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Lineamenti di Storia Greca:

dalle origini alla guerra del


Peloponneso
Storia
Università degli Studi di Napoli Federico II
83 pag.

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1. LA CIVILTÀ MINOICA

1.1 Periodizzazione e fonti della cultura minoica (appunti, Cricco)


La civiltà minoica si divide convenzionalmente in quattro periodi:
• 2100-1900 a.C. circa periodo protopalaziale: (proto=prefisso che indica una fase inziale).
Si notano in questo momento cambiamenti epocali sul territorio cretese, sono presenti nuovi
agglomerati abitativi centralizzati. Sorgono i primi “palazzi”, che si configurano come
nuove forme di redistribuzione del territorio.
• 1900-1700 a.C circa periodo dei primi palazzi: Cnosso, scoperto da Arthur Evans e
caratterizzato da scavi britannici, Festo, collocato nella piana della Messarà e scavato dagli
italiani Doro Levi e Federico Halber, Mallia, scavato da Americani e Tedeschi. I primi
palazzi cretesi sono delle realtà autonome. A questa epoca appartiene la ceramica in stile
Kamares, caratterizzato da spessori sottili (“a guscio d'uovo”), motivi geometrici (linee
curve, spirali e cerchi), pochi colori (giallo, bianco e rosso) su fondo nero.
• intorno al 1700 a.C. vacuum: gli archeologi notano un'interruzione materiale, il sistema
palaziale va in crisi. Sono state addotte come giustificazioni catastrofi naturali o invasioni;
in realtà la motivazione più plausibile è un affaticamento del sistema burocratico. Infatti
dopo poco tempo i palazzi si ripropongono cosa che dimostra la straordinaria capacità di
ripresa di un sistema che si era appesantito.
• 1600 a.C circa-1375 a.C. periodo neopalaziale: si sviluppa la Lineare A. Gli archeologi
hanno osservato un ruolo egemonico di Cnosso, non di carattere politico o militare ma
probabilmente di tipo burocratico-amministrativo. In questo periodo si diffonde la grande
ceramica minoica (irradiazione di motivi culturali e iconografici minoici nell'Egeo). La data
del 1375 a.C. rappresenta il momento in cui dalla cronografia egiziana scompare il termine
Cheftiu, un eteronimo con cui gli Egiziani indicavano gli abitanti di Creta. In base a questo
dato la civiltà minoica si considera convenzionalmente conclusa.

Le fonti della civiltà minoica sono di tre tipi:


• Fonti archeologiche: di cui il più grande scopritore è Arthur Evans, figlio di un archeologo
preistorico, vive nell'Inghilterra di fine '800 dove vigono Positivismo ed Evoluzionismo, da
cui deriva l'immagine che noi abbiamo dei Cretesi (pregiudizi evansiani)
• Fonti epigrafiche: fonti scritte su materiali deperibili quali pietra, legno e, nel caso specifico
dei Cretesi, ceramica, in lineare A, scrittura non decifrata (fonti mute)
• Mitologia cretese: si tratta dei miti greci su Creta, trasmessi a quasi un millennio di distanza,
dunque non coevi e non trasmessi dalla cultura minoica ma da una cultura altra dotata di
pregiudizi. Dunque i miti cretesi storicamente non sono attendibili.
MITO=discorso, narrazione. Non sempre nei miti c'è un fondo di verità, si tratta spesso di
costruzioni storiche legittimanti. Il dato storico del mito sta nella storicità di chi lo ha inventato e
delle esigenze che hanno portato alla creazione del mito (es. Platone inventa il mito di Atlantide per
giustificare l'imperialismo ateniese). Il mito tende a rifunzionalizzarsi. Minosse, per esempio, è un
eponimo, il mitico fondatore della potenza cretese, non un personaggio storico.

1.2 La nascita e lo sviluppo dei palazzi (Bettalli)


Sono più di una le teorie formulate per spiegare attraverso quali processi politici e sociali si sia
verificata, a Creta, la comparsa, intorno al XX secolo a.C. a Cnosso, Festos e Mallia, di edifici
monumentali a più piani organizzati intorno ad una corte centrale, noti alla letteratura archeologica
con il nome di palazzi.
L'uso del termine palazzi risale all'archeologo britannico Arthur Evans ed è dovuto al retroterra
culturale di stampo vittoriano dello studioso, scopritore del palazzo di Cnosso. Ad Evans si deve
anche l'adozione del termine “minoico” (riferito al celebre re Minosse che avrebbe regnato su Creta
e sull'Egeo prima della guerra di Troia) per indicare la civiltà che caratterizza l'isola in questa fase.
Un palazzo evoca subito l'idea di un sovrano e Evans difatti pensò che si trattasse della residenza

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dinastica di un re- sacerdote a capo di una struttura di potere gerarchizzata. L'interpretazione del
palazzo minoico come centro di un potere economico si deve invece a Colin Renfew, il quale nel
1972 lo considerò il nucleo primario di un'agenzia politica a carattere territoriale fondata sul sistema
della redistribuzione. La presenza negli edifici palaziali di resti ascrivibili ad attività artigianali, di
vani per l'immagazzinamento di prodotti agricoli, l'uso della scrittura per fini amministrativi sono
considerati elementi a supporto dell'ipotesi redistributiva. Renfew inoltre considerò questi primi
palazzi come la fase più antica di un processo evolutivo che avrebbe attraversato più stadi. Oggi i
palazzi minoici sono visti come centro di piccoli stati territoriali che controllavano singole regioni e
le loro risorse sulla base di un ordinamento politico, economico e sociale gerarchizzato.
L'amministrazione palaziale sfruttava una tecnica di monitoraggio basata sull'apposizione di sigilli ,
le cui impronte sono state ritrovate.
Il palazzo era in grado di accumulare un notevole surplus di prodotti agricoli e di produrre beni
preziosi, utilizzando anche materiali importati da regioni esterne a Creta . L'idea del palazzo come
centro del potere territoriale è stata recentemente messa in dubbio in base all'osservazione della
presenza di altri edifici che sembrano essere stati prestigiosi nell'area intorno ai palazzi. Sulla base
di queste osservazioni si è concluso che i palazzi fossero riservati ad attività di tipo comunitario.

1.3 Istituzioni minoiche (appunti)


Il quadro documentario che noi abbiamo non ci permette di conoscere le istituzioni minoiche. Tutto
ciò che possiamo fare è interrogare le strutture del mito, il quale, pur rifunzionalizzandosi, mantiene
una struttura di base
1.3.1 IL POTERE DEI RE MINOICI
I palazzi e tavolette ci portano a pensare che la società minoica sia una società gerarchizzata.
Minosse non è realmente esistito, come sosteneva Evans, ma è un eponimo di re minoici che
prendevano il titolo di Minos.
L'iconografia minoica non ci dà raffigurazioni del potere ma noi possiamo forse sapere come
funzionava la monarchia minoica grazie un mito (i miti conservano un fondo di antichità). Nel XIX
libro dell'Odissea, Odisseo, fingendosi cretese dice di venire da Cnosso, μεγάλη πόλις dove regna
(εβασιλευε) Minosse εννέωρος, che si traduce novennale, cioè regnava per nove anni (otto entrando
nel nono). Omero dice anche che Minosse era οαριστής di Zeus, cioè compagno intimo o
concubino. Dunque i poemi omerici dicono che la monarchia era temporanea e il re era intimo del
dio. Evans, seguendo le teorie di James George Fraitzer (1854-1951, antropologo e storico delle
religioni, autore di un'opera sull'evoluzionismo, “il ramo d'oro”, in cui una delle figure cardine è il
re nemorensis, cioè il re sacro/mago) pensò al re Sacro. La mitologia minoica è piena di personaggi
astrali, al contrario di quella greca, perché alla base dell'aggettivo εννέωρος doveva esserci il
calendario luno-solare (οκταερίς), dunque la monarchia minoica non doveva essere vitalizia ma
veniva rinnovata mediante un'iniziazione religiosa. Infatti Eforo di Cuma (eolica) dice che Minosse
ogni nove anni saliva sul monte Ida per ricevere le leggi da Zeus (MITOLOGEMA→ mito comune
a più popoli, nel caso specifico Cretesi ed Ebrei).
1.3.2 IL MITO DI PASIFAE
Pasifae, moglie di Minosse, è la regina di Creta. Secondo il mito, riportato da Apollodoro,
Poseidone inviò un toro bianchissimo a Minosse affinché lo sacrificasse in suo nome. Il re di Creta
però non obbedì al dio, ritenendo troppo bello quell'animale e ne sacrificò un altro: la vendetta di
Poseidone non tardò ad arrivare. Infatti indusse in Pasifae una passione folle per l'animale e le fece
desiderare ardentemente di unirsi a esso. Accecata dal desiderio, chiese aiuto a Dedalo, rifugiatosi a
Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava nella quale
entrare. Il toro montando la finta vacca fecondò Pasifae che diede alla luce il Minotauro. Questo
mito conserva forse un'ossatura di base che cela una ierogamia (nozze sacre), cioè un rituale,
attestato soprattutto nella cultura ittita, per cui il re o la regina fingevano un'unione sessuale con la
divinità, come garanzia della regalità. Aristotele (IV secolo) nella Costituzione degli Ateniesi
riferisce che l'arconte basileus presta per una notte la moglie per un amplesso con Dioniso in un
boukoreion (stalla) cioè, probabilmente, anche il rito ateniese prevede un'operazione teriomorfa che

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identifica la divinità con un animale. Dunque interrogando il mito e cercando una struttura
originaria della regalità cretese possiamo concludere che tale regalità non è vitalizia, lega il suo
tempo al ciclo luno-solare, garantisce il proprio potere con la divinità e prevede conferme di ordine
ierogamico.

1.4 Prime forme di scrittura (appunti)


Ad Arthur Evans si deve la scoperta, a Cnosso, di tavolette con segni di scrittura, la scrittura cretese,
che viene ritenuta la più antica d'Europa.
Nel II millennio a.C. esistono tre forme di scrittura:
• geroglifico cretese: nome attribuito da Evans per analogia con quello egiziano; scrittura
ideografica minoica non decifrata risalente al periodo protopalaziale (XX secolo a.C. circa)
• lineare A: scrittura minoica i cui segni sono stati decifrati ma che esprime una lingua
sconosciuta quindi di fatto si considerano non decifrate. Si ritiene che la lingua espressa da
questa scrittura, definita lingua minoica, appartenga al substrato pre-indoeuropeo, per cui
non ne conosciamo l'origine e la struttura sintattica
• lineare B: scrittura micenea, decifrata nel 1952 da Micheal Ventris e John Chadwick (vd.
Cap 2) e identificata come un greco arcaico.

1.5 Crisi dei palazzi ed età Neopalaziale (appunti, Bettalli, Musti, Cricco)
1.5.1 IL VACUUM (appunti, Bettalli, Musti)
Intorno al 1700 a.C. gli archeologi notano un'interruzione della cultura materiale per cui sono state
addotte varie teorie: c'è chi ipotizza (Bettalli) un sisma e chi ascrive tale interruzione ad
un'invasione, per cui si sono chiamati in causa i Luvii, una popolazione proveniente dall'Asia
Minore. In realtà però la motivazione più plausibile è un affaticamento del sistema burocratico, cui
seguirà un'accentuata dinamica sociale caratterizzata da solchi più profondi nel tessuto sociale e la
nascita di una forma e di un'immagine diversa del potere. Inizia il periodo Neopalaziale.

1.5.2 L'ETÀ NEOPALAZIALE: CARATTERISTICHE E NOVITÀ (appunti, Cricco, Musti)


Si colloca convenzionalmente tra 1600 (circa) e 1375 a.C (scomparsa del termine Keftiu dalla
cronografia egiziana), cioè dopo la crisi, cosa che dimostra la grande capacità di ripresa di questo
popolo e avvalora la tesi dell'affaticamento burocratico. Tra le caratteristiche di questo periodo
abbiamo la centralità del palazzo di Cnosso, che ha una supremazia probabilmente di carattere
burocratico e amministrativo, la decorazione della ceramica diventa più fantasiosa e ricca,
caratterizzata da motivi naturalistici. Gli stili ceramici principali sono lo stile Gournià e lo stile
“palaziale”. In questo periodo troviamo anche decorazioni parietali molto raffinate e affreschi
policromatici, grazie ai quali riusciamo a ricostruire alcuni aspetti della civiltà minoica di questo
periodo. Altro fenomeno culturale importante è la diffusione della lineare A, che convive con la
precedente scrittura geroglifica, che è accompagnata dalla diffusione dei sigilli. Il potere si
organizza in maniera sempre più complessa, si intensificano gli scambi con l'oriente mediterraneo,
in particolare con l'area siro-palestinese, con la Mesopotamia e con l'Egitto. Un altro fenomeno
piuttosto evidente è la forte integrazione del palazzo con l'abitato intorno, il che fa pensare ad una
funzione più forte del palazzo come centro del potere rispetto a cui l'abitato si colloca in una
posizione di dipendenza. Questo rigoglio della civiltà produce un fenomeno di irradiazione. La
civiltà elladica, cioè la civiltà delle Cicladi, continua il proprio corso ma si diffondono in varie zone
dell'Egeo arte, scrittura, cultura e tecniche organizzative tipiche della civiltà cretese. Un esempio di
questo fenomeno sono l'isola di Tera, nelle Cicladi, e Citera, di fronte alle coste della Laconia. A
Tera alcuni scavi hanno riportato alla luce resti di un insediamento che potrebbero far pensare ad un
palazzo o a forme assai organizzate di insediamento. Sempre a Tera sono emersi numerosi affreschi
policromatici che documentano forme di vita sociale e pratica del mare di questo popolo o dei
Minoici in generale. Tera fu distrutta da una o più eruzioni vulcaniche, datate 1600-1450 a.C. che
ebbero probabilmente conseguenze anche su Creta.

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1.6 Il problema della talassocrazia minoica (appunti, Musti)
Tucidide nella sua opera dedica i 22 capitoli iniziali del primo libro (Arcaiologhia) alla storia più
antica della Grecia. In un passo dell'Arcaiologhia Tucidide dice che Minosse dopo aver ripulito
l'Egeo dai pirati ed aver liberato tutte le isole era diventato padrone del mare ed aveva imposto loro
una tassa. Tucidide usa l'espressione ταλάττης εχράτης (il verbo χρατέω regge il genitivo),
intendendo un uso politico e insieme economico del mare.
Negli anni 50-60 del '900 gli studiosi americani combinatoristi (Combinatorismo→ combinare
classi di documentazione differenti) hanno ritenuto che Tucidide desse una spiegazione del
fenomeno di irradiazione che in quegli anni stava venendo fuori da vari scavi, e la spiegazione
sarebbe stata una talassocrazia. La talassocrazia per i Greci di V secolo è il dominio su un tratto di
mare sottoposto a rigido controllo, in primo luogo militare, di una determinata entità politica; ha
perciò una connotazione quasi territoriale, di un dominio con carattere di continuità su un
determinato spazio marittimo e sui territori in esso contenuti (isole) o che su di esso si affacciano.
Tuttavia la visione tucididea è influenzata dall'egemonia ateniese sulla lega delio-attica di V secolo,
in quanto lo storico non poteva avere memoria di un tempo così lontano. Gli archeologi, inoltre,
hanno trovato tracce di un'irradiazione di tipo culturale, non militare. Sembra dunque che non si
possa affermare che Creta abbia costruito un impero nell'Egeo come invece sostengono i
combinatoristi (e Musti tra loro).

1.7 La crisi del minoico: un wanaka miceneo a Cnosso? (Bettalli, appunti)


Convenzionalmente si colloca la fine di questa civiltà nel 1375 a.C. quando il termine Keftiu,
eteronimo con cui gli Egiziani designavano i Cretesi, scopare dalla cronografia egiziana. In passato
si tendeva ad associare la fine della civiltà minoica alla distruzione di Tera. Le ricerche
archeologiche hanno però dimostrato che tra quest'evento traumatico e l'interruzione della civiltà
minoica intercorre almeno un trentennio. Sono dunque state avanzate varie ipotesi. Tra queste la più
suggestiva è quella dell'invasione da parte dei Micenei, avanzata in base al fatto che a Cnosso è
stata trovata una tavoletta in lineare B risalente al 1450 a.C. circa (periodo minoico). Si è ipotizzato
che la cultura minoica sia stata invasa da quella micenea perché in quella tavoletta sono riportate le
parole di un sovrano definito wa-na-ka, in quale si esprime nel greco arcaico della lineare B.
Tuttavia una singola tavoletta non è sufficiente per accettare questa teoria.

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2. I PROTOGRECI E I MICENEI
2.1 I Protogreci: il problema indoeuropeo e la ceramica minia (Wikipedia, appunti)
Con il termine Indoeuropei o Arii o Proto-Indoeuropei si indica un insieme di popolazioni
preistoriche accomunate dall'uso linguistico del proto-Indoeuropeo che avrebbero originariamente
popolato una regione geografica comune e si sarebbero quindi diffuse in gran parte dell'Eurasia
occidentale a causa di dinamiche complesse, e non totalmente chiare, di diffusione e
sovrapposizione militare.
La teoria di una proto-popolazione nasce da studi linguistici condotti in Germania a partire dalla
metà dell'800, i quali studi hanno dimostrato come si possano rintracciare in popolazioni anche
molto distanti tra loro forti caratteristiche comuni, non solo nel lessico, ma anche nella morfologia
linguistica, nella grammatica e nella cultura. Studiosi come George Dumezil e Emile Benveniste
hanno sottolineato, oltre alle parentele linguistiche, anche la presenza in diverse aree dell'ideologia
tripartita, cioè la suddivisione della realtà esistente all'interno di tre funzioni specifiche (sacrale,
guerriera e produttiva), la quale si ritrova, consapevolmente come tale, solo presso i popoli di stirpe
indoeuropea. Un'altra questione fondamentale è la patria di provenienza (Urheimat) di questa
ondata migratoria e le cause che l'avrebbero provocata. L'ipotesi più diffusa, soprattutto in ambito
tedesco nel tardo 800, sulla tipologia di popolazione era quella di un popolo di guerrieri nomadi
che, migrando a causa della scarsità di risorse, avrebbe travolto le altre civiltà contemporanee
portando tuttavia innovazioni tecnologiche come l'uso del cavallo e del carro. Gli Indoeuropei erano
dunque una popolazione nomade primitiva, guerriera e patriarcale che si sovrappose, in una o più
fasi, alle popolazioni preindoeuropee, soggiogandole e dominandole come elite guerriera,
imponendo la propria lingua alle genti sottomesse, secondo un modello che Andrew Colin Renfew e
altri studiosi definiscono mutamento linguistico per sovrapposizione di un'elite. Queste teorie
“nordiche” trovavano conferma nelle descrizioni che Omero fa degli eroi (biondi) e di alcune
divinità, tra cui Atena, definita “Glaucopis” cioè dagli occhi chiari. Tuttavia si è osservato che le
comunanze linguistiche nell'Eurasia occidentale non riguardano la sfera della guerra né della
metallurgia, dunque si tende oggi a pensare che gli Indoeuropei fossero un popolo di pastori e
agricoltori che costruiva cittadelle fortificate ma che, in origine non era particolarmente versato
nella metallurgia e nella guerra, tecniche che ben presto apprese dalle popolazioni vicine.
Collegato al problema dell'Urheimat c'è il problema della cronologia della diffusione degli
Indoeuropei, che si può riassumere in cinque principali correnti di pensiero:
• Teoria kurganica: ipotizza una migrazione dalle steppe pontico-caspiche; fu proposta da
Otto Schrader negli ultimi anni dell'800 e ripresa nella seconda metà del 900 dalla studiosa
lituana Marija Gimbutas, è la teoria oggi ritenuta più valida perché fondata sull'attenta
valutazione dei dati archeologici e su diversi studi scientifici. La Gimbutas identifica gli
Indoeuropei con la cultura kurgan (così chiamata dal tipo di sepoltura a tumulo), una
cultura dell'età del rame (V-III millennio a.C.). i kurgan sarebbero ad un certo punto
emigrati sovrapponendosi come elite guerriera dominante e più evoluta alle altre
popolazioni neolitiche preindoeuropee, imponendo a queste popolazioni la propria lingua e
la propria religione.
• Teoria della discontinuità neolitica: elaborata da Colin Renfew, colloca gli Indoeuropei
nell'Anatolia neolitica, da dove gradualmente si sarebbero diffusi a partire dal VII-VI
millennio, diffondendo allo stesso tempo le proprie tecniche e i propri usi.
• Teoria della fusione: elaborata da Luca Cavalli-Sforza, il quale sostiene che gli Indoeuropei
sarebbero il frutto di una fusione tra le popolazioni neolitiche di tipo mediterraneo
provenienti dall'Anatolia, portatrici dell'agricoltura nella Russia Meridionale intorno
all'ottavo millennio a.C., e le popolazioni di tale territorio sopravvissute all'ultima
glaciazione. Questa teoria sembra combaciare con una teoria linguistica indipendente
elaborata da Uhlenbeck, il quale sostiene che il cosiddetto indoeuropeo, ricostruito in base
alle radici comuni nelle varie lingue sembra essere frutto di un'antica creolizzazione tra una
lingua di tipo ugrofinnico e una lingua simile al basco.

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• Soluzione baltico-pontica: propone un'unità linguistica protoindoeuropea nel mesolitico in
un'area piuttosto ampia, che va dal Reno all'Ural. Le successive culture neolitiche che si
svilupparono nell'area occidentale dei questo territorio sono all'origine delle famiglie
indoeuropee occidentali, quelle che si svilupparono ad oriente sarebbero responsabili della
divisione della famiglia indoiranica. Questa teria non è ritenuta accettabile perché le
popolazioni di lingua indoeuropea conoscono tecniche agricole comuni non concepibili
come tali se la frammentazione fosse avvenuta nel mesolitico, quando gli uomini erano
ancora cacciatori e raccoglitori.
• Teoria dell'insediamento danubiano-centroeuropeo: colloca la patria ancestrale degli
indoeuropei in un'area compresa tra i Balcani e il corso del Danubio, area dove nel neolitico
si colloca la cultura della ceramica lineare. Tra le problematiche di questo modello vi è il
fatto che ignora le evidenze archeologiche che legano i danubiani neolitici a quelli greco-
anatolici, assegnando a quest'ultimi un'identita pre-indoeuropea e considerano invece
Indoeuropei i danubiani, loro discendenti.

Allo stato attuale in Europa si parlano quasi tutte lingue indoeuropee (ad eccezione di finnico,
estone, turco e basco). Gli studi hanno sempre ritenuto che intorno alla fine del III- inizio del
secondo millennio a.C. popolazioni indoeuropee abbiano invaso la Grecia. L'archeologia collega
questi fenomeni migratori alla diffusione della Grey Minian Ware (ceramica minia), così chiamata
perché ne si attribuiva l'origine ai Minii, una popolazione che si riteneva essere arrivata in Grecia in
seguito alle migrazioni. Il nome fu coniato da Schliemann dopo aver scoperto una caratteristica
varietà di ceramica lucidata scura ad Orcomeno (la mitica patria del re Minia). Alcuni dei suoi
contemporanei la riferiscono come "ceramica di Orcomeno". Fino al 1960 circa, la minia grigia era
spesso identificata come la ceramica degli invasori nordici che distrussero la civiltà dell'AE, nel
1900 a.C. introducendo la cultura materiale del ME nella penisola greca. Comunque, gli scavi di
Caskey a Lerna come pure le sequenze scavate più recentemente in molti altri siti hanno reso
abbondantemente chiaro che la minia grigia, piuttosto che essere nuova nel periodo del ME, sia la
diretta discendente della raffinata ceramica lucidata grigia della cultura di Tirinto dell'AE III
(ceramina Urfinis) . Inoltre, sembra probabile che la varietà nera/argiva della minia non sia
nient'altro che un versione evoluta della classe dell'AE III così definita "scura scivolosa e lucidata".
Di conseguenza la ceramica minia, se si deve associarla del tutto ad elementi di una popolazione
intrusiva, deve essere collegata ad un'"invasione" avvenuta nell'AE III, 2200/2150 a.C. ca., e non
con una del ME, 1900 a.C. ca. Inoltre, non c'è niente di particolarmente "nordico" riguardo alla
discendenza dei progenitori dell'AE III dai mini del ME eccetto il fatto che essi, quasi certamente,
venissero nel Peloponneso nord-orientale dalla Grecia centrale (cioè dal nord rispetto al
Peloponneso). Come esso sia arrivato, o in alternativa si sia sviluppato in modo indigeno nella
Grecia centrale è una questione che deve ancora essere risolta.

2.2 Definizione e periodizzazione della cultura micenea (Bettalli, appunti)


Con il termine “miceneo” si fa riferimento alla civiltà che fiorì sul continente greco, in particolare
nell'area dell'Argolide (nella parte orientale del Peloponneso tra il golfo di Nauplia e il golfo
Saronico, di fronte all'Attica) nella tarda Età del Bronzo (circa XVII-XII secolo a.C.) e che parla
una lingua indoeuropea, dato che sta alla base della decifrazione della Lineare B. Il principale
scopritore di questa civiltà è Heinrich Schliemann (1822-1890), ricco mercante tedesco, il quale,
convinto della veridicità dei poemi omerici, si dedicò allo scavo dei principali siti in essi
menzionati. Le scoperte di Schliemann, soprattutto le grandi tombe a fossa di Micene, scoperte nel
1876, destarono moltissimo scalpore e dimostrarono che quei luoghi corrispondevano ad importanti
centri dell'Età del Bronzo.

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2.3 I circoli tombali e il sito di Kolonna: le origini dei Micenei (Bettalli, appunti)
I circoli tombali sono due gruppi di tombe a fossa (Shaft Graves) portati alla luce a Micene: il
Circolo A, più recente (1600-1500 a.C.), scoperto nel 1876 da Schliemann e Valerio Stais, e il
Circolo B, più antico (1650-1550 a.C.), scoperto da Iorgos Mylonas negli anni 50 del XX secolo. In
base ai circoli tombali' l'inizio della civiltà micenea si colloca intorno al 1650 a.C. Le tombe
individuate all'interno dei circoli sono una novità nell'Elladico che prima mostrava forme di
sepoltura molto semplici; esse hanno restituito la più alta concentrazione di ricchezza mai scoperta
in area egea e sono costituite da pozzetti rettangolari scavati nel terreno. Sul fondo, all'interno di
una sorta di recinto coperto con un tetto in legno o una lastra di pietra, erano deposti uno o più
individui. La tomba e il pozzetto venivano quindi riempiti di terra e l'area soprastante veniva
talvolta marcata da una stele di pietra. I corpi erano spesso avvolti in sudari molto ricchi e spesso
erano coperti da maschere d'oro. Il defunto era in genere accompagnato da una grande quantità di
oggetti di corredo di alta qualità artigianale, molti dei quali realizzati con materiali esotici e preziosi
e spesso si tratta di pezzi unici realizzati su commissione. Le tombe contengono materiali di varia
provenienza: toreutica (bronzi di origine cretese), vasellame egiziano, pietre preziose provenienti
dall'Asia interna, ambra (pietra vulcanica) di origine nordica… Gli archeologi hanno ipotizzato
l'arrivo di un popolo guerriero, rintracciandone l'origine in base ai materiali esotici trovati di volta
in volta: chi dà importanza alla toreutica colloca le origini di questo popolo a Creta, chi al vasellame
in Egitto eccetera (teoria invasionistica ottocentesca). Oggi si tende a dare maggior valore ad una
possibile origine endogena di questa civiltà: assimilabili ai circoli di Micene vi sono anche le tombe
a tholos (cupola) e scoperte in varie altre zone del Peloponneso e varie altre sepolture, sia a tholos
che a fossa, rinvenute nella Grecia centrale. Un ulteriore esempio che avvalora questa teoria è il sito
di Kolonna, sull'isola di Egina, un'isola situata nel golfo Saronico a metà strada tra Argolide ed
Attica. A Kolonna sono stati trovati i resti di un circuito di fortificazione e, soprattutto, una tomba
che presenta caratteristiche che anticipano quelle dei circoli tombali, poiché questa tomba è molto
più antica (fine III millennio a.C). La tomba conteneva i resti di un inumato di sesso maschile e di
giovane età, il cui corredo era costituito da armi, un diadema d'oro e materiale ceramico importato
da Creta e dalle Cicladi. Dunque, in base a questi elementi si conclude che alla metà del II millennio
a.C., dove si creano le condizioni indotte dai traffici, si verifica la formazione di elites locali,
guerriere, che commerciano con altre aree del mediterraneo e che mostrano la loro ricchezza nelle
tombe. Impropriamente noi identifichiamo queste elites secondo il concetto etnico di “civiltà
micenea”. La cultura micenea è una cultura palaziale che va confrontata con le elites dei circoli. Dal
confronto emerge un rapporto piuttosto difficile, poiché pare che l'elite palaziale non sia, almeno
inizialmente collegata con quella dei circoli, i quali si trovano fuori dal palazzo.

2.4 I palazzi e il rapporto con la cultura minoica (appunti, Musti)


I palazzi micenei si sviluppano prevalentemente in area peloponnesiaca. I principali sono Micene e
Tirinto in Argolide e Pilo in Messenia. Fuori dal Peloponneso abbiamo altri palazzi importanti come
Cnosso, che ebbe un'importante tradizione micenea, Tebe e Gla in Beozia, Iolco in Tessaglia,
significativo perché è quello che sopravvive più a lungo, e probabilmente vi fu un palazzo miceneo
anche ad Atene, in corrispondenza dell'acropoli, ma ebbe poca importanza e non ne sono
sopravvissute testimonianze. I palazzi micenei, al contrario di quelli cretesi, sono collocati in
posizioni forti e facilmente difendibili; inoltre è meno individuabile in questi palazzi la presenza di
ambienti per la rappresentazione teatrale. I corredi funerari suggeriscono però l'influenza del
modello cretese: le maschere d'oro di Micene o le tazze d'oro di Vaphiò in Laconia non sono
concepibili senza l'esperienza dell'oreficeria e della ceramica minoiche. E i Micenei si rivelano
debitori dei Minoici soprattutto per quanto riguarda la scrittura: la Lineare A, che era stata usata per
una lingua probabilmente pre-indoeuropea, viene adattata all'esigenza di rappresentare graficamente
parole greche di un tipo dialettale di cui, in epoca arcaica, appare come più diretto discendente il
dialetto arcado-cipriota.

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2.5 La Lineare B (appunti, Musti, ricerca)

2.5.1 STORIA E CRONOLOGIA DELLE TAVOLETTE (appunti, Musti)


I palazzi di Pilo, Micene, Tebe e Cnosso sono importanti perché da essi proviene un cospicuo
numero di tavolette in lineare B. I punti di addensamento principali sono Pilo, Cnosso e Tebe. Sulla
datazione delle tavolette vi è un dibattito annoso tra una linea rialzista che pone la datazione delle
tavolette intorno al 1400 a.C.,cioè nel momento di massima fioritura della civiltà micenea, e una
linea ribassista che le pone invece intorno al 1200 a.C.. La polemica però non riguarda tutti i
ritrovamenti. Per i testi di Pilo, infatti, si ritiene che la datazione sia 1200 a.C. circa; per i testi di
Cnosso è ancora aperta la controversia tra coloro che, sulla scorta di Evans, li collocano alla fine del
XV-inizi del XIV secolo e coloro che, dopo la contestazione di Palmer (1963), non ritengono
possibile una distanza di due secoli tra le tavolette di Cnosso e quelle di Pilo, che presentano una
notevole affinità tematica. L'affinità tematica da sola non basta però a dimostrare la coincidenza
cronologica, poiché essa è spiegabile anche semplicemente con la somiglianza, spesso anche
identità, delle strutture politiche e sociali che i testi emanano (vd 2.6). Le tavolette di argilla in
Lineare B ci sono pervenute per casi fortuiti di cottura, dovuti probabilmente a degli incendi, in
quanto tali tavolette erano di solito semplicemente essiccate e poi esposte alla pioggia affinché si
sciogliessero, per poi essere appallottolate e riutilizzate.

2.5.2 DECIFRAZIONE DELLA LINEARE B (ricerca, appunti)


Secondo Evans la Lineare B era una scrittura di tipo regio avulsa dal greco. Da un’attenta analisi
delle iscrizioni l’archeologo si avvide che contenevano elenchi o documenti contabili (Fig. 1). Notò,
inoltre, la ricorrenza di gruppi ideografici costituiti da vari pittogrammi separati da trattini e linee
verticali. Ciascun geroglifico rappresentava una parola mentre i segni riuniti in gruppi furono
interpretati quali sillabici o alfabetici. Il passo iniziale verso la soluzione fu l’identificazione del
sistema numerico e di quello metrico. Il primo è un sistema decimale privo dello zero in cui i
numeri non sono ‘posizionali’: le cifre dall’1 al 9 sono rappresentate da semplici tratti ripetuti il
numero corrispondente di volte. Sbarre verticali indicano le unità, sbarre orizzontali le decine,
circoli le centinaia, circoli con raggi le migliaia e circoli con raggi e un trattino centrale le decine di
migliaia. La base del sistema metrico fu invece risolta da Bennet nel 1950 dimostrando che alcuni
segni corrispondevano ad una serie di pesi.
La controversia fra gli studiosi sull’attribuzione della Lineare B a una lingua autoctona piuttosto che
a un greco arcaico si inasprì quando Carl Blegen dell’università di Cincinnati rinvenì un nuovo lotto
di tavolette contenenti iscrizioni in Lineare B nel palazzo di Nestore a Pilo, sulla terraferma, dove,
verosimilmente, si sarebbe dovuto parlare il greco. Si ipotizzò addirittura che la Lineare B fosse una
sorta di lingua sovranazionale quale mezzo di comunicazione fra i popoli dell’Egeo. Alla morte di
Evans, i suoi studi e appunti furono riconsiderati dagli archeologi, fra i quali spicca la figura di
Alice Kober che riesaminò il materiale complessivo concentrandosi sulla costruzione dei singoli
vocaboli. Questa analisi produsse l’evidenza di triplette, nel senso che alcuni gruppi di stringhe
sembravano consistere in versioni leggermente diverse della stessa parola, differendo solo nella
parte finale. Di qui si dedusse la natura flessiva delle iscrizioni dovuta alla declinazione di casi
grammaticali, alla differenziazione del genere e così via rispetto alla radice di base, immutabile. In
questo modo si trovavano buone soluzioni per due varianti, ma non per la terza che non sembrava
ascrivibile né a radice né a desinenza. La Kober ricorse allora all’ipotesi che la Lineare B fosse
sillabica attribuendo il III segno a più suoni costituiti da una cosiddetta sillaba-ponte, in parte radice
in parte desinenza. Per la prima volta si riuscì ad assegnare un carattere fonetico alla Lineare B
considerando la sillabaponte costituita da una consonante che avrebbe fatto corpo con la radice e da
una vocale che avrebbe evidenziato la desinenza. Approfondendo lo studio dei casi nei vari grafemi
si poterono ricostruire relazioni precise tra segni e suoni vocalici e consonantici. Ne derivò una
tavola di dieci segni, larga due vocali e alta cinque consonanti. Questa tavola rimase incompiuta a
causa della morte della Kober ma fu poi studiata da Michael Ventris, architetto di professione e
appassionato di archeologia sin dalla giovinezza, che contattò la studiosa poco prima della sua

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scomparsa. Dopo anni di duro lavoro, questi ampliò la tavola Kober, cominciando con
l'ideogramma del tripode, ritenendo che ogni segno della Lineare B rappresentasse una
combinazione consonante+vocale (CV) e che foneticamente il vocabolo fosse scandito secondo la
scansione CV (tripode→ ti-ri-po). Nel caso di raddoppio della consonante, però, si ponevano
problemi che Ventris risolse ipotizzando l’introduzione di una i muta fra le consonanti doppie,
ritornando, dunque, alla serie CV. Nel caso di vocali isolate che compaiono solo in posizione
iniziale dovevano subentrare ulteriori segni identificativi che Ventris riuscì a ricavare sulla base
delle frequenze in cui questi comparivano a inizio parola, riuscendo a discriminare tali segni
vocalici dalle ulteriori posizioni intermedia e finale. Attraverso tali ipotesi e i conseguenti elementi
di riscontro fu ampliata la tavola Kober. Inoltre lo studioso verificò tre parole che comparivano di
frequente in alcune tavolette intuendo che si trattasse di nomi di città. A partire dall’ultimo gruppo
CV che risultava lo stesso nei tre casi e con l’ausilio della tavola già compilata fu possibile la
ricostruzione dei toponimi. In riferimento a segni già noti e per mezzo di confronti incrociati riuscì,
inoltre, ad identificare ulteriori otto segni e ad attribuire valori fonetici ad ulteriori grafemi della
tavola purché si trovassero su una riga o su una colonna contenente almeno uno dei segni già
identificati, ottenendo risultati strabilianti. Fu evidente, attraverso questo complesso di decifrazioni,
che vi erano molte analogie con il greco arcaico, a parte il fatto che i segni della Lineare B
terminassero raramente in s, diversamente dal greco classico. Questa omissione fu attribuita ad una
sorta di convenzione grafica stilistica dello scriba. Ventris dichiarò la propria convinzione che la
Lineare B fosse un greco arcaico di difficile interpretazione, attirando l’attenzione di John
Chadwick, un ricercatore di Cambridge, che fin dagli anni ’30 si interessava dei tentativi di
decifrazione della Lineare B. Chadwick, esperto grecista, unitamente alla versatilità brillante di
Ventris, riuscì a ripercorrere l’evoluzione dell’idioma ellenico tenendo conto dei mutamenti fonetici
delle parole nel tempo, dell’introduzione e della soppressione di molti sostantivi, dei cambiamenti
di significato. Si stabilì definitivamente che la Lineare B fosse un proto greco, contrariamente alle
tesi sostenute da Sir Evans e dagli archeologi della sua generazione, e, nel 1952 fu stilata la quasi
completezza dei valori fonetici corrispondenti ai segni della Lineare B.

2.6 Le principali figure istituzionali del palazzo miceneo (appunti)

2.6.1 WANAKA, RAWAKETA E QASIREU


Dalle tavolette in Lineare B noi ricaviamo un'idea del quadro istituzionale del palazzo miceneo.
Al vertice del palazzo miceneo c'è il wa-na-ka che corrisponde etimologicamente al greco Ϝαναξ,
che in Omero significa “signore” ed è un appellativo attribuito alle divinità, mentre in miceneo
probabilmente indicava il sovrano (la continuità linguistica non è continuità semantica). Il wa-na-ka
ha grandi attribuzioni: ha il potere economico sul palazzo, ha un ruolo militare, infatti in una
tavoletta si legge che il wanaka assegna il bronzo per fare frecce, ciò significa che il suo potere
consiste nel dare il materiale per realizzare le armi, tuttavia non sappiamo se andasse in guerra. Su
una tavoletta si legge che il wanaka è my-o-me-no (misterizzato→ si riconosce il suffisso
participiale medio-passivo -ομενος; -my- ricorda la radice di mysterion). Il wanaka dunque subisce,
non esercita i culti misteri ma vi è iniziato, cosa che contraddice il mito fraizeriano ed evansiano del
re sacro e conferma l'idea di un re εννέωρος. Il termine my-o-me-no accostato al wanaka garantisce
il fatto che il wanaka abbia un potere assoluto sul palazzo e che passa attraverso i culti misterici.
Al secondo posto della piramide c'è il ra-wa-ke-ta, di cui in una tavoletta si legge che riceve 1/3 del
te-me-no (in greco classico τεμενος-εος, nome in sigma evidente di III declinazione) del wanaka,
cioè 1/3 del territorio sacro posseduto dagli eroi. Il termine rawaketa si scompone facilmente
secondo le lingue indoeuropee:
• ra-wa→ λαϝός→ λαός (seconda declinazione nomi attici, in greco della koinè è λεός)→
populus= popolo in armi
• ke-ta→ ὰγω o ηγέομαι→ guidare

cioè il rawaketa è colui che conduce il λαός, dunque si è ritenuto che fosse un capo militare.

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Bisogna però considerare che le parole col tempo cambiano il loro significato: λαός e ra-wo sono
sicuramente simili etimologicamente, ma per concludere che il rawaketa fosse un capo militare
bisognerebbe dare per certo che dall'epoca micenea il significato non sia cambiato.
La terza figura è il qa-si-re-u (al plurale qa-si-re-we) che equivale etimologicamente al greco
βασιλεύς; la documentazione micenea lo pone in relazione con i ka-ke-we (χαλκεις) cioè coloro
che realizzano i bronzi, al punto che si è pensato che fossero una sorta di capi-officina. Dunque si
tratterebbe non del capo del palazzo ma di una figura che vive ai margini del palazzo e funge da
“cerniera” tra produzione e gestione del palazzo ed è un funzionario esterno al palazzo. Il rapporto
con i kakewe ci fa capire che il qasireu ha un potere sulla produzione del bronzo, fondamentale nel
II millennio. La situazione del palazzo miceneo può essere raffigurata con un wanaka circondato da
tanti qasirewe. Quindi quando il palazzo miceneo cade, secondo alcuni, i qasirewe si
autonomizzano e diventano sovrani, creando la situazione che Omero descrive nei suoi poemi, cioè
non una società micenea ma una società di età buia che fa riferimento al miceneo. In conclusione si
può dire che il linguaggio della società micenea è simile a quello della società omerica ma la
conformazione è completamente diversa (vd capitolo 4), contraddicendo quindi la categoria del
Micenean Homer, che fino alla decifrazione delle tavolette era stata sostenuta.

2.6.2 SISTEMA IDEOLOGICO MICENEO E CONTINUISMO


Le tavolette micenee riportano anche dei teonimi. I continuisti hanno pensato che il Pantheon di
Omero esistesse già nel mondo miceneo poiché vi sono molti nomi che sembrano simili. Tuttavia i
teonimi delle tavolette sono tutti al dativo (dei destinatari di offerte) e non è detto nulla a proposito
della funzione di tali divinità. Dalle tavolette emergono nomi che non hanno corrispondenti nel
Pantheon greco come ma-na-sa. I continuisti hanno pensato a delle mancanze dovute al tempo ma
se si guarda ad una tavoletta di Pilo si trovano po-si-do-jo (Poseidone) ma anche po-si-do-ja, Dios
(Zeus) ma anche Di-ve (femminile di Zeus), che non hanno continuità e conferma nel mondo greco.
Dunque i micenei avevano delle divinità, le quali sembrano avere nomi simili a quelli delle divinità
greche, ma ne ignoriamo la funzione e non è possibile stabilire fino a che punto esse siano
sopravvissute attraverso l'età buia.

2.7 Espansione micenea nel Mediterraneo (appunti, Musti)


Si parla si espansione micenea nel Mediterraneo perché frammenti di ceramica micenea sono stati
trovati in varie zone del Mediterraneo. Nel 1941 l'archeologo svedese Arne Furumark (1903-1982)
classifica la ceramica micenea (ceramica scura tipizzata), consolidando, insieme alla successiva
decifrazione della Lineare B (vd. 2.5.2), la categoria del miceneo. Le ceramiche micenee si sono
trovate, per quanto riguarda l'Oriente, in Egitto, Siria-Palestina, Cipro, coste dell'Asia Minore, Rodi
e Lesbo, per quanto riguarda l'Occidente, a Lipari, a Tapso, nell'Italia ionica e a Vivara. Le
ceramiche trovate a Vivara oscillano tra XVII secolo a.C. (coeve al circolo tombale B) e il XII
secolo a.C.. La presenza di materiale ceramico così antico ci indica che la civiltà micenea viaggia
già nel periodo in cui si sta formando, quindi non si tratta di campagne di conquista, cosa
dimostrabile anche dal fatto che non sono state trovate armi ma solo prodotti artigianali. Il fatto che
in zone come Vivara, Toscana e Sardegna sia stati ritrovati numerosi panetti di bronzo (lega di rame
e stagno, metalli di cui la Grecia era povera) fa pensare che la presenza di ceramiche micenee sia
ascrivibile al bisogno che i Micenei avevano di procurarsi materiali di cui non disponevano o
disponevano solo in scarsa misura, soprattutto i metalli. Il dominio miceneo non si presenta come
una talassocrazia: innanzitutto, l'espansione commerciale per i Greci non è di per sé una
talassocrazia, e quindi da sola la ceramica micenea non dimostra un domino sul mare, e poi, nei fatti
sembra esserci uno scompenso tra il momento della potenza politica e quello della diffusione della
ceramica micenea. Se la tradizione letteraria può suggerire qualcosa in proposito, si tratta di
elementi che singolarmente concordano con la situazione di decalage (spostamento nello spazio o
nel tempo) tra il momento e il ruolo del potere politico e quello del commercio miceneo. La
tradizione infatti, quando evoca mitici fondatori di epoca micenea per località occidentali, li
riferisce, o li immagina, come esuli o fuggiaschi o reduci della guerra di Troia (modello odissiaco o nostoico).

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Non erano i Micenei a viaggiare; i palazzi erano la committenza mentre i vettori erano
probabilmente navigatori cretesi o popoli levantino-ciprioti (Si può parlare di Fenici solo dal XII
secolo a.C. in poi). Si è erroneamente pensato che le esperienze di viaggio micenee fossero
anticipatrici della colonizzazione greca.

APPENDICE: I FENICI (Musti)


Nel quadro dell'espansione micenea nel Mediterraneo va collocato anche il problema delle
tradizioni greche sui Fenici (Phoìnikes, letteralmente “i rossi”, con probabile riferimento al colore
olivastro o bruno della pelle). Non si può parlare propriamente di Fenici, come realtà etnica e
politica organizzata e individuata, prima del XII-XI secolo a.C. . I testi greci, tuttavia, ne
presuppongono la presenza, nell'Egeo e nella stessa Grecia, anche per epoca anteriore, per esempio
quando descrivono le condizioni del II millennio a.C.
Con il termine Phoinikes i Greci intendevano riferirsi a popolazioni non greche; probabilmente
utilizzavano il termine anche per una situazione, quella del XIII secolo, ben diversa dalla
popolazione fenicia attiva nel I millennio a.C. Quindi, se si accetta l'ipotesi che Phoinikes, sia un
riferimento a tratti somatici, i Greci intenderebbero con questo termine tutti quei commercianti che
giungevano in Grecia e che avevano una carnagione scura.

2.8 Il ruolo dei miti greci oltremare (appunti)

2.8.1 I MITI GRECI OLTREMARE


Il Mediterraneo, soprattutto la parte occidentale, è pieno di miti greci oltremare (o precoloniali). LA
mitologia greca è piena di eroi viaggiatori. In Italia, soprattutto nel meridione, vi sono vari livelli di
mito: c'è una tradizione, riportata da Dionigi di Alicarnasso, che dice che gli arcadi, guidati da
Enotrio, giunsero in Italia (zona corrispondente grossomodo all'odierna Basilicata) 17 generazioni
prima della guerra di Troia. Secondo la tradizione mitica Minosse, vissuto tre generazioni prima
della guerra di Troia, sarebbe morto in provincia di Agrigento, per una trappola tesa da Dedalo e dal
re Cocalo. Nella zona del golfo di Salerno e nella zona adriatica vi sono miti sul passaggio degli
Argonauti. Eracle sarebbe passato in Italia (Alpi, area flegrea) alla ricerca dei buoi di Gerione.
Seguono poi i livelli dei Troikà (nostoi) divisi tra nostoi greci e e troiani:

NOSTOI GRECI
• Odisseo→ area basso-tirrenica, dal Circeo alla Sicilia
• Filottete→ Lucania
• Diomede→ Daunia
• Idomeneo (nipote di Minosse)→ Salento
• Achille→ Crotone
NOSTOI TROIANI
• Enea→ Lazio (probabilmente il modello originario era eroe greco con schiavo troiano)
• Antenore→ Padova

2.8.2 IPOTESI INTERPRETATIVE


Il modello dell'aristocratico che viaggia sulla nave è un modello di età arcaica legato all'emporìa e
studiato da Alfonso Mele. I miti greci oltremare hanno una cronologia molto alta. I miti greci
oltremare si trovano raccolti nell'opera “La Magna Grecia: storia e leggenda” di Jean Berard (1908-
1957), archeologo francese morto prematuramente in un incidente stradale. L'opera di Berard fu
molto discussa ma mai affrontata apertamente a causa della morte tragica dell'autore. L'opera si
divide in due parti, una riservata alla storia e una dedicata ai miti. L'opera di Berard risulta superata
perché egli riteneva che i miti greci oltremare fossero la memoria dei viaggi micenei e che, dunque,
essi avessero un'anagrafe storica. Quella di Berard è la massima interpretazione storicizzante del
mito greco ed è una forma di Evemerismo (Evemerismo→ Evemero da Messina riteneva che gli dei
fossero eroi diventati famosi e quindi deificati). Le affermazioni di Jean Berard rappresentano un

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significativo passo indietro dal punto di vista storiografico, in quanto Berard compie un'operazione
combinatoria, vedendo nelle ceramiche micenee la prova della veridicità dei miti greci oltremare,
che sarebbero quindi, secondo lui, leggende (cioè con un nucleo di verità).
All'opposto estremo rispetto a Berard ci sono degli studiosi dell'800 che ritengono che i miti siano
delle mere invenzioni. Tra questi ricordiamo per esempio Vincenzo Cuoco (1770-1823), il quale,
negando la validità storica del mito, nega anche la presenza greca in Italia meridionale,
valorizzando la componente sannitica. All'inizio del '900 Ettore Pais (italiano di origine sarda,
allievo di Momsen, vicino per un periodo alla scuola americana. Nel 1911 ebbe una regressione
identitaria e retorica e dal 1921 al 1939, anno della sua morte, fu ben integrato nel regime. Le sue
opere pubblicate prima del 1911 sono molto intelligenti, quelle successive sono retoriche. Pais
afferma che i miti non sono fatti storici ma sono stati portati dai Greci di età coloniale con funzione
legittimante, si tratterebbe dunque di un'ideologia. Pais riprende la tesi di Bronislaw Malinowski
(1884-1942) che parla di mith charter (mito patente), cioè il mito usato per legittimare la propria
presenza. Berard nell'introduzione al volume sulla Magna Grecia critica, sommessamente, la tesi di
Pais, chiedendosi come essa possa spiegare miti in aree dove non erano presenti colonie greche e
mostrando, a sostegno della propria teoria, che in alcune aree che presentano i miti ma non le
colonie sono state ritrovate ceramiche micenee.
Giovanni Pugliese Carratelli (1911-2010, studioso napoletano, insegnante alla Normale di Pisa, tra i
primi in Italia a studiare, dopo la decifrazione, le tavolette in lineare B, allievo di Albert) negli anni
50-60 del '900 ipotizzò, dando una lettura storicizzante, ma non evemeristica, della questione, che le
ceramiche provassero il passaggio dei Micenei e che dopo l'età buia i Greci, tornati in quei territori
abbiano trovato le tracce dei Micenei o ne abbiano sentito parlare dalle popolazioni locali e abbiano
quindi introdotto i miti. Dunque Pugliese Carratelli concorda con Pais nell'affermare che i miti
siano stati portati dai Greci, ma ritiene anche, con Berard, che essi abbiano un fondo storico.
Alfonso Mele nota la debolezza di questa teoria: è altamente improbabile che, dopo quattro secoli e
senza organizzazione della memoria in forma scritta, le popolazioni locali avessero memoria dei
Micenei. Domenico Musti, allievo di P. Carratelli fa notare che è altresì improbabile che i Greci di
VIII secolo avessero a portata di mano le ceramiche micenee, riscoperte in tempi molto recenti e
classificate solo nel 1941. Negli anni 80 del '900 viene elaborata una teoria che risolve tutte queste
aporie. La teoria, elaborata dallo studioso israeliano Irad Malkin (n1951) si basa sul fatto che il mito
non è storia ma linguaggio, cioè serve a rappresentare la storia. Malkin sostiene che i Greci
viaggiano per mare con i propri modelli culturali e con i miti omerici (Calcidesi→ Odisseo,
Cretesi→ civiltà minoica). Malkin elabora quindi la teoria del mito modulo-interpretativo: prende,
per esempio in esame il problema della Daunia, dove non ci sono colonie greche ma è presente il
mito di Diomede, l'uomo dei cavalli. Le aristocrazie daunie erano, non a caso, legate all'allevamento
dei cavalli. L'uomo greco legge la Daunia con il modello diomedeo. In Sardegna i nuraghi vengono
considerati opera di Dedalo. Questo modello serve a spiegare anche i miti laddove non siano
presenti colonie greche. Il mito ha,dunque, una funzione connotativa (dare ad un altro caratteristiche
che non gli appartengono. I Dauni furono connotati come diomedei dai Greci a loro insaputa. Ad un
certo punto le popolazioni prendono coscienza di queste connotazioni e le assumono come propria
origine (i Romani connotati come discendenti di Enea si riconoscono come discendenti dei Troiani)

2.9 Crisi dei palazzi micenei (Schnapp-Courbeillon, appunti)

2.9.1 LA FINE DEL MONDO MICENEO


Il mondo miceneo non muore all'improvviso , ma la sua disintegrazione nell'arco di un secolo e
mezzo è scandita da episodi violenti alternati a periodi di calma e persino di ripresa. Possiamo
suddividere questo processo in varie fasi:
• verso la fine del XIII secolo a.C. un'ondata di distruzioni senza precedenti colpisce la
maggior parte dei palazzi, i quali, come sistema sociopolitico, non si risolleveranno mai più.

• Sopravvivenza in condizioni molto instabili, con migrazione di popolazioni e sporadiche

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devastazioni. La civiltà micenea si frammenta in situazioni locali quasi completamente
indipendenti le une dalle altre.
• Alla fine del XII secolo a.C. nuove devastazioni seguite da uno spopolamento definitivo
della maggior parte del continente greco e delle isole.
• Le popolazioni di alcune rare isole che mantenevano tradizioni micenee, all'inizio dell'XI
secolo vanno lentamente diminuendo fino a scomparire.

La prima ondata di distruzioni sul continente greco alla fine del XIII secolo investe in pieno i
palazzi di Pilo, in Messenia, Micene, Tirinto e Tebe. Nello stesso periodo sono abbandonati anche i
siti di Orcomeno e Gla in Beozia, Crisa nella Focide e il Menelaion di Sparta senza alcuna traccia di
distruzione violenta. Bisogna però tener presente che le informazioni in nostro possesso sono valide
con uno scarto di circa 20-30 anni ed è quindi possibile che eventi che a noi sembrano
contemporanei si siano in realtà verificati a mezzo secolo di distanza gli uni dagli altri. Alcuni dei
siti che vengono distrutti verranno rioccupati e poi nuovamente distrutti. Siamo quindi davanti ad
un periodo di crescente instabilità, intervallato da scontri sanguinosi che preannunciano l'imminente
crollo generale.
Si tratta di una catastrofe di enorme portata che porta alla distruzione di palazzi importanti come
quello di Pilo. Si registrano anche spostamenti di massa verso le isole del Dodecaneso e di Cipro,
dove i flussi micenei vanno a rinforzare le comunità esistenti e a crearne di nuove (a Cipro ci sono
tracce di lineare cipriota, una variante della lineare B, fino al IX secolo a.C.).
I segni precursori del disastro si possono rilevare in numerosi luoghi: rafforzamento delle
fortificazioni o creazione di nuove fortificazioni, tentativi di sbarrare l'Istmo di Corinto, tavolette
(soprattutto a Pilo) che testimoniano un'intensificazione della produzione di armi e di sacrifici alle
divinità. Su tutto il territorio, dunque, ci si prepara ad affrontare un pericolo che sembra venire dal
mare.
Il XII secolo è anche il secolo in cui si colloca la guerra di Troia (1184 a.C.) secondo Eratostene di
Cirene.

2.9.2 IL DIBATTITO SULLE CAUSE DELLA CRISI


Le ragioni e i tempi della crisi dei palazzi sono oggetto di grande discussione. Vi sono tre principali
teorie:
1. Teoria catastrofista: Rhys Carpenter (1889-1980), archeologo statunitense, nell'opera
“Clima e storia” ipotizza un brusco cambiamento climatico, un raffreddamento che sarebbe
attestato dal ritrovamento di fibule per mantelli e spilloni per la lana, e che avrebbe causato
una serie di cattivi raccolti e un'inevitabile sommossa popolare. I climatologi non sono in
grado di pronunciarsi a riguardo, ma, nonostante sia vero che le tecniche agricole e le
condizioni in cui si praticava l'agricoltura erano tanto precarie da poter essere messe in crisi
da qualsiasi cosa, sembra difficile che questo singolo elemento abbia potuto causare un
processo distruttivo così radicale e i ritrovamenti di spilloni e fibule sono spiegabili sia con
il fatto che in alcune zone della Grecia le temperature erano sempre tendenzialmente basse,
sia semplicemente come una moda.
Un'altra teoria catastrofista è quella del terremoto, confermata da deformazioni nelle cinte
murarie di alcune città dell'Argolide centrale. Sembra tuttavia difficile spiegare con questa
teoria la distruzione generalizzata, che colpisce, tra l'altro, anche centri che non mostrano
segni di terremoto, il quale potrebbe al massimo essere un fattore aggravante della crisi.
2. Teoria invasionistica (deterministica): teoria che ipotizza l'avvento di invasori che si
riversano sulla Grecia distruggendo tutto al loro passaggio. Si è pensato in primo luogo alle
invasioni dei Dori, una popolazione proveniente dalla Doride (realtà extra-peloponnesiaca)
che si espandono nel Peloponneso, a Creta e nella Doride d'Asia e sono identificati
linguisticamente dalla forte presenza del suono A. La tradizione dice che i Dori erano scesi
in Grecia come alleati dei discendenti di Eracle per riconquistare il regno che Euristeo, re di
Micene, gli aveva sottratto. Vi sono alcuni elementi che fanno pensare che questa teoria sia

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errata: in primo luogo la continuità della cultura micenea, che nonostante le distruzioni della
fine del XIII secolo sopravvive e in alcuni luoghi si riprende, cosa che fa pensare che se
anche vi fossero stati degli invasori questi non si siano insediati, il che contraddice l'ipotesi
della conquista dorica; in secondo luogo Tucidide dice che i Dori giunsero nel Peloponneso
ottanta anni dopo la guerra di Troia (che abbiamo detto coincide con la fine della civiltà
micenea), dunque lo storico ha una concezione dei Dori post-micenea. Domenico Musti
osserva che i Dori non sono conosciuti dalla tradizione né come costruttori né come
distruttori, ma come popolo sopraggiunto, dunque la tradizione antica non condivide la
moderna teoria invasionistica dorica.
Tra le possibili invasioni straniere c'è da segnalare l'ipotesi dei popoli del mare. Nei
documenti egiziani risalenti al faraone Meneftà (XX dinastia, XII secolo), il faraone si
lamenta di un'invasione dal mare che egli imputa a “Popoli del mare” (eteronimo). Dunque i
faraoni di questo periodo hanno dovuto scontrarsi con armate composte di elementi eterocliti
e, pare, sufficientemente temibili da mettere in pericolo la sicurezza dell'Egitto. D'altra parte
il Mediterraneo orientale attraversa nel XII secolo una crisi generale. In Anatolia crolla in
circostanze misteriose la civiltà ittita (popolazione di lingua indoeuropea che scrive in
cuneiforme babilonese), in area siro-palestinese si insediano i Pelejet (i Filistei). A Pilo è
stata trovata una tavoletta in cui si riferiscono provvedimenti presi dal wanaka per
proteggere i confini, ma quella tra le cronache di Meneftà e la tavoletta di Pilo risulta una
combinazione alquanto improbabile. Il solo elemento che potrebbe avvalorare l'ipotesi è la
menzione negli archivi egiziani di Ekwesh- che secondo alcuni è un eteronimo che indica gli
Achei- che si erano spostati verso l'Oriente in seguito a disordini, per poi insediarsi in
Palestina per ordine del faraone. In effetti i Filistei producono in questo periodo una
ceramica dalla forte ispirazione micenea, ma in questo caso specifico si tratta al massimo di
una conseguenza e non di una causa, dato che ignoriamo che cosa avrebbe provocato la fuga
dal continente greco. Bisogna dunque rinunciare a qualunque teoria di conquista
dall'esterno, in mancanza di invasori chiaramente identificabili.
3. Ipotesi rivoluzionistica: Si è ipotizzato in un primo momento che ci siano state delle guerre
civili che avrebbero visto contrapposti diversi stati micenei, in varie coalizioni di alleati e
dipendenti da ambo le parti ma la vittoria dell'una o dell'altra fazione non giustificherebbe il
crollo del sistema palaziale. Si è allora proposto uno schema diverso. John Chadwick
osserva che nelle tavolette in lineare B ci sono delle forme dialettiche doriche, cosa che
smentirebbe la teoria tucididea come realtà post-micenea. Chadwick ipotizza allora che la
società micenea si basasse su uno Stato bietnico cioè che i Dori fossero una popolazione
contadina, una classe sociale di dipendenti sfruttata dai Micenei, la quale ribellandosi
avrebbe causato la caduta dei palazzi. Questo punto è delicato perché studi più recenti hanno
osservato che esiste un abbozzo di lingua popolare nelle tavolette, ma che esso non sembra
corrispondere ad un dialetto protodorico, quindi Chadwick sarebbe semplicemente
influenzato dal marxismo.
Tutte queste teorie condividono l'idea che la civiltà micenea sia caduta all'improvviso per un
avvenimento. Sono cioè teorie evenemenziali.
Fernand Braudel introduce il concetto di longe durèe per spiegare quei fenomeni che non si possono
spiegare con singoli avvenimenti, o conseguenze di avvenimenti, improvvisi e definiti. I processi di
formazione e fine dei palazzi sono fenomeni di lunga durata, cioè da valutare in secoli. La caduta
dei palazzi micenei, a cui i fenomeni sopra descritti potrebbero comunque aver contribuito, è
tuttavia dovuta ad un affaticamento di un sistema burocratico rigido ed elefantiaco, incapace di
rinnovarsi. Nel 1984 durante un convegno animato da Domenico Musti sui Dori fu proposta la
Teoria dei due tempi, secondo la quale i Dori non sarebbero stati la causa della caduta dei palazzi
ma i “catalizzatori della Grecia post-palaziale” cioè dei riorganizzatori. Secondo questa teoria ci fu
dunque una prima fase di crisi dei palazzi, dovuta all'affaticamento del sistema e solo in seguito
l'avvento dei Dori e il loro ruolo attivo nella riorganizzazione della società palaziale. Quindi i Dori,
nonostante la doricità riscontrata a livello linguistico nelle tavolette in Lineare B, non erano già nel
palazzo.

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3. LE MIGRAZIONI

3.1 I Dori nella Grecia post-palaziale (Musti, appunti)


La tradizione greca ricorda i Dori come una realtà post-micenea (mito del ritorno degli Eraclidi) che
si sarebbe impadronita del Peloponneso, secondo la cronografia ellenistica, ottanta anni dopo la
guerra di Troia, quindi se accettiamo la datazione di Eratostene la guerra si collocherebbe nel 1184
a.C. mentre la migrazione nel 1084 a.C. Sta di fatto che, dopo, la caduta dei palazzi micenei nel
Peloponneso (tranne che in Arcadia) si parla dorico come anche a Creta e nella Doride d'Asia.
Omero nel XIX libro dell'Odissea, quando Odisseo si finge cretese, dice che a Creta ci sono i Dori,
commettendo un anacronismo poiché i Dori sono una realtà post-micenea. In un altro passo Omero
dice che i soldati che venivano da Rodi marciavano triktà (a tre file, vd 6.5), commettendo un altro
anacronismo perché si riferisce alla Rodi di età buia, non a quella micenea.
I Dori non figurano nella tradizione greca non come distruttori, ma come conquistatori e
riorganizzatori (vd 2.9); la loro penetrazione appare come una conquista ora più ora meno veloce,
accompagnata da fatti di penetrazione e appropriazione di un patrimonio culturale precedente (il
mito degli Eraclidi). Secondo la teoria dei due tempi (vd 2.9.2) i Dori sopraggiungono in un
momento successivo alla caduta dei palazzi micenei, dopo la quale effettivamente è possibile
verificare un periodo di grandi mutamenti sia delle condizioni di popolamento sia del rapporto con
il territorio che diventa proprietà di tribù organizzate in una forma molto meno gerarchica e
verticistica. Le fertili pianure diventano oggetto della spartizione di nuove tribù. I nuovi centri
politici sono più immediatamente correlati ai territori coltivabili. Vi è anche chi ipotizza che le
nuove popolazioni praticassero un'economia di tipo pastorale, e che avessero un atteggiamento
negativo nei confronti dell'agricoltura, che si manifesterebbe proprio nell'adozione di forme di
proprietà collettiva o nel rifiuto della pratica dell'agricoltura, affidata a popolazioni asservite. Forse
l'atteggiamento di fondo dei Dori verso l'agricoltura è più positivo di quello che questo schema
consente di ammettere, e proprio il declino demografico delle ultime fasi della civiltà micenea può
aver attivato nuovi coltivatori. Certamente i rapporti di proprietà e gestione dei terreni sono molto
diversi perché altri ne sono proprietari e si tratta di un numero di individui più alto rispetto ai tempi
del palazzo miceneo, i quali individui gestiscono i possedimenti in modo diverso e la servitù rurale
è solo un adattamento delle possibilità di “dipendenza” che la vecchia società recava in se stessa.
L'epoca che la tradizione connette con l'arrivo dei Dori nel Peloponneso e nelle isole egee è dunque
caratterizzata da profondi mutamenti, ma sarebbe alquanto superficiale ricondurre tutti i
cambiamenti semplicemente all'arrivo di un nuovo popolo. Infatti, ci sono trasformazioni che
investono non soltanto l'area dorica, ma anche altre aree che, pur se toccate dal movimento dei Dori,
non ne furono il principale teatro né la destinazione definitiva. C'è un grande mutamento nell'area
mediterranea che riguarda l'uso dei metalli, in particolare si passa in questo momento dal bronzo al
ferro, l'organizzazione della società, le tattiche militari, gli usi funerari eccetera e soprattutto in
passato si collegarono tutti questi cambiamenti con l'arrivo dei Dori. Tuttavia questa connessione
appare troppo schematica ed improntata sul Positivismo ottocentesco.

3.2 Hellàs ed Hellenes (appunti, Musti)


Come sottolinea Tucidide, ai tempi della guerra di Troia i Greci non avevano ancora il nome
comune di Elleni; Omero li chiama di volta in volta Ἀχαιοί (Achei), Ἀργείοι (Argivi) o Δαναοί
(Danai), tutte designazioni che ci portano in ambito peloponnesiaco, così come Ἔλληνες ci riporta
nell'ambito della Grecia centrale: anche nella storia dei nomi dei Greci si rende evidente questa
duplicità Peloponneso- Grecia centrale che esclude l'Attica.

Ἀχαιοί (Achei): Omero con questo termine indica i Greci del Peloponneso come il coronimo Acaia
indicava in origine proprio il Peloponneso. Nel periodo delle colonizzazioni il termine Acaia indica
la regione a nord del Peloponneso, dunque, tra Omero e le colonizzazioni sembra esserci stato un
restringimento del toponimo. Abbiamo però ragione di pensare che al tempo di Omero l'Acaia
fosse già solo la regione settentrionale del Peloponneso ma che egli fosse a conoscenza del

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significato miceneo del termine e che non abbia ceduto al modernismo.

Ἀργείοι (Argivi): fa riferimento alla città di Argo, che non esisteva in età micenea (nasce dallo
shifting di età buia ai piedi di Micene). Qui Omero commette un modernismo. Omero non parla mai
di Micenei, probabilmente perché non conosce già più la città di Micene.

Δαναοί (Danai): si tratta di un nomen priscum, cioè un nome antico, un etnonimo che già Omero
sentiva come arcaico. In un elenco di popoli del mare c'è il termine Danuna che viene da alcuni
identificato con i Micenei, i Danaoi omerici.

Ἔλληνες: presente in Omero ma riferito al popolo dell'Acaia Ftiotide (il popolo di Achille), da cui
il toponimo Hellàs è forse originariamente distinto, ma con cui gli storici di V secolo la
identificano. Nella Telemachia l'Ellade ed Argo sono distinte e affiancate, a significare, sembra,
rispettivamente la Grecia centrale e il Peloponneso. La storia del nome Hellenes è comunque quella
della sua progressiva espansione all'intera grecità: in questo senso va letto il termine Panhellenes in
Archiloco ed Esiodo e, probabilmente, il termine Hellàs nelle Opere e i giorni di Esiodo. Nel VII
secolo a.C. il processo di generalizzazione del termine appare quindi compiuto.

Nel mondo latino gli Elleni sono noti con il termine Graeci; l'etnico e il toponimo all'origine di
Graecus hanno varie possibili origini ma nel catalogo delle navi la Graia è nell'Oropia, di fronte ad
Eretria. La diffusione del nome Greci in occidente si deve dunque al ruolo svolto dall'Eubea nella
colonizzazione d'Italia e, in generale, al ruolo della Grecia centrale nell'VIII secolo, ma forse il
collegamento potrebbe essere il nome delle regioni greche occidentali. Varie tradizioni, tra cui il
Marmor Parium, consideravano il nome come l'antecedente di Elleni.

3.3 I rapporti tra Grecia e Anatolia (Appunti, Bettalli)


3.3.1 GLI AHHIJAWA
Nel II millennio a.C., mentre in Grecia e a Creta si formano i palazzi, l'Anatolia è dominata dalla
potenza ittita, una “civiltà di altopiano”, un impero con capitale ad Hattusa, l'odierna Bogazkale,
una potenza che parla una lingua indoeuropea (oggi invece in Turchia si parla una lingua uralo-
altaica). Nelle tavolette micenee si rintracciano dei toponimi come Tu-ru-ra (Troia), Mi-ra-to
(Mileto). Viceversa gli scritti ittiti in cuneiforme babilonese parlano di un popolo, chiamato
Ahhjawa che commerciava sulle coste ittite. Gli scritti risalgono al XV-XIV secolo a.C. sono stati
rinvenuti ad Hattusa; essi lasciano desumere che la terra degli Ahhjawa fosse uno stato costiero a
ovest dell'impero ittita. Tale stato nel XIII secolo, durante i regni di Hattusili III e Tudhalya IV,
possedeva delle navi, era coinvolto in una rete commerciale ed aveva rapporti non sempre
amichevoli con l'impero ittita e sembrerebbe aver avuto avuto, anche se in maniera intermittente, il
controllo di alcune isole, ma mai una vera e propria presenza coloniale. Il sovrano di questo popolo
viene indicato con l'epiteto di Gran Re ed equiparato alle altre potenze mediterranee di quel
periodo. Sulla base dell'equazione Ahhijawa=Achei alcuni hanno riconosciuto i Micenei nel popolo
di cui parlano i testi ittiti. Indipendentemente dalla validità di questa equazione linguistica, recenti
studi hanno escluso la possibilità che lo stato degli Ahhijawa potesse essere lungo la costa
meridionale o nord-occidentale dell'Anatolia. Restano numerose opzioni tra cui il continente greco,
nell'ambito del quale sia Micene che Tebe potrebbero essere valide opzioni, la stretta fascia costiera
sud-occidentale dell'Anatolia, compresa tra Mileto (identificata con la Millawanda dei testi ittiti) e
Iasos, e dalle isole di Rodi e Cos. Si tratta di un'area con una forte presenza micenea ed egea in
generale, che fa pensare ad una popolazione anatolica gradualmente miceneizzata.
Aldilà della collocazione di questo popolo, dunque, le fonti parlano di un rapporto tra le popolazioni
greche e anatoliche basato su presenza commerciali, ma non coloniali. Con la crisi dei palazzi
questi rapporti si diraderanno sempre di più fino a svanire del tutto, anche perchè caduta dei palazzi
coincide con la fine dell'impero ittita (crisi dell'Egeo).

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3.3.2 IL RETROTERRA ANATOLICO POST-ITTITA
Il retroterra anatolica in epoca post-ittita è caratterizzato dalla presenza di nuove popolazioni
indigene: i Frigi, cui la tradizione greca collega il mito di Re Mida, che si collocano nella parte
settentrionale della penisola anatolica, i Lidi, che si collocano nella parte centrale, i Cari che si
collocano nella parte meridionale. Nell'immaginario greco i Frigi e i Lidi sono popolazioni ricche e
prospere, poiché sfruttano fiumi auriferi, mentre i Cari, che abitano una regione montuosa e ostile,
sono un popolo barbaro.

3.4 Le migrazioni in Asia Minore (Musti, appunti)


È solo dopo la fine dei regni micenei e l'invasione dorica del Peloponneso che si colloca il
fenomeno della “colonizzazione” delle coste occidentali dell'Asia Minore. Oggi si tende a datare
non solo le presenze, ma gli stessi insediamenti coloniali greci in Eolide, Ionia e Doride d'Asia in
piena epoca micenea. Bisogna però tener presente alcuni aspetti:
1. È innegabile negare la presenza di resti di epoca micenea nelle zone grecizzate dell'Asia
Minore
2. Queste presenze possono in parte riflettere la naturale circolazione di uomini, mezzi e merci
che caratterizza la seconda metà del II millennio a.C.
3. Eratostene colloca la migrazione ionica nel 1044 a.C. Si tratta della serie di fondazioni
cittadine ioniche che viene datata dopo la migrazione dorica (che Eratostene colloca nel
1080).
È concepibile che dalle società micenee in declino si distacchino individui che poi vanno alla
ricerca di nuovi territori, ma la fondazione di vere e proprie città presuppone l'esistenza del modello
cittadino. Il fatto ha rilevanza storica se si ammette che la colonizzazione ionica e quelle contigue
nascano già dalle nuove situazioni politiche, per dare sfogo ai bisogni urgenti della polis. La
tradizione antica di fatto assimila la colonizzazione di età arcaica al fenomeno post-miceneo
definendo entrambi con il termine ἀποικία (via da casa). L'ipotesi più plausibile tuttavia è che, in
seguito ai vuoti di potere che si verificano alla fine del II millennio a.C., quei territori che i micenei
avevano conosciuto grazie agli scambi commerciali siano diventati ancora più appetibili, dando
luogo alle migrazioni, poi, dopo la nascita della polis a queste migrazioni si sarebbero sostituite
delle vere e proprie colonizzazioni. Contro questa ipotesi c'è una teoria, che non trova riscontro
nelle fonti antiche, che sostiene che la polis sia nata in Asia Minore (vd. 6.2).
La tradizione collega la nascita delle città eoliche ai figli e ai discendenti di Oreste, figlio di
Agamennone, quindi pone la fondazione dell'Eolide in un'epoca post-troikà. Probabilmente la
migrazione, partita dalla Tessaglia meridionale e dalla Beozia, giunge in Asia minore attraverso
l'isola di Lesbo e poi attraverso Tenedo e interessa la zona che va dal promontorio di Kane fino a
Smirne. Sulla costa si costituisce una dodecapoli eolica da cui emergono Cuma e Smirne (che poi
passerà alla lega ionica).
La Ionia sarebbe stata, secondo la tradizione, raggiunta dai Nelidi, discendenti dei Neleo II (Neleo I
era padre di Nestore ed era vissuto molto prima della guerra di Troia), anche in questo caso la
cronologia tradizionale è post-troikà. I Nelidi nella tradizione provengono dalla Tessaglia, che è una
zona eolica, quindi le differenza linguistiche sarebbero nate in ambito anatolico. La tradizione vuole
che i Nelidi, prima di andare in Ionia, fossero passati per Atene, cosa ovviamente poco probabile
visto l'itinerario e la scarsa importanza di Atene in epoca micenea. Ciò si spiega con l'interesse che
l'Atene di VI-V secolo mostra nei confronti della Ionia, presentandosi, per bocca di Solone, come la
più antica città della Ionia. Storicamente la Ionia presenta tracce di comunità provenienti dall'Attica,
dall'Eubea e dalle Cicladi. Per Mileto la tradizione fornisce una datazione alta di fondazione che
oscilla tra il 1077/5 del Marmor Parium e il 1044 di Eratostene. La koinè ionica d'Asia fa capo al
santuario di Poseidone Eliconio a Capo Micale.
La Doride d'Asia si collega, anche se in modo impreciso, al mito degli Eraclidi. La tradizione parla
di apoikia in maniera anacronistica. L'esapoli dorica con centro sacrale nel santuario di Apollo a
Capo Triopio, presso Cnido, mostra chiaramente di essere nata e vissuta soprattutto comen
espressione della volontà di dominio di Rodie del suo tentativo di trovare un appoggio sul

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continente (tuttavia Alicarnasso fu ben presto ionizzata).
L'espansione greca nel mediterraneo è dunque un fenomeno lungo e complesso che si può scandire
in più fasi:
1. Frequentazioni micenee in aree diverse dal continente greco
2. Fenomeni migratori in epoca post-micenea
3. Colonizzazione di epoca arcaica, con la fondazione di vere e proprie città figlie (VIII-VI
secolo a.C.)
4. espansione greca di carattere egemonico o imperialistico (IV secolo)
5. espansione e colonizzazione greca dell'Oriente persiano

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4. L'ETÀ BUIA

4.1 Definizione e orizzonte cronologico (appunti, Bettalli, Schnapp-Courbeillon)


La nozione di “medioevo ellenico” o “età buia” fu introdotta alla fine dell'800 da Eduard Meyer
(1855-1930), il quale, partendo da un presupposto illuministico, leggeva questi secoli come un
periodo di decadenza. Il periodo che si apre nel XII secolo e si chiude nell'VIII ha un'identità
diversa da quella del periodo precedente ed è caratterizzato dall'assenza del sistema palaziale e della
scrittura (scomparsa della scrittura lineare), elemento quest'ultimo che venne visto da Meyer come
segno di decadenza. La scrittura lineare era però strettamente connessa all'attività del
palazzo,scomparso questo non ha più motivo di sopravvivere, ma ciò non implica necessariamente
un crollo culturale. A partire dagli anni 50 del '900 la visione delle Dark Ages ha cominciato a
mutare grazie alla pubblicazione dei materiali della necropoli ateniese del Dipylon e alla scoperta di
siti come Kalapodi e Lefkandì.
Il reale avvio di questo processo di rivalutazione si deve a Moses Finley che nel 1954, all'interno di
una generale ricostruzione della storia sociale nel mondo greco, maturò, studiando la società dei
poemi omerici, l'ipotesi che all'indomani del crollo della civiltà micenea si fosse lentamente formata
in Grecia una società fondata sul rango individuale- e dominata da singoli capi, gli eroi omerici- per
la cui economia lo scambio dei doni riferito da Omero sarebbe stato fondamentale. Secondo Finley
questa società è esistita nei secoli X e IX e i poemi omerici ne conserverebbero la memoria. Si tratta
dunque di un'età eroica contrassegnata da una società gerarchicamente organizzata.
Una lettura basata sulle fonti archeologiche portata avanti da Anthony Snodgrass, Nicholas
Coldstream e Vincent Desborought offre un quadro cronologico abbastanza chiaro di questo
periodo, che si apre con il XII secolo, caratterizzato dalle ultime vestigia della civiltà micenea, e si
chiude nell'VIII con la cristallizzazione della polis. Nel corso dell'XI secolo si verificano poi eventi
significativi come l'abbandono della sepoltura multipla, l'uso generalizzato del ferro e il passaggio
ad un'economia prevalentemente pastorale. Anthony Snodgrass introduce una nuova definizione che
è appunto quella di Dark Age dove l'aggettivo “Dark” non indica la decadenza ma l'oscurità dovuta
alla non conoscenza. La nostra conoscenza di questo periodo proviene, infatti, essenzialmente dalle
necropoli, da cui innanzitutto ricaviamo le prove di un massiccio spopolamento per cui si è
ipotizzata un'epidemia (l'Iliade si apre con la peste che colpisce gli Achei), che sarebbe verisimile se
l'orizzonte cronologico non fosse così ampio. C'è anche chi nega che ci sia stato un crollo
demografico e ipotizza che l'improvvisa riduzione del numero di sepolture sia dovuta a
cambiamenti negli usi sepolcrali. Resta però il fatto che all'improvviso i dati vengono a mancare
proprio laddove abbondavano due secoli prima. Tra gli elementi che vengono a mancare in questo
periodo vi sono anche i traffici marittimi, perché le popolazioni si isolano. Si tratta in questo caso di
una falsa mancanza perché non erano i micenei a viaggiare ma i cretesi e le popolazioni levantino-
cipriote che continuano a viaggiare ma con committenze diverse. Un'altra peculiarità di quest'epoca
è il fenomeno dello shifting, lo scivolamento, cioè l'abitudine di costruire gli abitati non più sulle
alture ma in pianura; un esempio di vero e proprio shifting, un passaggio da collina a pianura è
Micene→Argo.

4.2 Il caso di Lefkandì (Bettalli, appunti)


In passato, complice il pregiudizio che si aveva nei confronti di questo periodo della storia greca, si
riteneva che l'età buia fosse un'epoca priva di monumentalità. Questo pregiudizio è stato smentito,
negli anni 60 del '900, dalle scoperte di Lefkandì. Lefkandì si trova al margine della piana di
Lelanto in Eubea, in prossimità della costa che fronteggia l'Attica e la Beozia. Dall'XI secolo in poi
il centro mostra una notevole crescita economica riflessa nelle importazioni di ceramica dall'Attica
e di oggetti esotici da Levante, Cipro e Creta. L'insediamento consta di piccoli agglomerati sparsi su
un'area piuttosto ampia. All'interno dell'area cimiteriale, in uso dall'XI al IX secolo, sulla collina di
Toumba, sono wstati rinvenuti i resti di un grande edificio absidato datato 1000-950 a.C. lungo più
di 40 m e largo 10. Al suo interno, al centro, furono ricavate due tombe a fossa. Di esse, una

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conteneva una doppia sepoltura: un individuo di sesso maschile di età compresa tra 30 e 45 anni,
cremato in un'anfora e accompagnato da armi; e una giovane donna inumata con ricchissimi oggetti
di corredo, molti dei quali di derivazione orientale. L'altra tomba contiene gli scheletri di 4 cavalli.
L'edificio di Toumba non venne mai ultimato e resta irrisolta la controversia sulla sequenza degli
eventi connessi alla costruzione dell'edificio: se cioè l'edificio abbia preceduto le tombe come
dimora monumentale del capo della comunità o se, piuttosto, esso sia stato costruito per ospitarle.
Quest'ultima sembra l'ipotesi più verosimile, poiché ci troviamo in un'area adibita a necropoli. È
certo comunque che l'edificio venne distrutto e i suoi resti livellati; con essi venne poi creato un
tumulo la cui sommità fu probabilmente coronata con un cratere fittile. La tomba di Lefkandì è
identificata come un Heroon. Nelle tavolette in lineare B Lefkandì è nominata come un tempio dove
i principi micenei mandavano offerte.
Alla fine degli anni 70, nei pressi di Roma, fu trovata una tomba con un individuo di sesso
maschile inumato che alcuni studiosi, tra cui Andrea Carandini (n1937), identificarono come
Romolo, ipotizzando la storicità del personaggio. Carandini a sostegno della propria teoria porto il
caso del principe di Lefkandì , ipotizzando che questo fosse una personalità importante di IX-VIII
secolo poi eroizzata.

4.3 Lo stile ceramico e la poesia omerica (appunti, Hölscher)


La ceramica di questo periodo viene definita proto-geometrica e geometrica. Lo stile proto-
geometrico è diffuso in quasi tutto l'ambito mediterraneo abitato dai Greci, anche se il centro di
maggior rilievo fu Atene. In confronto all'età micenea le forme dei vasi mostrano un chiaro
consolidamento; i motivi vegetali e figurativi tipici della ceramica micenea sono assenti, mentre il
tipo di decorazione tipico è di carattere geometrico. Ornamenti tipici sono cerchi concentrici e
semicerchi tracciati con il compasso (a pettine); frequenti sono anche file di triangoli o rombi,
campi con motivi a scacchiera e ornamenti a zig zag.
Lo stile geometrico presenta un ulteriore irrigidimento della forma dei vasi; gli ornamenti si
arricchiscono e coprono gradualmente in una maniera decorativa sempre più complicata tutto il
corpo del vaso. Questo stile di distingue in tre fasi: proto-geometrico (900-850 a.C.), Medio
Geometrico (850- 760/50 a.C.), Tardo Geometrico (760/750-700 a.C.). Oltre ad Atene, che rimane
centro egemone, si eleva a grande centro produttore anche Argo. All'incirca nell'800 a.C. compaiono
le prime figure umane. Il motivo dominante è quello della prothesis dell'eroe cioè l'esposizione e il
compianto del defunto, nonché l'ekphorà, cioè il trasporto della salma alla tomba. In voga sono
inoltre rappresentazioni del mondo guerriero , di solito scene di lotta o battaglie navali.
Un grande studioso inglese, Oswyn Murray, sostiene che c'è un rapporto tra lo stile Geometrico e la
formularità omerica e che quindi probabilmente la ceramica racconta episodi epici. I vasi geometrici
vengo soprattutto dalla necropoli del Dipylon di Atene.

4.4 La società omerica: valori, istituzioni, economia (Canfora, Musti, appunti)


Omero assume come modello la società omerica anche se in realtà spesso la società a cui il poeta
pensa è una società di VIII secolo. L'Odissea ci dà un quadro più completo e armonico del reale,
poiché non riguarda, come l'Iliade, in particolar modo la guerra. L'«enciclopedia» raccolta
nell'Iliade illumina in modo esauriente situazioni tipiche della vita militare, in cui quasi sempre
Omero arcaizza. Ma vi è nell'Iliade anche tutta una serie di informazioni riguardanti altri aspetti
della vita sociale, dei rapporti umani, del lavoro umano: è la serie importante delle similitudini. Un
passo importante per scoprire altri aspetti della società è quello in cui vengono descritte le opere
della pace rappresentate sullo scudo di Achille: nozze, tribunali, aratura, mietitura delle “terre del
re”, cori misti, feste, rappresentano molto probabilmente una realtà più vicina e più nota al poeta.
Ecco perché certe scene compaiono solo nelle similitudini, mai nella narrazione. Talvolta però
l'intreccio tra passato e presente è talmente stretto da essere inestricabile: Efesto, per esempio,
lavora il bronzo (passato) con tecniche che in realtà si usano in età buia per la lavorazione del ferro
(presente); la scena più rilevante dello scudo- il processo per un reato di sangue- si riferisce
chiaramente all'usanza più recente secondo la quale i giudici sono gli anziani che siedono nell'agorà

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(presente), mentre nell'Odissea il sovrano è l'unico giudice (passato). Sempre nell'Odissea però vi
sono vari esempi di assemblea ordinata (presente). D'altra parte, sempre sullo scudo, i mietitori che
lavorano il “terreno del re” sembrano richiamare una realtà “micenea”. Anche per altre attività
produttive l'economia omerica non sembra distinguersi da quella micenea. Accanto all'agricoltura si
pratica l'allevamento: non sono nominati animali domestici, ma se ne considera il possesso come
parte integrantee del possesso di un membro dell'aristocrazia guerriera. Notevole è anche il ruolo
dell'artigianato, di cui una parte importante è costituita dall'artigianato d'importazione considerato
molto lussuoso e altamente specializzato. L'economia resta premonetale. Un buon esempio è lo
scambio di armi tra Glauco e Diomede in cui l'autore definisce sciocco o folle Glauco, che cede a
Diomede armi molto più preziose di quelle che riceve. Il metodo che si usa per determinare il valore
sono i buoi. Dall'Odissea, oltre a moltissimi altri esempi di scambi e attività produttive, possiamo
trarre informazioni sulla pratica del commercio via mare, che appare concentrato nelle mani di
navigatori stranieri e si presenta con una connotazione parzialmente negativa: gli aristocratici,
secondo la testimonianza dell'epos, si rifiutano di esercitarla. Assai labili appaiono inoltre i confini
tra commercio e pirateria (quest'ultima, poiché richiede una capacità di comando e responsabilità
verso un seguito, non è disdegnata dall'aristocrazia).
Ci sono, aldilà degli intrecci più stretti, dei punti in cui lo iato epocale tra mondo miceneo e mondo
omerico appare evidente: nell'Iliade il basileus, che abbiamo visto corrispondere ad un semplice
capo-officina nelle tavolette in Lineare B, figura come detentore del comando in guerra, come colui
che presiede le assemblee e fa da arbitro nelle controversie. Ma se il modello è Agamennone,
quest'ultimo appare a capo di una coalizione di contingenti di diversi popoli e città. L'esperienza
cittadina greca è già presente in questa rappresentazione ; è l'idea di un'egemonia compatibile con
tante autonomie. Se questo è il profilo dei rapporti esterni, quello dei rapporti interni non è
dissimile: l'Iliade attesta l'esistenza di un'assemblea dell'esercito in cui vige la libertà di parola. In
essa hanno un certo ruolo i capi dei contingenti, che obbediscono ai suoi ordini, ma dividono con lui
il titolo di basileus. È una società di capi, che ha bisogno di un popolo in armi e della sua
ubbidienza. Nell'Odissea il rapporto tra Alcinoo e i dodici re di Scheria non è dissimile: è il ruolo di
un primus inter pares. Si va dunque definendo l'esistenza di una vera e propria aristocrazia:
nell'Odissea non c'è più una coalizione di capi, ma un gruppo sociale omogeneo. Un'altra
discriminante rispetto all'epoca micenea è la sscomparsa del termine doero (δοῦλος), che indicava
lo schiavo. Il modo in cui ci si procura gli schiavi è la rapina, come si legge nelle tavolette di Pilo e
come vediamo anche nell'Iliade. Nell'Odissea questo dato è presupposto, ma questo tipo di schiavitù
non è più ritenuto il più basso gradino sociale, che è invece rappresentato dal “teta”, un lavoratore
salariato che lavora nei campi per conto di un “diseredato senza ricchezza”. Questo nuovo tipo di
schiavitù, la cosiddetta schiavitù “ilotica” è probabilmente una novità portata dai Dori, difatti la si
trova soprattutto in ambito peloponnesiaco.
Dopo la decifrazione delle tavolette in Lineare B è sempre più andato scemando il mito del
Micenean Homer, poiché come abbiamo visto le tavolette rivelano una società diversa da quella
omerica. Oggi, sulla scorta dell'opera “Il mondo di Omero” di Moses Finley si tende a pensare che
Omero avesse davanti un pubblico di VIII secolo, un'aristocrazia di fine età buia. La composizione
delle singole parti dei poemi omerici non risale all'VIII secolo ma il confezionamento risale a
questo periodo. I poemi contengono una tradizione orale secolare, che si articola su tre livelli:
1. Livello miceneo: soprattutto nelle descrizioni archeologiche come quella del carro. I
guerrieri micenei combattevano sul carro, mentre gli eroi omerici lo usano come mezzo di
trasporto, Omero ha dunque una concezione archeologica del carro ma non ne conosce la
funzione.
2. Livello di età buia
3. Livello della polis

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4.5 Una società di big men? (Bettalli)
Moses Israel Finley (1912-1986) aveva trovato in Omero e più specificamente nella sua descrizione
delle dimore aristocratiche dell'Odissea una società che gli sembrava corrispondere più a quella dei
secoli bui che alla società delle fortezze micenee o alla grande ondata di colonizzazione della
seconda metà dell'VIII secolo. Le osservazioni di Finley furono criticate da coloro che ritenevano i
poemi un documento coevo alla nascita delle poleis, il che implica allusioni palesi alle profonde
modificazioni della struttura sociale. Bisogna però tener presente che Omero è un poeta arcaizzante
che compone per un'aristocrazia nostalgica del buon tempo antico in cui ognuno sapeva stare al suo
posto.
Recentemente l'analisi di Finley è stata ripresa da un'angolazione leggermente diversa. I re omerici,
somigliano molto poco a dei “veri” re: numerosi, indisciplinati, in perenne disaccordo tra loro,
detengono un potere piuttosto instabile, senza alcuna certezza di successione dinastica e l'autorità
regale è continuamente contestata all'interno del gruppo dirigente. Il re omerico basa il proprio
potere sui propri meriti personali di capo e sulla generosità. Questo insieme di caratteristiche lo
apparenta con quello che gli antropologi definiscono un big man un grand'uomo, sulla base di
alcuni modelli di società arcaiche a noi contemporanee. Le società di big men si caratterizzano per
un'instabilità politica cronica, dovuta alla debolezza delle strutture di parentela nei processi di
conquista e conservazione del potere e al caos economico indotto da una pratica competitiva della
generosità fra capi rivali. La tendenza alla disgregazione e alla scissione tra gruppi è un fenomeno
costante. L'economia si basa allora su una produzione domestica poco sviluppata ma sfruttata al
massimo e sul bottino raccolto dalle continue razzie a danno dei popoli limitrofi. Ma una guerra
prolungata aumenta la pressione sui produttori e mette in pericolo l'economia del regno. Questi
aspetti si ritrovano nel mondo omerico. Tuttavia i re omerici sono più che semplici big men di una
società melanesiana. Essi non si accontentano di distribuire beni immobili, ma distribuiscono terre,
contribuendo a quel processo di appropriazione della terra che sta alla base della nascita della polis.
La società pastorale in Omero ha un valore ideale mentre l'agricoltura è presente ovunque sullo
sfondo. Bisogna comunque tener presente che la società dei poemi omerici è una società artificiale
che mette insieme elementi di varie epoche (Vd. 4.4).
Per tornare ai secoli bui, l'idea di una società di big men potrebbe effettivamente trovare riscontro
nei ritrovamenti archeologici: la ricchezza episodica di alcune tombe denota la presenza di
personaggi aristocratici di cui è difficile dire se facessero parte o meno di sistemi dinastici.
Recentemente è stato ipotizzato che questo non avvenisse nel caso di Lefkandì in quanto l'edificio
principesco fu bruciato, probabilmente, durante il rito funebre del principe e della sua compagna,
senza nemmeno essere stato ultimato, quindi non era pensato per ospitare altri membri della stessa
dinastia.

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5. IL 'RINASCIMENTO' GRECO

5.1 Inattualità di una definizione (Bettalli, appunti)


L'VIII secolo a.C. rappresenta un momento cruciale nella storia della Grecia antica. La formazione
di comunità stabili che sviluppano adesso un'organizzazione sociale, politica e religiosa fondata su
norme condivise, l'acquisizione dell'alfabeto e la grande diffusione dei Greci oltre mare sono gli
elementi essenziali di tale periodo. In genere si fa iniziare il cosiddetto 'Rinascimento greco' dal 776
a.C., data della prima Olimpiade. Tuttavia questa definizione appare oggi superata.
Segni della trasformazione che interessa questo particolare momento storico si colgono già nel
corso della Dark Age, almeno a partire dal X secolo. Parlare, dunque, di rinascita o di rivoluzione
per la Grecia di VIII secolo, presupponendo l'esplosione di fenomeni del tutto nuovi rispetto ai
cosiddetti 'secoli bui' non appare corretto. Risulta più ragionevole individuare nell'VIII secolo il
punto di arrivo di processi avviati nel corso della Dark Age, che trovano in questo momento il loro
compimento.

5.2 La crescita demografica (Schnapp-Courbeillon)


Dal punto di vista demografico la crescita della popolazione, nel corso dell'VIII secolo, sembra
spettacolare. È l'epoca della prima colonizzazione greca verso l'Occidente e della “carenza di terre”,
menzionata però da fonti scritte posteriori. La dimensione di questa crescita è stata recentemente
contestata dall'archeologo Ian Morris, che ipotizza piuttosto un profondo cambiamento nelle usanze
funerarie: la città nascente nella seconda metà dell'VIII secolo, per la prima volta dall'epoca
submicenea, avrebbe accordato il diritto di sepoltura a tutti in uno slancio egualitario, il che
spiegherebbe l'esponenziale crescita delle necropoli fra il 750 e il 700. I secoli bui sarebbero anche
stati un periodo di “sepolture selettive” con riti funerari riservati esclusivamente ai potenti, mentre
gli umili venivano cremati senza alcuna cerimonia e le loro ceneri disperse intorno alla pira allestita
nel cimitero. Questa teoria cerca di spiegare l'apparente crollo del numero di abitanti durante i
secoli bui e mostra di conseguenza l'aspetto illusorio di una repentina risalita di questa cifra
nell'VIII secolo. Per questo motivo Morris conclude che sia più corretto parlare di presunto
aumento demografico.

5.3 Nascita e sviluppo dei santuari (appunti, Schnapp-Courbeillon)


Immaginare che il tempio greco sia nato all'improvviso è un errore, come è un errore pensare, come
faceva Evans, che Minoici e Micenei avessero una religione di tipo naturalistico. Infatti le tavolette
in lineare B hanno restituito, pur senza specificarne la funzione, nomi di divinità destinatarie di
offerte. La tavoletta di Pilo PyTn316 parla della zona sacra di pa-ki-ja-na, ciò testimonia che i
micenei probabilmente non avevano templi come noi li immaginiamo ma aree sacre.
La religione dei secoli XI-X resta per noi un totale mistero. I luoghi di culto micenei sono stati
apparentemente abbandonati nella stragrande maggioranza: le offerte votive sono in questi secoli
rarissime. Questo però non significa che la discontinuità sia stata ovunque la regola dato che la
permanenza spaziale dei culti tra epoca micenea e epoca arcaica è innegabile e questo in numerosi
luoghi, ma non abbiamo modo di conoscere le modalità di trasmissione. Dunque è estremamente
difficile definire la religione nei secoli bui. La localizzazione continua ad essere vaga, con, forse, la
presenza di un culto domestico all'interno degli insediamenti e piccoli santuari di campagna d cui
non resta traccia.
Sono i secoli IX-VIII a segnare la frattura. Comincia ad apparire una nuova sensibilità religiosa che
si traduce nella creazione di nuovi luoghi di culto, destinati a ricevere le offerte dei fedeli che
affluiscono anche da terre lontane. Si assiste ad uno sviluppo simultaneo di città e confederazioni di
quello che pian piano diventerà il cuore religioso della Grecia: Olimpia e Dodona in Epiro,
L'Heraion di Samo, quelli di Perachora e di Argo, Eretria, Eleusi, Delo e Delfi figurano tra i santuari
più antichi dove i doni spesso sono cronologicamente precedenti a qualunque costruzione. In realtà
soltanto un altare circondato da una spessa coltre di ceneri, le tracce dei sacrifici, è in genere
testimonianza di un culto nelle sue prime fasi. I primi templi cominciano a comparire far IX e VIII

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secolo, a volte molto tempo dopo le prime offerte votive; si tratta di strutture abbastanza piccole, se
paragonate ai monumenti posteriori, dalla forma sia absidale che rettangolare, con una leggera
armatura in legno e colonne in legno. Continuano a sussistere dubbi su costruzioni di grandi
dimensioni dei secoli X e IX, spesso absidate, che possono essere interpretate sia come luoghi di
culto che come sale di ricevimento di case principesche e persino come sale riservate ai banchetti
aristocratici. Ciò che più colpisce è la simultaneità di questi insediamenti: tutti i grandi culti della
Grecia classica nascono in quest'epoca, nello spazio di un secolo. Si tratta di costruzioni civiche,
collocate nel cuore delle future città, in genere nel punto più alto, oppure santuari di frontiera o casi
itermedi, cioè santuari urbani ma anche luoghi di pellegrinaggio internazionale.
Le divinità oggetto di questi culti sono in genere divinità che rappresentano l'insieme della
comunità e simboleggiano il suo radicamento nel territorio. Fra le divinità più importanti abbiamo
Atena ed Era, i cui nomi figurano già nelle tavolette micenee e che sono oggetto di grande
venerazione in tutta la Grecia, Apollo e Zeus, che animano culti oracolari, Demetra, Poseidone e
Dioniso. Ogni futura città sceglie proprio nume tutelare senza però bandire i culti minori. In questi
santuari le offerte continuano ad affluire, i doni votivi aumentano costantemente e sono soprattutto
vasi o statuine in terracotta e oggetti di metallo. Torna in uso il bronzo, che diventa il metallo
riservato agli dei. Tra i luoghi di culto micenei e quelli di epoca arcaica e classica non c'è alcun
legame, ma si è ipotizzata una filiazione tra il megaron miceneo e il tempio greco, il quale ne
riprende spesso l'aspetto generale e spesso sorge sulle rovine di un antico megaron. Questo aspetto
segnerebbe il passaggio da una religione incentrata sul re e sulla sua famiglia o sul capo in carica, il
cui culto veniva celebrato nel cuore del palazzo, ad un'appropriazione collettiva dei luoghi di culto.
Quasi tutti i grandi santuari sorgono su un substrato archeologico miceneo, sono molto rari quelli
che nascono su territori completamente vergini e, anche quando ciò accade, nelle vicinanze si
trovano sempre tracce di un passato miceneo, anche se il più delle volte i dati sul passato miceneo
sono frammentari e poco decisivi.

5.4 I santuari extra-murari (appunti)


In tutto il mondo greco, comprese le colonie della Magna Grecia, intorno all'VIII-VII secolo a.C. si
assiste alla nascita di santuari siti fuori dalle mura cittadine, generalmente dedicati alla dea Hera
(Heraion→ santuario di Hera). Le zone più interessanti sono Samo, Perachora (Corinto), Paestum,
Metaponto e si ritiene che un altro di questi santuari, dedicato però ad Atena, sorgesse a Cuma. Si è
sviluppato un dibattito sulla funzione di questi santuari: Giovanni Pugliese Carratelli che i santuari
extra-murari fossero stati costruiti nell'VIII secolo in zone dove i Greci sapevano della presenza di
luoghi di culto micenei. Carratelli aveva davanti l'esempio dell'area sacra di pa-ki-ja-na
(interpretazione archeologica del problema). Negli anni 80 del '900 François De Polignac interpretò
il problema diversamente: la polis ha una zona centrale detta χόρα, dedicata all'agricoltura e alla
civiltà e una zona esterna detta ἐσχατιά, costituita da boschi e luoghi selvaggi; dunque la polis si
sviluppa come identità che esclude ciò che è fuori e, secondo De Polignac, i santuari extra-murari
sono la mediazione tra χόρα ed ἐσχατιά e sarebbero in questo senso elementi chiave del processo
poleogenetico.

5.5 La scrittura alfabetica (appunti, ricerca)

Si è sempre ritenuto che la scrittura alfabetica fosse nata nell'VIII secolo. Studi recenti tendono,
tuttavia, ad innalzare la cronologia (ad esempio Bettalli parla di IX secolo)addirittura fino al XII
secolo, almeno chi dà valore all'etnogenesi fenicia. Le interpretazioni più vecchie tendono a pensare
ad una funzione commerciale, facendo prevalere il pregiudizio etnico dei Fenici commercianti
(Fenici→ Ebrei→ Semiti→ commercianti). Tuttavia la scrittura alfabetica non ha un sistema
numerario quindi non è adatta al commercio. Si è pensato allora ad una scrittura politica, ma la
forma scritta delle leggi è posteriore; infine si è osservato che questa scrittura possiede segni
diacritici, dunque è convincente che sia nata per scrivere formule poetiche (iscrizioni, dediche, ma
NON i poemi omerici) ma ciò non implica diffusione della cultura scritta, fenomeno che si

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verificherà soltanto nel IV secolo. La tradizione antica, ricorrendo al modulo del πρότης εὐρετής
(primo inventore), diceva che la scrittura era stata inventata da Cadmo, re di Tebe con origini
fenicie, quindi il mito dà valore all'ascendenza fenicia (un'altra tradizione parla di Palamede),
inoltre Erodoto parla di Φοενικεία γράμματα (N.B. il Fenicio è una lingua semitica, quindi non
segna le vocali).
Centrale nella diffusione della scrittura alfabetica è il ruolo dell'Eubea (Vd. 7.4.2), che avvia
rapporti con la costa siriaca in particolare con l'attuale zona di Al-mina, un piccolo centro nella Siria
settentrionale sulla riva destra dell'estuario dell'Oronte; in antichità fu un ottimo porto fluviale allo
sbocco della principale via di penetrazione verso l'alta Mesopotamia. Il nome antico non è noto
(Woolley propone l'identificazione con Ποσείδιον). Sono state trovate tracce di una frequentazione
micenea ma la città si colloca cronologicamente nella piena Età del Ferro; fiorente fino all'età
persiana decadde progressivamente fino a perdere, con la fondazione di Seleucia (301 a.C.) la
propria importanza portuale. Boardman ipotizza proprio Al-mina come centro di trasmissione della
scrittura alfabetica, in quanto in frequente contatto con gli Eubei, come testimoniato dai numerosi
reperti di ispirazione euboica. Dunque sono stati gli Eubei a importare la scrittura dai Fenici. Gli
Eubei vanno anche a Creta e in Occidente seguendo un itinerario ancora non del tutto chiaro, che
probabilmente va da Creta alla costa africana, poi alla Sardegna, alla Siciliae infine alla Campania,
da cui poi si apre all'orizzonte tirrenico fino al Golfo di Messina. Gli Eubei fondano Pithecussa e
contribuiscono alla fondazione di Cuma. Dunque l'Eubea è una realtà che si apre sia all'oriente che
all'occidente. L'alfabeto etrusco, da cui poi viene quello latino, fu probabilmente portano in
Campania dagli Eubei, insieme al modello odissiaco.

5.6 I culti eroici (appunti, Schnapp-Courbeillon)

5.6.1 LA FIGURA DELL'EROE (appunti)


La parola “eroe” si trova già nelle tavolette micenee in lineare B, per la precisione vi si legge
ti-si-ro-e cioè “tre volte eroe”, ma non sappiamo quale fosse il significato del termine. Il primo
autore greco che ci parla di eroi è Omero (Ἣρως) anche se non usa il termine di frequente. Un
autore che invece usa molto il termine eroe è Esiodo nel cosiddetto “mito delle razze” quando parla
delle varie epoche e introduce l'epoca degli eroi, che stona con lo schema complessivo della sezione
perché ogni epoca deve essere peggiore delle precedenti, ma quella degli eroi rappresenta un
miglioramento, dunque è un'aggiunta successiva. Esiodo ha una concezione globulare della storia,
cioè non c'è continuità tra un'età e l'altra. Per Esiodo gli eroi sono coloro che morirono sotto le mura
di Troia e Tebe (visione passatista dell'eroismo). Platone identifica l'eroe come colui che nasce
dall'unione tra una mortale e un dio. I culti eroici non prevedono discendenze. La differenza
sostanziale tra un dio ed un eroe è che gli dei sono ἁθάνατοι cioè immortali, ma non eterni
(eterno=non è nato ma è sempre esistito, il Dio cristiano è eterno, gli dei greci invece, essendo nati
non sono eterni), mentre gli eroi sono mortali (mortale/uomo= βροτός, la radice è *br- o *mbr- con
la b ependetica. È la stessa radice di mors ma si connette all'idea del nutrimento quindi βροτός→
colui che se non mangia muore. Il cibo degli dei è l'ἀμβροσία→α privativo+βροτός cioè il
NON-cibo. Gli dei in Esiodo sono ἂμβροτες cioè non mangiano) dunque sono oggetto di culto
tombale (Heroon= tomba eroica). Le sirene nell'antichità sono parthenoi, che non significa vergini
ma donne non sposate. Strabone dice che nella penisola sorrentina le sirene ricevevano cultidivini.
Napoli conservava la tomba della sirena Parthenope, che dunque non è una dea ma un'eroina, in
quanto ha una tomba.

5.6.2 ORIGINE, MOTIVAZIONI E DIBATTITO SUL FENOMENO (Schnapp-Courbeillon)


In Grecia, sin dalla fine del IX secolo e soprattutto dalla metà dell'VIII in poi, si registra un
fenomeno singolare: si cominciano a deporre offerte all'ingresso o all'interno del dromos delle
tombe micenee ancora visibili nel paesaggio. Si tratta essenzialmente di piccoli oggetti votivi in
terracotta o ceramica (mai in metallo), cui si accompagnano sacrifici rituali di animali in onore degli
antichi morti e questo a volte fino all'età romana. Moltissime tombe che a volte sono anche più

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antiche della civiltà micenea diventano oggetto di un culto improvviso ma duraturo.
Intorno ad alcune di esse si edificano a volte anche dei recinti funerari . Queste sepolture sono
considerate le tombe degli antichi eroi, spesso protagonisti delle antiche saghe dell'Età del Bronzo.
Pausania nella sua Periegesi della Grecia, redatta nel II secolo d.C., attribuisce ancora la maggior
parte di queste tombe ad eroi ben precisi.
Le ragioni di questo fenomeno vanno rintracciate in vari fattori: innanzitutto deve esservi stata,
nell'epoca in cui le poleis si formano e cominciano a creare una propria compagine territoriale,
un'esigenza di legittimazione per cui la tomba serviva a dimostrare che da tempo immemore gli
antenati avevano posseduto e difeso quel territorio; vi è poi l'esaltazione di sentimenti nazionalistici
della città ai suoi esordi, cioè la polis rivendica i propri eroi. A partire da queste constatazioni gli
storici hanno dato interpretazioni divergenti. Secondo Anthony Snodgrass, che esamina la mappa
della ripartizione geografica dei culti eroici, la geografia coincide con lo status delle persone: non ci
sono eroi in Laconia, Tessaglia e a Creta, zone doriche dove prevalgono popolazioni di contadini
dipendenti, iloti, penesti o altri. I culti eroici starebbero ad indicare i legami istituitisi fra la
popolazione di contadini liberi della nuova città e la terra civica di cui questi ultimi sono diventati
proprietari. Per Ian Morris invece i culti eroici sarebbero la prova del controllo aristocratico sulla
proprietà fondiaria, ottenuto tramite genealogie create ad hoc per attestare l'antichità della stirpe e
quindi la sua legittimità. John Nicolas Coldstream (1927-2008) insiste sull'importanza della
diffusione dell'epopea omerica, che costituirebbe il vero punto di partenza di questi culti. La
questione resta tutt'oggi aperta ma l'ipotesi più plausibile è che i Greci usassero le tombe micenee
per costruirsi un passato e risalire ad origini mitiche (uso della genealogia).

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6. LA POLIS
6.1 Che cos'è la polis? (Giangiulio, Musti)
Polis è un termine greco difficile da associare ad un precisa definizione. Nella riflessione di età
moderna la polis è stata spesso identificata come l'ordinamento statale tipico del mondo greco, cosa
che deriva dalle riflessioni scaturite dall'identificazione, all'inizio del '900, della polis come 'stato
greco', rimasta in auge fino agli anni 60. L'idea della polis come stato è stata a lungo fondamentale
per l'immagine collettiva della grecità,determinando la nascita di un vero e proprio mito
storiografico. Il mito della polis però genera una serie di obiezioni prima tra tutte il fatto che le polis
presentano una grande varietà di ordinamenti diversi tra loro. In secondo luogo anche se si
volessero superare le differenze e considerare solo i caratteri comuni si potrebbe al massimo
arrivare a capire come era fatta una polis, sicuramente non arrivare ad identificare una forma-stato.
La complessità di definizione è evidente già dall'incerta etimologia. Domenico Musti ritiene che
essa possa risalire alla radice del verbo pélomai (esserci) e quindi che indichi niente più che un sito
degno di nota, Giangiulio invece, fa risalire il termine ad una radice indoeuropea che indicherebbe
un borgo munito o una roccaforte, significato già in declino in età classica quando il termine passò
ad indicare sempre più spesso
I. centro abitato, tende a coincidere con l'asty, non nel senso di 'qualunque centro abitato' ma nel
senso di 'centro abitato dove al contempo si esercitano attività pubbliche'.
II. Entità statale termine meno generico di quanto possa sembrare perché di rado ci si riferisce ad
uno stato, preferendo riferirsi al popolo, quindi se si parla di polis lo si fa con senso antonomastico
(polis= qualsiasi forma di ordinamento statale)
III patria, paese.
Tutte e tre le accezioni, aldilà delle differenze fanno però riferimento a “un'unità politica che si
configura come ambito territoriale provvisto di un insediamento cui compete un ruolo centrale a
livello insediativo e politico” (Giangiulio).
Aristotele nella Politica dà due diverse definizioni del termine polis:
• Società umana che raggruppa gli abitanti in un determinato luogo, dunque una collettività
cui l'uomo appartiene in quanto politikon zoon (unità sociale)
• comunità esclusiva di cittadini, volta a realizzare la partecipazione politica, vale a dire il
fine della vera vita (to eu zen), cioè un ambito di natura civico-politica
La polarità delle definizioni di Aristotele trova conferma in quella delle due accezioni più comuni,
cioè abitato e entità statale e, come queste, è una contrapposizione solo apparente perché una
definizione implica necessariamente l'altra.
Erodoto (VIII,61) per bocca di Temistocle dice che la comunità (nel caso specifico gli armati) in
grado di autodeterminarsi politicamente rappresenta l'essenziale elemento costituente della polis,
anche in quanto in grado di stabilirsi ovunque mantenendo la propria identità.
Tucidide fa dire a Nicia nel discorso ai soldati dopo la sconfitta nel porto di Siracusa: << Sono gli
uomini a costituire una città, non le mura e le navi prive di uomini>>. Con questa frase Nicia, e
quindi Tucidide, non vuole negare l'importanza del territorio nella definizione di polis, ma
affermare che “la comunità che fa la polis può distinguersi dall'ambito spaziale cui si rapporta, ma
non prescinderne in senso assoluto” (Giangiulio). In altre parole polis è sia la comunità dei cittadini
in sé sia la comunità inserita nel contesto territoriale, fatto che si dimostra anche considerando che
spesso non esisteva, nel mondo greco, un vero e proprio centro urbano ma i cittadini vivevano
sparsi in piccoli villaggi
Nella realtà della polis confluiscono sia l'esperienza delle società palaziali sia le influenze apportate
dai Dori. Dai Micenei la polis mutua il ruolo centrale dell'acropoli che diventa il “centro latamente
simbolico del potere, il centro sacrale e politico”, dove il potere non è più concentrato nelle mani
del wanax ma è diffuso tra i suoi molteplici detentori. Topograficamente attorno all'acropoli si
colloca l'asty (città bassa) e intorno a questa la chora (campagna, territorio) che è proprietà dei
detentori del potere. La polis greca vive dell'equilibrio tra asty e chora, tra città e territorio, un
equilibrio che influenza non solo la sfera ambientale e umana, ma anche quella politica, economica

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e sociale. Il rapporto tra di essi è definito nel libro XVIII dell'Iliade con la decorazione dello scudo
di Achille: al centro la città (in pace) o le città in guerra, attorno le fasce concentriche della chora.
Nel libro VI dell'Odissea l'asty è tanto vicino alla chora da rendere possibile udire la voce di chi
grida nei campi. Da queste due testimonianze desumiamo che la struttura interna ed esterna della
polis è di tipo circolare, organizzata secondo fasce concentriche. La dimostrazione dello stretto
legame esistente tra asty e chora pone in dubbio la validità della resa di polis come città-stato, che
invita alla comparazione con altre realtà storiche in cui lo stato si risolve nella città come entità
distinta rispetto alla campagna. Inoltre la città-stato pone un accento fondamentale sulla spazialità,
cioè lo stato è tale perché si trova in quel luogo, mentre la polis valorizza l'aspetto della comunità.
Alla luce di questi fattori, anche se contando comunque il fattore territoriale la resa città-stato non è
del tutto sbagliata, per evitare equivoci conviene seguire l'equazione polis=stato dei cittadini
valorizzando così il peculiare aspetto comunitario.

6.2 L' “origine” della polis (Giangiulio, Musti)


A partire dagli anni 70 del '900 la ricerca guarda con particolare attenzione al problema della
“nascita” o più propriamente della “formazione” della polis. Un primo studio fu “Quando nacque la
polis?” pubblicato nel 1937 da Victor Ehrenberg, che reagiva alle teorie di coloro che,
sopravvalutando il ruolo di “personalità principesche” di età arcaica, limitavano l'esperienza della
polis al V secolo. Lo scopo era dimostrarne la natura di organismo politico comunitario e, al
contempo, alzare la cronologia, dimostrando l'esistenza della polis già nell'VIII secolo. Ehrenberg
partiva dalla convinzione che polis significasse stato greco e che la sua nascita potesse collocarsi in
un contesto cronologico preciso. Oggi gli studiosi si concentrano sulla ricerca di quella “soglia”
storica oltre la quale non si può negare l'esistenza della polis e la difficoltà consiste nel cogliere,
nella varietà di insediamenti umani che si ritrovano fin dal II millennio, l' “essenza della polis”, che,
per la stessa difficoltà che si ha nel definire cos'è una polis, non è facile da cogliere. Ehrenberg per
esempio pensava che fosse possibile, estrapolando dalle varie polis le caratteristiche comuni e in
base a quelle definire un “modello-polis” e ricostruirne l'origine. Questo però porta ad un'aporìa
perché tende a storicizzare qualcosa di astratto, a cercare l'origine di qualcosa che non esiste di per
sé. Le difficoltà non diminuiscono se parliamo di “formazione della stato” perché si continua ad
identificare polis e stato greco e perché lo sviluppo della statualità non è ciò che veramente
caratterizza la polis in generale, soprattutto non nelle sue fasi più antiche. Gli studi recenti piuttosto
che di “formazione della polis” come fenomeno unico, preferiscono considerare vari processi che
insieme avrebbero determinato il “fenomeno polis”:
• formazione degli insediamenti di tipo “urbano”
• costituzione delle varie categorie di unità statali del mondo greco
• origini della polis

John Kenyon Davies ritiene che si tratti di processi distinti che si sovrappongono gli uni agli altri in
ogni modo possibile e questi processi, per necessità cronologica, vanno collocati in un arco di
tempo che si apre prima dell'VIII secolo e si protrae almeno fino al VI.
Questione connessa è il rapporto tra processi di formazione dello stato e dinamiche di formazione
della polis. Tenendo separati i due processi si rinuncia definitivamente alla prospettiva proposta da
Ehrenberg poiché non solo la polis NON è lo “stato dei Greci” ma non si può neanche considerare
la statualità come carattere primario della polis. I due processi sono comunque collegati perché la
polis tende a configurarsi come unità statale distinta da un'altra e con una propria compagine
territoriale, quindi la formazione della polis è un processo chiave nella formazione della statualità
greca. Pur restringendo il discorso al modello-polis quale forma particolare di comunità politica, la
sua formazione non è l'esito di un unico processo di sviluppo ma di più processi, almeno quante
sono le componenti storiche e strutturali del modello:
• Integrazione territoriale: definizione dei limiti spaziali della comunità, realizzazione
dell'unità tra città e campagna;
• strutturazione della comunità politica dei cittadini;

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• configurazione di una coesione comunitaria: basi economiche, autocoscienza collettiva,
identità culturale
• crescita di una dimensione statuale in senso politico-istituzionale formale.

Sulle “origini” delle polis (per tutte le difficoltà evidenziate nel considerare un unico modello, il
plurale è doveroso) sono state avanzate diverse ipotesi, tra queste innanzitutto si pone il problema
della continuità tra età micenea ed età arcaica e classica. Non è accettabile parlare di continuità
assoluta tra età palaziale e età successive poiché vi sono due fatti che non si possono trascurare: la
fine dei palazzi e la formazione della polis. Si è ipotizzato che la polis sia nata in seno alla civiltà
micenea, in particolare nel momento del massimo declino di quest'ultimo, ma questa ipotesi
contraddice il carattere stesso della polis che è una realtà troppo vitale e caratterizzata per essere il
frutto di una società illanguidita. Bisogna inoltre tener presente che la polis nasce da un incontro tra
il vecchio, rappresentato dal mondo miceneo, e il nuovo, che è espressione della nuova epoca in cui
il ruolo fondamentale è ricoperto dall'area dorica. La polis va dunque considerata come
un'intersezione tra società e cultura palaziale (da cui viene per esempio l'uso dell'acropoli) e le
società e culture di tipo tribale e territoriale.
La stretta interrelazione, la forte omologia tra struttura politica e possesso e gestione del territorio
(vd principio di coestensione) è caratteristica delle nuove realtà verificabili dopo la fine dei palazzi
micenei. Queste nuove realtà si costruirono talora sulle rovine dei vecchi palazzi , talora si diedero
centri significativamente lontani dai precedenti. Il dominio territoriale è ora trasferito all'insieme dei
nuovi dominatori.
Non possiamo pensare che la struttura fortemente centralizzata della società palaziale si sia
semplicemente travasata nelle forme basiliche cittadine, né che si sia fatta da parte per fare spazio a
strutture già implicite nello Stato. Si è pensato che, fatto da parte il potere del wanax fosse emerso
quello delle komai. Contro questa ipotesi si è però osservato che proprio dove la struttura palaziale
fu più forte, dopo il suo crollo si verifica di meno l'emergere delle singole realtà locali, come anche
quel fenomeno più tardo che investe le regioni dove il fenomeno dei villaggi era più resistente, cioè
il sinecismo (conurbamento) a base regionale. D'altra parte la proprietà del territorio è ormai
trasferita in altre mani e sotto altre forme. Accentramento del dominio territoriale e distribuzione del
potere politico saranno caratteristiche tipiche soprattutto delle poleis doriche anche se
interesseranno, in senso più generale, tutte le poleis. Dove la realtà palaziale era stata meno forte le
comunità sopravviveranno più a lungo in maniera autonoma ma finiranno comunque, con tempi e
modalità diverse, per accentrarsi intorno ad un santuario o ad un palazzo di più modesta entità,
come ricordato da antiche tradizioni che si perdono tra mito e storia: la tradizione ricorda, per
esempio, il sinecismo di Atene ad opera di Teseo (in realtà compiutosi lungo tutta l'età buia fino
all'VIII secolo). Le tre tribù delle città doriche (Illei, Dimani e Panfili) non hanno caratteri che
facciano pensare ad una substrato di epoca palaziale, le tribù ioniche hanno origini ancor più oscure,
ciò corrobora l'impossibilità di stabilire una netta continuità tra era palaziale e polis. Le tribù
appaiono come un'organizzazione strettamente legata alla polis. Tutti questi argomenti servono a
ricondurre in Grecia le origini della polis. Alcuni studiosi, tra cui Karl Julius Beloch, vollero invece
collocare le origini della polis in Asia Minore. Tuttavia Musti afferma che non vi era motivo per cui
i Greci avessero bisogno di sviluppare altrove un tipo di struttura come la polis, dal momento che
già la Grecia, per eredità dei palazzi, presentava quella struttura frammentaria che è alla base
dell'autonomia della polis. La tesi di Beloch sull'origine della polis in Asia Minore si collega ad
un'altra tesi dello storico che vuole che la distinzione tra Dori, Ioni ed Eoli si fosse sviluppata tra i
Greci di Asia Minore per poi arrivare in Grecia continentale in un secondo momento. Ciò però
implica una sopravvalutazione di stampo positivistico sia del dato geografico che dell'influsso
orientale. L'influenza della componente orientale è comunque significativa e gli stessi Greci, per
esempio Erodoto, la riconoscono e la ammettono volentieri, ma non si possono ridurre a zero le
precedenti esperienze storiche greche.
Più che di origine della polis bisognerà parlare di origine delle poleis, che si formano nei secoli
successivi all'età micenea (X-IX a.C) da diverse situazioni, con diversi precedenti e differenti

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caratteristiche. Quella che collochiamo dell'VIII secolo non è la polis ma la forma-polis, cioè in
questo momento, con le dovute differenze, le esperienze delle varie polis determinano la nascita
della polis aristocratica. Le diversità tra le singole poleis permangono ma in un quadro di
riferimento comune caratterizzato da un'aristocrazia oplitico-contadina.

6.3 Polis e Politeia (Musti, Giangiulio, appunti)


6.3.1 LA TEORIA ARISTOTELICA SULLA NASCITA DELLA POLIS (Musti 113): Aristotele nel
I libro della Politica sembra rappresentare l'origine della polis come dovuta ad un'aggregazione di
komai, villaggi, e la kome ad un'aggregazione di oikiai (case) o ghene (genti, stirpi). Non è però
chiaro se il processo descritto da Aristotele sia da intendere come un reale processo storico o come
un modello di rapporti tra realtà embrionali e realtà pienamente, cioè se il quadro da lui descritto sia
più cronologico o tipologico.

6.3.2 LA POLITEIA: L'organizzazione della polis in quanto comunità politica presuppone la


definizione dei limiti di quest'ultima, nonché un equilibrio tra inclusione ed esclusione (vd
paragrafo succ.). Ma implica altresì strutture politiche stabili idonee ad orientare la collettività
proponendo scelte efficaci ai problemi che la coinvolgono.
Un'iscrizione proveniente da Drero (area centro-orientale dell'isola di Creta) e risalente al VII
secolo a.C prescrive che chi abbia ricoperto una magistratura (nel caso specifico quella di cosmos)
non possa ricoprirla nuovamente per i successivi 10 anni pena un'ammenda in denaro e il divieto
vitalizio di accesso alla stessa. La polis dunque insiste sulla non reiterabilità delle cariche, ma
l'iscrizione testimonia anche, indirettamente, che esistevano delle tendenze basiliche.
In altri frammenti si fa riferimento a “promulgazioni del popolo” e all'assemblea cittadina.
Composizione, meccanismo di elezione, periodicità di riunione e prerogative del massimo organo
consiliare della polis risultano chiaramente definite. Dunque tra VII e VI secolo si verifica un forte
processo di istituzionalizzazione. Ampolo definisce la polis una “società per azioni” cioè una
società che, eliminata la monarchia, è composta da aristocratici che stabiliscono delle regole di
inclusione ed esclusione, delle prerogative e dei criteri di non reiterabilità.
Politeia tuttavia non vuol dire solo “costituzione” ma anche “cittadinanza”

6.4 Lo statuto del polites e gli esclusi dalla polis (Giangiulio, Bettalli, appunti)
La polis è una società a a vertice espanso la cui direzione è affidata ai Politai cioè a coloro che
hanno diritto alla cittadinanza. Per la polis bisogna fare una distinzione tra popolazione residente e
cittadini. Infatti la polis tende ad escludere una gran parte della popolazione residente dalla
cittadinanza e non tutti i cittadini risiedono all'interno delle mura urbane. Per definire in criteri di
inclusione ed esclusione dalla cittadinanza bisogna innanzitutto considerare, tenendo presente che si
tratta di una divisione schematica che non tiene conto di tutte le possibili sfumature, due diversi
modelli:
• La “via spartana”: presuppone una comunità che si configura come sodalizio esclusivo di
cittadini guerrieri, privilegiati rispetto ai tanti liberi che fanno parte della realtà statale ma
non partecipano della sfera politica (perieci), quanto allo strato servile cui è demandata la
produzione agricola (iloti, NON sono schiavi). Insomma un numero sostanzialmente fisso di
cittadini e l'asservimento di una parte della popolazione residente. Tale massa rimane di
proprietà dello stato e, spesso, la comunità così organizzata è soggetta ad una svolta in senso
militarista. Oltre a Sparta seguono questo modello alcune città cretesi, le città del
Peloponneso nord-orientale e le colonie legate a Sparta. Questo tipo di modello presuppone
l'istituzionalizzazione dell'esclusione.
• Il “modello inclusivo”: non contempla un corpo fisso di cittadini e il numero di privilegiati
tende ad allargarsi. La manodopera è affidata agli schiavi acquistati sul mercato, di proprietà
dei singoli cittadini (mentre nel caso precedente la massa asservita è proprietà dello stato) e
ridotti quindi a merce. L'esclusione non è istituzionalizzata e tende ad essere superata
mediante dinamiche che portano all'incorporazione politica di cerchie via via più larghe e al

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riconoscimento del plethos dei liberi come elemento attivamente partecipante alla vita
politica.
Ma chi è il cittadino? Schematicamente si possono riassumere quattro caratteristiche che lo
qualificano:
• Sesso maschile
• condizione libera
• Proprietà terriera
• capacità di autofinanziarsi l'armatura (cavalieri, opliti)

Di contro le caratteristiche degli esclusi dalla polis sono:


• Sesso femminile (le donne non erano cittadine ma abitanti della polis)
• Condizione servile e schiavile (schiavi, meteci, teti)
• Nessuna proprietà terriera
• incapacità di autofinanziarsi le armi
• età inferiore a 18 anni (si diventa cittadini mediante riti iniziatici

PRINCIPIO DI COESTENSIONE: lo stretto rapporto che, nella polis greca, esiste tra ruolo
economico, ruolo politico e ruolo militare. Cioè non è lo stato che paga l'armatura ma il cittadino ed
esiste una stretta relazione tra facoltà economiche e cittadinanza

6.5 Tribù, fratrìe e ghene (Musti, appunti)


Nell'analisi della struttura della polis si pone il problema del rapporto tra la comunità politica e
quelle che, all'interno della tradizione, figurano come sue ripartizioni o articolazioni fondamentali:
le tribù (o phylaì), le fratrie e i ghene. Gaetano De Sanctis (1870-1957) osservava che esistono due
diversi modi di concepire il rapporto dinamico tra queste articolazioni e lo Stato:
• moto ascensionale: dalle entità più piccole verso la più grande attraverso una progressiva
aggregazione. Cioè lo Stato sarebbe nato dalla progressiva crescita e aggregazione di queste
entità
• processo di articolazione: all'interno dello Stato e per l'azione promotrice di questo si
sviluppano i ghene, le fratrìe e le tribù
De Sanctis optava per la seconda alternativa. Tuttavia Musti sottolinea che la sua impostazione si
basava su un dominio dell'idea di Stato che, almeno per età micenea ed arcaica, va usata soltanto in
senso molto lato. Infatti si parla di Stato a partire dal momento in cui emerge in piena autonomia il
valore del pubblico come sistema di istituzioni e di norme ben distinte dal privato, cosa che avviene
solo in una fase avanzata della storia della stessa democrazia (V secolo a.C.). Fino a quel momento
è difficile distinguere ciò che è sociale cioè espressione dei gruppi dominanti e del loro modo di
impostare e garantire i rapporti sociali, cioè in sostanza privato, e ciò che è pubblico, ovvero
inserito in un quadro in cui il cittadino e l'individuo figurano e contano astrattamente e
genericamente. Dunque partire, come fa De Sanctis, dall'idea di Stato risulta, secondo Musti,
piuttosto difficile.

FRATRIA: (da una radice ricostruita *br/fr di matrice indoeuropea da cui viene anche il latino
frater. In greco fratello si dice adelphos che equivale al latino couterinus= che condivide lo stesso
utero) identificata come ripartizione della tribù. Ad Atene aveva una funzione anagrafica, mentre
altrove, per esempio a Locri, è una suddivisione fondamentale della polis e svolge funzioni
amministrative e finanziarie di rilievo. La fratria è difficilmente concepibile come entità autonoma.
Essa si basa su un'artificiale idea di fratellanza che serve a creare nessi più stretti tra i suoi membri.
Come ripartizione del corpo civico, costruito su base aristocratica, la fratrìa appare come una cellula
vitale della società e della cultura aristocratica. Resta però da chiarire quale sia il rapporto con le
eterìe, che secondo alcuni, ma senza argomenti convincenti, rappresenterebbero il nucleo delle
future fratrìe, sia il rapporto con i ghene.

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GHENE: gruppi che si riuniscono intorno ad un culto e attribuiscono a se stessi capostipiti eroici
(eponimi), costruendo un patrimonio in grado di distinguerli dagli altri e di identificarli come unici.
Hanno dunque una funzione identitaria e religiosa e rappresentano l'esito della stratificazione
sociale e di quel processo di creazione di una genealogia che inizia in età buia. I ghene infatti
prendono i loro eroi dal passato miceneo facendone un motivo di vanto e un titolo di nobiltà.
Interessante è il rapporto con la tribù: dove infatti la tendenza filetica è più forte, è più probabile che
le tradizioni gentilizie si sviluppino all'interno della tribù, dove invece la tribù è meno vitale il
ghenos risulta avere maggior vigore rispetto ad essa. Felix Bourriot (N 1922) ridimensiona
notevolmente il ruolo del ghenos, che non sembra avere nelle fonti antiche lo stesso ruolo
attribuitogli dagli studi moderni. Non sarebbe dunque da concepire come famiglia nobile, clan o
signoria ma rivela due possibili significati fondamentali: quello di una nozione generazionale, un
blocco di generazioni (generalmente 4) e quello, più rilevante, di famiglia sacerdotale. Nonostante
la suggestività della tesi del Bourriot va comunque osservato che la rarità con cui il termine è
associato alle famiglie aristocratiche potrebbe anche essere dovuto alla rarità delle famiglie stesse e
che la costruzione di ghene è una caratteristica aristocratica.
TRIBÙ: unica tra le tre articolazioni che potrebbe aver avuto una vita autonoma prima della
formazione della polis. I tipi fondamentali di tribù che noi conosciamo sono:
• Sistema dorico: costituito da tre tribù (Ilei, Dimani, Panfili)
• Sistema attico-ionico: costituito da quattro tribù (Opleti, Argadei, Egicorei, Geleonti)
Questo tipo di organizzazione tribale sembra risalire all'epoca post-micenea e, come osserva G.
Neumann non si trovano parole composte con il termine phylé nelle tavolette in lineare B.
Le tribù diventano, con lo sviluppo della polis, parte integrante dell'organizzazione cittadina. Non
vi sono tracce di sistema tribale né presso le stirpi eoliche, né presso le stirpi che parlano dialetti
nord-occidentali. Per quanto riguarda l'ambito ionico non sono attestate in Eubea e nelle Cicladi,
tranne a Delo, dove probabilmente giungono importate dall'Attica e mancano anche in Beozia, con
l'unica eccezione di Orcomeno. Per queste ragioni De Sanctis concludeva che non possiamo
considerare la tribù come un'istituzione protogreca o preetnica e sicuramente non è comune a tutti i
Greci in tutti gli stadi del loro sviluppo e per le sue caratteristiche potrebbe aver avuto origine in
una zona circoscritta della penisola ellenica che si pensa fosse la zona sotto l'influsso dorico. Che
l'organizzazione nelle tre tribù di Illei, Dimani e Panfili possa aver rapporto con la modalità e con i
tempi della conquista è suggerito dalla funzione militare che Tirteo attesta per Sparta: i membri
delle singole tribù avanzano separatamente “Triktà” brandendo le lance. Non è chiara la funzione
che le tribù avevano ad Atene, la tradizione antica le ascrive a degli eroi eponimi, alcuni studiosi ad
un sistema di caste (guerrieri, artigiani, pastori, agricoltori o sacerdoti) ma in realtà possiamo
affermare che la funzione originaria delle tribù ioniche non è chiara. Una differenza rispetto alle
tribù doriche risulta però molto evidente: le t. doriche sono citate spesso nei testi, le t. ioniche hanno
un ruolo decisamente minore tanto da essere soppiantate ad Atene, con le riforme di Clistene (508-
507), dalle dieci tribù territoriali. Un altro elemento a favore della tesi dell'origine dorica è il fatto
che in ambito indoeuropeo la tribù rappresenti sempre una frazione di un terzo e che poi, per
necessità politiche, anche zone di ambito dorico aggiungano poi una o più tribù. Dunque in sostanza
si può affermare che l'articolazione filetica sia nata in ambito dorico in seguito alla riorganizzazione
post-micenea e poi si sia diffusa di riflesso anche in altre zone della Grecia. Affermare che la tribù
ionica sia autoctona pone infatti troppi problemi. La funzione originaria principale delle phylai era
di carattere militare e all'interno di esse e plausibile pensare che si siano sviluppate anche le fratrìe.
Difatti dove diversa è la funzione della tribù diversa è la funzione della fratrìa.

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7. OLTRE E AI MARGINI DELLA POLIS
Un'idea evoluzionistica e semplicistica della storia greca la schematizza secondo il processo
palazzi→ dark age→ polis. Se leggiamo tutta la storia greca secondo questo schema, rischiamo però
di ignorare tutta una serie di importantissime grecità, che non conoscono o conosceranno molto
tardi la polis. Tra queste realtà si annoverano l'Epiro, l'Arcadia, la Focide, la Locride, la Carnania,
l'Etolia e la Tessaglia e generalmente esse vengono definite “Grecia etnica” o “Grecia degli etne”.
Si tratta di una grecità organizzata non secondo il modello della polis, ma secondo un modello
territoriale. In passato, sia nella tradizione antica (Tucidide) che nella prospettiva evoluzionistica
ottocentesca, queste realtà venivano considerate primitive, barbare e non evolute, oggi invece si
tende a considerarle semplicemente diverse, ma non per questo meno importanti. Basti pensare che
il più grande dei templi Greci, il santuario di Apollo a Delfi, sorge in Focide, una “terra senza
polis”.
7.1 La Tessaglia (Musti, appunti)
La Tessaglia è una regione a nord della Grecia caratterizzata da grandi monti (monte Olimpo),
grandi fiumi (fiume Peneo) e grandi pianure. Essa presenta un passato miceneo rappresentato dal
palazzo di Iolco, dopo la fine del quale prendono il sopravvento centri più interni. Storicamente la
Tessaglia appare divisa in quattro “cantoni” o regioni: Istieotide (a nord, lungo il corso superiore del
Peneo), Tessaliotide (zona un po' più a sud, un tempo abitata dai Beoti che in seguito si spostano
verso sud, andando a insediarsi nella futura Beozia), Pelasgiotide (area ad est, di maggiore densità,
caratterizzata da fertili pianure), Acaia Ftiotide (a sud, la terra degli Hellenes di Achille). La
Tessaglia è caratterizzata anche da grandi centri sedi di importanti tirannidi (che NON sono le
tirannidi della polis aristocratica, sono monarchie tradizionali): Crannone, dominata dagli Scopadi,
Farsalo, sede degli Echecratidi, Larissa, governata dagli Alevadi, che si ritenevano discendenti di
Aleva il Rosso (Ο Πυρρός), colui che secondo la tradizione aveva organizzato la Tessaglia in
quattro tetrarchie o tetradi. Durante la dark age probabilmente si svolge un processo di
organizzazione del territorio che comporta lo sviluppo di una grande proprietà terriera, la
formazione di un'aristocrazia e conseguentemente la formazione di uno strato di schiavitù rurale,
quello dei penesti. Tutto intorno alle quattro regioni tessaliche si dispongono i perieci (quelli che
abitano intorno), popolazioni non asservite ma soggette a tributi ed obblighi militari. Le popolazioni
perioikoi sono i Magneti, i Perrèbi, Dòlopi, Achei Ftioti, Eniani e Malii. L'assetto di età arcaica
richiama, con qualche differenza, quello della Laconia. Le differenze sono nell'assenza di un centro
cittadino egemonico e nella lentezza dello sviluppo urbano; la posizione dei perieci, già per la
conformazione del territorio, è di maggiore autonomia complessiva e di conservazione di una
propria identità etnica. La Tessaglia non conosce quelle forme di vita e organizzazione politica che
furono proprie di Sparta: il privato delle grandi famiglie aristocratiche (almeno da quanto emerge
dalla lirica corale di VI-V secolo con Simonide e Pindaro) appare assolutamente dominante; la
comunità “politica” appare poco più che espressione della stessa società aristocratica.
I tessali non conoscono unità etnica, ma sono uniti nelle situazioni di emergenza. In guerra infatti
combattono come un unico popolo. Le fonti nominano un basileus dei tessali, il ταγός, un capo
militare la cui funzione potrebbe, in un certo periodo, essere stata vitalizia, ma non ereditaria. Lo
svedese Martin Persson Nilsson (1874-1967), storico delle religioni, pensava che lo Zeus olimpico,
così come viene presentato nei poemi omerici, fosse modellato proprio sulla figura del tagòs; inoltre
Achille è un eroe tessalo. Questi elementi hanno portato a pensare, in passato, che l'epos omerico
avesse avuto origine proprio in Tessaglia. Il Catalogo delle navi nel II libro dell'Iliade non parla né
di Tessali né di Tessaglia. Il motivo di questo silenzio è probabilmente intenzionale, se si accetta
l'ipotesi secondo cui esso sarebbe stato redatto intorno al 600 a.C. e con un voluto anacronismo
volesse far riferimento all'epoca micenea. Ma in realtà Omero, o chi per lui, conosceva la realtà
tessala; lo dimostra il fatto che nello stesso passo sia citato l'eroe Tessalo, chiaro eponimo, ipostasi
del popolo di cui porta il nome. La mitologia tessala è una mitologia viva: è nel Peneo, grande
fiume della Tessaglia, che Apollo va a purificarsi dopo aver ucciso Pitone, dunque esiste una
tradizione di purificazione di una divinità; la Tessaglia è la terra dei centauri, uomini fino alla
cintura e poi cavalli, che si spiegano con la grande attività di allevamento equestre del territorio e

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con il fatto che i tessali combattevano a cavallo. I centauri sono, con l'eccezione di Chirone,
collettività barbare e incontinenti e rappresentano probabilmente l'idea che gli antichi avevano dei
Tessali: una popolazione barbara, incivile, che combatte a cavallo.
La Tessaglia è caratterizzata da una doppia componente etnica, che si rintraccia sia dalla tradizione
che dall'organizzazione della società. Dalla tradizione (Giasone, gli Argonauti) e dalla lingua si
evince una componente eolica molto forte ma la presenza di strutture sociali simili a quelle della
Laconia fanno pensare ad un forte influsso dorico. L'ipotesi più accreditata è che i Dori siano
penetrati in Tessaglia ma che la popolazione locale sia comunque rimasta sul luogo in quantità
cospicua.
Rispetto al territorio occupato dai Tessali e dai loro perieci rivela una notevole centralità la zona di
Antela, una vasta area pianeggiante poco oltre le Termopili, presso il golfo Maliaco. Ad Antela si
trova il santuario di Demetra Anfizionide, così chiamata perché Antela è uno dei centri
(probabilmente il centro originario) dell'Anfizionia di Delfi, all'interno della quale i Tessali con i
loro perieci avevano una maggioranza schiacciante (14 voti su 24). Molto spesso negli studi si
attribuisce il nome di “anfizionia” a qualunque lega sacra: occorre fare più conto sul significato
letterale del termine (amphiktyones= circonvicini) che è usato molto raramente nelle fonti e si
adatta molto bene alla situazione tessalica e peritessalica (i tessali sono uniti solo in ambito militare
e sacrale, mai in ambito politico e territoriale).

7.2 Le anfizionie (Musti, appunti)


7.2.1 DEFINIZIONE E ANFIZIONIE MINORI
Le anfizionie sono leghe di popoli o città costruite intorno ad un centro sacro (da αμφί+ *ct-cty,
stessa radice di κτίζώ →fondare, ricostruzione dibattuta). Non si tratta di forme embrionali di unità
politica o territoriale, come si riteneva nell'800, in quanto la polis si basa sul principio
dell'autonomia. L'anfizionia sembra essere una lega sacrale tra popoli abitanti in uno spazio
geografico coerente che non abbiano già altri motivi per avere un centro sacrale unico. Sembra
difficile dunque porre sullo stesso piano dell'anfizionia altre forme di consorzio come il Panionion,
cioè la dodecapoli ionica che si riuniva intorno al santuario di Poseidone Eliconio a Capo Micale, o
l'Esapoli dorica, riunita intorno al santuario di Apollo Triopio presso Cnido. Questi koinà di Asia
Minore sono a carattere poleico, cioè vi si partecipa in quanto polis, mentre l'anfizionia di Delfi è a
carattere etnico, cioè vi si partecipa in quanto popolo.
Accanto all'anfizionia di Delfi si ricordano anche l'anfizionia di Antela, relativa alla Tessaglia
meridionale e riunita intorno al santuario di Demetra Anfizionide e considerata centro originario di
quella che poi sarà l'anfizionia delfica; l'anfizionia di Calauria, riunita intorno al tempio di
Poseidone di Calauria, attestata unicamente da Strabone, che ne indica come partecipanti
Orcomeno, Atene, Epidauro, Egina, Ermione, Nauplia e Prasie (in termini geografici il centro è
l'area del Golfo Saronico). La lega di Calauria, vista la sua composizione, potrebbe aver ricoperto
un ruolo importante come stimolo commerciale ed economico. Si ricorda poi anche un'anfizionia di
Delo, attestato in base al titolo di amphiktyones per gli amministratori ateniesi del tempio di Apollo
nel IV secolo a.C. A Delo si svolgeva la panégyris (grande raduno tenuto in primavera) degli Ioni
delle isole tutt'intorno (compresa Atene), descritta nei vv. 146-ss dell'Inno ad Apollo.

7.2.2 L'ANFIZIONIA DI DELFI


L'unica anfizionia di cui abbiamo notizie certe è l'anfizionia di Delfi. Nello stesso inno ad Apollo si
racconta la fondazione del culto sull'isola di Delfi, partendo dal primo in onore della Grande Madre,
Gea, passando poi per il culto di Pitone (Pythò era l'antico nome dell'isola), per arrivare infine ad
Apollo, dio non autoctono dell'isola, che arriva, invade, uccide. Un'altra tradizione, non presente
all'interno dell'inno, vuole che Apollo abbia dovuto purificarsi in seguito all'uccisione di Pitone, o in
Tessaglia o a Creta, terra di purificatori. Storicamente non sappiamo molto sull'anfizionia nei secoli
VIII-VII, possiamo solo fare ricostruzioni: nel corso dell'VIII-VII secolo a.C. la lega religiosa
etnicamente composita ma evidentemente non troppo eterogenea che si raccoglieva intorno al
santuario di Demetra ad Antela, ingloba il santuario di Apollo a Delfi, nella Focide. Questo evento

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corrisponde da un lato ad un momento di grande prestigio dei Tessali (che durerà fino alla battaglia
di Ceresso, quando i Tessali saranno sconfitti dai Beoti), dall'altro è un allargamento notevole della
precedente lega tessalica e peritessalica. Non sappiamo se solo adesso il tempio di Demetra ad
Antela riceve il titolo di Anfizionide attribuitogli da Erodoto: se così fosse, il nome di anfizioni si
adatterebbe particolarmente bene ad una lega sacra, nella quale popoli diversi provenienti da una
vasta area geografica fanno capo ad uno stesso santuario. Gli anfizioni sono in primo luogo i popoli
membri della lega, poi, di conseguenza, i rappresentanti nel sinedrio, il cui titolo vero e proprio è
quello di ieromnemoni, coadiuvati dai pilagori (osservatori esterni delle comunità greche non
partecipanti all'anfizionia; avevano compiti di controllo e di garanzia sull'equità delle decisioni dal
consiglio). La struttura dell'anfizionia è a partecipazione etnica, cioè vi sono rappresentati i popoli,
a ciascuno dei quali spettano due voti. Il numero complessivo degli anfizioni è 12, per un totale di
24 voti, di cui 14 sono quelli dei Tessali con i loro perieci. Gli altri popoli che fatto parte
dell'anfizionia sono Locresi, Focidesi, Beoti, Ioni e Dori. I due voti dei Dori sono uno dei Dori della
metropoli (Doride d'Asia) e uno dei Dori del Peloponneso; i due voti degli ioni sono uno dell'Eubea
e uno di Atene, l'unica che partecipa come polis (N.B. l'etne ionico identifica anche la Ionia d'Asia,
che tuttavia non si riconosce, come le altre due, nell'eponimo Ione e non partecipa all'anfizionia
delfica. Gli Ioni d'Asia si riconoscono nel Panionion di Capo Micale e si ricollegano alle migrazioni
dei Neridi).

7.3 La prima Guerra Sacra


Si parla di guerra sacra quando vi sono crisi all'interno dell'anfizionia. La prima guerra sacra di cui
abbiamo testimonianza scoppia all'inizio del VI secolo a.C. e si conclude nel 582. essa vede
protagonisti i Tessali, guidati dal tagos Euriloco, gli Ateniesi, guidati da Alcmeone (la famiglia degli
Alcmeonidi paga la ricostruzione del tempio di Delfi dopo un incendio) e consigliati da Solone e
Sicione, col tiranno Clistene alla guida dell'esercito della guerra sacra (Clistene:Tiranno
appartenente alla famiglia degli Ortagoridi, famoso nell'antichità sia perché parente di Clistene
ateniese, sia, soprattutto per l'organizzazione delle nozze della figlia Agariste, occasione nella quale
organizzò una gara che ricordava le nozze di Elena, come emerge dal racconto di Erodoto, che in
questo modo vuole smontare l'immagine del tiranno-demagogo. Clistene inoltre aggiunge una tribù
a Sicione, città dorica tradizionalmente scandita da tre tribù, alle quali lo stesso tiranno da il nome
di animali e chiama la quarta tribù degli Archelàoi) alleati tra loro contro i Focidesi di Crisa che
disturbano i pellegrini diretti al santuario di Delfi. La guerra si risolve con la sconfitta dei Focidesi
di Crisa che comporta la distruzione della città, la consacrazione al tempio della piana di Cirra
(corridoio verso il mare, diventa il porto di Delfi), la proibizione di coltivare la terra sacra, che oltre
a colpire i Focidesi che vivevano intorno a Delfi, colpisce anche i Locresi di Anfissa. LA vittoria
anfizionica comporta il rafforzamento dei Tessali nella Grecia centrale, la riorganizzazione degli
agoni pitonici nel 582 a.C. (terminus ante quem per la guerra) e l'ammissione di Atene
nell'anfizionia. I testi sulla prima guerra sacra risalgono tutti al periodo della III e della IV condotta
da Filippo il Macedone, quindi alcuni pensano che potrebbero esserci delle anticipazione e/o delle
retroiezioni. Bisogna però tener presente che proprio nel IV secolo si verificano condizioni politiche
molto simili a quelle di VII-VI secolo.

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7.4 La guerra Lelantina (appunti, Bettalli, ricerca)

7.4.1 L'EUBEA
L'Eubea è una grande isola sita davanti alle coste dell'Attica, che non ha grande importanza in epoca
micenea, tranne per il fatto di essere legata a Tebe. Le prime notizie rilevanti sell'Eubea sono di X
secolo (Tomba di Lefkadì) e l'isola ha grande fortuna in età buia e nella prima età arcaica,
soprattutto per quanto riguarda le zone di Calcide ed Eretrìa, città di cui sappiamo ciò che ci
racconta Aristotele quattro secoli più tardi. Aristotele dice che in Eubea vivevano gli Hippobotai
(allevatori di cavalli) cioè cavalieri . L'allevamento di cavalli è un simbolo del massimo status
possibile nella società greca, soprattutto quella arcaica, quindi Aristotele parla di società arcaiche e
ricche che vivono secondo il costume omerico (mangiano carne, vestono bronzo, cavalcano)
soprattutto dal punto di vista alimentare, in quanto mangiano carne cotta per bollitura. Calcide ed
Eretrìa sono anche città che investono sul mare e ciò dimostra il ruolo fondamentale che l'Eubea
riveste nella trasmissione della grecità.

7.4.2 LA PRIMA GUERRA OPLITICA: CAUSE E ALLEANZE


La società euboica è una società che vive secondo il modello omerico, come testimoniato dai reperti
archeologici in territorio cumano (Cuma→ territorio che subisce l'influenza euboica), e dunque che
combatte secondo il modello oplitico. Nell'VIII-VII secolo a.C. il modo di combattere oplitico si
prestava soprattutto a guerre stagionali tra poleis confinanti. I combattenti erano dilettanti,
agricoltori che dovevano conciliare l'impegno bellico con il lavoro dei campi. In questo contesto
quindi la guerra Lelantina appare un episodio singolare. La guerra vede scontrarsi Calcide ed
Eretrìa, le due principali potenze dell'Eubea , per il controllo della fertile piana di Lelanto: solo in
un secondo momento il conflitto si espande, registrando l'opposizione tra Calcide, appoggiata da
Samo, alcuni centri tessali e forse Corinto, ed Eretria, sostenuta da Mileto e Megara. La questione
delle alleanze è un problema ancora dibattuto: Erodoto sembrerebbe attestare le fazioni
Calcide/Samo contro Eretria/Mileto. L'intervento di Cleomaco, tagos tessalo, nel conflitto al fianco
di Calcide è testimoniato da Plutarco. La partecipazione di Corinto alle ostilità, non sostenuta
apertamente da alcuna fonte, potrebbe essere supposta sulla base di un altro passo di Plutarco, il
quale racconta di come il contingente corinzio inviato per la fondazione di Corcira, sul finire
dell'VIII secolo, abbia scacciato il precedente stanziamento eretriese. La guerra, vinta dallo
schieramento calcidese, porta probabilmente al definitivo abbandono del sito di Eretria. Il
logoramento dovuto alla lunga guerra però non risparmia neanche Calcide che, nel corso del VII
secolo, inizia la sua stagione di declino. Di questa guerra non conosciamo la cronologia precisa, ma
la si colloca tra l'ultimo trentennio dell'VIII secolo e la prima metà del VII in base a due elementi: la
fondazione di Pithecussa, che vide protagonisti Calcide ed Eretria insieme (terminus post quem),
quindi deve essere avvenuta prima della guerra in quanto in seguito ad essa Eretria venne distrutta,
e la testimonianza di Esiodo, il quale partecipa ai giochi in onore di Anfidamante, eroe della guerra
lelantina, che al tempo dell'autore doveva già essere morto (terminus ante quem).
Un famoso episodio relativo a questa guerra narra che gli eserciti fecero un accordo affinché non si
usassero armi da lancio. Questo elemento fa pensare che si tratti di una guerra oplitica, che
rispecchia il modello omerico, ma è una questione ancora piuttosto dibattuta tra gli studiosi,
soprattutto tenendo conto della vocazione equestre dell'Eubea.

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8. LA CRISI DELLA POLIS ARISTOCRATICA
Teognide di Megara, Alceo e altri lirici e autori di VII secolo a.C. parlano di una polis arcaica dove
si combatte e dove non si comprende bene ciò che sta succedendo. Ci sono dunque tutti i caratteri di
una crisi. I manuali di letteratura a proposito di questa crisi di VII secolo parlano di “crisi della
polis”. Sembra più corretto, tuttavia, parlare di articolazione o trasformazione naturale della polis,
perché il numerus clausus che caratterizza la polis aristocratica è una garanzia di futuro insuccesso e
ha una tenuta debole. La storia della polis può dunque essere vista come la storia della progressiva
conquista di spazio delle istituzioni pubbliche a spese del potere gestito senza alcun controllo dalle
grandi famiglie aristocratiche. A ciò si accompagna un allargamento del numero di coloro che sono
ammessi nel cerchio privilegiato della gestione del potere, fino a comprendere, grosso modo, tutti i
proprietari terrieri in grado di autofinanziarsi l'armatura, cioè circa un terzo dei maschi adulti della
comunità. La cosiddetta crisi della polis aristocratica è divisibile in quattro momenti:
1. oplitismo
2. legislatori
3. tirannide
4. colonizzazione

8.1 L'oplitismo (Appunti, Bettalli)


L'uscita -ismo denuncia una categoria moderna. La parola si connette al termine ὃπλον (hoplon),
che significa letteralmente braccio, attrezzo metallico, prolungamento (il termine non assume mai
una connotazione anatomica) e si riferisce ad uno scudo circolare con due manici, lo scudo oplitico.
Lo scudo oplitico si contrappone al pavese miceneo, molto più lungo e con l'impugnatura a
pomello, il quale difende meglio dello scudo oplitico ma è meno maneggevole. L'hoplon è
tecnicamente già presente in età buia anche se l'oplitismo è considerato un fenomeno di VII secolo.
Per oplitismo noi intendiamo una guerra collettiva, combattuta da eserciti compatti per i quali lo
scudo circolare è perfettamente funzionale. Gli eserciti sono composti esclusivamente da cittadini.
Dalle truculente descrizioni del poeta spartano Tirteo si evincono alcuni aspetti tecnici della guerra
oplitica, come il fatto che l'oplita potesse essere colpito solo alla gola e al basso ventre, le due zone
lasciate libere dall'armatura.
Vi è una querelle a proposito della presenza o meno dell'oplitismo in Omero: Alfonso Mele, che
riprende la teoria di Finley secondo cui i poemi omerici riflettono l'età buia, la presenza assoluta
della monomachia nei poemi omerici sarebbe la prova che la guerra oplitica è nata dopo l'età buia,
la quale però, archeologicamente parlando, mostra già la presenza di scudi oplitici; ci sono poi
studiosi, in particolare Paul Cartledge, uno studioso inglese della società greca arcaica, secondo cui
l'assenza della guerra oplitica in Omero è una scelta letteraria. Cartledge parla del fenomeno dello
zoom cioè la monomachia in Omero non è un'essenza storica ma una scelta dell'autore che intende
in questo modo concentrare l'attenzione sulle gesta degli eroi protagonisti, che altro non sono se non
i comandanti dei singoli contingenti; un altro elemento che dimostrerebbe questa teoria è il fatto che
Omero mostra alcuni segni che fanno pensare che egli conosca e condivida l'etica oplitica, come, ad
esempio, le battute contro gli arcieri, che vengono etichettati come guerrieri vigliacchi o le figure di
Eracle che combatte con la clava e dei centauri che sembrano chiari esempi di antioplitismo e
inciviltà. In base a questi aspetti si può concludere che il modello oplitico era conosciuto in età buia.
Gli studiosi sono divisi tra chi ritiene che la guerra oplitica e l'oplitismo siano fenomeni di VII
secolo e chi invece ritiene che siano fenomeni molto tardi, anche di V secolo, le cui premesse erano
però già state poste in età buia. La guerra oplitica è una guerra collettiva che presenta notevoli
risvolti sociali, in quanto si ritiene sempre più che l'oplitismo sia, oltre che un fenomeno militare
anche un fenomeno sociale che coinvolge la fascia dei medi proprietari terrieri, quelli il cui terreno
produce un surplus che li rende in grado di autofinanziarsi l'armatura, i quali rivendicano sempre
più la possibilità di avere un ruolo attivo nella gestione della polis. Questa fascia sociale, con il
modello oplitico, si contrappone alla grande aristocrazia che combatte a cavallo. I medi proprietari
terrieri di VII secolo si definiscono demos (parola già presente nelle tavolette micenee, ma non
sappiamo bene con quale significato) termine che nel V secolo indicherà invece la plebaglia.

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La guerra oplitica è una guerra razionale che si combatte nelle pianure e segue il calendario
agricolo, in quanto i soldati sono anche contadini (Senofane dice che l'oplita è soldato e contadino).
Gli opliti si mettono d'accordo sui luoghi, i tempi e le armi delle guerre, come accade nella guerra
Lelantina (Vd 7.4.2). la dea della guerra oplitica è Atena, la dea che nasce dalla testa di Zeus già
vestita e armata secondo il modello oplitico. La panoplia oplitica, cioè l'armatura (παν+ὅπλον→
armatura completa) è realizzata in buona parte in bronzo (elmo, corazza, schinieri), l'oplita è dotato
di uno scudo rotondo, in parte di bronzo, in parte di legno, di quasi un metro di diametro, tenuto ben
saldo da una speciale impugnatura a due manici che impegna tutto l'avambraccio sinistro; la mano
destra è utilizzata per impugnare una spada corta (50-60 cm) o una lancia lunga 2-2,5 mt. L'intero
equipaggiamento olìplitico, che non comprende armi da lancio, è pensato per il corpo a corpo.
L'attrezzatura, più pratica di quella micenea, è comunque molto pesante e comporta mobilità ridotta
e grande sforzo fisico; allo stesso tempo, però, esse determina una grande forza d'urto, moltiplicata
dalla coesione degli opliti che marciano in formazione compatta, a pochissima distanza gli uni dagli
altri, lo scudo volto a coprire il fianco destro scoperto del compagno: nasce la falange oplitica.
Il periodo cruciale è la prima metà del VII secolo a.C. le fonti sono in gran parte archeologiche, e ci
mostrano un moltiplicarsi delle dediche di scudi e altri pezzi di armature nei santuari, mentre le
raffigurazioni vascolari cercano, con difficoltà di non rappresentare più monomachie, ma falangi in
azione (Olpe Chigi- 640 a.C. circa). Nell'opera di Tirteo troviamo numerosi incitamenti ai suoi
concittadini a combattere che sembrano far riferimento alla falange oplitica. In sostanza si possono
rintracciare vari aspetti del fenomeno dell'oplitismo:
• aspetti tecnici: diffusione dello scudo oplitico;
• aspetti militari: nascita di una guerra collettiva, la falange oplitica
• aspetti sociali: affermazione del ceto dei medi proprietari terrieri
• aspetti culturali: il modello di guerra razionale che segue il calendario e rifiuta altre forme di
guerra
La guerra oplitica è una guerra riservata ai cittadini, quelle rare volte che, per esempio, Sparta
coinvolge nella guerra gli iloti, essi non sono armati con l'equipaggiamento oplitico, ma con le falci,
attrezzi agricoli, non armi pensate per la guerra. In conclusione si può dire che l'oplitismo è un
fenomeno che caratterizza fortemente la vita della polis tra VII e V secolo, che si ritiene si sia
manifestato per la prima volta ad Argo e che mostrerà i primi segni di crisi durante la guerra del
Peloponneso.

8.2 I legislatori (Musti, appunti)


La legislazione è una forma di adattamento, di autocorrezione o di autocensura dell'arisstocrazia al
potere, sollecitata forse anche da strati più modesti e inquieti della popolazione.
La tradizione antica ricorda in varie città, con varie componenti, vari ambiti e varie cronologie
figure di legislatori [in greco nomoteti= νόμος (leggi)+ τίθημι (pongo)]. Non si tratta sempre di
leggi scritte, ma di provvedimenti legislativi. Il fenomeno dei legislatori interessa tanto la Grecia
continentale quanto Magna Grecia; il primo legislatore che promulga un codice scritto di leggi di
cui la tradizione ci parla è infatti Zaleuco di Locri, un uomo della Grecia coloniale. Le figure di
legislatori sono assai frequenti in Magna Grecia perché le colonie, pur avendo origine
aristocratiche, essendo città nascenti sono maggiormente portate a forme di controllo sociale e a
principi latamente egualitari; inoltre è più frequente che le leggi vengano messe per iscritto perché,
proprio essendo comunità nuove, le colonie dispongono in misura minore di tradizioni orali efficaci
o vincolanti. Tra i legislatori della Magna Grecia ricordiamo, per esempio, Zaleuco di Locri e
Caronda di Catania, Diocle di Siracusa (che alcuni però assimilano al Diocle di V secolo), per la
Grecia continentale invece Draconte ad Atene, Licurgo a Sparta e Filolao a Tebe. Molti di questi
personaggi hanno una cronologia fortemente oscillante, ad eccezione di Draconte. Questi legislatori
hanno subito un forte processo di mitizzazione e strumentalizzazione. A partire da K.J. Beloch si è
radicata negli studi, soprattutto in quelli italiani (A.Mele) la convinzione che questi legislatori
fossero personaggi mitici, assolutamente inventati e senza nessuna storicità. Fu Beloch ad insistere
sull'idea che essi fossero delle “divinità solari decadute” in base alle etimologie dei nomi: Licurgo

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sarebbe (con un'etimologia discutibile anche a livello linguistico) “il facitore di luce”, Zaleuco il
“luminoso” (diàleukos), Diocle la “gloria di Zeus” (se distinto da Diocle di V secolo). Le incertezze
sulla cronologia di Licurgo, espresse già dalla tradizione antica (Plutarco, Licurgo 1, riporta due
diverse tradizioni: una lo pone all'epoca 'degli Eraclidi', cioè 130 anni prima della nascita
dell'eforato, l'altra all'epoca della prima olimpiade, nel 776 a.C., come sosteneva Aristotele), e i
dubbi espressi da un Timeo sull'esistenza di Zaleuco possono farci dubitare della consistenza storica
di tali personaggi o quantomeno sulla possibilità di attribuire loro tutti i provvedimenti che gli sono
associati dalla tradizione. Tuttavia oggi si tende a pensare che la teoria di Beloch sia influenzata
eccessivamente dall'evoluzionismo tardo-ottocentesco e che in realtà i legislatori siano delle figure
eponimiche, a cui la tradizione attribuisce quei processi di lunga durata che sono le legislazioni
cittadine, e questo spiega la cronologia oscillante. Un caso emblematico è quello di Licurgo di
Sparta, la cui cronologia oscilla tra XII e VII secolo; la ragione di questa oscillazione va rintracciata
nel carattere orale della legislazione spartana, che carica Licurgo di tutto il lavorio che porta alla
formazione delle leggi spartane, secondo un processo molto simile a quello compiutosi per Omero.
Se dunque è mai esistito un Licurgo, esso rappresenta soltanto un momento di un processo molto
più complesso e lungo, di cui la tradizione lo ha reso eponimo. Beloch, sempre seguedo la sua
teoria, affermava, per dimostrare che anche Draconte era un personaggio mitico, che dato che il suo
nome significa 'serpente' egli rappresentava un'ipostasi della dea Atena. Musti, tuttavia, osserva che
Draconte è l'unico personaggio che abbia una cronologia precisa, in quanto il lessico Suida
attribuisce il suo operato al periodo dell'arcontato di Aristecmo (624/620 a.C.), e un profilo
propriamente storico. L'etimologia 'parlante' del nome ha poca consistenza dal momento che si
tratta di un nome abbastanza frequente nell'onomastica antica.
Un altro aspetto importante riguardo il tema dei legislatori è il rapporto tra legislazione e scrittura. A
Sparta le leggi di Licurgo non furono mai scritte: la tradizione conosce infatti a riguardo espliciti
divieti. Ma scritte furono le leggi di Zaleuco da Locri o di Caronda di Catania o di Draconte. Le
leggi di Solone, che però sono già di VI secolo, furono scritte su àxones (tavole di legno girevoli
intorno ad un asse) e kýrbeis (tronchi di legno in forma piramidale su cui erano scritte le leggi, e in
generale tavole delle leggi). Una delle più grandi raccolte di leggi scritte di epoca arcaica sono le
leggi di Gortina, rinvenute a Creta (località Gortyna) nel 1884 da Federico Halbherr, all'interno del
tempio di Apollo, come se il dio fosse chiamato come garante delle stesse.
Le società omerica ed esiodea sono società basate sulla parola (modello prepolitico) le cui difficoltà
sono ben messe in evidenza da Esiodo che si lamenta con il fratello dei basileis che emettono
skoliaì dikaì (giudizi storti) che si contrappongono alle sentenze e leggi diritte, cioè quelle scritte,
che sono fissate e dunque sottoposte ad un controllo. Le leggi attengono soprattutto reati legati a
danni alle persone o alle proprietà, per cui le pene previste sono molto severe.
Tutto ciò sta a dimostrare come già l'aristocrazia sappia fare un uso pubblico della scrittura, che
diventerà ancora più accentuato con la nascita della democrazia. Viene in questo momento
compiuto un primo passo verso il controllo sociale connesso all'uso della scrittura a fini pubblici. I
legislatori e le legislazioni servono a creare unità, a dare delle regole alle tendenze accentratrici
della polis arcaica (tirannide) e a porre un freno alle tendenze disgreganti.

8.3 Le tirannidi (Musti, appunti)

8.3.1 DEFINIZIONE
La tirannide, come la polis, è un fenomeno esclusivamente greco. Questo fenomeno ebbe forme
storiche ed esiti storici diversi a seconda delle diverse situazioni e dei diversi contesti storici. Si
possono distinguere le tirannidi in tirannidi istmiche che riguardano la zona di Corinto e dintorni,
altre tirannidi della madrepatria greca (Argo, Atene), tirannidi delle città ioniche o egee (Lesbo,
Mitilene…), che sono un po' più evanescenti. Il termine τύραννος compare per la prima volta in
Archiloco, probabilmente in relazione diretta con Gige, re di Lidia, e il suo regno, ed ha un
significato neutro, se non addirittura positivo, di signore. In seguito verrà sempre più accostato al
termine mònarchos (colui che governa da solo), assumendo una connotazione negativa, come quella

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che ritroviamo in Alceo, che usa il termine contro Pittaco. Il termine raggiungerà l'apice della
negatività negli scrittori del IV secolo, influenzati dalle tirannidi dei due secoli precedenti e
dall'ideologia latamente diffusa della democrazia. Un tiranno dunque è un signore che in seguito ad
un colpo di stato, pur mantenendo inalterate le strutture della polis, ottiene un potere personale
assoluto, autocratico e familiare, superiore a quello dei tradizionali basileis soprattutto perché non
basato su prerogative definite dalla comunità e quindi non fondato sul consenso. Il tiranno non è un
residuo delle monarchie di età buia.

8.3.2 IL PROBLEMA DELLE ORIGINI


La parola τύραννος non è di origine greca; a lungo, in base alla presenza del doppio ν la si è ritenuta
di origine lida ( gli antichi talora l'hanno accostata con nomi orientali come il toponimo Týrrha o
con un nome di popoli come Tyrrhenoì, cioè gli Etruschi, che proverrebbero dalla Lidia). Il termine
non compare nelle tavolette in lineare B né in Omero, dato quest'ultimo che si può spiegare sia con
la tendenza arcaizzante di Omero, sia con la difficoltà di adattare il termine all'esametro. Si può
quindi in generale parlare di un'origine microasiatica del termine, che ha portato vari studioso a
pensare ad un'origine esogena del fenomeno, cioè che la tirannide sia nata nelle città greche della
Ionia. Si tratta tuttavia di una conclusione affrettata. Contro questa conclusione si schiera lo storico
italiano Santo Mazzarino (1916-1987), il quale, nell'opera Tra Oriente e Occidente, sostiene
l'impensabilità dell'intervento lidio in favore della tirannide e, nel contempo, nota che la tirannide
greca non attinge nulla dall'evoluzione costituzionale lidia. Della tirannide appare radice necessaria
e sufficiente un'evoluzione interna alla stessa polis greca; essa può quindi essere nata nella
madrepatria greca, se si accettano le cronologie tradizionali, le quali smentiscono il pregiudizio
assai diffuso della priorità ionica sul terreno delle esperienze politiche greche. Il problema
cronologico è dunque un problema cruciale per stabilire la regione in cui la tirannide nacque, la
diversificazione di quel regime e il suo rapporto con i regimi del passato e del futuro.
Bisogna innanzitutto stabilire il rapporto esistente tra tirannide e aristocrazia: Mazzarino e
Snodgrass affermano che la tirannide è un momento di crisi dell'aristocrazia; cioè il tiranno, che è
un aristocratico, entra in conflitto con gli altri membri dello stesso gruppo sociale, con scopi politici
che sono però solo in parte diversi rispetto a quelli degli altri aristocratici. La lacerazione tra tiranno
e aristocrazia si acuisce a partire dalla seconda generazione.
Fonti antiche che parlano dell'origine della tirannide sono Platone, Aristotele e Tucidide. Platone
ritiene che il tiranno sia un capopopolo, un demagogo; il filosofo però ha davanti la democrazia di
V-IV secolo e non tiene presente che i tiranni erano aristocratici. Aristotele nella Politica afferma
che i tiranni erano generali passati alla demagogia, nel senso lato di politica svolta in favore del
demos. Aristotele considera però anche il caso di una degenerazione verso la tirannide partendo da
una regolare magistratura o carica. In entrambi i casi si tratta di rappresentazioni demagogiche che
non tengono conto del fatto che i tiranni erano aristocratici. Inoltre secondo Aristotele la tirannide
nasceva quando un signore di campagna era capace di ottenere il potere, armarsi e circondarsi di
altre persone armate, dunque Aristotele inserisce la tirannide in un quadro sociologico e socio-
economico basato su una popolazione contadina che si fa rappresentare da un capo. La
rappresentazione è fondamentalmente diversa da quella fornita da molti studiosi, che accentuano il
carattere mercantile delle tirannidi, in particolare Percy Neville Ure (1879-1950), il quale nel 1922
nell'opera The Origin of Tyranny propone un'equazione tirannide=mercanti oggi superata.
In sostegno di questa concezione è stata spesso addotta la testimonianza di Tucidide, il quale
nell'Archaiologhia ad un certo punto dice: «divenendo più potente la Grecia e attribuendo al
possesso delle ricchezze un valore anche maggiore di prima, PER LO PIÙ sorgevano tirannidi […]
e la Grecia allestiva flotte e in generale i Greci si dedicavano di più al mare». Il contrasto con
Aristotele è soltanto apparente, in quanto Tucidide non dice che i tiranni fossero mercanti mentre
Aristotele dice che la base sociale delle tirannidi è nelle campagne (N.B. i tiranni NON sono
contadini), quindi Tucidide ci fornisce un inquadramento cronologico (tra l'inizio del processo di
colonizzazione e l'avvio della potenza coloniale corinzia) ed economico, mentre Aristotele quello
sociologico.

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In epoca moderna diversi studiosi hanno sostenuta che la causa della nascita delle tirannidi non
fosse unica. Anthony Andrewes (1910-1990), studioso britannico, negava che la genesi delle
tirannidi fosse da ricondurre a conflitti razziali (benchè essi fossero, per esempio presenti nella
Sicione di Clistene, ma per ragioni più complesse); Hermut Berve (1896-1979), storico tedesco,
sosteneva che la tirannide in generale fosse da ricondurre a spinte individualistiche, secondo
un'impostazione che Domenico Musti ritiene schematica e influenzata dal Positivismo. Musti,
seppur criticamente, lega la tirannide al fenomeno dell'oplitismo, sostenendo che essa nasce
dall'alleanza tra opliti e tiranno che col passare del tempo si deteriora. Musti tuttavia non considera
che, per esempio, a Sparta, città oplitica per antonomasia, non si instaura alcuna tirannide.

8.3.3 SVILUPPO E CRISI DEI REGIMI TIRANNICI


Della qualificazione politica della tirannide si può avere un'idea anche considerando gli esiti e gli
sbocchi politici a cui esse perviene. In molti casi si operato un indebito trasferimento verso la fase
iniziale di una tirannide di quelle caratteristiche che essa assume solo in una fase avanzata, o
addirittura nella fase finale e di solito sotto un tiranno diverso dal fondatore del regime. La tirannide
non è sempre l'anticamera della democrazia. Lo è laddove tutto il processo politico è spostato in
avanti (Atene, Megara), ma il passaggio alla democrazia non è né veloce né indolore. In ogni caso
la tirannide non lascia mai le cose immutate; anzi, come risultato minimo essa produce
un'aristocrazia moderata, cioè più temperata rispetto a quella precedente la tirannide stessa. Una
via classica è l'allargamento del corpo civico, come accade a Sicione e, se seguiamo la
testimonianza di Nicolao di Damasco, probailmente anche a Corinto, che tuttavia 60 anni dopo la
fine di Clistene era oligarchica. Secondo Musti la tirannide va in crisi quando si incrina l'equilibrio
che faceva del tiranno un mediatore tra le esigenze dell'aristocrazia oplitica e il popolo minuto, in
quanto si accennano i caratteri personalistici e violenti del tiranno. Ecco perché difficilmente le
tirannidi riescono a superare le due generazioni di permanenza al potere e quando ciò accade gli
antiche ne restano colpiti. Aristotele per esempio sottolinea la durata eccezionale di 100 anni (tre
generazioni+ probabilmente una quarta che supera l'acmè)

8.4 Profilo storico di alcune tirannidi (Musti, ricerca)

8.4.1 I BACCHIADI E I CIPSELIDI


I Bacchiadi furono una dinastia aristocratica, un'oligarchia a carattere esclusivo e statico e con
abitudini endogamiche, di re discendenti da un ramo eraclide cadetto (Eracle→Antioco→Filante→
Ippote→Alete), che avevano regnato a Corinto (Alete→Issione→Aghelas→Prymis→Bacchide) dal
1074 all'891 a.C. per poi prendere, con Bacchide, la basileia e detenerla ancora fino al 747 a.C. In
seguito il clan aveva dato vita ad una forma 'repubblicana', in cui al vertice non vi era più un
basileus ma un prytanis cioè un 'principe', un magistrato annuale, scelto però sempre all'interno
della ristretta oligarchia; è il fenomeno della rotazione pritanica che dura da 747 al 657 a.C.
la dinastia dei Bacchilidi regge Corinto fino alla metà del VII secolo a.C. quando la ceramica
proveniente dalla regione ha già conosciuto circa un secolo di sviluppo (protocorinzio antico e
medio: circa 740-650). l'esatta definizione del rapporto tra Bacchiadi e artigianato-commercio
corinzi è uno dei problemi centrali per la rappresentazione del rapporto tra economia, società e
politica nella Grecia arcaica. Il rapporto doveva essere quantomeno di vigilanza da parte della
famiglia aristocratica nei confronti dell'attività, se non addirittura una forma di incoraggiamento e
coinvolgimento (la tradizione ci parla di Demarato, membro dell'aristocrazia Bacchiade, padre del
futuro Tarquinio Prisco, che esercitò il commercio tra la Grecia e l'Etruria).
A instaurare la tirannide a Corinto, privando del potere l'aristocrazia bacchiade fu Cipselo, figlio di
Labda, una donna zoppa appartenente allo stesso clan dei Bacchiadi, e di Eezione (in dorico
Aezione), del demos di Petra. Erodoto riporta tre oracoli legati all'origine della tirannide a Corinto,
in un racconto sostanzialmente negativo, in quanto pronunciato da Socle circa nel 506 per
dissuadere gli Spartani dal restaurare ad Atene la tirannide di Ippia.
Il primo dei tre oracoli, in ordine cronologico, rilasciati ai Bacchiadi annunciava, con tono ostile

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verso il nascituro Cipselo, che un'aquila (Aezione→aetòs→aquila) avrebbe partorito «un forte e
potente leone, che avrebbe abbattuto molti». Gli altri due oracoli erano assai più favorevoli a
Eezione e Cipselo. Quest'ultimo veniva paragonato ad un macigno che, rotolando dall'alto, sarebbe
piombato addosso ad «andres mounarchoi» (=uomini tiranni) e avrebbe punito (livellato) Corinto.
L'altro oracolo esaltava la felicità di Cipselo visitatore del santuario delfico e prometteva a lui e ai
suoi figli, ma non alla generazione dei nipoti, il regno dell'illustre su Corinto. Sorti forse durante o
anche dopo la tirannide dei Cipselidi, questi oracoli riflettono complessivamente una valutazione
positiva su Cipselo. Ai Bacchiadi viene conferito il titolo di tiranni mentre Cipselo sembra essere un
vero basileus al loro confronto. Un riflesso di questa particolarità si trova nel passo di Strabone, il
quale racconta che i Bacchiadi detennero il potere per 200 anni e che in seguito Cipselo dopo averli
spodestati tenne la tirannide per sé, governando in modo meno crudele del figlio Periandro, pur
macchiandosi comunque di numerosi delitti. Cipselo è ricordato in modo positivo rispetto al figlio
Periandro anche dalla letteratura di IV secolo (Aristotele, Nicolao di Damasco) che segue il modello
del peggioramento progressivo del regime verso una forma più chiaramente tirannica. In Erodoto gli
aspetti negativi sono ben presenti anche per Cipselo, mentre Nicolao lo dipinge in modo
assolutamente positivo. La valutazione negativa che ne dà Erodoto è probabilmente dovuta allo
scopo immediato del discorso di Socle, cioè una requisitoria contro la tirannide, invece il racconto
di Nicolao, pur considerando tutti gli anacronismi e gli espedienti retorici, potrebbe essere più
vicino all'idea corrente su Cipselo e alla verità storica.
Il fatto che Cipselo sia nemico dei Bacchiadi non ne fa un nemico dell'aristocrazia in generale e non
ne fa un nemico della classe oplitica. Egli si mette in luce come polemarco e riesce in questo modo
ad ottenere il prestigio necessario per rovesciare il potere. Aristotele dice che egli fu un demagogo e
che governò senza la protezione di guardi del corpo, mentre Periandro tenne un regime realmente
tirannico, pur essendo un ottimo guerriero. Mediante tutte le nefandezze attribuite a Periandro si
rende evidente il peggioramento del regime. Socle invero ammette che giusto all'inizio Periandro
fosse più mite del padre, anche se questo dipende, probabilmente, dalla condanna che Erodoto
rivolge tanto ai Bacchilidi quanto a Cipselo. Socle, alla fine del VI secolo, è il portavoce della
forma politica che si instaura a Corinto dopo la fine della tirannide dei Cipselidi: non una
democrazia, ma un'aristocrazia più moderata di quella dei Bacchiadi; un regime per il quale Erodoto
suggerisce come definizione utile un neologismo: isocrazia, una parola che, opponendosi a
tirannide, sembra unificare in un più vasto concetto politico sia la forma democratica sia la forma
non democratica ma certamente non tirannica, che nel VI secolo avanzato caratterizza Corinto.

8.4.2 GLI ORTAGORIDI


Nella tradizione sulla tirannide degli Ortagoridi di Sicione si coglie una progressivo accentuarsi
della rappresentazione dei caratteri popolari della tirannide. Le fonti principali sono Diodoro Siculo
e un papiro di Ossirinco. Queste fonti riportano una tradizione secondo cui il capostipite della
dinastia, Andrea, sarebbe stato un màgheiros dei sacrifici, cioè un inserviente addetto alle cerionie
sacrificali, che un oracolo annunciava stesse per dare origine ad un lungo periodo di tirannide nella
sua città. L'uomo, di origine e animo piccoli, trascurò l'oracolo, ma il figlio Ortagora (come si
legge nel papiro), avendo guadagnato prestigio con la carriera militare, percorrendo tutte le tappe,
da guardia territoriale a polemarco, conquistò il potere. Erodoto ci fornisce la genealogia di
Clistene, il più illustre degli Ortagoridi, dicendo che egli era figlio di Aristonimo, figlio di Mirone,
figlio di Andrea. Erodoto evoca Clistene soltanto in quanto nonno di Clistene Ateniese e antenato di
Pericle, per il resto la tirannide ortagoride cade fuori dal compo storico delle Storie erodotee, ragion
per cui è possibile che il fatto che Erodoto non citi Andrea sia solo perché ne conosceva le umili
origini o perché il tema dell'oracolo è successivo.
Come in tutte le tirannidi, anche in quella di Sicione c'è un peggioramento man mano che si procede
con le generazioni. Erodoto non esprime in prima persone giudizi negativi su Clistene, in quanto
questi era imparentato con gli Alcmeonidi (la figlia Agariste aveva sposato l'ateniese Megacle);
tuttavia il racconto erodoteo riporta implicitamente giudizi critici, per esempio quando racconta che
la Pizia aveva intimato di non espellere il culto dell'eroe argivo Adrasto, perché questi era stato re

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dei Sicionii mentre Clistene ne era il lapidatore. Clistene allora sostituì il culto di Adrasto con
quello del tebano Melanippo. Un altro esempio di critica erodotea è quella che riguarda la riforma
delle tribù: Clistene aumentò il numero di esse a quattro e rinominò le tre originarie, sostituendo i
nomi tradizionali (Illei, Dimani, Panfili) con Hyâtai, Oneâtai, Choireâtai (Suinidi, Asinidi,
Porcinidi) ed Erodoto dice che in questo modo egli si prese gioco dei Sicionii. Aldilà di tutte le
possibili connotazioni negative esterne fornite dallo storico, quello che più conta è ciò che Erodoto
dice implicitamente: fu Clistene ad innovare culti e istituti aristocratici tradizionali, fu lui a segnare
la frattura con l'aristocrazia. Sulla biografia e sul carattere di Clistene ci informano anche autori più
tardi come Nicolao di Damasco (64 a.C- dopo il 4 a.C.) che lo ricorda come tiranno più crudele dei
suoi predecessori, accentuando quel divario tra prima generazione e generazioni successive.
La tirannide degli ortagoridi pone anche dei problemi relativi alla genealogia. In base alle fonti in
nostro possesso sappiamo che Andrea, il capostipite della dinastia, non ricoprì la tirannide; Nicolao
di Damasco ci fornisce i nomi dei fratelli, e immediati predecessori di Clistene: Mirone II e
Isodemo. Clistene si affermerebbe facendo eliminare Mirone da Isodemo (che voleva vendicare una
relazione adulterina tra il fratello e la moglie) e, dopo un breve periodo di condivisione del potere,
esiliando anche quest'ultimo. Aristotele definisce questa tirannide come quella «dei figli di Ortagora
e di Ortagora stesso». Le ricostruzioni più recenti portano però a pensare che Clistene facesse parte
di un ramo cadetto e inoltre Erodoto non conosce Ortagora, cosa che potrebbe spiegarsi o con una
perdita nel corso della tradizione manoscritta o in un altro modo: gli studiosi ipotizzano infatti che
Erodoto conoscesse Ortagora con un altro nome, probabilmente un nome che si ripete nella
genealogia erodotea, cioè un Mirone. Il Mirone citato da Nicolao è fratello di Clistene, ma, per
Erodoto c'era anche un altro Mirone nonno di Clistene. Per un Mirone noi abbiamo in Pausania la
data di una vittoria olimpica (648 a.C.), in seguito alla quale Mirone e i Sicionii avrebbero dedicato
il thesauros ad Olimpia. Se la data della dedicazione del thesauros è vicina a quella della vittoria
olimpica, il Mirone in questione non può che essere Mirone I, in quanto la cronologia più alta per
Mirone II, il fratello di Clistene, lo colloca non prima del 618-611 a.C. Mirone I può dunque essere
diventato, nella tradizione raccolta da Aristotele e dal papiro di Ossirinco il Mirone Orthagoras
(rettamente parlante), epiteto che ben si adatta ad un valido demagogo. Altri ipotizzano che
Ortagora sia da identificarsi con Andrea ma questo aspetto non sana le aporie genealogiche. La
tirannide di Sicione, Clistene in particolare, manifesta una certa caratterizzazione razziale contro
l'etnia dorica. Questa caratterizzazione è però dovuta ad una contrapposizione con l'aristocrazia
dorica (Clistene esclude le città doriche del Peloponneso, tranne Lacede, figlio di Fidone di Argo,
cioè il figlio di un tiranno).

8.4.3 TEAGENE DI MEGARA


Tiranno di Megara in Grecia. Figura molto oscura della storia arcaica greca. Sappiamo che capitanò
la lotta dei contadini contro gli aristocratici latifondisti della sua città, e fece strage degli avversarî.
Come gli altri tiranni si circondò di guardia armata e aiutò i poveri con grandi lavori pubblici (tra
cui un acquedotto, di cui restano verosimilmente rovine nell'acquedotto esplorato dagli archeologi
tedeschi Delbrück e Vollmöller). Il suo governo ebbe fine violenta d'incerta natura (forse intervento
spartano) e gli succedette governo moderato. La datazione della sua vita dipende dalla data che si
assegna all'ateniese Cilone (v.), di cui fu suocero e che aiutò nel tentativo fallito di diventare tiranno
di Atene: donde poi una guerra tra Megara e Atene, in cui sembra che gli avversarî siano rimasti
nelle loro posizioni (che l'isoletta di Salamina sia stata occupata dai Megaresi sotto Teagene è solo
congettura moderna). Chi pone, con la tradizione antica, Cilone verso la metà del sec. VII a. C.
prima di Dracone, accetta data corrispondente per T.; così chi accoglie la correzione moderna di K.
J. Beloch e G. De Sanctis per una data di poco meno che un secolo dopo, all'inizio di Pisistrato.

8.4.4 POLICRATE DI SAMO


La tirannide di Policrate di Samo appartiene a quel gruppo di tirannidi di fase arcaica avanzata che
degenerano più rapidamente nel rapporto con l'aristocrazia e che giungono a porre le premesse per
la nascita di democrazie. Dopo la morte di Policrate, infatti, il suo segretario Meandrio istaurò un

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regime isonomico, che tuttavia ebbe vita breve. La tirannide di Policrate presenta alcuni aspetti
tipici delle tirannidi arcaiche:
• È di origini aristocratiche (figlio del nobile Eace) ed è uno di tre fratelli- insieme a
Pantagnoto e Silosonte- destinati a prendere il potere. Dividerà il potere con loro ssoltanto
in una fase iniziale.
• Si scontra duramente con l'aristocrazia, suscitando una violenta opposizione che nel 524
porta all'intervento di Sparta. Tra i principali oppositori abbiamo Pitagora (che in seguito di
trasferirà a Crotone). Tuttavia egli conquista secondo Erodoto il potere con 15 opliti, questo
dimostra che egli ha, almeno all'inizio l'appoggio dell'aristocrazia oplitica. Policrate sembra
poi aver disarmato, cioè disoplitizzato, i suoi cittadini, servendosi quindi di mercenari.
• È possibile che tra i suoi oppositori vi fossero anche i pescatori di Samo (i mythetai di cui
parla Anacreonte), anche se non è chiaro quale fosse il loro peso. Policrate non appare
dunque come un mediatore tra ceto medio oplitico e proletariato.

La tirannide samia si lega con ambizioni talassocratiche che si traducono in un'attiva pratica
piratesca, è documentata la presenza di poeti a corte. L'opposizione a Policrate induce nel 524
Sparta ad intervenire, con un assedio di quaranta giorni che tuttavia si conclude con un nulla di
fatto.
La tirannide samia appartiene inizialmente a quel tipo di tirannidi, proprie della Ionia, che in realtà
sono regimi fiduciari della Persia. Le fonti antiche riferiscono che la talassocrazia samia durò 15
anni. LE circostanze della morte di Policrate sono ben note: la sua politica era molto autonoma nei
confronti sia della Persia che dei vari satrapi, quindi il satrapo di Lidia, Orete, lo attirò con l'inganno
a Magnesia sul Meandro, lo fece giustiziare e ne fece crocifiggere il corpo; tutto ciò avvenne poco
prima della morte di Cambise, quindi nel 522. Dunque considerando i 15 anni di talassocrazia si
pone l'inizio della tirannide di Policrate nel 537, non tenendo conto però che è difficile che la
talassocrazia sia iniziata appena il tiranno salì al potere, quindi l'altra cronologia proposta, da Musti,
è più alta (tra 546 e 540 a.C.).

8.5 La colonizzazione greca (appunti, Bettalli)

8.5.1 DEFINIZIONE
La parola colonizzazione è un termine moderno che non ha corrispondenza in greco. Il fenomeno di
VIII-VI secolo viene chiamato in tal modo in riferimento all'espansione coloniale portata avanti
dagli stati nazionali in epoca moderna. Ma quest'ultimo fenomeno nacque con lo scopo esplicito di
occupare territori lontani “non civilizzati”, per sfruttarli e ricavarne vantaggi economici e politici e
venne gestita dai governi degli stati che avevano intrapreso le spedizioni. Ciò comporta sempre un
legame strettissimo tra madrepatria e colonia: quest'ultima era governata da funzionari della nazione
colonizzatrice e non godeva di alcuna autonomia decisionale. La cosiddetta colonizzazione greca
portò invece alla nascita di poleis indipendenti che con la patria mantenevano al più legami di tipo
religioso-cultuale, ma a volte fu il frutto di iniziative private, senza alcun intervento ufficiale di una
polis. In questo le colonie greche si distinguono anche da quelle romane che dipendono sempre da
Roma. Il fenomeno iniziò a suscitare l'interesse degli studiosi in seguito alla rivoluzione americana
(1776) ed è stato studiato in particolare da Moses Finley negli anni 60 del '900.
Per 'colonizzazione greca', che i Greci chiamano ἀποικία [da ἄπό (lontano) +οἴκος (casa, patria)]
intendiamo un fenomeno di VIII-VI secolo per cui i Greci, dopo essersi insediati in alcune aree
della costa occidentale della penisola anatolica, a seguito di un fenomeno di emigrazione, dettero
vita a un gran numero di nuovi insediamenti sparsi per tutto il Mediterraneo (Platone parla di «rane
intorno ad uno stagno», lo stagno è il Mediterraneo) insediamenti che si caratterizzano come poleis
indipendenti ma in tutto e per tutto simili alle poleis di partenza, anche nel contesto geografico.
Poleis greche vengono fondate in Magna Grecia, in Francia (Marsiglia), in Africa (Cirene, fondata
da Batto).
Riguardo le fonti che raccontano la colonizzazione vi sono due diversi indirizzi storiografici:

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• interpretazione tradizionalista→ ritiene che già in Omero e nella poesia arcaica ci siano
elementi che permettano di parlare di colonizzazione, l'apoikia è vista come un fenomeno
statale, cioè è stata organizzata dalla polis
• interpretazione degli anni 80-90 del Novecento→ Osborne ritiene che la documentazione sui
fenomeni apecistici sia tarda e che l'apoikia sia un'iniziativa privata e prepolitica degli
aristocratici; questa interpretazione rifiuta l'idea di statalità e risulta più plausibile perché è
difficile, nell'VIII secolo, parlare di 'stato'.

8.5.2 IL DIBATTITO TRA PRIMITIVISTI E MODERNISTI


Alla fine dell'800, secondo uno schema chiaramente positivistico, si iniziò ad interrogarsi su quali
potessero essere le ragioni dell'apoikia. Il dibattito si è diviso in due diversi indirizzi:
• Primitivisti→ ritenevano che l'economia greca arcaica fosse condizionata da una
produttività limitata, quasi esclusivamente di contadini che puntavano all'autosufficienza e
al sostentamento quotidiano (economia di sussistenza), non avevano interesse per le attività
commerciali e lo scopo era lo scambio finalizzato al soddisfacimento dei bisogni primari. Si
trattava dunque di un'economia prevalentemente agraria. I sostenitori di questa corrente
ipotizzano che l'apoikia fosse dovuta ad un aumento demografico che causò una mancanza
di risorse e dunque una migrazione (linee di Malthus= le risorse crescono in maniera
aritmetica, la popolazione in maniera esponenziale)
• Modernisti→ ritenevano che una buona parte dell'attività produttiva agricola fosse
finalizzata alla vendita sul mercato e quindi sottoposta alla legge della domanda e
dell'offerta. Anche l'attività artigianale, secondo quest'ottica, doveva aver raggiunto un
livello avanzato e i prodotti erano destinati alla vendita. Dunque l'economia arcaica è di tipo
mercantilistico e la 'colonizzazione' è dovuta alla ricerca di nuovi mercati.

Sia i primitivisti che i modernisti perdono di vista la vera struttura della polis.

8.5.3 LE CAUSE DELL'APOIKIA


Negli anni 50-60 del '900 Moses Finley affrontò la questione in maniera differente rispetto al
dibattito precedente, affermando cioè che il vero problema al centro della polis e causa dell'apoikia
fosse la graduale parcellizzazione della proprietà terriera, requisito indispensabile per la
cittadinanza. Difatti le consuetudini prevedevano che la terra venisse ripartita ugualmente tra i figli,
causandone la parcellizzazione; ma anche laddove vigesse la legge del maggiorascato i figli cadetti
venivano privati della terra e quindi della cittadinanza. Esiodo, che vive in un momento di crisi
della proprietà terriera, prevedendo gli sviluppi futuri, prescrive di fare attenzione alle donne e di
avere al massimo un figlio solo. L'apoikia era, secondo Finley, la risposta a tale situazione di
emergenza, mediante la creazione di nuove poleis nelle quali venivano riprodotte le condizioni la
polis di origine. Gli ultimi orientamenti storiografici, soprattutto inglesi, ritengono che la
colonizzazione sia stata un fenomeno contemporaneo alla formazione della polis stessa, cioè che in
tale momento si verificasse già una parcellizzazione, come dimostrerebbe la presenza, in zone
coloniali, di santuari extramurari contemporanei ai processi di poleogenesi. Secondo questo nuovo
indirizzo di studio sarebbe dunque smentita la tesi di Finley in quanto l'apoikia non avrebbe
un'origine emergenziale. Un'altra ragione per l'apoikia è lo scontro interno alle aristocrazie locali.

8.5.4 LA SPEDIZIONE E L'ATTO DI FONDAZIONE


Un'iscrizione proveniente da Cirene e risalente al IV secolo riguardo l'apoikia dice che ogni
famiglia deve scegliere un figlio che resta e uno che va via.
Al comando della spedizione, secondo la tradizione, vi è l'ecista (οἰκιστής→ al verbo οἰκίζω), quasi
sempre un aristocratico la cui permanenza in patria si è fatta difficile: all'arrivo sarà il fondatore
ufficiale della nuova polis, perciò, dopo la sua morte, sarà oggetto di culto. I partecipanti alla
spedizione sono tutti cittadini, in genere circa 200 in due-tre navi, e nessuna donna partecipa alla

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spedizione, in quanto le donne saranno reperite tra le popolazioni indigene una volta sbarcati.
Difficilmente il capo della spedizione non ha idea di dove dirigersi. Il sito deve rispondere a tre
requisiti: essere facile all'attracco, ben difendibile e non privo d'acqua. A questo punto l'ecista
procede alla fondazione della nuova polis, il cui atto fondamentale, dopo il tributo agli dei, è la
distribuzione in parti uguali di terreno a ciascuno dei partecipanti alla spedizione.

8.5.5 L'ELEMENTO ANELLENICO E IL PROBLEMA DELL'ELLENIZZAZIONE


Le colonie greche in Occidente inevitabilmente avranno contatti con le città e le popolazioni
anelleniche. Il rapporto può essere di due tipi e si rispecchia in due modelli mitologici diversi:
• modello repressivo o di βία: Eracle che uccide i giganti con la clava, modello improntato
sulla violenza;
• modello odissaico: passaggio di Odisseo, gratitudine verso il re locale.

Questi due modelli traducono le modalità di insediamento e acculturative che i Greci attivano nelle
zone coloniali della Magna Grecia. Un altro grande mito coloniale è quello della heremos chora,
della terra libera, non occupata, cioè il mito secondo cui l'ecista e i coloni andarono in una terra
abbandonata. Ovviamente si tratta di un'invenzione della prospettiva colonialista.
Per ellenizzazione una volta si intendeva l'imposizione di modelli greci a coloro che non erano
greci; a partire dagli anni 60 si è iniziato a capire che i modelli culturali greci sono modelli che
dialogano con le elites locali, le quali, col tempo, finiscono per riconoscersi nei modelli greci
acquisendone un'identità (es. gli Apici si ritenevano più Greci dei Tarantini perché discendenti di
Minosse, mentre i Tarantini erano Dori). Il mito da denotante diventa connotante

8.5.6 IL RUOLO DEI MITI COLONIALI


Le narrazioni coloniali seguono generalmente uno schema preciso:
• crisi interna (carestia, pestilenza, epidemia, donne lascive, assenza di uomini)
• ecista affetto da problemi fisici
• intervento di Delfi mediante la Pizia che dà indicazioni o profezie di fondazione (oracolo ex
eventu: oracolo costruito dopo che il fatto è già avvenuto)

La critica si è interrogata sull'intervento di Delfi e c'è stata una fase di ipercriticismo che non ne
riconosceva la veridicità. Negli anni 80 Musti, assumendo una posizione prudente, afferma che non
è da escludere che il clero delfico sia in grado di ingenerare il proprio ruolo nelle fondazioni.
Da un convegno tenutosi nel 2011 è venuta fuori una posizione che aderisce ad un nuovo indirizzo
storiografico: la storia intenzionale, che legge la storia come la risposta a determinate esigenze,
cioè, in questo caso, le narrazioni coloniali servivano alle nuove poleis per trovare un posto nella
scacchiera internazionale e il ruolo di Delfi aveva una funzione legittimante.

8.6 Le principali correnti coloniali (appunti, Musti, Bettalli)

8.6.1 CORRENTE EUBOICO-CALCIDESE


L'Eubea è una delle regioni più attive nella colonizzazione. Gli Eubei frequentavano i mari già in
precedenza per motivi commerciali (vd 5.5) e poi anche per motivi coloniali (Naucrati, Egitto); la
presenza è attestata in Tunisia, in Marocco, in Spagna, in Sardegna e in Sicilia. La mitologia
euboica è caratterizzata dai giganti, inizialmente rappresentati come uomini enormi (Briareo,
Atlante), poi come uomini con i piedi di serpenti. La mitologia dei giganti si trova in Spagna, Africa
e Sardegna, dove si trova anche il mito di Dedalo (non legato però alla figura di Minosse. Le
medesime condizioni si verificano anche in Etruria) di matrice euboica, mentre in Sicilia si trova il
mito di Dedalo di origine cretese (legato a Minosse). Vi è un'insistenza sulle rotte africane, aree che
non si considerano tradizionalmente greche, dove gli Euboici stringono rapporti con i Fenici. Si
stabilisce un modello apecistico, cui partecipa anche Eretria. La prima fondazione in area tirrenica è
una questione piuttosto dibattuta. L'ipotesi tradizionale voleva che Calcidesi ed Eretriesi avessero

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prima fondato (770-760 ca) un emporio sull'isola di Ischia (Pithecusa), per poi, qualche anno dopo,
fondare la vera e propria polis sul continente, Cuma, con l'apporto di altri gruppi di coloni.
Archeologicamente non vi è però alcuna differenza tra le due, per cui alcuni studiosi, tra cui
Alfonso Mele, la vedono come un'apoikia a forte vocazione commerciale, volta, probabilmente
almeno all'inizio, alla ricerca di materie prime. Secondo il racconto di Tucidide, da Cuma, mediante
i pirati (aristocratici calcidesi), i coloni si fissano a Zancle (Messina) e infine a Reggio.
Cuma è interessata al controllo degli stretti, quindi fonda le colonie di Pozzuoli e Parthenope, che
sono quindi delle sub-colonie. Parthenope non era una città ma un emporion.
I Calcidesi sono i responsabili dell'occidentalizzazione dei miti di Ulisse (Circe→Circeo, Sirene→
Capri/Capo Peloro, Lestrigoni→Salerno). La presenza di miti odissiaci non riguarda il Golfo di
Salerno, che registra invece una forte presenza argonautica. La geografia di Omero è una geografia
indistinta, cioè Omero non nomina luoghi reali, ma fornisce delle linee guida (punti cardinali, tempi
di navigazione). Le localizzazioni tirreniche si giustificano per altre vie. La linea seguita da
G.P.Carratelli comporta che questi siano ricordi della presenza micenea. Invece pare sempre più che
queste localizzazioni in Occidente siano post-omeriche. Vi sono stati, cioè, alcuni che sulla base
della geografia omerica hanno indicato delle localizzazioni. Il punto fermo della localizzazione
occidentale dei miti di Odisseo sono la Solfatara di Pozzuoli e il Lago d'Averno. Leggendo
l'episodio della nekya, il canto dei morti, l'entrata di Odisseo nell'Oltretomba viene collocata, infatti,
in una zona caliginosa e con strani fenomeni atmosferici; quindi i Calcidesi identificarono l'entrata
del Regno dei Morti con il lago d'Averno. Se si segue il testo omerico si legge che Odisseo giunge
alle porte dell'Ade dopo un giorno di navigazione verso sud partendo dalla dimora di Circe, dunque
la localizzazione presso il lago d'Averno fa sì che il Circeo venga collocato nel nord del Lazio.
L'orizzonte tirrenico dei culti di Odisseo è dunque un'applicazione calcidese (Mito modulo-
interpretativo di Malkin). I Calcidesi infatti conoscono benissimo Omero, il quale costituisce il loro
orizzonte culturale. La tradizione antica poneva Tifone sotto l'isola di Ischia, quindi le difficoltà
tettoniche dell'isola vennero lette tramite la presenza di un mostro. Tifone si trova anche sotto
l'Etna, tanto che Pindaro, notando questa duplicità, dice che ci sono due Tifoni. Quando Gerione di
Siracusa combatte nel Golfo di Napoli, rivitalizza il mito di Tifone che egli già conosceva. C'è una
tradizione che pone le sirene a Capri e una che le pone a Capo Peloro in Sicilia.

8.6.2 CORRENTE ACHEA


La corrente achea è la seconda dell'Italia meridionale dopo quella euboico-calcidese. Quando si
parla di colonie achee in Magna Grecia non si fa riferimento all'Acaia omerica, che indicava tutto il
Peloponneso (vd 3.2), ma alla parte settentrionale del Peloponneso da cui provengono i coloni della
Magna Grecia (Sotto i Romani il termine indicherà tutta la provincia di Grecia). Le colonie achee
della Magna Grecia sono Sibari, Crotone, Metaponto, Posidonia (Paestum). È evidente una
differenza significativa nella cultura mitologica (miti tessalici), che propende per una tradizione di
tipo argonautico (Giasone parte da Iolco, in Tessaglia), quindi parliamo di un'Acaia pre-dorica. Le
colonie achee diffondono in Basilicata il mito di Filottete, che crea città, muore, porta le sue armi. A
Lagarìa (tra Sibari e Policoro) c'è il mito di Epeo, il costruttore del cavallo di Troia. La tradizione
vuole che in Lucania siano arrivati gli Arcadi 17 generazioni prima della guerra di Troia. Questa
tradizione si spiega con il fatto che il retroterra montuoso dell'Acaia è l'Arcadia, quindi i coloni
achei che provenivano da quelle zone montuose avevano l'immagine degli Arcadi.
Le colonie achee sono importanti anche perché ad esse fa capo la realtà della μεγάλη Ἐλλάς, la
Magna Grecia, che per noi corrisponde al concetto latino del termine, cioè, come indica Giustino,
tutte le Grecità in Occidente. La Magna Grecia è in realtà l'Italia meridionale, ma il concetto nasce
in ambito crotoniano, collegato all'idea di prosperità, di benessere e di potenza (Sibari è la città
prospera per antonomasia, Crotone è la città da cui provengono gli atleti, il che indica
un'alimentazione basata sulla carne) ma anche il fatto che in questa città opera Pitagora, che vi si
trasferisce da Samo.

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8.6.3 TARANTO
Sorta in una zona fertile con un'agguerrita presenza di indigeni (Iapigi), che la costringerà a
numerose guerre non sempre fortunate, Taranto è l'unica fondazione spartana, sorta all'epoca della
prima guerra Messenica. Secondo la tradizione sarebbe stata fondata da parthenoi (verginetti)
spartani nati dall'accoppiamento tra iloti e donne di Sparta. La presenza di elementi servili è
attestata soprattutto nella tradizione più antica e Taranto sembra complessivamente respingere la
presenza ilotica nelle origini della città. Le origini complesse di una colonia, nata dalla commistione
tra padroni e schiavi, sono sempre ricondotte dalla tradizione greca alle guerre messeniche, in cui,
tra l'altro, gli Spartiati si avvalsero anche degli iloti (Vd 8.1). Nelle tradizioni più antiche questo
dato scabroso è presente, mentre è espunto dalla tradizione più recente e 'normalizzatrice'.
Antioco di Siracusa attesta la nascita dei Partenii fondatori di Taranto, e del loro capo Falanto dagli
iloti (presentati come Spartiati declassati per le inadempienze in campo militare), mentre Eforo di
Cuma eolica riduce gli iloti a comparse nel complotto dei Partenii contro gli Spartiati, che
consentirono forse ai più giovani di unirsi anche con le donne dei più anziani, per essere poi umiliati
ad un rango sociale inferiore, cosa che li spinse alla rivolta.
La nascita dagli iloti, in un regime come quello di Sparta, militare permantente con la necessità di
eredi maschi, è una questione di necessità. L'apoikia non dipenderebbe quindi dalla nascita
adulterina

8.6.4 CORRENTE RODIO-CRETESE


Interessa soprattutto la zona siciliana di Gela, da cui poi, come subcolonia, verrà fondata Akragas
(Agrigento). L'orizzonte culturale è il mito di Minosse. Nel territorio di Agrigento c'è anche quella
che viene considerata la tomba di Minosse, le cui ossa furono restituite, secondo il racconto di
Diodoro Siculo, dal tiranno Terone ai Cretesi. Resta, però, da capire se Diodoro si riferisse ai
Cretesi abitanti di Creta o ai coloni siciliani. Difatti nel racconto si fa riferimento alla restituzione
ma non al viaggio delle ossa verso Creta. Terone agendo in questo modo rinsaldò il sentimento di
appartenenza a Creta contro quello locale (Minosse fu ucciso dal re indigeno Cocalo). Dunque la
Sicilia interna ha una cultura cretese.

8.6.5 CORRENTE FOCESE


Focea è una città della Dodecapoli ionica, al confine con l'Eolide, è una città senza chora, dunque
l'aristocrazia è soprattutto di tipo marinaro. Nel 545 a.C. c'è un'invasione dell'Anatolia da parte di
Ciro il Grande e Focea viene evacuata in massa, secondo il racconto di Erodoto, sulle pentecontere,
delle navi commerciali, e si dirigono ad Occidente. La colonizzazione focese non segue il modello
apecistico ma si configura come una vera e propria migrazione. I Focesi fuggono dall'invasione
persiana e giungono in Corsica dove erigono la città di Alalia; in seguito vengono cacciati da una
coalizione etrusco-cartaginese e nel 540 ca. fondano Elea (Velia) nel Cilento e Massalìa (Marsiglia)
in Provenza. Le città fondate dai Focesi, come la loro madrepatria non hanno chora; Marsiglia per
esempio è una città marittima, nota soprattutto per l'esportazione di vini, ed ha un ottimo rapporto
con il retroterra celtico. Velia diventerà il polo principale della filosofia in Occidente.

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9.SPARTA ARCAICA
Della Sparta arcaica non si sa quasi nulla; l'immagine che noi abbiamo di Sparta antica è
un'immagine idealizzata da ambienti ateniesi ostili alla democrazia, come la “Costituzione spartana”
di Senofonte. Dunque la Sparta antica parla poco di sé, l'immagine che noi ne abbiamo è
un'immagine convenzionale e idealizzata dalle fonti antiche. Un'ulteriore forte idealizzazione, come
osserva Pierre Vidal-Naquet, si è avuta durante la Rivoluzione Francese e nella Germania di
Bismark. Queste visioni idealizzate di XVIII-XIX secolo passano sotto il nome di miràge (il
cosiddetto miraggio spartano). Tutte queste strumentalizzazioni dipendo dal fatto che non abbiamo
fonti interne.

9.1 La costituzione spartana (Musti, appunti)


9.1.1 GLI ALBORI DI SPARTA
L'ordinamento politico di Sparta non nacque con Sparta stessa. Stando a Tucidide Sparta la città fu
turbata da staseis, cioè da conflitti civili, in maniera molto più grave rispetto agli altri Stati greci; ne
uscì, circa 400 anni prima della guerra del Peloponneso, senza dover imboccare la strada della
tirannide, con una costituzione severa e stabile, che fu considerata un modello di eunomia, cioè di
'buon governo'.l'equilibrio raggiunto da Sparta riflette in parte le premesse del mondo dorico, anche
se l'ordinamento che vige a Sparta nel VI secolo non può, probabilmente considerarsi pienamente
dorico. La diversità di Sparta è una diversità acquisita storicamente come risposta ai conflitti, che
però non hanno snaturato condizioni originarie.

9.1.2 LA RHETRA
Quando si parla di 'costituzione di Sparta' si parla di kosmos, cioè un ordinamento istituzionale che
si riteneva fosse opera di Licurgo (vd 8.2), il quale avrebbe preso le leggi a Delfi o, secondo un'altra
tradizione, a Creta. A Licurgo si attribuisce la Rhetra (la parola ha radice *ρη la stessa radice del
verbo αγορεύω e significa 'cosa detta', in aderenza con la repulsione spartana per il testo scritto),
messa in atto forse agli inizi dell'VIII secolo a.C. di cui noi possediamo il testo tramandatoci da
Plutarco, che ci permette di ricostruire la struttura sociale e le principali istituzioni di Sparta.
I problemi fondamentali della Rhetra sono: il rapporto tra il testo principale e l'emendamento (la cui
distinzione è fatta solo da Plutarco) riguardo cui, anche se la distinzione è da ammettere, bisogna
considerare i due testi distinti ma non distanti, nel tempo come nell'essenza; il rapporto tra il Tirteo
di Diodoro Siculo e Plutarco, poiché Diodoro dà il miglior commento alla Rhetra, compreso
l'emendamento, e Plutarco sembra presupporre la versione lunga di Diodoro, citando Tirteo come
conferma. Nel 2015 sulla rivista “Incidenza dell'antico” venne pubblicato un articolo di Marcello
Lupi, il quale mette in discussione il fatto che il documento che noi abbiamo sia una carta
costituzionale (ipotesi massimalista) e ritiene che sia da riferirsi piuttosto ad una determinata
festività (Ipotesi minimalista).

9.1.3 LA STRUTTURA SOCIALE E LE PRINCIPALI ISTITUZIONI


La Rhetra, dopo aver prescritto la costruzione di due templi, uno in onore di Zeus Syllanios e uno in
onore di Atena Syllania (epiteti ancora oggi non chiariti) ci fornisce un quadro dell'assetto
istituzionale spartano. Essa prescrive il mantenimento delle tre tribù doriche e la divisione in 5 obai,
cioè villaggi o tribù territoriali (Limna, Pitane, Cinosura, Mesoa e Amicle, un centro poco a sud-est
di Sparta assorbito tra IX e VIII secolo); nel documento si parla di una diarchia (governo di due re)
genetica composta da un membro della dinastia degli Agiadi, che si ritenevano discendenti
dall'eraclide Euristene, e uno della dinastia degli Euripontidi, che ritenevano di discendere da
Procle, fratello di Euristene; si è molto discusso sulla natura e sull'origine della diarchia, per cui
alcuni hanno anche ipotizzato una derivazione dal wanaka o dai qasirewe. I due re, come i consoli
romani, hanno potere in campo religioso e guidano l'esercito. I re sono, inoltre, gli archaghetai (capi
e capostipiti) della gherousìa, cioè l'equivalente del Senato. Infine c'è l'apella cioè l'assemblea del
populus (popolo in armi), che probabilmente non aveva potere di controproposta, ma probabilmente
diritto di parola e di moderata discussione, che non stravolgesse però le decisioni della gherousia.

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Nella carta costituzionale non vi è alcun riferimento all'eforato (che Sparta conosce dal 754-753 in
poi), che alcuni ipotizzano sia rievocato dai 5 villaggi. Tuttavia di fatto non se ne fa alcuna
menzione, perciò alcuni hanno ipotizzato che la Rhetra sarebbe stata formulata prima della
formazione del collegio eforale (ipotesi archeologistica), ma è più verisimile pensare che questo
testo conoscesse gli efori e li abbia deliberatamente ignorati, legittimando le aspettative e le pretese
monarchiche e deludendo quelle eforali.
Sparta rivela anche un grande interesse dal punto di vista dell'organizzazione sociale, articolata in
tre grandi gruppi:
• Spartiati (Ομοιοι): i cittadini spartani. L'organizzazione di Sparta prevedeva un numero
fisso di cittadini che la tradizione fissa, all'inizio della storia della città, a 9000; si tratta di
una classe di guerrieri permanenti, proprietari di un appezzamento di terra (κλήρος→
etimologicamente «assegnazione, sorte»), di cui non si occupano personalmente, in quanto il
compito è affidato agli iloti.
• Iloti: gli antichi traducevano il termine con 'animali', si tratterebbe quindi di un eteronimo. Il
termine non si spiega col greco ma con una lingua pre-greca. Si tratta di schiavi che
appartengono, come i penesti tessali, a quel tipo di schiavitù rurale collettiva, che si ritiene
tipico della cultura dorica e non è presente né in Omero né nella cultura ionica. Gli iloti si
distinguono in iloti di Laconia e di Messenia e si ritiene che siano popolazioni pre-doriche
sottomesse all'arrivo dei Dori, anche se oggi quest'interpretazione è sempre più soppiantata
da quella di una schiavitù formatasi in loco e legata al processo di poleogenesi. Difatti per
accettare la prima teoria bisognerebbe accettare che i Dori siano una popolazione non
autoctona.
• Perieci: liberi abitatori di borgate periferiche, non cittadini, sottoposti ad obblighi militari,
ma dediti probabilmente anche a quelle attività artigianali e mercantili, che, pur in uno
stadio di economia prevalentemente rurale, non possono essere assenti dalla Laconia; sono
verosimilmente di origine dorica come gli Spartiati. Quando Perieci e Spartiati combattono
insieme si parla di Lacedemoni.

9.2 Il sistema educativo spartano (Wikipedia, appunti)

9.2.1 LA SELEZIONE INIZIALE E LA DIVISIONE PER ETÀ


La agoghé (in greco antico: ἀγωγή) era un rigoroso regime di educazione e allenamento basato su
disciplina e obbedienza cui era sottoposto ogni cittadino spartano, comprese le due dinastie reali
(Agiadi ed Euripontidi), fin dall'età di 7 anni. Comprendeva la separazione dalla famiglia, la
coltivazione della lealtà di gruppo, l'allenamento alla guerra e alla pratica militare, caccia, danza e
preparazione per la società e per l'attività civile. Gli studi ritengono di riconoscerne l'origine tra
il VII e il VI secolo a.C.. Il termine "agoghé", tradotto alla lettera come 'condotta/conduzione', è una
parola applicata più tradizionalmente all'allevamento del bestiame. Il supervisore durante tutto il
periodo di allenamento era una figura di spicco della società spartana che nella letteratura greca è
detta paidonómos[1]: letteralmente un "mandriano di ragazzi". Secondo la tradizione tramandata
dalle fonti più antiche questo tipo di educazione sarebbe stato introdotto dal semi-mitico legislatore
spartano Licurgo. L'agoghé era peculiare soprattutto perché si trattava di un'educazione
obbligatoria, collettiva, organizzata ed impartita dalla città. Questo tipo di formazione era
indispensabile per accedere alla piena cittadinanza e gli adolescenti che non si fossero sottoposti a
tale regime non avrebbero potuto né accedere ai corpi di élite né tanto meno alle magistrature,
nonché a tutti gli altri diritti civili. L'obiettivo del sistema era di produrre maschi fisicamente e
moralmente robusti perché potessero servire nell'esercito spartano. I genitori dovevano presentare i
nuovi nati alla lesche, dove sedevano cittadini tra i più anziani e onorevoli. Questi esaminavano i
bambini e se convenivano che avessero una struttura forte e salda allora ordinavano che venissero
allevati e che venisse loro assegnato un klêros (κλῆρος), ovvero un lotto di terra. Quando invece i
neonati si fossero rivelati deformi o malformati e se fin dall'inizio fosse parso impossibile uno
sviluppo sano, ritenendo che la sopravvivenza dei bambini stessi non sarebbe stata proficua né per

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loro né per la città, venivano abbandonati in un luogo chiamato Apothete, un burrone presso
il Taigeto. Coloro che superavano la selezione venivano subito abituati dalle loro nutrici a crescere
senza fasce per rendere i loro corpi resistenti e atti a muoversi liberamente. Quando un ragazzo
terminava il suo settimo anno veniva posto sotto l'autorità del paidonómos (παιδονόμος), incaricato
di supervisionare la sua educazione.
Durante l'agoghè i futuri cittadini venivano divisi in fasce d'età:
Ρωβίδας / rōbídas (significato sconosciuto)
προμικκιζόμενος / promikkizómenos (fanciullo)
dagli 8 agli 11 anni, ragazzetto, fanciullo
μικκι(χι) ζόμενος / mikki(chi)zómenos (ragazzetto)
πρόπαις / própais (pre-ragazzo)
πρατοπάμπαις / pratopámpaïs (giovanetto di I anno)
άτροπάμπαις / atropámpaïs (giovanetto di II anno)
dai 12 ai 15 anni, ragazzo, giovanetto
μελλείρην / melleírēn (futuro irén)
μελλείρην / melleírēn (idem, II anno)
εíρήν /ρήν / eirēn I anno, o σιδεύνας sideúnas (sconosciuto)
II anno εíρήν /ρήν
dai 16 ai 20 anni, irén III anno εíρήν /ρήν
IV anno εíρήν /ρήν
πρωτείρας / prōteĩras primo-irén

9.2.2 LE INIZIAZIONI ADOLESCENZIALI


Secondo una tradizione, nota anche ad Eforo di Cuma eolica, nelle poleis greche, ma soprattutto a
Sparta, i giovani prima di diventare cittadini venivano mandati per due anni nell'eschatià, dove
dovevano procacciarsi il cibo e difendersi solo con un coltello, imparando in questo modo a
sopravvivere. In questo periodo il ragazzo deve avere anche rapporti omoerotici di tipo passivo,
cioè diventa un ἐρώμενος (amante passivo, l'amante attivo è detto ἐράστής ed è, nel caso di Sparta,
un cittadino illustre). Secondo la tradizione è l'eromenos che deve richiedere la relazione, egli non
subisce violenza ma si sottopone ad un'usanza istituzionalizzata. La fase iniziatica è stata sempre
ignorata dalla tradizione filospartana. Nel 1911 fu pubblicata un'opera, Riti di Passaggio, di Arnold
Van Gennep, un etnologo che nell'Africa Nera notò procedimenti simili a quelli che egli conosceva
dalla cultura classica. Van Gennep formulò dunque il criterio dell'inversione simmetrica che
consisteva nel far vivere al giovane iniziando tutti gli aspetti di negazione della figura del polites:
• Espulsione • Cittadinanza
• difesa con il pugnale, nudità • oplitismo (armi)
(efebo→nudo e mai in posizione
priapica)
• ἐρώμενος • ἐράστής (padre, uomo)

Dunque l'omosessualità non era libera ma istituzionalizzata , faceva parte della negazione della
cittadinanza. I poemi omerici sull'omosessualità sono silenti; per esempio il rapporto tra Achille e
Patroclo non è chiaro, ma se si guarda all'iconografia si ritrova l'immagine del coito intercrurale tra i
due. Un altro esempio taciuto dall'epica (virgiliana in questo caso) è il rapporto tra Eurialo e Niso. A
parlare più liberamente dell'argomento sono i lirici (es. Ibico dice che Thalos era stato erastes).
Aristodemo di Cuma viene etichettato dalla tradizione come folle e perverso perché fece vestire gli
uomini da donne e viceversa e li fece sfilare davanti a lui, compiendo quello che in realtà è il
recupero di un'antica tradizione iniziatica. Il rapporto omoerotico è esemplificato dalla tradizione
anche nel mito di Zeus e Ganimede e dalla figura di Chirone. L'omoerotismo è un'espressione delle
società arcaiche, difatti già nel V secolo Aristofane fa battute su coloro che praticano la pederastia.

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Un altro rituale iniziatico ricordato dalla tradizione è quello della κρυπτεία (dal verbo κρύπτω=
nascondere), un rituale di caccia all'ilota, cioè un macabro e violento rituale in cui gli iniziandi
andavano a caccia e usavano violenza contro gli iloti. Si tratta di un'attività connessa alla caccia
(ilota=animale). Pierre Vidal Naquet parla di questi rituali nell'opera “Il cacciatore nero”.
Riti iniziatici di questo tipo segnano l'ingresso del fanciullo nella cittadinanza. Tuttavia tali riti si
trovano spesso anche nell'educazione femminile, che contemplava anche la pratica omoerotica nel
tiaso (es. Saffo) e aveva la funzione di preparare le donne alla vita matrimoniale. Anche nei riti
femminili si riscontra un'inversione simmetrica. Tutti questi rituali sono tramandati dalla tradizione
antica, proveniente da ambienti esterni a Sparta e, dunque, non in grado di comprenderne la
funzione. La maggior parte delle tradizioni sono di stampo aristotelico, soprattutto quelle che
riguardano l'efebia, e l'ambiente è quello della restaurazione dei costumi voluta da Licurgo
Ateniese.

9.3 Le prime due guerre messeniche (Musti, appunti)


Sparta non partecipa alle colonizzazioni ma risolve i problemi di terra mediante l'ilotizzazione della
Messenia. Ancora fin verso gli inizi dell'VIII secolo, secondo la tradizione storica, Sparta era
impegnata nel completamento della conquista della Laconia. Intorno alla metà dell'VIII secolo gli
Spartani aggirano verso verso occidente la barriera posta dal Taigeto (una catena montuosa che si
erge nel Peloponneso, che domina la città di Sparta e separa la Laconia dalla Messenia) e
conquistano la parte centro-orientale della Messenia. È la I guerra messenica, durata 20 anni e che
pone non pochi problemi cronologici; infatti Pausania la pone dal 743 al 724, Apollodoro 757-738,
Luigi Moretti (1922-1991) la pone addirittura tra il 700/690 e il 680/670. in seguito alla prima
guerra messenica ci fu la fondazione di Taranto (vd 8.6.3). La seconda guerra messenica esplode
due generazioni dopo a causa delle durissime condizioni di sfruttamento imposte ai vinti. Anch'essa
pone problemi cronologici: Pausania la pone dal 684 al 668, il lessico Suida intorno al 640 e non è
da escludere che quest'ultima datazione sia da ascrivere allo spartano Sosibio (III-II secolo);. La II
guerra messenica fu combattuta da Sparta contro una coalizione composta dai Messeni ribelli,
guidati da Aristomene (celebrato nel III secolo a.C. da Riano di Bene, poeta cretese), dai Pisati,
guidati dal re Pantaleone, e dagli Arcadi di Orcomeno guidati da Aristocrate. I Messeni furono
sconfitti nella battaglia della Grande Fossa (megàle tàphros) forse anche per il tradimento di
Aristocrate; la fortezza di Ira, al confine con l'Arcadia cadde nelle mani di Sparta dopo 11 anni.
Aristomene finì esule a Rodi e i Messeni si dispersero nel Peloponneso e in Occidente. Cronologie
così discordanti per entrambe le guerre sono dovute al fatto che esse si basano sulle genealogie delle
famiglie regnanti, cui a volte sono assegnati dei tempi abnormi; tuttavia la cronologia tradizionale
delle guerre messeniche è ormai complessivamente accettata: la vicenda si svolse tra la seconda
metà dell'VIII secolo e la prima metà del VII. Più incerto il profilo dei fatti e, di conseguenza la
cronologia, del conflitto di Sparta contro Argo.

9.4 La riforma di Chilone (Musti, appunti)


Ad un certo punto della propria storia (secondo Musti nel VI secolo) si verifica nella società
spartana un cambiamento radicale, che porta la polis a chiudersi in sé stessa, cambiamento che
spiegherebbe la dissonanza tra alcune fonti letterarie di VII secolo e l'immagine austera che di
Sparta si ha nel V secolo. Infatti Alcmane, poeta spartano (o accolto nell'ambiente spartano) di fine
VII secolo, descrive un partenio di fanciulle (PMGF1), parla di ἁβροσύνη (idea positiva di lusso e
delicatezza, cui si oppone la τρυφή, idea di effeminatezza e sfrenatezza), le fonti antiche ci parlano
di una Sparta aperta all'esercizio della musica e della poesia, o all'ingresso di poeti stranieri come
Tepandro di Lesbo; sono tutti ideali che cozzano con l'immagine che noi abbiamo di Sparta, chiusa,
disciplinata, militare, che non conosce la tirannide e non partecipa alla colonizzazione. La
tradizione ritiene che a contribuire a questo cambiamento siano state le riforme dell'eforo Chilone
(che altre tradizioni vedono come re o saggio delfico), detentore della magistratura nel 556/555. La
conseguenza principale sarebbe stata l'accrescimento del poter4e degli efori a discapito di quello dei
re. Ora, per ciò che riguarda l'accrescimento del potere degli efori, il ruolo storico di Chilone può

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essere stato molto significativo, ma per quanto riguarda lo sviluppo del kosmos spartano è difficile
attribuirlo ad un cambiamento improvviso operato da un singolo magistrato. In effetti già nelle
guerre messeniche Sparta mette a frutto la propria organizzazione e singolare disciplina, che si
trovano già espresse nei versi di Tirteo. Ma all'epoca delle guerre messeniche questa rigida
organizzazione militare è anche nella fase più attiva e vitale: Sparta è in fase di espansione e
conquista. Con la conquista Sparta cerca di risolvere quei problemi di ordine demografico ed
economico che altre poleis, anche nello stesso Peloponneso, risolvono con l'apoikia. La Sparta
conquistatrice è ancora una Sparta in ascesa e aperta, anche se aggressivamente, verso l'esterno. Già
nel VI secolo la capacità espansionistica di Sparta si va esaurendo; la città diventa l'essenza stessa di
una statica conservazione. Essa diventa in quel momento gendarme della propria costituzione e
delle aristocrazie che si riconoscono nel suo modello, pur essendo talvolta così diverse. Sparta si
sente chiamata a combattere contro tutto il nuovo, che modifica gli ordinamenti politici e sociali
greci: le tirannidi prima, la democrazia ateniese poi. Di qui la xenofobia e la chiusura che
caratterizzano il modello spartano. Sarebbe sbagliato considerare la chiusura di Sparta come un
cambiamento radicale, contrapponendo una fase di apertura e una di chiusura. In realtà, proprio
perché sparta ha questo carattere chiuso, essa ha bisogno di stranieri che assolvano, in un ruolo
integrativo, a quelle funzioni indispensabili per la completezza delle espressioni culturali di una
città di struttura militare e austera. Le presenze straniere si inseriscono bene nel clima della Sparta
di VII secolo, per il carattere 'costitutivo' di quell'epoca, per le istituzioni e l'agoghè spartana. Se vi
fu un cambiamento con l'eforato di Chilone, non fu il cambiamento così radicale che la tradizione
suggerisce.
9.5 Il conflitto con Argo e con la realtà arcade (Musti)
9.5.1 GUERRA CONTRO ARGO
Nel VI secolo assistiamo al definirsi del ruolo egemonico di Sparta nel Peloponneso. I presupposti
sono dati dai primi conflitti con i Messeni, che precedono il confronto con le altre realtà etniche e
politiche della penisola. I conflitti successivi mettono Sparta a confronto con la montuosa Arcadia e
con Argo, il cui dominio aveva, probabilmente, raggiunto dimensioni ragguardevoli, lungo tutto il
fianco orientale del Peloponneso. È probabile che all'inizio del VII secolo a.C. il dominio di Argo
avesse già una notevole estensione; il conflitto di Sparta con Argo sembra essere stato di lunga
durata, se si pensa ai due termini che ne delimitano lo svolgimento tra il periodo delle guerre
messeniche e l'età delle guerre persiane: la battaglia di Isie (669/668) e la vittoria spartana di
Sepeia, vicino Tirinto (494 circa), non priva di episodi di ferocia spartana e atti eroici da parte degli
argivi. Intermedio fra le due date sarebbe uno scontro fra corpi scelti spartani e argivi, risoltosi poi
in un duello in cui emerge la figura eroica dello spartano Otriada; dalla disputa sulla pertinenza
della vittoria scaturirebbe un'altra battaglia, la battaglia di Parparo che segna la sconfitta degli
Argivi, i quali perdono la Tireatide, alle porte dell'Argolide. La data di questa guerra spartano-
argiva non è facile da determinare; vi è chi la colloca tra due fasi del conflitto tra Sparta e Tegea
(circa 550) o solo più tardi (540-535).
9.5.2 SPARTA CONTRO L'ARCADIA
La guerra raccontata con più dovizia di particolari è quella contro Tegea (che si trova nella zona
sud-orientale dell'Arcadia), una guerra in più fasi, raccontata da Erodoto. Il contrasto con gli Arcadi
aveva avuto già una manifestazione nella seconda guerra messenica, quando i Messeni avevano
avuto l'aiuto del re di Orcomeno, Aristocrate. La crisi della regalità arcadica di Orcomeno, nella
prima metà del VI secolo, potrebbe aver avuto come conseguenza (non dimostrabile con le fonti)
l'accodarsi di Orcomeno, Mantinea e della maggior parte delle città dell'Arcadia a Sparta. Tuttavia,
probabilmente, queste zone, prevalentemente montuose, non suscitavano particolare interesse da
parte di Sparta, che mirava al controllo della piana di Tegea, città che controllava la Sciritide, una
zona pericolosa per alcuni possedimenti spartani. La guerra contro Tegea ebbe, secondo Erodoto,
almeno due fasi: una al tempo del re spartano Leonte (ca 590-ca 565) e una al tempo del suo
successore Anassandrida II (fino ca. 520).

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9.6 La Lega Peloponnesiaca (Treccani, Musti, appunti)
9.6.1 FORMAZIONE
Sparta non è una potenza militare da intervento esterno, ma aspira ad avere un ruolo egemonico
all'interno del Peloponneso, perciò si pone a capo della Lega Peloponnesiaca. La prima attestazione
sicura, una riunione del sinedrio della Lega, risale al 506 a.C., ma si ritiene che un valido terminus
ante quem sia il 524, data dell'intervento di Sparta contro Policrate di Samo (vd 8.4.4). Risulta
invece più difficile rintracciare un terminus post quem, si è pensato al 560 circa (Wade-Gery) o al
535-524 (Moretti).
Aderirono alla Lega a poco a poco tutti gli stati del Peloponneso non sottoposti già a diretto
dominio di Sparta, eccetto le città dell'Acaia e, ovviamente, Argo; i più importanti aderenti furono le
città arcadiche (con a capo Tegea e Mantinea), Corinto, Sicione, Fliunte, Megara ed Elide. Poco
prima o poco dopo il 490 dovettero aderire alla Lega, in circostanze malcerte ma connesse col
pericolo persiano, anche Atene ed Egina. La massima estensione fu raggiunta intorno al 480,
allorché Sparta fu alla testa della resistenza contro la Persia: la Lega, oltre a comprendere molte
città della Grecia centrale e settentrionale, si estese allora anche alle isole dell'Egeo, come Nasso,
Samo, Chio, Lesbo. In origine anche tutti i membri della Lega delio-attica (v.), fondata nel 478,
dovettero seguire Atene nell'aggregazione alla Lega del Peloponneso, se pure non erano già prima
aderenti. Con la formazione della Lega delio-attica molte città si distaccarono dalla Lega
Peloponnesiaca, che tornò a ricoprire la sua estensione più antica.
9.6.2 STRUTTURA DELLA LEGA
La Lega Peloponnesiaca non è una συμμαχία ma una οἰμαχμία ( giuramento→parola di origine non
greca), un'alleanza basata su accordi bilaterali in funzione anti-argiva. Occorre ricordare che la
supremazia di Sparta vi si faceva valere, ancora più che di diritto, di fatto. Le seguenti peculiarità si
possono ritenere sicure. La Lega è basata su una serie di trattati delle città con Sparta, per cui queste
città si obbligavano a riconoscere in guerra il comando supremo di Sparta. Le città rimanevano
autonome e in origine quindi non dovevano né pagare tributo né essere sottoposte a guarnigione
spartana; ma, dopo la fine della guerra del Peloponneso, Lisandro introdusse il tributo per i nuovi
membri della Lega, e questo sistema si estese nel 378 circa ai vecchi membri nel senso che il tributo
poteva sostituire l'invio dei contingenti militari, in quell'anno riordinati in modo da dividere il
territorio della Lega in dieci zone pressoché uguali di reclutamento. Anche l'imposizione di
guarnigioni fu introdotta da Lisandro. Ciascuno stato poteva per proprio conto fare guerre, e anzi
poteva fare guerra con altri membri della Lega. Guerre federali erano solo quelle che venivano
dichiarate dai rappresentanti della Lega, convocati a Sparta per invito di Sparta. Il meccanismo di
questa rappresentanza è oscuro: certo la volontà di Sparta vi prevaleva. Ma solo nel sec. IV si
introdusse il principio che ogni minaccia a Sparta o anche a un membro della Lega fosse senz'altro
un caso di guerra per tutti i federati. E così, mentre nel sec. V è di regola tenuto fermo il principio
che la pace doveva essere approvata da tutti i federati, nel IV Sparta può fare pace per tutti.

9.7 La politica di Cleomene I (Treccani)


Re della stirpe degli Agiadi, figlio di Anassandrida, al quale, secondo i calcoli più probabili,
successe nel 520 a. C. Uno dei primi atti del regno di Cleomene sarebbe stato il consiglio dato ai
Plateesi, dopo la cacciata dei tiranni, di unirsi agli Ateniesi più vicini, invece di appoggiarsi
all'alleanza spartana che non avrebbe potuto riuscire loro vantaggiosa a causa della distanza. È
molto dubbio che Cleomene abbia avuto qualche parte in questa alleanza di Platea con Atene,
poiché, secondo Tucidide, essa sarebbe del 519-8, quindi sembrerebbe piuttosto un atto politico dei
tiranni. Quando, in seguito ai suggerimenti dell'oracolo o piuttosto reputando nel proprio interesse
di abbattere in Grecia le tirannidi, Sparta decise d'accordo coi fuorusciti ateniesi di sopprimere la
tirannide dei Pisistratidi, C. fu messo a capo della spedizione e assediò nell'Acropoli i Pisistratidi,

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che capitolarono. Ma poi, pregato da Isagora oligarchico, concorse con lui a cacciare gli Alcmeonidi
e instaurò un governo oligarchico con 300 buleuti. In Atene ci fu una sollevazione e Cleomene con
Isagora si ritirò nell'acropoli donde uscì sotto condizione dopo due giorni d'assedio. C. preparò una
spedizione in grande stile, alla quale avrebbero dovuto prender parte tutti i membri della simmachia
peloponnesiaca, i Beoti e Calcidesi, ma la spedizione si arrestò sul principio per l'opposizione dei
Corinzî o dell'altro re di Sparta appartenente alla casa degli Euripontidi, Demarato.
Un altro momento importante nell'azione di C. fu il successo militare su Argo (probabilmente verso
il 494 a. C.) pur non essendo egli riuscito, dopo aver distrutto un gruppo d'Argivi che si erano
ricoverati nella "siepe d'Argo", a muovere contro la città. Quando il gran re domandò terra ed acqua
a tutte le città greche, gli Egineti si sottomisero e allora gli Ateniesi accusarono gli Egineti a Sparta,
e Cleomene si recò a Egina, per catturare i colpevoli e prendere ostaggi, ma per i maneggi del
collega Demarato gli Egineti si rifiutarono, promettendo che li avrebbero dati se fossero venuti
ambedue i re. Cleomene si vendicò di quest'insuccesso diplomatico col sollevare dei dubbî sulla
legittimità di Demarato, evocando certe parole del padre Aristone, e questi dubbî furono convalidati
dal responso dell'oracolo delfico. Demarato fu deposto e fu messo in suo luogo Leotichida, col
quale Cleomene recatosi in Egina, poté farsi dare gli ostaggi. Secondo la tradizione vennero in luce
i maneggi di Cleomene contro Demarato, onde egli non rientrò in patria, ma si recò in Tessaglia, e
di qui in Arcadia per crearvi un movimento antilaconico. Gli Spartani, per timore, lo richiamarono e
lo reintegrarono nella dignità regia; ma Cleomene cadde - secondo la tradizione - in uno stato di
alienazione mentale e finì suicida. Non vi è motivo sufficiente per negare il suicidio di Cleomene;
ma è forse sospetta la notizia concernente l'insania, e niente di più facile che si facesse passare per
pazzo e venisse rinchiuso; onde egli sarebbe stato indotto a darsi la morte.

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10. ATENE ARCAICA
10.1 Atene micenea (Musti)
Atene fu sede di un palazzo miceneo, posto sull'acropoli, che era fortificata con mura ciclopiche.
Nella tradizione mitica un ruolo particolare spetta alla figura di Teseo , il re famoso sia per l'azione
svolta nella civilizzazione tra i luoghi dell'Attica e tra l'Attica e il Peloponneso, sia per il sinecismo,
cioè l'unificazione dell'Attica intorno ad un unico centro, che è Atene; un'unificazione che però, già
nella tradizione antica, è più di carattere giuridico, politico ed economico che di carattere
demografico (la tradizione ricorda che per altri otto secoli dopo il sinecismo gli abitanti mantennero
residenza e vita autonoma nel territorio). Ovviamente il sinecismo difficilmente può essere ascritto
all'opera di un unico personaggio ed è verosimile che esso sia stato un processo di lunga durata, che
ha occupato una parte dell'epoca micenea e gran parte dell'età buia.
Tutto quello che la tradizione ricorda per il periodo miceneo dell'Attica non si concentra nella figura
di Teseo, né può essere considerato miceneo.
Atene sembra aver avuto, in base alle testimonianza e ai reperti archeologici, un ruolo decisamente
minore rispetto ad altri centri in epoca micenea. Non è un caso che tutto ciò che si ricorda di Teseo
faccia rifermento ad una fase finale dell'epoca micenea. Teseo è una figura fortemente ideologizzata
e investita di particolari valori simbolici; talvolta egli rappresenta gli inizi della democrazia ateniese
e quindi un avversario dell'aristocrazia, fino ad essere rappresentato anche come tiranno, talvolta
invece rappresenta un governo moderato che si contrappone la demagogia di Menesteo.
10.2 L'evoluzione dell'arcontato e l'Areopago (Musti, appunti)
10.2.1 L'ARCONTATO
Aristotele scrive la Costituzione degli Ateniesi, opera acefala che riporta notizie sulla storia
istituzionale di Atene e sulle istituzioni principali. Quando Aristotele parla di 'costituzione' lo fa ad
una certa distanza di tempo e con il filtro modernizzante del suo periodo storico (IV secolo); egli
intende la storia in termini monetari, anche se in realtà la moneta si diffonde ad Atene solo a partire
dall'epoca di Pisistrato. È Aristotele che ci informa del periodo monarchico di Atene e del percorso
che porta alla nascita dell'arcontato, anche se la sua ricostruzione sembra, talvolta, schematica e
semplicistica. Prima di Teseo si ricordano i nomi di altri quattro re, Cecrope, Erittonio, Pandione ed
Egeo. A Teseo sarebbero poi succeduti altri sette re fino ad Acasto o a Medonte; segue poi la
dinastia dei Medontidi che parte della tradizione considera basileis e parte arconti a vita; è
plausibile che essi fossero talmente integrati nell'aristocrazia da essere considerati arconti. La
tradizione sugli arconti a vita fa pensare alla presenza di una sorta di dynasteia oligarchica, non
dissimile dalla dinastia Bacchiade a Corinto (vd 8.4.1). Al periodo degli arconti a vita (1049?-753
a.C.) sarebbe seguito il periodo dei sette arconti decennali (753-683) e quindi quello degli arconti
annuali la cui lista inizia nel 683 con Creonte. La storia istituzionale di Atene è caratterizzata, come
emerge anche dalla testimonianza di Aristotele, dalla ricerca di un equilibrio dei poteri che eviti la
concentrazione di potere nelle man di uno solo; tale ricerca emerge anche dalla composizione del
collegio degli arconti:
• arconte eponimo: colui che dà il nome all'anno, presiede le cause di diritto privato tra i
cittadini;
• arconte basileus: eredita nome e funzioni sacrali del basileus dello stato monarchico
dell'aristocrazia attica, dirige le Dionisie Lenee e i sacrifici patrii, presiede i tribunali che
giudicano i casi di empietà e quei tribunali particolari (Areopago, Palladio, Delfinio,
Freatto) che giudicano i diversi casi di omicidio; di lui Aristotele racconta che cedeva la
mogli al dio Apollo per una notte, affinché si unisse a lui nel boucholion, dunque rievoca
pratiche ierogamiche;

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• arconte polemarco: inizialmente, forse, aveva una funzione militare che col tempo perde; si
occupava di liti e di rapporto tra cittadini e non cittadini;
• tesmoteti: in numero di 6, sono coloro presso i quali si tramandano le leggi orali, sono
quindi custodi delle leggi e forse legislatori; il nome è molto antico.
Aristotele, dunque, sostiene una derivazione dell'arcontato dalla monarchia, con una progressiva
erosione che fa sì che al(l'arconte) basileus si affianchino gradualmente il polemarco, l'eponimo e i
tesmoteti. Questa teoria è oggi superata, in quanto si ritiene che l'arcontato sia un'unione di poteri
che proviene dal basso. Musti nota però che aldilà dello schematismo Aristotele traccia una storia
istituzionale di Atene che tiene presente il suo bisogno di equilibrio tra i poteri.
10.2.2 L'AREOPAGO
Scaduto l'anno in carica gli arconti entravano a far parte dell'Areopago , il consiglio di Atene
aristocratica che aveva sede sulla collina di Ares, a poca distanza dall'acropoli. Si tratta si
un'istituzione d'elite, in quanto gli arconti erano tutti di altissima estrazione sociale. L'Areopago
aveva giurisdizione sui delitti di sangue volontari e aveva la νομοφυλακία, cioè il controllo assoluto
sulle leggi, che gli sarà tolto da Efialte. Sembra essere l'unico organo consiliare dell'Atene arcaica e
Aristotele, influenzato dal clima di esaltazione di esso nel IV secolo, lo considera il tribunale più
importante di Atene.
10.3 Il tentativo di Cilone (appunti, Musti)
L'Attica è una terra che si segnala per i conflitti politici che sembrano contrastare l'accentramento
del potere, sì che il risultato complessivo è quello di un equilibrio politico tra centro e periferie.
Queste tendenze fanno sì che la tirannide non attecchisca subito ad Atene. Nel VII secolo vi fu
infatti un tentativo- fallito- ad opera di un certo Cilone, celebre per essere stato Ὀλυμπιονίκης nel
640, marito della figlia di Teagene di Megara. Cilone riuscì ad ottenere un largo consenso ma viene
bloccato dall'intervento e dall'opposizione violenta degli Alcmeonidi. La tradizione vuole che i
ciloniani si siano rifugiati come supplici presso il tempio dove, nonostante la condizione di supplici
sarebbero stati massacrati. Gli Alcmeonidi vennero considerati dei salvatori della patria e i ciloniani
dei rivoluzionari. In seguito però, a partire dagli anni 30 del VII secolo, a causa di questo episodio,
gli Alcmeonidi inizieranno ad essere etichettati come ἀσεβείς (empi) dai loro oppositori, poiché
avevano commesso un sacrilegio.
Alcuni studiosi hanno proposto una post-datazione di una settantina d'anni per l'episodio, che si
collocherebbe in questo modo all'epoca di Pisistrato, ma non vi sono motivazioni valide a suffragio
di questa teoria.
10.4 Epimenide Cretese (appunti)
Alla fine del VII secolo si verifica ad Atene una pestilenza che impone la chiamata di un
purificatore. La tradizione vuole che all'inizio del VI secolo giunga ad Atene, come purificatore,
Epimenide Cretese, che Aristotele definisce come colui che profetizza sul passato e sul futuro.
Questi avrebbe praticato un'arte della catartica e, tra le tante cose, avrebbe detto che la causa della
pestilenza era la presenza in città di empi (gli Alcmeonidi) e avrebbe richiesto lo scavo delle ossa
dei ciloniani che avrebbero dovuto essere gettate fuori dalla città insieme agli Alcmeonidi. Questa è
evidentemente una tradizione di parte ostile agli Alcmeonidi; un'altra tradizione, riportata da
Diogene Laerzio, dice infatti che Epimenide compì questa purificazione senza attribuire la colpa
agli Alcmeonidi, ma facendola in nome del dio di Delfi. L'esilio degli Alcmeonidi, se seguiamo la
prima tradizione, non deve essere durato molto, se consideriamo il ruolo che essi svolgono nella
prima guerra sacra (gli Alcmeonidi ricostruiscono il tempio di Delfi dopo un incendio). A causa
dell'episodio di Cilone gli Alcmeonidi furono spesso esiliati per empietà. Pisistrato sposa la figlia di
Megacle (Alcmeonide) e in seguito la ripudia riprendendo il motivo dell'empietà. Ogni qualvolta ad
Atene c'è una politica antialcmeonide questo episodio viene richiamato. Quando sotto Pericle c'è la
peste di Atene alcuni pensano che il motivo sia il fatto che Pericle è un Alcmeonide.

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10.5 Draconte (Treccani, appunti, Musti)
È l'unico tra i legislatori che abbia una collocazione cronologica non oscillante e un profilo storico.
Infatti Aristotele lo colloca all'epoca dell'arcontato di Aristecmo (624-620 a.C.). Con sicurezza può
dirsi solo che le leggi di Draconte costituiscono il primo codìce scritto di Atene e che sono anteriori
di qualche tempo a Solone (594). La scarsezza delle notizie su Draconte ha fatto sì che taluni
dubitassero perfino della sua storicità e lo identificassero col serpente sacro ad Atena, al quale
sarebbe stato attribuito l'antichissimo codice di Atene (Beloch). Ma l'ipotesi, per quel che riguarda
Draconte, sembra destituita di ogni fondamento (vd 8.2). Del codice attribuito a Draconte
rimanevano in vigore nell'età classica le leggi sui reati di sangue, e ancora nel 409-8 il popolo
ateniese, in seguito ad una riforma dell'alfabeto, decretò che si ricopiassero e si ripubblicassero; noi
quindi possediamo un'iscrizione di V secolo che si pensa fosse una fedele riproduzione
dell'originale. Opinione degli antichi è che Draconte avesse fatto anche altre leggi, ma che il
rimanente della sua legislazione fosse stato poi abolito da Solone. E ciò è probabile, ma non è
sicurissimo, e d'altronde non si sa bene come di leggi abolite sul principio del sec. VI si sarebbe poi
potuto conservare memoria. Aristotele nella Politica dice che Draconte diede agli Ateniesi una
legislazione, non una costituzione; nella Costituzione degli Ateniesi dice invece che diede a essi una
costituzione timocratica e ne traccia le linee fondamentali. Ma questa costituzione sembra
lontanissima dalle condizioni reali del sec. VII a. C. e pare piuttosto rispecchiare quelle della fine
del V secolo, quando gli oligarchici andavano in traccia delle pretese istituzioni avite (πάτριος
πολιτεία), che volevano sostituire alla sfrenata democrazia allora in vigore. Si tratta dunque assai
probabilmente d'una falsificazione tendenziosa. Comunque, Draconte nell'età classica aveva fama di
legislatore crudele e si diceva che le sue leggi fossero scritte col sangue. Un piccolo furto, si dice,
veniva punito in esse di morte, ma per questo riguardo è probabile che egli non facesse se non
sancire un uso vigente, col permettere l'illimitato diritto di difesa della proprietà spinto fino al segno
di poter uccidere il ladro colto in flagrante. E tuttavia nell'insieme sembra che il codice di Draconte
rappresentasse per gli Ateniesi un notevole progresso, sia perché, fissando per iscritto le norme del
diritto consuetudinario, le sottraeva all'arbitrio dei giudici, sia anche perché non è dubbio che qua e
là modificava il diritto consuetudinario rendendolo meno crudele. Si attribuisce così da taluni
antichi e moderni a Draconte l'istituzione della corte degli ephètai (51 membri), che giudicava dei
casi di omicidio legittimo e involontario, sottraendoli alla vendetta del sangue della famiglia
dell'ucciso. Ma probabilmente vi è errore: dal testo stesso di quella piccola parte delle leggi di
Draconte che ci sono conservate sembra doversi ricavare che gli efeti preesistevano a Draconte. È
peraltro probabile che egli ne allargasse le competenze. Prima di lui, sembra, gli efeti giudicavano
soltanto, nel Delfinio, gli omicidi legittimi (per legittima difesa, per punire il ladro colto in
flagrante, ecc.) e di pochi casi d'omicidio involontario nei quali lo stato aveva particolari ragioni
d'intervenire a tutela dell'uccisore (omicidio involontario nelle gare ginniche o, in guerra, del
commilitone). Sembra che Draconte assegnasse agli efeti, giudicanti presso il Palladio, tutti gli altri
casi di omicidio preterintenzionale. Inoltre egli dettò norme dirette a facilitare la pacificazione
(σίδεσις) tra l'omicida involontario e i parenti dell'ucciso, le quali agevolavano il ritorno in patria
all'omicida, che altrimenti doveva vivere in esilio. Infine è pure di Draconte una legge diretta alla
protezione dell'omicida straniero esule nell'Attica che si astenesse dal frequentare i mercati dei
confini e le solennità che attiravano stranieri. È forse anche sua la legge che regola la procedura da
seguire contro l'Ateniese esule per omicidio involontario, accusato di omicidio o ferimento
intenzionale: il quale, senza contaminare il suolo patrio, doveva difendersi da una barca, mentre gli
efeti lo ascoltavano e giudicavano dal santuario dell'eroe Freato presso il porto di Zea. Leggi tutte la
cui intenzione umana è evidente pur nell'arcaicità delle forme.

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10.6 Solone (Appunti, Bettalli, Musti)
10.6.1. SOLONE STORICO E SOLONE STORIOGRAFICO
Personaggio fondamentale nella storia dell'Occidente, Solone viene considerato l'emblema
dell'Eunomia, il buon governo, e annoverato tra i 7 sapienti. Della figura di Solone possiamo
ricavare un profilo storico e un profilo storiografico. Il profilo storiografico è quello che emerge
dalla vita plutarchea scritta diversi secoli dopo e che risente della propaganda oligarchica di V-IV
secolo, la quale vede Solone come l'emblema della πάτρος πολιτεία. Il profilo storico si basa
soprattutto sui frammenti delle sue opere che ci sono stati trasmessi dalla tradizione, i quali non
vanno considerati come resoconti del suo operato ma come opere poetiche che si rivolgono ad un
pubblico, in cui egli esprime il proprio pensiero e il proprio programma politico. Di Solone abbiamo
una data fissa, l'anno del suo arcontato, che secondo Diogene Laerzio è il 594-593 mentre
Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi, lo pone nel 592-591.
10.6.2 IL RUOLO DI DIALLAKTÉS, LA CRISI AGRARIA
Conosciuto prevalentemente come legislatore Solone sembra aver ricoperto, in base a quello che lui
stesso dice nei frammenti, anche un ruolo di arbitro (diallaktés) all'interno di un conflitto che ebbe
luogo ad Atene tra la fine del VII e l'inizio del VI secolo e che potrebbe essere stato causato dal
problema della terra. A partire dal IX-VIII secolo si assiste ad un massiccio intervento di bonifica
che interessa varie zone dell'Attica le quali vengono pianificate e messe a coltura; l'impulso a queste
opere di bonifica viene dall'aristocrazia ateniese; non si tratta tuttavia di un'opera statale, in quanto
la statualità in questo periodo storico è un concetto ancora troppo labile. Dunque Atene manifesta
l'esigenza di risolvere il problema della proprietà terriera, che altre poleis risolvono con l'apoikia,
ricavando in Attica lo spazio necessario per il suo sviluppo. Ciò comporta al tempo di Solone che la
proprietà terriera sia concentrata nelle mani di pochi aristocratici (ad eccezione dei terreni sacri, che
appartengono allo 'stato'), determinando una situazione esplosiva. Il problema principale è la
condizione dei piccoli proprietari terrieri, ridotti in rovina dalla concentrazione della proprietà nelle
mani degli Eupatridi, al punto tale da essere ridotti in schiavitù (schiavitù per debiti). Il modo scelto
per cercare di uscire dalla crisi fu affidarsi ad un arbitro scelto all'interno della comunità, cui furono
offerti pieni poteri, che è appunto Solone. Solone proveniva da una famiglia aristocratica, ma,
proprio per questo suo ruolo di mediazione, la tradizione lo ha spesso dipinto come un esponente
della “classe” media.
10.6.3 I PRINCIPALI PROVVEDIMENTI SOLONIANI
I provvedimenti soloniani pongono un problema filologico, poiché bisogna capire quali sono i
provvedimenti realmente presi dal Solone storico, quali gli sono stati attribuiti dalla tradizione
successiva e quali la tradizione ha riletto in chiave modernizzante.
In un frammento Solone dice di aver abolito la schiavitù per debiti. Non si tratta di un frammento
programmatico ma di un resoconto su una situazione emergenziale (la pratica della schiavitù per
debiti evidentemente non era un'usanza tipica di Atene ma la risposta ad una situazione di
emergenza). Solone in sostanza proibisce la premessa della schiavitù per debiti, cioè toglie la
possibilità di contrarre ipoteche sul proprio corpo (epì tois sòmasin).
In un altro frammento Solone dice: «la nera terra da cui io strappai i cippi che in più luoghi erano
infissi». La lettura modernizzante aristotelica identifica questi cippi con i cippi ipotecari, che erano
in uso nel IV secolo, ma non all'epoca di Solone. Alfonso Mele sostiene che in realtà i cippi erano
dei segnacoli di appropriazione dell'aristocrazia di tipo arcaico. Da questo frammento si evince un
intervento di Solone che vuole limitare la ὓβριϛ (eccesso) dell'aristocrazia, depressionando i terreni.
Un altro provvedimento piuttosto discusso, che non compare nei frammenti ma è tramandato dalla
tradizione successiva, è la cosiddetta σεισάχθεια (σείω+ἂχθος→scuotimento dei pesi), un
provvedimento inflativo volto a sanare i debiti, probabilmente il condono di una parte di essi.
Tuttavia, così come la tradizione lo tramanda, il provvedimento ha subito una modernizzazione,

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evidente dal fatto che è presupposta la moneta, che all'epoca ancora non esisteva.
Solone promosse una riforma del sistema metrologico, la definizione delle unità di misura di peso (i
dettagli della riforma risultano ampiamente discussi) una revisione del diritto testamentario e in
generale del diritto di famiglia, prese provvedimenti contro il lusso e gli eccessi nei riti funebri,
favorì l'artigianato, la produzione ceramica e l'esportazione (solo di olio), favorendo lo sviluppo
dell'attività mercantile. Molti di questi provvedimenti fanno parte di una rappresentazione topica dei
legislatori quindi vanno considerate con cautela. A Solone è attribuita anche l'istituzione della Boulè
dei 400 e del tribunale dell'Eliea che sono in realtà parte di assetti istituzionali successivi (Clistene,
oligarchia di IV secolo).
10.6.4 IL CRITERIO TIMOCRATICO
Solone confermò probabilmente le classi di censo preesistenti, aggiungendone però una, quella più
alta. La riforma si può attribuire a Solone ma non nei termini monetari intesi dalla tradizione. In
base a questa riforma i cittadini vennero divisi in quattro classi di censo:
• Pentacosiomedimni: coloro che avevano una rendita annua di 500 medimni (unità di
missura dei granidi) di frumento. Il termine rimanda ad una società premonetale quindi
potrebbe essere soloniano;
• Ἲππεις (cavalieri): non rimanda ad un concetto monetario, ma indica coloro che possono
permettersi l'allevamento di un cavallo. Il termine ha anche una connotazione militare (300
medimni);
• Zeugiti: (200 medimni) ζεῦγος vuol dire 'coppia di buoi', ma in questo caso è più
convincente identificarli come coloro che possono sostenere i costi dell'unità oplitica
minima, cioè una coppia (un oplita protegge il fianco dell'altro). Il termine sembra, ancora
una volta, afferire alla sfera militare;
• Teti (θῆτες): quando Odisseo scende nell'Ade e incontra Achille lo elogia dicendogli che
egli primeggia anche tra i morti; Achille risponde però che preferirebbe essere schiavo di un
teta piuttosto che essere morto. Sono i salariati (il lavoro pagato nel mondo antico era visto
negativamente), di condizione libera, con accesso all'esercito in funzione ausiliaria (cuochi,
trombettieri) o, in casi eccezionali armati con un equipaggiamento non oplitico (fionda) o
rematori nella flotta.

La divisione elaborata da Solone resterà sempre viva e in base ad essa si stabiliranno alcune
prerogative come il fatto che solo alle prime due classi di censo fosse permesso l'accesso
all'arcontato
10.6.5 IL PROGRAMMA IDEOLOGICO DI SOLONE
In un frammento di Solone si legge che Atene è la città più antica della Ionia, cioè abbiamo una
proiezione di Atene in termini ionici (i Nelidi che passano per Atene).
Il programma ideologico di Solone è porsi contro la ὓβριϛ aristocratica ma senza modificare di fatto
l'aspetto istituzionale di Atene: Solone non spinge mai per una divisione egualitaria della proprietà
terriera e non accetta la tirannide, nonostante gli venga offerta. Il frammento più importante di
Solone è quello sull'Eunomìa, il buon governo, che si configura come una forma oligarchica
moderata dove diritti e doveri sono rapportati allo status socio-economico. Finita la sua opera
Solone si trasferisce, secondo la tradizione, in Egitto e ad Atene riprendono le staseis

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10.7 Il periodo post-soloniano (appunti)
Dopo dieci anni dalla partenza di Solone, anni nei quali si registrano staseis e periodi di anarchia, ci
sono due arcontati 'strani': il primo è l'arcontato di Damasìa che dura due anni (582-580) eil secondo
è un arcontato decemvirale (di solito gli arconti erano 9). L'arcontato decemvirale è composto da
cinque Eupatrìdi (nobili di alto lignaggio, l'elite aristocratica), tre àgroikoi (proprietari terrieri, NON
contadini) e due demiurgoì (artigiani). Dunque ancora una volta vediamo il predominio
dell'aristocrazia.
Negli anni 70 del VI secolo si diffondono i cosiddetti 'partiti' regionali, cioè i partiti dell'Attica:
Paràlioi, il partito della Paralìa (regione costiera), Pedieìs, il partito della pianura (Pedion) e
Diàkrioi, dalla zona montuosa (Diakrìa). Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi dice che dalla
Diacria vengono i democratici, dalla Paralia gli oligarchi moderati e dal Pedion gli oligarchi
assoluti; egli però cade in un modernismo perché conferisce a questi 'partiti' un'ideologia, che
tuttavia si andrà delineando solo nel secolo successivo. I partiti regionali in questo periodo erano
invece dei poteri locali guidati da aristocratici e a forte base clientelare.
10.8 La tirannide di Pisistrato (Musti, appunti)
10.8.1 GLI INIZI
L'anacronismo commesso da Aristotele, che fornisce prematuramente un'ideologia ai partiti
regionali dipende dal fatto che da uno di essi, quello della Diakria, venne il primo tiranno di Atene:
Pisistrato. Egli, infatti proviene da Brauron, centro importante sulla costa orientale dell'Attica, forse
addirittura il centro più importante dell'Attica dopo Atene, connesso col demos dei Filaidi (i Filaidi
tuttavia sono anche un ghenos, quello dei due Milziadi), che Esichio identifica come uno dei
confini, l'altro è il Monte Parnete, della Diakria. Aristotele identifica tirannide e democrazia. La
tirannide ateniese è un fenomeno tardo.
Pisistrato corrisponde, per molti aspetti, alla figura del tiranno delineata da Aristotele: si parla di un
Pisistrato polemarchos (che va inteso in questo caso in senso militare), il quale affronta e risolve
l'annosa questione di Salamina (isola che affaccia sul Golfo Saronico), contesa tra Megara e Atene.
Sotto Solone si ricorda una grave sconfitta subita da Atene da parte di Megara per il controllo
dell'isola. Dunque la politica di Solone su Salamina fu fallimentare, quella di Pisistrato fu un
successo. Grazie a questo successo Pisistrato riesce a guadagnarsi quel consenso che fa di lui un
tiranno secondo il modello aristotelico: un signore di campagna in grado di armarsi e di circondarsi
di consenso con le armi. Un'altra impresa compiuta da Pisistrato in qualità di polemarhos è la presa
di Nisea, sempre nel Golfo Saronico. Entrambe le imprese vanno datate forse intorno al 570 a.C. e
gli valsero, molto probabilmente, la posizione di comando nella Diakria.
10.8.2. LE FASI DELLA TIRANNIDE
Non era facile instaurare una tirannide, col grado di coscienza politica e comunitaria maturata ad
Atene; le resistenze erano molteplici, e provenivano da radicate tradizioni di equilibrio nella
gestione del potere, dal vigoroso rafforzamento di quei principi nella decisiva opera politica di
Solone, dall'esistenza già di più partiti all'interno della città. Diventare tiranno ad Atene significava,
dunque, sconfiggere i partiti, o almeno gli altri partiti, se ad aspirare alla tirannide era il capo di uno
di essi. Solone aveva interpretato il ruolo dell'uomo di potere nella città come una funzione di
mediazione e composizione degli interessi in conflitto, che operasse con la forza della legge ed
entro i limiti delle competenza magistratuali: egli in sostanza rappresenta l'antitiranno. Al suo
arcontato seguirono anni di dialettica politica che dimostrano la riluttanza di una società politica
evoluta come l'Attica ad imboccare la strada della tirannide. Dunque, nonostante l'opinione
contrastante di alcuni studiosi, e verisimile il dato riportato dalla tradizione secondo cui Pisistrato
avrebbe tentato per ben tre volte l'ascesa al potere e per ben due volte sarebbe stato sbalzato e
indotto all'esilio, per impadronirsene poi stabilmente e gettare poi le radici del potere medesimo, per
sé e per i suoi figli, solo al terzo tentativo. Le stesse tre fasi presentano caratteristiche differenti tra

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loro; solo progressivamente emerge in pieno la figura del tiranno. Aristotele infatti racconta che
almeno in un primo periodo, governò μᾶλλον πολιτικός ἢ τυραννικός, cioè più da politico che da
tiranno, o più da cittadino che da tiranno, essendo a rigore, nella concezione politica greca, la
tirannide una forma di anticittà e, di conseguenza, il tiranno una forza anticittadina. Inutilmente
contrastato da Solone Pisistrato ottiene per la prima volta il potere nel 561/560 a.C. (arconte
Comea); nello stesso anno, simulando un ferimento da parte degli avversari politici, ottiene una
guardia del corpo, non di doryphòroi (lancieri), per evitare di ferire l'orgoglio degli opliti, ma di
korynephòroi (mazzieri). La presa del potere ci viene raccontata nei particolari da Erodoto, con la
cui versione concorda, in larga parte, anche Aristotele. Pisistrato occupa l'Acropoli, non cambia le
magistrature né le leggi, ma amministra bene e ordinatamente la città in base alle regole
tradizionali. La sua ascesa al potere si realizza sull'onda delle contese tra i partiti, di cui egli simula
un episodio, e Pisistrato si presenta come un nemico della guerra quotidiana tra essi, un aisymnetes,
cioè un arbitro e pacificatore dei gruppi in lotta. Ma le contese tra i partiti sono anche all'origine del
primo esilio di Pisistrato, causato da una spregiudicata alleanza tra Licurgo e l'Alcmeonide
Megacle. La tradizione assegna a questo primo esilio una durata di dodici anni, ma Musti propone
che il 12° anno in questione sia calcolato a partire dal primo anno di tirannide, quindi l'esilio si
ridurrebbe a sei anni risolvendo alcuni problemi cronologici nel raffronto tra Erodoto e Aristotele.
Il rientro e l'inizio del secondo periodo di tirannide di Pisistrato avvengono ancora all'insegna e nel
quadro della struttura politica e partitica, in quanto è dovuta ad un'alleanza tra i diakrioi di Pisistrato
e i paràlioi di Megacle, alleanza sancita dal matrimonio tra Pisistrato e la figlia di Megacle. A
spianare la strada al tiranno è un nuovo stratagemma: una donna di alta statura del demo di Peania
viene fatta vestire come la dea Atena e posta su un carro che precede Pisistrato; il carro è a sua volta
preceduto da araldi che annunciano che la stessa dea Atena riconduce Pisistrato al potere. L'alleanza
politica con Megacle tuttavia non regge a causa delle inadempienza matrimoniali di Pisistrato il
quale non voleva figli di discendenza alcmeonide a causa della nomea di empi attribuita al ghenos;
egli, del resto, aveva già due figli dlegittimi, Ippia e Ipparco, avuti dalla prima moglie e due
illegittimi dalla concubina argiva. Dunque Pisistrato ragiona già in termini di successione dinastica,
cosa che evidentemente fa anche Megacle, il quale non può accettare un tale affronto. Secondo la
tradizione manoscritta della Costituzione degli ateniesi, la crisi dei rapporti tra suocero e genero
iniziò durante il settimo anno; se dunque il primo esilio, seguendo la tesi di Musti, si può collocare
nel periodo compreso tra 555 e 549, possiamo collocare il secondo tra il 549 e il 543/542 quando
Pisistrato lascia il potere sotto la pressione dei due gruppi opposti, di nuovo collegati tra di loro.
Infine, dopo altri 10 anni pieni (543/542-533/532) Pisistrato tornerà al potere per rimanervi fino alla
morte (528/527).
10.8.3 IL REGIME 'TIRANNICO'
Solo il terzo e definitivo insediamento ha luogo con quei mezzi straordinari e illegali, che fanno la
sostanza di ogni tirannide: Pisistrato stabilisce il suo quartier generale fuori della città e della stessa
Attica, dapprima a Raicelo (Tracia), poi ad Eretria; ottiene aiuti in denaro da Tebe, mercenari da
Argo e sostegno dai cavalieri eretriesi, nonché il supporto da un uomo di Nasso (isola delle Cicladi),
Ligdami, che in seguito diventerà il tiranno dell'isola stessa; molto attivo nell'impresa è inoltre
Ippia, figlio di Pisistrato e successore del padre.
L'esercito radunato da Pisistrato sbarca a Maratona e si arricchisce di partigiani provenienti dalle
città e dai demi di campagna. L'esercito regolare di Atene va incontro a Pisistrato che marcia verso
la città, fino al santuario di Atena Pallenide. Tuttavia la reazione del governo di Atene è fiacca sia
nei tempi che nelle strategie e Pisistrato riesce facilmente ad avere la meglio, imboccando subito
dopo la strada della riconciliazione cittadina pur provvedendo a rafforzare e radicare la tirannide
mediante numerosi mercenari. Gli ateniesi irriducibili vedono i propri figli presi in ostaggio e
trasferiti a Nasso, gli Alcmeonidi probabilmente lasciano la città. La tirannide diventa in questo
momento una realtà piena; Pisistrato, che, come la maggior parte dei tiranni, proviene dai ranghi
oplitici, entra in contrasto con gli opliti: con uno stratagemma disoplitizza gli Ateniesi e li rimanda

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alla cura delle faccende private. La carriera di Pisistrato prova di per sèla complessità del processo
di distacco della tirannide dalla matrice aristocratico-oplitica che la genera. Aristotele testimonia
che Pisistrato voleva sempre gestire il potere κατά νόμους (secondo le leggi) e perciò riconquistava
facilmente il potere dopo averlo perso, perché così voleva la maggior parte degli aristocratici e del
popolo. Sulla tirannide di Pisistrato sono unanimi le valutazioni positive della tradizione antica:
egli, secondo Erodoto, non cambiò le leggi esistenti ma si limitò ad occupare i tradizionali posti di
potere mediante parenti e amici (con questo giudizio concorda anche Tucidide); governò la città con
moderazione, secondo Aristotele, e più da cittadino che da tiranno. Questa moderazione in parte
sembra essere dovuta al carattere di Pisistrato, descritto giovale e tollerante, e in parte è dovuta al
peculiare e consapevole carattere della società politica ateniese. Inoltre la tirannide di Pisistrato
riesce in modo ancor più positiva dal confronto con quella dei figli Ippia e Ipparco, il cui regime è
molto più vicino all'idea classica di tirannide.
10.8.4 I PRINCIPALI PROVVEDIMENTI INTERNI
La tirannide favorisce, anche se contro le sue stesse intenzioni, un processo di formazione di valori
statali, persino attraverso vie anomale, che rafforzano l'idea della comunità come sede di un potere
distinto da quello dei suoi singoli membri e ad essi superiore; matura, insomma, il processo di
separazione e distinzione tra società e Stato. Con la tirannide di Pisistrato si afferma una nuova
nozione di fiscalità; egli impone un'imposta diretta (del 5-10 % del prodotto) e crea un corpo di
guardia personale di arcieri sciti, che finisce per determinare l'idea di un potere armato supremo,
distinto dai cittadini. Le innovazioni fiscali di Pisistrato dovevano servire non solo agli intenti
assistenziali individuati dalla tradizione nella creazione di un credito fondiario, ma anche a
finanziare l'allestimento di una flotta più grande, in quanto la flotta ateniese all'epoca contava
probabilmente solo un cinquantina di pentecontere (navi a 50 remi).
Pisistrato favorì l'integrazione tra città e campagna, secondo un programma che probabilmente
apparteneva già a Solone e che fu pienamente realizzato da Clistene. I provvedimenti urbani sono
segnati da un forte rinnovamento edilizio e da una grande monumentalità; in questo periodo si
sviluppa e si diffonde la grande ceramica attica , in ripresa di quello che era già successo con
Solone. La grande monumentalità e il grande impiego di manodopera da parte di Atene determinano
lo sviluppo di una prima forma di moneta, la cosiddetta civetta, una moneta di grandissimo taglio il
cui uso è correlato alla grande edilizia e ai grossi impieghi di mercenari. In campagna si hanno
prestiti rivolti ai proprietari terrieri e vari interventi in favore delle campagne; Pisistrato introduce
anche i “giudici itineranti”, al fine di saldare la dialettica, denunciata anche da Esiodo, tra la
campagna e i basileis di città. Tra i provvedimenti culturali di Pisistrato (o secondo altri dei figli)
ricordiamo l'edizione κατά πόλιν dei poemi omerici, che sostituisce le varie edizioni ad uso
personale che circolavano ad Atene; in questo momento si concretizzano tutti quei dettagli
lusinghieri nei confronti di Atene che si riscontrano nei poemi omerici. Con Pisistrato nasce il teatro
organizzato, inizialmente un'istituzione rurale (Dioniso non è un dio olimpico ed è il dio
dell'agricoltura) che viene in seguito importata in città, insieme al culto di Dioniso, con una finalità
essenzialmente politica. Sotto Pisistrato assistiamo anche a forme di mecenatismo (Anacreonte ad
Atene), che testimoniano l'essenza aristocratica e l'internazionalità del tiranno, cosa che contraddice
l'idea platonico-aristotelica del tiranno demagogo.
10.8.5 LA POLITICA ESTERA
La politica estera di Pisistrato fu volta ad assicurare una presenza più significativa e solida di Atene
in zone per cui esisteva già un interesse tradizionale e delle quali egli stesso aveva discreta
esperienza. Le imprese di Salamina e Nisea si collocano in un periodo antecedente alla tirannide (vd
10.8.1). Riguardo alle isole dell'Egeo centro-meridionale egli non pratica una vera e propria politica
espansionistica: il consolidamento dell'influenza ateniese a Delo e i buoni rapporti stretti con
Policrate di Samo corrispondono piuttosto ad una ricerca di prestigio. Diverso è il discorso per
l'Egeo nord-orientale e le aree degli stretti tra Europa e Asia. Nel Cheroneso tracico (penisola che
affaccia sull'Ellesponto, di fronte alla costa nord-orientale dell'Asia Minore) si insedia Milziade,

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figlio di un Cipselo, della famiglia dei Filaidi (la stessa a cui appartiene Pisistrato); nella Troade
Pisistrato riconquistò la posizione di Sigeo (guerra di Sigeo), strappandola ai Mitilenesi,
ottenendone per la prima volta il titolo di proprietà per l'arbitrato di Periandro (tra la fine del VII
secolo e l'inizio del VI): qui Pisistrato instaurerà un dominio personale e familiare. Nello stesso
Cheroneso tracico si impiantò un dominio personale e familiare di Milziade: a lui succedettero i
nipoti, figli del fratello Cimone, Stesagora e Milziade II (il futuro vincitore di Maratona). Milziade
perdette per qualche tempo il controllo dei propri territori a causa delle incursioni scitiche avvenute
in quelle terre al tempo della spedizione di Dario.

10.9 I Pisistratidi (Musti)


10.9.1 LA SUCCESSIONE E IL REGIME DI IPPIA
Pisistrato muore nel 528/527, lasciando il potere ai figli. La tradizione ne ricorda quattro: Ippia e
Ipparco, figli della moglie legittima, e Iofonte ed Egesistrato (detto Tessalo), avuti dalla concubina
argiva Timonassa, figlia di Gorgilo e già moglie di un Cipselide (Archino di Ambracia). Il contesto
di parentele è quello tipico di un tiranno ma va in particolare sottolineato lo stretto rapporto con
Argo, che sarà tra le cause dell'ostilità di Sparta verso la discendenza di Pisistrato al potere ad
Atene. Il potere formale è nelle mani di Ippia, il maggiore dei fratelli e, secondo la tradizione, il
migliore politico. Ipparco è l'intellettuale della famiglia, pratica il mecenatismo verso i poeti, da cui
si determina una poesia di corte, che nell'arco della storia delle singole tirannidi si manifesta sempre
in fase avanzata. Ippia continua l'opera paterna, tanto che, in alcuni casi, le notizie si accavallano tra
le due generazioni. I Pisistratidi rappresentano la degenerazione della tirannide mediante la pratica
personale del potere e i connessi abusi. Sono le premesse per la fine della tirannide.
10.9.2 LE TRADIZIONI SULLA FINE DELLA TIRANNIDE AD ATENE
L'accentuarsi della pratica personale del potere e gli abusi ad esso connesso determinano una crisi
della tirannide, che scoppia però 14 anni dopo la morte di Pisistrato (514/513). Alla base della crisi
vi è, secondo la tradizione, un episodio di omoerotismo (che evidentemente non è ritualizzato) e che
coinvolge Tessalo, anche se diverse testimonianza attribuiscono la responsabilità ad Ipparco: costui
invaghitosi di Armodio, ma da lui respinto, sarebbe passato a comportamenti persecutorii,
infangandolo per i suoi costumi ed impedendo alla sorella di fare da canèfora alle feste Panatenee,
in quanto parente di un corrotto. Armodio chiede aiuto all'amico Aristogitone e ne deriva un primo
tentativo di rovesciare la tirannide: una congiura che avrebbe dovuto eliminare sia Ippia che Ipparco
durante la processione delle Panatenee. Tuttavia i congiurati, credendo di essere stati scoperti,
rinunciano ad uccidere Ippia, che accoglieva la processione sull'acropoli, e li induce ad uccidere
almeno Ipparco, che presiedeva alla partenza della processione, presso il Leocorio, nel quartiere del
Ceramico. I due congiurati furono trucidati: Armodio subito, Aristogitone nel corso di una
tumultuosa inchiesta sull'accaduto. Così finivano i tirannicidi che nella convinzione corrente del
popolo ateniese rappresentavano la restaurazione della libertà e la fondazione della democrazia e
che occuperanno nel cuore del popolo un posto talmente particolare che, ancora in età periclea, gli
Alcmeonidi cercheranno di ridimensionarne il ruolo e l'importanza. Gli Alcmeonidi nel frattempo si
erano creati una posizione di spicco a Delfi, dove avevano assunto l'appalto per la ricostruzione del
santuario in seguito ad un incendio verificatosi nel 548 (la consequenzialità cronologica non è
certa). Gli Alcmeonidi e il gruppo politico ad essi collegato fecero opposizione ai Pisistratidi;
grande nemica delle tirannidi nel VI secolo è Sparta e, grazie ai radicati rapporti tra Sparta e Delfi,
gli Alcmeonidi riuscirono ad ottenerne l'aiuto, ma solo nel 511/510 e dopo reiterati tentativi. Il
primo tentativo gli Alcmeonidi lo fecero da soli (ca 513 a.C.), subendo una dura sconfitta nella
battaglia di Lipsidrio, nella Diacria. Nel 511 intervennero gli Spartani, una prima volta con un
piccolo manipolo di opliti sbarcati al Falero con Anchidomolo, impresa segnata da un altro
insuccesso, poi con un esercito guidato dal re Cleomene I (vd 9.7), che assedia Ippia, rifugiatosi
sull'Acropoli, e in pochi giorni ne ottiene la resa. La fine della tirannide ad Atene è dunque la

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conseguenza di fattori interni, che si rendono evidenti nella congiura dei tirannicidi, e fattori esterni
che intervengono in un secondo momento. Poiché l'abbattimento della tirannide si verifica in due
tempi e naturale che ci siano due diversi punti di vista sulla maggiore o minore importanza dei due
momenti. Nel cuore della gente resterà a lungo vivo il ricordo dei tirannicidi, cui lo scultore
Antenore dedicherà anche un gruppo scultoreo portato poi via da Serse e sostituito.
Durante il primo intervento di Sparta, dalla parte di Ippia si schierarono anche i cavalieri tessali.
Con le aristocrazie tessaliche, infatti, i Pisistratidi avevano mantenuto costantemente buoni rapporti
e ad Ippia, dopo un fallito tentativo di restaurare la tirannide ad opera degli stessi Spartani (506), i
Tessali offrirono in cambio Iolco e i Macedoni Antemunte. La costante linea protessalica dei
Pisistratidi era sfociata in un atteggiamento antibeotico, in particolare antitebano. Quando infatti
Platea chiese aiuto add Ippia contro Tebe, Ippia lo concesse, marciando anche contro i Tebani sui
quali conseguì una vittoria intorno al 519. Si apre così un capitolo di rapporti strettissimi tra Platea e
Atene di segno antitebano.

10.10 Clistene ateniese (Musti, appunti)


Clistene fu una delle figure che maggiormente influenzarono la storia di Atene. Erodoto dice che
egli introdusse la democratia ad Atene, divenendone l'eponimo; dunque sessant'anni dopo la sua
morte (cioè al tempo di Erodoto) Clistene veniva percepito come una personalità importantissima.
Nonostante ciò, noi di Clistene non sappiamo nulla: non abbiamo una vita plutarchea, non abbiamo
un recupero da ambienti vicini, non abbiamo una monumentalità pubblica. La ragione risiede nel
fatto che l'eponimo della democratia non poteva attrarre gli ambienti oligarchici al potere nel V-IV
secolo. Clistene è colui che, continuando e ampliando l'opera di Solone, attacca in maniera più
aggressiva l'aristocrazia ateniese. Della riforma di Solone rimangono le distinzioni censitarie (che
verranno mantenute inalterate fino al 457 a.C.). L'opera di unificazione, redistribuzione e astrazione
voluta da Clistene era infatti diretta contro le spinte corporative d'interessi locali, espressi o difesi
dalle aristocrazie regionali, non contro il principio dell'efficacia politica della condizione economica
e del censo come parametri generali.
10.10.1 LA RIFORMA TRIBUTA
Clistene escogita tutta una nuova geometria e geografia dei rapporti politici. Al posto delle quattro
tribù personali (o genetiche o gentilizie) egli introdusse le dieci tribù territoriali l'appartenenza alla
tribù non dipendeva più dal rapporto personale e familiare, ma dalla residenza. Sul territorio
dell'Attica era disperso un gran numero di centri diversi, come testimoniano Erodoto, che fornisce
indicazioni puntuali sugli eponimi delle quattro tribù personali e sugli eponimi locali delle tribù
clisteniche, cui fa eccezione Aiace, e Pausania che parla solo degli eponimi delle tribù clisteniche. I
centri dispersi per l'Attica sono i demi, cioè piccole comunità, villaggi che come tali preesistono
alla riforma di Clistene, innovatrice per il fatto di trasformarli nelle cellule vitali della nuova
struttura politica. Veder menzionare i demi in relazione a personaggi di epoca anteriore non
costituisce, secondo Musti, una prova valida a suffragio della tesi di Beloch, il quale trasferisce
all'epoca di Pisistrato non solo il ruolo dei demi, ma anche la creazione delle dieci tribù. I Greci,
nella definizione dei loro organismi politici, seguono principi aritmetici e geometrici volti a fondare
le comunità su numeri e schemi costitutivi, su una calcolata struttura di rapporti; nella riforma di
Clistene ciò si verifica più che altrove e nelle condizioni migliori. La base naturale è costituita dai
demi su cui si articola poi tutta la costruzione. Il numero dieci opera nella creazione delle dieci tribù
territoriali (Eretteide, Egeide, Cecropide, Pandionide, Leontide, Acamantide, Oineide, Ippotoontide,
Aiantide, Antiochide) i cui nomi furono, secondo la tradizione sorteggiati dalla Pizia; il ruolo di
Delfi si spiega con il fatto che Clistene era un Alcmeonide. Della vecchia struttura filetica rimane la
divisione in tre sezioni, di un terzo ciascuna (trittìe), che ora però diventano trenta. Dei vecchi
gruppi politici resta una traccia, ma non più come basi di distinti gruppi di pressione con interessi
economici definiti: quella tripartizione diventa il quadro geografico per la costituzione del territorio

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di ciascuna tribù,che consterà di una trittìa dell'asty (città), una della mesogaia (interno) e una della
paralia (costa). Dunque c'è l'asty, la mesogaia si copre in gran parte col territorio della diakria e la
paralia rimane la fascia costiera. Al vecchio frazionamento politico si sostituisce una
rappresentazione del territorio secondo fasce che possono astrattamente considerate concentriche,
estendendosi dal centro urbano all'interno e alla costa. Naturalmente la costruzione non è totalmente
astratta, ma conosce adattamenti alle condizioni reali del territorio e alle sue singole parti. Vale in
generale il principio della discontinuità tra le singole trittie di una medesima tribù, ma almeno in
quattro casi, tutti appartenenti alla costa orientale dell'Attica, le due trittie extraurbane sono, per
questioni di viabilità, contigue tra loro. Il principio è quello di immettere nella nuova base della
struttura comunitaria frazioni che un tempo facevano blocco con altre località confinanti, e
costituivano la base della divisione dell'Attica in gruppi politici contrapposti, il che di fatto
equivaleva alla contrapposizione tra le consorterie locali capeggiate dalle grandi famiglie (ghene).
Ora ogni tribù contiene di tutto e gli organi magistratuali rispettano, proporzionalmente e secondo
una rotazione, la struttura di raccordo che è la tribù.
La parola d'ordine della riforma di Clistene è “mescolare”, rendere impossibile o nulla la ricerca
delle origini familiari, classificare ciascuno secondo il demo, che è la cellula vivente dello “Stato”,
che, attraverso lo strumento intermedio della tribù, costituisce il quadro organizzativo fondamentale
della nuova polis.
10.10.2 LA NUOVA BOULÉ
Collegata alla riforma tributa è la creazione della boulé dei Cinquecento, cioè uomini sorteggiati in
numero di 50 per ogni tribù. La boulè assume come numero assoluto il 4, ricordo dell'origine ionica,
ma assume anche un significato decimale (vengono scelti 50 elementi per tribù. Pierre Vidal-Naquet
parla di geometrizzazione. Con Clistene si registra, quindi, un superamento della dimensione ionica,
di cui sotto Solone si aveva una concezione positiva, mentre con Clistene inizia ad essere presente
una certa intolleranza versotali origini, che culminerà, nei secoli successivi, con l'identificazione tra
ionicità e τρυφή.
Viene ora ad avere larghissima applicazione il titolo di prýtanis (letteralmente «primo, principe»).
Quello che altrove è un titolo molto selettivo attribuito ad un alto magistrato cittadino, ad Atene
diventa il titolo di ciascun membro del nuovo consiglio popolare: la prytaneìa è al tempo stesso
frazione di 1/10 della tribù e quella frazione di 1/10 dell'anno durante la quale la preparazione
dell'ordine del giorno (prògramma) e talora di fatto le stesse funzioni consiliari (probuleutiche)
sono curate dalla tribù, che per un tempo determinato può rappresentare la città. Al calendario
naturale, astronomico e religioso si affianca un calendario politico, scandito, di nuovo, secondo il
numero 10 e in ogni pritania c'è un'assemblea ordinaria (kyria) e tre straordinarie. La boulè dei
Cinquecento verrà messa in crisi dal colpo di stato oligarchico del 411 a.C.
10.10.3 CITTÀ E CAMPAGNA
La residenza diventa, con la riforma di Clistene, la base dell'assetto costituzionale; e ciò è tipico di
una città come Atene in cui, accanto al centro urbano, altro elemento fondamentale è la campagna,
il territorio con la sua autonomia locale in cui un'importanza fondamentale è quella dei demarchi, i
capi dei demi, incaricati dei registri demarchici, in cui erano censiti tutti i maggiorenni; accanto ai
demi sussistono le fratrìe, con funzione di stato civile, e le naucràrie, vecchie strutture dello stato
aristocratico con funzioni modificate e ridotte.
10.10.4 OSTRACISMO E STRATEGHÌA
Clistene non modifica l'aspetto istituzionale della politica ateniese: le massime cariche (arcontato)
sono ancora, e lo saranno fino al 487, eleggibili e non sorteggiabili. Il nemico contro cui le riforme
clisteniche si battono è la tirannide, cioè l'emergere di un uomo forte dall'interno delle stesse
aristocrazie locali e della carriera oplitica. Combattendo la tirannide Clistene combatte le ambizioni
e le prevaricazioni della classe nobiliare; per queste ragioni Clistene escogitò un sistema preventivo

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contro il rischio della tirannide, istruendo l'ostracismo (da ostraka→ cocci), cioè la procedura
attraverso cui si denunciava in due tempi:
1. che qualcuno, in termini generali, costituisce un pericolo di tirannide per la democrazia;
2. che un determinato personaggio politico, il cui nome viene scritto su un coccio qualsiasi di
vaso, costituisce un pericolo di tirannide per la democratia.
Sugli ostraka sono state trovate anche alcune delle accuse che venivano formulate: tirannide,
empietà (soprattutto gli Alcmeonidi), Μεδίζειν (familiarizzare con i Persiani).
L'ostracismo fu applicato per la prima volta nel 487 a.C. contro Ipparco di Carmo, della famiglia dei
Pisistratidi; nonostante l'applicazione tarda non vi sono, secondo Musti, motivi sufficienti per
negare la paternità a Clistene, in quanto questa procedura risponde bene alla spirito della sua
riforma.
Un'altra importante innovazione apportata da Clistene, che alcuni (tra cui Musti) attribuiscono però
a Pisistrato, è l'introduzione della strateghìa, fondamentale nell'Atene di V secolo (Pericle fu
nominato stratego 14 volte). Lo stratego ha una funzione militare, all'interno dell'impero marittimo
ateniese egli diventa una sorta di plenipotenziario internazionale con funzioni sia militari che
diplomatiche; egli probabilmente non corrisponde alla figura inventata da Clistene, che noi però non
conosciamo bene.
10.10.5 LO SCONTRO CON ISAGORA E IL TENTATIVO SPARTANO
Clistene doveva aver già elaborato gran parte della sua riforma costituzionale, quando gli si oppose
Isagora, spalleggiato da Cleomene I, re di Sparta. Il primo scontro fu vinto da Isagora: la potenza
delle armi spartane fece sì che egli ottenesse l'arcontato per il 508/507; settecento case di partigiani
della democratia furono bandite, fra di esse naturalmente anche quella degli Alcmeonidi. La risposta
popolare venne da una boulè, probabilmente quella dei Cinquecento, se già insediata: Cleomene e
Isagora, assediati sulll'acropoli si arrendono, a patto di potersene andare incolumi; nello stesso anno
Clistene rientra e a quel punto è probabile che egli abbia completato e reso definitiva la sua opera di
rinnovamento. Sulla figura di Isagora abbiamo la testimonianza di Erodoto da cui emerge che forse
non vi era naturale contrasto tra la sua origine nobiliare e il suo essere nemico della tirannide da un
lato e, dall'altro, come dice Aristotele il suo essere 'amico dei tiranni', il che può valere sia sul piano
personale che sia caratterizzarlo come esponente della parte più conservatrice dei ribelli. Il fatto che
Erodoto ritragga Isagora in maniera negativa può, forse, dipendere dalla campagna denigratoria
degli Alcmeonidi (Famiglia di Clistene).
A partire dal 506 vecchi nemici si coalizzano contro Atene: Calcidesi e Beoti invadono l'Attica,
vengo respinti e subiscono il contrattacco ateniese, che culmina in una rovinosa sconfitta di Beoti ed
Euboici. Poco dopo, gli Spartani premono sulla Lega Peloponnesiaca per un intervento contro il
nuovo regime politico ateniese e per la restaurazione della tirannide di Ippia; ma i Corinzi si
oppongono, invitando gli Spartani ad una riflessione sui mali della tirannide. L'opera di dissuasione
ha successo, la democratia ateniese ha spazio per consolidarsi mentre il resto della Grecia resta, per
il momento, a guardare.

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11. LA GRECITÀ MICRO-ASIATICA IN ETÀ ARCAICA
11.1 Il rapporto col regno di Lidia (Musti)
Alla fine del VII secolo il popolo iranico dei Medi avanza dall'area dell'alto Tigri verso la
Mesopotamia centrale e meridionale. Nel momento in cui l'impero dei Medi si estende anche verso
occidente, in Asia Minore, esso entra in contatto con il regno dei Lidi, governato dalla dinastia dei
Mermnadi, fondata da Gige. Nel 585, dopo una battaglia sul fiume Halys tra il re dei Lidi Aliatte e il
re dei Medi Ciassare, si stipulò tra le due potenze un accordo, destinato a garantire al regno di Lidia
un altro quarantennio di prosperità, fino allo scontro con i Persiani di Ciro il Grande e alla presa di
Sardi (546), che segna la definitiva sconfitta dei Lidi. Il regno dei Lidi è la prima realtà storica
oriendate di cui i Lidi abbiano una compiuta esperienza o memoria; è attraverso la storia dei Lidi
che i Greci ricordano e rappresentano gli altri regni orientali, in particolare l'ascesa dei Persiani.

11.2 L'arrivo dei Persiani: nuovi modelli (Musti, appunti)


11.2.1 GLI INIZI; LE CONQUISTE DI CIRO IL GRANDE E CAMBISE
I Persiani sono una cultura di lingua indoeuropea abitante all'inizio del I millennio a.C. in quella
regione dell'Anatolia occupata oggi dall'Iran. L'ascesa dei Persiani si sviluppa tra VIII e VI secolo
inizialmente all'interno della storia della dinastia dei Medi, collegata anche alla storia dei Lidi con
un'alleanza matrimoniale, avendo Aliatte dato la propria figlia Ariene in sposa ad Astiage, figlio di
Ciassare. Le condizioni per il rovesciamento dei Medi si determino con l'ascesa di Ciro il Grande,
figlio di Mandane, figlia del re dei Medi Astiage, discendente di un Ciro capostipite della dinastia
degli Achemenidi, che era stato suddito degli Assiri a metà del VII secolo (a un ramo minore di
questa dinastia apparterrà anche Dario, figlio di Istaspe vd 11.2.2). Ciro il Grande in un trentennio
di regno (559-530 a.C.) venne a capo di tutte le situazioni costruitesi dopo la fine del dominio assiro
(Assiri→ cultura di lingua semitica sostituitasi all'impero ittita; lascia nell'immaginario collettivo
un'impressione di grande austerità). Gli Assiri per primi avevano perseguito una politica di dominio
universale, realizzato nella prima metà del VII secolo su un vasto territorio che si estendeva dalla
Mesopotamia e dall'Anatolia orientale fino all'Egitto; Psammetico I libera l'Egitto dal controllo
assiro e si apre alla realtà greca. Erodoto non conserva però memorie precise del dominio assiro in
Egitto. Nel 545 a.C. Ciro conquista l'Anatolia e sottomette i Lidi, Frigi e Cari, trasformando la
regione in una satrapia con capitale a Sardi (Lidia) e ponendo per la prima volta il problema dei
rapporti con le colonie greche dell'Asia Minore, cui furono imposti dei tributi e dei τυράννοι
ὔπαρχοι (tiranni sottomessi) cioè emissari, fiduciari del Gran Re (titolo attribuito al sovrano di
Persia). Ciro il Grande pose fine al regno neobabilonese, sorto dopo il crollo della potenza assira,
con la conquista di Babilonia nel 539; egli impose la sua sovranità alle città fenicie, poi morì
combattendo contro i Massageti, al confine orientale dell'impero, lungo l'Oxos. Alla morte di Ciro il
Grande l'impero persiano è il primo che abbia messo in atto la pretesa di un dominio universale,
traducendo questo proposito in una rigorosa tutela dei confini e in una sistematica e e quasi
indefinita espansione degli stessi. L'opera di Ciro fu continuata dal figlio Cambise con la conquista
dell'Egitto nel 525 a.C., che diede inizio ad una lunga tradizione persiana che lascia però in vita la
cultura e le tradizioni locali. La conquista persiana di fatto si concretizza in un'alleanza tra i Persiani
e il clero egiziano. Cambise muore nel 522 a.C. senza essere riuscito ad assoggettare Cirene o
Cartagine.
11.2.2 ASCESA, POLITICA E RIFORME DI DARIO
Dopo la morte di Cambise si svolse un'aspra lotta per il potere, tra l'elemento sacerdotale del culto
zoroastriano (i magoi guidati da Gaumata, che di presentava come Smerdi, un figlio di Ciro il
Grande fatto uccidere da Cambise) e la componente aristocratica iranica, da cui uscì vincitore
Dario, figlio di Istaspe, discendente da un ramo cadetto della dinastia degli Achemenidi.
Probabilmente la ragione del suo successo risiede nella decisa riaffermazione del potere monarchico

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in un momento in cui forze diverse e di diversa collocazione sociale si contendevano il potere.
Erodoto riporta un fittizio dibattito tra i Grandi di Persia sui pregi e i difetti delle tre costituzioni
tipiche, che potrebbe essere semplicemente una trascrizione in termini greci di un conflitto reale tra
forze sociali e politiche diverse presenti nel mondo persiano. L'impero persiano diventa, nella
visione dei Greci, il modello storico dello stato barbarico potente e in grado di minacciare i Greci,
di suscitarne al contempo timori e ammirazione. Un modello per la sua sistematica politica di
espansione, per la sua struttura di efficienza organizzativa, esso era infatti diviso in 20 satrapie con
funzioni amministrative e fiscali rigorosamente definite, che permettevano, grazie all'efficienza
burocratica, il controllo sull'enorme impero; un modello per la sua ricchezza (per i Greci
oro=Persia).
L'avvento di Dario introdusse nuove forme organizzative nella struttura dell'impero e un nuovo
dinamismo nella sua politica verso l'esterno. Al sovrano la tradizione attribuisce l'organizzazione
dell'impero in venti satrapie. Alla luce di questo sforzo organizzativo va anche giudicata la
spedizione di Dario contro gli Sciti, svoltasi intorno al 513, a circa otto anni dall'insediamento del re
(522), e la sua stessa politica verso i Greci, i cui eventi più significativi si addensano nella parte
finale del suo regno (tra il 500 e il 490 circa). Questi importanti momenti della politica di Dario
segnano un atteggiamento in qualche misura nuovo, in tema di confini quanto di conquista, quindi,
in generale, una nuova politica anche nei confronti dei Greci. Sarebbe però sbagliato pensare ad una
contrapposizione tra la politica di Dario e quella dei suoi predecessori sotto i quali furono realizzate
le conquiste più rilevanti, rispetto alle quali il regno di Dario rappresenta quasi una battuta d'arresto.
La spedizione contro i Traci, i Geti e gli Sciti, che per Erodoto ha il fine di punire l'invasione scitica
della Media, avvenuta un secolo prima, non mira ad una conquista del territorio scitico, ma ad un
consolidamento dei confini che coincidono con i fiumi Istro (Danubio) ad occidente e Fasi
(Caucaso) ad oriente. Al di fuori di quei confini resta il mondo scitico. Varcato il Danubio, l'esercito
si impegna in un inseguimento senza frutti degli Sciti che si ritirano nelle loro steppe. Anche il
rientro diventa pericoloso per i Persioani: i marinai della flotta greca stanziata sul Danubio stavano
per distruggere il ponte e defezionare ma furono distolti da Istieo, tiranno di Mileto. Nonostante il
fallimento nel proposito di conquistare la Scizia, i Persiani riuscirono comunque ad assoggettare la
costa tracica fino al fiume Strimone. Niente lascia pensare che in questa fase i Persiani abbiano
progettato un attacco alla Grecia continentale. Beloch osserva che i Greci hanno sempre goduto di
un libero dominio sia della penisola sia delle isole dell'Egeo. Riconoscimenti formali non vanno
aldilà dell'accettazione di una sovranità formale, che poteva diventare concreta solo in caso
dell'imposizione tributaria, cui i Greci del continente non furono sottoposti.
11.3 La 'rivolta ionica'
Le origini del conflitto greco-persiano vanno ricercate nelle condizioni dei Greci della Ionia d'Asia,
nei loro rapporti con i dominatori persiani, nei loro malumori e in alcune iniziative in parte infelici,
come descritte da Erodoto.
La rivolta degli Ioni d'Asia ha una antecedente nell'episodio di Nasso (500 a.C.): Aristagora, nuovo
tiranno di Mileto, succeduto ad Istieo, che il re aveva chiamato alla corte di Susa, propone ad
Artaferne, satrapo di Sardi, anche per tenerlo sotto controllo, una spedizione contro l'isola di Nasso,
assai fiorente nelle Cicladi, con la scusa di una spedizione punitiva volta a ricondurvi gli
aristocratici. Fallita la spedizione, Aristagora, temendo le conseguenze del fallimento di una
spedizione suggerita da lui, si affretta ad organizzare intorno a Capo Micale una rivolta delle città
della Ionia. Il contesto di fatti illumina tutti gli sviluppi successivi: l'estensione del dominio alle
Cicladi nasce su suggerimento di un greco; il consiglio è così nuovo rispetto alla politica persiana
nella zona, che delle sue conseguenza è responsabile l'autore di esso; d'altra parte però in patria
doveva già esserci un certo fermento nei confronti dei Persiani dato che Aristagora pensa
immediatamente di organizzare una rivolta, deponendo la tirannide e, cioè la carica che
rappresentava la Persia. Il modello ateniese si rivela molto suggestivo: da Nasso erano stati espulsi
gli aristocratici; in Ionia la deposizione della tirannide è un fattore decisivo. Si è discusso a lungo se

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la rivolta degli Ioni d'Asia contro la Persia sia motivata dallo sfruttamento economico, risultante
dall'imposizione tributaria da parte dei Persiani, o da un desiderio di libertà: secondo Domenico
Musti le due ragioni sono intrecciate, perciò dal desiderio di libertà scaturisce l'intolleranza verso il
tributo, simbolo della sopraffazione.
Erodoto riferisce che la rivolta ionica inizia nel 499 a.C. Aristagora viaggia in Grecia continentale
alla ricerca di sostegno, soprattutto sperando in quello di Sparta e Atene. A Sparta Aristagora si
scontra con la politica eforale che non vuole uscire dal Peloponneso, oltre che con la riluttanza dello
stesso Cleomene I, il quale altre volte era intervenuto in faccende esterne, che, prospettandosi uno
scontro con la grande Persia, rifiuta di prestare aiuto; ad Atene Aristagora si appella alla συγγένεια,
cioè alla comune origine ionica, in quanto Atene, autoproclamatasi 'la città più antica della Ionia',
deve prestare soccorso; Aristagora in questo caso ottiene il risultato sperato. Il motivo della comune
origine spinge anche Eretria, che con Mileto aveva avuto ottimi rapporti fin dalla guerra lelantina.
Atene invia venti navi, Eretria cinque. Le tirannidi vengono abbattute in tutte le città ioniche, Ioni,
Ateniesi ed Eretriesi attaccano e danno alle fiamme le zone periferiche di Sardi- si narra che
l'incendio dell'Acropoli di Atene sia stato causato da questo evento-: Caria, Lidia e Cipro
(quest'ultima solo parzialmente) aderiscono alla rivolta (498). Atene ben presto abbandona lo
scontro; si è pensato che la brevità dell'impegno ateniese sia da imputare a questioni politiche, come
l'avvento di Ipparco di Carmo all'arcontato (teoria di Beloch), tuttavia questa teoria non è
dimostrabile. Un'altra ipotesi è che l'impegno ateniese sia finito nel momento in cui le città ioniche
erano state liberate dalla Persia, Atene non aveva interesse a fare di più, lo stesso vale per Eretria.
A Cipro l'adesione fu solo parziale: Amatunte e Cizio restarono fedeli al re; i ribelli furono battuti a
Salamina da un esercito persiano sbarcato nella primavera del 497; Salamina e Soli rientrarono nei
ranghi. Probabilmente il fallimento della rivolta a Cipro influì sull'andamento generale del
movimento, che tuttavia continuò ben oltre il rientro di Cipro nei ranghi (496). La rivolta prosegue
fino al 494. Aristagora abbandona il campo e cerca di impiantare il proprio dominio alla foce dello
Strimone i Tracia, ma muore durante uno scontro con gli Edoni. Segue la defezione di Istieo che,
mandato dal re di Persia a sedare la rivolta, cerca rifugio prima a Chio, poi a Lesbo e infine a Taso,
tentanto di spostare il conflitto in un'area più settentrionale e meno accessibile ai Persiani. Nel 494
il re di Persia invia una flotta fenicia, tra l'altro con alcuni contingenti ciprioti, ad attaccare Mileto.
All'apparire della flotta le città dell'isola di Rodi, poi Cnido e Alicarnasso (cioè i Greci della costa
meridionale dell'Asia Minore) fanno pace con il re. Gli Ioni solidarizzano con Mileto ma, nello
scontro navale che si svolge nell'estate del 494 a Lade (isoletta di fronte a Mileto), sono sconfitti;
Mileto, assediata per mare e per terra, è conquistata, una parte degli abitanti è deportata a Babilonia,
il tempio di Apollo a Didima è dato alle fiamme. L'episodio fu rappresentato nella tragedia di
Frinico (tragediografo ateniese Atene, 535 a.C. circa –Sicilia, dopo il 476 a.C.) La presa di Mileto
che fu rappresentata probabilmente nello stesso anno. Secondo lo storico Erodoto,
gli Ateniesi mostrarono una particolare afflizione per l'accaduto, e quando Frinico mise in scena la
sua opera provocò una commozione tale da far scoppiare in lacrime tutti gli spettatori. La città
decise dunque di comminare al tragediografo una multa di 1000 dracme per aver rievocato sventure
cittadine, e ordinarono che l'opera non fosse mai più rappresentata. Lo storico romano Ammiano
Marcellino riportò una versione leggermente diversa dei fatti, che ha spinto alcuni interpreti
moderni a suggerire che la multa fosse stata determinata dalle posizioni politiche filopersiane di
Frinico.

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12. LE 'GUERRE PERSIANE'
La storiografia, tanto antica quanto moderna, ha sopravvalutato le guerre persiane, che vengono
viste come la lotta tra Greci e Barbari. Erodoto mette in scena una lotta tra despotismo e democratia
(N.B. egli vive dopo le vicende che racconta, dunque non è un cronista ma uno storico), che diventa
poi la guerra tra civiltà e barbarie, nel tempo è stata addirittura paragonata alle guerre islamiche. Va
osservato che i Greci, e gli antichi in generale, non si riferiranno mai a questo conflitto con il
termine πόλεμος, come accade invece per la guerra del Peloponneso, ma utilizzano sempre il neutro
plurale τά Μεδικά, estendendo ai Medi le vicende riguardanti i Persiani e allo stesso tempo
attribuendo la responsabilità dei fatti ai Persiani, gli invasori della Grecia. I Greci percepiscono
questo conflitto come un insieme di circostanze, non come un conflitto continuato e strutturato.
L'organizzazione consequenziale degli avvenimenti è una costruzione erodotea offerta al pubblico
ateniese con intento encomiastico e propagandistico.
12.1 La prima spedizione contro la Grecia (Musti)
Ne l giugno del 493 Istieo tenta di trasferire la guerra sul continente; nel territorio di Atarneo (città
dell'Eolide, in Asia Minore, di fronte all'isola di Lesbo) si scontra con un esercito persiano
comandato da Arpago; sconfitto, fu tradotto a Sardi e ivi giustiziato. La flotta fenicia torna in
possesso di Chio, Lesbo e dell'Ellesponto; Milziade II fugge dal Cheroneso tracico e trova scampo
ad Atene. L'anno successivo (492) il re Dario inviò il generale Mardonio con un esercito e una flotta
in Tracia. La spedizione fu descritta da Erodoto e percepita da tutti i Greci come la prima vera
spedizione contro la Grecia: essa fu la logica continuazione della reazione persiana alla rivolta
ionica, dal momento che Istieo aveva trasferito il centro di gravità della rivolta verso la Tracia. La
campagna risulta favorevole ai Persiani che assoggettano Taso e le città greche e la cui autorità
viene formalmente riconosciuta dalla Macedonia. I Persiani subirono tuttavia una dura sconfitta da
parte dei Traci Brigi in seguito alla quale, durante la circumnavigazione dell'Athos, gran parte della
flotta fenicia fece naufragio (autunno 492).
12.2 La στρατεία di Dario (Prima guerra persiana) (Musti, appunti)
Il 491 fu un anno di preparativi per una spedizione contro Ateniesi ed Eretriesi, detta anche
στρατεία di Dario o prima guerra persiana; alcuni ritengono che essa fosse dovuta a fini
imperialistici, altri parlano di spedizione punitiva, ma oggi si tende a dare un'altra spiegazione:
Ippia era fuggito in Persia e i Persiani avevano una fitta rete di rapporti in Grecia. Tradizionali
accuse di relazioni filo-persiane venivano mosse contro gli Alcmeonidi, alleati dei Persiani sono i
Tessali, che non a caso avevano rapporti molto stretti con Pisistrato e i suoi discendenti, e Tebe;
quindi la strateia di Dario, che era rivolta non alla Grecia in generale ma ad Atene, era
probabilmente stata richiesta da questi ambienti. Nella primavera del 490 Artaferne, nipote di Dario,
e il medo Dati conducono una flotta dapprima verso le Cicladi, poi verso l'Eubea. Nasso fu piegata
e distrutta, le Cicladi si sottomisero; a Delo lo stesso Dati celebrò un solenne sacrificio. Poi fu la
volta di Eretria, anch'essa conquistata e data alle fiamme, mentre i cittadini vennero deportati nei
pressi di Susa. Da Eretria i Persiani si diressero verso l'Attica approdando a Maratona con 20.000
unità. Dopo un'iniziale riluttanza gli ateniesi, secondo la tradizione riportata da Demostene e
Aristorele furono convinti da Milziade ad uscire dalla cerchia delle mura (deȋn exiènai secondo il
cosiddetto decreto di Milziade) e affrontare il nemico a Maratona; Erodoto invece dice che la
decisione fu presa dal consiglio degli strateghi. Fu l'affermazione della tattica oplitica 6000-7000
opliti di cui 1000 plateesi e il resto ateniesi, comandati dal polemarco Callimaco e dagli strateghi
(tra cui Milziade), contro 20mila soldati persiani. Dunque i Greci propongono ai Persiani la guerra
oplitica, una guerra regolamentata che questi ultimi non conoscevano ma accettarono, fattore
determinante per l'esito della spedizione.
Gli eserciti si fronteggiarono per alcuni giorni, poi, secondo Erodoto, furono gli Ateniesi ad
attaccare, percorrendo di corsa, nonostante le pesanti armature, l'ultimo tratto di strada che li
separava dagli avversari. 6400 Persiani morirono sul campo, mentre soltanto 192 Ateniesi persero la

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vita e furono sepolti nel soros (tumulo), tra di essi anche il polemarco Callimaco. Questo è quanto
riportato dal racconto di Erodoto; un'altra versione deriva dalla ricostruzione di Beloch sulla base
del racconto di Cornelio Nepote (Milziade 5), secondo cui furono i Persiani ad attaccare temendo
l'arrivo degli Spartani, che tuttavia giunsero solo a battaglia conclusa (una parte della tradizione
parla di un nuovo conflitto con i Messeni di cui però non esistono prove). I Persiani aggirarono con
la flotta Capo Sunio aspettandosi il sostegno da parte di ateniesi conniventi (probabilmente
Pisistratidi anche se l'accusa era rivolta agli Alcmeonidi) ma trovarono gli Ateniesi già schierati
sotto le mura e furono costretti alla ritirata.
12.3 Gli anni 80: tra Maratona e Salamina (Appunti, Musti)
12.3.1 IL TRAMONTO DI MILZIADE
Subito dopo Maratona gli Ateniesi dovettero fare i conti con le novità nella politica persiana, in
particolare con l'intrusione persiana nelle Cicladi. Di questo si occupò nel 489 Milziade, che riuscì
nel suo intento nella parte occidentale ma si scontrò poi con Paro, rimasta fedele ai Persiani. Dopo
aver desistito dall'assedio egli fu accusato di corruzione da Santippo, padre di Pericle, e condannato
al pagamento di una multa di 50 talenti. Morì poco tempo dopo per le conseguenze di una ferita
inflittagli in battaglia.
12.3.2 LA GUERRA CONTRO EGINA
Nel 488 si apre per Atene un nuovo conflitto, quello contro Egina, che si risolse in una traumatica
disfatta: le truppe ateniesi, sbarcate sull'isola, dovettero rapidamente riprendere il mare. Quattro
navi furono catturate dagli Egineti, nuovamente padroni del Golfo Saronico.
12.3.3 LA QUESTIONE DELLE MINIERE DEL LAURION
Nel 481 a.C. nelle miniere del Laurion, di fronte all'isola di Egina, furono scoperti dei nuovi filoni
argentiferi; si pose quindi la questione di come amministrare queste risorse per cui furono avanzate
due diverse proposte:
1. proposta di stampo aristocratico, che la tradizione attribuisce ad Aristide, la quale prevedeva
che fosse distribuito tra i cittadini un surplus di 100 talenti, secondo il principio omerico
della dike
2. Temistocle propone invece che i cento cittadini più ricchi ricevessero un talento ciascuno in
prestito, e in cambio contribuissero all'allestimento di una flotta. I soldi avrebbero dovuto
essere restituiti solo nel caso in cui gli Ateniesi non fossero stati soddisfatti del risultato.

Nasce così la prima rispettabile flotta ateniese, giustificata dalla sconfitta subita dagli Egineti e dal
fondato timore di una nuova offensiva persiana
12.4 La spedizione di Serse (Musti, appunti)
12.4.1 INVASIONE DEI PERSIANI E FONDAZIONE DELLA LEGA ELLENICA
Nel 485 a.C. Dario muore durante i preparativi per una nuova spedizione, rivolta stavolta verso la
Grecia interna; a raccoglierne l'eredità è il figlio Serse. L'obiettivo era innanzitutto far valere la
specifica qualità militare di una grande potenza territoriale come l'impero persiano, doveva perciò
essere una spedizione di terra affiancata e sostenuta dalla flotta. Nell'autunno del 481 le truppe di
terra sono raccolte in Asia Minore, dove tengono i quartieri invernali; nel giugno del 480 Serse fa
loro attraversare l'Ellesponto su due ponti di barche e procedendo lungo la costa raggiunge Terme
(sul Golfo Termaico, Macedonia).
Nel frattempo, nel 481, presso l'Istmo di Corinto si era tenuto un congresso di tutti gli 'Stati' greci
decisi a resistere ai Persiani, era stata sancita una pace generale tra i Greci, gli esuli erano stati
richiamati e gli inviati del Gran Re, i quali chiedevano la sottomissione dei Greci, erano stati

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rimandati indietro. Nel Peloponneso però Serse poteva contare sull'appoggio di Argo; Corcira
promise un aiuto navale che inviò solo con ritardo; Gelone di Siracusa rifiutò di associarsi alla
resistenza greca, senza il conferimento di una posizione di comando almeno parziale, che i Greci gli
negarono; i Cretesi, adducendo come motivazione un responso delfico, preferirono restare neutrali.
È la fondazione della Lega Ellenica (Hellen richiama l'elemento tessalico e la doricità).
La prima linea di difesa greca, prima ancora dell'arrivo di Serse, era stata posta presso il monte
Olimpo; ben presto ci si rese conto però che questa posizione era difficilmente difendibile e
facilmente agirabile, ne conseguì un arretramento delle posizioni che comportò la rinuncia alla
Tessaglia. I Tessali, in particolare gli Alevadi di Larissa, si sottomisero alla Persia rendendo ufficiali
delle trattative già iniziate in segreto.
12.4.2 L'EPISODIO DELLE TERMOPILE
Le Termopile costituivano uno stretto varco tra il mare e le pendici dell'Eta, i cui passaggi potevano
permettere un aggiramento solo se mal sorvegliati. A difendere il passo furono inviati 4000 opliti
peloponnesiaci al comando di Leonida, cui si congiunsero le forze della Grecia centrale. Serse
giunse alle Termopile nel luglio del 480; i Persiani tentarono l'aggiramento delle Termopile sulla
sinistra e vi riuscirono a causa della negligente difesa focese di un sentiero, la via Anopea, la cui
presenza era stata segnalata da un disertore greco. Fra i Greci si diffonde il panico e inizia una
ritirata disordinata: 300 opliti spartani e 700 Tespiesi si sacrificarono per coprire la ritirata degli altri
e, nel caso degli Spartani “per seguire gli ordini della città”. Allo sfondamento delle Termopile
seguirono il dileguarsi dei Focesi e la resa dei Beoti e dei Locresi Opunzi. È incerto se in questa
occasione Delfi, che aveva mantenuto una politica di prudenza, sia stata saccheggiata. L'episodio
delle Termopile ha subito una forte mitizzazione, per cui ne esistono diverse tradizioni.
12.4.3 CAPO ARTEMISIO
Mentre le truppe di terra ponevano la linea di difesa alle Termopile, la flotta greca si attestò su Capo
Artemisio (costa settentrionale dell'Eubea). Alla fine di luglio del 480 la flotta persiana muove da
Terme per raggiungere le Termopile: a Capo Sepia una tempesta distrugge alcune delle navi
persiane. Qualche giorno dopo la flotta persiana si attesta ad Afete. In due scontri un discreto
numero di navi persiane finisce nelle mani dei Greci; l'attacco successivo da parte persiana si
scontrò con una durissima difesa e si concluse con gravi perdite. La situazione precipita dopo le
Termopile quando la posizione, a rischio di accerchiamento, non è più difendibile, ne segue
l'abbandono dell'Eubea e il rientro dei diversi contingenti navali greci.
12.4.4 LA POLITICA 'MARITTIMA' DI TEMISTOCLE
Temistocle emerge nel corso degli anni 80 da una serie di scontri filo e anti- tirannici. Egli sembra
essere già stato arconte nel 493 ma solo nel 484 assurge ad un ruolo politico di primo piano e
diverso rispetto ai precedenti: con Temistocle la lotta politica ad Atene si muove sempre meno
lungo i binari della contrapposizione tra sostenitori e oppositori della tirannide e sempre più sui
diversi modi di concepire la democratia.
Fra le vittime politiche dell'ascesa di Temistocle vi fu Aristide. Si suole affermare che la ragione
non sarebbe da ricercare solo nella politica navale di Temistocle (vd 12.3.3) ma anche la
consapevolezza che Aristide avrebbe fin da questo momento delle conseguenze sociali della
formazione di una flotta. Aristide fu, in realtà, uno dei principali fautori della potenza navale
ateniese; quindi, ammettendo che le motivazioni non siano di carattere personale come vuole farci
credere Erodoto, probabilmente la contrapposizione dei due fu generata dalla questione del Laurion.
Con la proposta di Temistocle comincia a prendere forma la politica imperialistica della democratia
ateniese. Aristide è probabilmente contrario, in questa fase, alla politica imperialistica come politica
del sacrificio ma non è dimostrabile che la sua politica sia antinavale in assoluto. La
contrapposizione potrebbe venire dal fatto che Aristide guarda più agli obblighi e ai diritti dei
cittadini, quindi alla tradizionale sfera privata, mentre Temistocle si preoccupa di quello che egli

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riteneva l'interesse pubblico.
Salamina è una battaglia navale e fu proprio Temistocle a spingere perché si combattesse per mare,
scontrandosi con parte dell'aristocrazia ateniese più conservatrice. Il motivo dello scontro risiede nel
fatto che dare spazio alle navi significa dare spazio a coloro che, tra i cittadini, erano fino a questo
momento più emarginati: i teti, i quali potevano servire nell'esercito solo con funzioni ausiliarie,
come quella di rematori. Attribuire ai teti un ruolo così importante significa di fatto farli entrare
nella politeia.
12.4.5 LA BATTAGLIA DI SALAMINA
Dopo le Termopile e l'Artemisio ad Atene venne presa la decisione di abbandonare la città e
trasferire donne, bambini e suppellettili o animali a Salamina, Egina e soprattutto Trezene, nel
Peloponneso (sul golfo Saronico a sud di Epidauro); di tale decisione si conserva una formulazione,
rielaborata in epoca più tarda, in forma epigrafica e scoperta nel 1959 a Trezene (decreto di
Temistocle). Torna utile a Temistocle un oracolo che consiglia di affidarsi alla difesa di uno ξύλινον
τεῖχος, un muro di legno, che egli interpreta come metaforica allusione alle navi. Atene è
abbandonata alle devastazioni dei Persiani (agosto 480).
La flotta greca si concentra a Salamina al comando dello spartano Euribiade, quella persiana, dalle
acque dell'Eubea, raggiunge il Falero. Ateniesi, Egineti e Megaresi ottengono che lo scontro si
svolga nel canale tra Salamina e l'Attica e non all'altezza dell'Istmo, cosa che avrebbe garantito la
sicurezza del solo Peloponneso. Nel settembre del 480 la flotta persiana forza il canale e le truppe
persiane sbarcano in Attica e sull'isoletta di Psittalia sita nel canale. Lo scontro avviene al mattino,
sotto gli occhi di Serse, il quale aveva fatto installare il trono sulla costa dell'Attica per osservare lo
scontro. L'agilità, la conoscenza del luogo e la capacità di manovra giocarono a favore dei Greci che
riuscirono a spingere la flotta persiana verso la costa attica, producendo in essa gravi perdite. Un
contingente di opliti ateniesi di stanza a Salamina sbarca a Psittalia e fa strage della guarnigione
persiana. Salamina, pur se considerata una battaglia di enorme importanza, ha subito da parte della
tradizione ateniese, di stampo oligarchico, un deprezzamento, cioè viene considerata una battaglia
meno importante di Maratona, poiché, mentre la prima è una battaglia oplitica, questa è una
battaglia navale, che, come tale, vede una crescita di importanza dei teti ed è considerata l'atto di
nascita della democratia ateniese di V secolo, che è una democratia navale. Un chiaro esempio di
questo deprezzamento è l'epigrafe funeraria di Eschilo che lo celebra come vincitore di Maratona;
l'epigrafe ha portato molti a pensare che il tragediografo abbia combattuto in entrambe le battaglie,
mentre oggi si tende a pensare che egli abbia combattuto solo a Salamina. La ragione di questa
scelta è che l'epigrafe fu realizzata tempo dopo la morte di Eschilo, quando ormai si andava
affermando la compagine oligarchica e antidemocratica, cui fa capo anche Platone, quindi, per
celebrare qualcuno in campo militare, lo si doveva associare a Maratona.
12.4.6 PLATEA E MICALE
La sconfitta subita nella battaglia di Salamina era di rilevantissime dimensioni e l'umiliazione per i
Persiani cocente. Tuttavia l'impero persiano era una potenza territoriale e la sua forza militare
principale era quella di terra. Non avendo perciò subito alcuna sconfitta a terra da parte dei Greci,
Serse poteva pensare di non aver ancora giocato la sua carta migliore e di dover sperimentare la
fortuna delle armi in un tipo di scontro più congeniale alle forze persiane. Infatti la flotta persiana
rientra in Asia pochi giorni dopo Salamina, mentre l'esercito è ricondotto in Tessaglia, presso gli
accampamenti invernali, e affidato a Mardonio; lo stesso Serse si fermò a Sardi per seguire il corso
degli eventi. I Greci avevano intanto recuperato le posizioni nelle Cicladi e in Tracia. Lo scontro
riprese nella primavera del 479; Mardonio, dopo aver invano sollecitato gli Ateniesi alla resa,
invade la Beozia e saccheggia nuovamente Atene (giugno 479). le forze peloponnesiache si
riuniscono all'Istmo al comando dei reggenti Eurianatte e Pausania; un'avanguardia riesce a mettere
in salvo Megara dalla minaccia dei Persiani, i quali si ritirano in Beozia, a nord del fiume Asopo,
poco oltre le pendici settentrionali del monte Citerone; alle sue pendici si attestano invece 50.000

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Greci raccolti a Megara e che procedono verso la Beozia. La dinamica della battaglia di Platea
presenta due fasi ben distinte. Dapprima le forze si fronteggiano; più in alto ci sono i Greci, i quali
poi, senza rinunciare alla posizione dominante, eseguono una manovra di accostamento al nemico,
trasferendosi sui colli che delimitano verso sud la valle dell'Asopo. Nella seconda fase Pausania fa
arretrare il suo centro e trasferisce l'ala destra allo sbocco di un passaggio del Citerone, lasciando gli
Ateniesi all'altezza di Platea; nel corso di questa manovra si sviluppa l'attacco persiano all'esercito
greco ormai disarticolato. Pausania riesce a sostenere l'attacco, fino alla ricostituzione di un solido
fronte, e nel contrattacco travolge i Persiani; Mardonio cade sul campo. L'accampamento persiano
finisce nelle mani dei Greci, ma Artabazo, luogotenente di Mardonio, riesce a portare in salvo parte
dell'esercito. Sul campo di battaglia venne eretto un tempio in onore di Zeus Eleutherios, dove ogni
quattro anni si tennero, da quel momento, agoni panellenici; Tebe fu cinta d'assedio e costretta alla
resa in 20 giorni; il capo dei filopersiani, Attagino, riuscì a fuggire, gli altri furono giustiziati
all'Istmo, la lega beotica fu sciolta.
Da Delo la flotta greca, al comando del re spartano Leotichida (479), raggiunse Chio e Samo per
sollecitazione degli stessi Ioni. I resti della flotta persiana abbandonano l'isola per raggiungere il
continente; le navi vengono tratte in secco non lontano dal promontorio di Micale. La battaglia di
Micale (agosto 479) non fu tanto una vittoria navale dei Greci, quanto una battaglia navale
mancata: l'azione militare e la vittoria dei Greci consistettero nell'assalto delle fortificazioni
persiane e nella loro distruzione; le navi persiane furono date alle fiamme.
12.5 La 'liberazione' della Ionia (Musti, appunti)
Gli ultimi eventi delle guerre persiane riguardano l'Asia Minore, dove si verifica la ribellione di tutti
gli Ioni, l'abbattimento delle tirannidi filo-persiane e l'inserimento delle isole di Samo, Lesbo e Chio
nella Lega Ellenica: nel 479 dunque si concretizzano i fini della rivolta ionica del 499.
Sull'Ellespondo Abido e Sesto erano ancora nelle mani dei Persiani, la flotta greca si dirige verso la
zona degli Stretti, ottenendo subito la defezione di Abido; con l'arrivo dell'autunno i Peloponnesiaci
tornano a casa, lasciando il campo agli Ateniesi, che portano a compimento l'assedio di Sesto, con
la cooperazione degli Ioni, che già in questa campagna risuscitano quel rapporto privilegiato con
Atene che avevano avuto agli inizi della rivolta ionica. La presa di Sesto è generalmente considerata
l'evento finale del conflitto, come dimostra il fatto che con essa si chiude il racconto di Erodoto
(Ἱστορίη in 9 libri, divise in due parti: una a carattere etnografico, che occupa i primi quattro libri, e
una a carattere narrativo che parte dal V libro). Nella primavera del 478 una forza navale
peloponnesiaca al comando di Pausania torna ad operare, insieme con Atene e gli Ioni, sulla costa
caria, a Cipro e nell'area degli Stretti, dove, dopo un lungo assedio, è conquistata anche Bisanzio.
12.6 Il ritiro spartano e la politica di Pausania il reggente (Musti, appunti)
12.6.1 IL RITIRO DI SPARTA
Il rapporto degli Ioni con gli Spartani si deteriora a causa della politica dura, quasi tirannica, tenuta
nei loro confronti da Pausania il reggente, che, sospettato anche di filomedismo, viene richiamato in
patria dalle autorità cittadine (477). il sostituto di Pausania, Dorci, non trovò migliore accoglienza e,
ben presto, fu costretto a tornare a Sparta privato di qualsiasi autorità sulla Lega Ellenica, che ormai
aveva cambiato composizione e vertice. Più congeniale a Sparta fu il ruolo di gendarme dei doveri
nazionali greci, che essa si assume quando re Leotichida guida la spedizione punitiva contro la
Tessaglia; il re spartano non ebbe successo contro gli Alevadi di Larissa, ma riuscì a impadronirsi di
Pegase, nella regione di Fere. In seguito, accusato di essersi lasciato corrompere dagli Alevadi, fu
mandato in esilio a Tegea.
Dopo gli anni 481-477, nei quali Sparta aveva esercitato un ruolo fondamentale nella Lega, adesso
essa rientra in una dimensione regionale, segnando il trionfo della politica eforale.

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12.6.2 LA FINE DI PAUSANIA IL REGGENTE
Vincitore della battaglia di Platea è un esempio evidente della dialettica re-efori presente a Sparta,
in quanto esce dal Peloponneso e si interessa della questione della Ionia, partecipando alla sua
liberazione. A causa della sua politica tirannica entra in conflitto con gli Ioni e, accusato di
filomedismo viene richiamato in patria nel 477. Rientrato, per propria iniziativa personale, a
Bisanzio, dove prese in moglie la figlia di un satrapo e creò un piccolo regno, ne fu scacciato da
Cimone; in seguito occupò Colone nella Troade ma, non riuscendo a consolidate il proprio dominio
nella regione, finì col tornare a Sparta. Rientrato in patria Pausania fu accusato di tentare, con gli
iloti, una sovversione dello stato spartano, in particolare dell'eforato; egli allora si rifugia nel tempio
di Atena Calcieco, dove viene rinchiuso fino alla morte, sopraggiunta per inedia.
12.7 Emarginazione e fine di Temistocle (appunti, Musti)
La politica di Temistocle negli anni 70 del V secolo è una politica molto attiva nell'Egeo (la
tradizione gli attribuisce la creazione e riscossione del phoros), una politica egea, filopersiana e
antispartana. Nel 471 Temistocle viene ostracizzato, in un momento che appare incluso nel
predominio politico di uomini come Cimone e Aristide, nonché di generale prestigio dell'Areopago
(areopago ad Atene= eforato a Sparta quindi la vicenda di Temistocle è simile a quella di Pausania).
L'ostracismo porterà Temistocle prima nel Peloponneso (in città ostili a Sparta), poi in Epiro, in
Macedonia e infine, dopo la morte di Serse (465), in Persia, ospite del re Artaserse, che gli assegna
il possesso di Lampsaco, Miunte e Magnesia sul Meandro, dove Temistocle morirà poco tempo
dopo. Temistocle e Pausania sono entrambi vincitori di battaglie navali, cioè vittorie strane rispetto
alla tradizione oplitica, entrambi vanno contro l'aristocrazia conservatrice ed entrambi assumono
caratteristiche persiane. Di Temistocle possediamo una consistente vita plutarchea che risente della
propaganda negativa condotta dagli ambienti oligarchici ateniesi di IV secolo.
12.8 Democrazia nel Peloponneso (Musti)
Legata alla figura di Temistocle vi è una tradizione che vuole che egli abbia alimentato la nascita di
moti democratici nel Peloponneso, in particolare in Arcadia, ad Argo e ad Elide. Appare difficile
accettare la possibilità di un'esportazione del regime ateniese in altre poleis; nel caso dell'Arcadia
sembra che Mantinea abbia un regime democratico moderato nel 421 a.C. ma ciò non implica
necessariamente una democratizzazione generalizzata della regione. Ad Argo ed Elide lo sviluppo
democratico sembra essere stato in larga parte autonomo: ad Argo, dopo la sconfitta subita da parte
degli Spartani a Sepeia (494) si instaura provvisoriamente un governo di servi; è probabile che
l'ammissione dei perieci nella cittadinanza, attestata da Aristotele, sia in qualche relazione con
questo avvenimento (col governo dei servi). Si ha quindi ad Argo un'evoluzione della città verso
forme democratiche, che si realizza attraverso l'assorbimento dei perieci nelle strutture cittadine. La
democrazia ad Argo è tra l'altro attestata nelle supplici di Eschilo, quando il re Pelasgo si rivolge al
popolo per chiedere se le Danaidi debbano o meno essere accettate in città. Eschilo evita di usare
anacronisticamente (poiché si parla di un tempo mitologico) il termine democratia ma lo sottintende
nella perifrasi dèmou kratousa cheìr, esaltando la cheirotonia, il voto per alzata di mano, come
forma di voto egualitario.
In Elide lo sviluppo democratico è sicuramente favorito dall'affermazione della democratia ad
Atene, ma è anche dovuto alla particolare conformazione e organizzazione del territorio: una
campagna libera, cioè popolata da centri dotati di forte autonomia, che tutti insieme producono e
promuovono un unico centro urbano, sede delle decisioni politiche, cioè Elide, dove si sviluppa una
forma moderata di democrazia.

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13. LA PENTEKONTAETÍA
Per pentekontaetia i moderni intendono il periodo di circa 50 che intercorre tra la fine delle guerre
persiane e l'inizio della guerra del Peloponneso. L'espressione non era molto usata in antichità,
quando si preferiva, come leggiamo in Diodoro Siculo, l'espressione concreta 'periodo di cinquanta
anni'. L'idea di considerare unitamente quegli anni ricchi di eventi è di Tucidide, il quale li vede
come la premessa alla narrazione della guerra del Peloponneso, la lunga gestazione del conflitto tra
Atene e Sparta. Tucidide analizza gli eventi al fine di mostrare le vicende e le responsabilità
storiche del conflitto. In lui si intrecciano due nozioni fondamentali: la prima è quella secondo cui
gli Stati tendono a crescere in modo organico, cosa che porta due realtà, Atene e Sparta, che
crescono così vicine, ad un inevitabile scontro; la seconda è quella che vede una contrapposizione
tra le ideologie di fondo di queste due realtà, per cui Sparta è l'espressione del mondo della
conservazione e dell'avversione al nuovo, del timore verso ciò che è diverso, mentre Atene è la città
del coraggio e dell'intraprendenza, che sconfina nel gusto del rischio, del nuovo, del grande, fino
all'esagerazione. Tucidide procede inoltre all'analisi delle responsabilità della guerra, rintracciando
le cause profonde nell'imperialismo ateniese, quelle immediate nell'invasione dei Peloponnesiaci.
13.1 Nascita, struttura e sviluppo della Lega Delio-attica (appunti, Musti)
La Lega Delio-attica viene fondata nel 478-477 a.C. e si configura come una συμμαχία, cioè
un'alleanza (la parola 'lega' è una parola moderna, l'espressione antica era Ἀθηναίοι καί σύμμακοι),
che prevede un eghemòn, al cui ruolo si erge Atene, e dei symmacoi. La si definisce delio- perché la
sua fondazione, avvenuta con un rituale descritto da Aristotele, si svolse a Delo, sede delle grandi
panegyreis ioniche, dove fino agli anni 50 del V secolo fu conservata la cassa della Lega; questo
suo ruolo rappresentativo nella comunità ionica contribuì alla scelta, unitamente alla necessità di
scegliere una città distinta da Atene, per non mortificare la dignità degli altri Ioni, ma allo stesso
tempo vicina e tradizionalmente in stretto rapporto con la città egemone, affinché essa possa
soddisfare l'esigenza di essere la città-guida. La finalità dichiarata, e fino ad un certo punto
perseguita sotto la spinta di Cimone, è quella della continuazione della difesa contro i Persiani e
della liberazione della Ionia. La Lega comprende soprattutto città dell'Egeo, poiché, dopo Micale e
la morte di Pausania, Sparta era rientrata in un ambito regionale. Alcuni degli alleati sono
syngheneis, cioè si riconoscono per la comune origine ionica. Alla lega si partecipa contribuendo
all'allestimento della flotta. La tradizione più antica riferisce che solo tre realtà partecipano con le
navi: Samo, Chio e Lesbo (due realtà ioniche e una eolica), che hanno la funzione di sentinelle sul
fronte orientale. Tutti gli altri alleati versano il phoros, cioè un contributo in denaro che confluiva
nella cassa comune a Delo e che era fissato a 476 talenti annui in totale (somma che poi Cleone
triplicò). Noi possediamo le cosiddette ATL (Athenian Tribute Lists), epigrafi che venivano
pubblicate ogni 4 anni e che recavano l'elenco contabile di tutti gli alleati soggetti al phoros; dalle
ATL si nota che le quote variano di periodo in periodo, poiché con il tempo il phoros diventa uno
strumento coercitivo nelle mani di Atene. Tucidide, infatti, riferisce che col tempo la συμμαχία si
trasforma in ἀρχή.
Negli anni 70 abbiamo delle ribellioni degli alleati duramente represse da Atene tra cui ricordiamo
gli episodi di Nasso (Cicladi) e Caristo (città dell'Eubea meridionale) che segnalano delle frizioni
interne già nei momenti fondativi della Lega. In particolare l'asservimento di Nasso (471 a.C.)
segna, secondo Tucidide una svolta in senso deteriore della lega sempre più in balia degli umori di
Atene; lo scontro con Caristo si risolse invece con un accordo. La Lega viene fondata nel 478-477 e
sciolta nel 405-404 (dopo la battaglia di Egospodami). L'episodio istituzionalmente più rilevante è il
trasferimento del tesoro della lega da Delo ad Atene negli anni 50 del V secolo. Durante i 70 in cui
la Lega operò furono moltissime le iniziative di Atene contro gli alleati.

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13.2 La politica di Cimone (appunti, Musti)
13.2.1 CIMONE NELLA TRADIZIONE
Di Cimone possediamo una consistente vita plutarchea. Cimone è molto caro a Plutarco che ne
celebra la munificenza e lo difendeva dall'accusa della demagogia evidenziando come egli si fosse
schierato contro Temistocle prima ed Efialte poi, difendendo gli interessi aristocratici. Tuttavia lo
storico, nella sua neutralità, ci riporta anche le tradizioni negative: l'infanzia di Cimone, figlio di
Milziade, del demo dei Filaidi, fu, a partire dalla caduta in disgrazia del padre (vd 12.3.1)
un'infanzia difficile, soprattutto dal punto di vista economico. Cimone viene rappresentato con due
vizi fondamentali cioè la lussuria e l'ubriachezza; per quanto riguarda la lussuria addirittura si parla
di rapporti incestuosi con la sorella Elpinice, poi diventata la donna di Pericle. Nella creazione del
personaggio di Cimone grande importanza ha la caricatura che di lui fece il teatro attico (non solo i
tre grandi ma anche i minori). Uno degli ambienti culturali e politici dove maggiormente opera la
figura di Cimone è il simposio, un rituale, un momento di aggregazione politica e culturale delle
eterie (gruppi politici) caratterizzato da vino e rapporti sessuali; probabilmente da questo carattere
simposiale deriva la caricatura e quindi i due vizi attribuiti a Cimone. Operando in ambito
simposiale Cimone si configura, come testimonia anche Plutarco, come un aristocratico
tradizionale, al contrario di Temistocle, che guardava all'allargamento della politica ai teti. Nel 477,
nonostante il passato del padre, Cimone ricopre la strateghia, il che fa pensare che il momento di
crisi sia stato ricomposto.
13.2.2 IL RAPPORTO CON SPARTA E LA GUERRA 'DEL TERREMOTO'
Agli inizi degli anni 60 si ebbe a Sparta una violenta serie di eventi sismici, durante i quali
morirono molti Spartiati e la città fu quasi messa in ginocchio. Della situazione approfittarono gli
iloti della Laconia e della Messenia e un paio di popolazioni perieciche dell'area del Taigeto, le
quali si ribellarono. Sparta chiese aiuto ad Atene e Cimone, che perseguiva una politica filospartana,
contro il parere di Efialte convinse il popolo ateniese a concederlo.
Ione di Chio dice che Cimone portava i capelli lunghi, secondo una tipica tradizione spartana; Ione
ci riferisce anche le parole che Cimone utilizza per convincere gli Ateniesi a combattere al fianco
di Sparta: egli paragona Sparta e Atene ai due bastoni che reggono la Grecia, se uno dei due cade
crolla tutto. La politica di Cimone è improntata a lasciare a Sparta il controllo del Peloponneso e
ottenere per Atene il controllo dell'Egeo. Cimone, dunque, va incontro agli interessi più
conservatori dei Sparta, dove egli doveva avere amicizie molto forti.
13.2.3 IMPERIALISMO E POLITICA CON GLI ALLEATI
Cimone è il generale delle prime operazioni della Lega Delio-attica, o almeno di quelle che
Tucidide gli attribuisce esplicitamente. L'azione militare della Lega comincia nell'area settentrionale
dell'Egeo, dove si concentrano le ultime sacche di resistenza dei Persiani e da cui possono partire
moti di liberazione. Cimone libera Eione (476, parte nord orientale della Grecia settentrionale, alla
foce dello Strimone in Tracia) e Sciro (475, isola delle Cicladi). L'acme della politica di Cimone fu
la battaglia dell'Eurimedonte una duplice battaglia, navale e terrestre, che, a seconda dei casi, le
fonti collocano alla foce del fiume Panfilia, per entrambi i suoi momenti, o separano distinguendo
uno scontro navale al largo di Cipro e uno scontro terrestre svoltosi presso la foce del fiume.
Cimone fonde la tecnica oplitica e quella navale (opliti sulle navi) creando un equilibrio tra le due.
Diodoro data la battaglia al 470/469.
La tradizione ricorda Cimone come un politico corretto nei confronti degli alleati anche se, negli
anni del suo potere, si svolsero due episodi che contraddicono tale tradizione; Tucidide, che
probabilmente aveva qualche parentela con Cimone (lo storico aveva dei possedimenti nel
Cheroneso tracico, zona di competenza dei Filaidi), non lo nomina mai esplicitamente nel narrare
questi fatti. Il primo episodio è la repressione di Nasso del 471, che è più difficile imputare a
Cimone, mentre il secondo, la cui attribuzione è più probabile, è la guerra contro Taso (isola

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prospiciente le coste della Tracia). Taso possedeva delle ricche miniere e sfruttava anche quelle di
Skaptè Hýle, non meno redditizie di quelle dell'isola stessa e aveva allestito degli emporii. Nel 465
Taso defeziona, e da quell'anno al 463 si svolge il lungo assedio dell'isola, di cui con fatica si doma
la ribellione. La miniera di Skaptè Hýle e i possedimenti del continente passano nelle mani degli
Ateniesi e Taso si vede triplicato il phoros. La guerra di Taso segna, insieme all'episodio di Nasso
un ulteriore salto di qualità, in senso deteriore, nei rapporti tra Atene e i suoi alleati: ormai Atene
interferisce nello stesso assetto economico delle città alleate. Ciò che risulta strano è che la
tradizione ricordi Cimone come colui che voleva conferire alla Lega la funzione di strumento
antipersiano e attenersi a principi di equità nei confronti degli alleati. La discrepanza potrebbe
spiegarsi ammettendo che Cimone si adatti ad esercitare una politica non completamente sua,
“democratica”, che va assumendo tratti imperialistici sempre più marcati.
13.2.4 PROCESSO, TERZA GUERRA MESSENICA, OSTRACISMO
A vittoria conseguita i gruppi 'democratici' radicali ormai emergenti intentarono un processo a
Cimone, accusandolo di essersi fatto corrompere da Alessandro I di Macedonia al fine di evitare una
spedizione punitiva contro il sovrano, accusato di aver aizzato i Tasii alla ribellione e mostrato un
troppo vivo interesse per l'area mineraria del Pangeo.
Cimone commise il suo più grande errore politico nel 462 quando, a seguito di una nuova richiesta
di aiuto da parte degli Spartani nella guerra che conducevano contro il Messeni, arroccatisi
sull'Itome, nella parte orientale della Messenia, egli convinse gli Ateniesi, molto riluttanti perché
ancora impegnati negli strascichi della guerra di Taso, a portare aiuto a Sparta. L'intervento ateniese
infatti non si rivelò efficace; esso, anzi, alimentò negli Spartani il timore di collusioni tra gli
Ateniesi e gli insorti derivanti da una qualche solidarietà ideologica antiaristocratica. Gli Spartani
decisero dunque di rimandare indietro il contingente ateniese; lo smacco ebbe due conseguenze
principali: da una parte la svolta in senso apertamente antispartano della politica ateniese, dall'altro
un crollo del prestigio e della credibilità di Cimone, che dell'intervento era stato un fervido fautore.
La tradizione vuole che mentre Cimone era impegnato in Messenia, ci sia stato il colpo di stato di
Efialte, cui seguì, nel 461 a.C., l'ostracismo di Cimone.
13.3 La riforma di Efialte (appunti, Musti)
Dopo l'ostracismo di Cimone, quindi alla fine degli anni 60 del V secolo, viene collocata la riforma
di Efialte, cioè la riforma dell'Areopago, una delle più importanti riforme ateniesi. L'Areopago è un
tribunale ateniese composto dagli arconti usciti di carica che aveva due prerogative principali: la
giurisdizione dei delitti di sangue e la nomophylachia, cioè la sorveglianza sulla costituzione e forse
anche la custodia delle leggi. Efialte sottrae all'Areopago la nomophylachia, affidandola ai tribunali
popolari e lasciando all'Areopago solo la giurisdizione sui delitti di sangue. Efialte viene ricordato,
negativamente parlando, come uno di coloro che avevano portato la democratia ad Atene; la sua
riforma è un cambiamento epocale. Aristotele, come altri suoi contemporanei, rimpiange l'antico
potere dell'Areopago. Nel 458 Eschilo porta in scena l'Orestea, la cui tragedia finale, le Eumenidi,
parla appunto dell'origine mitica dell'Areopago; dalla tragedia non è però chiaro il pensiero del
tragediografo perché egli non cita la nomophylachia.
13.4 Il regime pericleo (Musti, appunti)
13.4.1 GLI INIZI
Pericle era figli di Santippo, vincitore di Micale, e Agariste, figlia di un fratello di Clistene; dunque
per parte di madre era imparentato con gli Alcmeonidi e nelle sue vene scorreva 'sangue empio'.
Una data di nascita è suggerita da una notizia su un'iscrizione che ci riferisce che egli fu corego
nella rappresentazione dei Persiani di Eschilo (472 a.C.) facendosi interprete di un tema assai
sentito nella città; all'epoca doveva avere meno di 20 anni, dunque la data potrebbe essere posta
intorno al 495-493 a.C.
Pericle appare sulla scena politica come accusatore di Cimone nel processo per corruzione seguito

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alla guerra di Taso (463 a.C.), occasione nella quale la sorella di Cimone, Elpinice, avrebbe offerto i
suoi favori a Pericle, il quale avrebbe mantenuto l'accusa ma mitigandola al punto tale che Cimone
fu assolto. Chiarezza di intenti, gradualità nell'azione politica, razionalità nel gestire le possibilità
che gli venivano offerte caratterizzano ampiamente l'inizio della vita politica di Pericle. Fra gli inizi
biografici va collocato anche il primo matrimonio, con una donna di cui non conosciamo il nome,
da cui nacquero due figli, Santippo e Paralo, che moriranno nella stessa epidemia che uccise Pericle.
Intorno al 450 si colloca l'inizio della relazione con Aspasia, l'etera di Mileto, da cui nacque Pericle
il Giovane (dopo il 450). Nel 451 era stata promulgata una legge che considerava cittadini solo
coloro che erano nati da entrambi i genitori ateniesi, legge riguardo alla quale il figlio di Pericle
costituì un eccezione. Pericle il giovane sarà tra gli strateghi condannati e giustiziati nel 406 in
seguito al processo delle Arginuse.
13.4.2 LA REITERAZIONE DELLA STRATEGHIA
Il dominio politico di Pericle durò circa 40 anni, che Plutarco distingue in due diverse fasi: una
prima fase in cui Pericle emerse al di sopra di tutti i suoi avversari politici e una seconda fase,
successiva all'ostracismo di Tucidide di Melesia (444/443), in egli ottenne la carica di stratego per
non meno di 14 anni consecutivi, cui si aggiunsero, probabilmente, altre strateghie non consecutive
(almeno nel 454 e nel 448-446).
13.4.3 POLITICA INTERNA: RAPPORTO COL DEMOS, MISTOPHORIA, CRISI DEL
MODELLO ARISTOCRATICO
Pericle è considerato il fondatore della democratia. A parte il provvedimento sulla cittadinanza, il
più 'democratico' tra i provvedimenti periclei è l'introduzione del μισθός (mistophoria) cioè un
indennizzo, una remunerazione per i magistrati, dei buleuti e degli eliasti (giudici popolari). Allo
scopo non dovevano servire più di 100 talenti, in quanto l'indennizzo corrispondeva, probabilmente,
ad una giornata di lavoro nei campi (2 oboli) almeno fino al 422 quando gli oboli divennero 3,
quindi servivano 150 talenti. Il phoros che Atene richiedeva agli alleati serviva anche per questo
aspetto mistoforico della politica interna.
La democrazia ateniese, se è vero che non ricorre alla violenza fisica, lascia comunque ampio
spazio ad altre forme di violenza come l'ignoranza o l'amathìa denunciate dell'Anonimo Ateniese,
ma soprattutto bisogna tener presente, in questo sistema democratico, un nuovo protagonista:
l'opinione pubblica. Pericle e il suo entourage tengono conto dell'opinione del demos verso cui
Pericle, con l'introduzione del misthos, compie una sorta di εὐεργεσία, diversa da quella di Cimone,
che si serviva dei propri averi, in quanto Pericle usa il phoros. Alla luce di questi fattori si può dire
che non vi è tutta questa differenza tra la politica cimoniana e quella periclea, in cui cambiano però i
destinatari e la declinazione di comuni principi, che derivano dal fatto che entrambe le politiche
provengono da modelli aristocratici.
La grandezza di Pericle è proprio nella sua politica interna e nell'ideologia che la sorregge. Egli è il
campione della demokratia, parola nella quale rintracciamo il segno di una forte percezione del
ruolo di potere e del dominio, insita nell'uso del verbo kratein, a cui si accompagna una dicotomia
più netta all'interno della cittadinanza, tra ricchi e popolo, il demos, costituito in larga parte dai
meno abbienti. Non vi è dubbio da che parte fosse Pericle. Tucidide lo definisce pròtos anèr, il
primo cittadino, colui che governa al posto del demos, il demagogo che sa condurre il popolo senza
farsi condurre da esso, che sa contraddirlo e sa plasmarne gli stati d'animo.
13.4.4 LA RIFORMA DELL'ARCONTATO
La tradizione riferisce che Pericle avrebbe ammesso all'arcontato, che fino a questo momento era
riservato alle prime due classi di censo, anche gli zeugiti. Quello che apparentemente potrebbe
sembrare un provvedimento democratico è in realtà un'abile mossa politica, perché spinge a credere
ad una apertura verso le classi meno abbienti, quando in realtà l'arcontato nell'età di Pericle non
contava più nulla.

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13.4.5 LA POLITICA IMPERIALISTA: EGITTO E PELOPONNESO
La politica estera ateniese degli anni 60 del V secolo è una politica imperialista molto aggressiva e
che non vede come protagonisti solo Pericle e il suo entourage ma anche diversi esponenti
dell'aristocrazia conservatrice. Ciò dimostra che, per quanto riguarda la politica estera, non ci
fossero, almeno in questi anni, dissensi nel gruppo dirigente ateniese. Agli anni iniziali del potere di
Pericle possiamo attribuire l'alleanza con Argo, che ha motivazioni anche ideologiche, dal momento
che Argo in questo periodo istituisce un governo democratico; meno coerente l'alleanza con
Megara, che infatti si spezzerà quando le differenze ideologiche diventeranno più marcate. Vanno
poi ricordate le spedizioni contro Cipro, la maggior parte delle quali riconducibili alla figura di
Cimone.
Negli anni 50 si colloca la spedizione in Egitto, che Tucidide definisce μεγάλη στρατεία, attribuita
di solito a motivazioni di carattere economico: la conquista di un paese produttore di grano. Inaro,
principe dei Libii al confine con l'Egitto, chiede agli Ateniesi, che si accingevano ad attaccare Cipro
con 200 navi, di intervenire in Egitto. Dunque la spedizione in Egitto fu determinata da
un'occasione presentatasi in un contesto diverso, quindi non nasce come una guerra con motivazioni
di tipo economico, ma lo diventerà in seguito. La cronologia proposta per il conflitto è 462/461-
455/454 poiché Tucidide, e non c'è motivo di dubitarne, ci dice che la guerra durò sei anni e il
terminus ante quem è il trasferimento del tesoro della Lega a Delo. Gli Ateniesi occuparono per
qualche tempo la zona dal Delta del Nilo a Menfi; i Persiani inviano un loro ambasciatore a Sparta
con del denaro in cerca di sostegno, poi inviano in Egitto il generale Megabizo, il quale blocca gli
Ateniesi sull'isola di Prosopitide e li cinge d'assedio. Dopo un anno e mezzo di assedio i Persiani
prosciugano le acque intorno all'isola e trasformano una battaglia navale in una battaglia terrestre, a
loro più congeniale. Gli Ateniesi sono costretti alla ritirata attraverso la Libia. Il libico Inaro viene
consegnato e giustiziato. In seguito al fallimento della spedizione, secondo Plutarco, il tesoro della
Lega viene trasferito ad Atene con la motivazione ufficiale che Delo era troppo esposta sul fianco
orientale alle invasioni persiane. Non v'è dubbio sul fatto che gli Ateniesi abbiano sfruttato la
situazione, ma ciò non implica che il pericolo persiano non fosse reale ed è plausibile che la
richiesta venisse dai Samii, phylakes (sentinelle) dell'impero su quel fianco.
Negli anni 50 si colloca anche una serie di interventi nel Peloponneso, che impropriamente sono
stati spesso definiti prima guerra del Peloponneso dando però al genitivo che ha un valore
differente rispetto a quello che gli si attribuisce quando si parla del Polemos. Si tratta in realtà di
una serie di conflitti tra Atene e Sparta, che si estendono tra il 459 e il 446 e hanno come teatro
principale il Peloponneso. Si tratta di una serie di scontri, perlopiù navali, che in un primo periodo
(fino al 456) si svolgono nel Golfo Saronico, poi, nel 455, Tolmide guida una serie di incursioni a
Gizio (arsenale di Sparta), Metone (costa occidentale della Messenia), in Acaia e nella zona di
Corinto compiendo una vera e propria circumnavigazione del Peloponneso e rompendo
l'equilibrio creato da Cimone tra Atene e Sparta. Navi ateniesi presidiano prima Nisea, poi il porto
di Page: è una presenza navale a nord dell'Istmo che spiega la dinamica della spedizione di Pericle
nel 454/453, che non fu una nuova circumnavigazione ma una navigazione lungo le coste
settentrionali verso l'Acarnania.
13.4.6 LA PACE DI CALLIA
Nel 449 Cimone muore vittima di una malattia contratta probabilmente durante l'assedio di Cizio,
nella parte sud orientale dell'isola di Cipro; una tradizione colloca in quello stesso anno la
cosiddetta pace di Callia che prende il nome dall'ambasciatore ateniese che secondo la tradizione la
trattò con gli inviati di Artaserse. L'accordo chiudeva ai Persiani l'accesso al mar Egeo, vietando alle
navi di superare il capo Chelidonia a sud e le isole Cianee a nord e interdice all'esercito persiano di
avvicinarsi alla costa occidentale dell'Asia Minore (l'area delle città greche) a una distanza inferiore
di tre giorni di marci; in sostanza nulla accadde dal punto di vista dei fatti perché il conflitto greco-
persiano aveva già cambiato teatro d'azione e intensità dopo il 478 e ancor più dopo la battaglia
dell'Eurimedonte. Si capisce così perché Tucidide non parli affatto di questo accordo: egli stesso ci

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dice che la trattazione della pentekontaetia è una trattazione sommaria e propedeutica alla
narrazione della Guerra del Peloponneso e un accordo che non avesse conseguenze rilevanti, anche
se formalmente chiudeva il secondo conflitto greco-persiano, poteva essere omesso. Se la Persia
con questo accordo rinunciava alla Ionia, Atene rinunciava alle mire espansionistiche sul
Mediterraneo orientale, che aveva manifestato con le imprese a partire dal 459. Dieci anni dopo
comincia un ripiegamento dell'imperialismo ateniese.
13.4.7 II GUERRA SACRA E NUOVI TONI DELL'IMPERIALISMO ATENIESE
Il ripiegamento successivo alla pace di Callia è pur sempre nel segno di un ruolo guida di Atene dal
punto di vista religioso e internazionale, come dimostrano i fatti della II guerra sacra: i Focesi
avevano occupato il santuario panellenico di Delfi, che pur trovandosi nel loro territorio non si
identificava con la Focide e i suoi interessi. Gli Spartani intervengono in favore di Delfi; Pericle
invece restituisce ai Focesi il controllo sul santuario.
Non è facile definire il rapporto causale tra questi eventi e l'iniziativa presa senza successo da
Pericle della convocazione di un congresso panellenico di tutti i Greci ad est del mar Ionio per
decidere della ricostruzione dei templi distrutti dai Persiani e dare compimento al giuramento
pronunciato durante la guerra, decidere della libertà di navigazione e del mantenimento della pace.
Anche se questa iniziativa è stata talvolta messa in dubbio insieme alla pace di Callia, appare chiaro
che Atene voglia esercitare ancora un ruolo panellenico.
Pesanti interferenze nei regimi interni delle città alleate hanno solo in zone molto vicine ad Atene,
come l'Eubea: altrove Atene ha una maggiore duttilità nei confronti dei regimi in atto. In Beozia, nei
cui affari Atene entra nel 457 in seguito ad uno scontro che aveva visto i Beoti alleati con Sparta, le
tradizioni politiche locali hanno forse imposto in un primo momento il rispetto da parte degli
Ateniesi; in seguito però anche in Beozia ci devono essere stati dei cambiamenti di regime in senso
democratico, come prova il fatto che un certo numero di esuli, presumibilmente della fazione
oligarchica, occupò Orcomeno, Cheronea e altre località beotiche cosa che provocò la reazione di
Atene: un contingente ateniese espugna Cheronea ma viene attaccato nel viaggio di ritorno dai
Beoti di Orcomeno, Locresi ed esuli Euboici. Alla sconfitta segue la liberazione della Beozia
dall'interferenza politica ateniese. Dello stesso segno la rivolta dell'Eubea che segue subito dopo;
Pericle si reca sull'isola, ma gli giunge la notizia della defezione di Megara, sostenuta da una
delegazione peloponnesiaca. L'attacco ad Eleusi si ferma per il pronto intervento di Pericle, che
sembra aver corrotto il re spartano Plistoanatte e il suo generale. Parata la minaccia spartana con la
cessione di Megara e dei suoi porti, ratificata però solo dalla pace trentennale stipulata nel 446/445,
Pericle torna in Eubea, doma la ribellione e caccia gli abitanti da Istiea sostituendoli con una
cleruchia ateniese. Calcide ed Eretria sono sottoposte a trattati che danneggiano fortemente
l'autonomia delle città. Atene diventa la portatrice della democratia, che però viene generalmente
esportata solo in zone vicine. A distanze maggiori l'irradiazione è meno sistematica.
Mentre il modello democratico si rafforza l'opposizione interna cresce; Pericle però è ancora in
grado di vincere, come dimostra l'ostracismo di Tucidide di Melesia nel 444/443. Nello stesso
periodo viene fondata, a poca distanza dall'antica Sibari, la colonia panellenica di Thurii. Sulle dieci
tribù, che rappresentano l'impronta attica più evidente, quattro richiamano Atene e il mondo ionico,
tre sono del Peloponneso non doricizzato (Arcadia, Acaia, Elide), due o forse tre rappresentano la
Grecia centrale (Anfizionica, Beotica, Doride metropolitana).
Entro l'impero navale i contorni della politica di dominio e della lotta ideologica si fanno sempre
più netti. Gli studiosi hanno spesso parlato di un imperialismo pacifico, che avrebbe preso il posto
di quello aggressivo tenutosi fino alla pace trentennale con Sparta. Secondo Musti invece è più
corretto parlare di un imperialismo più duro all'interno dell'impero che segua ad un periodo di
espansione indiscriminata.

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13.4.8 LA GUERRA DI SAMO
La ribellione di Samo e il conseguente intervento ateniese rappresentano un nuovo salto di qualità
nei rapporti interni alla Lega navale. L'occasione è offerta da un conflitto per il possesso del
territorio di Priene tra Mileto e Samo, entrambe facenti parte della Lega. Mileto chiede aiuto agli
Ateniesi; Pericle invia una flotta costituita da 40 triremi, si impadronisce di Samo (estate 441) e vi
instaura una democrazia. A marzo del 440 una rivolta riporta al potere gli oligarchici, cui danno
man forte Bisanzio, un certo numero di città della Caria e il satrapo di Sardi. Il nuovo intervento di
Pericle non è subito risolutivo. Lo sfondamento della flotta samia presso l'isola di Tragia, l'attesa,
poi risultata vana, di aiuti da Sparta e dalla Persia all'isola, sono i motivi principali della resistenza
dell'isola. Nel 439, al nono mese di assedio, Samo si arrende perdendo l'autonomia e il dominio su
Amorgo; le conseguenze certe sono numerosi esili, abbattimento delle mura, consegna della flotta e
pagamento delle spese di guerra. La tradizione vuole che, un anno dopo la repressione di Samo,
Pericle abbia tenuto un discorso in cui esaltava i caduti in guerra e si paragonava ad Agamennone
ritenendosi superiore a lui, in quanto Agamennone aveva assediato Troia per dieci anni, lui aveva
preso Samo in 9 mesi. Alla fine del discorso, sempre in base alla tradizione, Elpinice sarebbe
intervenuta invitandolo a non vantarsi poiché aveva fatto morire tanti Ateniesi e non, come Cimone,
combattendo contro i Fenici (Persiani→riferimento all'Eurimedonte) ma contro alleati e suggheneis.
Il discorso di Elpinice, evidentemente aneddotico, mette in evidenza la tradizione che vuole Cimone
giusto con gli alleati e Pericle terribile.
13.4.9 L'OPPOSIZIONE A PERICLE
Già prima della guerra del Peloponneso Pericle conosce un'opposizione di cui si citanoalmeno tre
episodi, cioè i processi a tra persone a lui piuttosto vicine: Anassagora, Aspasia e Fidia. Inoltre lo
stesso Pericle fu processato per malversazione.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato una parabola politica di Pericle, il quale sarebbe passato dall'essere
uno sfrenato demagogo a posizioni più moderate, che gli avrebbero attirato l'opposizione di
personaggi come Cleone. Questa ricostruzione si basa sulla testimonianza di Plutarco, che ha però
un aspetto autoschediastico, poiché presenta numerosi riscontri in altre interpretazioni plutarchee.
L'opposizione di Cleone è attestata da autori tardi; ma lo è altrettanto il suo sforzo di imitare Pericle
ed è difficile ammettere un mutamento radicale nei comportamenti di Cleone così come lo è per
quelli di Pericle; d'altronde nemmeno Tucidide accenna a questi cambiamenti. La politica di Pericle
sembra configurarsi come un complesso sistema, che innovò per alcuni aspetti e conservò per altri,
sistema che riscosse una forte opposizione conservatrice, la quale talvolta strumentalizza gli
atteggiamenti tipici della grande massa. In questa strumentalizzazione potrebbero individuarsi la
genesi dell'accusa di empietà rivolta ad Anassagora (filosofo di Clazomene, teorico del nous, amico
e maestro di Pericle), mossagli da Diopite, un chresmologos (raccoglitore e interprete di oracoli)
rappresentante di una religiosità retriva e tradizionalista. Le accuse sono molto simili a quelle che
verranno poi mosse a Socrate, ma Anassagora si sottrasse alla condanna abbandonando Atene e
rifugiandosi a Lampsaco (in Asia Minore presso l'Ellesponto). Ad Aspasia furono invece rivolte
accuse di empietà e mal costume, da cui fu salvata solo grazie all'intervento di Pericle; Fidia fu
accusato di aver rubato oro e avorio destinati alla statua di Atena Parthenos. Lo scultore morì in
carcere prima della condanna (secondo un'altra tradizione morì in Elide). L'accusa contro Fidia fu
portata avanti dal meteco Menone, il quale per decreto popolare ottenne l'esenzione dalle imposte.
Dietro le accuse a Pericle e al suo entourage ci sono, sembra, gruppi di conservatori, come
dimostrerebbe il fatto che questi processi si svolsero dopo il ritorno di Tucidide di Melesia
(433/432) dopo l'ostracismo inflittogli nel 443. l'opposizione a Pericle non dimostra un
cambiamento nel suo modo di fare politica, ma è una conseguenza diretta del tipo di forma politica
che è la democrazia. Pericle riesce comunque a restare al potere fino al 430 quando il popolo gli si
rivolta contro a causa degli eccessivi sacrifici richiesti dal conflitto ed egli è costretto a deporre la
strateghia, per poi essere immediatamente rieletto. Fu stroncato nel 429 dalla peste che aveva
colpito Atene.

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