Sei sulla pagina 1di 4

Storico greco (95 circa - 180 d. C.

circa); nato a Nicomedia di Bitinia e cittadino romano, rivestì


ragguardevoli cariche politiche al tempo di Adriano, ma dopo l'avvento di Antonino Pio si trasferì in Atene.
Fra le sue opere, nelle quali prese a modello Senofonte, principale è "La spedizione di
Alessandro" (᾿Ανάβασις ᾿Αλεξάνδρου), in sette libri, che è, tra quelle pervenuteci, la trattazione più
attendibile sulla conquista dell'impero persiano da parte dei Macedoni; fonti principalissime di A.

L’epopea trionfale di Alessandro Magno già durante il suo stesso svolgimento ha alcuni
storici “ufficiali”. Callistene, pronipote di Aristotele, accompagna il Macedone e ne scrive le
vicende fino alla battaglia di Gaugamela (331 a.C.), ma cade in disgrazia e viene messo a
morte nel corso della cosiddetta “congiura dei paggi” nel 327 a.C. Eumene di Cardia ne
raccoglie in un certo senso il testimone e redige dei “diari” ufficiali, le Efemeridi, che trattano
degli avvenimenti a partire dal 330 a.C. Dopo la morte di Alessandro, la parabola del
conquistatore è raccontata dal suo generale Tolemeo, il fondatore della dinastia che governa
l’Egitto per due secoli, e da Aristobulo di Cassandrea, a quanto pare il “tecnico” a capo del
genio nel corso della spedizione. Il suo resoconto, per quanto probabilmente fin troppo
oleografico nel ritrarre il sovrano, doveva però essere ricco di interessanti dettagli naturalistici
relativi alle terre attraversate dai Macedoni.

Le opere di Tolemeo e Aristobulo sono andate perdute, ma risultano ampiamente utilizzate


da Arriano di Nicomedia. Allievo del filosofo Epitteto, diviene amico dell’imperatore Adriano
che lo eleva al rango senatorio e gli affida l’incarico di governatore della Bitinia. Arriano,
figura profondamente libresca, nel corso della sua vita decide di atteggiarsi a nuovo
Senofonte, come testimonia la sua produzione letteraria e storiografica. Se i suoi Eventi
successivi ad Alessandro (probabilmente ispirati alle Elleniche) sono andati quasi
completamente perduti, sopravvive invece l’Anabasi di Alessandro, che per noi costituisce
un’indispensabile fonte sulla spedizione del Macedone. Lo scopo principale di Arriano,
peraltro, non è affatto di carattere storiografico. Il suo obiettivo è quello di comporre un tributo
letterario alle grandi imprese di Alessandro, facendo per lui quello che Omero aveva fatto per
Achille; l’elaborazione stilistica e retorica dell’opera (che pure ha un’ossatura storica
rispettabile) è particolarmente elaborata e la rende facilmente accessibile, per quanto spesso
carente in pathos. Una tendenza differente rispetto a quella “cortigiana” rappresentata da
Aristobulo, Tolemeo ed Eumene è spesso individuata nell’opera storica perduta di Clitarco di
Alessandria, composta intorno al 310 a.C. e basata, a quanto pare, su resoconti di prima
mano da parte di partecipanti alla spedizione. Clitarco viene spesso criticato come poco
affidabile e incline a “colorire” la narrazione, ma i suoi resoconti molto vividi dovevano
risultare particolarmente attraenti, al punto che risultano alla base del diciassettesimo libro di
Diodoro Siculo e di molti episodi presenti in Curzio Rufo, nonché, forse, anche del cosiddetto
Romanzo di Alessandro.
Plutarco sottolinea come le sue Vite non abbiano pretese di completezza storica (il suo uso degli
autori precedenti, sia di quelli canonici sia di quelli più oscuri, è comunque riconosciuto ed
estesissimo): esse appartengono espressamente ad un genere specifico, quello, per l’appunto, della
biografia. I suoi sono ritratti finalizzati a far risaltare il singolo uomo, la sua personalità e il suo
carattere; per questo motivo è frequente, e particolarmente gradevole, il ricorso all’aneddoto, al
motto di spirito, ai particolari marginali e sfuggenti (diapheugonta) come mezzo per dare vita a una
figura. Le sue biografie, agili e accattivanti, hanno un valore eminentemente educativo: leggendo le
vicende dei grandi personaggi di quella che già Plutarco considera antichità (per quanto ovviamente
meno remota di quanto possa apparire a noi), il lettore può trarre utili insegnamenti etici, vivendo
per giunta, durante la lettura, una sorta di catarsi, una “simbiosi” che gli consente di rivivere in
quell’istante i pathemata di cui legge. Anche le vite degli “eroi negativi” (Antonio e Alcibiade in
primis) hanno la loro utilità nell’esaltare il valore della virtù attraverso l’esposizione del vizio. Non si
deve nemmeno trascurare, peraltro, il valore di “ponte culturale” delle biografie plutarchee, che,
collegando grandi personaggi delle due civiltà (dai più antichi, come Teseo e Romolo, ai massimi
rappresentanti dell’ambito politico e culturale, come Alessandro e Cesare, Demostene e Cicerone),
avallano l’ideologia della “condivisione” del governo dell’impero, alla base del lealismo delle classi
dominanti greche. Da rimpiangere, in tal senso, la perdita della prima coppia di Vite (Epaminonda e
Scipione), che probabilmente era aperta da un’introduzione programmatica all’intera raccolta.

Combattuta nell’autunno del 331 a.C., la battaglia di Gaugamela (nei pressi dell’odierna città
irachena di Mosul) segnò un punto di non ritorno nella guerra tra le truppe macedoni di Alessandro
Magno e l’esercito persiano sotto il comando di Dario III. Nei due anni precedenti, dopo la vittoria di
Isso, sulla costa ai confini tra Cilicia e Siria, Alessandro aveva occupato la sponda mediterranea fino
all’Egitto, dove si era fatto consacrare faraone e aveva fondato la città che ancora oggi tramanda il
suo nome. Iniziava così l’irresistibile marcia verso oriente che avrebbe portato in pochi anni
Alessandro a regnare su un impero immenso, dall’Egitto alle vette dell’Hindu Kush e fino alle
estreme propaggini dell’India. La morte lo coglierà nel 323 a.C. a Babilonia, che aveva proclamato
capitale del suo impero.

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che custodisce il grandioso mosaico in cui si narra la
battaglia tra Alessandro e Dario, ha organizzato attorno a quest’opera monumentale la rassegna
Alessandro Magno e l’Oriente, in corso dal 29 maggio al 28 agosto 2023. Il mosaico, scoperto nella
Casa del Fauno a Pompei durante gli scavi condotti nella prima metà dell’Ottocento, è datato tra la
fine del II e l’inizio del I sec. a.C., ed è composto da quasi due milioni di tessere, che coprono una
superficie di oltre diciotto metri quadrati. In contemporanea con l’apertura della mostra, il mosaico
viene sottoposto a un delicato restauro che si concluderà nella primavera del 2024: è stato allestito
un “cantiere aperto”, in modo da permettere agli studiosi e ai visitatori di seguire in diretta il
procedere dei lavori.

Potrebbero piacerti anche