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Attivo tra VII e VI secolo a.C., Stesicoro, «colui che istituisce il coro», si sarebbe in realtà chiamato Tisia.

 La
cronologia che lo riguarda è incerta; secondo la Suda, sarebbe nato intorno al 630 a.C. e morto nel 556/553. Se così
fosse, egli sarebbe circa nato quarant’anni dopo Alcmane e la sua scomparsa coinciderebbe con la nascita di Simonide
(coincidenze un po’ sospette, vista la predilezione nutrita dagli antichi per tali sincronie…).

I luoghi che le fonti citano come sua patria e come suo ambito di attività si trovano soprattutto in Magna Grecia e in
Sicilia: si parla infatti di Imera, Matauro, Locri Epizefiri; sembra probabile che sia nato a Matauro, colonia di Locri.  Il
soprannome Stesicoro gli venne attribuito dopo che ebbe perfezionato la struttura strofica triadica peculiare della
lirica corale, ossia la sequenza di strofe, antistrofe ed epodo.  La morte, avvenuta quando il poeta era ormai in età
avanzata, lo raggiunse a Catania.

Una leggenda lo vuole punito con la cecità dai Dioscuri poiché aveva offeso Elena, loro sorella, rappresentandola come
una donna adultera; il poeta avrebbe recuperato la vista dopo aver composto una o due palinodie (ossia canti di
ritrattazione) in cui di Elena proclamava l’innocenza. Tali versioni del mito compiacevano un uditorio dorico, spartano.

L’opera

Della vasta produzione di Stesicoro, organizzata dai dotti ellenistici in ventisei libri, rimangono 250 frammenti,
integrati dai ritrovamenti papiracei; restano inoltre quindici titoli.  Le occasioni esecutive delle poesia di Stesicoro
erano probabilmente festività religiose, agoni; tuttavia, vista l’ampiezza (talvolta superiore ai 1000 versi) e la natura
narrativa dei suoi componimenti, è discussa la natura corale (si propende per un’esecuzione monodica) delle sue
liriche.

Le fonti più antiche paiono però considerarlo, in genere, un poeta corale; un passo di Quintiliano tuttavia lo lega al
genere monodico: lo scrittore latino definisce infatti Stesicoro epici carminis onera lyra sustinentem…

Sappiamo di sue lunghe composizione aventi per tema narrazioni appartenenti ai cicli di Eracle; tebano; troiano (in
questo rientra la Palinodia di Elena…); degli Argonauti; del Cinghiale calidonio.

In due dei ventisei libri raccolti dagli Alessandrini comparivano vicende mitiche, legate ad Agamennone, Clitemnestra
e ai loro figli Elettra e Oreste, destinate a venire spesso riprese nel teatro attico. Frequente, in Stesicoro,
l’approfondimento della psicologia dei personaggi e il ricorso a discorsi diretti, anche di donne (ad esempio, nel
«papiro di Lilla», edito nel 1977, si trova un lungo discorso attribuito a Giocasta).  Narratore di epica in metro lirico,
Stesicoro ha un ‘seguito’ proprio sulla scena tragica; in ambito lirico, venne emulato in parte, con il suo
sperimentalismo, da Ibico; altrimenti, subì la concorrenza dell’epos vero e proprio.

La lingua di Stesicoro: Stesicoro compone in dialetto dorico, con elementi eolici (e qualche volta ionici); la frequenza
delle riprese da Omero gli valse però il titolo di «omericissimo» che era stato conferito già ad Archiloco.

Sull’origine di Ibico circolano varie ipotesi, molte leggendarie. La notizia più probabile vuole che sia nato a Reggio
intorno al 580 a.C. da famiglia aristocratica (il padre era il nobile Fizio); altri ne ‘spostano’ la nascita a Messene e
attribuiscono la paternità a Polizelo. Secondo una leggenda, addirittura si allontanò dalla sua città per non diventarne
tiranno

Riguardo alla scomparsa di Ibico, era diffusa un’ulteriore leggenda: si raccontava cioè che il poeta, ferito da alcuni
predoni, prima di morire avesse invocato l’aiuto delle gru che volavano nel cielo (gru = ibyx); qualche tempo dopo uno
dei ladri, seduto a teatro, vedendo delle gru in cielo, le derise ad alta voce come “le gru di Ibico”, così smascherandosi
e condannando se stesso e i propri compagni alla debita punizione.

Itinerante come Anacreonte, un po’ prima del poeta di Teo Ibico si recò a Samo, presso Policrate (si è tra il 564/561 e il
541 a.C.). Compose versi per il tiranno stesso, ancora in età giovanile, e/o per il figlio omonimo

L’opera

Dell’opera di Ibico, organizzata dai dotti alessandrini in sette libri, restano circa 170 frammenti.  Parte delle sua
produzione sembra presentare contenuti mitici in forme liriche (corali? monodiche?) alla maniera di Stesicoro
(citarodie): i frammenti rimasti sono però troppo esigui perché si abbia un’idea definita, del tutto chiara, della natura
di tali componimenti.
Uno di questi frammenti, particolarmente esteso, presenta però una sorta di recusatio: Ibico accenna infatti alle
vicende troiane, ma poi – dichiarando il tema troppo alto per sé (è un tema per cui chiedere assistenza alle Muse) –
passa a celebrare la bellezza dei figli di Priamo e loda Policrate; si tratterebbe dunque, in questo caso come per altri
suoi componimenti, di poesia simposiale.

Parte della produzione di Ibico (destinata a convivi privati o alle corti dei tiranni) è infatti simposiale, e include
contenuti pederotici, alla maniera anacreontea. Il tema dell’eros è affrontato e descritto da Ibico con forte
passionalità.

Ibico cantò poi le vicende mitiche

1. di Meleagro;
2. degli Argonauti;
3. di Achille;
4. di Medea;
5. di Elena e Menelao;
6. di Deifobo e Idomeneo a contesa per Elena;
7. di Ganimede e Titone;
8. di Endimione

Prestava molta attenzione, quando il soggetto lo consentiva (come negli ultimi due casi appena menzionati), agli
aspetti erotici dei miti e alla bellezza dei personaggi descritti.

Autore anche di epinici e ditirambi, Ibico è ricordato inoltre come l’inventore di uno strumento musicale a quattro
corde, chiamato sambuca. Scrive in lingua dorica, nella quale compaiono anche varie forme eoliche ed epiche. Da
sottolineare, come tratto stilistico peculiare di Ibico, l’aggettivazione ricercata e molto fitta, che a qualche studioso è
parsa ‘barocca’.

Il giardino delle vergini ( frammento 186 Davies)

Quand’è primavera, sia i meli Cidoni, irrigati dai flussi dei fiumi, là dov’è l’intatto giardino delle Vergini, sia i fiori della
vite, che crescono al di sotto degli ombrosi germogli dei pampini, fioriscono; a me invece l’amore in nessuna stagione
mai s’acquieta; Borea fiammeggiante di folgore, che viene di Tracia, slanciandosi impetuoso per impulso di Cipride,
con torride follie, tenebroso, impassibile, con forza, totalmente, fa la guardia al mio cuore.

Amore, un’altra volta (frammento 287 Davies)

Amore, un’altra volta, di sotto le sue scure palpebre, va fissandomi con sguardo seducente, e con ogni sorta d’incanti
mi getta nelle reti insolubili di Cipride; e io davvero ho un tremito al suo assalto, tal quale cavallo da giogo, campione,
giunto a vecchiaia, che malvolentieri col cocchio veloce s’accosta alla sfida.

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