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Iliade

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«Μῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος «Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta
οὐλομένην, ἣ μυρί᾿ Ἀχαιοῖς ἄλγε᾿ ἔθηκε» che infiniti addusse lutti agli Achei»

(Omero, Iliade, I, vv. 1-2. Traduzione di Vincenzo Monti)

Iliade

Titolo originale Ἰλιάς

Frontespizio dell'edizione di Theodosius Rihel, databile 1572 ca.

Autore Omero

1ª ed. originale VI secolo a.C.[1]

Editio princeps 9 dicembre 1488

Genere poema

Sottogenere epica

Lingua originale greco antico

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Ambientazione Guerra di Troia

Achille
Aiace
Agamennone
Ulisse
Ettore
Priamo
Paride
Patroclo
Protagonisti Dei olimpici

Serie Ciclo troiano

L'Iliade (in greco antico: Ἰλιάς, Iliás) è un poema epico in esametri dattilici, tradizionalmente attribuito a
Omero, il cui nome, di origine Illira, sta a significare "il buono" in antico albanese. Ambientato ai tempi
della guerra di Troia, città da cui prende il nome[2], narra gli eventi accaduti nei cinquantuno giorni del
decimo e ultimo anno di guerra, in cui l'ira di Achille è l'argomento portante del poema. Opera ciclopica e
complessa, è un caposaldo della letteratura greca e occidentale.

Tradizionalmente datata al 750 a.C. circa[3], Cicerone afferma nel suo De oratore che Pisistrato ne aveva
disposto la sistemazione in forma scritta già nel VI secolo a.C., ma si tratta di questione discussa dalla
critica.[4] In epoca ellenistica fu codificata da filologi alessandrini guidati da Zenodoto nella prima edizione
critica, comprendente 15.696 versi divisi in 24 libri (ciascuno corrispondente a un rotolo, che ne dettava la
lunghezza).[5] Ai tempi il testo era infatti estremamente oscillante, visto che la precedente tradizione orale
aveva originato numerose varianti. Ciascun libro è contraddistinto da una lettera maiuscola dell'alfabeto
greco e riporta in testa un sommario del contenuto.

Descrizione

Datazione
L'opera venne composta probabilmente nella regione della Ionia Asiatica. La sua composizione seguì un
percorso di formazione, attraverso i secoli e i vari cambiamenti politici e socio-culturali, che comprese
principalmente tre fasi:

fase orale, nella quale vari racconti mitici o concernenti racconti eroici incominciarono a circolare in
simposi e feste pubbliche durante il Medioevo ellenico (1200-800 a.C.), rielaborando racconti
riguardanti il periodo miceneo;
fase aurale nella quale i poemi incominciarono ad assumere organicità grazie all'opera di cantori e
rapsodi, senza però conoscere una stesura scritta (età arcaica e classica);
La fase scritta, nella quale i poemi sono stati trascritti. Secondo alcuni storici questa fase risale al VI
secolo a.C. durante la tirannide di Pisistrato ad Atene.

La prima testimonianza sicura del poema è di Pisistrato, tiranno di Atene (561-527 a.C.). Dice infatti
Cicerone nel suo De Oratore: “primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc
habemus” ("Si dice che Pisistrato per primo avesse ordinato i libri di Omero"). Il primo punto fermo è

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quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti i libri di Omero, ordinati.

L'oralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche. L'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul
modello di Atene ogni città (di sicuro Creta, Cipro, Argo e Massalia, oggi Marsiglia) probabilmente aveva
un'edizione “locale”, detta kata polin. Le varie edizioni kata poleis non erano probabilmente molto
discordanti tra di loro.

Si hanno notizie riguardo edizioni precedenti all'ellenismo, dette polystikoiai, “con molti versi”; avevano
sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ne parlano ma non se ne conosce
l'origine.

L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci si avvicinavano alla lettura
attraverso i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più
facile comprensione per i bambini.

Si conosce anche l'esistenza di edizioni kata andra (personali): personaggi illustri si facevano fare
edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade
e dell'Odissea (versioni prealessandrine). Si è arrivati, in seguito, a una sorta di testo base attico, una
vulgata attica.

Teagene di Reggio, VI secolo a.C., fu il primo critico e divulgatore dell'Iliade, che fra l'altro pubblicò.

Gli antichi grammatici alessandrini tra il III e il II secolo a.C. concentrarono il loro lavoro di filologia del
testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché era universalmente
riconosciuto padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (diorthosis) volta a eliminare
le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che
entravano anche tutte insieme.

Si arrivò dunque a un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre grandi filologi, vissuti tra
la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione
alfabetica dei libri e operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio,
di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo fu un gran commentatore, inserì la prosodia (l'alternarsi di
sillabe lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti; Aristarco di Samotracia, che
operò una forte e oggi considerata sconveniente atticizzazione - convinto che Omero fosse di Atene - e si
occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo “dubbio”, curandosi però di mettere un obelos con le
altre lezioni scartate. Non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi.

Il testo dell'Iliade giunto all'età contemporanea è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su
874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; per quanto riguarda le
parti considerate dubbie dai commentatori antichi, la vulgata alessandrina è quindi uguale alla nostra solo
per il 10%. Si può anche ritenere che tale testo non fosse definitivo, ed è possibile che nella stessa
biblioteca di Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni
dell'Iliade.

Un'invenzione molto importante della biblioteca di Alessandria furono


gli scolia, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni,
commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il III e il II

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secolo a.C. dagli studiosi alessandrini; poi tra il I secolo e il II secolo d.
C. quattro scoliasti redassero gli scolia dell'Iliade, poi compendiati da
uno scoliasta successivo nell'opera “Commento dei 4”. L'Iliade di
Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa:
anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti
dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie
tradizioni orali e rapsodiche.

Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il


testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti Pieter Paul Rubens, Achille
stabilirono il numero e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C. sparirono trafigge Ettore 1630-1635.
le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i
papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è
la sintesi di tutto.

Nel medioevo occidentale non era diffusa la conoscenza del greco, nemmeno tra personaggi come Dante
o Petrarca; uno dei pochi che lo conosceva era Boccaccio, che lo imparò a Napoli da Leonzio Pilato.
L'Iliade era conosciuta in occidente grazie alla Ilias tradotta in latino di età neroniana.

Prima del lavoro dei grammatici alessandrini, il materiale di Omero era molto fluido, ma anche dopo di
esso altri fattori continuarono a modificare l'Iliade, e per arrivare alla koinè omerica bisognerà aspettare il
150 a.C.

L'Iliade fu molto più copiata e studiata dell'Odissea. Nel 1170 Eustazio di Salonicco contribuì alla sua
diffusione in modo significativo. Nel 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi; un grandissimo numero di
profughi migrarono da oriente verso occidente, portando con sé una gran mole di manoscritti. Questo
accadde fortunatamente in concomitanza con lo sviluppo dell'Umanesimo, tra i punti principali del quale
c'era lo studio dei testi antichi.

Nel 1920 si ammise che era impossibile fare uno stemma codicum per Omero perché, già in quel
periodo, escludendo i frammenti papiracei, c'erano ben 188 manoscritti, e anche perché non si riesce a
risalire a un archetipo di Omero. Spesso i nostri archetipi risalgono al IX secolo, quando, a
Costantinopoli, il patriarca Fozio si preoccupò che tutti i testi scritti in alfabeto greco maiuscolo fossero
traslitterati in minuscolo; quelli che non furono traslitterati, andarono perduti. Per Omero tuttavia non
esiste un solo archetipo: le traslitterazioni avvennero in più luoghi contemporaneamente.

Il più antico manoscritto capostipite completo dell'Iliade è il Marcianus 454 A, presente a Venezia;
risalente al X secolo, fu ricevuto dal cardinal Bessarione dall'oriente, da Giovanni Aurispa. I primi
manoscritti dell'Odissea sono invece dell'XI secolo.

L'editio princeps dell'Iliade è stata stampata nel 1488 a Firenze da Demetrio Calcondila. Le prime edizioni
veneziane, dette aldine dallo stampatore Aldo Manuzio, furono ristampate ben 3 volte, nel 1504, 1517,
1512, indice questo senza dubbio del gran successo sul pubblico dei poemi omerici.

L'eroicità è riconosciuta come accento fondamentale del poema, e per Omero "eroico" è tutto ciò che va
oltre la norma, nel bene e nel male e per qualunque aspetto. Queste grandezze non sono guardate con
occhio stupito, perché il poeta è inserito nel mondo che descrive, e l'eroico è dunque sentito come

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normalità. L'intera guerra è descritta come un seguito di duelli individuali, raccontati spesso secondo fasi
ricorrenti[6].

L'opera non tratta, come si presumerebbe dal titolo, dell'intera guerra di Ilio (Troia), ma di un singolo
episodio di questa guerra, l'ira di Achille, che si svolge in un periodo di 51 giorni. Aristotele lodò Omero
nella Poetica, per aver saputo scegliere, nel ricco materiale mitico-storico della guerra di Troia, un
episodio particolare, rendendolo centro vitale del poema, e affermò, inoltre, che la poesia non è storia,
ma una fecondissima verità teoretica e di fatto.

L'ira è un motivo centrale nel poema. L'ira di Achille è determinata dalla sottrazione della schiava
Briseide. L'ira gli fa riconquistare l'onore perduto; la parte del bottino razziato in battaglia veniva infatti
assegnata al guerriero in proporzione al suo valore e al suo ruolo di combattente. Al tema dell'ira è legato
quello della gloria che l'eroe conquista combattendo con valore e che gli permette di perpetuare la propria
immagine alle generazioni future.

Gli dei sono antropomorfi, cioè hanno sembianze fisiche e sentimenti umani: si amano e si odiano,
tramano inganni; mostrano desiderio, vanità, invidia. Al di sopra di loro sta il Fato ineluttabile (in greco.
móira), cioè il Destino. Gli dei intervengono direttamente nelle vicende umane.

Altri motivi presenti sono: il senso del dovere, la vergogna del giudizio negativo e la necessità di
proteggere i propri cari.

Iliade, Libro VIII, versi 245-253 - da


un manoscritto greco di fine V
secolo o inizio VI secolo.

Achei

Achille (patronimico Pelide): figlio della Dea Teti (una ninfa marina) e di Peleo (re di Ftia), il più forte
e valoroso guerriero acheo;
Agamennone (patronimico Atride): re di Argo e di Micene, fratello di Menelao, figlio di Atreo e marito
di Clitemnestra (che in seguito lo ucciderà per aver accettato di sacrificare la figlia). Egli è il
comandante dell'esercito acheo;
Aiace Oileo: re della Locride, figlio di Oileo, uno dei capi achei più efferati;
Aiace Telamonio: eroe greco, figlio di Telamone, principe di Salamina;
Calcante: indovino greco;
Diomede: (patronimico Tidide): eroe greco, re di Argo;

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Elena: moglie di Menelao, sorella di Castore e Polluce, figlia di Zeus e Leda, che sotto l'incantesimo
di Afrodite viene sedotta da Paride, abbandona il marito e parte per Troia. La sua bellezza, secondo
la narrazione delle Ciprie, è la causa della guerra;
Macaone: medico greco, guarisce e salva Menelao;
Menelao (patronimico Atride): re di Sparta e marito di Elena, fratello di Agamennone;
Mirmidoni: popolo di guerrieri agli ordini di Achille;
Nestore: anziano eroe greco, re di Pilo;
Odisseo o Ulisse: re di Itaca (patronimico Laertiade o Laerziade), ideatore dell'inganno col quale i
Greci in seguito distruggeranno Troia; eroe caratterizzato da grande astuzia;
Patroclo: figlio di Menezio (re di Opunte). Discepolo, compagno di Achille ed eroe greco; viene
ucciso da Ettore.

Troiani

Andromaca (patronimico Eezionide): moglie di Ettore, figlia di Eezione e madre del piccolo
Scamandro (fiume di Troia), detto dal popolo Astianatte (difensore della città, per via del padre);
Asteropeo: giovane condottiero peone, alleato dei Troiani; riesce a ferire Achille prima di venire da
lui ucciso;
Cassandra: profetessa, figlia di Priamo;
Deifobo: principe troiano figlio di Priamo e fratello prediletto di Ettore;
Dolone: araldo troiano, traditore dei suoi concittadini[7]; viene decapitato da Diomede dopo essere
stato fatto da lui prigioniero;
Ecuba: seconda moglie di Priamo, madre della maggior parte dei figli del re;
Eleno: figlio di Priamo, indovino e fratello gemello di Cassandra;
Enea: valoroso eroe troiano, figlio di Anchise e Afrodite;
Ettore (patronimico Priamide): capo assoluto dell'esercito troiano, figlio di Priamo, fratello di Paride
e marito di Andromaca; viene ucciso da Achille; eroe generoso;
Glauco: capo licio, cugino di Sarpedonte;
Pandaro: arciere alleato dei troiani, ferisce a tradimento Menelao e cade per mano di Diomede;
Paride (patronimico Priamide): principe troiano figlio di Priamo, fratello di Ettore, provocatore della
guerra e assassino di Achille;
Priamo: re di Troia; padre di cinquanta figli tra cui Ettore e Deifobo;
Reso: giovane signore di Tracia, alleato dei troiani; viene ucciso nel sonno da Diomede;
Sarpedonte: figlio di Zeus e re dei Lici, alleato dei troiani; viene ucciso da Patroclo.

Divinità

Nel poema, alcune divinità aiutano i Troiani e altre gli Achei.


Gli dei a favore dei Troiani sono: Eris, Afrodite, Apollo, Ares,
Artemide, Dione, Latona, Scamandro (dio dell'omonimo
fiume). Gli dei a favore degli Achei sono: Atena, Poseidone,
Era, Efesto, Ermes, Teti. Restano invece neutrali Zeus,
Peone, Iride, Ebe e le Moire. Inoltre compare Ipno (dio del
sonno), che addormenterà temporaneamente Zeus su
richiesta di Era.

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Ritratto immaginario di Omero, copia romana
del II secolo d.C. di un'opera greca del II
secolo a.C. Conservato al Museo del Louvre
di Parigi.

Struttura
L'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano 51 giorni dell'ultimo anno della guerra di Troia. Il nucleo
conduttore della storia è l'ira d'Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie
aristie, ovvero le narrazioni di gesta d'altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie
(battaglie di dei).

In questo caso l'autore è Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - autore di due fondamenti della letteratura
occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade sia l'Odissea, viaggio
di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.

I poemi del ciclo troiano erano otto e oltre a Odissea e Iliade comprendevano anche: Cypria, L'Etiopide,
La Piccola Iliade, La caduta di Troia, I Nostoi, Telegonia, in gran parte andati perduti. Si conoscono i loro
nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nel V secolo, che li riassunse in un
manoscritto.

Nell'Iliade, oltre agli dei e agli uomini, si trova una sottocasta di semidei antropomorfi. Tra questi vi è
anche Achille. Nei testi epici tali personaggi si possono riconoscere dal fatto che hanno un genitore divino
e uno umano. Le ambientazioni della storia sono meno realistiche rispetto all'Odissea.

Le città sono poco descritte, a differenza delle navi achee, descritte con molto più dettaglio da parte
dell'autore.

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Sinossi del poema
Paride, principe troiano, rapisce Elena, moglie del re
spartano Menelao. Per questa ragione si mobilita tutta la
Grecia achea per vendicare l'offesa. Dopo nove anni di
assedio, Agamennone, capo dell'armata achea e fratello
di Menelao, si rifiuta di restituire a Crise, sacerdote di
Apollo, la figlia Criseide, che egli ottenne come preda di
guerra. Perciò il dio infligge una pestilenza al campo dei
Greci, costringendo Agamennone a restituire Criseide.
Per compensarsi della perdita, egli sottrae ad Achille la
sua schiava Briseide.
Il Pelide, sdegnato, ritenendo d'avere ricevuto un affronto,
decide di non combattere più a fianco degli Achei, che
senza di lui subiscono gravi perdite. Patroclo, compagno
di Achille, decide di scendere in campo con le sue armi
fingendosi Achille, ma viene ucciso da Ettore, principe
ereditario troiano e comandante in capo dell'esercito, che Achille che cura Patroclo, vaso con figure rosse
solo dopo averlo sconfitto lo riconosce. del pittore di Sosia.
Achille, riarmato da Efesto, torna a combattere per
vendicare la morte del compagno; trova lo scontro con Ettore che uccide in duello, legando il suo corpo a
un carro, trascinandolo fuori dalle mura di Troia e confiscando il cadavere. Priamo, re dei troiani, giunge
nel campo dei Greci a chiedere la restituzione di Ettore; Achille fa dunque una pace personale con
Priamo, permettendogli di riscattare la salma del figlio.
Il destino della città di Troia privo del suo eroe più forte sarà comunque senza speranza.

Trama

Prologo dello scoppio della guerra secondo il mito

Giunti gli eserciti della Grecia a Troia, la sorte per i nemici della Grecia è segnata, perché gli abitanti
divini dell'Olimpo, divisi in tre parti, di cui una parteggia per il popolo avversario, aiutano i guerrieri con i
loro prodigi.

Il proemio
Una delle versioni più note del proemio è quella di
Vincenzo Monti, benché ne esistano di maggiormente
fedeli all'originale:

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Il proemio.
«Cantami, o diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempia), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.»

Ira di Achille (libri I-VIII)

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Libro I: Il Proemio introduce cosa il lettore scoprirà nell'opera: l'ira di Achille, seguíta ad un litigio
con Agamennone, provocherà molte morti fra i Greci, i cui corpi giaceranno abbandonati, privi di
degna sepoltura. Tutto inoltre accade per volontà di Zeus. La narrazione prosegue con la
spiegazione del motivo della lite tra Achille e Agamennone, strettamente correlata alla presenza
della peste nel campo dei Greci, che a sua volta sta facendo strage di guerrieri: essa ha una causa
ben precisa ed è legata ad un torto che Agamennone ha fatto a Crise, sacerdote di Apollo, il quale
si era recato presso il campo dei Greci per riscattare la figlia Criseide, detenuta come schiava da
Agamennone. Questi però ha insultato il sacerdote e lo ha scacciato in malo modo; Crise allora
prega il dio Apollo di vendicarlo. Questi accoglie la richiesta del suo sacerdote e scatena con le sue
frecce la peste nel campo dei Greci, che dura nove giorni. Il decimo giorno viene convocata
un'assemblea durante la quale l'indovino Calcante rivela che il dio Apollo è adirato a causa del torto
subito da Crise e che l'unico modo per placare Apollo e fare cessare la peste è restituire a Crise la
figlia Criseide. Agamennone non vuole privarsi della sua schiava preferita; tuttavia accetta a
condizione di avere un'altra schiava in cambio. Achille, che ritiene ingiusto quanto richiesto da
Agamennone, gli propone invece di aspettare il prossimo saccheggio ma Agamennone rifiuta,
minacciando anzi Achille che piuttosto prenderà in cambio proprio la sua schiava. La risposta di
Agamennone scatena l'ira di Achille, e il litigio degenera rapidamente tra i due con uno scambio di
dure battute. Al culmine del litigio, Achille è sul punto di colpire a morte Agamennone ma interviene
la dea Atena, inviata da Era, per fermarlo e invitarlo a sfogarsi contro Agamennone solo con insulti
e offese. Achille fa come richiesto da Atena ma decide anche, per il bene dei Greci, che lascerà
andare la sua schiava cedendola ad Agamennone; dichiara inoltre che abbandona il conflitto.
L'anziano Nestore prova a intervenire per mettere pace tra i due ma la rottura è insanabile: nessuno
dei due è disposto a perdonare il torto subito. Inoltre Achille è deciso a punire Agamennone per la
sua arroganza ritirandosi dalla battaglia, consapevole che senza il suo aiuto gli esiti della guerra
cambieranno, che i Greci lo rimpiangeranno e che Agamennone stesso si pentirà di averlo offeso.
Abbandonata l'assemblea, dopo aver ricevuto la visita degli araldi di Agamennone giunti a prendere
la sua schiava, Achille si reca sulle rive del mare dove invoca la madre Teti; a questa, accorsa alla
sua richiesta, chiede di aiutarlo a vendicarsi di Agamennone, intercedendo presso Zeus al quale
dovrà chiedere di far vincere i Troiani. Teti acconsente e si reca presso il monte Olimpo per parlare
con Zeus. Intanto Odisseo organizza la restituzione di Criseide allestendo una nave diretta all'isola
di Crisa, dove si svolgerà una ecatombe in onore di Apollo; il rito durerà tutto il giorno e i
partecipanti faranno ritorno solo all'alba del giorno seguente. Nel frattempo, Teti è ricevuta da Zeus
al quale sottopone la richiesta di Achille. Zeus accetta ma a condizione di tenere tutto nascosto a
Era. Il patto tra i due si conclude e Teti va via, ma Era ha visto tutto e capisce che tra i due si è
concluso un accordo che lei ignora; prova ad affrontare Zeus per scoprirlo ma viene respinta con
irritazione da quest'ultimo. Interviene a questo punto Efesto, figlio di entrambi, che calma la madre e
la invita a non rovinare il banchetto in corso. Il canto si chiude con il ritiro di tutti gli dèi nelle loro
case per il riposo notturno, compresi Zeus ed Era.
Libro II: Tersite, guerriero acheo, brutto e storpio, non perde mai l'occasione per sbeffeggiare tutti e
ridicolizzare i loro vizi e falsi onori, attribuendoli a dei mostri anziché a dei valorosi soldati pieni di
virtù. Le sue invettive non verranno ascoltate, anzi verrà punito dal guerriero Odisseo (Ulisse per i
romani). Ma, sebbene Agamennone pensi di poter vincere lo stesso, anche senza l'intervento di
Achille, scoprirà di sbagliare. Nella notte dopo lo scontro con Achille, il re decide di ritornare in
Grecia con i guerrieri, ma Odisseo lo impedisce, ricordando il valore degli eroi e le previsioni
dell'indovino Calcante.

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Libro III: Infatti gli scontri vengono aboliti da Agamennone e da Ettore in quanto Paride decide di
sfidare a duello Menelao (lo sposo tradito), cosicché si possa decidere la vittoria per il
sopravvissuto.
Libro IV: Dopo il primo duello tra il pusillanime Paride e il forte e corpulento Menelao (terminato
senza la vittoria di nessuno, giacché Paride, trovandosi in difficoltà, scappa via, salvato da Afrodite),
l'esercito greco si trova a fronteggiare la possente armata di Ettore, principe di Troia, e ad arretrare
paurosamente verso le navi in spiaggia.

Nel frattempo scendono in campo anche gli dei, divisi gli uni per i greci e gli altri per i troiani.

Libro V: Diomede viene protetto da Atena, e fa strage di troiani, poi insegue l'eroe Enea che viene
protetto da Afrodite. La dea è ferita e così fugge sull'Olimpo. Atena ed Era intervengono nella
battaglia e Diomede ferisce Ares, dio della guerra.
Libro VI: Ettore rientra vincente a Troia e trova la moglie Andromaca alle Porte Scee con il bambino
Astianatte. La donna invita Ettore a non combattere più e a rimanere accanto a lei, per dare futuro
alla famiglia. Ettore risponde che è più vergognoso rimanere a pensare alla famiglia, venendo
ricordato come codardo, che morire combattendo.
Libro VII: Ettore decide di proporre un secondo duello per stabilire la definitiva vittoria: lui contro
Aiace Telamonio. I due però si fermano quando giunge la notte.

I greci allora scavano una fossa per difendere le navi.

Libro VIII: Ettore attacca all'alba e i greci sono respinti fino alle navi.

Ambasciata ad Achille (canto IX)

La Grecia avrebbe bisogno che Achille tornasse a combattere facendo riacquistare il buon umore ai
soldati demoralizzati, ma l'eroe di Ftia ha deciso, e nemmeno Patroclo può fargli cambiare idea.

Aiace ed Ettore si scambiano doni, Xilografia


da Andrea Alciato, Emblematum libellus,
1591.

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Dolonía: imprese di Odisseo e Diomede (canto X)
Intanto l'esercito greco continua a subire perdite sempre più pesanti e accade anche che l'esercito di
Ettore arriva a sfiorare le navi nemiche, cercando di bruciarle. Ulisse e Diomede sono mandati da
Agamennone in ricognizione e catturano Dolone, un troiano, che verrà poi decapitato. I due greci quindi
sgozzano il re di Tracia Reso, sorpreso nel sonno, che era appena arrivato in soccorso dei troiani.

Ripresa della guerra e morte di Patroclo (canti XI-XVII)


Canto XI: nella terza grande battaglia, il vecchio acheo Nestore manda in ricognizione Patroclo, e
lo convince a persuadere Achille a riprendere le armi, oppure a imbracciarle lui stesso per dare
coraggio ai greci.
Canto XII: Ettore distrugge le mura delle navi greche, e cerca di bruciarle.
Canti XIII-XIV-XV: Zeus non permette che gli dei intervengano in guerra, e così sua moglie Era, che
favorisce i greci, prende la cintura magica di Afrodite per sedurre Zeus e poi addormentarlo con un
sonnifero. Zeus viene ingannato e quando si risveglia vede i greci vittoriosi. Si arrabbia con la
moglie e le rinfaccia la storia della battaglia dei giganti sull'Olimpo, capitanati da Era, per
spodestarlo e il giorno in cui si liberò e punì severamente la regina degli dei.
Canto XVI: in un ennesimo scontro, dopo tanti duelli falliti per ristabilire la pace, il valoroso
Patroclo, imbracciate le armi di Achille per far riacquistare vigore alle truppe, muore in duello per
mano di Ettore. Il principe di Troia inizialmente trionfa, ma dentro di sé sa bene che presto finirà i
suoi giorni di vita colpito dalla mano che non perdona di Achille.
Canto XVII: Menelao e Aiace combattono per salvare il corpo di Patroclo.

Furia di Achille e morte di Ettore (canti XVIII-XXII)

Canto XVIII: Antiloco, figlio di Nestore, annuncia ad


Achille la morte di Patroclo e il Pelide impazzisce
per poi dichiarare alla madre Teti di volere nuove
armi per saccheggiare Troia.

La ninfa si reca nella fucina di Efesto, dio zoppo, che crea


uno scudo stupefacente assieme a nuove armi.

Canto XIX: Achille si riappacifica con Agamennone


e dichiara in assemblea che tornerà a combattere.
Si fa preparare il carro con i due cavalli immortali e
parlanti Balio e Xanto. Quest'ultimo gli predice la
morte.
Canto XX: sull'Olimpo Zeus dichiara la sua
neutralità e fornisce agli dei le indicazioni per
combattere. Col suo carro guidato da Automedonte Automedonte con i cavalli Balio e Xanto di
che tiene le redini dei cavalli divini Balio e Xanto, Achille, dipinto di Henri Regnault.
Achille uccide tutti i nemici che incontra e fa infuriare
sia alcuni dei dell'Olimpo sia il magico fiume Scamandro, ma il figlio di Peleo non si ferma, perché
cerca Ettore.

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Canto XXI: Achille fa un'altra strage di nemici, i cui corpi verranno da lui gettati nello Scamandro.
Canto XXII: Ettore, comprendendo il pericolo per i soldati della sua città, decide di sacrificarsi
scendendo in campo e sfidando l'eroe a duello. Achille non perde l'occasione e insegue Ettore il
quale, come si è detto, ha già il destino segnato. Infatti, trafitto e stramazzato a terra, il suo corpo
viene legato per i piedi con una corda legata al retro del carro di Achille e trascinato in campo
acheo.

Dialogo con Priamo e fine dell'ira di Achille (canti XXIII-XXIV)

Canto XXIII: Achille mutila il corpo di Ettore e uccide alcuni prigionieri troiani sulla pira di Patroclo,
che poi viene bruciata. Seguono dodici giorni di lutto in cui i greci gareggiano ai giochi funebri.
Canto XXIV: il vecchio re Priamo per volere degli dei si reca nella tenda di Achille e, baciandogli le
mani, lo supplica di lasciargli ricondurre in città il cadavere straziato di suo figlio per dargli i degni
onori. Achille rifiuta, ma Priamo gli ricorda il buon carattere e la virtù famosa del padre Peleo,
dopodiché Achille scoppia in singhiozzi e, confortando il suo ospite, gli concede di riprendersi suo
figlio Ettore. L'Iliade si conclude con i funerali per Ettore.

Analisi

L'ira di Achille

La prima parola del poema è ira (μήνιν), ossia il motivo guida di tutta
gran parte delle vicende dei Greci nella guerra finale. Viene messa in
risalto la reazione che scaturisce da un'offesa fatta al prototipo della
boria e superpotenza eroica per eccellenza, Achille, essendo privato
del bottino di battaglia: Briseide da Agamennone.

L'ira di tale genere rispecchia anche la condizione sociale dei Greci


arcaici, ossia quella del sistema feudale e dei possedimenti. Briseide è
un vero e proprio bottino di guerra, nonché offre un'immagine di potere
del padrone stesso dinanzi ai suoi superiori e alla collettività.
Purtuttavia rappresentando questo sistema feudale arcaico, Omero
raffigura anche il polo estremo dell'avidità e della boria dell'eroe super
potente, che appunto per la sua irrefrenabilità emotiva, ritirandosi nelle
tende dalla guerra, favorisce l'avanzata di Ettore e la rovina dei Greci.

L'eroe è orgoglioso e brutale (ἀγήνωρ), geloso della propria figura


onnipotente. Tuttavia vi sarà un cambiamento nell'animo, specialmente
dopo la morte di Patroclo, perché improvvisamente vulnerabile nei
La furia di Achille, di François-Léon
sentimenti, essendo Patroclo il suo più degno compagno, con cui si Benouville (1821–1859) (Museo
riteneva immortale. Dopo la selvaggia furia di combattere, i sentimenti Fabre).
di Achille vengono intaccati alla fine da Priamo con le sue suppliche di
restituzione del corpo di Ettore. Omero tratteggia sapientemente l'obbligo della vendetta per
l'affermazione e il ripristino del proprio onore, tipico nei clan greci arcaici.

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Ettore è rappresentato invece con un aspetto più umano e mite.
Egli incarna i valori fondanti del soldato difensore della città; egli
è mosso dall'"onore-rispetto" (τιμή) e dalla "vergogna" (αἰδώς).
Ettore è il buon conduttore dell'esercito, il buon marito che, nella
scena delle Porte Scee, preferisce di gran lunga combattere
morendo sotto le mura, perendo da vero eroe valoroso, piuttosto
che pensare alla cura della famiglia e vivere un'esistenza da
vigliacco. Il suo sacrificio sarà d'esempio per il futuro del figlio
Astianatte, che nell'episodio tocca simbolicamente l'elmo del
Bassorilievo custodito al Museo
padre. Nella scena del duello finale l'eroe è rappresentato in tutta
Nazionale di Reggio Calabria, raffigurante
la sua umanità, perché cede alla furia di Achille, scappando. il funerale di Ettore.
Tuttavia il fuggire gli ricorda i suoi doveri di eroe, e pur sapendo
che morirà, decide di affrontare in guerra il Pelide.

Dopo la morte, Omero mostra un esempio di "purificazione" dal sangue e dal genocidio nei confronti di
Achille. L'eroe stesso non ha previsto che con la morte di Ettore, egli si sarebbe purificato di tutte le colpe
commesse sin dall'inizio del poema, ritornando a uno stato di quiete e di purezza, pronto per una nuova
battaglia verso l'inevitabile morte. L'elemento purificatore è proprio Priamo, che lo convince a restituirgli il
corpo, come segno di benevolenza e rispetto tra i nemici.

I due poemi omerici, e in particolare l'Iliade, mostrano come siano il


prodotto di una società arcaica, dell'epoca dei Micenei, plasmata su
valori di casta, di suddivisione precisa del potere, e di profondo credo
religioso. Il mito rappresenta la componente fondante della società, dal
quale si trae esempio e modello per la società futura, come appunto fu
l'intento di Omero, essendo i due poemi dell'VIII secolo a.C.

Non esiste ancora la πόλις (polis) dell'età arcaico-classica come


la conosciamo; ma un insieme di città-stato che si
autoamministrano con proprie leggi, che compongono leghe
anfizionie (unioni sacre di un determinato territorio), che hanno
specifici rituali da battaglia e di società.
Il clan gentilizio γένος è la struttura del potere di ciascuna città-
stato, ossia un'antica famiglia potente al livello sociale ed
economico, che ha struttura patriarcale, e si amministra con
Agamennone seduto su una roccia
vincoli ben precisi e legami di sangue. Si tratta della prima forma
mentre sorregge uno scettro,
di "stirpe", benché ancora consolidata secondo i canoni arcaici particolare da un frammento di
dei sovrani di Atene o di Sparta, essendo la vicenda ambientata coperchio di un lekanis attico a
secoli prima dell'VIII secolo a.C., epoca della composizione. figure rosse della cerchia del
Pittore dei Meidei, ca. 410-400
a.C., proveniente dalla contrada
Santa Lucia a Taranto, attualmente
al Museo Archeologico Nazionale
di Taranto.

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Il βασιλεύς è il sovrano della città-stato, come ad esempio Agamennone o Menelao. Tuttavia
all'epoca micenea vi era distinzione tra il "basileus" (più raffigurato come un primo ministro, una
casta che stava attorno al vero re) e il Ϝάναξ, vero comandante supremo della città, figura
spirituale, temporale e militare. Il capo dei guerrieri e della città, in guerra specialmente, ha il potere
di detenere lo scettro nell'assemblea, e di indire incontri ogni qualvolta lo desideri, e di avere il
diritto di parola. Inoltre, nelle battaglie, il Fάναξ ha anche diritto di avere doni e bottini (γέρας), come
la schiava Criseide, e poi Briseide, nonostante sia sposato.

Nel poema vi sono due elementi portanti: la Vergogna o Colpa (ma in senso lato anche Rispetto o Onore)
(αἰδώς) e il Rispetto o Gloria (κλέος). Il Rispetto tuttavia si guadagna con bottini di guerra, ed è
un'approvazione materiale da parte della comunità; mentre la Gloria si conquista con eroiche azioni
militari. La privazione del Rispetto di Achille mediante la confisca della schiava, provoca vergogna e
colpa, perché Achille perde d'immagine davanti alla collettività.

Un altro caso di "vergogna", che consiste anche nella contaminazione fisica e interiore per l'eroe
guerriero, consiste nell'episodio di Tersite, il guerriero storpio che incarna i mali della società, e che
ingiuria gli eroi delle loro colpe. Il personaggio è ambiguo perché da una parte è l'anti-eroe per la
deformità e la cattiveria d'animo, dall'altra è una "voce" di Omero che precisa le motivazioni del destino
per cui la guerra tarda a finire, dacché anche gli eroi si macchiano di colpe, e necessitano di purificazione
da parte degli dei.

La virtù dell'eroe omerico è incentrata nell'ἀρετή', ossia la virtù, intesa


qui come valore militare, un'innata eccellenza, spesso voluta dal fatto
che l'eroe è il prodotto dell'unione tra un dio e una mortale. Propria
dell'eroe è quindi la καλοκἀγαθία ("kalokagathía"), cioè la Perfezione
(da καλός καί ἀγαθός "kalós kaí agathós", cioè "bello e buono". Tale
"eccellenza innata" porta l'eroe ad avere gli appellativi di "bello e
valoroso", caratteristiche particolari per distinguersi nelle battaglie, e
soprattutto per essere cantato dai poeti dopo la morte. Lo spirito
competitivo nelle vicende porta l'eroe a una ricerca dell'onore, e da qui
la disperata ricerca smisurata di Achille, che si converte in eccesso e
peccato; in quanto il successo nella battaglia per l'eroe deve
raggiungere l'approdo ultimo del "rispetto collettivo" e
dell'approvazione della comunità.

Tra gli eroi giovani vi sono anche i due anziani Fenice e Nestore.
Costoro rappresentano il profondo rispetto che i giovani hanno per gli
anziani più sapienti, che hanno compiuto esperienze anni prima della
loro nascita, e custodi del sapere antico e del rispetto religioso.
Nestore inoltre è raffigurato da Omero come "pastore di genti", perché
Esiodo e una Musa, di Gustave
incarna la buona figura dell'oratore che riesce, con la quiete e la
Moreau (1891).
saggezza, a calmare gli animi e a portare sempre la concordia tra i
contendenti. Fenice dal canto suo è l'unico anziano in grado di riuscire
a placare la furia di Achille, dopo l'offesa di Agamennone, e a tentare di farlo ragionare.

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L'epiteto è un complemento dei nomi dei personaggi dei poemi omerici, ed è un complemento-aggettivo
che serve a completare delle porzioni di verso, essendo una "formula" tipica per descrivere le qualità di
ciascun eroe, come "divino", "veloce", "molto potente". Nell'epoca della composizione del "ciclo Troiano"
fu molto utile agli aedi e agli autori papiracei per l'integrazione dei versi in esametri o distici.

L'epiteto più semplice e frequente è l'aggettivo «divino» (in greco antico: δῖος, dîos), applicabile senza
distinzione a tutti gli eroi epici. Alcuni epiteti, infatti, potevano essere applicati a molte persone: Diomede
(ad esempio Il., VI, 12) e Menelao (ad esempio Od., XV, 14) vengono definiti «dal potente grido di
guerra» (in greco antico: βοὴν ἀγαθός, boèn agathós). Altri sono invece personalizzati: solo Zeus è
definito «portatore di egida» (in greco antico: αἰγίοχος, aighíochos), solo Achille è detto «piede leggero»
(in greco antico: πόδας ὠκύς, pódas okýs) e solo Atena «occhi azzurri» (in greco antico: γλαυκῶπις,
glaukôpis).

Stile
Omero scrive in esametri e utilizza come lingua una mescolanza di vari dialetti greci.[8] Tale lingua
proveniva dall'antico indoeuropeo, e possedeva la consonante del digamma (Ϝ), presente nell'alfabeto
miceneo. Se ne accorse il filologo Richard Bentley, studiando il comportamento dello iato omerico, usato
molto per scopi metrici. Fra i dialetti, il più frequente è quello eolico, ma vi sono anche presenze ioniche e
attiche. Questo perché il poema fu prima tradotto nelle regioni eoliche (dove si praticava la poesia), e poi
nella Ionia, la nuova regione greca.

L'andamento dei canti è molto lineare, appunto per la presenza degli epiteti e di tipiche formule sintattiche
del racconto, come scambio di battute o di dialoghi, ripetute più volte nella stessa forma. I dialoghi
spesso sono molto solenni e lunghi, e raccontano varie vicende del passato, o addirittura di secoli prima
dell'avvenimento dei presenti fatti, come tesi usata, da parte del dialogante, per rafforzare le proprie
opinioni, o per ricordare a bella posta un fatto antico che sia di esempio ed educazione per il lettore,
nonché per gli ascoltatori stessi della vicenda. La figura dell'autore-narratore è di pregio: egli, nella buona
tradizione degli aedi, invoca la Musa ispiratrice, Calliope, affinché lo aiuti a comporre i versi adatti per
plasmarli nella migliore forma possibile. Il narratore, oltretutto, è onnisciente, e spesso interviene con
commenti e opinioni personali durante il racconto.

Oltre all'Iliade di Omero esistono altri poemi epici che


trattano la guerra fra achei e troiani. Tra questi vi sono:

Arctino di Mileto, creatore de La caduta di Ilio,


poema epico che racconta le ultime fasi della guerra
di Troia, dell'escamotage del cavallo di legno e del
massacro degli abitanti e dei sovrani della città.
Tutto ciò non è descritto nell' Iliade

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Ditti Cretese, il quale nella sua introduzione delle Efemeridi della guerra di Troia spiega di essere
stato un contemporaneo di Idomeneo, guerriero dell'isola di Creta che andò a combattere a Troia.
Egli si definisce dunque un personaggio di una reale e veramente accaduta battaglia tra Greci e
Troiani, inclusi tutti i personaggi che vengono narrati da Omero. Inoltre quest'ultimo è descritto da
Ditti come un impostore, che si è limitato a narrare solo l'ultimo dei dieci anni di guerra, mentre egli
che ha combattuto al fianco di Achille, Agamennone, Ulisse e tanti altri si auto celebra un fedele
cronista degli avvenimenti.
Darete Frigio, autore de L'eccidio di Troia, tradotto poi in lingua latina dallo storiografo Cornelio
Nepote. L'opera come sempre tratta dei fatti più esemplari della guerra di Troia e infine del grande
massacro dei greci. In particolar modo questa versione è diversa dalle altre perché Darete spiega
che l'esercito di Agamennone è riuscito a entrare nella roccaforte grazie alla corruzione di una
guardia, che ha fatto passare tutti attraverso una delle Porte Scee, chiamata "Porta Cavallo". Qui
inoltre Darete parla della vicenda del giovane Enea e della predizione della fondazione di una
nuova Troia in Italia: Roma.
Posthomerica di Quinto Smirneo, che tratta delle vicende della guerra di Troia subito dopo la morte
di Ettore fino al sacrificio di Polissena e al ritorno definitivo dei Greci in patria dopo la caduta della
famosa città.
Iliaca di Marco Anneo Lucano, poema incompiuto che tratta delle ultime fasi della guerra di Troia
dall'invenzione del cavallo di legno alla presa della città. Composto forse in collaborazione con il
giovane Nerone che diventerà imperatore di Roma.

Elena di Troia, regia di Robert Wise e Sergio Leone (aiuto-regista) (1956)


La guerra di Troia, regia di Giorgio Ferroni (1961)
L'ira di Achille, regia di Marino Girolami (1962)
Elena sì, ma... di Troia, regia di Alfonso Brescia (1973)
Helen of Troy - Il destino di un amore, regia di John Kent Harrison (2003) (Miniserie TV)
Troy, regia di Wolfgang Petersen (2004)
Troy - La caduta di Troia, regia di Mark Brozel, Owen Harris (2018) (Miniserie TV)

Note
1. ^ Stesura scritta promossa da Pisistrato
2. ^ Il titolo deriva dal greco antico Ílion (Ἴλιον), altro nome dell'antica città di Troia
3. ^ Eva Cantarella, Itaca, Feltrinelli, 2003, p. 47, ISBN 978-8807946202.
4. ^ Mario Zambarbieri, L'Odissea com'è: Canti I-XII: Lettura critica, LED Edizioni Universitarie, 2002,
p. 46, ISBN 978 8879161893.
5. ^ Ilìade, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 27
ottobre 2016.
6. ^ Letteratura greca, Mondadori, 1989, vol. I, p.104.
7. ^ Dolone è un nomen loquens, cioè un nome che parla e significa "inganno"

Bibliografia
Robert Graves, I miti greci.

(EN (inglese)) Testo integrale del libro I recitato in greco in formato Real Player

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(EN (inglese)) Testo completo in lingua originale da Perseus Digital Library, su perseus.tufts.edu.
Testo completo in italiano nella traduzione di Vincenzo Monti, su liberliber.it.
(GRC (greco antico)) Riproduzione fotografica digitale dei manoscritti A e B dell'Iliade, su
chs75.chs.harvard.edu (archiviato dall'url originale (http://chs75.chs.harvard.edu/manuscripts/index.html?ms=msA) il
27 giugno 2013).
Scolii dell'Iliade:
(LA (latino), GRC (greco antico)) Eustathii commentarii in Homeri Iliadem. Ad fides exepli
romani, 4 voll., Lipsiae, sumptibus Joann. Aug. Gottl. Weigel, 1827-30: vol. 1, vol. 2, vol. 3,
vol. 4, index.
(LA (latino), GRC (greco antico)) Scholia graeca in Homeri Iliadem ex codicibus acta et
emendata, Karl Wilhelm Dindorf (a cura di), 4 voll., Oxonii, e typographeo clarendoniano,
1875-77: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4.
(LA (latino), GRC (greco antico)) Scholia graeca in Homeri Iliadem townleyana, Ernestus
Maass (a cura di), 2 voll., Oxonii e typographeo clarendoniano, 1887-88: vol. 1, vol. 2.

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