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Dei e miti dell'antico Egitto in Diodoro e

Plutarco

Indice
1. Introduzione 2-13
2. Metodi, ottiche, scopi e periodi diversi, contenuti
simili: Diodoro Siculo e Plutarco di Cheronea 13-68
2.1.1 Diodoro Siculo e la sua Βιβλιοθήκη ἱστορική 13-15
2.1.2 Il proemio (D.S. I 1-5) 15-19
2.1.3 I “θεολογούμενα” 19-42
2.2.1 Plutarco e il suo De Iside et Osiride 42-46
2.2.2 Plutarco, la religione e i miti egiziani nel De Iside
et Osiride 46-68
3. Conclusioni 68-72
Indice delle opere e degli autori antichi citati 73-74
Bibliografia di riferimento 75-79

1
1. Introduzione
A seguito dello scontro/incontro tra la cultura di matrice ellenica e le varie
culture orientali (vale a dire egiziana, persiana etc.), avvenuto grazie alla
campagna intrapresa da Alessandro Magno, terminata improvvisamente
con la sua morte a Babilonia nel 323 a.C., il panorama linguistico,
religioso e culturale ne risentì subito: la lingua comune dei regni dei
Diadochi prima e degli Epigoni poi divenne la κοινὴ διάλεκτος, un greco
semplificato rispetto a quello di età classica, che aveva come base il greco
attico; le religioni e i miti ad esse relativi si avvicinarono sempre più fino
a fondersi 1 , in particolare nel regno d’Egitto, che irradiò il resto del
Mediterraneo con la sua millenaria storia: tale aspetto vuole essere
l’argomento di questo lavoro, con l’analisi e l’esame di due autori di
lingua greca vissuti tra la fine della Repubblica e l’apogeo dell’Impero
romano, cioè Diodoro Siculo e Plutarco di Cheronea. Entrambi si
mostrarono sensibili nei confronti della problematica, pur nella loro
diversità di approcci: Diodoro Siculo si vanta di essere uno storico (D.S.
I 3), per questo nel I libro della sua storia universale non mancano
riferimenti al grande storico-etnografo greco, Erodoto, anch'egli cultore
della storia e religione egiziane; Plutarco, invece, fu un sacerdote,
intellettuale e filosofo medio-platonico, che si attenne, seppur un po'
distanziandosene, alle dottrine platoniche sul divino.

Fin dai tempi di Erodoto e probabilmente anche prima, da Ecateo di


Mileto2, l'Egitto è sempre stato guardato come la terra dell'antica saggezza,
di una religione anche più antica di quella olimpica. Non sappiamo niente
di quello che ne scrisse Ecateo, ma ad Erodoto l'apprezzamento nei

1
Per maggiori approfondimenti sulla ''Hellenistic Religion'' vedi Potter 2003, 407-430
2
Non abbiamo niente di quello che scrisse Ecateo di Mileto riguardo l'Egitto; secondo l'aneddoto
riportato in Hdt. II 143, ed. Legrand 1948,166-167, Ecateo di Mileto andò a Tebe d'Egitto.
2
confronti dell'Egitto costò l'accusa di φιλοβαρβαρεία 3 da parte di un
Plutarco che, mutatis mutandis, si mostrò parimenti affascinato secoli
dopo. Ai tempi di Erodoto, tuttavia, la situazione culturale era
completamente diversa rispetto al I sec.a.C.: la Grecia, guidata da Atene,
si apprestava ad essere, nonostante le sue tante πόλεις, la potenza
principale del Mediterraneo. A partire dal III sec.a.C. il culto ed il mito di
Iside iniziarono a diffondersi per tutto il mondo greco-romano, dove
veniva venerata come dea celeste e madre divina o madre natura. La
dedica di un santuario a Iside al Pireo coincide cronologicamente con la
conquista da parte di Alessandro Magno dell'Egitto (332 a.C.). I misteri
di Iside erano, si noti bene, una versione prettamente greca del culto:
probabilmente le feste/cerimonie religiose egiziane sono apparse, agli
occhi dei Greci che hanno visitato l'Egitto, paragonabili alle πανηγύρεις
panelleniche o ai misteri eleusini. La prima attestazione di Serapide
(nome mediterraneo per Osiride) al di fuori dell'Egitto è contenuta in
un'iscrizione, ritrovata ad Alicarnasso, risalente all'inizio del III sec. a.C.4
Il culto riservato agli dèi egiziani nell'Egeo era di natura privata e
promosso esclusivamente da marinai e mercanti che navigavano tra i porti
greci ed egiziani; difatti, tra la fine del IV e l'inizio del III sec.a.C. avvenne
una rilevante espansione e un conseguente radicamento dei culti egiziani
nelle città portuali. Nel II sec. a.C., poi, il culto di Iside, Serapide (nome
mediterraneo per Osiride) ed Arpocrate raggiunse le isole egee, ma non
solo: anche l'entroterra della Grecia e la penisola anatolica. Spesso i nuovi
santuari venivano stabiliti nei centri delle città, trovandosi così a
condividere luoghi e rituali con le divinità locali, e sorgevano in
prossimità di fonti d'acqua naturali o artificiali, poiché l'acqua era un

3
Plu. De Herod. malign. 857a, ed. Lachenaud 1981, 145-146
4
Bommas 2012, 427-430
3
elemento essenziale nei riti connessi alla ricreazione del paesaggio tipico
egiziano. La seconda espansione dei culti egiziani ebbe luogo nel II
sec.a.C. verso i porti delle città italiane grazie, nuovamente, a
commercianti e mercanti. Dopo la terza guerra macedonica (171-168
a.C.), Rodi perse il suo ruolo di principale scalo portuale romano in favore
di Delo, che divenne, così, la seconda piattaforma commerciale del
Mediterraneo dopo Alessandria. La situazione rimase inalterata fino alla
distruzione di Delo, ordinata da Mitridate IV nell'88 a.C. Nel 105 a.C.,
sempre nel Mediterraneo, un santuario a Pozzuoli fu dedicato a Serapide;
quasi contemporaneamente un tempio per Iside fu costruito a Pompei e
sul Campidoglio a Roma (entrambi dedicati da privati)5. Nel I sec. a.C.,
Diodoro scriveva in un panorama, dunque, greco-romano-ellenistico:
greco di lingua e di provenienza, era, infatti, di Agirio, viveva la presenza
di miti o rituali egiziani come una situazione normale, non distingueva
più il confine tra una cultura e l'altra, perché entrambe erano confluite nel
grande concetto di ''Ellenismo''. Ma qual è stato il ruolo giocato dalla
storica isola della Sicilia 6? Secondo alcuni, il matrimonio di Agatocle con
la figlia di Tolomeo I Soter nel 306 a.C. avrebbe favorito l'introduzione
di culti alessandrini a Siracusa; secondo altri, tale fenomeno sarebbe,
invece, dovuto ai rapporti politici-culturali-commerciali intrattenuti da
Gerone II e Tolomeo II Filadelfo. L'unica cosa sicura a riguardo è la
testimonianza numismatica con effigi di dèi egiziani, emessa dopo la
conquista romana dell'isola (210 a.C.), anche se il culto era, si pensa, già
ben radicato prima. Si immagina, dunque, a ragione, la Sicilia come luogo
di fioritura e di passaggio della religione alessandrina, da cui poi le
divinità egiziane si sarebbero dirette in direzione della penisola,

5
Bommas 2012, 427-430
6
Per maggiori approfondimenti vedi Malaise 1972, 261-264
4
soprattutto in direzione della costa occidentale, affacciata sul Tirreno, e
verso il nord est (attuali Emilia-Romagna e Veneto). Senza dubbio, in
Sicilia giocarono un ruolo da protagoniste cinque città costiere: Tindari,
Siracusa, Messina, Catania e Tauromenio 7 ; nell'interno i culti si erano
diffusi ed erano arrivati, ad esempio, a Centuripe. La presenza, dunque,
di simili culti/dèi era direttamente proporzionale alla vocazione
commerciale dei luoghi: infatti non si radicarono mai in Lucania o in
Calabria, bensì seguivano le rotte dei negotiatores. Plutarco, anch'egli
greco, di Cheronea, si avvicinò a questo patrimonio in maniera non troppo
dissimile da Diodoro, anche se egli stesso allude nella sua operetta, De
Iside et Osiride, a dimensioni misterico-iniziatiche del culto di Iside e
Osiride, mentre, forse, un secolo e mezzo prima tale culto era ancora
mistico. Non a caso, proprio negli anni in cui entrambi furono attivi, metà
I sec. a.C. e fine I sec. d.C. o inizio II sec. d.C., si rinnovò l’interesse
politico ed economico verso l’Egitto: nel 58 a.C., anno del consolato di
Gabinio e Pisone 8 , furono introdotti a Roma gli dèi Iside e Serapide;
Pompeo si rifugiò in Egitto dopo la disfatta di Farsalo del 48 a.C., ma il
re Tolomeo XIII Teo Filopatore lo fece uccidere per ingraziarsi la
benevolenza del vittorioso Cesare, che, invece, lo destituì a favore della
sorella Cleopatra, sua futura amante e madre di Cesarione. Cesare, il
dictator, era, da una parte, profondamente sedotto dal carattere teocratico
di questa monarchia di chiara ispirazione orientale ed era, dall'altra, anche
prigioniero della bellezza e del fascino di Cleopatra. Questi i primi
contatti diretti della, ormai morente, respublica con il regno d’Egitto. Poi
Marco Antonio, cesariano entrato in conflitto dopo il 44 a.C. con il figlio
adottivo di Cesare, Ottaviano, si innamorò di Cleopatra e gli venne

7
Malaise 1972, 421-454
8
Arn. Advers. Nat. II 73, ed. Marchesi 1953, 152
5
concesso il possesso della parte orientale del territorio romano secondo il
patto di Brindisi, mentre a Ottaviano rimase l’intera parte occidentale e a
Lepido la sola Africa. Dopo il secondo triumvirato (43 a.C.), i triumviri
decisero la costruzione di un tempio per Iside e uno per Serapide (lo
testimonia D.C. XLVII 15, 4). Ottaviano era propenso all'accettazione
della religione egiziana per motivi politici: infatti, i populares, che egli
voleva dalla propria parte, erano profondamente ammaliati dalla religione
egiziana. A causa, però, della partenza di Antonio per l'Oriente,
l'edificazione dei due templi rimase un compito esclusivo di Ottaviano,
che non mantenne la promessa9. A quel punto Marco Antonio si stabilì a
corte ad Alessandria ed iniziò ad atteggiarsi a monarca ellenistico10: fece
tributare a sé, a sua moglie ed ai loro figli onori divini e si comportava da
sovrano assoluto. Lo scontro con Ottaviano, fautore e restauratore dei
valori del mos maiorum, era solo questione di tempo: nel 31 a.C. la
battaglia di Azio segnò la vittoria di quest’ultimo e stimolò l'interesse
romano per l'Egitto. Sia Marco Antonio sia Cleopatra si diedero la morte;
l’Egitto divenne provincia sotto controllo diretto del princeps e i Romani
assorbirono Osiride come un nuovo Dioniso. Nel 28 a.C., i culti egiziani
furono banditi dal pomerium, ma ne rimase escluso il Campo Marzio. A
tal proposito, verso la fine del I sec.a.C., Tibullo scrisse un'ode per il
compleanno di Messalla Corvino, che è un inno a Osiride, dove il dio
viene esaltato come benefattore, inventore del vino e dispensatore di
sollecitudini (Tib. I 7 vv. 20-48). In un simile clima di vicinanza con
l’Egitto, ridotto ormai a provincia romana, fu assai facile studiarne e
comprenderne la cultura ormai, già da tempo, permeata di ellenismo.

9
Vedi Malaise 1972, 378-384
10
D.C. L 5,3 ed. Freyburger, Roddaz 1991, 5-6
6
L'Iseion Campense 11 , sito nel Campo Marzio a Roma, costruito sotto
Caligola nel 38 e ricostruito poi da Domiziano (81-96), era concepito
come un edificio provvisto di cortile, che offrisse un tetto ai devoti alla
dèa, similmente alla Red Hall di Pergamo, eretta nel II sec., forse sotto
Adriano, e destinata alla venerazione degli dèi egiziani più rinomati, Iside,
Serapide, Arpocrate, la quale richiamava, oltretutto, l'idea dei santuari
egiziani come edifici multifunzionali. L'Iseion Campense e l'Iseion
beneventano contenevano una considerevole quantità di antichità
egiziane (αἰγυπτιακά), trasportate in Italia perché ne fruissero pellegrini e
visitatori. Per quanto riguarda, invece, gli dèi egiziani, Osiride
rappresentò per i Greci un elemento di difficile integrazione, in quanto,
come dio dei morti, non fu mai realmente accettato; i Romani, dal canto
loro, si avvicinarono a lui in maniera meno rigorosa: Osiride, infatti,
divenne un dio dai vari connotati e fu annoverato nel pantheon romano
grazie ai suoi aspetti dionisiaci di dio del vino e dell'abbondanza.
Gradualmente sotto l'Impero romano la religione isiaca assunse connotati
tipici del dio Osiride, come emerge dall'XI libro delle Metamorfosi di
Apuleio e dal De Iside et Osiride di Plutarco, dalla costruzione di tombe-
piramidi in Roma e dalla diffusione di tale culto nelle Marche. Le feste
connesse alle divinità egiziane erano sempre viste e vissute come
momenti di gioia, entusiasmo ed abbondanza: il Navigium Isidis o
Πλοιαφέσια12 aveva luogo a marzo, precisamente il 5 marzo, in occasione
della fine dell'inverno e della ripresa della navigazione; l'Inventio Osiridis
o Εὕρεσις era una festa autunnale, spesso celebrata a novembre, durante
la quale, per tre giorni, si tenevano performances con la rappresentazione

11
Vedi Ap. Met. XI
12
Per maggiori approfondimenti sulla festa vedi Merkelbach 1963, 39-41. La festa del Navigium Isidis
è descritta da Ap. Met. XI e ricordata da Lact. Inst. I 11, 21, ed. Monat 1986, 118-119
7
della morte di Osiride, la ricerca ed il ritrovamento del suo corpo. Le feste
per Iside conobbero una diffusione internazionale, come anche i culti
degli dèi egiziani: andavano da Alessandria al Marocco, dalla Britannia
alla Spagna e all'odierno Iraq.

In Egitto, il classico sistema politeistico permise l'introduzione di divinità


forestiere, che, dopo poco, non vennero più percepite come tali, dal
momento che gli dèi egiziani erano caratterizzati da forte polimorfismo.
Il pantheon greco fu frutto di importazione da parte dei Greci che decisero
di stabilirsi in Egitto e che divennero la nuova classe dirigente dopo il 332
a.C. Tali dèi subirono due processi: da una parte i nuovi arrivati cercarono
di mantenere le loro tradizioni patrie, organizzando culti greci e dandoli
in mano a sacerdoti greci; dall'altra si verificò un inevitabile processo di
contatto e interazione con l'ambiente egiziano, da cui l'interpretatio
graeca e l'interpretatio aegyptiaca13. Ad esempio, Hermes fu oggetto di
entrambe queste tendenze: ad Hermopolis e regione circostante era
identificato con Thoth e celebrato come θεὸς τρίς μέγιστος, mentre ad
Alessandria mantenne i suoi caratteri greci originari. Si può parlare,
dunque, di una società multiculturale dove convivevano ed interagivano
dèi e credenze egiziani, romani e greci: “a marketplace of religions and
creeds”14.

L'atteggiamento degli imperatori romani nei confronti della politica


religiosa fu altalenante: da una parte, gli imperatori erano desiderosi di
avere un buon rapporto con il Senato e con chi sosteneva la centralità
dell'Italia e favorivano, dunque, il culto nazionale della Grande Madre,
cioè Cibele; dall'altra, però, i sovrani autocrati, ostili al Senato,

13
Tallet, Zivie-Coche 2012, 436-440, 451-452
14
Definizione giusta di Tallet, Zivie-Coche 2012, 451-452
8
proteggevano Iside, la dea che si era introdotta in Italia sfuggendo ad un
controllo diretto, diversamente da Cibele, il cui culto venne riconosciuto
ufficialmente. Nel contesto di un Impero che, tra il I e il II sec. d.C.,
andava progressivamente allargandosi, anche la città di Roma si
presentava come un microcosmo multiculturale, dove persone
provenienti da est e da ovest convivevano, conservando i propri culti ed
affiancandoli a quelli ufficiali con, talvolta, la costruzione di santuari
specifici. È inesatto parlare di culti orientali come se si trattassero di una
categoria unica; in realtà sono culti tra loro molto diversi per origine,
rituali e sviluppo. In tale clima di scambio, sembra anche lecito chiedersi
quale culto potesse essere considerato romano stricto sensu e quale
straniero, quale ufficiale e quale non ufficiale bensì popolare 15. Alcuni di
essi erano definiti, fin da principio, dall'iniziazione dei seguaci ai loro
misteri: si parla in questo caso di mystery cult, cioè rituale iniziatico che
mirava ad un cambiamento di idea tramite l'esperienza del sacro; altri
erano, semplicemente, culti pubblici, prima di acquistare una cerimonia
privata di iniziazione. Sicuramente erano un'eredità dei primi culti di
iniziazione greci ed era comune a tutti la preoccupazione connessa alla
salvezza e al problema della morte, che poi condividevano anche con il
Cristianesimo. Sulla contrapposizione tra ufficiale e non ufficiale, si può
affermare che le manifestazioni ufficiali e popolari erano aspetti differenti
di un certo spirito continuo di istituzioni e pratiche religiose, sebbene ai
culti ufficiali fossero riservati privilegi, finanziamenti ed edifici sul suolo
pubblico. Il Pantheon, tempio di tutti gli dèi, fu edificato prima dal genero
di Augusto, Agrippa, nel 27 a.C. poi venne ricostruito sotto Adriano:
rappresentava l'emblema di questo melting pot. Il culto di Iside era

15
Per maggiori approfondimenti sulla distinzione tra culti ufficiali e non ufficiali e tra culti romani e
culti stranieri Beard, North, Price 1998, 245-312
9
caratterizzato da una tensione tra esclusività ed accettazione della massa:
durante il periodo repubblicano fu pro forma abolito. Anche Augusto e
Tiberio presero provvedimenti a sfavore del culto. Ma quando entrò nel
calendario romano? Forse sotto Caligola, dopo il regno del quale la dea
iniziò ad essere ritenuta, da una parte, romana e, dall'altra, divinità esotica
ed attraente. Durante il periodo imperiale, l'Imperatore in prima persona
era il responsabile principale della promozione dei nuovi culti e della cura
dei templi ufficiali, tra cui quelli dedicati ai predecessori deificati (divi)
sul modello di quello pianificato da Ottaviano per il divus Julius. I sovrani
non trasferirono mai intenzionalmente i culti dalle province alla capitale,
al massimo ciò può essere successo in conseguenza di una conquista e di
migrazioni. A Roma il culto di Serapide era spesso associato a quello di
Iside nelle sfilate/processioni celebrative: è giusto che tale culto fosse
visto più come greco che come egiziano, perché è dalla Grecia che è
giunto nell'Urbe, ormai già permeato di coloriture misteriche. La
cosmologia del culto di Iside, che varia a seconda delle zone dell'impero,
spesso ha incorporato altri culti e divinità e, pur mostrando esplicite
origini egiziane, gli inni isiaci conservati su alcune iscrizioni la pregavano
come responsabile del pantheon greco-romano. I suoi addetti la
chiamavano πολυώνυμος 16 , proprio perché era, secondo loro, la dea
venerata sotto il nome di Minerva, Venere o Magna Mater (ovviamente si
tratta di una rivisitazione dei culti coevi da parte degli Ἰσιακοί). Per la
prima volta si affaccia un approccio, lampante in Plutarco, monoteistico
stricto sensu: difatti, taluni seguaci non riconoscevano alcuna divinità
all'infuori della propria. Il monoteismo, a quel tempo, risultò collocato in
medio tra un'estrema forma di politeismo, dove tutte le divinità erano

16
Vedi Assmann 2002, 76
10
trattate allo stesso modo, e una, altrettanto estrema, posizione che
insisteva sull'esistenza di un unico dio. L'aderenza a questi culti “nuovi”
non era vissuta da tutti nello stesso modo: talvolta rappresentava il rifiuto
totale del paganesimo, talvolta una parte di esso o addirittura una sua
estensione. Nel culto di Iside, l'iniziazione ai misteri divenne
progressivamente importante nel corso del I sec. d.C, per avere il suo
culmine nel II sec. Negli anni dal 98 al 117 fu imperatore di Roma Traiano,
di cui ricaviamo una bella immagine dalle lettere intercorse tra lui e Plinio
il Giovane. In campo religioso assolse ai propri obblighi sacerdotali e
conservò il patrimonio sacro dell'Impero e di Roma, mostrando tolleranza
e benevolenza verso tutti i culti. Sotto di lui fu attuata una politica di
restauro e abbellimento dei templi, come testimonia un'effigie
raffigurante l'imperatore nell'atto di fare un'offerta a Iside, Horus e
Osiride in un santuario presso l'isola vicino File in Egitto. Rifiutò onori
divini in Italia, ma si lasciò adorare nelle province, difatti volle che la
prosperità dell'Impero fosse attribuita a Giove solo. Si trattò di saggezza
politica o scetticismo religioso? Nel 111-112 si verificò un cambiamento
profondo nel comportamento di Traiano, il quale iniziò a considerarsi un
novello Alessandro, che già secoli prima si identificava con Ercole e si
diceva figlio di Zeus. Probabilmente tale mutamento deve essere inserito
all'interno di un percorso di esaltazione mistica: infatti, sia Alessandro 17
sia Traiano18 furono definiti con l'appellativo di κοσμοκράτωρ. Il fiorire
di sette e riti orientali sotto il suo regno ha lasciato pensare, quantomeno,
ad una “tolérance bienvellainte”, 19 grazie alla quale ogni culto, straniero

17
Plu. Alex. 6, 8 ed. Ziegler 1968, 158-159; Ps.-Callisth. I, 15; 17 ed. Stoneman 2007, 34-39.
18
In un frammento di rilievo in terracotta, ritrovato a sud di Roma, che era parte di un cielo
rappresentante l'apoteosi di Traiano, l'imperatore è rappresentato seduto sul carro del Sole in veste
di κοσμοκράτωρ.
19
Beaujeu 1995, 102-105
11
o tradizionale che fosse, beneficiava e prosperava nella più assoluta
tranquillità, integrandosi nella compagine politeistica imperiale. Ad
Alessandria, tra l'altro, la produzione monetaria, proprio in quegli anni,
mostrò un sensibile aumento delle monete con raffigurazioni connesse
alla religione greco-egiziana, incremento già iniziato sotto Domiziano;
parallelamente lo stile monetario egiziano registrò un notevole progresso
così come il culto alessandrino di Demetra. Traiano, dunque, da buon
politico “liberale”, 20 non trascurò le questioni religiose, tanto care al
popolo, ma il suo modus agendi, improntato sulla neutralità, si rivelò
vincente. Imperatore rispettoso delle credenze altrui come lo era di quelle
romane, pose le basi per una solida teocrazia imperiale, le cui fondamenta
erano: Giove, garante della pace e dell'ordine dell'impero nonché
tradizionale divinità romana; l'Imperatore 21, intermediario tra gli dèi e gli
uomini e sedicente figlio di Giove; Roma, cui rimandano l'ideologia del
principato, l'ideale filosofico di cosmopolitismo e l'ideale
dell'evergetismo di tolemaica memoria, ed Ercole, leggendario eroe di
origine orientale innalzato a dio.

Plutarco si inserì all'interno di un simile panorama culturale-politico:


visse, infatti, gran parte della sua vita sotto l'impero di Traiano e morì
sotto Adriano. Intellettuale di ampie vedute, può essere considerato il
simbolo del polietnismo nell'antichità greco-latina22, tanto da poter essere
definito un antropologo culturale, animato da sentimenti di φιλανθρωπία
e ξενοφιλία, che ne fanno un cittadino del mondo non nel senso stoico del
termine, bensì nel senso storico. Nel suo caso, il termine “polietnismo” 23
assume il significato di adeguamento non forzato, spontaneo, ad un ideale

20
Beaujeu 1995, 109-110
21
Beaujeu 1995, 59-62
22
Giusta definizione di D'Ippolito 2005, 179-182
23
Per maggiori approfondimenti a riguardo vedi D'Ippolito 2005, 186-194
12
multiculturale fondato sull'idea dell'unicità universale dell'anima,
processo, tra l'altro, aiutato sicuramente dall'apertura dell'Impero
all'afflusso di nuove culture. Egli viveva, infatti, in un clima caratterizzato
non solo dalla perdita di punti di riferimento culturali e politici,
soprattutto per gli intellettuali di provenienza greca che si vedevano
sottomessi, ormai da secoli, alla grande potenza romana, ma anche da
contatti tra diverse tradizioni. Dalle sue opere si evince una visione
assimilazionista della società, dove non si guarda ormai più ai 'barbari'
come a persone inferiori.

2. Metodi, ottiche, scopi e periodi diversi, contenuti simili:


Diodoro Siculo e Plutarco di Cheronea.

2.1.1 Diodoro e la sua Βιβλιοθήκη ἱστορική24


Diodoro, chiamato Siculo in quanto originario di Agirio, oggi Agira,
presso Enna (D.S., I 4, 4), fu un intellettuale attivo tra il 60 e il 30 a.C.
ca25, intenzionato a fare una summa universale di tutta la storia a lui
precedente. Grazie all’αὐτοψία26 resa possibile dai suoi numerosi viaggi
(D.S. I 4, 1), tra cui uno in Egitto del 60 a.C. (D.S., I 44,1) e uno a Roma
(D.S. I 4, 2-3), che gli permisero anche di fruire del materiale letterario
necessario per sviluppare il suo ambizioso progetto 27, e grazie all’ampio
uso degli storici precedenti, fu in grado prima di inquadrare e poi di

24
Per maggiori approfondimenti vedi Cordiano, Zorat 2004, 7-34; Canfora 1986
25
Pauly-Wissowa 1914; Chamoux, Bertrac 1993, VII-IX
26
Diversamente Ambaglio 2004, 46-51
27
D.S., I 4, 2; I 83, 8-9, dove si fa riferimento all'uccisione di un gatto, animale sacro per gli Egiziani,
da parte di un romano, proprio nel periodo in cui il popolo cercava di ingraziarsi il favore di Roma
perché Tolomeo XII Aulete venisse riconosciuto come regnante ufficiale. Nonostante il tentativo di
evitare sommosse e l'uccisione fosse stata involontaria, il popolo insorse. Il riconoscimento del
sovrano Tolomeo avverrà nel 59 a.C. grazie a Pompeo e Cesare. Questa insurrezione popolare
potrebbe essere avvenuta in una regione dove il gatto era particolarmente venerato, forse a Bubasti.
Vedi anche Chamoux, Bertrac 1993, XX-XXI
13
realizzare il desiderio di un testo dal respiro ‘’enciclopedico’’. La sua
opera Βιβλιοθήκη ἱστορική, titolo su cui concordano tutti i codici,
constava al tempo della sua apparizione, poco prima del 30 a.C., di 40
libri (D.S. I 5,1), come l'opera di Polibio: terminus ante quem abbastanza
certo dal momento che l’Egitto, al tempo della stesura (D.S. I 44, 4), era
retto ancora dai discendenti degli antichi Macedoni, ultimi suoi
conquistatori. Qui era contenuta l’intera trattazione di racconti mitici,
avvenimenti supposti reali e vicende di popoli barbari, Greci e Romani.
Di questi sono arrivati a noi i primi cinque libri e la seconda decade,
gruppi tra loro molto diversi nel contenuto, tanto che taluni studiosi
sostengono che difficilmente si arriverebbe ad attribuire la paternità di
entrambi al medesimo autore 28 , in mancanza di un'esplicita dichiarazione
da parte dello stesso. L'articolazione interna veniva scandita dalla data
accettata unanimemente come quella della fine della guerra di Troia: il
1184/3 a.C., fissata dal προστάτης Eratostene di Cirene ad Alessandria
nel corso del III secolo a.C. I Τροίκα rappresentano e hanno sempre
rappresentato “il discrimen” 29 a livello cronologico tra la preistoria
mitica e la storia, ovviamente, s’intende, solo nell’ambito della cultura di
stampo greco-romano. Diodoro, dunque, divide gli eventi tra quanti
avvenuti prima della guerra di Troia (ante 1184/3 a.C.), a causa
dell’assenza di materiale relativo a quel periodo, e quanti verificatisi dopo,
fino all’inizio della Guerra celtica (60/59 a.C.); tuttavia, in questo punto
si riscontra un’incongruenza: viene affermato30 che l’opera comprende,
escluso il periodo ante 1184/3 a.C., circa 80 anni da 1184/3 a.C. alla
discesa degli Eraclidi (1104/3 a.C.) data fornita da Apollodoro di Atene

28
Ambaglio 1995, 13-17
29
Cordiano, Zorat 2004, 45-46
30
D.S. I 5, 1
14
nei Χρονικά31, poi 328 anni da qui alla prima Olimpiade 776/5 a.C., e,
infine, 730 anni da quest’ultimo evento alla guerra celtica. Il calcolo
porterebbe al 46/5 a.C., ma la guerra celtica sappiamo essere stata
combattuta nel 60/59 a.C.: potrebbe trattarsi di una svista, di un errore di
calcolo o addirittura di un cambiamento di intenzioni, che l'autore si è
semplicemente dimenticato di registrare.

2.1.2 Il proemio (D.S. I 1-5)


Per quanto riguarda, invece, lo scopo ed il metodo, sempre i capitoli 1-5
del libro I, di fatto il proemio all’opera intera, permettono di dare una
precisa interpretazione: secondo un concetto largamente diffuso 32 ,
dipendente anche dalla sua natura scritta, la ricerca storica e la conoscenza
dei suoi risultati non possono che essere utili, in tutte le situazioni (D.S. I
1, 4), a tutti gli uomini, di qualsiasi età e temperamento essi siano. Qui
Diodoro sembra ricordare la lezione contenuta nella Retorica 33 di
Aristotele: gli uomini imparino dal loro passato tramite esempi tratti da
avvenimenti realmente accaduti, ''ὅμοια γὰρ ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ τὰ μέλλοντα τοῖς
γεγονόσιν''. La storia aiuta a ricordare le opere buone (D.S. I 2, 1) e, oltre
a dire cose vere e ad essere città madre (μητρόπολις) della filosofia intera,
indirizza gli spiriti verso la nobiltà d’animo (D.S. I 2, 2); prendendo il
posto della poesia, inoltre, si fa voce eterna delle buone azioni; infine,
solo lei è vantaggiosa in quanto unica, tra tutti i generi letterari, portatrice

31
FGrHist 244 F61
32
Hdt. I 1 ed. Legrand 1956, 13 : ''Ἡροδότου Θουρίου ἱστορίης ἀπόδεξις ἥδε, ὡς μήτε τὰ γενόμενα ἐξ
ἀνθρώπων τῷ χρόνῳ ἐξίτηλα γένηται''; Tuc. I 22, 4 ed. De Romilly 1968, 15 : ''κτῆμά τε ἐς αἰεὶ
μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται''; Plb. I 1, 1 ed. Pédech 1969, 18: ''ἴσως
ἀναγκαῖον ἦν τὸ προτρέπεσθαι πάντας πρὸς τὴν αἵρεσιν καὶ παραδοχὴν τῶν τοιούτων
ὑπομνημάτων διὰ τὸ μηδεμίαν ἑτοιμοτέραν εἶναι τοῖς ἀνθρώποις διόρθωσιν τῆς τῶν
προγεγενημένων πράξεων ἐπιστήμης''. Chamoux, Bertrac 1993, XV-XVI
33
Arist. Rh. 1394a, ed. Bekker 1860
15
di verità (D.S. I 2, 3-7). I primi due capitoli tessono, per così dire, un
elogio della storia e, di riflesso, anche di chi scrive di storia. Nel capitolo
3 (D.S. I 3, 2-3, 5-7), l’autore arriva a prendersi il merito di aver trattato
la storia universale di tutti i popoli in un’unica opera (senza interromperla
ad un determinato evento, come avevano fatto Erodoto, Timeo di
Tauromenio ed Eforo di Cuma), cosa che aiuta, a parer suo, il lettore ad
orientarsi, senza che, così, abbia bisogno di consultare un grande numero
di testi: da qui l’impegno trentennale (D.S. I 4, 1) di cui si fa carico. Alla
luce di tali considerazioni si può affermare che l’Agiriense abbia
espressamente voluto stilare una summa storica, pronta per essere
utilizzata da chiunque avesse un immediato bisogno di informazioni
etnografiche e culturali34. L'ottica in cui viene impostato il lavoro non è
quella dello scrittore: si può, dunque, pensare a Diodoro stesso come un
fruitore dell'opera in prima persona. Viene qui anticipata quella tendenza
che porterà alla scomparsa di alcuni testi, seppur di grande valore, in
quanto soppiantati dai compendi: in questo senso bisogna intendere
l'inusuale titolo, un riassunto disposto in una struttura cronocentrica dei
diversi autori che hanno scritto di storia35. Dietro non vi era l’intenzione
di trattare di problemi specifici, ma solo di dare rilievo ai fatti, più o meno
generali, ovvero alle ''τὰς κοινὰς τῆς οἰκουμένης πράξεις'' (D.S. I 1, 3)36:
questa sua volontà, per altro, lecita e risalente già ad Eforo di Cuma, gli è
costata l'accusa da parte della critica di mancanza di 'organicità', dal
momento che l'impianto della sua narrazione sarebbe privo di un 'centro'.
È utile ed opportuno ricordare che le opere, soprattutto quelle relative alla
storia o alla cultura dei popoli, possono non avere un'impostazione

34
Chamoux, Bertrac 1993, XVIII-XX
35
Canfora 1986
36
Chamoux, Bertrac 1993, XVIII-XIX
16
meramente monografica, che orienti così la loro interpretazione: Diodoro
riflette nella sua opera l'andamento degli avvenimenti del suo tempo37,
dove un potere forte andava estendendosi ed imponendosi a liberi stati,
processo che la stessa Sicilia aveva subito. Proprio lo spiccato e
professato carattere di universalità ha portato alcuni studiosi, tra cui
Canfora38, che sottolinea e focalizza l'attenzione in I 2, 2 sull'espressione
''τῆς ὅλης φιλοσοφίας..μητρόπολις'', a dividere il proemio in due parti
distinte: I 1-2,8 corrisponderebbero alla sezione più filosofica, che
avrebbe in Posidonio e nella sua opera storica la propria base39, mentre I
3-5, 3 sarebbero la sezione più strettamente storiografica. Non mancando
Diodoro di una propria idea né di un proprio stile, tuttavia, non è
giustificato né giustificabile, soprattutto per la perdita dell'opera di
Posidonio, credere in una dipendenza così netta 40 ; sicuramente il
proemio è frutto di un patrimonio culturale e lessicale tipico del
tardoellenismo, di cui non si esclude che facciano parte il pensiero e lo
scritto di matrice stoica di Posidonio41. Nonostante possa sembrare che
per ogni sezione vi sia una fonte di riferimento, cambiata in base al tema
trattato, Diodoro non solo non usa un'unica fonte per ogni parte42 ma,
inoltre, mostra una propria originalità 43 nella rielaborazione. La
condanna dello scritto dell'Agiriense in toto e, conseguentemente, del suo
stile dipendeva anche dai canoni storici che venivano seguiti all'epoca44:
Tucidide era il punto di riferimento per chiunque volesse avvicinarsi alla

37
Corsaro 1999, 143-146
38
Canfora 1986
39
Vedi Chamoux, Bertrac 1993, 3-5
40
Così Sacks 1990, 3-23
41
La tendenza precedente della critica, ad oggi scartata, era quella di credere che l'opera di Diodoro
dipendesse molto da vicino da quella di Eforo, andata perduta, per la presenza in ogni libro di un
proemio, dovuta, in realtà, al grande numero di fonti utilizzate dall'Agiriense. Pavan 1991, 5-7
42
Ambaglio 1995, 20-28
43
Burton 1972, 1-5; Corsaro 1999, 133-137; Pavan 1991, 12-13. Diversamente Ambaglio 1995, 20-28
44
Così Corsaro 1999, 133-137
17
storiografia, che doveva essere, dunque, originale, raccontando qualcosa
che non fosse già stato oggetto di narrazione, bensì solo vicende cui si
poteva assistere direttamente 45 . In questo modo si spiega la poca
influenza e la poca rilevanza di cui ha goduto l'Agiriense. Dopo il proemio,
Diodoro, in una sezione dal carattere introduttivo (D.S. I 9-10), afferma
di volersi occupare in primis di quella che da sempre in ambito greco,
nonostante accesi dibattiti, è considerata la prima civiltà, perché lì
secondo i miti nacquero gli dèi (D.S. I 9, 6): gli Egiziani. In un'ottica
tipicamente storica, di tipo derivazionistico-filogenetico, si passa, dunque,
all'analisi etnografico-culturale del primo popolo che avrebbe creato un
pantheon. Il primo autore di cui è pervenuto un intero libro dedicato
all'Egitto inserito all'interno della sua ampia opera è Erodoto 46 ,
sicuramente molto presente nelle pagine dell'Agiriense, a partire proprio
da I 9, 1, dove viene preso come modello per dividere la trattazione,
iniziando dalle vicende dei barbari, ed evitare così excursus culturali-
etnografici durante la narrazione della storia dei Greci (D.S. I 9, 5), ma,
altrettanto sicuramente, non unica fonte; accanto a lui, compaiono
Agatarchide di Cnido 47, autore di De mari Erythraeo, ed Ecateo di
Abdera, autore di Αἰγυπτιακά48, sebbene la tradizione ci abbia restituito
una minima parte dei loro scritti e non risulta, perciò, possibile verificare
quanto de facto siano stati utilizzati. Poi è Diodoro stesso a citare
genericamente (D.S. I 10, 1) fonti egiziane, collezioni che possiamo
supporre abbia consultato o durante il suo viaggio in Egitto e la sua sosta
ad Alessandria o di seconda mano 49. La Quellenforschung, tuttavia,

45
Così invitava a fare Polibio (Plb. IX 2, 1-4 )
46
Cordiano, Zorat 2004, 64-65
47
Burton 1972, 2-5; Cordiano, Zorat 2004, 64-65
48
Burton 1972, 2-5; Cordiano, Zorat 2004, 63-64; per maggiori approfondimenti sui costumi egiziani e
sulla visione della morte degli Egizi in Ecateo vedi Assmann 2002, 39-41; 55-56
49
Burton 1972, 1-4
18
rimane un dibattito aperto e centrale tra gli studiosi50. In aperta polemica
con Eforo di Cuma, che considera i Greci più antichi dei barbari 51,
riprendendo, come già detto, l'impostazione erodotea, Diodoro inizia la
sua trattazione. Gli Egiziani stessi (D.S. I 10, 1), e non solo 52 ,
affermavano che i i primi uomini nacquero in prossimità del Nilo per la
sua fecondità e la sua capacità di fornire nutrimenti agli esseri viventi,
diversamente sapeva Erodoto53. Poco dopo (D.S. I 10, 4), si registra il
primo segnale di fusione tra mito greco e mito egiziano, con il riferimento
all'epoca in cui è ambientato il mito del diluvio provocato da Zeus, cui
solo Deucalione, figlio di Prometeo e re di Ftia, e la moglie Pirra, figlia
di Epimeteo, sarebbero scampati e da loro sarebbe discesa la nuova
generazione di mortali. Solitamente si riteneva che questo diluvio avesse
colpito solo la Grecia, ma qui Diodoro trae le sue informazioni dagli
scritti egiziani generici di cui già aveva parlato (D.S. I 10, 4) e ci dà due
soluzioni: secondo alcuni, si sono salvati solo gli abitanti dell'Egitto
meridionale in quanto territorio arido e privo di rovesci oppure, secondo
altri, il fertile suolo permise una nuova produzione di forme di vita [per
cui è lecito attribuire a questo paese anche la nascita della vita umana (D.S.
I 10, 5-7), sempre legata alla presenza dell'elemento umido, concezione
che rimanda alla primaria visione sulla vita del filosofo Talete 54 e a
quella più tardi espressa da Plutarco].

2.1.3 I “θεολογούμενα”55 (D.S. I 11-29)

50
Ambaglio 1995, 20-28
51
FGrHist 70 F 109
52
Pl. Ti. 22a-23c, ed. Burnet 1908; Arist. Mete. I 14, 352b, ed. Bekker 1860
53
Hdt. II 2, ed. Legrand 1948, 65-67
54
D. L. I, 27 ed. Marcovich 1999, 19
55
Burton 1972, 5-6
19
Secondo una divisione generalmente accettata 56 , i capitoli 11-27
costituiscono i cosiddetti “θεολογούμενα” ed è su questi che verrà
focalizzata l'attenzione. All'interno di un discorso relativo alle fonti, nella
storia della critica letteraria, si era soliti attribuire unanimemente i capp.
11-13 all'influenza esercitata dagli Αἰγυπτιακά di Ecateo; in base a
considerazioni più recenti e probabilmente anche condivisibili57, si è
asserito, invece, che, in realtà, Diodoro si occupi dei culti egiziani a lui
contemporanei, utilizzando sì fonti greche ma anche informazioni che
aveva raccolto durante il suo viaggio in Egitto, consultando e ascoltando
diversi gruppi sacerdotali. Larghe sezioni dei “θεολογούμενα”, in virtù
della identificazione più ricorrente, Osiride-Dioniso, proposta e spiegata
dall'autore passo dopo passo, sono occupate dal mito di Dioniso, una sorta
di racconto in cui non si capisce dove finisca l'uso del nome egiziano
Osiride e dove inizi, invece, quello del nome greco Dioniso.
Rivendicando come propria la nascita della cosmologia, gli Egiziani, dice
il testo (D.S. I 11, 1), avrebbero chiamato i due astri principali visibili ad
occhio nudo, il Sole e la Luna, Osiride58 e Iside59. Questo dato viene
confermato anche dai frammenti di Manetone 60 , storico e sacerdote
egiziano vissuto tra la fine del IV e l'inizio del III sec. a.C. Dalla visione
del cosmo e dalla meraviglia conseguente ad essa 61, i primi uomini
svilupparono un'idea riguardo l'esistenza di esseri divini, che garantissero

56
Burton 1972, 5-7
57
Spoerri 1959, 169-173; Chamoux, Bertrac 1993, XI-XII; 5-6
58
Osiride, tradizionalmente, era venerato come dio dei morti, divenuto poi antropomorfo per
l'associazione con il faraone morto a partire dalla V dinastia (2467-2350 a.C.). Presto assumerà
anche le funzioni di Ra, perdendo così la sua caratteristica connessione con il regno dei morti.
Burton 1972, 54-62
59
Nessuna certezza, invece, sull'origine del culto di Iside; forse deriva dalla deificazione del trono di
Osiride. Così Burton 1972, 62-64
60
Man. fr. 82, ed. Waddell 1948, 196; sul rapporto tra Diodoro e Manetone vedi Cordiano, Zorat 2004,
64-65
61
Spoerri 1959, 164-169
20
l'ordine e la vita62. Non solo: anche durante il tardo Ellenismo venivano
addotte, quali prove dell'esistenza di un potere divino, l'unità ben ordinata
e la bellezza del cosmo, probabilmente per la rilettura dell'aristotelico
Περὶ φιλοσοφίας, ripreso da Cleante e confluito, poi, nel sistema
filosofico stoico63 e nel pensiero comune. Proseguendo (D.S. I 11, 1),
Diodoro giustifica i nomi dati al Sole e alla Luna, definendoli dotati di un
particolare significato etimologico: Osiride, tradotto in greco, significa
πολυόφθαλμος, colui che ha molti occhi (così anche Plu. De Isid. et Osirid.
10, 355a). Ovviamente si tratta di un'etimologia popolare fondata su una
confusione sorta nella pronuncia delle parole occhio (ἶρις) e numeroso
(ὅσος), ma da sottolineare è lo sforzo di Diodoro teso a giustificarla:
infatti cita un verso formulare del Poeta per eccellenza, cioè Omero64:
“ἠέλιός θ’, ὃς πάντ’ ἐφορᾷ καὶ πάντ’ ἐπακούει”. Il riferimento alla vista,
sia nella presunta etimologia sia nel verso omerico, rimanda naturalmente
all'azione di riscaldamento compiuta dai raggi solari sul mare e sulla terra,
come se fossero tanti occhi distribuiti sulla superficie terrestre e marina65.
Tra l'altro, l'assimilazione tarda Osiride-Sole era presente in ambiente
egiziano: erano, infatti, entrambi considerati due aspetti di una stessa
divinità, Osiride l'aspetto “notturno”, cioè il suo cadavere, il Sole l'aspetto
diurno, ovvero il suo “ba”66. In un clima di avvicinamento sempre più
evidente tra alcune religioni, in particolare quella greca e quella egiziana,
del nascente impero, l'autore non può certamente evitare di nominare
l'interpretatio graeca, cioè le due identificazioni di Osiride con Dioniso67,

62
La venerazione del Sole è ben attestata a partire dalla IV dinastia (2575-2467 a.C.). Così sostiene
Burton 1972, 54-56
63
Spoerri 1959, 167-168
64
Ad esempio in Il. III 27 ed. Allen 1931, 76.
65
Spoerri 1959, 172-173
66
Così Assmann 2002, 33-35
67
Hdt. II 42, 2; II 144, 2 ed. Legrand 1948, 95; 168; D.C. L 5, 3
21
per la loro caratteristica fertilità (D.S. I 22, 7), e con Sirio (così Plu. De
Isid. et Osirid.52, 372d), epiteto che spesso veniva rivolto al dio greco
Elio; il tutto condotto in una visione costantemente ellenocentrica:
Dioniso veniva confuso con Osiride, ci dice l'Agiriense, anche dal
leggendario poeta Eumolpo, figlio di Chione e Poseidone, legato agli
ambienti eleusini e alla dea Demetra, e dal cantore Orfeo, dei quali
vengono riportati alcuni versi. Alla tarda età ellenistica pare appartenere
anche l'astrologo Cleomede, sicuramente posteriore al filosofo stoico
Posidonio (inizio I sec. a.C.) ed autore di un testo diviso in due libri, i
Caelestia. In un passo 68 , Cleomede tesse una sorta di inno 69
sull'importanza rivestita dal Sole all'interno del cosmo, ritenendolo il
diretto responsabile della permanenza nell'ordine di tutti i corpi celesti.
Considerazioni simili possono essere trovate anche in altri autori, sia
anteriori sia posteriori, come Cleante, Strabone, Cicerone, Dione di Prusa,
Galeno etc., ma tipico di quest'epoca è il pensiero che il Sole si preoccupi
del mantenimento e dell'amministrazione di tutte le cose (“διοίκησιν τῶν
ὅλων70”), come Diodoro afferma, citando Omero (D.S. I 11, 2), e spiega
più avanti (“τὸν σύμπαντα κόσμον διοικεῖν” D.S. I 11, 5) in riferimento
alla collaborazione e all'interazione di Luna, elemento secco e umido, e
Sole, componente di fuoco e soffio vitale 71 , ed entrambi insieme,
concordemente in vista dell'unità, aria72. I compiti dei due corpi celesti
principali sono τρέφειν e αὔξειν in vista di un' “ἄριστη συμφωνία”
(D.S. I 11, 5) L'autore parla anche del tipico accessorio, la pelle di
cerbiatto, con cui spesso venivano descritti Dioniso insieme ai suoi

68
Cleom. II 1, 396-399 ed. Todd 1990, 57-58
69
Spoerri 1959, 170-172
70
Cleom. II 1, 396
71
Elemento, ripreso da Aristotele, che viene aggiunto ai quattro elementi costitutivi dell'universo
secondo gli Stoici; D. L. V 32, ed. Marcovich 1999, 329
72
D. L. VII 137, ed. Marcovich 1999, 525; Spoerri 1959, 170-173
22
seguaci, cioè Satiri, Sileni e Menadi, ed Osiride.

Subito dopo (D.S. I 11, 4), è la volta dell'etimologia del nome Iside,
anch'essa derivante da una confusione nella pronuncia del greco Ἶσις e la
parola egiziana per antico, cioè 'is. L'identificazione di Iside con la
Luna73 è avvenuta relativamente tardi e soprattutto in ambiente ellenico,
mentre quella con Demetra (D.S. I 13, 5) era già presente in Erodoto74; i
primi Egiziani, inoltre, chiamarono la Terra ''madre'' (come precisato più
avanti, in verità, sono stati gli Stoici a compiere questa operazione),
corrispondente al greco Γῆ μήτηρ75, che col tempo è stato pronunciato
Δημήτηρ (δᾶ=γῆ). La vicinanza tra Iside e Demetra è dovuta alla
caratteristica, tipica di entrambe, di divinità legate al grano, al raccolto,
alle messi. Presso gli Egiziani, tra l'altro, Iside veniva assimilata anche ad
Hathor, dea nutrice dell'Horus vivente, cioè il faraone, sempre
rappresentata come vacca con disco solare tra le corna (l'immagine della
vacca rimanda al culto primordiale della dea madre). Questa fusione era
dovuta al fatto che Horus, arrabbiato per la riconciliazione materna con
Seth-Tifone (altra assimilazione di un dio egizio con un dio greco: Tifone,
nella mitologia greca il figlio di Gea e Tartaro76, è il nome di Seth nel
periodo ellenistico), assassino e fratello di Osiride, le avrebbe tagliato la
testa, che poi le sarebbe stata restituita da Ermes sotto forma di elmo con
testa bovina (così anche Plu. De Isid. et Osirid. 19, 358d). Nomi greci,
dunque, al servizio di miti egizi. In I, 12 Diodoro definisce egiziano, forse
perché usa come fonte principale per questo passo Manetone 77 , un
processo che, in realtà, vide impegnati prima i Sofisti, in seguito Platone

73
D.S. I 11, 1; forse D.C. L 5, 3, dove è contenuto un accenno ai nomi con cui Cleopatra era solita farsi
chiamare in pubblico ed erano Selene e Iside.
74
Hdt. II 59, 2 ed. Legrand 1948, 106
75
Orph. Fr. 302 ed. Kern 1963, 317
76
Hes. Theog. 820-22, ed. West 1966, 142
77
Man. fr. 83 ed. Waddell 1940, 197-198
23
nel Cratilo e infine gli Stoici78: quello, cioè, di dare un valore allegorico
ai nomi delle divinità. Così il soffio vitale (τὸ πνεῦμα) fu chiamato Zeus,
in quanto padre di tutti, come anche Omero canta79; il fuoco (τὸ πῦρ)
prese il nome del dio Efesto80, identificato dai Greci con il dio egiziano
Ptah (D.S. I 13, 3) per l'omofonia tra i due nomi e la caratteristica di essere
entrambi dei-artefici; la terra (ἡ γῆ) divenne la madre e, presso i Greci,
Demetra (cfr. sopra); per la componente umida (τὸ ὑγρόν) venne scelto il
nome Oceane81, antico nome del Nilo, luogo della mitica nascita degli
dèi, ma, in virtù del significato di ''madre nutrice'', era ritenuta da alcuni
greci spesso uguale a Oceano, anch'esso origine degli dei82. Una volta
nati, gli dèi vagarono in Egitto83 e fondarono città che mantennero il
loro nome fino al tempo dell'autore (ad es. Diospoli84 e Panopoli85),
quando veramente la versione ellenizzata di questi nomi si diffuse dopo
il III sec.a.C.; all'aria (ὁ ἀήρ), infine, in quanto pura, fu dato il nome di
Atena, figlia vergine di Zeus, nata dalla sua testa, identificata con Neith,
dea protettrice della città di Sais, già da Erodoto 86 ed entrambe
rappresentate con civetta e lancia 87 . Sono passati in rassegna e
contestualizzati anche gli epiteti tipici di Atena, come Τριτογένεια, messo
in I 12, 8 in relazione all'alternarsi di primavera, estate ed inverno (anche
se in V 72, 3 lo spiega come ''nata dalle sorgenti del fiume Tritone''), e

78
Spoerri 1959, 175-182
79
Il. I 544, ed. Allen 1931, 26
80
Per l'identificazione di Efesto con il fuoco artefice anche D. L. VII 147
81
In quanto nome femminile, potrebbe contenere un riferimento a Iside.
82
Il. XIV 201 ed. Allen 1931, 47
83
Od. XVII 485-7, ed. Dindorf 1900, 82
84
Sappiamo che, quando Diodoro compì il suo viaggio in Egitto, molte città egiziane avevano tramutato
il loro nome egizio in greco, a causa dell'identificazione del dio locale con il corrispondente greco.
Tebe veniva chiamata durante il periodo ellenistico Diospoli, cioè città di Zeus, identificato con
Amon, patrono della stessa. D.S. I 18, 2; Str. XVII 46, 1 ed. Laudenbach 2015, 60
85
Quanto detto nella nota precedente, vale anche qui. La città di Chemmis, votata al dio Min,
identificato con Pan, divenne Panopoli. Str. XVII 41, 5 ed. Laudenbach 2015, 55
86
Hdt. II 28, 1; 59, 3; 169, 4; 175, 1 ed. Legrand 1948, 83; 106; 185; 189
87
Abbiamo notizia di uno scritto dello stoico Diogene di Babilonia, Su Atena, che potrebbe contenere
l'identificazione di Atena con l'aria.
24
come Γλαυκῶπις, legato, secondo l'autore, al colore azzurrino dell'aria.
Le cinque divinità hanno il potere di percorrere tutta la terra sotto l'aspetto
di animali sacri, che in Egitto variavano a seconda delle zone ed erano
particolarmente venerati, o di esseri umani. Questi gli dèi eterni cosiddetti
celesti, in base ai racconti degli Egiziani (D.S. I 12, 10). Sugli dèi terrestri,
invece, di origine mortale, alcuni furono anche re dell'Egitto e per i loro
meriti ottennero l'immortalità. Si tratta di un Leitmotiv tipico dei primi
libri dell'opera, di chiara derivazione evemeristica 88, forse presente anche
negli Αἰγυπτιακά di Ecateo di Abdera e nei vari poemi riuniti in un ciclo
epico di Dionisio di Mitilene89, attivo tra la fine del II e l'inizio del I sec.
a.C., utilizzato dall'Agiriense in III 52 per sviluppare la storia su Dionisio.
Dall'analisi degli ultimi tre capitoli (I 11-13) emerge una theologia
tripertita, che fa propria anche Varrone90: γένος φυσικόν o theologia
naturalis in I, 11, che parte da un punto di vista naturale; γένος μυθικόν o
theologia fabularis in I, 12, in un'ottica di resa e razionalizzazione del
mito; γένος πολιτικόν o theologia civilis in I, 13, infine, equivalenti al
pensiero evemeristico91. I nomi di quest'ultima razza divina sono: 1)
uguali a quelli degli dèi celesti; 2) nomi loro propri. Non vi è un'unica
tradizione sul primo re: Elio, omonimo del Sole, o Efesto, scopritore,
assai ingegnoso, del fuoco secondo gli Egiziani (diversamente i Greci,
secondo cui lo scopritore del fuoco fu Prometeo). Regnò per secondo
Crono (D.S. I 13, 4) insieme alla sorella-moglie Rea, da cui generò, Zeus
ed Era, per alcuni, o Iside e Osiride, per la maggior parte, elevati, grazie
alle loro qualità, a signori dell'intero cosmo. Da loro nacquero cinque dèi,

88
D.S. (VI 1) ap. Eus. PE. II 2, 52-62.
89
FGrHist 32
90
Tertullan. Ad nat. II 1, ed. Dekkers 1954, 41; per maggiori approfondimenti vedi Assmann 2000, 281-
282
91
Spoerri 1959, 195-201
25
generati nei cinque giorni inseriti nel calendario egiziano (i cosiddetti
giorni epagomeni), - che prevedeva dodici mesi di trenta giorni suddivisi
in tre stagioni - alla fine dell'anno: avevano nome di Osiride, Arueris,
chiamato anche Apollo o Horus il Vecchio, Seth-Tifone, Iside e Neftys
chiamata o Fine o Afrodite o Vittoria (così Plu. De Isid. et Osirid. 12,
355e). Tradotti in greco, Osiride significa Dioniso e Iside Demetra92. Essi,
una volta sposatisi, e divenuti sovrani, compirono molte azioni a favore
del genere umano, come la scoperta dei frutti e dell'agricoltura,
coincidenti con la fine del cannibalismo e lo sviluppo del genere umano.
Non a caso, nella stessa stagione si svolgevano delle feste in onore di Iside,
che iniziavano con l'offerta delle prime spighe falciate e proseguivano con
un'invocazione della dea accompagnata da colpi sul petto93; in alcune
città, inoltre, venivano organizzate delle vere e proprie processioni con
frumento e orzo, accompagnate da manifestazioni di lutto per lo
smembramento del corpo di Osiride (D.S. I 21, 2), in seguito all'assassinio
da parte del fratello Tifone. Riprendendo la definizione di Assmann94, si
parla, in questo caso, di 'riti di lutto', dal momento che l'attenzione veniva
rivolta esclusivamente a colui che era riuscito a sottrarsi alla morte.
Questo genere di celebrazioni, chiamate dal Merkelbach 'das Erntefest',95
era strettamente collegato al ciclo della natura e delle messi: il taglio del

92
D.S. I 13, 5; Iside è identificata con Demetra perché entrambe legate al ciclo del grano. In Aug. Civ.
VIII 27, 2, ed. Dombart 1909, 367 vi è una menzione della scoperta dell'orzo da parte di Iside, che
ne mostrò le spighe al marito e poi al consigliere Mercurio; per questo era identificata con Cerere,
la Demetra dei Romani, anch'essa divinità connessa al grano ed alla fertilità. c
93
Secondo Frazer 1922, 442-452, l'invocazione malinconica della dea Iside in seguito al pianto sul
primo fascio tagliato, accompagnata da percosse sul petto, veniva chiamata presso i Greci
''Maneros''; essendo queste lemantazioni legate alla morte del dio del grano, si può supporre che la
divinità in questo caso fosse Osiride, il quale con l'invocazione “Maneros” (= “Vieni alla tua casa”)
veniva richiamato in vita, dopo essere stato ucciso dai mietitori. Plu. De Isid. et Osirid. 17, 357e,
parla del culto “Maneros”, attribuendolo però alla morte del ragazzo, di nome, appunto, Maneros,
che aveva osato spiare Iside mentre baciava il marito morto.
94
Assmann 2002, 10-11
95
Vedi Merkelbach 1963, 42-44. Questa festa è ricordata anche da Firm. Err. 2, 6, ed. Turcan 1982, 79-
80
26
cereale o del grano ricordava lo smembramento e la morte di Osiride, cui
seguiva la rinascita dopo la trebbiatura e la separazione della pula dal
chicco di grano. La regina Iside fissò anche le prime leggi, motivo per cui
i Greci chiamarono Demetra “θεσμοφόρος” (D.S. I 14, 4) ed in alcune
aretalogie compaiono riferimenti all'attività legislativa di Iside.
Diversamente da quanto affermato nella sezione relativa al γένος μυθικόν,
in I 15, 1 la città dalle cento porte, cioè Tebe o Diospoli, è detta fondazione
di Osiride o del re Busiride, benché manchi accordo sulle due versioni tra
gli storiografi contemporanei all'Agiriense. Osiride, poi, fece costruire un
santuario per i genitori96, Zeus ed Era, e due cappelle d'oro a Zeus, una
allo Zeus celeste, l'altra allo Zeus suo padre, cioè Amon, ed altre per i
rimanenti dèi. Da bravi regnanti, Iside ed Osiride tennero molto in
considerazione quanti si dedicavano alle arti o a discipline utili, perché,
grazie a loro, fu possibile realizzare statue e cappelle d'oro, tramite
l'estrazione di rame ed oro, per gli dèi, oltre a lavorare la terra e ad
uccidere bestie selvatiche. Osiride, ci dice Diodoro in I 15, 8,
perfettamente in linea con il mito greco di Dioniso, scoprì la vite e la
lavorazione per ottenerne il vino, la insegnò agli uomini e per la sua natura
di tendenza filantropica adorava particolarmente Ermes. Questo elemento
del mito, cioè Osiride dio del vino, non è ovviamente attestato nelle fonti
egiziane; si tratta, infatti, del risultato dell'ellenizzazione del suo culto,
come lo è anche la festa dei pampini, introdotta in età tolemaica, a
Tentyris o Dendera: insieme ad altre spie contenute sia in D.S. I 22, 6 sia
in Plu. De Isid. et Osirid.97, lascia pensare ad un'influenza esercitata dal
mito di Dioniso Zagreo sulla saga mitologica egiziana legata ad Osiride e
non viceversa. Osiride fu allevato, cresciuto e poi sepolto vicino alla

96
Si tratta del tempio di Amun a Karnak.
97
Plu. De Isid. et Osirid. 18, 358b
27
moglie a Nisa d'Arabia98, dove rimangono due loro stele (I 27, 4-5),
composte dall'autore basandosi sugli epiteti culturali tipici dello
Spaethellenismus, le quali ripetono per entrambi il motivo del πρῶτος
εὑρητής99 (lei per prima ha scoperto i frutti della terra, lui per primo ha
viaggiato con il suo esercito colonizzando l'intero mondo), tanto caro alla
storiografia greca e qui connesso ai meriti di uomini mortali che
divennero poi dèi immortali; Dioniso, secondo una pseudo-etimologia,
manterrebbe nel nome l'eco di quello paterno: Διο- e Νῦσα, Nisa,
toponimo di una città variamente localizzata da cui trasse l'epiteto di
Niseo (I 27, 3). Entrambe le stele, stilisticamente, appaiono molto simili
e strutturate allo stesso modo: contengono una presentazione con
indicazione del padre e i meriti. In un'ottica chiaramente evemeristica,
Crono è detto in entrambe ''il più giovane dio'' (“τοῦ νεωτάτου Κρόνου
θεοῦ” e “Κρόνος νεώτατος θεῶν ἁπάντων”)100. Sulla stele di Iside,
scritta in uno stile poco più elevato, non ci sono dubbi riguardo la sua
esistenza, inventata ad hoc da Diodoro, ma è degno di nota il fatto che
corrisponda all'inizio di un Inno a Iside, ritrovato su testi epigrafici a
Cuma Eolica. Plutarco101 conferma l'informazione che la costellazione
del Canis Maior fosse chiamata Iside e Sirio. Quanto cattura la nostra
attenzione è il riferimento alla fondazione da parte della dea della città di
Bubasto, capitale del Basso Egitto. Di alcune cerimonie 102 che lì
avevano luogo ci parla Erodoto e dice che venisse celebrata la dea gatto
eponima, figlia di Iside ma non Iside stessa, Bastet, cui venne consacrato

98
Per sostenere la sua localizzazione di Nisa, Diodoro cita i vv. 8-9 di Hom. H. Bacc. I, ed. Allen, Sikes
1904, 4
99
Ambaglio 1995, pp. 90-95
100
Bergman 1968, 29-31
101
Plu. De Isid. et Osirid. 21, 359c-d
102
Hdt. II 60 ed. Legrande 1948, 107
28
un tempio ed era identificata con la dea greca Artemide103. Come fa
notare il Bergman104, come Osiride fondò la città di Tebe in onore della
madre, può avere agito allo stesso modo anche la dea Bastet, ma appare
un modo un po' evasivo e superficiale di risolvere la questione. Iside era
spesso accostata ed assimilata alla dea Hathor (I 11, 4), che aveva il suo
principale luogo di culto a Dendera-Tentyris e spesso nei testi, come
anche nelle pitture, le due dee non sono distinguibili: Dendera, a sua volta,
spesso era nominata e definita ''Bubasti del sud'', a testimoniare antichi
collegamenti tra i luoghi di culto e le loro divinità105. Bastet, comunque,
mantenne la prerogativa di dea locale, conosciuta quasi esclusivamente
all'interno delle località di culto. L'enorme importanza che Diodoro
accorda a Iside si pone in stretto collegamento con l'influenza che il culto
della stessa esercitava sulla società dell'epoca: infatti ogni città di una
certa rilevanza possedeva un tempio in onore della divinità. Nel testo della
stele dedicata ad Osiride, si incontrano due componenti mitologico-
culturali, una tipicamente greca che si esplica nell'immagine di Osiride-
Dioniso conquistatore-civilizzatore del mondo (“ὁ στρατεύσας ἐπὶ πᾶσαν
χώραν” I 27, 5) ed un'altra egiziana, cioè l'indicazione della genealogia,
in cui particolare attenzione meritano le espressioni: “βλαστὸς ἐκ καλοῦ
τε καὶ εὐγενοῦς ᾠοῦ σπέρμα συγγενὲς ἐγενήθην ἡμέρας” I 27, 5. La
menzione dell'uovo rimanda al concetto di UrEis106, connesso ai primi
uccelli ed ai primi dèi egiziani, e alle definizioni, per niente inusuali, dei
re egizi come ''uovi eccellenti''. Geb, padre di Iside e Osiride e secondo
l'interpretatio graeca Kronos, è legato spesso all'oca. Essendo Osiride,
inoltre, nella mitologia egiziana, da sempre, il re dell'oltretomba, non di

103
Hdt. II 137; 156 ed. Legrande 1948, 162; 177
104
Bergman 1970, 11-14
105
Bergman 1970, 15-26
106
Bergman 1970, 73-87
29
rado il tema dell'uovo può comparire in testi funerari. Il tema della nascita
degli dèi dall'uovo cosmico è presente anche all'interno della dottrina
orfica107 e, ad esempio, nella nascita di Phanes dall'uovo modellato da
Chronos108. Anche la parola ''seme'' ricorda l'epiteto spesso rivolto ad un
re ''nobile seme''; essa non è lontana dalla cosmogonia orfica109, dove è
ricorrente il numero quattro in riferimento ai quattro elementi primordiali
(Caos, Notte, Erebo e Tartaro). La stirpe cui appartiene Osiride è la stessa
del giorno, cioè quella dei mortali, della luce (ἐς φῶς110 e ἐς φάος111) e
del Sole (cfr. γένος φυσικόν, dove il Sole viene chiamato Osiride).

Andando al capitolo 16, esso si apre con la descrizione delle scoperte di


Ermes, identificato con Thoth, dio-ibis dell'intelligenza ma non della
musica e della palestra, già da Erodoto112, πρῶτος εὑρητής della lingua
e dell'alfabeto 113 (da cui ἑρμηνεία: la capacità di espressione), degli
onori e dei sacrifici per gli dei, dell'astrologia e della natura dei suoni,
della palestra e dell'euritmia; inventò la lira a tre corde114, come tre erano
considerate le stagioni dell'anno. Ermes divenne lo scriba di Osiride:
Thoth, infatti, divinità lunare, era spesso rapportato a Ra, il Sole, prima
che le caratteristiche solari venissero assegnate ad Osiride, ed, anzi, a
volte, compare come suo scriba. Diodoro gli attribuisce anche la scoperta
dell'olivo, che viene, così, sottratta ad Atena. In I, 17, durante la
spiegazione dell'evoluzione del regno di Iside e Osiride, vengono inseriti
molti dèi ed eroi di origine greca o egiziana, tutti presenti, dunque, nello
stesso mito: oltre ad Ermes, divenuto consigliere di Iside, si parla di

107
Giusta osservazione in Casadio 1995, 207-209
108
Orph. Fr. 70-72 ed. Kern 1963, 149-151.
109
Ar. Av. 693-699, ed. Zanetto 1987, 82
110
In riferimento all'azione di Eros cit. Ar. Av. v. 699
111
Hes. Theog. 626; 652, ed. West 1966, 135
112
Hdt. II 138, 4 ed. Legrande 1948, 163
113
Per il mito di Theuth-Thoth, dio-ibis inventore della scrittura, vedi Pl. Phdr. 274c-275b ed. Burnet
114
Diversamente Hom. h.Merc. IV 51, ed. Allen, Sikes 1904, 143: qui la lira ha sette corde.
30
Eracle (anche I 24; I 2, 4), cui venivano affiancate varie divinità egiziane
note per la loro forza fisica, come Shu, dio dell'aria e separatore del cielo
e della terra, Chonsu, figlio di Amon e in origine dio della luna, Herishef,
dio dalla testa di Ariete e probabilmente dio del Nilo venerato a
Heracleopolis Magna, ed Onuri; di Busiride, non chiaramente
identificabile; e di Apollo, qui fratello di Osiride ma spesso assimilato ad
Horus115, figlio di Osiride, per gli attributi solari che li accomunano. Il
re, così come Dioniso per i Greci, scoprì l'edera o chenosiride, che in
egiziano significa, appunto, ''pianta di Osiride'' 116 ; Apollo l'alloro;
Afrodite il mirto. Tra i partecipanti alla spedizione intorno al mondo
anche i figli di Osiride, Anubi117 e Macedone118, il primo vestito di
pelle di cane, il secondo di pelle di lupo (questi animali erano venerati
dagli Egiziani), Pan, confuso con il dio itifallico della fertilità Min119,
spesso entrambi con aspetto caprino, Marone, esperto nella piantagione
della vite, già associato al vino120 sin da tempi antichi, e Trittolemo,
esperto nella semina e nella raccolta del grano, figura da sempre legata
all'ambito dei misteri eleusini di Demetra 121 , la quale, per la sua
ospitalità, gli avrebbe donato un drago alato con cui seminare grano in
tutto il mondo. Poco prima di partire, il re fece un voto agli dèi che fino
al suo ritorno non avrebbe tagliato i capelli e la barba, usanza egiziana
ancora in uso ai tempi di Diodoro per chi fosse in viaggio. Osiride si recò
poi in Etiopia ed al suo cospetto fu portato il popolo dei Satiri, i quali,

115
Hdt. II 144, 2 ed. Legrande 1948, 167-168
116
Etimologia giusta presente anche in Plu. De Isid. et Osirid. 37, 365e
117
Inizialmente quarto figlio di Ra, poi fu considerato figlio di Osiride e Nefthys (così Plu. De Isid. et
Osirid.14, 356f), spesso confuso con Horus
118
Da identificarsi con Wepwawet, il dio lupo, associato ad Anubi come compagno e guardiano o figlio
di Osiride
119
Diversamente Hdt. II 46, ed. Legrande 1948, 99 dove Pan è assimilato al dio-ariete Mendes
120
Od. IX 197, ed. Dindorf 1897, 138
121
Hom. h.Cer. I 153; 474; 477, ed. Allen, Sikes 1904, 28-29; 55-56
31
insieme a nove vergini, identificate dai Greci con le Muse, e Apollo, detto
perciò, Musegete, intonavano musica e ballavano per il diletto del re. I
Satiri furono annessi alla spedizione, che non aveva un carattere bellicoso,
ma anzi era una missione di civilizzazione122: per questo, in Etiopia, fu
introdotta l'agricoltura e furono fondate molte città. Durante la sua
assenza, in Egitto si verificò un'inondazione dovuta alla piena del Nilo,
che invase le zone destinate all'amministrazione dell'ansioso Prometeo,
forse vicino al dio delle acque primordiali, Nefertem, figlio di Ptah. Per
la sua rapidità, il fiume, prima Oceane (I 12, 5), fu poi chiamato Ἀετός
(aquila), e, infine, ricevette il nome di Egitto123, esteso poi anche alla
terra circostante. Si tratta di un nome egiziano geroglifico gbtyw, derivato
da uno dei tanti per la città di Memfi, capitale sotto l'Antico Regno (2700-
2192 a.C.), attestato anche nel lineare B akuptijo. Diodoro fa risalire il
nome all'antico re Egitto, di cui sono fornite due versioni mitologiche, una
presente a II 51, 3: Egitto, figlio del Nilo, trasformatosi in toro per unirsi
e Memfi, figlia del sovrano di Memfi, Ucoreo. Nilo124 è l'ultimo nome
tratto dal re Nileo. Grazie all'intervento di Eracle fu messa fine
all'emergenza: da qui in maniera allegorica si sarebbe prodotto il mito
greco, secondo cui Eracle uccise l'aquila che divorava il fegato di
Prometeo. Dopodiché Osiride si diresse in Arabia, poi in India: lasciò
anche qui i segni della civilizzazione. Tornò, infine, in Europa attraverso
l'Ellesponto, uccise il re dei Traci, Licurgo (omicidio che la tradizione
greca attribuiva a Dioniso, che si vedeva negata l'introduzione dei riti
bacchici), al posto del quale lasciò Marone125, cui intitolò la città di

122
Osiride assume qui il connotato di precursore delle gesta di Alessandro, immagine tipica dell'epica
successiva alla morte del Magno. Così Casadio 1995, 205-207.
123
Od. XIV 246; 257, ed. Dindorf 1900, 23-24
124
Hes. Theog. 338, ed. West 1966, 124
125
Si ritiene che abbia accompagnato Dioniso nel suo viaggio in India.
32
Maronea, città tracia sulla costa egea, fondata storicamente da coloni di
Chio, particolarmente famosa per i suoi vini. Macedone, invece, fu
preposto ad un territorio che prese il nome di Macedonia, mentre
Trittolemo fu preposto alle coltivazioni dell'Attica. Osiride, laddove non
era possibile coltivare vite, insegnò la preparazione di una bevanda simile
alla birra, chiamata dagli Egiziani “ζῦθος” (I 34, 10). Una volta in Egitto,
portò con sé i doni migliori di ogni parte del mondo: per tutti i suoi meriti,
divenne immortale e oggetto di culto. Morto, la moglie Iside insieme al
consigliere Ermes gli tributarono sacrifici e onori divini, tra cui diverse
cerimonie religiose. I capp. 21-22 trattano una tradizione del mito più
strettamente egiziana, riferita in maniera ampia e dettagliata anche da Plu.
De Isid. et Osirid. 12, 355d-21, 359b: Osiride non morì naturalmente ma
venne ucciso e smembrato dal fratello Seth-Tifone126, cui si oppose Iside,
che girò il mondo per ritrovare tutti i pezzi del corpo e, ovunque ne
trovasse una parte, istituì il culto del fratello-marito. Si tratta di un segreto
sacerdotale, rivelato agli antichi sacerdoti da Iside stessa, ma nel corso
della storia, non rimase più tale; forse Diodoro vuole far capire di averlo
appreso da qualche testo sacro egiziano: ritorna il “φασὶ” presente in I 10,
1. L'inizio di questa versione, probabilmente riferibile all'epoca ellenistica,
non è molto diverso da quella riferita poc'anzi: Osiride, quando era re
dell'Egitto, venne ucciso dal fratello Seth-Tifone, violento ed empio, che
ne smembrò il corpo in ventisei127 parti e le consegnò a coloro che lo
avevano aiutato nell'impresa omicida. La sorella-moglie Iside, aiutata dal

126
Questa parte del mito ricorda molto da vicino un rituale tipico dei riti dei misteri dionisiaci, lo
σπαραγμός, descritto dettagliamente da E. Ba. 1114-1147 (per maggiori approfondimenti vedi Di
Benedetto 2004, 145-148). Secondo Frazer 1922, 454-455 lo σπαραγμός sarebbe il residuo di
un'antichissima usanza che prevedeva l'uccisione dei re considerati divini e la dispersione dei loro
corpi allo scopo di fecondare i terreni.
127
Non vi è una concordanza tra i numeri che vengono dati: a volte sedici, a volte addirittura
quarantadue. Plutarco dice quattordici (De Isid. et Osirid. 18, 358a)
33
figlio Horus, nome che, in questo caso, non subisce l'interpretatio graeca
e, dunque, non diventa Apollo, uccise a sua volta Tifone e dopo regnò
incontrastata sull'Egitto. Horus, nella tradizione egiziana antica, era
rappresentato come dio-sparviero, figlio della dea Hathor, poi Iside-
Hathor (il nome Hathor, infatti, significa ''casa di Horus''), ed il faraone
era considerato e adorato come sua incarnazione terrena; aveva molti
luoghi di culto, tra cui spicca Nekhen-Ieracompoli, ''città dello sparviero''.
La battaglia, in cui prevalse la famiglia del re ucciso, prese luogo in una
regione volta ad est, che trasse la denominazione da Anteo, gigante figlio
di Poseidone e Ge, che costringeva tutti i passanti a lottare con lui in Libia,
punito, poi, da Eracle128 in una delle sue fatiche. Iside trovò tutte le parti
del corpo, tranne il membro virile; nei luoghi dei ritrovamenti, plasmò
con aromi e cera un modello in forma umana simile a Osiride 129 .
Convocò poi a gruppi i sacerdoti e, attraverso un giuramento, ottenne la
loro discrezione riguardo il segreto (cfr. sopra) e li invitò a onorare e a
tributare onori al marito come ad un dio insieme agli animali che
volessero130. Ancora all'epoca di Diodoro (“μέχρι τοῦ νῦν” I 21, 9), i
sacerdoti rinnovanano il lutto per la morte degli animali sacri, come ad
esempio i tori Api e Mnevi, il cui culto, divenuto nazionale, dice, risalisse
fino a Osiride. Iside continuò la sua attività di regina, rimanendo fedele al
marito, portando benefici ai popoli. Deceduta, ricevette onori degni di una
dea e fu sepolta a Memfi131, come il marito, dove ancora allora si
indicava il tempio, contenuto nell'area sacra ad Efesto. A Memfi

128
D.S. IV 17, 4
129
Questa procedura rimanda a vari rituali egiziani.
130
Stesso modo di agire attribuisce a Iside Plutarco (De Isid. et Osirid. 18, 358a-b; 20, 359a-b; 35, 365a).
La teologia egiziana annoverava tra i suoi culti non solo quelli rivolti agli dèi, ma anche quelli
rivolti ad animali considerati sacri (cfr. D.S. I 83-90 e Plu. De Isid. et Osirid. 71, 379c-78, 383a)
131
Plutarco afferma che secondo alcuni la tomba era a Memfi, secondo altri a File o a Tafosiride (De
Isid. et Osirid. 20, 359b); Eudosso di Cnido (Eudox. Fr. 291, ed. Lasserre 1966, 105) dice a Busiride.
34
(quand'era capitale dell'Antico Regno portava il nome di Hikuptah,
''dimora dell'anima di Ptah''), difatti, veniva venerato il dio Ptah che
veniva identificato con Efesto (D.S. I 13, 3). Secondo altre fonti (“ἔνιοι
δέ φασιν” D.S. I 22, 3), i corpi si troverebbero ai confini tra l'Etiopia e
l'Egitto, presso l'isola sul Nilo (inaccessibile a chi non fosse un
sacerdote132) vicina alla città di File, dov'era venerata la dea Iside, culto
che sopravvisse addirittura fino al V sec. d.C. Vengono addotte come
prove della presenza dei corpi la tomba costruita per Osiride e i
trecentosessanta133 vasi destinati alle libagioni posti intorno, riempiti
ogni giorno di latte dai sacerdoti preposti, che intonavano canti lugubri in
cui comparivano i nomi degli dei. Non a caso, prosegue Diodoro (I 22, 6),
il giuramento più vincolante era quello fatto in nome di ''Osiride che giace
a File''134. Le pudenda di Osiride, invece, furono gettate da Tifone nel
fiume, perché nessuno dei compagni le volle. Iside, invece, introdusse un
culto ad hoc135 con tanto di simulacri da disporre nei santuari: divennero
così la parte più adorata durante le cerimonie religiose e i sacrifici136.
Anche i Greci, i quali sono detti da Diodoro e dalle sue fonti eredi delle
celebrazioni orgiastiche e dionisiache nate in Egitto, rendono onori al
membro virile di Dioniso sia nei misteri sia nei riti di iniziazione e
sacrifici a questo dio, chiamandolo “φαλλός” I 22, 7. Il fallo, connesso
alla fertilità, rivestiva un ruolo di primaria importanza durante i culti
dionisiaci, in particolare nelle Falloforie, dove un suo simulacro era
portato in processione, mentre nel mondo mitologico egiziano rivestivano
maggiore importanza i testicoli di Seth e compaiono riferimenti sporadici

132
Plu. De Isid. et Osirid. 20, 359b
133
Secondo fonti egiziane, erano trecentosessantacinque.
134
Ricorda il giuramento anche Tzetze, nel commento alla Cassandra di Licofrone.
135
Plu. De Isid. et Osirid. 18, 358b
136
Così ci dice anche Plutarco (De Isid. et Osirid. 18, 358b; 36, 365c)
35
al fallo di Osiride in alcune canzoni rituali per Iside e Neftys e
rappresentazioni di Osiride o Min o Bes come dèi itifallici. In età
ellenistica sotto i Tolomei, a partire dal III sec. a.C., il culto di Dioniso
venne introdotto ed esteso a tutto l'Egitto. Al cap. 23 e 26, primo paragrafo,
si tenta di instaurare un rapporto di tipo cronologico tra la morte di Iside
e Osiride ed il passaggio di Alessandro Magno nel 332-1 a.C. 137 . Qui
emerge una chiara prospettiva evemeristica, che pone sullo stesso livello
Iside e Osiride e Alessandro Magno, oggetto di culti divini 138 in un
processo di chiara ispirazione egiziano-orientale. Diodoro, inoltre,
confuta quanti credono che Dioniso-Osiride sia nato a Tebe di Beozia da
Semele e Zeus, perché Orfeo, dopo aver preso parte ai misteri dionisiaci139,
per la prima volta lì istituiti, li trasferì in Tracia140. Su Orfeo, tra l'altro,
un mito ci dice che entrò in conflitto con Dioniso, perché lo aveva esortato
a continuare a venerare Apollo 141 ; a ragione, sottolinea il Guthrie 142 ,
Orfeo spesso non è distinguibile da Apollo per le peculiarità di cui è
dotato, anche se è descritto come un seguace tracio (qui l'ossimoro) della
religione apollinea. Altra confusione viene fatta su Cadmo, definito re
della Tebe egiziana, ma nella tradizione mitologica greca anteriore era il
fondatore fenicio della Tebe beota: oltre all'omonimia delle due città,
questa versione del mito può esser dovuta probabilmente alla parentela
del padre di Cadmo, Agenore, con Epafo, figlio di Zeus ed Io, che nacque
in Egitto. Semele, la cui origine non è greca ma forse frigia, legata alla
sfera ctonia, o forse semitica (l'aquila madre ''Sml''), madre di Osiride, era
figlia di Cadmo e rimase incinta dopo aver subito una violenza; Cadmo,

137
Pare evidente l'influenza esercitata dai romanzi di Alessandro.
138
Plu. Alex. 17, 6; 27, 9 ed. Ziegler 1968, 173-174; 188-189. Cagnazzi 2005, 132-144
139
Per i riti dionisiaci E. Ba. 1043 e ss., ed. Grégoire 1961, 284 e ss.
140
In realtà la religione orfica fece la sua apparizione in Sicilia o ad Atene.
141
A. Fr. 23, ed. Radt 1985, 139
142
Guthrie 1987, 355 e ss.
36
dopo un responso oracolare, trattò il neonato secondo le usanze patrie e
attribuì la paternità del nipote a Zeus. Orfeo, qualche generazione dopo,
intrattenne relazioni di ospitalità (“ἐπιξενωθῆναι” I 23, 6) con i
discendenti di Cadmo e ricevette onori particolari a Tebe, dove ascoltò le
notizie sulla nascita di Osiride e diede, così, avvio ad un nuovo rito
d'iniziazione, dove gli iniziati apprendevano la falsa notizia sulla nascita
di Dioniso, come loro lo chiamavano, da Semele e Zeus. Nei passi I 23,
2; 23, 7, aldilà della cornice romanzesca tipicamente ellenistica e
dell'elemento etnocentrico egiziano, è proprio il ''vettore orfico'' il tramite
tra la sapienza egiziana e la mistica greca143. Anche Euripide (Diodoro fa
un chiaro riferimento all'ambito del teatro: “τὰ θέατρα” in I 23, 8), nelle
Baccanti, commise l'errore di credere che Dioniso avesse origini greche:
gli Egiziani, dunque, da quest'ottica, hanno ragione quando rivendicano
per sé la nascita di eroi e dèi, nonché la fondazione di alcune colonie.
Eracle, presente in I 24, 2 (secondo gli autori classici Ἥρα+κλέος, anche
se il nome è, in realtà, connesso ad una radice sanscrita *sar-, forza),
infatti, egiziano d'origine secondo le fonti di cui fa uso l'autore, non visse
una generazione prima della guerra di Troia, ma all'epoca della nascita
degli uomini e in quel periodo avvenne la guerra contro i Giganti. Erodoto,
per risolvere il problema cronologico, ammise l'esistenza di due Eracle
vissuti in periodi diversi144, impostazione che viene ripresa da Diodoro,
che considera greco l'Eracle più giovane, figlio di Alcmena, chiamato alla
nascita Alceo e più tardi così per aver emulato l'eroe omonimo. Dà credito
a questa versione la tradizione secondo cui Eracle liberò la terra dalle
bestie selvatiche, cosa che può essere avvenuta non all'epoca della guerra
di Troia: per questo suo gesto generoso, venne innalzato a dio. Molti

143
Così fa notare giustamente Casadio 1995, 214-222
144
Hdt. II 43; 145 ed. Legrande 1948, 96-97; 168
37
studi145 hanno cercato di dimostrare l'origine anatolica della tradizione
letteraria relativa a Eracle, risultato di un eroe epico babilonese e
l'eponimo divino di una casta sacerdotale della Lidia. Sempre secondo gli
Egiziani (ritorna il “φασὶ” che rimanda alle fonti), anche Perseo visse in
Egitto, vantava simili parentele, poiché sua madre Danae discendeva da
Linceo, figlio di Egitto, e furono i Greci a trasferire ad Argo il luogo natale
di Iside, in quanto confusa con la dea Hathor a sua volta assimilata ad Io,
madre di Epafo, raffigurate entrambe sotto forma di vacca, anche se nel
mito greco Io assumeva le forme di una giovenca146.

I primi due paragrafi del cap. 25 fanno un po' da riassunto a quelle che
sono le varie identificazioni di Iside e Osiride: la prima è anche Demetra,
Selene, Era, in quanto moglie del dio supremo, o tutte insieme
contemporaneamente; l'altro è anche Serapide 147 , Dioniso, Plutone,
Amon, Zeus, in quanto dio padre, e Pan. Serapide era la divinità
protettrice di Alessandria d'Egitto, nata da assimilazione di Osiride-Api e
Dioniso e di Zeus e Plutone, da quando Tolomeo II ne promosse il culto
per favorire l'integrazione dell'elemento greco. Il culto di Serapide
rimpiazzerà quello di Osiride, che rimarrà solo in Egitto. Iside era anche
dea della scienza medica, capace di guarire gli uomini che glielo
chiedessero: infatti, in tutto il Mediterraneo essa è venerata come dea
guaritrice (soprattutto a partire dal III sec. a.C.); il culto di Iside divenne
universale sotto l'impero romano e sopravvisse fino al VI sec. d.C.148
Somministrò, inoltre, al figlio Horus il farmaco dell'immortalità 149 ,
perché resuscitasse dopo la cospirazione ordita a suo danno dai Titani

145
Ad esempio Brundage 1958, 225-236
146
Ov. Met. I 588 e ss., ed. Tarrant 2004, 23
147
Anche Plutarco (De Isid. et Osirid. 28, 362a-b)
148
Durante il VI sec. d.C. Giustiniano fece chiudere gli ultimi templi pagani ancora esistenti, quelli
dedicati al culto di Iside presso l'isola vicino File.
149
P Oxy 1380, 246-7
38
(confusione con Osiride e influenza del mito di Dioniso Zagreo150, figlio
di Zeus e Demetra, ucciso dai Titani e guarito dalla madre?) e divenisse
l'ultimo dio-re151. Per la sua ribadita assimilazione ad Apollo, è definito
esperto di medicina e mantica: rende favori agli umani con oracoli e cure.
Sulle pratiche terapeutiche, in uso in Egitto 152 , come ad esempio
l'incubazione, per le quali il centro più rinomato era il tempio di Dendera,
è verosimile sostenere che esse siano state introdotte durante l'età arcaica
in Grecia e trasferite all'interno dei templi di Asclepio. Al cap. 26, come
già detto sopra, Diodoro prova a dare un'impalcatura cronologica ai fatti
raccontati: oltre al conto degli anni tra la morte di Iside e marito ed
Alessandro, riporta un dato condiviso dai sacerdoti egiziani, cioè che gli
dèi più antichi regnarono più di milleduecento anni, i successivi non meno
di trecento. A questo punto, non può mancare un tentativo di
razionalizzazione, trattandosi di cifre assurde se relazionate a vite mortali:
gli antichi, non conoscendo il movimento solare, si basavano su quello
lunare, per cui gli anni risultavano essere composti di trecento giorni.
Mentre, ai tempi di coloro che regnarono per trecento anni, l'anno
terminava in quattro mesi, per cui il termine stagione, “ὧρος”, valeva
anno anche presso i Greci153, come anche il femminile “ὥρα”, e la parola
“ὧροι” poteva significare annali. Dopo si passa ad analizzare la nascita e
la forma dei Giganti: nella mitologia greca essi avevano un corpo enorme
ma non erano “πολυσωμάτους”, al contrario di quanto sostiene
l'autore154, che, forse, ha in mente la rappresentazione dello scontro tra
Seth e i suoi compagni contro Osiride155; sulla loro genesi due sono le

150
D.S. III 62, 6
151
Così anche Hdt. II 144, 2
152
Burton 1972, 106-109
153
Plu. Quaest. Conviv. V 4, 1 677d-e, ed. Fuhrmann 1978, 69 ; Ath. X 22, 423e, ed. Kaibel 1887.
154
D.S. I 26, 7
155
Così Burton 1972, 110-111
39
versione accettate: 1) nati dalla Terra fecondata dal sangue di Urano
evirato da Crono; 2) uomini normali dotati di una forza straordinaria tale
che li rese degni della fama di “πολυσωμάτους”. Comunque, morirono
nella guerra contro gli dèi Zeus e Osiride. Al contrario delle credenze
popolari, poi, effettivamente, in Egitto non erano per niente comuni i
matrimoni tra consanguinei, permessi e tollerati soltanto all'interno delle
famiglie reali per ragioni dinastiche, benché non vi siano prove per
sostenere la presenza di una legge contraria, che Diodoro pone come
conseguenza del periodo di prosperità del regno sotto la regina Iside in
seguito alla morte del fratello-marito. In ogni caso, sulla base di testi
papiracei pare fossero più diffusi sotto l'Impero romano che non durante
il periodo Tolemaico; ciononostante i Greci la considerarono sempre una
pratica sconcia tipicamente egiziana. In I 27, 2, invece, viene rivisitato
troppo, per così dire, dal punto di vista greco un modus vivendi egiziano:
la regina, in realtà, non riceveva onori particolari ed era sottomessa al
marito spesso poligamo, anche se solo la prima gli generava i figli
destinati a divenire i futuri faraoni, proprio per questo si può parlare di
una discendenza matrilineare; la donna, è vero, godeva di una certa
indipendenza, per cui all'interno della famiglia entrambi i coniugi
avevano sulla carta eguali diritti (cosa che, effettivamente, poteva stupire
un greco dell'epoca).

In I 29, 5, riferendo l'opinione degli Egiziani stessi, vengono descritte


tutte le colonie da essi fondate, processo dovuto alla supremazia dei loro
regnanti ed all'eccesso di popolazione; probabilmente non basate su
avvenimenti storici ma influenzate dall'egittocentrismo tipico di Ecateo
di Abdera, alcune tradizioni più tarde connettono Argo all'Egitto, Tebe

40
alla Fenicia e Corinto alla Colchide156; ovviamente con questo processo
supposto egiziano non c'entra niente Atene, soprattutto perché ἄστυ non
è una parola egiziana (forse qualche città portava questo nome, ma non è
attestato), benché Atena venga assimilata alla dea Neith, patrona della
città di Sais, da cui i coloni proverebbero. Come fa notare il Meyer157,
il nome Belo, mitico re dell'Egitto, padre di Danao ed Egitto e fratello
gemello di Agenore 158 , deriva da Ba'al ''dio dei mercanti aramei'',
identificato con il dio egiziano Seth e adorato più degli altri dagli Iksos.
Probabilmente la leggenda, secondo cui Belo avrebbe fondato Babilonia
e concesso ai sacerdoti l'esenzione dalle tasse e dai pubblici servizi,
farebbe riferimento ad un ritorno in patria degli Iksos. Come già detto a
proposito dell'identificazione Iside-Hathor-Io, è naturale e giustificabile
la connessione tra Danao, Argo e l'Egitto, essendo Io figlia del re Argo,
madre di Epafo, antenato di Danao ed Egitto. Non è errato pensare ad un
rapporto tra la figura di Danao e gli Iksos, signori d'Egitto: le shaft graves
del XVI sec. a.C. a Micene contengono tracce di influenza egiziana, forse
perché i mercenari greci possono aver aiutato gli Egiziani contro gli
invasori. La tarda parentela attribuita a Cadmo, fondatore di Tebe, e
Danao, in base alla quale sarebbero cugini, accrediterebbe la vicinanza tra
i movimenti dei Micenei e quelli degli Iksos. Diodoro cita come prova
della fondazione di queste città da parte di Egiziani la pratica diffusa della
circoncisione, spesso rituale e obbligatoria per sacerdoti e reali. La
divisione in tre classi (geomori, agricoltori e demiurghi in I 28, 5) era
tipica della società ateniese presoloniana159, mentre in Egitto vi erano sei

156
La Colchide è definita fondazione dei soldati inviati dal faraone Sesostri anche da Hdt. II 103, 2;
104, 2, ed. Legrand 1956, 133.
157
Meyer 1892-99, 81-88
158
Apollod. II 1, 4, ed. Frazer 1967, 134-139
159
Aristot. Ath. 13, 2, ed. Bekker; Plu. Thes. 25, 2, ed. Ziegler 1957, 22-23
41
classi. Quanto ai condottieri ateniesi, ad esempio, Petes, già presente
nell'Iliade160, possiede un nome di probabile etimologia egiziana. Alla
fine del paragrafo 6, molti editori accettano un'eventuale lacuna in cui si
parlerebbe del primo re di Atene Cecrope, spesso rappresentato metà
uomo e metà serpente, o anche di Erittonio-Eretteo: l'aggettivo διφύης si
riferisce al suo aspetto. Nel cap. 29161, Eretteo è definito egiziano, come
molte fonti antiche162 ci confermano, ed avrebbe importato dall'Egitto
ad Atene una grande quantità di grano in un periodo di tremenda siccità;
avrebbe stabilito i misteri di Demetra ad Eleusi (I 29, 1). Sicuramente il
culto in onore di Demetra ha un'origine straniera, non egiziana né cretese,
bensì con ogni probabilità tracia, dal momento che Eumolpo è considerato
giunto dalla Tracia e progenitore della famiglia sacerdotale degli
Eumolpidi. Suo figlio, Ceryx, avrebbe preso il suo posto nella cura dei
misteri e da lui prende il nome l'altra famiglia sacerdotale, i Cerici.
Diodoro attribuisce alle due famiglie una provenienza egiziana: ricorda
infatti che essi giuravano in nome di Iside e assumevano comportamenti
molto simili agli Egiziani. Così finisce la trattazione che l'Agiriense
dedica al pantheon egiziano, ai miti ed ai racconti ad esso connessi e su
di esso tramandati.

2.2.1 Plutarco e il suo De Iside et Osiride

Plutarco di Cheronea (40-127 ca d.C. 163 ) è stato un intellettuale


poliedrico attivo durante il periodo della Seconda Sofistica, rinascita
culturale dei dotti e degli artisti di origine greca, ormai politicamente e

160
Il. II 552; IV 327, 338; XIII, 690, ed. Allen 1931, 57; 112; 31
161
D.S. I 29, 1
162
FGrHist. 103 F 39
163
Pauly-Wissowa 1914
42
militarmente dominati da Roma. Originario di Cheronea, nato da famiglia
benestante, studiò ad Atene sotto la guida del filosofo egiziano Ammonio,
compì numerosi viaggi (Macedonia, Italia, Creta, Egitto), rivestì incarichi
politici per la sua città e verso il 100 divenne sacerdote presso il santuario
di Apollo a Delfi. La data di morte è incerta, forse il 127164. Studioso
non meglio definibile (non etichettabile come filosofo, teologo, storico,
biografo etc.), è rimasto famoso per la raccolta di Vite parallele di nobili
greci e romani e i Moralia, ottantatre operette di diverso tema 165 .
All'interno dei Moralia, su un'opera 'religiosa', il De Iside et Osiride,
bisogna focalizzare l'attenzione, per avere un quadro ben preciso della
contaminazione culturale, etnografica e religiosa tipica dei primi secoli
d.C., naturale risultato dell'espansione territoriale dell'Impero romano. Lo
scritto è rivolto a una certa Clea166 (Plu. De Isid. et Osirid. 1, 351c; 3,
352c; 35, 364e), nominata al vocativo, a capo delle Tiadi, sacerdotesse di
Dioniso a Delfi, iniziata al culto di Osiride dai genitori e probabilmente
sacerdotessa di Iside, destinataria anche dell'opera Mulierum virtutes.
L'opera può essere con una buona dose di certezza collocata poco prima
del 120167 e senza dubbio venne scritta a Delfi (Plu. De Isid. et Osirid.
68, 378c-d). Come già appare dal titolo, lo stesso, risalente a Planude, in
una ventina di codici, l'opera si presenta come un trattatello-saggio
relativo ai miti, alle usanze vigenti in Egitto ed alle varie riletture degli
stessi. Lo scopo era quello di passare in rassegna l'intero mito di Iside e

164
Per la vita, le opere e il ruolo intellettuale di Plutarco vedi Beck 2014, 1-9
165
Il suo carattere di intellettuale poliedrico ha spesso reso Plutarco esposto ad accuse di superficialità.
Vedi Codignola 1934, 471-472
166
Oltre ai vocativi citati, compare in Plu. De Isid. et Osirid. 2, 351 un riferimento alla sua venerazione
di Iside; in 35, 364e dove, oltre ad essere apostrofata, viene definita capo delle Tiadi e iniziata ai
miti di Osiride da madre e padre. Si può supporre che fosse sacerdotessa di Dioniso e di Iside, anche
se a Delfi non c'è traccia di un centro di culto isiaco. Per la sua identificazione vedi Griffiths 1970,
16-18; Del Corno 1985, 45-46
167
Così Griffiths 1970, 16-18
43
Osiride e sottoporlo, poi, ad una interpretazione secondo la dottrina
platonica del dualismo. All'interno, dunque, convivono due visuali: una
teologia genuinamente platonica, divisa in un mondo umano e uno
sovrumano (mondo sensibile e mondo divino), in cui la filosofia e la
religione non hanno funzioni contrapposte ma, anzi, guardano verso
un'unica direzione 168 , ed una teologia non platonica, quasi
antropomorfico-umana, costituita da una coppia divina colpita da una
vicenda patetica.

La Quellenforschung per il De Iside consiste nel capire quanto


effettivamente l'autore sia lontano dalle sue fonti egiziane e quanto,
invece, metta in opera materiale di altro tipo, che sia filosofico, storico
etc, di provenienza greca. Il materiale di cui sicuramente dispone
appartiene al periodo ellenistico, poco è invece ascrivibile al preellenismo
e probabilmente niente risale al periodo a lui contemporaneo. Dal testo è
evidente che non sono presenti allusioni né ad Ecateo di Mileto né ad
Erodoto, anche se entrambi avevano scritto sull'Egitto. Sembrano, di
contro, importanti, e lo sono, Ecateo di Abdera, Eudosso di Cnido169 e
Manetone (di cui ha fatto uso anche Diodoro Siculo). Alcuni studiosi, tra
cui Wellmann, sostengono che Plutarco abbia utilizzato un'unica fonte,
cioè Apione, ma non sembra una soluzione condivisibile, dal momento
che nel testo non ne viene fatta menzione. Secondo il Del Corno170, la
Quellenforschung 171 si risolverebbe facilmente ammettendo che
Plutarco abbia tratto le notizie riguardo usanze e credenze egiziane dai
testi all'epoca disponibili e oggi perduti, ma non dalle Storie di Erodoto

168
Così Moreschini 1995, 29-36
169
Da D. L. VIII 87, ed. Marcovich 1999, 628, sappiamo che Eudosso ha passato un anno e quattro
mesi in Egitto.
170
Del Corno 1985, 50-55
171
Per quanto riguarda la Quellenforschung in De Iside et Osiride vedi anche Griffiths 1970, 75-100
44
né dalla Biblioteca storica di Diodoro di Agirio, dal momento che il primo
era ritenuto, come già detto sopra, filobarbaro e il secondo era
generalmente considerato un epitomatore. La teoria, tuttavia, non può
essere confermata né smentita, nonostante anche l'atteggiamento
dell'autore nel De Iside possa essere definito di φιλοβαρβαρεία 172 e
nonostante le diverse somiglianze riscontrabili tra Plutarco e Diodoro,
perché non si può escludere una fonte intermedia tra i due, da cui entrambi
possano aver attinto notizie. Ad una rilettura dei testi più approfondita, è
inevitabile pensare che alcune nozioni facessero parte di una cultura
ormai condivisa e mista, risultato di una fusione iniziata con la
dissoluzione dell'Impero di Alessandro Magno, dove accanto ad elementi
e persone di origine egiziana convivevano elementi e persone di origine
greca. Entrambi, il Cheronense e l'Agiriense, comunque, tentano di
spiegare il mito egiziano-ellenistico sottoponendolo ad una revisione da
un'ottica esterna, per quanto possibile (e se possibile!), che sia storica o
che sia filosofica. Per quanto riguarda, invece, le fonti egiziane,
similmente a Diodoro, si può pensare che le abbia consultate di prima173
o seconda mano e/o che abbia ascoltato i loro racconti (“οἱ ἱερεῖς λέγουσιν”
Plu. De Isid. et Osirid. 21, 359c; “ἱστοροῦσι γὰρ Αἰγύπτιοι” Plu. De Isid.
et Osirid. 22, 359e; “οἱ δὲ πλεῖστοι τῶν ἱερέων..φασι” Plu. De Isid. et
Osirid.29, 362c; “οἱ δὲ σοφώτεροι τῶν ἱερὲων...καλοῦσιν” Plu. De Isid.
et Osirid. 33, 364a; “Οἱ δὲ..οἴονται” Plu. De Isid. et Osirid. 41, 367c;
“Αἰγύπτιοι καλοῦσιν” Plu. De Isid. et Osirid. 41, 467d). Diversamente da
Erodoto, che considerava valido il solo approccio autoptico, e

172
Così Griffiths 1970, 18-19
173
“ἡμᾶς ἥκοντας ἀπὸ τῆς Ἀλεξανδρείας” Plu. Quaest. Conv. V 5, 1, 678c, ed. Fuhrmann 1978, 71. Non
si esclude che Plutarco conoscesse la lingua egiziana, geroglifica, ieratica o demotica (il copto ha il
suo periodo di diffusione alla fine del II sec. d.C.), anche se i suoi riferimenti a modi di scrittura
egiziani sono rivolti al geroglifico. Per maggiori approfondimenti vedi Griffiths 1970, 103-110
45
condividendo parzialmente l'atteggiamento di Diodoro, che, accanto alla
visione diretta dei fatti, faceva uso di fonti letterarie, Plutarco indagava in
maniera meramente indiretta i problemi riguardanti l'Egitto e la sua
religione. Prediligeva, inoltre, un atteggiamento da buon conoscitore della
materia, incorporando consapevolmente l'evoluzione che il mito
originario aveva subito nel mondo greco-egiziano, per poi trasportarlo
nella mentalità greca del suo tempo attraverso una nuova rilettura
(teologia egiziana rivista nell'ottica della filosofia greca). In un certo
senso Plutarco si avvicina al primato tradizionale di Osiride, tipico del
culto faraonico e della centralità che il dio andava parzialmente
riacquistando nei culti isiaci del II sec. a scapito della dea Iside, e lo
rivisita in base alla sua aderenza alla filosofia medio-platonica, che,
secondo alcuni 174 , anticipa la tendenza al monoteismo tipica del
neoplatonismo.

Nonostante l'apparente discontinuità, il De Iside et Osiride presenta un


nucleo175, che ruota intorno alla religione ed alla mitologia egiziane, e
diverse altre sezioni176: i capp. 1, 351c-2, 352a comprendono l'encomio
di Iside come dea della verità e l'elogio della sapienza egiziana; i capp. 3,
352b-11, 355d corrispondono alla parte relativa alla secolare e famosa
cultura egiziana; i capp. 12, 355d-21, 359d narrano le peripezie di Iside
alla ricerca del corpo del marito; i capp. 22, 359d-24, 360d sono volti alla
confutazione della dottrina evemeristica, i capp. 25, 360d-31, 363d
propongono l'interpretazione secondo cui i personaggi del mito
potrebbero essere demoni e non propriamente dèi; i capp. 32, 363d-40,

174
Tra questi Garcìa Valdés 2001, 113-121
175
Così Del Corno 1985, 46-48
176
Diversamente Donadoni 1947, 203-208. Donadoni, infatti, distingue più genericamente una prima
sezione, in cui si narrano le vicende del mito, e una seconda, in cui se ne dà una serie di
interpretazioni, che partono, però, da diversi punti di vista, più o meno legittimi.
46
367c danno un'idea delle varie identificazioni degli dèi con gli elementi
terrestri e le forze naturali; i capp. 41, 367c-44, 369a spiegano che dal
contrasto Osiride-Seth si origina l'opposizione tra regno lunare e solare e
la dialettica del Bene e del Male; i capp. 45, 369a-48, 371a sono una
rivisitazione in chiave ellenica delle dottrine di Zarathustra; i capp. 49,
371a-64, 377b offrono una rilettura platonica del conflitto tra Osiride e
Seth; i capp. 65, 377b-70, 379c confutano la teoria che propone
l'identificazione del divino con prodotti e fenomeni della natura; i capp.
71, 379c-78, 383a delineano un excursus sul culto degli animali sacri in
Egitto e, infine, i capp. 79, 383a-80, 384c descrivono l'usanza egiziana di
bruciare essenze aromatiche, tra cui i kyphi.

2.2.2 Plutarco, la religione e i miti egiziani nel De Iside

et Osiride

Plutarco ebbe con la cultura egiziana rapporti molto intensi sin dalla sua
giovinezza: il suo maestro di filosofia fu Ammonio l'egiziano177, lui
stesso andò ad Alessandria e conosceva Clea 178 . In particolare, il
carattere politeistico comune al pantheon greco ed egiziano, o meglio,
all'epoca, greco-egiziano, rendeva a Plutarco più facile l'avvicinamento,
anche filosofico, a questa religione. Griffiths 179 analizza in maniera
puntigliosa, probabilmente a ragione, la dedica a Clea: forse che l'amicizia
della donna abbia portato Plutarco ad occuparsi di questo mito egiziano o
forse che sia stata la popolarità dei due dèi a spingerlo? Un altro
interrogativo, forse meno lecito, riguarda l'esperienza diretta dell'autore
ed eventualmente la sua partecipazione alle pratiche misteriche di Iside o

177
Plu. De E ap. Delphos 1, 385b, ed. Flacèliere 1974, 13
178
Per Clea, la sua identificazione e il suo ruolo religioso vedi sopra.
179
Griffiths 1970, 16-18
47
di Osiride. Diversi passi (“αἰνῶ δὲ τομὴν ξύλου καὶ σχίσιν λίνου καὶ χοὰς
χεομένας διὰ τὸ πολλὰ τῶν μυστικῶν ἀναμεμεῖχθαι τούτοις.” Plu. De Isid.
et Osirid. 21, 359c; “ὅσα τε μυστικοῖς ἱεροῖς περικαλυπτόμενα καὶ
τελεταῖς ἄρρητα διασῴζεται καὶ ἀθέατα πρὸς τοὺς πολλοὺς” Plu. De Isid.
et Osirid. 25, 360f; “διὸ πᾶσι κοινὸς ὁ Σάραπίς ἐστι, ὡς δὴ τὸν Ὄσιριν οἱ
τῶν ἱερῶν μεταλαβόντες ἴσασιν.” Plu. De Isid. et Osirid. 28, 362b; “τὰ
μὲν ἀπόρρητα κατὰ χώραν ἐῶμεν” Plu. De Isid. et Osirid. 35, 364f) sono
stati studiati per dimostrare che Plutarco fosse iniziato ai misteri di
Osiride o di Iside180, ma è evidente che non ne parli mai in prima persona
e non faccia mai alcun riferimento a pratiche religioso-iniziatiche in
santuari greci. Benché, dunque, Clea fosse una sacerdotessa di Iside ed
egli abbia avuto quantomeno contatti con il culto, ha preferito rifarsi a
fonti letterarie per approfondire la sua curiosità sulla religione ellenistico-
egiziana. Al cap. 1, 351c-d è collocata un'apostrofe rivolta a Clea, cui
segue la spiegazione di quanto sia bello partecipare della conoscenza del
divino: continuando, si fa riferimento ad una pseudoetimologia del nome
di Iside (in grecoἾσις ed Εἶσις), la dea servita da Clea, che viene qui
connesso con la radice della conoscenza (cfr. οἶδα e soprattutto forme
come ἴσμεν ed εἰσόμενον) e più avanti (Plu. De Isid. et Osirid. 60, 375c)
ai sostantivi ἐπιστήμη e κίνησις (movimento intelligente), e a quella
giusta di Tifone, messa in relazione a τυφόω, ''essere gonfio'', ed al
perfetto passivo τετύφωμαι, ''essere pazzo''. Le etimologie proposte da
Plutarco per il nome di Iside non sono mai disinteressate, bensì funzionali
ad introdurre al discorso sulla dea come rappresentante del massimo
sapere (Plu. De Isid. et Osirid, 2, 351e-352a), come dea madre (Plu. De
Isid. et Osirid. 12, 356a; 18, 357f; 19, 358d; 65, 378c) e madre universale

180
Così R. Hirsch-Luipold 2014, 163-164
48
(Plu. De Isid. et Osirid. 9, 354c; 62, 376a)181. La dea, opponendosi al
suo nemico Seth-Tifone, invita i suoi seguaci a cercare l'Essere primo (=
Osiride). Al cap. 3, 352a si parla dell'origine di Iside: secondo alcuni figlia
di Ermes, inventore della grammatica e della musica, secondo altri figlia
di Prometeo, inventore di sapienza e preveggenza, secondo la
maggioranza, invece, figlia di Geb. Il suo culto si tiene ad Ermopolis182,
città consacrata ad Ermes, considerato, da una tradizione mitologica forse
anche lì vigente, suo padre. Più avanti (Plu. De Isid. et Osirid. 9, 354b),
oltre all'accenno alla filosofia enigmatica dei sacerdoti egiziani, la statua
di Atena a Sais, assimilata alla dea Neith183, viene identificata con Iside
in quanto entrambe garanti di giustizia; Amun viene connesso a Zeus e,
ci dice Plutarco, il significato della parola sarebbe, secondo Manetone, da
ricondurre alla radice del verbo occultare, mentre, secondo Ecateo di
Abdera, sarebbe un imperativo ''Vieni!'' che gli amici si scambiano l'un
l'altro. Al cap. 10, 355a si trova un tentativo (già presente in D.S. I 11, 1)
di spiegare il nome di Osiride come πολυόφθαλμος, sulla base della
pseudoetimologia di derivazione egiziana; un'altra pseudoetimologia è al
cap. 61, 375e dove il nome Osiride è definito risultato della fusione tra
ὅσιος (santo nell'ambito celeste) e ἱερός (sacro nell'ambito dell'Ade). Poi
(Plu. De Isid. et Osirid. 11, 355b), è la volta di Ermes, che, per la sua
funzione di psicopompo, viene avvicinato al dio Anubis, rappresentato
sovente sotto forma di sciacallo; la chiusura del capitolo corrisponde ad
un invito a Clea a non prendere alla lettera le storie sugli dèi, ma a dar
loro la corretta interpretazione filosofica per sfuggire alla superstizione.
La δεισιδαιμονία e l'ἀθεότης sono i mali a cui Plutarco consiglia di

181
Questi sono, non a caso, i connotati diversi che la dea assume nella fenomenologia del suo culto.
182
Sono definiti Ἰσιακοί i sacerdoti di Iside e τελουμένοι i suoi iniziati/seguaci.
183
Hdt. II 59, ed. Legrande 1948, 106
49
sottrarsi. I capp. 12, 355d-21, 359d sono occupati dal racconto del mito
di Iside e Osiride, ampliato rispetto alla versione che ce ne fornisce
Diodoro (I 21-22): Rea si unì a Crono di nascosto, corrispondenti
rispettivamente alle divinità egiziane Nut e Geb, e il Sole, che a volte
veniva chiamato Atum a volte Ra o anche Atum-Ra, accortosene, le
lanciò contro la maledizione di non poter generare figli; Ermes,
innamorato di Rea, giocando a dadi con la Luna, vinse e riuscì a strapparle
cinque giorni184, noti e celebrati come giorni natali degli dèi o giorni
epagomeni. Il primo giorno nacque Osiride, che Crono affidò alle cure
dell'umano Pamile185. In onore dell'evento venivano celebrate le Pamilie,
qui confuse con le Falloforie. Per secondo nacque Arueris, chiamato da
alcuni Apollo per gli attributi solari comuni ad entrambi, da altri Horos il
vecchio; il terzo giorno venne generato Tifone, ma non in maniera
naturale, dato confermato dalle fonti più antiche; per quarta uscì Iside e
infine Neftys, chiamata anche Afrodite, Fine 186 o Vittoria. Osiride e
Arueris erano figli del Sole, Iside di Ermes, Neftys e Tifone di Crono.
Neftys sposò Tifone e forse per questo venne chiamata Vittoria, in quanto
sposa del dio della guerra; Iside sposò Osiride e nel grembo materno pare
che, in realtà, siano stati questi ultimi due a generare Arueris-Apollo-
Horos il vecchio. Questo tema della primitiva e imperfetta generazione
del mondo da parte dei futuri coniugi rimanda alle tematiche teogoniche
e cosmogoniche tipiche dell'orfismo187, come anche il testo della stele di
Osiride in D.S. I 27, 3-4. Non può, ovviamente, mancare il cenno alla
missione civilizzatrice del re Osiride188, che per le sue qualità legate al

184
Così anche D.S. I 13, 4; il racconto eziologico della nascita dei cinque dèi nei cinque giorni
epagomeni è presente nella tradizione egiziana.
185
Παμύλης potrebbe contenere un antico epiteto di Osiride.
186
O, meglio, Morte (Τελευτή).
187
Giusta osservazione contenuta in U. Bianchi 1985, 116-117
188
Elemento dionisiaco presente anche in D. S. I 17, 1
50
canto e alla musica, presso i Greci, fu confuso con Dioniso e, per la sua
iniziale connessione con il regno dei morti, fu confuso, invece, con Ades-
Plutone189 (Plu. De Isid. et Osirid. 78, 382e-f). Al ritorno di Osiride,
Tifone insieme ai suoi compagni ordì un inganno a danno del fratello con
l'aiuto della regina d'Etiopia; lo chiusero dentro un sarcofago e lo
abbandonarono alla corrente. Quando Iside apprese la notizia dai Pani e
dai Satiri190, indossò un vestito a lutto in una città che da allora prese il
nome di Copto (koptein in egiziano: privare; in realtà questa falsa
etimologia è dovuta al significato che l'omofono κόπτειν ha in greco, cioè
battersi il petto in segno di lutto); dopodiché iniziò a vagabondare. Grazie
ad una rivelazione fattale da bambini, che da allora in poi in Egitto furono
considerati dotati di un potere profetico, individuò il posto in cui venne
gettato il corpo di Osiride. Per aver ritrovato il meliloto di Osiride da
Neftys, scoprì il tradimento e cercò il figlio nato dalla loro unione, che la
sorella aveva provveduto ad esporre per non incorrere nell'ira di Tifone.
Una volta trovatolo, costui divenne la sua fedele guardia, per questo
rappresentato come sciacallo o cane, e fu chiamato Anubis. La bara
raggiunse la costa della città fenicia di Byblos191 e l'erica, avvolgendosi
intorno a lei, la coprì completamente. Il re locale, stupito dalle dimensioni
della pianta, mise il suo fusto come colonna per il tetto della casa, cosa di
cui la Fama informò Iside, che immediatamente si diresse lì. La regina di
Byblos si accorse di lei e attraverso le ancelle la fece chiamare in quanto
affascinata dal suo modo di fare le trecce e dall'ambrosia cosparsa sul suo
corpo. La nominò nutrice del principino. Il nome del re Malcandro e della
dea Astarte dipendono da quello del dio fenicio Melcarth e della dea

189
Ἅιδης, re dei morti e nome dell'oltretomba, significa invisibile.
190
Il ruolo svolto da Pani e Satiri è una componente puramente dionisiaca.
191
Osiride era probabilmente da tempi antichi venerato a Byblos e il culto di Iside è attestato dal VII
sec.a.C.
51
fenicia omonima, divinità dell'amore e della fecondità. Questa sezione e
la prima parte del cap. 16, 357c ricordano in maniera inconfutabile Hom.
h.Cer. I 239-262. Alla vista del piccolo avvolto dalle fiamme, la regina
urlò, privandolo così dell'immortalità e Iside, allora, dopo essersi
trasformata in rondine192, si palesò e chiese in cambio la colonna del
tetto, che spogliò del tronco della pianta, da allora rimasto oggetto di
venerazione. A quel punto partì portando con sé il più giovane dei reali,
che morì dopo aver osato spiare la dea che baciava il marito defunto.
Tutt'ora vengono resi onori al fanciullo, di nome Maneros 193 o
Palestino194 o Pelusio. Secondo alcuni, invece, Maneros è un'espressione
di augurio tipica dei banchetti, come lo sarebbe anche l'usanza di guardare
la figurina di un morto dentro la bara con il significato di vivere il presente
(l'uso egiziano di inserire nei banchetti immagini mortuarie è attestato).
Al cap. 18, 357f fa la sua comparsa Horos figlio di Iside e Osiride; intanto
Tifone, di nascosto, smembrò il corpo di Osiride in quattordici parti (dato
ripreso anche in De Isid. et Osirid. 42, 368a) e lo disperse195. Iside si
mise alla ricerca a bordo di una zattera di papiro, istituì tanti monumenti
sepolcrali quanti erano i luoghi dove ritrovò parti del corpo di Osiride o,

192
Riferimento alla trasformazione di Iside in rondine si trova anche in Min. Fel. 22, 1, ed. Kytzler 1982,
19; questa capacità è presente anche in molti testi egiziani.
193
Secondo Hdt. II 79, ed. Legrande 1948, 118 Maneros era il figlio del primo re d'Egitto morto
prematuramente, identificato poi con il musico della mitologia greca Lino. Vedi anche Frazer 1922,
442-452
194
Non risulta essere esistita nessuna città con questo nome: forse bisogna supporre l'interpolazione di
un copista nel testo.
195
Lo smembramento ed la dispersione del corpo di Osiride, per cui anche D.S. I 21, 2, potrebbero
essere modi mitici di esprimere la semina e la raccolta del grano, in quanto Osiride è dio del grano,
figlio di Nut e Geb (cielo e terra), i quali contribuiscono con piogge e fertilità alla nascita ed alla
crescita del grano. In Merkelbach 1963, 43, si parla di una physica ratio, che vede in Iside la Terra,
in Osiride i frutti della terra, i quali durante la raccolta vengono divisi. In nome di Dioniso, per
molti aspetti simile ad Osiride, le baccanti sul monte Citerone smembrarono Penteo (E. Ba. 1114 e
ss.) e lo stesso mito di Dioniso Zagreo richiama lo smembramento del dio sotto forma di toro. Così
Frazer 1922, 453-471. Per la nascita di Osiride da Nut e Geb, chiamati secondo la interpretatio
graeca Rea e Kronos, vedi Plu. De Isid. et Osirid. 12, 355e-f e D.S. I 13, 4. Diversamente Assmann
2002, 64-66, dove il mito di Osiride è definito dotato di un significato storico-politico: Osiride
sarebbe un corpo con una “storia”, richiamata alla mente dal rituale della sua ricomposizione; Seth
rappresenterebbe le forze cosmiche e politiche del caos.
52
secondo altri, donò delle immagini di Osiride da lei modellate. La
tradizione vuole che Iside non abbia mai ritrovato il membro virile del
marito, perché mangiato da alcuni pesci, per questo tanto aborriti dagli
Egiziani; allora ne plasmò uno finto e lo rese sacro, da cui le Falloforie196.
La menzione da parte di Diodoro e Plutarco del “φαλλός” di Osiride come
unica parte non rinvenuta dalla moglie, del simulacro da lei plasmato e
della festa istituita in onore dello stesso, non è attestata nelle fonti
egiziane e sembrerebbe un'aggiunta eziologica alla versione ellenistica
del mito. Questo, come anche altri fattori sopra descritti197, portano a
credere che la vicenda di Dioniso Zagreo e del suo smembramento
compiuto dai Titani 198 abbia influenzato il mito di Osiride in età
ellenistica a tal punto che il dio egiziano, contemporaneamente all'opera
di ellenizzazione attuata dai Tolomei a corte e non solo, ha acquistato in
maniera sempre maggiore i caratteri tipici, feste199 e rituali del dio greco.
Dioniso, a posteriori, presso i dotti Greci venne riletto come un dio di
origine egiziana, la cui esportazione fu attribuita ad Orfeo e, dunque, la
sua figura, inevitabilmente, si colorò di tratti orfici200. Qualche tempo
dopo, Osiride tornò dall'Ade per aiutare il figlio nella battaglia, che si
risolse con la vittoria di Horos. Iside lasciò libero Tifone, per questo il
figlio le strappò la corona, anche se, in realtà, le staccò la testa, ma
Hermes prontamente le donò un elmo a forma di testa di bue (da cui Iside-
Hathor-Io). Iside si unì a Osiride anche dopo la sua morte e ne generò un
figlio prematuro e rachitico, Arpocrate201: questa sezione del mito è

196
D.S. I 22, 6
197
D.S. I 15, 8 e il connotato di Osiride come dio del vino.
198
Per il mito di Zagreo e la sua morte ad opera dei Titani e la sua rinascita cfr. Nonn. D. VI, ed. Chuvin
1992, 46 e ss.; un piccolo accenno è contenuto anche in Ov. Met. III 317, ed. Tarrant 2004, 75 : “bis
geniti .. Bacchi”; Firm. Err. 6, ed. Turcan 1982, 88-92.
199
Vedi la già citata festa dei pampini a Dendera-Tentyris.
200
Così Casadio 1995, 207-209
201
La figura di Arpocrate era poco popolare tra i Greci nel periodo tolemaico ma assunse una posizione
53
confermata dalle fonti egiziane. Plutarco ammette di aver taciuto riguardo
la decapitazione di Iside e la violazione della stessa da parte di Horos, cui
vennero per questo tagliate le mani e gettate nel Nilo, ripescate per ordine
di Ra e venerate a Hieracopolis. Il racconto del mito patetico, piuttosto
partecipato, sembra cozzare con la confutazione contenuta al cap. 70,
379c-d, dove, appoggiando Senofane di Colofone, invita gli Egiziani a
non piangere per gli dèi. L'autore giustifica il mito come tentativo di
spiegare dubbi ed esperienze, il riflesso di una realtà che ci porta a volgere
la nostra attenzione altrove. Non vi è accordo sui luoghi di sepoltura di
Osiride: Diochite, Abido, Menfi, dove fu allevato il bue Apis, immagine
dell'anima di Osiride, l'isoletta sacra vicino a File, dove una volta l'anno
avvenivano sacrifici funebri in presenza dei soli sacerdoti, o Tafosiride.
Secondo Eudosso di Cnido, il corpo sarebbe solo a Busiride. Tra i riti
misterici vengono ricordati: il taglio di un tronco202, la lacerazione di un
panno di lino e lo spargimento di libagioni. Le storie dei sacerdoti
volevano che le anime degli dèi si trovassero in cielo, evidente accenno
al fenomeno dei catasterismi: quella di Iside viene chiamata Cane dai
Greci e Sothis dagli Egiziani, l'anima di Horos Orione e quella di Tifone
Orsa. Tutti gli Egiziani pagano per la sepoltura degli animali sacri, tranne
chi abita in Tebaide, dal momento che lì si venera solo l'eterno Kneph,
antico dio-serpente poi fuso con Amun: riferimento al cambiamento della
pelle del serpente. Nei capp. 22, 359d-24, 360d viene sviluppata la
confutazione al pensiero evemeristico (polemica rivolta a Diodoro ed al

di spicco durante il periodo imperiale. Per una migliore descrizione dell'importanza di Arpocrate,
vedi Malaise 1972, 198-203.
202
Troviamo conferma di questo rito in Firm. Err. 27, 1, ed. Turcan 1982, 141: questo rito corrispondeva
sicuramente al ritrovamento del corpo smembrato del dio avvolto da un albero di erica. In Firmico
Materno potrebbe essere contenuta un'eco dell'antichissima caratteristica di spirito degli alberi
tipica di Osiride. Così anche Frazer 1922, 456-7. In Grecia, Dioniso era il patrono degli alberi
coltivati ed alcune sue rappresentazioni rimandano all'idea di un tronco d'albero.
54
suo γένος πολιτικόν?): risulta pericoloso perché Evemero ha ridotto le
divinità a comandanti o re, ritenuti degni di essere elevati al rango di dèi;
la prova di ciò sarebbe una stele rinvenuta a Panchea in India, vista solo
dallo stesso Evemero. Poco oltre (Plu. De Isid. et Osirid. 25, 360e; 26,
361b-c), si preferisce fornire una chiave di lettura più affine al platonismo,
che vede in Iside e Osiride una via di mezzo tra umani e immortali203,
sarebbero, cioè, δαίμονες ἀγαθοί. I demoni non agirebbero solo
positivamente nell'ambito delle vicende divine, bensì possono subire
un'influenza negativa e ripercuoterla nelle loro azioni finché non vengono
puniti e ricondotti all'ordine: secondo J. G. Griffiths204, la natura mista
dei demoni, un po' divina un po' umana, sarebbe funzionale a spiegare la
presenza del male nel mondo, non tanto a mostrare la sua aderenza al
pensiero espresso da Platone nel Simposio. L'attenzione dell'autore
sarebbe, pertanto, focalizzata tutta sulla figura di Seth-Tifone, che si rifà
alla dottrina platonica per cui il male non può essere eliminato. Si tratta
di un'opinione solo in parte condivisibile, perché comportamenti
tipicamente ''umani'' degli dèi sono riscontrabili anche nelle saghe
mitologiche greche a partire da Omero e dai tragici. Da Plu. fr. 157, 1
Sandbach 205 (“κατάδηλόν ἐστιν τοῖς Ὀρφικοῖς ἔπεσι καὶ τοῖς
Αἰγυπτιακοῖς καί Φρυγίοις λόγοις· μάλιστα δ'οἱ περὶ τὰς τελετὰς
ὀργιασμοὶ καὶ τὰ δρώμενα συμβολικῶς ἐν ταῖς ἱερουργίαις τὴν τῶν
παλαιῶν ἐμφαίνει διάνοιαν.”) e da Plu. De def. or. 10, 415a, si evince che
il Cheronense abbia trovato le basi per la sua teoria dei demoni, oltre che
in Platone, nei libri dei magi zoroastriani, del tracio Orfeo, dei sacerdoti
egiziani e sacerdoti frigi: nei libri dei primi, oltre ai due spiriti antagonisti,

203
Plu. De def. or. 10, 415a, ed. Flacelière 1974, 112; Pl. Smp. 202f, ed. Burnet 1908: l'introduzione nel
platonismo del concetto di demone sarebbe dovuta a influssi delle dottrine orfico-misteriche.
204
Griffiths 1970, 21-28
205
Vedi Volpe Cacciatore 2010, 178-179
55
si parla di Mithra (Plu. De Isid. et Osirid. 46, 369e); in quelli orfici si
parla di Dioniso e Kore; in quelli egiziani, si trova Osiride; nei libri 'frigi'
risalenti ad uno pseudo-epigrafo greco del II sec. a.C. che trattava di fatti
greco-egiziani e di antichità della Frigia, non sorprende che Plutarco
abbia letto il nome di Attis (cui implicitamente rimanda Plu. De Isid. et
Osirid. 69, 378f). Tutti questi dèi, in religioni diverse, sono demoni.
Postulando un'antica παλαιὰ φυσιολογία, comune a Greci e barbari, che
ragionasse per enigmi e simboli, il Cheronense arrivava a dare maggior
valore ai riti iniziatici, αἰνίγματα di verità nascoste e profonde, piuttosto
che ai discorsi mitici. E adesso si prospettano due possibilità per lo
studioso: prendere il rito come esperienza ineffabile o provare ad
interpretarlo con l'aiuto di metodi analitici mutuati dalla filosofia, un po'
lo stesso processo cui, in De Iside, viene sottoposto il mito. E' opportuno
aver presente anche un altro passo di Plutarco, Quaest. Conv. 3, 671b,
(“τὸν δ'Ἄδωνιν οὐχ ἕτερον ἀλλὰ Διόνυσον εἶναι νομίζουσιν”), dove
Adone è messo in relazione a Dioniso, e, più avanti, 671d, questa
assimilazione è giustificata dall'ateniese Meragene come perfetta per gli
iniziati ai misteri: l'identità tra i vari dèi-dèmoni è accessibile solo
nell'ambito della disciplina misterica. Tra l'altro, gli dèi-demoni
mediterranei sopra citati erano oggetto di riti essenzialmente somiglianti,
che inscenavano la morte e il rinnovamento della vegetazione206. Tifone,
a sua volta, rientra nella categoria dei demoni non ἀγαθοί, infatti, venne
sconfitto e punito da Iside, la quale, insieme al marito-fratello, fu elevata
da figura demoniaca buona a dea, come più tardi spettò anche ad Eracle e
Dioniso. La parola τελεταί al cap. 27, 361e potrebbe contenere la prima
allusione a dimensioni iniziatiche dell'isismo ellenistico-romano 207 ,

206
Cfr. Frazer 1922, 462-463
207
Iside diviene in tali riti iniziatici la dea πολυώνυμος (= “μυριώνυμος” Plu. De Isid. et Osirid. 53,
56
tematica religiosa poi ampiamente sviluppata da Apuleio, nell'ultimo
libro delle sue Metamorfosi; all'inizio della loro diffusione, assai anteriore
al II sec., questi culti avevano una componente puramente mistica, erano
cioè basati su un'associazione divina mitico-rituale tra un dying god
(Osiride), protagonista di una serie di vicende luttuose, e una dea (Iside)
che partecipa della sua crisi per συμπάθεια208. Secondo il Griffiths209,
gradualmente, durante l'era tolemaica, il culto di Iside e Osiride si connotò
come misterico, nel senso greco del termine: esso implicava, dunque,
un'iniziazione e per gli iniziati il divieto di parlare delle cerimonie cui
prendevano parte, nonché l'adesione ad uno stile di vita molto rigido210.
Non risulta chiaro se l'identità tra i riti misterici delle diverse religioni
come espressioni della medesima realtà profonda fosse dovuta ad una
fusione già in corso all'epoca di Plutarco oppure ad un ragionamento
logico-filosofico che porta l'autore a questa considerazione 211 . La
categoria del 'dying god'212 sarebbe presente in tutto il Mediterraneo,
seppur sotto nomi diversi: all'epoca dell'Impero romano, poi, queste
divinità venivano spesso assimilate ed accostate le une alle altre. Sui
misteri, la loro importanza e il ruolo da loro investito all'interno del testo,
sembra opportuno riportare una questione testuale213 presente al cap. 77,

372e; “multinominis” in Ap. Met. XI 22, ed. Griffiths 1975, 96; sempre in Ap. Met. XI 2, ed.
Griffiths 1975, 71 è contenuta la preghiera di Lucio a Iside, che infatti viene chiamata con molti
nomi diversi e in Ap. Met. XI 5, ed. Griffiths 1975, 74 la risposta della dea stessa, che elenca tutte
le sue caratteristiche), oggetto di culti e venerazioni diverse a seconda delle zone dell'impero: Iside
Faria era la protettrice dell'isola di Faro sotto l'Impero, Iside Pelagia era divinità del mare già
durante il primo ellenismo, Iside Sothis è un nome romano ma anche egiziano antico; per i Greci
Iside era la dea madre, madre natura. In Plutarco, invece, Iside rappresenta la varietà della materia
e delle sue qualità, in quanto ricettrice e nutrice di quanto proviene dall'Essere primo. Il concetto di
iniziazione venne mutuato dai misteri di Dioniso e Demetra e ampliato: gli iniziati conoscevano gli
'arcana' ma la partecipazione ai culti era aperta a tutti.
208
Così Bianchi 1985, 112-113
209
Griffiths 1970, 40-43
210
Il culto contemporaneo di Iside prevedeva astinenza dal cibo e dai piaceri sessuali. cfr. Ap. Met. XI
23, 28, 30, ed. Griffiths 1975, 98; 106; 108
211
Così Bernabé 2001, 5-22
212
Vedi Frazer 1922, 464-66
213
ἐν τελετῇ Re.: ἐντελῆ Ω: ἐντελεῖς Markl.
57
382e: la lectio ἐντελῆ, riportata da Ω, non è accettata da tutti e a seconda
di quello che si legge, cambia la sostanza del discorso di Plutarco. Se si
accetta come lectio l'aggettivo ἐντελῆ, si denota una caratteristica della
φιλοσοφία, cioè la filosofia completa e perfetta; con ἐντελεῖς letta da
Markland, il significato della parola ricade sui soggetti del verbo
'νομίζουσιν'; con ἐν τελετῇ, proposta da Reiske ed accettata nella sua
edizione da Griffiths e nel suo articolo da Z. Plese214, oltre a crearsi un
sottile gioco di parole tra τελετή e τέλος, si arriva a considerare come
termine ultimo della filosofia l'iniziazione ai misteri di Iside 215 . La
filosofia medioplatonica o meglio la teologia platonica, così come la
disquisizione sulla religione egiziana, sono tutte e due valide modalità di
conoscenza, che conducono dal particolare all'universale (l'universalità
del divino è proclamata a cap. 66, 377d): esse sono facce diverse e
complementari della stessa, comune moneta, cioè la saggezza comune,
universale. Iside viene, inoltre, chiamata anche Persefone (per la qualità
del marito Osiride di signore dell'oltretomba) e Sarapide Plutone216 (in
seguito all'aneddoto raccontato al cap. 28, 361f-362b), riprendendo
Archemaco di Eubea, autore nel III sec. a.C. dell'opera perduta
Μετωνυμίαι ed Eraclide Pontico, discepolo di Platone e autore di vari
scritti perduti, tra cui, uno che potrebbe esser la fonte di questo passo, il
Περὶ χρηστηρίων. Successivamente Sarapide viene identificato con
Osiride e Osiride con Dioniso. Al cap. 30, 362e-f viene ribadito che la
potenza di Tifone è sì indebolita, ma non annientata: per questo vennero
istituiti sacrifici funzionali a placare il suo potere e feste in cui invece lo

214
Plese 2005, 370-373
215
Qui torna la questione già affrontata riguardo l'eventuale iniziazione di Plutarco ai misteri di Iside-
Osiride.
216
In De Isid. et Osirid. 78, 382e, Plutone è chiamato Osiride, proprio per la stessa funzione ricoperta
da entrambi, signori del regno dei morti. La funzione di signore dell'oltretomba è la più tradizionale
e antica tra quelle attribuite a Osiride.
58
si insulta e umilia, entrambi i dati sono attestati nelle fonti egiziane.
Tifone era spesso associato all'asino217 perché si riteneva che avesse i
capelli rossi e la pelle d'asino. Questo animale era considerato in Egitto
impuro e veniva sottoposto a riti (Plu. De Isid. et Osirid. 30, 362f), che
ne prevedevano l'esclusione o l'uccisione, e sacrifici (Plu. De Isid. et
Osirid. 31, 363b-d). Volendo utilizzare la terminologia già adottata per
Diodoro, i capp. 32, 363d-33, 364c principalmente e passi di alcuni
seguenti espongono la visione del γένος φυσικόν presso i sacerdoti
egiziani: Osiride sarebbe il Nilo218 che si congiunge con la terra219,
Iside, e si getta nel mare, Tifone, ma non solo; infatti è anche l'elemento
umido (τὸ ὑγρόν) e tutto ciò che è umido (“πᾶν ὑγρόν” Plu. De Isid. et
Osirid. 36, 365b; “οὐσία ὕδατος” Plu. De Isid. et Osirid. 39, 366f),
principio vitale e fecondante220, che in Diodoro (I 12) è Oceane (antico
nome del Nilo) e presso i Greci è Dioniso (Plu. De Isid. et Osirid. 34,
364d). Iside appare, dunque, connessa all'elemento umido, così come lo è
il marito; paiono, infatti, essere state due le credenze originarie egiziane:
in una Iside è Sothis che alimenta la crescita del Nilo e nell'altra Iside è il
lembo di Terra inondato dal Nilo. Tifone, oltre ad essere identificato con
il mare e la sua sterilità, contrapposta alla fecondità delle acque del Nilo,
corrisponderebbe all'elemento igneo (“τὸ πυρῶδες” Plu. De Isid. et Osirid.
33, 364b) portatore di siccità (“αὐχμοῦ δύναμις” Plu. De Isid. et Osirid.
39, 366c) e nemico dell'umidità (“πολέμιον τῇ ὑγρότητι” Plu. De Isid. et

217
In Ap. Met. XI 6, ed. Griffiths 1975, 76 Iside definisce l'asino: “detestabilis belva”
218
Osiride è identificato come dio del grano: in una rappresentazione in una sala dedicata a Osiride nel
tempio di Iside a File, il cadavere di Osiride è raffigurato con spighe di grano che emergono mentre
un sacerdote annaffia gli steli. Osiride, dunque, è il grano che nasce dai campi: questo è il segreto
dei misteri, come nei riti di Demetra a Eleusi.
219
Iside identificata con la terra fecondata dal Nilo è probabilmente un'immagine ellenistica,
conseguenza del suo accostamento a Demetra. E' rilevante che Plutarco non connetta Iside al mare,
nonostante fossero diffuso in epoca romana i nomi Iside Pelagia e Iside Faria.
220
D.S. I 10, 5-7, dove viene ripresa la concezione secondo cui la fertilità del suolo, dovuta all'azione
ed alla presenza del Nilo, permise la nascita della vita.
59
Osirid. 33, 364c), che viene aiutato dalla regina d'Etiopia, i secchi venti
meridionali (Plu. De Isid. et Osirid. 39, 366c), nell'uccisione di Osiride:
lo costringerebbero in collaborazione prima a ritirarsi e poi a buttarsi in
mare (Plu. De Isid. et Osirid. 39, 366d). In questo periodo arido, circa
novembre, i sacerdoti celebravano riti luttuosi221, per quattro giorni la
statua in oro di un bue222 o, più probabilmente, di una vacca, veniva
ricoperta con un velo di lino nero e portata in processione sette volte
intorno al tempio in mezzo alla città completamente illuminata. Simbolo
del vagabondaggio di Iside, si trattava di una festa assimilabile ad una
commemorazione dei morti: giunti sul mare con un cofano d'oro, si
mescolava del terriccio a dell'acqua, modellandolo a forma di luna.
Simbolicamente, all'ultimo si aggiungevano nuovo terriccio e spezie e si
levavano grida: Iside, allora, aveva ritrovato il marito, il clima, Horus, era
divenuto favorevole (Plu. De Isid. et Osirid. 40, 367a) e Osiride era
risorto 223 . Durante l'età imperiale, lo sappiamo da un calendario
contadino del IV sec. d.C., veniva celebrata la festa chiamata Εὕρεσις, di
cui sopra, ma qui Plutarco ne parla come di una parte all'interno del
festival nel mese di Athyr224. Osiride, inoltre, era ritenuto scuro di pelle,
in quanto l'acqua bagna e scurisce tutto, mentre Tifone, come detto,
pareva avere i capelli rossi. Iside sarebbe Teti, la consorte di Oceano, che
a sua volta sarebbe Osiride, ossia il Nilo, ed anche la Terra fecondata dal
Nilo (Plu. De Isid. et Osirid. 38, 366a; “οὐσία γῆς” è chiamata Iside in
Plut. De Isid. et Osirid. 39, 366f), e in seguito la Terra come ἀρχή, da cui

221
Plu. De Isid. et Osirid. 39, 366e; Lact. Inst. I 21, 20, ed. Monat 1986, 216-217, dove Osiride è
considerato figlio di Iside e non marito-fratello.
222
Riferimento a Iside-Hathor.
223
I riti funebri di Osiride ci sono pervenuti descritti in un'iscrizione del periodo tolemaico rinvenuta a
Dendera ed erano diversi da una città all'altra. Così Frazer 1922, 447-452. Per maggiori
approfondimenti vedi Assmann 2002, 62-67
224
Trattandosi di festività panegiziane, potevano esserci tante variazioni quante erano le regioni dove
erano festeggiate e quante erano le divinità locali cui era assimilato Osiride.
60
l'assimilazione a Demetra 225 ; Zeus verrebbe chiamato il soffio (τὸ
πνεῦμα), interpretazione che appare anche in D.S. I 12,2; Horos, infine,
sarebbe il clima favorevole alla conservazione e al nutrimento del terreno
(Plu. De Isid. et Osirid. 38, 366a): prova ne è il clima delle paludi vicino
Buto, dove il dio fu allevato da Latona, qui confusa con la dea-cobra
Wedjoyet; Neftys, invece, sarebbe la terra sterile posta ai due estremi del
paese, quella vicina alle montagne e quella vicina al mare: quando il Nilo
raggiunge queste estremità si parla del matrimonio di Osiride e Neftys
(Plu. De Isid. et Osirid. 38, 366c), unione da cui nascerebbe il meliloto
(Plut. De Isid. et Osirid. 14, 356f). Che dall'elemento umido abbia origine
la vita226, non è un'idea solo di Talete227 o di Omero, appresa durante il
loro tradizionale viaggio in Egitto228 (Plu. De Isid. et Osirid. 34, 364d),
ma essa parrebbe contenuta anche nella parola figlio (ὑιός), messa in
relazione a ὕδωρ. Dioniso, non a caso, è il dio umido, fecondante229, da
cui l'epiteto Ὕης (pluvio, fecondante), in perfetta corrispondenza con il
latino 'Iuppiter pluvius'. È importantissimo il cap. 35, 364e-365b, la sua
portata e importanza storica sono racchiuse tutte nella domanda iniziale:
“Ὅτι μὲν οὖν ὁ αὐτός ἐστι Διονύσῳ τίνα μᾶλλον ἢ σὲ γιγνώσκειν, ὦ Κλέα,
δὴ προσῆκόν ἐστιν, ἀρχηίδα μὲν οὖσαν ἐν Δελφοῖς τῶν Θυιάδων, τοῖς δ'
Ὀσιριακοῖς καθωσιωμένην ἱεροῖς ἀπὸ πατρὸς καὶ μητρός;”. Clea,
probabilmente anche sacerdotessa di Iside, per educazione familiare entrò
in contatto anche con il culto rivolto al dio Osiride: si tratta della prima e

225
D.S. I 12, 3-4: Orph. fr. 302, ed. Kern 1963, 317. Plu. De Isid. et Osirid.69, 378e: “καὶ παρ’ Ἕλλησιν
ὅμοια πολλὰ γίνεται περὶ τὸν αὐτὸν ὁμοῦ τι χρόνον, οἷς Αἰγύπτιοι δρῶσιν ἐν τοῖς Ἰσείοις. καὶ γὰρ
Ἀθήνησι νηστεύουσιν αἱ γυναῖκες ἐν Θεσμοφορίοις χαμαὶ καθήμεναι, καὶ Βοιωτοὶ τὰ τῆς Ἀχαίας
μέγαρα κινοῦσιν ἐπαχθῆ τὴν ἑορτὴν ἐκείνην ὀνομάζοντες,ὡς διὰ τὴν τῆς Κόρης κάθοδον ἐν ἄχει
τῆς Δήμητρος οὔσης.”
226
Così anche D.S. I 10, 6-7
227
D. L. I 27, ed. Marcovich 1999, 19
228
Il viaggio in Egitto è tipico dei sapienti.
229
Ar. fr. 878-879, ed. Edmonds 1957
61
chiara attestazione della venerazione del dio nonché della presenza di riti
in suo onore in Grecia. Le prove di questa assimilazione Dioniso-Osiride,
sono molteplici e ritenute storicamente fondate da Casadio230: 1) il rito
cui qui (Plu. De Isid. et Osirid. 35, 364d-365a) Plutarco fa accenno, la
sepoltura del corpo del toro Apis sacro ad Osiride, per niente differisce
dai riti svolti in onore di Dioniso, dal momento che implicano entrambi
l'utilizzo di pelli di cerbiatto e di tirsi e l'abbandono a grida e convulsioni:
sembra dubbia la presenza di tirsi e nebridi 231 ma il confine tra le
esternazioni di dolore, nel rituale egiziano, e gioia, nei deliri bacchici, era
molto labile; 2) Dioniso e Osiride erano rappresentati spesso come tori; 3)
le Νυκτέλια in onore di Dioniso rimandavano al mito di Dioniso Zagreo
ed al suo smembramento operato dai Titani, in tutto simile allo
smembramento di Osiride portato a termine da parte di Tifone e compagni:
i due sono, infatti, oggetto di sbranamento (διασπασμός) e di una
successiva rinascita (παλιγγενεσία); 4) tutti e due hanno avuto sepoltura
tra gli umani (uno a Delfi, l'altro in numerosi luoghi cfr. Plu. De Isid. et
Osirid. 20, 359b-c); 5) l'edera, pianta simbolo della vittoria della
vegetazione sull'inverno, in Grecia è sacra a Dioniso nonché una sua
scoperta232, mentre in Egitto è chiamata chenosiride (Plu. De Isid. et
Osirid. 37, 365e; D.S. I 17, 5); 6) come già detto sopra, sono accomunati
dalla loro connotazione come dèi della fertilità, in quanto signori
dell'elemento umido. Il racconto riportato a 36, 365d sembra non esser
attestato: Apopis, dio-serpente signore del buio e dell'aldilà, sarebbe
fratello-nemico del dio Sole Amun-Ra-Zeus, che avrebbe poi adottato
come figlio l'alleato Osiride che prese, allora, il nome di Dioniso.

230
Così Casadio 1995, 208-214
231
Così Griffiths 1970, 89-90
232
D.S. I 17, 4
62
L'adozione di Osiride sarebbe un'aggiunta di Plutarco, mentre la parentela
tra Apopis e Amun non ha alcun fondamento mitologico. Al cap. 40, 367c
viene illustrata la dottrina stoica degli elementi 233 simile a quella
attribuita ai sacerdoti egiziani: “τὸ μὲν γόνιμον πνεῦμα καὶ τρόφιμον”,
elemento che feconda e nutre è Dioniso, “τὸ πληκτικὸν δὲ καὶ
διαιρετικὸν”, elemento che percuote e distrugge è Eracle, “τὸ δὲ
δεκτικόν”, elemento che riceve è Ammone, “τὸ διὰ τῆς γῆς καὶ τῶν
καρπῶν διῆκον”, elemento che pervade la terra e i suoi frutti è Demetra,
“τὸ διὰ τῆς θαλάττης”, elemento che pervade il mare è Poseidone234.
Dall'unione del mondo fisico e del mondo astronomico si origina un'altra
interpretazione: Tifone rappresenta il mondo solare, Osiride quello
lunare235 in base anche al potere ricondotto a ciascuno dei due all'interno
dell'ordine naturale: in questo senso ancora Plu. De Isid. et Osirid. 42,
368b, dove l'etimologia dell'altro nome di Osiride, Onfis o Onnophris
(benefattore), è connesso al suo potere dall'influsso positivo; più avanti,
Plu. De Isid. et Osirid 43, 368b, la crescita del livello del Nilo viene messa
in rapporto alle lunazioni; in Plu. De Isid. et Osirid. 43, 368c nuovamente
Osiride è posto in relazione all'ambito lunare. Non diversamente la
pensano gli Stoici, i quali credono che il sole venga alimentato dal mare
e la luna venga raggiunta dai vapori delle acque dolci236 (Plu. De Isid. et
Osirid. 41, 367e). Il Sole brucia, arde e in qualche modo opprime, la
radice del verbo egiziano 'opprimere' sarebbe, infatti, contenuta nel nome
Seth, mentre la luna favorisce la riproduzione tramite la sua azione
umidificante. Ma in Plu. De Isid. et Osirid. 52, 372d-e, Osiride viene

233
La confutazione di questa dottrina, in particolare dello stoico Cleante, è ripresa a De Isid. et Osirid.
66, 377d.
234
Per l'identificazione di Poseidone e Demetra con gli elementi suddetti anche D. L. VII 147, ed.
Marcovich 1999, 531-532
235
Diversamente D.S. I 11, 1 e D.C. L 5, 3.
236
D. L. VII 145, ed. Marcovich 1999, 530
63
identificato col Sole: Σείριος è un epiteto rivolto spesso a Elio e l'aggiunta
dell'articolo avrebbe prodotto il nome Osiride; Iside viene identificata con
la luna237. L'identificazione di Osiride con il Sole arriva alla mente di
Plutarco da due canali238: sapeva, infatti, benissimo che in Egitto, poi
anche nel resto del mondo greco-romano, il Sole Ra, era spesso e
volentieri assimilato ad Osiride; in Platone, il Sole era l'immagine visibile
del Bene239; da qui l'identità Osiride-Sole-Bene, dove il Bene di Platone
assume il connotato di dio mummificato. Collegato al mondo solare,
secondo il Cheronense, sarebbe Eracle240, ma non ci sono documenti che
attestino questa identificazione; più plausibile, invece, quella di Ermes-
Thoth con il mondo lunare241, anche in virtù della sua peculiarità di dio
della scienza. Anubis, il figlio di Osiride e Neftys, ritrovato e adottato da
Iside242, per la sua funzione di guardia spesso rappresentato sotto forma
di cane, sarebbe l'orizzonte, dal momento che unisce Neftys, il sottosuolo
invisibile, e Iside, ciò che di visibile si trova sopra la terra; per le sue
caratteristiche viene assimilato ad Ecate-Persefone, come lui sovrana
dell'Oltretomba, o, secondo alcuni, a Crono, per omofonia tra κύων (cane)
e κυῶν da κυέω (concepire), essendo Crono padre degli dèi e

237
Questa nuova versione trova accordo con D.S. I 11, 1 e D.C. L 5, 3. In D.C. Antonio è detto Osiride
e Dioniso, Cleopatra Iside e Selene. L'assimilazione a Iside e Selene di Cleopatra è storicamente
attestata; quella di Antonio è probabilmente dovuta ad un'interferenza per il suo ruolo di consorte.
A proposito sembra opportuno rimandare a Plu. Ant. 54, 9 ed. Ziegler 1971, 116-117, dove Cleopatra
è detta νέα Ἶσις e Plu. Ant. 26, 5 ed. Ziegler 1971, 85-86, dove ci si riferisce ad Antonio come a
Dioniso. Sembra inevitabile applicare l'interpretatio aegyptiaca per cui risulta che Dioniso si
identifichi con Osiride. In Stadter 1992, 164-166, viene fatto un geniale parallelo tra il mito di Iside
e Osiride ed il love affair tra Antonio e Cleopatra: Cleopatra cerca il consorte, poi lo rende schiavo
della passione e lo trascina giù con l'amore (per questo viene deriso anche da D.C. L 25, 4), Antonio
diventa irrazionale e ridicolmente contrapposto all'immagine di derivazione platonica di Osiride-
Λόγος. Tra l'altro, è accettato dalla critica che la composizione del De Iside e quella della Vita di
Antonio non siano cronologicamente molto lontane. Sicuramente sia Plutarco sia Cassio Dione sono
stati influenzati dalla propaganda ostile ad Antonio.
238
Geniale intuizione di Brenk 2001, 84-87
239
Pl. R. VI 514a e ss., ed. Burnet 1902
240
Plu. De Isid. et Osirid. 41, 367e
241
Plu. De Isid. et Osirid. 12, 355d-e
242
Plu. De Isid. et Osirid. 14, 356f
64
frequentemente confuso con χρόνος (tempo), padre, a sua volta, di tutti
gli eventi. Di questo mito è fondamentale cogliere vari aspetti che insieme
portino alla comprensione di un'unica verità, che sfugge alle
interpretazioni fisico-astronomiche ma è accettata e sostenuta dal
platonismo243: la realtà è data dall'interazione non bilanciata (Plu. De
Isid. et Osirid. 49, 371a) tra due elementi, male e bene244, Tifone e
Osiride (Plu. De Isid. et Osirid. 49, 371b; in Plu. De Isid. et Osirid. 60,
375c). Un dualismo simile era condiviso anche dal neopitagorico
Numenio a da Attico, filosofo platonico della II metà del II sec. d.C.
Immancabilmente i capp. 53, 372e-56, 374b rivisitano il mito in chiave
platonica e cosmogonica245: Iside246 è colei attraverso cui tutto prende
forma247, ricettrice e materia248, perennemente tesa verso l'amore nei
confronti dell'Essere primo, Osiride, il quale si genera e continuamente
viene smembrato e disperso dal principio di disordine, Tifone, e, infine,
ricomposto dalla moglie, perché l'elemento primo è più forte della
distruzione249 (vedi anche Plu. De Isid. et Osirid. 64, 377a-b). Iside
coincide, pertanto, con la meta più elevata della filosofia: l'unione con la
bellezza e il divino; lo stesso fine è stato poi ripreso da Plotino. Seth250
rappresenta un'aggiunta rispetto alle concezioni del platonismo puro,

243
Pl. Tht. 176A ; R. II 379a-c; Lg. X 896d-e, ed. Burnet 1908
244
Così E. TGF 21
245
Rivisitazione in chiave platonica subiscono anche la festa di onore di Ermes e quanto si dice in
quell'occasione, l'amuleto di Iside e la figura di Arpocrate cfr. Plu. De Isid. et Osirid. 68, 378b-c
246
Iside potrebbe essere anche il demiurgo di platonica memoria posto tra l'Essere primo e il mondo.
Così Dillon 2014, 64-65.
247
Non a caso in De Isid. et Osirid. 49, 371b, lei è chiamata anche Muth, cioè madre, Athyri, connesso
alla dea Hathor-Iside, e Methyer, cioè il grande flutto, che sicuramente rimanda alla forma di vacca
assunta sempre da Hathor-Iside.
248
Tale caratterizzazione di Iside avvicina la dea al ruolo di Sophia nel sistema filosofico di Filone di
Alessandria. Vedi Dillon 2014, 65-67.
249
E' giusta l'interpretazione di Griffiths 1970, 20-21: sia Platone sia Aristotele sono convinti che alla
fine il Bene, in questo caso Osiride, trionfi.
250
Seth rappresentava per gli antichi Egizi il principio ineliminabile della morte, che venne sfidato a
giudizio e sconfitto da Osiride. Dal mito prese poi vita la classica immagine egiziana del tribunale
dei morti e la connotazione di Osiride come signore degli Inferi. Assmann 2002, 11-15
65
perché si tratta di una personificazione del principio disordinato
ineliminabile, ed anche rispetto ai contemporanei movimenti dualistici,
dal momento che essi ritengono che la crisi del divino non provenga da
un elemento esterno, in questo caso Seth-Tifone, bensì da una crisi
endogena. Horos, il riflesso sensibile 251 del mondo intelligibile,
contaminato dall'elemento corporeo, riesce a prevalere comunque su
Tifone grazie all'intervento della ragione, Ermes. Lo schema è a sua volta
dualistico: tra Iside e Osiride si instaura una relazione nuziale sin dai
tempi precedenti la loro generazione252, ma allo stesso modo si instaura
una relazione di tipo antagonistico tra Horus e Seth. Il triangolo platonico
viene così riletto: la base è Iside, l'altezza Osiride e l'ipotenusa Horos,
cioè il loro prodotto: il quadrato dell'ipotenusa è uguale alla somma dei
quadrati degli altri due; così anche Hes. Theog. 116-122 e Pl. Smp. 203b-
e vengono reinterpretati: Iside è la Terra (anche Plu. De Isid. et Osirid.
32, 363d) e Penia253, Osiride è Eros e Poros, Horos è Eros (figlio di Penia
e Poros), Tifone è Tartaro. Ermes, per la sua funzione di guardiano
dell'oltretomba e psicopompo, viene assimilato ad Anubis (Plu. De Isid.
et Osirid. 61, 375e), da cui il nome Ermanubis. Per la prima volta (Plu.
De Isid. et Osirid. 61, 375f) si accenna ai libri di Ermes, cioè alla
tradizione greco-egiziana, all'epoca ancora embrionale, delle rivelazioni
di Ermes Trismegistos, confluite nel Corpus Hermeticum: lì si dice che
Horos fosse chiamato Apollo dai Greci254, la forza che controlla i venti

251
Sfruttando questa rilettura, Plutarco assimila anche Horos a Min, giocando sull'omofonia tra Horos
e ὁράω e sull'omofonia tra Min e il verbo egiziano per ''vedere'' (Plu. De Isid. et Osirid. 56, 374b).
252
Il mondo imperfetto che Iside e Osiride creano prima della loro stessa generazione rappresenta
l'anticosmo poi ordinato dall'Essere primo del Timeo platonico , come suggerisce Dillon 2014;
inoltre il passo Plu. De Isid. et Osirid. 54, 373c altro non è che una rielaborazione creativa del mito
di Era che genera Efesto da se stessa in risposta alla generazione di Atena da parte di Zeus.
253
Iside è legata ad Osiride da due tipi di amore: uno erotico, da cui trae origine il cosmo perfetto; l'altro
erotico si manifesta nel tentativo di possedere eternamente il Bene. Si tratta di un passaggio da
amore erotico ad amore intellettualizzato ed assoluto. Così Chiodi 1985, 123-125.
254
In Plu. De Isid. et Osirid. 12, 356a, Horos il vecchio o Arueris era chiamato Apollo: le due figure,
Horos il vecchio e Horos, si confondono.
66
è chiamata ora Osiride ora Sarapide, Sothis, parola egiziana dal
significato di gravidanza (κύης) o di essere gravido (κυείν), è chiamato
Cane (κύων), cioè la stella di Iside. Nel capitolo successivo 62, 376a, in
maniera quasi arbitraria Plutarco associa Iside ad Atena, dando del nome
Atena una pseudoetimologia azzardata e attribuendo il processo agli
Egiziani; probabilmente la dea Neith, solitamente assimilata ad Atena,
spesso veniva confusa con Iside; così Seth-Tifone era chiamato anche
Bebon255 e Smu, forse il nome di un demone. Non è documentabile la
storia riferita da Plutarco, riportata, a suo dire, da Eudosso: Zeus non
poteva camminare perché le sue gambe erano unite, perciò passava la
maggior parte del suo tempo solo256, fintantoché Iside non le separò. Di
portata universale è l'inizio del cap. 66, 377c-d: “Καὶ δεινὸν οὐδέν, ἂν
πρῶτον μὲν ἡμῖν τοὺς θεοὺς φυλάττωσι κοινοὺς καὶ μὴ ποιῶσιν
Αἰγυπτίων ἰδίους μηδὲ Νεῖλον ἥν τε Νεῖλος ἄρδει μόνην χώραν τοῖς
ὀνόμασι τούτοις καταλαμβάνοντες μηδ’ ἕλη μηδὲ λωτοὺς μὴ θεοποιίαν
λέγοντες ἀποστερῶσι μεγάλων θεῶν τοὺς ἄλλους ἀνθρώπους, οἷς Νεῖλος
μὲν οὐκ ἔστιν οὐδὲ Βοῦτος οὐδὲ Μέμφις, Ἶσιν δὲ καὶ τοὺς περὶ αὐτὴν
θεοὺς ἔχουσι καὶ γιγνώσκουσιν ἅπαντες, ἐνίους μὲν οὐ πάλαι τοῖς παρ’
Αἰγυπτίων ὀνόμασι καλεῖν μεμαθηκότες, ἑκάστου δὲ τὴν δύναμιν ἐξ
ἀρχῆς ἐπιστάμενοι καὶ τιμῶντες.” Questi dèi, Iside, Osiride, Tifone etc.
sono κοινοί: degna di nota è la condivisione dei culti isiaci e degli dèi
egiziani e non l'accettazione di una disparata pluralità di religioni; si tratta
di un riconoscimento dell'impatto esercitato dall'Egitto sul mondo greco-

255
In Plu. De Isid. et Osirid. 49, 371c, Bebon sembrava chiamarsi un compagno di Tifone, ma
secondo Manetone era un suo soprannome: dunque, in Plu. De Isid. et Osirid. 62, 376a viene
ripresa la concezione di Manetone, forse con l'intenzione di richiamare alla mente il dio egiziano
Baba, rappresentato come un babbuino, dalle caratteristiche simili a Seth.
256
L'etimologia del nome Amun, collegata in Plu. De Isid. et Osirid. 9, 354c, al verbo nascondere
potrebbe rimandare a questa storia non altrimenti nota.
67
romano257. Non è accettabile lasciare che queste divinità rimangano un
possesso dei soli Egiziani: così non è già ai tempi di Plutarco, e qualche
decennio dopo Apuleio, nella conclusione delle sue Metamorfosi,
introduce il lettore all'interno dei culti istituiti a Corinto in onore di Iside.
Cap. 67, 377f-378a: “ἀπὸ τούτων δὲ τοὺς χρωμένους αὐτοῖς καὶ
δωρουμένους ἡμῖν καὶ παρέχοντας ἀέναα καὶ διαρκῆ θεοὺς ἐνομίσαμεν,
οὐχ ἑτέρους παρ’ ἑτέροις οὐδὲ βαρβάρους καὶ Ἕλληνας οὐδὲ νοτίους καὶ
βορείους· ἀλλ’ὥσπερ ἥλιος καὶ σελήνη καὶ οὐρανὸς καὶ γῆ καὶ θάλασσα
κοινὰ πᾶσιν, ὀνομάζεται δ’ ἄλλως ὑπ’ ἄλλων, οὕτως ἑνὸς λόγου τοῦ ταῦτα
κοσμοῦντος καὶ μιᾶς προνοίας ἐπιτροπευούσης καὶ δυνάμεων ὑπουργῶν
ἐπὶ πάντα τεταγμένων ἕτεραι παρ’ ἑτέροις κατὰ νόμους γεγόνασι τιμαὶ
καὶ προσηγορίαι”. In questo passo è inevitabile notare l'influsso del
pensiero medioplatonico e stoico: si parla di una sola ragione (εἷς λόγος)
e di una sola provvidenza (μία πρόνοια), dotate entrambe di caratteristiche
qualificanti. Non sono presenti solo i concetti di λόγος e πρόνοια di stoica
memoria: il testo sembra permeato anche dalle tendenze all'ὁμόνοια (Περὶ
Ὁμονοίας è il titolo di un'opera perduta di Crisippo 258
) ed alla
φιλανθρωπία259, che non guardava più come inferiori i βαρβάροι 260. La
ragione ordina (κοσμέω), la provvidenza amministra e sovrintende
(ἐπιτροπεύω) a quanto disposto. Il Griffiths 261 ritiene che questa visione
universalistica appartenesse già a Erodoto, diversamente il Reitzenstein 262,
che interpreta la stessa come un'influenza esercitata dal cosmopolitismo

257
Griffiths 1970, 531-532
258
SVF III, 201
259
Griffiths 1970, 532-533
260
Il nesso 'barbari e Greci' torna in due lettere di San Paolo (“Ἕλλησιν τε καὶ βαρβάροις” N.T. Ep. Ro.
1, 14, ed. Aland, Black, Metzger, Wirkgren 1966, 530; “ὅπου οὐκ ἔνι Ἕλλην καὶ Ἰουδαῖος, περιτομὴ
καὶ ἀκροβυστία, βάρβαρος, Σκύτης, δοῦλος, ἐλεύθερος” N.T. Ep. Col. 3, 11, ed. Aland, Black,
Metzger, Wirkgren 1966, 700) ed in un'aretalogia di Iside, dove la dea è riconosciuta come colei
che ha distribuito il linguaggio ai Greci ed ai barbari.
261
Griffiths 1970, 28-29
262
Reitzenstein 1927
68
stoico. Sicuramente di impronta stoica è il richiamo ad un'unica
provvidenza, mentre Erodoto, il cui utilizzo come fonte è messo in dubbio
da Del Corno, quasi senza ombra di dubbio non sembra aver esercitato un
ruolo così preponderante nella visione religiosa di Plutarco. Ciò che
potrebbe aver, più di ogni altra cosa, determinato l'atteggiamento aperto
e comparativo dell'autore, o comunque potrebbe avervi contribuito in
maniera sostanziale, era la Weltanschauung del II sec. d.C., periodo in cui
il medio platonismo risentiva delle dottrine stoiche e viceversa ed in cui
il progressivo e, ormai, definitivo allargamento delle frontiere aveva
permesso una migliore penetrazione e una conseguente migliore
conoscenza dei culti ormai non più 'stranieri'. Come giustamente fa notare
Assmann 263 , il contatto tra religioni etnicamente diverse e, nel caso
particolare, i conseguenti processi di interpretatio graeca e di
interpretatio aegyptiaca hanno permesso l'utilizzo dei concetti di
“uguaglianza” e “comparabilità” degli dèi ben oltre i confini di ciascuna
credenza, creando così le basi per un' “internazionalizzazione” dello
spirito religioso. I capp. 71, 379c-72, 380c confutano l'atteggiamento
assunto dagli Egiziani nei confronti degli animali sacri, le interpretazioni
degli stessi come dèi e la loro origine. Tutto ciò che è bestiale, inoltre,
secondo le visioni degli Egiziani, rimanderebbe all'anima di Tifone,
suddivisasi in esso: proprio per addolcirlo, rivolgono ad alcuni animali
delle cure particolari.

3. Conclusioni

Come già spiegato nell'introduzione, l'interpretatio graeca è presente sin


dai tempi di Erodoto, che ragionava con le categorie mentali della Grecia

263
Assmann 2000, 73-83
69
classica e si ritrovava, di conseguenza, a raggruppare gli dèi stranieri in
base alle loro qualità e, infine, ad accostarli ai corrispettivi greci, sulla
base della comune struttura politeistica. Diversamente si approcciò
Diodoro: in I 11-29 registra quelli che per lui, un greco di Sicilia, ormai
sottomesso alla Realpolitik romana, ed anche per gli Egiziani, prossimi
all'annessione a Roma, sono i miti e i culti religiosi di riferimento, della
vita quotidiana. Nel testo, il mito e la presenza di dèi egiziani vengono
giustificati come una questione cronologica: essendo gli Egiziani il primo
popolo ad aver introdotto una credenza religiosa ed un pantheon, alcuni
dèi hanno mantenuto il loro nome e le loro specificità anche in ambito
greco. Si tratta di un'impostazione derivazionistica e filogenetica, molto
vicina a quella erodotea, se non, addirittura, da essa dipendente. La realtà
culturale e religiosa, eredità del periodo ellenistico, venne subita
dall'Agiriense come dato di fatto e cercò di dare di essa una spiegazione
eziologica, ricorrendo a miti che fondevano aspetto greco ed egiziano.
Come spesso si evince dalle sue pagine, anche nella nomenclatura può
essere utilizzato il nome Dioniso-Osiride o anche solo uno o solo l'altro
per riferirsi ad una stessa divinità in maniera assolutamente
interscambiabile; vale lo stesso anche per Demetra-Iside, anche se poi
Iside si stava lentamente autodeterminando come madre universale ed
oggetto di culti e feste in tutto il futuro Impero romano. Benché Diodoro
sia vissuto nel periodo solitamente definito ''Spaethellenismus'', un
cambiamento ancor più profondo di Weltanschauung, eredità sì
dell'antico Impero macedone ma anche bagaglio dell'imminente Impero
romano, si verificò con la progressiva diffusione e successivo
radicamento di tali culti o culture, avvenuto tra il I e il II sec. d.C., in zone
geograficamente molto remote. L'intreccio di vicende politiche, ma non

70
solo, e “la prassi della traduzione interculturale”264 dei nomi di divinità
hanno attivato il processo che ha condotto verso una religione comune,
universale: la religione era, e dovrebbe ancora esser così, l'unica
piattaforma su cui popoli diversi per lingua, provenienza e sistemi politici
potevano confrontarsi e sentirsi uguali. Plutarco, dal canto suo, da filosofo
e sacerdote, entra nel mito in maniera diversa: ne analizza le funzioni e
l'utilità, per asserire, infine, che ogni popolo ha gli stessi dèi, che
cambiano solo nei nomi. Un'unica essenza divina appare a tutti nelle pur
varie forme religiose: la θεολογία plutarchea va oltre le tradizioni,
similmente a quanto fa il filosofo stoico Anneo Cornuto nel suo
Compendium265. Anche nell'operetta De sera numinis vindicta Plutarco
parla di un Dio, senza riferimenti specifici ad alcuna religione. Questo
universalismo può esser letto come una 'polilatria monoteistica', laddove
per polilatria si intende un approccio alle divinità ed ai culti tradizionali
delle varie religioni tale che alla fine confluiscono in un'unica essenza
divina266. I miti e le religioni sono uno dei modi con cui il divino si
manifesta e si rende oggetto della speculazione filosofico-teologica, dal
momento che ogni credenza richiede una certa dose di riflessione critica.
Il λόγος e il μύθος sono le due parti complementari di un unico e
medesimo discorso sulla verità. Iside nell'opera gioca un ruolo
assolutamente secondario, diventa l'allegoria della ricerca di Dio da parte
dell'anima mentre, de facto, era Osiride il dio secondario rispetto al ruolo
della moglie-sorella nei culti greco-romani imperiali. In Plutarco, Osiride
è il protagonista: forse in questo riflette le antiche fonti che ha usato, ma
non dimentichiamo che, in Apuleio, l'iniziazione ai misteri di questo dio

264
Vedi Assmann 2000, 75-77
265
Hirsh-Luipold 2014, 167-168
266
L'immagine della polilatria monoteistica è ripresa da Hirsch-Luipold 2014
71
era la più alta e la più costosa. Non a caso, i più significativi templi ad
Alessandria, Memfi e Delo erano dedicati ad Osiride-Sarapide: il
Cheronense descrive sì l'isismo greco-romano, solo che sottolinea la
crescente importanza della componente osirica. Un simile aumento di
interesse fu dovuto e legato agli aspetti connessi ad una vita nuova
nell'aldilà e alle numerose identificazioni di Osiride con il Sole. Un
mosaico ritrovato a Praeneste, odierna Palestrina, risalente al II sec.a.C.,
raffigura una processione per il funerale rituale di Osiride; l'Iseion romano
nel Campo Marzio267, costruito nel 38 sotto Caligola e ricostruito in
seguito sotto Domiziano, ha avuto come modello quello a File nell'Alto
Egitto, dove Iside era venerata come la responsabile della resurrezione del
marito. Secondo Plutarco, De Isid. et Osirid. 20, 359b, e Diodoro Siculo,
I 22, 1-6, a File si diceva vi fosse la tomba di Osiride. Il tema
dell'osirificazione (resurrezione e ascesa a divinità solare) divenne
molto frequente nelle rappresentazioni a partire dal II sec.d.C. Plutarco
rende, dunque, accessibile la religione egiziana attraverso la teologia
medioplatonica, presentandola così in maniera idealistica e leggibile ai
contemporanei. In De Iside et Osiride, il mondo greco e il mondo egizio
si confondono fino a costituire un tutt'uno268, cioè il nuovo orizzonte
culturale dominante sotto l'Impero romano, comprensivo di un nuovo
patrimonio, ormai condiviso sia dall'Oriente sia dalla Grecia e che si
esplica attraverso la grecità, il suo linguaggio e la sua riflessione. Da tutto
ciò emerge una chiara visione comparativa e tendente all'universalismo
della religione. Volendo accettare, poi, l'ipotesi di Del Corno, fondata su
stereotipi radicati e non troppo condivisibili, Plutarco, nonostante le
numerose somiglianze registrate, non avrebbe tenuto in alcun conto

267
Ne parla Ap. Met. XI 27, ed. Griffiths 1975, 104
268
Così anche Donadoni 1947, 206-208
72
Diodoro Siculo, né, tantomeno, Erodoto come fonti per affrontare il
problema dei miti e della religione egiziani; avrebbe, dunque, utilizzato
testi diversi, reperiti durante la sua sosta ad Alessandria. In virtù proprio
di queste vicinanze, non si può non pensare ad un uso da parte di entrambi,
Diodoro e Plutarco, dei medesimi scritti, all'epoca imprescindibili per
chiunque volesse trattare il problema, anche se, purtroppo, oggi perduti;
da non escludere, infine, il fatto che tante notizie, versioni, aggiunte del
mito, dei culti e della religione fossero il pane quotidiano per un greco del
I sec. a.C. e ancor di più per un greco vissuto tra I e II sec. d.C.

INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI ANTICHI CITATI


73
A. Fr. = Aeschilus Fragmenta

Ap. Met. = Apuleius Metamorphoses

Apoll.= Apollodorus

Ar. Av. = Aristophanes Aves

Arist. Rh., Mete., Ath. = Aristoteles Rhetorica, Meteorologica,


Atheniensium Respublica

Arn. Advers. Nat. = Arnobius Adversus Nationes

Ath. = Atheneus

Aug. Civ.= Augustinus De Civitate Dei

Cleom. = Cleomedes

D.C. = Dio Cassius

D.L.= Diogenes Laertius

D.S. = Diodorus Siculus

Eudox. Fr. = Eudoxus Fragmenta

E. Bacc., Fr. = Euripides Bacchantes, Fragmenta

Eus. PE. = Eusebius Preparatio Evangelica

Firm. Err. = Firmicus De errore profanarum religionum

Hdt = Herodotus

Hes. Theog. = Hesiodus Theogonia

Hom. h. Bacc. I, h. Cer. I, h. Merc. IV = Homerus Hymnus in Baccum I,


Hymnus in Cererem I, Hymnus in Mercurium IV

Il.= Iliades

Lact. Inst. = Lactantius Divines Institutiones


74
Man. = Manetho

Min. Fel. = Minucius Felix

Nonn. D. = Nonnus Dionysiaca

N.T. Ep. Ro., Ep. Col. = Novum Testamentum Epistula ad Romanos,


Epistula ad Colossenses

Od. = Odyssea

Orph. Fr. = Orphica Fragmenta

Ov. Met. = Ovidius Metamorphoses

Pl. Lg., Phdr., R., Smp., Tht., Ti., = Plato Leges, Phaedrus, Respublica,
Symposium, Theaetetus, Timaeus

Plu. Alex., Ant., De def. or., De E ap. Delphos, De Herod. malign., De


Isid. et Osirid., Fr., Quaest. Conviv., Thes. = Plutarchus Alexander,
Antonius, De defecto oraculorum, De E apud Delphos, De Herodoti
malignitate, De Iside et Osiride, Fragmenta, Quaestiones Convivales,
Theseus

Plb. = Polibius

Ps.-Callisth. = Pseudo-Callisthenes

Str. = Strabo

Tertullan. Ad nat. = Tertullanus Ad nationes

Tib. = Tibullus

Tuc. = Tucidides

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