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La storiografia

Dossier

I superstiti di un naufragio
A partire dalla fine del IV secolo a.C. la storiografia assume una varietà di ca-
ratteristiche ricollegabili sia a un allargamento del campo visuale dello stori-
co (con l’inclusione di nuove popolazioni e nuovi territori conosciuti grazie alla
spedizione di Alessandro Magno) sia alla scelta di modi espositivi volti a ricreare
mimeticamente situazioni ed eventi.

Le poche fonti D’altra parte, se si escludono i primi cinque libri dell’opera di Polibio e alcuni
superstiti testi originali pervenuti per via epigrafica (ad es. il Marmor Parium), la storio-
grafia ellenistica è andata incontro a un grande naufragio da cui si sono salvati
solo alcuni estratti che dobbiamo o alla raccolta tematica di brani storici com-
pilata per conto dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito (913-959) o alla
ripresa, talora molto fedele, di brani ellenistici all’interno di opere storiografiche
o biografiche di età imperiale ( Plutarco, Appiano, Arriano ecc.).

DOSSIER: I SUPERSTITI DI UN NAUFRAGIO


La rottura della Pur tenendo conto di tutto ciò, resta per noi una lacuna incolmabile nella storio-
catena storiografica grafia non solo della ma sulla età ellenistica: non possediamo alcuna narrazione
continuata per il periodo che va dal 302 (fine del XX libro di Diodoro Siculo) al
264 a.C. (inizio del racconto di Polibio): «La rottura della “catena” storiografica
– come il vescovo e storico Evagrio chiamava il patrimonio della storia profana
– è avvenuta nel punto più debole. Ancora nell’epoca fiorente di Fozio e Costan-
tino VII1 vi è la “tranquillità” di possedere, sia pure in dignitosi compendî di età
romana, il racconto di tutta la storia passata; ma dopo la crisi dell’impero latino
(1204-1261) e la dispersione della cultura bizantina dal suo naturale centro ve-
diamo infrangersi la continuità della conoscenza del passato. Quello che resta – e
sono all’incirca i resti attuali – si presenta come una serie di spezzoni (non ci so-
no invece interruzioni per quel che riguarda la storia imperiale e bizantina). Ci si
accorge cioè di un fenomeno che sarebbe apparso inconcepibile agli studiosi dei
due secoli precedenti: la scomparsa del ricordo di alcune epoche passate. È per
questo che in manoscritti copiati in quest’epoca di lenta ripresa dopo il trauma
494 LA STORIOGRAAFIA
dell’impero latino abbondano indicazioni quali ad esempio: “mancano i cinque
libri seguenti” (in alcuni testimonî dopo il quinto libro di Diodoro: infatti non
sono sopravvissuti, di Diodoro, i libri VI-X). Ed il punto debole è stato la storio-
grafia di età ellenistica (nonché quella sull’età ellenistica), proprio perché, in una
valutazione di tipo assiologico, è una età destinata ad apparire meno “grande”»
(L. Canfora).

MEMORIA STORICA

Lega etolica, la Lega achea e gli ultimi sussulti indipendentisti


della Grecia
Attraverso le testimonianze che ci sono pervenute, cerchiamo di ricostruire la storia della Grecia in questo
ultimo -periodo della sua indipendenza.

La Lega etolica Rozzi montanari, considerati alla stregua di barbari, gli Etoli si erano riuniti in una lega regionale a base
democratica almeno a partire dal 367 a.C., ponendo presso il santuario di Apollo a Termo il loro centro
cultuale e politico. Fu però in età ellenistica, in seguito al contributo offerto per respingere l’invasione
celtica della Grecia centrale nel 279 a.C., che gli Etoli entrarono a far parte dell’anfizionia delfico-pilaica,
acquistando un potere e un peso politico che permise loro di inglobare nella Lega l’Acarnania, la Focide,
la Locride, la Beozia, l’Elide, la Messenia e Megalopoli in Arcadia. I cittadini di questi Stati assunsero la
cittadinanza federale, pur continuando a mantenere anche la propria, divenendo partecipi di un’assemblea
che eleggeva magistrati e in particolare lo stratega eponimo, capo politico e militare della Lega.

La Lega achea Costituitasi intorno al 400 a.C. intorno a una dozzina di poleis della regione dell’Acaia, nel Peloponneso,
aveva il suo centro presso il santuario di Zeus Amario a Egio. Dopo la partecipazione alle prime lotte
antimacedoni, era stata sciolta in seguito alla sconfitta di Cheronea del 338 a.C., per ordine dello stesso
Alessandro (324 a.C). Fu riformata nel 280 a.C. intorno alle città di Patre, Dime, Fare e Tritea.

Contro l’ormai incontrollata potenza di Antigono Gonata, re di Macedonia e arbitro della Grecia, mosse
La guerra cremonidea
e l’egemonia nel 274 a.C. Pirro, re dell’Epiro, un tempo suo alleato. La Lega etolica e la Lega achea approfittarono del
di Antigono Gonata dissidio interno tra i due regni e si schierarono dalla parte di Pirro per liberare la Grecia dall’egemonia
macedone. Presso Argo, nel 272, avvenne lo scontro tra i due grandi condottieri: il caso volle che Pirro
fosse colpito da una tegola scagliata da una vecchia e che il celebrato re dell’Epiro morisse lasciando
campo aperto ai Macedoni.
Nel 266 a.C. Tolomeo II d’Egitto, preoccupato dall’ambizione di Antigono, fomentò Sparta e convinse
il generale ateniese Cremonide ad alle-
arsi con l’antica nemica per un fronte
comune contro la Macedonia. La flotta
di Tolomeo II inviata presso capo Su-
nio rimase però inattiva e le truppe di
Antigono invasero l’Attica, quindi at-
traversarono l’istmo e sconfissero gli
Spartani, uccidendone il re Areo presso
Corinto (265/264). L’anno successivo
anche Atene fu costretta alla resa in-
condizionata, mentre nel 258, nelle
acque di Cos, il re macedone ribadiva la
DOSSIER

propria supremazia anche sul mar Egeo,


grazie all’appoggio ottenuto da Rodi e
da Antioco II di Siria, uniti contro la
flotta tolemaica, costretta al ritiro.
DOSSIER: I SUPERSTITI DI UN NAUFRAGIO 495
Il successore di Antigono, il figlio Demetrio II, abbandonò però subito le ambizioni di egemonia marit-
Arato di Sicione
e la riscossa tima, cedendo ad Antioco II per avere mano libera in Grecia. La Lega Achea aveva infatti preso le redini
della Lega achea della riscossa ellenica sotto la guida di Arato di Sicione. Questi aveva dapprima liberato la sua città dalla
tirannide di Nicocle (251), guidandola a entrare nella Lega di cui poi sarebbe stato eletto ripetutamente
stratega. Assicuratosi l’appoggio di Tolomeo II e del suo successore, sempre pronti a schierarsi contro la
Macedonia, liberò Corinto mettendo in fuga il presidio macedone che ne controllava la rocca (243 a.C.).
Grazie al prestigio politico e militare, Arato riuscì a trarre dalla propria parte anche Sparta, storicamente
avversa alla Lega achea, oltre alla Lega etolica e all’Epiro. Nel 234, dopo anni di conflitto dall’esito incerto,
anche Megalopoli, fino ad allora sotto la tirannide di Lisiada, entrò nella Lega achea. Lo stesso ex tiranno
si alternò alla guida della compagine con Arato, finché quasi tutto il Peloponneso non aderì alla Lega.
La morte di Demetrio II, impegnato in una guerra a nord contro i Dardani (229-228 a.C.) favorì infine la
cacciata dei Macedoni dal suolo greco.

Cleomene e il canto Fu a questo punto, però, con la Macedonia controllata da Antigono Dosone, cugino di Demetrio II e tu-
del cigno di Sparta tore dell’ancora giovanissimo erede designato, Filippo, che riesplose tra i Greci la tradizionale rivalità tra
Sparta e la Lega achea. Un primo tentativo di rianimare la potenza spartana da parte del re Agide, che
aveva cercato di rinfoltire le schiere degli Spartiati ridistribuendo le terre, era fallito nel 242. Dopo una
quindicina d’anni Cleomene riuscì là dove il suo predecessore aveva fallito e nuove terre furono assegnate
a Spartiati divenuti nullatenenti e ai Perieci. In questo modo l’esercito tornò a contare su un numero cospi-
cuo di uomini e Sparta si rivolse contro la Lega achea, sconfiggendola nel 226 a.C. a Megalopoli. Di nuovo
battuto a Dime, Arato si trovò di fronte a una situazione disperata. L’Egitto non poteva infatti aiutarlo:
essendo storicamente alleato anche di Sparta, si manteneva infatti neutrale. Con un incredibile voltafaccia
l’acerrimo nemico della Macedonia chiese quindi l’aiuto di Antigono Dosone, cedendo Corinto in cambio
dell’alleanza (223 a.C.). Grazie all’aiuto di Tolomeo III Euergete, pronto a intervenire contro i Macedoni,
Sparta resistette; ma quando il suo successore, Tolomeo IV Filopatore, abbandonò l’alleanza, nonostante
l’affrancamento degli Iloti e l’ulteriore allargamento dell’esercito, Cleomene fu sconfitto a Sellasia, presso
Sparta, da un’armata guidata da Antigono e da Filopemene, nuovo leader della Lega achea (222 a.C.). La
stessa capitale lacedemone fu per la prima volta occupata da un esercito straniero.

Antigono costituì quindi sotto la propria egemonia una Lega ellenica alla quale si rifiutarono di aderire
Filippo V
e la «guerra sociale Atene e la Lega etolica. Anzi, quest’ultima, approfittando dell’improvvisa scomparsa del sovrano e della
degli Achei» minore età di Filippo V, provocò lo scoppio della cosiddetta “guerra sociale degli Achei. Nonostante i primi
successi, il giovanissimo sovrano macedone e la Lega ellenica preferirono stipulare la pace a Naupatto
(217 a.C.), preoccupati di respingere la minaccia romana dalle coste adriatiche. Intervenuti contro i pirati
Illiri, i Romani si erano infatti insediati sulla sponda orientale del Mare. Cominciava così un quarantennio
di lotte tra Filippo V, che nel 215 si era alleato con Annibale, e la potenza di Roma (Guerre macedoniche),

DOSSIER: I SUPERSTITI DI UN NAUFRAGIO


destinato a concludersi con la vittoria di quest’ultima secondo un fatale processo di fusione della storia
ellenistica con quella romana.

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Il Marmor Parium
Noto anche come «Marmo arundeliano», il Marmor Parium lean Museum di Oxford): elenca eventi fra il 1581-1580 a.C.
è una stele, alta originariamente circa due metri e larga e il 355-354 a.C.
70 centimetri, in cui è incisa un’epigrafe contenente una Il secondo frammento è stato scoperto nel 1897 (ora si tro-
cronaca soprattutto attica a partire dal mitico re Cecrope va nel museo dell’isola di Paro) e contiene 31 righe relative
(1581-1580 a.C.) fino al 264-263 a.C. (arcontato di Diogne- ai fatti dal 336-335 al 299-298 a.C. La scelta degli eventi
to). Dell’iscrizione restano due cospicui frammenti. Il primo elencati (politici, religiosi, letterari) è piuttosto bizzarra,
e più ampio (rr. 1-93) fu scoperto a Smirne e portato in poiché talora mancano fatti che a noi appaiono di grande
Inghilterra nel 1627 da Thomas Howard conte di Arundel (la rilievo, talaltra si registrano episodi secondari. Frequenti le
parte relativa alle righe 1-45 è andata perduta ma ne posse- discrepanze fra i dati cronologici forniti dal Marmor Parium
diamo l’editio princeps del 1628; il resto si trova all’Ashmo- e le datazioni di altre fonti.
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Le tendenze della storiografia ellenistica


V ediamo comunque di fissare alcuni tratti tipici di ciò che si è salvato da questo
naufragio.

Storiografia Le conquiste di Alessandro, dicevamo, rinnovarono l’impulso all’etnografia di tipo


ed etnografia erodoteo (ad es. con le opere di Ecateo di Abdera sull’Egitto e di Megasten e sull’In-
«erodotea»
dia) e promossero una propensione largamente innovativa alla geografia fisica; e
oltre all’Oriente battuto dagli eserciti di Alessandro anche l’Occidente suscitò un
nuovo e intenso interesse a partire dalla grande storia della Sicilia di Timeo.

Cronologia Il progetto di una storia universale promosse lo sviluppo degli studi cronologici,
universale che condussero a quelle tabulazioni che ancora in parte conosciamo per essere
confluite in Eusebio e in altri cronografi cristiani.

Storie locali Anche le storie locali furono intensivamente coltivate, pur se ce ne possiamo fare
un’idea solo dalla scoperta di un’epigrafe dell’inizio del I secolo a.C. contenente
la cronaca del tempio di Lindo a Rodi e da un sommario parziale, conservato
nella Biblioteca di Fozio (cod. 224), della storia di Eraclea Pontica dal 364 al 47
a.C. composta da un certo Memnone.

«Storici A principio del periodo ellenistico troviamo un gruppo di autori riuniti sotto
di Alessandro» l’etichetta di «storici di Alessandro», figure di cui a stento possiamo ricostruire

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Fozio
Fozio è il grande erudito vissuto all’incirca fra 810 e 893 d.C., Il Lessico è un dizionario «delle parole che danno partico-
uomo politico e patriarca di Costantinopoli nei periodi 858- lare eleganza alle opere degli oratori e degli scrittori in
867 e 878-886. Egli deve il suo ruolo nella conservazione della prosa» (come Fozio dice nella lettera di dedica a un allie-
cultura antica alla compilazione della Bi- vo di nome Tommaso), a cui dobbiamo
blioteca, del Lessico e di un’enciclopedia un enorme numero di citazioni da opere
grammaticale che noi chiamiamo conven- successivamente perdute, non solo di
zionalmente Etymologicum Genuinum. prosatori, ma anche di poeti, soprattutto
La Biblioteca è una raccolta di 279 schede comici e tragici.
di lettura (abitualmente designate come L’Etymologicym Genuinum è la prima di
«codici») di dimensioni variabili fra due una lunga serie di opere enciclopediche
righe e molte decine di pagine: una serie bizantine, che riuniscono, in voci ordi-
di recensioni-riassunti (complessivamente nate alfabeticamente, tutto lo scibile
386, perché un «codice» poteva riguarda- erudito- grammaticale, partendo dal
re più opere) di altrettante opere di autori tentativo di capire il vro significato delle
classici pagani (147) o cristiani (239), tutti parole attraverso derivazioni etimologi-
prosatori. Il valore documentario dell’ope- che per lo più bizzarre e inattendibili.
ra è inestimabile, in quanto ci delinea pro- Anche in questo caso, è molto importan-
DOSSIER

fili più o meno sintetici di moltissime opere te il fatto che ci preservi numerosi passi
di autori classici, soprattutto di storici, di classici altrimenti sconosciuti.
cui altrimenti non conosceremmo talora
neppure i titoli.
GLI «STORICI DI ALESSANDRO» 497
il ruolo e gli obiettivi attraverso le ben più recenti narrazioni di Arriano, Curzio
Rufo, Plutarco ecc. (per non dire del Romanzo di Alessandro) . In ogni caso
possiamo farci l’idea di un panorama assai composito, che spaziava dalla regi-
strazione della cronaca quotidiana (le «efemeridi») all’interesse per il calcolo
delle distanze (le compilazioni dei «bematisti» reclutati dal sovrano macedone,
come quell’Aminta di cui Ateneo [500d] cita un’opera dal titolo ΔAsiva~ sta-
qmoiv « Stazioni dell’Asia»), dalla narrazione a tutto campo in chiave ideologica
(le Gesta di Alessandro di Callistene, caratterizzate da una valorizzazione del re
macedone come campione del panellenismo) al diario fondato sull’esperienza
personale (Nearco), dalla biografia romanzata (Clitarco) all’utopia ispirata dal
contatto con popolazioni fino ad allora sconosciute (Onesicrito).

Storiografia tragica Per altro verso si elabora un tipo di storiografia (Duride, Filarco) che tende a
o mimetica cancellare la distinzione, stabilita da Aristotele nella Poetica, fra storia come
rappresentazione del particolare e poesia come rappresentazione dell’universale,
facendo della mimesi dei fatti uno strumento per suscitare il “piacere” del lettore,
coinvolto e immedesimato nel pathos della narrazione.

Storiografia Contro questo filone detto della «storiografia tragica» (o «mimetica») reagisce
pragmatica (Polibio) con sarcasmo Polibio, promotore di un ritorno al rigoroso accertamento dei fatti
e alla competenza tecnica (geografica, militare, politica ecc.) come requisiti pri-
mari del mestiere di storico.

Gli «storici di Alessandro»

DOSSIER: I SUPERSTITI DI UN NAUFRAGIO


Callistene
Notizie biografiche
P ronipote di Aristotele, Callistene (Kallisqevnh~) di Olinto nacque verso il
370 a.C. e visse in casa del filosofo già ad Asso, per poi seguirlo a Pella, nel
343, presso la corte di Filippo II, dove probabilmente rimase anche quando Ari-
stotele, nel 334, si trasferì ad Atene. Fu poi al seguito di Alessandro nella spedi-
zione in Asia in qualità di storiografo ufficiale. In occasione della congiura dei
Paggi (primavera del 327) venne condannato a morte (oppure, secondo un’altra
versione, morì di malattia in carcere) per essersi opposto al cerimoniale della
proskynesis. Teofrasto gli dedicò uno scritto Sul dolore, ma apoftegmi attribuiti
ad Aristotele mostrano che questi lo riteneva fatuo e di carattere difficile.
Le sue opere più significative, di cui restano scarsi frammenti, furono le Storie
elleniche (ÔEllhnikav) e le Gesta di Alessandro (Ἀlexavndrou Pravxei~).

Storie elleniche Le Storie elleniche, in 10 libri, coprivano il periodo dalla pace di Antalcida (386)
allo scoppio della terza guerra sacra (356). L’opera, scritta alla corte macedone e
per ciò caratterizzata da una marcata tendenza filo-macedone, è più o meno con-
498 LA STORIOGRAFIA
temporanea ai tentativi di Isocrate di additare in Filippo l’unificatore della Gre-
cia. Di gusto peripatetico erano sia la predilezione per excursus naturalistici (spe-
cialmente celebri quelli sulle inondazioni del Nilo e sul terremoto che distrusse
alcune città achee) sia l’interesse per la tradizione poetica e per la ricostruzione
della storia sulla base di essa: di qui l’uso di Tirteo per le guerre messeniche.
Dello stile possiamo dire che recepiva schemi della retorica.

Gesta di Alessandro Non molto conosciamo delle Gesta di Alessandro, cronaca della spedizione asia-
tica imperniata sull’esaltazione del re macedone come interprete delle istanze
panelleniche della tradizione isocratea. Sembra che la narrazione cominciasse
col passaggio di Alessandro in Asia; ultimo fatto attestato con sicurezza è la bat-
taglia di Arbela (331). Scrivendo per un pubblico panellenico, Callistene rappre-
sentava Alessandro molto più come condottiero comune dei Greci che come re
macedone, mirando a ricollegarne le gesta alla tradizione culturale greca; d’altro
lato ne enfatizzava quell’origine divina che era stata proclamata dal sacerdote di
Zeus Ammone nell’oasi di Siwa, dove Alessandro si era recato, nel 331, sulle
orme degli antichi eroi, Perseo ed Eracle (FGrHist 124 F 14a):
Callistene dice che Alessandro nutriva l’ambizione di spingersi fino all’oracolo so-
prattutto perché aveva udito che in passato vi erano andati Perseo ed Eracle. Mos-
sosi dunque da Paretonio, nonostante che si fossero scatenati venti da sud, non de-
sistette dal viaggio: sperdutosi in seguito a una tempesta di sabbia, fu salvato dal
sopravvenire delle piogge e perché due corvi gli mostrarono la via. [...] Solo a lui
il sacerdote consentì di entrare nel tempio con l’abbigliamento consueto: tutti gli
altri dovettero cambiarsi la veste e ascoltare i responsi all’esterno mentre Alessandro
era dentro. E i responsi furono espressi non con parole, come a Delfi e presso i
Branchidi1, ma per lo più con cenni e segni, proprio come in Omero2 «disse e con le
nere sopracciglia accennò il Cronide»; e il sacerdote impersonava la figura di Zeus.

1. Nel santuario di Apollo a Didima (presso Mileto).


2. Iliade I 528 = XVII 209.

Altri «nomi» collegati a questa tradizione


Clitarco
N otazioni fantastiche e sensazionalistiche caratterizzavano l’opera di Clitarco
(Kleivtarco~) di Colofone, figlio dell’autore di Persikav Dinone. Autore
verso il 310 di una biografia del sovrano (Peri; Ἀlevxandron iJstorivai) in al-
meno 12 libri, contribuì non poco alla formazione di quel filone romanzesco
LA STORIOGRAFIA

che confluirà nel Romanzo di Alessandro (del quale tratteremo nel capitolo sul
romanzo di età imperiale).

Eumene Più attendibili dovevano essere le Efemeridi (∆Efhmerivde~), il diario ufficiale della
spedizione asiatica tenuto dal segretario personale del sovrano, Eumene (Eujmevnh~) di
Cardia. Contenevano notizie di ogni genere: dalle grandi decisioni alle registrazioni
di quanto a lungo Alessandro avesse bevuto o dormito nel corso di una certa giornata.
GLI «STORICI DI ALESSANDRO» 499
Tolomeo Le Efemeridi redatte da Eumene furono utilizzate anche da Tolomeo (Ptolemai`o~)
I Sotèr, figlio di Lago, satrapo dal 323 e poi sovrano d’Egitto dal 305 al 283.
Dopo aver partecipato alla spedizione come generale e fedele compagno di Ales-
sandro, in tarda età compose la sua storia di Alessandro (di cui ignoriamo il titolo
esatto) attenendosi soprattutto agli aspetti tecnico-militari della conquista.

Aristobulo Parimenti in tarda età scrisse su Alessandro Aristobulo (Ἀristovboulo~) di Cas-


sandrea, nella Calcidica, forse un ex-ufficiale del genio all’interno dell’armata:
dai frammenti emerge uno spiccato interesse per l’ambiente naturale e per le
popolazioni dei territori attraversati.

Nearco Un taglio peculiare ebbe l’opera di Nearco (Nevarco~) di Creta, nato intorno al
360, che fu nominato da Alessandro ammiraglio della flotta incaricata di esplora-
re le coste della penisola indiana rinnovando quella navigazione del mare indiano
già compiuta dal cario Scilace ai tempi di Dario. Da questa esperienza prese
avvio la redazione della Navigazione lungo la costa dell’India (Paravplou~ th`~
∆Indikh`~), che doveva presentare affinità con l’opera di Aristobulo (a entrambi
attingerà Arriano nella sua ∆Indikhv) quanto a interesse per le particolarità del
paesaggio e per gli aspetti del costume.

Onesicrito Al periplo dell’India prese parte, come primo timoniere della flotta, anche Onesi-
crito (∆Onhsivkrito~) di Astipalea, nelle Sporadi. La sua opera, che già nel titolo,
Come fu educato Alessandro (Pw`~ Ἀlevxandro~ h[cqh), si richiamava alla Ciro-
pedia di Senofonte, dovette consistere però in una biografia dettagliata, gremita
di elementi fantastici, in cui il sovrano macedone appariva, in chiave cinica (One-
sicrito era stato scolaro del cinico Diogene di Sinope), come eroe civilizzatore.
Per contro egli riconobbe in quella popolazione indiana dei Musicani (stanziati
sull’alto corso dell’Indo) che subirono la sanguinosa repressione di Alessandro,
l’immagine di uno stato ideale ignaro della schiavitù e apprezzò anche lo stile di
vita della comunità ascetica dei gimnosofisti indiani, che ebbe modo di avvicinare
nel 327 in occasione di una missione diplomatica (FGrHist 124 F 17a).

Ieronimo Agli «storici di Alessandro» si connette per affinità tematica l’opera sui succes-
sori di Alessandro composta da Ieronimo (ÔIerwvnumo~) di Cardia (nel Cherso-
neso tracio), vissuto all’incirca fra il 360 e il 255 a.C. Segretario di Eumene di
Cardia, passò, dopo la sconfitta e l’esecuzione di Eumene nel 316 ad opera di
Antigono Monoftalmo, al servizio di quest’ultimo e nel 291 fu nominato armosto
della Beozia da Demetrio Poliorcete, figlio di Antigono. Dall’esperienza politica
LA STORIOGRAFIA

e militare accumulata trasse profitto per scrivere una storia del cinquantennio
fra la morte di Alessandro Magno e la morte di Pirro (272). Per noi è difficile
farci un’idea del valore dell’opera, di cui restano solo una ventina di frammenti
(neppure il titolo è sicuro: forse Ta; met∆ Ἀlevxandron «I fatti dopo Alessandro»).
Essa fu lodata dai posteri, che la usarono come fonte per quel cinquantennio (tra i
più sicuri fruitori sono Plutarco, Arriano e Diodoro Siculo), sia per la limpidezza
dello stile che per l’attendibilità.
500 LA STORIOGRAFIA

La storiografia tragica
Caratteri generali
La storia come
mimesis: fra filosofia
peripatetica
I l gusto mimetico che domina la poesia ellenistica influenzò anche la scrittura
storica; anzi divenne, forse (ma la questione è controversa) su influsso de-
gli scritti teorici dei paripatetici (trattati Peri; iJstoriva~ «Sulla storia» furono
e retorica
composti da Teofrasto e da Prassifane), un’istanza programmatica apertamente
rivendicata: mimesis dei fatti come ricostruzione e rappresentazione del vissuto
nella sua complessità esistenziale, in opposizione tanto al filone storiografico,
che sarà ripreso da Polibio, teso all’accertamento dei fatti (dove per «fatti» si
intendevano gli eventi politico-militari) e alla ricerca delle cause quanto a quel-
lo, caratteristico del IV secolo, fortemente condizionato dai moduli retorici e
pertanto preoccupato in primo luogo della forma letteraria nella sua dimensione
strettamente verbale.

Tragedia Per «narratori» come Duride e Filarco non si trattava più di selezionare le notizie
e arti figurative e di risalire alle loro motivazioni quanto piuttosto di ritrarre quasi pittoricamente
per coinvolgere
«simpateticamente» effetti d’insieme, situazioni globali. Ne derivò una storiografia «impura», conta-
il pubblico minata con tendenze provenienti da altri generi letterari (la tragedia soprattutto) o
da altre modalità artistiche (quelle figurative in primo luogo), che presupponeva
un radicale cambiamento nel rapporto fra l’autore e il pubblico dei lettori, dai
quali non si voleva sollecitare una risposta critica, ma che si intendeva far imme-
desimare simpateticamente con le emozioni evocate.

Limiti e suggestioni Sono evidenti i limiti di una produzione facilmente incline al romanzesco, al
di questa sensazionale, all’aneddotico, ma anche i risvolti suggestivi di un’interpretazione
impostazione
dell’attività storiografica come rappresentazione polidimensionale di realtà piut-
tosto intuite o immaginate in multiformi dettagli che positivamente accertabili.
Proprio per questi motivi è per noi quasi impossibile definire i limiti del genere
storiografico: «storiografia» diventerà in definitiva quasi un sinonimo di opera in
prosa non di compilazione scientifica.

Duride
L’autore e le opere
D uride (Dou`ri~) nacque verso il 340 a.C. da una famiglia aristocratica samia
LA STORIOGRAFIA

allora esule (forse in Sicilia) e si formò in Atene alla scuola di Teofrasto. Tor-
nato a Samo, ne divenne tiranno dopo il 301 e restò al potere finché, verso il 280,
l’isola passò sotto il controllo tolemaico.
Scrittore assai versatile, si occupò di vari argomenti letterari (Problemi omerici,
Sulla tragedia, Su Euripide e Sofocle) e artistici (Sulla pittura, Sulla toreutica).
Compose Annali di Samo (Samivwn w|roi), Sulle leggi, una Storia di Agatocle e,
soprattutto, una Storia macedone (Makedonikav) in almeno 23 libri, in cui si nar-
LA STORIOGRAFIA TRAGICA 501
ravano gli avvenimenti del mondo greco dal 371 (battaglia di Leuttra) al 281 a.C.
(conclusione delle lotte fra i Diadochi con la morte di Lisimaco a Curupedio).

Storia macedone: Nel proemio della Storia macedone Duride polemizzava contro gli storici di in-
il proemio dirizzo isocrateo come Eforo e Teopompo per la loro carenza di mimesis e di
e gli intenti
dello storico elementi edonistici (FGrHist 76 F 1):
“Eforo~ de; kai; Qeovpompo~ tw`n genomevnwn plei`ston ajpeleivfqesan:
ou[te ga;r mimhvsew~ metevlabon oujdemia`~ ou[te hJdonh`~ ejn tw`Ê fravsai,
aujtou` de; tou` gravfein movnon ejpemelhvqhsan.
Eforo e Teopompo non furono affatto all’altezza dei fatti che narravano in quan-
to non riservarono parte alcuna né alla mimesi né al diletto inerente all’elocu-
zione, ma si curarono soltanto della forma letteraria.

Analisi del testo


«“Il piacere inerente all’elocuzione” (hJdonh; ejn tw`Ê fravsai), il “particolare”, ciò che è realmente accaduto. Ma, una volta
di cui parla Duride, non pertiene – osservano Gentili e Cerri – al posta l’identificazione delle due attività del poeta e dello stori-
puro artificio dello stile, che caratterizza invece la tecnica com- co, è chiaro che implicitamente detta identificazione comporta
positiva attenta solo alla parola scritta, ma all’efficacia della di necessità anche per la storia la categoria del generale, che
parola parlata in quanto veicolo espressivo del messaggio mi- per Duride è appunto la verità mimetica, come concentrazio-
metico. In sostanza Duride sottolineava l’esigenza che la pagi- ne drammatica delle passioni umane. In questa antinomia tra
na scritta serbasse la tensione e la concentrazione drammatica storia come narrazione del particolare e storia come individua-
della performance tragica. zione del generale si definiscono, in termini ancor oggi attuali,
Un’indubbia trasposizione della mimesi tragica nell’ambito i doveri dello storico riguardo ai fatti, cioè il problema del par-
della narrazione storica. In questo senso Duride si muove in- ticolare e del generale, dell’oggettivo e del soggettivo, che è
discutibilmente nel solco della Poetica di Aristotele, ma con quanto dire del rapporto dialettico tra fatti e interpretazione.
connotazioni teoriche diverse, in quanto tende ad identificare Questo uso della storia, di là dai suoi complessi rapporti dottri-
nei mezzi e nei fini le attività del poeta e dello storico, che in- nali con l’aristotelismo, aveva profonde motivazioni nella real-
vece Aristotele rigorosamente distingue, assegnando al primo tà culturale del IV-III sec. a.C. e precisamente nelle tendenze
il compito di raccontare il “generale” ovvero “ciò che potreb- espressionistiche dell’arte figurativa e delle nuove forme di
be accadere secondo verisimiglianza e necessità”, al secondo spettacolo, cioè del nuovo ditirambo e del canto a solo».

La nuova maniera Due esempi eloquenti della nuova maniera storiografica di Duride sono offerti
di Duride dalla critica di Plutarco: nella Vita di Alcibiade (32) egli ricorda che, rispetto agli
nella testimonianza
di Plutarco altri testimoni, Duride aggiungeva particolari coloriti e spettacolari sul ritorno di
Alcibiade ad Atene nella primavera del 408 a.C. (76 F 70):
Duride di Samo, il quale sostiene di essere un discendente di Alcibiade, ag-
giunse ai particolari di cui sopra anche questi: Crisogono, vincitore nelle gare
Pitiche, suonava il flauto per segnare il ritmo ai vogatori e l’attore tragico Cal-
LA STORIOGRAFIA

lippide impartiva gli ordini, e l’uno e l’altro indossavano la tunica lunga, l’abito
con lo strascico e tutto quanto l’abbigliamento da gara teatrale; inoltre la nave
ammiraglia fece il suo ingresso nel porto con le vele di porpora, come se quelli
che erano a bordo rientrassero festanti da un’allegra baldoria. Tuttavia né Teo-
pompo né Eforo né Senofonte scrivono nulla di tutto ciò, e in realtà pare poco
probabile che Alcibiade, reduce dall’esilio e da traversie molto gravi, si presen-
tasse agli Ateniesi con tanta arroganza.
[Tr. di L.M. Raffaelli]
502 LA STORIOGRAFIA
Altrove lo stesso Plutarco (Vita di Pericle, 28) nota come, rievocando la repres-
sione periclea (439) contro Samo ribelle, Duride (F 67) nuovamente integrasse
la narrazione tradizionale con dettagli di personale invenzione (anche se questa
volta di gusto truculento):
Al nono mese i Sami capitolarono. Pericle fece abbattere le mura della città,
portò via le navi e impose grosse multe in danaro, che i vinti parte versarono
subito e parte s’impegnarono a pagare entro un termine fissato, dando ostaggi
in garanzia. Duride di Samo aggiunge a questi fatti alcuni episodi degni d’una
tragedia, accusando gli Ateniesi e Pericle di crudeltà inaudite, cui non accenna-
no né Tucidide, né Eforo, né Aristotele. Presumibilmente è falso, ad esempio,
che Pericle facesse condurre i capitani e gli equipaggi di Samo nella piazza
principale di Mileto, e lì li tenesse legati a certe tavole per dieci giorni; e quando
furono ridotti allo stremo delle forze, desse ordine di finirli a legnate in testa, poi
di disperdere i corpi senza sepoltura.
[Tr. di C. Carena]

Talora l’affollarsi dei particolari pittoricamente sottolineati riusciva a delineare


i tratti di un personaggio nella varietà dei suoi comportamenti quotidiani, come
possiamo tuttora riscontrare dai brani superstiti su Demetrio Poliorcete (76 F
14), su Poliperconte (76 F 12) e su Demetrio Falereo (76 F 10). Ecco il passo sul
Falereo:
Demetrio Falereo1, come dice Duride nel XVI libro delle sue Storie, divenuto
padrone di 1.200 talenti all’anno e spendendone ben pochi per le truppe e per
l’amministrazione della città, dissipava tutto il resto per la sua innata inconti-
nenza, sovvenzionando quotidianamente splendidi banchetti e aprendoli a una
moltitudine di convitati. E nello spreco per i banchetti superava i Macedoni,
nella raffinatezza Ciprioti e Fenici; e una profluvie di unguenti invadeva il suolo
e nelle sale molti pavimenti erano istoriati da artisti con decorazioni floreali, e
non mancavano relazioni clandestine con donne e amori segreti con giovinetti,
e quello stesso Demetrio che decretava editti per gli altri e ne regolava la vita, si
creava un’esistenza sottratta a qualsiasi legge. Curava anche la propria imma-
gine, facendosi biondi i capelli, spalmandosi il volto con il belletto e ungendosi
di ogni sorta di profumi: voleva apparire lieto e gradevole a chiunque lo incon-
trasse. E durante la processione delle Dionisie, che guidò in qualità di arconte, il
coro cantava in suo onore la canzone di Castorione (?) di Soli in cui era chiama-
to «simile al sole»: «ti colma di onori divini l’arconte nobilissimo, pari al sole».

1. Su di lui v. capitolo successivo sulla filosofia.


LA STORIOGRAFIA

Filarco
Notizie sull’autore L’altro rappresentante della storiografia tragica del III secolo fu Filarco (Fuv-
e sui titoli larco~), nativo di Naucrati in Egitto (o, secondo un’altra tradizione, di Atene).
delle opere
Visse ad Atene e oltre a vari scritti di cui conosciamo quasi solo il titolo (fra cui
una sorta di compendio di mitologia, ∆Epitomh; muqikhv, e un trattato Sulle inven-
LA STORIOGRAFIA TRAGICA 503
zioni) compose una Storia che comprendeva l’epoca fra il 272 (morte di Pirro) e
il 219 a.C. (morte di Cleomene III re di Sparta).

I giudizi di Polibio Stando alle critiche che gli mossero Polibio e Plutarco, che lo utilizzarono come
e di Plutarco fonte, la sua opera era caratterizzata dalla ricerca del patetico, da digressioni mo-
raleggianti e da una retorica fastidiosa.
Particolarmente puntuale la «decostruzione» che del metodo di Filarco offre Po-
libio (II 56, 1-12):
Giacché fra quanti hanno scritto intorno alle vicende dei tempi di Arato1 da
parecchi è ritenuto storico degno di fede Filarco, che dissentì nell’opinione e
nella narrazione dallo stesso Arato, sarebbe utile, [2] anzi necessario per me che
ho intrapreso a seguire quest’ultimo per il racconto della guerra cleomenica2,
approfondire tale argomento, per non permettere che la menzogna e la verità
nell’opera storica abbiano uguale peso. [3] In generale, dunque, questo auto-
re, nel corso di tutta la sua opera, riferì gli argomenti confusamente, come gli
capitava. [4] Del resto, non occorre certamente per ora criticare ed esaminare
punto per punto tutta la sua storia: è necessario invece che mi soffermi a vaglia-
re attentamente quegli episodi che si riferiscono ai tempi da me trattati, cioè alla
guerra cleomenica. [5] Questo, d’altra parte, basterà a farci comprendere con
quale spirito e metodo è stata concepita la sua opera. [6] Volendo egli mettere
in evidenza la crudeltà di Antigono e dei Macedoni e, insieme, di Arato e degli
Achei, narra che grandi disgrazie toccarono a quelli di Mantinea quando furo-
no ridotti in soggezione, e che quella che era la più antica e la più grande delle
città d’Arcadia soffrì tali rovine da costringere al lutto e al pianto tutti i Greci.
[7] Desideroso di trascinare i lettori alla commozione e di farli vibrare al suo
racconto, introduce abbracci di donne, chiome scomposte e seni scoperti, e an-
cora lacrime e canti funebri di uomini e di donne tratti via dalla patria insieme
ai figli e ai vecchi genitori. [8] Questi sono spettacoli che egli offre in tutte le sue
Storie, in ogni episodio sempre cercando di porre davanti agli occhi i partico-
lari più dolorosi. [9] E lasciamo pur passare quanto di ignobile e di femmineo
caratterizza tal specie di trattazioni: esaminiamo invece in particolare l’utilità
della sua storia. [10] Bisogna dunque che lo scrittore non commuova i lettori
mescolando di elementi portentosi la storia, né ricerchi solo il verosimile, né
enumeri le conseguenze delle singole premesse, come fanno gli autori tragici,
ma occorre che faccia menzione, comunque, secondo la verità, delle cose fatte
e dette, anche se esse risultino del tutto comuni. [11] Il fine della storia non è
uguale a quello della tragedia, è anzi opposto. In questa, infatti, bisogna avvin-
cere e commuovere per un momento gli ascoltatori, con eloquentissime parole;
nella storia, invece, bisogna dare, presentando fatti e discorsi veri, un insegna-
mento duraturo ed efficace a chi ama imparare: [12] nella tragedia prevale il
verosimile anche se falso, per suscitare commozione negli spettatori, nella storia
LA STORIOGRAFIA

la verità, per arrecare utile a chi vuole apprendere.


[Tr. di F. Brindesi]

1. Arato di Sicione, stratego della Lega achea dal 245 al 213 a.C. e autore di Memorie in 30 libri che Polibio
loda per la chiarezza e veridicità (II 40).
2. La guerra combattuta dalla Lega achea contro la Sparta del re Cleomene III, conclusasi con la sconfitta
di quest’ultimo a Sellasia (nella valle dell’Eurota) nell’estate del 222 a.C., v. sopra.
504 LA STORIOGRAFIA

Timeo e l’Occidente
La vita
A pprossimativamente contemporaneo dei rappresentanti della storiografia tra-
gica fu Timeo (Tivmaio~) di Tauromenio (Taormina), che visse dal 346 al 250
circa a.C. Il padre Andromaco aveva rifondato Tauromenio intorno al 358 con un
gruppo di cittadini di Nasso sopravvissuti alla distruzione della loro città ad ope-
ra di Dionisio I di Siracusa e ne era diventato tiranno, conservandone la signoria
anche dopo l’arrivo di Timoleonte in Sicilia (344). Esiliato da Agatocle intorno
al 315 (probabilmente dopo la presa della città da parte del tiranno siracusano),
Timeo emigrò ad Atene, dove entrò in contatto con esponenti della scuola iso-
cratea e dove rimase ininterrottamente per un cinquantennio. È dubbio se abbia
mai fatto ritorno in Sicilia.

Storie siciliane Scrisse un’opera in almeno 38 libri, il cui titolo era forse Storie siciliane, di cui
si sono conservati poco più di 150 frammenti. I primi cinque libri costituivano
una sorta di introduzione generale a carattere essenzialmente geo-etnografico
dedicata all’Italia, alla Sicilia e alle altre isole e, in genere, alle regioni che si
affacciano sul Mediterraneo occidentale. La maggior parte dell’opera trattava
la storia dell’Occidente, centrata sulle vicende siciliane a partire dall’epoca
della colonizzazione greca fino alla presa del potere da parte di Agatocle, men-
tre gli ultimi cinque libri erano dedicati all’età dello stesso Agatocle (morto
nel 289).

Sulle imprese di Pirro In tarda età Timeo scrisse anche un’opera sulle imprese di Pirro che arrivava
(fino al 264 a.C.) probabilmente all’inizio della prima guerra punica (264), il punto cioè da cui
prendono avvio le Storie di Polibio, ed è probabile che redigesse uno studio di
cronologia olimpica, per il quale avrebbe esaminato di persona le liste dei vinci-
tori dei giochi.

I meriti nell’uso È certo comunque, ed è uno dei suoi meriti maggiori, che Timeo fu il primo
e nell’impostazione ad elaborare e utilizzare una cronologia universale basata sulla comparazione
dell’analisi
delle cronologie fra cronologia olimpica, liste di magistrati eponimi (arconti ateniesi ed efori
spartani) e altre liste locali ma di antica tradizione, come quella delle sacer-
dotesse di Era in Argo. Dai suoi interessi cronologici discende forse il gusto a
lui peculiare per i sincronismi (ad es. la contemporanea fondazione di Roma e
Cartagine o la nascita di Alessandro nel giorno in cui andò a fuoco il tempio di
Artemide a Efeso).
LA STORIOGRAFIA

Erudito L’accuratezza nello studio dei documenti e in generale la sua erudizione (lon-
ma poco incline ge eruditissimus... et ipsa compositione verborum non impolitus lo giudicherà
all’autopsia
Cicerone, De oratore II 58) gli furono riconosciute dai successori e dallo stesso
Polibio, che pure, in un’ampia digressione metodologica (XII 25 ss.) delle sue
Storie, lo attacca con asprezza, rimproverandogli in particolare (XII 27b) di aver
preferito l’«udito» (nel senso dell’informazione libresca) alla «vista», cioè all’in-
formazione autoptica, e di essere stato negligente nelle ricerche personali.
FRA ETNOGRAFIA E FANTASIA 505
Limiti e meriti Altri stigmatizzarono in lui l’inclinazione al pettegolezzo e alla denigrazione,
della storiografia bollandolo con epiteti quali ejpitivmaio~ («detrattore») o «vecchia pettego-
di Timeo
la». Certo Timeo non fu storico equanime e imparziale, come dimostra (se,
come sembra probabile, Timeo è la fonte principale di Diodoro Siculo per le
vicende siciliane) l’odio per Agatocle e l’esaltazione di Timoleonte; indulge-
va al campanilismo e dava ampio spazio a elementi favolistici e paradossali.
Fu tuttavia il primo, dopo Antioco di Siracusa, a scrivere una storia completa
e dettagliata della grecità occidentale, per di più all’interno di un quadro
geo-etnografico e culturale che comprendeva Cartagine, gli Iberi, i Celti, le
popolazioni italiche. Fu inoltre il primo storico greco a cogliere la grande
importanza politica di Roma e a trattarne le vicende con una certa ampiezza,
diventando fonte preziosa di informazioni per i primi annalisti.

Fra etnografia e fantasia


L’ellenismo, incontro
e interesse dei Greci
per le culture altre…
T ra i filoni più vitali della storiografia ellenistica non poteva mancare un indi-
rizzo che appunto si connettesse al concetto di «ellenismo» in quanto incontro
e confronto fra culture; in effetti l’interesse etnografico presente in Timeo in
relazione alla scoperta dell’Occidente suscitò una serie di ricognizioni che, pur
nell’irrisolvibile intreccio fra dati oggettivamente acclarati, dati oggettivi defor-
mati e fraintesi e dati palesemente inventati secondo il gusto romanzesco che
abbiamo riconosciuto nella storiografia tragica, rappresentarono una riattivazio-
ne del filone «erodoteo». Contemporaneamente si aprirono all’attenzione delle
élite culturali greche scenari, come quello indiano, prima di allora pressoché
sconosciuti.

…e utilizzo del greco Per converso, se i Greci scrivevano sugli altri popoli, ora che la lingua greca era
da parte di storici la lingua ufficiale di cultura del Mediterraneo, autori non greci come Manetone,
non greci
Berosso e Fabio Pittore furono stimolati a scrivere in greco della propria storia e
delle proprie tradizioni.

Ecateo
Fra storiografia
E cateo (ÔEkatai`o~) di Abdera fu attivo fra IV e III secolo e soggiornò in Egitto
LA STORIOGRAFIA

e morale sotto il regno di Tolomeo I Sotèr. Fu scolaro dello scettico Pirrone, ma soste-
nitore in campo morale dell’autarchia cinico-stoica piuttosto che dell’atarassia
pirroniana.
Compose fra l’altro una storia idealizzata dell’Egitto (Aijguptiakav), intenden-
do dimostrare che da quella egiziana erano derivate tutte le civiltà, comprese la
greca (attraverso Danao e Cadmo) e l’ebraica (attraverso Mosè). A lui si deve
anche e uno scritto sugli Iperborei (Peri; ÔUperborevwn), in cui, mescolando da-
506 LA STORIOGRAFIA
ti geografici e intenti morali, conferiva a quella leggendaria popolazione delle
estreme propaggini settentrionali dell’Europa particolari doti di saggezza e di
pietas. Entrambe le opere, di cui restano frammenti, furono utilizzate da Diodoro
Siculo (in particolare sugli Aijguptiakav si basa largamente il I libro della Biblio-
teca diodorea).

Evemero e l’evemerismo
Lo Scritto sacro
e l’Euhemerus
di Ennio
C ontemporaneo di Ecateo fu Evemero (Eujhvmero~) di Messene, che fu al servi-
zio del re macedone Cassandro fra il 311 e il 298 a.C.; compose uno Scritto
sacro (ÔIera; ajnagrafhv) di cui restano frammenti, estratti in Diodoro Siculo e
numerose notizie sul contenuto che per lo più si basano sulla traduzione lati-
na (intitolata Euhemerus) che ne fece Ennio. Vi era inserita, nel racconto di un
viaggio immaginario, la rappresentazione di una città ideale, Pancaia, situata in
un’isola di un arcipelago dell’Oceano indiano e ordinata secondo un sistema
collettivistico a tre classi: sacerdoti e artigiani; agricoltori; soldati e pastori. A
questa utopia politica si accompagnava un’interpretazione razionalistica della
natura degli dèi, ricondotta a una stele d’oro vista da Evemero, sulla sommità di
un monte, in un tempio dedicato a Zeus Trifilio: sulla stele erano incise le gesta
di Urano, Crono e Zeus/Zan, che di quella terra erano stati sovrani. Sulla base
di questo «documento» (di qui il titolo dell’opera) Evemero spiegava come gli
dèi, ove non si trattasse di personificazioni di forze naturali, non erano in origine
che uomini potenti che con le loro capacità eccezionali si erano conquistati la
venerazione dei sudditi.

Interpretato Combattuto come una forma di ateismo, l’evemerismo ebbe tuttavia larga diffu-
come ateo, usato sione e sarà utilizzato dai Padri della Chiesa (Agostino, Lattanzio, Arnobio) per
con scopi apologetici
dimostrare la falsità della religione pagana.
L’obiettivo originario dello Scritto sacro era probabilmente però quello di for-
nire un esempio che confortasse le pretese di culto dei sovrani ellenistici con-
temporanei, la cui munificità e la cui funzione civilizzatrice avrebbero potuto
essere paragonate a quelle degli antichi sovrani, poi divinizzati, del «romanzo»
di Evemero.

L’India di Megastene
LA STORIOGRAFIA

F ra coloro che aprirono nuovi territori alla descrizione etnografica spicca il caso
di Megastene (Megasqevnh~), siriaco o comunque operante in Siria, autore
verso il 300-290 a.C. di quattro libri di ∆Indikav. È un resoconto etnografico
sull’India basato sulle missioni diplomatiche da lui compiute per conto di Se-
leuco Nicatore presso la popolazione dei Prasî alla corte del loro sovrano Can-
dragupta.
FRA ETNOGRAFIA E FANTASIA 507
L’organizzazione Si tratta di un caso emblematico della tendenza a riformulare modelli sociali non
sociale e politica greci secondo linee e istanze caratteristiche della speculazione politica greca e
dell’India rivista
secondo le categorie delle nuove organizzazioni statali dei regni ellenistici, come possiamo tuttora
di un greco verificare in buona misura dal momento che, se l’opera di Megastene è anch’essa
perduta, egli fu, insieme con Nearco ed Eratostene, tra le fonti principali degli
∆Indikav di Arriano. In particolare, la descrizione della struttura sociale indiana
quale si legge nei capp. 11-12 dell’opera di Arriano rappresenta, con modifica-
zioni verosimilmente minime, un vero e proprio estratto megastenico (FGrHist
715 F 19a):
[XI, 1] Gli Indiani nel complesso sono divisi in sette caste. Quelli chiamati «i
saggi» sono meno numerosi del resto ma i più onorati per stima e prestigio. [2]
In effetti non sono costretti a svolgere alcun lavoro manuale né a contribuire
al benessere generale col proprio lavoro: in pratica «i saggi» non hanno altro
obbligo se non quello di offrire sacrifici agli dèi a nome della collettività indiana.
[3] E quando qualcun altro compie un sacrificio privatamente, qualcuno dei
«saggi» gli fa da istruttore nella celebrazione del sacrificio, perché altrimenti il
sacrificio non potrebbe riuscire gradito agli dèi. [4] Costoro sono anche, fra gli
Indiani, i soli esperti nella divinazione: a nessun altro è permesso praticare la
divinazione se non ai «saggi». [5] Pronunciano profezie relativamente alle sta-
gioni dell’anno o a qualche eventuale calamità pubblica; non si curano invece di
dare responsi ai singoli su questioni di interesse personale, o perché la loro arte
profetica non si estende alle faccende di minor conto o perché non è dignitoso
che si occupino di esse. [6] E se uno sbaglia per tre volte nelle sue profezie non
subisce alcun danno, ma da allora deve tacere per sempre, né può accadere che
qualcuno induca a profetare un uomo a cui sia stato decretato il silenzio. [7]
Questi «saggi» vivono nudi, d’inverno all’aperto ed esponendosi alla luce del
sole, d’estate, quando il sole è troppo forte, nei prati e negli stagni al riparo di
grandi alberi, la cui ombra, a quanto dice Nearco, raggiunge i cinque pletri di
diametro: sono dunque così larghi che diecimila uomini possono sfruttare l’om-
bra di un solo albero. [8] Si nutrono di frutti stagionali e della corteccia delle
piante, che è dolce e nutriente non meno dei datteri di palma. [9] La seconda
casta è costituita dagli agricoltori, che sono i più numerosi fra gli Indiani. Co-
storo non posseggono armi da guerra né si occupano di attività marziali ma si
limitano a lavorare il suolo, pagando le tasse ai re o alle città, se queste ultime
sono indipendenti; [10] e se scoppia una guerra intestina fra gli Indiani, non è
lecito coinvolgere i lavoratori della terra né devastare la terra stessa: così gli uni
combattono e si uccidono reciprocamente alla cieca, gli altri, lì vicino, arano
o vendemmiano o raccolgono frutti o mietono nella pace. [11] La terza casta
indiana è formata dai pastori, pecorai o bovari, che non abitano né in città né
nei villaggi. Sono nomadi e vivono fra le montagne; pagano anch’essi le tasse
LA STORIOGRAFIA

sui loro armenti. Inoltre si dedicano per tutto il territorio alla caccia di uccelli
e di bestie feroci.
[XII, 1] La quarta casta è quella degli artigiani e dei commercianti. Anche
costoro pagano un tributo, calcolato sulle loro attività, fatta eccezione per i
fabbricanti di armi da guerra, i quali ricevono una sovvenzione pubblica. Di
questa casta fanno parte i calafati e i battellieri che navigano lungo i fiumi. [2]
La quinta casta indiana è quella dei soldati, che per numero è seconda a quella
degli agricoltori ma gode della massima libertà e della massima allegria. Co-
508 LA STORIOGRAFIA
storo si addestrano esclusivamente nelle attività marziali. [3] Le armi vengono
fabbricate per loro da altri così come altri forniscono loro i cavalli e altri fanno
loro da attendenti nel corso delle campagne, accudiscono i loro cavalli, puli-
scono le loro armi, guidano gli elefanti, curano e pilotano i carri. [4] Finché è
tempo di guerra fanno i soldati ma quando viene la pace se la spassano; e tale è
il compenso che ricevono dalla comunità che col loro soldo possono facilmente
mantenere altre persone. [5] La sesta è la casta detta degli «ispettori». Costoro
sorvegliano tutto ciò che avvenga nel territorio e nelle città, e ne riferiscono al
re là dove ci sia un governo monarchico, ai magistrati là dove ci sia un governo
indipendente. È vietato loro falsificare qualsiasi resoconto, né è mai accaduto
che un indiano fosse accusato di falso. [6] La settima classe è quella di coloro
che hanno il compito di deliberare sugli interessi comuni insieme col sovrano o
insieme coi magistrati, nelle città che si governano autonomamente. [7] Questa
casta è numericamente esigua ma si distingue fra tutte per saggezza e rettitudi-
ne: da essa sono scelti i governatori, i nomarchi, i vice-magistrati, i tesorieri, gli
ufficiali militari e navali, gli ispettori alle finanze, i prefetti all’agricoltura. [8]
Non è lecito contrarre matrimonio al di fuori della propria casta, ad esempio
per gli agricoltori con individui appartenenti a quella degli artigiani, o vicever-
sa; e neppure è lecito che uno stesso individuo pratichi due professioni o che si
passi da una casta all’altra, ad esempio che un pastore divenga agricoltore o che
un artigiano si trasformi in pastore. [9] Solo, è consentito che un «saggio» pro-
venga da qualsivoglia delle altre caste, dal momento che il compito dei «saggi»
è tutt’altro che semplice, anzi è il più ostico di tutti.

Storiografi ed etnografi di lingua greca


F ra gli autori non greci che in greco scrissero sulle civiltà a cui appartenevano
si di-stinsero l’egiziano Manetone e il babilonese Berosso.

Manetone Gran sacerdote a Eliopoli, Manetone (Maneqwvn) fu attivo nella prima metà del
III secolo a.C. Compose, dedicandola a Tolomeo Filadelfo, una Storia dell’Egit-
to (Aijguptiakav) dalle mitiche origini fino al 323, oggi perduta ma largamente
utilizzata dagli storici antichi, soprattutto giudaici e cristiani, per la cronologia
della storia biblica. Manetone dichiarava di aver attinto alle liste reali dei gero-
glifici e, secondo Giuseppe Flavio, correggeva inesattezze di Erodoto.

Berosso Berosso (Bhrwssov~) di Babilonia, sacerdote di Marduk nel tempio babilo-


nese detto «Esagila», visse anch’egli nella prima metà del III secolo a.C.
Verso il 280 compose una Storia babilonese in tre libri (Babulwniakav), dal-
LA STORIOGRAFIA

le origini alla morte di Alessandro Magno, dedicandola ad Antioco I So-


tèr. Dell’opera, tramite verso il mondo greco della storia e dell’astronomia
babilonesi, possediamo estratti presso storici e scrittori successivi, fra cui
Alessandro Poliistore e Giuseppe Flavio. Berosso scrisse sulla base di docu-
menti indigeni e il confronto con le fonti orientali ha spesso confermato la
sua attendibilità.
FRA ETNOGRAFIA E FANTASIA 509

Polibio
Notizie biografiche
Politico
nella Lega Achea P olibio (Poluvbio~) nacque verso il 205 a.C. a Megalopoli, in Arcadia. Figlio
di Licorta, che fu più volte stratego della Lega achea (a cui Megalopoli ap-
parteneva da alcuni decenni), ammirò il grande statista e generale della Lega, il
concittadino Filopemene. Quando questi morì avvelenato in Messenia (183), Po-
libio partecipò alla spedizione punitiva contro i Messeni e ne riportò in patria le
ceneri. In seguito acquistò una posizione di prestigio all’interno della Lega, tanto
che fu scelto nel 180, insieme col padre, per un’ambasceria presso Tolomeo V
Epifane (che poi non ebbe luogo per la morte del sovrano) e nel 169-168 ricoprì
la carica di ipparco (seconda per importanza solo a quella di stratego).

Ostaggio a Roma Dopo la vittoria di L. Emilio Paolo a Pidna nel 168 a.C. fu accusato davanti al
senato da Callicrate, ambasciatore della Lega, di aver tenuto, durante la terza
guerra romano-macedone, un atteggiamento equivoco nei confronti dei Romani,
in quanto sostenitore di una posizione di neutralità. Ciò gli costò l’inclusione tra
i mille Achei, scelti fra i personaggi più in vista, deportati in Italia e confinati
come ostaggi in varie città in attesa di un processo che non ebbe mai luogo.

Nel Circolo Polibio fu trattenuto a Roma, nella casa del vincitore di Pidna, dove strinse una
degli Scipioni profonda amicizia col figlio, il giovane Publio Scipione Emiliano, e frequentò
quella parte della classe dirigente romana, più aperta agli influssi culturali del
mondo greco, che si raccoglieva nel cosiddetto «circolo degli Scipioni». Nel 151
accompagnò Scipione nel suo viaggio in Spagna e poi in Africa, dove incontrò
il vecchio Massinissa. Ritornando in Italia superò le Alpi, ripercorrendo la via
attraversata da Annibale.

In viaggio Nel 150 i trecento ostaggi achei ancora vivi furono liberati e rimpatriati: Polibio li
nei luoghi della storia accompagnò in Grecia, ma vi si trattenne per breve tempo e forse già nel 149 era
di nuovo in Italia per prender parte, come esperto militare e
membro dello stato maggiore di Scipione Emiliano, alla spe-
dizione che si sarebbe conclusa con la definitiva sconfitta e
distruzione di Cartagine (146). Risale probabilmente a questo
periodo il viaggio di esplorazione da lui compiuto lungo la
costa occidentale dell’Africa con la piccola flotta messagli a
LA STORIOGRAFIA

disposizione da Scipione. Intanto, nello stesso 146, la ribel-


lione della Grecia contro il dominio romano si concludeva ra-
pidamente con la distruzione di Corinto ad opera di L. Mum-
mio: Polibio non poté far nulla per impedire la capitolazione
Stele di Polibio. Copia
romana del presunto
politica del mondo greco, ma si adoperò per mitigare le con-
ritratto dello storico. dizioni imposte dai vincitori guadagnandosi la gratitudine di
Roma, Museo della civiltà
romana.
molte città peloponnesiache. Inoltre collaborò, nel 145, con
510 LA STORIOGRAFIA
la commissione senatoriale incaricata di dare un nuovo ordinamento alla Grecia.
Tornato a Roma, espletò alcune missioni per incarico del senato romano, fra l’altro
ad Alessandria e a Sardi, e forse accompagnò ancora una volta Scipione all’assedio
e alla presa di Numanzia (134-132). Morì verso il 124 per una caduta da cavallo.

L’opera
Le Storie
P erdute le opere minori (una Vita di Filopemene, un trattato di Tattica, un’ope-
retta di carattere geografico sulle regioni equatoriali e forse anche una mono-
grafia sulla guerra numantina), il nome di Polibio è legato alla parte superstite
dell’opera principale, le Storie (ÔIstorivai).

Dei 40 libri che essa comprendeva, i primi due costituiscono una sorta di introduzione,
trama

con un’esposizione degli eventi compresi fra il 264 e l’inizio della seconda guerra puni-
ca (220 a.C.), concepita come una continuazione dell’opera di Timeo (che si arrestava
appunto, col 264, all’inizio della prima guerra punica).
Nel libro III è richiamato il piano generale dell’opera, che inizialmente Polibio pen-
sava di terminare con la disfatta del regno di Macedonia (168), ma che poi decise di
continuare e di comprendere l’analisi degli sviluppi dell’imperialismo romano e delle
reazioni da esso suscitato nei popoli sottomessi fino alla distruzione di Cartagine e al
sacco di Corinto; per il resto il libro III è dedicato all’impresa di Annibale, fino alla
battaglia di Canne del 216.
Il libro IV tratta della cosiddetta «guerra sociale» (combattuta dagli Achei contro gli
Etoli) degli anni dal 221 al 218, il libro V continua la narrazione degli avvenimenti in
Grecia, in Asia Minore e in Egitto dal 219 al 216, ricongiungendosi in tal modo con la
fine del III libro.
Dal libro VII aveva inizio la narrazione propriamente annalistica degli avvenimenti
d’Oriente e d’Occidente che arrivava, col libro XXXIX, alla distruzione di Corinto (146).
Il rigido ordinamento cronologico non è quasi mai abbandonato, ma il filo della narrazio-
ne storica è talora interrotto da excursus più o meno ampi che arrivano a occupare anche
un intero libro: ad esempio il libro VI è dedicato a un elogio (T.) della costituzione roma-
na come migliore esempio di struttura “mista” (in cui convivono elementi di monarchia,
aristocrazia e democrazia) nel quadro di una teoria sul mutamento ciclico (ajnakuvklwsi~)
delle costituzioni; il XII contiene una serrata polemica con gli storici suoi predecessori,
soprattutto con Timeo, che gli fornisce lo spunto per osservazioni di carattere metodolo-
gico; il libro XXXIV è dedicato a una digressione geografica sul mondo mediterraneo.
La narrazione si chiudeva col XXXIX libro, mentre il libro XL costituiva una ricapito-
lazione generale e una rassegna cronologica. La divisione cronologica adottata era per
Olimpiadi, non più quella tucididea per estati e inverni.
LA STORIOGRAFIA

Di questa imponente opera ci sono pervenuti per intero solo i primi cinque libri,
mentre degli altri abbiamo estratti più o meno ampi, che risalgono ad antologie
circolanti nella tarda antichità (i cosiddetti excerpta antiqua) e ad un’ampia rac-
colta di brani compilata verso la metà del X secolo su iniziativa dell’imperatore
bizantino Costantino VII Porfirogenito; per una parte di questi excerpta non è
tuttavia sicura l’attribuzione ai singoli libri dell’opera originale.
POLIBIO 511

La concezione della storia e il metodo


La Tuvch
N ella storia Polibio ravvisa, in base a una concezione largamente diffusa nella
cultura ellenistica, l’azione della Fortuna (Tuvch), che talora appare come un
elemento di natura quasi divina e provvidenziale, talora invece come una forza
T. 1 irrazionale che governa in modo imprevedibile le vicende umane.

Uso strumentale Di qui una svalutazione dell’elemento religioso, tanto che la religione e la rigida
della religione pratica cultuale romana vengono considerate come strumento per la conserva-
zione dell’ordine sociale esistente e in quanto tali come una delle ragioni della
potenza romana (VI 56, 6).

I meriti di Roma D’altra parte l’ascesa di Roma non può essere compresa se non si tiene conto dei
suoi meriti, in primo luogo della sua organizzazione politica, sociale e militare.
Il ruolo della fortuna si combina dunque con l’osservazione delle cause del dive-
nire storico, che vengono rigidamente definite come causa apparente, causa vera
e inizio concreto (provfasi~, aijtiva e ajrchv), secondo uno schema che richiama
Tucidide ma che da Tucidide si differenzia per lo scambio di connotazioni fra
provfasi~ e aijtiva.
Una puntuale delucidazione di questo schema si può riscontrare nel capitolo in
cui Polibio, discutendo dell’origine della seconda guerra punica, muove dalla
negazione che l’assedio cartaginese di Sagunto fosse la causa vera del conflitto
T. 2 per tenere una lezione di carattere generale (III 6).

L’utile Il fine della storiografia è pertanto la ricerca della cause che hanno promosso
come fine e non gli eventi. Soltanto la ricerca delle cause può quindi rendere «utile» il mestiere
il «sentimento»
dello storico: cfr. XII 25b, 2: «La pura formulazione di ciò che è accaduto può
scatenare il sentimento (yucagwgei)` , ma non apporta frutto: aggiungi la causa,
e la confidenza con la materia storica si fa subito proficua». Per questo Polibio
rifiuta decisa mente tutte le forme di attività storiografica (genealogie, storie di
fondazione ecc.) che non siano finalizzate ad esporre quei fatti politici e militari
la cui conoscenza può servire all’uomo politico, o che, narrando i fatti politici
e militari, indugino sugli aspetti psicologici, o drammatizzino gli eventi per re-
alizzare una presa emotiva sul lettore (abbiamo già citato, trattando di Filarco,
l’attacco, in II 56, contro i metodi della storiografia «tragica»).

La storia Ecco allora, sulla scia della lezione di Tucidide, la decisa opzione di Polibio a favore
«pragmatica» di una storiografia «pragmatica» (pragmatikhv), che racconti cioè i fatti politici e mi-
LA STORIOGRAFIA

litari con competenza, scrupolo di verità e conoscenza delle cause e che sia pertanto
magistra vitae aiutando a comprendere il presente e a prevedere il futuro (IX 1-2):
[1, 2] Non ignoro che la mia storia ha in sé qualcosa di austero che, per il prin-
cipio unitario di composizione cui si ispira, può essere apprezzato e gradito da
un solo genere di lettori. [3] Tutti gli altri storici, o almeno la maggior parte di
essi, poiché toccano tutte le parti della storia, attirano molti lettori alla loro ope-
ra. [4] Infatti chi legge per il piacere di leggere si sente attratto dalla esposizione
512 LA STORIOGRAFIA
La cosiddetta Tyche di delle genealogie, e la deduzione di colonie, la fondazione di città e le relazioni di
Antiochia, copia romana di
affinità tra i popoli sono gradite a coloro cui piacciono le ricerche minute, come
un originale in bronzo del III
secolo di Eutichide. Roma, si legge anche in Eforo. L’uomo politico, invece, si interessa delle vicende dei
Musei Vaticani. popoli, delle città, dei re. [5] Solo di esse io mi sono occupato e intorno ad esse
La dea della Fortuna
è rappresentata come
ho ordito la trama della mia storia, facendo tutto convergere, come ho
divinità protettrice già detto, ad un unico fine e non preparando certo per i miei lettori una
della città (la corona lettura del tutto piacevole. [...] [2, 1] Poiché già molti storici hanno
turrita), poggiata su
una roccia sotto la
spesso ricordato una per una le stirpi e le religioni dei popoli, anche
quale scorre il fiume riguardo alle colonie, alle fondazioni di città, e alle affinità tra i popo-
Oronte, raffigurato li, [2] non resta, a chi si occupa di tali argomenti, che ripetere come
antropomorficamente.
proprie le cose dette da altri (che è certo la cosa più spregevole),
o, se non si vuole far questo, evidentemente si lavora a vuoto
perché ci si limita soltanto a coordinare quegli argomenti che i
nostri predecessori a sufficienza chiarirono e tramandaro-
no. [3] Per questa ragione, quindi, e per parecchie altre,
non mi sono proposto di fare una cosa del genere. [4] La
mia Storia invece è giudicata pragmatica prima di tutto
perché essa si rinnova continuamente e richiede una forma
di esposizione sempre diversa, in quanto non fu certo possibile
agli antichi raccontare avvenimenti posteriori al loro tempo; [5]
in secondo luogo, poi, perché tale metodo di composizione storica
fu il più utile in passato e lo è particolarmente anche adesso, perché
ai nostri tempi l’esperienza e l’arte sono tanto progredite che per la
più imprevista delle circostanze gli uomini di studio hanno la pos-
sibilità di agire con un certo metodo.
[Tr. di F. Brindesi]

Analisi del testo


Dunque una selezione del contenuto che si propone come sim- è disposto a confrontarsi con una scrittura che si dichiara orgo-
metrica alla selezione del pubblico di lettori a cui l’opera si gliosa del suo sapore aspro, non attraente, «austero».
rivolge: se la storia «pragmatica« si definisce in quanto ha per Come in Tucidide, gli eventi degni di essere raccontati, i «fat-
oggetto gli eventi politico-diplomatici e militari recenti o con- ti«, sono quelli contemporanei, tanto che il metodo pragmatico
temporanei, il suo destinatario è in primo luogo chi può trarre è sentito come una tecnica che si rinnova continuamente in
giovamento da una simile lettura, e cioè non chi ami la nar- relazione ai nuovi temi e soggetti che via via confluiscono nel-
razione in quanto tale o le minuzie erudite di tipo antiquario la narrazione: paradossalmente, per la storiografia polibiana
(colonie, fondazioni di città, genealogie, insomma gli interessi il passato non ha interesse, è tradizione consolidata che non
prevalenti in Timeo), ma chi di quel mondo politico e militare serve a capire il presente se non a partire dal momento in cui
sia partecipe ed eventualmente protagonista, l’uomo politico, situazioni oggettive o orientamenti psicologici possono essere
il quale non ha bisogno di essere catturato con le curiosità pe- individuati come causa (aijtiva) degli avvenimenti contempo-
regrine o con la mozione degli affetti (con la «psicagogia») ma ranei.
LA STORIOGRAFIA

Storia universale L’unica forma in cui questo programma può trovare attuazione non è la mono-
organica grafia storica, che darebbe una visione parziale o deformata degli eventi, ma la
storia universale: una scelta imposta dalla constatazione che a part i re dalla CXL
Olimpiade (220-216 a.C), da cui ha inizio l’opera polibiana dopo l’introduzione
relativa al periodo 264-220, le vicende del mondo sembrano ormai far parte di
un disegno organico e coerente (swmatoeidev~) che tende verso un unico obiet-
tivo, coincidente col governo di Roma. Da questo preciso momento è dunque
POLIBIO 513
possibile ricostru i re una vera storia universale, come viene chiarito in un passo
fondamentale del I libro (I 3-4).
T. 3

Gli strumenti: Una volta fissato il taglio organico e universalistico del racconto, con quali stru-
iJstorivh ionica menti i fatti possono essere accertati? Secondo Polibio (XII 25), una storiografia
che voglia concretamente aderire alla verità degli eventi narrati deve rispondere a
tre requisiti: studio accurato e analisi critica dei documenti, visita dei luoghi che
siano stati teatro degli eventi, conoscenza diretta di problemi politici e militari.
Fra queste fonti di informazione il primato, con un evidente aggancio alla iJsto-
rivh ionica, viene assegnato alla vista (XII 27b):
[27b] La natura ha concesso agli uomini due organi per mezzo dei quali essi pos-
sono procurarsi notizie e informazioni su quanto li circonda, l’udito e la vista; di
essi la vista è secondo Eraclito di gran lunga la più sicura: «gli occhi sono testimo-
ni più sicuri delle orecchie» egli dice. Timeo preferì, per procurarsi le informazio-
ni necessarie, la più piacevole ma meno sicura, poiché rinunciò completamente
a vedere e preferì affidarsi all’udito. Anche per mezzo dell’udito le informazioni
si possono procurare in due modi, cioè attraverso la lettura di memorie altrui o
con ricerche personali: Timeo si fidò dei documenti e fu negligente nelle ricerche
personali, come già abbiamo dimostrato. Non è difficile comprendere per quale
ragione egli abbia preferito questo metodo, poiché dai libri si possono apprendere
informazioni senza pericolo e senza disagio alcuno, purché si fissi la propria sede
in una città ricca di documenti o nelle vicinanze di una biblioteca. Standosene
comodamente a giacere non rimane che considerare le opere altrui e scoprir-
ne gli errori senza nessun sacrificio personale. Le investigazioni dirette invece ri-
chiedono molto sacrificio e spesa, ma sono utilissime e costituiscono la parte più
importante della ricerca storica, come è riconosciuto pure dagli autori di storia.
Eforo infatti dice che se gli storiografi potessero personalmente assistere a tutti gli
avvenimenti, sarebbe questa la forma di informazione perfetta. Teopompo affer-
ma che in guerra il miglior combattente è quello che ha partecipato al maggior
numero di battaglie, mentre l’oratore migliore è quello che ha discusso il maggior
numero di cause politiche. Lo stesso accade per la medicina e l’arte nautica.
[Tr. di C. Schick]

Analisi del testo


L’avvio della sezione sembra impostare, col rifarsi addirittura di ciò che fa parte del tema della narrazione, e dunque degli
all’origine delle sensazioni, una discussione filosofeggiante, scenari geografici, della diplomazia, dell’arte militare e di ogni
come conferma l’immediata citazione di una sentenza di Era- altra tevcnh si addica all’uomo politico (cfr. XII 25g: «Chi non
clito: e tuttavia in questione non è certo il potere dei singoli ha pratica delle cose militari, non sa descrivere adeguatamente
LA STORIOGRAFIA

organi dei sensi quanto la riformulazione del problema ormai quanto avviene in battaglia, e lo stesso accade per le vicende
classico dell’attendibilità delle diverse fonti di informazione. politiche a chi non ha di esse diretta esperienza. Se lo scrittore
In effetti la distinzione erodotea fra o[yi~ e ajkohv assume una è nutrito di una cultura teorica ed è privo di conoscenza diretta,
valenza nuova: l’ajkohv non copre soltanto la tradizione orale la sua opera riesce inutile ai lettori»). E d’altra parte la pole-
(le notizie basate sull’interrogazione di testimoni) ma ormai mica di Polibio contro gli autori che, come Timeo, usano fonti
anche la tradizione storiografica scritta (Timeo viene accusato libresche si accompagna in lui a un largo uso di opere storiche
di essersi affidato all’udito proprio nel suo muoversi fra archivi precedenti, come quelle dello stesso Filarco, di Fabio Pittore
e biblioteche); l’autopsia inoltre non significa evidentemente ecc., così come di documenti ufficiali, sia greci che romani, e
la diretta osservazione dei fatti quanto la personale esperienza di iscrizioni.
514 LA STORIOGRAFIA

Limiti e abilità Le frequenti e puntigliose considerazioni di carattere metodologico e l’insistenza


di Polibio sulla verità oggettiva come scopo supremo dello storico non bastano a fare di Po-
libio uno storico totalmente attendibile. Tuttavia va riconosciuto a lui, un greco
intensamente coinvolto nella vita politica del tempo, la scelta di narrare da esule
quell’ascesa politico-militare della potenza romana la quale finì per cancellare
l’indipendenza della sua patria. Questa capacità di cogliere l’attimo opportuno
(kairov~) va accompagnata al merito di essersi calato nella realtà dello stato vit-
torioso e di aver ricercato, al di là delle singole vicende, le ragioni profonde della
sua affermazione nonché le cause della debolezza intrinseca del mondo greco.
Del resto, dello spirito particolaristico e privo di lungimiranza dei Greci, sono
testimoni la stessa partigianeria di Polibio a favore della classe dirigente achea e
T. 4 il rancore nei confronti degli odiati Etoli.

Fortuna e influenza L’influsso da lui esercitato sulla storiografia successiva fu più ampio ed in-
sulla storiografia cisivo in ambito romano che in ambito greco: Polibio ebbe infatti «un effetto
romana
decisivo nel persuadere i Romani del fatto che la storia è soprattutto storia
politica. Questa opera di persuasione non fu interamente superflua. Per quanto
possiamo essere propensi a considerare i Romani come animali politici, il pri-
mo storico romano, Fabio Pittore, non fu contrario agli aspetti non politici della
storia. Il suo modello fu Timeo. È possibile che non abbia mai letto Tucidide.
Neppure Catone s’impegnò ad una storia puramente politica. Ma le successive
generazioni di storici romani che leggevano Polibio furono conquistate ad uno
stretto ideale di storia politica: lo troviamo in Sallustio così come in Livio e
Tacito» (A. Momigliano).

La teoria delle costituzioni


Le cause
dello sviluppo
storico
L ’orientamento pragmatico, l’attenzione agli eventi, la ricerca della verità po-
sitiva non escludono l’affiorare in Polibio di una teorizzazione generale sullo
sviluppo delle istituzioni che, insieme col ruolo della fortuna e con il concreto
operare degli uomini, contribuiscono a spiegare l’unico e grande problema che
orienta tutta l’opera di Polibio, quello dell’espansione irresistibile di Roma e del
suo affermarsi come nuovo impero mondiale.

La teoria ciclica Di qui, nel VI libro, la definizione, sulle orme di Platone e di Aristotele, di
quella ciclicità (ajnakuvklwsi~) delle politei` ai («costituzioni») che imman-
cabilmente opera nel corso della storia lungo la serie delle sue forme (mo-
LA STORIOGRAFIA

narchia, aristocrazia, democrazia, degeneranti rispettivamente in tirannia, oli-


garchia, oclocrazia). Nel caso della costituzione romana, infatti, tale tendenza
alla crisi e alla dissoluzione appare in qualche misura controbilanciata da una
commistione tra le forme di gover no “sane” (la monarchia rappresentata dai
consoli, l’aristocrazia dal senato, la democrazia dai comitia) tale da garantire
una stabilità e un equilibrio superiori a tutte le precedenti esperienze politiche
T. 6 (VI 3-10).
POLIBIO 515

L’espressione
Koiné burocratica
L a lingua di Polibio è strettamente imparentata, come dimostra il confronto con
le iscrizioni e i papiri coevi, con la koiné in uso nella burocrazia delle cancel-
lerie ellenistiche.

Stile faticoso Lo stile è faticoso, appesantito da una forte tendenza alla concettosità e all’astra-
zione e da complesse costruzioni sintattiche. Ha pretese di scientificità, special-
mente nella precisione analitica con cui sono descritte le azioni di guerra, e rifug-
ge dagli schemi dell’arte retorica: ma al di là di questa precisione o della saltuaria
capacità di mettere a fuoco figure o situazioni esemplari, mancano quasi sempre
a questa prosa movimento e colore, manca l’immediatezza del tratto incisivo,
della notazione sintetica.

Una pagina Il massimo di letterarietà che si concede Polibio, negatore fino all’autolesioni-
«patetica» smo del piacere della scrittura (e della lettura) perseguito dalla storiografia «tra-
gica», è in momenti legati a situazioni altamente patetiche, come nel pianto di
Scipione Emiliano su Cartagine distrutta: un brano non privo davvero di un’en-
fasi efficacemente contenuta, ma non a caso sigillato da un richiamo a se stesso
come testimone diretto che ripropone la priorità del «metodo» sulla «letteratura»
(XXXVIII 22):
ÔO de; Skipivwn povlin oJrw`n ... tovte a[rdhn teleutw`san ej~ panwleqrivan
ejscavthn, levgetai me;n dakru`sai kai; fanero;~ genevsqai klaivwn uJpe;r
polemivwn: ejpi; polu; dΔ e[nnou~ ejf∆ eJautou` genovmenov~ te kai; sunidw;n
o{ti kai; povlei~ kai; e[qnh kai; ajrca;~ aJpavsa~ dei` metabalei`n w{sper
ajnqrwvpou~ daivmona, kai; tau`q∆ e[paqe me;n “Ilio~, eujtuchv~ pote
povli~, e[paqe de; hJ Ἀssurivwn kai; Mhvdwn kai; Persw`n ejp∆ ejkeivnoi~
ajrch; megivsth genomevnh kai; hJ mavlista e[nagco~ ejklavmyasa hJ
Makedovnwn, ei[te eJkwvn, ei[te profugovnto~ aujto;n tou`de tou` e[pou~
eijpei`n: e[ssetai h\mar o{tan pot∆ ojlwvlhÊ “Ilio~ iJrhv kai; Privamo~
kai; lao;~ eju>mmelivw Priavmoio. Polubivou d∆ aujto;n ejromevnou su;n
parrhsivaÊ (kai; ga;r h\n aujtou` kai; didavskalo~) o{ ti bouvloito oJ lovgo~,

Scipione, vedendo ridotta ormai all’estrema rovina la città di Cartagine, pianse


apertamente, si dice, per i nemici. A lungo egli rimase meditabondo, conside-
rando come la sorte di città, popoli, domini, varii come il destino degli uomini:
ciò era accaduto ad Ilio, città una volta potente, era accaduto ai regni degli
Assiri, dei Medi e dei Persiani, che erano stati grandissimi ai loro tempi, e re-
LA STORIOGRAFIA

centemente al regno macedone. Infine sia volontariamente, sia che tali parole
gli siano sfuggite, esclamò:
«Verrà giorno che il sacro iliaco muro/ e Priamo e tutta la sua gente cada»1.
Polibio, che gli era stato maestro e gli poteva parlare liberamente, gli chie-
se che cosa egli volesse significare con queste parole e allora Scipione senza

1. liade VI 448 s.
516 LA STORIOGRAFIA
fasi;n ouj fulaxavmenon ojnomavsai th;n patrivda safw`~, uJpe;r h|~
a[ra ej~ tajnqrwvpeia ajforw`n ejdedivei. Kai; tavde me;n Poluvbio~ aujto;~
ajkouvsa~ suggravfei.

reticenza nominò la patria, per la quale temeva considerando la sorte degli


uomini. Ciò riferisce Polibio, avendolo udito con le sue orecchie2.
[Tr. di C. Schick]

2. Precisando questo, Polibio contesta anche Tucidide, intendendo riferire le parole effettivamente pronun-
ciate dagli attori delle sue Storie, non una sua ricostruzione di ciò che avrebbe potuto o dovuto essere
detto in una determinata circostanza, cfr. XXXVI 1: «Io non ritengo conveniente neppure agli uomini
politici fare in qualsiasi occasione lunghi discorsi con argomenti estranei agli eventi, e credo invece che
essi debbano tenere solo i discorsi indispensabili nelle singole circostanze; così gli storiografi, secondo
me, non debbono cercare di accattivarsi ad ogni costo i lettori, né fare sfoggio della loro abilità, ma
debbono riferire i discorsi effettivamente pronunciati nelle singole occasioni e fra questi soltanto i più
opportuni ed efficaci» [tr. di C. Schick].

È piuttosto in alcuni squarci autobiografici, legati principalmente ai contatti


con rappresentanti della classe dirigente romana, che la pagina di Polibio può
a tratti m ostrare un’insospettata freschezza: ad esempio nel primo dialogo fra
l’“ostaggio acheo” e Scipione Emiliano, così spontaneamente personale, da parte
di quest’ultimo, nella confessione della propria adolescenziale crisi di maturazio-
ne in seno alla gens Cornelia e così pieno di tatto, da parte di Polibio, nel saper
valorizzare agli occhi del giovane qualità che egli è indotto a considerare propri
limiti o difetti (XXXI 23-24):
[23, 1] Poiché il corso della narrazione e le circostanze stesse delle quali trat-
tiamo ci hanno condotto a parl a re di questa famiglia, voglio mantenere la
promessa che ho lasciato inadempiuta nel libro precedente, [2] là dove ho detto
che avrei esposto ai miei lettori come e per quale ragione si sia levata in Roma
a tanta altezza in così breve tempo la fama di Scipione, [3] e insieme come si
sia sviluppata tanto l’amicizia tra lui e Polibio, nota non soltanto in Italia e in
Grecia, ma anche in luoghi più lontani. [4] Già ho detto come questa amicizia
abbia avuto origine dal prestito di alcuni libri e dalle discussioni intorno ad essi;
[5] quando gli ostaggi achei furono distribuiti nelle varie città d’Italia, i figli di
Lucio1 ancora giovanetti, Fabio e Scipione, insistettero presso il console perché
Polibio potesse rimanere a Roma. [6] Il loro desiderio fu esaudito e la familiarità
di Polibio con i giovanetti divenne sempre più stretta; [7] un bel giorno avvenne
che, usciti tutti dalla casa di Fabio, quest’ultimo si diresse verso il foro, Polibio
con Scipione dalla parte opposta. [8] Mentre essi passeggiavano insieme, Pu-
blio con voce mite e tranquilla, arrossendo, a un certo punto disse: [9] «Perché
LA STORIOGRAFIA

mai, o Polibio, discorri continuamente con mio fratello Fabio, a lui rivolgi le
domande e a lui rispondi e invece trascuri me? [10] Evidentemente anche tu
pensi di me ciò che pensano gli altri miei concittadini: [11] tutti, a quanto sento
dire, mi ritengono troppo pigro e tranquillo, diverso dagli altri Romani, perché

1. Lucio Emilio Paolo (macedonico), il vincitore di Pidna (168 a.C.).


POLIBIO 517
non mi piace difendere cause. [12] Dicono inoltre che la mia famiglia non ha
bisogno di siffatti rappresentanti, ma di uomini attivi ed energici, e ciò mi
addolora molto».
[24, 1] Polibio, stupito dell’inizio del discorso del giovinetto (egli
non aveva più di diciotto anni) esclamò: [2] «In nome degli dèi, o
Scipione, non devi dire cose simili, e neppure pensarle; [3] io fac-
cio così non perché ti disprezzi o ti trascuri, tutt’altro; solo perché
è maggiore mi rivolgo a tuo fratello quando inizio o quando con-
cludo i miei discorsi, e nelle risposte e nei consigli mi appoggio
a quanto egli dice, ritenendo che tu condivida la sua opinione.
[4] Ma ora mi compiaccio di sentire da te che ti ritieni più mite
di quanto non si convenga ai discendenti della tua famiglia; è se-
gno di magnanimità. [5] Per quel che mi riguarda, ben volentieri
contribuirei con ogni mezzo a renderti capace di dire e compiere
azioni degne dei tuoi antenati. [6] Quanto alle nozioni culturali che
vi vedo ricercare con grande zelo e diligenza, non mancheranno né
a te né a tuo fratello volonterosi maestri, [7] poiché noto che dalla
Grecia in questi tempi viene un gran numero di persone colte. [8] Ma
per quello che ora ti affligge, come tu dici, credo che non potrai trovare
aiutante e collabora t o re più adatto di me». [9] Mentre Polibio ancora
parlava, il giovinetto gli afferrò la destra con entrambe le mani e, stringen-
Per quanto tarda e relativa a dogliela affettuosamente, disse: «Almeno potessi vedere il giorno nel quale,
Costantino e a Costantinopoli
(IV secolo d.C), questo cameo trascuran do tutto il resto, tu rivolgessi a me le tue cure e convivessi con me.
sintetizza l’idea di Tyche come [10] Da quel momentosarei degno della mia famiglia e dei miei antenati».
protettrice delle magnifiche sorti
[11] Polibio da una parte si rallegrò vedendo l’entusiasmo e l’affetto del giovi-
e progressive di Roma espressa
alle origini dell’imperialismo netto, dall’altra rimase confuso, pensando alla nobiltà e alla potenza della sua
romano da Polibio. Glittica famiglia. [12] Dopo questo scambio di parole il giovinetto non si staccò più
romana conservata a
San Pietroburgo, Museo
dal fianco di Polibio e si dimostrò pronto a trascurare ogni altra cosa piuttosto
dell’Hermitage. che la sua compagnia.
[Tr. di C. Schick]

Posidonio
Storie dopo Polibio Continuatore di Polibio nella «catena storiografica» (muove va appunto dal 145
a.C.) ma grande rinnovatore degli impulsi etno-geografici del primo ellenismo
fu Posidonio (Poseidwvnio~) di Apamea. Filosofo stoico del II-I secolo a.C. (di
lui riparleremo nel capitolo sulla filosofia ellenistica), compose anche una vasta
opera storica (Storie dopo Polibio) in 52 libri, che giungeva alla prima guerra
mitridatica (86-84 a.C.) o, forse, alla dittatura di Silla (82 a.C.), ed era concepita
LA STORIOGRAFIA

come una sorta di storia universale gravitante intorno a Roma: nello stato romano
appariva infatti realizzato concretamente, per Posidonio, l’ideale della cosmopoli
stoica retta dal Lovgo~.

Storia e filosofia Le sue simpatie andavano alla nobilitas, all’aristocrazia senatoria, e il suo di-
sprezzo ai cavalieri, mentre il riconoscimento della superiorità naturale del po-
518 LA STORIOGRAFIA
polo romano giustificava agli occhi di Posidonio – incline per altro a una vivace
simpatia per le forze primitive dei barbari – l’opera civilizzatrice del suo impe-
rialismo.
Dai viaggi derivò le conoscenze che confluirono in excursus etnografici su
Celti, Cimbri, Germani cisrenani, Iberici. Mostrò inoltre un vivo interesse per
la più antica storia culturale dei Romani, e in genere degli Italici, e per quella
degli Ebrei.

Il tema Ampio spazio ve n i va riservato al tema degli schiavi, variamente osservati nel
della schiavitù loro sfruttamento nelle miniere della Spagna, nella loro tratta (connessa al feno-
meno della pirateria) lungo la rotta dalla Cilicia a Delo e nelle rivolte esplose in
Sicilia nella seconda metà del II secolo d.C.

Il tema della schiavitù in Posidonio


Posidonio muoveva da una fondamentale distinzione, che era Deipnosofisti di Ateneo (271-272); «iloti» era solo il nome
già stata fatta, secoli prima, da Teopompo, tra le due forme più conosciuto, oltre che il più tristemente famoso. L’altra
di schiavitù. La prima «naturale» ed «umana»: quella che, forma di dipendenza – quella fondata sull’acquisto di schiavi
con riferimento a Sparta, può chiamarsi «ilotica», ma che si (detti perciò ajrgurwvnhtoi, cioè «comprati con danaro») – si
ritrova, con altri nomi, in tanta parte del mondo dorico. Es- era dapprima affermata, secondo una tradizione autorevole,
sa è fondata, secondo Posidonio, sulla reciproca intesa tra nell’isola di Chio, e si era presto diffusa in molte città greche,
schiavi e padroni: per la «debolezza del loro ingegno», gruppi quelle, soprattutto, caratterizzate da un’economia dinamica
o popolazioni intere avevano accettato il predominio di altri e moderna (Corinto, Atene), finché non venne generalizzata
gruppi o ceti, ricevendone in cambio assistenza e protezione; dall’estendersi del predominio romano. Questa forma, più re-
esempio caratteristico i Mariandini di Eraclea Pontica, cui era cente, di schiavitù non era stata accettata in modo indolore:
stato promesso «il necessario sostentamento» in cambio del- ad esempio lo storico Timeo notava, suscitando ingiustificate
la sottomissione agli abitanti di Eraclea (fr. 8 Jacoby). Una critiche da parte di Polibio, che essa non era «originaria» del
tale condizione è per Posidonio naturale, non solo perché mondo greco. Posidonio condannava aspramente questa for-
fondata sulla reciproca benevolenza, ma anche perché si era ma di dipendenza, e proprio studiando la storia di Chio notava
LA STORIOGRAFIA

affermata là dove il sopraggiungere o l’insediarsi di conqui- come una nemesi avesse punito implacabilmente gli abitanti
statori aveva posto storicamente in una condizione di dipen- dell’isola per la loro disumana «invenzione»: alla fine erano
denza strati preesistenti o popolazioni sottomesse. In tali casi divenuti essi stessi schiavi dei loro schiavi (Ateneo, 266 e-f),
non vi era, né poteva esserci, compravendita di schiavi, lo quando Mitridate, il grande sovrano del Ponto, irriducibile ne-
schiavo non era una merce, e a rigore non poteva neanche mico dei Romani, aveva liberato gli schiavi di Chio e affidato
chiamarsi «schiavo» (dou` lo~); e infatti fiorivano numerose loro, come schiavi, gli ex-padroni.
denominazioni relative a questi statuti sociali, dei quali ab- [L. Canfora, Antologia della letteratura greca, III, Laterza,
biamo un vero e proprio catalogo ragionato nel VI libro dei Roma-Bari 1990, 383-385]
La storiografia

Polibio
T. 1 Proemio Nel proemio alle Storie, Polibio rivendica questo come carattere peculiare (i[dion)
della propria opera: una storiografia pragmatica (pragmateiva), nella quale il
dato di fatto si coniuga con la straordinarietà di eventi che destano ammirazio-
ne; l’aggettivo qaumavsion (che richiama il qwumastav del proemio di Erodoto)
costituisce certamente un doveroso tributo alla tradizione, ma è anche indicativo
della singolarità di una condizione storica che non ha precedenti.

I 4, 1-4 [1] To; ga;r th`~ hJmetevra~ pragmateiva~ i[dion kai; to; qaumavsion tw`n kaq∆ hJma`~
kairw`n tou`t∆ e[stin o{ti, kaqavper hJ tuvch scedo;n a{panta ta; th`~ oijkoumevnh~
pravgmata pro;~ e}n e[kline mevro~ kai; pavnta neuvein hjnavgkase pro;~ e{na kai;
to;n aujto;n skopovn, ou{tw~ kai; dei` dia; th`~ iJstoriva~ uJpo; mivan suvnoyin
ajgagei`n toi`~ ejntugcavnousi to;n ceirismo;n th`~ tuvch~, w|/ kevcrhtai pro;~
th;n tw`n o{lwn pragmavtwn suntevleian. [2] kai; ga;r to; prokalesavmenon
hJma`~ kai; parormh`san pro;~ th;n ejpibolh;n th`~ iJstoriva~ mavlista tou`to
gevgonen, su;n de; touvtw/ kai; to; mhdevna tw`n kaq∆ hJma`~ ejpibeblh`sqai th`/

1 To; ga; r th` ~ hJ m etev r a~ pragma- ginario «occupazione, lavoro», attraverso 2 to; prokalesav m enon ... paror-
teiva~ i[dion kai; to; qaumavsion ... to;n la specificazione di «lavoro intellettuale» mh`san: i due participi aoristi neutri sostan-
ceirismo; n th` ~ tuv c h~: «Quello che è giunge a questa valenza, che sarà ripro- tivati, sostanzialmente sinonimici («ciò che
specifico della nostra opera storica e stu- posta da Diodoro Siculo (I 1: Prooivmion ci ha indotto e spinto»), indicano il punto di
pefacente nelle vicende dei nostri tempi è th`~ o{lh~ pragmateiva~). Collegando ciò partenza, lo scatto decisionale dell’autore.
appunto questo, cioè che, come la sorte ha che è i[dion («specifico, proprio») della sua La pesante struttura nominale complessiva
fatto inclinare verso un’unica parte tutte le opera con ciò che è qaumavsion («mirabile, è un esempio, seppur minimo, dello sti-
vicende del mondo e le ha costrette a mirare stupefacente») dei suoi tempi, Polibio for- le «burocratico» di Polibio, volutamente
LA STORIOGRAFIA

ad un unico e identico fine, analogamente nisce l’elemento di superiorità che è topico lontano dall’alta eloquenza tucididea (nota
nel corso della narrazione storica occor- rivendicare ad ogni storico per l’argomento anche la banale ripetizione seguente tou`to
re ricondurre per il lettore sotto un unico scelto. - kaqavper hJ tuvch: viene spiega- ... su;n de; touvtw/). - tov ... ejpibeblh`sqai:
sguardo d’insieme il maneggio usato dalla to il parallelismo qaumavsion - i[dion con «il fatto che nessuno dei contemporanei si
fortuna per dare un compimento comune la specificazione, chiasticamente disposta, sia dedicato alla composizione di una storia
a tutte le vicende». - pragmateiv a ~: è tuvch - iJstoriva. - toi`~ ejntugcavnousi: universale»; ejpibeblh`sqai è infinito per-
questo il nuovo nome che assume l’opera dativo di vantaggio, «per i lettori». Il parti- fetto passivo di ejpibavllw, qui col valore
storiografica in Polibio (anche se non è cipio sostantivato, e i costrutti nominali in mediale di «dedicarsi» (il suo soggetto,
ignorato iJstoriva: vd. poco oltre al par. 2, genere, trovano nella prosa di Polibio un all’accusativo, come di norma, è mhdev -
ad es.): il suo significato, partendo dall’ori- uso particolarmente frequente. na); sostantivato, funge da proposizione
520 POLIBIO
tw`n kaqovlou pragmavtwn suntavxei: polu; ga;r a]n h|tton e[gwge pro;~ tou`to
to; mevro~ ejfilotimhvqhn. [3] nu`n d∆ oJrw`n tou;~ me;n kata; mevro~ polevmou~
kaiv tina~ tw`n a{ma touvtoi~ pravxewn kai; pleivou~ pragmateuomevnou~,
th;n de; kaqovlou kai; sullhvbdhn oijkonomivan tw`n gegonovtwn povte kai;
povqen wJrmhvqh kai; pw`~ e[sce th;n suntevleian, tauvthn oujd∆ ejpibalovmenon
oujdevna basanivzein, o{son ge kai; hJma`~ eijdevnai, [4] pantelw`~ uJpevlabon
ajnagkai`on ei\nai to; mh; paralipei`n mhd∆ eja`sai parelqei`n ajnepistavtw~
to; kavlliston a{ma d∆ wjfelimwvtaton ejpithvdeuma th`~ tuvch~.

soggettiva per un gevgone sottinteso. - th/` ... subordinate oggettive (espresse con parti- ta gli accenti) ... kai; pw`~: sono avverbi
suntavxei: dativo di suntavxi~, sostantivo cipi predicativi dell’oggetto, come norma- interrogativi, che introducono le interro-
derivato da suvn + tavssw «dispongo in or- le in dipendenza da verbi di percezione) gative indirette wJrmhvqh ... e[sce rette da
dine»: qui, «composizione». - kaqovlou: la tou;~ mevn ... pragmateuomevnou~ ... th;n basanivzein, infinito dipendente dal parti-
sua posizione attributiva lo trasforma in ag- dev ... oujd∆ ejpibalovmenon oujdevna. - kata; cipio ejpibalovmenon. - o{son ge kai; hJma`~
gettivo di pragmavtwn, così che il binomio mevro~: in posizione attributiva, «le singole eij dev n ai: proposizione incidentale, con
viene a significare «storia universale». Ecco (guerre)», è in contrapposizione con tw`n valore restrittivo: «almeno, per quel che ne
la caratteristica fondamentale della storia kaqovlou pragmavtwn. - a{ma touvtoi~: ri- sappiamo».
di Polibio, novità assoluta e, per ciò stesso, ferito alle guerre: «le vicende con esse con-
motivo di vanto (come esplicitato nella frase nesse». - kai; pleivou~: è una precisazione, 4 uJ p ev l abon: il verbo della propo-
seguente). - polu; ... h|tton: multo minus. incidentale e leggermente ironica, dei tou;~ sizione principale, da cui dipende l’og-
- a[n ... ejfilotimhvqhn: secondo la norma, me;n ... pragmateuomevnou~ : «e sono anche gettiva seguente ajnagkai`on ei\nai, i cui
a[n + indicativo dei tempi storici (qui l’aori- tanti», ad esaltare il contrasto con l’oujdev- soggetti sono gli infiniti sostantivati to; mh;
sto, in diatesi passiva, ma con valore media- na che segue, che sottolinea l’unicità della paralipei`n mhd/ eja`sai. - parelqei`n:
le di «essere orgoglioso») esprime l’irrealtà: scelta polibiana. - kaqovlou kai; sullhvb- infinito aoristo attivo da parevrcomai (di-
si tratta dell’apodosi di un periodo ipotetico, dhn: i due avverbi, in posizione attributiva, pendente da eja`sai): il prefisso, identico in
la cui protasi, sottintesa (cioè: «se qualcuno riferiti ad oijkonomivan tw`n gegonovtwn («il paralipei`n, ribadisce l’idea del «passar
avesse già composto una storia universale»), quadro degli avvenimenti»), ne indicano, oltre trascurando, sottovalutare», ripresa
si ricava dal contesto. rispettivamente, l’estensione («universa- dal successivo ajnepistavtw~. - to; kavl-
le») ed il modo di coglierlo («con un unico liston ...th`~ tuvch~: «l’opera più bella e
3 oJrw`n: il participio presente regge le colpo d’occhio»). - povte kai; povqen (no- più utile della fortuna».

Analisi del testo


È difficile sottrarsi all’impressione di una visione provviden- dominino il mondo. In Tucidide, il sommovimento storico da
ziale della fortuna, alla formulazione di un giudizio di merito, lui narrato era presentato come grandissimo (megivsth), ma
positivo, dello storico sull’operato di questa forza potentis- solo nel senso della radicalità dei mutamenti che aveva indot-
sima, con la conseguente perdita, da parte sua, di ogni cre- to nel mondo greco e per il coinvolgimento, anche, dei bar-
dibilità di equidistanza, con la rinuncia all’imparzialità. In bari. Polibio enfatizza ed approva come cosa singolarissima,
Erodoto, qwumastav erano le imprese degli uomini, di tutti, questa reductio ad unum delle vicende storiche: possiamo ri-
vincitori e vinti; qui qaumavsion (I 4,1) è l’opera della fortu- cordare, di sfuggita, che essa significò per la sua patria il de-
na, e bello e utile il suo darsi da fare perché, in fine, i Romani finitivo tramonto e l’ingresso, ancillare, nell’orbita romana.

Rifletti sul testo


LA STORIOGRAFIA

1 Cosa intende Polibio per pragmateiv a ? Qual è – 2 Discuti il ruolo che assume la tuvch nella concezione
nell’ottica polibiana – la condizione storica peculiare storiografica di Polibio.
che rende necessario, da parte dello storiografo, ri-
condurre la ricostruzione degli eventi uJpo; mivan suv- 3 Riconosci ed isola in questo passo tutte le espressioni
noyin? significative che individuano il carattere della storiogra-
fia polibiana.
CAUSA, PRETESTO, INIZIO 521

Parole chiav e
Il ruolo di tuvch in Polibio
La tuvch, personificata da una divinità assurta a grande kurivaÉ touvtwn brabeu`sai kai; dioikh`saiÉ Tuvch «re-
importanza in età ellenistica, (di fronte alla quale è op- sta da dire il mio nome: sono colei che amministra a suo
portuno proskunei`n, come consigliava nel I sec. a.C. arbitrio tutte queste cose, la Fortuna»), essa è presen-
Diodoro Siculo XIII 21, 4: proskunou`nte~ th;n tuvchn, tata quasi come la forza determinante della storia, con
perché, come dice poche righe dopo, oujqei;~ gavr ejstin una sfumatura provvidenzialistica. Va, però, precisato
ou{tw frovnimo~, w{ste mei`zon ijscu`sai th`~ tuvch~, h} che altri passi lasciano spazio ai meriti umani (I 63, 9
fuvsei tai`~ ajnqrwpivnai~ hJdomevnh sumforai`~ ojxei- ejx w|n dh`lon to; proteqe;n hJmi`n ejx ajrch`~ wJ~ ouj tuvch/
va~ th`~ eujdaimoniva~ poiei` ta;~ metabolav~: «nessuno, ÔRwmai`oi, kaqavper e[nioi dokou`si tw`n ÔEllhvnwn, ou-
infatti, è tanto saggio da poter aver la meglio sulla sorte, jd∆ aujtomavtw~, ajlla; kai; livan eijkovtw~ ejn toiouvtoi~
la quale, godendo per sua natura delle sventure umane, kai; thlikouvtoi~ pravgmasin ejnaskhvsante~ ouj
provoca rapidi rovesci di fortuna»), compariva già in Tu- movnon ejpebavlonto th`/ tw`n o{lwn hJgemoniva/ kai; du-
cidide [cfr. p. 112, scheda «La tuvch in Tucidide»], la cui nasteiva/ tolmhrw`~, ajlla; kai; kaqivkonto th`~ pro-
concezione umanistica della storia, però, non le lascia- qevsew~ «Da ciò risulta chiaro quanto da noi premesso
va molto spazio: in effetti, significava solo l’incertezza in partenza, che, cioè, i Romani non grazie alla fortuna,
intrinseca agli eventi futuri, un’alea che è controllabile come credono alcuni Greci, né accidentalmente, ma anzi
con la ragione e che diventa determinante solo quando del tutto a buon diritto, dopo essersi esercitati in tali e
l’uomo rinuncia a decidere con avvedutezza. In Polibio, tanto grandi imprese, non solo aspirarono audacemen-
viceversa, come portato dei tempi (basti pensare al ruolo te all’egemonia e al dominio universali, ma raggiunsero
che la tuvch assume nella tarda produzione euripidea e anche quanto si erano proposti» [tr. di M. Mari]) e, in
poi nella commedia nuova, cfr. Menandro, Aspis 146-48 ogni caso, il potere della tuvch non può essere illimita-
loipo;n tou[nomaÉ toujmo;n fravsai tiv~ eijmi, pavntwn to, pena la vanificazione dell’utilità della storiografia1.

1. Ulteriori approfondimenti in A. Roveri, Tyche in Polibio, «Convivium» 24, 1956, pp. 275-293.

T. 2 Causa, pretesto, La disposizione della materia, nella parte iniziale dell’opera di Polibio, sembra
inizio riproporre la struttura tucididea: così come lo storico ateniese aveva premesso
la pentecontetie (il cinquantennio), rapida sintesi delle vicende precedenti la
guerra del Peloponneso, allo stesso modo Polibio nei primi due libri tratta
della prima guerra punica, avvenimento propedeutico rispetto all’argomento
centrale della sua opera. All’inizio del terzo libro, seguendo un andamento ad
anello, vengono riproposti problemi metodologici, sulla natura e gli obiettivi
dell’opera, con qualche ripetizione rispetto a quanto già affermato nel proemio
al primo libro.
LA STORIOGRAFIA

In questo contesto, termine di confronto e al contempo bersaglio di polemica è


ancora Tucidide, che in I 23, 6 aveva distinto fra le «cause» (aijtivai) pretestuo-
se e dichiarate apertamente, e il «motivo più vero» (provfasi~ ajlhqestavth),
inconfessato e remoto nel tempo. Polibio opera un ribaltamento terminologico,
attribuendo il nome di ajrchv all’«inizio» delle operazioni militari e di provfasi~
al «pretesto occasionale», cioè ogni argomento atto a giustificare una guerra,
522 POLIBIO
mentre la definizione di aijtiva individua la «causa» più remota, cioè «quella
serie di operazioni mentali che precedono l’azione» (Pédech). Come però è stato
ampiamente osservato da più parti, in Polibio non c’è molto altro, al di là del
mero aggiustamento lessicale, che nulla aggiunge all’originaria intuizione di Tu-
cidide.

III 6,7 (1-7) [1] “Enioi de; tw`n suggegrafovtwn ta;~ kat∆ Ἀnnivban pravxei~ boulovme-
noi ta;~ aijtiva~ hJmi`n uJpodeiknuvnai, di∆ a}~ ÔRwmaivoi~ kai; Karchdonivoi~ oJ
proeirhmevno~ ejnevsth povlemo~, prwvthn me;n ajpofaivnousi th;n Zakavnqh~
poliorkivan uJpo; Karchdonivwn, [2] deutevran de; th;n diavbasin aujtw`n pa-
ra; ta;~ sunqhvka~ tou` prosagoreuomevnou para; toi`~ ejgcwrivoi~ “Ibhro~
potamou`: [3] ejgw; de; tauvta~ ajrca;~ me;n ei\nai tou` polevmou fhvsaim∆ a[n,
aijtiva~ ge mh;n oujdamw`~ a]n sugcwrhvsaimi. [4] pollou` ge dei`n, eij mh; kai;
th;n Ἀlexavndrou diavbasin eij~ th;n Ἀsivan aijtivan ei\naiv ti~ fhvsei tou`
pro;~ tou;~ Pevrsa~ polevmou kai; to;n Ἀntiovcou katavploun eij~ Dhmhtriav-
da tou` pro;~ ÔRwmaivou~: w|n ou[t∆ eijko;~ ou[t∆ ajlhqev~ ejstin oujdevteron. [5]
tiv~ ga;r a]n nomivseie tauvta~ aijtiva~ uJpavrcein, w|n polla; me;n Ἀlevxandro~
provteron, oujk ojlivga de; Fivlippo~ e[ti zw`n ejnhvrghse kai; pareskeuav-
sato pro;~ to;n kata; tw`n Persw`n povlemon, oJmoivw~ de; pavlin Aijtwloi;

1-3 “Enioi de; tw`n suggegrafovtwn (la cui posizione in zona di influenza car- va della negazione precedente: «tutt’altro».
... ejgw; de; ... oujdamw`~ a]n sugcwrhvsai- taginese rendeva incerti i limiti tra legalità - eij mhv ...: «a meno che qualcuno voles-
mi: «Alcuni storici delle vicende annibali- e illegalità nell’azione di Annibale) e l’at- se definire...». Per rendere comprensibile
che, volendo spiegarci le cause per le quali traversamento del fiume stesso, che, come il ragionamento ai suoi lettori, per lo più
scoppiò tra Romani e Cartaginesi la guerra casus belli, è indiscutibile. compatrioti, Polibio lo applica a due esem-
suddetta, come prima causa indicano l’as- pi tratti dalla storia greca: uno ormai miti-
sedio di Sagunto da parte dei Cartaginesi, 2 para; ta;~ sunqhvka~ ... para; toi`~ co, l’impresa di Alessandro Magno, l’altro
come seconda, il loro attraversamento, in ejgcwrivoi~: la stessa preposizione, in reg- più recente, di poco posteriore alla guerra
violazione dei patti, del fiume che gli in- genza di due casi diversi, assume diversi annibalica. - th;n ∆Alexavndrou diavba-
digeni chiamano Ebro. Io, per conto mio, significati: nel primo caso « in violazione sin ... to;n ∆Antiovcou katavploun: «l’at-
direi che questi sono gli inizi della guerra, (dei patti)», nel secondo caso «presso (gli traversata di Alessandro verso l’Asia» si
ma non sarei affatto d’accordo nel definir- indigeni)». compì nella primavera del 334 a.C.; «lo
le cause». - ta;~ kat∆ Ἀnnivban pravxei~: sbarco di Antioco» III il Grande «a Deme-
«le vicende annibaliche»; è l’oggetto del 3 ajrcav~: ecco il termine che Polibio triade», città della Magnesia sul golfo di
participio perfetto attivo sostantivato sug- userebbe (la possibilità è espressa dall’ot- Pagase, che provocò l’intervento romano
gegrafovtwn (genitivo partitivo di e[nioi), tativo storico fhvsaimi accompagnato da e la conseguente guerra siriaca (conclusasi
che si può rendere con «storici». - oJ pro- a[n) a proposito dei due episodi prima citati, con la pace di Apamea del 188 a.C.), si era
eirhmevno~ ejnevsth povlemo~: «scoppiò che diedero sì «inizio» alla guerra, ma non verificato nel 191 a.C.
la guerra suddetta». L’uso frequentissimo ne furono certamente la causa. - aijtiva~
di espressioni come «suddetto, predetto» ge mh; n ouj d amw` ~ a] n sugcwrhv s aimi: 5 tiv~ ga;r a]n nomivseie ... kata; ÔRw-
è una traccia evidente dello stile burocra- «ma non sarei affatto d’accordo di definirle maivwn: «Chi, infatti, potrebbe ritenere que-
tico di Polibio. - prwvthn mevn: è in cor- «cause»». Ancora un’espressione poten- sti avvenimenti causa di quelle azioni che
relazione con deutevran dev all’inizio del ziale, resa con a[n e l’ottativo. in gran numero avevano compiuto in pre-
LA STORIOGRAFIA

paragrafo seguente. - Zakavnqh~: Sagun- cedenza Alessandro e Filippo, quand’era


to, centro iberico a sud dell’Ebro, alleato 4 pollou` ge dei` n ... ouj d ev t eron: ancor vivo, e cioè dei non pochi preparativi
di Roma, venne assediato da Annibale e «Tutt’altro, a meno che qualcuno volesse messi da loro in atto, in vista della guerra
conquistato, dopo una strenua resistenza, definire l’attraversata di Alessandro verso contro i Persiani? E parallelamente, lo stes-
nel 219. Il fiume Ebro segnava, all’epoca, l’Asia causa della guerra contro i Persiani so fecero gli Etoli prima dell’arrivo di An-
il confine delle zone di influenza romano- e lo sbarco di Antioco a Demetriade causa tioco, in preparazione della guerra contro i
cartaginesi; per questo motivo, Polibio, di quella contro i Romani: nessuna delle Romani». - w|n: il relativo in genitivo, inve-
citando gli storici precedenti, che ne fan- due cose è né logica né vera». - pollou` ce che accusativo, perché attratto nel caso
no le cause (aijtiva~) della seconda guerra ge dei`n: espressione incidentale (infinito, del dimostrativo sottinteso. - Aijtwloiv: po-
punica, distingue tra l’assedio di Sagunto assoluto, che regge il genitivo), rafforzati- polazione della Grecia centro-occidentale,
CAUSA, PRETESTO, INIZIO 523
pro; th`~ Ἀntiovcou parousiva~ pro;~ to;n kata; ÔRwmaivwn… [6] ajll∆ e[stin
ajnqrwvpwn ta; toiau`ta mh; dieilhfovtwn ajrch; tiv diafevrei kai; povson diev-
sthken aijtiva~ kai; profavsew~, kai; diovti ta; mevn ejsti prw`ta tw`n aJpavn-
twn, hJ d∆ ajrch; teleutai`on tw`n eijrhmevnwn. [7] ejgw; de; panto;~ ajrca;~ me;n ei\
naiv fhmi ta;~ prwvta~ ejpibola;~ kai; pravxei~ tw`n h[dh kekrimevnwn, aijtiva~
de; ta;~ prokaqhgoumevna~ tw`n krivsewn kai; dialhvyewn: levgw d∆ ejpinoiva~
kai; diaqevsei~ kai; tou;~ peri; tau`ta sullogismou;~ kai; di∆ w|n ejpi; to;
kri`naiv ti kai; proqevsqai paraginovmeqa. [8] dh`lon d∆ oi|on to; proeirhmev-
non ejk tw`n ejpiferomevnwn. [9] tivne~ ga;r ajlhqw`~ h\san aijtivai, kai; povqen
fu`nai sunevbh to;n pro;~ tou;~ Pevrsa~ povlemon, eujmare;~ kai; tw`/ tucovnti
sunidei`n. [10] h\n de; prwvth me;n hJ tw`n meta; Xenofw`nto~ ÔEllhvnwn ejk
tw`n a[nw satrapeiw`n ejpavnodo~, ejn h|/ pa`san th;n Ἀsivan diaporeuomevnwn
aujtw`n polemivan uJpavrcousan oujdei;~ ejtovlma mevnein kata; provswpon tw`n
barbavrwn: [11] deutevra d∆ hJ tou` Lakedaimonivwn basilevw~ Ἀghsilavou

gli Etoli divennero importanti attori della la sua forma manifesta: se è una guerra, il senza che nessuno dei barbari avesse il
storia greca del III secolo come promotori momento in cui scoppia, come chiarito dal coraggio di affrontarli a viso aperto». - hJ
(forse) della Lega Etolica; alleati dei Ro- paragrafo seguente. ... ejpavnodo~:«il ritorno» dalle satrapie
mani nella guerra macedonica, pochi anni più interne dell’Asia; si accenna all’epica
dopo si allearono con Antioco III, con cui 7 ejgw; de; panto;~ ... paraginovmeqa: ritirata dei «Diecimila» dai dintorni di Ba-
condivisero la sconfitta (189). Nel duplice «Io, pertanto, per ogni fatto definisco come bilonia fino alle coste dell’Egeo (401-400
esempio, Polibio annette ad aijtiva il sen- inizio il momento in cui si inizia a porre a.C.). È la vicenda celebrata da Senofonte
so stretto di causa, escludendone qualsiasi mano ed attuare ciò che è stato in prece- nell’Anabasi: gli opliti greci (in realtà do-
valenza di causa finale; perciò, non si può denza deciso; le cause, invece, fanno da dicimila) sotto il comando dello spartano
dare aijtiva che sia cronologicamente po- guida alle decisioni, consigliano le prese Clearco, arruolati da Ciro il Giovane per
steriore ai fatti causati: come può la causa di posizione: con il termine causa intendo sostenere il suo tentativo di detronizzare
della guerra alla Persia essere posteriore ai i progetti, gli stati d’animo, i ragionamenti il fratello Artaserse e rimasti senza capi e
preparativi di quella guerra, che formano sui fatti, insomma quel processo mentale senza missione dopo la morte di Ciro nella
con essa un tutt’uno? Quindi l’attraver- attraverso il quale perveniamo a prendere battaglia di Cunassa (401 a.C.), riuscirono
samento dell’Ellesponto da parte di Ales- una decisione e a proporci un obiettivo». a trarsi in salvo dal cuore dell’impero per-
sandro è escluso come causa della guerra È notevole lo psicologismo del passo: le siano. L’episodio aveva dimostrato la vul-
coi Persiani, non per la banalità del fatto in cause degli eventi storici sono iscritte nel- nerabilità della Persia ed in questo senso
sé, ma semplicemente perché è successivo la mente e nell’animo dell’uomo; fattori era già un motivo topico qualche anno do-
agli atti preparatori di quella guerra. Ana- esterni possono valere solo se ed in quanto po: nel 380, Isocrate (Panegirico 145-149)
logamente, i movimenti ed i preparativi filtrati dal pensiero e dall’animo umano. ne fa un argomento per smitizzare la po-
degli Etoli prima della discesa in campo di tenza del Gran Re e per esortare alla guer-
Antioco III tolgono valore di aijtiva al suo 8 to; proeirhmevnon ejk tw`n ejpife- ra contro di lui (nel 346, usando lo stesso
sbarco. romevnwn: ancora un esempio del poco ac- esempio, vuole indurre il re di Macedonia
cattivante stile polibiano: «ciò che precede a muovere contro la Persia: Filippo 90-91).
6 ajll∆ e[stin ... profavsew~: «ma si- (risulterà chiaro) da ciò che segue». Il proporre questi due avvenimenti come
mili errori sono tipici di persone che non aijtivai appare alquanto paradossale alla
sanno distinguere la peculiarità dell’inizio 9 tivne~ ... sunidei`n: «Quali furono luce di quanto detto al paragrafo 7: è da in-
e quanto sia differente da causa e prete- le vere cause e donde capitò che nascesse tendere, come spiegato al paragrafo 12, la
sto, e che questi sono al principio di tutto, la guerra di Alessandro contro i Persiani? riflessione su questi fatti.
mentre l’inizio è l’ultima cosa da dire». Facilissimo rispondere anche per il primo
Nota la triplice ripetizione del prefisso diav venuto». - tivne~: il pronome interrogativo 11 deutevra d(ev) ... ejpanelqei`n: «La
LA STORIOGRAFIA

(dieilhfov t wn, diafev r ei, diev s thken) (nota l’accento) introduce la proposizione seconda causa fu la spedizione in Asia del
a sottolineare la necessità di distinguere i interrogativa h\san, dipendente dall’infi- re spartano Agesilao, durante la quale, pur
significati precisi di ognuno dei tre termi- nito aoristo sunidei`n. - tw/` tucovnti: è la non avendo trovato un avversario adegua-
ni. - ta; me;n ejsti prw`ta: sono gli ulti- persona qualunque, il primo che capita. to alla sua impresa, nel bel mezzo della
mi due termini citati, causa e pretesto, che spedizione fu costretto, per i contempora-
cronologicamente si collocano in principio, 10 h\n de; prwvth ... barbavrwn: «La nei sconvolgimenti in Grecia, a ritornare
mentre l’archè, con un implicito, comico prima causa fu il ritorno in patria, dalle senza aver concluso nulla». - deutevra:
ossimoro, va messa all’ultimo posto. L’ar- satrapie più interne, dei Greci che erano la seconda causa è analoga alla prima: la
chè è, quindi, da intendere semplicemente con Senofonte: nel corso di esso, attra- spedizione in Asia nel 396 del re spartano
come momento in cui inizia l’evento nel- versarono tutta l’Asia, territorio ostile, Agesilao (anche per essa c’è il precedente
524 POLIBIO
diavbasi~ eij~ th;n Ἀsivan, ejn h|/ ejkei`no~ oujde;n ajxiovcrewn oujd∆ ajntivpalon
euJrw;n tai`~ sfetevrai~ ejpibolai`~ a[prakto~ hjnagkavsqh metaxu; dia; ta;~
peri; th;n ÔEllavda taraca;~ ejpanelqei`n. [12] ejx w|n Fivlippo~ katanohv-
sa~ kai; sullogisavmeno~ th;n Persw`n ajnandrivan kai; rJa/qumivan kai; th;n
auJtou` kai; Makedovnwn eujexivan ejn toi`~ polemikoi`~, e[ti de; kai; to; mevge-
qo~ kai; to; kavllo~ tw`n ejsomevnwn a[qlwn ejk tou` polevmou pro; ojfqalmw`n
qevmeno~, [13] a{ma tw`/ peripoihvsasqai th;n ejk tw`n ÔEllhvnwn eu[noian oJ-
mologoumevnhn, eujqevw~ profavsei crwvmeno~ o{ti speuvdei metelqei`n th;n
Persw`n paranomivan eij~ tou;~ ”Ellhna~, oJrmh;n e[sce kai; proevqeto
polemei`n kai; pavnta pro;~ tou`to to; mevro~ hJtoivmaze. [14] diovper aijtiva~
me;n ta;~ prwvta~ rJhqeivsa~ hJghtevon tou` pro;~ tou;~ Pevrsa~ polevmou,
provfasin de; th;n deutevran, ajrch;n de; th;n ∆Alexavndrou diavbasin eij~ th;n
Ἀsivan. [7, 1] kai; mh;n tou` kat∆ Ἀntivocon kai; ÔRwmaivou~ dh`lon wJ~ aijtivan
me;n th;n Aijtwlw`n ojrgh;n qetevon. [2] ejkei`noi ga;r dovxante~ uJpo; ÔRwmaivwn
wjligwrh`sqai kata; polla; peri; th;n e[kbasin th;n ejk tou` Filivppou polev-
mou, kaqavper ejpavnw proei`pon, ouj movnon Ἀntivocon ejpespavsanto, pa`n
de; kai; pra`xai kai; paqei`n uJpevsthsan dia; th;n ejpigenomevnhn ojrgh;n ejk

della citazione isocratea: Panegirico 144). come la base di partenza del ragionamento 7, 1 kai; mh;n ... ojrgh;n qetevon: «Per
- ouj d e; n aj x iov c rewn ouj d ∆ aj n tiv p alon di Filippo circa la fatale debolezza dell’im- quanto riguarda la guerra tra Antioco e i
euJrwvn: «senza aver trovato un avversario pero persiano. A queste conclusioni ven- Romani, è chiaro che bisogna porre come
adeguato alla sua impresa», considerando gono ora accostati ulteriori elementi, come causa il risentimento degli Etoli». - tou`
endiadica l’espressione. - metaxuv: «nel bel possibili cause: l’attrattiva del bottino, il kat∆ ∆Antivocon: la guerra tra Antioco e
mezzo della spedizione». calcolo politico sulla popolarità guadagna- i Romani; l’articolo, sostantivato dai com-
bile tra i Greci proponendosi come vendi- plementi che seguono, riprende polevmou
12-13 ∆Ex w|n ... hJtoivmaze: «Filippo catore. Quest’ultimo fatto si pone poi come del paragrafo precedente. Didascalicamen-
rifletté su questi fatti e ne trasse le conclu- causa e pretesto insieme: è causa perchè te, Polibio passa ora ad applicare la sua ter-
sioni, cioè la viltà e la mancanza di vigore Filippo mirava effettivamente a guada- minologia al secondo esempio presentato,
dei Persiani in confronto con l’ottima pre- gnarsi quella popolarità (anche se Polibio la guerra romano-siriaca. - dh`lon: sottin-
disposizione propria e dei Macedoni per sembra sottovalutare questo aspetto), è teso ejstiv, regge la soggettiva wJ~ ...qetevon
le attività belliche; inoltre, si pose davanti pretesto perchè la rivalsa sulle ingiustizie (con ellissi della copula).
agli occhi la grandezza e lo splendore dei subite forniva un ottimo motivo per la di-
premi per il vincitore della guerra, unita- chiarazione di guerra alla Persia. - pro- 2 ejkei`noi ga;r ... ejk tw`n proeirh-
mente alla possibilità di guadagnarsi il favsei: viene introdotto il terzo vocabolo mevnwn kairw`n: «Quelli, infatti, ritenendo
favore concorde dei Greci, semplicemente della terminologia eziologica di Polibio, la di aver ricevuto dai Romani un trattamento
esibendo il pretesto che si accingeva a ven- «causa dichiarata», spesso solo un prete- per molti aspetti sfavorevole, alla conclu-
dicare le ingiustizie persiane nei confronti sto. - oJrmh;n e[sce: «si slanciò, si decise», sione della guerra con Filippo, come ho
dei Greci. Prese dunque la decisione, ban- il verbo principale si pone al termine del detto precedentemente, non solo trassero
dì la guerra ed effettuò tutti i preparativi a lungo processo deliberativo. - proevqeto a sé Antioco, ma, a causa del risentimen-
questo scopo». - ∆Ex w|n: riassuntivamente, ... hJtoivmaze: nota la differenza dei tempi to originato dalle predette circostanze, si
indica i fatti suesposti che sono alla base coordinati: l’aoristo per l’azione puntuale disposero a osare e sopportare qualsiasi
delle osservazioni e conclusioni (kata- (bandire la guerra), l’imperfetto per la lun- cosa». - wjligwrh`sqai: infinito perfetto
nohvsa~ kai; sullogisavmeno~) di Filip- ga durata (preparativi bellici). passivo (nota la persistenza del raddop-
po. - th;n Persw`n ajnandrivan: la stessa piamento), retto dal precedente dovxante~:
LA STORIOGRAFIA

espressione ancora nel Filippo di Isocrate 14 diovper ... eij~ th;n ∆Asivan: «Perciò, «ritenendo di aver ricevuto dai Romani un
(137). - to; mevgeqo~: «e inoltre postosi di- bisogna ritenere che le prime dette siano le trattamento per molti aspetti sfavorevole,
nanzi agli occhi la grandezza e la bellezza cause della guerra contro i Persiani, la secon- alla conclusione della guerra con Filippo».
dei premi derivanti dalla guerra». da il pretesto, mentre la traversata di Alessan- Al termine della seconda guerra macedo-
dro in Asia ne è l’inizio». - ta;~ prwvta~: i nica (197), nella quale gli Etoli erano stati
13 a{ma ... ”Ellhna~: Il discorso sulle tre termini canonici ritornano nel riepilogo al fianco di Roma contro Filippo V di Ma-
cause, che ha preso le mosse dalle spedi- conclusivo: aijtivai sono il primo gruppo di cedonia, i Romani delusero le loro attese
zioni dei Diecimila e di Agesilao, si è allar- motivi, provfasi~ quello detto al paragrafo di ingrandimenti territoriali; essi, allora,
gato: quei due episodi (indicati come causa 13 e già lì associato a questo vocabolo, ajrchv si volsero verso Antioco III di Siria, nella
prima e seconda) vengono ora presentati il passaggio di Alessandro in Asia. speranza di conseguire i loro obiettivi at-
CAUSA, PRETESTO, INIZIO 525
tw`n proeirhmevnwn kairw`n. [3] provfasin d∆ hJghtevon th;n tw`n ÔEllhvnwn
ejleuqevrwsin, h}n ejkei`noi periporeuovmenoi met∆ Ἀntiovcou ta;~ povlei~
ajlovgw~ kai; yeudw`~ kathvggellon, ajrch;n de; tou` polevmou to;n Ἀntiovcou
katavploun eij~ Dhmhtriavda. [4] ∆Egw; de; th;n ejpi; plei`on diastolh;n pe-
poivhmai peri; touvtwn oujc e{neka th`~ tw`n suggrafevwn ejpitimhvsew~, ca-
vrin de; th`~ tw`n filomaqouvntwn ejpanorqwvsew~. [5] tiv ga;r o[felo~ ijatrou`
kavmnousin ajgnoou`nto~ ta;~ aijtiva~ tw`n peri; ta; swvmata diaqevsewn… tiv
d∆ ajndro;~ pragmatikou` mh; dunamevnou sullogivzesqai pw`~ kai; dia; tiv
kai; povqen e{kasta tw`n pragmavtwn ta;~ ajforma;~ ei[lhfen… [6] ou[te ga;r
ejkei`non eijko;~ oujdevpote deovntw~ susthvsasqai ta;~ tw`n swmavtwn qera-
peiva~, ou[te to;n pragmatiko;n oujde;n oi|ovn te kata; trovpon ceirivsai tw`n
prospiptovntwn a[neu th`~ tw`n proeirhmevnwn ejpignwvsew~. [7] diovper
oujde;n ou{tw fulaktevon kai; zhthtevon wJ~ ta;~ aijtiva~ eJkavstou tw`n sum-
bainovntwn, ejpeidh; fuvetai me;n ejk tw`n tucovntwn pollavki~ ta; mevgista
tw`n pragmavtwn, ija`sqai de; rJa`/stovn ejstin panto;~ ta;~ prwvta~ ejpibola;~
kai; dialhvyei~.

traverso una guerra contro i loro precedenti ta, nel corso della sua stessa opera, quale sarie per il corpo, né che un tal politico sia
alleati. Ne ha accennato (kaqavper ejpavnw maestro di storiografia» (M. Isnardi, Tevcnh in grado di padroneggiare gli accadimenti
proei`pon), in termini vaghi, a 6.5. e h\qo~ nella metodologia storiografica di se non conosce quanto è stato detto pri-
Polibio, in «Studi Classici e Orientali» 3, ma». - ou[te ... eijkov~: ancora l’ellissi del
3 prov f asin d∆ hJ g htev o n ... eij ~ 1955, p. 102). Inevitabile, quindi, la pro- verbo nella proposizione reggente, da cui
Dhmhtriavda: «Come pretesto si può con- tratta polemica con Timeo (che si fa serrata dipende l’infinitiva susthvsasqai, il cui
siderare la liberazione dei Greci, che quelli, nel libro «metodologico», il XII), lo stori- soggetto ejkei`non è in posizione fortemen-
passando di città in città con Antioco, an- co contemporaneo più famoso, esponente te prolettica. Il periodo seguente, correlato
davano annunciando, irragionevolmente e dell’esecrata storiografia retorica. con ou[te, presenta la stessa struttura: el-
falsamente; come inizio, invece, lo sbarco lissi del verbo ejstiv (da associarsi a oi|on)
di Antioco a Demetriade». - provfasin: 5 Tiv ga;r o[felo~: l’interrogativa diret- nella reggente, da cui dipende l’infinitiva
definita aijtiva la ojrghv degli Etoli, Polibio ta è ellittica del verbo ejstiv: «infatti, quale ceirivsai, il cui soggetto to;n pragmati-
rinviene il pretesto nella liberazione della utilità traggono i malati da un medico che kovn è anticipato.
Grecia, come, più oltre, l’ajrchv nello sbar- ignora le cause dei vari stati fisici?». Ritor-
co del re Antioco a Demetriade. - ajlovgw~: na, in questa esemplificazione, l’accosta- 7 diovper oujde;n ... kai; dialhvyei~:
la mancanza di senso di questo slogan pro- mento storia-medicina, ma non secondo il «Perciò, appunto, a niente bisogna prestare
pagandistico risiede nel fatto che la Grecia severo approccio ermeneutico di Tucidide, più attenzione, niente va più ricercato delle
solo pochi anni prima era stata proclamata bensì secondo un più corrivo approccio cause di ciascun evento, perché spesso da
libera dal proconsole Flaminino, in occa- utilitaristico (un dilungato parallelismo avvenimenti insignificanti hanno origine
sione dei giochi istmici di Corinto (196): il storia-medicina è al libro XII 25d-e). Infat- i rivolgimenti più radicali e, d’altra par-
racconto è nella emozionante pagina di Po- ti, l’esempio che segue mostra l’inutilità di te, è facilissimo porre rimedio al primo
libio di XVIII 46 (parallelamente, in Livio un politico - dunque non uno storico, ma il insorgere del male e al primo formarsi di
XXXIII 32-34). fruitore del lavoro dello storico - «che non un’opinione».- oujdevn ... fulaktevon kai;
sia in grado di comprendere come e perché zhthtev o n: qui è stabilita, nettissima,
4 oujc e{neka ... cavrin dev: due comple- e da dove ciascun avvenimento abbia avuto la priorità, per lo storico, della ricerca
menti di causa finale correlati, espressi con origine». Più sobriamente, ed efficacemen- delle cause: bisogna stare all’erta, spiar-
le due locuzioni che reggono il genitivo te, a XII 25b 2: yilw`~ legovmenon aujto; to; le, per coglierle al loro primo sorgere
(analogamente, in latino, causa e gratia). gegono;~ yucagwgei` mevn, wjfelei` d’ oujdevn (fulaktev o n) oppure andarne in cerca
LA STORIOGRAFIA

- th`~ tw`n suggrafevwn ejpitimhvsew~: prosteqeivsh~ de; th`~ aijtiva~ e[gkarpo~ (zhthtev o n). - ej p eidh; fuv e tai: ecco
«la critica agli storici», che qui non rientra hJ th`~ iJstoriva~ givnetai crh`si~ («il nudo le due motivazioni, concatenate, della
nelle intenzioni dichiarate di Polibio, è in racconto di un avvenimento può essere tra- necessità di una diagnosi precoce delle
realtà una costante della sua opera storica. scinante, ma non giova a nulla; se, invece, cause: da una parte, «da avvenimenti in-
Qualche esempio è già stato visto qui so- si aggiunge la causa, l’uso della storia di- significanti spesso hanno origine i rivolgi-
pra: nominativamente, in I 14 a proposito venta fruttuoso»). menti più radicali». - ija`sqai ... rJa`/stovn
di Filino e Fabio; anonimamente, in forma ejstin: «d’altra parte, è facilissimo porre
collettiva, in questo stesso passo. Il fatto è 6 ou[te ga;r ... ejpignwvsew~: «Né in- rimedio al primo insorgere (del male) ed
che «fra gli storici del mondo antico, forse fatti è possibile che un medico di tal fatta al primo formarsi di un’opinione»: princi-
nessun altro al pari di Polibio ci si presen- sia capace di prescrivere le terapie neces- piis obsta.
526 POLIBIO

T. 3 La storia La storia concepita da Polibio è universale, nel senso che trova la sua unità
universale nell’intreccio non occasionale delle vicende, non si limita a esporre un fatto iso-
lato o un evento marginale, ma collega gli avvenimenti in una visione generale
e organica (swmatoeidhv~), in cui tutti abbiamo un centro generativo. Nel caso
della storia recente questo centro è Roma, la sua rapida ascesa nel Mediterraneo,
la sua azione catalizzatrice e unificatrice del mondo conosciuto. A partire dalla
vittoria su Annibale, lo spirito di conquista romano unifica il mondo mediterra-
neo e ne rende la storia intimamente unitaria. In part i c o l a re le vicende dal
264 al 220 a.C. sembrano appartenere a un disegno coerente teso a un’unica
meta, il governo di Roma. «Un siffatto impianto – questo sì davvero “universale”
– supera l’aporia insita in un racconto continuo che, come quella di Eforo, rischia
continuamente di frantumarsi in monografie, e al tempo stesso dà un senso alla
successione narrativa, giacché il “prima” e il “poi” non si presentano più nella
casuale e falsa successione dovuta alla mera trascrizione degli eventi». Nel passo
che proponiamo on line, dove l’autore chiarisce le ragioni che lo inducono a scri-
vere una storia universale, compare anche il concetto di Fortuna.

T. 4 Il criterio Apprestandosi a trattare per sommi capi delle vicende della prima guerra punica,
di obiettività antefatto indispensabile per comprendere gli sviluppi di quella successiva, Polibio
dello storico propone alcune osservazioni del tutto in linea con la tradizione, che vuole che lo
storico esalti come la più importante la guerra che di volta in volta si accinge a
descrivere (I 13): «Non è facile trovare una guerra di più lunga durata di questa, né
preparativi più ampi, né avvenimenti più continui, né combattimenti più numerosi,
né maggiori rovesci di fortuna di quelli che si verificarono, per gli uni e per gli altri,
in questa guerra». Segue poi una raccomandazione di stile tucidideo: «Perciò, chi
vuole osservare bene la natura peculiare e la potenza di ciascuno dei due stati deve
metterli a confronto sulla base di questa guerra, piuttosto che di quelle venute
dopo». La necessità di proporre una ricostruzione attendibile della prima guerra
punica deriva anche dal fatto che i due storici che se ne sono occupati precedente-
mente, ossia Filino di Agrigento e Fabio Pittore, non l’hanno trattata con la dovuta
obiettività, ma piuttosto con l’atteggiamento tipico degli innamorati, parteggian-
do per l’una o per l’altra delle due parti in guerra, a seconda dei propri sentimenti.
Atteggiamento che, pur comprensibile sul piano personale e privato, non può esse-
re accettato in ambito storiografico, in cui si richiede un atteggiamento «asettico»,
ovvero sgombro da preconcetti, personalismi e parzialità.

I 14, 1-8 [1] Oujc h|tton de; tw`n proeirhmevnwn parwxuvnqhn ejpisth`sai touvtw/ tw`/
polevmw/ kai; dia; to; tou;~ ejmpeirovtata dokou`nta~ gravfein uJpe;r aujtou`,
LA STORIOGRAFIA

1 Oujc h|tton: non minus, che regge come necessaria introduzione alla seconda, tw/` polevmw/: l’argomento di cui intende oc-
il secondo termine di paragone tw`n pro- sia perché «non è facile rinvenirne una più cuparsi Polibio è la seconda guerra punica,
eirhmevnwn («gli argomenti addotti in pre- lunga, né impegno più totale, né più incal- combattuta nel periodo 219-202 a.C., con-
cedenza»), participio perfetto passivo di zante succedersi di eventi, né scontri più clusasi con la battaglia di Zama e la defini-
prolevgw. Nel capitolo precedente, Polibio numerosi, né capovolgimenti più radicali» tiva sconfitta cartaginese. - kaiv: con valore
ha dichiarato che intende premettere al tema (I 13,11). - ejpisth`sai: infinito aoristo intensivo: «anche». - dia; to; touv~ ... ajphg-
proprio della sua opera un’esposizione som- attivo di ejfivsthmi, retto da parwxuvnqhn: gelkevnai: l’infinito sostantivato (perfetto
maria della prima guerra romano-punica, sia «sono stato indotto ad occuparmi». - touvtw/ di ajpaggevllw), con il suo soggetto regolar-
IL CRITERIO DI OBIETTIVITÀ DELLO STORICO 527
Fili`non kai; Favbion, mh; deovntw~ hJmi`n ajphggelkevnai th;n ajlhvqeian. [2]
eJkovnta~ me;n ou\n ejyeu`sqai tou;~ a[ndra~ oujc uJpolambavnw, stocazovmeno~
ejk tou` bivou kai; th`~ aiJrevsew~ aujtw`n: dokou`si dev moi peponqevnai ti pa-
raplhvsion toi`~ ejrw`si. [3] Dia; ga;r th;n ai{resin kai; th;n o{lhn eu[noian
Filivnw/ me;n pavnta dokou`sin oiJ Karchdovnioi pepra`cqai fronivmw~,
kalw`~, ajndrwdw`~, oiJ de; ÔRwmai`oi tajnantiva, Fabivw/ de; tou[mpalin touvtwn.
[4] ejn me;n ou\n tw`/ loipw`/ bivw/ th;n toiauvthn ejpieivkeian i[sw~ oujk a[n
ti~ ej k bav l loi: kai; ga; r filov f ilon ei\ n ai dei` to; n aj g aqo; n a[ n dra kai;
filovpatrin kai; summisei`n toi`~ fivloi~ tou;~ ejcqrou;~ kai; sunagapa`n
tou;~ fivlou~: [5] o{tan de; to; th`~ iJstoriva~ h\qo~ ajnalambavnh/ ti~, ejpilaqev-
sqai crh; pavntwn tw`n toiouvtwn kai; pollavki~ me;n eujlogei`n kai; kosmei`n
toi`~ megivstoi~ ejpaivnoi~ tou;~ ejcqrouv~, o{tan aiJ pravxei~ ajpaitw`si
tou`to, pollavki~ d/ ejlevgcein kai; yevgein ejponeidivstw~ tou;~ ajnagkaio-
tavtou~, o{tan aiJ tw`n ejpithdeumavtwn aJmartivai tou`q/ uJpodeiknuvwsin. [6]
w{sper ga;r zwv/ou tw`n o[yewn ajfaireqeisw`n ajcreiou`tai to; o{lon, ou{tw~
ejx iJstoriva~ ajnaireqeivsh~ th`~ ajlhqeiva~ to; kataleipovmenon aujth`~ ajnw-
fele;~ givnetai dihvghma. [7] diovper ou[te tw`n fivlwn kathgorei`n ou[te
tou;~ ejcqrou;~ ejpainei`n ojknhtevon, ou[te de; tou;~ aujtou;~ yevgein, pote; d∆

mente in accusativo (tou;~ dokou`nta~, che Filino aveva fatto una ben precisa scelta di ma le ben note espressioni tacitiane: neque
regge l’infinito gravfein: «quelli che danno campo (ai{resin), andando in esilio a Car- amore... et sine odio dicendus est (Hist. I
l’impressione di scrivere con la maggior tagine; quanto alle sue simpatie (eu[noian), 1) e sine ira et studio (Ann. I 1) (ma, nel
competenza», che sono, come appresso spe- non potevano esserci dubbi, dopo che ebbe suo caso, facilitato perché: quorum causas
cificato, Filino e Fabio), esprime, in forma assistito all’inumano trattamento dei suoi procul habeo). A marcare la distanza abis-
di proposizione implicita, la causa che, al compatrioti (più di 25 000 resi schiavi) da sale che separa Polibio da Tucidide rimane
pari dell’altra (rispetto alla quale si ha va- parte romana nel 262 a.C. - dokou` s in: però la pretesa del primo che la storia deb-
riatio), lo ha spinto a soffermarsi su questo costruzione personale (come per videor la- ba emettere dei giudizi, debba quasi dare i
episodio. - Fili`non kai; Favbion: le due tino), con nominativo (oiJ Karchdovnioi) e voti. In questo modo, Polibio paga il suo
principali fonti polibiane per la prima guerra infinito (pepra`cqai). tributo alla temperie spirituale ellenistica,
punica sono Filino di Agrigento, storico gre- alle tendenze moralistiche e retoriche delle
co del III secolo, di tendenza anti-romana, 4 ∆En mevn ... tw/` loipw/` bivw:/ è in corre- opere del tempo, oggetto, proprio per que-
e il contemporaneo senatore romano Quinto lazione contrastiva con o{tan dev all’inizio sto, delle sue polemiche.
Fabio Pittore, tra i primi annalisti – in gre- del paragrafo seguente. Viene posto, così,
co – della tradizione storiografica romana. nella vita dello storico, un diaframma insu- 6 tw`n o[yewn ajfaireqeisw`n: geniti-
Polibio li assolverà, poco dopo, dal sospetto perabile tra le passioni, legittime, del citta- vo assoluto con valore ipotetico («se si to-
di falsificazione volontaria, ma non dall’ac- dino e l’h\qo~ dello storico. - ejpieivkeian: glie la facoltà visiva ad un essere vivente»):
cusa di partigianeria. «propensione» che si ha, inevitabilmen- il paragone (w{per ... ou{tw~) con il mondo
te, verso le persone care. - toi`~ fivloi~: animale è molto efficace. - th`~ ajlhqeiva~:
2 eJkovnta~ mevn ... oujc uJpolambavnw complemento di compagnia retto dai sun- la verità è, per la storia, come la vista per
... dokou`si dev: la prima ipotesi, la più sfa- che figurano come prefissi degli infiniti un essere vivente; senza di essa la storia
vorevole agli storici, imputati di lesa veri- summisei`n e sunagapa`n. diventa un «racconto privo di qualsiasi uti-
tà, viene scartata sulla base di congetture lità» (ajnwfele;~ dihvghma). Il cerchio con
(stocazovmeno~) che partono dal loro livel- 5 ∆Analambavnh: congiuntivo eventua- Ecateo è chiuso.
lo di vita (sono personaggi ragguardevoli) le, presente perché non è un momentaneo,
LA STORIOGRAFIA

e dai loro princìpi; la seconda ipotesi viene singolo, «mettersi addosso, indossare», ma 7 oj k nhtev o n ... euj l abhtev o n: sot-
presentata come l’impressione (dokou`si) un «essere rivestiti» degli abiti curiali dello tinteso, in entrambi i casi, ej s tiv . I due
che sia successo loro quel che succede agli storico. - ejpilaqevsqai: infinito aoristo aggettivi verbali, di diatesi passiva e che
innamorati (peponqevnai: infinito perfetto medio di ejpilanqavnw; regge il genitivo esprimono idea di «dovere» così come
attivo di pavscw, che ha il senso generico di pavntwn tw`n toiouvtwn, che riassume tut- il gerundivo latino, reggono gli infiniti:
«provare un qualsiasi sentimento o turba- ti i legittimi comportamenti del cittadino. rispettivamente, il primo kathgorei` n
mento dell’animo», «trovarsi in una certa - eujlogei`n ... kosmei`n ... ejlevgcein ... - ejpainei`n, il secondo yevgein -
condizione spirituale o fisica»). yevgein: elogiare nemici e biasimare anche ej g kwmiav z ein. La prima coppia di ou[ t e
i più intimi, se i fatti lo impongono, è un riprende quanto presentato come dovere
3 Dia; ... th;n ai{resin kai; ... eu[noian: buon proposito d’imparzialità, che richia- «paradossale» dello storico al paragrafo
528 POLIBIO
ejgkwmiavzein eujlabhtevon, ejpeidh; tou;~ ejn pravgmasin ajnastrefomev-
nou~ ou[t∆ eujstocei`n aijei; dunato;n ou[q∆ aJmartavnein sunecw`~ eijkov~. [8]
ajpostavnta~ ou\n tw`n prattovntwn aujtoi`~ toi`~ prattomevnoi~ ejfarvv mo-
stevon ta;~ prepouvsa~ ajpofavsei~ kai; dialhvyei~ ejn toi`~ uJpomnhvmasin.

5; il terzo ou[te introduce, invece, un nuo- babile (ou[te eijkov~) sbagliare di continuo. ma, «prescindendo» da chi l’ha compiuta:
vo avvertimento allo storico «giudice»: è alle azioni che lo storico deve indirizzare
non esiti a dare giudizi opposti sulla mede- 8 ajpostavnta~ ... tw`n prattovntwn le sue «prese di posizione ed il suo giudi-
sima persona, impartendo ora biasimi, ora ... toi`~ prattomevnoi~: si suggerisce la zio». - uJpomnhvmasin: sono, genericamen-
lodi, perché, come è impossibile (ou[te du- scissione, moralistica, tra agente e azione, te, le «opere storiche», in quanto registro di
natovn) aver ragione sempre, così è impro- per riservare il giudizio solo a quest’ulti- eventi da ricordare.

Rifletti sul testo


1 Discuti sul criterio di verità proposto da Polibio, in polemi- 2 Chiarisci i termini della contrapposizione che Polibio
ca con Filino e Fabio Pittore, analizzando la contrapposizione propone, verso la fine del capitolo, fra iJstoriva e ajnw-
fra i sentimenti personali da coltivare in privato e il criterio di fele;~ dihvghma.
imparzialità richiesto da chi esercita il mestiere dello storico.

T. 5 La storiografia Una volta definito che il fine della storiografia è la ricerca delle cause che
pragmatica hanno generato gli eventi, perché solo l’indagine delle cause può rendere
«utile» il mestiere dello storico, Polibio delinea in modo preciso il carattere
precipuo della pragmateiva: una storiografia incentrata sui fatti politico-
diplomatici e militari, la cui indagine può essere di grande interesse per
l’azione dell’uomo politico. Rifiutata qualsiasi tentazione psicagogico-narra-
tiva tesa ad allettare l’uditorio (o meglio, il lettore), bandito l’interesse per
un’erudizione antiquaria fine a se stessa, Polibio incentra il racconto su fatti
contemporanei, nella prospettiva «universale» richiesta dal nuovo contesto
storico unitario, realizzatosi per la prima volta grazie alla conquista romana.
«La contemporaneità si impone alla narrazione storica perché il continuo mu-
tare degli eventi sollecita una narrazione sempre rinnovata. A nulla varrebbe
occuparsi del passato: esso è già tradizione consolidata; né ripetere quanto
detto dai predecessori» (M. Giangiulio).

IX 1, 2; 2, 4-6 [1,2] Oujk ajgnow` de; diovti sumbaivnei th;n pragmateivan hJmw`n e[cein auj-
LA STORIOGRAFIA

sthrovn ti kai; pro;~ e}n gevno~ ajkroatw`n oijkeiou`sqai kai; krivnesqai

1, 2 Ouj k aj g now` : Polibio ricono- libio vigesse ancora l’uso erodoteo della da lui stesso: leggere a bocca chiusa era
sce che la sua opera storica (di nuovo il performance orale dello storico – poco sinonimo di meditazione), poiché non fa
vocabolo pragmateiv a ) possa riuscire più avanti si parlerà di aj nagwsomev nwn, concessioni alla gradevolezza e alla varie-
«congeniale e gradita» ad una sola cate- «lettori» – ma perché, conseguentemente tà (aujsthrovn ... monoeidev~), a differenza
goria di lettori (ajkroatw`n, propriamente all’uso della lettura [anche privata] ad al- degli altri storici.
«ascoltatori», non perché al tempo di Po- ta voce, il lettore ascoltava la parola letta
LA STORIOGRAFIA PRAGMATICA 529
dia; to; monoeide;~ th`~ suntavxew~. (...) [2,4] oJ de; pragmatiko;~ trovpo~
ejnekrivqh prw`ton me;n dia; to; kainopoiei`sqai sunecw`~ kai; kainh`~ ejxhghv-
sew~ dei`sqai tw`/ mh; sumbato;n ei\nai toi`~ ajrcaivoi~ to; ta;~ ejpiginomevna~
pravxei~ hJmi`n ejxaggei`lai, [5] deuvteron de; kai; dia; to; pavntwn wjfelimwvta-
ton aujto;n kai; pro; tou` mevn, mavlista de; nu`n uJpavrcein, tw`/ ta;~ ejmpeiriva~
kai; tevcna~ ejpi; tosou`ton prokoph;n eijlhfevnai kaq∆ hJma`~ w{ste pa`n to;
parapi`pton ejk tw`n kairw`n wJ~ a]n eij meqodikw`~ duvnasqai ceirivzein tou;~
filomaqou`nta~. [6] diovper hJmei`~ oujc ou{tw~ th`~ tevryew~ stocazovmenoi
tw`n ajnagnwsomevnwn wJ~ th`~ wjfeleiva~ tw`n prosecovntwn, ta[lla parevn-
te~ ejpi; tou`to to; mevro~ kathnevcqhmen.

2, 4 pragmatiko;~ trovpo~: è il modo pertanto di sempre nuovi moduli espressi- una consecutiva all’infinito (w{ste ... duv-
politico di scrivere la storia e, quindi, il vi], perché non è possibile che gli storici nasqai): «in secondo luogo, anche perché
carattere politico della sua storia, il gene- antichi ci svelassero gli eventi successivi». questo genere storico come è stato in pas-
re politico cui appartiene la sua storia; non La frase sconcerta per la sua banalità, ma sato il più utile di tutti, così soprattutto lo è
storia di «fatti» in generale, ma di fatti po- forse è da rilevare in essa la sottolineatura al giorno d’oggi, in cui tecniche e scienze
litici, perchè politico è il pubblico che egli data al concetto di novità nel divenire sto- hanno fatto tali progressi che di fronte alla
vuole raggiungere e formare. - ejnekrivqh: rico (nota la iterazione del termine kainov~, più inaspettata circostanza gli studiosi so-
«è stato (da me) scelto». - prw`ton mevn: dapprima in composizione nel verbo, poi no in grado di affrontarla con un certo qual
rimanda al successivo deuvteron dev e intro- assolutamente, come aggettivo). Quindi, metodo».
duce il primo motivo della scelta, espresso ancora una volta, niente storia del passato,
con una doppia subordinata causale impli- nè etnografie, nè genealogie, ma vicende 6 tevryew~ ... wjfeleiva~: ritorna, con
cita, resa con diav e gli infiniti sostantivati recenti. altri termini, la contrapposizione tucididea
to; kainopoiei`sqai ... kai; ... dei`sqai; da tra il piacere della lettura e l’utilità, che
quest’ultima dipende una nuova subordi- 5 deuv t eron dev : introduce il secon- diventa lo scopo unico dello storico, cui
nata causale, anch’essa implicita, espressa do ordine di motivi che stanno alla base egli sacrifica tutto il resto (ta[lla parevn-
con l’infinito sostantivato in dativo (tw/` ... della scelta del pragmatiko;~ trovpo~: in te~: participio aoristo di parivhmi; la scel-
ei\nai), il cui soggetto è costituito dall’in- parallelo col paragrafo precedente, abbia- ta dell’aoristo privilegia il momento della
finito sostantivato tov ... ejxaggei`lai: «in mo ancora una causale implicita con diav decisione). Tuttavia, nel Proemio (I 4, 11)
primo luogo, perché ci sono continuamente + infinito, da cui dipende una nuova cau- i due obiettivi appaiono coniugabili: a{ma
fatti nuovi e questi richiedono nuove spie- sale costruita anch’essa implicitamente, kai; to; crhvsimon kai; to; terpno;n ejk th`~
gazioni [oppure: perché questo metodo va- coll’infinito sostantivato al dativo causale iJstoriva~ ajnalabei`n.
ria continuamente nei contenuti e necessita (tw`/ ... eijlhfevnai), che regge a sua volta

MEMORIA LETTERARIA

Utilità e piacere
Nel dibattito storiografico antico, l’utile e il piacere che derivano dalla storia costituiscono due poli con-
trapposti, che si respingono inconciliabilmente in Tucidide (I 22: i[sw~ to; mh; muqw`de~ aujtw`n ajterpev-
steron fanei`tai ... wjfevlima krivnein aujta; ajrkouvntw~ e{xei) e, sulle sue orme, come abbiamo visto,
anche in Polibio. Questa contrapposizione costituisce uno dei leitmotive che accompagnano la riflessione
storiografica, fino alla tarda età bizantina. Arrivati alle soglie del Medioevo, incontriamo quella che è
LA STORIOGRAFIA

probabilmente la voce estrema della storiografia in lingua greca: Niceta Coniata, una singolare figura di
retore e giurisperito, vissuto fra il XII e il XIII secolo d.C., che divenne segretario imperiale e oratore di
corte, ricoprendo importanti incarichi sotto l’imperatore Isacco II Angelo (1185-95); dopo la conquista
di Costantinopoli da parte dei Crociati (1204) fu costretto a fuggire a Nicea, dove morì nell’indigenza,
qualche anno dopo. La sua opera maggiore ha il titolo di Cronikh; dihvghsi~, Narrazione cronologica, una
grande opera in 16 libri, che abbraccia le vicende dell’impero bizantino per un arco di tempo che va dalla
morte dell’imperatore Alessio I Comneno (1118) fino alla conquista di Costantinopoli ad opera dei Crociati
(1204) e alla spedizione dell’imperatore latino Enrico di Costantinopoli contro i Bulgari (1206).
Nelle pagine di questo tardo retore si sente ancora viva la lezione della grande storiografia classica,
530 POLIBIO
come emerge chiaramente nel passo che proponiamo, tratto dal Proemio della Narrazione cronologica:
nell’esporre le proprie motivazioni, riflettendo sulle finalità della storia, Niceta attua un tentativo di
conciliazione fra i poli contrapposti dell’utile e del piacere, sottolineando con insistenza l’importante
ammaestramento morale che si ricava dalla riflessione sulle vicende del passato recente.

AiJ iJstorivai de; a[ra koinwfelev~ ti crh`ma tw`/ bivw/ 1. La storia è stata certo inventata a vantaggio comune dei
ej f euv r hntai, ei[ p er ej k touv t wn ouj k oj l iv g a e[ s ti viventi se, com’è vero, gli uomini intenzionati al meglio ne
xullevgein ta; beltivw toi`~ hJr / hmevnoi~. eijdui`ai ga;r ta; traggono non poca utilità. Grazie alla conoscenza del passato,
ajrcai`a kai; e[qh au\tai diatranou`sin ajnqrwvpeia kai; essa descrive con chiarezza le consuetudini umane e propone
polupeirivan uJpotiqevasin oJpovsoi tw`n ajnqrwvpwn una varietà di esperienze ai magnanimi, che nutrano un innato
amore per il bene. Stigmatizzando la malvagità ed esaltando
megalognwv m one~ kai; tou` kalou` auj t ov f uton
il ben fare, in genere rende gli uomini, che inclinano all’una
trevfonte~ e[rwta: kai; kakiva de; par/ aujtai`~ kwmw/
e all’altro, rispettivamente moderati e migliori, quelli almeno
doumevnh kai; ajgaqopraxiva ejxairomevnh metrivou~ wJ~ che, non vittime di pessime abitudini e della loro vile natura,
ta; polla; kai; ejpididovnta~ tou;~ par/ eJkavtera tiqevasi non siano indifferenti alla cosa più amabile, la virtù: perché
rJevponta~, o{soi tevw~ oujc uJp∆ aijscivsth~ sunhqeiva~ diventano simili agl’immortali, per quanto siano mortali,
kai; faulotevra~ th`~ e{xew~ ajnepistrovfw~ e[cousi tou` soggetti al fato e da tempo abbiano svuotato la faretra della
polueravstou crhvmato~ ajreth`~, ejpei; kai; ajqanavtoi~ loro esistenza, coloro di cui la storia abbia preso a occuparsi.
ejoivkasi dhvpouqen qnhtoi; kai; ejpivkhroi gegonovte~ kai; A seconda che abbiano vissuto in modo retto o, al contrario,
pavlai to; zh`n ejktoxeuvsante~ o{sou~ pareilhvfei to; abietto, essi hanno fama buona o turpe. L’anima di chi muore
iJstorei`n: ojrqw`~ ga;r h] toujnantivon fauvlw~ bebiwkovte~ è andata nell’Ade, il corpo è tornato alla terra da cui fu tratto:
eu\ te kai; wJ~ aijscrw`~ ajkouvousi. kai; tou` me;n ej~ a{d/ ou ma le azioni compiute in vita, se furono oneste e giuste, empie
bevbhken hJ yuchv, pro;~ de; ta; ejx w|n hJrmovsqh to; sw`ma e violente, se uno visse felice o sputò l’anima nella disperazione,
ejpalindrovmhse: ta; de; par∆ aujtou` bebiwmevna, ka]n tutto questo la storia lo grida alto. Così che, in altro modo e con
o{sia ei[h, ka]n divkaia, ka]n ajqevmita, ka]n ejfuvbrista, altra espressione, la storia si potrà chiamare libro dei viventi, e
l’opera storica tromba squillante, capace di far risorgere come
ka]n ejbivw eujdaimovnw~, ka]n kakopragw`n ajnecrevmyato
dal sepolcro uomini morti da tempo e di porli sotto gli occhi di
th;n yuchvn, hJ iJstoriva diaprusivw~ boa`/. w{ste kaq∆
chi voglia vederli.
e{terovn tina trovpon kai; lovgon kai; bivblo~ zwvntwn hJ 2. In breve, questa è la storia; ma è davvero così poco piacevole
iJstoriva klhqhvsetai kai; savlpigx perivtrano~ ta; per chi le si avvicina? Nessuno sia così stolto da credere che
grafovmena, tou;~ pavlai teqnew`ta~ oi|on tw`n shmavtwn esista qualcosa di più gradevole della storia: ciò che gli uomini
ejxanistw`sa kai; uJp∆ o[yin tiqei`sa toi`~ boulomevnoi~. più carichi di anni, più vecchi di Titone, tre volte più vecchi
∆Alla; toiavde me;n hJ iJstoriva, wJ~ ejpitrevcontav me d’una cornacchia, se ancora sopravvivessero, saprebbero e po-
eijpei`n, aujtoi`~ de; toi`~ ejpiou`sin oujmenou`n oujdamw`~ trebbero raccontare agli ascoltatori interessati, rinfocolando la
carivessa… mh; ou{tw maneivh ti~ wJ~ h{dion hJgei`sqaiv ti loro memoria e scavando nelle pieghe dei fatti, questo potrebbe
e{teron iJstoriva~: a} ga;r oiJ poluetei`~ tw`n ajnqrwvpwn esporlo chi ama l’indagine storica, anche se non superasse l’età
kai; Tiqwnou` palaiv t eroi kai; trikov r wnoi, eij tw` / d’un ragazzo.
bivw/ e[ti perih`san, h[/desan a]n kai; ejxhgou`nto toi`~ 3. Per questo, dunque, non ritenni di dover passare sotto si-
filakroavmosi, ta; th`~ mnhvmh~ ejmpureuvonte~ kai; ta;~ lenzio gli avvenimenti del mio tempo e di poco anteriori, che
tw`n pravxewn rJussa;~ ajnaskavllonte~, tau`ta dhvpou sono degni di essere ricordati e narrati per il loro numero e la
loro importanza; ebbene, con questa mia opera li rendo noti
proqeivh kai; oJ filivstwr, ka]n oujdevpw parhllavcei to;n
ai posteri.
meivraka. Dia; tau`t∆ ou\n kai; aujto;~ ta; toi`~ kat∆ ejme;
crovnoi~ gegenhmevna kai; ajnovpin e[ti bracuv, mnhvmh~ [Tr. di A. Pontani]
kai; dihghvsew~ a[xia o[nta kai; tosau`ta to; plh`qo~ kai;
toiau`ta to; mevgeqo~, oujk e[gnwn dei`n sigh`/ parelqei`n.
oujkou`n kai; dia; th`sdev mou th`~ xuggrafh`~ dh`la tau`ta
toi`~ e[peita kaqistw`.
LA STORIOGRAFIA

Rifletti sul testo


1 Analizza il passo di Niceta Coniata servendoti di un in cui si noti la dipendenza dello storico bizantino dai
buon vocabolario e aiutandoti con la traduzione a fron- grandi modelli della tradizione storiografica.
te: individua idee, concetti, espressioni e singoli termini
CONTRO LA STORIOGRAFIA «TRAGICA» 531
Contro L’impostazione metodologicamente «pragmatica» e l’insistenza nel porre la veri-
la storiografia tà oggettiva come criterio primario dell’indagine storiografica, portano Polibio a
«tragica»
rifiutare drasticamente ogni concessione edonistica, che si traduca in cedimenti
all’emozione e al pathos. Su questo problema, oltre che per «ragioni di avversio-
ne ideologica e campanilistica», si innesta la polemica con lo storico Filarco, a
cui Polibio rimprovera di ricorrere a toni ed espedienti propri della poesia «mi-
metica» e incompatibili con i criteri di un’indagine storiografica rigorosa. Ben
chiara, invece, deve essere la linea di demarcazione fra tragedia e storia: l’una
volta all’emotività, l’altra alla razionalità; l’una fondata sul verosimile, l’altra sul
vero; la tragedia tesa al piacere momentaneo, la storia, invece volta all’utile, per
divenire uno kth`ma ej~ ajeiv, secondo la ben nota formulazione tucididea.

[6] Boulovmeno~ dh; diasafei`n th;n wjmovthta th;n ∆Antigovnou kai; Make-
dovnwn, a{ma de; touvtoi~ th;n ∆Aravtou kai; tw`n ∆Acaiw`n, fhsi; tou;~ Manti-
neva~ genomevnou~ uJpoceirivou~ megavloi~ peripesei`n ajtuchvmasi, kai;
th;n ajrcaiotavthn kai; megivsthn povlin tw`n kata; th;n ∆Arkadivan thli-
kauvtai~ palai`sai sumforai`~ w{ste pavnta~ eij~ ejpivstasin kai; davkrua
tou;~ ”Ellhna~ ajgagei`n. [7] Spoudavzwn d∆ eij~ e[leon ejkkalei`sqai tou;~
ajnaginwvskonta~ kai; sumpaqei`~ poiei`n toi`~ legomevnoi~, eijsavgei peri-
ploka;~ gunaikw`n kai; kovma~ dierrimmevna~ kai; mastw`n ejkbolav~, pro;~
de; touvtoi~ davkrua kai; qrhvnou~ ajndrw`n kai; gunaikw`n ajnami;x tevknoi~
kai; goneu`si ghraioi`~ ajpagomevnwn. [8] Poiei` de; tou`to par/ o{lhn th;n
iJstorivan, peirwvmeno~ (ejn eJkavstoi~ ajei; pro; ojfqalmw`n tiqevnai ta;

6 Boulovmeno~ ... ajgagei`n: «Ebbene, cui Polibio attinge. - tou;~ Mantineva~ suscitare «compassione» (e[leo~) nei letto-
volendo mettere in risalto la crudeltà di genomev n ou~ uJ p oceiriv o u~: Mantinea, ri è indizio di un approccio vicino più alla
Antigono e dei Macedoni, ma al contempo città dell’Arcadia, conquistata da Arato nel mimesi tragica che alla storiografia. Si ri-
anche quella di Arato e degli Achei, racconta 227, passò l’anno dopo dalla parte di Cle- cordi la definizione di tragedia proposta da
che, quando i Mantineesi caddero nelle loro omene, con l’aiuto del partito filospartano. Aristotele, nella Poetica, 6, 2: e[stin ou\n
mani, incapparono in tremende sciagure, Nel 223 fu riconquistata da Antigono Do- tragw/diva mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~
e che la più antica e più grande delle città sone e dagli Achei: prescindendo dall’iro- kai; teleiva~ mevgeqo~ ejcouvsh~, hJdusmevnw/
dell’Arcadia fu colpita tanto da lasciare sbi- nia sprezzante di Polibio, il trattamento che lovgw/ cwri;~ eJkavstw/ tw`n eijdw`n ejn toi`~
gottiti tutti i Greci e spingerli alle lacrime». le fu riservato suscitò in Grecia commo- morivoi~, drwvntwn kai; ouj di∆ ajpaggeliva~,
- Boulovmeno~: soggetto sottinteso è Filar- zione e sdegno: i superstiti furono venduti di∆ ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw`n
co, storico originario di Naucrati in Egitto come schiavi, mentre i vincitori Achei e toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin «Trage-
(o, secondo altri, di Atene), autore di una Macedoni si spartirono le ricchezze della dia è dunque imitazione di un’azione seria
Storia in 28 libri, che abbraccia il periodo città, che fu rifondata da Arato col nome di e compiuta, che ha una sua grandezza, con
che va dal 272 (invasione del Peloponneso Antigonea. - w{ste ... ajgagei`n: proposi- linguaggio adorno distintamente per cia-
da parte di Pirro) al 219 a.C. (morte del re zione consecutiva soggettiva, costruita con scuno degli elementi che la compongono,
spartano Cleomene III). Ci è noto da questi w{ste e l’infinito. condotta attraverso l’azione dei personaggi
riferimenti di Polibio, da alcuni frammenti in scena (senza quindi far ricorso alla nar-
e da alcune vite di Plutarco, di cui Filarco è 7-8 Spoudavzwn ... ta; deinav : «Sfor- razione), che per mezzo della pietà e della
LA STORIOGRAFIA

considerato la fonte (specialmente Agide e zandosi di muovere a pietà i lettori e render- paura giunge alla catarsi di tali emozioni».
Cleomene). - Ἀntigovnou: si tratta di Anti- li compartecipi degli eventi narrati, ricorre Le emozioni della compassione (e[leo~)
gono III Dosone, re di Macedonia, con cui ad abbracci di donne, capelli strappati e seni e della paura (fovbo~) si trovano abbinate
Arato si alleò per contrastare il re spartano scoperti, e inoltre a pianti e lamenti di uo- anche in un passo di poco successivo (13,
Cleomene III, che venne sconfitto in modo mini e donne ridotti in schiavitù assieme ai 3), nel quale Aristotele spiega che la pietà
definitivo a Sellasia nel 222 a.C. (la con- figli e ai vecchi genitori. Fa ricorso a questi si prova davanti a chi è sventurato senza
quista di Mantinea è dell’anno precedente). mezzucci nell’intero corso della sua storia, colpa, la paura quando ci si identifica coi
- Ἀravtou: Arato di Sicione fu stratego del- cercando sempre, in ogni occasione, di porre personaggi che stanno soffrendo. Una defi-
la Lega achea fra il 245 e il 213 a.C. Scrisse davanti ai nostri occhi scene sconvolgenti». nizione più dettagliata di e[leo~ è proposta
anche un’opera autobiografica in 30 libri, - Ei~ e[leon ejkkalei`sqai: l’intento di in Retorica II 8.
532 POLIBIO
deinav. [9] To; me;n ou\n ajgenne;~ kai; gunaikw`de~ th`~ aiJrevsew~ aujtou`
pareivsqw, to; de; th`~ iJstoriva~ oijkei`on a{ma kai; crhvsimon ejxetazevsqw.
[10] Dei` toigarou`n oujk ejpiplhvttein to;n suggrafeva terateuovmenon
dia; th`~ iJstoriva~ tou;~ ejntugcavnonta~ oujde; tou;~ ejndecomevnou~ lovgou~
zhtei`n kai; ta; parepovmena toi`~ uJpokeimevnoi~ ejxariqmei`sqai, kaqavper
oiJ tragwdiogravfoi, tw`n de; pracqevntwn kai; rJhqevntwn kat∆ ajlhvqeian
aujtw`n mnhmoneuvein pavmpan, ka]n pavnu mevtria tugcavnwsin o[nta. [11] To;
ga;r tevlo~ iJstoriva~ kai; tragw/diva~ ouj taujtovn, ajlla; toujnantivon. ∆Ekei`
me;n ga;r dei` dia; tw`n piqanwtavtwn lovgwn ejkplh`xai kai; yucagwgh`sai
kata; to; paro;n tou;~ ajkouvonta~, ejnqavde de; dia; tw`n ajlhqinw`n e[rgwn kai;
lovgwn eij~ to;n pavnta crovnon didavxai kai; pei`sai tou;~ filomaqou`nta~,
[12] ejpeidhvper ejn ejkeivnoi~ me;n hJgei`tai to; piqanovn, ka]n h\/ yeu`do~,
dia; th;n ajpavthn tw`n qewmevnwn, ejn de; touvtoi~ tajlhqe;~ dia; th;n wjfev-
leian tw`n filomaqouvntwn. [13] Cwriv~ te touvtwn ta;~ pleivsta~ hJmi`n
ejxhgei`tai tw`n peripeteiw`n, oujc uJpotiqei;~ aijtivan kai; trovpon toi`~
ginomevnoi~, w|n cwri;~ ou[t/ ejleei`n eujlovgw~ ou[t∆ ojrgivzesqai kaqhkovntw~
dunato;n ejp∆ oujdeni; tw`n sumbainovntwn. [14] ∆Epei; tiv~ ajnqrwvpwn ouj
deino;n hJgei`tai tuvptesqai tou;~ ejleuqevrou~… ∆All∆ o{mw~, eja;n me;n a[rcwn
ajdivkwn ceirw`n pavqh/ ti~ tou`to, dikaivw~ krivnetai peponqevnai: eja;n d∆
ejpi; diorqwvsei kai; maqhvsei taujto; tou`to givnhtai, prosevti kai; timh`~
kai; cavrito~ oiJ tuvptonte~ tou;~ ejleuqevrou~ ajxiou`ntai. [15] Kai; mh;n tov
ge tou;~ polivta~ ajpokteinuvnai mevgiston ajsevbhma tivqetai kai; megiv-

9 To; me;n ou\n ... ejxetazevsqw: «La- attraverso l’esposizione di fatti e discorsi descrive la maggior parte delle peripezie,
sciamo, dunque, da parte il carattere stuc- veri: nell’ambito della tragedia, quel che senza suggerire le cause e i modi in cui si
chevole ed effeminato di questo suo modo conta è ciò che è convincente, anche se è sono svolti gli avvenimenti, e senza questi
di rappresentare le cose, e teniamo invece falso, per l’inganno degli spettatori; nella dati non è possibile né provare pietà a ra-
in considerazione solo ciò che è specifico, storia, invece, importa la verità, per l’uti- gion veduta, né sdegnarsi nel modo dovuto
e insieme utile, della storia». - Tov ... crhv- lità di chi desidera imparare». - dia; th;n per nessun avvenimento». - oujc uJpotiqei;~
simon: l’accento sull’utilità della storia ajpavthn tw`n qewmevnwn: già in Gorgia la aijtivan kai; trovpon toi`~ ginomevnoi~:
richiama la contrapposizione proposta da poesia è considerata «inganno» (ajpavth), viene qui proposto il limite metodologico
Tucidide in I 22. intendendo però il termine in una accezio- maggiore imputato da Polibio alla storiogra-
ne positiva: si tratta di un «incantamento» fia di Filarco: il fatto di non individuare la
10 Dei` ... o[nta: «Ebbene, lo storico (gohteiva), che produce una «dolce malat- aijtiva, «la causa», e il trovpo~, «il modo» in
non deve, attraverso la sua opera, colpire i tia» (novso~ hJdei`a) che persuade l’anima cui le vicende raccontate si sono svolte.
lettori con racconti fuori dall’ordinario, né attraverso la potenza della parola (cfr. En-
andare alla ricerca dei discorsi convenienti, comio di Elena 8: 14 ∆Epei; tiv~ ... ajxiou`ntai: «Quale
né enumerare le conseguenze di determina- lovgo~ dunavsth~ mevga~ ejstivn, o}~ smikro- uomo, infatti, non considera indegno che
ti presupposti, come i tragediografi, ma fa- tavtw/ swvmati kai; ajfanestavtw/ qeiovtata delle persone libere vengano percosse? E
re menzione solo ed esclusivamente di ciò e[rga ajpotelei`: duvnatai ga;r kai; fovbon tuttavia, se chi subisce tale trattamento ave-
che nella realtà è stato detto e fatto, anche pau`sai kai; luvphn ajfelei`n kai; cara;n va lui stesso per primo aggredito, si giudica
LA STORIOGRAFIA

se si tratta di cose del tutto normali». ejnergavsasqai kai; e[leon ejpauxh`sai «la che lo abbia subìto giustamente; se, poi, ciò
parola è un grande sovrano, che con un cor- viene fatto per correggere ed educare, chi
11-12 To; ga;r tevlo~ ... filomaqouvn- po molto piccolo e del tutto invisibile porta percuote delle persone libere può essere
twn: «Il fine della storia, infatti, non è lo a compimento opere degne della divinità: addirittura ritenuto degno di lode e di grati-
stesso della tragedia, ma è opposto. La infatti, ha il potere di far cessare la paura tudine».
tragedia, infatti, deve colpire e affascinare e di togliere il dolore, di infondere gioia e
sul momento gli spettatori, per mezzo delle accrescere la compassione»). 15-16 Kai; mh;n tov ge ... diaforai`~:
parole più efficaci; il compito della storia, «Così come uccidere dei concittadini è
invece, è quello di istruire e persuadere 13 Cwriv ~ te touv t wn ... tw` n sum- considerato un reato gravissimo e degno
una volta per tutte chi desidera imparare, bainovntwn: «A parte questo, Filarco ci delle pene più dure: eppure, chiaramente,
CONTRO LA STORIOGRAFIA «TRAGICA» 533
stwn a[xion prostivmwn: kaivtoi ge profanw`~ oJ me;n to;n klevpthn h]
moico;n ajpokteivna~ ajqw`/ov~ ejstin, oJ de; to;n prodovthn h] tuvrannon timw`n
kai; proedreiva~ tugcavnei para; pa`sin. [16] Ou{tw~ ejn panti; to; tevlo~
kei`tai th`~ dialhvyew~ uJpe;r touvtwn oujk ejn toi`~ teloumevnoi~, ajll∆
ejn tai`~ aijtivai~ kai; proairevsesi tw`n prattovntwn kai; tai`~ touvtwn
diaforai`~.

chi uccide un ladro o un adultero rimane ranno riceve da tutti onori e privilegi. Così, al fatto in sé, ma tiene conto delle cause e
impunito, e chi uccide un traditore o un ti- in ogni caso, il giudizio finale non si limita delle diverse intenzioni di chi agisce».

Analisi del testo


È evidente il richiamarsi di Polibio alla polemica condotta da giudizio di Polibio, quelli della tradizione tragica, e al pia-
Tucidide (I 22, 4) contro le recite dei logografi (in quanto cere dell’ascolto quello della lettura emotivamente parteci-
destinate, come pezzi di bravura, al diletto di un momen- pe. In più si affaccia qui, sulla scia delle formulazioni ari-
to) e a favore di una storiografia che faccia dell’«utile» il stoteliche della Poetica, quella condanna del «verosimile»,
proprio scopo primario: una ripresa grazie alla quale ancor in quanto pertinente alla sfera poetica dell’«universale» e
meglio si comprende come la storiografia tragica mirasse al non a quella storiografica del «particolare», che differenzia
recupero di quell’elemento che Tucidide denunciava come la critica polibiana da quella condotta da Tucidide, il quale,
muqw`de~ e, insieme, di un tipo di comunicazione in cui la almeno nell’ambito dei discorsi tenuti dai protagonisti della
parola intendesse provocare un piacere dell’ascolto, una guerra, aveva rinunciato all’esattezza (ajkrivbeia) di ciò che
tevryi~ che aveva rappresentato già in Omero l’effetto sa- era stato precisamente pronunciato per mirare a ricostruire
liente che il canto è destinato a suscitare sull’uditorio. Ma, un senso generale (xuvmpasa gnwvmh) basato precisamente
appunto, in questa nuova temperie culturale agli echi della su un criterio di verosimiglianza.
tradizione epica si sostituiscono, come termine negativo del

L’importanza Con il terzo libro inizia l’opera storica vera e propria di Polibio, con il rac-
della geografia conto della seconda guerra punica, fino alla battaglia di Canne (202 a.C.).
In una digressione, che segue immediatamente il racconto del valico delle
Alpi da parte dell’esercito di Annibale, lo storico si sofferma su problemi di
metodo, sottolineando l’importanza che ha, per una corretta impostazione
degli argomenti, la conoscenza diretta dei luoghi che sono teatro delle vi-
cende belliche. Per comprendere in profondità la materia che sta trattando,
chi vuole occuparsi di storia deve essere instancabile viaggiatore, condizione
oltretutto favorita dal fatto che – osserva Polibio – «ai giorni nostri quasi
tutte le regioni del mondo sono diventate accessibili per terra o per mare,
LA STORIOGRAFIA

sia quelle dell’Asia, grazie all’impero di Alessandro, sia le altre, grazie al


dominio romano».

Timeo: Una vasta porzione del libro XII è dedicata alla discussione di problemi di me-
uno «storico todo: in questo contesto, ampio spazio è dedicato a polemiche nei confronti
da tavolino» dei predecessori. In particolare, gli strali di Polibio sono rivolti nei confronti
534 POLIBIO
di Timeo e di quegli storici che, nella loro indagine, si limitano alla conoscen-
za teorica delle opere del passato, con lo sfoggio di un’erudizione che rimane
sterile poiché non opportunamente affiancata dalla visione diretta dei luoghi e
dalla conoscenza dei problemi politici e militari. Questi storici «frequentatori di
biblioteche» si comportano da ciarlatani, un po’ come quei medici teorici, capaci
solo di creare grandi attese, ma alla fine inutili, quando non addirittura dannosi,
perché sprovvisti di qualsiasi competenza pratica.

T. 6 Il ciclo Nel VI libro, in cui sono studiate le costituzioni con le quali gli stati si reggono,
delle costituzioni Polibio enuncia sulle orme di Platone e Aristotele la cosiddetta «anaciclosi»,
cioè la teoria del ritorno ciclico delle forme di governo. Ci sono tre forme di co-
stituzione positive che sono la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, a cui
si oppongono le corrispondenti tre forme degenerate: la tirannide, l’oligarchia
e l’oclocrazia o potere delle masse. Alle prime seguono inevitabilmente le al-
tre, secondo un ciclo discendente a cui non può sottrarsi nemmeno la costitu-
zione romana, che pure a Polibio sembra perfetta, in quanto in essa coesistono
la monarchia (i consoli), l’aristocrazia (il senato), la democrazia (i comitia del
popolo). Leggiamo il testo con traduzione, commentato puntualmente da P.
Rosa, a sua volta ispirato da F.W: Walbank, A historical Commentary on Polybius,
Oxford 1957-1979.

[3,1] Tw`n me;n ga;r ÔEllhnikw`n politeumavtwn o{ sa pollavki~ me;n hu[xhtai,


pollavki~ de; th`~ eij~ tajnantiva metabolh`~ oJloscerw`~ pei`ran ei[lhfe,

[3,1] È facile riguardo a quegli stati greci che spesso divennero potenti e spesso
sperimentarono un completo rivolgimento di fortuna conoscere il passato e pro-

3, 1 s. Tw`n me;n ga;r ... eujmarev~: La relative al futuro di stati che hanno sovente come hJ ejnantiva metabolhv (VI 43, 3), hJ
storiografia pragmatica polibiana consen- subìto alti e bassi nella loro potenza. Il ter- eij~ tou[mpalin metabolhv (VI 9, 12; VII
te, sulla base dell’esperienza e della cono- mine chiave è metabolhv (“cambiamento”, 11, 1); hJ ejpi; to; cei`ron metabolhv (XVIII
scenza del passato, di formulare previsioni “trasformazione”), impiegato in vari nessi 33, 6) o semplicemente metabolhv (57, 1),

Fortuna filosofica e letteraria


Ἀnakuvklwsi~: discussioni e riprese dalle origini a Machiavelli
Le origine del dibattito
Il dibattito costituzionale attorno alla miglior forma di governo è tema caro ai Greci fin da Erodoto (III 80-
83) e trova un suo completo sviluppo nelle trattazioni di Platone (Repubblica, Leggi, Politico) e Aristotele
LA STORIOGRAFIA

(Politica). La schematizzazione teorica di Polibio risente indubbiamente di questa ricca tradizione, ma anche
di altri influssi, che gli studiosi hanno cercato di ricostruire sulla base di elementi interni alle Storie.
Walbank pone in rilievo soprattutto due teorie: una relativa alle origini della cultura, che risalirebbe fino
ai sofisti e, in particolare, a Protagora, e una seconda riguardante le cause di corruzione degli stati, che
sono le stesse per le tre forme costituzionali semplici (monarchia, aristocrazia, democrazia). Anche il
concetto di metabolhvè antico e trova una sua prima embrionale presentazione in Solone, secondo cui
l’ajnomiva condurrebbe a forme di governo tiranniche; proprio per combattere una siffatta evoluzione sarebbe
originariamente sorta l’idea di una forma costituzionale mista.
Puoi leggere on line l’intera discussione fino alle riprese dei Latini e di Machiavelli.
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 535
[2] rJaÊdivan ei\ nai sumbaivnei kai; th;n uJpe;r tw`n progegonovtwn ejxhvghsin
kai; th;n uJpe;r tou` mevllonto~ ajpovfasin: tov te ga;r ejxaggei`lai ta; ginw-
skovmena rJavÊdion, tov te proeipei`n uJpe;r tou` mevllonto~ stocazovmenon ejk
tw`n h[dh gegonovtwn eujmarev~. [3] Peri; de; th`~ ÔRwmaivwn oujd∆ o{ lw~ eujce-
re;~ ou[te peri; tw`n parovntwn ejxhghvsasqai dia; th;n poikilivan th`~ po-
liteiva~, ou[te peri; tou` mevllonto~ proeipei`n dia; th;n a[gnoian tw`n pro-
gegonovtwn peri; aujtou;~ ijdiwmavtwn kai; koinh`Ê kai; kat∆ ijdivan. [4] Diovper
ouj th`~ tucouvsh~ ejpistavsew~ prosdei`tai kai; qewriva~, eij mevlloi ti~ ta;
diafevronta kaqarivw~ ejn aujth`Ê sunovyesqai.
[5] Sumbaivnei dh; tou;~ pleivstou~ tw`n boulomevnwn didaskalikw`~ hJmi`n
uJpodeiknuvein peri; tw`n toiouvtwn triva gevnh levgein politeiw`n, w|n to; me;n
kalou`si basileivan, to; d∆ ajristokrativan, to; de; trivton dhmokrativan.
[6] Dokei` dev moi pav n u ti~ eij k ov t w~ a] n ej p aporh` s ai pro; ~ auj t ouv ~ ,

nunciarsi sul futuro. [2] Semplice è infatti riferire su avvenimenti conosciuti, come
è alla portata di tutti fare previsioni sul futuro deducendole dal passato. [3] Riguar-
do ai Romani invece non è affatto facile né descrivere le condizioni presenti per la
complessità della loro costituzione, né fare previsioni sul futuro per l’ignoranza del-
le peculiarità della loro vita pubblica e privata. [4] Perciò sono necessarie una at-
tenzione e una riflessione tutte particolari per ottenere una immagine chiara delle
qualità distintive di questo regime.
[5] La maggior parte di coloro che vogliono darci ammaestramenti su questo argo-
mento parlano di tre forme costituzionali e chiamano la prima regno, la seconda
aristocrazia, la terza democrazia.
[6] A me sembra naturale porre a costoro il quesito se ce le rappresentano come le

o metabolaiv (VI 4, 11; 43, 2) (sempre ad bio cercherà di illustrare nei paragrafi se- nale tripartizione monarchia-aristocrazia-
indicare un’evoluzione negativa di uno guenti. I commentatori notano inoltre che democrazia, mentre in altri luoghi della
stato, dopo che questo ha raggiunto il suo «la possibilità di prevedere il futuro della sua opera si limita a distinguere stati mo-
punto più alto di potenza. Per un parallelo, politeia romana implica che essa sia sog- narchici e “democratici” (cioè “liberi”),
cfr. l’inizio del III libro delle Leggi di Pla- getta a mutamento» (J. Thornton in Poli- attenendosi più direttamente alla situazio-
tone (676bc) in cui un Ateniese si rivolge bio. Storie, a cura di D. Musti, III, Milano ne politica del mondo ellenistico a lui con-
a Clinia ragionando sullo stesso tema: «In 2002, 480). temporaneo. Per la teoria della anaciclosi
tutto questo tempo non furono mille e più cfr. la scheda ∆Anakuvklwsi~: discussioni e
di mille gli stati che vennero alla luce, e 5 Sumbaivnei ... dhmokrativan: Delle riprese.
in numero non inferiore, anzi, secondo la tre forme costituzionali e delle rispettive
stessa proporzione, quelli che vennero di- degenerazioni di-scutono compiutamente 6 Dokei` ... politeiw`n: Polibio pro-
strutti? E non sono stati dovunque ammini- nelle loro opere soprattutto Erodoto (III pone polemicamente l’idea che le forme
strati da ogni sorta di costituzione? E ora da 80-82), Platone (Politico 291d; 302c-d; costituzionali non siano solo tre e prean-
piccoli sono diventati grandi, e da grandi Repubblica I 338d) e Aristotele (Politica nuncia la trattazione della forma “mista”,
sono diventati piccoli? E da migliori che 1286b 8 ss.). La dottrina sembra avere ori- sviluppata nel § seguente. Si osservi il va-
LA STORIOGRAFIA

erano sono diventati peggiori, e da peggiori gine nei circoli sofistici ed è ancora ripre- lore del verbo ejpaporevw, lett. «sollevare
migliori?» (tr. di E. Pegone). sa da Isocrate (Panatenaico 119, 132), ed un dubbio» e del successivo eijsavgw, “in-
Eschine (Contro Timarco 4; contro Ctesi- trodurre”, “condurre dentro”, “presentare”,
3 s. Peri; de; ... sunovyesqai: I due fonte 6). Tuttavia secondo Walbank 1957, ma anche, nel lessico tecnico del teatro,
paragrafi assumono un significato pro- I 638 s. i plei`stoi a cui fa riferimento qui “fare apparire sulla scena”. In tal modo
grammatico, in quanto la complessità della Polibio non sono probabilmente questi au- Polibio movimenta e vivacizza la disputa
costituzione romana (poikiliva è propria- tori, quanto piuttosto scrittori popolari e di dottrinale. Walbank 1957, I 639 osserva
mente “carattere variegato”, “diversità”, seconda mano, a lui contemporanei e che che alle due domande sollevate da Polibio
“molteplicità di forme”) e l’ignoranza sul oggi non si possono più identificare. In la trattazione seguente risponde in modo
passato di Roma sono i due temi che Poli- questo passo Polibio mantiene la tradizio- chiastico: le tre forme citate non sono le
536 POLIBIO
povteron wJ~ movna~ tauvta~ h] kai; nh; Div∆ wJ~ ajrivsta~ hJmi`n eijshgou`ntai tw`n
politeiw`n. [7] Kat∆ ajmfovtera ga;r ajgnoei`n moi dokou`si. Dh`lon ga;r wJ~
ajrivsthn me;n hJghtevon politeivan th;n ejk pavntwn tw`n proeirhmevnwn ijdiw-
mavtwn sunestw`san: [8] touvtou ga;r tou` mevrou~ ouj lovgwÊ movnon, ajll∆ e[rgwÊ
pei`ran eijlhvfamen, Lukouvrgou susthvsanto~ prwvtou kata; tou`ton to;n
trovpon to; Lakedaimonivwn polivteuma. [9] Kai; mh;n oujd∆ wJ~ movna~ tauvta~
prosdektevon: kai; ga;r monarcika;~ kai; turannika;~ h[dh tina;~ teqeavme-
qa politeiva~, ai} plei`ston diafevrousai basileiva~ paraplhvsion e[cein
ti tauvthÊ dokou`sin: [10] h|Ê kai; sumyeuvdontai kai; sugcrw`ntai pavnte~ oiJ
movnarcoi kaq∆ o{ son oi|oiv t∆ eijsi; tw`Ê th`~ basileiva~ ojnovmati. [11] Kai; mh;n
ojligarcika; politeuvmata kai; pleivw gevgone, dokou`nta parovmoion e[cein
ti toi`~ ajristokratikoi`~, a} plei`ston wJ~ e[po~ eijpei`n diesta`sin. [12] ÔO
d∆ aujto;~ lovgo~ kai; peri; dhmokrativa~.
[4,1] ”Oti d∆ ajlhqev~ ejsti to; legovmenon ejk touvtwn sumfanev~. [2] Ou[te

uniche forme di costituzione o anche, per Giove, come le migliori. [7] È chiaro in-
fatti che bisogna considerare ottima la costituzione che riunisce le caratteristiche di
tutte tre le forme. [8] Di quanto asserisco si ha la prova non soltanto teorica, ma
anche pratica, perché Licurgo per primo creò lo stato spartano in questo modo. [9]
Inoltre non si possono ammettere soltanto queste tre forme. Conosciamo infatti al-
cune costituzioni monarchiche e tiranniche, che, pur differendo moltissimo dal re-
gno, sembrano avere con questo qualche somiglianza, [10] per cui tutti i monarchi
per quanto è in loro potere falsamente assumono ed usano il nome di re. [11] Inol-
tre vi sono state parecchie costituzioni oligarchiche, che sembrano avere qualche
affinità con le costituzioni aristocratiche, dalle quali invece, per dirla in breve, diffe-
riscono moltissimo. [12] Lo stesso si può dire per le democrazie.
[4,1] Che è vero quanto è stato detto risulta chiaro da quel che segue. [2] Infatti

migliori perché migliore è la forma mista forma mista fosse largamente diffuso, an- un tiranno. Il ragionamento di questo capi-
(VI 3, 7-8); esse non sono poi le uniche in che se individuano una sua possibile fonte tolo si conclude con l’indicazione dell’esi-
quanto ciascuna presenta una corruzione diretta in un allievo di Aristotele, Dicearco stenza di forme miste dovute alla corruzio-
(VI 3, 9-4, 5). di Messina, autore di un Tripolitikós, che ne anche di aristocrazia e democrazia.
pare discutesse la fusione di elementi mo-
7 s. Kat∆ ... poliv t euma: è evidente narchici, oligarchici e democratici. Polibio 4, 1-3 ”Oti d∆ ... brabeuv h tai: per
nel brano il richiamo al topos retorico della lo ricorda in XXXIV 5 s. L’ipotesi che la queste distinzioni tradizionali i commenta-
contrapposizione e[rgon / lovgo~. Il con- costituzione di Licurgo (l’antico legislato- tori rimandano ad alcuni passi di autori del
cetto della costituzione mista risale già al re spartano collocato tradizionalmente tra V-IV secolo, cfr. ad esempio la concezione
V secolo: Tucidide (VIII 97, 2) presenta l’XI e l’VIII secolo) fosse una sorta di pro- socratica, riferita da Senofonte, Memorabi-
infatti in questo modo la costituzione dei totipo della costituzione mista risale pro- li IV 6, 12: «Considerava regno e tiranni-
Cinquemila, in vigore ad Atene tra il 411 e babilmente ai circoli ateniesi filospartani de entrambe forme di potere, ma riteneva
LA STORIOGRAFIA

il 410 a.C.: in essa la commistione era però dell’inizio del IV secolo. differissero tra loro. L’uno, infatti, riteneva
realizzata tra oligarchia (i «pochi») e de- esistesse col consenso degli uomini (eJkovn-
mocrazia (i «molti»), con assenza dell’ele- 9-12 Kai; mh;n ... dhmokrativa~: con la twn te tw`n ajnqrwvpwn) e nel rispetto delle
mento monarchico. Il riferimento a Sparta coppia di aggettivi monarcika;~ kai; tu- leggi degli stati, l’altra, la tirannide, contro
si trova già in Platone (Leggi 712d-e) e rannikav~ secondo Walbank 1957, I 642 la volontà degli uomini e contro le leggi,
in Aristotele (Politica 1265b 33 ss.), che Polibio alluderebbe al potere monarchico ma secondo la volontà di chi comanda»
potrebbero aver derivato le proprie consi- e alla sua corruzione. Egli avrebbe inoltre (tr. di A. Santoni); cfr. anche Platone (Po-
derazioni su questo tema dai circoli pita- qui in mente il caso dello spartano Nabide, litico 291e); Aristotele (Politica 1273a 21
gorici. Gli studiosi ritengono inoltre che riconosciuto re a Sparta e fuori, ma consi- ss.). Nel dibattito costituzionale proposto
al tempo di Polibio l’apprezzamento della derato da molti, Polibio compreso, come da Erodoto, troviamo invece l’opinione di
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 537
ga;r pa`san dhvpou monarcivan eujqevw~ basileivan rJhtevon, ajlla; movnhn th;n
ejx eJkovntwn sugcwroumevnhn kai; th`Ê gnwvmhÊ to; plei`on h] fovbwÊ kai; bivaÊ ku-
bernwmevnhn: [3] oujde; mh;n pa`san ojligarcivan ajristokrativan nomistevon,
ajlla; tauvthn, h{ ti~ a]n kat∆ ejklogh;n uJpo; tw`n dikaiotavtwn kai; froni-
mwtavtwn ajndrw`n brabeuvhtai. [4] Paraplhsivw~ oujde; dhmokrativan,
ejn h|Ê pa`n plh`qo~ kuvriovn ejsti poiei`n o{ , ti pot∆ a]n aujto; boulhqh`Ê kai;
proqh`tai, [5] para; d∆ w|Ê pavtriovn ejsti kai; suvnhqe~ qeou;~ sevbesqai, go-
nei`~ qerapeuvein, presbutevrou~ aijdei`sqai, novmoi~ peivqesqai, para; toi`~
toiouvtoi~ susthvmasin o{ tan to; toi`~ pleivosi dovxan nika`Ê, tou`to kalei`n
dei` dhmokrativan. [6] Dio; kai; gevnh me;n e} x ei\ nai rJhtevon politeiw`n,
triva me;n a} pavnte~ qrulou`si kai; nu`n proeivrhtai, triva de; ta; touvtoi~
sumfuh`, levgw de; monarcivan, ojligarcivan, ojclokrativan.
[7] Prwvth me;n ou\ n ajkataskeuvw~ kai; fusikw`~ sunivstatai monarciva,

non si può senz’altro chiamare regno ogni governo di un solo, ma soltanto quello
che è volontariamente accettato ed è retto secondo ragione più che con il terrore e
la forza, [3] né si deve considerare aristocrazia ogni governo di pochi, ma soltanto
quello che sia diretto da quegli uomini che per elezione risultino i più giusti e i più
saggi. [4] Similmente non è governo di popolo quella in cui la moltitudine è arbitra
di fare ciò che voglia, [5] ma quello in cui è tradizionale ed abituale venerare gli
dèi, onorare i genitori, rispettare i più vecchi, ubbidire alle leggi. In siffatte comuni-
tà, quando prevale il parere dei più, si può dire che esista vera democrazia. [6]
Quindi si possono considerare sei specie di costituzioni; tre, quelle che sono da tutti
conosciute e di cui si è già parlato, e altre tre che derivano da queste, cioè la tiran-
nide, l’oligarchia e l’oclocrazia.
[7] Per primo dunque senza artificio e naturalmente si stabilisce il governo di un

Megabizo, che sostiene il regime oligar- ca (557b). Si osservi che qui Polibio, per 6 Dio; ... ojclokrativan: con l’espres-
chico (III 81, 3): «Della democrazia fac- indicare il popolo, non utilizza il termine sione «ad essi connaturati» si preannuncia
ciano dunque uso quelli che vogliono male dh`mo~ (= “il complesso dei cittadini”), ma il tema delle tre forme corrotte, in cui quel-
ai Persiani; noi invece, scelto un gruppo plh`qo~, propriamente “massa”, “folla”, le fondamentali evolvono, secondo uno
degli uomini migliori, a questi affidiamo “volgo”, con caratura chiaramente negati- schema già illustrato da Platone (Politico
il potere» (tr. di A. Izzo D’Accinni), cfr. va, cfr. latino plebs. L’elenco delle virtù 302b ss.) e Aristotele (Politica 1279a 22
Platone, Repubblica 414a; Aristotele, Po- positive che invece lo storico attribuisce ss.). Si osservi l’aggettivo sumfuhv~ (“na-
litica 1273a 21 ss. Ancora in Erodoto, ma come caratteristiche a questa forma co- turale”, “connaturato”, “congenito”), con
nel discorso di Dario che sostiene la mo- stituzionale evoca il celeberrimo Epitafio cui si presenta la costituzione quale un or-
narchia (III 82, 2), si trova l’esaltazione pericleo per i caduti del primo anno della ganismo vivente e in quanto tale soggetto a
della gnwvmh come qualità distintiva grazie guerra del Peloponneso (Tucidide II 36 trasformazioni nel corso del tempo (cfr. §§
alla quale un uomo solo, che sia a[risto~, ss.), con cui lo statista ateniese celebra 11-13). Con monarciva Polibio si riferisce
potrebbe ottimamente guidare il popolo. Si la democrazia della città da lui ritenuta in generale al dominio di uno solo, mentre
LA STORIOGRAFIA

osservi il verbo brabeuvw, con significa- «scuola dell’Ellade» ed esalta tale regime ojclokrativa è lett. il «potere dell’o[clo~»,
to attivo di “essere arbitro”, “giudicare”, di vita, che dice totalmente libero nei rap- cioè della folla, della massa, con accezione
“prendere una decisione” e passivo di “es- porti pubblici e privati, in quanto basato negativa, cfr. Aristotele, Politica 1305b 30
sere diretto”, “essere sotto il controllo”. sul rispetto e sull’obbedienza alle magi- to;n o[clon ejdhmagwvgoun («ricercavano il
strature e alle leggi. Gli studiosi osservano favore della massa») e nota al § 8.
4 s. Paraplhsivw~ ... dhmokrativan: che già lo spazio riservato da Polibio in
il concetto di democrazia come regime questa sezione introduttiva alla democra- 7 s. Prwvth ... fuvetai: La monarciva
nel quale vige la libertà di fare ciò che si zia, rispetto alle altre due forme, denota un sorge aj k ataskeuv w ~, cioè lett. «senza
vuole (ejxousiva ... poiei`n o{ ti ti~ bouvle- suo interesse particolare per questo tipo di elaborazione», «schiettamente», quindi in
tai) è descritto da Platone nella Repubbli- regime. modo naturale, spontaneo, per poi essere
538 POLIBIO
tauvthÊ d∆ e{ petai kai; ejk tauvth~ genna`tai meta; kataskeuh`~ kai; dior-
qwvsew~ basileiva. [8] Metaballouvsh~ de; tauvth~ eij~ ta; sumfuh` kakav,
levgw d∆ eij~ turannivd∆, au\ qi~ ejk th`~ touvtwn kataluvsew~ ajristokrativa
fuvetai. [9] Kai; mh;n tauvth~ eij~ ojligarcivan ejktrapeivsh~ kata; fuv-
sin, tou` de; plhvqou~ ojrgh`Ê metelqovnto~ ta;~ tw`n proestwvtwn ajdikiva~,
genna`tai dh`mo~. [10] ∆Ek de; th`~ touvtou pavlin u{ brew~ kai; paranomiva~
ajpoplhrou`tai su;n crovnoi~ ojclokrativa.
[11] Gnoivh d∆ a[n ti~ safevstata peri; touvtwn wJ~ ajlhqw`~ ejstin oi|a dh;
nu`n ei\ pon, ejpi; ta;~ eJkavstwn kata; fuvsin ajrca;~ kai; genevsei~ kai; me-
tabola;~ ejpisthvsa~. [12] ÔO ga;r sunidw;n e{ kaston aujtw`n wJ~ fuvetai,
movno~ a]n ou|to~ duvnaito sunidei`n kai; th;n au[xhsin kai; th;n ajkmh;n kai; th;n
metabolh;n eJkavstwn kai; to; tevlo~, povte kai; pw`~ kai; pou` katanthvsei
pavlin: [13] mavlista d∆ ejpi; th`~ ÔRwmaivwn politeiva~ tou`ton aJrmovsein to;n

solo, al quale segue e dal quale è generato per successiva elaborazione e correzione
il regno. [8] Cambiandosi questo nel male in esso connaturato, cioè nella tirannide,
in seguito per la caduta di quest’ultima si genera il governo degli ottimi. [9] Quan-
do a sua volta la aristocrazia per forza di natura degenera in oligarchia, il popolo
insorge violentemente contro i soprusi dei capi e allora nasce il governo popolare.
[10] Col tempo poi l’oltracotanza e l’illegalità di tale governo produce l’oclocrazia.
[11] Quanto esatte siano le considerazioni fin qui fatte, si può benissimo conoscere
ponendo mente alle naturali origini, al divenire e alle trasformazioni di ciascuna
forma di governo. [12] Soltanto chi prende in considerazione come nasce ogni co-
stituzione, può vederne anche il processo di accrescimento, il punto culminante, il
modo di trasformarsi ed anche quando, come e dove andrà a sua volta a finire.
[13] Soprattutto per lo stato romano ho pensato conveniente questo modo di espo-

modificata attraverso interventi elaborati e mokratía. Origini di un’idea, Roma-Bari, costituzione e impresa ha, secondo natu-
correttivi (kataskeuhv e diovrqwsi~ sono Laterza 1995, 40) richiama in particolare ra, una crescita, poi un acme, e infine una
opposti e contrari rispetto a ajkataskeuvw~ l’attenzione sulle Supplici di Euripide (da- degenerazione, e raggiunge la massima
e fusikw`~), che la trasformano nel “re- tate tra il 424 e il 420) in una cui scena c’è potenza in coincidenza dell’acme, proprio
gno”. Esso degenera in tirannide. Secondo una lunga disputa tra Teseo e un araldo in questo, in quel tempo, differivano tra
Walbank 1957, I 649 monarciva individua tebano. Il primo, infatti, esalta la sovrani- loro i due sistemi politici» (tr. di G. Co-
qui il “potere di uno solo” nella società pri- tà del popolo di Atene ed esorta l’altro a lesanti). Cartagine, in sostanza, aveva già
mitiva, mentre nel § 6 indicava la corruzio- non cercarvi un tuvranno~. Il messaggero superato l’acme, mentre Roma vi si trova-
ne della basivleia, definita turanniv~ al § di Tebe, invece, rivendica orgogliosamen- va proprio allora. Tale concezione implica
8. Il concetto di “male connaturato” risale te la forma costituzionale della propria necessariamente l’idea che anche Roma
a Platone, Repubblica 609a («quasi ogni città, che «è governata da un solo uomo, andrà un giorno incontro alla decadenza:
essere ha un difetto e un male congenito»), non dalla massa (ouj k o[ c lw/ kratuv n e- secondo Musti 1988, 1770 «nella mentalità
anche se probabilmente la sua prima origi- tai, v. 411)». Si osservi anche il verbo naturalistica del Greco la decadenza è alla
ne rimonta all’ambiente sofistico. ajpoplhrovw, che significa lett. «riempire», fine inevitabile. Una costituzione perfetta
LA STORIOGRAFIA

«completare», «adempiere», utilizzato qui [quella romana, in quanto mista], in realtà,


9 s. Kai; mhvn ... ojclokrativa: l’aristo- in quanto adatto al contesto in cui si pre- non bandisce la decadenza dalla storia; la
crazia degenera nel «potere dei pochi», che senta la conclusione di un ciclo. ritarda solo, anche se, nel caso di una costi-
è a sua volta abbattuto dal dh`mo~, montato tuzione nei limiti dell’umano perfetta, co-
in ira contro le ingiustizie dei capi. Vio- 11-13 Gnoivh ... au[xhsin: Polibio for- me quella romana, ciò equivale a una sua
lenza e illegalità di quest’ultimo portano nisce qui un’interpretazione “biologica” lunghissima durata». Tale teoria biologica,
all’ojclokrativa. Il termine o[clo~ (per la del ciclo delle costituzioni, che verrà resa nella sua forma più generale, risale fino ai
cui differenza rispetto a dh`mo~ cfr. nota a esplicita in VI 51, 4, dove lo storico esa- presocratici (Anassimandro 12 B 1 D.-K.)
4, 6) è politicamente connotato già nel di- mina le differenze tra costituzione romana ed è topica già all’epoca di Tucidide (cfr. II
battito culturale del V secolo: Musti (De- e cartaginese: «poiché, infatti, ogni corpo, 64, 3). Si osservi peraltro come il concet-
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 539
trovpon uJpeivlhfa th`~ ejxhghvsew~ dia; to; kata; fuvsin aujth;n ajp∆ ajrch`~
eijlhfevnai thvn te suvstasin kai; th;n au[xhsin.
[5,1] ∆Akribevsteron me;n ou\ n i[sw~ oJ peri; th`~ kata; fuvsin metabolh`~
tw`n politeiw`n eij~ ajllhvla~ dieukrinei`tai lovgo~ para; Plavtwni kaiv ti-
sin eJtevroi~ tw`n filosovfwn: poikivlo~ d∆ w]n kai; dia; pleiovnwn legovmeno~
ojlivgoi~ ejfiktov~ ejstin. [2] Diovper o{ son ajnhvkein uJpolambavnomen aujtou`
pro;~ th;n pragmatikh;n iJstorivan kai; th;n koinh;n ejpivnoian, tou`to pei-
rasovmeqa kefalaiwdw`~ dielqei`n: [3] kai; ga;r a]n ejlleivpein ti dovxhÊ dia;
th`~ kaqolikh`~ ejmfavsew~, oJ kata; mevro~ lovgo~ tw`n eJxh`~ rJhqhsomevnwn
iJkanh;n ajntapovdosin poihvsei tw`n nu`n ejpaporhqevntwn. [4] Poiva~ ou\ n
ajrca;~ levgw kai; povqen fhmi; fuvesqai ta;~ politeiva~ prw`ton… [5] ”Otan
h] dia; kataklusmou;~ h] dia; loimika;~ peristavsei~ h] di∆ ajforiva~ karpw`n
h] di∆ a[lla~ toiauvta~ aijtiva~ fqora; gevnhtai tou` tw`n ajnqrwvpwn gevnou~,
oi{ a~ h[dh gegonevnai pareilhvfamen kai; pavlin pollavki~ e[sesq∆ oJ lov-
go~ aiJrei`, [6] tovte dh; sumfqeiromevnwn pavntwn tw`n ejpithdeumavtwn kai;
tecnw`n, o{ tan ejk tw`n perileifqevntwn oi|on eij spermavtwn au\ qi~ aujxhqh`Ê

sizione, perché fin da principio la sua costituzione e il suo accrescimento furono


dovuti a cause naturali.
[5,1] Forse la teoria delle naturali vicendevoli trasformazioni delle costituzioni è
esaminata con maggiore acutezza da Platone e da alcuni altri filosofi, ma poiché
tale esposizione è complicata e particolareggiata, è accessibile a pochi. [2] Perciò
tenterò di esporre per sommi capi quanto credo conveniente alla storia politica e
alla comune intelligenza. [3] Se poi appaia qualche lacuna dovuta al tono generale
dell’esposizione, la disamina particolare che ne seguirà, offrirà una sufficiente ri-
compensa per le difficoltà rimaste ancora insolute. [4] Quali dunque i primordi e le
origini delle società politiche? [5] La società umana può ancora una volta essere
distrutta per inondazioni, pestilenze, carestie e per altre cause simili; lo sappiamo
infatti per tradizione e ragione vuole che ciò avvenga ancora. [6] Allora, perendo
contemporaneamente ogni forma di civiltà, quando dai germi, per così dire rimasti,

to di un fenomeno che nasce, raggiunge il scussi vari punti di vista sulla costituzione genitivi assoluti ed incisi. Il motivo è
suo culmine per poi attenuarsi e svanire sia spartana, attribuiti a diversi scrittori tra cui tradizionale: l’uomo, come le altre spe-
comune nella medicina ippocratica, in rela- Eforo (Walbank 1957, I 650). cie, è naturalmente spinto ad associarsi
zione ad affezioni che colpiscono gli orga- ai suoi simili: l’aggettivo oJmovfulo~ -on
nismi viventi, cui sono qui – come spesso 2 s. Diov p er ... ej p aporhqev n twn: il indica appunto chi è “della stessa razza”,
in Polibio – implicitamente paragonate le lessico, ricco di termini astratti e di neutri “dello stesso genere”, mentre all’interno
varie forme costituzionali. sostantivati, denota la tecnicità del passo, di ogni comunità prevale in origine chi
LA STORIOGRAFIA

in cui Polibio precisa che se la sezione VI è più forte, sia tra gli uomini sia tra gli
5, 1 ∆Akribevsteron ... ejstin: Polibio 4, 7-10 è stata troppo sommaria, le difficol- esseri aj d oxopoiv h toi, lett. «che non si
intende dire che la sua trattazione si svilup- tà saranno risolte nella parte che segue. Si formano opinioni». Nelle Leggi (677a)
perà su un piano più divulgativo rispetto a noti l’ennesimo riferimento alla concezio- Platone discute delle antiche leggende
quello teoretico dei filosofi. Platone affron- ne pragmatica della storia, per cui cfr. I 3, 1 «riguardanti i frequenti stermini degli
ta il problema in Repubblica, Leggi, Politi- e nota. uomini dovuti ad inondazioni, a malattie,
co e nella VII epistola. Gli altri «filosofi» e a molti altri eventi ancora, nel corso dei
cui qui si fa cenno sono probabilmente 4-8 Poiv a ~ ... paraplhv s ia: il pe- quali una piccola parte del genere umano
pensatori del III e II secolo, oggi non più riodo è molto ampio e presenta una riuscì a scampare» (tr. di E. Pegone). Già
identificabili. Anche in VI 45, 1 sono di- struttura appesantita da subordinate, platonica è anche la considerazione che
540 POLIBIO
su;n crovnwÊ plh`qo~ ajnqrwvpwn, tovte dhvpou, [7] kaqavper ejpi; tw`n a[llwn
zwvÊwn, kai; ejpi; touvtwn suna-qroizomevnwn – o{ per eijkov~, kai; touvtou~ eij~
to; oJmovfulon sunagelavzesqai dia; th;n th`~ fuvsew~ ajsqevneian – ajnavgkh
to; n th` Ê swmatikh` Ê rJ wv m hÊ kai; th` Ê yucikh` Ê tov lmhÊ diafev ronta, tou` t on
hJgei`sqai kai; kratei`n, [8] kaqavper kai; ejpi; tw`n a[llwn genw`n ajdoxo-
poihvtwn zwvÊwn qewrouvmenon tou`to crh; fuvsew~ e[rgon ajlhqinwvtaton no-
mivzein, par∆ oi|~ oJmologoumevnw~ tou;~ ijscurotavtou~ oJrw`men hJgoumevnou~,
levgw de; tauvrou~, kavprou~, ajlektruovna~, ta; touvtoi~ paraplhvsia. [9]
Ta;~ me;n ou\ n ajrca;~ eijko;~ toiouvtou~ ei\ nai kai; tou;~ tw`n ajnqrwvpwn bivou~,
zwÊhdo;n sunaqroizomevnwn kai; toi`~ ajlkimwtavtoi~ kai; dunamikwtavtoi~
eJpomevnwn: oi|~ o{ ro~ mevn ejsti th`~ ajrch`~ ijscuv~, o[noma d∆ a]n ei[poi ti~
monarcivan. [10] ∆Epeida;n de; toi`~ susthvmasi dia; to;n crovnon uJpogevnhtai
suntrofiva kai; sunhvqeia, tou`t∆ ajrch; basileiva~ fuvetai, kai; tovte pr-
wvtw~ e[nnoia givnetai tou` kalou` kai; dikaivou toi`~ ajnqrwvpoi~, oJmoivw~ de;
kai; tw`n ejnantivwn touvtoi~.

di nuovo col tempo si venga a formare una moltitudine, [7] come degli altri anima-
li, così degli uomini, che si raccolgono insieme – ed è naturale che essi formino
gregge con i loro simili per la loro debolezza fisica – necessariamente sarà capo e
guida chi si distinguerà per forza fisica e per audacia. [8] Bisogna credere che que-
sta sia l’opera più perfetta della natura, vedendo ciò che accade presso gli altri esse-
ri sforniti di ragione, presso i quali vediamo che senza contrasto i più forti diventa-
no i capi, cioè i tori, i cinghiali, i galli e così via. [9] È naturale che tale sia stata in
origine anche la vita degli uomini, raggruppati a guisa degli animali e al seguito dei
più valorosi e dei più forti. La forza del capo è il solo limite al suo potere e il nome
che si potrebbe dare al suo governo è quello di monarchia. [10] Quando con l’an-
dar del tempo in tali comunità di uomini si sviluppa il senso della socievolezza e
della convivenza, allora ha origine il regno e nasce tra gli uomini la prima idea del
bene e del giusto e dei loro opposti.

sia la debolezza a favorire l’associazione esempio, il paragone tra uomini e anima- sociale anche da Platone (Leggi 680d ss.)
tra simili: cfr. Protagora 322b «All’ini- li per giustificare il potere del più forte e da Aristotele (Politica 1253b 2 ss.), ma
zio gli uomini abitavano in insediamen- (cfr. Platone, Gorgia 483d). Gli studiosi entrambi associano la monarchia primiti-
ti sparsi, e non esistevano città. Perciò hanno anche osservato che la descrizione va con il regime della famiglia, come fan-
morivano uccisi dalle fiere, poiché erano di Romolo come movnarco~ nel De re pu- no gli Stoici, mentre Polibio si riallaccia
sotto ogni rispetto più deboli di esse (…). blica di Cicerone (II 4: corporis viribus piuttosto all’insegnamento sofistico sul
Cercavano quindi di unirsi e di salvarsi et animi ferocitate … praestitisse) ricalca ruolo del più forte: per lui le virtù della
fondando città» (tr. di A. Festi). Accanto l’immagine polibiana di «chi si distingue socievolezza e i concetti etici sono uno
a questa idea, ma non necessariamente in per forza fisica e audacia d’animo», seb- sviluppo seguente, il frutto non la causa
LA STORIOGRAFIA

contrasto con essa, Walbank 1957, I 651 bene Cicerone segua anche altre fonti di del vivere in società (cfr. Walbank 1957,
ricorda un altro passo platonico (Repub- tradizione latina. I 653).
blica 369b) che descrive come innato,
negli uomini, l’istinto all’associazione, a 9 Ta;~ me;n ou\ n ajrca;~ ... monarcivan: 10 ∆Epeidavn ... touvtoi~: il paragra-
causa della loro incapacità di essere au- Walbank 1957, I 653 ricorda il parallelo fo presenta elementi di matrice stoica ed
tosufficienti. Per questo tema dell’origi- di Aristotele, Politica 1294a 10: «mi- epicurea: stoico è il vocabolario che ri-
ne del consorzio umano i commentatori sura (o{ ro~) dell’aristocrazia è il valore chiama ai concetti del bene e del giusto,
sottolineano comunque il ruolo esercitato (aj r ethv ) , dell’oligarchia, invece, la ric- mentre l’idea che i concetti di giusto e
dal pensiero di Democrito, dalla sofistica chezza, della democrazia la libertà». La ingiusto nascano dall’esperienza di vita
e dal Peripato. Di matrice sofistica è, ad monarchia è considerata la prima forma associata rimonta alla dottrina epicurea.
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 541
[6,1] ÔO de; trovpo~ th`~ ajrch`~ kai; th`~ genevsew~ tw`n eijrhmevnwn toiov-
sde. [2] Pavntwn ga;r pro;~ ta;~ sunousiva~ oJrmwvntwn kata; fuvsin, ejk de;
touvtwn paidopoiiva~ ajpoteloumevnh~, oJpovte ti~ tw`n ejktrafevntwn eij~
hJlikivan iJkovmeno~ mh; nevmoi cavrin mhd∆ ajmuvnai touvtoi~ oi|~ ejktrevfoit∆,
ajllav pou tajnantiva kakw`~ levgein h] dra`n touvtou~ ejgceiroivh, [3] dh`lon
wJ~ dusarestei`n kai; proskovptein eijko;~ tou;~ sunovnta~ kai; sunidovnta~
th;n gegenhmevnhn ejk tw`n gennhsavntwn ejpimevleian kai; kakopavqeian pe-
ri; ta; tevkna kai; th;n touvtwn qerapeivan kai; trofhvn. [4] Tou` ga;r gevnou~
tw`n ajnqrwvpwn tauvthÊ diafev-ronto~ tw`n a[llwn zwvÊwn, h|Ê movnoi~ aujtoi`~
mevtesti nou` kai; logismou`, fanero;n wJ~ oujk eijko;~ paratrevcein aujtou;~
th;n proeirhmevnhn diaforavn, kaqavper ejpi; tw`n a[llwn zwvÊwn, [5] ajll∆ ejpi-
shmaivnesqai to; ginovmenon kai; dusarestei`sqai toi`~ parou`si, proorw-
mevnou~ to; mevllon kai; sullogizomevnou~ o{ ti to; paraplhvsion eJkavstoi~
aujtw`n sugkurhvsei. [6] Kai; mh;n o{ tan pou pavlin a{ tero~ uJpo; qatevrou
tucw;n ejpikouriva~ h] bohqeiva~ ejn toi`~ deinoi`~ mh; nevmhÊ tw`Ê swvsanti cavrin,
ajllav pote kai; blavptein ejgceirh`Ê tou`ton, fanero;n wJ~ eijko;~ tw`Ê toiouvtwÊ
dusarestei`sqai kai; proskovptein tou;~ eijdovta~, sunaganaktou`nta~
me;n tw`Ê pevla~, ajnafevronta~ d∆ ejf∆ aujtou;~ to; paraplhvsion. [7] ∆Ex w|n

[6,1] Questi concetti nascono e si sviluppano nel modo seguente. [2] Poiché tutti
gli uomini sono per natura spinti ai rapporti sessuali, il risultato di questi rapporti è
la procreazione dei figli. Quando poi qualcuno di coloro che sono stati allevati,
giunto nell’età della ragione, non si mostra riconoscente a coloro che l’hanno alle-
vato né li difende, ma invece si accinge a dire e a fare loro del male, [3] è chiaro
che per forza sono malcontenti e si adirano gli altri conviventi, i quali conoscono le
cure e le sofferenze dei genitori per assistere ed allevare i figli. [4] Il genere umano
differisce dagli altri animali in questo, che soltanto esso è fornito di ragione, quindi
non è verosimile che una tale diversità di agire passi inosservata come avverrebbe
invece tra gli animali, [5] ma gli altri osserveranno il fatto e si indigneranno per
quello che accade, prevedendo il futuro e pensando che qualche cosa di simile po-
trebbe accadere ad essi. [6] Quando d’altra parte qualcuno riceve nel pericolo assi-
stenza e aiuto da un altro, e, invece di mostrarsi grato al salvatore, tenti di fargli del
male, è chiaro che naturalmente coloro i quali ne verranno a conoscenza saranno
dispiaciuti e offesi per una simile condotta, parteciperanno all’indignazione del vici-
no e si vedranno in una identica situazione. [7] Da ciò deriva in ognuno una certa
LA STORIOGRAFIA

6, 1-3 ÔO de; trovpo~ ... trofhvn: con- hv s ion: si ripropone il parallelo con gli periorità, per la quale ci distinguiamo dalle
cetti d’impronta stoica. I commentatori animali di VI 4, 9. Walbank 1957, I 653 s. bestie; da cui deriva l’onesto e il decoro
rimandano a paralleli ciceroniani come De sottolinea l’impronta di marca stoica di tale ed al quale risale la conoscenza del dove-
officiis I 4, 11: «Ugualmente comune a tutti concetto, tuttavia non estraneo nemmeno re; l’altro è attribuito a ciascuno in modo
è l’istinto di procreare e la cura della pro- al pensiero epicureo. In Cicerone ritorna particolare» (tr. di A. Resta Barrile). Cfr.
le». Per la consuetudine di iniziare una di- spesso, su influsso di Panezio, cfr. De of- anche, per immagini simili, I 11 s.
scussione da questo principio naturale cfr. ficiis I 30, 107: «Bisogna anche considera-
anche De re publica I 38. re che la natura ci ha quasi assegnato due 7 s. ∆Ex ... proskoph` ~ : Walbank
ruoli: l’uno è comune a tutti, in quanto tutti 1957, I 654 sottolinea come il termine to;
4-6 Tou` ga; r gev n ou~ ... parapl- siamo partecipi della ragione e di quella su- kaqh`kon sia di matrice stoica e corrispon-
542 POLIBIO
uJpogivnetaiv ti~ e[nnoia par∆ eJkavstwÊ th`~ tou` kaqhvkonto~ dunavmew~ kai;
qewriva: o{ per ejsti;n ajrch; kai; tevlo~ dikaiosuvnh~. [8] ÔOmoivw~ pavlin o{
tan ajmuvnhÊ mevn ti~ pro; pavntwn ejn toi`~ deinoi`~, uJfisth`tai de; kai; mevnhÊ
ta;~ ejpifora;~ tw`n ajlkimwtavtwn zwvÊwn, eijko;~ me;n to;n toiou`ton uJpo; tou`
plhvqou~ ejpishmasiva~ tugcavnein eujnoi>kh`~ kai; prostatikh`~, to;n de;
tajnantiva touvtwÊ pravttonta katagnwvsew~ kai; proskoph`~. [9] ∆Ex ou|
pavlin eu[logon uJpogivnesqaiv tina qewrivan para; toi`~ polloi`~ aijscrou`
kai; kalou` kai; th`~ touvtwn pro;~ a[llhla diafora`~, kai; to; me;n zhvlou
kai; mimhvsew~ tugcavnein dia; to; sumfevron, to; de; fugh`~. [10] ∆En oi|~ o{
tan oJ proestw;~ kai; th;n megivsthn duvnamin e[cwn ajei; sunepiscuvhÊ toi`~
proeirhmevnoi~ kata; ta;~ tw`n pollw`n dialhvyei~, kai; dovxhÊ toi`~ uJpotat-
tomevnoi~ dianemhtiko;~ ei\ nai tou` kat∆ ajxivan eJkavstoi~, [11] oujkevti th;n
bivan dediovte~, th`Ê de; gnwvmhÊ to; plei`on eujdokou`nte~, uJpotavttontai kai;
susswvÊzousi th;n ajrch;n aujtou`, ka]n o{ lw~ h\ Ê ghraiov~, oJmoqumado;n ejpamuv-
nonte~ kai; diagwnizovmenoi pro;~ tou;~ ejpibouleuvonta~ aujtou` th`Ê duna-
steivaÊ. [12] Kai; dh; tw`Ê toiouvtwÊ trovpwÊ basileu;~ ejk monavrcou lanqavnei

nozione della potenza ideale del dovere, che è principio e fine della giustizia. [8]
Quando invece qualcuno primeggia nei pericoli, affronta ed aspetta gli assalti degli
animali più forti, è naturale che egli riceva dalla moltitudine una benevola ed ono-
rifica considerazione, mentre chi agisce all’opposto conseguirà disistima ed odio.
[9] È ragionevole dunque che sorga presso la moltitudine l’idea del male, del bene
e delle reciproche differenze e mentre il nobile agire sarà ammirato e imitato per
l’utilità che arreca, una condotta vile sarà sfuggita. [10] Allora, quando chi primeg-
gia e gode della massima autorità aiuta sempre con ogni mezzo gli altri secondo
l’opinione della moltitudine e appare ai sudditi come colui che dà a ciascuno secon-
do il merito, [11] il popolo, liberatosi ormai della paura della violenza, lieto anzi
della saggezza che egli mostra, gli si mantiene sottomesso e contribuisce a conser-
vargli il potere, anche quando sia molto vecchio, soccorrendolo e lottando concor-
demente per lui contro coloro che insidiano il suo potere. [12] Così per gradi insen-

da al latino officium. Per il tema della dife- ri. L’identità tra bene e utile è di matrice potere da un individuo all’altro, ma può
sa contro le bestie selvagge come aspetto stoica: Cicerone l’analizza sulla scia di avvenire quasi insensibilmente, per interna
delle prime congregazioni umane, cfr. i già Panezio nel De officiis (III 3, 12 s.; 7, 34). trasformazione della natura del potere di un
citati passi platonici di Protagora 322b e Polibio ne aveva già trattato in III 4, 10 s.: unico individuo» (Thornton cit. III 484).
Leggi 681a. Il termine ejpishmasiva, qui in «Nessuno che abbia senno combatte i suoi Che il buon capo si caratterizzi per la capa-
genitivo perché dipende da tugcavnw, vale vicini per il semplice gusto di contendere cità di distribuire equamente ciò che spetta
lett. «segnalazione», «nota», «distinzione», con gli avversari né solca i mari per il solo a ciascuno risponde alla concezione stoica
LA STORIOGRAFIA

mentre l’aggettivo prostatikov~ significa piacere di attraversarli né esercita tecniche della giustizia. Anche Aristotele di-scute
letteralmente «di chi è capo / guida». ed arti soltanto per amore di conoscenza; però nell’Etica Nicomachea (1130b 31)
tutti fanno tutto per ciò che di piacevole o la giustizia distributiva come una forma
9 ∆Ex ou| ... fugh`~: il bene (to; kalovn, di bello o di conveniente (hJdevwn h] kalw`n di giustizia. Per l’adesione spontanea dei
lett. «il bello») è contrapposto a ciò che è h] sumferovntwn) può derivare dalle loro sudditi al re giusto cfr. anche Senofonte,
«turpe», «vergognoso», «infame» (to; aij- azioni» (tr. di C. Tartaglini). Economico 4, 19: «Io ritengo una grande
scrovn) e i diversi comportamenti di chi prova della virtù del capo quando i soldati
opera per il bene comune e di chi, inve- 10-12 ∆En oi|~ ... logismov~ : l’evolu- spontaneamente gli obbediscono e voglio-
ce, agisce in senso contrario suscitano la zione da monarchia a regno «sembra non no rimanergli accanto anche nei pericoli»
riflessione sulle differenze tra i due valo- implicare necessariamente il passaggio del (tr. di F. Roscalla).
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 543
genovmeno~, o{ tan para; tou` qumou` kai; th`~ ijscuvo~ metalavbhÊ th;n hJgemo-
nivan oJ logismov~.
[7,1] Au{ th kalou` kai; dikaivou prwvth par∆ ajnqrwvpoi~ kata; fuvsin
e[nnoia kai; tw`n ejnantivwn touvtoi~, au{ th basileiva~ ajlhqinh`~ ajrch; kai;
gevnesi~. [2] Ouj ga;r movnon aujtoi`~, ajlla; kai; toi`~ ejk touvtwn oiJ polloi;
diafulavttousi ta;~ ajrcav~, pepeismevnoi tou;~ ejk toiouvtwn gegonovta~ kai;
trafevnta~ uJpo; toiouvtoi~ paraplhsivou~ e{ xein kai; ta;~ proairevsei~.
[3] ∆Ea;n dev pote toi`~ ejggovnoi~ dusaresthvswsi, poiou`ntai meta; tau`ta
th;n ai{ resin tw`n ajrcovntwn kai; basilevwn oujkevti kata; ta;~ swmatika;~
kai; qumika;~ dunavmei~, ajlla; kata; ta;~ th`~ gnwvmh~ kai; tou` logismou` dia-
forav~, pei`ran eijlhfovte~ ejp∆ aujtw`n tw`n e[rgwn th`~ ejx ajmfoi`n paralla-
gh`~. [4] To; me;n ou\ n palaio;n ejneghvraskon tai`~ basileivai~ oiJ kriqevnte~
a{ pax kai; tucovnte~ th`~ ejxousiva~ tauvth~, tovpou~ te diafevronta~ ojcu-
rouvmenoi kai; teicivzonte~ kai; cwvran kataktwvmenoi, to; me;n th`~ ajsfa-
leiva~ cavrin, to; de; th`~ dayileiva~ tw`n ejpithdeivwn toi`~ uJpotetagmevnoi~:
[5] a{ ma de; peri; tau`ta spoudavzonte~ ejkto;~ h\ san pavsh~ diabolh`~ kai;
fqovnou dia; to; mhvte peri; th;n ejsqh`ta megavla~ poiei`sqai ta;~ paral-
laga;~ mhvte peri; th;n brw`sin kai; povsin, ajlla; paraplhvsion e[cein th;n

sibili il monarca diventa re, quando l’istinto e la forza bruta cedono alla supremazia
della ragione.
[7,1] Questa è la prima idea naturale che gli uomini hanno dell’onore e della giu-
stizia e dei loro opposti; questa è l’origine e la genesi del vero regno. [2] Il popolo
infatti mantiene al potere e difende non soltanto quelli che l’hanno avuto per primi,
ma anche i loro discendenti, persuaso che anche questi, nati e allevati da quei geni-
tori, osserveranno gli stessi princìpi politici. [3] Ma se un giorno il popolo sarà mal-
contento dei discendenti, allora sceglierà i capi e i re non più secondo le qualità fisi-
che e il loro ardire, ma in rapporto alla superiorità delle loro facoltà intellettive,
avendo praticamente sperimentato la differenza che passa fra le une e le altre. [4]
Anticamente dunque quelli che una prima volta erano stati eletti ed avevano otte-
nuto il potere invecchiavano nell’ufficio di re, fortificando e cingendo di mura i
luoghi importanti e acquistando regioni, sia per provvedere alla sicurezza dei loro
sudditi, sia per fornire loro in abbondanza i generi necessari. [5] Contemporanea-
mente, presi da queste occupazioni, rimanevano fuori da ogni denigrazione e odio,

7, 1 s. Au{th ... proairevsei~: secon- smou` dall’altro rimanda alla teoria esposta 1310b 38). Thornton cit. III 484 sottolinea
LA STORIOGRAFIA

do Walbank 1957, I 655 il passo dimostra in VI 5, 7 per cui anche tra gli animali è come «anche qui, nel delineare l’anaciclo-
che Polibio considera il principio eredita- inevitabile che guidi e comandi chi si se- si, Polibio mostri chiara consapevolezza
rio come parte integrante di un tale regno. gnala per superiorità fisica e audacia. dell’importanza dei moventi economici
Questo principio parrebbe applicato per la dell’espansione territoriale (potremmo
prima volta nella monarchia romana con i 4 s. To; me;n ou\ n ... divaitan: su questo quasi dire dell’imperialismo): se i re in-
Tarquini. tema del primo affermarsi dei regni attra- traprendono guerre di conquista è per as-
verso conquiste territoriali e fortificazioni sicurare ai sudditi abbondanza di risorse».
3 ∆Ea;n ... parallagh`~: la distinzione di luoghi strategici si soffermano in parti- Va inoltre evidenziata l’idealizzazione di
tra dunavmei~ swmatikaiv e qumikaiv da un colare Platone (cfr. Protagora 322b; Leggi queste monarchia arcaiche, messa in luce
canto e diaforai; th`~ gnwvmh~ e tou` logi- 680e-681a) e Aristotele (Politica 1285b 7; dallo storico attraverso il riferimento alla
544 POLIBIO
bioteivan toi`~ a[lloi~, oJmovse poiouvmenoi toi`~ polloi`~ ajei; th;n divaitan.
[6] ∆Epei; d∆ ejk diadoch`~ kai; kata; gevno~ ta;~ ajrca;~ paralambavnonte~
e{ toima me;n ei\ con h[dh ta; pro;~ th;n ajsfavleian, e{ toima de; kai; pleivw
tw`n iJkanw`n ta; pro;~ th;n trofhvn, [7] tovte dh; tai`~ ejpiqumivai~ eJpovmenoi
dia; th;n periousivan ejxavllou~ me;n ejsqh`ta~ uJpev-labon dei`n e[cein tou;~ hJ-
goumevnou~ tw`n uJpotattomevnwn, ejxavllou~ de; kai; poikivla~ ta;~ peri; th;n
trofh;n ajpolauvsei~ kai; paraskeuav~, ajnantirrhvtou~ de; kai; para; tw`n
mh; proshkovntwn ta;~ tw`n ajfrodisivwn creiva~ kai; sunousiva~. [8] ∆Ef∆ oi|~
me;n fqovnou genomevnou kai; proskoph`~, ejf∆ oi|~ de; mivsou~ ejkkaiomevnou
kai; dusmenikh`~ ojrgh`~, ejgevneto me;n ejk th`~ basileiva~ turanniv~, ajrch;
de; kataluvsew~ ejgenna`to kai; suvstasi~ ejpiboulh`~ toi`~ hJgoumevnoi~: [9]
h} n oujk ejk tw`n ceirivstwn, ajll∆ ejk tw`n gennaiotavtwn kai; megaloyuco-
tavtwn, e[ti de; qarralewtavtwn ajndrw`n sunevbaine givnesqai dia; to; tou;~
toiouvtou~ h{ kista duvnasqai fevrein ta;~ tw`n ejfestwvtwn u{ brei~.

perché non si comportavano in modo diverso dagli altri, né nel vestire né nel man-
giare e bere, ma avevano un modo di vivere simile a quello del popolo e uniforma-
vano sempre il loro tenore di vita a quello della moltitudine. [6] Ma quando quelli
che ricevettero il regno per diritto di nascita e di successione trovarono già pronti i
mezzi di difesa ed ebbero a portata di mano mezzi di sostentamento superiori al
fabbisogno, [7] allora, cedendo per l’abbondanza in cui si trovavano alle loro bra-
me, pretesero che i principi avessero vestiti diversi dai sudditi, che godessero di un
lusso e di una particolare varietà nell’allestimento e nel servizio dei pranzi, che non
fossero ostacolati nella soddisfazione dei loro piaceri amorosi anche se illeciti. [8]
Suscitando i privilegi invidia e scandalo ed accendendo i soprusi odio ed ira ostile, il
regno si muta in tirannide, si inizia l’opera di disgregazione e sorgono le cospirazio-
ni contro i capi [9] non da parte dei peggiori, ma da parte degli uomini più nobili,
magnanimi ed arditi, perché questi non possono sopportare l’insolenza dei principi.

mancanza di invidia e calunnia, derivante le sue ricchezza, ruppe ogni freno alla sua la forma di governo, si elessero a loro capi
dalla semplicità di costumi dei primi mo- prepotenza e non conobbe più limiti alle due magistrati che duravano in carica un
narchi e dalla loro sostanziale condivisio- sue passioni e alle dissolutezze dei suoi» anno» (tr. di R. Ciaffi).
ne, con i sudditi, dello stesso regime di vita (tr. di A. Resta Barrile). Livio racconta in-
(bioteiva, divaita). fatti (I 57, 6 ss.) come il figlio del re, Sesto 8 s. ∆Ef∆ oi|~ ... u{ brei~: Thornton cit.
Tarquinio, violentò Lucrezia suscitando la III 485 s. ritiene che qui Polibio, o le fonti
6 s. ∆Epei; ... sunousiva~: Polibio indi- rivolta nei confronti del regime. Ancora, in a cui egli si rifà, possa aver pensato anche
vidua il principio della crisi, per il sistema De legibus III 10, 24 Cicerone sottolinea alle circostanze in cui maturò, nell’Atene
monarchico, nel momento in cui i sovrani, come la salvezza dello stato romano dipen- dei Pisistratidi, il tirannicidio di Armodio
liberi da problemi di sicurezza e sostenta- deva dal fatto che i più umili (tenuiores) e Aristogitone, perché, benché Pisistrato
LA STORIOGRAFIA

mento, acquisiscono privilegi rispetto ai ritenevano di essere alla pari con i più il- fosse già un tiranno, il motivo scatenante
più. I commentatori sottolineano come que- lustri (cum principibus). Analogamente furono gli abusi perpetrati dai suoi figli.
sta descrizione di un passato ideale corrotto Sallustio, nella rievocazione delle origini L’accento posto sul valore degli uomini
dall’evoluzione verso il lusso sia topica in di Roma, sostiene sinteticamente (De co- che abbattono la tirannide, ulteriormen-
autori greci e latini: per i primi ricordano niuratione Catilinae 6, 7): «Ma quando il te rimarcato dall’impiego del superlati-
soprattutto Demostene (III Olintiaca 25 s. potere dei re, che al principio aveva avuto vo (gennaiov t atoi, megaloyucov t atoi,
e Contro Aristocrate 206 ss.), per i secondi lo scopo di conservare la libertà e di accre- qarralewvtatoi), prelude allo sviluppo
Cicerone, cfr. ad esempio De re publica II scere la forza dello stato, si trasformò in successivo: al governo del tiranno succede
25 dove si parla di Tarquinio il Superbo: superbo dispotismo (in superbiam domina- quello degli a[ristoi, i migliori.
«Insuperbitosi dunque per le sue vittorie e tionemque) essi (sott. i Romani), mutando
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 545
[8,1] Tou` de; plhvqou~, o{ te lavboi prostavta~, sunepiscuvonto~ kata; tw`n
hJgoumevnwn dia; ta;~ proeirhmevna~ aijtiva~, to; me;n th`~ basileiva~ kai; mo-
narciva~ ei\ do~ a[rdhn ajnhÊrei`to, to; de; th`~ ajristokrativa~ au\ qi~ ajrch;n
ejlavmbane kai; gevnesin. [2] Toi`~ ga;r kataluvsasi tou;~ monavrcou~ oi|on eij
cavrin ejk ceiro;~ ajpodidovnte~ oiJ polloi; touvtoi~ ejcrw`nto prostavtai~
kai; touvtoi~ ejpevtrepon peri; sfw`n. [3] OiJ de; to; me;n prw`ton ajsmenivzon-
te~ th;n ejpitroph;n oujde;n prourgiaivteron ejpoiou`nto tou` koinh`Ê sum-
fevronto~, kai; khdemonikw`~ kai; fulaktikw`~ e{ kasta ceirivzonte~ kai;
ta; kat∆ ijdivan kai; ta; koina; tou` plhvqou~. [4] ”Ote de; diadevxainto pavlin
pai`de~ para; patevrwn th;n toiauvthn ejxousivan, a[peiroi me;n o[nte~ kakw`n,
a[peiroi de; kaqovlou politikh`~ ijsovthto~ kai; parrhsiva~, teqrammevnoi d∆
ejx ajrch`~ ejn tai`~ tw`n patevrwn ejxousivai~ kai; proagwgai`~, [5] oJrmhvsan-
te~ oiJ me;n ejpi; pleonexivan kai; filargurivan a[dikon, oiJ d∆ ejpi; mevqa~ kai;
ta;~ a{ ma tauvtai~ ajplhvstou~ eujwciva~, oiJ d∆ ejpi; ta;~ tw`n gunaikw`n u{ brei~
kai; paivdwn aJrpagav~, metevsthsan me;n th;n ajristokrativan eij~ ojligar-
civan, [6] tacu; de; kateskeuvasan ejn toi`~ plhvqesi pavlin ta; paraplhvsia

[8,1] Per questi motivi il popolo, quando si è procurato dei difensori, unisce le pro-
prie forze contro i governanti e mentre si distrugge completamente ogni forma di
regno e di monarchia, al suo posto prende principio e origine il «governo dei mi-
gliori». [2] Il popolo infatti, come se si tenesse obbligato a pagare subito il proprio
debito di riconoscenza a quelli che avevano abbattuto i monarchi, li sceglie come
capi e ad essi affida il governo. [3] Questi, contentandosi dell’incarico, in un primo
tempo agiscono soltanto in vista dell’utilità pubblica e con sollecitudine e circospe-
zione amministrano gli affari pubblici e privati. [4] Ma quando alla loro volta i figli
ricevono dai padri una tale potenza, inesperti come sono dei mali e del tutto ine-
sperti di uguaglianza politica e libertà di parola, poiché fin dalla nascita sono stati
allevati in mezzo all’autorità e ai privilegi paterni, [5] si abbandonano illecitamente
alcuni alla bramosia del guadagno e all’avidità di danaro, altri all’ubriachezza e alle
insaziabili gozzoviglie che ne sono compagne, altri infine ad atti di violenza contro
donne e a ratti di fanciulli. Così mutano l’aristocrazia in oligarchia [6] e ben presto

8, 1 Tou` dev ... gevnesin: con il nesso ejpitrophv, lett. il «rivolgersi», il «ricor- aristocratica, dei principi di ijsovth~ e par-
to; me;n th`~ basileiva~ kai; monarciva~ ei\ so», poi la «delega». Si noti come, in paral- rhsiva. I due termini, fortemente connotati
do~ Polibio indica il regime monarchico e lelo con la nascita del regime monarchico in senso politico a individuare rispettiva-
la sua degenerazione in tirannia. Nelle Sto- (VI 7, 5), anche gli aristocratici si segnali- mente l’«uguaglianza» e la «libertà di pa-
rie, infatti, egli utilizza monarciva in questo no inizialmente per disinteresse personale rola», indicano concetti che alcuni studiosi
senso di “tirannia”, tranne che in VI 7, 8 nei riguardi del potere e attenzione all’utile ritengono propri delle tre forme costituzio-
LA STORIOGRAFIA

dove opera una distinzione tra la monar- comune (to; koinh/` sumfevron). nali integre, altri considerano invece pecu-
chia delle origini e il regime tirannico. liari del solo regime democratico. Il passo
4-6 ”Ote dev ... ajtuchvmasin: ascesa e presenta paralleli platonici e aristotelici:
2 s. Toi`~ gavr ... plhvqou~: è qui de- caduta della forma costituzionale aristocra- Repubblica 550e-551a «E dunque quanto
scritta la nascita dell’aristocrazia, spiegata tica: come per la monarchia l’abuso di po- più in uno Stato sono tenuti in pregio le
inizialmente (to; me; n prw` t on) come un tere si manifesta nella seconda generazione ricchezze e chi le detiene, tanto più sono
tributo di riconoscenza rivolto dalla mas- (cfr. VI 7, 6) e assume l’aspetto esteriore disprezzati le virtù e gli uomini virtuosi»
sa ai coraggiosi abbattitori della tirannide. di comportamenti odiosi, legati all’avidità, (tr. di R. Radice). Cfr. anche Aristotele,
Il popolo si affida (ejpitrevpw) a costoro, al lusso e alla lussuria. In aggiunta a que- Politica 1316a 40 ss. Si osservi infine la
che accettano volentieri (ajsmenivzw) questa sto Polibio sottolinea il disprezzo, da parte frase che chiude il paragrafo, che appare
546 POLIBIO
toi`~ a[rti rJhqei`si: dio; kai; paraplhvsion sunevbaine to; tevlo~ aujtw`n giv-
nesqai th`~ katastrofh`~ toi`~ peri; tou;~ turavnnou~ ajtuchvmasin.
[9,1] ∆Epeida;n gavr ti~ sunqeasavmeno~ to;n fqovnon kai; to; mi`so~ kat∆
aujtw`n to; para; toi`~ polivtai~ uJpavrcon, ka[peita qarrhvshÊ levgein h]
pravttein ti kata; tw`n proestwvtwn, pa`n e{ toimon kai; sunergo;n lambav-
nei to; plh`qo~. [2] Loipo;n ou} ~ me;n foneuvsante~, ou} ~ de; fugadeuvsan-
te~, ou[te basileva proi?stasqai tolmw`sin, e[ti dediovte~ th;n tw`n provte-
ron ajdikivan, ou[te pleivosin ejpitrevpein ta; koina; qarrou`si, para; povda~
aujtoi`~ ou[sh~ th`~ provteron ajgnoiva~, [3] movnh~ de; sfivsi kataleipomevnh~
ejlpivdo~ ajkeraivou th`~ ejn auJtoi`~ ejpi; tauvthn katafevrontai, kai; th;n me;n
politeivan ejx ojligarcikh`~ dhmokrativan ejpoivhsan, th;n de; tw`n koinw`n
provnoian kai; pivstin eij~ sfa`~ aujtou;~ ajnevlabon. [4] Kai; mevcri me;n a]n e[ti
swvÊzwntaiv tine~ tw`n uJperoch`~ kai; dunasteiva~ pei`ran eijlhfovtwn, ajsme-
nivzonte~ th`Ê parouvshÊ katastavsei peri; pleivstou poiou`ntai th;n ijshgo-
rivan kai; th;n parrhsivan: [5] o{ tan d∆ ejpigevnwntai nevoi kai; paisi; paivdwn

eccitano nel popolo di nuovo sentimenti cattivi simili a quelli che ho già esposto,
per cui la loro caduta finale è simile a quella dei tiranni.
[9,1] Quando infatti qualcuno, accorgendosi dell’astio e dell’odio che i cittadini
provano contro i capi, ha il coraggio di pensare e di agire contro questi, tutto il po-
polo è pronto ad assecondarlo. [2 ]Perciò alcuni sono uccisi, altri mandati in esilio;
ma non si osa eleggere un re per paura che ancora si ha delle precedenti illegalità,
né d’altro canto si vuole affidare il governo agli aristocratici, essendo ancora pre-
senti i precedenti errori. [3] Al popolo tuttavia rimane soltanto la speranza in se
stesso e a questa ricorre; muta la costituzione da aristocratica in democratica ed
assume lui stesso la responsabilità di amministrare la cosa pubblica. [4] Finché ri-
mangono in vita alcuni di quelli che hanno fatto esperienza del dominio oligarchi-
co, si rallegrano della nuova forma costituzionale e tengono in grandissima stima
l’uguaglianza politica e la libertà di parola. [5] Ma quando sopraggiungono le nuo-

«una chiara affermazione del razionalismo vazioni che spingono il popolo a non ri- fianca il venir meno di valori come ugua-
polibiano: a cause analoghe seguono rea- cercare il modello monarchico e quello glianza e libertà di parola, per i quali cfr.
zioni ed esiti analoghi» (Thornton cit. III aristocratico sono la paura (dediov t e~) VI 8, 4-6 (con nota). I due termini sono so-
486). dell’ingiustizia di cui si sono macchiati i vente associati, nelle Storie, per caratteriz-
sovrani divenuti tiranni e l’a[gnoia degli zare regimi democratici, come nel caso del-
9, 1 ∆Epeida;n ... plh`qo~: nascita della oligarchi. Il termine indica propriamente la costituzione degli Achei (II 38, 6): «non
democrazia: qualcuno si oppone agli ari- l’«ignoranza», quindi, con valore più am- è possibile trovare una costituzione politica
stocratici divenuti oligarchi e ne abbatte il pio, lo «sbaglio», il «comportamento er- e dei principi che più di quelli vigenti pres-
potere con l’aiuto del popolo. Gli studiosi rato», cfr. VI 8, 4 dove i figli della prima so gli Achei mirino all’eguaglianza, alla
LA STORIOGRAFIA

ritengono che qui Polibio stia pensando generazione di aristocratici al potere sono libertà di parola e in generale all’autentica
alla storia di Roma, la cui fase oligarchica definiti «inesperti (a[peiroi) dei mali e to- democrazia» (tr. di R. Palmisciano).
coincise con il decemvirato, eliminato do- talmente inesperti dell’uguaglianza politica
po il tentativo di violenza perpetrato da e della libertà di parola». L’evoluzione in 6 s. Loipo;n ... dhmokrativa: il passo
Appio Claudio ai danni di Virginia, il padre senso democratico pare dunque una terza è ricco di termini ed espressioni di ambito
e il fidanzato della quale (Virginio e Icilio) via obbligata. morale: filarcevw significa propriamente
denunciarono i decemviri e agirono contro «amare il comando / il potere», dunque
di loro (cfr. Livio III 44, 1 ss.). 4 s. Kai; mevcri ... uJperevconte~: an- «essere ambizioso»; deleavzw vale «por-
che nel caso della democrazia la decadenza re un’esca», quindi «adescare»: Walbank
2 s. Loipo; n ... aj n ev l abon: le moti- è legata al tentativo di arricchirsi, cui si af- 1957, I 657 segnala come questo verbo ri-
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 547
pavlin hJ dhmokrativa paradoqh`Ê, tovt∆ oujkevti dia; to; suvnhqe~ ejn megavlwÊ
tiqevmenoi to; th`~ ijshgoriva~ kai; parrhsiva~ zhtou`si plevon e[cein tw`n
pollw`n: mavlista d∆ eij~ tou`t∆ ejmpivptousin oiJ tai`~ oujsivai~ uJperevconte~.
[6] Loipo;n o{ tan oJrmhvswsin ejpi; to; filarcei`n kai; mh; duvnwntai di∆ auJtw`n
kai; dia; th`~ ijdiva~ ajreth`~ tugcavnein touvtwn, diafqeivrousi ta;~ oujsiva~,
deleavzonte~ kai; lumainovmenoi ta; plhvqh kata; pavnta trovpon. [7] ∆Ex w|n
o{ tan a{ pax dwrodovkou~ kai; dwrofavgou~ kataskeuavswsi tou;~ pollou;~
dia; th;n a[frona doxofagivan, tovt∆ h[dh pavlin to; me;n th`~ dhmokrativa~
kataluvetai, meqivstatai d∆ eij~ bivan kai; ceirokrativan hJ dhmokrativa.
[8] Suneiqismevnon ga;r to; plh`qo~ ejsqivein ta; ajllovtria kai; ta;~ ejlpivda~
e[cein tou` zh`n ejpi; toi`~ tw`n pevla~, o{ tan lavbhÊ prostavthn megalovfrona
kai; tolmhrovn, ejkkleiovmenon de; dia; penivan tw`n ejn th`Ê politeivaÊ timivwn,
[9] tovte dh; ceirokrativan ajpotelei`, kai; tovte sunaqroizovmenon poiei`

ve generazioni e la democrazia viene tramandata ai figli dei figli, allora questi sono
così abituati alla libertà e all’uguaglianza che non le stimano più e cominciano ad
aspirare alla supremazia sul popolo. Soprattutto cadono in questo errore quelli che
sono dotati di maggiore ricchezza. [6] Così quando essi cominciano a bramare il
potere, ma non possono conseguirlo da loro stessi e con il proprio valore, mandano
in rovina le proprie sostanze, adescando e corrompendo con tutti i mezzi la molti-
tudine. [7] Quindi una volta che con la loro forsennata brama di onori hanno reso
il popolo venale e avido di doni, si scioglie a sua volta il governo democratico e la
democrazia si muta in un governo dispotico e violento. [8] Il popolo infatti, abitua-
tosi a consumare i pasti offerti dagli altri e a riporre ogni possibilità di vita negli
averi del prossimo, quando trova un capo audace e di grandi idee, escluso per la
sua povertà dalle cariche pubbliche, [9] instaura il dominio della forza bruta e

torni spesso in Polibio ad indicare azioni lett. «fame di gloria», di cui sono colpevoli, che il plh`qo~ riceve sempre donativi dai
demagogiche che tendono all’oclocrazia, agli occhi di Polibio, i democratici dissoluti governanti democratici, ogni volta che
come in XXXII 6, 2, dove è detto dei cit- e corruttori. A questo punto la democrazia essi «spogliano i cittadini abbienti dei
tadini di Fenice, abbindolati da Caropo e si trasforma nel potere della violenza (biva) loro averi e ne distribuiscono al popolo,
spinti ad istituire un regno del terrore, o in e della forza (ceivr, lett. «mano»): al riguar- tenendo per sé la parte maggiore» (tr. di
XXXVIII 11, 11 della gente del Pelopon- do Musti (Polibio. Storie, I, Milano 2001, G. Caccia). Gli studiosi discutono se in
neso sedotta da Critolao. Spesso è associa- 38) osserva che in ceirokrativa il valore questo passo Polibio abbia in mente la si-
to, come qui, a lumaivnomai: un significato letterale di «dominio delle mani», cioè del- tuazione di Roma, prospettando quasi una
parallelo è in IV 15, 8, dove degli Etoli la forza bruta, è forse anche il «dominio profezia dei fatti che caratterizzeranno
si afferma che intendevano «corrompere dei “peggiori” – cheir- è alla base sia del l’ultimo secolo della repubblica, o piutto-
(fqeiv r ein) e far degenerare (lumaiv n e- comparativo cheirones, sia del superlativo sto quella degli stati greci, a lui ben nota:
sqai) le alleanze degli Achei». Significa- cheiristoi –, con un’ambivalenza voluta, o cfr. soprattutto IV 17, 4, dove lo storico
tivi sono anche i due aggettivi dwrodovko~ almeno non evitata, atta a raddoppiare il discute dei conflitti sorti a Cineta, in Ar-
LA STORIOGRAFIA

e dwrofavgo~: il primo è connesso a dwro- valore negativo del termine e l’effetto di cadia, i cui abitanti «da molto tempo erano
dokevw, il verbo tecnico della corruzione istituire un’antitesi letterale ad aristocra- in balia di gravi e incessanti rivolte inter-
(lett. «accettare un dono», quindi «farsi zia». ne e avevano compiuto gli uni contro gli
corrompere»), mentre il secondo vale lett. altri massacri (sfagav~) e decretato esilii
«divoratore di doni» e compare, prima di 8 s. Suneiqismev n on ... mov n arcon: (fugav~), e, inoltre, confische illegali di
questo passo, solo nelle Opere e Giorni di la descrizione del comportamento de- beni e, ancora, redistribuzioni di terre (aj-
Esiodo (vv. 221, 264), come attributo dei magogico come dilapidazione dei beni nadasmouv~)» (tr. di C. Tartaglini). Con il
re avidi e arroganti. La stessa immagine altrui è un topos nei testi che presentano ritorno allo stato ferino si compie definiti-
del “mangiare” come simbolo di arrogante la decadenza del regime democratico, cfr. vamente il ciclo delle costituzioni, cfr. VI
avidità ritorna nel successivo doxofagiva, Platone, Repubblica 565a, dove si spiega 5, 9 zw/hdo;n sunaqroizomevnwn.
548 POLIBIO
sfagav~, fugav~, gh`~ ajnadasmouv~, e{ w~ a]n ajpoteqhriwmevnon pavlin eu{ rhÊ
despovthn kai; movnarcon.
[10] Au{ th politeiw`n ajnakuvklwsi~, au{ th fuvsew~ oijkonomiva, kaq∆ h} n
metabavllei kai; meqivstatai kai; pavlin eij~ auJta; katanta`Ê ta; kata; ta;~
politeiva~. [11] Tau`tav ti~ safw`~ ejpegnwkw;~ crovnoi~ me;n i[sw~ dia-
marthvsetai levgwn uJpe;r tou` mevllonto~ peri; politeiva~, to; de; pou` th`~
aujxhvsew~ e{ kastovn ejstin h] th`~ fqora`~ h] pou` metasthvsetai spanivw~
a]n diasfavlloito, cwri;~ ojrgh`~ h] fqovnou poiouvmeno~ th;n ajpovfasin.
[12] Kai; mh;n periv ge th`~ ÔRwmaivwn politeiva~ kata; tauvthn th;n ejpivsta-
sin mavlist∆ a]n e[lqoimen eij~ gnw`sin kai; th`~ sustavsew~ kai; th`~ aujxhvsew~
kai; th`~ ajkmh`~, oJmoivw~ de; kai; th`~ eij~ tou[mpalin ejsomevnh~ ejk touvtwn
metabolh`~: [13] eij gavr tina kai; eJtevran politeivan, wJ~ ajrtivw~ ei\ pa, kai;
tauvthn sumbaivnei, kata; fuvsin ajp∆ ajrch`~ e[cousan th;n suvstasin kai;
th;n au[xhsin, kata; fuvsin e{ xein kai; th;n eij~ tajnantiva metabolhvn. [14]
Skopei`n d∆ ejxevstai dia; tw`n meta; tau`ta rJhqhsomevnwn.
[10,1] Nu`n d∆ ejpi; bracu; poihsovmeqa mnhvmhn uJpe;r th`~ Lukouvrgou nomo-

unendo le proprie forze commette massacri, manda in esilio e si spartisce le terre,


finché ridotto allo stato primitivo non trova di nuovo un padrone e un monarca.
[10] Questa è la rotazione delle costituzioni; questa è la legge naturale per cui le
forme politiche si trasformano, decadono e ritornano al punto di partenza. [11]
Chiunque conosca bene questa dottrina, parlando del futuro di uno stato, forse po-
trà commettere errori sulla durata, ma se giudica con perfetta obiettività, difficil-
mente si sbaglierà nello stabilire in qual punto dello sviluppo o della decadenza si
trovi uno stato o come si trasforma.
[12] Specialmente nel caso dello stato romano con questo metodo verremo a cono-
scenza del suo sorgere, della sua espansione e della massima sua potenza, come della
decadenza che ne seguirà. [13] Come infatti ho già detto, anche questo stato, che
come ogni altro si è formato e sviluppato secondo natura, subirà un naturale processo
di decadenza. [14] Tuttavia sarà possibile rendersene conto da quanto dirò.
[10,1] Ora brevemente tratterò della legislazione di Licurgo, soggetto non estraneo

10 s. Au{ t h ... aj p ov f asin: Walbank monta a Platone (Leggi 691b), anche se gli mento di suo massimo splendore e infine a
1957, I 658 osserva come il termine ajna- studiosi non escludono l’influsso del pen- VI 57 per i riferimenti alla sua decadenza.
kuvklwsi~ sia in greco piuttosto raro: Ero- siero stoico, riscontrabile ad esempio nella Si osservi ancora il ripetersi dell’espressione
diano IV 2, 9 lo utilizza in senso proprio personificazione della natura. Riguardo in- kata; fuvsin, che sottolinea come naturale
di «evoluzione» della cavalleria, mentre fine alla possibilità di formulare previsioni ogni processo di sviluppo e decadenza degli
per l’impiego polibiano è più probabile sulla base della conoscenza del ciclo costi- organismi costituzionali e contempla quindi
LA STORIOGRAFIA

l’influenza del platonico aj n akuv k lhsi~ tuzionale, anche qui Polibio ripete quanto come plausibile anche la decadenza della
(Politico 269e), che indica il movimento già affermato in VI 4, 11-13. costituzione romana.
dell’universo. In realtà è ipotizzabile che lo
storico greco abbia mutuato l’espressione 12-14 Kai; mh;n ... rJhqhsomevnwn: se- 10, 1 s. Nu`n ... kakivan: la figura di Li-
da una fonte più popolare che può averla condo Walbank 1957, I 659 le ultime parole curgo e la sua opera di legislatore rimonta-
inventata come più distintiva rispetto a che chiudono il capitolo rimanderebbero no alla tradizione spartana più antica, dai
kuv k lo~. Che l’anaciclosi, lett. «ricicla- alla cosiddetta “archeologia” di VI 11a per tratti leggendari: dopo aver dato un codice
mento», sia fenomeno naturale è più volte quanto riguarda la nascita e lo sviluppo della di leggi ai suoi concittadini e averli fatti
ribadito in questo libro delle Storie, cfr. VI costituzione romana, quindi a VI 11-18 per giurare di rispettarle anche in sua assen-
4, 7; 4, 9; 6, 2; 7, 1, secondo un’idea che ri- l’illustrazione del sistema romano nel mo- za, si allontanò dalla patria per non essere
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 549
qesiva~: e[sti ga;r oujk ajnoivkeio~ oJ lovgo~ th`~ proqevsew~. [2] ∆Ekei`no~
ga;r e{ kasta tw`n proeirhmevnwn sunnohvsa~ ajnagkaivw~ kai; fusikw`~
ejpitelouvmena kai; sullogisavmeno~ o{ ti pa`n ei\ do~ politeiva~ aJplou`n
kai; kata; mivan sunesthko;~ duvnamin ejpisfale;~ givnetai dia; to; tacevw~
eij~ th;n oijkeivan kai; fuvsei parepomevnhn ejktrevpesqai kakivan: [3] ka-
qavper ga;r sidhvrwÊ me;n ijov~, xuvloi~ de; qri`pe~ kai; terhdovne~ sumfuei`~
eijsi lu`mai, di∆ w|n, ka]n pavsa~ ta;~ e[xwqen diafuvgwsi blavba~, uJp∆ aujtw`n
fqeivrontai tw`n suggenomevnwn, [4] to;n aujto;n trovpon kai; tw`n politeiw`n
suggenna`tai kata; fuvsin eJkavsthÊ kai; parevpetaiv ti~ kakiva, basileivaÊ
me;n oJ monarciko;~ legovmeno~ trovpo~, [5] ajristokrativaÊ d∆ oJ th`~ ojligar-
civa~, dhmokrativaÊ d∆ oJ qhriwvdh~ kai; ceirokratikov~, eij~ ou} ~ oujc oi|ovn te
mh; ouj pavnta ta; proeirhmevna su;n crovnwÊ poiei`sqai ta;~ metastavsei~
kata; to;n a[rti lovgon. [6] ’A proi>dovmeno~ Lukou`rgo~ oujc aJplh`n oujde; mo-
noeidh` sunesthvsato th;n politeivan, ajlla; pavsa~ oJmou` sunhvqroize ta;~
ajreta;~ kai; ta;~ ijdiovthta~ tw`n ajrivstwn politeumavtwn, [7] i{ na mhde;n

al piano dell’opera. [2] Licurgo aveva notato che ciascuna delle suddette trasforma-
zioni si compiva necessariamente e naturalmente e considerava che ogni governo
semplice e fondato su un solo principio era precario, perché ben presto si muta nel-
la forma corrotta che gli corrisponde e che viene dopo per forza di natura. [3] Co-
me infatti la ruggine è il male congenito al ferro, del legno invece i tarli e le tignole,
per cui anche se riescono a sfuggire tutti i danni esterni, sono consumati dal male
che essi generano, [4] allo stesso modo con ogni costituzione nasce un male natura-
le da essa inseparabile: con il regno il dispotismo, [5] con l’aristocrazia l’oligarchia,
con la democrazia il governo brutale e violento, e in queste forme, come già ho
detto, è impossibile che non si mutino col tempo tutte le costituzioni. [6] Ora Li-
curgo, in considerazione di ciò, non stabilì una costituzione semplice e uniforme,
ma riunì tutti i pregi e le caratteristiche dei sistemi politici eccellenti, [7] in modo

costretto ad introdurre dei cambiamenti 1957, I 659). Più stringente appare invece da una fusione armonica e temperata delle
legislativi. Polibio attribuisce anacronisti- l’identificazione del tema in un frammento prime tre forme di governo. (…) Una co-
camente a Licurgo la conoscenza dell’ana- di Menandro (761 Kassel-Austin), propo- stituzione politica di questo genere ha il
ciclosi. sta da P. Cauderlier-M. Menu, Polybe, Hi- vantaggio anzitutto di mantenere un certo
stoires VI, 10, 3, in «Revue de philologie, equilibrio nella distribuzione dei poteri,
3-5 kaqavper ... lovgon: i commenta- de littérature et d’histoire ancienne» LV, condizione della quale i popoli liberi non
tori fanno rilevare l’impiego platonico del- 1981, 313-318) sulla cui scia si può ritene- possono a lungo fare a meno; ed in secondo
la stessa similitudine, nella dimostrazione re che Menandro e Polibio avrebbero dato luogo, questa forma di governo ha la stabi-
dell’immortalità dell’anima (Repubblica applicazione pratica, l’uno a proposito de- lità, mentre le altre forme degenerano facil-
608e-609a): «E non riconosci che esiste un gli individui, l’altro a proposito degli stati, mente in forme contrarie» (tr. di A. Resta
male e un bene per ogni cosa? Ad esempio ad un principio di origine filosofica (Thor- Barrile). In realtà per Polibio anche que-
LA STORIOGRAFIA

l’oftalmia per gli occhi, la malattia per tutto nton cit. III 488). sta forma «quasi paradossalmente, data la
quanto il corpo, la golpe per il grano, la pu- funzione di stabilità che la mikté come tale
tredine per il legno, la ruggine per il bronzo 6 Ἃ ... politeumavtwn: si tratta della dovrebbe assolvere» (Musti 1988, 1170),
e il ferro; insomma quasi ogni essere ha cosiddetta forma «mista» (mikthv), costitu- è destinata ad evolversi, come dimostra il
un difetto e un male congenito?» (tr. di G. ita dalle migliori caratteristiche dei tre tipi caso cartaginese, in cui la costituzione, pur
Caccia). In realtà le differenze presenti in tradizionali integri (monarchia, aristocra- essendo di forma mista, si sta trasformando
Polibio farebbero piuttosto pensare all’esi- zia, democrazia). Di essa parla anche Ci- già in direzione democratica (VI 51).
stenza di una tradizione comune, che si cerone nel De re publica (I 45): «superiore
pensava potere forse identificare nel sofista allo stesso regime monarchico sarà quella 7 i{na ... polivteuma: il passo esprime
Antifonte o in Empedocle (cfr. Walbank forma di costituzione politica che risulterà efficacemente il concetto di equilibrio su
550 POLIBIO
aujxanovmenon uJpe;r to; devon eij~ ta;~ sumfuei`~ ejktrevphtai kakiva~, ajnti-
spwmevnh~ de; th`~ eJkavstou dunavmew~ uJp∆ ajllhvlwn mhdamou` neuvhÊ mhd∆ ejpi;
polu; katarrevphÊ mhde;n aujtw`n, ajll∆ ijsorropou`n kai; zugostatouvmenon
ejpi; polu; diamevnhÊ kata; to;n th`~ ajntiploiva~ lovgon ajei; to; polivteuma,
[8] th`~ me;n basileiva~ kwluomevnh~ uJperhfanei`n dia; to;n ajpo; tou` dhv-
mou fovbon, dedomevnh~ kai; touvtwÊ merivdo~ iJkanh`~ ejn th`Ê politeivaÊ, [9]
tou` de; dhvmou pavlin mh; qarrou`nto~ katafronei`n tw`n basilevwn dia;
to;n ajpo; tw`n gerovntwn fovbon, oi} kat∆ ejklogh;n ajristivndhn kekrimev-
noi pavnte~ e[mellon ajei; tw`Ê dikaivwÊ prosnevmein eJautouv~, [10] w{ ste th;n
tw`n ejlattoumevnwn merivda dia; to; toi`~ e[qesin ejmmevnein, tauvthn ajei; giv-
nesqai meivzw kai; barutevran th`Ê tw`n gerovntwn prosklivsei kai; rJoph`Ê.
[11] Toigarou`n ou{ tw~ susthsavmeno~ plei`ston w|n hJmei`~ i[smen crovnon

che nessuno di essi, acquistando una forza maggiore del necessario, deviasse verso i
mali congeniti, ma in modo che la forza dell’uno neutralizzando quella degli altri, i
diversi poteri si equilibrassero, nessuno eccedesse e il sistema politico rimanesse lun-
gamente in perfetto equilibrio, a guisa di nave che vince la forza di un’opposta
corrente. [8] In tal modo il regno trovava un ostacolo ad una condotta insolente
nella paura che aveva del popolo, al quale era concessa un’adeguata partecipazione
al governo, [9] né d’altra parte il popolo aveva il coraggio di insolentire contro i re,
per paura del senato, i cui membri scelti tutti secondo il merito dovevano stare sem-
pre per la giustizia, [10] così che la parte che diveniva più debole, mantenendo i
costumi tradizionali, acquistava potere e influenza per il sostegno e l’influsso dei
senatori. [11] Avendo dunque Licurgo con questi criteri formato la costituzione,

cui si fonda la costituzione mista: ajnti- analizzerà, l’equilibrio della forma mista e Europontidi. Questo motivo del fovbo~
spavw vale infatti lett. «tirare in senso con- è garantito dal bilanciamento dei poteri di che evita la rovina degli stati è presente in
trario» e indica con efficacia il bilanciarsi consoli (monarchico), senato (aristocrati- Aristotele (Politica 1308a 25); più in ge-
equilibrato delle diverse esigenze di mo- co), comizi (democratico). Walbank 1957, nerale, sui vantaggi che comporta la paura,
narchia, aristocrazia e democrazia. A ga- I 661 ricorda come l’idea che la costituzio- cfr. Senofonte, Memorabili III 5, 5 «L’ec-
rantire la durata di questa forma è quindi il ne di Licurgo avesse stabilito un sistema cessiva fiducia in sé infatti produce incuria,
sistema di compensazione delle forze, che di equilibrio con l’istituzione del consiglio faciloneria, indisciplina, mentre la paura fa
determina la stabilità dell’assetto generale: dei gevronte~, si trova in Plutarco (Licurgo gli uomini più cauti, più docili verso l’ob-
ijsorropou`n e zugostatouvmenon sono in- 5, 11): «Fino ad allora il governo della città bedienza e la disciplina» (tr. di A. Santoni).
fatti participi presenti neutri rispettivamen- oscillava: ora inclinava dalla parte dei re e Nel mondo romano si ricorda in particolare
te attivo di ijsorropevw («essere in equili- correva verso la tirannide, ora dalla parte Sallustio, Bellum Iugurthinum 41, 2: prima
brio») e passivo di zugostatevw («essere delle masse, verso la democrazia. Licurgo della distruzione di Cartagine del 146 il
sulla bilancia»). Anche nell’espressione vi pose al centro il Consiglio degli Anziani metus Punicus manteneva Roma in bonis
«affinché … nessuna di loro tendesse o con la funzione di una zavorra, che garan- artibus «sulla retta via».
si abbattesse fortemente dall’altra parte» tisse alla nave dello stato un equilibrio e un
è implicita la metafora dei due piatti del- ordine perfetto. Infatti i ventotto Anziani 9-11 tou` de; dhvmou ... ejleuqerivan:
LA STORIOGRAFIA

la bilancia. È discusso dagli studiosi (e si schieravano sempre dalla parte dei re, nella costituzione spartana i ventotto mem-
perlopiù emendato) il problematico th`~ quando occorreva contrastare il potere del bri della gerousiva costituivano la parte
ajntiploiva~, lett. «della navigazione con- popolo, e viceversa rafforzavano il popolo aristocratica. Per «la parte che era più de-
trocorrente», altrove non attestato. Se con- per impedire il sorgere della tirannide» (tr. bole» si intende invece qui la monarchia,
servato si deve tradurre «a guisa di nave di C. Carena). che, con la creazione dei geronti, guadagna
che resiste alle correnti» (Schick 1970, potere contro il popolo. È proprio sul terre-
443), altrimenti si suggerisce di corregge- 8 th`~ me;n basileiva~ ... politeivaÊ: no della durata che la costituzione mista si
re, seguendo Reiske, in th`~ ajntipaqeiv-a~ letteralmente basileiva è il regime mo- oppone alle forme pure, anche se ciò non
(«il principio della contrapposizione»). narchico: a Sparta vi erano due re, scelti significa che sia eterna: per Polibio essa
Nel sistema romano, che in seguito Polibio tra i membri delle famiglie degli Agiadi semplicemente ritarda, più di ogni altra
IL CICLO DELLE COSTITUZIONI 551
diefuvlaxe toi`~ Lakedaimonivoi~ th;n ejleuqerivan. [12] ∆Ekei`no~ me;n ou\ n
lovgwÊ tini; proi>dovmeno~ povqen e{ kasta kai; pw`~ pevfuke sumbaivnein, aj-
blabw`~ sunesthvsato th;n proeirhmevnhn politeivan: [13] ÔRwmai`oi de; to;
me;n tevlo~ taujto; pepoivhntai th`~ ejn th`Ê patrivdi katastavsew~, [14] ouj
mh;n dia; lovgou, dia; de; pollw`n ajgwvnwn kai; pragmavtwn, ejx aujth`~ ajei; th`~
ejn tai`~ peripeteivai~ ejpignwvsew~ aiJrouvmenoi to; bevltion, ou{ tw~ h\ lqon
ejpi; taujto; me;n LukouvrgwÊ tevlo~, kavlliston de; suvsthma tw`n kaq∆ hJma`~
politeiw`n.

difese la libertà degli Spartani per un periodo di tempo maggiore che alcun altro
popolo conosciuto, [12] e prevedendo per forza di ragionamento l’origine e il mo-
do di comportarsi di ogni forma politica, creò quella costituzione evitando ogni
danno. [13] I Romani per quanto riguarda la loro costituzione raggiunsero lo stes-
so risultato; [14] tuttavia vi arrivarono non con un semplice ragionamento, ma at-
traverso grandi lotte ed agitazioni; l’esperienza fatta sempre a proprie spese indicò
loro quale fosse il partito migliore da scegliere; così giunsero allo stesso risultato di
Licurgo, cioè al migliore sistema di governo esistente.
[Tr. di G.B. Cardona]

forma, il processo inevitabile e naturale di bile, quello dovuto ai rovesci altrui più in- dei singoli individui che avevano ordinato
decadenza. nocuo (ajblabevsteron)» (tr. di M. Mari). il proprio Stato con proprie leggi e istitu-
I Romani, invece, hanno affrontato diverse zioni (…) mentre per contro il nostro Stato
12-14 ∆Ekei`no~ ... politeiw`n: il pas- esperienze, ricche di scontri e di vicissitu- non fu ordinato dalla genialità di uno solo,
so pone a confronto la costituzione mista dini, per giungere allo stesso risultato: con ma di molti, e non nello spazio di una sola
di Licurgo e quella romana, frutto di diver- ajgw`ne~ e pravgmata Polibio definisce gli vita umana, ma di alquanti secoli e genera-
si percorsi: il legislatore spartano è infatti scontri e i conflitti che hanno scosso la zioni» (tr. di L. Ferrero). Walbank 1957, I
pervenuto a questa formulazione lovgwÊ ti- società romana nel passaggio dal sistema 662 ritiene che in questo passo Polibio si
niv, considerando cioè le esperienze altrui, il monarchico alla repubblica. Cicerone, nel limiti a registrare i differenti percorsi che
che gli ha consentito di evitare danni, cfr. I De re publica (II 1, 2), confrontando a sua hanno portato Licurgo e i Romani alla co-
37, 7: «se si considera, infatti, che esistono volta i sistemi costituzionali di Creta, Spar- stituzione mista, senza che vi sia in lui un
per tutti gli uomini due modi di cambiare ta e Atene con quello romano, ricorda co- giudizio implicito, a favore di Roma, come
in meglio – mettendo a frutto le proprie me Catone fosse solito dire che Roma su- pensano vari altri studiosi, in virtù della
sventure e quelle altrui –, il cambiamento perava nella costituzione tutte le altre città gradualità e dell’empiria con cui giunse al-
dovuto ai rovesci personali risulta più visi- «perché in quelle erano stati generalmente la mikté.

Analisi del testo


Il meccanismo dell’ajnakuvklwsi~ è molto chiaro: c’è una «ro- «fusione moderata» (metriva ... xuvgkrasi~), mentre Platone
tazione» delle sei costituzioni possibili, dalla monarchia fino vede in termini analoghi (Leggi IV, 712d-e) quella costituzione
all’oclocrazia, in quanto da una forma-base (governo dell’uno, spartana di cui Aristotele ribadisce che riceve le lodi di alcuni
dei pochi, dei molti) si passa a quella successiva attraverso il in quanto meglio di altre si conforma all’ideale secondo cui «la
corrompersi di ciascuna nella sua forma degenere. migliore fra le costituzioni deve essere commista di tutte le
LA STORIOGRAFIA

Nulla di originale in tutto questo. Polibio stesso cita Platone altre» (Politica II 6, 1565b33 ss.).
(che ad es. nel Politico [291d e 302c] ricordava sia le forme Infine, la teoria del cambiamento (metabolhv) come meta-
fondamentali sia le rispettive degenerazioni), e un’impostazio- morfosi di una forma di governo nell’altra trova riscontro sia
ne largamente comparabile era già nel dibattito erodoteo che nella Repubblica platonica (VIII, 544c) sia soprattutto, per
porta all’ascesa al trono di Dario (III 80 ss.), in Isocrate, in l’aggiungersi di una linea evoluzionistica che tende a confi-
Eschine e in altri autori del V e del IV secolo. gurarsi come un cerchio che si chiude su se stesso, in Aristo-
Anche l’idea della costituzione mista risale al V secolo: in Tu- tele, Etica Nicomachea VIII, 1160b10 ss., dove troviamo uno
cidide VIII 97, 2 la costituzione di Teramene è elogiata come schema ormai del tutto simile a quello di Polibio (monarchia-
552 POLIBIO

tirannide, aristocrazia-oligarchia, timocrazia democrazia). me tradizionali, non durerà per sempre, ma – come è detto a
D’altra parte il quadro offerto da Polibio non è così semplice e, più riprese, ad esempio in VI 9, 13 – avrà fine anch’essa: que-
come ha osservato F.W. Walbank (I 636-663), all’interno stes- sto proprio perché, pur essendo almeno teoricamente sottratta
so della teoria dell’anakyklosis si profilano notazioni nuove e al pericolo di prevaricazione di una componente dello stato
linee in parte divergenti rispetto allo schema di base. Innanzi sull’altra, non è affatto sottratta a quella legge dello sviluppo
tutto, l’idea dell’evoluzione come un processo di corruzione/ biologico che, come appena si è detto, Polibio ha introdotto
degenerazione della singola forma “buona” appare abbinata, accanto al movimento di “rotazione” costituzionale.
non senza una certa contraddizione, sia a una teoria antro- Sono dissonanze, e più o meno marcate tensioni teoriche, die-
pologica generale che verte sullo sviluppo e sull’espansione tro le quali stava in realtà una situazione storica nel cui ambito
del genere umano, sia a un modello biologico che, essendo avevano cominciato ad emergere i segni di una crisi sociale e
caratterizzato dalle fasi di crescita-acme-decadenza, non può politica che di lì a poco sarebbe esplosa intorno al movimento
comunque collimare con lo sviluppo che informa le tappe graccano (ad es. in XXXI 25-29 si fa riferimento alla corruzio-
dell’anakyklosis. Inoltre anche la costituzione mista, che pur ne della gioventù romana in seguito alle ricchezze provenienti
dovrebbe garantire lo stato romano dalla decadenza delle for- dalla conquista della Grecia).
LA STORIOGRAFIA
OBIETTIVITÀ DELLO STORICO 553

A tu per tu con… Polibio


Problemi di natura metodologica
V. 1 Non ci si Nella ricostruzione storica delle vicende della prima guerra punica, sia Filino,
può lasciar sia Fabio Pittore si sono lasciati pesantemente condizionare dalla simpatia nei
condizionare
dalle proprie confronti dell’uno o dell’altro contendente. Un atteggiamento del genere, tipico
simpatie degli innamorati, non può essere accettato da chi vuole condurre una seria in-
dagine storiografica.

Παρωξύνθην ἐπιστῆσαι τούτῳ τῷ πολέμῳ καὶ διὰ τὸ τοὺς ἐμπειρότατα


δοκοῦντας γράφειν ὑπὲρ αὐτοῦ, Φιλῖνον καὶ Φάβιον, μὴ δεόντως ἡμῖν
ἀπηγγελκέναι τὴν ἀλήθειαν. Ἑκόντας μὲν οὖν ἐψεῦσθαι τοὺς ἄνδρας
οὐχ ὑπολαμβάνω, στοχαζόμενος ἐκ τοῦ βίου καὶ τῆς αἱρέσεως αὐτῶν·
δοκοῦσι δέ μοι πεπονθέναι τι παραπλήσιον τοῖς ἐρῶσι. Διὰ γὰρ τὴν
αἵρεσιν καὶ τὴν ὅλην εὔνοιαν Φιλίνῳ μὲν πάντα δοκοῦσιν οἱ Καρχηδό-
νιοι πεπρᾶχθαι φρονίμως, καλῶς, ἀνδρωδῶς, οἱ δὲ Ῥωμαῖοι τἀναντία,
Φαβίῳ δὲ τοὔμπαλιν τούτων. Ἐν μὲν οὖν τῷ λοιπῷ βίῳ τὴν τοιαύτην
ἐπιείκειαν ἴσως οὐκ ἄν τις ἐκβάλλοι· καὶ γὰρ φιλόφιλον εἶναι δεῖ τὸν
ἀγαθὸν ἄνδρα καὶ φιλόπατριν καὶ συμμισεῖν τοῖς φίλοις τοὺς ἐχθροὺς
καὶ συναγαπᾶν τοὺς φίλους.

V. 2 Obiettività Quando le esigenze dell’obiettività lo impongono, lo storico non deve esitare a


dello storico criticare gli amici e ad elogiare i nemici, perché, se alla ricostruzione storica si
toglie la verità, non rimangono altro che vuote chiacchiere, prive di senso.

Ὅταν δὲ τὸ τῆς ἱστορίας ἦθος ἀναλαμβάνῃ τις, ἐπιλαθέσθαι χρὴ πά-


ντων τῶν τοιούτων1 καὶ πολλάκις μὲν εὐλογεῖν καὶ κοσμεῖν τοῖς μεγί-
στοις ἐπαίνοις τοὺς ἐχθρούς, ὅταν αἱ πράξεις ἀπαιτῶσι τοῦτο, πολλά-
κις δ’ ἐλέγχειν καὶ ψέγειν ἐπονειδίστως τοὺς ἀναγκαιοτάτους, ὅταν αἱ
τῶν ἐπιτηδευμάτων ἁμαρτίαι τοῦθ’ ὑποδεικνύωσιν. Ὥσπερ γὰρ ζῴου
τῶν ὄψεων ἀφαιρεθεισῶν ἀχρειοῦται τὸ ὅλον, οὕτως ἐξ ἱστορίας ἀναι-
ρεθείσης τῆς ἀληθείας τὸ καταλειπόμενον αὐτῆς ἀνωφελὲς γίνεται δι-
LA STORIOGRAFIA

ήγημα. Διόπερ οὔτε τῶν φίλων κατηγορεῖν οὔτε τοὺς ἐχθροὺς ἐπαινεῖν
ὀκνητέον, οὔτε δὲ τοὺς αὐτοὺς ψέγειν, ποτὲ δ’ ἐγκωμιάζειν εὐλαβητέ-
ον, ἐπειδὴ τοὺς ἐν πράγμασιν ἀναστρεφομένους οὔτ’ εὐστοχεῖν αἰεὶ
δυνατὸν οὔθ’ ἁμαρτάνειν συνεχῶς εἰκός. Ἀποστάντας οὖν τῶν πραττό-

1. τῶν τοιούτων: vedi la conclusione del brano precedente, cui questo è immediatamente collegato.
554 A TU PER TU CON... POLIBIO
ντων αὐτοῖς τοῖς πραττομένοις ἐφαρμοστέον τὰς πρεπούσας ἀποφά-
σεις καὶ διαλήψεις ἐν τοῖς ὑπομνήμασιν.

V. 3 Inizio, causa Usando uno schema che prende le mosse da Tucidide, ma che se ne differenzia
e pretesto per lo scambio di connotazioni fra πρόφασις e αἰτία, Polibio propone una ri-
gorosa distinzione fra la causa vera, il pretesto e l’inizio delle vicende di guerra.

Ἔνιοι δὲ τῶν συγγεγραφότων τὰς κατ’ Ἀννίβαν πράξεις βουλόμενοι


τὰς αἰτίας ἡμῖν ὑποδεικνύναι, δι’ ἃς Ῥωμαίοις καὶ Καρχηδονίοις ὁ προ-
ειρημένος ἐνέστη πόλεμος, πρώτην μὲν ἀποφαίνουσι τὴν Ζακάνθης πο-
λιορκίαν ὑπὸ Καρχηδονίων, δευτέραν δὲ τὴν διάβασιν αὐτῶν παρὰ τὰς
συνθήκας τοῦ προσαγορευομένου παρὰ τοῖς ἐγχωρίοις Ἴβηρος ποτα-
μοῦ·1 ἐγὼ δὲ ταύτας ἀρχὰς μὲν εἶναι τοῦ πολέμου φήσαιμ’ ἄν, αἰτίας γε
μὴν οὐδαμῶς ἂν συγχωρήσαιμι. Ἔστιν ἀνθρώπων τὰ τοιαῦτα μὴ διειλη-
φότων ἀρχὴ τί διαφέρει καὶ πόσον διέστηκεν αἰτίας καὶ προφάσεως,
καὶ διότι τὰ μέν ἐστι πρῶτα τῶν ἁπάντων, ἡ δ’ ἀρχὴ τελευταῖον τῶν
εἰρημένων. Ἐγὼ δὲ παντὸς ἀρχὰς μὲν εἶναί φημι τὰς πρώτας ἐπιβολὰς
καὶ πράξεις τῶν ἤδη κεκριμένων, αἰτίας δὲ τὰς προκαθηγουμένας τῶν
κρίσεων καὶ διαλήψεων· λέγω δ’ ἐπινοίας καὶ διαθέσεις καὶ τοὺς περὶ
ταῦτα συλλογισμοὺς καὶ δι’ ὧν· ἐπὶ τὸ κρῖναί τι καὶ προθέσθαι παρα-
γινόμεθα.

1. Ἴβηρος ποταμοῦ: Il fiume Ebro attraversa la parte settentrionale della penisola iberica (che trae il
proprio nome proprio da questo fiume). I Cartaginesi (in un trattato stipulato nel 226 a. C.) si erano
impegnati a non oltrepassarlo in armi: la città di Sagunto era in effetti a sud di tale limite, ma i Romani
ritennero che il trattato fosse stato violato da Annibale quando conquistò la città (219 a. C.), alleata di
Roma. Con la presa di Sagunto e la conseguente dichiarazione di guerra ebbe inizio la seconda guerra
punica.

V. 4 Historia, L’esempio dei grandi uomini e il ricordo delle vicende del passato può essere
magistra vitae utile per comprendere il presente.

Ἐγὼ δὲ τούτων ἐπεμνήσθην χάριν τῆς τῶν ἐντυγχανόντων τοῖς ὑπο-


μνήμασι διορθώσεως. Δυεῖν γὰρ ὄντων τρόπων πᾶσιν ἀνθρώποις τῆς
ἐπὶ τὸ βέλτιον μεταθέσεως, τοῦ τε διὰ τῶν ἰδίων συμπτωμάτων καὶ
LA STORIOGRAFIA

τοῦ διὰ τῶν ἀλλοτρίων, ἐναργέστερον μὲν εἶναι συμβαίνει τὸν διὰ τῶν
οἰκείων περιπετειῶν, ἀβλαβέστερον δὲ τὸν διὰ τῶν ἀλλοτρίων. Διὸ τὸν
μὲν οὐδέποθ’ ἑκουσίως αἱρετέον, ἐπεὶ μετὰ μεγάλων πόνων καὶ κινδύ-
νων ποιεῖ τὴν διόρθωσιν, τὸν δ’ ἀεὶ θηρευτέον, ἐπεὶ χωρὶς βλάβης ἔστιν
συνιδεῖν ἐν αὐτῷ τὸ βέλτιον. Ἐξ ὧν συνιδόντι καλλίστην παιδείαν ἡγη-
τέον πρὸς ἀληθινὸν βίον τὴν ἐκ τῆς πραγματικῆς ἱστορίας περιγινο-
LO STORICO NON DEVE IMPRESSIONARE, MA FAR RIFLETTERE 555
μένην ἐμπειρίαν· μόνη γὰρ αὕτη χωρὶς βλάβης ἐπὶ παντὸς καιροῦ καὶ
περιστάσεως κριτὰς ἀληθινοὺς ἀποτελεῖ τοῦ βελτίονος.

Polemiche di metodo
V. 5 Non si devono Fedele all’impostazione pragmatica, che privilegia i dati di fatto, Polibio pole-
eccitare mizza con Filarco rifiutando decisamente quelle narrazioni che drammatizzano
le emozioni gli eventi per far leva sull’emotività dei lettori. Peculiare della storia è, invece,
dei lettori
τὸ χρήσιμον, il fine dell’utilità, nel saper intuire gli esiti cui tendono le vicende
attuali, sulla base delle analogie con gli avvenimenti del passato.

Σπουδάζων1 δ’ εἰς ἔλεον ἐκκαλεῖσθαι τοὺς ἀναγινώσκοντας καὶ συ-


μπαθεῖς ποιεῖν τοῖς λεγομένοις, εἰσάγει περιπλοκὰς γυναικῶν καὶ
κόμας διερριμμένας καὶ μαστῶν ἐκβολάς, πρὸς δὲ τούτοις δάκρυα καὶ
θρήνους ἀνδρῶν καὶ γυναικῶν ἀναμὶξ τέκνοις καὶ γονεῦσι γηραιοῖς
ἀπαγομένων. Ποιεῖ δὲ τοῦτο παρ’ ὅλην τὴν ἱστορίαν, πειρώμενος ἐν
ἑκάστοις ἀεὶ πρὸ ὀφθαλμῶν τιθέναι τὰ δεινά. Τὸ μὲν οὖν ἀγεννὲς καὶ
γυναικῶδες τῆς αἱρέσεως αὐτοῦ παρείσθω, τὸ δὲ τῆς ἱστορίας οἰκεῖον
ἅμα καὶ χρήσιμον ἐξεταζέσθω.

1. Σπουδάζων: soggetto sottinteso è Φύλαρχος, Filarco di Naucrati (o, secondo altri, di Atene), autore di
28 libri di Storie, che abbracciano il periodo che va dall’invasione del Peloponneso da parte di Pirro (272
a.C.) alla morte di Cleomene III (220-219 a.C.).

V. 6 Lo storico Non bisogna cercare di colpire i lettori con rappresentazioni meravigliose o rac-
non deve capriccianti, perché il compito dello storico è ben diverso da quello del poeta
impressionare, tragico: non tanto colpire e affascinare, ma indurre alla riflessione.
ma far riflettere

Δεῖ τοιγαροῦν οὐκ ἐπιπλήττειν τὸν συγγραφέα τερατευόμενον διὰ


τῆς ἱστορίας τοὺς ἐντυγχάνοντας οὐδὲ τοὺς ἐνδεχομένους λόγους ζη-
τεῖν καὶ τὰ παρεπόμενα τοῖς ὑποκειμένοις ἐξαριθμεῖσθαι, καθάπερ
οἱ τραγῳδιογράφοι, τῶν δὲ πραχθέντων καὶ ῥηθέντων κατ’ ἀλήθειαν
αὐτῶν μνημονεύειν πάμπαν, κἂν πάνυ μέτρια τυγχάνωσιν ὄντα. Τὸ
γὰρ τέλος ἱστορίας καὶ τραγῳδίας οὐ ταὐτόν, ἀλλὰ τοὐναντίον. Ἐκεῖ
LA STORIOGRAFIA

μὲν γὰρ δεῖ διὰ τῶν πιθανωτάτων λόγων ἐκπλῆξαι καὶ ψυχαγωγῆσαι
κατὰ τὸ παρὸν τοὺς ἀκούοντας, ἐνθάδε δὲ διὰ τῶν ἀληθινῶν ἔργων καὶ
λόγων εἰς τὸν πάντα χρόνον διδάξαι καὶ πεῖσαι τοὺς φιλομαθοῦντας,
ἐπειδήπερ ἐν ἐκείνοις μὲν ἡγεῖται τὸ πιθανόν, κἂν ᾖ ψεῦδος, διὰ τὴν
ἀπάτην τῶν θεωμένων, ἐν δὲ τούτοις τἀληθὲς διὰ τὴν ὠφέλειαν τῶν
φιλομαθούντων.
556 A TU PER TU CON... POLIBIO
V. 7 La storia Nel contesto immediatamente precedente a questo, Polibio aveva osservato che
è una scienza la medicina si può in qualche modo assimilare alla storiografia: entrambe le
scienze, infatti, vengono distinte in tre parti: la medicina in teorica, dietetica
e chirurgico-farmaceutica; l’indagine storica è invece distinta, come afferma lo
storico nel passo seguente, in studio delle fonti, visita autoptica dei luoghi,
esperienza politica.

Τὸν αὐτὸν δὴ τρόπον1 καὶ τῆς πραγματικῆς ἱστορίας ὑπαρχούσης2 τρι-


μεροῦς, τῶν δὲ μερῶν αὐτῆς ἑνὸς μὲν3 ὄντος τοῦ περὶ τὴν ἐν τοῖς ὑπο-
μνήμασι πολυπραγμοσύνην καὶ τὴν παράθεσιν τῆς ἐκ τούτων ὕλης, ἑτέ-
ρου δὲ τοῦ περὶ τὴν θέαν τῶν πόλεων καὶ τῶν τόπων περί τε ποταμῶν
καὶ λιμένων καὶ καθόλου τῶν κατὰ γῆν καὶ κατὰ θάλατταν ἰδιωμάτων
καὶ διαστημάτων, τρίτου δὲ τοῦ περὶ τὰς πράξεις τὰς πολιτικάς, πα-
ραπλησίως ἐφίενται μὲν ταύτης πολλοὶ διὰ τὴν προγεγενημένην περὶ
αὐτῆς δόξαν, προσφέρονται δὲ πρὸς τὴν ἐπιβολὴν οἱ μὲν πλεῖστοι τῶν
γραφόντων ἁπλῶς δίκαιον οὐδὲν πλὴν εὐχέρειαν καὶ τόλμαν καὶ ῥᾳδι-
ουργίαν, παραπλήσιον τοῖς φαρμακοπώλαις δοξοκοποῦντες καὶ πρὸς
χάριν λέγοντες ἀεὶ τὰ πρὸς τοὺς καιροὺς ἕνεκα τοῦ πορίζειν τὸν βίον
διὰ τούτων.

1. Τὸν αὐτὸν δὴ τρόπον: «Allo stesso modo». Polibio sta proseguendo il discorso comparativo: intendi
«allo stesso modo che la medicina».
2. Inizia a questo punto una complessa successione di genitivi assoluti. La proposizione reggente è
ἐφίενται μέν … πολλοί, cui è correlato il successivo προσφέρονται δέ.
3. ἑνὸς μέν: correlato coi successivi ἑτέρου δέ … τρίτου δέ.

V. 8 La teoria Ingenuo sarebbe quel medico che presumesse di essere all’altezza del suo com-
non basta pito solo perché ben preparato nelle nozioni teoriche. Allo stesso modo, anche
lo storico non può pretendere che basti la consultazione di libri e biblioteche,
come invece ha fatto Timeo.

Ἔνιοι δὲ τῶν δοκούντων εὐλόγως προσάγειν πρὸς τὴν ἱστορίαν, κα-


θάπερ οἱ λογικοὶ τῶν ἰατρῶν ἐνδιατρίψαντες ταῖς βυβλιοθήκαις καὶ
καθόλου τὴν ἐκ τῶν ὑπομνημάτων περιποιησάμενοι πολυπειρίαν, πεί-
θουσιν αὑτοὺς ὡς ὄντες ἱκανοὶ πρὸς τὴν ἐπιβολήν, καίπερ προσαγα-
LA STORIOGRAFIA

γόντες προδήλως ἓν μόνον μέρος, ὡς ἐμοὶ δοκεῖ, πρὸς τὴν πραγμα-


τικὴν ἱστορίαν. Τὸ γὰρ ἐποπτεῦσαι τὰ πρότερον ὑπομνήματα πρὸς
μὲν τὸ γνῶναι τὰς τῶν ἀρχαίων διαλήψεις, ἔτι δὲ πρὸς τὸ συνεῖναι
τὰς ἑκάστων περιστάσεις καὶ τύχας, αἷς κέχρηνται κατὰ τοὺς ἀνω-
τέρω χρόνους, εὔχρηστόν ἐστι· τό γε μὴν ἀπ’ αὐτῆς ταύτης τῆς δυνά-
μεως ὁρμηθέντα πεπεῖσθαι γράφειν τὰς ἐπιγινομένας πράξεις καλῶς,
TIMEO, UNO «STORICO DA TAVOLINO» 557
ὃ πέπεισται Τίμαιος, τελέως εὔηθες καὶ παραπλήσιον ὡς ἂν εἴ τις
τὰ τῶν ἀρχαίων ζωγράφων ἔργα θεασάμενος ἱκανὸς οἴοιτο ζωγράφος
εἶναι καὶ προστάτης τῆς τέχνης.

V. 9 Polibio La competenza militare è requisito imprescindibile per lo storico. Eforo ha dimo-


critica Eforo strato conoscenze eccellenti in ambito navale, ma è assolutamente inadeguato
quando descrive le battaglie di terra.

Ἔφορος1 ἐν τοῖς πολεμικοῖς τῶν μὲν κατὰ θάλατταν ἔργων ἐπὶ ποσὸν
ὑπόνοιαν ἐσχηκέναι μοι δοκεῖ, τῶν δὲ κατὰ γῆν ἀγώνων ἄπειρος εἶναι
τελέως. Τοιγαροῦν ὅταν μὲν πρὸς τὰς περὶ Κύπρον2 ναυμαχίας καὶ
τὰς περὶ Κνίδον3 ἀτενίσῃ τις, αἷς ἐχρήσανθ’ οἱ βασιλέως στρατηγοὶ
πρὸς Εὐαγόραν τὸν Σαλαμίνιον καὶ πάλιν πρὸς Λακεδαιμονίους, θαυ-
μάζειν τὸν συγγραφέα καὶ κατὰ τὴν δύναμιν καὶ κατὰ τὴν ἐμπειρίαν
εἰκός4 καὶ πολλὰ τῶν χρησίμων ἀπενέγκασθαι πρὸς τὰς ὁμοίας περι-
στάσεις.
Ὅταν δὲ5 τὴν περὶ Λεῦκτρα6 μάχην ἐξηγῆται Θηβαίων καὶ Λακεδαιμο-
νίων ἢ τὴν ἐν Μαντινείᾳ πάλιν τῶν αὐτῶν τούτων, ἐν ᾗ καὶ μετήλλαξε
τὸν βίον Ἐπαμεινώνδας, ἐν τούτοις ἐὰν ἐπὶ τὰ κατὰ μέρος ἐπιστήσας
τις θεωρῇ τὰς ἐκτάξεις καὶ μετατάξεις7 τὰς κατ’ αὐτοὺς τοὺς κινδύ-
νους, γελοῖος φαίνεται καὶ παντελῶς ἄπειρος καὶ ἀόρατος τῶν τοιού-
των ὤν.8

1. Ἔφορος: Eforo di Cuma (IV secolo a.C.), fu il primo a scrivere una storia universale della Grecia
(Ἱστορίαι) in 29 libri, che servirà da modello per gli storici successivi.
2. Nella battaglia navale di Cipro (381 a.C.) Evagora, re di Salamina di Cipro, fu sconfitto dai Persiani.
3. Nella battaglia navale di Cnido (394 a.C.) la flotta spartana fu distrutta da quella persiana comandata
dall’ateniese Conone. In questa occasione Sparta perse definitivamente la supremazia navale che aveva
conquistato dopo la conclusione della guerra del Peloponneso.
4. εἰκός: è sottinteso ἐστί.
5. ὅταν δέ: è contrapposto al precedente ὅταν μέν.
6. περὶ Λεῦκτρα: la battaglia di Leuttra (371 a.C.), vinta dai Tebani sugli Spartani, segnò l’inizio della
effimera supremazia tebana, che si concluse nove anni dopo, nella battaglia di Mantinea (362 a.C.), nella
quale morì Epaminonda, il geniale artefice della potenza di Tebe.
7. ἐκτάξεις καὶ μετατάξεις: si tratta di termini tecnici del gergo militare.
8. ὤν: è participio predicativo del soggetto, dipendente da φαίνεται.
LA STORIOGRAFIA

V. 10 Timeo, Non può capire la dinamica degli avvenimenti di una guerra, chi non ha alcuna
uno «storico esperienza di nozioni militari e non ha condotto una verifica autoptica sui luo-
da tavolino» ghi. Una cultura esclusivamente libresca come quella di Timeo non può essere
di nessuna utilità per coloro che vogliono conoscere le cose con cognizione di
causa.
558 A TU PER TU CON... POLIBIO
Οὔτε περὶ τῶν κατὰ πόλεμον συμβαινόντων δυνατόν ἐστι γράψαι
καλῶς τὸν μηδεμίαν ἐμπειρίαν ἔχοντα τῶν πολεμικῶν ἔργων οὔτε περὶ
τῶν ἐν ταῖς πολιτείαις τὸν μὴ πεπειραμένον τῶν τοιούτων πράξε-
ων καὶ περιστάσεων. Λοιπὸν οὔτ’ ἐμπείρως ὑπὸ τῶν βιβλιακῶν, οὔτ’
ἐμφαντικῶς οὐδενὸς γραφομένου, συμβαίνει τὴν πραγματείαν ἄπρα-
κτον γίνεσθαι τοῖς ἐντυγχάνουσιν· εἰ γὰρ ἐκ τῆς ἱστορίας ἐξέλοι τις
τὸ δυνάμενον ὠφελεῖν ἡμᾶς, τὸ λοιπὸν αὐτῆς ἄζηλον καὶ ἀνωφελὲς γί-
νεται παντελῶς. ἔτι δὲ περὶ τῶν πόλεων καὶ τόπων ὅταν ἐπιβάλωνται
γράφειν τὰ κατὰ μέρος, ὄντες ἀτριβεῖς τῆς τοιαύτης ἐμπειρίας, δῆλον
ὡς ἀνάγκη συμβαίνειν τὸ παραπλήσιον, καὶ πολλὰ μὲν ἀξιόλογα παρα-
λείπειν, περὶ πολλῶν δὲ ποιεῖσθαι πολὺν λόγον οὐκ ἀξίων ὄντων, ὃ δὴ
συμβαίνει μάλιστα Τιμαίῳ διὰ τὴν ἀορασίαν.
LA STORIOGRAFIA

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