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BIOGRAFIA
Le notizie sulla vita di Apollonio Rodio derivano da tre tipi di testimonianze:
• il papiro di Ossirinco 1241 (che ci fornisce la lista dei bibliotecari di Alessandria);
• le Vite che precedono le Argonautiche in alcuni manoscritti medievali;
• la voce del lessico Suda che fornisce alcuni elementi biografici sul poeta.
La notizia più sicura fra tutte è quella del papiro di Ossirinco 1241, secondo cui Apollonio Rodio
sarebbe stato successore di Zenodoto come bibliotecario di Alessandria.
A dispetto dell'epiteto "Rodio" che accompagna tradizionalmente il suo nome, Apollonio nacque
verosimilmente in Egitto, forse nella stessa Alessandria, tra la fine del IV e l'inizio del III secolo
a. C.
Molto probabilmente l'aggettivo "Rodio" sarebbe connesso con un suo soggiorno sull'isola, che
nelle Vite dei manoscritti medievali, viene collegato con un esilio volontario scelto dal poeta, ancora
molto giovane, in seguito ad un primo insuccesso delle Argonautiche, Sull'isola poi avrebbe
lavorato ad una seconda redazione dell'opera, che, una volta ritornato in patria gli valse un autentico
trionfo, tanto che il poeta, alla sua morte, ottenne il privilegio di essere seppellito insieme a
Callimaco.
Troppi tuttavia sono gli elementi oscuri in questa ricostruzione (il fatto che abbia composto le
Argonautiche da ragazzo; il fatto che sia stato lontano da Alessandria, mentre rivedeva l'opera,
proprio negli anni della maturità, mentre sappiamo che fu bibliotecario dopo Zenodoto e prima di
Eratostene e che fu precettore del futuro Tolomeo III Evergete, il quale successe al padre nel 247-
246 a. C.; il fatto che nel 270 a. C., quando Teocrito compose gli idilli XIII- Ila e XXII- Dioscuri, le
Argonautiche dovevano essere conosciute, se, come sappiamo, Teocrito ne riprese almeno due
episodi). È assai più plausibile una ricostruzione degli eventi che vede Apollonio in un primo
tempo attivo ad Alessandria, dove esercita le funzioni di bibliotecario e di precettore del futuro
Tolomeo III Evergete, e compone le Argonautiche; successivamente si sarebbe trasferito a Rodi,
dove sarebbe rimasto a lungo, tanto da meritarsi l'appellativo di "Rodio". È possibile che il suo
passaggio a Rodi sia avvenuto dopo che Eratostene, originario di Cirene (come Berenice, la sposa di
Tolomeo III), fu chiamato a prendere il posto di Apollonio alla Biblioteca; probabilmente ciò
avvenne proprio a seguito del matrimonio regale tra Tolomeo III e Berenice (247-246 a. C.), che
diede maggior peso a corte alla componente cirenaica. È anche possibile che proprio a Rodi sia
morto in data incerta, nella seconda metà del III secolo a. C.
La produzione letteraria
L'opera maggiore di Apollonio Rodio, conservataci dalla tradizione manoscritta medievale, è il
poema epico in esametri Argonautiche, in quattro libri, che narra la spedizione degli Argonauti,
guidati da Giasone, alla ricerca del vello d'oro.
Gli autori antichi ci parlano di altre opere di Apollonio, di alcune delle quali ci sono pervenuti brevi
frammenti:
• le cosiddette Κτίσεις (Fondazioni), componimenti poetici sulla fondazione di città, ricchi,
secondo il gusto alessandrino, di notizie antiquarie;
• gli epigrammi, a noi, purtroppo non pervenuti (l'unico giunto a suo nome nell'Antologia Palatina
non è autentico);
• un poemetto in coliambi dal titolo Κάνωβοϛ, che, in linea con il gusto eziologico ellenistico,
aveva per teme le origini di particolari culti alessandrini;
• un trattato Περὶ Ἀρχιλόχου (Intorno ad Archiloco);
• un trattato Πρὸς Ζηνόδοτον (Contro Zenodoto), nel quale dovevano essere raccolte le opinioni di
Apollonio discordanti da quelle di Zenodoto in merito al testo dei poemi omerici;
• altre opere come le due precedenti nelle quali Apollonio discusse intorno ad Esiodo e, forse, ad
Antimaco di Colofone (430 - 340 a. C., scrisse la Tebaide, in 24 libri, roboante poema epico ad
imitazione di Omero, e la Lyde, una raccolta di elegie che canta l'amore e il dolore per la morte
della donna amata, innestandovi il racconto della narrazione di diversi miti di amore tragico: il
poeta non fu elogiato né da Callimaco né da Catullo, ma ebbe comunque una grande importanza
per lo sviluppo della poesia elegiaca greca successiva).
1 Atamante ripudiò sua moglie Nefele per sposare Ino, la quale odiava Elle e Frisso (i figli che Atamante
aveva avuto da Nefele) e cercò di ucciderli per permettere asuo figlio di salire al trono. Nefele, conosciuti i
piani di Ino, chiese aiuto ad Ermes, che le inviò Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro, figlio di Poseidone, che
aveva poteri magici), il quale caricò in groppa i due fratelli per trasportarli, volando, nella Colchide (attuale
Georgia). Elle cadde in mare durante il viaggio ed annegò (il tratto di mare in cui precipitò prese il nome di
Ellesponto o "Mare di Elle" proprio dal suo nome), mentre Frisso arrivò a destinazione e venne ospitato da
Eeta (fratello della maga Circe e padre di Medea), che gli diede in moglie la figlia Calciope. Frisso sacrificò
l'ariete Crisomallo agli dèi e, in segno di gratitudine, donò il suo prezioso vello d'oro a Eeta, che lo fece
inchiodare ad una quercia in un bosco sacro e vi mise a guardia un drago che non dormiva mai.
2 Pelia aveva ucciso tutti i discendenti di Esone, ma Alcimede, moglie di quest'ultimo, riuscì a salvare
l'ultimo nato Giasone facendolo credere morto (fece infatti raggruppare le donne intorno al neonato e le fece
piangere disperatamente) e lo mandò al centauro Chirone perché lo educasse e lo tenesse lontano dalla
violenza omicida di Pelia.
della poesia d'amore (in apertura del IV libro alla Musa si chiederà di cantare lei stessa la
sofferenza d'amore di Medea).
Se dunque i primi due libri hanno un contenuto epico (nel senso che al centro della narrazione
sono l'impresa e le avventure ad essa collegate), gli ultimi due libri vedono dominare sulla scena il
personaggio di Medea e la sua storia d'amore con Giasone che si intreccia con il racconto epico
della conquista del vello d'oro, anzi sembra addirittura dominarlo in importanza.
I PERSONAGGI
Giasone
Uno degli aspetti che rende più evidente il distacco di Apollonio Rodio dall'epica omerica è la
caratterizzazione del protagonista Giasone, che non presenta affatto i connotati dell'eroe bellicoso,
coraggio e fiducioso nelle proprie doti: egli è sempre tormentato da dubbi, scrupoli, angosce e
ripensamenti; le sue caratteristiche eroiche sono ridimensionate e profondamente umanizzate.
Significativa in tal senso è la reazione di Giasone alla prova impostagli da Eeta: Così disse, e
Giasone fissava gli occhi per terra,/ restava muto, disperato di fronte alla sua disgrazia./ Per lungo
tempo rivoltava dentro di sé la decisione da prendere/ e non riusciva ad affrontare arditamente
l'impresa: gli sembrava grandissima (Argonautiche, III, vv. 422-425).
Già nel primo discorso pronunciato nel poema rivolgendosi alla madre, Giasone fa intravedere la
sua fragilità e la sua mancanza di motivazione eroica nei confronti dell'impresa (un "male" voluto
dagli dèi e commissionatogli da Pelia) oltre che la sua concezione negativa dell'esistenza umana
(che è "dolore"): Madre mia, non nutrire dentro di te un dolore eccessivo;/ non puoi tu con le tue
lacrime tenere il male lontano,/ ma solo aggiungere dolore sopra dolore./ Gli dèi assegnano
all'uomo imprevedibili pene […] (Argonautiche, I, vv. 295-298).
Del resto l'impresa che vede Giasone protagonista è tutt'altro che eroica: Giasone infatti non
agisce in quanto spinto da una scelta personale e consapevole, ma solo perché costretto da
un'imposizione di Pelia (che a sua volta se ne serve unicamente come pretesto per liberarsi del
nipote); perciò essa appare essenzialmente come un incomprensibile e gravoso dovere. Così infatti
Giasone replica a Eeta che ha avanzato il sospetto che gli Argonauti mirino in realtà a privarlo del
potere: Non t'irritare, Eeta, per il nostro viaggio. Non al modo che dici/ veniamo alla tua città ed
alla tua reggia,/ e neanche per nostro volere. Chi mai avrebbe l'audacia/ di attraversare tanto
spazio di mare per prendere le cose d'altri?/ Mi manda un dio e il feroce comando di un re superbo
[…] (Argonautiche, III, vv. 386-390).
È peraltro indicativo che la conquista del vello d'oro avvenga non grazie all'uso maschile delle armi,
ma grazie all'inganno e alla magia di una donna innamorata, Medea.
Quando si riferisce alla situazione psichica di Giasone il narratore usa spesso il termine di
ἀμηχανία (impotenza, frustrazione, incapacità di agire e di decidere), che condensa appieno la
passività del protagonista. In molte occasioni, però, lo stesso termine viene usato da Apollonio in
riferimento anche agli altri Argonauti, quasi a voler denunciare una fragilità e un disagio sentiti
come universali.
L'unico vero eroe del poema è Eracle, che non a caso viene precocemente estromesso dal poema
con un espediente (il rapimento di Ila), poiché, in quanto eroe tradizionale, una volta arrivato in
Colchide, non avrebbe accettato mai di conquistare il vello d'oro prima con la diplomazia e poi con
l'aiuto delle arti magiche di una donna.
Per molto tempo la critica ha accusato Apollonio d'aver creato con Giasone un protagonista scialbo
ed eroicamente inadeguato. In realtà la rinuncia alla grandezza eroica (come altre infrazioni del
codice epico contenute nell'opera) è il frutto di una precisa scelta espressiva dell'autore. Anche
attraverso questo espediente Apollonio vuole sottolineare che ormai è incolmabile la distanza tra il
mondo epico-omerico dell'eroismo marziale e il nuovo mondo spirituale in cui il suo poema ha visto
la luce.
Medea
L'umanizzazione dei personaggi del mito che si riscontra nelle opere di Callimaco e Teocrito
raggiunge il suo apice in Apollonio Rodio col personaggio di Medea, che con la sua complessità
psicologica, fa risaltare ancora di più la "mediocrità" di Giasone. Medea è, nelle Argonautiche, un
vero e proprio personaggio "tragico" con una marcata evoluzione interiore, che sviluppa la
propria psicologia femminile nel corso della narrazione: nei tre monologhi del libro III (che poi si
risolveranno nella decisione di aiutare Giasone e di fuggire con lui) troviamo la trascrizione di un
lacerante dissidio interiore che oppone "pudore" (αἰδώς) e desiderio (ἵμερος), fedeltà alla
famiglia (in particolare al padre, nei confronti del quale Medea nutre un profondo timore) e
passione per lo straniero giunto da lontano, un dissidio che la spingerà addirittura a meditare il
suicidio. Solo esteriormente restano vivi i tratti di Medea legati alla sua tradizionale
caratterizzazione di maga (anche se è pur vero che è stata lei a procurare i filtri magici a Giasone):
con Apollonio la struttura profonda del suo personaggio è caratterizzata da quelle componenti
dicotomiche che la rendono incredibilmente umana.
Viene naturale porre la Medea di Apollonio in relazione con quella euripidea e tra le due si può
trovare senza dubbio un legame. Euripide è stato un maestro nell'analisi della psicologia femminile
e Apollonio era sicuramente molto attratto dalla drammaticità dei suoi personaggi.
La Medea di Apollonio Rodio, però, a differenza di quella del grande tragico ateniese, non è
materialmente colpevole di delitti contro i parenti: anche l'uccisione del fratello Apsirto, che una
parte della tradizione vuole sia stato compiuto da lei, nelle Argonautiche è concretamente portato a
termine da Giasone, benché egli sia sollecitato da Medea stessa, che architetta l'inganno contro il
fratello e crea le condizioni perché Giasone lo uccida.
Nella complicità di Medea all'uccisione di Apsirto alcuni critici hanno voluto vedere la
manifestazione di una "seconda Medea", ormai maga fredda e spietata, incompatibile con la
fanciulla dolce e innamorata del libro III. In realtà, invece, l'assassinio di Apsirto non è altro che la
punta estrema del contrasto tra fedeltà alla famiglia e passione per lo straniero, è un gesto che viene
compiuto in nome dell'amore (vedi apostrofe del poeta ad Eros che devasta e annulla ogni altro
legame affettivo, apostrofe che troviamo prima del racconto dell'uccisione di Apsirto in
Argonautiche, IV, 445-449 trad. G.Paduano: Funesto amore, grande sventura, abominio degli
uomini:/ da te nascono le contese mortali, i gemiti e i travagli,/ e ancora si agitano infiniti dolori./
Sui figli dei miei nemici vieni armato, signore,/ quale gettasti nell'animo di Medea l'odiosa rovina).
Le divinità nelle argonautiche
Gli dèi subiscono un profondo ridimensionamento; a differenza delle opere omeriche non sono
divisi in due schieramenti (uno contro, uno a favore dell'impresa) ma sono uniti nel proteggere
gli Argonauti. Tuttavia non esercitano un influenza continua sugli uomini, determinandone
azioni e reazioni psicologiche, ma intervengono saltuariamente e dopo che l'azione si è già
avviata ( per esempio al verso 818 del libro III c'è una rapida notazione incidentale al "volere di
Era", dopo che il travaglio interiore di Medea è già avvenuto e dopo che è stata già abbandonata
l'idea del suicidio e intrapreso il proposito di aiutare Giasone).
Alcune volte poi gli dèi vengono rappresentati in un quadro di tranquilla quotidianità e di frivola
leggerezza e giocosità (vedi la scena di apertura del libro III in cui Era, Atena e Afrodite, con
sorridente leggerezza, nel corso di una frivola conversazione, determinano il drammatico destino di
Medea; o ancora la risata di Eros dopo che ha scagliato i dardi su Medea, suscitando in lei il
tormento della passione).
Solo Zeus e Apollo si sottraggono a questa "riduzione" e con la loro muta presenza comunicano il
senso di una religiosità più profonda.
Il padre degli dèi compare nel poema come garante di valori etici e di giustizia suprema. Apollo
invece, divinità centrale dell'opera, è la presenza benefica che per due volte appare agli Argonauti in
difficoltà per incoraggiarli (II, 674-684; IV, 1706-1710).
La dimensione temporale nel poema
Uno degli aspetti più vistosi nella narrazione delle Argonautiche è la scansione temporale degli
avvenimenti; Apollonio gestisce il tempo in funzione dell'efficacia espressiva della narrazione:
gli eventi, quindi, subiscono una dilatazione temporale o, al contrario, un'accelerazione, a seconda
che si voglia o meno sottolineare la loro importanza all'interno della vicenda. Espedienti tipici usati
per rallentare l'azione sono le digressioni descrittive dell'ambiente o dei personaggi, le ekphráseis,
le similitudini, per citare solo qualche caso.
L'opera è altresì caratterizzata da un continuo incrocio di piani temporali: al presente (azione del
viaggio di Giasone) si intersecano ora il passato (antefatto della vicenda o dei singoli episodi dei
essa) ora il futuro (con anticipazioni di eventi relativi ai protagonisti della vicenda, per esempio a
Medea). Da ciò deriva una serie di sfasature tra fabula e intreccio, tra tempo della storia e tempo del
racconto.
All'interno di queste sfasature risultano molto importanti il ricorso all'áition e all'analessi.
• Attraverso l'áition Apollonio pone la narrazione mitica in relazione con la realtà presente, in un
certo senso la "storicizza": un mito spiega, fornendone le origini, un dato del mondo reale ancora
sotto gli occhi di tutti (così, ad esempio, nel libro IV, vv. 1767-1772, dopo aver narrato che gli
Argonauti, giunti sulla spiaggia di Egina, si impegnarono, quasi in una gara di corsa per attingere
acqua e portarla alla nave, aggiunge che ἔτι νῦν, <<ancora adesso>>, i giovani in quel luogo
gareggiano nella corsa, indicando così in quel particolare della storia degli Argonauti l'origine
delle gare sportive ancora vigenti).
• L'analessi è il processo opposto: consiste nella digressione attraverso cui si raccontano gli
antefatti di una certa situazione narrativa.
Se l'áition, dunque, getta un ponte tra il tempo della narrazione e il presente, l'analessi lo fa tra
la narrazione e il suo passato.
L'<<io>> poetico
Altro elemento importante nelle Argonautiche è la presenza ricorrente dell'<<io>> del poeta, della
voce dell'autore che commenta quanto viene narrato e interviene spesso nel racconto.
Diversamente da quanto avviene nell'epica arcaica, dove il poeta scompare dietro la narrazione,
Apollonio fa emergere volentieri la propria individualità poetica, anche con osservazioni
metaletterarie.