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1.

L'epica classica comprende gli antichi poemi che raccontano in modo “epico” (cioè solenne)


le imprese guerresche e le avventure degli eroi avvenute in un tempo lontanissimo e quindi
mitico.

Epica (dal termine greco epos: parola, discorso, racconto) è la narrazione poetica delle imprese
gloriose, straordinarie di un popolo, dei suoi eroi, dei suoi dei.

Tutti i popoli antichi hanno sentito l'esigenza di tramandare ai posteri le memorie del proprio
passato riguardanti le vicende della patria e le gesta gloriose degli eroi locali. Ogni civiltà, soprattutto
all’inizio della sua storia, produce opere epiche, perché i popoli amano celebrare il proprio passato,
legandolo a fatti o imprese memorabili, per esaltare l’importanza e la dignità della propria origine.
Per questo la realtà dei fatti viene spesso trasformata dalla fantasia dei poeti e arricchita con
elementi tratti dal mito

Questi canti di tipo epico, pur presentando una realtà spesso trasfigurata, idealizzata dalla fantasia
poetica e popolare, rappresentano un vero e proprio «fatto culturale» in quanto rispecchiano gli
ideali e i valori (religiosi, morali, civili, sociali, politici) dell'intero gruppo sociale o del popolo cui
appartengono.

I canti celebrativi nei tempi antichi venivano trasmessi oralmente di generazione in generazione


da poetì-cantori, detti «aèdi» o «rapsodi», che nelle corti, nelle piazze, nei villaggi e nelle città
recitavano le loro composizioni accompagnandosi con strumenti musicali quali la cetra o la lira. Solo
più tardi questi canti, che costituirono l'antichissima tradizione epica popolare, si unificarono, per
opera di grandi poeti, in veri e propri poemi come nel caso dell'Iliade e dell'Odissea, attribuiti
a Omero.

Quando parliamo di «epica classica» ci riferiamo ai poemi epici del mondo classico, cioè greco e
latino.

2. Per questione omerica si intende il dibattito nato tra gli studiosi intorno alle modalità della
composizione dell’Iliade e dell’Odissea.

In particolare, ci si è chiesto se i due poemi siano opera di uno stesso autore o di uno o più autori
diversi; se questo autore possa essere identificato o meno con Omero; e, infine, se Omero sia
effettivamente esistito o se non sia piuttosto una figura leggendaria.

Non si sono mai raggiunte conclusioni definitive e forse non sarà mai possibile stabilirle con piena
certezza.

Non si sa se Omero sia stato autore sia dell’Iliade che dell’Odissea ma molti critici sostengono che
per la scansione dei contenuti vi siano molte diversità. Molti sostengono che i temi trattati nell’Iliade
(eroismo, forza) siano diversi da quelli dell’Odissea (astuzia): corrente separatista (studiosi di
Alessandria III sec a.c.);
Ma altri sostengono che l’Iliade fu scritta quando era giovane e l’Odissea nella vecchiaia che
spiegherebbe tali diversità. Nonostante questo tuttora non c’è possibilità di trovare una decisione
univoca.

Anche il filologo tedesco F. A. Wolf (1795) sostenne che la tradizione epica avesse elaborato dei
canti separati, composti e recitati da cantori che non usavano la scrittura, e che fossero poi stati
“cuciti” e fissati solo nel VI secolo a.C.

Nel secolo scorso un ricco mercante tedesco, Heinrich Schliemann, amante dell’archeologia, si
intestardì nella ricerca della città di Troia. Proprio come un detective, egli raccolse tutte le
informazioni contenute nell’Iliade  e nell’Odissea, che potevano guidarlo nella ricerca. Giunto nel
punto in cui si riteneva che fosse esistita Troia, vi trovò una collina ricoperta di sterpi e cespugli.
Dalla sommità egli immaginò tutte le situazioni descritte da Omero: lì scorreva il fiume, lì erano
ancorate le navi greche, lì erano sistemati gli accampamenti greci.

Assoldò manovali ed esperti e cominciò gli scavi. Ben presto vennero alla luce i resti delle mura
distrutte di Troia. Scoperse anche che, insieme a quelle di Troia, erano sepolte altre mura; segno che
più città erano state costruite, l’una sulle rovine dell’altra.

L’antica città di Troia fu localizzata in una località oggi nota come Hissarlik, nella Turchia occidentale.
Oggi il sito mostra i resti di una città che fu costruita e distrutta molte volte.

Molti sono i punti di somiglianza con la Troia raccontata nell’Iliade. Le sue mura massicce, per
esempio, richiamano la descrizione di Omero.

L’ampia pianura su cui estende la città è una posizione ritenuta credibile per le cruente battaglie tra
Greci e Troiani.

Omero: ipotesi sulla sua biografia

Omero è uno dei più grandi scrittori della letteratura greca, famoso per essere stato l’autore dei
celeberrimi poemi de l’Iliade e l’Odissea. Purtroppo non si hanno notizie certe sulle sue origini in
quanto molte informazioni reali si confondono con la leggenda. Per alcuni studiosi Omero è il
discendente di Orfeo, per altri è il figlio della ninfa Creteide, per altri ancora sarebbe invece stato
un mercante diventato poeta dopo essere divenuto disgraziatamente cieco. C’è grande incertezza
anche per quanto riguarda il luogo di nascita: ben sette città greche si contendono i suoi natali tra
cui Smirne, Chio, Colofone, Itaca, Pilo, Argo e Atene. Stesso dubbio riguarda il periodo
di collocazione della sua vita: c’è chi ritiene che il poeta greco sia vissuto nell’VIII secolo a.C., chi fa
risalire la sua esistenza al periodo della guerra di Troia, chi invece pensa che sia vissuto circa due
decenni dopo tale evento.
6. Il Proemio dell’Iliade - Parafrasi

Quella che segue è la parafrasi del Proemio dell’Iliade. La parafrasi è la riscrittura in prosa di un testo
poetico, fatta in modo da semplificarne la comprensione.

Nella riga in nero trovate il testo di partenza, con i versi divisi dalla barra ( / ); nella riga in verde le
parole del testo di partenza sono riordinate in maniera più comprensibile e lineare; nella riga in blu,
infine, trovate la parafrasi vera e propria, in cui tutte le espressioni “difficili” sono riscritte utilizzando
termini più comuni (ad es. “Diva” → “Dea”, oppure “addusse infiniti lutti” → “causò moltissime
morti”).

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille / l’ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei,

O Diva, cantami l’ira funesta del Pelìde Achille che addusse infiniti lutti agli Achei,

O Dea, raccontami in versi l’ira portatrice di morte di Achille, figlio di Peleo, che causò moltissime
morti tra gli Achei,

molte anzi tempo all’Orco / generose travolse alme d’eroi, / e di cani e d’augelli orrido

travolse all’Orco anzi tempo molte generose alme d’eroi, e abbandonò lor salme

gettò nell’Aldilà prima del tempo le anime di molti eroi coraggiosi, e abbandonò i loro cadaveri
[perché fossero]

pasto / lor salme abbandonò (così di Giove / l’alto consiglio s’adempìa), da quando /

pasto orrido di cani e d’augelli (s’adempia così l’alto consiglio di Giove), da quando

il pasto terrificante di cani e uccelli (si compiva così il volere di Giove), da quando

primamente disgiunse aspra contesa / il re de’ prodi Atride e il divo Achille.

primamente aspra contesa disgiunse Atride il re de’ prodi e il divo Achille.

per la prima volta un violento litigio divise il figlio di Atreo [Agamennone], re dei coraggiosi, e il
divino Achille

Eccovi quindi la parafrasi completa, riscritta tutta di seguito.

O Dea, raccontami in versi l’ira portatrice di morte di Achille, figlio di Peleo, che causò moltissime
morti tra gli Achei, gettò nell’Aldilà prima del tempo le anime di molti eroi coraggiosi, e abbandonò i
loro cadaveri perché fossero il pasto terrificante di cani e uccelli (si compiva così il volere di Giove),
da quando per la prima volta un violento litigio divise il figlio di Atreo Agamennone, re dei coraggiosi,
e il divino Achille.
3. La mela d'oro- ovvero il pomo della discordia

Si narra che tanto tempo fa, quando ancora l’Olimpo era abitato da Zeus e da tutta la sua grande
famiglia, nel Giardino delle Esperidi cresceva l’albero dalle mele d’oro. Mica si trattava di un melo
qualunque, era un regalo di nozze che il dio di tutti gli dèi aveva fatto a sua moglie Era. Ebbene, un
giorno di gran fermento, uno di quei meravigliosi frutti d’oro venne rubato.

Da chi? Da Eris, la dea della discordia.

Perché? Perché non venne invitata alle nozze di Peleo con la ninfa Teti, niente poco di meno che i
futuri genitori del prode Achille. La povera Eris si sentì così offesa che, per vendetta, si presentò nel
bel mezzo del banchetto nuziale per lanciare tra gli invitati la mela d’oro rubata con un messaggio
quasi banale: “Alla più bella!”.

Diamine! Chi mai avrebbe potuto essere la più bella se non la sposa? Eh no! Afrodite dea della
bellezza, Era la first lady e Atena dea della saggezza e della guerra si lanciarono sul frutto peggio che
incontro a un bouquet appena lanciato. E litigarono così tanto che Zeus, non sopportandole più,
decise di chiamare l’uomo più bello del mondo, Paride, principe di Troia, per far scegliere a lui chi tra
le tre dee fosse la più bella.

Mentre Eris ancora rideva, Paride venne conteso con promesse e lusinghe. Era gli promise in cambio
infiniti possedimenti, Atena la vittoria su tutte le guerre e Afrodite? La donna più bella del mondo:
Elena. Paride era un romantico, si sarebbe detto allora…, e scelse l’amore o qualcosa del genere
incoronando Afrodite.

Ma mica finì lì… C’era un piccolo problema: Elena era una donna sposata, ma non una sposa
qualunque, era la regina di Sparta, moglie di Menelao. Paride andò a rapire il suo trofeo, con l’aiuto
di Afrodite, che tuttavia, non poté evitare l’ira del re tradito, che costò a Paride 10 anni di guerra e la
distruzione di Troia.
Scontro tra Achille e Agamennone pag. 87-90-93

Una questione d’onore


In questo brano veniamo a conoscenza della contesa tra Achille
e Agamennone: i due si affrontano su una questione d’onore poiché afferente
al loro prestigio di guerrieri (la areté), cioè il bottino di guerra, la preda, il
ghéras.  
La disputa per CriseideCriseide deve essere riconsegnata da Agamennone al
padre affinché si plachi la pestilenza punitiva inviata da Apollo
all’accampamento greco. Lei è il bottino di guerra di Agamennone che non
vuole restare senza dono. A nulla vale che Achille abbia provato
tranquillizzarlo, dicendogli che è solo questione di tempo e che presto
avranno un bottino altrettanto grande da offrirgli; Agamennone, infatti, ha
letto con malizia le parole di Achille: è solo un modo per sviarlo dal
prendersi un dono di altri, magari proprio il suo.

La schiava Briseide di Achille nelle mani di Agamennone


La provocazione di Agamennone colpisce nel segno: Achille viene obbligato
a risarcire Agamennone con la sua schiava Briseide: davanti a tutti i guerrieri
greci vede il suo prestigio subire uno smacco. I due si ingiuriano,
offendendosi con violenza: Achille sottolinea che i suoi guerrieri non sono lì
per vendicarsi dei Troiani, che nulla hanno fatto loro, ma solo per aiutare
l’avido Agamennone a fare bottino e Menelao a vendicare l’offesa di Elena;
a queste condizioni è meglio andarsene.  
Il ritiro di Achille
Agamennone, pur sapendo che perdere Achille sarà un grave danno, non
può mostrarsi debole davanti agli altri eroi greci e acconsente con sarcasmo
alle intenzioni del glorioso guerriero: che se ne vada pure a casa, i Greci
possono fare a meno di lui. È il colmo. Achille sta per assalirlo quando Atena
lo ferma, trattenendolo per i capelli biondi: non è adesso il momento, gli
dice.  

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