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Giuseppina Capriotti Vittozzi

L’EGITTO A ROMA

ARACNE
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00173 Roma
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ISBN 88–548–0837–7

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

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senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre 2006


Sommario

1. Introduzione 11

2. L’Egitto a Roma: precisazioni terminologiche 14


2.1 Egittomania e/o egittofilia? 14
2.2 Opere egizie ed egittizzanti 16
2.3 Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica 16
2.4 Culti di origine egizia 19

3. Iside: dea egizia fuori dall’Egitto 19


3.1 Iconografia di Iside 21
3.2 Osiride, Api, Serapide, Osirantinoo 26
3.3 Arpocrate 31
3.4 Anubi 31
3.5 Hermes–Thot 34
3.6 Bes 35

4. L’Egitto a Roma: quadro cronologico 37

5. L’Egitto a Roma: una varietà di motivi,


tipi di opere e ambiti 42
5.1 La scelta dell’immaginario egizio 42
5.2 Aspetti egizi dell’immagine imperiale 45

6. Una progressiva “egizianizzazione” 47

7. La scelta delle opere egizie 48


7.1 I tipi della statuaria egizia a Roma 50

8. La produzione di opere egizie a Roma 53


8.1 La statua–fontana di Hapy ai Musei Vaticani 54
8.2 La copia della statua di Arsinoe II ai Musei Vaticani 55

9
8.3 La statua di Nerone (?)
al Museo Nazionale Romano 55
8.4 Le colonne dell’Iseo Campense 56
8.5 I due Bes di Piazza Vittorio 57
8.6 I rilievi in marmo 60

9. Sacerdoti egizi a Roma 61

10. Il retaggio dell’arte egizia 62


10.1 L’Iseo e Serapeo del Campo Marzio
(Iseo Campense) 62
10.2 Il Serapeo del Quirinale 66
10.3 L’Iseo della Regio III 66
10.4 La Via Ostiense 68
10.5 Luoghi di culto privato
il larario di San Martino ai Monti 68

11. Il Nilo fuori dall’Egitto 72

12. Un bestiario nilotico a Roma 73

13. Leoni egizi a Roma 75


13.1 Le sfingi 80

14. Uno stravagante mediatore: ancora Bes 80

15. Gli obelischi 83

16. La riscoperta dell’Egitto a Roma 87

17. Cronologia 89

18. Nota bibliografica 90

19. Referenze per le fotografie e i disegni 95

10
Troppo spesso la nostra cultura scolastica ha creato in passato una
visione della storia antica fatta di comparti separati tra loro, stanze chiu-
se e non comunicanti. Questa comprensione a scatole chiuse ha ri-
guardato soprattutto le civiltà dell’antico Oriente mediterraneo: l’Egitto,
la Mesopotamia, la Siria e Palestina. Poi, affrontando lo studio della
civiltà greca e di quella romana, diventava chiaro che nel Mediterraneo
antico le persone e le idee avevano circolato e si erano incontrate, capa-
ci di creare un linguaggio culturale comune; ai margini restavano le
grandi e antichissime civiltà orientali, splendide nel loro isolamento, una
sorta di sfondo lontano ed esotico, i cui contorni sfumavano nel mito.
Lo sviluppo della storiografia e della didattica della storia, nei de-
cenni recenti, ha in parte cancellato questa impostazione di studi, e tut-
tavia questa visione resiste, più o meno esplicitamente, e riguarda so-
prattutto la civiltà egizia: il fascino da essa esercitato permane nel tempo
e vede anzi nuove affermazioni dell’egittomania — una moda e una
ricerca dell’Egitto popolari — mentre la convinzione che la cultura egi-
zia sia nata improvvisamente e così si sia spenta, nella torre d’avorio
della sua unicità, ha creato nuovi miti contemporanei — più o meno
grossolani — per spiegare la sua esistenza, sul modello “stargate”.
“L’Egitto non ha bisogno di misteri” scrive il prof. Sergio Donado-
ni: il suo fascino non ha bisogno di arcani costruiti a tavolino da furbi
mercanti. L’Egitto, con la sua unicità ambientale, ha dato vita sì a una
cultura straordinaria e spesso stupefacente, ma sicuramente non isola-
ta e chiusa in se stessa: essa ha dialogato apertamente con le altre cul-
ture antiche e ha contribuito in modo importante alla formazione di
un linguaggio culturale comune nel Mediterraneo.
In epoca romana, la cultura egizia non era morta e sepolta, ma ave-
va ancora una sua vitalità, capace di esprimersi non solo nella Terra del
Nilo, ma anche nel resto del mondo conosciuto e a Roma, capitale del-
l’Impero: qui possiamo dunque incontrare l’Egitto, nel suo fascino
esotico ma in una dimensione per così dire domestica.
Questo volumetto si rivolge a quanti vogliano avvicinarsi a questa
materia in maniera semplice e sintetica, ma seguendo studi scientifici
aggiornati: si tratta dunque di un’introduzione all’argomento che po-
trà poi essere approfondito e ampliato attraverso la bibliografia di base
che viene offerta.

Giuseppina Capriotti Vittozzi


San Benedetto del Tronto, agosto 2006
. Introduzione
Fin dalle origini della civiltà egizia, è evidente la permeabilità cul-
turale dei confini della Terra del Nilo, che pure sembra fisicamente iso-
lata: i contatti con l’alta valle del Nilo, che conduce nel cuore dell’Afri-
ca, e con le civiltà mesopotamiche sono riconoscibili da tempi anti-
chissimi. Nel III millennio avanti Cristo si trovano già oggetti egizi nel
Vicino Oriente, ad esempio a Ebla (Siria).
Nel corso del II millennio avanti Cristo, si afferma la presenza degli E-
gizi fuori dall’Egitto, nel sud (Nubia–Sudan) e nel nord–est (Palestina e Si-
ria), così come è chiaro il soggiorno in Egitto di stranieri che lavorano: se
fuori dall’Egitto si riconosce l’influenza della cultura egizia, nella valle del
Nilo si evidenzia la presenza di motivi allogeni, mentre sono sempre più
evidenti i contatti con i popoli dell’area egea (culture minoica e micenea).
Durante il I millennio avanti Cristo, infine, nel Mediterraneo si
aprono ampi e complessi scenari di scambio economico e culturale:
mentre sullo scorcio del millennio precedente una forte crisi, sottoli-
neata dallo sbarco in Egitto dei Popoli del Mare, crea le condizioni per
spostamenti di gruppi umani da est a ovest, mescolando le carte sul
tavolo del Mediterraneo, nel I millennio si consolidano quelle figure
che diventano poi i soggetti culturali dell’Ellenismo.
I Fenici e i Greci, con le loro ardite navigazioni, si affermano per i loro
commerci nel Mediterraneo e tra i prodotti più apprezzati, per il loro
carattere esotico e prezioso nonché il poco ingombro, a bordo delle loro
navi viaggiano spesso piccoli manufatti egizi: soprattutto amuleti e va-

11
sellame, che l’archeologia ritrova costantemente fin nei territori del Me-
diterraneo nord occidentale, dall’Italia alla Spagna. I Fenici, abili mer-
canti, arrivano a produrre in proprio dei piccoli oggetti di tipo egizio
(amuleti) o a utilizzare i motivi egizi per decorare manufatti di lusso.
Si ha motivo di credere che fossero probabilmente greci i gestori di
una fabbrica di scarabei a Naucrati (Egitto) i cui prodotti si ritrovano
in giro per l’Europa.
L’area dell’Egitto viene praticata da questi attivi mercanti anche per
l’interesse commerciale verso le materie prime dall’Africa, in partico-
lare avorio, uova di struzzo, ebano. Il corridoio per l’Africa, costituito
dalla via delle oasi, parallela alla valle del Nilo, che corre nord–sud a
ovest di questa, registra la presenza di Greci già nel secondo quarto del
I millennio avanti Cristo, attivi nel commercio dell’avorio, del quale la
Grecia arcaica è ricca. Le tombe italiche (etrusche, picene, magno–gre-
che ecc.) si impreziosiscono intanto di amuleti egizi, numerosissimi gli
scarabei. Oltre a oggetti egizi e a riproduzioni più o meno fedeli di essi,
si riconoscono nel Mediterraneo oggetti che, se egizi non sono, tutta-
via improntano la loro forma e la loro funzione alla tradizione della
Terra del Nilo: si pensi ad esempio a piccoli contenitori da toletta in
terracotta a forma di scimmietta imitanti, in materiale comune e
forme approssimative, degli oggetti di pregio, generalmente in faïence,
che in Egitto avevano una lunga tradizione; scimmiette si trovano nei
livelli dell’Italia preromana e nella Roma arcaica.
Lo storico greco Erodoto, che nel V secolo avanti Cristo viaggia in E-
gitto lasciandocene una vivacissima descrizione, attesta con chiarezza
che all’epoca le divinità egizie sono già stabilmente comprese dai Greci
come equivalenti di proprie divinità: ad esempio Osiride sarebbe Dioniso,
Iside Cerere, Hathor Afrodite e via dicendo.
I contatti tra la cultura greca e quella egizia, dunque, sono intensi e
fruttuosi: nonostante il ben conosciuto orgoglio per l’altezza della propria
cultura, i Greci subiscono l’attrazione per la cultura egizia; fonti antiche
tramandano che importanti intellettuali greci avrebbero soggiornato in
Egitto: Pitagora avrebbe addirittura parlato egiziano, Solone e Platone sa-
rebbero stati in Egitto per studiare. La comparazione tra la speculazione
egizia in ambiente templare e il pensiero platonico può effettivamente for-
nire interessanti spunti di riflessione: più tardi, proprio in Egitto fiorisce il
Neoplatonismo che poi, dialogando con il Cristianesimo, stimola la rifles-
sione di grandi scrittori cristiani come Clemente d’Alessandria e Origene.
Quando nel 332 avanti Cristo Alessandro Magno conquista l’Egitto e
fonda Alessandria, la terra dei faraoni entra nell’impero del Macedone e,

12
alla sua morte, governata da Tolemeo e dai suoi discendenti, partecipa
vivacemente alla storia politica e culturale del Mediterraneo in quel pe-
riodo fecondo che chiamiamo Ellenismo, fino a quando, nel 30 avanti
Cristo, avendo Ottaviano sconfitto Antonio e Cleopatra, ultima erede del
primo Tolemeo, l’Egitto entra a far parte dell’impero romano.
Nel periodo ellenistico, in Egitto si incontrano e si coniugano due
grandi tradizioni artistiche, quella egizia e quella greca, dando vita a lin-
guaggi figurativi nuovi e raffinati; al contempo, anche l’antica mitologia
egizia e la tradizione religiosa assumono forme figurative di origine greca.
Alessandria, metropoli internazionale affacciata al Mediterraneo
che ha alle spalle l’Egitto, resta per secoli un importantissimo centro
economico e culturale: dal suo porto numerose navi volgono la prua
verso altri paesi mediterranei e in particolare verso l’Italia, trasportan-
do non solo manufatti, ma anche uomini, maestranze, e dunque idee
e credenze religiose.
Nell’ambito dei territori romani, l’Impero favorisce la circolazione di
persone, oggetti, mode, culti che hanno origine in Egitto: Roma in par-
ticolare, capitale internazionale — luogo di incontro di popoli e culture
— ha un suo volto “egizio”. Avviene dunque che la gran parte dei nume-
rosi reperti egizi conservati nei musei romani — dai Musei Capitolini al
Museo Nazionale Romano, dalle collezioni Torlonia ai Musei Vaticani
— provengono da scavi di Roma e del Lazio: si tratta di sculture di varie
proporzioni, in diversi casi colossali. Accade infine che nella città di
Roma siano attualmente eretti più obelischi che nello stesso Egitto.
Rovesciando la prospettiva, possiamo notare come, paradossalmente,
la cultura dell’Egitto, paese conquistato, abbia ancora un ruolo attivo al
punto da apparire come un centro irradiatore e Roma come una “perife-
ria”; se questa visione può essere una “forzatura”, è tuttavia efficace per
comprendere certe dinamiche culturali: mentre a Roma si costruiscono
piramidi di proporzioni contenute e dall’angolo di inclinazione piuttosto
ampio — e dunque dalla linea aguzza come quella ostiense — ugualmen-
te avviene in Sudan, nel regno meroitico, in territori da tempo immemo-
rabile soggetti all’influenza egizia. Analogamente, se a Roma e in Sudan
troviamo testimonianza di un particolare tipo di costruzione architettoni-
ca con figure di Bes come telamoni o cariatidi (si veda § 8.5), riusciamo a
comprendere questo genere grazie alle fonti iconografiche dell’Egitto,
che tuttavia, fino a oggi, non ce ne ha restituito neanche un esemplare.
Infine, una magnifica testa bronzea di Augusto, oggi al Museo Britan-
nico (GR 1911.9–1.1), è stata ritrovata a Meroe (Sudan), capitale di un re-
gno mai conquistato da Roma: dopo essere stata sottratta probabilmen-

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te da un sito in Alto Egitto, essa era stata collocata sotto un gradino del
tempio della Vittoria, seguendo l’uso tipicamente faraonico di porre l’im-
magine dei nemici sotto i piedi del faraone: davvero l’Egitto fu un’inter-
faccia tra l’Africa e il Mediterraneo.

2. L’Egitto a Roma: precisazioni terminologiche


2.1 Egittomania e/o egittofilia?

La presenza numerosa di motivi egizi nella cultura romana è stata


oggetto, negli anni recenti, di numerosi studi e proprio in considera-
zione di questi sembra necessario mettere a punto una terminologia
adeguata, seguendo anche M. Malaise nella sua recente opera Pour une
terminologie et une analyse des cultes isiaques.
La storiografia ha spesso misconosciuto, nel passato, l’influenza del
Mediterraneo orientale, e in particolare dell’Egitto, sulla civiltà romana,
e prima ancora su quella greca. Il giudizio degli storici è stato certamente
condizionato dal giudizio negativo, sulle manifestazioni della cultura fa-
raonica, espresso da alcuni scrittori romani, che vedevano nell’adesione a
essa un allontanamento dal mos maiorum (ad esempio Seneca, Ep. 83,25;
86,4), e ritenevano il modello teocratico dell’Egitto faraonico come un
pericolo per la tradizione della Repubblica e dunque per il potere senato-
rio (ad esempio Tacito, Ann. 13–16; Hist. 4; Agr. 44–45). Fu soprattutto tra
la fine della Repubblica e il primo secolo dell’Impero che diversi autori
romani espressero il loro sdegno in particolare nei confronti dei culti
egizi (ad esempio Giovenale, Lucano, Properzio), soffermandosi sull’uso
egizio di rivolgere la devozione ad animali e ortaggi, come si legge, ad
esempio, nella XV Satira di Giovenale. Tuttavia, gli intellettuali romani si
dibatterono spesso tra avversione e attrazione: così Seneca visitò l’Egitto
e scrisse un trattato sui siti e gli usi religiosi degli Egizi, Cicerone desiderò
recarsi nella Terra del Nilo. Tornando ai problemi della terminologia,
dobbiamo tener presente che anche in conseguenza di una certa storio-
grafia, la considerazione della presenza di motivi egizi nel mondo roma-
no, da parte degli studiosi, è talvolta ancora legata a definizioni precon-
cette e inadeguate: spesso il fenomeno viene definito semplicemente
“egittomania”, come se si trattasse solo di una moda esotica e superficia-
le. Il termine “egittomania” può creare dunque degli equivoci.
J.–M. Humbert ha notato che vanno distinti i vari fenomeni culturali
e artistici quali l’egittomania, l’egittofilia e l’esotismo; secondo lo studio-

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so, l’egittomania è la ripresa di elementi decorativi tratti dalla grammati-
ca ornamentale egizia, adottati per creare opere che rispondono tuttavia
alla sensibilità del tempo nel quale vengono realizzate e alle sue necessità.
Humbert utilizza il termine “egittomania” per indicare una moda
che si nota nell’arte occidentale soprattutto tra il XVIII e il XIX sec., al-
lorquando forme architettoniche e oggetti d’arte si ispirarono alle forme
egizie, mentre nella pittura furono predilette ambientazioni ricche di
sfingi, piramidi, obelischi. Il fenomeno si nota soprattutto in coinciden-
za di avvenimenti quali la campagna napoleonica, l’apertura del canale
di Suez ecc.; l’“egittomania”, tuttavia, interessa un quadro cronologico
più ampio e si riconosce ancora nel XX secolo, ad esempio in cappelle
funerarie esistenti in cimiteri italiani, ad esempio a Napoli.
Tornando all’epoca romana, il termine “egittomania” si è andato
affermando nel linguaggio degli studiosi probabilmente a partire da un
importante studio di M. De Vos, L’egittomania in pitture e mosaici roma-
no–campani della prima età imperiale. Ch. Ziegler, in occasione della mo-
stra parigina Égyptomania. L’Égypte dans l’art occidental, ha letto la pre-
senza di motivi egizi nel mondo romano secondo un intento essen-
zialmente decorativo; altri studiosi, come ad esempio S.H. Aufrère,
giudicano le citazioni egizie nell’Italia romana come ben rispondenti a
una semplice curiosità esotica, non comprese nella loro realtà origina-
ria. Si pone dunque una domanda: la presenza dell’Egitto nella cultu-
ra romana può essere giudicata semplicemente come “egittomania”?
Per avere una risposta, bisogna scorrere l’ampia bibliografia sviluppa-
tasi dal XX secolo a oggi, a opera di egittologi — ad esempio J. Leclant
e la sua scuola, M. Malaise, J.–Cl. Grenier, Ph. Derchain, L. Bricault —
ma anche di archeologi classici. In questa abbondante messe di studi, qui
solo sommariamente citata, la visione dell’Egitto nel mondo romano
non appare semplicemente come una moda superficiale, un gusto effi-
mero per degli oggetti e una mitologia sconosciuti e incompresi.
Se il termine “egittomania” può essere utilizzato solo per alcune li-
mitate manifestazioni dell’interesse romano per l’Egitto, anche l’“egit-
tofilia” può essere riconosciuta nell’ambiente romano: in essa identifi-
chiamo un interesse per la cultura faraonica che condusse filosofi e
intellettuali a viaggiare in Egitto, a studiarne gli usi, a collezionarne gli
oggetti, a entrare in contatto con i rappresentanti di quella antichissi-
ma cultura, come ad esempio i sacerdoti.
Potremmo dire che l’“egittofilia” rappresenta storicamente i pro-
dromi dell’egittologia che, figlia della scienza moderna, si avvicina al-
l’Egitto con interessi e con metodo scientifici.

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2.2 Opere egizie ed egittizzanti

Scorrendo i cataloghi contenenti opere di tipo egizio ritrovate a Ro-


ma, ci imbattiamo in definizioni come “di imitazione romana” o “egit-
tizzante”, riguardanti opere non prodotte in Egitto. È dunque neces-
sario anche in questo ambito accordarsi su un lessico comune e scien-
tificamente fondato.
Fuori dall’Egitto, ma soprattutto in Italia e segnatamente a Roma,
furono trasportate numerose opere egizie, anche di grandi proporzioni;
altre furono prodotte in Italia, con pietre tipicamente italiane, come il
marmo lunense, o con pietre italiane simili alle egizie, come il granito
dell’Elba, ma anche con pietre veramente egizie. Spesso, le opere realiz-
zate in pietra italiana sono state definite “di imitazione romana” o “egit-
tizzanti”, semplicemente per il fatto che erano state prodotte in Italia.
Per definire i termini, dobbiamo considerare il fatto che a Roma
erano presenti officine egizie, artisti egizi che lavoravano per una com-
mittenza romana, generalmente di altissimo livello e segnatamente di
ambiente imperiale (a queste presenze dedicheremo un paragrafo più
avanti). Possiamo dunque stabilire che, se un’opera è uscita dalle mani
di un’artista di formazione egizia, anche se residente a Roma, l’opera
può essere definita egizia pur essendo realizzata in marmo italiano.
Nello stesso ambiente romano, tuttavia, conosciamo anche opere egit-
tizzanti: sculture ispirate all’Egitto, caratterizzate da elementi iconografici
di origine egizia, ma realizzate in forme non completamente tradizionali
e da scultori di formazione probabilmente diversa: esempi chiari di questo
genere possono essere alcune statue fatte realizzare da Adriano in bigio
morato e ritrovate a Villa Adriana, ma il genere comprende anche ogget-
ti sparsi di qualità inferiore e di committenza popolare.

2.3 Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica

Leggendo pubblicazioni sul nostro argomento, ci imbattiamo in defi-


nizioni come Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica.
Ho utilizzato in passato il primo di questi termini per definire un
po’ genericamente degli oggetti ritrovati fuori dall’Egitto, che fossero
di origine egizia o anche prodotti fuori dalla Terra del Nilo, ma stret-
tamente legati alla sua cultura, come ad esempio amuleti da tombe ita-
liche, ma anche le statue di Bes di Piazza Vittorio a Roma (si veda §
8.5). In un ambito terminologico comunque piuttosto confuso, è inter-
venuto recentemente — e come sempre efficacemente — M. Malaise

16
con la sua opera già citata: seguiamo qui, dunque, lo studioso belga,
per definire i tre ambiti distinti.
Come Aegyptiaca possiamo considerare quegli oggetti ritrovati fuori
dall’Egitto e dal Sudan, prodotti nella Terra del Nilo o anche imitazio-
ni strettamente legate agli originali (oggetti egittizzanti). In questa ca-
tegoria, tuttavia, Malaise non integra le opere ritrovate nel contesto
dei culti isiaci o a esso legate.
Con il termine Pharaonica, Malaise classificherebbe le opere egizie
trovate nell’ambito dei culti isiaci, in santuari sia pubblici che privati.
Secondo lo studioso potremmo anche definire “Pharaonica di imitazio-
ne” quelle opere che abbiamo già definito “egittizzanti”.
Il termine Nilotica identificherebbe l’abbondante numero di opere
raffiguranti il paesaggio della Terra del Nilo, nel quale il grande fiume,
con la sua flora e la sua fauna, è il protagonista. Dall’Italia, e in parti-
colare dall’ambiente romano, abbiamo numerose immagini di questo
genere, soprattutto nei mosaici ma non solo (figg. 1–2–3).

Figura .
Mosaico nilotico di Palestrina. Palestrina, Museo Archeologico Nazionale.

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Figura .
Mosaico nilotico dalla casa del fauno di Pompei.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Figura .
Lastra in terracotta con paesaggio nilotico, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.
Il genere è rappresentato da molti esemplari simili tra loro,
eccetto che per qualche variante.

18
2.4 I culti di origine egizia

In passato, ho utilizzato la definizione “culti egizi” per indicare culti


di origine egizia trapiantati fuori dall’Egitto; “culti egizi” è dunque
una definizione parziale e forse pure non del tutto adeguata, perché
questi culti sono passati attraverso una trasformazione ellenistica: at-
tualmente, dopo la messa a punto terminologica di Malaise — basata
anche su lavori di L. Bricault — possiamo definirli “culti isiaci”, anche
se “culti di origine egizia” non sembra inappropriato. I culti isiaci, pur
prendendo il nome dalla dea Iside, riguardano un certo numero di divi-
nità che generalmente la accompagnano, ad esempio Anubi, Arpocra-
te, Osiride, Serapide ecc. (si veda §§ 3–3.6), presenti fuori dall’Egitto
tra la fine del IV secolo avanti Cristo e la fine del IV secolo dopo Cristo.
Talvolta, scorrendo la letteratura scientifica, ci si imbatte anche nel-
la definizione “culti alessandrini”, che viene utilizzata più o meno co-
me sinonimo di “culti isiaci”; Malaise sottolinea la differenza piuttosto
sfumata tra le due definizioni: alessandrini sarebbero quei culti riferiti
a divinità di origine egizia nella loro interpretatio graeca, che hanno ca-
ratterizzato la grande città portuale di Alessandria.
Infine, Malaise distingue anche dei “culti greco–egizi”: in questo ca-
so si tratta di divinità greche (ad esempio Atena, i Dioscuri, Afrodite)
che sono presenti in Egitto accanto alle altre divinità e hanno subito
una interpretatio aegyptiaca.

3. Iside: dea egizia fuori dall’Egitto


In epoca ellenistica e romana, un’importante veicolo per la diffusione
della cultura egizia fuori dall’Egitto è il culto di Iside e delle divinità a essa
collegate. Dea importante da tempi antichi, Iside egizia è sorella e sposa
di Osiride e madre di Horo, la cui immagine vivente è il faraone.
Il mito che la riguarda ci è pervenuto, sinteticamente ma compiuta-
mente, anche attraverso l’opera di Plutarco. Sorella e sposa di Osiride,
sovrano dell’Egitto, Iside svolge il ruolo di vedova e madre: il fratello
Seth, infatti, che è l’antagonista di Osiride, uccide il sovrano e disperde
i brandelli della salma. Iside compie la sua lunga e pietosa ricerca per
ricomporre il corpo dello sposo e infine lo rianima battendo le ali sul
cadavere, essendosi trasformata in uccello. Miracolosamente, allora,
concepisce un figlio, Horo, destinato a salire sul trono del padre e a ven-
dicarlo, mentre Osiride diventa il sovrano del regno dei defunti; da allo-

19
ra, il re dell’Egitto che muore è Osiride e il nuovo re è Horo. Nascosta
tra i papireti del Delta, Iside dà alla luce il figlio e lo protegge dai peri-
coli in attesa che cresca. Le sue doti di madre amorevole e di maga gua-
ritrice, messe in atto nei confronti del figlioletto, fanno sì che la dea sia
cara alle madri che la invocano per la protezione dei propri figli.
Iside è legata anche alla piena del Nilo identificandosi con la stella
Sothis, la quale annuncia l’arrivo della piena annuale che coincide con il ca-
podanno. Iside dunque è nutrice: spesso rappresentata, anche negli amu-
leti, mentre allatta il piccolo Horo, è anche connessa con il ritorno della
fertilità e dunque con le messi: Erodoto afferma che era identificata dai
Greci con Demetra. Questo aspetto della personalità della dea è sottoli-
neato dal fatto che Iside è sposa di Osiride, dal cui cadavere sgorga l’acqua
vivificante del grande fiume e sul cui tumulo si rinnova la vegetazione.
Iside ellenistica e romana mantiene il suo volto amorevole di madre e
nutrice, coronata talvolta di spighe di grano, offre la rigenerazione della vi-
ta; assume tuttavia nuove capacità di soccorritrice come protettrice dei na-
viganti, quale Iside Pharia o Pelagia, vicina nel ruolo ad Afrodite Euploia,
dea della buona navigazione. Iside viene anche assimilata a Fortuna: Isi-
de–Fortuna governa la sorte e non le soggiace — contrariamente alle divi-
nità greche — e dunque a lei ci si può rivolgere per contrastare il fato.
Durante il periodo ellenistico, il culto di Iside esce dalla valle del Nilo e
si diffonde nel Mediterraneo: una delle prime tappe di questo viaggio è l’i-
sola di Delo, importante emporio e luogo di incontro tra mercanti e viag-
giatori di origine diversa, dove Iside viene conosciuta e apprezzata e il suo
culto, ritenuto efficace, riportato in patria. In alcuni casi, nella dea si rico-
nosce la manifestazione di una divinità patria, come nel caso dei mercan-
ti prenestini che, frequentando Delo, forse già nel III secolo avanti Cristo
identificano Iside con la Fortuna Primigenia del loro paese d’origine, l’at-
tuale Palestrina; qui viene messo in opera, probabilmente da maestranze
alessandrine, lo spettacolare mosaico del Nilo, raffigurante il paesaggio
dell’Egitto, la cui datazione è ancora ampiamente discussa (fig. 1).
Mentre Delo segna il viaggio di Iside verso nord, un altro sito impor-
tante, all’estremo sud dell’Egitto, si configura come un’interfaccia cul-
tuale e culturale: il tempio di Iside sull’isola nilotica di File, alla prima
cataratta, volge il suo ingresso verso sud, al cuore dell’Africa, divenen-
do anch’esso luogo di incontro di popoli e culture, tra nord e sud: già
alla fine del II secolo avanti Cristo un’ambasceria romana visita File,
come dimostrato da A. Roccati, lasciando testimonianza in un’epigrafe,
mentre popoli e sovrani nubiani e meroitici giungono a File ricono-
scendo in Iside una divinità protettrice.

20
Delo e File si caratterizzano, dunque, in qualche modo, come “san-
tuari di confine”, luoghi non solo di vita religiosa ma anche di elabo-
razione culturale, favorendo l’incontro di identità diverse e la forma-
zione di un linguaggio culturale comune.

3.1 Iconografia di Iside

Nella sua immagine egizia tradizionale, Iside indossa generalmen-


te un abito aderente — o anche pieghettato e trasparente — secondo
la moda degli abiti femminili in Egitto, ed è riconoscibile per il segno
geroglifico del seggio o trono che porta sul capo e serve a comporre
il suo nome (fig. 4). Soprattutto in epoca tarda, in Egitto la figura di

Figura .
Immagine di Iside dalla tomba di Horemhab. Valle dei Re, tomba n. 57.

21
Iside si sovrappone a quella di Hathor, Afrodite per i Greci: nel perio-
do ellenistico e romano, dunque, Iside indossa spesso il coronamento
tipico dell’altra divinità, composto da corna di vacca e disco solare
(fig. 5).
Nel periodo ellenistico — e conseguentemente in quello romano —
Iside assume un’iconografia ellenizzata, mantenendo degli attributi di

Figura .
La dea Hathor.

22
origine egizia: l’abito ornato da uno scialle del quale un lembo è anno-
dato sul petto con un elemento sottostante della veste (fig. 6), il coro-
namento hathorico arricchito da due alte piume e talvolta da altri
oggetti come le spighe, in una mano la situla, recipiente dalla forma
arrotondata appeso a un manico, nell’altra il sistro, sorta di strumento
musicale che veniva scosso durante le cerimonie; talvolta, i lembi dello

Figura .
Statua di Iside da Villa Grandi (via di Porta Latina, Roma).
Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 125412.

23
scialle sono ambedue annodati sul petto (fig. 7), e non è chiara la dif-
ferenza tra i due tipi di abito.
Nel mondo romano, Iside si presenta spesso nella sua assimilazione
a Fortuna (fig. 8), assumendo un abito panneggiato — non sempre an-
nodato — e una corona hathorica, nella mano sinistra la cornucopia

Figura .
Statua di Iside, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.
Roma, Musei Capitolini, inv. 744.

24
carica di frutti simbolo di fecondità, e nella destra il timone di una nave
che la qualifica come vittoriosa sulla sorte; in tal senso si erge talvolta
su un globo. Nella sua qualità di dea dai mille nomi, che si identifica
con altre divinità, viene rappresentata anche come Iside Panthea, con
gli attributi ad esempio di Minerva e Diana, oltre che con i propri.
In quanto Iside Pelagia, la dea viene raffigurata mentre regge la vela
ergendosi su un’imbarcazione, protettrice della navigazione e baluar-
do contro le tempeste.

Figura .
Bronzetto di Iside–Fortuna nell’incisione pubblicata da M.A. de La Chausse.

25
Infine, connessa con Sothis, la stella della costellazione del cane, che
nel suo sorgere eliaco annuncia la piena del Nilo, Iside può cavalcare
l’animale, come avveniva nel frontone dell’Iseo Campense (fig. 38).

3.2 Osiride, Api, Serapide e Osirantinoo

Osiride è una antica e importante figura del pantheon egizio: sposo


di Iside, sovrano dell’oltretomba e giudice del defunto al momento del
suo accesso nell’aldilà, era anche legato all’acqua vivificante del Nilo e
quindi al ciclo vitale della vegetazione. Secondo Plutarco, il toro Api di
Menfi sarebbe stato l’anima di Osiride: il toro sacro era legato origina-
riamente al dio di Menfi Ptah, ed era indubbiamente una divinità della
forza generatrice e della fecondità; essendo poi lo stesso Ptah assimila-
to a Sokar–Osiride, ad Api venne chiaramente riconosciuto un aspetto
funerario e si accentuò il suo legame con Osiride. Numerose immagi-
ni del toro Api (fig. 9) — soprattutto bronzetti — sono stati trovati fuori
dall’Egitto. All’inizio dell’epoca tolemaica, per volere dei governanti
macedoni, venne creata una nuova immagine divina che poi ebbe una

Figura .
Statuetta del toro Api nel disegno pubblicato da B. de Montfaucon.

26
grande diffusione in tutto il Mediterraneo: Serapide, in origine Osi-
ris–Apis, dall’iconografia ellenistica, raffigurato come una divinità bar-
bata — simile a Zeus — coronato generalmente da un kalathos (a forma
di alto cesto), abbigliato di tunica (chitone) e mantello (himation), i suoi
folti riccioli possono essere rialzati sulla fronte (anastolè) (fig. 10), oppu-
re scendere in ciocche inanellate, in una iconografia specifica della divi-
nità (fig. 11).
A Serapide furono dedicati due importantissimi luoghi di culto in
Egitto: il Serapeo di Menfi, in prossimità delle monumentali catacombe

Figura .
Testa di Serapide. Treia (Mc), Antiquarium Comunale.

27
che ospitavano da secoli le tombe dell’Api, e il Serapeo di Alessandria. Se-
rapide è spesso seduto con Cerbero a fianco, a dichiarare il suo aspetto
plutonico come divinità degli inferi — ma talvolta è in piedi e può regge-
re una cornucopia, simbolo di fecondità della terra. Nel tempo, vennero
accentuati il suo aspetto solare, nell’assimilazione a Helios–Sol, e la sua ca-
pacità di divinità guaritrice, che ascolta le preghiere (epekoos). In epoca el-
lenistica, Serapide accompagnò Iside nel suo viaggio nel Mediterraneo;
più tardi, in epoca romana, si riaffermò anche la figura di Osiride, con la

Figura .
Statua di Serapide. Roma, Musei Capitolini.

28
sua iconografia mummiforme, tipicamente egizia (fig. 12). Non sempre
è chiaro il rapporto che doveva esistere tra Serapide e Osiride agli occhi
dei fedeli, nesso che comunque non sfuggiva agli spiriti più colti. Il culto
di Osiride in Occidente fu caratterizzato soprattutto dal legame con l’ac-
qua sacra e vivificante del Nilo, che si manifesta in particolare nella sua
forma di Osiride–Canopo, un vaso per l’acqua sacra coronato dalla testa

Figura .
Bronzetto di Osiride nel disegno pubblicato da B. de Montfaucon.

29
del dio (fig. 13). L’attenzione nei confronti di Osiride si accentuò proba-
bilmente sotto Adriano per la divinizzazione di Antinoo e la creazione
della figura di Osirantinoo (fig. 14) (si veda § 4).

Figura .
Osiride–Canopo, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.

Figura .
Statua di Osirantinoo da Villa Adriana, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.
Città del Vaticano, Museo Gregoriano Egizio, inv. 22795.

30
3.3 Arpocrate

Accanto a Iside e Serapide, si trova spesso il piccolo Horo nella sua


forma ellenistica (fig. 15): Arpocrate, il cui nome è la forma grecizzata di
Horo–il–bambino. Il dio fanciullo è caratterizzato solitamente dal dito
indice alle labbra, che in Egitto era il segno dell’infanzia ma fu interpre-
tato in Occidente come un richiamo al saggio silenzio, inoltre può avere
il ricciolo tipico dell’infanzia in Egitto, e un coronamento regale e divi-
no. Alla divinità furono dati anche altri attributi che indicano legami o
assimilazioni con altre figure, come il piccolo Dioniso (il nebride),
Eros–Cupido (le ali), Ercole bambino (la clava); inoltre, la cornucopia
che spesso regge attesta la sua appartenenza alla sfera delle divinità con-
nesse con la fertilità, mentre può essere accompagnato da alcuni anima-
li: il falco–Horo (talvolta la civetta) o il cane, simbolo della stella Sothis.

3.4 Anubi

La divinità egizia era tradizionalmente rappresentata in maniera


completamente teriomorfa, come canide, o antropomorfa con la sola

Figura .
Bronzetto di Apocrate nell’incisione pubblicata da M.A. de La Chausse.

31
testa animale (fig. 16). Il dio si ritrova nell’ambiente romano dove fu
rappresentato in figura umana con testa canina (fig. 17), soprattutto
come partecipante ai misteri di Iside e Osiride: di esso restano a Roma
diverse immagini, come una statua in marmo conservata nel Museo
Gregoriano Egizio e un rilievo su un altare nei Musei Capitolini.
Essendo in Egitto il dio preposto ai riti dell’imbalsamazione, in quan-
to aiutante di Iside nella ricomposizione del cadavere di Osiride, Anu-
bi mantenne fuori dall’Egitto il suo ruolo di accompagnatore delle
anime nell’aldilà (psicopompo); per quest’ultimo motivo fu anche
assimilato a Hermes.

Figura .
Il dio Anubi.

32
Figura .
Statua romana del dio Anubi, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.
Un tempo nei Musei Capitolini, oggi nel Museo Gregoriano Egizio (inv. 22840),
mancante dell’attributo nella mano destra.

33
Nell’iconografia di Anubi romano, dunque, il dio porta una foglia di
palma, in Egitto augurio di lunga vita, e il caduceo di Hermes–Mercurio:
nella descrizione di una processione isiaca riportata da Apuleio nelle Me-
tamorfosi (XI,11), sono proprio questi i suoi attributi, che compaiono an-
che sul rilievo ornante l’altare conservato nei Musei Capitolini.

3.5 Hermes–Thot

In Egitto, Thot era il dio della scrittura (fig. 18), signore della cono-
scenza anche la più nascosta, dunque della magia e della medicina, con
un ruolo di psicopompo; già Erodoto (II, 67) aveva riconosciuto in lui
il greco Hermes, mentre Platone (Philebus VIII, Phaedrus LIX) gli attri-
buì l’invenzione della scrittura.
Thot era ritenuto il compilatore di testi sacri e la sua figura giunse
in Occidente come Hermes Trismegisto (Hermes tre volte grande) insie-

Figura .
Il dio Thot. File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

34
me ai testi “ermetici” (Corpus Hermeticum) a lui attribuiti, di derivazio-
ne egizia, nei quali si trasmetteva una conoscenza capace di far pro-
gredire l’individuo verso la divinità.
La figura di Hermes–Thot, pur risultando piuttosto appartata rispet-
to alla famiglia isiaca, fu tuttavia importante nel mondo romano e pro-
babilmente dovette la sua diffusione anche all’evento famoso della
pioggia miracolosa durante la guerra danubiana all’epoca di Marco
Aurelio (si veda § 4), in seguito al quale gli fu dedicato un tempio in
Roma, cui i ritrovamenti e gli studi recenti di E. La Rocca stanno resti-
tuendo forma e dimensioni.
Hermes–Thot, nel mondo romano, veniva rappresentato secondo
l’iconografia di Hermes–Mercurio con il caduceo o la borsa in mano e
il particolare copricapo, sormontato, in questo caso, da una sorta di fo-
glia — probabilmente un petalo di loto — sopra la fronte; a Roma, tut-
tavia, è stato trovato un rilievo, oggi conservato in Vaticano (si veda §
8.6), che lo raffigura nella sua forma egizia dal corpo umano e la testa
di ibis (fig. 18).

Bes

Bes è una divinità egizia raffigurata come un nanerottolo mostruo-


so dai caratteri animaleschi, legato alla sfera liminale — il sonno, l’e-
ros, la nascita — spesso porta una corona di piume e può essere arma-
to, generalmente di un coltello (fig. 19). Bes apparteneva all’ambien-
te di Hathor e quindi alla sfera femminile: egli propiziava la fertilità,
proteggeva la donna soprattutto nella gravidanza e nel parto e si pren-
deva cura del bambino.
Come protettore delle nascite e dell’infanzia, Bes era quindi con-
nesso con il piccolo dio Horo e possedeva poteri magici di protezione.
Bes è spesso rappresentato mentre suona uno strumento e balla: in
questo atteggiamento aveva anche la funzione di pacificare la Dea
Lontana (Hathor) di ritorno in Egitto; per questo ruolo, e per il suo
legame con l’erotismo, Bes si avvicina alla figura della scimmia.
La divinità ebbe una notevole fortuna nel mondo fenicio–punico e
fu conosciuto e assimilato anche in ambito greco: per i suoi caratteri
animaleschi e per il ruolo di tutore di Horo, Bes trovò un omologo nel
greco sileno, pedagogo che alleva Dioniso; l’iconografia dei due per-
sonaggi può essere molto simile.
Numerose e importanti sono le immagini di Bes ritrovate a Roma
(si veda § 14).

35
Figura .
La figura del dio Bes su un elemento architettonico.
Dendera, complesso monumentale del tempio di Hathor.

36
4. L’Egitto a Roma: quadro cronologico
La notevole presenza di manufatti e culti di origine egizia a Roma
in epoca imperiale non è dunque un’apparizione improvvisa ma esi-
stono dei prodromi chiari e di varia portata, tuttavia l’annessione del-
l’Egitto all’Impero come provincia agevolò e intensificò i contatti.
Man mano che gli interessi di Roma verso l’intero bacino del Medi-
terraneo aumentavano, cresceva l’interesse per l’Egitto, sul quale pre-
sto la potenza militare romana stabilì una sorta di protettorato: nel II
secolo avanti Cristo, il sovrano d’Egitto Tolemeo VI Filometore, al
centro di una grave crisi dinastica tessuta di pericolose lotte familiari,
fuggì a Roma per cercare aiuto.
Nella prima metà del I secolo avanti Cristo, i simboli di Iside —
come il suo coronamento hathorico — compaiono in alcune monete
romane e, probabilmente al tempo di Silla, il culto della dea venne in-
trodotto a Roma. Un tempio per la dea sarebbe esistito addirittura sul
Campidoglio, nel cuore della città, mentre si andava manifestando la
varietà degli adepti: se un gran numero di essi erano liberti, e dunque
provenienti dall’ambiente servile, conosciamo l’esistenza dell’Iseum
Metellinum, che doveva essere stato edificato da un appartenente all’im-
portante famiglia dei Metelli.
Il legame tra Cesare e Cleopatra creò l’occasione per un rapporto
più stretto, ma anche più controverso, tra Roma e l’Egitto: di ritorno
dalla Terra del Nilo, Cesare portò con sé l’ultima regina d’Egitto che,
ospitata nella villa del dittatore a Trastevere, soggiornò a lungo nella
città, attorniata probabilmente da un seguito di artisti e intellettuali,
dando modo ai Romani di coltivare ed esercitare un duplice atteggia-
mento nei confronti del personaggio e della sua terra d’origine: dietro
un velo di morale riprovazione per usi e costumi che venivano ritenu-
ti avversi a quelli romani, serpeggiava comunque l’ammirazione per la
raffinatezza di un ambiente culturale tanto esotico.
Secondo F. Coarelli, in quest’epoca sarebbe stato allestito quello
specchio d’acqua monumentalizzato, a forma di triangolo, che la
Forma Urbis colloca nel Campo Marzio (fig. 20) e che sarebbe riferibile
al delta del Nilo.
Dopo la morte di Cesare, durante il secondo triumvirato, probabil-
mente appoggiato da Marco Antonio, il culto di Iside era pubblica-
mente esercitato a Roma; successivamente, l’Egitto si collocò al centro
dell’attenzione romana per il legame stretto che unì Cleopatra a
Marco Antonio e la lotta tra questo e Ottaviano: la propaganda di que-

37
st’ultimo utilizzò abbondantemente il luogo comune, nella mentalità
romana, che vedeva nei costumi egizi una sfrenatezza contraria all’i-
dentità patria, coltivando nell’opinione pubblica un’avversione per la
regina e la sua terra.
Dopo la vittoria di Ottaviano e l’annessione all’Impero dell’Egitto,
la visione di questo fu intessuta di atteggiamenti controversi e opposti:
da un lato l’antica moralistica avversione, dall’altro una crescente
attrazione.
Un gusto per le decorazioni egittizzanti si diffuse a Roma, soprattut-
to pitture, ma anche rilievi con figure di origine egizia che si trovano
anche nel cuore geografico del potere, il Palatino e la casa di Augusto

Figura .
L’area del Delta con la parte meridionale dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio,
nella Forma Urbis, pianta marmorea severiana.

38
(fig. 21): si tratta di un genere decorativo che cita figure e temi egizi in
un contesto stilistico che egizio non è, ma mostra il gusto per una favo-
losa tradizione esotica finalmente ridotta nel potere di Roma. Mentre si
faceva notare una certa avversione nei confronti degli dei egizi, ritenuti
protettori di Antonio e Cleopatra — quest’ultima si era presentata co-
me “Nuova Iside” — le egizianerie ottennero un grande successo, an-
che nelle residenze di Agrippa, genero di Augusto e vincitore della bat-
taglia di Azio, che si imponeva per relegare i culti isiaci ai margini della
città, dopo che Augusto li aveva già estromessi dal pomerio.
Dopo Augusto, nella storia di Roma il favore imperiale verso l’Egit-
to conobbe alterne vicende ma una progressiva affermazione e coinci-
se spesso con la volontà di un principe di consolidare la propria figura
secondo una regalità teocratica di tipo orientale — e dunque faraonica
— contrariamente al modello augusteo che si era proposto come ri-
spettoso dell’antica Repubblica romana; con il passare del tempo,
aspetti della religione isiaca si sovrapposero al culto imperiale.
Tiberio, nel suo tentativo di rafforzare i valori della tradizione, per-
seguitò il culto di Iside e il tempio della dea fu distrutto: nel Tevere so-
no stati trovati frammenti di statue egizie di grandi proporzioni e og-
getti legati al culto — ad esempio i sistri — che vi vennero gettati forse
in quell’occasione e sono conservati a Monaco di Baviera. A incenti-

Figura .
Lastra in terracotta dal tempio di Apollo Palatino.

39
vare l’avversione imperiale per quella che veniva considerata una per-
niciosa superstizione, intervenne un pubblico scandalo che ci viene
narrato da Giuseppe Flavio: un cavaliere romano che si era proposto
di sedurre una virtuosissima nobildonna, dopo inutili tentativi vi era
riuscito lasciandole credere che si stesse intrattenendo con il dio Anu-
bi. Scoperto l’inganno, il marito di lei era ricorso all’imperatore. È in-
teressante notare che l’intrigo era stato ordito sulla trama di un’antica
tradizione egizia, quella della teogamia, per la quale un dio visitava la
regina dando la vita al futuro sovrano. Sulla stessa tradizione, è stato
costruito un altro racconto, riguardante in questo caso Alessandro Ma-
gno, contenuto nel Romanzo di Alessandro, secondo il quale Nectanebo
— ex faraone spodestato dai Persiani e mago — in esilio in Macedonia,
avrebbe ottenuto le grazie di Olimpia, sposa di Filippo e futura madre
di Alessandro, prendendo le forme del dio Ammon.
Dopo Tiberio, Caligola manifestò un grande favore verso l’Egitto
proponendosi come l’erede dei faraoni e probabilmente sotto il suo
impero venne costruito o restaurato il tempio del Campo Marzio, che
divenne il più importante di quelli dedicati a Iside nella città di Roma;
inoltre le feste isiache vennero inserite nel calendario romano ufficiale.
Dopo l’atteggiamento piuttosto indifferente di Claudio, grande in-
teresse per l’Egitto si ebbe nuovamente con Nerone, il quale peraltro
era stato educato anche da Cheremone di Alessandria, conoscitore dei
geroglifici e della religione egizia.
Con la dinastia flavia, l’Egitto e i suoi culti furono al centro dell’at-
tenzione avendo avuto un ruolo importante nell’ascesa al potere di Ve-
spasiano: questi, in qualità di generale, si trovava in Oriente quando le
truppe di Alessandria lo proclamarono imperatore; recatosi nella città,
egli ottenne un oracolo favorevole nel tempio di Serapide mentre il
Nilo raggiungeva un livello di piena ottimale, buon presagio per un so-
vrano e per la stessa Roma, che attendeva annualmente le navi cariche
di grano che salpavano da Alessandria. Il favore di Vespasiano e dei suoi
figli nei confronti dei culti egizi continuò a manifestarsi: ad esempio,
dopo la conquista di Gerusalemme, l’imperatore e il figlio Tito trascor-
sero nel tempio del Campo Marzio la notte precedente il trionfo.
Fu soprattutto Domiziano, il figlio minore di Vespasiano, a volersi mo-
strare anche in Italia nelle vesti di faraone: egli restaurò il tempio del
Campo Marzio e per lui fu iscritto in geroglifici ed eretto l’obelisco che at-
tualmente si innalza sulla berniniana Fontana dei Fiumi di Piazza Navona.
L’egittofilia forte e manifesta del tempo di Domiziano sembra spe-
gnersi con i suoi successori, soprattutto a causa della damnatio memo-

40
riae cui fu condannato l’imperatore dal Senato; tuttavia, va ricordato
— seguendo F. Brenk — che, al tempo di Traiano, Plutarco scrisse il
suo trattato De Iside et Osiride, e si nota un sempre crescente interesse
nel mondo romano per la figura — tutta egizia — di Osiride, rispetto
a quella ellenizzata di Serapide.
L’imperatore Adriano, uomo colto che viaggiò ampiamente nel-
l’Impero valorizzando le antiche culture che in esso vivevano, riservò
all’Egitto un’attenzione tutta particolare. Durante una lunga visita nel-
la Terra del Nilo, Adriano visitò i monumenti e incontrò i detentori
dell’antica sapienza egizia, i sacerdoti ma, soprattutto, in Egitto avven-
ne un fatto che segnò profondamente la sua vita: Antinoo, il giovane
bitino favorito dell’imperatore annegò nel Nilo. La morte nelle acque
sacre e vivificanti del grande fiume fece del giovane annegato una
nuova divinità: Osiride–Antinoo (fig. 14), in suo onore venne fondata
una città in Egitto — Antinoe — e a lui fu dedicato un culto nell’Im-
pero. Scavi recenti della Soprintendenza archeologica per il Lazio, dal
2001, vanno mettendo in luce, a Villa Adriana presso Tivoli, un’area
che è stata interpretata come un luogo di culto per il giovane bitino,
ampiamente decorato da opere egizie ed egittizzanti. Come per Do-
miziano, un obelisco fu iscritto ed eretto per Antinoo in Italia, e attual-
mente si erge sul Pincio (si veda § 15).
Se con Antonino Pio si mantenne una certa tiepida attenzione per
l’Egitto, Marco Aurelio riconobbe a una divinità egizia un miracolo
che aveva salvato le sue truppe durante una campagna sul confine da-
nubiano. L’evento straordinario, ricordato spesso come “miracolo del-
la pioggia”, è rappresentato anche sulla colonna istoriata attualmente
innalzata a Piazza Colonna.
Nel racconto di Dione Cassio (71, 8–10), la pioggia che avrebbe sal-
vato l’esercito romano era stata dovuta alle preghiere di Arnufi, un sa-
cerdote egizio al seguito dell’imperatore, che aveva invocato Her-
mes–Aerios, divinità che si identificherebbe con Hermes–Thot, alla quale
Marco Aurelio dedicò poi un tempio in Roma.
Il figlio di Marco Aurelio, Commodo, fu intensamente dedito ai
culti isiaci e, secondo Dione Cassio, si fece rappresentare come Horo
il falco, riproponendo nella stessa Roma la regalità faraonica, così
come aveva fatto Domiziano.
Sotto i Severi, sembra che il culto imperiale sia stato particolar-
mente legato a quello di Iside e Serapide: Settimio Severo avrebbe de-
dicato la propria devozione soprattutto a quest’ultimo e Caracalla la-
sciò la dedica di un tempio a Serapide sul Quirinale, tempio la cui fon-

41
dazione gli è stata spesso attribuita, ma che invece doveva esistere già
da tempo e che l’imperatore forse restaurò.
Il culto di Iside, diffusosi in tutto l’Impero, resitette fino all’affer-
marsi del Cristianesimo e il tempio di File, all’estremo confine meridio-
nale dell’Egitto, fu l’ultimo tempio pagano a vivere oltre l’editto di Teo-
dosio, del 346 dopo Cristo, fino al tempo di Giustiniano (VI secolo).

5. L’Egitto a Roma: una varietà di motivi, tipi di opere


e ambiti
La cultura egizia o motivi di origine egizia raggiunsero Roma in
una varietà di forme e di ambiti. Se il trasferimento a Roma di culti di
origine egizia e l’allestimento di templi furono i maggiori incentivi alla
presenza della cultura egizia a Roma, pure dobbiamo riconoscere che
il fenomeno non fu solo di matrice religiosa.

5.1 La scelta dell’immaginario egizio

L’Egitto di epoca romana, soprattutto attraverso la mediazione di


Alessandria, offriva grande ricchezza di tecniche artigianali che attin-
gevano a piene mani nel repertorio figurativo della tradizione egizia.
Già in epoca repubblicana, prima dell’annessione dell’Egitto all’Impe-
ro di Roma, in Italia circolavano e lavoravano maestranze alessandri-
ne, come ad esempio i mosaicisti. Nel periodo imperiale, queste pre-
senze si intensificarono e anzi è possibile notare, in Italia, una certa
coincidenza tra l’affermarsi dei culti di origine egizia e la presenza di
officine di ascendenza orientale, come ad esempio la produzione del
vetro e la lavorazione delle gemme.
La diffusione di pitture contenenti elementi figurativi egizi si nota a
Roma nella prima età imperiale, ma anche altrove, come in Campania,
nei centri vesuviani distrutti dall’eruzione del 79 dopo Cristo. In queste
pitture, troviamo quadretti contenenti figure tratte dal repertorio farao-
nico, generalmente tuttavia poco fedeli all’iconografia tradizionale (fig.
22); in qualche caso abbiamo immagini tratte dal repertorio isiaco, con
personaggi resi in uno stile non egizio ma recanti oggetti di culto; in altri
troviamo paesaggi arricchiti da elementi egizi, come ad esempio una
piramide. I motivi faraonici si presentano talvolta insieme alla raffigura-
zione di giardini lussureggianti, e ciò ha condotto M. De Vos, la quale ha
studiato questo tipo di pitture, a credere che il genere della “pittura di

42
giardino”, tanto affermata a Roma — si pensi ai dipinti della Villa di Livia
a Prima Porta — sia di derivazione alessandrina. Gli artisti di Alessandria
avevano alle spalle uno straordinario repertorio figurativo per quanto ri-
guarda la paesaggistica, le immagini di giardini, le scene di vita sul fiume,
che erano state rappresentate nelle tombe dai periodi più antichi della
storia del paese. Dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero, a Roma si dif-
fuse questo genere decorativo, che sembra non avere significati religiosi,
ma rispondeva alla moda di una committenza di altissimo livello, la quale
evidentemente lo apprezzava e lo riteneva rispondente al proprio stato
sociale. Anche sul Palatino, nella Casa di Augusto e nel vicino tempio di

Figura .
Pittura della villa di Agrippa Postumo a Boscotrecase (Na).

43
Apollo, sono stati trovati motivi faraonici nelle pitture e su lastre fittili
(lastre “Campana”) (fig. 21): se Augusto, nella sua immagine romana,
non mostrava di stimare particolarmente la cultura egizia, tuttavia ap-
prezzava evidentemente il genere decorativo o forse lo riteneva adegua-
to a sottolineare il suo ruolo di vincitore di Azio e conquistatore del-
l’Egitto. Lo stesso Augusto volle monumentalizzare il Campo Marzio in
chiave alessandrina, come è stato riconosciuto da F. Castagnoli e da F.
Coarelli: qui volle un orologio monumentale, una grande meridiana il
cui gnomone fu l’obelisco di Psammetico II, trasportato appositamente
dall’Egitto a Roma, oggi eretto davanti a Montecitorio (si veda § 15). Lo
stesso mausoleo di Augusto sarebbe stato eretto sul modello di quello di
Alessandro Magno in Alessandria. Anche la presenza a Roma di diverse
piramidi, delle quali è superstite solo quella di Porta San Paolo (si veda §
10.4), datata all’ultimo quarto del I secolo avanti Cristo, non sarebbe rife-
ribile propriamente all’ambito dei culti isiaci, ma a quell’interesse per
l’Egitto tipico della prima età imperiale.
Lo straordinario mosaico del Nilo di Palestrina (fig. 1) può essere
considerato il capofila di un gran numero di immagini nilotiche, che ci
sono pervenute dal mondo romano attraverso mosaici, pitture, lastre
fittili (figg. 2–3). Se la funzione cultuale dell’aula nella quale si trovava
originariamente il mosaico prenestino è ancora dibattuta — per alcu-
ni studiosi sarebbe stato un luogo di culto isiaco, per altri non avrebbe
avuto destinazione religiosa — sappiamo per certo che altri mosaici e
pitture si trovavano in ambienti privati, per così dire “laici”. Il genere
ebbe lunga vita e nell’ambiente romano furono particolarmente ap-
prezzati i paesaggi vivacizzati da curiose figurine di pigmei.
Infine possiamo ricordare gli obelischi (si veda anche § 15): se dei
numerosi monoliti ancora innalzati a Roma o giacenti in frammenti i
più furono collocati nell’area cultuale del grande Iseo Campense (nel
Campo Marzio), alcuni tuttavia giunsero a Roma con finalità diverse,
come ad esempio quello già citato di Psammetico II a Montecitorio e
un altro, portato anch’esso da Augusto — dalla collocazione originaria
in Eliopoli voluta da Sethi I e Ramesse II — per segnare il limite orien-
tale della spina del Circo Massimo. L’obelisco si trova oggi al centro
della Piazza del Popolo, nella sistemazione settecentesca di G. Valadier.
Il celeberrimo obelisco del Vaticano, collocato al centro della piazza
antistante la basica di San Pietro, sarebbe stato collocato da Caligola
nel Circo Vaticano; infine, l’obelisco del Laterano fu portato a Roma
nella tarda antichità, al tempo dell’imperatore Costanzo II (357 dopo
Cristo), per ornare ancora il Circo Massimo.

44
5.2 Aspetti egizi dell’immagine imperiale

L’Egitto fornì un modello di teocrazia ad alcuni imperatori (si veda


§ 4): per la realizzazione di una particolare immagine del principe di
ispirazione egizia furono dunque creati ambienti e importate opere.
Questo aspetto particolare della presenza dell’Egitto nel mondo roma-
no si sovrappone spesso all’ambito dei culti isiaci: se Domiziano si fece
rappresentare come faraone a Benevento, la sua immagine venne col-
locata nel tempio di Iside di quella città; la devozione alle divinità di
origine egizia — ad esempio al tempo dei Severi — coincise talvolta,
almeno in parte, con il culto dinastico.
Particolare interesse riveste un frammento, oggi al Museo Archeo-
logico Nazionale di Firenze, ritrovato nell’area dell’Iseo Campense (si
veda § 10.1), raffigurante il sovrano allattato dalla vacca divina (fig. 23):
questa immagine, tradizionale in Egitto, introdusse a Roma un aspet-

Figura .
Frammento di scultura rappresentante la vacca divina che allatta il faraone
Horemhab. Firenze, Museo Archeologico Nazionale, inv. 5419.

45
to peculiare della regalità divina faraonica, riecheggiando rituali tipici
dell’incoronazione, come appunto l’allattamento da parte della dea a
segnare la nascita del sovrano alla nuova vita regale.
Sembra di riconoscere, però, un uso delle antichità egizie o egittiz-
zanti finalizzato semplicemente a creare — e venerare — l’immagine fa-
raonica dell’imperatore: un caso importante, anche se ricostruito solo
ipoteticamente, è quello degli Horti Sal-
lustiani, nell’area della Villa Verospi. Nel
Settecento, vi furono ritrovate cinque
statue egizie di grandi proporzioni: quat-
tro di queste sono i colossi che ornano
l’Emiciclo del Museo Gregoriano Egizio
in Vaticano, e rappresentano Tuia (fig.
24), madre di Ramesse II, Tolemeo II Fi-
ladelfo e la sorella sposa Arsinoe II, infine
una quarta statua che sembrerebbe copia
di quest’ultima; la quinta delle sculture di
Villa Verospi potrebbe essere identificata
nella statua di Amasi attualmente conser-
vata nella Villa Albani–Torlonia, come
proposto da M. De Vos. J.–Cl. Grenier ha
supposto che negli Horti Sallustiani, dive-
nuti possedimento imperiale, esistesse un
padiglione dedicato al culto faraonico
dell’Imperatore, voluto da Caligola, nel
quale questi avrebbe eretto i colossi per la
venerazione della propria famiglia, ria-
dattandoli secondo la consuetudine egi-
zia di considerare la regina madre e la
regina sposa come ipostasi divine. Al ri-
guardo, Grenier ricorda che l’egittofilia
(o egittomania?) di Caligola era arrivata
al punto che l’Imperatore, negando le an-
cestrali leggi romane, aveva sposato la

Figura .
Statua colossale di Tuia, madre di Ramesse II, dal-
la Villa Verospi, nel disegno pubblicato da G.G.
Bottari. Un tempo nei Musei Capitolini, attual-
mente nel Museo Gregoriano Egizio, inv. 22678.

46
propria sorella Drusilla. Altrettanto interessante è il rimando di Grenier a
Tacito (Ann. II.60), il quale, narrando la visita in Egitto di Germanico e il
suo seguito — nel quale forse il figlioletto Caligola — precisa che a Tebe
un sacerdote egizio avrebbe tradotto per gli illustri ospiti un testo gero-
glifico di Karnak narrante le gesta eroiche di Ramesse II: in quell’oc-
casione, i viaggiatori dovrebbero aver visitato il Ramesseo, grandioso
tempio funerario di Ramesse II, famoso nell’antichità come il tempio di
Osymandias (nome grecizzato dello stesso faraone), nel quale si ergeva,
secondo Diodoro Siculo (I 47,3), una statua in granito nero di Assuan
della madre del sovrano, che potrebbe essere la stessa oggi in Vaticano.
Tornando agli Horti Sallustiani, bisogna infine notare che dalla stessa area
proviene l’obelisco sallustiano, che oggi sovrasta la scalinata di Trinità dei
Monti, e una statua di ippopotamo attualmente a Copenaghen. Dallo
stesso sito, potrebbe provenire anche una statua del dio Bes conservata a
Cambridge, un tempo nella collezione Verospi. K.J. Hartswick nota che
nell’area sono stati trovati bolli laterizi del periodo di Commodo — altro
imperatore egittofilo — e che ancora in epoca severiana ci sarebbe stata
nei giardini un’area chiamata Menfi.
Altre “citazioni” egizie in un ambito squisitamente imperiale si tro-
vano nel mausoleo di Augusto, ma potrebbero essere state aggiunte da
imperatori successivi, forse da Domiziano: due obelischi anepigrafi —
oggi rispettivamente a Santa Maria Maggiore (Piazza dell’Esquilino) e
a Piazza del Quirinale — ne fiancheggiavano l’ingresso (si veda § 15),
mentre un architrave riporta in rilievo una corona faraonica.

6. Una progressiva “egizianizzazione”


Le divinità egizie uscirono dall’Egitto, per così dire, in abito greco: le
prime presenze della cultura egizia in Italia, e segnatamente a Roma,
sono caratterizzate dalla mediazione alessandrina. Le divinità si mostra-
no nella loro immagine ellenistica, come Iside e Serapide; le scelte deco-
rative passano attraverso pitture e mosaici che, pur rappresentando o
citando l’Egitto, non sono precisamente opere egizie. Nel corso del
tempo, progredendo nella storia dell’Impero, la presenza dell’Egitto a
Roma si fa sempre più precisa e viva: esso vi esiste, più che essere citato.
Tale fenomeno si nota in particolare per i seguenti motivi:
— vengono prelevate dall’Egitto e trasportate in Italia — e soprattut-
to a Roma — numerose opere del periodo faraonico, talvolta chia-
ramente scelte ad hoc e non a caso;

47
— si producono opere egizie in Italia con finalità precise dettate dalla
necessità o dal desiderio del momento;
— sono presenti in Italia specialisti egizi — e non solo maestranze ales-
sandrine — come sacerdoti e artisti;
— anche nei culti, sembra che si torni a figure divine più tradizionali: è
questo il caso di Osiride, che guadagna attenzione rispetto a Serapide.

7. La scelta delle opere egizie


L’ampia messe di antichità egizie trovate in Italia, e soprattutto a
Roma, pone una domanda: esse furono scelte a caso, in Egitto, per
soddisfare la megalomania dei nuovi padroni, che semplicemente ordi-
narono spoliazioni solo in base al proprio desiderio di possesso e di
ostentazione, oppure la scelta delle opere seguì una comprensione, il
desiderio di far vivere anche altrove il miracolo di un’antichissima e
gloriosa cultura? Di fronte ai reperti egizi, ritrovati nella nuova colloca-
zione romana, talvolta recanti ancora i segni della posizione originaria
in Egitto, non sempre è facile definire i diversi atteggiamenti; tuttavia,
se la cieca spoliazione dovette esistere — come spesso avviene dopo
una conquista — in alcuni casi possiamo riconoscere gli intenti precisi
di una scelta dettata dalla comprensione.
Di un certo interesse, è il racconto di Ammiano Marcellino (XVII 4,
12–15) che ci ragguaglia sul comportamento di Augusto; sappiamo che
egli portò a Roma l’obelisco flaminio e quello di Montecitorio (si veda
§§ 5.1 e 15), ma lo scrittore ci racconta che avrebbe voluto trasferire
nell’Urbe anche il grande monolite oggi al Laterano, portato poi al
tempo di Costanzo II: rinunciò perché esso era ancora intensamente
oggetto di culto nel santuario di Karnak dove era stato collocato du-
rante la XVIII dinastia, poco dopo la metà del II millennio avanti Cri-
sto. Subito dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero, dunque, Augusto
ragionò come il conquistatore che desiderava rendere visibili, nel cen-
tro del potere, la grandezza della conquista, anche se le scelte erano
temperate dalla sua intelligenza politica.
Con gli imperatori egittofili, l’atteggiamento indubbiamente cam-
biò. Diverse sculture, trovate a Roma, indicano attraverso l’iscrizione
geroglifica il sito templare dove originariamente erano collocate: a
proposito dei monumentali babbuini conservati in Campidoglio, ritro-
vati nell’Iseo Campense ma anticamente collocati a Busiri, P. Gallo ha
notato come sembri di riconoscere l’intento di rendere presenti, attra-

48
verso la scelta delle sculture, i più importanti luoghi sacri del Delta.
Non solo. Una statua di grandi proporzioni dedicata originariamente
dal faraone Amasi a Elefantina, isola della prima cataratta all’estremo
confine meridionale dell’Egitto, ci attesta che, indubbiamente, non
furono favoriti solo i siti del Delta perché più facilmente raggiungibili:
se si prelevò da Elefantina una statua di una tipologia estremamente
diffusa in tutto l’Egitto e nella stessa Alessandria — il re stante abbi-
gliato di nemes e shendyt (fig. 25) — evidentemente esisteva l’intento di
rendere presente a Roma l’intera geografia sacra della Terra del Nilo.

Figura .
Statua di faraone stante, abbigliato di nemes e shendyt,
nella raffigurazione pubblicata da A. Kircher.

49
7.1 I tipi della statuaria egizia a Roma

Tra le numerose opere egizie portate a Roma, pur nella varietà, si


riconoscono alcuni tipi ricorrenti, tra i quali possiamo ricordare
1. le statue raffiguranti un faraone stante, abbigliato di nemes e shendyt
(fig. 25);
2. le statue di teofori o naofori (fig. 26).
Oltre a questi, si possono citare ad esempio le statue di alcuni ani-
mali, le sfingi e le sculture di Bes (si veda § 12–13–14).
Le statue faraoniche del tipo n. 1 sono diffuse fuori dall’Egitto e
rappresentano anche uno dei tipi più copiati nelle opere egittizzanti.

Figura .
Il cosiddetto “naoforo Farnese” ritrovato a Roma, nella raffigurazione pubblicata da
A. Kircher. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 1068.

50
Esemplari di questo genere si trovano in Egitto da tempi antichissimi
e sono famose le sculture di Micerino (IV dinastia). In epoca tarda, sta-
tue di questo tipo si affollavano ancora nei templi egizi e le recenti ri-
cerche francesi nel mare di Alessandria hanno dimostrato che coloro
che sbarcavano nel grande porto dovevano restare impressionati dai
colossi tolemaici rispondenti a queste genere iconografico. Anche im-
peratori romani si fecero rappresentare così: a Karnak è stata trovata
una statua colossale nella quale è riconoscibile Augusto, attualmente al
Museo del Cairo (fig. 27); Domiziano ha lasciato una sua statua a

Figura .
Statua di Augusto come faraone da Karnak. Il Cairo, Museo Egizio, CG 701.

51
Benevento (fig. 28); Caracalla si mostra anch’egli in questi panni in una
statua al Museo del Cairo.
Le statue del tipo n. 2 rappresentano talvolta sovrani, spesso sacer-
doti e notabili che abbiano avuto la possibilità di farsi raffigurare in una
statua mentre, nella posizione stante o inginocchiati, sorreggono o pre-
sentano delle figure divine o, più spesso, un naos. Questo genere si era
affermato in Egitto nel Nuovo Regno ma la sua massima diffusione si
ebbe nel Periodo Tardo: la statua veniva collocata all’interno del recinto
templare affinché la persona rappresentata rimanesse per sempre pre-
sente nel luogo di culto partecipando delle offerte; inoltre, veniva affer-

Figura .
Statua di Domiziano come faraone. Benevento, Museo del Sannio, inv. 260.

52
mato un rapporto di reciprocità tra il fedele e la divinità. Come ha dimo-
strato M. Malaise, i seguaci dei culti isiaci a Roma reinterpretarono il si-
gnificato di queste immagini come rappresentazioni dei portatori di fi-
gure divine che partecipavano alle importanti processioni del culto.

8. La produzione di opere egizie a Roma


Esiste a Roma un certo numero di opere che possono essere rite-
nute egizie, poiché create da artisti egizi, anche se realizzate in pietra
non egizia. Nella capitale dell’Impero lavoravano officine di artisti di
varia origine, e tra questi alcuni provenienti dalla Terra del Nilo.
Gli artisti di formazione egizia avevano una caratteristica compe-
tenza per le pietre molto dure e anche di difficile lavorazione come il
granito, mentre la scultura greca e quella romana lavoravano tradizio-
nalmente il marmo, un materiale più facilmente trattabile.
Anche gli artisti egizi di Roma usarono il marmo, inusuale in Egitto,
soprattutto per i rilievi posti a decorazione delle pareti templari, che in
Egitto erano spesso di arenaria, una pietra abbastanza tenera.
Le pietre scure e molto dure, comunque, furono considerate tipi-
che dell’Egitto: nella Terra del Nilo, il nero era simbolo della vita che
si rigenera — nero era il limo del Nilo — così a Roma capitò che le du-
re pietre egizie venissero talvolta sostituite con il marmo scuro, come
ad esempio nelle statue egittizzanti di Villa Adriana. Nell’uso romano
del porfido rosso proveniente dal deserto orientale egiziano, esclusivo
dell’ambiente imperiale, furono probabilmente gli scultori di forma-
zione egizia a fornire una preziosa competenza.
Le opere egizie di Roma talvolta ripetono più o meno pedissequa-
mente la tradizione, in altri casi introducono delle novità funzionali al
nuovo contesto, come si può notare nella breve scelta di sculture che qui
viene presentata. Si può immaginare che i sistemi, le tecniche, l’organiz-
zazione del lavoro di queste officine romane non fossero molto diversi
da quelli utilizzati in Egitto da millenni (immagine sul retro di coperti-
na). Purtroppo non possediamo abbastanza dati per osservare un’even-
tuale evoluzione dei modi di lavorare la pietra dovuta al contatto con of-
ficine di origine diversa.
Non è possibile datare con precisione le opere egizie di Roma e non
sappiamo con certezza neanche da quando le officine furono presenti
a Roma: anche se forse lo erano già con Caligola, molto probabilmen-
te si affermarono con i Flavi, in particolare con Domiziano.

53
8.1 La statua–fontana di Hapy ai Musei Vaticani

Una statua conservata nel Museo Gregoriano Egizio, realizzata in


marmo palombino, rappresenta Hapy, il dio della piena del Nilo, nella
sua tradizionale forma androgina dai seni penduli, indicante la capacità
generatrice e nutrice del grande fiume (fig. 29). La scultura risponde alla
tradizione egizia, che si nota in particolare nel viso di ascendenza saiti-
ca, tuttavia, come ha giustamente notato J.–Cl. Grenier, la statua è tipi-
camente romana per la funzione di fontana sconosciuta in Egitto, ha
infatti la bocca socchiusa per permettere lo zampillo. La stessa funzione
idrica, al contempo, indica la piena comprensione del personaggio mito-
logico. Grenier ha supposto che la statua fosse stata creata sotto Cali-
gola, anche se tradizionalmente la si riteneva di epoca adrianea.

Figura .
Statua androgina della fecondità del Nilo.
File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

54
8.2 La copia della statua di Arsinoe II ai Musei Vaticani

Nel gruppo dei quattro colossi dalla Villa Verospi (si veda § 5.2) c’è
anche una statua che sembra essere la copia di quella di Arsinoe II. Si
suppone che sia stata scolpita in epoca romana, secondo Grenier per
Caligola.

8.3 La statua di Nerone (?) al Museo Nazionale Romano

Una insolita scultura al Museo Nazionale Romano (fig. 30) in pietra


egizia — granito rosa — è stata attribuita a Nerone da S. Curto: il sovra-
no è rappresentato stante, indossa il copricapo faraonico nemes e un
mantello sulla nudità eroica. Accanto a lui, una figura femminile di pic-
cole proporzioni presenta l’abito isiaco.
In questo caso, l’ostica pietra egizia è
stata trattata con una certa competenza
ma con modi stilistici che non sono fa-
raonici, come la stessa nudità: il tratta-
mento del nudo maschile, della musco-
latura del torso e delle spalle ricalca la
tradizione greca, anche se il tipo di pietra
l’ha reso un po’ rigido e sommario. L’im-
magine sembra rispondere a quello stile
greco–egizio tipico dell’Egitto tolemai-
co, nel quale attributi faraonici (come il
nemes e l’ureo sulla fronte) si uniscono ad
attributi greci (come il mantello) e a un
modellato di tipo greco reso rigido dalla
pietra e dalla tradizione egizie. Anche la
figurina femminile presenta il tipo di
Iside ellenistico con l’abito annodato e
panneggiato, tuttavia la posizione del
braccio destro levato nel tipico atteggia-
mento egizio di protezione rimanda alle
figure femminili faraoniche che veniva-
no poste di lato al sovrano — talvolta

Figura .
Statua di Nerone (?) con copricapo faraonico.
Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 129270.

55
delineate semplicemente a rilievo — rese usuali soprattutto dalla con-
suetudine del Nuovo Regno; letta in questa tradizione, la figura po-
trebbe rappresentare la regina in abito isiaco, invece che Iside stessa. Gli
artisti che hanno realizzato la scultura avrebbero avuto dunque una for-
mazione greco–egizia e forse una provenienza alessandrina.

8.4 Le colonne dell’Iseo–Serapeo Campense

Dall’area del grande Iseo–Serapeo Campense (si veda § 10.1), proven-


gono quattro tronchi di colonne, tre dei quali conservati nei Musei Ca-
pitolini, mentre un altro, ritrovato precedentemente, si trova al Museo
Archeologico Nazionale di Firenze. Le quattro colonne, in granito gri-
gio, hanno la caratteristica di essere scolpite a rilievo nella parte bassa con
una serie di sacerdoti isiaci recanti degli oggetti di culto (fig. 31). L’uso di

Figura .
Particolare di una delle colonne dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio. Roma,
Musei Capitolini, inv. 13.

56
scolpire rilievi sulle colonne templari si era affermato in Egitto durante il
periodo di Amarna (XIV secolo avanti Cristo), non siamo dunque di fron-
te a una novità assoluta, tuttavia le colonne dell’Iseo Campense costitui-
scono un caso unico per diversi aspetti: se ci sono ben note le immagini
di sacerdoti recanti oggetti di culto, in questo caso non si tratta di pro-
cessioni, infatti i sacerdoti non sono in fila uno dietro l’altro ma si guar-
dano a coppie e, soprattutto, sono in piedi su alti sgabelli, e dunque non
sono incedenti, pur avendo una gamba gradiente come nella tradizione
figurativa egizia; si tratta forse della rappresentazione di una cerimonia di
esposizione. Lo stile dei rilievi e la perizia con la quale è stata scolpita una
pietra piuttosto ostica indicano il lavoro di un’officina egizia, inoltre il
granito — studiato da L. Bongrani Fanfoni — sarebbe quello dell’Isola
d’Elba: le colonne, dunque, sarebbero state realizzate a Roma.

8.5 I due Bes di Piazza Vittorio

Due statue della divinità mostruosa Bes (si veda § 14), attualmente
collocate ad arredare un angolo di Piazza Vittorio insieme alla Porta
Magica un tempo a Villa Palombara, lasciano trapelare qualcosa del la-
voro delle officine di scultura: le due statue gemelle — ma non identi-
che — erano probabilmente finalizzate a fungere da telamoni o caria-
tidi sulla fronte di un sacello nell’area del Serapeo del Quirinale (si
veda § 10.2), essendo state trovate nei pressi della chiesa di San Vitale;
purtroppo non siamo in grado di datarle con precisione ma potrebbe-
ro essere dell’epoca di Caracalla. Le due sculture sono realizzate in
marmo lunense, e dunque prodotte da officine sul suolo italiano. L’os-
servazione comparata delle due statue ci rivela che una è stata realiz-
zata da uno scultore di formazione romana: egli ha scolpito il torso, la
muscolatura e i particolari anatomici con accuratezza, secondo la tra-
dizione ellenistico–romana (fig. 32); al contempo, i particolari icono-
grafici della divinità di origine egizia non sono ben compresi e realiz-
zati. L’altra statua mostra un caso contrario: lo scultore conosceva be-
ne la tradizionale iconografia egizia ma la sua formazione non gli ha
permesso di seguire agevolmente il suo collega nella realizzazione di
alcuni particolari anatomici, come ad esempio l’arcata epigastrica (fig.
33). In conclusione, i due Bes di Piazza Vittorio ci mostrano il lavoro di
un’officina impiantata in Italia, probabilmente a Roma, nella quale
scultori di formazione diversa — egizia e romana — lavoravano fianco
a fianco per uno stesso progetto, in questo caso probabilmente nel can-
tiere per il grande Serapeo del Quirinale.

57
Figura .
Statua di Bes, dal Quirinale. Roma, Piazza Vittorio.

58
Figura .
Statua di Bes, dal Quirinale. Roma, Piazza Vittorio.

59
8.6 I rilievi in marmo

A Roma sono stati trovati numerosi elementi architettonici decorati


alla maniera egizia: si tratta di frammenti di rilievi, architravi, capitelli,
provenienti da varie aree della città. Alcuni di essi presentano una deco-
razione chiaramente egittizzante: artisti non egizi si sono cimentati in te-
mi e figurazioni di origine egizia; in diversi casi, invece, notiamo la mano
esperta di uno scultore di formazione egizia. La maggior parte di questi
rilievi sono realizati in marmo: alcuni frammenti provengono da scavi re-
centi condotti da C. Alfano nell’area di San Macuto — nell’Iseo Cam-
pense — altri sono conservati in Vaticano, tra questi i frammenti di una
bella immagine di Thot a testa di ibis che Grenier ha attribuito al tempio
costruito da Marco Aurelio per Hermes–Thot. Una lastra conservata nel
Palazzo Venezia (fig. 34), in marmo lunense (marmo di Carrara), mostra
una divinità egizia che generalmente non compare nella famiglia isiaca
fuori dall’Egitto: si tratta di
Gheb, dio della terra, padre di
Iside e Osiride, che talvolta nei
rilievi templari dell’Egitto gre-
co–romano riceve dal faraone
la presentazione dei campi. Pur
appartenendo all’Enneade elio-
politana come ascendente di-
retto di Iside e Osiride, questo
dio non sembra aver avuto un
posto nella diffusione ellenisti-
ca del culto isiaco e resta pret-
tamente una figura di ambiente
egizio: la sua presenza a Roma
lascia immaginare dei rilievi di
ambiente templare dettati da
specialisti egizi con precise fina-
lità e chiari intenti. Il rilievo
stesso, di buona qualità, indica
il lavoro di un artista egizio.

Figura .
Rilievo in marmo rappresentante il
dio Gheb. Roma, Museo Nazione di
Palazzo Venezia, inv. P.V. 3283.

60
9. Sacerdoti egizi a Roma
Abbiamo già accennato alla presenza di specialisti egizi a Roma: que-
sta è talvolta indirettamente testimoniata dalla qualità veramente egizia
delle opere, ma anche le fonti storiche ce ne hanno lasciato abbondante-
mente le tracce, insieme a qualche sporadica fonte archeologica. Partico-
larmente fortunati siamo nel caso di Arnufi, del quale ci parla Dione
Cassio riguardo al miracolo della pioggia di Marco Aurelio (si veda § 4);
lo stesso Arnufi è infatti probabilmente riconoscibile in un’iscrizione per
la dedica di un altare a Iside, trovato ad Aquileia, lungo la direttrice che
conduceva nell’area danubiana. Il più antico caso di Cheremone, maestro
di Nerone, ci apre un particolare angolo visuale sull’ambiente imperiale.
La letteratura antica sull’argomento, raccolta da F. De Salvia, descrive
sacerdoti o “maghi” che circolavano per l’Impero, portatori di conoscenze
arcane e poteri misteriosi; talvolta le loro pretese capacità magiche, nella
mentalità romana, li equiparavano a veri propri ciarlatani da strapazzo. Il
potere di compiere atti miracolosi, attribuito ai sacerdoti/maghi egizi già
nella Bibbia, nella letteratura di epoca romana è generalmente legato alla
lettura di segni misteriosi e al pronunciamento di frasi rituali incomprensi-
bili (Apuleio, Metamorfosi 11, 22). Siamo di fronte alla sopravvivenza di an-
tichissimi usi e credenze: in Egitto, un gruppo ristretto di specialisti, legati
alla Casa della Vita, partecipava del potere creativo della parola divina; que-
sta, espressa nei geroglifici, aveva la capacità di chiamare in esistenza e dun-
que possedeva una perfetta efficacia. Nonostante la magia fosse vituperata
da tanti Romani, formule magiche di origine egizia giunsero a Roma an-
che scritte in greco, lingua nella quale da tempo erano state versate, e si ri-
trovano su numerosi oggetti, in particolare sulle gemme magiche.
La presenza di sacerdoti egizi nel mondo romano si può comunque
intuire là dove più importante e precisa si nota l’affermazione dei culti
egizi o dove appare più precisa la comprensione dell’immaginario egi-
zio, e forse ancor più quando questo viene plasmato, con intelligente
creatività, per nuovi fini, come ad esempio per il culto di Antinoo, in
particolare a Villa Adriana. Si deve a Ph. Derchain l’affascinante rico-
struzione della vicenda di un sacerdote di Panopoli (Akhmim) che,
avendo incontrato Adriano durante il suo viaggio in Egitto, lo avrebbe
poi seguito a Roma: al di là di questa ipotesi suggestiva e storicamente
verosimigliante, sembra sempre più evidente la presenza di un sacer-
dote egizio — postulata anche da E. Bresciani — nelle realizzazioni
egizie/egittizzanti di Villa Adriana. Lo stesso obelisco del Pincio, dedi-
cato ad Antinoo, insieme a quello di Domiziano a Piazza Navona (si

61
veda § 15), pone un interrogativo sul luogo della realizzazione dell’i-
scrizione: il testo geroglifico fu creato in Egitto o a Roma?
Le fonti figurative ci attestano la presenza a Roma del sacerdote ptero-
phoros, riconoscibile in un rilievo un tempo a Palazzo Mattei (fig. 35) e
ora ai Musei Vaticani, ma anche in un dipinto dall’Iseo di Pompei. Il ter-
mine pterophoros, cioè “portatore di piume” — il sacerdote aveva infatti
la testa cinta da una benda a sorreggere due piume — è la versione greca
dell’egizio “scriba del libro divino”, che nel periodo tardo si sovrappose
al sacerdote lettore “portatore di rotolo”. Anche la figura dello hiero-
grammateus, specialista della Casa della Vita, presente a Roma ad esem-
pio con Arnufi, sembra a un certo punto confondersi con lo pterophoros,
come ci testimonia anche Clemente d’Alessandria (Stromata 6,36).

10. I luoghi “egizi” di Roma


Oggetti egizi o egittizzanti e immagini di divinità di origine egizia
sono stati rinvenuti in numerosi siti di Roma e dei suoi dintorni, ope-
riamo qui dunque una scelta in base alla loro importanza o al loro va-
lore esemplificativo.

10.1 L’Iseo e Serapeo del Campo Marzio (Iseo Campense)

Abbiamo già ripetutamente citato questo importantissimo tempio


di culti isiaci: nonostante le fonti letterarie e iconografiche ce lo citino

Figura .
Rilievo con processione di sacerdoti isiaci, nell’incisione pubblicata
da L. Roccheggiani. Un tempo a Palazzo Mattei, oggi nei Musei Vaticani.

62
e mostrino, non abbiamo molte certezze sulla sua precisa conforma-
zione. Esso si collocava nel Campo Marzio, nell’area vicina al
Pantheon (fig. 36), tra le chiese di Santo Stefano del Cacco e di Santa
Maria sopra Minerva, via del Seminario e via di Sant’Ignazio. L’area
del Campo Marzio aveva una connotazione alessandrina ed egizia (si
veda § 5.1): Augusto vi eresse l’obelisco al centro di un orologio solare
che doveva essere stato realizzato da artisti alessandrini; il mausoleo di
Augusto si ispirava probabilmente alla tomba di Alessandro Magno in
Alessandria.
L’Iseo Campense, quasi sicuramente, esisteva già in epoca
tardo–repubblicana, fu forse ristrutturato da Caligola e ricostruito do-
po un incendio nel periodo flavio. Sappiamo con certezza che era co-
stituito da una grande area all’aperto recintata, caratterizzata da obeli-

Figura .
Mappa dell’area di Roma comprendente parte del Campo Marzio e del Quirinale.

63
schi e da un corso d’acqua artificiale (fig. 37). A nord, si ergeva su un
alto podio il tempio vero e proprio dedicato a Iside, che doveva essere
di proporzioni piuttosto modeste (fig. 38), tetrastilo, coronato da un

Figura .
Pianta dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio nella ricostruzione di A. Roullet.

64
timpano arrotondato nel quale si librava l’immagine di Iside portata dal
cane di Sothis tra le stelle; la scalinata sulla fronte era affiancata da due
avancorpi che funzionavano da basamenti per statue di stile egizio; l’in-
gresso della cella era sormontato dal disco solare alato e da un fregio di
urei (cobra); l’immagine di culto era di tipo ellenistico. Lo stile archi-
tettonico, come si può notare, era ellenistico con alcune aggiunte di ti-
po egizio. Forse accanto a questa costruzione c’era un sacello dedicato
a Serapide. A sud, la Forma Urbis (pianta marmorea della città di età se-
veriana) ci mostra un’esedra che probabilmente conteneva uno spec-
chio d’acqua, funzionando da ninfeo (fig. 37). Marziale definì l’Iseo
Campense come “menfitico”: questo ha fatto pensare che fosse stato
eretto sul modello del Serapeo di Menfi, ma sembra possibile che la
definizione valesse come “egizio” e fosse semplicemente un’indicazio-
ne generica. L. Sist ha visto nella pianta un riferimento all’importantis-
simo tempio di File, idea ripresa da F. Brenk. Inoltre, l’esedra è stata
interpretata prima come un’immagine del Delta del Nilo, poi come un

Figura .
Il tempio di Iside nel Campo Marzio in una moneta di Vespasiano.

65
riferimento alle sue sorgenti. Indubbiamente la presenza dell’acqua, co-
me in tutti i templi di culto isiaco, era molto importante, in quanto ren-
deva presente il potere rigenerante e vivificante del Nilo: se si vuole ve-
dere nell’esedra/ninfeo uno specifico riferimento al fiume egizio, sem-
bra più convincente — proprio in quanto ninfeo — vedervi le sorgenti,
anche per la sua posizione a sud rispetto a tutta l’area.

10.2 Il Serapeo del Quirinale

Sul Campo Marzio, si affacciava, dall’alto del colle del Quirinale, un


tempio che si imponeva per la propria posizione e per le strutture monu-
mentali, a esso si accedeva attraverso una grande scalinata i cui resti si
trovano nell’area della Pontificia Università Gregoriana e della Villa
Colonna (tra Piazza del Quirinale e Piazza della Pilotta — Via della
Pilotta) (fig. 36). L’identificazione di questo tempio maestoso è stata ed
è ancora dibattuta: alcuni studiosi si sono chiesti se questi sono i resti del
Serapeo, noto anche per delle dediche epigrafiche di Caracalla prove-
nienti dall’area, oppure se questo stesso era più arretrato rispetto alla
punta del Quirinale, coincidente oggi con Piazza del Quirinale. Oggetti
egizi o egittizzanti ritrovati nella zona provengono dalle falde del
Quirinale che costeggiano Via Nazionale e precisamente dal retro della
chiesa di San Vitale. Molti studiosi sono oggi propensi a ritenere che il
grande tempio fosse veramente il Serapeo e anzi la sua impostazione
scenografica avrebbe ripreso quella del celebre Serapeo di Alessandria,
ricalcando il gusto ellenistico per i templi a gradinata: è possibile che il
tempio fosse costituito, come altri di questo tipo, da una grande area
recintata nella quale erano eretti diversi sacelli (si veda anche § 8.5).
Il tempio sarebbe stato eretto non da Caracalla ma precedente-
mente e da quest’ultimo rimaneggiato: si è pensato che la costruzione
fosse adrianea (R. Taylor) o addirittura flavia (S. Ensoli). Dal sito, pro-
vengono in origine anche le due grandi statue di fiumi che oggi orna-
no la base della doppia scala del Palazzo Senatorio in Campidoglio e
forse un tempo decoravano il frontone del tempio: uno di essi è il Nilo
(si veda § 11) (fig. 39).

10.3 L’Iseo della Regio III

Un altro importantissimo tempio di culti di origine egizia si trovava


nell’area della Via Labicana (fig. 40): nella zona permane il toponimo di
Piazza Iside e nell’antichità la stessa regione cittadina prendeva il nome

66
Figura .
Statua del Nilo dal Quirinale, attualmente alla base della scalinata
del Palazzo Senatorio in Campidoglio.

Figura .
Mappa dell’area di Roma comprendente il sito dell’Iseo della Regio III,
secondo M. De Vos.

67
di Iside e Serapide. M. De Vos ha identificato i resti del tempio in Via P.
Villari, dove rimangono imponenti opere edilizie di sostruzione del fian-
co della collina. Il tempio doveva essere anch’esso modellato sul tipo dei
templi ellenistici a gradinate e terrazze scenografiche. M. De Vos ha pro-
posto di identificare questo luogo di culto come lo sviluppo successivo
dell’antico Iseo Metellino, sacello privato — fondato dalla famiglia dei
Metelli — di età tardo–repubblicana.

10.4 La Via Ostiense

La Via Ostiense, pur non presentando i resti di un importante luogo


di culto, mostra un caso di un certo interesse. In prossimità dell’odierno
inizio dell’Ostiense, presso Porta San Paolo, si erge ancora, incorporata
nelle Mura Aureliane, una delle piramidi che nell’antichità donavano un
tocco di esotismo al paesaggio dell’Urbe. Caio Cestio la fece costruire
come propria sepoltura intorno al 20 avanti Cristo, sull’onda di quell’in-
teresse per l’Egitto che si diffuse a Roma dopo l’annessione del paese
all’Impero.
La strada che collegava Roma al suo porto è esemplificativa di un
fenomeno riconoscibile anche altrove in Italia e nell’Impero: le arterie
che portavano al mare videro lo scorrere di persone e culture di origi-
ne diversa; insieme alle merci viaggiavano anche conoscenze tecniche,
capacità artigianali, intere officine di produzione.
Il sito di Ostia ci ha restituito un Serapeo, oggetti egizi e immagini
isiache. Lungo il percorso della Via Ostiense, in prossimità della Basilica
di San Paolo, doveva esistere un luogo di culto, visto che nel lapidario
presso la basilica è conservato un frammento di iscrizione egizia, perti-
nente a una scultura faraonica, e un altro in marmo bianco — dunque
realizzato a Roma — conservante parte di un cartiglio faraonico. Nel Te-
vere, nei pressi della stessa basilica, è stata recuperata anche una scultu-
ra frammentaria, oggi al Museo Nazionale Romano (fig. 41), rappresen-
tante una figura maschile nuda e stante, con le braccia incrociate sul pet-
to, avvolta dalle spire di un serpente: si tratterebbe di una divinità del ti-
po Osiride–Aion–Arimane, figura sincretistica tra l’ambito isiaco e quel-
lo mitriaco (A. Mastrocinque).

10.5 Luoghi di culto privato: il larario di San Martino ai Monti

Nella mappa “egizia” di Roma, abbiamo visto luoghi di culto pub-


blico e abbiamo anche notato come luoghi di culto privato (Iseo Me-

68
tellino) potessero forse evolversi nel tempo in grandi edifici pubblici.
L’ambito privato ha restituito comunque oggetti e informazioni im-
portanti: se a Ostia uno stabile “condominiale” viene definito “Caseg-
giato di Serapide” perché il suo ingresso è segnato da un’edicola dedi-
cata a questo dio, in abitazioni patrizie si potevano trovare oggetti
importanti, sia di produzione romana che di importazione.

Figura .
Statuetta di divinità del tipo Osiride–Aion–Arimane ritrovata nei pressi
della Basilica di San Paolo. Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 4239.

69
Un caso importante può essere considerato quello di Villa Fogaccia,
nella zona Boccea, che insiste su un’antica villa romana: qui è stata
ritrovata una pregevole statuetta del dio Ptah di Menfi. Sempre dalla
zona Boccea, purtroppo non sappiamo con certezza se dalla stessa
area, proviene una statuetta di babbuino in pietra verde, oggi ai Musei
Vaticani, levato sulle zampe posteriori con le anteriori in atto di ado-
razione (si veda § 12) (fig. 42). Sembra probabile che gli oggetti fosse-
ro collocati in un luogo — o due — di culto privato.
Un caso meglio conosciuto e molto importante è quello del larario
di San Martino ai Monti (fig. 43), ritrovato nel 1885 in buone condi-
zioni, dunque capace di fornirci notevoli informazioni, studiato da S.
Ensoli: si tratta di un luogo di culto domestico annesso a un ricca
domus del tempo di Costantino, che riuniva una serie di immagini di
culto che lasciano trapelare anche l’avvicinarsi e il sovrapporsi di figu-
re divine nella Roma tardo–antica.
Oltre a una statua di Iside, collocata di fronte all’ingresso della cap-
pella, su scaffali ai lati stavano immagini di Serapide, Ercole, Afrodite,
Ecate, una divinità fanciulla accovacciata (Arpocrate?), una stele egizia

Figura .
Babbuino in atto di adorazione. File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

70
Figura .
Il larario di San Martino ai Monti in una litografia di L. Ronci.

71
di Horo sui coccodrilli (fig. 44). Proprio su questo ultimo oggetto, da
considerarsi già molto antico al tempo di Costantino — e indubbia-
mente venerabile anche per la sua provenienza egizia — F. De Salvia ha
proposto una interessante riflessione sulla presenza possibile di un sa-
cerdote–mago, forse itinerante, capace di far apprezzare un simile og-
getto la cui comprensione non doveva essere certamente immediata.

11. Il Nilo fuori dall’Egitto


La straordinarietà del grande fiume africano, rimarcabile sia per la
portata che per il regime inconsueto, colpì particolarmente gli antichi: se
gli Egizi regolarono su di esso la propria esistenza determinandone le sta-
gioni e il capodanno, che coincideva con il soggiungere della piena, Ero-
doto sottolineò il ruolo vitale del fiume e Giuba re di Mauretania, duran-
te il periodo augusteo, rivendicava le sorgenti del Nilo nella sua terra, nel-
l’Africa nord–occidentale. Tale era l’importanza del fiume, ritenuto in
qualche modo il “padre” degli altri corsi d’acqua, che altri fiumi veniva-

Figura .
Stele di Horo dei coccodrilli, dal larario di San Martino ai Monti.
Roma, Musei Capitolini, inv. 2160.

72
no considerati come sue risorgenze e la presenza del Nilo fu riconosciu-
ta anche fuori dall’Egitto (D. Bonneau). F. Coarelli e J.–Cl. Grenier hanno
ripetutamente rilevato l’esigenza di rendere presente il Nilo fuori dal-
l’Egitto, dal grande mosaico di Palestrina, sul quale si faceva scorrere un
velo d’acqua, al Delta del Campo Marzio e al cosiddetto Canopo di Villa
Adriana. R.A. Wild ha studiato la presenza di bacini e corsi d’acqua nei
luoghi di culto isiaco, finalizzati a rendere presente l’acqua sacra del Nilo,
che d’altra parte era oggetto di culto, come si può notare dai numerosi
recipienti — immagini di Osiride–Canopo — ritrovati a Roma o traman-
datici dalle fonti iconografiche, come ad esempio dalle colonne dell’Iseo
Campense (si veda § 8.4 e § 10.1) (figg. 13 e 31). Nel mito egizio, il fiume
scaturiva dal cadavere di Osiride; nei templi di culto isiaco veniva proba-
bilmente praticata una forma di “battesimo” osiriaco e Antinoo, amato
da Adriano, venne deificato come Osirantinoo proprio attraverso la sua
morte nel fiume.
A Roma sono state trovate numerose immagini riferibili al Nilo,
dalla straordinaria statua–fontana di Hapy (si veda § 8.1) a sculture di
stile ellenistico–romano raffiguranti una divinità barbata, semisdraiata,
appoggiata su una sfinge mentre regge una cornucopia, talvolta accom-
pagnata da sedici fanciulli raffiguranti i cubiti della piena ideale: la più
famosa e pregevole di queste immagini è conservata nei Musei Vaticani
e proviene dall’Iseo Campense. Va ricordata anche la scultura colossale
oggi posta a decorazione della scala del Palazzo Senatorio in Campi-
doglio e un tempo forse a ornare il frontone del Serapeo del Quirinale
(si veda § 10.2) (fig. 39). In ambedue le sculture, i capelli della divinità
sono lunghi e raccolti sulla nuca, secondo l’iconografia di Dioniso, a
ribadire ancora l’identificazione tra il fiume e Osiride ricalcando quella
tra Osiride e Dioniso, operata già da Erodoto secoli prima.
Infine, vanno ricordate le numerose immagini nilotiche che, attraver-
so mosaici, pitture, rilievi, rendevano popolare il paesaggio del grande
fiume, il suo brulicare di vita umana, animale e vegetale (figg. 1–2–3).

12. Un bestiario nilotico a Roma

La necessità di far rivivere il Nilo e la sua terra fuori dall’Egitto


comportò il trasferimento o la creazione di numerose immagini di ani-
mali, che in Egitto, peraltro, erano ipostasi divine.
Un dipinto da Ercolano, raffigurante un tempio di culto isiaco, ci
mostra che, nel recinto del tempio, potevano vivere animali nilotici,

73
come gli ibis, cosa che si nota anche nel rilievo di Ariccia (fig. 45). Altri
animali furono presenti nei templi attraverso sculture.
Diverse statue di coccodrilli sono state trovate a Roma: una nel-
l’Iseo Campense, oggi ai Musei Capitolini, era collocata all’interno di
un corso d’acqua artificiale. Un altro sauro, proveniente probabilmen-
te dal Serapeo del Quirinale, è conservato nella Villa Colonna. Curioso
notare che, mentre le immagini propriamente egizie degli animali più
feroci li raffigurano sempre in una placida postura, un coccodrillo con-
servato ai Musei Vaticani apre le fauci aggressivo. Un elemento di co-
lonna — si tratta della base e della parte bassa del fusto — decorata con
scene di culto isiaco, conservata in Vaticano, ci mostra dei sacerdoti
che, davanti a un tempio, danno da mangiare a dei coccodrilli che si
trovano in acqua. Il coccodrillo era oggetto di culto in Egitto quale ipo-
stasi di varie divinità, come Sobek (Suchos in greco).
Statue di falco erano anch’esse presenti nei templi a raffigurare Horo,
sul modello dei templi egizi, come ad esempio il tempio di Horo a Edfu,
ancora importante in epoca romana: statue del rapace sono conservate
nei Musei Capitolini e nei Musei Vaticani. Una statuetta di falco in
marmo è stata trovata negli scavi di un caseggiato alla base del Quirinale,
nel vicus Caprarius, non lontano da Piazza della Pilotta: essa era forse stata
dedicata nel Serapeo del Quirinale ma, per le piccole proporzioni, pote-
va anche essere stata collocata in un luogo di culto privato.
Il rilievo di Ariccia — che rappresenta un luogo di culto isiaco — ci mo-
stra degli ibis che becchettano intorno durante una cerimonia, e poi delle
edicole dove sono collocati un toro e ben quattro babbuini (fig. 45). L’im-
magine del toro (si veda § 3.2), che ci è stata restituita da tanti bronzetti di
epoca romana, doveva essere ben presente nei templi: una scultura, attual-

Figura .
Rilievo di Ariccia con scena di un tempio di culto isiaco.
Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 77255.

74
mente al Museo Nazionale di Palazzo Altemps, raffigurante un maestoso
toro in pietra scura egiziana coronato di un disco solare (detto “torello
Brancaccio”), proverrebbe dall’Iseo della Regio III (si veda § 10.3).
Numerose sono le statue di babbuini, sia importate dall’Egitto — co-
me le due sculture gemelle ai Musei Capitolini — oppure scolpite in Italia:
la tipologia più diffusa è quella del cinocefalo accovacciato, con le “mani”
appoggiate sulle ginocchia come nel rilievo di Ariccia (fig. 45), ma non
manca il tipo stante con gli arti anteriori levati in atto di adorazione della
divinità solare, come la scultura da Boccea (si veda § 10.5). Un’altra statua
ai Musei Capitolini, pur mostrando una certa fedeltà d’esecuzione ai mo-
delli egizi, è realizzata in marmo scuro e porta inciso in greco il nome
dello scultore e/o dedicante: si tratterebbe dunque di un’opera realizzata
fuori dalla Terra del Nilo. Il babbuino, in Egitto, era una figura complessa
ma particolarmente legata a Thot, signore della scrittura (si veda § 3.5).

13. Leoni egizi a Roma


Insieme agli altri animali cari alla cultura e all’arte egizia, a Roma
giunsero i leoni, dei quali sono state trovate diverse sculture: due ma-
gnifici felini in diorite nera accolgono i visitatori ai piedi della gradina-
ta che conduce sul Campidoglio (fig. 46), tre sono conservati a Dresda,
infine due maestosi leoni sdraiati, iscritti con il nome del faraone Necta-
nebo, sono in Vaticano. Nell’ingresso del palazzo Del Drago in Via delle
Quattro Fontane, un bellissimo leone in porfido rosso sembra essere
copia di uno dei due di Nectanebo: non sappiamo al momento se si trat-
ta di una scultura antica (di epoca romana) o moderna.
Il leone, in Egitto, è immagine regale e solare: nella tradizione artisti-
ca egizia esso è rappresentato generalmente accovacciato, talvolta sdraia-
to su un lato come i leoni di Nectanebo, in atteggiamento placido e non
aggressivo. Coppie di leoni potevano fiancheggiare l’ingresso dei templi in
Egitto, come ad esempio a File, ed evidentemente anche a Roma. Nella
tradizione faraonica, i leoni sono strettamente connessi alle porte: due fi-
gure di leoni accovacciati servono anche, nei geroglifici, a indicare la
porta. Nel mito, due leoni accovacciati e affiancati — immagine di Aker
— si identificavano con l’orizzonte inquadrando il sole: essi dunque segna-
vano il luogo dell’epifania divina. La posizione dei leoni ai lati della porta
del tempio ricalcava dunque quella dei leoni dell’orizzonte: tra di essi si
manifestava la divinità. Questi significati furono probabilmente compresi,
almeno da alcuni, anche a Roma; per altri evidentemente fu solo una ulte-

75
Figura .
Uno dei leoni in diorite ai piedi della scalinata del Campidoglio.

Figura .
Leone egittizzante a destra dell’ingresso della chiesa di San Lorenzo in Lucina.

76
riore nota esotica. È interessante notare che questo uso di collocare due
leoni ai lati dell’ingresso dell’edificio di culto ritorna nelle chiese medievali
e, proprio in questo ambito, a Roma, furono ripresi modelli egizi per crea-
re nuove sculture leonine, alle quali vennero attribuiti comunque nuovi
significati. Nel Medioevo, il leone poteva essere simbolo del Cristo in un
duplice aspetto: mansueto e feroce, il felino diventò immagine del Cristo
giudice, amorevole e protettivo con i buoni, implacabile con i malvagi.
Nel XIII secolo, i Vassalletto, una famiglia di artisti che operava nell’ambi-
to dei marmorari romani, utilizzò dei modelli egizi ritrovati a Roma per
realizzare immagini di leoni nell’atteggiamento placido e maestoso: ricor-
diamo un leone a San Lorenzo in Lucina (fig. 46) e un altro presso i Musei
Capitolini, un tempo collocato probabilmente a Santa Maria in Via; ambe-
due in coppia con un altro non egittizzante e in atteggiamento feroce,
analogamente ai due leoni nella cattedra episcopale di Anagni. Un leone
egittizzante si trova anche a San Lorenzo fuori le mura, un altro presso la
basilica dei SS. XII Apostoli. I Vassalletto scolpirono anche immagini di
sfingi, come si può vedere nel chiostro di San Giovanni in Laterano.
I leoni egizi continuarono a fornire un modello anche nelle epoche
successive: nella sistemazione Settecentesca di Piazza del Popolo, do-
vuta a G. Valadier, alla base dell’obelisco sono collocati quattro leoni
che ricalcano modelli egizi (fig. 48).

Figura .
Leone egittizante alla base dell’obelisco di Paizza del Popolo.

77
Su due colonne che immettevano nell’Orto Botanico in Via della
Lungara, nella sistemazione voluta da papa Gregorio XVI — lo stesso
che istituì il Museo Gregoriano Egizio in Vaticano — due leoni egit-
tizzanti vigilano ormai anneriti dai fumi del traffico (fig. 49–50).
A Piazza Venezia, sulla fronte del Vittoriano progettato da G. Sacconi
e realizzato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nella ricca

Figure  e .
Leoni egittizanti in via della Lungara.

78
ornamentazione scultorea spiccano due grandi leoni, in questo caso stan-
ti e alati, il cui muso tuttavia ricalca ancora i modelli egizi (fig. 51).
Possiamo infine ricordare un caso curioso: vicino a Piazza Venezia, su
un lato di Palazzo Grazioli, in prossimità dell’area dell’Iseo Campense, su
un cornicione del palazzo gentilizio sembra passeggiare e gettare uno
sguardo sui passanti un felino di pietra che ha dato il nome alla strada (fig.
52): Via della Gatta. Diverse guide della città parlano della scultura come

Figura .
Leone egittizante sul Vittoriano.

Figura .
Leone sul cornicione di Palazzo Grazioli in Via della Gatta.

79
di una figura di gatto proveniente dall’Iseo Campense, ricordando il culto
tributato dagli Egizi al felino, ipostasi della dea Bastet. In realtà, a un’osser-
vazione più precisa, la gatta non è tale: si tratta di un leone con tanto di cri-
niera, poco visibile dalla strada, mentre tra le zampe si intravede una testa
umana. Per il soggetto, e anche per lo stile, il leone, che è stato ritrovato
nell’area, avrebbe potuto far parte dell’arredo di una chiesa medievale.

13.1 Le sfingi

La sfinge egizia dal corpo leonino e la testa umana (figura in quarta di


copertina), associata sia al sovrano che alla divinità solare, fu a Roma il
simbolo stesso dell’Egitto, se le immagini del Nilo erano accompagnate
— e sostenute — proprio da una sfinge (fig. 39) (si veda § 11). Sculture di
questo genere provengono dall’area dell’Iseo Campense: una magnifica
sfinge di Amasi (XXVI dinastia) è conservata ai Musei Capitolini, una
frammentaria al Museo Nazionale Romano; una femminile, di un raro ti-
po, si trova nel Museo Barracco, essa risale al regno di Thutmosi III (XVIII
dinastia). Sempre nei Musei Capitolini, si trova una sfinge in granito rosso
di Assuan che, seppur realizzata nel corpo secondo i canoni tradizionali,
presenta un viso insolito, per la tradizione egizia, dai tratti piuttosto per-
sonali: è stato proposto che la scultura sia stata realizzata per Domiziano
(Lembke); anche questa sfinge proviene dall’area dell’Iseo Campense.
Nei Musei Vaticani, si conservano due sfingi in marmo dal viso ispi-
rato ai canoni greco–romani: proprio recentemente, nella Villa Adriana a
Tivoli, è venuta alla luce una sfinge acefala in marmo. Nella sistemazio-
ne settecentesca di Piazza del Popolo, sono state collocate ben sedici sfin-
gi di marmo che riprendono il modello delle sfingi vaticane (fig. 53).
Le sfingi realizzate nel XIII secolo nell’ambiente dei Vassalletto — ad
esempio nel chiostro di San Giovanni in Laterano — si ispirano piutto-
sto fantasiosamente ai modelli egizi, a differenza dei leoni che invece li
seguono piuttosto fedelmente (si veda § 13): ci possiamo chiedere se, a
quel tempo, non fossero disponibili modelli antichi da copiare.

14. Uno stravagante mediatore: ancora Bes


Sembra necessario tornare su questo insolito personaggio (si veda
anche § 3.6) per la sua avventura di straordinario mediatore sulle spon-
de del Mediterraneo, un vettore della cultura egizia soggetto a possi-
bilità di interpretatio. Amuleti della divinità si trovano in tombe italiche

80
femminili, ad attestare che il suo ruolo di protettore della donna era
stato assimilato; Bes ebbe grande fortuna nell’ambiente fenicio–puni-
co e sue statue sono state trovate in Sardegna.
In età augustea, il viso di Bes si inserisce in fregi egittizzanti illustrati
da M. De Vos, mentre in una lastra fittile, conservata nell’Antiquarium
Comunale, il nano diventa il centro della composizione tra due sfingi a
testa umana, rispettivamente Iside e Serapide (fig. 54).

Figura .
Sfinge in Piazza del Popolo.

Figura .
Lastra in terracotta con sfingi e Bes. Roma, Antiquarium Comunale, inv. 3301.

81
A Roma sono state trovate numerose immagini del nano mostruo-
so, mentre nel rilievo di Ariccia (fig. 45) vediamo due nani accovaccia-
ti, ambedue affiancati da babbuini: uno dei due, barbuto, è sicuramen-
te Bes, mentre l’altro, totalmente glabro, potrebbe essere Ptah–Pateco.
Le sculture di Bes trovate a Roma, alcune anche pregevoli, sono sia egi-
zie che propriamente di stile romano; esse rientrano in due tipi fonda-
mentali: uno rappresenta il nano stante, con le mani appoggiate sulle
cosce (figg. 32–33), l’altro il nano accovacciato, le mani sulle ginocchia,
in un atteggiamento simile a quello dei babbuini (fig. 55).
Un caso particolarissimo è rappresentato da una statua nei Musei
Vaticani che, pur scolpita in uno stile che non è egizio, mantiene alcuni

Figura .
Tipo di Bes accovacciato, conosciuto in due esemplari,
rispettivamente a Roma nel Museo Barracco (inv. 60) e
nel Fitzwilliam Museum di Cambridge (inv. GR 1.1818).

82
attributi della tradizione, mentre ne acquisisce un altro, tipicamente
romano: sul petto porta una bulla, un pendaglio indossato a Roma dai
fanciulli. La statua, durante un restauro recente, ha mostrato segni di
consunzione sulle mani e sui piedi, come se fosse stata esposta alla devo-
zione dei fedeli che l’avrebbero toccata fino a consumarla: si tratta dun-
que di una statua di culto che lascia intravedere una lunga storia di com-
prensione, interpretazione e assimilazione della mitologia egizia Roma.
Come in Egitto, anche a Roma Bes sembra aver percorso due stra-
de, quella del culto popolare e quella del culto dinastico: nel primo, si
ricorreva a lui per la protezione delle donne e dei bambini; nell’altro,
Bes tornava probabilmente ad accompagnare la nascita divina del so-
vrano, se le due statue di Piazza Vittorio (si veda § 8.5) sostenevano la
fronte di un sacello nell’area del Serapeo del Quirinale, dove il culto di-
nastico doveva avere un peso notevole.

15. Gli obelischi


In Egitto, gli obelischi avevano un prototipo nella pietra benben di
Eliopoli: un antico feticcio che rientrerebbe nel culto ben conosciuto —
anche fuori dall’Egitto — tributato alle pietre innalzate. Durante la V
dinastia, nei templi solari a cielo aperto, comparve un obelisco di forme
tozze e realizzato in gran parte in muratura. La VI dinastia ci ha lasciato
il primo monolite conosciuto: il genere si affermò poi per vedere nume-
rose realizzazioni durante il Nuovo Regno. Gli obelischi erano general-
mente realizzati in granito rosa di Assuan, pietra dal valore simbolico
connesso con il sole; i monoliti erano manifestazioni aniconiche della di-
vinità e già nei Testi delle Piramidi vennero definiti “immagini di Ra”. La
sistemazione degli obelischi, in Egitto, rispondeva a due possibilità: si
poteva innalzare un obelisco “unico”, come oggetto di culto, oppure rea-
lizzarne una coppia, che generalmente era eretta a inquadrare l’ingresso
del tempio, e dunque il luogo dell’apparizione divina. Va osservato che
l’obelisco, oltre che essere segno della presenza della divinità, era anche
strettamente legato alla regalità e la legittimava.
È evidente che il trasferimento a Roma di questi monoliti non avven-
ne sempre nel riconoscimento di questa importante funzione sacrale: se
Domiziano fece iscrivere ed erigere un obelisco nel rispetto della tradizio-
ne e a essa si ispirò Adriano nel far realizzare l’obelisco di Antinoo, Augu-
sto portò a Roma l’obelisco flaminio per collocarlo nel circo — come fece-
ro altri imperatori successivamente — e quello di Montecitorio per farne

83
uno gnomone. Dobbiamo osservare, tuttavia, che l’erezione di obelischi
nella spina del circo non ne disconosceva la funzione solare, se il percorso
di un carro era figura del circuito della divinità del sole: Apollo, che a
Roma — come in Grecia Febo — percorreva il cielo trainato da cavalli.
A Roma sono stati trovati numerosi obelischi e frammenti giaccio-
no nei magazzini di musei: la maggior parte è iscritta, ma ne abbiamo
anche alcuni anepigrafi, realizzati forse in epoca romana.
Dopo essere stati, a Roma, segno del potere degli imperatori, dopo
secoli gli obelischi tornarono a esaltare la Roma cristiana governata dai
Papi e alcuni di essi entrarono nei nuovi piani urbanistici che prevede-
vano lunghi assi viari, a segnare lunghe prospettive per i pellegrini che
convergevano a Roma. Forniamo qui una lista degli obelischi eretti.

1. Obelisco del Laterano. È il più alto — mancante della parte inferio-


re oltrepassa i 32 metri — e fu eretto a Karnak durante la XVIII dina-
stia, portando iscrizioni di Thutmosi III e Thutmosi IV. Il monolite
non faceva parte di una coppia ma gli veniva tributato un importan-
te culto nell’area orientale del santuario di Karnak. Ammiano Mar-
cellino (XVII 4, 12–15) ci informa che già Augusto avrebbe voluto
portarlo a Roma, ma non lo fece, oltre che per la difficoltà di tra-
sportare una tale mole, perché era ancora un importante oggetto di
culto e il suo trasferimento avrebbe potuto creare dei problemi (si
veda anche § 7). Giunse a Roma nella tarda antichità, al tempo di Co-
stanzo II, per essere eretto nel Circo Massimo. La nuova sistemazio-
ne fu realizzata nel XVI secolo, sotto il pontificato di Sisto V (1588).

2. Obelisco flaminio. Attualmente in Piazza del Popolo, fu eretto origi-


nariamente a Eliopoli durante la XIX dinastia: esso porta iscrizioni di
Sethi I e Ramesse II. Fu probabilmente il primo obelisco a raggiunge-
re Roma, voluto da Augusto per essere collocato nel Circo Massimo.
Venne poi nuovamente eretto al tempo di Sisto V in Piazza del Popolo,
tuttavia la sistemazione attuale è Settecentesca e si deve al Valadier.

3. Obelisco sallustiano. L’obelisco che sovrasta scenograficamente la


scalinata di Piazza di Spagna — ivi collocato nel Settecento al
tempo di Pio VI — presenta una copia delle iscrizioni dell’obelisco
flaminio: non sappiamo con certezza quando e perché essa fu rea-
lizzata. J.–Cl. Grenier ha supposto che l’imperatore Aureliano abbia
voluto una copia di quello di Augusto per collocarlo in una sorta di
galoppatoio nella sua residenza negli Horti Sallustiani: proprio in

84
quest’area l’obelisco fu ritrovato. L’ipotesi è stata avanzata per l’i-
scrizione incisa sulla base, che parla di una dedica al dio Sole e ricor-
da la conquista dell’Egitto: Aureliano, infatti, nel 272 riconquistò il
paese che si era temporaneamente staccato dall’Impero Romano;
secondo Grenier, egli avrebbe voluto dunque emulare Augusto nel-
l’innalzare un obelisco come trofeo. Pur sembrando verosimile, l’i-
potesi non trova alcun sostegno certo.

4. Obelisco di Montecitorio. Esso fu innalzato durante la XXVI dina-


stia a Eliopoli, porta infatti un’iscrizione di Psammetico II. Portato
a Roma da Augusto, fu posto come gnomone dell’orologio solare
nel Campo Marzio; esso fu nuovamente eretto sotto il pontificato
di Pio VI nel 1792.

5. Obelisco del Pantheon. Originariamente innalzato in Eliopoli, pre-


senta un’iscrizione di Ramesse II. Portato a Roma per far parte del-
l’arredo dell’Iseo Campense, fu nuovamente eretto al tempo di
Clemente XI nel 1711.

6. Obelisco celimontano. Il monolite costituisce una coppia con quello


del Pantheon, porta un’iscrizione di Ramesse II ed era in origine collo-
cato in Eliopoli. Portato a Roma nell’Iseo Campense, dopo varie vicis-
situdini fu donato alla famiglia Mattei che lo eresse nei giardini della
Villa Celimontana.

7. Obelisco di Dogali. Anche questo obelisco fu prelevato da Eliopoli,


dove lo aveva eretto Ramesse II, e collocato nell’Iseo Campense.
Eretto nuovamente in epoca moderna a commemorare gli eroi di
Dogali, si trova nei giardini davanti alle Terme di Diocleziano, tra
Piazza dei Cinquecento e Piazza della Repubblica.

8. Obelisco della Minerva. Anche questo obelisco proviene dall’area


dell’Iseo Campense dove fu nuovamente eretto sotto papa Alessandro
VII, nel 1657, con un progetto del Bernini che lo collocò sul famoso
elefantino davanti alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva. In origine
era stato collocato a Sais dal faraone Apries (XXVI dinastia).

9. Obelisco di Piazza Navona. Eretto nel 1648, al tempo di Innocenzo


X, sulla Fontana dei Fiumi del Bernini, fu ritrovato nella spina del
circo nella Villa di Massenzio sull’Appia Antica, dove era stato col-

85
locato in età tardo–antica. L’obelisco era stato originariamente eret-
to non in Egitto ma in Roma stessa, nell’area dell’Iseo Campense,
per volere di Domiziano.

10. Obelisco del Pincio. Anche questo obelisco fu iscritto ed eretto per
volere di un Imperatore romano: Adriano lo fece iscrivere dopo la
morte di Antinoo; l’iscrizione dice che fu posto presso la tomba del
giovane divinizzato come Osirantinoo, nel “possedimento campestre
del signore del potere (l’Imperatore) di Roma” (traduzione di E. M.
Ciampini), e istituisce il culto della nuova divinità. Il monolite fu ritro-
vato presso la via Labicana, probabilmente in collocazione seconda-
ria. La sua posizione originaria è oggetto di discussione così come l’u-
bicazione della tomba di Antinoo: alcuni studiosi (ad esempio Ph.
Derchain ed E. Bresciani) hanno proposto che la tomba — e dunque
l’obelisco — si trovasse a Villa Adriana (il “possedimento campestre”).
J.–Cl. Grenier, invece, avendo restituito diversamente il testo gerogli-
fico, ha ritenuto che “Roma” non stesse nell’iscrizione a specificare il
titolo imperiale ma come complemento di luogo “in Roma”: di con-
seguenza F. Coarelli ha proposto che la tomba di Antinoo, e dunque
l’obelisco, si trovassero nella Vigna Barberini presso il Palatino. Gli
scavi recenti della Soprintendenza per il Lazio a Villa Adriana, che
hanno ritrovato un’area probabilmente dedicata al culto di Antinoo
(le indagini sono ancora in corso, pubblicate da Z. Mari), hanno rile-
vato l’impronta di un basamento che avrebbe potuto sostenere l’obe-
lisco: i nuovi dati archeologici, dunque, potrebbero confermare la sup-
posizione di Ph. Derchain ed E. Bresciani.

11. Obelisco vaticano. Pur essendo abitualmente considerato un obeli-


sco anepigrafe, questo monolite portava in realtà due epigrafi latine
che sono state poi scalpellate e sono appena leggibili: esse ricordano
la collocazione dell’obelisco nel forum Iulii di Alessandria per ordine
dell’imperatore da parte di Cornelio Gallo, quando questi era ancora
praefectus fabrum. Questo personaggio, amico di Augusto, fu poi il
primo Prefetto d’Egitto dopo l’annessione del paese all’Impero; la
sua vicenda, sulla quale è tornato recentemente F. Costabile, ha anco-
ra degli aspetti oscuri: destituito dall’incarico forse per aver osato
troppo nell’affermare la propria autorità in Egitto, morì suicida. Il
monolite fu poi portato a Roma sotto Caligola ed eretto nel Circo
Vaticano, infine la sua collocazione davanti alla basilica di San Pietro
avvenne per volontà di Sisto V nel 1586.

86
12. Obelisco dell’Esquilino. Il monolite anepigrafe era in coppia con
quello dell’Esquilino davanti al mausoleo di Augusto, Sisto V lo fece
innalzare in prossimità di Santa Maria Maggiore nel 1587.

13. Obelisco del Quirinale. Ritrovato dopo il suo compagno del-


l’Esquilino presso il mausoleo di Augusto, fu innalzato in Piazza del
Quirinale tra le due statue dei Dioscuri — queste già collocate al
tempo di Sisto V — sotto il pontificato di Pio VI nel 1786.

16. La riscoperta dell’Egitto a Roma


La riscoperta dell’Egitto a Roma è avvenuta parallelamente a quella
delle antichità della città: man mano che cresceva l’interesse per i reper-
ti che da sempre affiorano dal terreno dell’Urbe, gli eruditi e gli artisti
furono colpiti dalla presenza di oggetti che non appartenevano alla tra-
dizione greco–romana. Già nel XIII secolo, nell’ambiente dei marmora-
ri, furono utilizzati dei modelli come i leoni egizi che erano stati trovati
in città (si veda § 13). Il Rinascimento fu un ulteriore periodo di interes-
se e gli artisti iniziarono a rappresentare anche aspetti della mitologia
egizia, oltre a quella classica, temi comunque versati nello stile del
tempo, come avviene nell’appartamento Borgia in Vaticano, dove il Pin-
turicchio rappresentò la pretesa ascendenza egizia della famiglia Borgia.
Al tempo di Sisto V, l’interesse per gli obelischi fu messo al servizio dei
nuovi impianti urbanistici e della visione pontificia del papa marchigia-
no. L’interesse per la civiltà egizia si intensificò nel XVII secolo, quando
l’erudito Gesuita Atanasius Kircher, che abitava nel Collegio Romano
della Compagnia di Gesù, proprio adiacente all’area dell’Iseo Campense,
scrisse numerosi volumi per presentare le antichità egizie delle quali era
a conoscenza e per illustrare le sue teorie sull’interpretazione dei gero-
glifici: anche se queste ultime sono molto fantasiose, ugualmente l’egit-
tologia deve molto al p. Kircher, poiché ci ha lasciato numerose indica-
zioni su antichità egizie provenienti dalla città, e ora talvolta irreperibili,
e anche per il suo sforzo di comprensione della lingua copta. Sempre nel
Seicento, artisti ed eruditi, come Pietro Santi Bartoli e Giovanni Bellori,
si interessarono anche delle antichità egizie ritrovate a Roma, e non solo
di quelle greche e romane: i loro disegni e scritti restano delle preziose
testimonianze, poiché videro cose che non possiamo più vedere. In-
tanto, si andavano sviluppando grandi collezioni presso i palazzi gentili-
zi, che comprendevano in alcuni casi anche antichità egizie. Nel Set-

87
tecento l’interesse per l’antichità vide l’impegno di personaggi di spicco:
J.J. Winckelmann, al quale si deve una rinnovata visione dell’archeolo-
gia, nella sua storia dell’arte antica inserì un capitolo sull’arte egizia, illu-
strando antichità provenienti da Roma stessa; egli tuttavia mostra nei
suoi scritti una comprensione limitata dell’arte dell’Egitto, per il fatto
che la paragona a quella greca e la trova sempre uguale a se stessa, inca-
pace di evoluzione. A G.B. Piranesi dobbiamo invece una difesa dell’ar-
te egizia che si basa su una visione architettonica della stessa. Il Set-
tecento vide dei Papi molto interessati alle antichità di Roma e anche a
quelle egizie: Clemente XI, che governò agli inizi del secolo, fece collo-
care i colossi degli Horti Sallustiani (si veda § 5.2) in Campidoglio, eresse
l’obelisco del Pantheon (si veda §15) e donò a Urbino, sua città natale,
due frammenti di monoliti romani, ricomposti poi in un unico obelisco
eretto davanti al Palazzo Ducale di quella città; Pio VI, che giunse alle
soglie del secolo successivo, fece collocare obelischi, accogliere opere
egizie in Vaticano, restaurarle, e forse pure creare sculture egittizzanti.
Si formarono anche importanti collezioni, delle quali resta ancora quel-
la ragguardevole di Villa Albani–Torlonia sulla Via Salaria. Intanto veni-
vano create opere egittizzanti, come a Villa Borghese dove, tra Sette-
cento e Ottocento, vennero realizzate decorazioni e costruzioni di stile
egizio. Interessanti sono le posizioni di Carlo Fea, Commissario delle
Antichità, e di Antonio Canova, Ispettore delle Belle Arti in Vaticano:
ambedue dimostrarono interesse per le antichità egizie, nonostante esse
siano lontane da quella naturalezza tanto apprezzata nell’arte classica: lo
stesso Canova, che pure si ispirò a quest’ultima per la sue sculture, inco-
raggiò l’acquisizione da parte dei Musei Vaticani di opere egizie e sco-
raggiò l’esportazione di opere, come nel caso del Bes con la bulla (si veda
§ 14). Nel 1838, per volontà di Gregorio XVI, nei Musei Vaticani fu crea-
ta una sezione egizia — chiamata appunto Museo Gregoriano Egizio —
e a ordinarla fu chiamato il Barnabita p. Luigi Ungarelli, uno dei primi
italiani capaci di leggere i geroglifici dopo la scoperta di J.–Fr.
Champollion che per primo aveva trovato la chiave per decifrarli. Luigi
Ungarelli si dedicò anche alle iscrizioni degli obelischi romani e compo-
se dei testi geroglifici: uno in onore di papa Gregorio XVI, leggibile an-
cora sulle pareti della I Sala del museo, l’altro per l’obelisco Torlonia,
eretto dal principe Torlonia nella sua villa sulla Via Nomentana. Agli ini-
zi del Novecento, il barone G. Barracco donò la sua magnifica collezio-
ne di scultura antica al Comune di Roma, che ne realizzò un museo, tut-
tora esistente — il Museo Barracco in Corso Vittorio Emanuele — al
quale appartiene una bella sezione egizia.

88
17. Cronologia
A scopo orientativo, si offre qui una tavola cronologica che segue,
per l’antico Egitto, le grandi suddivisioni convenzionali per gli egitto-
logi. La periodizzazione della storia dell’antico Egitto qui riportata è
semplicemente orientativa; ovviamente più precisa è quella riguardan-
te il periodo romano, del quale vengono riportati solo gli Imperatori
nominati nel testo. Si offre anche una cronologia dei Papi citati.

Antico Egitto
Periodo Protodinastico (0–I–II dinastia) 3000–2650 a.C.
Antico Regno (III–VI dinastia) 2650–2150
Primo Periodo Intermedio (VII–XI dinastia) 2150–2060
Medio Regno (XI–XII dinastia) 2060–1780
Secondo Periodo Intermedio (XIII–XVII dinastia) 1780–1550
Nuovo Regno (XVIII–XX dinastia) 1550–1075
Terzo Periodo Intermedio (XXI–XXIV dinastia) 1075– 745
Periodo Tardo (XXV–XXX dinastia) 745–332
Epoca greco–romana:
— conquista di Alessandro Magno 332
— dinastia tolemaica 305–31
— battaglia di Azio
(vittoria di Ottaviano su Marco Antonio e Cleopatra) 31

L’Impero Romano
Ottaviano Augusto (Gaio Giulio Cesare Ottaviano) 27 a.C.–14 d.C.
Tiberio (Tiberio Claudio Nerone) 14–37
Caligola (Gaio Giulio Cesare Germanico) 37–41
Claudio (Tiberio Claudio Druso Nerone) 41–54
Nerone (Tiberio Claudio Nerone Domiziano) 54–68
Vespasiano (Tito Flavio Vespasiano) 69–79
Tito (Tito Flavio Vespasiano) 79–81
Domiziano (Tito Flavio Domiziano) 81–96
Traiano (Marco Ulpio Nerva Traiano) 98–117
Adriano (Publio Elio Traiano Adriano) 117–138
Antonino Pio (Tito Elio Adriano Antonino Pio) 138–161
Marco Aurelio (Marco Aurelio Antonino) 161–180
Commodo (Marco Aurelio Commodo Antonino) 180–192
Settimio Severo (Lucio Settimio Severo) 193–211
Caracalla (Marco Aurelio Severo Antonino) 211–217

89
Aureliano (Lucio Domizio Aureliano) 270–275
Costantino (Marco Aurelio Severo Antonino) 306–337
Costanzo II (Flavio Giulio Costanzo) 337–361

I Papi
Sisto V (Felice Peretti) 1585–1590
Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili) 1644–1655
Alessandro VII (Fabio Chigi) 1655–1667
Clemente XI (Giovanni Francesco Albani) 1700–1721
Pio VI (Giannangelo Braschi) 1775–1779
Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari) 1831–1846

18. Nota bibliografica


Gli studi egittologici sugli oggetti egizi o egittizzanti trovati fuori
dall’Egitto hanno avuto impulso dal lavoro di J. Leclant dalla metà del
XX secolo. Si cita qui solo una bibliografia succinta che tiene conto,
soprattutto, delle opere in italiano.
Opere generali fondamentali sono i volumi di M. Malaise (In-
ventaire préliminaire des documents égyptiens découverts en Italie, Leiden
1972, EPRO 21; Les conditions de pénétration et de diffusion des cultes
égyptiens en Italie, Leiden 1972, EPRO 22). Dello stesso autore esisto-
no numerosi e importantissimi studi sparsi fino all’opera recente Pour
une terminologie et une analyse des cultes isiaques, Bruxelles 2005. Im-
portante è il recente atlante di L. Bricault, Atlas de la diffusion des cul-
tes isiaques (IVe s. av. J.–C. – IVe s. apr. J.–C.), Paris 2001 (Mémoires de
l’Accadémie des inscriptions et belles–lettres 23). Si veda inoltre:
Hommages à J. Leclant, vol. III, Il Cairo 1994 (BdÉ 106); L’Egitto in Italia
dall’antichità al Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale Ita-
lo–Egiziano, Roma–Pompei 13–19 novembre 1995, a cura di N. Bonacasa
et al., Roma 1998; Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra,
Milano, Palazzo Reale, 22 febbraio – 1° giugno 1997, a cura di E. Arslan et
al., Milano 1997.
Altri cataloghi di mostre utili sull’argomento sono: Aurea Roma. Dal-
la città pagana alla città cristiana. Catalogo della mostra, Roma Palazzo delle
Esposizioni, 22 dicembre 2000 – 20 aprile 2001, a cura di E. La Rocca – S.
Ensoli, Roma 2000; Cleopatra regina d’Egitto. Catalogo della mostra, Roma
Palazzo Ruspoli, 12 ottobre 2000 – 25 febbraio 2001, Milano 2000; Ägypten
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Städtische Galerie 26. November 2005 – 26. Februar 2006, a cura di P.C. Bol
et al., Francoforte 2005.
Sulla città di Roma, sono fondamentali i volumi: A. Roullet, The
Egyptian and Egyptianizing Monuments of Imperial Rome, Leiden 1972
(EPRO 20); G. Lollio Barberi – G. Parola – M.P. Toti, Le antichità egi-
ziane di Roma imperiale, Roma 1995. Sull’Iseo Campense, si veda il libro
di K. Lembke, Das Iseum Campense in Rom. Studie über den Isiskult unter
Domitian, Heidelberg 1994 (Archäologie und Geschichte 3), ma anche
studi sparsi tra i quali quelli di C. Alfano, S. Ensoli, e L. Sist qui citati
nell’ultima lista bibliografica.
Per i cataloghi delle collezioni romane, si veda: G. Botti – P.
Romanelli, Le sculture del Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano
1951; S. Curto, Le sculture egizie ed egittizzanti nelle Ville Torlonia in
Roma, Leiden 1985 (EPRO 105); S. Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini. La
Collezione Egizia, Roma 1990; M. De Vos in Forschungen zur Villa
Albani. Katalog der antiken Bildwerke, vol. IV, a cura di P.C. Bol, Berlin
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Manera – C. Mazza, Le collezioni egizie del Museo Nazionale Romano,
Milano 2001; L. Sist in La scultura antica in Palazzo Altemps, a cura di
M. De Angelis d’Ossat, Milano 2002.
Sulla cosiddetta egittomania antica: M. de Vos, L’egittomania in pitture
e mosaici romano–campani della prima età imperiale, Leiden 1980 (EPRO
84); S.H. Aufrère, Egyptomanisme et Egyptomanie: une tradition ininterrom-
pue du “mythe” égyptien, in Chronique d’Égypte 72 (1997), pp. 25–40.
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janvier – 18 avril 1994, Paris 1994.

Per i vari studi sparsi, si cita una bibliografia per ordine alfabetico
degli autori, fruibile attraverso le citazioni nel testo o gli argomenti.

C. Alfano, L’Iseo Campense in Roma: relazione preliminare sui nuovi ritro-


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novembre 1995, a cura di N. Bonacasa et al., Roma 1998, pp. 491–496.
L. Sist, L’Iseo–Serapeo Campense, in Iside. Il mito, il mistero, la magia.
Catalogo della mostra, Milano – Palazzo Reale, 22 febbraio – 1 giugno
1997, a cura di E. Arslan et al., Milano 1997, pp. 297–305.
R. Taylor, Hadrian’s Serapeum in Rome, in American Journal of
Archaeology 108 (2004), pp. 223–166.
R.A. Wild, Water in the cultic worship of Isis and Serapis, Leiden 1981
(EPRO 87).

19. Referenze per le fotografie e i disegni


Fig. 1: Tra le palme del Piceno: Egitto, Terra del Nilo. Catalogo della mo-
stra a San Benedetto del Tronto, 14 luglio – 30 ottobre 2002, a cura di Ales-
sandro Roccati e Giuseppina Capriotti Vittozzi, Poggibonsi 2002, p.
23.
Fig. 2: Ibid., p. 24.

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Fig. 3: G.G. Bottari, Musei Capitolini tomus tertius, Roma 1755, tav. 90.
Fig. 4: W. Westendorf, Das Alte Ägypten, München s.d., p. 163.
Fig. 6: disegno elaborato da Giuseppina Capriotti Vittozzi.
Fig. 7: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 73.
Fig. 8: M.A. de La Chausse, Romanum Museum sive Thesaurus erudi-
tae antiquitatis, t. I, Roma 1690.
Fig. 9: B. de Montfaucon, L’antiquité expliqueée et représentée en fi-
gures, vol. II. 2, Paris 1719, t. II, tav. 126.
Fig. 10: foto Comune di Treia.
Fig. 11: Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra, Milano
– Palazzo Reale, 22 febbraio – 1 giugno 1997, a cura di E. Arslan et al.,
Milano 1997, p. 319.
Fig. 12: Montfaucon, L’antiquité expliqueée, op. cit., t. II, tav. 118.
Fig. 13: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 82.
Fig. 14: Ibid., tav. 86.
Fig. 15: La Chausse, Romanum Museum, op. cit.
Fig. 17: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 85.
Fig. 18: H. Junker, Der grosse Pylon des Tempels der Isis in Philä, Wien
1958, fig. 38.
Fig. 19: foto Giuseppina Capriotti Vittozzi.
Fig. 20: F. Coarelli, Delta. Cesare, Iside e il “nilo” del Campo Marzio, in
Studi in memoria di L. Guerrini, a cura di M.G. Picozzi e F. Carinci, Ro-
ma 1996 (Studi Miscellanei 30), p. 192 fig. 1.
Fig. 21: G. Carettoni, Terracotte “Campana” dallo scavo di Apollo Pala-
tino, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 44
(1971–1972), p. 133, fig. 7.
Fig. 22: M. Malaise, Inventaire préliminaire des documents égyptiens
découverts en Italie, Leiden 1972, EPRO 21, tav. 29.
Fig. 23: K. Lembke, Das Iseum Campense in Rom. Studie über den Isiskult
unter Domitian, Heidelberg 1994 (Archäologie und Geschichte 3), tav. 36.1.
Fig. 24: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 76.
Fig. 25: A. Kircher, Oedipus Aegyptiacus, t. III, Roma 1654, p. 487.
Fig. 26: Ibid., p. 497.
Fig. 27: Cleopatra regina d’Egitto, Catalogo della mostra, Roma Palazzo
Ruspoli 12 ottobre 2000 – 25 febbraio 2001, Milano 2000, p. 100.
Fig. 28: H.W. Müller, Il culto di Iside nell’antica Benevento, Benevento
1971, tav. XIX.
Fig. 29: Junker, Der grosse Pylon, op. cit., fig. 158.
Fig. 30: F. Manera – C. Mazza, Le collezioni egizie del Museo Nazionale
Romano, Milano 2001, p. 112.

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Fig. 31: S. Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini. La Collezione Egizia, Ro-
ma 1990, p. 61.
Figg. 32–33–34: foto Giuseppina Capriotti Vittozzi.
Fig. 35: L. Roccheggiani, Raccolta di cento tavole rappresentanti i costu-
mi religiosi, civili e militari degli antichi Egiziani, Etruschi, Greci, e Romani
tratti dagli antichi monumenti per uso de’ Professori delle Belle Arti, Roma
1804, t. 2, tav. 20.
Fig. 37: A. Roullet, The Egyptian and Egyptianizing Monuments of Im-
perial Rome, Leiden 1972 (EPRO 20), p. 348.
Fig. 38: Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini, op. cit., p. 67.
Fig. 39: Lembke, Das Iseum Campense, op. cit., tav. 20.2.
Fig. 41: Manera–Mazza, Le collezioni egizie, op. cit., p. 56.
Fig. 42: Junker, Der grosse Pylon, op. cit., fig. 149.
Fig. 43: C.L. Visconti, Del Larario e del Mitreo scoperti nell’Esquilino
presso la chiesa di San Martino ai Monti, in Bullettino della Commissione Ar-
cheologica Comunale di Roma 13 (1885), tav. IV.
Fig. 44: Iside. Il mito, il mistero, la magia, op. cit., p. 587.
Fig. 45: Manera – Mazza, Le collezioni egizie, op. cit., p. 109.
Figg. 46–47–48–49–50–51: foto Michele Domenico Vittozzi.
Fig. 52: disegno Giuseppina Capriotti Vittozzi.
Fig. 53: foto Michele Domenico Vittozzi.
Fig. 54: Cleopatra regina d’Egitto, op. cit., p. 245.
Fig. 55: disegno elaborato da Giuseppina Capriotti Vittozzi.

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