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APOLLONIO RODIO

BIOGRAFIA
Le notizie sulla vita di Apollonio Rodio derivano da tre tipi di testimonianze:
• il papiro di Ossirinco 1241 (che ci fornisce la lista dei bibliotecari di Alessandria);
• le Vite che precedono le Argonautiche in alcuni manoscritti medievali;
• la voce del lessico Suda che fornisce alcuni elementi biografici sul poeta.
La notizia più sicura fra tutte è quella del papiro di Ossirinco 1241, secondo cui Apollonio Rodio
sarebbe stato successore di Zenodoto come bibliotecario di Alessandria.
A dispetto dell'epiteto "Rodio" che accompagna tradizionalmente il suo nome, Apollonio nacque
verosimilmente in Egitto, forse nella stessa Alessandria, tra la fine del IV e l'inizio del III secolo
a. C.
Molto probabilmente l'aggettivo "Rodio" sarebbe connesso con un suo soggiorno sull'isola, che
nelle Vite dei manoscritti medievali, viene collegato con un esilio volontario scelto dal poeta, ancora
molto giovane, in seguito ad un primo insuccesso delle Argonautiche, Sull'isola poi avrebbe
lavorato ad una seconda redazione dell'opera, che, una volta ritornato in patria gli valse un autentico
trionfo, tanto che il poeta, alla sua morte, ottenne il privilegio di essere seppellito insieme a
Callimaco.
Troppi tuttavia sono gli elementi oscuri in questa ricostruzione (il fatto che abbia composto le
Argonautiche da ragazzo; il fatto che sia stato lontano da Alessandria, mentre rivedeva l'opera,
proprio negli anni della maturità, mentre sappiamo che fu bibliotecario dopo Zenodoto e prima di
Eratostene e che fu precettore del futuro Tolomeo III Evergete, il quale successe al padre nel 247-
246 a. C.; il fatto che nel 270 a. C., quando Teocrito compose gli idilli XIII- Ila e XXII- Dioscuri, le
Argonautiche dovevano essere conosciute, se, come sappiamo, Teocrito ne riprese almeno due
episodi). È assai più plausibile una ricostruzione degli eventi che vede Apollonio in un primo
tempo attivo ad Alessandria, dove esercita le funzioni di bibliotecario e di precettore del futuro
Tolomeo III Evergete, e compone le Argonautiche; successivamente si sarebbe trasferito a Rodi,
dove sarebbe rimasto a lungo, tanto da meritarsi l'appellativo di "Rodio". È possibile che il suo
passaggio a Rodi sia avvenuto dopo che Eratostene, originario di Cirene (come Berenice, la sposa di
Tolomeo III), fu chiamato a prendere il posto di Apollonio alla Biblioteca; probabilmente ciò
avvenne proprio a seguito del matrimonio regale tra Tolomeo III e Berenice (247-246 a. C.), che
diede maggior peso a corte alla componente cirenaica. È anche possibile che proprio a Rodi sia
morto in data incerta, nella seconda metà del III secolo a. C.
La produzione letteraria
L'opera maggiore di Apollonio Rodio, conservataci dalla tradizione manoscritta medievale, è il
poema epico in esametri Argonautiche, in quattro libri, che narra la spedizione degli Argonauti,
guidati da Giasone, alla ricerca del vello d'oro.
Gli autori antichi ci parlano di altre opere di Apollonio, di alcune delle quali ci sono pervenuti brevi
frammenti:
• le cosiddette Κτίσεις (Fondazioni), componimenti poetici sulla fondazione di città, ricchi,
secondo il gusto alessandrino, di notizie antiquarie;
• gli epigrammi, a noi, purtroppo non pervenuti (l'unico giunto a suo nome nell'Antologia Palatina
non è autentico);
• un poemetto in coliambi dal titolo Κάνωβοϛ, che, in linea con il gusto eziologico ellenistico,
aveva per teme le origini di particolari culti alessandrini;
• un trattato Περὶ Ἀρχιλόχου (Intorno ad Archiloco);
• un trattato Πρὸς Ζηνόδοτον (Contro Zenodoto), nel quale dovevano essere raccolte le opinioni di
Apollonio discordanti da quelle di Zenodoto in merito al testo dei poemi omerici;
• altre opere come le due precedenti nelle quali Apollonio discusse intorno ad Esiodo e, forse, ad
Antimaco di Colofone (430 - 340 a. C., scrisse la Tebaide, in 24 libri, roboante poema epico ad
imitazione di Omero, e la Lyde, una raccolta di elegie che canta l'amore e il dolore per la morte
della donna amata, innestandovi il racconto della narrazione di diversi miti di amore tragico: il
poeta non fu elogiato né da Callimaco né da Catullo, ma ebbe comunque una grande importanza
per lo sviluppo della poesia elegiaca greca successiva).

Una doppia redazione delle Argonautiche


Le biografie antiche suggeriscono che Apollonio possa aver composto la sua opera maggiore in
due tempi e ciò, secondo noi, è tutt'altro che improbabile: negli scholia alle Argonautiche si
trovano, infatti, delle "varianti" per alcune parti del libro I; si può dunque immaginare, almeno
per questo libro, una specie di pre-edizione (proékdosis), che anticipa la stesura definitiva
dell'opera, divergendo da quest'ultima in alcuni punti. Non possiamo però sapere in quale forma
questa pre-edizione sia stata resa pubblica, se attraverso un testo scritto o attraverso pubbliche
recitazioni, come quelle che erano così in voga all'epoca. In questo secondo caso (il più probabile)
un insuccesso non sembra inverosimile: il poema di Apollonio è, infatti, un testo molto difficile ed
elaborato (a tratti addirittura oscuro) e una fruizione aurale non ne avrebbe consentito
l'apprezzamento tanto quanto una fruizione attraverso lettura.

STRUTTURA DELLE ARGONAUTICHE


Le Argonautiche sono un poema epico in esametri strutturato in quattro libri, ci vengono
tramandate da oltre 50 manoscritti medievali e umanistici; alcune parti sono riportate inoltre da
papiri; altre da citazioni di autori antichi (tradizione indiretta).
La materia del canto attinge alla famosa saga degli Argonauti, che, dopo essersi imbarcati sulla
nave Argo, sotto la guida di Giasone, compiono una spedizione da Pagase, in Tessaglia, fino alla
terra dei Colchi, sul mar Nero, per recuperare il vello d'oro di un montone che Frisso, figlio del re di
Beozia Atamante1, ha sacrificato a Zeus e che ora Zeus vuole sia riportato in Grecia.
Questi sono gli antefatti mitici dai quali muove la vicenda: Pelia, re di Iolco (nel Golfo di Pagase),
aveva affidato la difficile impresa a Giasone, suo nipote, con l'intenzione di allontanarlo dalla
Tessaglia: Pelia, infatti, aveva detronizzato suo fratello Esone, padre di Giasone, 2 e temeva che
quest'ultimo rappresentasse un'insidia per il suo regno. Un oracolo aveva infatti predetto a Pelia che
un uomo con un solo calzare lo avrebbe ucciso, e Giasone un giorno era arrivato a Iolco, dopo aver
perduto un sandalo nella traversata del fiume Anauro.
Alla vicenda degli Argonauti allude già Omero: in particolare Circe (Odissea XII, vv.69-72),
mentre indica a Odisseo la rotta da seguire nel viaggio di ritorno, accenna al fatto che solo la nave
Argo riuscì a passare indenne tra le rocce Simplegadi. L'impresa di Argo precede infatti di una di
una generazione le vicende della guerra di Troia e gli Argonauti, sulla via del ritorno, passano dalla
dimora di Circe.
Le Argonautiche presentano un'articolazione interna piuttosto semplice:
• il primo libro narra i preparativi per la spedizione e la partenza;
• il secondo il viaggio verso la Colchide;
• il terzo l'arrivo in Colchide e l'innamoramento di Medea, figlia del re dei Colchi, per Giasone;
• il quarto la conquista del vello d'oro e il viaggio di ritorno.
Un'articolazione alternativa distingue invece i libri I-II dai libri III-IV: come il libro I viene
introdotto da un proemio nel quale viene invocato Apollo (che avrà la massima parte nella riuscita
dell'impresa), il libro III si apre con un nuovo proemio, nel quale viene invocata Erato, la Musa

1 Atamante ripudiò sua moglie Nefele per sposare Ino, la quale odiava Elle e Frisso (i figli che Atamante
aveva avuto da Nefele) e cercò di ucciderli per permettere asuo figlio di salire al trono. Nefele, conosciuti i
piani di Ino, chiese aiuto ad Ermes, che le inviò Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro, figlio di Poseidone, che
aveva poteri magici), il quale caricò in groppa i due fratelli per trasportarli, volando, nella Colchide (attuale
Georgia). Elle cadde in mare durante il viaggio ed annegò (il tratto di mare in cui precipitò prese il nome di
Ellesponto o "Mare di Elle" proprio dal suo nome), mentre Frisso arrivò a destinazione e venne ospitato da
Eeta (fratello della maga Circe e padre di Medea), che gli diede in moglie la figlia Calciope. Frisso sacrificò
l'ariete Crisomallo agli dèi e, in segno di gratitudine, donò il suo prezioso vello d'oro a Eeta, che lo fece
inchiodare ad una quercia in un bosco sacro e vi mise a guardia un drago che non dormiva mai.
2 Pelia aveva ucciso tutti i discendenti di Esone, ma Alcimede, moglie di quest'ultimo, riuscì a salvare
l'ultimo nato Giasone facendolo credere morto (fece infatti raggruppare le donne intorno al neonato e le fece
piangere disperatamente) e lo mandò al centauro Chirone perché lo educasse e lo tenesse lontano dalla
violenza omicida di Pelia.
della poesia d'amore (in apertura del IV libro alla Musa si chiederà di cantare lei stessa la
sofferenza d'amore di Medea).
Se dunque i primi due libri hanno un contenuto epico (nel senso che al centro della narrazione
sono l'impresa e le avventure ad essa collegate), gli ultimi due libri vedono dominare sulla scena il
personaggio di Medea e la sua storia d'amore con Giasone che si intreccia con il racconto epico
della conquista del vello d'oro, anzi sembra addirittura dominarlo in importanza.

Il contenuto delle Argonautiche


Libro I: i preparativi e la partenza
Dopo l'invocazione ad Apollo e un breve antefatto, troviamo il catalogo degli eroi che partecipano alla
spedizione. Seguono il saluto di Giasone ai suoi cari e i preparativi per la partenza. Giasone invita a scegliere
un capo: viene scelto Eracle, che rifiuta a favore di Giasone. Dopo i sacrifici rituali in onore di Apollo, la
nave viene spinta in mare. Segue una lite tra gli eroi, sedata dal canto di Orfeo. La mattina seguente vi è la
partenza; la prima tappa è l'isola di Lemno, dove le donne hanno ucciso tutti i maschi. L'arrivo degli
Argonauti impedisce la loro estinzione. Giasone intreccia una relazione con la regina Ipsipile; Dopo un anno
Eracle richiama gli eroi a riprendere il viaggio. La spedizione giunge a Cizico; alleati con la popolazione dei
Dolioni gli Argonauti sconfiggono i Giganti, ma in seguito fanno strage dei loro stessi alleati, coi quali si
scontrano senza riconoscerli. Ripartiti fanno sosta in Misia: qui Ila, giovane scudiero amato da Eracle, viene
rapito da una ninfa; disperato, Eracle lascia la spedizione insieme con l'amico Polifemo, per cercarlo. Sulla
nave Telamone accusa Giasone di essersi voluto liberare di Eracle; dopo un contrasto tra i due, il dio marino
Glauco, apparso tra le onde, spiega che tutto si è compiuto per volere di Zeus.

Libro II: il viaggio verso la Colchide


Argo approda nella terra dei Bebrici, di cui è re Amico, uso a sfidare in una gara di pugilato coloro che
giungono nella sua terra. Accoglie la sfida Polluce, che lo batte; gli Argonauti vincono il suo popolo e
saccheggiano il paese. Ripartiti, passano il Bosforo e quindi, nella terra Tinia, incontrano il profeta cieco
Fineo, tormentato dalle Arpie che gli sottraggono il cibo. Gli eroi fermano le Arpie, con l'aiuto degli dèi, e
Fineo rivela loro il percorso che dovranno seguire e i pericoli che dovranno affrontare. Argo riprende il
viaggio e affronta il passaggio tra le rupi Simplegadi, rocce semoventi poste all'imboccatura del Mar Nero:
dopo il passaggio di Argo le Simplegadi divengono immobili per sempre. Segue il racconto delle numerose
peripezie che portano gli eroi presso diversi popoli. Presso i Mariandini sono ospitati dal re Lico; lì perdono
la vita l'indovino Idmone e il timoniere Tifi. Evitato il paese delle Amazzoni, giungono nell'isola di Ares,
dove trovano i figli di Frisso, che li guidano fino alla Colchide, alle foci del fasi.

Libro III: L'arrivo nella Colchide e l'innamoramento di Medea


In apertura viene invocata Erato, la Musa della poesia d'amore. Per volere di Atena e di Era, Afrodite induce
suo figlio Eros a colpire con i suoi dardi Medea, figlia di Eeta re della Colchide, perché si innamori di
Giasone e renda più facile la sua impresa. Gli Argonauti intanto vengono a colloquio con Eeta ; li guida e
prende la parola per loro Argo, uno dei figli di Frisso. Eeta sulle prime rifiuta di consegnare il vello d'oro agli
Argonauti, poi acconsente, a patto che Giasone superi tre prove: arare un enorme campo dove si trovano tori
che spirano fuoco; seminarvi denti di drago; vincere i giganti armati che nasceranno dai denti seminati. In
Medea nel frattempo divampa la passione per Giasone; ella è combattuta tra il suo desiderio e il legame per
la sua famiglia. Alla fine, tuttavia, l'amore prevale e la donna prepara un filtro che aiuti l'eroe a superare le
prove, in cambio della promessa che egli la porterà con sé e la sposerà. Grazie all'aiuto di Medea Giasone
supera le prove.

Libro IV: la conquista del vello d'oro e il viaggio di ritorno


Ancora grazie al filtro di Medea, Giasone addormenta il drago che custodisce il vello d'oro e si impadronisce
di quest'ultimo. Gli Argonauti salpano in fuga, portando con sé Medea. I Colchi, guidati dal fratello di
Medea Apsirto, li inseguono. Quando li raggiungono, Giasone, persuaso da Medea a non restituirla ai suoi,
uccide Apsirto con l'inganno, e il sangue di lui contamina anche Medea. Zeus impone che, per purificarsi dal
delitto compiuto, gli Argonauti debbano compiere un lungo cammino, fino alla dimora di Circe, che
provvederà ai riti di purificazione. Di qui il viaggio procede seguendo in parte la rotta che avrebbe poi
seguito Odisseo: gli eroi passano da Scilla, Plancte e Cariddi, dalle Sirene, vinte dal canto di Orfeo, dalla
terra delle vacche del Sole, fino a Drepane, dove vivono i Feaci, con il re Alcinoo e la regina Arete. Una
tempesta spinge poi la nave sulle coste della Libia. Successivamente gli eroi giungono a Creta e infine, con il
favore di Apollo, concludono il viaggio in Tessaglia, da dove erano partiti.

I PERSONAGGI
Giasone
Uno degli aspetti che rende più evidente il distacco di Apollonio Rodio dall'epica omerica è la
caratterizzazione del protagonista Giasone, che non presenta affatto i connotati dell'eroe bellicoso,
coraggio e fiducioso nelle proprie doti: egli è sempre tormentato da dubbi, scrupoli, angosce e
ripensamenti; le sue caratteristiche eroiche sono ridimensionate e profondamente umanizzate.
Significativa in tal senso è la reazione di Giasone alla prova impostagli da Eeta: Così disse, e
Giasone fissava gli occhi per terra,/ restava muto, disperato di fronte alla sua disgrazia./ Per lungo
tempo rivoltava dentro di sé la decisione da prendere/ e non riusciva ad affrontare arditamente
l'impresa: gli sembrava grandissima (Argonautiche, III, vv. 422-425).
Già nel primo discorso pronunciato nel poema rivolgendosi alla madre, Giasone fa intravedere la
sua fragilità e la sua mancanza di motivazione eroica nei confronti dell'impresa (un "male" voluto
dagli dèi e commissionatogli da Pelia) oltre che la sua concezione negativa dell'esistenza umana
(che è "dolore"): Madre mia, non nutrire dentro di te un dolore eccessivo;/ non puoi tu con le tue
lacrime tenere il male lontano,/ ma solo aggiungere dolore sopra dolore./ Gli dèi assegnano
all'uomo imprevedibili pene […] (Argonautiche, I, vv. 295-298).
Del resto l'impresa che vede Giasone protagonista è tutt'altro che eroica: Giasone infatti non
agisce in quanto spinto da una scelta personale e consapevole, ma solo perché costretto da
un'imposizione di Pelia (che a sua volta se ne serve unicamente come pretesto per liberarsi del
nipote); perciò essa appare essenzialmente come un incomprensibile e gravoso dovere. Così infatti
Giasone replica a Eeta che ha avanzato il sospetto che gli Argonauti mirino in realtà a privarlo del
potere: Non t'irritare, Eeta, per il nostro viaggio. Non al modo che dici/ veniamo alla tua città ed
alla tua reggia,/ e neanche per nostro volere. Chi mai avrebbe l'audacia/ di attraversare tanto
spazio di mare per prendere le cose d'altri?/ Mi manda un dio e il feroce comando di un re superbo
[…] (Argonautiche, III, vv. 386-390).
È peraltro indicativo che la conquista del vello d'oro avvenga non grazie all'uso maschile delle armi,
ma grazie all'inganno e alla magia di una donna innamorata, Medea.
Quando si riferisce alla situazione psichica di Giasone il narratore usa spesso il termine di
ἀμηχανία (impotenza, frustrazione, incapacità di agire e di decidere), che condensa appieno la
passività del protagonista. In molte occasioni, però, lo stesso termine viene usato da Apollonio in
riferimento anche agli altri Argonauti, quasi a voler denunciare una fragilità e un disagio sentiti
come universali.
L'unico vero eroe del poema è Eracle, che non a caso viene precocemente estromesso dal poema
con un espediente (il rapimento di Ila), poiché, in quanto eroe tradizionale, una volta arrivato in
Colchide, non avrebbe accettato mai di conquistare il vello d'oro prima con la diplomazia e poi con
l'aiuto delle arti magiche di una donna.
Per molto tempo la critica ha accusato Apollonio d'aver creato con Giasone un protagonista scialbo
ed eroicamente inadeguato. In realtà la rinuncia alla grandezza eroica (come altre infrazioni del
codice epico contenute nell'opera) è il frutto di una precisa scelta espressiva dell'autore. Anche
attraverso questo espediente Apollonio vuole sottolineare che ormai è incolmabile la distanza tra il
mondo epico-omerico dell'eroismo marziale e il nuovo mondo spirituale in cui il suo poema ha visto
la luce.
Medea
L'umanizzazione dei personaggi del mito che si riscontra nelle opere di Callimaco e Teocrito
raggiunge il suo apice in Apollonio Rodio col personaggio di Medea, che con la sua complessità
psicologica, fa risaltare ancora di più la "mediocrità" di Giasone. Medea è, nelle Argonautiche, un
vero e proprio personaggio "tragico" con una marcata evoluzione interiore, che sviluppa la
propria psicologia femminile nel corso della narrazione: nei tre monologhi del libro III (che poi si
risolveranno nella decisione di aiutare Giasone e di fuggire con lui) troviamo la trascrizione di un
lacerante dissidio interiore che oppone "pudore" (αἰδώς) e desiderio (ἵμερος), fedeltà alla
famiglia (in particolare al padre, nei confronti del quale Medea nutre un profondo timore) e
passione per lo straniero giunto da lontano, un dissidio che la spingerà addirittura a meditare il
suicidio. Solo esteriormente restano vivi i tratti di Medea legati alla sua tradizionale
caratterizzazione di maga (anche se è pur vero che è stata lei a procurare i filtri magici a Giasone):
con Apollonio la struttura profonda del suo personaggio è caratterizzata da quelle componenti
dicotomiche che la rendono incredibilmente umana.
Viene naturale porre la Medea di Apollonio in relazione con quella euripidea e tra le due si può
trovare senza dubbio un legame. Euripide è stato un maestro nell'analisi della psicologia femminile
e Apollonio era sicuramente molto attratto dalla drammaticità dei suoi personaggi.
La Medea di Apollonio Rodio, però, a differenza di quella del grande tragico ateniese, non è
materialmente colpevole di delitti contro i parenti: anche l'uccisione del fratello Apsirto, che una
parte della tradizione vuole sia stato compiuto da lei, nelle Argonautiche è concretamente portato a
termine da Giasone, benché egli sia sollecitato da Medea stessa, che architetta l'inganno contro il
fratello e crea le condizioni perché Giasone lo uccida.
Nella complicità di Medea all'uccisione di Apsirto alcuni critici hanno voluto vedere la
manifestazione di una "seconda Medea", ormai maga fredda e spietata, incompatibile con la
fanciulla dolce e innamorata del libro III. In realtà, invece, l'assassinio di Apsirto non è altro che la
punta estrema del contrasto tra fedeltà alla famiglia e passione per lo straniero, è un gesto che viene
compiuto in nome dell'amore (vedi apostrofe del poeta ad Eros che devasta e annulla ogni altro
legame affettivo, apostrofe che troviamo prima del racconto dell'uccisione di Apsirto in
Argonautiche, IV, 445-449 trad. G.Paduano: Funesto amore, grande sventura, abominio degli
uomini:/ da te nascono le contese mortali, i gemiti e i travagli,/ e ancora si agitano infiniti dolori./
Sui figli dei miei nemici vieni armato, signore,/ quale gettasti nell'animo di Medea l'odiosa rovina).
Le divinità nelle argonautiche
Gli dèi subiscono un profondo ridimensionamento; a differenza delle opere omeriche non sono
divisi in due schieramenti (uno contro, uno a favore dell'impresa) ma sono uniti nel proteggere
gli Argonauti. Tuttavia non esercitano un influenza continua sugli uomini, determinandone
azioni e reazioni psicologiche, ma intervengono saltuariamente e dopo che l'azione si è già
avviata ( per esempio al verso 818 del libro III c'è una rapida notazione incidentale al "volere di
Era", dopo che il travaglio interiore di Medea è già avvenuto e dopo che è stata già abbandonata
l'idea del suicidio e intrapreso il proposito di aiutare Giasone).
Alcune volte poi gli dèi vengono rappresentati in un quadro di tranquilla quotidianità e di frivola
leggerezza e giocosità (vedi la scena di apertura del libro III in cui Era, Atena e Afrodite, con
sorridente leggerezza, nel corso di una frivola conversazione, determinano il drammatico destino di
Medea; o ancora la risata di Eros dopo che ha scagliato i dardi su Medea, suscitando in lei il
tormento della passione).
Solo Zeus e Apollo si sottraggono a questa "riduzione" e con la loro muta presenza comunicano il
senso di una religiosità più profonda.
Il padre degli dèi compare nel poema come garante di valori etici e di giustizia suprema. Apollo
invece, divinità centrale dell'opera, è la presenza benefica che per due volte appare agli Argonauti in
difficoltà per incoraggiarli (II, 674-684; IV, 1706-1710).
La dimensione temporale nel poema
Uno degli aspetti più vistosi nella narrazione delle Argonautiche è la scansione temporale degli
avvenimenti; Apollonio gestisce il tempo in funzione dell'efficacia espressiva della narrazione:
gli eventi, quindi, subiscono una dilatazione temporale o, al contrario, un'accelerazione, a seconda
che si voglia o meno sottolineare la loro importanza all'interno della vicenda. Espedienti tipici usati
per rallentare l'azione sono le digressioni descrittive dell'ambiente o dei personaggi, le ekphráseis,
le similitudini, per citare solo qualche caso.
L'opera è altresì caratterizzata da un continuo incrocio di piani temporali: al presente (azione del
viaggio di Giasone) si intersecano ora il passato (antefatto della vicenda o dei singoli episodi dei
essa) ora il futuro (con anticipazioni di eventi relativi ai protagonisti della vicenda, per esempio a
Medea). Da ciò deriva una serie di sfasature tra fabula e intreccio, tra tempo della storia e tempo del
racconto.
All'interno di queste sfasature risultano molto importanti il ricorso all'áition e all'analessi.
• Attraverso l'áition Apollonio pone la narrazione mitica in relazione con la realtà presente, in un
certo senso la "storicizza": un mito spiega, fornendone le origini, un dato del mondo reale ancora
sotto gli occhi di tutti (così, ad esempio, nel libro IV, vv. 1767-1772, dopo aver narrato che gli
Argonauti, giunti sulla spiaggia di Egina, si impegnarono, quasi in una gara di corsa per attingere
acqua e portarla alla nave, aggiunge che ἔτι νῦν, <<ancora adesso>>, i giovani in quel luogo
gareggiano nella corsa, indicando così in quel particolare della storia degli Argonauti l'origine
delle gare sportive ancora vigenti).
• L'analessi è il processo opposto: consiste nella digressione attraverso cui si raccontano gli
antefatti di una certa situazione narrativa.
Se l'áition, dunque, getta un ponte tra il tempo della narrazione e il presente, l'analessi lo fa tra
la narrazione e il suo passato.

L'<<io>> poetico
Altro elemento importante nelle Argonautiche è la presenza ricorrente dell'<<io>> del poeta, della
voce dell'autore che commenta quanto viene narrato e interviene spesso nel racconto.
Diversamente da quanto avviene nell'epica arcaica, dove il poeta scompare dietro la narrazione,
Apollonio fa emergere volentieri la propria individualità poetica, anche con osservazioni
metaletterarie.

L'EPICA APOLLONIANA: UN ESPERIMENTO AUTENTICAMENTE ELLENISTICO


Per molti decenni gli studi sulla poesia ellenistica hanno contrapposto il poema di Apollonio,
ritenuto in linea con il genere dell'epica tradizionale, alla nuova poesia alessandrina, in
particolare a Callimaco, alla cui poesia breve, dotta, raffinata, avrebbe fatto da contraltare il poema
di Apollonio, lungo e continuo: quel poema "unitario e continuo", riguardante dèi ed eroi, che,
secondo i Telchini Callimaco non avrebbe saputo realizzare, era proprio rappresentato dalle
Argonautiche apolloniane. Critici più recenti, analizzando più attentamente il poema, sono giunti
alla conclusione che Apollonio Rodio, pur essendo un poeta epico, non lo è nella maniera
tradizionale e la sua capacità innovativa all'interno del genere epico lo colloca molto più vicino a
Callimaco e alla nuova poesia alessandrina di quanto a prima vista non possa apparire.
Consideriamo dunque alcuni tratti fondamentali della sua opera, in relazione con la cultura letteraria
del tempo, con l'obiettivo di verificare quanto detto.
Una prima considerazione riguarda la struttura delle Argonautiche: quattro libri, che non
contengono, complessivamente, neppure 6000 versi. Nulla a che spartire con i poemi dell'Iliade e
dell'Odissea, di 15.600 esametri il primo, di poco più di 12.000 il secondo e suddivisi in 24 libri.
Non è un caso che nella Poetica di Aristotele si leggano queste parole riguardo alla lunghezza più
opportuna per un poema epico: "Il limite della lunghezza, dunque, è quello che si è detto: bisogna
infatti poter cogliere insieme l'inizio e la fine. Questo sarebbe possibile se le strutture narrative
degli antichi fossero più contenute e fossero comparabili al numero delle tragedie rappresentate in
una sola audizione."
Aristotele, dunque, fornisce un'indicazione precisa sulla lunghezza ideale di un poema epico:
quella di una tetralogia tragica. Il poema apolloniano rispetta alla lettera questo principio: quattro
libri, quanti sono i drammi di una tetralogia; ciascuno di essi della lunghezza approssimativa di una
tragedia.
Sappiamo quanto significativi fossero i legami fra gli studi di Aristotele e della sua scuola e la
filologia alessandrina: ecco, dunque, che da questo punto di vista Apollonio Rodio appare in linea
non tanto con l'epica tradizionale quanto con le dottrine peripatetiche, molto vicine alla cultura e
alla poetica del suo tempo.
Se poi analizziamo altri caratteri salienti delle Argonautiche e altrettanto tipici della poesia
ellenistica, la relazione stretta tra Apollonio e la nuova poetica alessandrina appare ancora più
evidente:
• la soggettività del poeta (io poetico) e il suo intervento in prima persona nell'opera, così come
avviene in genere nella poesia ellenistica e in particolare nella poesia di Callimaco (negli Aitia è il
poeta stesso che interloquisce con le Muse, esponendo il proprio sapere);
• il ricorso frequente al procedimento dell'áition, in linea con la propensione degli alessandrini per
l'eziologia;
• la ricchezza di dottrina;
• il gusto per la descrizione e per l'ékphrasis (esemplare nel libro I, vv. 721-767 la lunga
descrizione del mantello di Giasone, dono di Pallade Atena, col quale l'eroe si presenta a Ipsipile),
che consente al poeta di dilatare, all'occasione, i tempi dell'azione;
• la caratterizzazione in senso tragico dei personaggi (in particolare di quello di Medea), che
rappresenta un esempio assai riuscito di contaminazione dei generi letterari (epica e dramma
tragico uniti insieme);
• variazione del registro linguistico (da quello epico e solenne a quello della quotidianità), che
troviamo per esempio nel "quadretto borghese" costituito dall'inizio del libro III, quando Era ed
Atena si recano da Afrodite per convincerla a persuadere suo figlio Eros a colpire con i suoi dardi
il cuore di Medea;
• la mutata concezione della divinità tradizionale rispetto all'età arcaica (di cui si è già parlato).
Per tutto ciò che abbiamo detto le Argonautiche si collocano nel medesimo orizzonte culturale della
nuova poetica ellenistica e le sue caratteristiche dimostrano che Apollonio è un autentico poeta
alessandrino.

Omero e Apollonio Rodio


Apollonio è sì perfettamente inserito nel contesto della poesia alessandrina, ma resta tuttavia un
poeta epico a tutti gli effetti. È dunque inevitabile che si misuri con Omero, il più grande interprete
di questo genere letterario. Non mancano infatti le corrispondenze narrative tra le Argonautiche i
poemi omerici:
• i paralleli evidenti del viaggio di ritorno degli Argonauti con il viaggio di Odisseo (buona parte
delle tappe dei due viaggi coincidono);
• il parallelo della lunga sosta di Odisseo presso Calipso con la sosta di un anno di Giasone presso
Ipsipile;
• il parallelo della figura di Tiresia, che anticipa profeticamente a Odisseo ciò che lo attende al
suo ritorno, con quella di Fineo (libro II) che indica a Giasone le difficoltà che l'eroe e i suoi
dovranno affrontare nel viaggio.
Tuttavia il rapporto tra Apollonio e Omero non è di semplice imitazione ma di imitatio cum
variatione: si tratta dunque non di un'adesione pedissequa al modello ma di un confronto dialettico.
Ciò è sempre evidente ma diventa emblematico in alcuni punti e situazioni:
• il catalogo degli eroi del libro I allude al catalogo delle navi del libro II dell'Iliade, ma rispetto ad
esso registra alcune differenze significative: maggiore interesse per la psicologia dei personaggi-
eroi, introduzione di digressioni narrativo-mitologiche per introdurre vicende mitiche connesse
con i personaggi via via presentati;
• le cosiddette "scene tipiche", che caratterizzano i poemi omerici, non vengono replicate più volte
nel poema di Apollonio, ma, dopo una prima occorrenza, vengono solo richiamate brevemente o
eventualmente modificate;
• le similitudini, che Apollonio usa ampiamente come fa Omero, sono assai più inserite nel
contesto narrativo e sono più funzionali alle emozioni che vogliono suscitare, rispetto a quelle
omeriche.
Alla luce delle considerazioni appena espresse, viene assolutamente smentita la presunta polemica
che, in anni passati, si è ipotizzata tra Callimaco e il suo discepolo Apollonio Rodio. Peraltro
nessuna fonte antica cita Apollonio come uno dei Telchini, che, come è noto, simboleggiano gli
avversari di Callimaco.
Il fattore rispetto al quale Callimaco e Apollonio divergono (ma non certo si tratta di polemica!) è
solo la scelta del terreno artistico sul quale esercitare la propria concezione poetica: se Callimaco
aveva preferito misurarsi con altre forme letterarie, Apollonio sceglie di applicare la nuova poetica
(compresa la tecnica della brevitas) proprio al genere dell'epica, il genere in cui diventavano
veramente una sfida obiettivi come la levità, la raffinatezza, l'originalità rispetto ai modelli.

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