogitone 149.

Lampone , infine, ricordato dalle fonti150 come ecista della colonia panellenica di Turi per

146 Plu. Per. 6.2: ,


, ,
, , .
147 Cfr. Th. 5.19.2: , ,
; 5.24.1: .
148 Cfr. IG I 76 = ML p. 219, 73.47-61 = IG I 78. Sulla datazione del decreto eleusino si veda Tanner 1916 pp. 65-
94.
149 Schol. Ar. Pax 1084 Holwerda :
, , . .
. : (1)
. (2) , , .
.
, .
Sul contenuto del decreto relativo alle categorie di persone che potevano godere della a vita (cfr. IG I 77
= IG I 131) e sulla possibilit o meno per indovini e cresmologi e, dunque, per Lampone, di ottenere tale
privilegio si rinvia a Imperio 1998 pp. 234-235, nn. 44; 51.
150 D.S. 12.10.3: ,
; Plu. Mor. 812d: ()
; schol. Ar. Nu. 332a Holwerda = Suid. 418 Adler:
. , , .
, .

98
volont di Pericle, promotore assoluto dell'impresa, avvenuta nel 444/443, in concomitanza, cio,

con l'ostracismo di Tucidide di Melesia, che di fatto permise allo statista di assumere il pieno

controllo della potenza imperialista ateniese. Plutarco sottolinea bene che l'indovino prese parte

alla fondazione di Turi su incarico di Pericle (cfr. n. 25), ma non chiaro quale fu di fatto la sua

funzione specifica nell'avventura d'oltremare. Molto probabilmente, fu proprio la sua nota

attivit di a svolgere un ruolo fondamentale: attraverso l'interpretazione e la divulgazione

di oracoli, egli poteva, infatti, influire in maniera favorevole sulla realizzazione della nuova citt.

Nel mondo greco, figure fondamentali per la fondazione delle colonie erano, senza dubbio, gli

indovini, i quali con i loro auspici e presagi potevano fugare ogni dubbio su questioni di primaria

importanza, come la scelta del luogo di insediamento e la possibilit o meno di successo (cfr.

Leschhorn 1984 p. 134); per questa ragione, Lampone fu certamente in primo piano nell'impresa

periclea e, oltre a rivestire il ruolo di guida della spedizione, grazie alle sue funzioni sacrali, uno

dei suoi compiti fu quasi sicuramente anche l'interpretazione oracolare e l'istituzione di culti e

santuari nella citt appena fondata. Si comprende, cos, pure la qualifica di che Eupoli

gli attribuisce nell'Et dell'Oro (fr. 319 K.-A.) e la notizia fornita dallo scolio ad Ar. Nu. 332,

precedentemente analizzato, in base alla quale egli divulg oracoli su Turi.

Turi fu, dunque, grazie alla propaganda periclea, una colonia panellenica151 sotto la guida di

Atene e Pericle mise a capo della spedizione Lampone, in ossequio alla sua usuale pratica di

utilizzare i suoi amici e collaboratori per realizzare i suoi progetti, invece di prendervi parte in

prima persona. Ma perch proprio Lampone? Non difficile, a mio avviso, rispondere a questa

, ,
; schol. Ar. Av. 521a-b Holwerda:

. ; Hsch. 66 Latte:
. .
151 In generale, sulla fondazione di Turi e sulle sue implicazioni politiche si rimanda a Wade Gery 1958 pp. 255-
258; Brard 1963, pp. 152-153; Leschhorn 1984 pp. 130-139; Stadter 1989 pp. 82-85; Podleki 1998 pp. 132-142.

99
domanda: l'indovino godeva, infatti, della fiducia dello statista, in quanto membro di spicco del

suo circolo, ed era indubbiamente la persona pi adatta a un simile compito, dal momento che

in ihm war religise Autoritt mit politischen Fhigkeiten und entsprechendem Einfluss

verbunden (Leschhorn 1984 p. 135) e, con l'autorit sacrale di cui era investito, avrebbe potuto

comunque salvaguardare la sua politica, anche in caso di fallimento dell'impresa.

Per tornare a Cratino e in linea con tale ragionamento, non da escludere che nel suo dramma

venisse presa di mira anche l'importanza politica di Lampone e che vi fosse una qualche

allusione al ruolo da lui svolto nella fondazione di Turi. Una conferma, in tal senso, potrebbe

venire da un tentativo di interpretazione della composizione del coro, le Fuggitive (),

che d anche il titolo alla commedia. Chi sono le Fuggitive? Il solo riferimento esplicito al coro

nel materiale conservato presente nel fr. 60 K.-A.:

, , ;

Dicendo da quale luogo venite, o ragazzine, non potrei sbagliare?

Suid. 1499 ( add. GIT) .

L'aggettivo certamente tragico e rimanda ad Eschilo. Esso richiama l'espressione

presente al v. 136 delle Tesmoforiazuse di Aristofane, nel passo in cui il Parente

di Euripide manifesta stupore di fronte all'effeminato Agatone e chiede, appunto, da dove mai

provenga tale femminetta (). Lo scolio al verso152 informa che la domanda

, impreziosita dalla presenza di un termine caro ad Eschilo (cfr. anche nel fr. 78a, 68

152 Schol. Ar. Th. 136 Holwerda: ( ;)


;

100
R.), che d rilievo all'ambiguit sessuale di Agatone, novello Dioniso, una diretta citazione

dagli Edoni del tragediografo153, un dramma appartenente, insieme a Bassaridi, Giovinetti e al

dramma satiresco Licurgo, alla Licurgia, una tetralogia eschilea perduta154. Rau 1967 pp. 109-

110, per, non esclude che nel passo delle Tesmoforiazuse (vv. 134-140) vi siano ulteriori riprese

o riecheggiamenti eschilei, soprattutto sulla base del fatto che lo scolio al v. 137 sottolinea che il

Dioniso di Eubulo (IV sec. a.C.) iniziava proprio di qui (), cio da espressioni di

Eschilo presenti nei versi aristofanei sopra citati, sebbene, poi, egli operasse una parodia pi

ampia di quella di Aristofane155. L'aggettivo , inoltre, ricorre anche nelle Supplici di

Eschilo, quando Pelasgo chiede da quale paese provenga il gruppo di donne che indossa

lussuriose vesti barbare (vv. 234-236: /

/ ;). Si pu, di conseguenza, suggerire che

pure la presenza di nel fr. 60 K.A. di Cratino sia una ripresa eschilea, a fini paratragici.

153 Fr. 61 R.: ; ; ;


;
; ;
; .
;
, , ;
; ; ;
; ;
; ;
, ;
154 Negli Edoni di Eschilo, il re trace Licurgo, fiero oppositore dell'introduzione del culto dionisiaco nel suo paese,
sottoponeva ad interrogatorio il dio, fatto prigioniero ed evidentemente connotato da tratti effeminati, come poi
sar il Dioniso attivo nelle Baccanti di Euripide e nelle Rane di Aristofane. Nelle Baccanti, infatti, al v. 353
Penteo chiama Dioniso e ai vv. 453-459 lo stesso personaggio ironizza sulla bellezza
effeminata del dio: , , / , /
, / , /
, / / .
Nelle Rane, Eracle manifesta stupore nel vedere davanti a s un suo brutto sosia, Dioniso, dotato dei suoi stessi
attributi, clava e pelle di leone, abbinati, per, al , sopraveste femminile color zafferano, ed ai coturni,
scarpe estremamente duttili, portate generalmente dalle donne (cfr. Ar. Lys. 657; Ec. 346) ed elementi tradizionali
del femmineo abbigliamento di Dioniso (Ar. Ra. vv. 44-46: , /
. / ; ; sui coturni come calzari
spesso associati all'abbigliamento di Dioniso cfr. Stone 1981 pp. 229-232; Pickard-Cambridge 1996 pp. 285-
287). Sulla bellezza effeminata di Dioniso si veda anche, in questa sede, la rappresentazione del dio nel
Dionisalessandro.

155 Schol. Ar. Th. 137 Holwerda: ,


. Sulla questione si veda anche Hunter 1983 pp. 117-118; PCG V
fr. 24 p. 203; TrGF III fr. 61 R. p. 182.

101
Il sostantivo certamente da attribuire al coro, le Fuggitive appunto. Esso , senza

dubbio, femminile e da riferire a donne (giovani donne, ragazzine) e, come tale, si trova pi

volte attestato in Aristofane (cfr. Ar. Th. 410; Ec. 611; Pl. 1071-1072; 1079; si veda anche DELG

s.v. p. 678; LSJ s.v. p. 1093); ma alcune fonti di grammatici, dopo aver fatto una

distinzione tra , femminile, e , maschile, rilevano, in ambito comico e a fini

derisori, l'uso del primo termine in riferimento a uomini effeminati e pervertiti156. Tali notizie,

unite all'invettiva contro Lampone di cui si detto, hanno indotto Bergk 1838 p. 61 a ipotizzare

che le Fuggitive, coro del dramma cratineo, fossero uomini caratterizzati da connotati femminili,

e precisamente i coloni di Turi157. Non detto, per, che le fonti dei grammatici abbiano una

qualche attendibilit, dal momento che esse non trovano alcun riscontro in ambito letterario:

sempre riferito a donne, ad eccezione di un passo di Luciano, dunque tardo (Luc. Sol. 5;

cfr. anche LSJ s.v. p. 1093). Il fr. 60 K.-A. di Cratino sarebbe, quindi, l'unico caso,

156 Cfr. Phryn. ecl. 183: ,


, ; Hdn. . . II p. 8, 10 L.:
.
; Hdn. Philet. 107:
. ,
; Ammon. 317 (cfr. anche Ar. fr. 146 K.-A.):
. , .
157 Ad un coro di uomini effeminati ha pensato anche, pi di recente, Bakola 2009 pp. 142-143, la quale ha fornito
una nuova ed alternativa interpretazione della commedia. La presenza di un coro di donne o di uomini effeminati
in fuga e alla ricerca di asilo ad Atene, infatti, ha un chiaro precedente nelle Supplici di Eschilo, ove le Danaidi,
per sfuggire al matrimonio con i figli di Egitto, giungono ad Argo e chiedono ospitalit al re della citt; pi tardi,
il tema si presenta nuovamente negli Eraclidi di Euripide in cui i discendenti di Eracle fuggono alla volta di
Atene e chiedono asilo al re Demofonte, un discendente di Pandione, proprio come nel caso del dramma di
Cratino, in cui, per, il re ospitale Teseo, pi volte presentato in tragedia quale protettore degli esuli (negli
Eleusini di Eschilo, nell'Edipo a Colono di Sofocle e nelle Supplici di Euripide). E, sulla base di questo
ragionamento, Bakola 2009 pp. 150-152 ha interpretato le Fuggitive come un suppliant play, per la ricorrenza
di elementi comuni a quei drammi, in cui presente il motivo della supplica: un gruppo di supplici in fuga,
vulnerabili ed in cerca di protezione; Atene come citt straniera che accoglie gli esuli; Teseo quale re benevolo
che ne diviene il protettore. La studiosa inglese aggiunge, poi, che la scelta di Teseo, eroe rappresentativo
dell'ideologia ateniese, non affatto casuale, perch offre al commediografo la possibilit di elaborare una forma
di deconstructive parody senza paralleli nel corpus comico: Cratinus ironizes the suppliant play in
Drapetides, and thereby ironizes Athenian collective self-representation and the sanitization of Athenian
imperialism (Bakola 2009 p. 157). L'ipotesi senza dubbio interessante, ma, a mio avviso, abbastanza riduttiva,
dal momento che l'analisi si concentra esclusivamente su un possibile confronto tra la commedia in questione e il
materiale tragico, senza tener conto dell'attacco a Pericle e Lampone e, di conseguenza, della satira pungente
sull'attualit politica, rintracciabile molto bene nell'esame dei frammenti conservati.

102
almeno fino all'epoca classica e in ambito comico, di utilizzo di tale sostantivo per uomini

effeminati. Per questa ragione, Luppe 1963 p. 42 rigetta la proposta di Bergk e pensa

semplicemente ad un coro di donne, come frequente in commedia e, soprattutto, in Cratino, sulla

base di alcuni titoli dei suoi drammi: , , , , .

Schwarze 1971 pp. 74-75, invece, si spinge oltre, immaginando un coro costituito da donne e

ragazze, che cercano rifugio presso Teseo, per fuggire dai loro uomini o padri, dediti solo allo

scontro politico e alle beghe tra partiti; nelle Fuggitive, insomma, secondo lo studioso tedesco, ci

sarebbe una sorta di anticipazione del tema della rivolta delle donne, a noi noto grazie alla

Lisistrata ed alle Ecclesiazuse di Aristofane.

Meineke 1839 pp 42-43, infine, sulla base dell'attacco a Lampone e, dunque, dell'indubbia

connotazione politica del dramma, propende per un coro formato dalle donne di Sibari, in fuga a

Sparta e ad Atene per chiedere aiuto per la ricostruzione della loro citt 158.

L'esiguit del materiale conservato, purtroppo, non permette di garantire con certezza la validit

dell'una o dell'altra ipotesi. , senza dubbio, preferibile immaginare per le Fuggitive un coro al

femminile, perch, come si detto, una struttura corale di tal sorta molto frequente in

commedia, nonch in Cratino. Se, poi, a questo si aggiunge che nel dramma, certamente politico,

presente un'invettiva contro Lampone, ecista della colonia panellenica di Turi, e, dunque,

indirettamente contro Pericle, protettore dell'indovino e fautore principale dell'impresa coloniale,

la proposta di Meineke, per quanto non dimostrabile con sicurezza, ha il suo fascino. E se nel

dramma c' davvero, anche attraverso il coro, un riferimento esplicito alla fondazione di Turi,

questo fornisce un grande aiuto per quanto riguarda l'anno di rappresentazione della commedia.

158 Meineke 1839 pp. 42-43: ... ut fugitivas illas mulieres, de Sybaritis intelligendas credam, qui quum patria
profugi frustra Spartanorum opem implorassent, tandem intercedente Pericle ab Atheniensibus impetrarunt, ut
et ipsi in patriam restituerentur et nova colonia in Italiam deduceretur.

103
L'invettiva contro Lampone permette innanzitutto di individuare l'arco temporale preciso, perch

ovvio che l'attacco all'indovino (e, indirettamente, a Pericle) ha senso solo se effettuato

all'apice della sua carriera politica, all'interno dell'entourage pericleo. Come si gi detto,

Lampone va ricordato innanzitutto per l'emendamento apportato ad un decreto relativo all'offerta

di primizie alle divinit eleusine, databile tra il 447 e il 416159, e come ecista della colonia

panellenica di Turi, nel 444/443, in concomitanza, cio, con l'ostracismo di Tucidide che garant

a Pericle il controllo assoluto della . Dopo il 443, egli non visse pi ad Atene, ma a Sibari,

e, dunque, la derisione di Lampone da parte di Cratino nel teatro ateniese di Dioniso non avrebbe

pi senso negli anni successivi. , perci, abbastanza verosimile che le Fuggitive siano state

rappresentate negli anni Quaranta del quinto secolo, tra il 447 e il 443.

possibile, poi, ricavare un ulteriore indizio per la datazione dal fr. 58 K-A., in cui nominato

Senofonte, figlio di Euripide:

Suvvia ora, a ciel sereno,


ti fulminer con l'inculata160 del topo-Senofonte

159 Tanner 1916 pp. 65-94, sulla base dell'allusione alla via sacra nel fr. 65 K-A., per il fatto che Teseo uno dei
personaggi e congetturando nel fr. 62 K.-A. la forma , al posto di tramandato dai
codices meliores, pensa che Cratino nelle Fuggitive attacchi Lampone proprio per il suo intervento nel decreto
eleusino e che, quindi, la datazione della commedia sia strettamente connessa all'anno di elaborazione del
decreto, che lo studioso, con una serie di osservazioni, per cui si rimanda all'articolo, fissa alla primavera del
443; in base a tale ragionamento, quindi, la commedia cratinea sarebbe da assegnare alla primavera del 442. Tale
ipotesi, per quanto ingegnosa, , per, a mio parere, da rigettare, poich il collegamento tra Lampone e il decreto
eleusino nel dramma di Cratino non ha alcun fondamento sicuro.
160 Sul termine e sulla traduzione proposta (inculata) si veda in questa sede l'analisi condotta sul
fr. 259 K.-A. dei Chironi, in cui il sostantivo nuovamente ricorre.

104
Ael. Nat. an. XII 10 (I p. 298.12 Herch.)
(hinc Apost. IX 28). Zenob. Ath. I 56
.
. (fr. 62.126 K.) (- cod.). Cratini
testim. abest a ceteris collect. prov.

L'esiguit del frammento non permette di individuare la persona loquens con certezza, anche se

Leo 1878 p. 412 pensa si tratti di Zeus per il riferimento al fulmine (, fulminare). Ci

che conta, per, , a mio avviso, l'allusione ad un tale Senofonte, identificato all'unanimit con

(cfr. PA 11313; Davies 1971 pp. 199-200). Egli compare in qualit

di sulla ben nota dedica dell'Acropoli i.400 (= DAA pp. 146-149 n. 135), che risale

forse a non molto tempo dopo il 457 ( cfr. DAA p. 151) o al 446 circa (cfr. Gomme 1956 p. 203);

fu, inoltre, nell'assedio di Samo nel 441/440 (FGH 324 F 38:

), a Potidea nel 440/429 (Th.

2.70.1) e fu ucciso come generale a Spartalo all'inizio dell'estate del 429 (Th. 2.79.1-7; D.S.

12.47.3). Il riferimento a Senofonte nel fr. 58 K.-A., dunque, offre la conferma dell'esattezza

degli anni 447-443, come arco temporale da tenere in considerazione per la messa in scena delle

Fuggitive. Si pu, per, a mio avviso, essere ancora pi precisi. Se, infatti, si ammette, come fa

Bergk 1838 pp. 61-62, seguito anche da Meineke 1839 p. 43 e da Schmid 1946 p. 79, che nella

commedia ci sia un preciso riferimento, forse anche attraverso il coro, alla fondazione di Turi e

se a questo si aggiunge il fatto che, come si visto, nel fr. 62 K.-A. si allude probabilmente in

qualche modo all'ostracismo del noto avversario di Pericle, l'anno di rappresentazione non pu

che essere proprio il 443.

Si pu allora concludere che le Fuggitive, portate in scena certamente negli anni Quaranta del

quinto secolo, verosimilmente nel 443, vanno inserite di sicuro nell'ambito dei drammi politici.

Come per il Dionisalessandro, anche in questo caso il commediografo sviluppa la fabula sulla

105
base di materiale mitico, la saga di Teseo, in funzione della satira politica. Il suo bersaglio

ancora una volta Pericle, celato dietro le sembianze del mitico re di Atene: un Teseo-Pericle

presentato quale (fr. 61 K.-A.), forse all'indomani dell'ostracismo del suo pi

fiero avversario, Tucidide di Melesia, nel vivo del conflitto politico e delle beghe partitiche del

tempo; e un Teseo-Pericle, all'apice del successo, ma duramente attaccato per i suoi progetti

imperialisti, come l'avventura d'oltremare per la fondazione di Turi. L'invettiva contro Lampone,

ricostruita dall'analisi dei frammenti conservati (frr. 62; 66 K.-A.), inoltre, non certamente

mirata a screditare l'attivit mantica in quanto tale, ma anch'essa finalizzata a colpire

indirettamente lo statista, che dell'indovino si serviva opportunisticamente per la realizzazione

dei suoi intenti.

Pur nell'impossibilit di una ricostruzione dell'intreccio drammatico, l'immagine complessiva che

emerge , dunque, quella di una commedia che si fa specchio delle problematiche sociali e

politiche dell'Atene del tempo ed espressione diretta delle contraddizioni intrinseche ad un

sistema, che fa delle pratiche democratiche il suo punto di forza, ma che, di fatto, si configura

quale imperialista e guerrafondaio.

106
TERZO CAPITOLO

107
LE TRACIE

Delle Tracie di Cratino si conservano diciassette frammenti di tradizione indiretta

(frr. 73-89 K.-A.), troppo brevi per una ricostruzione anche sommaria dell'intreccio comico, ma

sufficienti ad inserire questo dramma nel quadro delle commedie politiche e per avanzare alcune

ipotesi circa l'anno di rappresentazione.

Il titolo della commedia fa riferimento al coro, composto da donne tracie, custodi dei sacri riti in

onore di Bendis, una divinit originaria della Tracia, il cui culto fu introdotto e regolarizzato ad

Atene proprio sul finire del quinto secolo, come si vedr nello specifico pi avanti in merito alla

questione della datazione del dramma. La prova del fatto che le coreute fossero anche le

sacerdotesse di Bendis offerta dal fr. 85, il solo a garantire che Cratino nelle Tracie menzionava

Hesych. 1847 ( cod., corr. Goettling Accent p. 275).


( cod., corr. Mus.) , , (cf. Plut. def. Orac.
13 p. 416E de Hecata), (- cod., corr. Kuster) , ,
. , , ( cod.)
. Gloss. com. Pap. Ox. 1801 (CGFP 343), 34161 ] [ | ]

161 Il Glossario comico una raccolta di glosse comiche rinvenuta nel Pap. Oxy. 1801, del I sec. d.C., in cui,
disposti su due colonne, si leggono, con ampie lacune, alcuni termini inizianti per , i rispettivi glossemi ed un
certo numero di citazioni; fra i termini doveva figurare anche , probabilmente alle rr. 34-35:
....] [
35 ..].. ..[
Gi i primi editori (Grenfell-Hunt 1922, p. 154) mettono in relazione il contenuto delle rr. 34-35 con la glossa
esichiana su Bendis sopra citata, ma alla r. 35, prima di , segnalano lo spazio solo per due lettere,
seguiti da Luppe 1967 p. 198 e Austin CGFP 343. Per questa ragione, dunque, Luppe colloca prima, nella
sezione di pi disperata lettura. Theodoridis 1978 pp. 69-72, invece, seguito anche da Kassel-Austin, integra
prima del leggibile (r. 35), sulla base di Fozio ( 590 Th.: ): egli pensa che
Cratino, nelle Tracie, dicesse e che l'inversione nel lemma di Fozio sia
dovuta alla volont, da parte del compilatore, di spiegare in primo luogo l'aggettivo . certo che il
lemma a cui fa riferimento la citazione di Cratino sia , ma, pur accettando che alla r. 35
fosse preceduto da , non affatto scontata l'attribuzione al commediografo del nome della dea; sulla base
della testimonianza di Esichio, , infatti, probabile che il lemma di Fozio sia frutto di banalizzazione (con il
passaggio di a ) e, come spiega bene Delneri 2004 p. 72, anche

108
.. [

I testimoni citano il frammento per spiegare il difficile termine , indubbiamente

utilizzato dal commediografo, attribuito alla dea tracia e di cui vengono fornite tre

interpretazioni: Bendis era definita perch esercitava il suo potere su due regni, quello

celeste e quello terreno; oppure per il fatto che era cacciatrice e portava due lance (dalla doppia

lancia), il che ne favor presto presso i Greci l'assimilazione con Artemide; o, ancora, perch

possedeva due luci, la propria e quella del Sole, come epiclesi della Luna (). Fozio 162

fornisce un'ulteriore spiegazione del lemma e dice che l'epiteto derivava forse anche dal

fatto che la dea aveva con s due fiaccole () e le torce erano dette appunto 163.

Dei quattro significati proposti dai lessicografi, per, il pi attendibile certamente quello dalla

doppia lancia, sia per la ricorrenza del sostantivo , sia per il fatto che l'aggettivo

ricorre, oltre che in questo frammento, unicamente al v. 643 dell'Agamennone di Eschilo, in cui

si parla di una maledizione delle due lance ( ), in riferimento alla sanguinosa coppia

Agamennone-Menelao, strumenti nelle mani di Ares per realizzare la distruzione di Troia. Sono

queste le sole due attestazioni del termine; il fatto , forse, significativo, ma non esiste alcun

elemento per poter sostenere l'idea di un rapporto diretto tra i due testi. Il verso eschileo induce,

per, certamente a preferire il significato dalla doppia lancia per , anche come epiteto

ipotizzabile che Cratino nella sua commedia non utilizzasse il nome della dea, ma vi alludesse con l'espressione
, in un contesto in cui questa non potesse dar adito a dubbi. Qui, insomma, la per
antonomasia sarebbe . Aristofane, del resto, nelle Lemnie, usa una formula simile proprio per indicare
Bendis: in Hsch. 456 Hansen, infatti, si legge (fr. 384 K.A.).
e nel fr 381 K.A. la dea semplicemente . Per un'analisi pi dettagliata della
questione, si veda Delneri 2004 pp. 69-73 e, da ultimo, Delneri 2006 pp. 191-194.

162 Phot. 590 Th.: .


. , .
. Cfr. anche 126 Th.:
. .
163 Si veda S. fr. 535.2 R.: , / , /
/ , / /
.

109
di Bendis. Sono, del resto, attestate rappresentazioni vascolari164 in cui la dea, raffigurata nei

panni di una cacciatrice, regge due aste o , e questo non pu che essere la conferma.

Un'ulteriore prova dell'allusione al culto di Bendis nelle Tracie garantita dai frr. 87 e 89:

Phot. p. 183.1 (- cod., corr. Ruhnk. ad Tim. p. 11).


(Sem. fr. 36 W.)

Hesych. 2766 . ( ) . cf.


2764 , 1669 ,

Il primo attesta l'uso nella commedia del termine , che Fozio spiega con ,

ossia l'individuo ispirato dalla divinit, e a cui accosta il termine , il mendicante

sacerdote di Cibele, detto dagli Ioni anche 165. La testimonianza degna di nota perch

Cibele e Bendis sono associate in un frammento di Ipponatte (fr. 125 Degani:

) ed , dunque, probabile che nel dramma di Cratino fossero

chiamati i seguaci della dea tracia.

Il fr. 89, invece, citato da Esichio per la ricorrenza dell'aggettivo , di significato

piuttosto incerto: il lessicografo, infatti, lo spiega con e, di seguito, con e

sottolinea tra parentesi la sua derivazione da , cio , di senso oscuro e mai

attestato.

La spiegazione fornita da Esichio potrebbe trovare una qualche giustificazione grazie ad una

glossa di Fozio, in base alla quale sta per ,

(p. 557.9 Th. = EM p. 736.19 = Suid. 1661 Adler); l'aggettivo, dunque, indicherebbe

164 Si veda, ad esempio, il vaso di Verona del 440-430 a.C. (Mus. Teatro Romano 52) e il vaso di Tbingen (Univ.
S/10 1347), della fine del V secolo (rispettivamente LIMC s.v. Bendis 1-2 p. 96).
165 Cfr. anche Phot. p. 182.20 Th.: (= Hsch. 4373 Latte).
.

110
qualcosa di sconvolto, disordinato e sarebbe un qualificativo, in certo qual modo dispregiativo,

proprio di un auleta e adatto all'ambito comico. Perpillou 1973 p. 94 pone alla base del termine

non un ipotetico verbo * (cfr. Bosshardt 1942 p. 44), ma un aggettivo , che

deriva da () e qualifica propriamente un'esecuzione musicale stonata e aritmica.

L'esistenza di tale aggettivo , infatti, assicurata dall'espressione proverbiale ,

citata, in particolare, da Ateneo per designare un coro in cui ciascun componente deve cantare

qualsiasi cosa gli piaccia, senza prestare attenzione a chi dirige ed istruisce166; in altre parole, un

coro mal regolato, scomposto, disordinato. Lo studioso francese, poi, sottolinea che, a partire

dall'aggettivo , la costituzione di un derivato in - evidentemente comica e indica

uno specialista in note discordi; a suo avviso, dunque, l'auleta di Cratino (fr. 89) sarebbe un

cacophoniste professionnel, ma tale ipotesi induce a pensare che il poeta usasse il termine in

relazione ad un unico personaggio. , invece, anche possibile che il commediografo, nello stesso

passo o in uno contiguo, impiegasse pure e che nelle Tracie il sia da

ricondurre ad un gruppo di auleti beoti, forse una folla di iniziati di Bendis impegnata nelle

celebrazioni (cfr. Delneri 2006 pp. 201-206), che costituiva probabilmente un secondo coro. La

presenza di tali personaggi trova conferma grazie al fr. 77:

166 Ath. 15.697F: (fr. 15 W.)


, ,
, . cfr. anche Phot. p. 557.9 Th. = EM p. 736.19:
,
, ; Suid. 1661 Adler: ,
, .
, , ; Zen. 6.1:
, . . Per un'analisi
dettagliata delle fonti lessicografiche in questione di veda Delneri 2006 pp. 201-206.

111
,

Questi sono Porcibeoti, stirpe di uomini con zoccoli di legno

Phot. (b, S) 1241 (sequitur fr. 78). Schol. (BCEQ) Pind. Ol. 6.152
: ,
(fr. 83 Sn.) -

Il frammento consiste in un tetrametro anapestico catalettico, in cui uomini beoti sono presentati

come porci e con ai piedi zoccoli di legno, ed ricordato, in particolare, dallo scoliasta di

Pindaro, come commento al passo contenente la celebre espressione di scrofa beotica. Il

maiale, infatti, nel panorama culturale greco l'incarnazione della stupidit, dell'ignoranza, della

rozzezza e della goffaggine167 e il suo accostamento, quasi proverbiale, alla popolazione della

Beozia, comunemente ritenuta rozza e stolta, , forse, da ricercare nel fatto che gran parte del

sostentamento della regione si basava su un'economia prettamente agricola 168. La reputazione dei

Beoti come maiali presso gli autori greci, in particolare attici, , poi, ricordata soprattutto da

Plutarco in un passo del De esu carnium169, in cui si accenna alla considerazione dei Beoti quali

ingordi e si riportano tre citazioni poetiche relative, appunto, alla proverbiale voracit e

pinguedine beotiche: la prima ( ) sembra, come ipotizzato da Meineke IV p. 297,

proprio una ripresa, alterata, dell'espressione presente nel frammento cratineo in

analisi, perch la discrepanza ( / ) pu dipendere dal fatto che Plutarco appunta

l'inizio della citazione a memoria, pur restando fedele in qualche modo al ritmo dell'originale

167 Sull'impiego della figura del maiale in contesti proverbiali si veda Bettarini 1997 pp. 19-38 (con relativa
bibliografia).
168 Cfr. Hsch. 2754 Hansen: ; Phot. p. 557.2 Th.:
. In generale, sulla reputazione dei Beoti presso gli scrittori greci, in particolare attici, e latini si
veda Roberts 1895 pp. 1-9; Roller 1990 pp. 139-144.
169 Plu. Mor. 995E: ,

, , . Per un commento approfondito
del passo si veda Inglese 1999 pp. 205-206.

112
( / ); la seconda citazione il fr. 611 K.A. di Menandro (

, quelli che hanno mascelle, ovvero i voracissimi Beoti); la terza ed ultima (

) , infine, l'inizio del gi citato passo pindarico contenente la nota espressione offensiva

di scrofa beotica (Ol. 6.89-90: , ,

).

Nel frammento cratineo, dunque, l'uso del termine , un conio del poeta dall'evidente

significato dispregiativo, doveva certamente risvegliare nel pubblico, in chiave comica ed

ironica, la famosa e topica immagine di gente rozza, come i maiali, che la popolazione beotica

aveva nel mondo greco.

I personaggi qui presi di mira sono senza dubbio degli auleti e la prova di questo fornita

dall'accenno agli zoccoli di legno ( ). Chantraine (DELG s.v.

p. 588), infatti, spiega, sulla base delle testimonianze di Polluce, Fozio ed Esichio 170,

che erano propriamente dei calzari di legno utilizzati in Beozia per schiacciare le

olive, ma anche gli zoccoli adoperati dai suonatori di flauto per battere il tempo e segnare il

ritmo. , quindi, fuor di dubbio che i Porcibeoti del fr. 77 sono degli auleti e che le parole del

verso rappresentano l'acido commento di un personaggio all'ingresso di questo gruppo di

scalmanati, che, calzando zoccoli di legno, dovevano fare un gran baccano. E se questa banda di

auleti aveva effettivamente un carattere scomposto e disordinato anche altamente probabile che

l'aggettivo del fr. 89 alluda, come gi pensava Kaibel, al barbarorum Bendideis

tumultus (apud Kassel-Austin 4 p. 166). La cosa, infatti, non deve affatto stupire, dal momento

che Strabone attribuisce alle feste in onore della dea tracia (Bendideia) un carattere orgiastico

170 Poll. 7.87: ,


; 10.153: ; Hsch. 4228
Latte: ; Phot. p. 180.21 Th.:
, , ; cfr. anche Eust. in Il. p. 867.29:
(10.38), , , .

113
(10.3.16) e Proclo descrive la confusione ed il disordine dei Bendideia con l'espressione

, cio un vero e proprio tumulto (Procl. in Ti. p. 26E).

In definitiva, il fr. 77 segnala di sicuro l'entrata in scena di un gruppo di auleti, ma il materiale

conservato troppo esiguo per stabilire con certezza il loro ruolo specifico all'interno del

dramma: potrebbe, infatti, trattarsi di un gruppo isolato e con un ruolo marginale nell'intreccio

comico, oppure di un vero e proprio secondo coro171, in aggiunta a quello femminile costituito

dalle sacerdotesse di Bendis e che d anche il titolo alla commedia.

Nell'ambito del tema relativo alla satira, senza dubbio possibile classificare anche le Tracie

come una commedia politica grazie al fr. 73, che testimonia l'ingresso in scena di Pericle:


<> ,
,

Ecco qui Zeus testa di cipolla che si avvicina,


Pericle, che porta sul capo l'Odeon
dopo che l'ostracismo passato

[1-3] Plut. vit. Pericl. 13.9 (post fr. 326) , ,


,
, . -

171 L'utilizzo nel fr. 77 del tetrametro anapestico catalettico potrebbe spingere, anche se in via del tutto ipotetica,
nella direzione di un semicoro di auleti beoti. Tale metro, infatti, generalmente usato nella commedia attica
antica nella parabasi e nell'agone, ma si trova anche nella parodo delle Nuvole, in particolare ai vv. 269-274, in
cui Socrate invoca e celebra le divinit che stanno per fare in quel momento il loro ingresso in scena
(cfr. Martinelli 1995 pp. 154-158); questo passo potrebbe in qualche modo richiamare la situazione del
frammento cratineo in questione; inoltre, ai vv. 268-304 degli Uccelli, una sezione in tetrametri trocaici
catalettici, Upupa introduce a uno a uno i componenti del coro, e nella parodo della Lisistrata, ai vv. 352-353, in
tetrametri giambici catalettici, il coro di vecchi annuncia l'entrata in scena dell'altro coro, composto da donne,
con cui dialogher fino al termine della sezione (v. 386). Anche i di Cratino, dunque, potrebbero
costituire uno dei due semicori del dramma e, in tal caso, il fr. 77 segnalerebbe il loro ingresso, annunciati da un
personaggio, che pronuncia versi in tetrametri anapestici catalettici; l'esiguit del materiale, per, non offre
alcuna certezza a riguardo. Sulla questione si veda anche Delneri 2006 pp. 170-173, che per riconduce il fr. 77
alla parabasi.

114
Plutarco, dopo aver passato in rassegna tutte le grandi opere artistiche commissionate da Pericle,

per dar conto dell'ambizioso programma edilizio volto a fare di Atene un incomparabile punto di

riferimento della cultura greca, e, dopo aver nominato il Partenone, il Telesterion, preposto alla

celebrazione dei misteri eleusini di Demetra e Kore, ed il lungo muro posto tra quello del Pireo e

quello del Falero (Per. 13.7-8), descrive l'Odeon172, una sala ipostila creata per gli agoni musicali

ai piedi dell'Acropoli e vicino al teatro di Dioniso, e riporta questi pochi versi delle Tracie, in cui

Cratino si fa beffe dell'imponente costruzione. Come si vede, Pericle, il principale bersaglio della

satira politica cratinea, qui chiamato in causa come personificazione del re degli di, topica

stigmatizzazione, soprattutto in ambito comico, del suo atteggiamento sicuro e superbo, della sua

, dalle connotazioni propriamente tiranniche (v. 1:

/ <> ). L'assimilazione a Zeus dello statista , infatti, molto frequente in

Cratino e ricorre anche, come si vedr, nella Nemesi, in cui il noto politico ateniese appellato

come Zeus e (fr. 118 K.A.), e nei Chironi, in cui presentato come un

figlio di e (fr. 258 K.A.). Un simile accostamento, poi, non manca neppure in

172 L'Odeon era un'imponente sala ipostila creata per gli agoni musicali. Plutarco (Per. 13.9) ne offre una
descrizione di tipo morfologico e dice che l'edificio era con numerose serie di sedili, e
con molteplici serie di colonne all'interno; il tetto, invece, risolveva l'arduo compito di coprire una vasta area con
campate spioventi da un apice centrale: il tutto ad imitazione della tenda regale persiana, bottino ateniese di
Platea nel 479. Si sa per certo che l'opera fu distrutta nell'86 a.C., durante la prima guerra mitridatica, e
ricostruita nelle forme originarie, alla met del I secolo a.C. da C. e M. Stallius e da Melnippos, a spese del re
Ariobarzane Philoptor (cfr. Paus. 1.20.4; Vitr. 5.9.1). Non si conosce, invece, con sicurezza l'anno preciso in cui
l'edificio fu originariamente completato e di questo si molto discusso. Plutarco (Per. 13.9-11) inserisce la
descrizione dell'Odeon dopo quella del Partenone, del Telesterion e del lungo muro e prima di quella dei Propilei
dell'Acropoli, probabilmente seguendo un ordine cronologico; egli aggiunge, poi, che l'edificio fu realizzato in
concomitanza con un provvedimento pericleo, che prevedeva l'istituzione nel programma festivo delle Panatenee
di un agone musicale, con gare di auls, di cetra e di canto, deputato a svolgersi, da allora in avanti, proprio
nell'Odeon. Tale notizia certamente falsa, perch le rappresentazioni vascolari mostrano con certezza che gli
agoni musicali in occasione delle Panatenee esistevano gi a partire dal sesto secolo a.C. (cfr. Davidson 1958 pp.
23-42); probabile, invece, per dar credito all'informazione plutarchea, che tali gare siano state ad un certo punto
interrotte e, poi, ripristinate proprio da Pericle in occasione del completamento dell'Odeon, la cui datazione
precisa una vexata quaestio, che non si intende riproporre in questa sede. Per un'analisi completa della struttura
dell'edificio e per la sua data di costruzione si rimanda, invece, a Judeich 1931 pp. 306-308; Pickard-Cambridge
1946 pp. 15-19; 72-73; Pickard-Cambridge 1996 pp. 94-95; Travlos 1971 p. 387; Robkin 1976; 1979; Knell
1979 pp. 77-79; Meinel 1980 pp. 135-154; Hose 1993 pp. 3-11; Miller 1997 pp. 218-242; Podlecki 1998 pp. 77-
91; e, per finire, si veda l'accurata ricostruzione fatta da Mosconi 2000 pp. 217-316.

115
Aristofane, il quale nella parabasi degli Acarnesi appella Pericle con il soprannome e

lo considera la causa scatenante della guerra, per aver scagliato fulmini e tuoni su tutta la Grecia,

preso dall'ira (vv. 530-531: / , ,

). Diodoro Siculo, invece, riconduce l'appellativo , attributo tipico dello

statista, alla sua grande abilit oratoria (12.40.5:

, ) e Plinio il vecchio ricorda il bronzista cidonio

Cresila per aver rappresentato presso i Propilei dell'Acropoli un Pericle Olimpio, degno di questo

soprannome, cio per essere riuscito a rendere la sicurezza che caratterizzava lo stratega e ne

giustificava, appunto, l'appellativo Olimpio (34.74: Cresilas (fecit) Olympium Periclem

dignum cognomine).

Nelle Tracie, per, questo singolare Zeus-Pericle presentato anche con l'aggettivo

, ossia dalla testa di cipolla, non attestato altrove e che rimanda indubbiamente al

noto difetto fisico pericleo, spesso preso di mira dai commediografi. Plutarco173, infatti, ricorda

che lo statista era ben formato in tutte le parti del corpo, salvo che nella testa, piuttosto lunga ed

asimmetrica; per questa ragione, i suoi , per non offenderlo, lo ritraevano costantemente

con l'elmo in testa e i poeti attici lo chiamavano scinocefalo, in quanto in Attica

propriamente la cipolla marina. Plutarco prosegue passando in rassegna tutte le testimonianze

comiche sulla famigerata scinocefalia di Pericle e riporta il gi citato fr. 118 della Nemesi, in

173 Plu. Per. 3.3-7: , ,


, .
, .
.
(fr. 258 K.A.) ()
, , (fr. 118 K.A.)
. (fr. 47 K.A.)
, ,
(fr. 115 K.A.) ,
. Sulla scinocefalia di Pericle si
vedano anche CMG 5.10.2.2: (Pericles) ; Poll. 2.43:
; Hsch. 3026 Hansen: * * * .

116
cui l'aggettivo richiama appunto il termine ; il fr. 258 dei Chironi, di cui pure si

gi detto ed in cui Pericle, figlio di e , presentato come un tiranno che gli di

chiamano , epiteto che allude certamente al difetto fisico; il fr. 47 K.A. di

Teleclide, in cui si dice che lo statista talvolta, angustiato dai pubblici affari, sedeva sull'Acropoli

con il capo appesantito e ciondoloni, tanto che a volte dalla sua testa, capace di ospitare ben

undici letti, era in grado di far scaturire da solo un grande tumulto; e, infine, il fr. 115 K.A. dei

Demi di Eupoli, un'esclamazione, probabilmente del corifeo, successiva all'ingresso in scena di

quattro defunti, tra cui Pericle, in cui il termine non pu che riferirsi scherzosamente

alla sua particolare deformit cefalica (cfr. Tel 2007 pp. 458-462).

Nella mordace parodia di Cratino, quindi, lo statista ateniese, probabilmente personaggio

principale del dramma, assimilato ironicamente a Zeus, al fine di attaccare la sua condotta

politica, dai tratti distintamente tirannici; ma lo Zeus-Pericle che compariva in scena doveva

avere ben poco di divino agli occhi del pubblico ed essere ben lontano dall'assumere un

atteggiamento degno di rispetto; egli doveva, invece, apparire assolutamente ridicolo e diventare,

in tal modo, oggetto di beffa, suscitando risa ed ilarit. Come si dice nel fr. 73, egli era

, una testa di cipolla e, perci, non da escludere che l'attore, pur impersonando

il re degli di, si presentasse al pubblico con qualche tratto fisico idoneo ad evocare la figura del

noto politico e che, cio, fosse in qualche modo visualizzata sulla scena la sua scinocefalia

attraverso un particolare adeguamento mimetico della maschera174. Gli spettatori, inoltre, non
174 Polluce, del resto, informa che l'archaia, a differenza della nea, in completa libert produceva maschere da
adattare ai suoi personaggi (4.143:
). E Pickard-Cambridge 1996 pp. 299-
300, analizzando il passo di Polluce, sottolinea che dai testi risulta chiaramente che le maschere dei personaggi
viventi ridicolizzati potevano essere ritratti riconoscibili, ovviamente con qualche tratto caricaturale. Una prova,
in tal senso, fornita dal passo dei Cavalieri, in cui il primo servo afferma che Cleone non rappresentato
realisticamente, perch nessun artigiano ha osato realizzare una maschera che lo ritraesse (vv. 230-233). Si pu,
invece, essere abbastanza sicuri che in questa commedia, se i due schiavi erano riconoscibili come Nicia e
Demostene, le loro maschere ne dovevano consentire in qualche modo l'identificazione. Lo studioso, poi, fa
riferimento anche al fr. 73 K.-A. di Cratino, sulla base del quale ipotizza che Pericle nelle Tracie fosse presentato
in scena con una testa abnorme, un tratto fisico che ne rendeva immediato il riconoscimento. Sul travestimento e

117
dovevano avere alcuna difficolt a riconoscere in Zeus il loro statista anche per un altro

particolare messo ben in evidenza al secondo verso del frammento in analisi, in cui si dice che

Pericle, nelle vesti di Zeus, al posto dell'elmo con cui veniva solitamente ritratto dai suoi artisti,

reca sulla testa un modello dell'Odeon ( / ), una delle famose opere

previste nel suo programma di edilizia pubblica, di cui egli doveva menare gran vanto e per la

quale evidentemente Cratino non gli riconosce alcun merito. Non difficile, del resto,

comprenderne la ragione: Pericle era ben consapevole che il teatro si configurava come lo spazio

privilegiato per la mediazione del consenso politico della polis e, perci, diede particolare rilievo

alle strutture teatrali; riassett, infatti, il teatro di Dioniso e fece costruire, appunto, l'Odeon, un

edificio che divenne, non a caso, fondamentale per l'organizzazione degli agoni drammatici, dal

momento che l si stabil che avesse luogo la cerimonia del proagone, in occasione della quale il

drammaturgo, insieme agli attori ed ai coreuti, esponeva al pubblico l'argomento dell'opera che

sarebbe stata rappresentata di l a qualche giorno (cfr. Pickard-Cambridge 1996 pp. 94-95;

Mastromarco 2003 p 8). facile immaginare, dunque, che la presa in giro da parte del

commediografo di una delle opere, di cui forse lo stratega andava pi fiero, anche in vista della

sua propaganda politica, abbia avuto un certo effetto sugli spettatori, suscitando non poca

sorpresa .

In definitiva, i tre trimetri del fr. 73 mostrano uno Zeus-Pericle dalla testa di cipolla che, con un

ridicolo modello dell'Odeon sul capo, si presenta al pubblico in atteggiamento trionfale dopo

essere scampato al pericolo di ostracismo (v. 3: ). Non difficile

supporre, come nota Quaglia 1998 p. 29, che tali versi segnalino proprio la prima entrata in scena

del personaggio, dal momento che la descrizione troppo dettagliata per riferirsi a qualcuno gi

visto in precedenza. La studiosa ipotizza, in maniera condivisibile, che il fr. 73 faccia parte del

la deformazione di figure alte si vedano, invece Rau 1967 p. 18; Degani 1983 pp. 9-10.

118
prologo, sezione tradizionalmente in trimetri, in cui venivano presentati tutti i personaggi

principali del dramma: nella parte finale, dopo che si a lungo parlato di lui, Pericle fa il suo

ingresso, mentre uno tra i personaggi gi presenti ne rimarca l'entrata, pronunciando i tre versi in

analisi. Una conferma in tal senso offerta dal v. 146 dei Cavalieri di Aristofane, in cui il primo

servo, alla fine del prologo, introduce per la prima volta sulla scena il Salsicciaio con la battuta

, una frase che presenta una puntuale coincidenza linguistica con il primo

verso del frammento cratineo in questione ( 175).

Nonostante la scarsit di materiale non permetta di ricostruire la trama, , a questo punto,

possibile asserire, sulla base di quanto sinora detto, che anche le Tracie sono da considerare a

tutti gli effetti una commedia anti-periclea, nel cui intreccio l'uomo politico doveva ricoprire un

ruolo di una certa rilevanza.

Un ulteriore attacco nei suoi confronti, se pure indiretto, , poi, forse, rintracciabile nel fr. 81:

Schol. (V) Luc. Iov. trag. 48 p. 83.20 R. (de Callia, post fr. 12)
( , corr. Luppe Phil. 110, 1966, 137, om. V).
(fr. 127.6 Koe.)
.
p. 84.7 (solus ) ,
, cf. Schol. Ar. Av. 283 , 286

Il testimone rimanda alle Tracie, perch in questo dramma viene preso in giro Callia, presentato

come marchiato (), in quanto gravato di debiti ( )176 a causa della

175 La tradizione manoscritta tramanda per il primo verso del fr. 73 (MA) oppure
(SU); congettura di Bekker, accolta favorevolmente e giustamente da Kassel-Austin, sulla
base di alcuni passi aristofanei, tra cui il verso dei Cavalieri sopra citato, in cui il verbo ,
accompagnato dal deittico, tecnicamente usato per presentare un personaggio, mentre fa il suo ingresso in
scena: Eq. 146 . (il primo servo rimarca l'ingresso di Filocleone); V. 1324
(il servo annuncia l'arrivo di Filocleone); Lys. 77
(Lisistrata presenta Lampit); Pl. 1038 (la Vecchia annuncia
l'entrata in scena del Giovinetto).
176 Nel diritto attico la marchiatura era applicata ai beni concessi in ipoteca, cio terreni, case, ma anche schiavi
(cfr. Lipsius 1912 pp. 690-697; Harrison 1968 pp. 254-255) e, dunque, come fa notare Delneri 2006 p. 182, con
evidente esagerazione comica, Cratino vuol forse dire che Callia era talmente indebitato da poter essere egli
stesso marchiato, come i suoi possedimenti. La studiosa scrive inoltre: chiara la portata offensiva di tale

119
sua vita dissoluta, e come adultero colto in flagrante e costretto, per evitare guai giudiziari, a

sborsare tre talenti al marito dell'amante177, un tale Foco, non altrimenti conosciuto. Si tratta

senza ombra di dubbio di Callia III (PA 7826; LGPN II, s.v., nr. 84; si veda anche l'accurata

ricostruzione genealogica tracciata da Davies 1971 pp. 254-269), figlio di Ipponico II del demo

di Alopece (PA 7658; LGPN II, s.v., nr. 13) e nipote di quel Callia II (PA 7825; LGPN II, s.v., nr.

82) che, in vecchiaia, fu ambasciatore in Persia intorno al 448 178 ed a Sparta, per la pace dei

Trent'anni, nel 446/45179. L'uomo, nato intorno al 455 e morto dopo il 371, era, inoltre, legato a

Pericle per via materna, sulla base di quanto riferisce Plutarco, ossia per il fatto che la madre di

Callia, una donna di cui non si conosce il nome, divorzi da Ipponico II e, successivamente,

and in sposa a Pericle, a cui diede i due figli legittimi, Santippo e Paralo180. Callia, poi, era un

affermazione, che implicava un'infamazione del personaggio: erano per di pi chiamati anche certi
schiavi, quelli puniti per aver tentato di fuggire (cf. e.g. Ar. Av. 760). Del resto, i erano solitamente colpiti
da pene degradanti, come quella del , con cui venivano simbolicamente ridotti a donne o a
schiavi.
177 Sul pagamento di una multa pecunaria in caso di reato di cfr. Dem. 59.65: ,
,
, ,
, ,
; Lys. 1.25: , , ,
. ,
. In generale, sui procedimenti punitivi previsti in tema di
adulterio dalla legislazione ateniese si veda Harrison 1968 pp. 254-255; MacDowell 1978 pp. 124-126; Kapparis
1995 pp. 97-122; Kapparis 1996 pp. 63-77; Omitowoju 2002 pp. 109-110; e, da ultimo, per ulteriori riferimenti
bibliografici, Tel 2004 p. 8.
178 Cfr. D. 19.273: , ,
,
, ,
, , .
179 Cfr. D.S. 12.7:
,
.
180 Plu. Per. 24.8: , ,
.
, ,
. Cfr. anche Pl . Prt. 314E: ,
,
, .
La notizia fornita da Plutarco stata messa in discussione, per ragioni cronologiche, da Beloch 1916 II.2 p. 35 e
da Davies 1971 pp. 262-263, i quali hanno ipotizzato che fu in un primo momento Pericle a sposare la donna, da
cui ebbe Santippo e Paralo, e, successivamente, nel 455 circa, lo statista divorzi, concesse l'ex moglie a
Ipponico II e da questo matrimonio nacquero Callia e Ipparete, futura moglie di Alcibiade (420 circa). A
sostegno della sequenza plutarchea si vedano, invece, Thompson 1972 p. 213 n. 18; Cromey 1982 pp. 203-212.

120
personaggio molto in vista ad Atene, pi volte attaccato anche da altri commediografi del quinto

secolo, per l'ingente ricchezza ereditata dal padre, che sperper velocemente, e per la sua nota

passione per le donne, che lo port ad avere una vita matrimoniale piuttosto chiacchierata:

Eupoli negli Adulatori, rappresentati nel 421, gli assegna un ruolo centrale, ambientando il

dramma nella sua casa, e lo attacca molto probabilmente per aver dilapidato, a causa delle sue

insane abitudini di vita, l'immenso patrimonio del padre morto da poco, ammontante a duecento

talenti e considerato il pi consistente di tutta la Grecia (cfr. Storey 2003 pp. 180-184);

Aristofane, invece, negli Uccelli parla di lui come di un uccello di razza spennato da donne e

sicofanti181 e nelle Rane lo presenta mentre, in abbigliamento erculeo, lotta valorosamente

contro una fica182; l'oratore Andocide, infine, fornisce dettagli sulla sua vita matrimoniale e

racconta che Callia conviveva, nella stessa casa, con la moglie, sposata in seconde nozze, e con

la di lei madre, vedova di Iscomaco, dalla quale ebbe anche un figlio bastardo (1. 124-127;

cfr. anche Metag. fr. 14 K.A.: , . < X > /

).

Non da escludere, quindi, che Callia, personaggio noto ad Atene, legato per parte di madre a

Pericle e divenuto ben presto, soprattutto in ambito comico, stereotipo negativo del ricco dedito

ai piaceri ed a uno stile di vita sregolato, nelle Tracie venga preso di mira anche al fine di colpire

indirettamente lo statista; Cratino, del resto, come si visto, aveva gi sperimentato una pratica

simile nelle Fuggitive con l'invettiva contro l'indovino Lampone, esponente di spicco

In generale, sulle implicazioni politiche delle alleanze matrimoniali nell'Atene del quinto secolo si veda Cox
1989 pp. 34-46; Cox 1998, in particolare pp. 222-229.
181 Ar. Av. 283-286: . / . . /
, / .
Per l'analisi dettagliata del passo si rinvia a Dunbar 1995 pp. 235-236; Totaro 2006 pp. 145-146 n. 60.
Cfr. anche schol. Ar. Av. 283a Holwerda:
; 286a Holwerda: .
182 Ar. Ra. 428-430: / / .
Per l'analisi del passo si veda Totaro 2006 pp. 89-90.

121
dell'entourage pericleo. Su questa linea si pu procedere oltre. Callia, infatti, era anche intimo

amico di Protagora e seguace delle sue teorie, come provato dal Protagora platonico, dialogo che

ha interamente luogo nella sua abitazione, e dai frr. 157 e 158 K.-A. degli Adulatori di Eupoli, in

cui il nome del noto sofista compare a riprova del fatto che egli era molto probabilmente uno dei

personaggi del dramma, ambientato anch'esso nella casa del ricco aristocratico183. Tale

osservazione acquista rilevanza alla luce del fatto che ben attestato lo stretto legame tra Pericle

e Protagora (cfr. Podlecki 1998 pp. 93-99): Diogene Laerzio, in particolare, citando Eraclide

Pontico, informa che, in occasione della fondazione di Turi (444/443), fu proprio il filosofo a

redigere, per volont dello statista, la legislazione della nuova citt184; Plutarco, invece, racconta

che Santippo, sparlando di suo padre, lo prendeva in giro per aver trascorso una volta un'intera

giornata a discutere con Protagora se l'agente responsabile della morte di un giovane atleta,

colpito accidentalmente da un giavellotto, fosse, secondo il ragionamento pi logico, il

giavellotto stesso, il lanciatore oppure i giudici di gara185; e nel Protagora di Platone, inoltre,

com' noto, i due figli legittimi di Pericle, Santippo e Paralo, sono tra gli astanti al discorso del

sofista nella casa del ricco Callia.

Callia, dunque, oltre ad essere legato a Pericle per parte di madre, aveva anche con lui

un'importante amicizia in comune, quella con il filosofo Protagora, e questo poteva di certo

essere una buona ragione perch egli divenisse nella drammaturgia cratinea, che ha nello statista

183 Eup. fr. 157 K.-A.: , / / ,


; fr. 158 K.-A.: , /
. Per un approfondimento su questi frammenti si rimanda all'analisi rigorosa condotta da
Napolitano Kolakes; cfr. anche Storey 2003 pp. 184-188.
184 D.L. 9.50: , , , ,
, .
185 Plu. Per. 36.4-5: ,
.
,
,
. Alla possibilit di far ricadere la responsabilit su altri, nell'episodio del
giovane atleta ucciso accidentalmente da un giavellotto, accenna brevemente anche Antifonte (3.7):
; ; , ;

122
il suo bersaglio costante, strumento di attacco indiretto al politico ateniese. Una simile ipotesi

trova, a mio avviso, conferma, per quanto riguarda le Tracie, nel fatto che il fr. 82186 testimonia

una presa in giro di Cratino nei riguardi del retore e sicofante Evatlo, discepolo di Protagora 187

(PA 5238). Proprio su di lui Gellio (5.10) e Apuleio (Flor. 18.20) raccontano un interessante

aneddoto relativo alla sua formazione tra i sofisti: Evatlo, dopo aver frequentato le lezioni di

Protagora, si accord con il maestro circa il prezzo, ma pag di fatto soltanto la met dell'ingente

somma di denaro richiesta, promettendo che avrebbe versato il resto in occasione della sua prima

vittoria ad un processo; il tempo, per, trascorse senza che il giovane discepolo saldasse il debito

e Protagora lo cit in giudizio, dando prova dinanzi ai giudici della sua spiccata capacit

186 Schol. (V) Ar. Vesp. 592b , (710)


(fr. 424) (fr. 102 K.)
.
187 Cfr. Quint. 3.1.10: Abderites Protagoras, a quo decem milibus denariorum didicisse artem, quam edidit,
Euathlus dicitur; D.L. 9.54: ,
; Apul. Flor. 18.20: Protagora, qui sophista fuit longe multiscius et cum primis rhetoricae
repertoribus perfacundus, Democriti physici cuius aequaeuus - inde ei suppeditata doctrina est eum
Protagoran aiunt cum suo sibi discipulo Euathlo mercedem nimis uberem condicione temeraria pepegisse, uti
sibi tum demum id argenti daret, si primo tirocinio agendi penes iudices vicisset. Igitur Euathlos postquam
cuncta illa exorabula iudicantium et decipula adversantium et artificia dicentium versutus alioqui et ingeniatus
ad astutiam facile perdidicit, contentus scire quod concupierat, coepit nolle quod pepigerat, sed callide
nectendis moris frustrari magistrum diutuleque nec agere velle nec reddere, usque dum Protagoras eum ad
iudices provocavit, expositaque condicione, qua docendum receperat, anceps argumentum ambifariam
proposuit. Nam sive ego vicero, inquit, soluere mercedem debebis ut condemnatus, seu tu viceris, nihilo
minus reddere debebis ut pactus, quippe qui hanc causam primam penes iudices viceris. Ita, si vincis, in
condicionem indicisti; si vinceris, in damnationem. Quid quaeris? Ratio conclusa iudicibus acriter et
invincibiliter videbatur. Enimuero Euathlos, utpote tanti veteratoris perfectissimus discipulus, biceps illud
argumentum retorsit. Nam si ita est, inquit, neutro modo quod petis debeo. Aut enim vinco et iudicio
dimittor, aut vincor et pacto absoluor, ex quo non debeo mercedem, si hanc primam causam fuero penes iudices
vinctus. Ita me omni modi liberat, si vincor, condicio, si vinco, sententia; Gell. 5.10: Evathlus, adulescens
dives, eloquentiae discendae causarumque orandi cupiens fuit. Is in disciplinam Protagorae sese dedit
daturumque promisit mercedem grandem pecuniam, quantam Protagoras petiverat, dimidiumque eius dedit iam
tunc statim priusquam disceret pepigitque ut relicum dimudium daret quo primo die causam apud iudices
orasset et vicisset. Postea cum diutule auditor adsectatorque Protagorae causas tamen non reciperet tempusque
iam longum transcurreret et facere id videretur ne relicum mercedis daret, capit consilium Protagoras, ut tum
existimabat, astutum: petere insistit ex pacto mercedem, litem cum Evathlo contestatur. Et cum ad iudices
coniciendae consistendaeque causae gratia venissent, tum Protagoras sic exorsus est: Disce, inquit, stultissime
adulescens, utroque id modo forte uti reddas quod peto, sive contra te pronuntiatum erit sive pro te. Nam si
contra te lis data erit, merces mihi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin vero secundum te iudicatum erit,
merces mihi ex pacto debebitur, quia tu viceris. Ad ea respondit Evathlus: Disce igitur tu quoque, magister
sapientissime, utroque modo fore uti non reddam quod petis, sive contra me pronuntiatum fuerit sive pro me.
Nam si iudices pro causa mea senserint, nihil tibi ex sententia debebitur, quia ego vicero; sin contra me
pronuntiaverint, nihil tibi ex pacto debebo, quia non vicero.

123
dialettica: il sofista, infatti, sostenne che, indipendentemente dall'esito del processo, l'allievo

avrebbe dovuto comunque rendergli il denaro, dal momento che, se la sentenza fosse stata a lui

favorevole, Evatlo avrebbe dovuto pagare per legge e se, al contrario, i giudici si fossero

pronunciati contro di lui, egli avrebbe ugualmente ottenuto i soldi come pattuito, perch in tal

caso il giovane avrebbe vinto per la prima volta; l'allievo, per, diede prova di essere in grado di

superare il maestro, sostenendo che, invece, in entrambi i casi, egli sarebbe riuscito a sottrarsi al

saldo del debito: se, infatti, la vittoria fosse stata dalla sua parte, egli non avrebbe pagato secondo

la legge; in caso contrario, egli sarebbe stato comunque esonerato dal pagamento in base a

quanto stabilito, dal momento che non avrebbe ancora ottenuto nessuna vittoria ad un processo.

La vicenda narrata dai due scrittori latini degna di interesse, perch questo personaggio pi

volte preso di mira in ambito comico come simbolo della sfacciataggine e della sfrenata

ambizione della nuova generazione di , i giovani avvocati di formazione sofistica:

nella parabasi degli Acarnesi di Aristofane, egli compare come antagonista di Tucidide di

Melesia, che simboleggia la generazione degli anziani oltraggiati e soppiantati dal fanatismo dei

nuovi 188; per questa ragione il giovane demagogo attaccato anche nelle Vespe189 e nel

fr. 424 delle Navi da carico aristofanee190, in cui detto , cio, in base alla spiegazione

dello scolio ad Ar. Ach. 710, , in quanto , e 191; nel Pisandro

188 Ar. Ach.703-710: , , /


, / , ; / /
/ , , /
, / <> , /
, / .
189 Ar. V. 590-593: /
/ , , /
, .
190 Ar. fr. 424 K.-A.: / .
191 Schol. Ar. Ach.710b Wilson: .
(fr. 424 K.-A.) . . ,
. Su Evatlo cfr. anche Suid. 3367 Adler: .
(fr. 424 K.-A.). .
, . La denominazione di arciere, in realt, compare, accanto a quella di deserto scitico (v.
704), anche nel passo degli Acarnesi sopra citato (v. 711), forse in riferimento sia ad una presunta origine dalla

124
di Platone comico, infine, Evatlo doveva verosimilmente essere messo alla berlina per l'elevato

compenso richiesto nella sua professione, abitudine certamente derivatagli dalla formazione

sofistica (fr. 109 K.-A.; per un'analisi del frammento si veda Pirrotta 2009 pp. 231-232).

L'atteggiamento senza scrupoli, per cui il giovane demagogo era noto ad Atene, era forse anche

la ragione della sua presa in giro nelle Tracie, ma non da escludere, sulla base di quanto detto

sinora e di quanto ipotizzato in relazione a Callia, che egli fosse bersaglio del commediografo

pure per la sua stretta vicinanza a Protagora, amico di Pericle. E se nella commedia sono

evidentemente derisi Callia ed Evatlo, entrambi vicini al sofista, viene, a questo punto, da

chiedersi, per quanto non ve ne sia traccia nel materiale conservato, se in qualche modo, sulla

stessa linea dell'invettiva contro Lampone, Cratino attaccasse direttamente anche Protagora, in

quanto membro di spicco della cerchia periclea. Se cos fosse, anche l'idea, in base alla quale

l'attacco a Callia per le sue insane abitudini di vita sarebbe solo il pretesto per colpire

indirettamente Pericle, acquisterebbe pi senso. Si tratta ovviamente di un'ipotesi priva di

riscontri concreti, ma che potrebbe quanto meno essere presa in considerazione.

Resta, in ultimo, da trattare la questione relativa all'anno di rappresentazione del dramma.

Il riferimento, al terzo verso del fr. 73 sopra analizzato, ad un presunto pericolo di ostracismo

evitato da Pericle ha indotto Bergk 1838 pp. 104-108, seguito dalla maggior parte degli

studiosi192, a ipotizzare che esso fosse un'esplicita allusione all'ostracismo di Tucidide di Melesia,

acerrimo avversario dello stratega messo politicamente fuori gioco nel 444/443, e che, di

conseguenza, le Tracie fossero da collocare tra il 443 e il 442. Lo studioso tedesco, inoltre,

Scizia, i cui abitanti erano noti come formidabili arcieri, sia alla sua abilit oratoria: le parole, scagliate negli
attacchi verbali, erano come frecce lanciate con un arco, frecce che colpivano sempre nel segno, sterminando
tutti quelli che si imbattevano nella sua parola e facendo cos deserto intorno a s, da cui la denominazione di
deserto scitico. In generale, per l'analisi del passo degli Acarnesi si veda Mastromarco 1983 pp. 166-167
n. 115; Napolitano 2002 pp. 89-103, in particolare pp. 94-98.
192 Cfr. Meineke 1839 pp. 61-62; Kock 1880 p. 34; Edmonds 1957 pp. 44-45; Norwood 1931 pp. 133-135; Pieters
1946 p. 84; Schmid 1946 pp. 78-79; Gomme 1959 I p. 347 n. 1; Schwarze 1971 pp. 64-71; Quaglia 1998 p. 28.

125
ritiene che la conferma di una simile datazione sia offerta dal fr. 76, in cui ci si riferisce a

personaggi non meglio identificati, che impedirono a dei ladri di rubare l'oro proveniente

dall'Egitto:

193

Per il fatto che fecero smettere ai corvi di rubare gli ori provenienti dall'Egitto

Poll. IX 91 -

Bergk suppone che esso contenga un chiaro riferimento all'ingente quantit di grano offerta agli

Ateniesi dal re d'Egitto Psammetico, sotto l'arcontato di Lisimachide (445/444), in riconoscenza

dell'aiuto militare prestatogli contro il re di Persia, notizia a noi nota grazie all'attidografo

Filocoro, la cui testimonianza riferita dallo scoliasta al v. 718 delle Vespe aristofanee194.

L'ipotesi avanzata da Bergk, per, non risulta attendibile per diverse ragioni.

193 Nell'immaginario greco il corvo (, Corvus corax) simbolo di impudenza e di voracit e, come tale, in
commedia sempre associato a personaggi negativi: nelle Vespe di Aristofane il corvo Teoro, un adulatore di
Cleone (v. 47: , / ;); nella Pace, invece, come corvo
apostrofato Ierocle, l'indovino che, durante il sacrificio, vorrebbe sottrarre a Trigeo le pelli di pecora (v. 1125:
; ; cfr. anche schol. Ar. Pax 1125: );
negli Uccelli, inoltre, Opunzio presentato dall'araldo di Pisetero come un monocolo soprannominato corvo
(v. 1294: ) e lo scolio al verso, citando come fonte Didimo, informa che
questo personaggio preso in giro, come uno privo di un occhio e che ha un grande grugno, da Callia nelle
Atalante (fr. 4 K.-A.; si veda Imperio 1998 pp. 203-204) e da Eupoli nei Tassiarchi (fr. 282 K.-A.; schol. Ar. Av.
1294 Holwerda: (sc. nomen dedit)
); ma oltre
che per le caratteristiche fisiche, l'appellativo gli fu certamente attribuito anche per la voracit e
l'impudenza, dal momento che egli ricordato da un altro scolio come (schol. Ar. Av. 1292a
Holwerda: , . .
; cfr. Totaro 2006 pp. 130-131 n. 30). In generale, sul corvo e la sua simbologia presso i
Greci si rimanda anche a Chantraine DELG s.v. ; Thompson 1936 pp. 90-95; Taillardat 1965 pp. 311-312.
194 Schol. Ar. V. 718 Koster: ,
[[ ]],
. Cfr. anche Plu.
Per. 37.4:
,
, .
,
.

126
In primo luogo, che il fr. 73 alluda in qualche modo all'ostracismo di Tucidide di Melesia solo

una supposizione, dal momento che ad Atene nel quinto secolo ogni anno era possibile ricorrere

a tale istituto per eliminare avversari politici e, dunque, esso poteva rappresentare per Pericle una

minaccia annuale (cfr. Wilamowitz 1879 p. 319). Anche ammesso, poi, che Cratino volesse

effettivamente far riferimento all'episodio del 443, si potrebbe semplicemente riconoscere in esso

un evento post quem datare la commedia e non per forza un elemento da utilizzare ai fini della

datazione della stessa (cfr. Luppe 1963 p. 53; Delneri 2006 pp. 157; 185).

In secondo luogo, sulla base delle testimonianze di Filocoro (schol. Ar. V. 718) e Plutarco (Per.

37.4), Psammetico invi agli Ateniesi grano, mentre nel fr. 76 delle Tracie si parla di oro (cfr.

Geissler 1969 p. 22). Per superare l'ostacolo, Pieters 1946 p. 84 pensa che con il poeta

intenda il ricavato della vendita dei cereali oppure che l'immagine comica indichi

allegoricamente un furto di grano, ed Edmonds 1957 p. 46 n. b presuppone che insieme a

quest'ultimo Psammetico abbia anche inviato una certa quantit di metallo prezioso. Si tratta,

per, di tentativi poco convincenti, volti a orientare il testo verso una precisa interpretazione, ed

a questo si deve aggiungere che altri studiosi hanno, invece, visto nel verso del fr. 76 un'allusione

ad un altro fatto storico, cio il dono di vasellame d'oro da parte di un certo Paapis (cfr. Muhl

1881 p. 88; Brandes 1886 p. 21; Kaibel apud Kassel-Austin 4 p. 161). Di questo personaggio

non si sa quasi nulla, se non che era forse un egiziano ricco ed influente195, ed anche

impossibile datare con precisione il suo gesto, che , per, sicuramente anteriore al 421, perch

in un dramma di quell'anno il comico Leucone allude al dono di coppe da parte di Paapis e,

soprattutto, alla loro sottrazione ad opera di Iperbolo (fr. 1 K.-A.: , ,

/ ); un'iscrizione poi, informa che ancora nel


195 Cfr. Hsch. 2 Hansen: . E Bergk 1838 p. 106 scrive:
ita Paapis quidam sive regulus aliquis sive sacerdos sive alius quis Aegyptius generosus Atheniensibus pocula
pretiosa dono dedit Paapin istum Aegyptium fuisse satis ipsum nomen arguit. Anche Antonio Diogene
nomina un (p. 233.24 H.).

127
406/405 esisteva, nel Partenone, una , (IG II 1383.6). Delle due

ipotesi interpretative relative al frammento cratineo, questa forse la pi probabile, ma resta, a

mio avviso, comunque molto discutibile, e senza possibilit di soluzione, stabilire a quale

episodio specifico il poeta abbia voluto alludere.

Infine, la menzione di Evatlo nel fr. 82 induce a collocare senza dubbio il dramma cratineo negli

anni trenta del quinto secolo, dal momento che in tutte le ricorrenze aristofanee il discepolo di

Protagora presentato come un ragazzo giovane (Ach. 710; V. 592; fr. 424 K.-A.) e, dunque, egli

non poteva essere oggetto di attenzione da parte di Cratino gi un ventennio prima (cfr.

Wilamowitz 1879 p. 319; Geissler 1969 pp. 21-22). Diversamente, Gomme 1959 I p. 347

sostiene che Evatlo avrebbe potuto benissimo esercitare la sua professione dal 445 al 410,

restando, comunque, nel 425 sempre pi giovane del suo avversario Tucidide; Pieters 1946 p. 83,

invece, ritiene che il suo nome venga fatto semplicemente come rappresentazione, per

metonimia, della classe dei sicofanti, oppure che sia da supporre l'esistenza di due personaggi

storici omonimi, entrambi discepoli di Protagora: uno, pi giovane, sarebbe quello menzionato

da Aristofane; all'altro, gi attivo nel 443, farebbe invece riferimento Cratino nel fr. 82 (su

quest'ultima ipotesi cfr. anche Schwarze 1971 p. 67 n. 159). Tutte queste interpretazioni, nessuna

pienamente convincente, per, sono originate soltanto dal tentativo, quasi forzato, di salvare a

tutti i costi la datazione tradizionalmente proposta (443/442) e, perci, sono, a mio parere, da

rigettare. Geissler 1969 pp. 21-22, invece, fissa la rappresentazione della commedia nell'arco di

tempo compreso tra il 435 ed il 430 e, sulla base delle osservazioni sopra riportate, tale proposta

, forse, quella da tenere maggiormente in considerazione. Ma, a mio avviso, si pu procedere

oltre ed essere ancora pi precisi. Come si detto all'inizio, nelle Tracie Cratino prende di mira il

culto straniero di Bendis, che ad Atene ebbe il privilegio di essere ufficialmente riconosciuto

128
dallo Stato nella seconda met del quinto secolo, al tempo di Pericle, dunque, molto

probabilmente all'inizio del 430/429. Infatti, un'iscrizione, databile con certezza al 429/428,

presenta il conto dei tesorieri delle divinit, tra cui quelli [], e fornisce senza dubbio il

terminus ante quem per il riconoscimento pubblico della dea (IG I 210 = IG I 310 = IG I 383);

una seconda iscrizione (IG I 136 = LSCG 6), poi, risalente probabilmente al 430/429, offre una

gran quantit di informazioni circa lo svolgimento della festa in onore di Bendis ad Atene: essa

aveva luogo il 19 di Targelione (maggio/giugno) e si apriva con una doppia , in parte

ateniese e in parte tracia, che partiva dalla per arrivare al Pireo, centro di residenza della

comunit immigrata tracia e sede, non a caso, stando alla testimonianza di Senofonte196, di un

santuario della dea localizzato accanto al tempio di Artemide Munichia; al Pireo si svolgeva un

sacrificio, officiato da un sacerdote e da una sacerdotessa, e la carne animale veniva poi

distribuita e la pelle venduta; la sera, inoltre, si poteva assistere a una fiaccolata a cavallo, seguita

da una 197. Queste due iscrizioni rappresentano le testimonianze pi antiche sul culto

ateniese di Bendis e, quindi, molto probabile che esso sia stato ufficialmente accolto per

volont di Pericle all'inizio del 430, prima cio del mese di Targelione, quando ebbero luogo

presumibilmente per la prima volta le Bendideie (cfr. Nilsson I 1967 p. 833). La motivazione che
196 Xen. Hell. 4.11: .
197 Per un'analisi dettagliata di questa iscrizione si veda Pappadakis 1937 pp. 808-823; Peck 1941 pp. 171-217;
Nilsson 1942 pp. 169-188; Ferguson 1949 pp. 130-163; Sokolowski 1962 pp. 20-23.
Un'ulteriore testimonianza del culto greco di Bendis ad Atene e della festa in suo onore si trova nella parte
iniziale della Repubblica platonica (1.327a:

. ,
; cfr. anche lo scolio al passo: .
, ,
. ). Questo testo letterario degno di nota, perch
Socrate afferma chiaramente che la festa cui sta assistendo (le Bendideie appunto, in base alla spiegazione dello
scoliasta) viene celebrata per la prima volta in citt, ma esso non fornisce alcun aiuto da un punto di vista
cronologico, dal momento che la datazione di tale evento non ricostruibile con certezza, vista anche la tendenza
di Platone agli anacronismi, e pare compresa tra il 429 e il 411 (per la bibliografia relativa alla questione si veda
Delneri 2006 p. 140 n. 9).
In generale, sul culto di Bendis e le sue caratteristiche si vedano RE s.v. Bendis pp. 269-271; LIMC 3.1 s.v.
Bendis pp. 95-97 (con relativa bibliografia); Dbner 1959 pp. 219-220; Nilsson I 1967 pp. 833-834; e, da ultimo,
con la bibliografia pi aggiornata, Delneri 2006, in particolare pp. 135-144.

129
spinse lo statista a riconoscere pubblicamente un culto straniero caso del tutto isolato , senza

dubbio, sociologica, per via della consistente comunit di Traci residenti ad Atene, le cui

esigenze andavano tenute in considerazione (cfr. Peek 1941 p. 215; Delneri 2006 p. 143), ma

soprattutto politica, dal momento che, allo scoppio della guerra del Peloponneso, gli Ateniesi

cercarono di ottenere il sostegno del re tracio Sitalce e nell'estate del 431 strinsero con lui

un'alleanza (cfr. Th. 2.29); il riconoscimento del culto di Bendis, finanziato dallo Stato, fu,

dunque, molto probabilmente una sorta di gesto di riconoscenza nei riguardi della Tracia, nuova

alleata (cfr. Nilsson I 1967 p. 834; Delneri 2006 p. 142). Alla luce di ci, se oggetto della

polemica di Cratino era il culto della divinit tracia, evidente che esso era stato gi

ufficializzato in citt e, di conseguenza, non resta che affermare che la commedia fu di fatto

messa in scena proprio nel 430, a un anno dallo scoppio del conflitto bellico, immediatamente

dopo il riconoscimento del nuovo culto e, evidentemente, pochi mesi prima della celebrazione

della prima festa in onore della dea (maggio/giugno 430)198. Se, inoltre, ha una certa attendibilit

l'ipotesi che nel dramma vi fosse in qualche modo una presa in giro del sofista Protagora, oltre

che del suo intimo amico Callia e del suo discepolo Evatlo, al fine di attaccare indirettamente

Pericle, la rappresentazione delle Tracie nel 430 acquista ancora pi rilevanza: proprio in quegli

anni, infatti, nel 432 circa, si svolsero ad Atene, sotto l'influenza della psicosi di guerra e

nell'ambito di quella che Dodds 1951 p. 189 chiama the reaction against the Enlightenment,

una serie di processi che portarono alla condanna di numerose persone molto vicine allo statista,

Fidia, Aspasia e, soprattutto Anassagora (cfr. Prandi 1977 pp. 10-26). Ne deriva che non doveva

198 La datazione del 430 per le Tracie accolta anche da Kassel-Austin ed , poi condivisa da Mattingly 1977 pp
66-69, sulla base del fr. 79 per la ricorrenza di (fr. 79: , avendo presieduto il
consiglio dello scorso anno); l'avverbio, infatti, ricorre, oltre che qui, soltanto in Aristofane (Ach. 378; V. 1038;
1044; Th. 627; 808; 1060; fr. 132.1 K.-A.) e in Platone comico (fr. 102.3 K.-A.), per cui questa di Cratino
sarebbe la prima attestazione. Lo studioso, dunque, rifiuta la datazione tradizionale (443/442), dal momento che
l'uso di in una data cos alta rappresenterebbe un caso stranamente isolato. Per un'analisi accurata del
frammento si rimanda a Delneri 2006 pp. 176-177).

130
passare assolutamente inosservato n avere poca presa sul pubblico un eventuale attacco al

filosofo Protagora in una commedia essenzialmente anti-periclea e, soprattutto, nel 430, in un

momento a dir poco critico, ossia nel pieno delle difficolt e delle tempeste emotive, causate alla

popolazione dal clima bellico, e nel vivo di un conflitto, le cui responsabilit erano all'unanimit

additate a Pericle.

Resta da fare un'ultima osservazione: nel capitolo dedicato al Dionisalessandro, si stabilito per

l'anno di rappresentazione del dramma proprio il 430 in occasione dell'agone lenaico. Non si

pu, di conseguenza, che scegliere per le Tracie lo scenario dionisiaco dello stesso anno, in gara

con le Moire di Ermippo, in cui Pericle agiva nella parte del re dei satiri (fr. 47 K.-A.), un falso

eroe capace di grandi discorsi in tempo di pace, ma pronto a liberarsi della lancia in battaglia.

Atene, scoppiata la guerra peloponnesiaca, dovette affrontare numerosi problemi politico-sociali,

perch, come si gi ripetuto pi volte, la strategia bellica di Pericle prevedeva che gli abitanti

dei demi periferici si trasferissero in citt e lasciassero le loro terre agli invasori spartani. Questo

piano difensivo divenne ben presto impopolare, sia per i disagi psicologici, provocati

dall'abbandono delle proprie case, sia per i disagi materiali, dal momento che i profughi inurbati,

costretti a sistemazioni di emergenza, si trovarono in condizioni igieniche molto precarie, che

portarono ben presto allo scoppio della peste (vd. Introduzione). Ora, delle potenzialit

eversive della commedia e della sua influenza sull'opinione pubblica erano perfettamente

consapevoli i commediografi. E, allora, non fu di certo un caso che Cratino proprio nel 430, nel

bel mezzo di questa difficile situazione e nella fase indubbiamente pi critica del governo

pericleo, present, a distanza di soli due mesi, due commedie che condannavano in toto la

politica dello statista: una, il Dionisalessandro, dinanzi ad un pubblico ristretto di soli ateniesi, in

cui era presentato in scena un Dioniso-Pericle bellicista e guerrafondaio, ma anche vile e codardo

131
e assolutamente incapace nella conduzione bellica; e l'altra, le Tracie appunto, al cospetto di un

pubblico panellenico, in cui personaggio rilevante era ancora il politico ateniese, ma questa volta

nei panni di Zeus, o a lui equiparato, per via del suo strapotere e di un tipo di politica volto solo

in teoria all'accrescimento socio-economico e culturale della potenza ateniese, nei fatti destinato

a suggellarne ben presto la fine.

132
QUARTO CAPITOLO

133
IL CONCETTO DI 'NEMESI' E LA NEMESI DI CRATINO

Il termine presenta una storia ed unevoluzione particolarmente complessa, che

abbraccia tutta lantichit greca e nel corso del tempo assume una molteplicit di forme, dal

concetto psicologico ben attestato in Omero fino alla dea popolare della gelosia di epoca

ellenistica, senza dimenticare il personaggio mitologico legato a Zeus ed Elena e le divinit

venerate a Ramnunte e a Smirne. Ciascuno di questi aspetti stato oggetto di una lunga vexata

quaestio199 e di notevole importanza risulta, tra gli altri, uno studio condotto da Laroche sulla

storia della radice NEM- nel greco antico, in particolare il capitolo dedicato ad unanalisi

cronologica dellevoluzione di (Laroche 1949 pp. 89-113). Lo studioso francese

sottolinea che il sostantivo appartiene alla vasta famiglia dei termini astratti greci in

-(-); esso deriva da un antico * divenuto (s) sulla linea di totyos >

v(s) e la presenza del denominativo (s) fa supporre lesistenza originaria di un

gruppo -y divenuto -(s). Il verbo denominativo pi recente , invece, .

I poemi omerici ignorano la divinit chiamata Nemesi, ma il termine e i suoi derivati,

e , sono ben attestati ed indicano propriamente un sentimento molto vicino

alla collera (cfr. Hom. Il. 6.335; 8.407-421; 2.222-223). Se, per, questultima rimanda ai segni

esteriori dellirritazione, la nemesi fa riferimento al sentimento interno che la genera e

rappresenta, dunque, la passione interiore, lo sdegno che produce lira all'esterno: tale lo stato

199 Sul termine si vedano, tra gli altri, Tournier 1863; Drachmann 1911; Coman 1931; Chantraine 1933
p. 278; RE s.v. Nemesis XVI, 2, 1933 pp. 2338-2380 (H. Herter); Holt 1940 p. 54; Beaujon 1965; Turpin 1980
pp. 352-367.

134
danimo di Telemaco al cospetto di Atena, nelle vesti di Mente, ed esso non viene esteriorizzato

per la presenza fastidiosa dei pretendenti (Hom. Od. 1.119-120).

Eustazio accosta la all, spiegando che, mentre questultima indica un sentimento

individuale, un puro riflesso della coscienza, la prima esprime, invece, una manifestazione

sociale, una sorta di riprovazione pubblica200: i Troiani, infatti, si sdegnano per la vigliaccheria di

Paride (Hom. Il. 6.350-351); motivo di biasimo collettivo trattenere e ospitare i pretendenti nel

palazzo (Hom. Od. 20.330; 21.147) e, per timore dellindignazione della sua gente, Nausica

rifiuta la compagnia di Odisseo (Hom. Od. 6.285-288)201. Laroche 1949 p. 91, per, fa notare che

nei poemi omerici non sempre attestato per un senso sociale, perch molto spesso il

verbo ha per soggetto un individuo isolato ed esprime lo sdegno di un uomo verso un

altro uomo202, di un dio verso un mortale203 o di un dio verso un altro dio 204. Il rapporto tra

e si basa, dunque, su un complesso psicologico, in cui il primo termine fa riferimento al

sentimento dellonore, mentre il secondo si configura come la collera, lo sdegno che subentra

quando l non viene rispettata e contiene in s anche il sentimento della colpa, che nella

societ omerica si confonde con lonta e assume i tratti di una vera e propria vergogna

pubblica205. La cosa non stupisce se si considera che il mondo descritto da Omero ha le

200 Eust. 430.5: ; 923.16: ,


.
201 In tal senso, inoltre, si pone l'espressione , dove il genitivo ha indubbiamente valore
soggettivo (cfr. Hom. Od. 6.40). Per altri esempi di nemesi collettiva cfr. Hom. Il. 2.222-223 (Achei); 17.93; 100
(Danai); 10.129; 17.254 (Argivi); 16.544 (Troiani); Od. 2.101; 19.146; 24.136 (Achei); 17.481; 21.285
(pretendenti).
202 Cfr. Hom. Il. 4.413 (Diomede); 10.115 (Agamennone); 2.296; 10.145; Od. 19.264; 23.213 (Odisseo); Il. 16.22
(Achille); 23.494 (Aiace e Idomeneo); 6.335 (Paride); Od. 15.69 (Menelao); 21.169 (Antinoo); 2.239 (Mentore).
203 Cfr. Hom. Il. 5.872; Od.14.284 (Zeus contro Aiace); Il. 4.507 (Apollo contro i Troiani); 8.198 (Era contro
Ettore); 13.119 (Poseidone contro gli Achei); 24.53 (gli di olimpici contro Achille).
204 Cfr. Hom. Il. 8.407; 421 (Zeus contro Era); 15.103 (Era contro gli di); 13.16 (Poseidone contro Zeus); 5.757;
15.115 (gli di olimpici contro Ares).
205 Nei poemi omerici, inoltre, ben attestato un costrutto formato dal sostantivo accompagnato da una
proposizione infinitiva (cfr. Hom. Il. 3.156-157; 14.80; Od. 1.346-350) ed esso induce a pensare che tale termine
si sia sviluppato anche parallelamente alle speculazioni sull'origine del male e sull'ingiustizia della sorte ed
abbia, ad un certo punto, assunto un valore morale, introducendo il concetto del giudizio morale e della
valutazione di un atto. Non da escludere, quindi, anche sulla base dell'affinit linguistica con il verbo

135
caratteristiche di una civilt di vergogna e il bene supremo delluomo omerico sta nel possesso

della pubblica stima e nel rispetto dellopinione pubblica. Dodds 1951 p. 18 scrive che tutta la

societ omerica si fonda su una continua tensione fra impulso individuale e pressione del

conformismo sociale, per cui tutto quel che espone luomo al disprezzo o al ridicolo dei suoi

simili, tutto quel che gli fa perdere la faccia, sentito come insopportabile.

In Esiodo, invece, viene presentata come una divinit: ne Le Opere e i Giorni, nel corso

della descrizione della quinta et, quella del ferro, durante la quale mai cesseranno dolori e

affanni per gli uomini, il poeta dice che proprio allora , accompagnata da e

coperta da candidi veli, abbandoner i mortali per raggiungere gli di sullOlimpo (vv. 197-200);

nella Teogonia, la dea compare come figlia della Notte e sorella delle Moire, delle

Chere, delle Parche, di Inganno, di Amore, di Vecchiaia e di Discordia (vv. 217-225) ed vista

come (v. 223). Laroche 1949 p. 95, per, fa notare che laccostamento

di e non altro che una reminiscenza omerica e che la stretta parentela con

, , , lascia supporre una ripresa allegorica di quelle forze e di quei

principi che, gi a partire da Omero, regolano i rapporti tra gli di e gli uomini e di cui anche il

termine fa parte. Nulla autorizza a credere che ai tempi di Esiodo esistesse gi un culto

nemesiaco ben organizzato; molto pi probabile, invece, che Nemesi sia entrata pi tardi nel

sistema teologico, anche perch Teognide non fa mai riferimento a una dea Nemesi, ma usa il

sostantivo nevmesiV nel senso omerico di sdegno, indignazione206.


(distribuisco, attribuisco), che in epoca omerica, quando religione e morale avevano ancora due radici
separate e il concetto di giustizia non aveva ancora subto un processo di elaborazione accurato, implicasse una
sorta di responsabilit morale, ossia l'atto di imputare a qualcuno, appartenesse, cio, un ensemble de
concepts psychologiques et de termes abstraits o la pense grecque se cherche una doctrine de la conscience et
de la morale e rappresentasse, in senso stretto, le jugement sous sa forme lmentaire, lie la idal de
l'honneur () mais dpourvue de tout critre rationnel (Laroche 1949 pp. 93-94).
206 I vv. 279-280 ( / )
riprendono chiaramente Hom. Od . 22.39-40 ( , , /
) e il v. 1182 ( ) rimanda a Hom.
Od.136-137 ( / ).

136
Quando da Omero si volge lo sguardo alla frammentaria letteratura dellet arcaica e a quegli

scrittori dellet classica che ancora conservano una visione generale arcaica, come Pindaro,

Eschilo, Sofocle ed Erodoto, si nota subito lemergere di una coscienza dellincertezza umana e

del senso dellostilit divina. Come fa notare Dodds 1951 p. 29, luomo non riesce ad elevarsi al

di sopra del suo stato, vive in balia di una Potenza arbitraria e dominatrice e gli di non tollerano

nessun successo che possa elevare lessere umano al di sopra della sua mortalit, usurpando le

prerogative degli immortali; per questa ragione, le divinit distribuiscono tra gli uomini

parimenti gioie e disgrazie e colui che tenta di sovvertire le leggi immutabili dellordine

universale e, dunque, di andare oltre misura, non pu che suscitare linvidia degli di, gelosi dei

loro privilegi, ed essere giustamente punito. Da qui nasce il concetto dello divino. In

questa fase, ossia a partire dalla fine del sesto e fino al quarto secolo, il sostantivo viene

accostato al termine e ne diventa quasi sinonimo, o meglio, assegna ad esso una veste

morale, per cui la gelosia divina diviene una giusta indignazione: chi ottiene un eccessivo

successo portato per natura a compiacersene oltre misura, questo genera , unarroganza

che si manifesta a parole, con i fatti, o anche solo col pensiero e che non pu non provocare la

punizione divina. Da Pindaro fino ad Euripide, quindi, il termine assume il significato di

gelosia, invidia e questo provato dalla sua rigorosa corrispondenza con 207. Il passo

successivo rappresentato dal collegamento di col destino, che nel mondo greco si

configura come una parte assegnata e accordata dagli di: Pindaro presenta Zeus come il

distributore del bene e del male (P. P. 5.55; I. 5-22) e tale processo si palesa bene in Eschilo che,

per designare una simile funzione per il re degli di, usa lattributo (A. Th. 485).

diviene allora la grande distributrice, colei che punisce la e controlla che ogni

207 Cfr. : S. Ph. 518; 601-602; E. Or. 1361-1362; Hdt. 134; : A. Pers. 362; E. IA 1097;
Hdt. 4.205: ; P. O. 13.25: , ; Hdt. 1.32; 3.40; 7.46:
; P. P. 10.31: ; unito a : A. Th. 235-236; S. El. 1466-1467.

137
uomo riceva ci che gli dovuto. Essa, inoltre, entra anche in rapporto con il mondo dei morti,

in quanto si preoccupa che la morte violenta di un uomo sia ripagata con altra morte (cfr. A. fr.

266 R.), e si pone in stretto legame con le Erinni: Elettra invoca lErinni di Oreste, che crede

morto, proprio con il nome NevmesiV (S. El. 792).

Verso la fine del settimo secolo, per, si diffonde un mito che fa di Nemesi una divinit, madre di

Elena: nei Canti Ciprii, attribuiti a un tale Stasino di Cipro, infatti, si legge che la dea, amata da

Zeus, cerca di evitare labbraccio del dio e, per questo, fugge per terra e per mare assumendo

mille forme diverse; ma Zeus la insegue, riesce ad averla e da questa unione nasce Elena,

definita (Ath. 7.334b-d). Non da escludere, come scrive anche Laroche 1949

p. 103, che lautore dei Canti Ciprii abbia di sua iniziativa introdotto una parentela tra Nemesi e

la nota eroina spartana, al fine di dare alla guerra di Troia una spiegazione eziologica: se si

considera che nellIliade Priamo dice espressamente ad Elena di non trovare in lei alcuna colpa,

ma di considerare responsabili solo gli di (Hom. Il. 3.164-165), con lindicazione delleroina

quale figlia di Nemesi il poeta riesce a dare una soluzione mitologica al ruolo della donna,

presentandola come diretto strumento del destino. Tale versione del mito successivamente

subisce un ampliamento, che porta allintroduzione del noto uovo di Nemesi e ad una

contaminazione tra la saga mitica di questa dea e quella di Leda. Gi un frammento di Saffo

allude a un uovo per caso trovato da Leda (fr. 166 V.: pota

), ma Apollodoro a raccontare in maniera dettagliata che Nemesi, per sfuggire allamore

del re degli di, si trasforma in oca, mentre Zeus assume le sembianze di un cigno e si unisce a

lei; la dea d allora alla luce un uovo e lo abbandona; esso viene trovato da un pastore, che lo

porta a Sparta e lo consegna a Leda; questultima lo custodisce in un cofanetto e, allorch ne

esce fuori Elena, la fa passare per sua figlia, colpita dalla sua straordinaria bellezza (Apollod.

138
3.10.7). Ne risulta, dunque, che Elena figlia naturale di Zeus e Nemesi, ma cresciuta ed allevata

da Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta. Sulla stessa linea, ma con qualche piccola variazione, si

pone Igino, il quale racconta che Giove, innamorato di Nemesi e desideroso di unirsi a lei, si

trasforma in un cigno e ordina a Venere di assumere laspetto di unaquila; in questo modo, il re

degli di, fuggendo luccello rapace, trova rifugio presso Nemesi e si unisce a lei mentre dorme;

da questo amplesso, la dea partorisce un uovo che Mercurio porta a Sparta e consegna a Leda;

dalluovo nasce Elena e la moglie del re Tindaro decide di tenerla con s come sua figlia 208.

Nell'Atene del quinto secolo, Cratino mostra di conoscere molto bene il mito che riguarda

Nemesi, se ne fa l'oggetto principale di una sua commedia, la Nemesi appunto, sempre nell'ottica

di un'attualizzazione del materiale mitico, funzionale alla satira politica, come nel caso del

Dionisalessandro. La scarsit del materiale conservato, purtroppo, non permette di indicare con

certezza la versione mitica seguita dal commediografo forse, come si vedr a breve, la variante

di Igino , ma una testimonianza di Eratostene informa che Cratino nel suo dramma narrava di

come Zeus, assunte le sembianze di un cigno, vol sul demo attico di Ramnunte e violent

Nemesi; e da questa unione venne fuori un uovo da cui nacque Elena 209.

208 Hyg. Astr. 2.8 p. 44 B.: Iuppiter, cum amore inductus Nemesin dirigere coepisset neque ab ea ut secum
concumberet impetrare potuisset, hac cogitatione amore est liberatus. Iubet enim Venerem aquilae simulatam se
sequi, ipse in olorem conversus ut aquilam fugiens ad Nemesin confugit et in eius gremio se collocavit. Quem
Nemesis non aspernata, amplexum tenens, somno est consopita; quam dormientem Iuppiter compressit, ipse
autem avolavit et, quod ab hominibus alte volans caelo videbatur, inter sidera dictus est esse constitutus. Quod
ne falsum diceretur, Iuppiter e facto eum volantem et aquilam sequentem collocavit in mundo. Nemesis autem, ut
quae avium generi esset iuncta, mensibus actis, ovum procreavit, quod Mercurius auferens detulit Spartam et
Ledae sedenti in gremium proiecit; ex quo nascitur Helena ceteras specie corporis praestans, quam Leda suam
filiam nominavit. Tale versione nota anche ad Isocrate: (cio )
(Hel. 59).

209 Eratosth. Cat. epit. c. 25 p. 30 Oliv. (p. 142 Rob.): . ,


.
. , ,
. Il testo di Eratostene presenta l'espressione , ma nello scolio a Germanico,
contenuto nei codici BP, si legge ut ait Cratinus tragoediarum scriptor (schol. German. p. 84.19 Br.). chiaro,
allora, che il mito narrato da Eratostene stato desunto direttamente dalla trama della Nemesi cratinea e, perci,
Valckenaer non esita a correggere in nel testo eratostenico (Valckenaer 1755 p. 166). La
confusione tra tragoediarum scriptor e comoediarum scriptor, come scrive Luppe 1974 p. 51, risulta

139
Se si assegna attendibilit a questa fonte, ne deriva che il commediografo ateniese ha di sicuro

fornito un'ulteriore variante del mito di Nemesi, collocando la vicenda dell'amplesso a

Ramnunte, una cittadina dell'Attica non lontano da Maratona, sulla costa dello stretto che separa

l'Attica dall'Eubea, dove a met del quinto secolo furono eretti un tempio e una statua per

Nemesi210.

La Nemesi di Cratino, quindi, tutta costruita su una storia di seduzione, rapimento e pulsioni

erotiche, background tipico di molte tragedie (cfr. Bakola 2009 pp. 171-172). E, inoltre, per

quanto del dramma si conservino solo quattordici frammenti di tradizione indiretta (frr. 114-127

K.-A.) e non sia possibile ricostruire con precisione l'intreccio comico, la vicenda, che fa di

Nemesi e Zeus i genitori di Elena, doveva certamente ricoprire un ruolo rilevante, dal momento

che una buona parte dei frammenti in nostro possesso (frr. 114-117; 119-121 K.-A.) sembrano

alludere ad essa.

Ad una trasformazione in un grande uccello si riferisce il fr. 114:

Tu devi diventare un grande uccello

Athen. IX p. 373C (post fr. 120) ( ,


corr. Schweigh. coll. epit. p. 374D ).
(fr. 121) 211.
comprensibile se si considera lo stretto legame del mito con la tragedia.
210 Ne d testimonianza Pausania, il quale racconta che la statua della dea fu scolpita da Fidia in un blocco di
marmo di Paro portato dai Persiani, i quali lo destinarono a farne un trofeo dopo la presa di Atene; essi, per,
troppo sicuri della loro vittoria, non presero mai Atene e la Nemesi di Ramnunte incit l'esercito ateniese a
Maratona, spingendolo al trionfo (1.33.2: ,
.
<> ,
[] ). Sulla controversa questione dell'attribuzione o
meno della statua di Nemesi a Fidia si rimanda a Frazer 1898 pp. 455-458.
211 Il frammento tramandato come esempio dell'uso dell'accusativo , al posto del pi comune , una
forma insolita che ricorre anche nel fr. 121, citato immediatamente prima del fr. 114: (un

140
Secondo Kock 1880 p. 48, si tratta delle parole di Afrodite o di Hermes rivolte a Zeus per indurlo

a trasformarsi in un grande uccello, al fine di unirsi a Nemesi, che ha assunto le sembianze di

unoca. Non da escludere, per, come fa notare Marx 1959 p. 157 sulla base del v. 770 della

Rudens plautina, in cui ricorre magnis avibus certamente riferito alle aquile, che il

sia unimponente aquila e che, di conseguenza, il fr. 114 K.A sia la prova di uno stretto legame

tra Cratino e la versione fornita da Igino per il mito di Nemesi: Giove, intenzionato a

trasformarsi in un cigno, ordina a Venere di diventare unaquila e di inseguirlo, cosicch egli

possa, nella fuga, trovare rifugio presso Nemesi e unirsi a lei 212. In tal caso, in questo frammento

la persona loquens Zeus, il quale si rivolge ad Afrodite e le ordina di trasformarsi in un grande

uccello, cio una grande aquila (cfr. Luppe 1974 p. 53).

Il fr. 116 K.A., invece, allude probabilmente al momento dell'amplesso tra le due divinit e

contiene, forse, le parole di Zeus che con tono esclamativo mostra compiacimento dei cibi a lui

posti davanti:


<>

uccello dalle ali purpuree). L'aggettivo attestato in et classica, oltre che in questo frammento,
soltanto al v. 273 degli Uccelli di Aristofane, dove si riferisce probabilmente al Phoenicopterus ruber, un uccello
palustre con piume rosse sulle ali ( ; in generale sull'aggettivo
si vedano Thompson 1936 pp. 181-182; Dunbar 1995 p. 231). Risulta alquanto difficile, per, pensare che nel fr.
121 K.-A. si alluda al fenicottero, dal momento che tale uccello non ha alcun legame con il mito di Nemesi. Per
questa ragione, Thompson 1936 p. 181 pensa che nel passo di Cratino si faccia riferimento al gallo e sulla stessa
linea si pone Edmonds 1957 p. 57, il quale traduce con a red-wing'd cock-bird. Marzullo
1962 p. 551, invece, pensando alla trasformazione di Zeus in un cigno completamente bianco, esclude
giustamente un qualsiasi riferimento preciso al colore delle ali ed assegna all'aggettivo un valore puramente
esornativo, sulla base di un verso di Orazio in cui si parla proprio di cigni purpurei (Carm. 4.1.10: purpureis
oloribus).
212 Cfr. Hyg. Astr. 2.8 pp. 44.24 B.: iubet (sc. Iuppiter) enim Venerem aquilae simulatam se sequi, ipse in olorem
conversus ut aquilam fugiens ad Nemesin confugit et in eius gremio se collocavit.

141
Come provo piacere dei cibi:
tutto mi sembra giardini di rose
e mele e sedani e menta

Schol. (K) Theocr. 10/11 b.c. (p. 242.19 Wend.) (


cod., corr. Ziegler), -

Il primo verso ha creato numerosi problemi perch nei codici si legge

oppure e, in entrambi i casi, il trimetro

giambico non torna. Per questa ragione, Bothe 1855 p. 24, nel tentativo di salvaguardare la

tradizione, predilige il trdito , ma inverte la posizione della particella e rende

. In tal modo, per, pur eliminando il problema metrico, il verso

resta comunque di difficile interpretazione. La costruzione di con un participio, infatti,

indubbiamente attestata ed ha propriamente il significato di provo piacere a

mangiare, ma la presenza del dativo , invece di un atteso accusativo, risulta molto

strana (cfr. Hom. Od. 353-354: / ; A. Pr. 758: , ,

). Meineke 1839 pp. 82-83 congettura in apparato

, ma ipotizza una lacuna. Dbner (apud Kock 1880 p. 48) risolve la questione,

stravolgendo completamente il primo verso del frammento cratineo. Lo studioso, infatti, elimina

il participio e lo sostituisce con : Zeus, trasformatosi in un cigno, proverebbe

piacere a nutrirsi di passeri. Sulla stessa linea si pone Kock 1880 p. 48, il quale in apparato

suggerisce di sostituire il trdito con e spiega che Zeus,

assunte le sembianze di un cigno o di unoca, si meraviglia del fatto che gode nel mangiare

fringuelli213. Marzullo 1962 p. 551, invece, rifiuta giustamente qualunque introduzione di passeri

213 Kock 1880 p. 48: Qui fit igitur ut fringillarum cibis delecter? Videtur enim Iuppiter mirari, cur quamquam in
cycnum vel anserem se convertit tamen minimarum avicularum victu gaudeat. Edmonds 1957 p. 58, invece,
ponendosi sulla via di Kock, scrive , assolutamente incomprensibile.

142
e fringuelli, considera il trdito del tutto mendoso e ritiene un involontario

quanto colloquiale intercalare del testimone. La soluzione , a suo avviso, semplice:

. La lettura di Marzullo accolta, e non a torto, da Kassel-Austin.

Lespressione con valore esclamativo ricorre anche in Aristofane (cfr. Ar. Nu. 773;

1171; Pax 291; Pl. 288) e proprio un passo della Lisistrata fornisce unulteriore conferma:

Cinesia, sofferente per lo sciopero sessuale in atto, dopo aver sollecitato Lisistrata a consegnargli

la moglie, dice che tutto intorno sembra a lui vuoto e non prova pi piacere a mangiare, a causa

del continuo stato di eccitazione (vv. 867-869: / , /

). Come giustamente nota Tammaro 1978/79 p. 207,

oggettivamente difficile negare un rapporto tra il frammento di Cratino e questo passo, dal

momento che questultimo garantisce senza ombra di dubbio la genuinit di e permette,

inoltre, di accettare, come fanno Kassel-Austin, lintegrazione di al secondo verso, proposta

da D. Heinsius. Lindicazione della posizione eretta del membro virile fornita dall e[stuka del v.

869 della commedia aristofanea, poi, non lascia dubbi sulla valenza oscena che assumono nel

frammento di Cratino , , e (vv. 2-3), di cui, tra laltro, ben nota

la polivalenza semantica (cfr. Henderson 1975 pp. 135-136; 149). Lo scoliasta di Teocrito spiega

che , insieme a e , uno dei termini usati per indicare ,

ossia lorgano genitale femminile, ed Esichio informa che il luogo in cui nascono le

rose ed anche , cos come il termine propriamente il sedano, ma pure

214.

Il termine , cio mela, poi, legato alla sfera erotica, dal momento che utilizzato in
214 Hsch. 404 S.: . , ,
. ; 384 S.: ; cfr. anche Phot. p. 506.4 Th.:
. La connotazione oscena di attestata, inoltre, come fa notare Henderson 1975 p.
136, in un frammento di Ferecrate (fr. 138.4 K.-A.) in cui l'espressione spiegata da
Meineke 1839 p. 319, in apparato, come equivalente a .

143
Aristofane al plurale con valore metaforico, per indicare i seni della donna (cfr. Ar. Lys. 155, in

cui si fa riferimento ai seni di Elena: ; Ec. 901-904, in cui la donna giovane

si rivolge a quella anziana e le dice che il piacere fiorisce sui seni: ...

- / ; si veda, in generale, anche LSJ s.v. p. 1127).

Il sostantivo , infine, indica propriamente la menta, ma in un frammento di Teofilo

comico attestato come nome di unetera (Theophil. fr. 11.2 K.A.) e Polluce lo pone in una lista

di sostantivi che rimandano ai cosmetici femminili e sono usati anche dai commediografi per

giochi di parole (5.101; cfr. Henderson 1975 p. 136). Negli Uccelli di Aristofane, inoltre, la

menta () compare, insieme al sesamo bianco, al mirto e ai papaveri, come cibo

fondamentale del regime alimentare degli uccelli (vv. 159-160), ma rimanda anche a simbologie

vegetali attinenti ad Afrodite, alle cerimonie nuziali e, dunque, allidea di fecondit, dal

momento che lo scolio al verso spiega che con la menta si intrecciavano corone nuziali 215.

In definitiva, il fr. 116 K.A. senza dubbio da ricondurre alla sfera erotica ed molto probabile

che a parlare sia Zeus, il quale, assunte le sembianze di un cigno, ha trovato rifugio presso

Nemesi, dalla quale riceve del cibo, e, desideroso di ununione sessuale con lei, si diverte a

giocare sulla polivalenza semantica e sulla connotazione oscena dei termini sopra analizzati.

La contaminazione del mito di Nemesi con la saga di Leda provata per la commedia di Cratino

innanzitutto dal fr. 115 K.A., che rimanda al momento preciso della consegna dell'uovo di

215 Cfr. schol. Ar. Av. 160 Holwerda: . In occasione della cerimonia
nuziale, le corone erano di rose (cfr. Bacch. 17.116 Snell-Maehler; Stesich. 187.3 Page), o di mirto (cfr. Stesich.
187.2 Page; Pi. fr. 52n (a). 16-17 Maehler; Ar. Av. 160; Eub. fr. 104), oppure di viole (cfr. Stesich. 187.3 Page;
Men. Rh. 409.8-14, p. 152 Russell), oppure di menta acquatica (cfr. Ar. Av. 160; Ov. Fast. 4.868), tutte piante
sacre ad Afrodite. Le corone, appese sulle porte delle case dei genitori degli sposi, venivano indossate dagli
sposi, costituivano un regalo di nozze, erano anche usate, insieme alle torce, durante la cerimonia della
lutrophoria, il bagno della sposa, preparatorio alle nozze, e, infine, venivano indossate da tutti i partecipanti
durante la processione, con cui gli sposi, dopo il pranzo nuziale, raggiungevano la nuova dimora, cio la casa
paterna di lui. Nello specifico, sull'uso si torce e corone in occasione delle nozze e per una descrizione dettagliata
dei cortei nuziali si veda Belardinelli 1994 pp. 227-230 (con relativa bibliografia).

144
Nemesi alla regina di Sparta:

, 216
,
,

Leda, questo il tuo compito: tu con eleganza


ti devi comportare come una gallina,
covando su quest'uovo, cos da far uscire
per noi da questo un uccello bello e straordinario

Ath. IX p. 373E . - 217

Lespressione ricorre molto spesso in tragedia, seguita da un infinito o come

asserzione indipendente, accompagnata da un imperativo oppure dalle sue forme equivalenti:

216 Lo Stefano ( TLG 1572 s.v. ) sostituisce il trdito del primo verso con la forma aggettivale
, accordata al termine successivo , una gallina dall'aspetto elegante. Tale espressione,
per, non ha molto senso e, inoltre, Marzullo 1959 p. 142 fa notare che la forma avverbiale ricorre
nella medesima posizione, cio in clausola, sia al v. 1210 delle Vespe di Aristofane, sia nel fr. 857.1 K.-A. di
Menandro. Nella commedia, soprattutto nuova, poi, tale avverbio deve essere stato molto frequente, se esso
ripreso e utilizzato caratteristicamente da Plauto (cfr. Mil. v. 213: euscheme; Trin. v. 625: haud ineuscheme).
Il passo delle Vespe appena citato, infine, molto significativo, perch ad ricorre Bdelicleone, per
prendere in giro Filocleone: il personaggio, infatti, con un tono chiaramente scherzoso, insegna all'interlocutore
il modo di partecipare ad un banchetto in societ e lo invita a sdraiarsi con eleganza, appunto, stendendo le
ginocchia e adagiandosi mollemente, come un atleta, sui tappeti (vv. 1208-1213). Parallelamente, allora, si pu
suggerire che la persona loquens del fr. 115 K.-A. di Cratino faccia la stessa cosa con Leda: prende, cio, in giro
la moglie di Tindaro e, scherzosamente, le ordina di covare l'uovo, che ha dinanzi, allo stesso modo di una
gallina, ma con la precisazione di farlo, a differenza del volatile, con una certa eleganza, come si conf ad una
regina. Se l'ipotesi giusta, non si vede, dunque, la ragione di rigettare e correggere il trdito .
217 Ateneo cita il frammento come prova dell'uso del termine al femminile. Lo stesso concetto
espresso anche da Esichio, il quale informa che gli antichi chiamavano le femmine degli uccelli
( 101 Latte: ). Aristofane, inoltre, gioca
proprio su questo particolare uso ai vv. 660-666 delle Nuvole, in cui Socrate accusa Strepsiade di non saper
distinguere il genere dei sostantivi e lo prende in giro per il fatto che chiama la femmina del pollo allo stesso
modo del maschio, e cio , invece di , un neologismo aristofaneo. Eppure questo uso
doveva essere abbastanza comune, se lo stesso commediografo se ne serve nel fr. 193 K.-A., appartenente al
Dedalo, in cui si parla di una persona che ha deposto un uovo enorme, come una gallina ( ,
). Bergk 1838 p. 398 mette in relazione questo frammento aristofaneo con il fr. 115 K.-A. di
Cratino in analisi e pensa si tratti di Leda.

145
essa attestata una volta in Eschilo218 e in Sofocle219 e di frequente in Euripide220. In ambito

comico, invece, lespressione usata spesso da Aristofane per elevare il tono221 e ricorre solo una

volta in Menandro222. Sulla base di tali testimonianze, Sandbach 1973 p. 232 considera

un'espressione solenne e poetica tipicamente tragica, usata in commedia con finalit paratragica.

Stevens 1976 pp. 39-40, invece, riscontrando pi volte luso di tale costrutto in Platone

(cfr. Pl. Smp. 188e; Men.75d; Grg. 459e; Prt. 335b) lo considera un semplice colloquialismo

attico. La sua presenza nel frammento cratineo, per, ha certamente valore paratragico, dal

momento che, come si vedr a breve, la persona loquens si esprime in maniera tragica. Per

questa ragione, se anche era una forma colloquiale, non da escludere che il

commediografo ateniese, cos come Aristofane, associandola alla tragedia, la utilizzasse per

ottenere un particolare effetto di straniamento comico, dato dalla geniale commistione di

elementi tragici e ridicoli.

L'insolita costruzione di dei: seguito da e lindicativo futuro (vv. 1-2: ...

) propria esclusivamente della tragedia; essa si compone di due diversi costrutti, con

accusativo e infinito, e lesortativo accompagnato dallindicativo futuro, e si riscontra solo

due volte in Sofocle (S. Aj. 556-557: ... ; Ph. 54-55: ... ...

). Non affatto strano che una simile costruzione sia propriamente tragica, poich,

come sottolinea Moorhouse 1982 p. 308, lesortazione di unita al senso di obbligo espresso

da non fa che accrescere la forza dellingiunzione e, di conseguenza, il livello di pathos. Nel

frammento di Cratino, per, l'eco solenne dell'espressione spezzata dal sostantivo ,


218 Cfr. A. PV 635; in Eu. 734, invece, si ha un'espressione analoga, con la sola variante dell'aggettivo possessivo di
prima persona singolare ( ).
219 Cfr. S. Ph. 15.
220 Cfr. E. IT 1079; El. 668; Hel. 830; 1288; Ph. 444; Ba. 849.
221 Cfr. Ar. Nu. 1345; 1397; 1494; Av. 862; Lys. 315; 381; Th. 1208; Ra. 589; Ec. 514; in Pax 426 si ha una forma
analoga, ma con la variante dell'aggettivo possessivo di seconda persona plurale ( ,
).
222 Cfr. Men. Dysk. 630.

146
chiaramente grottesco, che spicca in posizione prominente all'inizio del secondo verso. Il gioco

comico non pu che suscitare il riso.

Al v. 3 i manoscritti tramandano / , ma, in tal modo, il verso extra

metrum, perch presenta due sillabe in eccesso. Per questo motivo, Runkel 1827 p. 33 ipotizza

un originario con come correzione in interlinea e interviene sul testo trdito

congetturando . Tale ipotesi , per, piuttosto ardita e, perci, generalmente

accolto con favore l'intervento di Valckenaer 1755 pp. 165-166, il quale predilige la forma

contratta del verbo , cio , e congettura (cfr. Meineke 1839 p. 82;

Bothe 1855 p. 24; Kock 1880 p. 48; Edmonds 1957 p. 56). Kassel-Austin, invece, accettano

lintervento di Valckenaer, ma correggono la grafia del verbo con laggiunta di i sottoscritto (

). La forma , infatti, potrebbe significare gridare w[ (oppure ), cio

gemere, sulla base dellomologo verbo (cfr. A. Eu. 124; Ar. V. 1526-27 e, in generale,

Totaro 2006 p. 141-142 n. 52), ma, in tal caso, risulta difficile comprendere la ragione per cui la

nascita di Elena dalluovo dovrebbe essere accompagnata da un lamento emesso da Leda.

Esichio, inoltre, spiega che, invece, significa propriamente sedere sulle uova, dunque

covare, e che tale verbo usato metaforicamente nella Niobe di Eschilo223. La grafia corretta ,

dunque, a mio avviso, e unulteriore prova fornita dal verbo retto da wJV, cio

, far uscire (v. 3: ). Esso ricorre anche al v. 1108 degli Uccelli di Aristofane,

quando il coro cerca di convincere i giudici a votare per la stirpe alata dal momento che le

civette del Laurio non li abbandoneranno mai, ma abiteranno nelle loro case, faranno il nido

nelle loro borse e deporranno uova da cui usciranno le monetine (vv. 1106-1108: /
223 Hsch. 5579 Latte: . ; A. fr. 154.6-7 R. Lo
stesso verbo, poi, attestato in un frammento dello pseudo-Epicarmo in cui si dice che le galline non
partoriscono i loro figli direttamente vivi, ma prima li covano e dopo danno loro la vita (fr. 278.3-5 K.-A.:
, / , / ,
).

147
, / );

chiaro che si tratta di un gioco di parole, con il paradossale meccanismo di scambio fra il

livello verbale e quello reale, perch le civette del Laurio non sono altro che le monete coniate

con largento estratto dal Laurio, il monte dellAttica meridionale, e contraddistinte sul verso

dallimmagine della civetta, luccello sacro ad Atena. Van Leeuwen 1902 p. 172, nel commento a

tale passo, sottolinea che il verbo proprio degli uccelli, dalle cui uova, giunte a

maturit, una volta rotto il guscio, escono i piccoli. Lo studioso cita, come prova, proprio il

fr. 115 di Cratino e aggiunge che la persona loquens probabilmente Tindaro.

Nel frammento in analisi, quindi, viene ordinato a Leda di covare, cio di custodire luovo di

Nemesi, da cui verr fuori un uccello bello e straordinario, che, fuor di metafora e nel rispetto

della tradizione mitica, non pu che essere Elena. molto probabile che questi pochi versi

facciano riferimento proprio al momento della consegna delluovo, come lasciano pensare i

dimostrativi (v. 3) e (v. 4). La persona che pronuncia tali parole si esprime

con tono solenne e in maniera tragica e pu trattarsi, come giustamente scrive Luppe 1974 p. 51,

solo di Zeus in persona o di un suo delegato, perch soltanto chi sa cosa verr fuori dalluovo

pu metaforicamente parlare di un (v. 4). Secondo la versione mitica fornita

da Apollodoro, come si gi visto, un pastore si reca a Sparta per consegnare a Leda luovo

partorito da Nemesi (Apollod. 3.10.7). da escludere, per, che nel frammento di Cratino sia un

pastore a parlare, perch risulta difficile pensare che egli possa permettersi di impartire un ordine

alla moglie di Tindaro, re di Sparta. , a sua volta, improbabile identificare, come indicato da

van Leeuwen, la persona loquens con Tindaro in persona, poich egli non pu essere al corrente

del contenuto delluovo. Si pu, allora, affermare che in questa commedia Cratino si discosta sia

dalla versione fornita da Apollodoro sulle vicende mitiche di Nemesi, sia da quella contenuta nei

148
Canti Ciprii, che il mitografo prende a modello. Il commediografo ateniese, come gi detto a

proposito del fr. 114, si rif probabilmente al mito narrato da Igino, secondo il quale Mercurio si

reca a Sparta e consegna luovo a Leda (Hyg. Astr. 2.8 p. 44 B). E se questa ipotesi giusta,

sembra lecito suggerire che nel fr. 115 K.A. sia Hermes a parlare e ad ordinare, per volere di

Zeus, alla moglie di Tindaro di custodire luovo di Nemesi.

L'importanza di Sparta, patria di Leda e Tindaro, nell'intreccio comico di Cratino ipotizzabile

sulla base del fr. 117, che restituisce con sicurezza il nome della citt:

Ma Sparta dico lo sparto

Poll. X 186 (codd. FS, ABC et inde a L) ( FS) (


AB) ( . . om. FSAB) , ( FS)
-

Il testo del frammento ha posto numerosi problemi, perch nella forma trdita non d molto

senso, il termine non altrove attestato e, inoltre, come fa notare Luppe 1963 p. 83,

qualora si trattasse di un hapax, esso potrebbe andar bene in un trimetro giambico solo se posto

in apertura o in chiusura. Per questa ragione, Palmer 1883 p. 334 ha proposto di integrare

larticolo femminile e sostituire con (cesto):

(io chiamo il cesto di sparto). La sua congettura si basa sul

fatto che e si trovano spesso insieme, per esempio negli Acarnesi di Aristofane

(vv. 453-454: . / . , ,

;). Si tratta ovviamente di un tentativo di normalizzazione del testo del tutto

149
arbitrario che, per di pi, non tiene conto del fatto che in questo verso possibile individuare

facilmente un gioco di parole sul nome di Sparta, la citt nemica di Atene. Il medesimo gioco di

parole si trova, infatti, negli Uccelli di Aristofane: nel momento della scelta del nome da dare

alla nuova citt degli uccelli, Evelpide propone il grande nome lacedemone di Sparta (),

ma Pisetero lo rigetta, dicendo di non voler usare dello sparto () nella sua citt,

nemmeno come materiale da costruzione per un letto224. evidente il gioco verbale fondato sulla

somiglianza tra il nome della nota citt greca e lo sparto, una graminacea molto diffusa in Africa

e in Spagna, le cui fibre, assai resistenti, cominciarono ad essere utilizzate in Grecia a partire dal

quinto secolo per fabbricare reti, vasi, cesti, abiti, calzature ed anche le corde dei letti (cfr.

Blmner 1912 pp. 298-300).

Meineke 1839 p. 85, allora, ricostruisce il verso cratineo in questo modo:

, (Spartam dico Spartiacam urbem, non funiculum spartinum). Lo

studioso, quindi, immagina, come nel caso di Aristofane, un gioco di parole sul nome della citt

di Sparta e ipotizza che prima di questo verso Nemesi o un altro personaggio ordinavano di

portare luovo a Sparta probabilmente ad Hermes, il quale, per, confondeva il nome della citt

con il termine usato per indicare la cordicella di sparto. La congettura di Meineke, per quanto

interessante e arguta, non affatto sicura, anche perch la forma come variante di

, per indicare la citt dei Lacedemoni, non altrove attestata. Kaibel (apud Kassel-Austin

1983 p. 182) unisce la congettura di Meineke e quella di Palmer e propone: ,

<> . Anche in questo caso, per, non si ha alcuna prova certa per

224 Ar. Av. vv. 813-816: . / ; .


/ ; / . . , . In generale,
sul passo si veda Dunbar 1995 pp. 489-490. Un gioco di parole molto simile, basato sulla somiglianza tra il
termine , propriamente cena a scotto, e , gru, cibo davvero poco gradevole, si trova in un
frammento di Epicarmo (fr. 76 K.-A.: (.) , / (.)
, , . / (.) , <> ).

150
accettare un simile intervento e, per questa ragione, Kassel-Austin, pur accogliendo in apparato

tutti i tentativi di ricostruzione del testo sopra analizzati, conservano la tradizione e pongono il

trdito tra cruces.

Il nome di Sparta ricorre anche nel fr. 119 K.A.:

Tu consideri Sparta come Psira

Steph. Byz. p. 703.20 , , ( 171)


(c. 1.35 p. 645)
. (fr. 347) (- codd.) . -

Stefano di Bisanzio spiega che Psira una piccola isola vicino Chio, chiamata da Omero

(Od. 3.169) e da Strabone (14.1.35), in genere citata per indicare qualcosa di poco conto,

dal momento che lisoletta non ha alcun valore. Cratino la nomina due volte, in questo

frammento e nel fr. 347, posto da Kassel-Austin tra le fabulae incertae (

). Fozio commenta il fr. 347 e spiega che si tratta di un proverbio: lisola di Psira

piccola e sterile e, perci, lespressione utilizzata per designare ci

che ha scarsa importanza225. La Suda aggiunge che lisoletta di Psira non produce vino e, quindi,

il proverbio riferito a quelli che, pur prendendo parte ai simposi, si astengono dal bere226. Lo

scarso valore e la sterilit di Psira dovevano essere abbastanza note nellantichit, se anche

Esichio spiega lespressione con , cio terra sterile, improduttiva

225 Phot. p. 656.9 Th.: .


. .
226 Suid. 155 Adler: .
.
. .

151
(Hsch. y 280 S.). Ne deriva che nel fr. 119 K.A. si pone Sparta sullo stesso piano dellisola di

Psira, cio non la si tiene in alcun conto; si tratta con molta probabilit di un rimprovero rivolto a

qualcuno che ha osato sottovalutare la citt dei Lacedemoni.

Alla luce della presenza, fin qui evidenziata, del mito di Nemesi nell'intreccio di questa

commedia, resta ora da chiarire l'eventuale finalit parodica di tale materiale e lo scopo che essa

si propone. A tal proposito, un elemento significativo sembra essere fornito dal fr. 118 K.-A.,

tramandato da Plutarco tra le fonti relative alla derisione, da parte dei commediografi, della

strana forma del capo di Pericle allungato e sproporzionato:

Vieni, Zeus protettore degli stranieri e testone

Plut. vit. Per. 3.5 (post fr. 258, vid. ad fr. 73) -

Il tono dell'invocazione elevato e solenne227, probabilmente adatto ad un contesto corale, e il

227 Il tono elevato dell'invocazione provato dalla presenza dell'aoristo , senza dubbio una forma poetica
ben attestata in Omero (cfr. Il. 11.604; 24.781; Od. 3.44), nella lirica (cfr. Mimn. 12.10; Pi. O. 14.18; P. 3.47; B.
16.101; 122) e assente nella prosa, ad eccezione di un passo di Senofonte (An. 7.1.33) e di testimonianze di
epoca pi tarda (Plb. 30.9; Plu. Cleom. 38.3). Questa forma verbale, inoltre, usata in abbondanza dai tragici, sia
nelle parti dialogiche che in quelle liriche (cfr. A. Ch. 935; 937; 946; S. Aj. 509; El. 506; E. Hipp. 661; Med. 681;
Andr. 119; Ph. 296), ed Aristofane vi ricorre pi volte, quasi sempre in passi corali: nei Cavalieri il coro gioca
sulla forma verbale per deridere il linguaggio euripideo (vv. 21-23:
/ . / / ; v. 73:
, ); negli Uccelli il corifeo si avvicina a Pisetero ed Evelpide per sapere da dove vengono e quali
sono le loro intenzioni (vv. 404-405: / ); in
particolare, in due passi della Lisistrata ricorre, come nel frammento di Cratino in questione, la forma imperativa
nell'ambito di un'invocazione alla divinit e all'interno di un inno cletico recitato dall'ambasciatore spartano
(vv. 1263; 1298); in due versi delle Tesmoforiazuse sono utilizzati (v. 1146) e (v. 1155)
nell'ambito di una preghiera, nel primo caso rivolta a Pallade Atena, nel secondo alle Tesmofore. Soltanto in tre
passi aristofanei l'aoristo compare in parti dialogiche, ma il contesto sempre elevato e solenne: nella
Lisistrata una donna prega la signora Ilizia, affinch trattenga il suo parto fino all'arrivo in luogo lecito (vv. 742-
743: , / ); nello stesso dramma, l'araldo
spartano usa proprio per dire di essere giunto da Sparta per la tregua (v. 984:
); nelle Rane, infine, Euripide cita l'incipit dell'Ifigenia in Tauride in cui ricorre la forma

152
personaggio a cui ci si rivolge uno Zeus insolito e ridicolo, caratterizzato non dal fulmine,

simbolo del suo potere olimpico, ma da una testa enorme (), forse visibile anche agli

spettatori. L'aggettivo 228 permette l'identificazione del dio con Pericle, famoso ad Atene

per la sua deformit cefalica 229. Sulla stessa linea delle Tracie, quindi, ecco di nuovo in scena uno

Zeus-Pericle, testone e, soprattutto, , un attributo significativo, perch, riferito allo statista

e in un contesto politico, non pu che avere una connotazione politica. Zndel (apud Meineke V

1 pp. 36-38) ipotizza che esso si riferisca alla concessione della cittadinanza a Pericle il giovane,

figlio illegittimo dello statista, nato dalla milesia Aspasia, ed al suo ingresso nella fratria paterna

in via del tutto eccezionale, vista la legge discriminante sulla cittadinanza emanata proprio da

Pericle nel 451/450230. Tale tesi sostenuta anche da Thieme 1908 pp. 24-25, il quale si spinge

(vv. 1232-1233: / ). allora molto probabile che anche il


fr. 118 appartenga ad una sezione corale e che l'uso dell'imperativo aoristo nell'invocazione a Zeus sia una
burlesca imitazione del linguaggio tragico.
228 In realt, la tradizione manoscritta riporta due diversi attributi per Zeus, , cario (S) e , beato
(Y). Plutarco, per, come si detto, tramanda questo frammento come una delle prove della derisione comica
della strana forma del capo di Pericle e gli aggettivi appena citati non rinviano per nulla a questa presa in giro.
Per questa ragione, Kock 1880 p. 49 propone in apparato , un aggettivo non attestato altrove, che lo
studioso considera una variante burlesca di adatta ad un simile contesto, in quanto richiama il termine
. Tale ipotesi assolutamente priva di riscontri concreti e molto pi attendibile risulta, invece, la scelta
operata da Meineke 1839 p. 85, seguito anche da Kassel-Austin: . Questa lezione, infatti, tramandata dal
Par. 1676, apografo del codice S, ed Esichio informa che proprio un attributo di Zeus in Beozia e
rimanda alla grandezza della testa ( 763 Latte: ,
, ). Fozio, invece, testimonia che un attributo di Zeus in Tessaglia e
Beozia , non (p. 132.8 Th.: ), ma si tratta con grande
probabilit di un errore dei codici e, sulla base della testimonianza di Esichio, da accogliere la correzione di
Unger 1839 p. 463 che sostituisce appunto con nel testo di Fozio. La notizia fornita da Esichio,
poi, ha anche permesso di restituire la dedica di un'iscrizione della citt beota di Orcomeno in cui si invoca
proprio Zeus (IG VII 3208: [] ). Anche un'iscrizione della citt di Tespie, pubblicata da
Plassart 1926 pp. 399-401, contiene una dedica a Zeus e lo studioso francese nota che, assegnando
credibilit alla spiegazione esichiana e riconducendo l'aggettivo al sostantivo , acquistano una
spiegazione logica persino le strane figure presenti sul cippo tespio, cio il cranio di cinghiale e di bue. Le
testimonianze lessicografiche ed epigrafiche attestano, dunque, che gli Ateniesi conoscevano molto bene il culto
beota di Zeus e l'etimologia dell'aggettivo, e questo rende ancora pi incisiva la parodia comica di
Cratino, che sfrutta tale culto, noto al suo pubblico, al fine di deridere il grande statista.
229 Sul difetto fisico per cui Pericle era famoso e sulla relativa derisione in commedia si rimanda in questa sede al
capitolo sulle Tracie.
230 Cfr. Plu. Per. 37.2: , ,
, ; 37.5:
, ,
. ,
, .

153
oltre, dal momento che vede nel mito di Zeus e Nemesi unallusione alle modalit ateniesi di

attribuzione dei diritti civili e analizza i vari personaggi in chiave allegorica, Elena come Pericle

il giovane, Nemesi come sua madre Aspasia e Leda come lassemblea che nomina cittadino il

figlio illegittimo. Tali interpretazioni, per, per quanto affascinanti, non risultano pienamente

convincenti poich, innanzitutto, Pericle il giovane va classificato, nellambito del diritto attico,

come e non come e, poi, tutto il mito di Zeus e Nemesi si fonda su un inganno e un

abuso di cui vittima la dea; allora, se Nemesi non altro che lallegoria di Aspasia, non si

comprende quale mai possa essere linganno che la milesia avrebbe subto da Pericle. molto

pi probabile, invece, come nota Schwarze 1971 p. 35, seguito anche da Luppe 1974 p. 56, che

laggettivo faccia riferimento a uno Zeus-Pericle protettore degli stranieri e alluda,

quindi, alle note amicizie dello statista con famosi intellettuali residenti ad Atene in qualit di

meteci, quali Anassagora di Clazomene, Protagora di Abdera e la stessa Aspasia di Mileto,

bersaglio di Cratino anche nei Chironi.

Il fr. 118, quindi, con il suo riferimento velato a Pericle, permette ancora una volta di individuare

nello statista l'oggetto dell'invettiva politica di Cratino, ma, per comprendere in pieno la ragione

dell'attacco, bene tentare di dare al dramma una collocazione cronologica, nonostante

lindicazione precisa dellanno di rappresentazione risulti un problema alquanto complesso.

Lo scolio ad un verso degli Uccelli dice che nellanno di rappresentazione di questa commedia

Lampone231 non era morto e che Cratino molto tempo dopo lo considerava ancora vivo nella sua

Nemesi232. assolutamente impossibile che il commediografo, morto verosimilmente dopo la

pace di Nicia del 421, abbia potuto portare sulla scena un dramma molto tempo dopo il 414,
231 Lampone messo alla berlina da Cratino anche nelle Fuggitive (frr. 62; 66 K.-A.) e si rimanda al capitolo
dedicato all'analisi di questa commedia per un'indagine specifica sul personaggio.
232 Cfr. fr. 125 K.-A. = schol. Ar. Av. 521c Holwerda: . ()
, , , .
, .

154
anno di rappresentazione della commedia aristofanea. Una soluzione del tutto riduttiva e poco

condivisibile quella avanzata da Zielinski 1884 pp. 301-307, secondo il quale esistevano due

commedie con lo stesso titolo oppure vi fu una seconda rappresentazione della Nemesi dopo la

morte di Cratino.

Capps 1904 pp. 61-75, invece, attribuisce il dramma a Cratino il giovane e, sulla base del fatto

che questo commediografo fu attivo prima della morte di Teramene e che Lampone visse almeno

fino al 410, fissa la rappresentazione agli anni compresi tra il 410 e il 404. Se, per, la Nemesi va

considerata una commedia politica contro Pericle, linvettiva contro di lui acquista un senso solo

se lo statista ancora in vita; ne deriva che lanno di rappresentazione della Nemesi non pu

andare oltre il 429. Krte (RE XI 2, p. 1655), inoltre, ricorda un passo di Polluce dal quale risulta

che la Nemesi e i Chironi appartengono allo stesso Cratino e non a due autori diversi (Poll.

10.186). In linea con un simile ragionamento, la tesi di Capps appare del tutto inaccettabile e non

pu essere accolta. Come si spiega allora lo scolio al passo di Aristofane? Si tratta evidentemente

di un errore dello scoliasta e di una confusione di arconti omonimi. Oellacher 1916 pp. 85-93

pensa alla confusione tra larconte Callia del 456/55 e il suo omonimo del 412/11 o del 406/5 e

fissa la rappresentazione della commedia al 455. La sua ipotesi, per, non affatto convincente

perch, come fa notare Luppe 1974 p. 55, Cratino riport la sua prima vittoria nel 453 e la

Nemesi sarebbe, cos, il suo primo dramma senza successo. Lampone, poi, si distinse in ambito

politico negli anni quaranta del quinto secolo e, dunque, il dramma cratineo non pu essere stato

rappresentato prima del 450.

Negli Uccelli di Aristofane, il coro, alla fine del suo canto, propone, per burla, che sia Cheride,

musicista verosimilmente di origine tebana (cfr. schol. Ar. Ach. 866a Wilson), come lo erano, del

resto, molti auleti del quinto/quarto secolo (cfr. West 1992 pp. 366-367), a fornire

155
laccompagnamento musicale alla processione sacrificale (vv. 857-858:

, / ); si prepara, cos, una situazione scenica in cui agisce un

pessimo auleta che viene bruscamente interrotto e insultato da Pisetero (Ar. Av. 859-861). Tale

personaggio deriso in qualit di pessimo flautista anche negli Acarnesi (vv. 15-16; 866) e nella

Pace (v. 951). Lo scolio al v. 858 degli Uccelli spiega che esistevano due diversi uomini di nome

Cheride, un preso in giro da Ferecrate, che lo presenta come il secondo peggior

citarodo dopo Melete (fr. 6 K.A.), e un , menzionato da Cratino proprio nella Nemesi

(fr. 126 K.A.); lo scolio, per, non del tutto chiaro perch, pur facendo tale distinzione,

aggiunge anche che Cheride era un cattivo citarodo divenuto in un secondo momento un

auleta233. abbastanza strano, come fa notare Dunbar 1995 p. 507, pensare allesistenza di due

distinti musicisti con un nome cos raro ed molto pi probabile che ci si trovi di fronte ad

ununica persona dalla duplice abilit di citarodo e di auleta, attiva almeno a partire dal 425,

anno di rappresentazione degli Acarnesi, e fino al 414, anno della messa in scena degli Uccelli.

Se, dunque, si assegna attendibilit allo scolio al passo degli Uccelli e il musicista Cheride era

effettivamente preso in giro nella Nemesi, assolutamente da escludere per la sua datazione il

455, quando, del resto, non avrebbe nemmeno senso una commedia incentrata sulla figura di

Zeus/Pericle, deriso per la sua posizione di potere. , forse, preferibile collocare il dramma pi

tardi, magari negli anni trenta del quinto secolo, e perci Godolphin 1931 pp. 423-426, nel

tentativo di trovare una spiegazione razionale all'errore dello scoliasta di Aristofane, pensa ad

una confusione tra larconte Pitodoro del 432/31 e il suo omonimo del 404/03 e fissa la

rappresentazione della Nemesi al 431. Se il ragionamento corretto, ne deriva che Cratino nel

431, in prossimit dello scoppio della guerra del Peloponneso, offre al pubblico ateniese una

233 Cfr. schol. Ar. Av. 858a Holwerda: .


(fr. 6 K.-A.) ,
.

156
commedia anti-periclea, in cui l'invettiva contro lo statista celata dietro la rivisitazione parodica

del mito di Nemesi. Ma perch proprio questo mito? Qual il suo collegamento con l'attualit

politica?

Schwarze 1971 pp. 36-40 mette in evidenza la stretta corrispondenza tra la Nemesi e il

Dionisalessandro: entrambi i drammi sono scritti contro Pericle, che compare in scena in un

travestimento mitico, e in entrambi i casi il materiale tratto dalla saga di Elena. Lo studioso

tedesco, poi, sostiene che le due commedie non sono incentrate soltanto sulla figura di Pericle in

quanto tale, ma la presenza al suo fianco delleroina spartana, causa scatenante della guerra di

Troia, lascia pensare a una specifica invettiva contro lo statista, in quanto principale responsabile

della guerra del Peloponneso. Elena, infatti, nella Nemesi presentata come figlia della dea e

questultima, nellambito di un dramma politico, pu rappresentare la personificazione della

Giustizia vendicatrice. Zeus-Pericle, quindi, ama Nemesi, la Vendetta, e a lei si unisce;

dallamplesso si genera un uovo che, condotto a Sparta, d alla luce Elena, la causa della guerra.

Schwarze vede addirittura nelluovo di Nemesi unallusione al noto decreto ateniese contro

Megara, in base al quale veniva vietato a questa citt di servirsi dei porti dellimpero ateniese e

del mercato di Atene; tale associazione basata sul fatto che fu proprio la mancata abrogazione

di tale decreto, per volont di Pericle, a determinare l'inizio del conflitto (cfr. Th. 1.139) e lo

studioso tedesco se ne serve anche ai fini della datazione della commedia, che colloca alle Lenee

o alle Dionisie del 429, qualche tempo dopo l'avvio delle ostilit.

Luppe 1974 p. 57, invece, recupera il punto centrale del mito di Zeus e Nemesi, ossia linganno,

e vede nella dea unallegoria della ateniese, ingannata dalla politica bellicista dello statista

e costretta a subire il suo volere, e in Leda lintera comunit spartana spinta al conflitto dallo

stesso Pericle.

157
Queste ipotesi sono certamente degne di interesse e non prive di fascino, ma anche poco

attendibili, visto che di fronte ad una cos rilevante esiguit di materiale conservato davvero

difficile dire con precisione in che modo la satira politica poteva intrecciarsi con il mito e con lo

sviluppo dell'intreccio drammatico. Bisogna, poi, fare molta attenzione a qualsiasi forma di

interpretazione allegorica, not only because the textual evidence is limited, but because even

within themselves such allegories could not uphold the degree of correspondence often argued

for (Bakola 2009 p. 224). Eppure, possibile, a mio avviso, fare un'ultima considerazione e

rintracciare, in qualche modo, un legame tra il mito di Nemesi e la politica periclea.

All'inizio di questo capitolo, nell'ambito della ricostruzione dei significati che il termine

ha assunto nel corso dell'antichit greca, si detto che, a partire dalla fine del sesto e fino al

quarto secolo, tale sostantivo spesso accostato a e ne diventa quasi sinonimo, nel senso

di una giusta indignazione, per il fatto che chi ottiene un grande successo e se ne compiace

oltre misura portato per natura a compiere un atto di , un'arroganza eccessiva che non pu

non provocare la punizione divina. Questa osservazione significativa, dal momento che i trenta

anni di potere politico-militare, quasi ininterrotto, di Pericle ad Atene (462-430) trovano, a mio

avviso, la loro conclusione proprio in un grande atto di : lo statista, infatti, forte del suo

dominio incontrastato, alla stregua di un tiranno, immagina il grande Impero di Atene, da

costruire con una sempre maggiore espansione territoriale; e, cos, inseguendo il suo sogno,

attraverso un piano politico bellicista e guerrafondaio, egli organizza, determina la guerra e ne

diviene il massimo responsabile, a discapito dei bisogni e dell'incolumit della popolazione.

L'esito, per, non felice, perch proprio il conflitto, che avrebbe dovuto garantire una volta per

tutte il trionfo dell'imperialismo ateniese, finisce per suggellarne la fine, trasformandosi

nell'evento pi drammatico e disastroso di tutta la storia greca, e segna anche, beffa del destino,

158
il tracollo definitivo della democratica per antonomasia, nonch la condanna in toto della

politica di Pericle e la fine della sua esistenza, vittima dell'ingranaggio da lui stesso azionato.

Lungi dal voler fornire una nuova interpretazione allegorica, viene, per, da chiedersi se Cratino

abbia forse voluto rappresentare e, nello stesso tempo, condannare proprio questa situazione con

la sua Nemesi: Zeus/Pericle, nel pieno del suo potere, compie un abuso e violenta Nemesi;

dall'unione viene fuori Elena, cio, fuor di metafora, si scatena la guerra. Il personaggio, quindi,

non fa altro che macchiarsi di e provocare su di s la nemesi, ossia la giusta indignazione,

che potrebbe renderlo vulnerabile e soggetto ad una necessaria punizione. La scarsit dei

frammenti, purtroppo, non permette un'adeguata ricostruzione dell'intreccio comico e neppure la

formulazione di un ipotetico finale, ma sarebbe bello immaginare, come nel caso del

Dionisalessandro, che la conclusione del dramma prevedesse sulla scena uno Zeus/Pericle, non

pi soltanto goffo e ridicolo, ma anche ormai privo di qualunque forma di autorit, con addosso i

segni evidenti del misero declino di una gloria e di un potere che hanno finito per rivoltarglisi

contro.

159
QUINTO CAPITOLO

160
I CHIRONI

Dei Chironi si conservano poco pi di venti frammenti di tradizione indiretta (246-268 K.-A),

ma il materiale trdito non permette una precisa ricostruzione dell'intreccio comico; si cercher,

tuttavia, di evidenziare qui di seguito i nuclei tematici principali e di fornire alcune proposte

interpretative relative all'anno di rappresentazione ed al legame con la situazione politica del

tempo.

In primo luogo, necessario determinare la fisionomia del coro, composto dai Chironi appunto,

come si evince dal titolo. Ma chi sono i Chironi? La questione non di semplice soluzione, dal

momento che ben nota la vicenda mitica che coinvolge il centauro Chirone e, invece, nulla

risulta a proposito di personaggi chiamati Chironi.

Coppola 1936 p. 30, che riprende Bergk 1838 p. 225, sulla base della presenza in scena di Solone

provata dal fr. 246, di cui si parler nello specifico in seguito, suppone che i coreuti siano

antichi Ateniesi, Solone, Dracone, Clistene, Cimone, Milziade, Temistocle, ecc. travestiti da

centauri appunto perch in vita essi operarono e scrissero per la grandezza della citt e

l'educazione civile dei cittadini. Farioli 2000 pp. 408-409, per, sottolinea giustamente che tale

ipotesi, se pur suggestiva, va contro i canoni dell'archaia, il cui coro non di solito composto

da personaggi individualmente significativi e distinguibili l'uno dall'altro, ma da pi generiche

categorie animali, umane o fantastiche, per rispondere alla funzione precisa di esprimere un

commento all'azione tramite una voce collettiva ed impersonale, portavoce del pensiero del

poeta. I Chironi, dunque, secondo la studiosa, potrebbero essere un'invenzione di Cratino, nello

specifico una moltiplicazione fantastica di Chirone, cio personaggi modellati sui tratti

161
caratterizzanti il centauro nell'immaginario mitico, e forse anche suoi accompagnatori234. L'idea

, a mio avviso, molto convincente per il fatto che una simile struttura corale si riscontra anche

altrove in Cratino: nei Pluti, infatti, un dramma per molti aspetti affine ai Chironi, il coro

composto proprio da figure create dal poeta moltiplicando un personaggio mitico, ossia da Titani

che sovrintendono alla distribuzione delle ricchezze (vd. infra).

La sezione del mito del centauro pi nota e maggiormente ripresa in ambito letterario di certo

quella relativa all'istruzione di Achille, grazie alla quale i precetti di Chirone diventano ben

presto presso i Greci il paradigma dell'educazione ideale235; e allora, se vero che nella

commedia di Cratino il coro di Chironi avr in qualche modo ripreso gli attributi pi significativi

della figura mitica di riferimento, non da escludere che il suo arrivo ad Atene, e quindi in

scena, rispondesse all'esigenza di svolgere una vera e propria missione educativa. In tal senso, un

aiuto pu essere fornito dal fr. 253, in cui i coreuti, con un'autopresentazione, svelano la loro

identit agli altri personaggi ed agli spettatori:

Noi Chironi siamo venuti (con la) scusa di precetti

Heph. Ench. 1.9 (. ) p. 6.16 Consbr.


<>
, (sic P, ADI). .
,
(fr. 94) (fr. 161) (fr. 280)
( Bergk RhM 1, 1842, 377, cf. Schol. p. 104.9. 16) ,
(20 F 24 Sn.) ,
(F 43) . cf. Choerob. ad loc., p. 202.5-203.20 Consbr.

Il periodo ovviamente mutilo, ma la comprensione del testo non risulta difficile, perch si

234 di questo avviso gi Kock 1880 p. 82, seguito da Norwood 1931 p. 126; Schmid 1946 p. 83; Kassel-Austin
1983 p. 245; e da ultima, riprende questa ipotesi anche Bakola 2009 p. 54.
235 Per la documentazione letteraria sul centauro si rimanda ad Escher in RE III 1899 pp. 2302-2308;
sull'insegnamento di Chirone come modello di educazione ideale si veda Brillante 1991 pp. 7-28.

162
intuisce facilmente che da intendere come accusativo di relazione e che la proposizione

introdotta da una finale: i Chironi nel presentare se stessi al loro ingresso in scena,

annunciano anche la ragione () del loro arrivo ad Atene, che doveva poi essere illustrata

con precisione nei versi seguenti andati perduti, e, non a caso, utilizzano proprio il termine

, che richiama direttamente gli insegnamenti del centauro236. molto probabile che il

passo sia da assegnare alla parte iniziale dell'opera, verosimilmente alla parodo (cfr. Quaglia

1998 pp. 42-43).

I Chironi, dunque, giungevano in citt per diffondere dei precetti e, come ipotizza Farioli 2000

p. 407, vista la caratterizzazione mitica del coro, esso era evidentemente chiamato a svolgere una

missione civilizzatrice, cio giungeva col pretesto di controllare che i precetti di Chirone fossero

osservati dai cittadini, ovvero per riproporre il modello educativo tradizionale a una citt che lo

aveva abbandonato per accogliere nuove modalit di insegnamento, forse quelle dei sofisti.

L'ipotesi, molto interessante, pare suffragata dal confronto con i Pluti237: in questa commedia,

infatti, il coro dei Titani arriva ad Atene per ritrovare un vecchio fratello di dubbia identit e

per controllare la distribuzione delle ricchezze (fr. 171.24-28: .[ /

/ [] . / ] / ] ) e la

sua molto probabilmente la punizione di tutti coloro che si sono arricchiti ingiustamente

(fr. 171.46: ] ). Ne deriva, perci, che, oltre ad una struttura corale

affine, i Pluti e i Chironi presentano anche lo stesso meccanismo, in base al quale i coreuti da un

altrove imprecisato arrivano in citt in virt di una (fr. 171.27: ] ); entrambe

le commedie, poi, assegnano al coro una funzione educativa e civilizzatrice dinanzi alla
236 di Esiodo un'opera sul tema dal titolo ; essa era nota ai comici, come attesta il
fr. 239 K.-A. ( ) di Aristofane in cui, secondo Frinico che ne il testimone, il
commediografo si prendeva gioco delle esiodee (Ecl. 64: , .
, .
).
237 Cfr. Introduzione n. 10.

163
corruzione dilagante nella polis.

L'Atene che si presentava agli occhi dei Chironi era, per, quella degenerata e corrotta del

governo pericleo ed , allora, verosimile che, nella loro azione punitiva e moralizzatrice, essi

prendessero di mira, in particolare, personaggi pubblici corrotti, legati in qualche modo anche

allo statista, sicuramente ancora in vita e a capo della polis nell'anno di rappresentazione del

dramma, come si vedr pi avanti. Un sostegno in tal senso fornito dal fr. 251:

E prima di tutto porto via tre mostri sfacciati dinanzi ai giudici marittimi

Schol. (VE) Ar. Av. 766


(- codd. hic et infra, corr. Dindorf), (fr. 185, ubi vid.),
(fr. 282) (VE) , , ( dub. in ),
(- codd., add. Marzullo Annot. p. 148). Sud. 213 (Av. 767 cum schol.)
, , , , 1641 , ,
(- F), (- codd.)

Lo scolio al verso 766 degli Uccelli di Aristofane, in cui si nomina un certo Pisia, rimanda a tre

commedie di Cratino, Pylaa (fr. 185), Stagioni (fr. 282) e Chironi (fr. 251); e da quest'ultimo

dramma lo scoliasta cita il frammento in questione, in quanto contiene un violento attacco contro

Pisia, Osfione e Diitrefe. Il passo aristofaneo fa riferimento a una vicenda che coinvolge il figlio

di Pisia, traditore intenzionato ad aprire le porte ai banditi, ma nulla si sa di preciso sull'identit

del personaggio e sugli avvenimenti cui si allude (Av. 766-768:

/ , , /

). Il figlio di Pisia potrebbe essere Melete, padre del ditirambografo

Cinesia, detto ed annoverato quale pessimo citarodo nei Selvaggi di Ferecrate (fr. 6 K.-

A.: , ; / <> . <> <>

/ , , ), ma non certo che si tratti della stessa persona presa di mira

164
negli Uccelli, dal momento che lo scoliasta non menziona affatto Melete; gli scolii ai versi

aristofanei238, poi, attribuiscono a Pisia, ovvero a suo figlio, una qualche responsabilit nella

vicenda della mutilazione delle Erme, senza, per, offrire dati circostanziati ed utili

all'identificazione (per un'analisi dettagliata del passo di Aristofane si veda Totaro 2006 pp. 198-

199 n. 166).

Quanto a Osfione, non esiste su di lui alcuna fonte, ma non per questo bisogna concludere, come

fa Bergk 1838 p. 247, che si tratti di un nome inventato; Osfione sar stato sicuramente un

personaggio pubblico, altrimenti Cratino non l'avrebbe posto in questa triade di ,

insieme a Pisia e Diitrefe, assolutamente reali. Diitrefe (PA 3755, LGPN II 115 s.v.

[8], PAA 323750), infatti, era un noto parvenu ateniese, figlio di Nicostrato ovvero di Ermolico,

che fece fortuna con la produzione di damigiane e rivest anche importanti incarichi militari: nel

413 gli fu affidato il compito di ricondurre in patria un contingente di mercenari traci, che non

potevano essere pi remunerati dallo stato e che, in Beozia, devastarono Micalesso,

saccheggiando case e templi e uccidendo indiscriminatamente uomini, donne, bambini e bestie

da soma (cfr. Th. 7.29-30; Paus. 1.23.3); nel 411, invece, ricevette un ruolo di comando in Tracia

e rovesci la democrazia a Taso (cfr. Th. 8.64.2). Diitrefe viene dileggiato in commedia da

Platone Comico nelle Feste per la sua presunta origine straniera, definito un matto di Creta, a

stento attico (fr. 30 K.-A.: , , ; cfr. Pirrotta 2009 pp.

106-108); presentato come in un frammento di Aristofane (fr. 321 K.-A.:

; cfr. anche schol. Ar. Av. 798 Holwerda:

. ,

238 Schol. Ar. Av. 766a Holwerda: ,



; 766b Holwerda:
, . , . ,
, , , .

165
); e viene canzonato anche negli Uccelli come un nuovo ricco, un fulvo ippogallo

giunto da essere nessuno a ricoprire incarichi di prestigio nella cavalleria, prima come filarco e

poi come ipparco (vv. 798-800: / ,

, / ). Non da

escludere che Diitrefe fosse tacciato di non essere ateniese pure da Cratino nei Chironi, e

un'analoga accusa era forse rivolta anche a Pisia e Osfione, non perch necessariamente stranieri,

ma in quanto nuovi ricchi, una tipica strategia comica volta a delegittimare gli avversari, non

solo da un punto di vista politico, ma anche come cittadini (cfr. Farioli 2000 p. 413, con relativa

bibliografia sull'argomento). Nei Pluti, infatti, preso di mira Agnone239, un simpatizzante della

corrente periclea, per la sua ricchezza illecita e, sebbene fosse quasi certamente ateniese,

accusato di essere uno straniero (fr. 171.66-76 K.-A.). Nel fr. 251, inoltre, la persona loquens,

imprecisata, forse il coro, dichiara di condurre i tre mostri dinanzi ai giudici marittimi (

) e ai , originariamente una magistratura

preposta alle questioni di marineria, ad un certo punto, forse dopo la legge periclea sulla

cittadinanza del 451/450, fu assegnato proprio il compito di occuparsi dei problemi relativi agli

stranieri ( )240. Il riferimento ai giudici marittimi nel frammento in questione,

dunque, conferisce alla vicenda una dimensione giudiziaria e questo induce a pensare che la reale

motivazione del viaggio dei Chironi fosse quella di perseguire tutti i trasgressori degli

insegnamenti del centauro, cio, fuor di metafora, tutti coloro che con i loro atti illeciti, come

l'usurpazione della cittadinanza e l'appropriazione indebita di denaro, corrompevano i costumi e

l'educazione, probabilmente personaggi pubblici in vista e, come Agnone nei Pluti, legati alla

corrente periclea ovvero membri della cerchia dello statista inseriti nelle istituzioni.
239 Su questo personaggio e sul suo ruolo nei Pluti di Cratino si veda Bakola 2009 pp. 214-220.
240 Al mutato ruolo dei allude Aristofane nel fr. 237 K.-A. dei Banchettanti:
. In generale, sulla questione si veda Harrison 1971 pp. 23-25; Cohen 1973
pp. 162-163.

166
Un altro passo della commedia di Cratino che potrebbe far riferimento alla corruzione dell'Atene

del tempo di Pericle il fr. 249 K.-A.:


, 241

Per i quali massimo giuramento era


in ogni discorso un cane, poi un'oca; ma non nominavano gli di

Schol. (TW) Plat. apol. p. 22 A (p. 5 Gr.) = Schol. (A) Plat. rep. III p. 399 E (p. 213 Gr.) = Phot. p. 481.1 = Sud.
13 ( add. Schol.) (. . Schol., Phot., Sud.)
( . . Schol.) . (- Phot.).
. Schol. (TW) Plat. Phaedr. p. 228 B (p. 70 Gr.)
, . .
, . eodem tenus Cratini verba affert Apost. XV 17, omisso poetae et
fabulae nomine. Zenob. vulg. V 81 .
, () (461 F 3 Jac.)
. Prov. Bodl. 818 (brevius cod. Par. suppl. gr. 676)
, . cf. Hesych. 14

Il , di cui si parla, il giuramento di Radamanto, il cretese figlio di Zeus ed

Europa e proverbiale modello di giustizia, a cui si faceva risalire la norma di giurare in nome

dell'oca, del cane, del montone e simili, e non in nome degli di (vd. supra). Con la formula

() giura pi volte Socrate nei dialoghi platonici (Ap. 22a; Grg. 482B; cfr. Hirzel 1902

pp. 96-97 n. 2; pp. 100-102 n. 3; Dodds 1959 pp. 262-263 n. 482b5) ed una volta il servo Santia

nelle Vespe di Aristofane (v. 83; sul passo si veda Dillon 1995 pp. 146-147). Negli Uccelli,

invece, si accenna al giuramento sull'oca, uno spergiuro funzionale a non incorrere nell'ira divina

ogniqualvolta si dicano falsit, e viene deriso, per farvi ricorso costantemente, l'indovino

Lampone, membro di spicco dell'entourage di Pericle, attaccato anche da Cratino nella Nemesi

241 I due versi del frammento sono tetrametri giambici, ma nella divisione metrica fa soprattutto difficolt
l'anapesto strappato in seconda sede al v. 2 ; per questa ragione, Kassel-Austin conservano lo stato
della tradizione, ma pongono le cruces. Sulla questione si rimanda a Perusino 1968 pp. 106-107.

167
(fr. 125 K.-A.) e nelle Fuggitive (frr. 62; 66 K.-A.)242. Sulla base delle testimonianze qui

riportate, , allora, possibile che anche nel frammento dei Chironi la menzione del

mirasse ad accusare qualcuno di ipocrisia, forse filosofi anassagorei vicini a Pericle e

inclini a giurare sugli animali in quanto atei (cfr. Schmid 1946 p. 84), ovvero lo stesso Lampone

ed altri indovini a lui affini e politicamente strumentalizzati, quale attacco indiretto nei riguardi

dello statista, un gioco comico abbastanza frequente nella drammaturgia di Cratino (cfr. Farioli

2000 p. 415).

Se i frr. 249 e 253, sopra analizzati, attestano in qualche modo la critica da parte di Cratino ai

costumi corrotti dell'Atene periclea, il fr. 258 permette di affermare con una certa sicurezza che

anche nei Chironi il principale bersaglio del commediografo ancora una volta Pericle:

242 Ar. Av. v. 521: , . Per un'analisi del passo di Aristofane si veda
Dunbar 1995 pp. 357-358; Totaro 2006 pp. 174-175 n. 114. In generale, su Lampone, sull'attacco di Cratino nei
suoi riguardi e sui legami dell'indovino con Pericle si rimanda in questo studio al capitolo sulle Fuggitive.

168
243 244



Guerra Civile e il vecchio


Crono, unitisi,
generarono un grandissimo tiranno
che gli di chiamano
adunatore di teste

Plut. vit. Per. 3.4


243 Il vocabolo si prestato, nella lingua greca, agli usi pi svariati, sia nell'ambito del linguaggio
quotidiano, sia nei linguaggi pi settoriali e specifici, e questo ne rende difficile la selezione di una valenza
univoca. C', per, da dire che il sostantivo, sin dalle sue prime ricorrenze, si inserisce, insieme ai suoi derivati
( e , in particolare), nella sfera politica e, di conseguenza, viene utilizzato quasi
esclusivamente in contesti politici o situazioni di contrasto assimilabili, in qualche modo, ad una lotta politica, a
partire dall'epica e fino al greco moderno (cfr. ad esempio Batr. 135; Orph. H . 32.3; Sol. 3.19 Gentili-Prato;
Thgn. 51, 781, 1082; Alc. 130b.11, 208a.1 Voigt; Pi. O. 12.16; N. 9.13; B. 24.23 Snell; A. Pr. 202; S. Tr. 1180;
E . HF 34). Questa situazione ha condotto, negli studi moderni, ad attribuire al termine un'oscillazione di
significato, che va da quella di partito, fazione, a quella di sedizione, insurrezione , discordia, rivoluzione e
guerra civile (cfr. LSJ s.v. ). Finley 1985 p. 157 scrive che quando veniva impiegata in contesto socio-
politico, la parola stasis aveva un ampio arco di significati: da quello di raggruppamento politico o rivalit
politica, a quello di fazione a quello di aperta guerra civile. Ora, fuori discussione che il vocabolo vada
ricondotto nell'ambito dello scontro, ma si scelto in questo contesto di tradurlo con guerra civile, perch
alcuni autori antichi pongono l'accento sulla differenza fondamentale tra il 'dentro' e il 'fuori', tra l''interno' e
l''esterno', e caratterizzano come un fenomeno (cfr. Sol. 3.19; Thgn. 51; Hdt. 8.3.1; Democr. B
249 Diels), come qualcosa che pu verificarsi solo all'interno della o di un insieme per natura omogeneo,
quale l'esercito (X. An. 6.1.29; 7.2.2), la ciurma di una nave (Pl. R . 488b) oppure le parti della (Pl. R.
440e). Platone, poi, nello specifico, in un passo della Repubblica, afferma che e rappresentano
due diversi tipi di , il primo un dissenso rivolto contro ci che , il secondo contro ci che
; per cui, quando gli Elleni entrano in conflitto con i Barbari, per natura, questo scontro va
definito ; quando, invece, gli Elleni si pongono contro altri Elleni, per natura , a tale contrasto
giusto attribuire il nome di (470b-d). Ne deriva, allora, che la si configura come una vera e
propria lotta intestina e, sebbene essa rappresenti un fenomeno peculiare della vita politica greca e sia difficile
per noi trovare un equivalente concettuale preciso, guerra civile , forse, l'espressione che pi si avvicina alla
valenza specifica del vocabolo. Per un maggiore approfondimento sulle peculiarit di questo sostantivo nel
lessico politico greco, si rimanda a Radici Colace-Sergi 2000 pp. 223-236 (con relativa bibliografia). Invece,
sulla come guerra intestina, che divide e insanguina la e, nello stesso tempo, ne costituisce anche il
legame politico segreto, l'elemento imprenscindibile, che segna profondamente la vita e le istituzioni della
democrazia greca, si veda lo studio pregevole di Loraux 2006.
244 L'aggettivo generalmente inteso nel senso di antico. Si scelto, invece, in questa sede di
tradurlo con vecchio, sulla base dell'analisi molto convincente svolta da Di Marco 2005 pp. 202-203: il
termine, infatti, indica propriamente colui che pi anziano per nascita, dunque colui che vissuto prima e,
con estensione ai membri di un determinato , il progenitore, il capostipite (si veda Di Marco per le
fonti di riferimento). Ora, nel fr. 258 dei Chironi Crono detto , probabilmente per il fatto che a
pronunciare i versi il coro, cio i Chironi che, come si visto in precedenza, se pure assenti nella genealogia
mitica a noi nota, sono verosimilmente creature fantastiche costruite dal commediografo sulla figura del centauro
Chirone. Quest'ultimo nelle fonti mitografiche presentato come figlio di Crono e della ninfa Filira (si veda la
documentazione in Escher in RE III 1899 p. 2302) e, di conseguenza, probabile che, come Chirone, anche i
Chironi vadano inseriti nel di Crono. Se cos fosse, per loro Crono sarebbe un membro di famiglia, quello
pi vecchio per nascita e, dunque, la qualifica di troverebbe una spiegazione adeguata.

169
. ( codd.) , , .
sequitur fr. 118

La persona loquens, forse il coro, vista la natura lirica dei versi (cfr. Quaglia 1998 pp. 56-57),

presenta un , figlio di e , che gli di chiamano ;

si tratta certamente di Zeus, dal momento che , non attestato altrove, un'evidente

distorsione comica dell'epiteto omerico (adunatore di nubi), sempre riferito al

re degli di245; non risulta difficile, per, l'identificazione di Zeus con Pericle, come chiarisce lo

stesso Plutarco, perch l'aggettivo in questione allude indirettamente alle insolite dimensioni

della testa dello statista, difetto per cui, come si gi visto, egli era spesso deriso in ambito

comico (sull'argomento si rimanda nello specifico al capitolo relativo alle Tracie). Anche i

Chironi, dunque, come la Nemesi e le Tracie, si presentano come una commedia anti-periclea, in

cui il noto politico ateniese viene esplicitamente assimilato a Zeus per la sua politica dai tratti

propriamente tirannici.

Il frammento, per, pone al secondo verso un problema rilevante, per il fatto che la tradizione

manoscritta di Plutarco tramanda all'unanimit la lezione , ma attestata anche la

variante , correzione di un anonimo246. Il primo a difendere il trdito stato

245 Cfr. Hom. Il. 1.511; 517; 560; 4.30; 5.631; 736; 764; 888; 7.280; 454; 8.38; 387; 469; 10.552; 11.318; 14.293;
312; 341; 15.154; 220; 16.666; 17.198; 20.10; 19; 215; 22.182; 23.499; 24.64; Od. 1.63; 5.21; 9.67; 12.313; 384;
13.139; 153; 24.477.
Si rende nella traduzione l'aggettivo con adunatore di teste sulla base dell'osservazione di
Tammaro 1984-1985 p. 41, secondo il quale l'epiteto non fa riferimento soltanto alla deformit del capo di
Pericle, ma si fa anche tramite di un'accusa di demagogia: se teniamo presente che pu indicare fin da
Omero sia la 'testa', sia la singola 'persona' , che cosa sar, alla lettera, un se non un espressivo
'adunator di popolo'?.
Non deve, poi, affatto stupire la ripresa da parte di Cratino di un epiteto omerico, perch l'intero frammento
arcaizzante nel lessico e nello stile: epici sono, infatti, anche e la forma al secondo verso,
cos come omerica l'espressione , con il verbo non contratto (cfr. per esempio Hom. Il.
1.403; 20.74; Od. 10.305; in generale, si veda Farioli 2000 p. 417 n. 3).
246 L'emendamento di un correttore anonimo e compare nelle edizioni delle Vite plutarchee stampate a
Francoforte nel 1599 e nel 1620 a cura di A. Wechel.
Quasi tutti gli editori moderni dei frammenti comici accolgono : Meineke 1839 p. 147; Bothe 1855 pp.
46-47; Kock 1880 p. 86; Edmonds 1957 p. 110. Su questa linea si pongono anche Bergk 1838 p. 236; Schwarze
1971 p. 57; Tammaro 1978-1979 pp. 13-14; Bona 1988 pp. 204-205; Luiselli 1990 pp. 85-99; Farioli 2000 p.
418; da ultimo, Di Marco 2005 p. 198.

170
Emperius 1847 p. 218, secondo il quale la personificazione del concetto di tempo

simboleggerebbe il buon tempo antico in opposizione al nuovo corso politico introdotto da Zeus-

Pericle mediante una sedizione; ma Tammaro 1978-79 p. 208 fa notare, giustamente, che all'idea

di un passato felice pu essere associato soltanto , sotto il cui regno Esiodo pone il

dei primi uomini (Op . vv. 109-126), e che Aristofane presenta quale

rappresentante di un passato ormai lontano (Av. v. 469:

). Luppe 1963 p. 22, poi, seguito anche da Kassel-Austin, predilige

sulla base di tre argomenti: la presenza di richiede un altro astratto personificato; per

quanto riguarda il senso, si adatta bene ad esprimere la lunga durata delle lotte intestine

che hanno portato Pericle al potere; infine, potrebbe alludere a , cos come

allude a , creando un gioco di parole significativo. Tali

argomentazioni, per, non reggono ad un'analisi attenta. Luiselli 1990 pp. 86-87 sottolinea che la

richiesta di un astratto personificato accanto a non affatto necessaria, ma risponderebbe

solo ad una meccanica simmetria, e, poi, il frammento di Cratino chiaramente una parodia

della teogonia olimpica e doveva per forza attingere alla pi pura tradizione teogonica greca,

patrimonio culturale del pubblico ateniese, quale garanzia per la comprensibilit della parodia

stessa. Qualsiasi procedimento parodico, infatti, si basa sull'introduzione di modifiche

nell'ambito della tradizione nota a tutti, modifiche funzionali alla satira che il poeta si prefigge.

Ora, tale meccanismo tipico di Cratino, che pi volte sceglie un mito conosciuto dagli

spettatori per esempio, il mito del giudizio di Paride nel Dionisalessandro o quello della

nascita di Elena nella Nemesi e, pur rispettando in linea di massima il patrimonio tradizionale,

introduce piccole varianti che scardinano il senso del racconto, lo colorano di comicit e di toni
Difendono, invece, la lezione trdita prima Emperius 1847 p. 218 e, in seguito, Luppe 1963 p. 220. Lo
studioso tedesco , poi, immediatamente seguito da Kassel-Austin 1983 p. 253 e, pi di recente, da Noussia 2003
pp. 83; 84; 86. Si predilige qui la correzione dell'anonimo per le varie ragioni sopra discusse e, dunque,
prendendo le distanze da Kassel-Austin, si stampa il fr. 258 con la lezione .

171
satirici e permettono di veicolare il messaggio politico del poeta. molto probabile, allora, che

Cratino abbia agito in questo modo anche nei Chironi, in particolare nel fr. 258: Zeus, figlio di

Crono e Rea nella teogonia tradizionale, diventa qui inaspettatamente frutto dell'unione di Crono

con , Guerra Civile. Ma Zeus non altro che Pericle e, di conseguenza, la variante mitica

permette di sottolineare, da un lato l'origine violenta del potere del dio, dall'altro l'identico

carattere del governo del suo omologo Pericle, il dominio del quale in Atene nasce da una lotta

tra fazioni, si fonda sulla ed causa di un'ininterrotta discordia civile (Farioli 2000

p. 419). Inoltre, l'idea di Luppe che alluda a come rimanda a

non convincente perch, per prima cosa, il gioco di parole costruito sui due

aggettivi con tutta evidenza finalizzato soltanto a porre in risalto con uno straniamento comico

il difetto fisico dello statista e, in secondo luogo, , diffusosi come concetto cosmogonico

soltanto alla fine del quinto secolo ad Atene, non era un concetto familiare al pubblico ateniese e,

quindi, non poteva caricarsi nel dramma di Cratino di quella valenza politica volta a definire

tirannico il potere di Zeus e, di conseguenza, di Pericle (cfr. Luiselli 1990 pp. 87-93).

Pi di recente, Noussia 2003 pp. 83-84 ha tentato ancora di difendere la lezione , quale

simbolo del lungo tempo di cui ha bisogno un tiranno per portare il suo potere al massimo grado,

un concetto ben noto agli Ateniesi grazie ai carmi di Solone, the first of the Greeks to present a

genuine political interpretation of the genesis of tiranny, e per il fatto che ancora viva nella

memoria del tempo doveva essere l'esperienza di Pisistrato, whose advent to absolute power

was prepared step by step through a long span of time and phases. Ma questo non basta per

mantenere nel frammento, poich con la lezione trdita la riflessione di Cratino

perderebbe qualunque pointe e, come si gi detto, l'assimilazione di Pericle a Zeus verrebbe

introdotta ex abrupto, privando , che ne la spia allusiva, di un importante pivot

172
il nesso genealogico con l'effettivo padre del mito, Crono che doveva facilitare il

riconoscimento della parodia da parte del pubblico e potenziarne al tempo stesso gli effetti

d'ilarit (Di Marco 2005 p. 198).

Sulla base delle ragioni fin qui addotte, dunque, giusto, a mio avviso, accogliere la correzione

dell'anonimo, nonostante l'unanimit dei codici sulla lezione ; essa, del resto, potrebbe

essere dovuta ad un errore di trascrizione avvenuto nella fase tardo-antica o medievale della

trasmissione del testo plutarcheo, oppure ad un errore risalente allo stesso Plutarco (cfr. Luiselli

1990 pp. 98-99).

Una volta accolta la lezione , viene a questo punto da chiedersi perch mai Cratino abbia

posto proprio Crono, insieme a , come concausa della genesi della tirannide di Pericle. Dal

momento che gli antichi, come si detto, legavano al nome di Crono l'idea di un passato felice e

la nascita del , la maggior parte degli studiosi che ha difeso l'emendamento

dell'anonimo ha attribuito alla sua presenza nel fr. 258 una connotazione del tutto positiva. Cos,

per esempio, Tammaro 1978-1979 p. 209 ritiene che Crono rappresenti il buon tempo antico

finito quando con lui si unita Stasis, 'Sedizione': frutto di tale mostruoso accoppiamento

(in luogo di quello tradizionale con Rea) uno Zeus deforme e tirannico, Pericle appunto.

Luiselli 1990 p. 97, invece, individua nel Titano la critica del commediografo, in primo luogo a

quegli elementi interni al regime ideale (il dell'et di Crono) che hanno permesso

la sua degenerazione fino a dar luogo a un regime opposto (unione con e generazione da

s di Zeus-Pericle) e, in secondo luogo, riprendendo l'ipotesi di Schwarze 1971 p. 54, a Pericle

per aver egli combattuto contro i conservatori, dalle cui file egli stesso era uscito, come contro

suo padre.

Farioli 2000 pp. 421-422, infine, seguendo Bona 1988 p. 204, convinta che nei riferimenti alla

173
e, in particolare, alla vi sia un'allusione ad un preciso evento storico alle origini

del governo pericleo, cio all'ostracismo di Cimone del 462/1 a.C., preceduto da un'aspra lotta

politica tra fazioni; secondo la studiosa, dunque, poich Cratino era un estimatore di Cimone,

egli avr inteso dire che l'et dell'oro di Atene era coincisa con il governo cimoniano, e che la

che l'aveva abbattuta corrispondeva all'ascesa di Efialte e Pericle. Una prova, in tal

senso, sarebbe fornita da un passo di Plutarco che d conferma dell'identificazione tra Cimone e

Crono, sulla base del fatto che il ricco aristocratico riport alla vita degli uomini la comunanza di

beni di cui si racconta per l'et di Crono (Cim . 10.7:

).

Di Marco 2005 p. 199, per, fa giustamente notare che tutte queste proposte di interpretazione

non chiariscono una contraddizione di fondo: se Cratino vuole evocare, con il riferimento a

Crono, un modello di governo ideale e un passato felice, perch fa unire proprio il Titano con

e a lui attribuisce la paternit di Pericle tiranno? Lo studioso, allora, avanza un'altra

ipotesi, a mio parere condivisibile, in base alla quale dietro la figura di Crono si cela un'allegoria

di Pisistrato. La propaganda favorevole a Pisistrato, infatti, tendeva ad esaltare il periodo della

sua tirannide come una seconda et dell'oro, pari a quella del tempo di Crono247; Cratino, allora,

nei Chironi, con un'operazione burlesca, riprende tale posizione politica e la riutilizza in termini

di parodia comica: Crono/Pisistrato ha profittato della stasis per ergersi a tiranno, e ora, con

Pericle che ne ricalca le orme, i miseri Ateniesi si trovano a scontare, pur a distanza di tempo, le

conseguenze nefaste della sua rovinosa esperienza (Di Marco 2005 p. 200). Non va, del resto,

dimenticato che l'esistenza di affinit tra Pisistrato e lo statista doveva essere un'opinione

abbastanza diffusa, se Plutarco mette in rilievo che i suoi seguaci erano chiamati novelli
247 Aristotele informa che la liberalit e la generosit di Pisistrato erano state tali che [ ][]
(Ath, 16.7); l'autore dell'Ipparchico pseudoplatonico, poi, spiega
che soltanto con Ippia ci fu una vera tirannide, mentre con Pisistrato gli Ateniesi vissero
(229b).

174
Pisistratidi248 e che sin da giovane Pericle suscitava sospetti circa le sue aspirazioni politiche,

dal momento che gli Ateniesi vedevano in lui una certa somiglianza fisica con il tiranno 249.

Cratino, dunque, sfrutta nella sua commedia il mito tradizionale che vuole Crono padre di Zeus

ma, al tempo stesso, mette insieme due riferimenti simbolici affatto indipendenti, da un lato

l'idealizzazione della tirannide di Pisistrato come nuovo regno di Crono, dall'altro l'appellativo

di Zeus, con cui Pericle era spesso designato in commedia (Di Marco 2005 p. 202). Ponendo,

cos, Zeus-Pericle come figlio diretto di Crono-Pisistrato, il commediografo riesce a far scattare

un procedimento satirico geniale volto a richiamare sulla scena e all'attenzione del pubblico, in

termini assolutamente negativi, l'esperienza storica della tirannide del tutto rovinosa,

ossessivamente presente nei dibattiti politici e nelle dispute filosofiche dell'Atene del quinto

secolo e strettamente legata alla paura della perdita della libert e della catastrofe della polis.

Nel tiranno, infatti, venne a identificarsi ben presto tutto ci che doveva essere respinto e

condannato dalla morale politica della citt e, a poco a poco, questo personaggio arriv a

configurarsi quale il simbolo della schiavit, della dismisura e dell'empiet, una controfigura,

insomma, indispensabile al sistema nella misura in cui ne rifletteva le contraddizioni interne e, al

tempo stesso, ne verificava la validit, offrendo alla citt la possibilit di affermare se stessa

(cfr. Lanza 1977 p. 13). L'Atene democratica, erede di Clistene e governata da Pericle, in cui

l'uguaglianza era essenzialmente l'uguaglianza politica, cio uguale potere sulla cosa pubblica e

partecipazione collettiva all'arte politica, sent con maggiore forza nel corso del quinto secolo la

fobia della tirannide, in quanto il tiranno era per antonomasia colui che negava l'ordine su cui si

costituiva la polis e che si identificava nello spazio politico e nel comune possesso della citt.
248 Plu. Per. 16.1: ,
, ,
.
249 Plu. Per. 7.1: .
,
.

175
Non a caso, Erodoto pone alla base della crescita inarrestabile della potenza ateniese dopo le

guerre persiane, oltre alla coraggiosa difesa di fronte al dispotismo barbaro, proprio la fine del

dominio tirannico e la riconquista della libert (5.66: , ,

, ). Atene, dunque, ha il merito, secondo lo storico, di

aver definitivamente estirpato la tirannide, con la cacciata dei Pisistratidi, e questo le ha dato

forza e le ha garantito l'impetuoso sviluppo.

Gli anni della Pentecontaetia diventarono cos anche gli anni, in cui sulla scena del teatro

ateniese si affacci con insistenza il tema della tirannide, e il tiranno, quale manifestazione del

malvagio, divenne un personaggio drammatico, riscoperto nel mito in ambito tragico 250 e

presente sotto la maschera di Pericle nella commedia prearistofanea, in particolare in Cratino.

Se, del resto, lo spettro del tiranno era visto come il maggior pericolo per la democrazia ateniese,

non deve stupire che il governo dello statista, percepito sempre pi come il governo di un uomo

solo e dai tratti quasi tirannici, abbia destato non pochi sospetti e non sia restato immune dagli

attacchi satirici dei comici.

La polemica anti-tirannica, per, non si esaur con l'et periclea, ma anche durante la guerra del

Peloponneso si accentu a tal punto da sfociare persino in piazza, tanto che, nelle Vespe di

Aristofane, Bdelicleone ironizza sul fatto che per gli Ateniesi tutto tirannide e cospirazione,

grande o piccola che sia l'accusa, e, nonostante da cinquant'anni non se ne senta neppure il nome,

ormai la tirannide a pi buon mercato del pesce in salamoia e la parola circola ovunque per la

piazza; addirittura al mercato, se uno vuole comprare degli scorfani invece che delle sardelle, un

pesce democratico, perch meno costoso e alla portata di tutti i cittadini, viene accusato dal

venditore di sardelle di essere un fautore della tirannide; e se, poi, un cliente chiede gratis al

250 Sulla figura del tiranno sulla scena tragica si rimanda, in questa sede, al paragrafo introduttivo, Il tiranno
tragico.

176
pescivendolo una cipolla per condire le alici, subito l'erbivendola, contrariata, lo guarda di

traverso e gli urla contro di aspirare alla tirannide e di esigere persino un tributo (vv. 489-499).

La scenetta descritta da Aristofane, quasi paradossale, chiaramente volta a prendere in giro il

terrore dilagante in citt, e a tratti ridicolo, per tutto ci che in qualche modo potesse mettere a

rischio l'integrit e la libert della polis ed avesse il sapore di cospirazione. Eppure, nonostante

l'ironia aristofanea, il dominio tirannico, tanto temuto e deprecato, alla fine si abbatt su Atene,

frutto di un duro tentativo di restaurazione aristocratica, e il tiranno non fu uno solo, ma trenta.

Quanto detto sinora trova, a questo punto, conferma proprio nel fr. 258 dei Chironi, in cui Pericle

assimilato a Zeus per la superbia e per il suo strapotere e definito . Ma lo

statista anche presentato come figlio di Crono e e, se dietro la figura del Titano

davvero possibile, come si visto, rintracciare un'allusione a Pisistrato, il gioco fatto: Pericle

per Cratino il discendente diretto di Pisistrato e il suo modello di azione politica ha il

progenitore ideale nel tiranno che lo ha preceduto, la cui esperienza profondamente negativa

Atene voleva ininterrottamente esorcizzare e, al tempo stesso, rinnegare senza possibilit di

replica. Su questa linea si pu procedere, a mio avviso, ancora oltre. Nei Chironi, infatti,

personaggio del dramma anche Solone e la prova fornita dal fr. 246:

, ,

Abito un'isola, come si racconta,


sparso per tutta la citt di Aiace

Diog. Laert. 1.62 (Solon) , ,


.
, -

177
Diogene Laerzio cita il frammento a conferma di una curiosa notizia su Solone, in base alla quale

il legislatore sarebbe morto a Cipro a ottant'anni, raccomandando ai cittadini di riportare le sue

ossa a Salamina e, dopo averle incenerite, di disseminarle per tutta l'isola 251.

L'uso della prima persona singolare nel passo di Cratino induce a credere che i due versi siano da

attribuire proprio a Solone il quale, in qualit di personaggio del dramma, presenta se stesso al

pubblico e agli altri personaggi, entrando per la prima volta in scena (cfr. Quaglia 1998 p. 43) . Il

noto , per, parla di s come gi morto, alludendo alla propria sepoltura ed alle proprie

ceneri sparse per l'isola di Salamina252, e questo fa pensare che il personaggio giunga dagli inferi

e faccia la sua comparsa come (cfr. Farioli 2000 pp. 413-414). Una simile scelta

drammaturgica non sarebbe, del resto, cos insolita, se solo si considera che anche nei Demi di

Eupoli proprio Solone, accompagnato da Milziade, Aristide e Pericle, torna in vita ed arriva ad

Atene direttamente dall'oltretomba (cfr. Tel 2007, in particolare pp. 24-33; 67-72; 102-105).

Viene, per, da chiedersi quale sia nei Chironi la funzione specifica del legislatore e la ragione

della sua presenza in citt. Farioli 2000 p. 422 ipotizza che Cratino nel dramma auspichi un

ritorno del regno di Crono, cio un ritorno all'et aurea di Atene che di fatto coincide con il

governo di Cimone, e che assegni a Solone un ruolo di contrappunto polemico rispetto al

dominio pericleo, quale simbolo del buon governo, sul cui esempio modellata anche la politica

251 La tradizione conservata da Diogene Laerzio, e documentata anche da Elio Aristide ( Or. 46.172, II p. 230 Dind),
attesta un costume inusitato. Alla base del culto eroico, infatti, c'era la tomba dell'eroe, innalzata in luoghi
importanti della citt, e, se le citt volevano ricevere la potenza protettrice dell'eroe, mandavano a prendere le
sue ossa o quelle ritenute tali e le seppellivano in patria. Solo di rado, quindi, si ricorreva alla combustione e allo
spargimento delle ceneri, come nel caso di Solone (cfr. sul tema Piccirilli 1977 pp. 283-284 con relativa
bibliografia). Questa tradizione, del resto, respinta da Plutarco come favolosa e assurda (Sol. 32.4) e anche
Eliano afferma di conoscere una variante secondo la quale Solone avrebbe avuto una tomba ad Atene (VH 8.16;
cfr. anche Jacoby 1956 pp. 285-286 n. 64). Si tratta evidentemente di una leggenda che deve essersi formata e
diffusa molto presto, se gi nel quinto secolo Cratino vi fa riferimento in maniera esplicita nel frammento in
questione.
252 Nel fr. 246, in realt, si nomina la citt di Aiace (v. 2: ), ma essa non pu che essere Salamina,
come attestano un passo di Simonide (epigr. 11.2: ) ed uno di Pindaro (I.
5.48: ). L'isola di Salamina definita secondo un uso omerico (cfr. Il. 2.677;
14.230; schol. Ar. Pax 251a Holwerda: .
).

178
cimoniana, stricto sensu un tipo di governo ideale di stampo aristocratico e un modello statale

caratterizzato da un comune benessere dovuto non a una reale uguaglianza fra i cittadini, ma alla

condiscendenza della classe dirigente. Una simile interpretazione, a mio avviso, non regge gi

solo per il fatto che di Cimone non vi traccia nel materiale conservato. Ora, per, in una

commedia come i Chironi, anti-periclea e in cui l'accusa principale rivolta allo statista quella di

aver dato vita a una tirannide, la figura di Solone pu effettivamente essere stata introdotta in

posizione antitetica a quella di Pericle, ma probabilmente in una prospettiva differente da quella

supposta dalla studiosa. Solone, infatti, doveva essere presente nella memoria storica dell'Atene

del quinto secolo, ossessionata dalla fobia della tirannide, non tanto per la sua riforma sociale e

per la sua attivit di nomoteta, quanto per la netta posizione anti-tirannica. Solone colui che ha

rifiutato di farsi tiranno, nonostante ne avesse le possibilit (cfr. Plu. Sol. 14.6-9), in nome di un

agire politico basato sulla mediazione e su una composizione politica dei conflitti, in nome di

una soluzione ricercata nella legge e nel consenso, e non nell'aperta violenza253. Il legislatore,

dunque, fa da contraltare, in ambito storico, all'esperienza tirannica di Pisistrato, a lui

immediatamente successiva, e, di conseguenza, non da escludere che nella commedia di

Cratino egli rappresenti l'anti-tiranno proprio come Pericle il nuovo Pisistrato, richiamato in

vita, non quale modello di governo ideale, ma quale simbolo del buon comportamento politico e

garante della giustizia nell'Atene corrotta dello statista.

Un ulteriore attacco a Pericle nei Chironi , forse, rintracciabile nel fr. 250:

253 In generale, sulla figura del legislatore si rimanda allo studio di Masaracchia 1958, parte I pp. 1-78; parte II pp.
79-200. Su Solone come anti-tiranno, invece, si veda Lanza 1977 pp. 184-185; Musti 1998 pp. 223-231; Parker
1998 pp. 155-157; e da ultima, Noussia 2003 pp. 80-86, con la bibliografia di riferimento.

179

Bene, stai prima di tutto rivolto all'aurora e prendi tra le mani


una grossa cipolla

Schol. (L) Soph. OC 477 :


. (- cod.) -

I due versi sono citati a dimostrazione del fatto che in occasione di un l'esecutore deve

rivolgere la testa a oriente254. Il passo, dunque, fa riferimento ad un rito di purificazione e la

prova fornita anche dal secondo verso in cui l'ignoto personaggio invita l'altrettanto

imprecisato interlocutore a prendere tra le mani una grande cipolla: la , o , era,

infatti, utilizzata, per esempio ad Atene nel corso delle Targelie, nei riti di espulsione del

,per colpire il capro espiatorio e cacciarlo al fine di purificare la citt255. La ricorrenza

di , per, non pu non richiamare alla mente il famoso aggettivo , attribuito

da Cratino a Pericle nelle Tracie (fr. 73), ed , allora, molto probabile che la sua menzione in una

commedia come i Chironi, dai toni fortemente satirici nei riguardi dello statista, alluda ancora

una volta alla deformit della testa, cui si accenna, come si visto, anche nel fr. 258 con l'epiteto

, comica invenzione cratinea di derivazione omerica. In tal senso, il rituale di

purificazione qui evocato acquista un altro significato: necessario liberare Atene dal
254 Sull'uso di rivolgere la testa ad oriente durante le cerimonie di purificazione si veda il commento al passo di
Sofocle in Jebb 1889 2 p. 83.
255 Le prove sono fornite da Hippon. fr. 6 West: /
; Diph. fr. 125.3 K.-A.: / ,
, / , /
/ . /
/ , ; Thphr. Char. 16.14:
< > ,
. ;
Thphr. HP 7.12.1: ,
, ,
. Sulle qualit purificatrici della 'scilla' si veda anche
Gow 1950 pp. 114; 158; Rohde 1952 pp. 605-607; Burkert I 1984 p. 113. In generale, sui riti di espulsione del
capro espiatorio si rimanda a Gebhard in RE 19, 2 1938 pp. 1841-1842; Rotolo 1980 pp. 1947- 1961; Bremmer
1983 pp. 299- 320; Burkert 1996 pp. 95-123. Sul frammento di Cratino in questione cfr. anche Farioli 2000 pp.
427-431.

180
che la corrode, estirpandolo alla radice, ed il solo modo per farlo ricorrere al rito di espulsione

del e scacciare il suo male pi grande, cio Pericle, come atto di purificazione dello

spazio cittadino.

Se l'interpretazione corretta, Cratino, facendo semplicemente uso del termine , riuscito

con grande abilit a dar vita ad una situazione comica affatto ambivalente. Il sostantivo, infatti, si

trova a svolgere una duplice funzione, perch da un lato richiama riti di purificazione

effettivamente esistenti, conferendo un'apparenza 'realistica' all'invenzione comica e chiarendo al

pubblico l'esatta valenza della cerimonia catartica; dall'altro rivela, attraverso l'allusione alla

'testa di cipolla', quale sia la fonte dei mali da cui la citt deve essere liberata (Farioli 2000 p.

428). Pericle, quindi, responsabile della corruzione ateniese e accusato di aver assunto un potere

tirannico, discendente diretto sul piano ideale di Pisistrato, deve sacrificarsi per il bene dei suoi

cittadini. Non da escludere, di conseguenza, che, da un punto di vista scenico, nel corso della

commedia, venisse anche in qualche modo rappresentata simbolicamente la cerimonia di

espulsione e che proprio lo statista, quale personaggio comico, in veste di fosse

sottoposto al rituale (cfr. Farioli 2000 p. 427); e forse, ma solo un'ipotesi, a presiedere il rito era

lo stesso Solone, l'anti-tiranno per eccellenza, in posizione antitetica a Pericle, richiamato dagli

inferi per verificare le sventure di Atene e ripristinare la giustizia 256. Farioli 2000 p. 429, del

resto, spiega bene che esiste un legame molto stretto tra i e i capi della citt, dal

momento che il sovrano, responsabile del bene della comunit, in caso di disgrazia costretto

talvolta a sacrificarsi e il capro espiatorio spesso finisce per essere un sostituto simbolico del

re; persino l'ostracismo pu, in un certo senso, essere interpretato come una razionalizzazione
256 Di diversa opinione Hanow 1830 p. 64, il quale pensa che la cerimonia fosse fatta per purificare Pericle ut
post, abiectis moribus pristinis, civitati bene consuleret. Bergk 1838 p. 239, invece, convinto che i due versi
fossero pronunciati per richiamare in vita Solone; ma, se cos fosse, la menzione di non troverebbe
un'adeguata spiegazione, dal momento che non attestato il suo utilizzo in riti psicagogici, e, inoltre, essa
perderebbe tutta la sua ambiguit, privando il passo dell'ambivalenza comica che, a mio avviso, lo
contraddistingue (cfr. anche Farioli 2000 pp. 427-428).

181
dei riti di espulsione, perch con esso l'elemento perturbatore viene scacciato tramite i cocci,

proiezione simbolica dell'aggressione diretta al . Su questa linea, quindi, nella scena

comica dell'espulsione rituale dei Chironi potrebbe in qualche modo celarsi un invito indiretto da

parte di Cratino al suo pubblico a ostracizzare Pericle e porre fine al suo dominio per molti

aspetti autocratico.

Strettamente legato al fr. 258 , invece, il fr. 259:

E Inculata gli genera Era-Aspasia,


concubina dallo sguardo di cagna

Plut. vit. Per. 24.9 (Aspasia) (fr. adesp. 63 K.)


. . Schol. (TW) Plat.
Menex. p. 235E (p. 183Gr., post Calliae fr. *21; de fonte vid. Jacoby ad FGrHist 372 F 40) de Aspasia
( Blaydes Adv. II p. 10, an ?) ( W)
( , Meineke, , Bergk
Rel. p. 238) (fr. 274 K.), (fr. 249 K.)
, (Ar. Ach. 530). Marcellin. in Hermog. stat., Rh. Gr. IV p.
186, 14 W. , ,
, (vid. Zuntz Die
Ar.-Schol. der Pap. p. 110)

Plutarco riporta questo frammento in un capitolo interamente dedicato ad Aspasia, in cui informa

che spesso in ambito comico la compagna di Pericle definita nuova Onfale o Deianira oppure,

come in questo caso, Era. Il motivo di una simile identificazione nei Chironi non risulta difficile:

dal momento che Pericle Zeus, Cratino ricostituisce comicamente la coppia divina tradizionale,

ponendo al suo fianco Aspasia, ma nelle vesti di Era (cfr. Farioli 2000 p. 419). Inoltre, anche

questo frammento accenna ad una vicenda teogonica; la Milesia, infatti, detta figlia di

un'astrazione personificata, appositamente creata dal commediografo, , ed

presentata nella condizione di , con l'aggiunta di un aggettivo, , allusione alla

182
spudoratezza femminile257 ed evidentemente epico, perch ricorre pi volte in Omero (cfr. Il.

3.180; 18.396; Od. 4.145; 8.319; 11.424), di cui per due volte riferito ad Elena (Il. 3.180; Od.

4.145) e in un caso proprio ad Era (Il. 18.396).

Il sostantivo , difficile da rendere in italiano, generalmente tradotto con

Impudicizia, Svergognatezza, poich, come insulto generico, indica la sfrenatezza/bramosia

senza vergogna in ambito sessuale (Henry 1995 p. 21, Shameless Lust; Quaglia 1998 p. 57,

Svergognatezza; Farioli 2000 p. 419, Impudicizia); ma una simile traduzione non riesce a

rendere il violento attacco di Cratino alla donna, dal momento che il termine fortemente

abusivo e rimanda, nello specifico, alla condizione di passivit di chi, per cos dire, subisce un

rapporto anale, come provano le numerose ricorrenze distintamente omosessuali in Aristofane,

quasi sempre nella forma del participio , propriamente l'invertito passivo258. Per

questa ragione, Podlecki 1998 p. 115 rende il sostantivo con Buggery, ma la scelta non , a

mio avviso, adeguata al contesto del fr. 259, in cui riferito ad una donna. Di

conseguenza, anche se forse non esiste nella nostra lingua un termine in grado di esprimere la

forte carica ambivalente di , si preferito tradurre la parola greca con Inculata

per restituire quanto meno il significato originario e la valenza oscena, che dovevano essere

certamente colti dal pubblico ateniese del quinto secolo.

Ma perch Aspasia rappresentata dal commediografo come una donna svergognata e senza

257 Cfr. Hsch. s.v. Latte che glossa . In generale, sull'immagine della donna-cagna, simbolo di
impudenza, si veda Lilja 1976 p. 81; Mainoldi 1984 p. 163.
258 Cfr. Ar. Ach. 79; Eq. 639; Nu. 1023; V. 84; 687; Th. 200. e sono, poi, i due protagonisti,
rispettivamente il personaggio positivo e quello negativo, dei Banchettanti, la commedia con cui Aristofane
esord agli agoni drammatici del 427 e a cui proprio il commediografo fa riferimento, per bocca del corifeo, nella
parabasi delle Nuvole (vv. 528-529: , , /
). In relazione a questo passo, Cassio 1977 p. 27 e Segoloni 1994 p. 112 spiegano
bene che il participio , ossia l'invertito passivo, riferito al figlio cattivo, frequentatore di Alcibiade e
dei retori, spesso caratterizzati proprio come invertiti, recupera in pieno il significato originario. A maggior
ragione, allora, anche in Cratino il termine , in relazione ad Aspasia, esprime, a mio avviso, un
attacco fortemente abusivo nei riguardi della donna e mette in atto un violento gioco derisorio che doveva essere
ben comprensibile agli spettatori dell'epoca. In generale, sul sostantivo si veda Henderson 1975 p. 210.

183
freni? Per rispondere alla domanda, bene tentare, sulla base delle testimonianze conservate, una

ricostruzione storica della sua vita, a partire proprio dalla definizione di che ne offre

Cratino.

Aspasia259 indubbiamente la donna pi famosa della Grecia classica, in quanto compagna di

Pericle, l'uomo pi potente nell'Atene, che va dalla riforma di Efialte fino allo scoppio della

guerra del Peloponneso (460-430 circa), e Plutarco le dedica un intero capitolo nella Vita di

Pericle (cap. 24). Di lei dice che era originaria di Mileto, in Asia Minore, figlia di un tale

Assioco, e che si leg ad uomini potenti in rivalit con Targelia, una cortigiana della Ionia molto

bella e di spiccata intelligenza ( ,

), amante di molti Greci, che fece diventare tutti filopersiani e partigiani del gran

Re; Pericle si innamor della Milesia per la sua elevata intelligenza politica (

), da lei ebbe un

figlio illegittimo, Pericle il giovane, e il loro fu un rapporto d'amore ( ), tanto

che lo statista lasci per lei la moglie, si prese Aspasia e non passava giorno che non

l'abbracciasse e la baciasse, quando usciva di casa o rientrava dall'agor (

); persino Socrate la

frequentava ( ), nonostante non svolgesse

un mestiere rispettabile, in quanto preparava ragazze alla professione di etere (

); dopo la morte di Pericle, Aspasia inizi una relazione con Lisicle (PA

9417; APF 9417; LGPN II 4), un commerciante di pecore che, grazie a lei, divenne il primo tra

gli Ateniesi, prima di Cleone (cfr. Ar. Eq. 128-143; 763-766), e che, dunque, inaugur ad Atene

la stagione dei demagoghi e della democrazia radicale.

259 In generale, su Aspasia si veda Judeich in RE II (1896) pp. 1716-1721; Delcourt 1939, in particolare pp. 76-77;
196-197; Davies 1971 pp. 458-459; Montuori 1977-1978 pp. 63-85; Laurenti 1988 pp. 41-61; Henry 1995, in
particolare pp. 9-56; Loraux 1993 trad. it. pp. 125-154; Imperio 1998 pp. 237-240; Podlecki 1998 pp. 109-117.

184
Il passo di Plutarco una testimonianza preziosa per far luce sulla vita di questa donna; eppure,

molti punti restano oscuri. Innanzitutto, non si conosce la ragione del suo arrivo ad Atene da

Mileto, che va probabilmente collocato intorno al 450, sulla base del fatto che la relazione con

Pericle deve aver avuto inizio intorno al 445, se dalla loro unione nacque, di sicuro prima del

440, Pericle il giovane, stratega nel 406 e condannato a morte al processo delle Arginuse (cfr. X.

HG 1.6-7; Plu. Per. 37.7; si veda anche Montuori 1977-1978 pp. 68-69). Una cosa, per, certa:

Aspasia giunse ad Atene come straniera, in qualit di meteca, e, in quanto tale, dovette cercare

un patrono che, forse, trov nel suo uomo, Pericle: lo statista se ne innamor, la prese sotto la

sua protezione, ma, dopo aver lasciato la moglie, non pot unirsi a lei in un matrimonio vero e

proprio, perch Atene e Mileto non erano legate dall'epigama e la legge non lo consentiva (cfr.

Loraux 1993 trad. it. pp. 141-142); Aspasia, dunque, ne divenne la concubina (),

destinata per sempre a rimaner tale. E, quindi, se il ragionamento corretto, la definizione di

, attribuita alla Milesia da Cratino nel fr. 259 dei Chironi, proprio quella che rispecchia

la sua condizione reale.

Resta, invece, da chiedersi se Aspasia, al suo arrivo ad Atene, fosse effettivamente una

cortigiana, come lascia intravedere Plutarco e come specificano gli attacchi dei comici.

Aristofane, infatti, negli Acarnesi, tramite Diceopoli, le attribuisce la responsabilit della guerra

del Peloponneso, a causa del rapimento di due sue prostitute da parte dei Megaresi, parodiando,

cos, il topos, di ascendenza erodotea, della guerra per colpa di una donna (vv. 517-531). Su

questa linea, Eupoli, nei Prospaltii, la identifica con Elena, la causa della guerra di Troia (fr. 267

K.-A.); nei Demi, invece, la attacca in quanto madre del avuto dalla relazione con Pericle

- ragione per cui anche presa di mira nel Maricante (fr. 192.166-169 K.-A.: ]

[ / ] [ / ] [ / ]

185
[) - e la apostrofa come (fr. 110 K.-A.: (.) ; (.)

, / ; in generale, sul frammento cfr. Tel

2007 pp. 212-223)260.

Montuori 1977-1978 p. 70 esclude assolutamente la possibilit che Aspasia fosse arrivata ad

Atene per esercitarvi il mestiere di etera, perch non affatto pensabile che un uomo nella

condizione di Pericle accogliesse in casa sua una prostituta straniera facendosi moralmente e

giuridicamente responsabile della condotta di lei, e che una tale donna preferisse poi alla moglie

cittadina ripudiata per lei. Ora, l'osservazione dello studioso certamente priva di valore

scientifico e frutto di una semplice considerazione, non scevra da pregiudizi morali, ma non

bisogna dimenticare che assegnare sempre alle testimonianze comiche validit storica un

procedimento affatto arbitrario, dal momento che in commedia spesso l'invettiva contro i costumi

sessuali nasconde l'invettiva politica: dietro Aspasia c' Pericle e se lo statista presentato sulla

scena comica quale uomo dissoluto e dedito ai piaceri sessuali molto facile che la sua

compagna diventi una prostituta, quale attacco indiretto nei suoi riguardi. Loraux 1993 p. 140,

poi, in un capitolo dedicato alla Milesia, sottolinea l'importanza di operare una netta distinzione,

per il mondo greco, tra la prostituta che d piacere per denaro () e l'etera, raffinata ed

elegante, e di ricordare che ad Atene forse anche pi che nelle altre citt greche l'immagine

della donna scomposta tra la figura della moglie, madre di figli legittimi, priva di qualsiasi

autonomia personale e di personalit giuridica, e che le rappresentazioni civiche ortodosse

vogliono ignorante al massimo, e quella della cortigiana, sempre disponibile, esperta nei piaceri

dell'amore, intelligente e buona consigliera. E allora, se anche si vuole assegnare alla Milesia la

260 A queste testimonianze comiche va aggiunta anche la notizia fornita da Plutarco, in base alla quale in non
meglio specificate commedie Aspasia veniva presentata come una novella Onfale e Deianira (Per. 24.9-10),
identificata senza dubbio con la prima per aver soggiogato Pericle, proprio come la mitica regina della Lidia fece
con Eracle, con la seconda per aver rovinato lo statista, nuovo Eracle, con il suo amore ossessivo. Sulla figura di
Aspasia nella commedia si veda anche Henry 1995 pp. 19-28.

186
condizione di cortigiana, certamente nella categoria delle etere che va posta, quale intellettuale

libera e liberata. Che Aspasia fosse un'intellettuale degna di questo nome, del resto, confermato

dalle numerose fonti della tradizione socratica che la presentano quale maestra di eloquenza, al

punto che lo stesso Plutarco, dopo aver ricordato il suo rapporto con Socrate, si chiede quale arte

avesse mai questa donna e quale potenza da riuscire a dominare prestigiosi uomini politici e

godere di non poca considerazione presso i filosofi (Per. 24.2).

Il Menesseno di Platone quasi interamente incentrato sulla figura di Aspasia come maestra di

retorica; nel prologo, infatti, recitato da Socrate al giovane Menesseno, il filosofo sottolinea che

l'epitafio, che sta per pronunciare per commemorare i caduti della guerra di Corinto nel 387,

stato, in realt, approntato da Aspasia, una donna tutt'altro che di poco conto nell'arte retorica

( ) e che ha istruito molti eccellenti oratori, tra cui

Pericle (236c-349c; cfr. Loraux 1993 pp. 128-130; Henry 1995 pp. 32-40).

Eschine socratico, inoltre, scrisse un dialogo intitolato Aspasia (VI A 66 p. 614 Giannantoni; cfr.

anche Loraux 1993 pp. 133-134; Henry 1995 pp. 40-45) e lo scolio a un passo del Menesseno

(235e Greene) informa che in quest'opera e negli Incatenati di Callia (fr. 21 K.-A.; cfr. Imperio

1998 pp. 237-240) si faceva riferimento alla straordinaria eloquenza della Milesia, che aveva

insegnato a Pericle a parlare in pubblico e aveva fatto diventare un importante uomo politico

Lisicle, un mercante di pecore da lei sposato dopo la morte dello statista e a cui diede un figlio di

nome Poriste (APF 11811 IV; LGPN II 1). Anche Antistene dedic un intero scritto alla sua

figura, ma piuttosto polemico ed essenzialmente incentrato sull'intensit della passione amorosa

che leg Pericle ad Aspasia e sulla figura di quest'ultima, in termini del tutto negativi, quale

incarnazione del piacere (cfr. Ehlers 1966, in particolare pp. 30-33; Henry 1995 pp. 30-32).

Senofonte, invece, ricorda Aspasia due volte, nell'Economico (3.14) e nei Memorabili (2.6.36).

187
Nel primo passo si parla dei rapporti marito-moglie e dei relativi problemi e a Critobulo, che

chiede se gli uomini che hanno buone mogli hanno saputo educarle, Socrate risponde che lo

presenter presto ad Aspasia, capace di spiegare ogni cosa meglio di lui (

, ). Nel secondo passo, invece,

Socrate e Critobulo discutono dell'amicizia e di come trovare amici; in proposito, il filosofo

sottolinea la necessit di essere sinceri con chi si vuole come amico e rafforza tale affermazione

con un suggerimento di Aspasia, in base al quale le brave mezzane riescono a unire gli uomini in

matrimonio solo quando il bene che prospettano corrisponde a verit; in caso contrario, gli sposi,

ingannati, cominciano a odiarsi tra di loro e finiscono per odiare pure la mezzana (su i due passi

di Senofonte si veda anche Laurenti 1988 pp. 50-52; Henry 1995 pp. 45-52). Aspasia, dunque,

era una donna esperta di saperi maschili e fu di Socrate, che da lei impar l'arte

retorica e tutto ci che riguarda l'amore 261.

In definitiva, dalle testimonianze finora riportate emerge che tutta la tradizione sulla donna di

Mileto spaccata tra la riprovazione dei commediografi, che la presentano quale concubina e

prostituta, nuova Elena e responsabile della guerra del Peloponneso, e l'esaltazione dei socratici,

che la ricordano come la maestra di retorica, esperta nell'eloquenza, consigliera di Pericle, che

l'am intensamente, e legata a Socrate da un'amicizia basata sulla stima e sul rispetto

intellettuale. Plutarco, per, fornisce un'ulteriore notizia: il comico Ermippo accus Aspasia di

empiet () e di lenocinio, per aver accolto donne libere per incontri con Pericle, e

261 Lo stretto legame tra Aspasia e il filosofo, del resto, confermato anche dall'etera Taide che, nella Lettera di
Taide ad Eutidemo, istituisce un singolare confronto tra l'educazione impartita da sofisti e cortigiane e pone
come esempi per le due categorie rispettivamente Aspasia, di cui stato allievo Pericle, e Socrate, che ha
formato Crizia (Alciphr. 4.7.7 = I A 15 Giannantoni). L'abilit retorica della Milesia , inoltre, ricordata in tutta
l'antichit: Ateneo la descrive come (5.219b); Flavio
Filostrato informa che la donna affin la lingua di Pericle alla maniera di Gorgia (Ep . 73.23); Clemente
Alessandrino riporta la notizia che da Aspasia Socrate ottenne utili consigli per la filosofia, Pericle per la retorica
(Strom. 4.19.122.3). Cfr. anche Aristid. Or. 46 p. 131.1 Dindorf; Harp. s.v. p. 62.3 Dindorf; Hieronym.
Comm. in Sophon. prophet. 1.671; Them. Or. 26.22 (329c); Synes. Dion. 1.37c; 15.59 Aa; Olympiod. In Plat.
Alc. Comm. 136.11; Suid. 4202 Adler; schol. Ar. Ach. 527 Wilson.

188
quest'ultimo la difese durante il processo, supplicando i giudici e versando pi lacrime di quanto

non avesse mai fatto in altre circostanze dolorose della sua vita (Per. 32.1; 5). Ma Plutarco non

spiega in che cosa consistesse il reato di . Montuori 1977-1978 pp. 75-79 convinto che

l'accusa 'reale', taciuta dalle fonti, fosse ben pi grave, quella, cio, di medismo, sulla base del

fatto che la compagna di Pericle era pienamente inserita nella cerchia intellettuale, vicina allo

statista, di meteci-filosofi, quali Protagora, Damone, Anassagora, Ippodamo, che avevano tutti

stretti legami con la Persia; Plutarco, poi, insiste sull'imitazione, da parte di Aspasia, di Targelia

(Per. 24.3-4) e lo studioso conclude che la competizione si giocava proprio sul terreno del

fervore filopersiano e che, di conseguenza, il processo contro di lei rappresenterebbe la vigorosa

reazione della democrazia ateniese alla pericolosa tendenza eversiva di ispirazione monarchico-

tirannica, suggerita al governo di Pericle dagli amici e consiglieri di lui, tra i quali appunto

Aspasia (p. 84), inviata ad Atene dagli ambienti medizzanti della Ionia con una missione ben

precisa, quasi in posizione di 'quinta colonna'. La ricostruzione non priva di fascino, ma

difficile da sostenere, in assenza di riscontri oggettivi. Nulla, infatti, permette di affermare con

sicurezza che l'imitazione di Targelia consistesse nel suo medismo; anzi, leggendo il passo

plutarcheo, sembra piuttosto che la competizione si basasse unicamente sul fatto che Targelia

rappresentava un esempio concreto di ci che in una donna pu la deintes, l'abilit (qualit del

retore o del sofista) coniugata alla bellezza, per cui Aspasia finiva per trattare come scopo

quello che la bella Ionica usava come mezzo, il 'sedurre' sistematicamente gli uomini pi

potenti (Loraux 1993 p. 136). E allora perch la Milesia fu accusata di empiet? La risposta ,

forse, possibile trovarla nell'influenza che dovette esercitare su Pericle e sulla sua politica. Gran

parte delle fonti prese in analisi, infatti, sottolineano che tra i due vi era un rapporto d'amore

( ), e di questo non dovevano dubitarne neppure gli Ateniesi, al punto che,

189
probabilmente, fu proprio questa la colpa che i cittadini non perdonarono mai al loro statista. Se

Pericle, infatti, avesse continuato a vivere con la moglie, pur avendo accanto Aspasia come

, non avrebbe affatto suscitato scandalo in una societ, come quella ateniese, in cui il

matrimonio aveva un valore puramente economico e la donna non era riconosciuta nella sua

individualit, ma era considerata soltanto un elemento di supporto all'uomo, in quanto

indispensabile alla continuazione della famiglia262. Non bisogna, del resto, dimenticare che

proprio Pericle, nel famoso epitafio tucidideo, d un'idea di quale fosse la considerazione della

donna ad Atene: rivolgendosi alle mogli dei soldati morti per la patria, lo statista riserva loro un

invito all'anonimato, sottolineando che la gloria pi grande per una donna che di lei si parli il

meno possibile263. Coerenza politica e ragione privata, dunque: Pericle, in qualit di stratega e di

oratore ufficiale della citt, non esita a riproporre la validit della morale collettiva, mettendo da

parte proprio quello che egli apprezzava in una donna, l'intelligenza ed il prestigio, e per cui si

innamor di Aspasia, in aperta contraddizione con il suo comportamento privato. Egli, infatti,

abbandon la moglie legittima, un'aristocratica ateniese e una parente del suo stesso strato

sociale, per andare a vivere con la straniera dell'Asia Minore, troppo colta, troppo libera e troppo

spregiudicata per poter esser accolta favorevolmente dalla morale cittadina (cfr. Loraux 1993 pp.

150-151). E cos Aspasia dovette attirare ben presto su di s molte dicerie popolari e da l

divenne un target privilegiato della commedia, quale novella Onfale, Deianira, Elena e, ancora,

Era. E gli Ateniesi, memori di simili rappresentazioni comiche, finirono anche per trovare un

accusatore, Ermippo o chi per lui, e trascinare la bella milesia in giudizio con un pretesto

qualsiasi, per esempio l'accusa di empiet, al fine di liberarsi della 'svergognata', ma, soprattutto

262 Sulla condizione della donna e lo statuto del matrimonio si veda Paoli 1953; Harrison 1968 pp. 3-9; MacDowell
1978 pp. 86-90; Flacelire 1983 trad. it. pp. 80-112.
263 Th. 2.45.2: , , ,
.
. Cfr. anche X. Oec. 2.13; 7.5.

190
per colpire indirettamente il loro primo cittadino, sulla scia dei processi contro altri membri del

suo entourage, Fidia, Protagora, Anassagora (cfr. Loraux 1993 p. 151).

Quanto detto sinora, quindi, permette anche di fornire una spiegazione alla rappresentazione di

Aspasia nel fr. 259 dei Chironi, quale riflesso delle opinioni che su di lei circolavano in citt:

l'etera di Mileto, nelle vesti di Era, concubina dallo sguardo di cagna e figlia di , a

sottolineare ancor di pi la sua sregolatezza, rappresenta, a tutti gli effetti, sulla scena comica, la

degna compagna di uno Zeus/Pericle, personificazione della figura del tiranno e discendente

diretto di Crono/Pisistrato, alla cui personalit va aggiunto un ulteriore aspetto, gi stigmatizzato

dal commediografo nella Nemesi con la seduzione della dea da parte di Zeus/Pericle

trasformatosi in un cigno, quello della , ossia la lussuria e l'incontinenza,

caratteristiche fondamentali dello stereotipo del (cfr. Farioli 2000 pp. 420-421; e, in

particolare, Lanza 1977 pp. 49-53).

Per quanto riguarda il dramma di Cratino, resta ora da trattare la questione relativa all'anno di

rappresentazione. Il materiale conservato, purtroppo, non offre elementi utili per datare la

commedia con sicurezza e l'unico riferimento cronologico fornito dal fr. 255:

Queste cose ce le siamo sudate con fatica in due anni

Ael. Aristid. or. 28.91 p. 171 K. (codd. ASQUT)


. , , ,
, ('Aristophanes ap. Plat. symp. 189B?' Keil)
. (92)
(Cratin. fr. 306 K., at Schol. cod. Par. 3005
ad loc. , cui credendum esse affirmat Wil. Lys. p. 11, vix recte negat Fraenkel
Beob. p. 176) ( . Hanow Exercit. p. 65) ( codd.)
( TQ) ,
( UQ et post corr. T) , (sua sponte
ad hexametri numeros coire / monuit Meineke, ipsa
tamen Cratini verba servasse Aristidem caute negans; Bothe, Coppola
Ar. I p. 40)

191
Il frammento va quasi certamente ricondotto all'esodo dei Chironi, dato che il poeta sembra

chiaramente alludere al tempo di composizione dell'opera, costata due anni di fatiche (cfr. Farioli

2000 p. 425; Bakola 2009 p 55). Nonostante il verso non contenga alcuna allusione all'anno della

messa in scena, Cobet 1840 pp. 22-25 vi ha visto un riferimento al decreto di Morichide, che per

tre anni viet ai commediografi l'onomast komoden, e che, a suo avviso, costrinse Cratino a

rappresentare i Chironi solo in seguito alla sua abrogazione, per non incorrere nella censura. Nel

fr. 255, per, il commediografo, o chi per lui, forse il coro, non dichiara di essere stato costretto

al silenzio, ma soltanto di aver impiegato due anni per ultimare l'opera. Farioli 2000 pp. 427-431,

invece, per datare il dramma si serve del fr. 250, precedentemente preso in esame, in cui

possibile, come si visto, scorgere un velato invito all'ostracismo di Pericle. Secondo la studiosa,

la scena comica dell'espulsione rituale alluderebbe ad un'occasione storica ben precisa: la

richiesta avanzata dagli Spartani agli Ateniesi di scacciare lo statista, immediatamente prima

della dichiarazione ufficiale di guerra, nell'inverno 432/431, come informa Plutarco (Per. 33.1-2;

cfr. anche Th. 1.126-127). In tal senso, la rappresentazione dei Chironi andrebbe fissata agli

agoni drammatici del 431 o del 430. Anche tale ipotesi, per, tutt'altro che sicura e, dunque,

poco convincente.

Il dramma sar stato portato in scena certamente dopo il 445 circa, periodo in cui, come si

detto, ebbe inizio la relazione tra Pericle e Aspasia, e prima del 429, anno della morte dello

statista, senza la cui presenza ad Atene la satira e l'invettiva contro di lui perderebbero la vis

polemica. Se, poi, l'attacco a Pericle si basava essenzialmente sull'accusa di tirannide, anche

probabile che il terminus post quem sia da abbassare al 443, anno dell'ostracismo di Tucidide di

Melesia, dopo il quale il potere pericleo si consolid e rest incontrastato fino allo scoppio della

guerra del Peloponneso (cfr. Farioli 2000 p. 425). Nel materiale conservato, inoltre, manca

192
qualunque accenno al conflitto bellico, e questo potrebbe essere indicativo dell'anteriorit della

commedia rispetto ad esso, anche se c' da dire che lo stato della tradizione troppo

frammentario perch l'argumentum e silentio possa essere valido (cfr. Kock 1880 p. 82; Geissler

1969 pp. 20-21). Ne deriva che necessario, a mio avviso, rinunciare a qualsiasi tentativo di

fornire una datazione precisa dell'opera drammatica, in assenza di riferimenti cronologici

significativi, ma possibile soltanto offrire un arco di tempo indicativo, da fissare tra il 442 e il

432, se si accetta anche l'ipotesi dell'anteriorit del dramma rispetto alla guerra del Peloponneso.

In conclusione, i Chironi, rappresentati tra il 442 e il 432 e dalla forte connotazione anti-periclea,

rappresentano forse l'opera di Cratino che meglio riuscita a farsi specchio, non solo del vivo

fervore anti-tirannico, da cui era ossessionata l'Atene di quegli anni, ma, soprattutto, della reale

essenza del potere di Pericle, rappresentato, sotto la maschera di Zeus, quale stereotipo del

violento e spregiudicato, in quanto figlio di e discendente diretto di

Crono/Pisistrato, nonch incontinente e avido, come emerge dall'attacco per niente leggero

rivolto alla sua compagna, Aspasia, sfrenata e senza vergogna, strumento nelle mani dei comici

per colpire indirettamente lo statista.

193
BIBLIOGRAFIA

194
Sono qui di seguito elencate tutte le opere che sono state citate nel corso del volume. Per i titoli
delle riviste sono adottate di norma le sigle de L'Anne Philologique. Bibliographie critique et
analytique de l'Antiquit grco-latine, Paris 1928-.

Adams 1957:
S.M. Adams, Sophocles the Playwright, Toronto 1957

Bakola 2005:
E. Bakola, Old Comedy Disguised as Satyr Play: A New Reading of Cratinus' Dionysalexandros
(P. Oxy. 663), in ZPE 154 2005, pp. 46-58

Bakola 2009:
E. Bakola, Cratinus and the Art of Comedy, Oxford 2009

Beaujon 1965:
E. Beaujon, Nmsis ou la limite. Essai d'humanisme dialectique, Paris 1965

Belardinelli 1994:
A.M. Belardinelli, Sicioni, Bari 1994

Belardinelli 2010:
A.M. Belardinelli, Antigone e il dono di s, in A.M. Belardinelli, G. Greco (a cura di), Antigone
e le Antigoni. Storia forme fortuna di un mito. Atti del Convegno internazionale, Roma 13, 25-26
Maggio 2009, Roma 2010

Beloch 1916:
K.J. Beloch, Griechische Geschichte, II.2, Strassburg 1916

Brard 1963:
J. Brard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell'Italia meridionale, trad. it.
Torino 1963

Bergk 1838:
T. Bergk, Commentationum de reliquiis comoediae Atticae antiquae libri duo, Lipsiae 1838

Bettarini 1997:
L. Bettarini, Alceo fr. 393 Voigt, RCCM 39/1 1997, pp. 19-38

Blass 1906:
F. Blass, Literarische Texte mit Ausschluss der christlichen, in APF 3 1906, pp. 473-502

195
Blmmer 1912:
H. Blmmer, Technologie und Terminologie des Gewerbe und Knste bei Griechen und Rmern,
Leipzig-Berlin 1912

Bona 1988:
G. Bona, Per un'interpretazione di Cratino, in E. Corsini (a cura di), La polis e il suo teatro, II,
Padova 1988

Bosshardt 1942:
E. Bosshardt, Die Nomina auf -, diss. Zrich 1942

Bothe 1855:
F.H. Bothe, Poetarum comicorum graecorum fragmenta, Parisiis 1855

Brandes 1886:
E. Brandes, Observationes criticae de comoediarum aliquot Atticarum temporibus, diss.
Rostochii 1886

Bremmer 1983:
J.N. Bremmer, Scapegoat-Rituals in Ancient Greece, in HSPh 87 1983, pp. 299-320

Bremmer 1996:
J.N. Bremmer, Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio
nella civilt greca, in I Greci. Storia Cultura Arte e Societ, I: Noi e i Greci, Torino 1996,
pp. 239-283

Brillante 1991:
C. Brillante, Crescita e apprendimento: l'educazione del giovane eroe, in QUCC 37 1991,
pp. 7-28

Budelmann 2000:
F. Budelmann, The Language of Sophocles. Communality, Communication and Involvement,
Cambridge 2000

Burkert 1984:
W. Burkert, I Greci, I, trad. it., Milano 1984

Burkert 1986:
W. Burkert, Mito e rituale in Grecia, trad. it., Bari 1986

CAF:
Comicorum Atticorum Fragmenta, ed. T. Kock, Lips. 1880-1888

Cameron 1968:
A. Cameron, The Identity of Oedipus the King. Five Essays on the Oedipus Tyrannos, New York
1968

196
Canfora 2008:
L. Canfora, La democrazia. Storia di un'ideologia, Bari 2008

Capps 1904:
E. Capps, The 'Nemesis' of the Younger Cratinus, in HSPh 15 1904, pp. 61-75

Carrire 1979:
J.C. Carrire, Le Carnaval et la Politique. Une Introduction la comdie grecque, suivie d'un
choix de fragments, Paris 1979

Cassio 1977:
A.C. Cassio, Aristofane. Banchettanti. I frammenti, Pisa 1977

Cerri 1992:
G. Cerri, La tragedia, in G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza (dir.), Lo spazio letterario della
Grecia antica, I/1, Roma 1992, pp. 301-334

CGFP:
Comicorum Graecorum Fragmenta in Papyris reperta, ed. C. Austin, Berolini et
Novi Eboraci 1973

Chantraine 1933:
P. Chantraine, La formation des noms en grec ancien, Paris 1933

Citti 1975-1976:
V. Citti, Strutture e tensioni sociali nell'Antigone di Sofocle, in AIV 134 1975-1976, pp. 477-501

Cobet 1840:
C.G. Cobet, Observationes criticae in Platoni comici reliquias, Amstelodami 1840

Codino 2005:
F. Codino (a cura di), F. Engels, L'origine della famiglia, della propriet privata e dello stato,
Roma 2005

Cohen 1973:
E.E. Cohen, Ancient Athenian Maritime Courts, Princeton 1973

Collard 1975:
C. Collard, Euripides. Supplices, 2, Groningen 1975

Coman 1931:
J. Coman, L'ide de la Nmsis chez Eschyle, Paris 1931

Condello 2009:
F. Condello, Sofocle. Edipo re, Siena 2009

197
Coppola 1936:
G. Coppola, Il teatro di Aristofane, I, Bologna 1936

Cox 1989:
C.A. Cox, Incest, Inheritance and the Political Forum in Fifth-Century Athens, CJ 85 1989,
pp. 34-46

Cox 1998:
C.A. Cox, Household Interests. Property, Marriage Strategies and Family Dynamics in Ancient
Athens, Princeton 1998

Croiset 1904:
M. Croiset, Le Dionysalexandros de Cratinos, in REG 17 1904, pp. 297-310

Cromey 1982:
R.D. Cromey, Perikles' Wife: Chronological Calculations, in GRBS 23 1982, pp. 203-212

DAA:
A.E. Raubitschek, Dedications from the Athenian Akropolis, Cambridge 1940

Davidson 1958:
J.A. Davidson, Notes on the Panathenaea, JHS 78 1958, pp. 23-42

Davies 1971:
J.K. Davies, Athenian Propertied Families, 600-300 B.C., Oxford 1971

Degani 1983:
E. Degani (a cura di), Poesia parodica greca, Bologna 1983

Degani 1993:
E. Degani, Aristofane e la tradizione dell'invettiva personale in Grecia, in Aristophane.
Entretiens sur l'Antiquit Classique 38, par J.M. Bremer et E.W. Handley, Vandoeuvres-Genve
1993, pp. 1-36

Delcourt 1939:
M. Delcourt, Pricls, Paris 1939

DELG:
Dictionnaire tymologique de la langue grecque. Histoire des mots, ed. P. Chantraine, Paris 1968

Delneri 2004:
F. Delneri, Cratin. fr. 85 K.-A., Eikasmos 15 2004, pp. 69-74

Delneri 2006:
F. Delneri, I culti misterici stranieri nei frammenti della commedia attica antica, Bologna 2006

198
De Martino-Vox 1996:
F. De Martino, O. Vox, Lirica greca. Lirica ionica, 2, Bari 1996

Di Benedetto 1971:
V. Di Benedetto, Euripide: teatro e societ, Torino 1971

Dillon 1995:
M. Dillon, By Gods, Tongues and Dogs: the Use of Oaths in Aristophanic Comedy, in G&R 42
1995, pp. 135-151

Di Marco 2005:
M. Di Marco, Un'allusione a Pisistrato nei Chironi di Cratino (fr. 258 K.-A.), in SemRom 8, 2
2005, pp. 197-204

Dodds 1951:
E.R. Dodds, The Greeks and the Irrational, Berkeley-Los Angeles 1951

Dodds 1959:
Plato. Gorgias. A revised Text wit Introduction and Commentary by E.R. Dodds, Oxford 1959

Drachmann 1911:
A.B. Drachmann, Udvalgte Afhandlinger, Skyld og Nemesis, Copenhague 1911

Dbner 1959:
L. Dbner, Attische Feste, Hildesheim 1959

Dunbar 1995:
Aristophanes, Birds, ed. N. Dunbar, Oxford 1995

Ebert 1978:
J. Ebert, Das Parisurteil in der Hypothesis zum Dionysalexandros des Kratinos, in Philologus
122 1978, pp. 177-182

Edmonds 1957:
J.M. Edmonds, The Fragments of Attic Comedy, Leiden 1957

Ehlers 1966:
B. Ehlers, Eine vorplatonische Deutung des sokratischen Eros, Mnchen 1966

Ehrenberg 2001:
V. Ehrenberg, Sofocle e Pericle, trad. it., Brescia 2001 (ed. or. 1954)

Emperius 1847:
A. Emperius, Opuscola philologica et historica, Gottingae 1847

199
Ercolani 2002:
A. Ercolani (a cura di), Spoudaiogeloion. Form und Funktion der Verspottung in den
aristophanischen Komdie, Stuttgart-Weimar 2002

Farioli 1994:
M. Farioli, Cratino modello di Aristofane: il caso del Dionisalessandro e delle Rane, in
Aevum(ant) 7 1994, pp. 119-136

Farioli 2000:
M. Farioli, Mito e satira politica nei Chironi di Cratino, in RFIC 128 2000, pp. 406-431

FCG:
Fragmenta Comicorum Graecorum, ed. A. Meineke, Berol. 1839-1857
Ferguson 1949:
W.S. Ferguson, Orgeonika, Hesperia suppl. 8 1949, pp. 130-163

FGrHist:
F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923-1930; Leiden 1940-1958

Finley 1985:
M.I. Finley, La politica nel mondo antico, trad. it., Bari 1985 (ed. or. Cambridge 1983)

Flacelire 1983:
R. Flacelire, La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, trad. it., Milano 1983

Foster 2010:
E. Foster, Thucydides, Pericles and Periclean Imperialism, Cambridge 2010

Francis 1992:
E.D. Francis, Oedipus Achaemenides, in AJPh 113 1992, pp. 333-357

Frazer 1898:
J.G. Frazer, Pausanias's Description of Greece, 2, London 1898

Fusillo 2006:
M. Fusillo, Il dio ibrido. Dioniso e le Baccanti nel Novecento, Bologna 2006

Geissler 1969:
P. Geissler, Chronologie der Altattischen Komdie, Dublin-Zrich 1969

Godolphin 1931:
F.R.B. Godolphin, The Nemesis of Cratinus, in ClPh 26 1931, pp. 423-426

Gomme 1938:
A.W. Gomme, Aristophanes and Politics, in CR 52 1938, pp. 97-109

200
Gomme 1956:
A.W. Gomme, A Historical Commentary on Thucydides, II, books 2-3, Oxford 1956

Gomme 1959:
A.W. Gomme, A Historical Commentary on Thucydides. I , Introduction and Commentary on
Book I, Oxford 1959

Goossens 1935:
R. Goossens, Les Plutoi de Kratinos, in REA 37 1935, pp. 405-434

Goossens 1943:
R. Goossens, Une correction au texte des Plutoi de Cratinos (PSI, XI, no 1212, v. 26), in CE 17
1943, pp. 131-134

Goossens 1946:
R. Goossens, Nouvelles Recherches sur les Plutoi de Cratinos, in CE 21 1946, pp. 93-107

Gow 1950:
A.S.F. Gow, Theocritus, II, Cambridge 1950

Grenfell-Hunt 1904:
The Oxyrhynchus Papyri, 4, ed. by B.P. Grenfell, A.S. Hunt, London 1904

Grenfell-Hunt 1922:
The Oxyrhynchus Papyri. 15, ed. by B.P. Grenfell, A.S. Hunt, London 1922

Griffith 1999:
M. Griffith, Sophocles. Antigone, Cambridge 1999

Halliwell 1984:
S. Halliwell, Aristophanic Satire, in The Yearbook of English Studies, 14 1984, pp. 6-20

Handley 1982:
E.W. Handley, POxy 2806: A Fragment of Cratinus?, in BICS 29 1982, pp. 109-117

Hanow 1830:
R. Hanow, Exercitationum criticarum in comicos graecos liber primus, Hal. Sax. 1830

Harrison 1968:
A.R.W. Harrison, The Law of Athens, I, London 1968

Harrison 1971:
A.R.W. Harrison, The Law of Athens, II, Oxford 1971

Henderson 1975:
J. Henderson, The Maculate Muse, New Haven- London 1975

201
Henry 1995:
M.M. Henry, Prisoner of History. Aspasia of Miletus and her Biographical Tradition,
Oxford 1995

Hester 1977:
D.A. Hester, Oedipus and Jonah, in PCA 23 1977, pp. 33-61

Hirzel 1902:
R. Hirzel, Der Eid. Ein Beitrag zu seiner Geschichte, Leipzig 1902

Holt 1940:
J. Holt, Les noms d'action en - [-]. tudes de linguistique grecque, Aarhus 1940

Hose 1993:
M. Hose, Kratinos und der Bau des Perikleischen Odeions, Philologus 137 1993, pp. 3-11

Hunter 1983:
R.L. Hunter, Eubulus. The Fragments, Cambridge 1983

IG:
Inscriptiones Graecae

Imperio 1998:
O. Imperio, Callia, in A.M. Belardinelli, O. Imperio, G. Mastromarco, M. Pellegrino, P. Totaro (a
cura di), Tessere, Bari 1998, pp. 195-254

Inglese 1999:
Plutarco. Il cibarsi di carne. Introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura di L.
Inglese e G. Santese, Napoli 1999

Jacoby 1956:
F. Jacoby, Abhandlungen zur griechischen Geschichtschreibung, Leiden 1956

Jebb 1889:
R.C. Jebb, Sophocles. The Plays and Fragments, II: Oed. Col., Cambridge 1889

Judeich 1931:
W. Judeich, Topographie von Athen, Mnchen 1931

Kapparis 1995:
K. Kapparis, When were the Athenian Adultery Laws Introduced?, RIDA 42 1995, pp. 97-122

Kapparis 1996:
K. Kapparis, Humiliating the Adulterer: the Law and the Practice in Classical Athens, RIDA 43
1996, pp. 63-77

202
Kassel-Austin 1983:
Poetae Comici Graeci. IV. Aristophon-Crobylos, edd. R. Kassel-C. Austin, Berolini et Novi
Eboraci 1983

Knell 1979:
H. Knell, Perikleische Baukunst, Darmstadt 1979

Knox 1975:
B.M.W. Knox, Oedipus at Thebes. Sophocles' Tragic Hero and his Time, New Haven 1975

Kock 1880:
Comicorum Atticorum Fragmenta. I. Antiquae Comoediae Fragmenta, ed. T. Kock, Lipsiae 1880

Krte 1904:
A. Krte, Die Hypothesis zu Kratinos' Dionysalexandros, in Hermes 39 1904, pp. 481-498

Krumeich (et. al.) 1999:


R. Krumeich, N. Pechstein, B. Seidensticker, Das griechische Satyrspiel, Darmstadt 1999

Lanza 1977:
D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico, Torino 1977

Laroche 1949:
E. Laroche, Histoire de la racine nem- en grec ancien, Paris 1949

Laurenti 1988:
R. Laurenti, Aspasia e Santippe nell'Atene del V secolo, in Sileno XIV 1988, pp. 41-61

Leo 1878:
F. Leo, Bemerkungen zur attischen Komdie, in RhM 33 1878, pp. 400-417

Leschhorn 1984:
W. Leschhorn, Grnder der Stadt. Studien zu einem politisch-religisen Phnomen der
griechischen Geschichte, Stuttgart 1984

LGPN:
S.G. Byrne, P.M. Fraser, E. Matthews, M.J. Osborne, A Lexicon of Greek Personal Names, I-IV,
Oxford 1987-2005

Lilja 1976:
S. Lilja, Dogs in Ancient Greek Poetry, Helsinki 1976

LIMC:
Lexicon Iconographicum Mythologiae classicae, I-VIII, Zrich und Mnchen 1981-1997

203
Lipsius 1912:
J.H. Lipsius, Das Attische Recht und Rechtsverfahren. II, Leipzig 1912

Lobel 1968:
E. Lobel, And other Plays?, in The Oxyrhinchus Papyri 38 1968, pp. 78-94

Lobel 1971:
The Oxyrhynchus Papyri, 37, ed. by E. Lobel, London 1971

Loraux 1993:
N. Loraux, Grecia al femminile, trad. it., Roma 1993

Loraux 2006:
N. Loraux, La citt divisa. L'oblio della memoria storica di Atene, trad. it., Vicenza 2006
(ed. or. La cit divise. L'oubli dans la mmoire d'Athnes, Paris 1997)

LSCG:
F. Sokolowski, Lois Sacres des Cits Grecques, Suppl. 6, Paris 1962

LSJ:
A Greek-English Lexicon, compiled by H.G. Liddell and R. Scott, revised and augmented
throughout by Sir H.S. Jones, Oxford 1940: revised supplement, ed. P.G.W. Glare, Oxford 1996

Luiselli 1990:
R. Luiselli, Cratino, fr. 258,2 Kassel-Austin ( = 240.1 Kock): o ?, in QUCC 65
1990, pp. 85-99

Luppe 1963:
W. Luppe, Fragmente des Kratinos. II. Kommentar, diss. Halle 1963

Luppe 1966:
W. Luppe, Die Hypothesis zu Kratinos' Dionysalexandros, in Philologus 110 1966, pp. 169-193

Luppe 1967:
W. Luppe, Das Komikerglossar Pap.Oxy. 1801, Philologus 111 1967, pp. 86-109

Luppe 1967b:
W. Luppe, Die Papyrusfragmente der Plutoi des Kratinos, in WZHalle 16 1967, pp. 57-91

Luppe 1969:
W. Luppe, Kratinos-Konjekturen, in WZHalle 18 1969, 4, pp. 205-221

Luppe 1971:
W. Luppe, The Oxyrhinchus Papyri. Vol. 35. Ed. with Notes by E. Lobel, in Gnomon 43 1971a,
pp. 113-123

204
Luppe 1974:
W. Luppe, Die 'Nemesis' des Kratinos. Mythos uns politischer Hintergrund, in WZHALLE 23
1974 4, pp. 49-60

Luppe 1975:
W. Luppe, Review of CGFP, in GGA 227 1975, pp. 179-206

Luppe 1980:
W. Luppe, Nochmals zum Paris-urteil bei Kratinos, in Philologus 124 1980, pp. 154-158

Luppe 1988:
W. Luppe, ?, in ZPE 72 1988, pp. 37-38

MacDowell 1978:
D.M. MacDowell, The Law in Classical Athens, London 1978

Mainoldi 1984:
C. Mainoldi, L'image du loup et du chien dans la Grce ancienne d'Homre Platon, Paris 1984

Martinelli 1995:
M.C. Martinelli, Gli strumenti del poeta, Bologna 1995

Marzullo 1959:
B. Marzullo, Annotazioni critiche a Cratino, in H. Dahlmann, R. Merkelbach (a cura di), Studien
zur Textgeschichte und Textkritik, Kln-Opladen 1959, pp. 133-154

Marzullo 1962:
B. Marzullo, The Fragments of Attic Comedy ed. Edmonds 1-2, in Gnomon 34 1962, pp. 543-554

Marx 1959:
F. Marx, Plautus. Rudens. Text und Kommentar, Amsterdam 1959

Masaracchia 1958:
A. Masaracchia, Solone, Firenze 1958

Mastromarco 1983:
G. Mastromarco, Commedie di Aristofane, I, Torino 1983

Mastromarco 2003:
G. Mastromarco, Introduzione a Aristofane, Bari 2003 (quarta edizione)

Mastronarde 1994:
D.J. Mastronarde, Euripides. Phoenissae, Cambridge 1994

Mattingly 1977:
H.B. Mattingly, Vocabulary Change and Epigraphic Dating, Mnemosyne 30 1977, pp. 66-69

205
Mazzarino 2002:
S. Mazzarino, L'impero romano, 1, Bari 2002 (dodicesima edizione; prima ed. Bari 1973)

Medda 2006:
E. Medda, Euripide. Le Fenicie, Milano 2006

Meineke 1839:
Fragmenta Comicorum Graecorum. II/1. Fragmenta Poetarum Comoediae Antiquae, coll. et
disp. A. Meineke, Berolini 1839

Meineke 1843:
A. Meineke, Analecta Alexandrina, Berol. 1843

Meinel 1980:
R. Meinel, Das Odeion, Frankfurt a. M. 1980

Miller 1997:
M.C. Miller, Athens and Persia in the Fifth Century b.C. A Study in Cultural Receptivity,
Cambridge 1997

ML:
R. Meiggs D.M. Lewis (Edd.), A Selection of Greek Historical Inscriptions, Oxford 1988

Montuori 1977-1978:
M. Montuori, Di Aspasia milesia, in AFLN 20 1977-1978, pp. 63-85

Moorhouse 1982:
A.C. Moorhouse, The Syntax of Sophocles, Leiden 1982

Mosconi 2000:
G. Mosconi, La democrazia ateniese e la nuova musica: l'Odeion di Pericle, in Synaula.
Cultura musicale in Grecia e contatti mediterranei, a cura di A.C. Cassio, D. Musti, L.E. Rossi,
Napoli 2000, pp. 217-316

Muhl 1881:
J. Muhl, Zur Geschichte der alten attischen Komdie, Augsburg 1881

Musti 1997:
D. Musti, Demokrata. Origini di un'idea, Roma-Bari 1997

Musti 1998:
D. Musti, Storia greca. Linee di sviluppo dall'et micenea all'et romana, Roma 1998 (settima
edizione)

206
Napolitano 2002:
M. Napolitano, Onomast komoden e strategie argomentative in Aristofane (a proposito di Ar.
Ach. 703-718), in Ercolani 2002, pp. 89-103

Napolitano Kolakes:
M. Napolitano, I Kolakes di Eupoli. Introduzione, traduzione e commento dei frammenti, in
corso di stampa

Neri 1994-1995:
C. Neri, Le Dionisie del 424, in AFLB 37-38 1994-1995, pp. 261-288

Nilsson 1942:
M.P. Nilsson, Bendis in Athen, in From the Collection of the Ny Carlsberg Glyptothek III 1942,
pp. 169-188 ( = Opuscola selecta. III, Lund 1960 pp. 55-80)

Nilsson 1967:
M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion. I. Mnchen 1967

Norwood 1931:
G. Norwood, Greek Comedy, London 1931

Noussia 2003:
M. Noussia, The Language of Tiranny in Cratinus, PCG 258, in PCPhS 49 2003, pp. 74-88

Oellacher 1916:
H. Oellacher, Zur Chronologie der altattischen Komdie, in WS 38-40 1916-1918, pp. 81-157

Olson 2007:
S.D. Olson, Broken Laughter: Select Fragments of Greek Comedy, Oxford-New York 2007

Omitowoju 2002:
R. Omitowoju, Rape and Politics of Consent in Classical Athens, Cambridge 2002

O Neil 1986:
J.L. O Neil, The Semantic Usage of tyrannos and Related Words, in Antichthon 20 1986,
pp. 26-40

Orth 2009:
C. Orth, Zu PCG fr. adesp. 1105 (= CGFP 220 = P. Ox. 2743), in ZPE 168 2009, pp. 55-58

PA:
Prosopographia Attica, I-II, ed. I. Kirchner, Berolini 1901-1903

PAA:
J.S. Traill, Persons of Ancient Athens, Toronto 1994

207
Paduano 1994:
G. Paduano, Lunga storia di Edipo re. Sofocle e il teatro occidentale, Torino 1994

Palmer 1883:
A. Palmer, Some Notes on the Greek Comic Fragments, in Hermathena 4 1883, pp. 334-339

Paoli 1953:
U.E. Paoli, La donna greca nell'antichit, Firenze 1953

Pappadakis 1937:
N.G. Pappadakis, , AE 100 1937, pp. 808-823

Parker 1998:
V. Parker, . The Semantics of a Political Concept from Archilochus to Aristotle, in
Hermes 126 1998, pp. 145-172

Peek 1941:
W. Peek, Heilige Gesetze, MDAI(A) 66 1941, pp. 171-217

Pellegrino 2000:
M. Pellegrino, Utopie e immagini gastronomiche nei frammenti dell'archaia, Bologna 2000

Perdrizet 1905:
P. Perdrizet, Hypothse sur la premire partie du Dionysalexandros de Cratinos, in REA 7
1905, pp. 109-115

Perpillou 1973:
J.P. Perpillou, Les substantifs grecs en -, Paris 1973

Perrotta 1935:
G. Perrotta, Sofocle, Messina-Firenze 1935

Perusino 1968:
F. Perusino, Il tetrametro giambico catalettico nella commedia greca, Roma 1968

Perusino 1979:
F. Perusino, I metri di Difilo, in QUCC 31 1979, pp. 131-139

Piccirilli 1977:
Plutarco. La vita di Solone, a cura di M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano 1977

Pickard-Cambridge 1946:
A.W. Pickard-Cambridge, The Theatre of Dionysus in Athens, Oxford 1946

Pickard-Cambridge 1996:
A.W. Pickard-Cambridge, Le Feste drammatiche di Atene, trad. it. Firenze 1996

208
Pieters 1946:
J.T.M.F. Pieters, Cratinus. Bijdrage tot de Geschiedenis der Vroeg-Attische Comedie,
Leiden 1946

Pirrotta 2009:
S. Pirrotta, Plato comicus. Die fragmentarischen Komdie. Ein Kommentar, Berlin 2009

Plassart 1926:
A. Plassart, Inscriptions de Thespies, in BCH 50 1926, pp. 383-462

Podlecki 1998:
A.J. Podlecki, Perikles and his Circle, London-New York 1998

Pohlenz 1961:
M. Pohlenz, La tragedia greca, 2, trad. it., Brescia 1961 (ed. or. 1954)

Prandi 1977:
L. Prandi, I processi contro Fidia, Aspasia, Anassagora e l'opposizione a Pericle, Aevum 51
1977, pp. 10-26

Quaglia 1998:
R. Quaglia, Elementi strutturali nelle commedie di Cratino, in Acme 51 1998, pp. 23-71

Radici Colace-Sergi 2000:


P. Radici Colace, E. Sergi, nel lessico politico greco, in ASNP 5, 1 2000, pp. 223-236

Rau 1967:
P. Rau, Paratragodia. Untersuchung einer komischen Form des Aristophanes, Mnchen 1967

RE:
Real-Encyclopdie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart-Mnchen 1893-1978

Reinhardt 1990:
K. Reinhardt, Sofocle, trad. it. Genova 1990 (ed. or. 1947)

Revermann 1997:
M. Revermann, Cratinus' and the Head of Pericles, in JHS 117 1997,
pp. 197-200

Roberts 1895:
W.R. Roberts, The Ancient Beotians. Their Character and Culture and their Reputation,
Cambridge 1895

Robkin 1976:
A.L.H. Robkin, The Odeion of Perikles: Some Observations on its History, Form and Functions,
Diss.Washington 1976, Ann-ArborLondon 1981 (University Microfilm International)

209
Robkin 1979:
A.L.H. Robkin, The Odeion of Perikles: the Date of its Constructions and the Periclean
Building Program, in Anc. World 2 1979, pp. 3-12

Rodighiero 2000:
A. Rodighiero, La parola, la morte, l'eroe. Aspetti di poetica sofoclea, Padova 2000

Rohde 1952:
E. Rohde, Psych. Le culte de l'me chez les Grecs et leur croyance l'immortalit, (ed.
franaise par A. Reymond), Paris 1952

Roller 1990:
D.W. Roller, The Boiotian Pig, in Essays in the Topography, History and Culture of Boiotia, ed.
by A. Schachter, Teiresias, Suppl. 3, Montral 1990, pp. 139-144

Rsler-Zimmermann 1991:
W. Rsler, B. Zimmermann, Carnevale e utopia nella Grecia antica, Bari 1991

Rotolo 1980:
V. Rotolo, Il rito della , in Miscellanea di studi classici in onore di E. Manni,
VI, Roma 1980, pp. 1947-1961

Runkel 1827:
M. Runkel, Cratini veteris comici Graeci fragmenta, Lipsiae 1827

Rutherford 1904:
W.G. Rutherford, The Date of the Dionysalexander, in ClR 18 1904, p. 440

Sandbach 1973:
A.W. Gomme, F.H. Sandbach, Menander. A Commentary, Oxford 1973

Schmaltz 1995:
B. Schmaltz, Perikles, die Musik und die Meerzwiebel,in MDAI(A) 110 1995, pp. 247-252

Schmid 1946:
W. Schmid, Geschichte der griechischen Literatur. I/4. Die klassische Periode der griechischen
Literatur zur Zeit der attischen Hegemonie nach dem Eingreifen der Sophistik. 2, Mnchen 1946

Schwarze 1971:
J. Schwarze, Die Beurteilung des Perikles durch die attische Komdie und ihre historische und
historiographische Bedeutung, Mnchen 1971

Seaford 1984:
R. Seaford, Euripides 'Cyclops', Oxford 1984

210
Segoloni 1994:
L.M. Segoloni, Socrate a banchetto. Il 'Simposio' di Platone e i 'Banchettanti' di Aristofane,
Roma 1994

Sodano 1960-1961:
R. Sodano, La parodos parabatica dei Plutoi di Cratino. Testo critico ed esegesi, in AAP n.s.
10 1960-1961, pp. 19-48

Sodano 1961:
R. Sodano, La parodos parabatica dei Plutoi di Cratino. Metrica e struttura, in RAAN n.s. 36
1961, pp. 37-57

Stadter 1989:
P.A. Stadter, A Commentary on Plutarch's Pericles, Chapell Hill-London 1989

Steiner 1990:
G. Steiner, Le Antigoni, Milano 1990

Stevens 1976:
P.T. Stevens, Colloquial Expressions in Euripides, Wiesbaden 1976

Stone 1981:
L.M. Stone, Costume in Aristophanic Poetry, New York 1981

Storey 2003:
I.C. Storey, Eupolis. Poet of Old Comedy, New York 2003

Sutton 1980:
D.F. Sutton, The Greek Satyr Play, Meisenheim-am-Glan 1980

Taillardat 1965:
J. Taillardat, Les images d'Aristophane. tudes de langue et de style, Paris 1965

Tammaro 1975-1977:
V. Tammaro, Note e frammenti comici papiracei, in MCr 10/12 1975-1977, pp. 95-102

Tammaro 1978-1979:
V. Tammaro, Note a Cratino, in MCr 13-14 1978-1979, pp. 203-209

Tammaro 1984-1985:
V. Tammaro, Note a Cratino, in MCr 19-20 1984-1985, pp. 39-42

Tanner 1916:
R.H. Tanner, The of Cratinus and the Eleusinian Tax Decree, in CPh 65 1916,
pp. 65-94

211
Tel 2004:
M. Tel, Un palmipede spaccone (Ar. Av. 1295), Eikasmos 15 2004, pp. 75-83

Tel 2007:
M. Tel, Eupolidis. Demi, Firenze 2007

Theodoridis 1978:
C. Theodoridis, Zum Glossar des P.Oxy 1801.30-35 = Com. Graec. Fr. Pap. 343.30-35, ZPE 30
1978, pp. 69-72

Thieme 1908:
G. Thieme, Quaestionum comicarum ad Periclem pertinemtium capita tria, diss. Lipsiae 1908

Thompson 1936:
D.A.W. Thompson, A Glossary of Greek Birds, London-Oxford 1936

Thompson 1947:
D.A.W. Thompson, A Glossary of Greek Fishes, London 1947

Thompson 1972:
W.E. Thompson, Athenian Marriage Patterns. Remarriage, in CSCA 5 1972, pp. 211-225

Totaro 2006:
Commedie di Aristofane, a. c. di G. Mastromarco e P. Totaro, vol. II, Torino 2006

Tournier 1863:
E. Tournier, Nmsis et la jalousie des dieux, Paris 1863

Travlos 1971:
J. Travlos, Bildlexicon zur Topographie des antiken Athen, Tbingen 1971

TrGF:
Tragicorum Graecorum Fragmenta, ediderunt B. Snell, R. Kannicht, S. Radt, 1-5, Gttingen
1971-2004

Turolla 1948:
E. Turolla, Saggio sulla poetica di Sofocle, Bari 1948

Turpin 1980:
J.C. Turpin, L'expression et les actes de langage, in REG 93 1980,
pp. 352-367

Ugolini 2000:
G. Ugolini, Sofocle e Atene. Vita politica e attivit teatrale nella Grecia classica, Roma 2000

212
Unger 1839:
R. Unger, Thebana Paradoxa, Halis 1839

Valckenaer 1755:
L.C. Valckenaer, Euripidou Phoinissai. Euripidis tragoedia Phoenissae, Franequerae 1755

van Herwerden 1903:


H. van Herwerden, Collectanea critica, epicritica, exegetica sive addenda ad Theodori Kockii
opus Comicorum Atticorum Fragmenta, Lugd. Bat. 1903

van Leeuwen 1902:


Aristophanis Aves. Cum prolegomenis et commentariis ed. J. van Leeuwen, Leiden 1902

Vernant 1976:
J.P Vernant, Edipo senza complesso, in J.P. Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia in Grecia
antica, trad. it., Torino 1976, pp. 64-87

Wade-Gery 1958:
H.T. Wade-Gery, Essays in Greek History, Oxford 1958

Webster 1969:
T.B.L. Webster, An Introduction to Sophocles, London 1969

West 1992:
M.L. West, Ancient Greek Music, Oxford 1992

Wilamowitz 1879:
U. von Wilamowitz-Moellendorff, , Hermes 14 1879,
pp. 318-320

Wilamowitz 1904:
U. von Wilamowitz-Moellendorff, The Oxyrynchos Papyri part. IV ed. by Grenfell and Hunt, in
GGA 166 1904, pp. 659-678

Zielinski 1884:
T. Zielinski, Der Tod des Kratinos, in RhM 30 1884, pp. 301-307

Zielinski 1885:
T. Zielinski, Die Gliederung der altattischen Komdie, Leipzig 1885

Zimmermann 1983:
B. Zimmermann, Utopisches und Utopie in den Komdien des Aristophanes, in WJA N.F. 9
1983, pp. 57-77

213
Zimmermann 1993:
B. Zimmermann, Aristophanes und die Intellektuellen, in Aristophane. Entretiens sur l'Antiquit
Classique 38, par J.M. Bremer et E.W. Handley, Vandoeuvres-Genve 1993, pp. 255-280

Zimmermann 2010:
B. Zimmermann, La commedia greca. Dalle origini all'et ellenistica, ed. it. a cura di S. Fornaro,
Roma 2010

214
INDICI

215
INDICE DELLE COSE NOTEVOLI

Aspasia
nelle vesti di Elena (Dionisalessandro) 70-72; 76
nelle vesti di Era (Chironi) 182-183; 191
relazione con Pericle 184-187; 189-191
maestra di retorica 187-188

Bendis (introduzione del culto ad Atene) 10; 108-114; 128-130

Callia 119-123; 125; 130


Cercione 80-83
Cheride 155-156
Chirone (centauro) 161-163
chironi (coro) 161-164
Clistene 14; 34
Creonte (tiranno) 16-20

decreto di Morichide 10; 192


deformit della testa di Pericle 116-117; 152-153; 170; 180
Diitrefe 164-166
Dioniso 'codardo' 60; 78
diritto di cittadinanza ateniese (e legge periclea sulla cittadinanza) 37-38; 52-53; 153-154

Edipo (tiranno) 20-25


Eteocle (tiranno) 25-29
Evatlo 123-125; 128; 130
figura dell'indovino; 96-97
fondazione di Turi 103-106; 98-100

gioco del 87
giuramento di Radamanto 167

imperialismo pericleo 39-44

Lampone 89-100; 103-106

Nemesi (divinit) 136; 138-139

216
odeon 114-115; 118
onomast komoden 6-7; 192
Osfione 164-166
ostracismo 14; 181-182; 192

papponymicorum usus 84-85


Paride 'codardo' 60
Pericle Olimpio 115-116
peste di Atene 42-44
Pisia 164-166
Pisistrato (in relazione con Pericle) 10; 174-177; 179; 181; 193
produzione e cronologia di Cratino 4-5
Psira 151-152

regola dei tre attori 57-59

Senofonte 104-105
Solone 161; 177-179
sparto 149-151

Teseo
mitico re di Atene 34
nelle Supplici di Euripide 29-34
come rappresentazione scenica di Pericle in Cratino 81-85; 87-88
travestimento (nel mito e nel culto di Dioniso) 68-69
Tucidide di Melesia (come avversario di Pericle) 92; 97; 99; 106

vilt di Pericle 10; 70-72; 76

217
INDICE DELLE PAROLE GRECHE

94 100-101
169
108-110
141; 143
145; 148
152-153 141; 143
75-77 141; 143-144
54-56 114-116; 180
145; 147-148 145-146
85-87 149-151
145 89; 169
60; 72 10; 115; 117; 169-174; 177; 193
112-114
115; 117; 152-153 110-111; 113
10; 104; 182-183
117; 169-172; 180 55-56
126 92-93
113 10-16; 21-24; 29-31; 35; 45-46; 169;
110 177; 191; 193

102-103 91-92
141; 143-144 140-141
20
164; 166
7; 134-138; 158 54-56

7; 152-154 92

56-59
75

218
INDICE GENERALE

INTRODUZIONE 3
1. Cratino e il suo teatro 4
2. Il tiranno tragico 12
3. Pericle tiranno nella commedia politica di Cratino 36

PRIMO CAPITOLO 49
IL DIONISALESSANDRO 50

SECONDO CAPITOLO 80
LE FUGGITIVE 81

TERZO CAPITOLO 108


LE TRACIE 109

QUARTO CAPITOLO 134


IL CONCETTO DI 'NEMESI' E LA NEMESI DI CRATINO 135

QUINTO CAPITOLO 161


I CHIRONI 162

BIBLIOGRAFIA 195

INDICI 216
INDICE DELLE COSE NOTEVOLI 217
INDICE DELLE PAROLE GRECHE 219

219

Potrebbero piacerti anche