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L'età ellenistica (manuela Mari)

Archeologia e Storia Dell' Arte Greca (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)

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“Quando il mondo parlava greco”


L’ellenismo e i suoi limiti cronologici
Il termine Hellenismos e le altre parole della stessa famiglia indicano “l’atto di parlare greco” di chi greco
non era. “Parlare greco” per i Greci antichi significava assumere uno “stile di vita greco”. Hellenistes indica
qualcuno (non greco) “che parla greco”. Hellenizein significa “parlare la lingua comune”.
I greci dividevano il mondo in greci e non greci ma chiunque poteva hellenizein e quindi “diventare greco”.
La disponibilità di imparare nuove lingue crebbero negli anni 30 del IV secolo a.C. dalle conquiste di
Alessandro Magno. Droysen fu il primo a capire questo potenziale. Con Alessandro Magno nato a Pella nel
256 e morto a Babilonia nel 323, divenuto signore dei persiani in appena 4 anni (334-330) il mondo fu
diverso da com’era prima.
Ci fu il trasferimento di greci e macedoni in Egitto e nell’Asia. Dopo la morte di Alessandro ci fu uno
smembramento del suo impero e si formò una cultura nuova nata tra la fusione della cultura greca e le
culture orientali. Droysen fu il primo a dargli un nome, guardava a un orizzonte molto più ampio, che
includeva il Mediterraneo occidentale, anche se non era stato toccato dalle conquiste di Alessandro.
La struttura della sua opera, articolata in 3 volumi dedicati rispettivamente ad Alessandro, ai suoi successori
e al “sistema statale ellenistico” e ha due letture alternative: una fa iniziare l’ellenismo con le guerre dei
diadochi (323) e una che comprende l’ellenismo a partire dal regno di Alessandro (336). La seconda è la
preferibile. Droysen termina il racconto nel 222 a.C. con la sconfitta del re spartano Cleomene III contro una
coalizione di Stati greci guidata dal re macedone Antigono Dosone.
Furono altri studiosi, come Ulrich a imporre come fine dell’età ellenistica il 31/30 a.C. con la fine del regno
Tolemaico e l’ingresso di Ottaviano ad Alessandria. Resta però da chiedersi se questa data sia storicamente
significativa come lo sono il 336 e il 323, perché il sistema di Alessandro era crollato molto prima del 31 a.C.

Le fonti per lo studio della storia ellenistica


Per le epoche precedenti all’età ellenistica abbiamo opere di “grande storiografia” scritte da autori
contemporanei ai fatti o della generazione successiva (Erodoto, Tucidide, Senofonte), per l’età ellenistica
abbiamo pochissime fonti, tra cui Polibio, Timeo di Tauromenio, nato non molto dopo la nascita di
Alessandro e vissuto nel III secolo, ed è oggetto di una pesante critica nel XIII libro delle Storie di Polibio che
nasce da una distanza culturale e che ci ha fatto scartare l’opera del siceliota.
La mancanza di fonti ci priva della Alessandrografia, delle opere dedicate ai suoi successori e della
storiografia locale o della storia di santuari e culti locali. Resti preziosi sono le testimonianze epigrafiche
come il corpus di iscrizioni da Magnesia al Meandro relative all’istituzione delle feste per Artemide del III
secolo a.C.
Anche la Biblioteca storica di Diodoro Siculo ci è pervenuta solo in parte: i libri dal XVI al XX sono una guida
dell’età di Filippo II e di Alessandro, alle prime fasi della guerra dei diadochi e alle vicende della Sicilia.
La conservazione solo parziale è tra le ragioni della nostra difficoltà a ricostruire in modo coerente la “storia
evenemenziale”.
Se l’impero universale di Alessandro poteva essere un modello per Roma, le vicende successive suscitano
meno interesse; l’aneddoto di Svetonio sulla visita di Ottaviano alle tombe reali di Alessandria è molto
significativo anche se probabilmente inventato. I romani hanno quindi poco interesse per le vicende dei
Diadochi.
In età Antonina, Pausania considera l’egemonia macedone sulla Grecia un’epoca di decadenza, pur
riconoscendo la grandezza di Filippo II e Alessandro, concentra il suo racconto sull’età dei Diadochi. Gli
storici che parlavano dei diadochi non erano più letti in età imperiale e trova conferma nella loro limitata
presenza tra i protagonisti delle Vite di Plutarco.
A queste sono da aggiungersi i frammenti delle opere storiografiche ellenistiche.
Spunti di riflessione ci sono giunti dal pensiero politico di Aristotele e dalla sua idea di polis e per la

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classificazione delle diverse forme di economia dell’Economico. La commedia attica nuova presenta degli
aspetti della vita, della società e del diritto ateniese e il gusto per i poeti ellenistici per gli aitia.

Il patrimonio epigrafico in età ellenistica e romana è abbondante se confrontato con quello delle epoche
precedenti, anche per la tendenza alla conservazione e pubblicazione di documenti di interesse pubblico.
Il panorama geografico delle iscrizioni ellenistiche è molto esteso, sia per l’attitudine epigrafica delle aree di
lingua greca sia della mobilità e diffusione di genti parlanti greco, come il caso delle massime delfiche incise
e pubblicate ad Ai Khanum in Afghanistan.
La quantità di papiri restituiti dall’Egitto ellenistico romano e greci è enorme: accanto ai papiri di contenuto
letterario la riscoperta di autori come Menandro o singole opere, come la Costituzione degli Ateniesi di
Aristotele, ci consegnano materiale documentario grezzo destinato ad archivi privati.
Iscrizioni, papiri e monete richiedono una competenza tecnica specifica essenziale per la loro corretta
interpretazione. I documenti epigrafici a meno che non siano in relazione diretta ed esplicita con un evento
della grande storia, sono difficili da datare in un preciso anno, con l’eccezione di testi di cancellerie reali
datati con l’anno di regno di un sovrano.
Il paziente incrocio di dati paleografici, prosopografici e formulari ed eventuali riferimenti alla grande storia,
consentono di disporre i documenti in sequenza.
L’analisi di papiri, consente di rimettere in discussione idee consolidate sulla natura del regno tolemaico e
del suo sistema economico.
Ogni studioso di epoca ellenistica deve confrontarsi con i documenti scritti in lingue diverse, che
permettono di cogliere aspetti essenziali dell’interazione tra Greci macedoni ed egiziani, del regno
seleucidico o dell’aramaico e dell’ebraico come lingue religiose. Anche la letteratura sacerdotale babilonese
getta luce su episodi poco noti delle guerre dei diadochi.
E’ l’evidenza materiale a risultare particolarmente preziosa a illuminare le forme di ibridazione culturale
caratteristiche del mondo ellenistico; come la raffigurazione dei Tolemei come faraoni.

Qualche aspetto caratterizzante dell’età ellenistica


Caratteri centrali dell’età ellenistica 1. Il suo policentrismo, 2. L’enorme varietà di declinazioni locali di
sistemi economici 3. L’ampia gamma di sfumature con le quali cogliamo la cultura ellenistica.

La civiltà che ne deriva non è un amalgama come immaginava Droysen, né si può attribuire ad Alessandro, e
ancora meno ai suoi successori, ma è un’immagine più complessa e sfaccettata. Se può essere utile fare
confronti tra passato e presente bisogna essere consapevoli dei rischi che l’operazione comporta e delle
peculiarità di ogni epoca.
Un passo di Plutarco ha contribuito a modellare l’immagine moderna dell’ellenizzazione duratura dei
territori conquistati da Alessandro nella quale spiega come esso sia riuscito a insegnare a diversi popoli a
praticare il matrimonio, l’agricoltura, ad aver cura dei padri anziché ucciderli per i Sogdiani e ai Persiani a
rispettare le madri; con lui si cominciò a leggere Omero e a cantare le tragedie di Euripide e Sofocle;
Alessandro fondando oltre 70 Paesi stranieri e diffondendo istituzioni greche si impose su uno stile di vita
incivile e bestiale.
L’ellenismo fu un’imposizione dall’alto pianificata della lingua, istituzioni e della cultura greche alle
popolazioni dei territori conquistati, in particolare in Asia.
La conquista dei territori appartenenti all’impero persiano stimolò nei Greci un visione aggressiva e
dominante del proprio ruolo di civilizzatori e valutarono in modo diverso il risultato del loro incontro con le
civiltà indigene. Strabone segnala una scomparsa dei caratteri di civiltà greca a Megale Hellas e dichiara che
essi si imbarbarirono (in Occidente). I Greci avevano fondato decine di poleis in Occidente ma erano da
sempre abituati a convivere con le popolazioni e le culture indigene e non avevano mai imposto un
controllo stabile e continuo su vaste regioni, come avviene cono Alessandro. L’archaiologia siceliota di
Tucidide insiste sulla mescolanza etnica caratteristica della Sicilia, in cui i Greci sono solo un elemento tra
molti.

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Economie e società ellenistiche


In età ellenistica sono presenti aspetti di innovazione e di maggior dinamismo nelle economie ellenistiche,
rispetto alle epoche precedenti, in cui alla base ci sono le campagne militari di Alessandro e dei Diadochi.
C’è una maggiore diffusione dell’economia monetaria, maggiori migrazioni internazionali verso nuove
terre. Nella vita interna delle città, gli effetti economici delle guerre si percepiscono in senso negativo.
Non si può parlare di una economia globale, sono ancora la norma i circuiti locali. Però allo stesso tempo gli
scambi in natura sono diminuiti o del tutto scomparsi, come la servitù regale legata alla terra (laoi)
(scomparsi nel mondo greco sono ancora presenti invece nei nuovi territori conquistati).
La guerra e la pirateria sono descritte in un passo di Agostino, in cui catturato un pirata, Alessandro gli
avrebbe chiesto perché tormentava i mari e gli avrebbe risposto “per la stessa ragione per cui tu tormenti il
mondo. Io lo faccio con una nave, e allora mi chiamano pirata; tu lo fai con una grande flotta e allora ti
chiamano re”.

E allora cosa c’è di nuovo?


La storia è in continua evoluzione, conosce accelerazioni clamorose. La conquista greco-macedone
dell’impero persiano è una accelerazioni maggiori della storia non solo antica.
Aspetti dell’ellenismo che appaiono nuovi in alcuni aree dell’impero lo sono molto meno in altre.
Conseguenza storica più appariscente delle conquiste di Alessandro: l’affermazione stabile di forme
monarchiche e dei connessi Stati territoriali fondati sulla conquista militare, nei quali una élite soprattutto
greco macedone governa ampi territori e popolazioni etnicamente e culturalmente miste.
A partire da Filippo II assistiamo a una vera e propria “colonizzazione interna” con assegnazioni di terre ai
Makedones, vincolati in cambio al servizio militare, e di proprietà più estese ai compagni del re (hetairoi) e
ad altri membri dell’élite: è il modello che Alessandro attuerà nei nuovi territori conquistati: introducendo
nelle nuove città fondate in Asia tipiche istituzioni macedoni come l’epistates (magistrato civico) e i
peliganes (membri del consiglio).
La regalità non era un’esperienza nuova per il mondo greco: senza risalire all’età micenea, vi erano aree
stabilmente governate da re. Le novità dal punto di vista dei Greci sono altrove: nella generalizzazione degli
stati monarchici, inclusione delle poleis all’interno di stati territoriali.
Si è molto discusso se il regno dei Seleucidi si possa definire una struttura statale forte o debole, e sul grado
di effettivo controllo di territori da parte del potere centrale.
I re ellenistici avevano bisogno di sostegno da parte delle élite locali e di negoziare il riconoscimento e le
condizioni del loro potere, da qui la necessità di modulare l’ideologia, le cerimonie e le rappresentazioni
della regalità come per esempio l’aspetto multiforme dell’ultimo sovrano seleucide Antioco III.

L’attitudine evergetica del re ellenistico discende dalla sua ricchezza, vista come un bene da redistribuire.
Questo meccanismo di redistribuzione definiva il rapporto tra il re macedone e gli hetairoi; vale per le
attribuzioni di proprietà terriere, distribuzioni di banchetti, che toccano la cerchia del re ma che possono
essere estese a migliaia di persone nel corso di feste pubbliche in cui il re è visto come “colui che nutre”.
L’unione tra il re e i membri del suo entourage si fonda sulla condivisione dello stile di vita ma anche sulla
disponibilità del re di spendere in favore dei membri, o mettere a disposizione beni e servizi.
Questo rapporto ha ricadute importanti sia sull’ideologia del potere che sull’economia degli stati ellenistici.
Il rapporto che lega il re ai suoi membri è un sistema in cerchi concentrici: prima i membri dell’élite, poi i
makedones e infine le élite locali e le comunità cittadine. Per queste ultime l’intervento benefico del re si
converte in infrastrutture, costruzione o manutenzione di edifici pubblici.

Il basileus è in grado di mobilitare risorse economiche, militari fuori dalla portata di qualunque città. La
perenne conflittualità tra i diversi regni per il controllo di diverse aree fa del mondo ellenistico un sistema di
stati in perenne competizione tra loro, fino all’affermazione di un unico potere, i Romani.
Droysen afferma che accanto alla nascita di nuove forme statali, è la sopravvivenza, la capacità di
adattamento e la diffusione della città il dato caratterizzante dell’età ellenistica.

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L’elemento nuovo è soprattutto dato dalla quantità delle nuove fondazioni e dalle dimensioni fisiche e
demografiche di alcune di esse.
Nessuno può sostenere che la polis è morta a Cheronea nel 338 a.C. per i Greci, ma la polis resta l’orizzonte
naturale della vita sociale e politica, e quindi assistiamo alla diffusione dei regimi detti democratici che non
ha nulla in comune con l’Atene del V secolo. Rispetto a questo la novità sarà che l’organizzazione politica
non è più dominante o esclusiva, e avviene la perdita di centralità in politica estera.
Stati monarchici e città concorrono insieme a costituire lo scenario politico del mondo ellenistico: sono
attori compresenti di peso differente. Singole carriere note dalle fonti epigrafiche, di esponenti cittadini che
entrano in relazione con il mondo delle corti reali, ricavano vantaggi per la città e opportunità di carriera per
se stessi.
Nei testi cuneiformi di Uruk in Babilonia, gli esponenti delle élite locali sono essenziali per il controllo regio
del territorio, assumendo il ruolo di “mediatori culturali”. A Uruk, sotto al controllo seleucide, alcune figure
sono rappresentanti delle comunità locali e difensori delle loro tradizioni culturali e religiose. Hanno quindi
un’identità multipla perché alcuni hanno nomi greco macedoni, ed era uno strumento per assimilare e
promuovere funzionari locali ed efficienti.
Un altro dato dell’età ellenistica è l’espandersi degli scenari geografici della grecità a partire dalla lingua.
Prima di Droysen gli studiosi avevano studiato la natura e storia della koine, e osservarono la sua diffusione
geografica presso grandi quantità di persone di origini diverse e le modifiche che ne derivarono della lingua.
Le poleis greche d’Occidente mantengono i rapporti con la madrepatria, attivando gli strumenti tipici che
consolidano il legame o rinnovando la propria presenza nei santuari panellenici.
Una tra le più famosa è Siracusa, con Agatocle e poi con Ierone II, che agisce come un regno ellenistico;
Timeo la definiva la più grande e bella di tutte le città greche.
Più difficile è definire i mutamenti nel campo delle figure e dei ruoli sociali. La frequentazione di uno o più
sovrani consente agli esponenti di ricoprire ruoli anche molto diversi tra loro, senza che sia necessaria una
specializzazione.
La mobilità geografica e quella professionale caratterizza le persone in epoca ellenistica e che non è limitata
ai soli Greci e Macedoni. Si continua a viaggiare per necessità e per lavoro, lo si fa più che in passato e con
più ampie possibilità di ricollocazione altrove. Però non si era sempre liberi di partire in cerca di nuove
destinazioni, come afferma Diodoro Siculo, descrivendo il malcontento dei coloni stanziati da Alessandro a
Battriana e che alla notizia della morte di Alessandro si rivoltarono perché sentivano nostalgia dello stile di
vita greco.
Per il potere centrale imporre vincoli di residenza era una misura necessaria per mantenere stabili le
dimensioni degli insediamenti e per controllare al meglio il territorio.
Vi è anche un versante negativo e violento che non dovremmo dimenticare: non solo quello degli
spostamenti forzati di popolazioni imposti dai sovrani, ma anche quello delle numerose vittime di guerre o
atti di pirateria, che finiscono imprigionati o venduti come schiavi.
La documentazione epigrafica consentono di indagare su aspetti della società, e soprattutto in età ellenistica
ci fu una evoluzione della condizione femminile, in cui ci fu un ampliamento della capacità giuridica ed
economica a differenza del quadro precedente ateniese; ad Atene, come emerge da diversi dati vigeva la
tutela legale cui la donna era sottoposta da parte del padre, del marito, in caso fosse vedova dei figli.
L’assenza di questo fatto in epoca ellenistica ha suggerito che le donne godessero di maggiore libertà
d’azione. A Sparta e in altre società doriche e in Macedonia la donna godeva di diritti e autonomia
impensabili ad Atene. Però in testi cuneiformi babilonesi e papiri egiziani appare la tutela legale da parte dei
parenti maschi in età ellenistica.
La sicura attestazione di un certo numero di donne tra le evergeti, o grandi evergeti, di epoca tardo-
ellenistica e romana è significativo di una evoluzione generale, e che porta alcune donne ad accumulare
fortune, soprattutto fondiarie. Con rare eccezioni esse sono sempre associate ai mariti e non compaiono
mai in prima persona in assemblea; esse erano indirizzate a finanziare culti e santuari di divinità femminili.
Tra le grandi evergeti hanno un ruolo di primo piano le regine, come Laodice, moglie di Antioco III, per la

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quale il sovrano organizzò una elaborata forma di culto di Stato.


E’ necessario separare il discorso sulla condizione delle donne comuni, che attiene alla storia economica,
sociale, giuridica e delle mentalità.
La centralità delle donne regali ellenistiche è determinata dalla capacità di fornire eredi al sovrano. Alla
morte di Alessandro nel 323 a.C., l’assenza di un erede in grado di assumere subito il potere e la necessità di
porre sotto tutela i due eredi designati (Filippo III Arrideo e Alessandro IV) determinarono la debolezza del
potere centrale e la conseguente spartizione dell’impero tra i Diaodchi: proprio in quegli anni di conflitti
giocarono un ruolo di primo piano, Olimpiade, madre del re defunto e nonna di Alessandro IV, ed Euridice,
moglie di Filippo Arrideo. Anche per il regno macedone dopo la morte di un sovrano si scatenavano
numerosi conflitti tra i diversi aspiranti al trono e la poligamia dei re, diventava una ulteriore fonte di
instabilità.
Le dinastie ellenistiche confermarono la poligamia, ma praticandola in forme più controllate; adottarono
l’associazione al trono dell’erede designato, per evitare conflitti: ricorsero all’endogamia, cioè matrimoni
tolemaici tra fratello e sorella, per rafforzare la purezza di sangue.
Le donne assumevano un ruolo di rappresentanza, accompagnando i sovrani nelle visite ufficiali; avevano un
ruolo on formalizzato negli equilibri di corte, investivano parte delle loro risorse in favore di città, santuari e
comunità.
Ultimo tratto caratterizzante dell’epoca ellenistica è analizzare l’evoluzione delle discipline intellettuali e
della fruizione della cultura. La storia della biblioteca di Alessandria è al cuore del fascino dell’epoca
ellenistica; molto di quello che crediamo è dubbio, ma la sua centralità nella produzione, conservazione e
diffusione della cultura è indiscutibile. Le sue dimensioni e la quantità di libri contenuti è discutibile, e la sua
fine non si può collegare ad un unico avvenimento. Il finanziamento di grandi biblioteche fu uno dei campi
in cui si espresse meglio la competitività dei grandi stati ellenistici e anche la propaganda dei sovrani.
Si afferma nello stesso tempo il finanziamento dell’opera di studiosi, ricercatori, scrittori e artisti; soprattutto
i successori di Alessandro saranno promotori della cultura.
In epoca ellenistica avviene anche un notevole progresso nei campi della matematica, ingegneria, fisica,
astronomia, matematica ecc. L’elaborazione di un metodo scientifico è la conseguenza diretta di condizioni
di lavoro favorevoli, del regolare sostegno dei sovrani.
Questa cooperazione, confronto di idee, convivenza quotidiana sembra un dato moderno; Erastotene di
Cirene è stato direttore della grande biblioteca di Alessandria, oltre ad un grande studioso in numerosi
campi, i suoi avversari lo denigravano definendo che si occupava di molti campi sempre primeggiare in
nessuno.

Il culto dei sovrani


Molte parole, idee, polemiche politiche che noi utilizziamo oggi hanno avuto origine dai greci. Per esempio
“populista o populismo” è l’erede di certi usi politici antichi della parola demos. Il lessico politico non è
monolitico né stabile: le parole possono acquistare un nuovo valore e significato, oppure una parola può
avere un valore diverso a seconda di chi e in quale contesto lo si utilizzi. Demos indica un preciso organo
decisionale ma è utilizzato dagli storici come “demokratia” per descrivere forme costituzionali attuabili.
In età ellenistica si può notare una notevole flessibilità del lessico politico. Alcuni termini dell’epoca
ellenistica hanno un enorme debito del linguaggio verso la tradizione greca delle poleis. Nel V secolo il
termine autonomia definisce la piena indipendenza e capacità di autodeterminazione di uno Stato, nel IV
secolo il termine circoscrive certi ambiti decisionali della polis, in età ellenistica sono descritti come
autonomoi comunità e popoli che nel V secolo sarebbero stati definiti come soggetti.
Il linguaggio politico ellenistico proprio perché forgiato da epoche precedenti mostra come può adattarsi a
un mondo nel quale la città ha perduto la sua centralità.
La Macedonia anche prima delle conquiste di Filippo II è un’entità politica inconciliabile con la polis, unità di
misura unica dei Greci. Nei Macedoni la cellula principale non è la polis ma il sovrano. Nella Poetica
Aristotele tratta anche di stati territoriali (anche la Macedonia) e della natura del potere che vi viene

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esercitato. L’opposizione tra documenti emessi dalle cancellerie reali e leggi e decreti consentono di capire
aspetti importanti del dialogo tra Stati monarchici e poleis. La parola del re è fonte di diritto per le città,
interagisce in modo pesante con le istituzioni e la produzione legislativa locale; questo si sviluppa non solo
nel regno antigonide ma in tutte le aree in cui fiorisce il fenomeno cittadino.
Le testimonianze epigrafiche offrono squarci sul dialogo esistente tra il sovrano e le comunità. Delle
iscrizioni riportano sull’esistenza di forme di opposizione interna che strappano al re concessioni o
ripensamenti. Temi come quelli di Alessandro nel diagramma del 324 o da Filippo V nelle lettere ai Larisei
del 217 e del 215 (il richiamo degli esuli nelle città greche e l’allargamento dei diritti di cittadinanza)
interferivano con l’autogoverno delle comunità, entrambe le questioni sollevarono reazioni violente e
contrastanti; Filippo V sarà costretto a scrivere una seconda volta ai Larisei a causa di contestazioni interne.
Entrambe le vicende ci dicono 2 cose interessanti: 1, che nessun re, nemmeno Alessandro, si rivolgeva a una
città greca su faccende che toccavano direttamente il corpo civico, emettendo ordini e aspettandosi che
fossero eseguiti; 2 di conseguenza, ogni re aveva bisogno di costruirsi un consenso all’interno di quel
mondo.
Il potere centrale e la diplomazia di corte non solo operavano a costruire le basi di un linguaggio educato,
ma individuavano in anticipo punti di riferimento privilegiati in esponenti locali disponibili ad accogliere le
richieste. Negli esempi precedenti si nota come il sovrano interviene sulla base di una conoscenza di prima
mano nei contrasti interni della città.
Sapere il linguaggio della politica cittadini voleva dire manipolarlo: lo capirono oltre ai re ellenistici i Romani.
Un esempio è descritto da Polibio: gli abitanti di Egina, conquistata da Publio chiedono ai Romani il
permesso di mandare ambasciatori alle città imparentate con loro per raccogliere il riscatto da versare. La
prima reazione è un rifiuto ma in un secondo momento, Publio che si era informato sulle usanze locali,
decise di accettare.
I Romani impararono a rivolgersi ai Greci nelle forme che i Greci si aspettavano. I loro rapporti, nella
conquista romana dell’Oriente, furono contraddistinti da una faticosa costruzione di un linguaggio comune.
Ha una importanza fondamentale Polibio che narrò l’ascesa di Roma e tradusse le tradizioni politiche greche
ai Romani e viceversa; però la sua narrazione era molto orientata, perché era e restò un uomo politico. Da
uomo politico utilizza i termini della polemica tra fazioni e allo stesso tempo cerca di far capire i significato;
però alla fine il suo è un programma politico vero e proprio.
Per avere una visione non politica dobbiamo uscire dallo scenario cittadino: e possiamo citare l’intellettuale
Ieronimo di Cardia, collaboratore dei re antigonidi e storico accusato di trattare questi con indulgenza e
Tolemeo, lo storico che è anche un basileus. Oltre era presente Arriano, che sosteneva che un re non poteva
mentire. Ieronimo aveva il permesso di consultare i documenti di corte e fuori dal comune.
Le leggi decreti, trattati, sono frutto di mediazioni, e la maggior dei casi rivelano solo in parte i traumi e le
lacerazioni alle loro spalle.

Il culto dei sovrani ellenistici e le sue diverse declinazioni


I regimi monarchici non erano una novità nel IV secolo per i Greci, la cosa nuova è il culto prestato ai sovrani
e ai membri delle famiglie reali nelle sue diverse forme e variabili locali, come due episodi della vita di
Alessandro: il primo è il dibattito del 328 sull’introduzione a corte della proskynesis, cioè un inchino,
accompagnato dall’invio a distanza di un bacio, che i Persiani davano a coloro che erano di rango superiore
e quindi al re, ma che ai Greci sembrava appropriato solo agli Dei. Questo malcontento viene dato voce da
Callistene, storico della spedizione, allievo e nipote di Aristotele, nato a Olinto conquistata e distrutta dal
padre di Alessandro 20 anni prima. Le sue parole dividono i barbari d’Asia e i greci e macedoni. Callistene
utilizza spesso i termini di time (onore, omaggio) e il verbo timan, ma utilizzati con cautela perché potevano
includere anche l’offerta di un culto a un essere vivente, atto che i Greci non si sentivano pronti a compiere.
Alessandro rinuncerà a estendere questo atto, ma Callistene verrà ucciso; questo è un esempio della
difficoltà di ogni mediazione culturale.
Il secondo episodio riguarda l’ultimo atto di vita del re e ha a che fare con la richiesta di onori divini, che

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verrà ufficializzata nelle feste a Olimpia del 324, insieme all’annuncio del diagramma sul richiamo degli esuli.

Un fenomeno a parte sono i culti resi ad Alessandro in Asia minore e nelle isole dell’Egeo testimoniati in
iscrizioni di epoca successiva e divenute un elemento dell’identità locale. In madrepatria la sollecitazione di
onori divini sollevarono l’opposizione degli antimacedoni; questo è un passo ulteriore rispetto alla filiazione
divina e a sua volta un passo avanti rispetto all’attribuzione a un genos di un capostipite divino (veniva
utilizzata dalla famiglia macedone, come Eracle, già ai tempi di Alessandro I, e avrà sviluppi in età
ellenistica).
1 E’ consigliabile non fare una contrapposizione tra culti “civici” (culti offerti alle città) e culti centralizzati)
(culti organizzati dal sovrano stesso) e la parallela contrapposizione tra iniziative partite dal basso e dall’alto
(tra questi esistono realtà intermedie).
La natura carismatica non impone la propria volontà e non elimina le tradizioni locali. I culti della persone
furono un modo per venire a patti con le nuove potenze e di dare loro un posto nel mondo (vale per le
poleis greche, non abituate a forme monarchiche); ciò che non si poteva combattere andava in qualche
modo accettato, tradotto in un linguaggio familiare.
2 separare la valenza politica delle diverse forme di culto dei sovrani da quella religiosa è una utile
operazione critica. Interpretare il fenomeno in chiave solo politica ci impedisce di trarre caratteri della
religiosità e politeismo greci.
3 è bene tenere separati l’accertamento e l’analisi delle forme di culto del sovrano presenti in un regno
ellenistico dal giudizio complessivo sulla natura del potere monarchico in quel regno.
L’attribuzione a un sovrano di una personalità divina si prestava bene a plasmare e consolidare i diversi ruoli
o figure incarnate dal sovrano. Essenziali attributi sono, più dell’immortalità, la potenza, capacità di
modificare la realtà e garantire protezione. L’inno itifallico eseguito dagli ateniesi in onore di Demetrio
Poliorcete nel 291 riconosce a Demetrio lo status divino a partire dalla sua presenza fisica e dalla sua
capacità di intervento tra i mortali.
Connotazione dei sovrani come fondatori poteva associarsi a una loro caratterizzazione sovraumana. Era
normale delle città greche istituire un culto eroico dei loro ecisti, che fu estesa a personaggi che fecero alla
città benefici eccezionali (rifondatori). Nel 421 Brasida ricevette ad Anfipoli, città che aveva liberato dagli
Ateniesi, onori eroici. Filippo fu oggetto di culto, forse già da vivo nelle città da lui fondate come Filippi,
Filippopoli.
Riconoscere la divinità mortale al basileus consentiva di rendere accettabili comportamenti che la morale
comune non accettava; per esempio il matrimonio tra fratelli introdotto da Tolemeo II, che sposò la sorella
Arsinoe nel 278 (strumento di legittimazione dinastica). I greci prima aborrivano questo atto,
successivamente verrà accettato dai greci-macedoni.
La divinità che viene riconosciuta al sovrano è anche una risorsa nel dialogo interculturale, per la Siria
seleucidica e l’Egitto tolemaico, sforzo di adattare il culto dinastico a modelli locali come il decreto
sacerdotale di Canopo del 238 a.C. per il matrimonio di Tolemeo III e Brenice II e che si svolga in tradizionale
date festive egiziane.
Sia il culto di Alessandro sia quello di Serapide furono più popolari ad Alessandria che nella chora. Il culto di
Serapide è associato a quello dei sovrani e si diffonde anche nei possedimenti tolemaici esterni all’Egitto;
per gli Egiziani Serapide restò un dio greco e poco popolare, ma si diffuse tra i Greco-macedoni e dopo tra i
romani.
Nello stato dei Seleucidi, un impulso al culto centralizzato si deve ad Antioco III che fu onorato in vita e
organizzò il culto, ancora in vita, della moglie Laodice.
Le forme concrete in cui il culto dei sovrani si attuò in età ellenistica sono:
1. Istituzione di un culto come iniziativa di una città
2. Divinizzazione di un sovrano o di membri della famiglia reale, defunti, introdotta per iniziativa del re
3. Culto di un sovrano o di una famiglia reale, viventi
4. Manifestazioni di devozione privata.

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L’epiteto soter, attribuito a Tolemeo I nel culto organizzato da Tolemeo II dopo la morte del padre, fu
associato al re per la prima volta dai Rodii.
Un re attalide assumeva ufficialmente il titolo di Theos solo dopo la morte, e questo regno rimase sempre il
caso più riuscito di regno ellenistico e anche il culto dei sovrani che vi venne praticato non rientra in una
sola delle categoria prima elencate.
Nell’introduzione di un culto cittadino potevano avere un peso rilevate o decisivo la sollecitazione da parte
di un re e la mediazione dei suoi sostenitori locali (ruolo attivo dell’iniziativa locale).
Le città adottano un registro linguistico “evergetico” per indurre i sovrani ad adeguarsi a quella
rappresentazione benevola del loro potere.
Il culto dei sovrani nelle città è il frutto di un negoziato tra la ricerca di legittimazione e consenso da parte
del re e il tentativo delle città di assicurarsene il favore, o la gratitudine per averlo ottenuto e la volontà di
mantenerlo.
Il culto istituito per Antigono e Demetrio ad Atene nel 307 fornisce un catalogo delle forme concrete che i
culti civici assumevano, grazie alla ricchezza della documentazione disponibile (letteraria, epigrafica); il
catalogo include rappresentazioni in statue o altre pere d’arte, in qualche caso con la destinazione cultuale.
Nessun nuovo tempio fu costruito per i Theoi Soteres o per il solo Demetrio ad Atene, solitamente gli si
dedicava solo una statua in un tempio preesistente, o consacrargli un altare.
Confronto tra la Macedonia e altri regni ellenistici del culto statale dei re o di altri membri della dinastia
defunti. Non ha una struttura organizzata e precisa come quella che emerge in Egitto tolemaico, ma si
sviluppa anche nella tradizione macedone. La necropoli reale di Ege (vergina) è uno dei grandi poli identitari
del regno e il simbolo stesso della continuità dinastica, e i funerali avevano un alto valore nella trasmissione
del potere.
In Egitto, il valore ai re defunti, prima di entrare in contatto con i faraoni sembra derivare dalle consuetudini
macedoni. Molta importanza ebbe per la legittimazione del potere di Tolemeo, il dirottamento del corpo di
Alessandro, destinato ad essere in macedonia e invece sepolto ad Alessandria.
Il vero salto di qualità nella strutturazione del culto dinastico tolemaico si compie con Tolemeo II
Philadelphos, che istituì il culto di suo padre Tolemeo I e poi di sua madre Berenice.
Un passo di Strabone afferma che forse Tolemeo IX o X, sconvolto dai debiti, avrebbe venduto la teca d’oro
contenente i resti di Alessandro e l’avrebbe rimpiazzata con una più economica di vetro.
Il culto dei sovrani defunti era dinastico e ognuno veniva indicato con la menzione del sacerdote eponimo,
che veniva scelto dal re.
Anche nello Stato seleucidico un culto del fondatore del regno, fu istituito dopo la morte di Seleuco I, su
iniziativa del suo successore Antioco I: Seleuco fu sepolto a Seleucia di Pieria, una delle città da lui fondate.
Nei regni seleucidi e tolemaici si visto come è impossibile separare gli stati che sperimentano un culto
dinastico centralizzato, il culto collettivo dei re defunti da quello del re o della coppia reale vivente.
Una conferma proviene dalla dinastia degli Orontidi in Commagene; la Commagene è un regno autonomo
che si è formato nel II secolo dal disfacimento dello stato seleucidico , e qui avviene una organizzazione
centralizzata del culto dei re defunti e insieme del re vivente. Antioco I istituì il culto dei suoi antenati e
associò se stesso a un pantheon di divinità greco-iraniche.
Prima di Antioco I a Commagene il culto del sovrano vivente era intrecciato ai suoi antenati nei regni
ellenistici, che sono l’Egitto tolemaico e la Macedonia antigonide. ‘Egitto rappresenta la forma di culto
dinastico centralizzato meglio sviluppata e più articolata.
A Pergamo è impossibile distinguere culto cittadino e culto centralizzato dei sovrani.
In Macedonia una divinizzazione ufficiale del re vivente al livello del potere centrale è da escludere: la
strada tracciata da Filippo II con l’inserimento della sua effige nella processione dei 12 Dei a Ege nel 336,
subito prima di venire assassinato non fu eseguita da nessuno dei suoi successori.
Sono presenti incoerenze d un testo religioso e cerimoniale del 291: qui Demetrio prima è esaltato per
essere associato alle divinità tradizionali e poi si contrappone ad esse perché Demetrio è presente e può
offrire un aiuto concreto, gli dei tradizionali sono invisibili e lontani.

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La corte e la città: interazione e competizione


Telete ci fa capire che nella sua epoca, la corte ellenistica era diventata un’arena in cui chi aspirava ad
amministrare la cosa pubblica poteva eccellere nella sua arte.

Corte reale e casa reale


Si possono studiare le corti reali sotto diversi punti di vista:
1. Come il luogo fisico (palazzo, tenda) in cui i re risiedono
2. Come un meccanismo amministrativo
3. Come l’area politica in cui si manifestano relazioni di potere: tra individui, strutture di potere all’interno di
un regno.
Il sistema di reclutamento dei membri delle corti contribuirono a plasmare il paesaggio politico dell’epoca.
La corte non è solo la somma totale delle persone al servizio dell’amministrazione reale. Un ufficiale militare
di medio rango, un aristocratico ecc non fanno necessariamente parte della corte: possono divenirne parte
occasionalmente, ma non lo sono per definizione. Tito Livio dà una descrizione delle élites del regno
macedone, nella deportazione in Italia nel 168 dice che tra di essi c’erano gli amici del re e coloro che
indossavano le vesti di porpora; questo riferimento non è alle élites macedoni in generale ma alle élites
reali.
I membri dell’élites di corte erano legati personalmente al re da legami di amicizia istituzionalizzata (philia).
Non tutti i philoi del re erano parte dell’élite di corte, né tutti i membri dell’élite di corte erano philoi.
I paggi reali, basilikoi paides erano i rampolli delle famiglie aristocratiche; vivevano a corte per parte della
loro adolescenza fino all’età adulta, ricevevano una istruzione scolastica e militare del più alto livello. C’era
qualcosa di umiliante nei loro doveri e nell’atteggiamento della corte verso di loro, ma dobbiamo
considerarli l’élite di corte in corso di formazione; senza essere legati al re né da philia né da parentela,
erano membri della casa reale e quindi dell’élite di corte. Si esercitavano e studiavano assieme al sovrano e
dava loro opportunità per la loro carriera futura, basati sulla philia (legame di fiducia).
I membri della famiglia reale non erano parte del meccanismo decisionale del regno, con l’eccezione degli
eredi designati.
Il ruolo delle donne a corte era importante. Esse erano parte dell’élite di corte, anche in senso politico e per
diverse ragioni, per il loro status simbolico e per il ruolo che avevano nella corte intesa come “luogo”; le
regine potevano avere terre proprie o corti in miniatura, che includevano personale, guardie ecc.
Per esempio un decreto onorario da Trezene descrive gli sforzi della città per riscattare un contingente
navale dalle forse seleucidiche in Asia. Non riuscendo ad ingraziarsi Seleuco I i Trezeni si rivolsero alla regina
Satronice, figlia di Demetrio Poliorcete, ex moglie del re Seleuco e moglie di Antioco. Satronice assicurò il
rilascio della flotta. I Trezeni mostrarono di aver capito alla perfezione i meccanismi di corte, si rivolsero non
al re ma alla regina, dalla quale ci si poteva aspettare la disponibilità ad aiutare e la capacità di farlo.

Elites di corte: origini e caratteristiche fondamentali


Non esiste un unico modello storico di corte ellenistica. Il prototipo è la corte macedone.
Le tradizioni imperiali locali contribuirono a determinare varianti locali. Il passato imperiale achemide fece
da modello sull’amministrazione seleucidica, e quella faraonica fece lo stesso con quella tolemaica.
C’erano delle differenze tra le diverse corti ellenistiche, quello macedone, tolemaico, seleucidico.
Le élites di corte non erano la somma totale dei membri dell’amministrazione reale ma un élite
istituzionalizzata che stava al fianco del re; gli hetairoi di Filippo e di Alessandro e i philoi dei re ellenistici
portavano insegne che ne indicavano lo status, i loro matrimoni e sepolture riflettevano la loro posizione
elevata.
La vicinanza al re è un elemento centrale della vita di corte ellenistica in contrasto con le consuetudini
achemenidi, nella quale l’accesso al re era più regolamentato e ristretto a poche persone. Si va dai compagni
(hetairoi) e guardie del corpo di Filippo II e Alessandro fino agli amici (philoi) ai residenti presso il re, ai suoi
familiari ai parenti, ed eredi.

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Diritto d’accesso e vicinanza virtuale erano più importanti della prossimità effettiva, visto che gli affari del
regno potevano imporre la distanza di corte. Amministratori regionali, generali dell’esercito (philoi del re)
erano autorizzati ad applicare le decisioni reali e a promuovere gli interessi del sovrano come gli sembrava
opportuno; questo trasferimento di autorità era necessario all’amministrazione di routine di vasti territori
controllati da Seleucidi, Tolomei e Antigonidi, che includevano popolazioni indigene; i trasferimenti di
autorità erano importanti anche per le relazioni del sovrano con Stati percepiti come non appartenenti al
regno. Per esempio Adimanto di Lampsaco, amico fidato di Demetrio Poliorcete.
I philoi del re non erano semplici burocrati che eseguivano gli ordini del re, ma individui che condividevano
e rendevano effettiva l’autorità reale. Esercitavano un potere autentico, molto superiore a quello di un
politico di uno Stato greco avrebbe mai potuto sperare. Le fonti letterarie sono mal conservate ma ci sono
giunti 26 decreti di città in cui viene nominato Nicomede di Cos che fu uno degli esponenti di spicco di
Antigono I.
Solo verso la fine del III a.C. comincia ad apparire una gerarchia fissa nella titolatura di corte; prima le
descrizioni della gerarchia erano legate al tempo e alle circostanze; prima ancora un philos poteva essere
descritto come tra i “primi amici del re”.
La specializzazione delle competenze non era quasi mai la norma a corte. Non c’era una distinzione tra
diplomatici e comandanti di eserciti, i philoi potevano ricoprire qualsiasi incarico venisse loro assegnato.
Il ruolo del re è centrale: il reclutamento, la posizione gerarchica, privilegi e benefici concreti dei philoi
dipendevano esclusivamente dalla volontà del re. All’epoca di Filippo II una percentuale di philoi era
costituita da non macedoni, non rappresentativi della politica nazionale; nei regni tolemaico, attalide e
seleucide, l’origine dei philoi era varia, alti esponenti erano reclutati nelle capitali reali ma nulla impediva
che fossero reclutati degli outsiders.
La carriera di persone rinomate per le loro competenze artistiche, intellettuali, filosofiche, tecniche o
scientifica era ancora più libera da vincoli legati alle origini.
Le analisi prosopografiche mostrano che in tutte le corti ellenistiche i non Greci rimasero una porzione
insignificante del personale di alto livello; nel III secolo i non Greci compaiono raramente nelle élites di
corte; nell’Egitto tolemaico solo nel II secolo gli Egiziani emergono come membri della corte.
Il mondo delle poleis greche rimase il principale campo di reclutamento per gli amministratori, consiglieri,
generali.
La mancanza di specializzazione scatenò molto antagonismo tra le corti ellenistiche e competevano tra loro
per il favore del sovrano. Tutti i membri della corte prestavano attenzione al minimo segno di slealtà, vero o
presunto, strumento essenziale per l’avanzamento di carriera. Chi serviva meglio gli interessi del sovrano
otteneva una fetta più ampia della sua fiducia.

Corti ed élites cittadine


Ogni relazione tra re e città si fondava su reti di relazioni tra individui. L’esecuzione della volontà del re era
assicurata dall’azione di individui che ne condividevano l’autorità (membri della corte).
In molti casi non sappiamo le modalità dei contatti tra un cittadino di uno Stato greco con la corte reale. I re
ellenistici avevano una vita peripatetica quindi era frequente incontrare il re o i membri della corte; anche le
battaglie potevano essere delle occasioni.
I contatti tra un cittadino ambizioso e una corte reale non coinvolgeva necessariamente il re, nella maggior
parte dei casi interveniva la mediazione di una terza parte.
L’interazione tra corte ed élites cittadine sono rappresentate da coloro che creavano un collegamento tra la
loro polis d’origine e la corte, diventando cortigiani di primo piano, continuando a far parte dell’élites locale,
o mantenendo entrambi i ruoli.
Qualunque città che cercasse l’aiuto di un re doveva servirsi di qualcuno che aveva già delle conoscenze in
quella corte per migliorare le proprie chance di successo diplomatico. Tersippo era stato un ufficiale di
primo piano di Alessandro e più tardi philos di Filippo III e Alessandro IV, grazie ai contatti di cui disponeva
riuscì ad assicurarsi parecchi benefici a Nesos, come l’alleviamento degli obblighi fiscali.

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Però contare su un rappresentante ben introdotto non era sempre un vantaggio. Esistono degli esempi di
membri di un élite locale che finirono per favorire gli interessi della città ma quelli della corte.
La relazione dei cittadini che erano intermediari con le corti aveva anche un futuro. Stratocle ha goduto di
autorità politica ad Atene grazie ai rapporti che aveva con Demetrio Poliorcete.
Il legame tra un uomo pubblico e una corte reale veniva tramandato alle generazioni successive, come la
famiglia di Aristippo che governò ad Argo dal 272 al 224 per 4 generazioni, da Demetrio Poliorcete fino ai
successivi re antigonidi.

Gli uomini pubblici che stabilivano un legame tra la loro città e una corte reale guadagnavano significativi
benefici dal loro ruolo di mediatori, vantaggi dalla generosità del re, altri diventavano leader politici della
loro città, ed erano in grado di controllare tutte le linee di comunicazione tra la città e la corte.
Una vera autonomia fu un obiettivo irraggiungibile per molte città di secondo piano dell’età ellenistica, la
novità sta che un intermediario aspira ora a vantaggi di carriera personali che vanno oltre alla vita politica
locale.
Dai re ai privati cittadini la storia ellenistica è piena di storie di importanti leader locali, alcuni dei quali non
greci, che cercano rifugio in una corte reale; alcuni di loro acquisirono grande potere in esilio e divennero i
consiglieri più ascoltati di re importanti: Demetrio di Faro fu una figura chiave per Filippo V e Annibale
divenne consulente di Antioco III.
I re potevano servirsi di questi ambiziosi politici locali in 3 modi:
1. I membri delle élites cittadine che aspiravano a legarsi a una corte erano utili a riempire i ranghi
dell’amministrazione regia. I regni e le corti dovevano riscuotere le eccedenze di ricchezza delle popolazioni
locali ed erano i più importanti produttori e consumatori di cultura alta”. E di conseguenza di re avevano
bisogno di circondarsi dei migliori soldati, generali, amministratori, diplomatici.
2. Per i re erano molto importanti i membri delle élites cittadine che restavano attivi a livello locale, ed
erano la via più economica per imporre la volontà alle popolazioni locali. Le élites cittadine avevano un
ruolo essenziale nell’inquadrare la presenza del re in tutti gli aspetti (sociali, politici, religiosi) della vita
locale: grazie a loro si votavano decreti che concedevano onori ai sovrani e ne celebravano l’azione.
3. Oltre alle élites locali c’è un’ulteriore categoria di intermediari tra città e corti, importanti per entrambi.
Sono persone che appartengono nello stesso momento alle strutture politiche del loro stato di origine e
all’amministrazione reale e si spostano da un ruolo all’altro nel corso della loro carriera. Ne esistono molti
esempi e non riguardano aree direttamente controllate dal re, ma aree che aspiravano all’autonomia.
Le variazioni di ruolo erano frequenti. Alcuni di loro che facevano parte dello staff reale potevano essere
destinati a cariche nella loro città d’origine. Callicrate di Samo fu una figura chiave della talassocrazia
tolemaica tra il 280 e gli anni 50 del III secolo e membro importante della corte, egli fu tenuto in alta
considerazione dai suoi concittadini e mantenne i suoi legami con la patria. Callia era un ateniese in esilio
alla corte tolemaica e comandava una flotta; si unì alla rivolta della sua città, prima con l’azione militare poi
come diplomatico.
Altro esempio è Arato di Sicione, trasformazione da leader locale antimacedone a membro della corte
antigonide, fu lui a scegliere di cambiare con l’obiettivo di vincere una guerra contro Cleomene di Sparta. Si
alleò con Antigono Dosone e divenne ancora più forte il legame con il suo successore Filippo V. Egli faceva
parte di un organo ufficiale di uno Stato e allo stesso tempo ricopriva la carica più alta in un altro.
Questi volevano favorire l’integrazione tra regni ellenistici e le poleis greche. Il fatto di appartenere
contemporaneamente a più di un gruppo consentiva loro di connettere tutti quei gruppo tra loro e alle case
reali.

Le città ellenistiche e l’incompiuta creazione di uno stato ellenistico


Nonostante i regni ellenistici abbiano oscurato il mondo delle poleis, le poleis ellenistiche e le loro élites
esibirono un dinamismo e un’inventiva notevoli nel tentare di assicurarsi benefici dalle corti reali.
Ai re conveniva presentarsi come fondatori di poleis. Le élites cittadine cercarono un compromesso che

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fosse utile sia alla polis che ai re; le poleis fecero del loro meglio per creare canali di comunicazione con le
corti reali, coltivando contatti con tutte le corti, o offrendo onori al re e ai rappresentanti del suo potere.
Questa diplomazia attiva, nella quale l’evergetismo era il fondamento ideologico, a volte funzionava. Il
linguaggio dei decreti onorari cittadini mostra che le città si aspettavano che i legami di natura evergetica
grazie agli intermediari a corte, producesse effetti in futuro.
Le élites cittadine riuscirono a volte a trasformare l’antagonismo innato tra i regni ellenistici in vantaggi per
le proprie città, come per Micione ed Euripide nella quale dopo il Pireo nel 229 divennero neutrali,
conservando allo stesso tempo relazioni eccellenti con le corti di Alessandria, Pergamo e Pella.
Alcuni esponenti delle élites cittadine avevano sicuramente a cuore il benessere della loro città come il caso
di Micione ed Euripide.
Nonostante gli sforzi delle poleis, i collegamenti tra poleis e corte beneficiò soprattutto l’autorità regia, le
città avevano costante bisogno di denaro, aiuto militare o diplomatico; quindi questa crescente dipendenza
da questi fattori fece sì che lea diplomazia internazionale e le élites cittadine avessero costante bisogno di
contatti con le corti reali.
La polis ellenistica rimase una struttura più o meno intatta, come comunità politica, e i regni ellenistici non
tentarono di sottometterla e di incorporarla in uno Stato unitario; avrebbe toccato diritti politici
incompatibili con il potere personale.
L’incorporazione delle strutture locali nella formazione degli Stati monarchici fu un processo lento e pieno di
incertezze. Questo lento cammino verso l’integrazione di comunità politiche locali avrebbe potuto condurre
a Stati monarchici unitari ma non ci riuscirono.
Eric Hobsbawm ha descritto il III secolo come il secolo lungo, periodo di interesse per le relazioni tra élites
locali e monarchia ellenistica va dalla morte di Alessandro nel 323 fino alla sconfitta di Antioco III a
Magnesia del 190; dopo questo evento Roma monopolizza il potere imperiale in tutta l’area.
Queste relazioni tra élites locali e governi monarchici si ritrovano nei dati biografici e nelle prese di
posizione politiche dopo la conquista romana d’Oriente.

Le fonti per lo studio della storia ellenistica


La storiografia
Le opere di Erodoto, Tucidide e Senofonte compongono una historia perpetua che condiziona la
ricostruzione dell’età che va dalle guerre persiane alla fine dell’egemonia tebana. Tucidide è il continuatore
di Erodoto della guerra del Peloponneso, rimasta incompiuta, che a sua volta Tucidide sollecitò Senofonte
che scrive fino alla battaglia di Mantinea nel 362 a.C. Altri autori di Elleniche, sono Teopompo (continuatore
di Tucidide), il suo rivale Anassimene di Lampsaco e Callistene di Olinto, questi ultimi due composero
Philippika (impresa di Alessandro).
Per il periodo ellenistico non ci sono giunte narrazioni contemporanee complete, e l’immagine più diffusa è
quella del “naufragio”. Il classicismo dell’età augustea non apprezzava lo stile degli storici ellenistici. Nell’età
degli Antonini (II secolo d.C.) Pausania avvertì l’esigenza di narrare ai suoi lettori come i Tolomei si fossero
impadroniti dell’Egitto.
Però l’età ellenistica aveva visto una fioritura della storiografia: per la quantità complessiva degli autori
(importante per lo studio della storiografia greca), per la dimensione delle loro opere (38 libri per Timeo, 40
per Polibio, 30 per Ieronimo di Cardia ecc), per l’estensione delle aree oggetto di indagine storiografica
(dall’India alla Sicilia all’Occidente) e per la varietà dei generi trattati.
Prima di lui Polibio si è lamentato che la maggior parte degli storici avesse trattato tutti i rami della
storiografia attirando un grande numero di lettori; lui invece che scriveva solo la storia pragmatica, aveva
dato alla sua opera un carattere austero.
Però l’abbondanza e la varietà della produzione impediscono di dare un quadro preciso della storiografia
greca in età ellenistica. Fra le tante opere la più rilevante è quella di Polibio, che nelle sue opere dà l’idea
della concorrenza tra i suoi predecessori.
In un ambiente così competitivo i lettori dell’antichità correvano il rischio di smarrirsi. Un testo pubblicato di

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recente nella serie dei papiri di Ossirinco (I e II secolo d.C.) fornisce un orientamento sulla storiografia
classica, presentando in brevi lemmi alcuni storici che avevano trattato le diverse fasi in cui si articola il
periodo. I giudizi dell’anonimo autore di questo elenco di storici sembrerebbero improntati al criterio della
verità della narrazione.

Meraviglie dell’Oriente, mito e politica negli storici di Alessandro e dei diadochi


Fra gli storici di Alessandro, Onesicrito, Carete e Clitarco sembrano accomunati dalla condanna per aver
mentito; a Carete si rimprovera una ostilità nei confronti di Parmenione, il generale fatto uccidere da
Alessandro dopo la denuncia della congiura presa da suo figlio Filota. Non si sa se l’autore ha menzionato
anche altri, né se li considerasse tutti menzogneri. Nel primo caso il suo giudizio si accosta a quello di
Strabone, nel secondo a quello di Arriano.
Il sospetto di Strabone nei confronti di tutta la storiografia su Alessandro, e in particolare su Onesicrito,
derivava dal gusto per il meraviglioso, che aveva trovato alimento nei paesi esotici del lontano Oriente,
calcato dalla spedizione macedone. A suscitare l’incredula protesta di Strabone era stata la notizia di due
serpenti, di 40 e 70 metri di lunghezza, allevati dalla dinastia dell’indiano Abisaro. L’aspro giudizio di
Strabone e quello di Erastotene, che aveva condannato le sensazionali scoperte delle tracce di Dioniso e di
Eracle nel paesaggio indiano, per compiacere Alessandro, testimoniano la precarietà dell’equilibrio fra la
ricerca del meraviglioso e l’aspirazione alla credibilità.
A Onesicrito che avrebbe superato tutti gli storici di Alessandro nella menzione di prodigi, Strabone
riconosceva comunque di aver riportato anche notizie verosimili e degne di memoria, tanto da non poter
essere accantonato; il suo giudizio può estendersi non solo sulla storiografia di Alessandro ma a tutta la
storiografia ellenistica.
Nell’opera di Duride di Samo, dedicata alla storia macedone dal 370 al 281 a.C. figurava un aneddoto su un
delfino, che si sarebbe innamorato di un ragazzo di Iaso, lasciandosi cavalcare; un aneddoto analogo era
narrato da Ieronimo di Cardia. I due racconti richiamano la vicenda di Arione di Metimna: ma in Erodoto
l’episodio di Arione viene assegnato a tradizione corinzia, Ateneo riportando i frammenti di Duride e Filarco
uno di seguito all’altro cela ogni presa di distanza.
Alla storiografia ellenistica si deve guardare con occhi nuovi, da un lato liberandosi dal condizionamento
rappresentato da giudizi di Polibo, e dall’altro intraprendendo sui singoli autori un percorso di ricerca.
Denunciando l’ostilità di Carete e Parmenione, l’autore dell’elenco di storici indicava nel pregiudizio politico
un altro ostacolo alla verità: secondo Ariano, gli autori da lui prescelti per l’impresa di Alessandro (Tolemeo
e Aristobulo) ne sarebbero stati immuni perché avevano scritto dopo la morte del sovrano e nulla avrebbe
potuto indurli a tradire la verità; Tolemeo che era stato un re, non poteva dire menzogne.
Ieronimo di Cardia, storico dell’età dei diadochi, sarebbe stato vicino ad Alessandro, poi a Eumene, Antigono
Monoftalmo, Demetrio poliorcete e Antigono Gonata. Dal 320 al 272 ieronimo svolse importanti incarichi
diplomatici, politici, militari, amministrativi.
Si è cercato di recuperare caratteristiche della sua opera attraverso l’impiego che sembrerebbero averne
fatto Plutarco in Vite Parallele.
A Ieronimo di regola si attribuisce una storiografia seria, incentrata sulle vicende politico-militari. Il rapporto
di vicinanza prima a Eumene e poi agli Antigonidi gli assicurò un’informazione di prima mano sulle loro
imprese.
Pausania rimprovera a Ieronimo ostilità a tutti i re, e in particolare di Lisimaco, responsabile di aver distrutto
Cardia a vantaggio della sua nuova fondazione Lisimachia. In base a questo giudizio si nega la paternità
ieronimiana di tutti i passi in cui si crede di rilevare un’ombra di ostilità agli Antigonidi. Il complesso
problema del carattere e dei limiti della tendenziosità di Ieronimo rimane quindi aperto.

La storiografia e le corti
Un’iscrizione ateniese ricorda la dedica ad Atene Nike di iscrizioni contenenti resoconti storici delle imprese
del re contro i barbari per la salvezza degli Elleni: deve trattarsi della vittoria di Antigono Gonata sui Galati a

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Lisimachia, nel 277 a.C. Tutti i riferimenti al re furono poi cancellati, in un momento di crisi dei rapporti tra
Atene e gli Antigonidi.
Gli storici di corte di Filippo V tendevano a giustificare l’azione politica e a celebrarne successi, per questo si
attirarono la condanna di Polibio; il quale sosteneva che solo per favore o timore gli storici di Filippo ne
avessero lodato il comportamento. Agli storici delle imprese di Filippo Polibio non rimprovera di aver
narrato il falso, ma di aver pronunciato giudizi contrari ai suoi su un episodio nella carriera del sovrano. Per
noi, la totale scomparsa degli autori denigrati da Polibio, che ci avrebbe dato il punto di vista Antigonide
sull’età del confronto tra Roma e la Macedonia, è una perdita irreparabile.
La storiografia fu praticata anche presso le altre dinastie ellenistiche. Ad Alessandria il fenomeno più
caratteristico è il diretto impegno storiografico dei re; come Tolemeo che potrebbe aver ispirato i suoi
successori come Tolemeo III al quale gli si attribuisce un trionfale bollettino della terza guerra siriaca che
descriveva l’entusiasmo con cui il re sarebbe stato accolto a Seleucia e Antiochia nel 246 a.C.
All’ambiente della corte è legato un altro filone etnografico, che indagò le antiche tradizioni dell’Egitto o
dell’India. Particolare attenzione ha suscitato Berosso: sacerdote di Bel a Babilonia, compose e dedicò ad
Antioco I i 3 libri di Babyloniaka, in greco presentando il materiale secondo le fonti dell’etnografia greca. Il 1
libro parla dell’emergere dal mare di un uomo-pesce Oannes, nella funzione di eroe civilizzatore; nel 2 libro
presenta un elenco di re e dinastie; nel 3 si spinge fino alla conquista di Alessandro. La parzialità della
trasmissione impedisce di cogliere a pieno gli obiettivi perseguiti dal sacerdote che scelse di scrivere in
greco.
In Occidente, su Agatocle tiranno e poi basileus di Siracusa, alla storiografia di corte rappresentata da Callia
si contrappone una tradizione ostile, rappresentata da Timeo, esiliato. La critica di Polibio fa di Timeo un
topo da biblioteca, privo di qualsiasi esperienza concreta della vita pubblica. Dopo i primi 5 libri, una sorta di
lunga introduzione sulle origini, si passava alla storia successiva, privilegiando il periodo “contemporaneo”:
l’opera culminava nei 5 libri dedicato all’odiato Agatocle, ed ebbe poi una prosecuzione su Pirro fino al 264
a.C., con questa data riprese il racconto Polibio. A Timeo, Polibio rimproverava anche la prospettiva
occidentale.

Obiettivi politici e tecniche retoriche: la storiografia locale


già gli storici di Alessandro potrebbero aver perseguito finalità politiche concrete, attraverso la diffusione
delle loro opere; da Callistene di Olinto, a Nearco e Onesicrito a Tolemeo e Clitarco, si accostarono tutti alla
narrazione con il proprio programma, i propri obiettivi; purtroppo delle loro opere si conosce molto poco.
Le storie delle singole poleis costituiscono una parte significativa della storiografia frammentaria, il cui
carattere si può recuperare soprattutto dalle storie locali di Atene. Esse si articolavano in una parte mitica e
una parte storica, costruite rispettivamente sugli dei e gli eroi fondatori e sui magistrati eponimi.
Nel caso delle poleis che avevano svolto un ruolo di rilievo nella storia mediterranea, la prospettiva locale si
intrecciava con la grande storia contemporanea, come avviene ad Androzione e Filocoro. ? pag 223

Elementi drammatici: storiografia tragica?


Agli obiettivi politico-diplomatici perseguiti dalla storiografia ellenistica sono connesse certe caratteristiche
formali, di cui molto si è discusso. Agli storici di Ieronimo di Siracusa, il nipote e successore di ierone II, che
nella seconda guerra punica tradì l’alleanza con Roma, Polibio afferma di averne esagerato la crudeltà e
utilizza i termini terateia e il verbo tragodeo per definire l’esagerazione. Diodoro Siculo si era rifiutato di
riferire i dettagli delle violenze sulle donne, nei giorni del colpo di stato di Agatocle a Siracusa e Polibio
riporta l’esagerazione degli storici di ieronimo di ingigantire eventi insignificanti.
Duride di Samo, a cui Plutarco rimprovera di aver attribuito a Pericle in occasione della presa di Samo nel
439 “crudeltà inaudite”: la denuncia in termini di tragodia, e Plutarco gli attribuisce l’esagerazione delle
sventure della sua parte da parte di Duride.
La tragodia che gli storici rimproverano ai propri predecessori, o ai propri rivali, è in primo luogo una forma
di narrazione che sollecita forti emozioni nel pubblico attraverso una descrizione dettagliata delle

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sofferenze. Un caso di polemica è la replica di Polibio alla rappresentazione filarchea della presa di Mantinea
da parte di Achei e Macedoni nel 223.
Il punto essenziale da rilevare è che nessun autor rivendica la paternità di una contaminazione tra
storiografia e poesia tragica. Delle caratteristiche drammatiche della storiografia ellenistica si deve cercare
l’origine nella contiguità fra storiografia e oratoria, fra storiografia e retorica. Polibio rimprovera a Filarco di
aver adottato forme tragiche di una retorica inferiore, articolando in una serie di scene patetiche la
rappresentazione delle sofferenze della popolazione di Mantinea, per suscitare al pubblico pietà per le
vittime e sdegno nei loro aguzzini, Achei e Macedoni.

Un pubblico nuovo: La democratizzazione della storiografia


Gabba propose di spiegare le caratteristiche della storiografia ellenistica attraverso un mutamento del
pubblico: la platea di politici cui si era indirizzato Tucidide si era dissolta. Al tempo di Polibio le poleis erano
state rase al suolo, come Corinto, o private di ogni importanza politica, come Atene. In realtà la polis
continuava ad assorbire le energie e gli interessi della popolazione. Le critiche mosse al Falereo da
Democare (nipote di Demostene) difeso da Polibio contro le accuse di Timeo, dimostrarono la fedeltà degli
Ateniesi ai valori della democrazia.
Rispetto a Ticidide che si è rivolto a un’esigua quantità di critici della democrazia in età ellenistica avviene
una situazione comunicativa simile a quella del simposio aristocratico che si contrappone a condizioni simili
a quelle di un’assemblea democratica.
La globalizzazione della democrazia, e con essa della retorica, che è una delle caratteristiche più rilevanti
della vita delle poleis in età ellenistica, porta con sé una sorta di democratizzazione della democrazia
(rinnovamento di una società o ambiente). Rispetto a Tucidide la storiografia ellenistica si rivolgeva a un
pubblico meno elitario, più ampio e variegato, il cui consenso andava acquistato con gli stessi strumenti
impiegati nelle assemblee.
L’allargamento del pubblico comportò un più intenso ricorso a strumenti di persuasione di stampo teatrale:
la scelta di parole e immagini a forte impatto emotivo mirava a produrre nei lettori la condivisione di
sentimenti e passioni.

Polibio: modello tucidideo e modello erodoteo nella storiografia ellenistica


Di Polibio l’autore riteneva che avesse scritto come amore della verità. Nella seconda metà del secolo
scorso, lo si è accusato invece di aver intenzionalmente falsificato le vicende che portarono alla guerra
annibalica, pur di poter imputare ai cartaginesi la responsabilità del conflitto.
Queste affermazioni affondano le proprie radici nella tesi diffusa e persistente secondo cui Polibio avrebbe
accolto per primo il significato di Roma nella storia universale. Dall’accusa di aver ripudiato il principio
fondamentale della storiografia antica, Polibio va assolto. Polibio tende a esprimersi sul piano della
presentazione e della valutazione dei fatti, non su quello della falsificazione. A Polibio l’autore attribuiva
oltre all’autopsia delle vicende narrate e alla diretta esperienza politica e militare anche la virtù di una vasta
erudizione. Non mancano elementi riconducibili al modello storiografico erodoteo.
Anche l’analisi delle istituzioni politiche e militari romane, nel libro VI, può accostarsi all’interesse erodoteo
per leggi e costumi dei popoli barbari. Seguendo l’Anabasi di Antioco III anche Polibio cedeva al fascino del
meraviglioso e del paradossale, e riportava i logoi degli indigeni, giudicandone l’attendibilità alla maniera di
Erodoto.
Rimane innegabile la prevalenza in Polibio, come in Tucidide, dell’elemento del mutamento degli equilibri
internazionali attraverso la guerra: scopo dell’opera era indagare come e grazie a quale regime politico quasi
tutto il mondo abitato sia stato assoggettato e sia caduto in nemmeno 53 anni sotto il domino dei Romani.
Il progetto originario delle Storie di Polibio andava dal 220 al 168 a.C. ma decise di aggiungere altri 16 libri
fino al 146 anno della distruzione di Cartagine e di Corinto.

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Una storiografia antiromana?


Polibio si può considerare uno storico filoromano, cioè che si è piegato agli ordini del senato senza sfidarne
la supremazia; però l’età ellenistica conobbe anche una storiografia antiromana. A questa corrente si
possono assegnare gli scrittori vicini ai nemici di Roma; come Filino di Agrigento autore di una monografia
sulla prima guerra punica che Polibio contrapponeva a Fabio Pittore, a Filino sembrava che i Cartaginesi
avessero sempre agito con saggezza, a Fabio il contrario.
A Sosilo storico spartano, che aveva accompagnato Annibale nelle sue imprese, facendogli anche da
maestro di greco, Polibio rimproverava di aver sostenuto che alla notizia della presa di Sagunto il senato
anziché procedere immediatamente e inviare a Cartagine un’ambasceria, avrebbe aperto una discussione
sul da farsi. Intendeva forse mettere in dubbio la legittimità delle accuse mosse ad Annibale dai romani.
tendenze antiromane sono state rilevate anche nella storiografia locale: Emilio Gabba propose di leggere
implicazioni politiche di tradizioni che affermavano o negavano la venuta di Enea in Italia. Ammettere il
ruolo di Enea e dei suoi figli o di Odisseo, come faceva Ellanico di Lesbo nella fondazione della città
significava nobilitarne le origini. I detrattori ne asserivano il carattere barbaro, progenie di banditi, schiavi
fuggitivi e malfattori, i Romani continuavano a mostrare la stessa insaziabile avidità.
Di una polemica politico-storiografica intorno alla questione delle origini di Roma, c’informa Dionisio di
Alicarnasso per dimostrare l’origine greca dei Romani, replicando alle opinioni non vere secondo cui a
fondare Roma sarebbe stati dei vagabondi, barbari senza patria, e neppure di condizione libera.
Tracce delle tradizioni antiromane affiorano nella lettera di Mitridate al re dei Parti Arsace, e nel discorso di
Mitridate. Questi motivi dovettero accompagnare le varie fasi dell’espansione romana in Oriente, dalla
prima guerra mitridatica, quando l’ostilità a Roma si espresse anche in una letteratura oracolare che
profetizzava la prossima rivincita dell’Asia sull’Italia.
Fra i motivi rimproverati ai romani c’è quella della insaziabile ricchezza, una caratteristica ricorrente nelle
rappresentazioni greche dei barbari e dei tiranni. Frammento di Agatarchide di Cnido autore di due opere
Sull’Asia e sull’Europa, più che ostilità a Roma, potrebbe essere una protesta contro ogni pulsione
imperialistica. Le voci dei vinti erano le prime a essere disperse dal naufragio. Giudizi di condanna ai romani
appaiono anche in Polibio.

Posidonio e Diodoro
Riprendendo il racconto dalla distruzione di Cartagine (146) anche lo storico Posidonio di Apamea intendeva
indicare alla classe dirigente romana la via da battere per assicurarsi il favore dei sudditi, unica garanzia
della stabilità dell’egemonia. Anche Posidonio non aveva simpatia per i Greci che si erano opposi ai romani.
E’ definito da Strabone il filosofo più dotto del suo tempo, Posidonio non era privo di esperienza politica; a
Rodi fu eletto pritane e rappresentò la città in ambasceria a Roma. Nella classe dirigente romana contava
amici e ammiratori; Cicerone lo pregò di scrivere una monografia sulle vicende del suo consolato; Pompeo a
Rodi, gli avrebbe fatto visita quando era malato.
Dai frammenti, soprattutto da Ateneo, emergono interessi etnografici. Le Storie di Posidonio narrano il
periodo che ha visto all’interno della classe dirigente romana dei contrasti. Posidonio condannava
l’inasprimento delle forme di esercizio del dominio da parte di Roma, la nuova pleonexia (avidità) romana
che produceva l’odio dei sudditi, un odio che Posidonio giustificava definendolo giusto. Per riconquistare il
favore dei popoli soggetti, i romani sarebbero dovuti tornare alla politica della mitezza.
L’analisi posidoniana delle dinamiche che condussero alle guerre servili ci è pervenuta attraverso Diodoro
Siculo. La sua Biblioteca storica, in 40 libri trasmette materiali tratti da autori precedenti, con tutti i problemi
di identificazione come per Ieronimo di Cardia, ma anche Diodoro insiste molto sul tema dell’epieikeia.

I testi epigrafici
La documentazione epigrafica ha un ruolo di grande importanza per la nostra conoscenza dell’età ellenistica.
Le si riconoscono alcuni tratti caratterizzanti:
- la quantità: l’età ellenistica ha restituito molti più testi rispetto all’età arcaica e classica. Risulta più varia

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anche la distribuzione dei testi; accanto a città come Atene, Delfi, Olimpia compaiono anche altre città del
mondo greco, come Argo, Messene, Eretria, Rodi, Creta, Mileto, Efeso, Iaso.

-maggiore ampiezza dei testi scritti: soprattutto nei documenti pubblici come trattati, decreti, onorifici e
aumenta la quantità di informazioni e di dettagli che ci forniscono.

-tipologie dei testi: avviene la comparsa di nuovi documenti che riflettono il mutare del quadro politico;
come la documentazione delle cancellerie regie, le lettere e gli editti dei sovrani, ma anche le comunicazioni
con i funzionari dislocati sul territorio.

A partire dal II secolo il contatto più stretto con Roma e poi il controllo esercitato dalla Repubblica sul
mondo ellenico lasciano le loro tracce nell’epigrafia. Sono molte di più le missioni diplomatiche in Italia e nei
luoghi pubblici, sulle stele, sulle pareti dei templi e nei santuari fanno la loro comparsa le lettere dei
governatori.
Nella storia evenemenziale non sono pochi gli avvenimenti importanti per i quali le iscrizioni offrono un
apporto decisivo; come la lettera indirizzata a Antigono Monoftalmo alla cittadina di Scepsi nella Troade
integra una rapida informazione di Diodoro riportando dettagli della pace conclusa nel 311 a.C. da Antigono
con Cassandro, Lisimaco e Tolemeo.
Un’iscrizione rinvenuta a Corinto, ci informa sulla struttura della nuova lega ellenica rifondata da Antigono
Monoftalmo e Demetrio Poliorcete nel 302 a.C. sul modello della lega di Corinto di Filippo e Alessandro.
Il ruolo delle iscrizioni è ancora più rilevante per la conoscenza della storia locale, molto di ciò che sappiamo
di città come Mileto, Rodi, Samo, Cos si basa sulla testimonianza dei documenti scritti.
Dalla documentazione epigrafica deriva anche la storia politica delle comunità e delle loro istituzioni,
funzionamento dei governi, nomi di funzionari e le loro mansioni.
Un ambito per il quale la documentazione epigrafica offre un apporto decisivo è quello delle relazioni
interstatali, sia da un punto di vista storico sia da un punto di vista giuridico diplomatico; sono essenziali
anche per comprendere come veniva negoziato e stipulato un trattato.
Sono i decreti onorifici a farci conoscere la rete fitta e vitale delle prossenie che legava fra loro; e ci dicono
anche il ricorso a giudici stranieri per risolvere situazioni di cattivo funzionamento dei tribunali all’interno di
una comunità.
La documentazione epigrafica completa la nostra conoscenza di questo periodo anche in altri ambiti; uno di
questi è la storia economica, come mostrano le sintesi di Migeotte e Bresson.
Le iscrizioni sono essenziali anche per i mercati, prezzi, nomi di mestieri e di merci, affitti e vendite di terra.
La nostra conoscenza dei culti locali come per le epoche più antiche, dipende dalle iscrizioni. Sono l’unica
fonte per i culti indigeni dell’Asia minore, della Siria, della Tracia, della Gallia o dell’Illiria.
Raccontano anche storie di guarigioni miracolose e i testi di inni, confessioni e pentimenti, maledizioni,
svolgimento di giochi e gare, carriere degli atleti ma anche artisti.
Studi prosopografici permettono di ricostruire le carriere degli uomini politici locali dimenticati dalla
storiografia.
Le iscrizioni ci forniscono anche informazioni riguardo la lingua e il vocabolario; in età ellenistica le
differenze linguistiche sono inferiori, a favore della koine, ma persistono elementi dialettali.

La monetazione
La numismatica per l’epoca ellenistica è molto superiore rispetto alle epoche precedenti. Questa fioritura
dipende da fenomeni diversi. A partire dal IV secolo a.C. compaiono coniazioni in bronzo destinate al
commercio minuto e le zecche cittadine aumentate di numero a causa della fondazione di nuove poleis da
parte di Alessandro e dei suoi successori.
Il mutamento principale è legato all’impresa di Alessandro in Asia: la necessità di versare la paga ai soldati
del suo esercito spinge Alessandro a convertire in moneta una parte consistente dei metalli preziosi
custoditi nelle capitali persiane.

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Oggi le coniazioni possono essere meglio analizzate grazie a un netto progresso nelle tecniche di indagine.
L’archeologia sperimentale ha permesso in molti casi di determinare quanti pezzi siano stati coniati dalle
varie zecche analizzando la composizione di singoli campioni di monete.
Le emissioni dei vari sovrani diventano spesso la nostra fonte principale sul tipo di economia monetale che
un singolo regno promuoveva e sul peso standard della dracma da esso adottata.
Solo dalle monete apprendiamo che i Seleucidi seguirono l’esempio di Alessandro Magno e adottarono il
piede attico almeno fino al 128 a.C.; al contrario la monetazione tolemaica risulta soggetta a riduzioni
progressive di peso già sotto a Tolemeo I. Mentre tra i Seleucidi la valuta straniera compatibile circolava
senza difficoltà, l’assenza di monete straniere in Egitto conferma che i Tolemei erano riusciti a creare un’area
economica esclusiva per la loro monetazione.
La moneta è il veicolo privilegiato sia di città e koina, e di propaganda reale. 2 elementi sono
particolarmente importanti: le legende e le iconografie, che insieme contribuiscono a trasmettere un
messaggio unitario.
Le monete dei re ellenistici sono occupate dal ritratto del sovrano e l’altra parte è associata ad aspetti
cultuali, presentando una divinità o simboli collegati con la dinastia regnante o la simbologia del potere.
Le legende e le iconografie permettono di ricostruire dettagli fondamentali della storia dei regni ellenistici.
Esse rendono testimonianza di aree del mondo ellenizzato che non ci sono note da altre fonti. Come il caso
di Battriana, non potremmo ricostruire la successione dei suoi sovrani, né conosceremmo i loro volti o
alcuni aspetti dell’ideologia della regalità greco-indiana se ognuno di questi re non avesse deciso di coniare
delle monete.
Come per le monete regie, anche per le coniazioni autonome o semiautonome l’insieme di piede, legenda e
iconografia non è mai casuale.

I papiri
Ricostruiamo il periodo ellenistico anche grazie alla documentazione papirologica; la maggior parte di
questa è costituita da testi documentari, di carattere per lo più giuridico-amministrativo-fiscale, che coprono
un arco cronologico compreso tra l’ultimo quarto del IV secolo a.C. e l’età bizantina.
Diversamente dalle epigrafi l’orizzonte geografico di questi è limitato all’Egitto tolemaico.
La papirologia è vergata su materiale deperibile, mentre la seconda è pensata per la pubblica esposizione a
tempo indeterminato.
La maggior parte di essi è ancorata alle esigenze della vita quotidiana dei discendenti dei cleruchi insediatosi
in Egitto in seguito alla conquista greca. Questo non significa però, che la documentazione papirologica non
possieda un valore intrinseco sul piano microstorico che si esplica in indagini di tipo demografico,
economico e sociologo.
E’ possibile distinguere tra documenti inviati da privati a funzionari e atti privati stricto sensu: tra i primi
vengono annoverati per il periodo tolemaico, petizioni in materia civile e penale, per i secondi vanno
ricordati testamenti, atti di divorzio e contratti di matrimonio.
Tra i punti di forza della documentazione papirologica vi è quello di rendere visibile la fisionomia e
l’articolazione di svariati archivi antichi di natura privata, un aspetto che è possibile illuminare in maniera
limitata nelle iscrizioni.
Con archivio si intende un gruppo di testi raccolto dal possessore dell’antichità, mentre “dossier” si riferisce
a un insieme di documenti assemblato dagli studiosi a posteriori.
La papirologia dà un contributo prettamente cronologico e copre anche la storia evenemenziale di matrice
militare e politica.

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