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LE PERSECUZIONI DEI CRISTIANI A

ROMA: I RISULTATI DELLE INDAGINI


ARCHEOLOGICHE
1 novembre 2017 | Filed under: Articoli and tagged with: Catacombe, Chiesa cattolica, Colosseo,
Cristianesimo, Martiri, Persecuzione, Roma

di Pier Luigi Guiducci -

Nell’arco dei secoli si sono sovente confrontate tra loro due diverse correnti di pensiero. Da una
parte si presentava Roma come la città dei martiri. Dall’altra, si cominciò a mettere in
discussione il numero dei martiri, le loro storie fino a negare il martirio di cristiani nel Colosseo.
A questo punto, qual è la verità?

Nell’arco dei secoli si sono sovente confrontate tra loro due diverse correnti di pensiero. Da una
parte si presentava Roma come la città dei martiri (con riferimento al I-IV secolo). E si sviluppava
un culto che dalle catacombe si prolungava nelle chiese urbane dedicate a chi aveva testimoniato la
fede in Cristo fino allo spargimento del proprio sangue. Venne perfino costruita un’edicola sacra
all’interno dell’anfiteatro Flavio, e poi la piccola chiesa di Santa Maria della Pietà al Colosseo.
Dall’altra, si cominciò a mettere in discussione il numero dei martiri, le loro storie (contestando le
fontes) fino a negare completamente il martirio di cristiani nel Colosseo. Le conclusioni, in
definitiva, disegnavano ombre sugli studi cattolici e sulle consuetudini, e arrivavano a sollevare
ampie riserve sull’ubicazione del sepolcro dell’apostolo Pietro nell’ager Vaticanus.[1] A questo
punto, qual è la verità?

Le prime evidenze

Nel momento in cui le ricerche archeologiche hanno assunto caratteri sempre più scientifici, ci si è
resi conto di un fatto: l’antica Roma è stata anche una città di martiri cristiani. Si tratta, però, di
specificare meglio le risultanze degli scavi e degli studi condotti ad esempio nella necropoli posta
vicino all’antica via Cornelia, nelle catacombe (San Callisto, San Sebastiano, Sant’Ippolito,
Priscilla et al.), nelle chiese paleocristiane, al Palatino (graffito), nell’area del teatro di Balbo
(chrismon segnati su lucerne[2]), nel Colosseo[3] (graffito), nel cryptoporticus posizionato nella
zona compresa tra via Lucullo e via Friuli (area di proprietà dell’ambasciata USA; chrismon).

Roma nel I secolo dopo Cristo


Nel contesto delineato, occorre cercare di comprendere com’era Roma nel I
secolo dopo Cristo (nel periodo cioè delle persecuzioni neroniane). Partendo da un contesto
politico, è utile ricordare una prima successione di imperatori. Sono quelli della dinastia giulio-
claudia: Augusto (27 a.C.- 14), Tiberio (14-37), Caligola (37-41), Claudio (41-54) e Nerone (54-
68). Negli anni dell’ultimo imperatore non era stato ancora costruito né l’anfiteatro Flavio (inizio
lavori con Vespasiano nel 72 d.C., inaugurato con Tito otto anni dopo), né l’anfiteatro castrense
(risale agli inizi del III secolo d.C.). Esisteva il Circo Massimo (le prime installazioni in legno
risalirebbero al VI secolo a.C.) e il teatro di Balbo (13 a.C.). Sul piano religioso diverse norme
speciali garantivano la protezione del culto ebraico nell’Urbe. Gli Ebrei[4] erano esenti dal
partecipare al culto dell’imperatore. Questo avveniva non sul piano formale (perché a livello legale
non esisteva nessuna esenzione di questo genere), ma di fatto. Le autorità si accontentavano di una
forma di omaggio indiretta. Quest’ultima, si manifestava nelle iscrizioni in formule come “Deo
aeterno pro salute Augusti” (si trovano ad es. nella sinagoga ad Ostia), e simili. Unitamente a ciò gli
ebrei erano dispensati dal dovere di festeggiare le festività pagane, salvo quelle in onore
dell’imperatore (ma erano esenti dalle manifestazioni cultuali). Nell’ambito del sistema viario, i
romani avevano costruito più percorsi. Tra questi, ai fini del presente studio, si ricordano la via
Clodia (orientata verso la Toscana), la via Triumphalis (conduceva a Veio) e la via Cornelia (verso
Caere – Cerveteri).

La via Cornelia

Le vie romane servivano principalmente per fini militari e commerciali, ma anche per facilitare in
genere i collegamenti tra zone diverse dell’impero. Ai lati di queste strade si trovavano di frequente
monumenti, trofei, horti[5], abitazioni di vario tipo. Vi erano pure posizionate delle aree mortuarie.
Qui, venivano sepolte persone di ogni ceto sociale. La via Cornelia, in particolare, attraverso
la Porta Cornelia (posizionata in prossimità del ponte Elio), si lasciava alle spalle l’Urbe e si
snodava verso ovest, lungo il muro settentrionale del Circo di Nerone. Proprio in quel tratto iniziale
era posizionata anche una necropoli.[6]

Il Circo di Nerone

Quello che viene denominato Circo di Nerone fu in realtà un progetto realizzato nel 37 d.C.
dall’imperatore Caligola[7]. Quest’ultimo, per segnarne la spina, fece collocare un obelisco egizio
prelevato da Alessandria d’Egitto dove decorava il Forum Julii. L’ippodromo per un lungo periodo
fu adibito ad uso privato e non pubblico. L’opera venne realizzata nell’area degli ‘Horti di
Agrippina’. La proprietaria del terreno era infatti la madre di Caligola, Agrippina Maggiore.[8]
Quando quest’ultima morì, il possedimento passò in eredità a Nerone (33 d.C.). Questi, fece
ristrutturare il Circo. La struttura, in gran parte di legno con murature leggere integrate con opere di
giardinaggio, rimase sempre una proprietà privata. Comunque, in talune occasioni, l’imperatore
utilizzava il Circo per rendersi popolare con la gente dell’Urbe. Ai ‘giochi’ del tempo (specie corse
di cavalli, bighe e quadrighe) potevano così assistere i cittadini controllati da militari. L’imperatore
era invece protetto dai pretoriani (guardia del corpo).
Il sistema carcerario del tempo

Ricostruzione del carcere Tullianum

L’ordine pubblico a Roma era controllato dalla corte pretoria (la comandava un prefetto) e dalla
corte urbana (agli ordini di un prefetto urbano). In seguito, nell’ambito dell’organizzazione militare,
furono istituiti tra il II e il III secolo i ‘frumentarii’. Si trattava di guardie che procedevano agli
arresti. Provenivano dalle legioni. Svolgevano un servizio di sicurezza e di spionaggio. Le persone
che erano colpevoli di reati erano rinchiuse in luoghi di segregazione. Per i nemici dello Stato
esisteva un carcere chiamato Tullianum (in seguito ‘Mamertino’), a ridosso della Via Sacra nel
Foro. Esistevano poi diverse altre carceri pubbliche sulle quali la documentazione rimane
deficitaria. La conferma della loro esistenza si ricava anche da un brano del politico e giurista
Ulpiano (morto nel 228 d.C.) che riporta un rescritto dell’imperatore Adriano, quando quest’ultimo
si stava occupando di formalizzare i regolamenti per la gestione dei carcerati. Il brano, in
particolare, riguardava i pannicularia, cioè la gestione degli effetti personali dei carcerati. Inoltre,
dall’inizio del III sec. d.C. esistevano dei funzionari (i commentarienses) che avevano compiti di
polizia penitenziaria.

L’incendio del 64 d.C.

Nella notte tra il 18 e il 19 luglio del 64 d.C. nella zona del Circo Massimo scoppiò un violento
incendio.[9] Non fu possibile spegnere le fiamme in tempi brevi. Questa calamità durò sette-otto
giorni. Diverse regioni (quartieri) di Roma furono colpite (alcune distrutte). A questo punto si
crearono dei gravi problemi. Da una parte era alto il numero di persone rimaste senza casa.
Dall’altro, era necessario assistere i cittadini colpiti dall’evento nelle loro necessità primarie, e
provvedere a una ricostruzione di più aree urbane. Quando si verificò il dramma Nerone non era
nell’Urbe (stava ad Anzio). Una volta informato, raggiunse la capitale e dette ordine di organizzare
i soccorsi. Furono messe a disposizione degli abitanti di Roma zone ove alloggiare (sia pure in
modo precario), e ci si preoccupò di distribuire viveri. Malgrado tali interventi (ai quali si
aggiunsero nuovi criteri edilizi), si diffuse tra la popolazione la convinzione che l’incendio era di
natura dolosa. In molti pensavano a una strategia mirata: far crollare il valore di vaste aree cittadine
con successivo loro acquisto a basso prezzo. L’ideatore di tale piano fu individuato nello stesso
Nerone. Era noto infatti che il monarca intendeva farsi costruire un grande palazzo non lontano dal
Palatino.[10]

Le accuse ai cristiani

I rapporti trasmessi all’imperatore informavano delle tensioni esistenti tra la popolazione. Si


profilava il rischio di una rivolta (fatto non inusuale nell’Urbe[11]). Per evitarla era necessario
trovare un capro espiatore. Non si potevano accusare i senatori. La nobiltà era intoccabile.
L’esercito era da tutelare. Esistevano poi diverse comunità protette. Tra queste quella degli ebrei
(presenti a Roma dal II secolo a.C.). Allora chi colpire? Furono così individuati i cristiani.
Costituivano infatti l’anello più debole della catena. Limitati nel numero, non presenti in posti di
potere, erano stati accusati in più occasioni di comportamenti non degni di un cives romanus
(riunioni segrete con fini immorali). Per diverse persone del tempo era arrivata l’occasione per
neutralizzare una setta di individui che gli ebrei rigoristi consideravano eretici. I cristiani, infatti,
provenivano dal mondo ebraico (di cui avevano conservato alcune usanze) ma, in modo graduale, si
stavano allontanando dal mondo della sinagoga per professare una diversa dottrina (cristocentrica) e
per celebrare dei nuovi riti (Fractio panis).

Gli arresti e i processi

Cominciarono a questo punto gli arresti e le detenzioni. Ma i militari come riuscirono a individuare
i cristiani, visto che questi non avevano segni distintivi? Qualche accertamento, probabilmente, era
stato fatto in occasione del precedente provvedimento dell’imperatore Claudio[12] che espulse
(momentaneamente) i Giudei da Roma “impulsore Chresto” (49 d.C.). In questo caso, però, non si
fece una netta distinzione tra ebrei e cristiani. Quest’ultimi, infatti, non erano ritenuti membri di una
religione autonoma ma parte integrante dell’ebraismo (setta minoritaria). Nel 68 d.C., al contrario,
avvenne un fatto nuovo. Furono catturati i cristiani ma non gli ebrei. Viene da chiedersi: come
fecero le autorità del tempo a distinguere esattamente i cristiani dagli ebrei? Riguardo a questo
interrogativo esistono più ipotesi. Una delle tesi evidenzia il fatto che – in precedenza – ebrei
ortodossi, non potendo condannare i seguaci di Cristo, erano ricorsi ai tribunali del tempo.
L’iniziativa, però, non aveva avuto l’esito sperato perché i romani in materia religiosa erano
tolleranti, non interessati ai confronti teologici. Comunque, dalle denunce, risultavano dei nomi con
l’indicazione delle abitazioni. Un’altra tesi preferisce indicare una possibile azione di delatori. I
potenti del tempo avevano una rete di informatori (anche infiltrati). In tale contesto, in tempi che si
ritiene diversi, subirono l’arresto anche gli apostoli Pietro e Paolo. La tradizione successiva ha
voluto indicare nel carcere Tullianum (poi Mamertino) il luogo di detenzione degli apostoli. Ma gli
storici rimangono in genere di diverso avviso. Tale edificio era riservato ai nemici dello Stato.
Pietro, umile pescatore di Galilea, non poteva essere considerato nemico dello Stato. Inoltre, Paolo
era cives romanus. Si trovava già sotto custodia (cf ‘Atti degli Apostoli’). E dopo la seconda
condanna venne, quasi sicuramente, scortato direttamente dal tribunale al luogo del supplizio (in
località Aquae Salviae).

L’esecuzione di Pietro

Sulle modalità dell’uccisione di Pietro non esistono resoconti contemporanei. Il fatto che fosse stato
crocifisso a testa in giù risale a documenti successivi (non in sintonia con la prassi romana).
Permangono piuttosto degli interrogativi: 1) dove vennero posizionati i pali destinati ai condannati?
2) Che fine facevano i corpi degli uccisi? 3) Dove Pietro ebbe la prima sepoltura?
1) Per rispondere al primo quesito è utile ricordare due punti:
- i romani avevano l’abitudine di crocifiggere i condannati lungo le strade più importanti del tempo
(specie quando si trattava di nuclei di individui). Si pensi, ad esempio, a quanto avvenne dopo la
repressione della rivolta di Spartaco e dei suoi gladiatori (73-71 a.C.);
- l’agonìa dei condannati, i loro tormenti, le grida, il sangue: tutto doveva essere osservato a
distanza ravvicinata. La gente del tempo aveva uno ‘spettacolo’ da vedere, ma memorizzava anche
un ‘memento’, un messaggio: chi andava contro lo Stato avrebbe ricevuto ‘quel’ trattamento.
Tenendo conto di ciò, si può presumere una crocifissione dei cristiani soprattutto nel primo tratto
della via Cornelia. In tale contesto, è da escludere un posizionamento dei pali ‘dentro’ il Circo di
Nerone perché quest’ultimo era un’area caratterizzata da una simbologia astralogica[13], oppure sul
colle Gianicolo (non avrebbe consentito un’osservazione ‘de visu’ delle agonìe legate alla crucifixio
o alla vivi crematio (damnatio ad flammas).[14]
2) Per rispondere al secondo quesito è necessaria una premessa:
- esisteva una damnatio memoriae nei casi più eclatanti (personaggi politici apicali caduti in
disgrazia);
- chi era condannato a morte con accuse infamanti aveva come prospettiva una fossa comune
anonima (i cristiani furono addirittura accusati di odiare il genere umano);
- in talune realtà minori la salma del condannato era restituita a possibili richiedenti.
Nel caso dell’apostolo Pietro si trattava di una persona anonima per il potere del romano. Era
inserito in un gruppo di condannati accusati di avere in odio il genere umano. Venne quindi trattato
come un qualunque malfattore. Inoltre la sua agonìa non ebbe alcun conforto perché le guardie del
tempo consentivano di osservare i crocifissi ma non di avvicinarsi a loro.
3) Per rispondere al terzo quesito è necessario tener presente alcune criticità:
- per recuperare la salma del martire era necessario interagire con chi era preposto alla sorveglianza;
- per deporre il corpo di Pietro in un luogo capace di rispettare la memoria si dovevano evitare le
guardie che circondavano l’area del Circo (presenti specialmente nei pressi del ponte di Nerone).
Considerando quindi il contesto indicato, la scelta non poté che orientarsi su una prassi diffusa
(pagare i soldati per riprendere il corpo del martire). Si individuò contemporaneamente un punto (il
più vicino possibile) adatto a scavare una buca (per deporre la salma). Utilizzando la necropoli
pagana della via Cornelia non si perse tempo e si riuscì a non attirare l’attenzione di qualche
possibile delatore. La tomba di Pietro rimase in quel periodo molto povera per più motivi: per
l’urgenza di seppellirlo (lo scavo fu poi coperto con un tetto di mattoni, ‘a cappuccina’), e per la
persecuzione che proseguì ancora per qualche anno solo all’interno delle mura dell’Urbe.

Gli eventi successivi

Le persecuzioni neroniane si protrassero oltre il 64 d.C. I cristiani non furono quindi eliminati in
un’unica occasione. La logica sottesa a tale fatto è che occorreva dimostrare al popolo (rimasto
senza un’abitazione) che la politica governativa continuava ad essere inflessibile verso chi si era
reso colpevole di gravi reati. In tale contesto, si comprende allora la tendenza degli storici a
collocare la decapitazione di san Paolo intorno al 67 d.C. Solo quando il Cristianesimo divenne una
religione non avversata dall’imperatore (accordo di Milano del 313 d.C. tra Costantino e Licinio) si
poté sviluppare un culto pubblico ai martiri (i cui sepolcri rimanevano comunque noti). Tale
orientamento fu caratterizzato da processi di memoria (traditio e scritti) e da momenti liturgici
(celebrazioni).[15] Tra il 318 e il 322 venne edificata la basilica di San Pietro. Da questo momento
in poi si snoda una storia secolare. Negli anni compresi tra il 1939 e il 1949 furono eseguiti
nell’area sottostante la basilica vaticana di San Pietro una serie di scavi che consentirono di
individuare una necropoli[16] e il sepolcro dell’apostolo Pietro. In seguito, l’epigrafista Margherita
Guarducci, studiò (1952-1965) un muro, posizionato accanto al succitato sepolcro, caratterizzato da
un elevato numero di graffiti.[17]

Le evidenze archeologiche

Dagli studi succitati emersero una serie di dati non deboli:


- per costruire la basilica costantiniana non si utilizzò (come sarebbe stato ovvio, e sicuro per la
solidità della nuova costruzione), lo spazio piano tra Gianicolo e Vaticano (che era stato occupato
dal Circo), ma si volle fare corrispondere il punto centrale della basilica, all’intersezione tra navata
centrale e transetto, con la sepoltura dell’apostolo;
- non utilizzando lo spazio piano succitato, si dovette affrontare un gravoso lavoro ingegneristico.
Fu necessario realizzare una vasta piattaforma artificiale, da un lato tagliando le pendici del colle
Vaticano, dall’altro seppellendo e utilizzando come fondamenta le strutture della necropoli
sviluppatasi lungo il lato settentrionale del circo tra I e IV secolo. Ciò poteva essere motivato solo
da una ragione di particolare importanza (sepolcro di Pietro);
- l’asse di simmetria dell’intera basilica costantiniana coincide con quello del parallelepipedo fatto
edificare dall’imperatore per proteggere la tomba di san Pietro e il muro dei graffiti;
- la posizione della fossa dell’apostolo rimane anomala rispetto alla collocazione delle tombe del
tempo. Tale fatto attesta la fretta dello scavo, la povertà dei mezzi, e l’esigenza di un luogo
abbastanza nascosto;
- in seguito, vennero posizionate varie tombe vicino al sepolcro di san Pietro. Tali lavori,
comunque, rispettarono sempre l’area prospiciente il punto di sepoltura dell’apostolo;
- il ritrovamento di una colonnina, sopra la tomba di Pietro, conferma quanto già indicato dal
presbitero romano Gaio in uno scritto indirizzato all’eretico Proclo. Quest’ultimo, seguace del frigio
Montano, vantava la presenza a Ierapoli di Frigia della tomba dell’apostolo Filippo. Affermava
Gaio: “Io posso mostrarti i trofei [tà trópaia] degli apostoli [Pietro e Paolo]. Se vorrai recarti nel
Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa [di Roma]”
(Eusebio, Historia ecclesiastica II, 25, 7);[18]
- su un piccolo frammento di intonaco (cm 3,2 x 5,8), proveniente dal cosiddetto “muro rosso” sul
quale si addossò l’edicola, vennero incise le seguenti lettere greche: PETR[...] ENI[...]. Il graffito è
stato interpretato con la frase “Pétr[os] enì” (= Pietro è qui), oppure, sempre nella prospettiva della
presenza di Pietro, con un’invocazione a lui rivolta: “Pétr[os] en i[réne]” (= Pietro in pace);
- nel ‘muro dei graffiti’ (della metà del III secolo), posto accanto al sepolcro di Pietro, si legge il
nome di Pietro in forma monogrammatica. L’epigrafista Guarducci interpretò i graffiti come
invocazioni di pellegrini per i propri defunti, rivolte a Cristo, Maria e Pietro;
- nel mausoleo pagano dei Valerii (non distante dalla tomba di san Pietro) è stata individuata (e
fotografata) un’epigrafe (seconda metà III secolo) con una preghiera all’apostolo Pietro: “Petrus
roga Iesus Christus pro sanc(tis) hom(ini)b(us) chrestia(nis) (ad) co(r)pus tuum sepultis”.[19]
- la Guarducci, attraverso il signor Giovanni Segoni (un operaio della ‘Fabbrica di San Pietro’), poté
anche acquisire una cassetta contenente delle ossa umane. Quest’ultime, erano state ritrovate in un
loculo del “muro rosso”. Risultarono (analisi del prof. Correnti) pertinenti a un solo uomo, di
corporatura robusta, morto in età avanzata. Erano incrostate di terra e mostravano di essere avvolte
in un panno di lana colorato di porpora e intessuto d’oro[20]; rappresentavano frammenti di tutte le
ossa del corpo ad esclusione di quelle dei piedi;[21]
- sotto l’attuale altare papale si trovò una successione di monumenti e di altari: uno sotto l’altro, uno
dentro l’altro. Ciò significava che quel luogo (“della Confessione”) era stato da secoli oggetto del
culto di Pietro. 

La tomba dell’apostolo Paolo

San Paolo, catacomba di Santa Tecla

Dopo i ritrovamenti avvenuti presso l’antica necropoli della via Cornelia (attualmente posizionata
sotto la basilica vaticana di San Pietro), è stato possibile effettuare una serie di indagini anche
nell’area ove venne sepolto san Paolo. In particolare, nel sarcofago dell’apostolo è stata praticata
una perforazione per inserire una speciale sonda mediante la quale sono state rilevate tracce di un
prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato di oro zecchino e di un tessuto di colore
azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani di incenso rosso e di
sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del
carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona
vissuta tra il primo e il secondo secolo. In seguito, nel 2009, presso le catacombe di Santa Tecla,
posizionate vicino all’attuale basilica romana di San Paolo fuori le Mura, è stato ritrovato un dipinto
(fine IV sec.) che raffigura il volto dell’apostolo san Paolo. Quest’ultimo è rappresentato con
l’aspetto di un filosofo, lo sguardo pensoso, la fronte alta, la calvizie incipiente, la barba appuntita.

L’immagine di Pietro e Paolo

Pietro e Paolo, catacomba di sant’Ippolito

La raffigurazione degli apostoli Pietro e Paolo è stata individuata in diverse catacombe (es. in quella
dei santi Marcellino e Pietro, lungo l’antica via Labicana oggi via Casilina). Di particolare interesse
è pure la lastra sepolcrale marmorea ritrovata nella catacomba di Sant’Ippolito. Tale reperto
colpisce per la sua semplicità. L’autore, infatti, rappresentando i volti delle due ‘colonne della
Chiesa’, ha inteso presentare due volti che non attestano ‘autorità’ ma ‘fraternità’. Tale
impostazione dell’opera la si può comprendere in base a due motivi. Da una parte, la realtà della
Chiesa di Roma, in quel momento, non aveva ancora sviluppato un’articolata dottrina riconducibile
agli insegnamenti (comunque già diffusi) dei due apostoli. Dall’altra, si è voluto evidenziare una
‘vicinanza’ dei due testimoni di Cristo per evidenziare il fatto che, dopo il ‘Concilio di
Gerusalemme’ del 46 d.C. (ove emerse una discordanza di posizioni tra Pietro e Paolo sul tema
della circoncisione), le due ‘colonne’ dell’Urbe avevano operato in unità d’intenti.

I ritrovamenti. Le invocazioni agli apostoli Pietro e Paolo

Nelle indagini condotte presso le catacombe romane di San Sebastiano (fine Ottocento / Novecento)
venne individuato anche un semplice e quasi dimesso cortile porticato su tre lati (triclia). Dagli anni
250-260 d.C. e fino a circa il primo decennio-ventennio del IV secolo (cioè fino alla costruzione
della basilica costantiniana che vi si sovrappose), tale luogo fu molto frequentato. I visitatori erano
richiamati da una tradizione che in quel sito aveva fissato una memoria degli apostoli Pietro e
Paolo. Le infrastrutture della triclia (pozzo, canalizzazione, banchi in muratura), e soprattutto le
circa cinquecento iscrizioni graffiate sull’intonaco delle pareti, indicano in questo ambiente un
centro di culto funerario. I cristiani vi consumavano il pasto rituale del refrigerium. E lasciavano
testimonianza scritta di un atto devozionale compiuto in onore di Pietro e Paolo. Tale venerazione è
legata un motivo storico. Nel 250 d.C., durante la persecuzione dei cristiani voluta dall’imperatore
Valeriano, le salme dei due apostoli vennero collocate nell’area delle catacombe di San Sebastiano.
In tal modo furono protette da profanazioni. Dopo cinquanta anni, le reliquie dei due martiri
tornarono nei sepolcri di origine.[22]

I ritrovamenti. ‘Alessameno adora Dio’


Il graffito “Alessameno adora Dio”, Antiquarium del Palatino

Nel 1856, durante una campagna di scavi al Palatino, presso l’edificio denominato ‘Paedagogium’
(luogo di preparazione dei servitori che lavoravano nel palazzo imperiale), fu rinvenuto un graffito
particolare (prima metà del III secolo d.C.). Si tratta di un uomo crocifisso con la testa di asino. In
basso, alla sua sinistra, una figura maschile lo guarda. Tra le due figure una frase in greco:
“Alessameno adora dio”. Tale ritrovamento fece fin dall’inizio comprendere che si era in presenza
di una testimonianza storica significativa. Attestava infatti, nel generale clima persecutorio del
tempo, comportamenti derisori verso i cristiani. Osservando l’immagine si possono estrapolare dei
dati:- il reperto conferma l’accusa rivolta ai cristiani di adorare una testa di asino (cf ad es.
Tertulliano: Ad Nationes., I, 14,1);- la posizione del crocifisso è di tipo dispregiativo (la figura è
osservata dalla parte posteriore);- le posizioni delle mani di Alessameno (una in alto e una in basso)
accentuano l’elemento derisorio;- il tipo di tunica indossata da Alessameno riconduce a quella dei
servitori che lavoravano nei palazzi dei nobili (ciò attesta la presenza di cristiani tra quanti
lavoravano nel palazzo imperiale e in sedi adiacenti).

I ritrovamenti. Le iscrizioni di Papa Damaso

Mentre nel periodo avverso alla nuova religione si univano alle azioni oppressive scritti oltraggiosi
e blasfemi, in tempi successivi fu possibile promuovere un’azione mirata a esaltare la testimonianza
dei martiri, e a individuare i luoghi della loro sepoltura. Rilevante in merito fu l’iniziativa di Papa
Damaso I (santo; pontificato: 1° ottobre 366 – 11 dicembre 384). Egli compose pure un certo
numero di brevi epigrammi su vari martiri e santi, e degli inni (Carmina). Nel corso di alcune
indagini venne individuato nelle catacombe di San Sebastiano anche l’epigramma dedicato al
martire romano Eutichio. Si riporta qui di seguito il testo.
“Eutichio martire i crudeli ordini del tiranno
non meno che i mille modi di far male dei carnefici
poté allora vincere e lo mostrò la gloria di Cristo.
Allo squallore del carcere segue nuovo tormento per le membra;
frammenti di coccio fan sì che il sonno non venisse;
dodici giorni passarono, non gli dan nulla da mangiare;
e gettato in una voragine il santo sangue lava
tutte le ferite inferte dal tremendo potere di morte.
Di notte nel sonno turban dei sogni la mente,
indica quale luogo nascondesse le membra del santo.
Si cerca, e trovato si venera, protegge, concede ogni cosa.
Damaso ne ha celebrato il merito, tu venera il sepolcro”.[23]
Il testo è significativo sul piano storico perché fornisce alcuni dati: 1) l’esistenza di carceri ove i
prigionieri attendevano la sentenza; 2) il degrado ambientale degli ambienti riservati a chi era
sottoposto a misura detentiva; 3) la privazione del cibo; 4) la collocazione dei perseguitati in una
“voragine” (simile a quella del ‘Tullianum’).
Il verbale del processo a san Giustino e compagni (II sec.)

Se il ritrovamento delle epigrafi è stato significativo sul piano storico (individuazione dei martiri
sepolti), anche la conservazione di Acta riguardanti i processi contro alcuni cristiani rimane utile
perché (pur talvolta con aggiunte successive) fornisce diversi dati. Tra gli Atti, si ricorda il processo
(presieduto a Roma dal prefetto Quinto Giunio Rustico[24]) al martire Giustino e ai suoi compagni.
Attualmente gli studiosi possono utilizzare e analizzare tre fonti (A,B,C).[25] Si riporta qui di
seguito l’interrogatorio (fonte A):
“(…) il prefetto domandò a Giustino: “Che genere di vita conduci”.
Rispose Giustino: “Irreprensibile e incensurabile da chiunque”.
(…) “Quali principî pratichi?”.
(…) “Ho cercato di apprendere tutti i principî, ma ho aderito a quelli veritieri dei cristiani, anche se
essi non trovano il consenso di quanti hanno false opinioni”.
(…) “Sono quelli dunque i principî che trovano il tuo consenso?”.
(…) “Sì, poiché vi credo”.
(…) “Di che credenza si tratta?”.
(…) “Quella che ci rende devoti al Dio dei cristiani, che riteniamo unico e originario autore della
creazione del mondo intero, e al figlio di Dio Gesù Cristo, la cui venuta quale araldo della salvezza
degli uomini e maestro di virtuosi precetti già era stata annunciata dai profeti. Ma riterrei di far torto
alla sua divinità se dicessi di riconoscerlo quale mero profeta, poiché già è stato annunciato che
costui, del quale ho detto, è il Figlio di Dio. Sappi infatti che da tempo i profeti hanno predetto la
venuta del Figlio di Dio tra gli uomini”.
(…) “Dove vi riunite?”.
(…) “Dove ciascuno vuole o può.[26] Credi forse che sia possibile riunirci tutti nello stesso
luogo?”.
(…) “Suvvìa, dove vi riunite? In quale posto?”.
(…) “Da quando sono tornato per la seconda volta[27] nella città dei romani, abito presso un certo
Martino, sopra i bagni di Timiotino[28], non conosco nessun altro luogo di riunione se non quello.
Se qualcuno voleva venire a trovarmi, lo mettevo a parte dei principî della verità”.
(…) “Insomma, sei cristiano?”.
(…) Sì, sono cristiano”.
Il prefetto Rustico domandò a Caritone: “(…) anche tu sei cristiano?”.
(…) “Sono cristiano, per comando di Dio”.
Il prefetto Rustico si volse a Carito: “ A te la parola, Carito”.
(…) Sono cristiana, per dono di Dio”.
Il prefetto Rustico domandò a Evalpisto: “E tu, che cosa sei?”.
(…) Anch’io sono cristiano e partecipo della medesima speranza”.
Il prefetto Rusticò domandò a Ierace: “Sei cristiano?”.
(…) Sì, sono cristiano, e venero il medesimo Dio”.
Il prefetto Rustico domandò: “È stato Giustino a farvi diventare cristiani?”.
Rispose Ierace: “Lo ero da tempo”.
Peone si levò e disse: “Anch’io sono cristiano”.
Rustico domandò: “Chi ti ha istruito?”.
Rispose Peone: “ Me l’hanno trasmesso i miei genitori”.
Evelpisto disse: “Ascoltavo volentieri la parola di Giustino, ma è stato dai miei genitori che ho
preso l’esser cristiano”.
Rustico domandò: “Dove sono i tuoi genitori?”.
(…) “In Cappadocia[29]”.
Rustico a Ierace: “E i tuoi genitori dove sono?”.
“(…) Sono morti. Quanto a me, da parecchio tempo sono venuto via dalla Frigia[30]”.
Rustico domandò a Liberiano: “Non sarai cristiano anche tu?”.
“(…) Sono anch’io un devoto cristiano”.
Il prefetto fa a Giustino: “Se sarai fustigato e decapitato, credi che salirai in cielo?”.
“(…) Confido di ottenerlo con la mia perseveranza, se non cesso di perseverare. So che questo è
riservato a quanti hanno vissuto rettamente, ma solo alla conflagrazione[31] del mondo”.
“(…) Comunque pensi che salirai in cielo?”.
Rustico disse: “Se non obbedite, sarete giustiziati”.
Ribatté Giustino: “ È nei nostri voti di essere salvati, una volta giustiziati”.
Rustico sentenziò: “Quanti non hanno voluto sacrificare agli dei siano fustigati e condotti
all’esecuzione secondo la procedura di legge”.
I santi martiri, rendendo gloria a Dio, vennero al luogo solito delle esecuzioni[32] (…)”.
Questo testo è importante perché: 1] è possibile sapere che Peone ed Evelpisto erano cristiani fin
dall’infanzia; che Evelpisto era discepolo di Giustino; che Evelpisto e Ierace provenivano dall’Asia
Minore. Non si possiedono informazioni su questi martiri all’infuori del documento cit.. 2] Peone
probabilmente si era alzato tra il pubblico per unirsi agli imputati. 3] Prima dell’esecuzione della
condanna era costume flagellare i criminali condannati.

Santa Cecilia (III sec.)

Il luogo ove venne ritrovato il corpo di santa Cecilia, catacombe di san Callisto.

Nel contesto delineato, le indicazioni fornite da Papa Damaso (cit.), unitamente ad altre fonti quali
la traditio e gli Acta (cit.), sono state molto utili per le diverse indagini effettuate ‘in loco’.
Quest’ultime sono riuscite a verificare più dati riguardanti un numero non debole di martiri. Si
ricorda, al riguardo, lo studio del sepolcro della martire Cecilia nelle catacombe di San Callisto.[33]
Il corpo della santa venne poi traslato all’interno dell’Urbe.
Dal 1977 Neda Parmegiani e Alberto Pronti hanno eseguito nel titulus trasteverino di Santa Cecilia
accertamenti e rilievi accurati delle strutture sotterranee accessibili, e saggi stratigrafici. Tra i
risultati, si ricorda l’accertamento di un ambiente termale in ottimo stato di conservazione proprio
sotto la cappella ove la tradizione religiosa indicava il calidarium in cui la santa titolare patì il
martirio. Tale fatto imprime ulteriore forza a qualche aspetto topografico della complessa
narrazione agiografica.

Santa Agnese (fine III sec., inizio IV)


Il luogo dove forse fu uccisa santa Agnese.

La più antica testimonianza letteraria che ricorda la figura di Santa Cecilia (11-13 anni) è contenuta
nel primitivo documento della Chiesa romana, anteriore al 336, chiamato Depositio Martyrum. Il
testo in questione ricorda che il dies natalis di Agnese (cioè il giorno del martirio e quindi della
successiva nascita alla vita eterna) era il 21 gennaio.
Il corpo della martire venne posizionato in una galleria al primo piano delle catacombe che da lei
presero poi il nome [34]. Il cranio (e il resto delle ossa) venne successivamente spostato (al più tardi
nel corso del IX secolo) nel Sancta Sanctorum in Laterano.
In seguito, Papa Pio X (1903-1914) donò la reliquia alla chiesa di Sant’Agnese in Agone (nei cui
sotterranei è situato quello che è ritenuto il presunto luogo del martirio dell’adolescente), in piazza
Navona, a Roma.

San Sebastiano (III sec.)

Militare romano, Sebastiano venne ucciso perché cristiano. Un dato storico certo è l’inserimento del
suo nome nella Depositio martyrum, il più antico calendario della Chiesa di Roma (risalente
al 354). Tale fatto ne testimonia il culto sin dai primi secoli. Anche se non è facile ricostruire i
diversi momenti del suo martirio, si è propensi a pensare a una condanna a morte avvenuta
attraverso una trafittura con frecce. Nei secoli successivi, molti pittori e scultori vollero
‘rappresentare’ il martirio di questo soldato presentandolo vestito di poche vesti, di bella presenza,
con tratti a volte quasi femminei. Si diffuse così, in taluni ambienti, l’opinione che Sebastiano fosse
gay. E alcuni vollero indicarlo come ‘patrono’ degli omosessuali. In realtà furono lasciati
nell’ombra alcuni dati storici rilevanti che qui di seguito si riassumono:
- tutti i condannati a morte erano spogliati delle vesti;
- i commilitoni del militare dovevano a turno scagliare delle frecce per dimostrare la propria fedeltà
all’imperatore;
- l’agonia del condannato veniva prolungata colpendo parti del corpo non vitali; si trattava di una
tortura: la persona soffriva per il dolore e perdeva sangue, ma non moriva in tempi rapidi.

San Lorenzo (III sec.)

Il martirio di questo diacono (10 agosto 258) avvenne dopo l’uccisione del Papa Sisto II, mentre
Daciano era il prefetto di Roma. Non vi sono dubbi sull’esistenza del santo, sul fatto e sul luogo del
suo martirio e sulla data della sua sepoltura. La salma di Lorenzo venne deposta in una tomba
vicino alla via Tiburtina, in un terreno di proprietà della vedova Ciriaca. Dalle fonti rimaste si
deduce che esisteva a Roma una rete di assistenza. Il 19 luglio del 1943 un bombardamento aereo
rovinò la basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Un’opera di ricostruzione permise, comunque, di
riedificare le parti andate distrutte. Nella catacomba di San Lorenzo (o di Ciriaca; distribuita su
cinque livelli) vennero in seguito scoperti (1947-1949) i santuari di altri due martiri, Abbondio ed
Erennio.

I ritrovamenti. Il nome di Pietro nel presbiterio costantiniano

Nel 1999 è stata ritrovata un’iscrizione di cantiere recante il nome di Pietro, rinvenuta sulla pedana
del presbiterio dell’antica basilica romana di San Pietro (databile tra il 319 e il 326 d.C.). La scritta
tardo-latina “At Petru” (‘ad Petrum’) è un accusativo di luogo che indica la destinazione della pietra
per la tomba del primo Papa.[35] L’eccezionalità dell’iscrizione sta nel fatto che reca il nome
dell’apostolo per intero, inciso in forma chiara e completa, con lettere alte circa 5 cm, e che si pone
a poco più di due metri dal trofeo di Gaio, cioè dalla tomba di Pietro.
I ritrovamenti. Il chrismon nel cryptoporticus degli Horti Sallustiani

Il cryptoporticus accanto al garage dell’ambasciata USA a Roma.

Gli Horti di proprietà di Gaio Sallustio Crispo (86-34 a.C.; storico e senatore), erano costituiti da
una villa suburbana e da giardini. Nella vasta area di verde c’erano padiglioni, porticati, statue,
fontane, templi (uno dedicato a Venere Ericina), criptoportici, terme e ninfei. Nel 20 d.C l’intera
zona fu acquisita dal demanio imperiale. Negli anni di Adriano (117-138), gli Horti vennero
arricchiti e ampliati. Aureliano (270-275) vi costruì un ippodromo. Le criticità ebbero inizio con il
‘sacco di Roma’ (410). Da quel momento iniziò una fase di decadenza.[36] La parte più conosciuta
degli Horti Sallustiani si trova presso piazza Sallustio (14 metri al di sotto del piano stradale).
Consiste in un edificio (visitabile) che risale al periodo adrianeo, formato da un’aula circolare di 11
metri di diametro e 13 di altezza, sulle cui pareti si aprono due serie di nicchie.[37] Quasi
certamente, il grande padiglione era una coenatio estiva. A seconda del numero degli ospiti si
poteva utilizzare o meno una sala posteriore. La datazione di questo ambiente (desunta dai bolli
laterizi) è posteriore al 126 d.C. Arretrato rispetto all’ingresso del corpo centrale del complesso, in
direzione nord, un edificio a più piani è stato identificato come un’insula di tipo signorile. Sono
visibili tre locali, alcuni dei quali con mosaici a tessere bianche e nere e resti di affreschi, oltre ad
una latrina.
Altre evidenze appartenenti ad edifici facenti parte degli Horti sono: un’imponente cisterna (epoca
adrianea) realizzata su due piani[38], e un cryptoporticus affrescato (nel garage dell’ambasciata
americana sul lato prospiciente via Friuli). Infine, lungo via Lucullo, è visibile un muro a nicchie.
Il cryptoporticus, in particolare, corridoio di collegamento tra edifici, fu rinvenuto nel 1949 durante
i lavori di costruzione di un garage nella zona compresa tra via Lucullo e via Friuli. Quarant’anni
dopo, l’archeologa Silvia Festuccia, sviluppò delle indagini per verificare il reale sviluppo
planimetrico del sito. In seguito venne attuato un progetto di ricerca su iniziativa dell’ambasciata
USA e dell’Istituto svedese di studi classici a Roma. Nell’ambiente in esame, la ricercatrice Anna
Blennow, dell’università di Göteborgs, ha studiato una serie di graffiti. Tale fatto è importante per
due motivi: per l’individuazione di simboli cristiani, e per il fatto che tali reperti si fanno risalire
alla fine del III secolo d.C.[39]
Il chrismon. Alcune ipotesi

Il chrismon ritrovato nel cryptoporticus nella zona compresa tra via Lucullo e via Friuli, a Roma.

Nell’indagine eseguita dalla Blennow è stato possibile evidenziare più graffiti. Risalgono
probabilmente a fasi temporali diverse. Con riferimento a quella più antica (III secolo), la
ricercatrice ha osservato pure un chrismon ed altri cristogrammi. Il monogramma di Cristo - o Chi
Rho - è una combinazione di lettere dell’alfabeto greco, che formano un’abbreviazione del nome
di Cristo.
L’uso di lasciare graffiti sui muri con il segno del chrismon risale al periodo pre-costantiniano. Di
probabile origine nella parte orientale dell’impero romano (ove era diffuso il greco), il chrismon
venne utilizzato in contesti di uso privato, con inizio dal III secolo. Lo si trova anche in sarcofagi.
La sua diffusione pubblica avvenne durante gli anni di Costantino (imperatore dal 306 al 337). Da
questo momento in poi lo si individua nelle chiese e basiliche cristiane, nelle monete, e sulle stesse
lucerne utilizzate in ambienti domestici o di lavoro. In tale contesto, il fatto di trovare anche altri
graffiti con il chrismon nel cryptoporticus succitato, pone allo storico un quesito: quale significato
attribuire a questi cristogrammi? Si tratta di un semplice segno devozionale, apposto in modo
augurale? È un simbolo di natura protettiva legato a un’invocazione? O è piuttosto un messaggio
criptato attraverso il quale i cristiani del tempo segnalavano la loro presenza ai correligionari? Chi
scrive è dell’avviso che può trattarsi sia di un’invocazione, sia di un messaggio in codice. Da
escludere comunque la tesi di un graffito apposto per passatempo. Al riguardo, occorre sottolineare
il fatto che il III e l’inizio del IV secolo d.C. furono segnati da persecuzioni anti-cristiane. Per tale
motivo è spontaneo pensare a un pensiero di supplica rivolto a Cristo Salvatore, e all’esigenza di
raggiungere in qualche modo i propri correligionari in pericolo. Occorreva, infatti, proteggere chi
poteva essere già stato individuato dalla pubblica autorità (o chi correva il rischio di poter essere
localizzato). D’altra parte, l’essenzialità del messaggio (Chi Ro) e la stessa posizione del graffito
nell’ambiente del cryptoporticus (poco individuabile a una prima occhiata) sembra confermare tale
tesi.

I chrismon e la comunità cristiana del tempo

L’individuazione dei chrismon nell’area del cryptoporticus (cit.) acquista un ulteriore significato se
si colloca tale ‘messaggio’ nell’ambito della più vasta mappa territoriale ove erano presenti nuclei
di cristiani, e se si tiene conto della stessa zona degli Horti (cit.). 1) Nel periodo considerato (III
sec.), la comunità cristiana si era certamente sviluppata secondo linee diversificate (lo attestano le
stesse persecuzioni). In fase iniziale, un nucleo non debole di cristiani si distribuì nella zona di
Trastevere, Trans Tiberim (qui vi insiste pure una ‘memoria’ riconducibile all’apostolo Paolo). Tale
gruppo, forse dopo il 64-67 d.C. (persecuzioni di Nerone), si riorganizzò utilizzando ambienti
diversi da quelli della comunità ebraica. Ciò ebbe il fine di acquisire un’autonomia sul piano
religioso e organizzativo. In tal senso, la presenza cristiana si orientò probabilmente verso l’attuale
area di Santa Maria in Trastevere, mentre altri seguaci di Cristo vissero (con possibile residenza)
nell’area del Palatino (cf il graffito di Alessameno; cit.), dell’Aventino, dell’Esquilino, nei terreni
vicini alle attuali via Cassia e via Salaria, e in altri punti dell’Urbe. Tutto questo attesta un disegno
insediativo che in modo graduale arrivò a utilizzare i più diversi ambienti della capitale dell’impero
romano. In definitiva, quindi, il chrismon del cryptoporticus cit. è anche segno di una presenza
diffusa di cristiani in più realtà urbane. 2) Unitamente a ciò, il fatto di trovare dei chrismon in un
cryptoporticus (cit.) di proprietà dei pubblici poteri, attesta che almeno alcuni cristiani erano
presenti in ambienti socialmente elevati. Probabilmente si trattava di servitori o di militari, ma non è
da escludere un’adesione di autorità politiche alla nuova religio.

I ritrovamenti. La crux tra i graffiti del Colosseo

L’intonaco della galleria di servizio del terzo livello del Colosseo.


La piccola croce è a sinistra.

Mentre nel 2012 si scoprivano a Roma – poco distante da piazzale del Verano – delle gallerie
catacombali posizionate lungo la via Tiburtina (con individuazione di un chrismon), proseguivano
nel frattempo i lavori di ripulitura del Colosseo grazie a una sponsorizzazione privata. Quando fu
inaugurato dall’imperatore Tito nell’80 d.C., l’anfiteatro Flavio si presentava al suo esterno di
colore bianco (i marmi ricoprivano la facciata). All’interno, l’edificio era dipinto con vari colori. In
tale contesto, archeologi e restauratori hanno scoperto (2013) alcuni metri quadrati di decorazioni
policrome rimaste intatte. Ciò è avvenuto su una galleria intermedia al terzo livello, a trenta metri
d’altezza dal livello stradale.[40] Dopo la sorpresa iniziale, legata al fatto che la galleria fungeva da
passaggio secondario, e dove c’erano anche degli urinatoi, gli studiosi hanno individuato strati di
iscrizioni finora nascosti dalla sporcizia accumulata e dalla calcificazione. Le scritte in rosso,
sbiadite dall’antichità, si confondono tra i graffiti in nero, lasciati dai visitatori dell’anfiteatro in
tempi moderni. In tale contesto, in un punto dell’intonaco, è stata individuata una crux. Al riguardo,
occorre sottolineare che in più ambienti del Colosseo sono già state individuate delle croci.[41]
Questi segni, però, hanno una datazione tarda. Il reperto ritrovato, al contrario, sembrerebbe
collocarsi in epoca antica. Se così fosse, potrebbe attestare un gesto cristiano di pietas (affidamento
a Dio dei morenti nell’arena). Tale ipotesi trova supporto anche da un dato storico. Se, da una parte,
l’anfiteatro Flavio non fu edificato per le persecuzioni anti-cristiane, dall’altra, non si può escludere
la presenza di cristiani tra i condannati a morte. Si pensi infatti alla vicenda del vescovo Ignazio di
Antiochia. Questo martire fu condannato ad bestias. Morì nell’anno 107 d.C. in occasione delle
feste organizzate per la vittoriosa campagna militare dell’imperatore Traiano contro i Traci. Prima
di raggiungere l’Urbe, scrisse ai cristiani di Roma invitandoli a non intervenire per sottrarlo al
martirio.[42]
 

Note

[1] In epoca romana, l’attuale zona del Vaticano, si presentava come un’area sub-urbana ove erano
presenti boschi, terreni incolti e ville di notevoli proporzioni. Essa faceva parte della XIV regione
augustea, il Transtiberim, situata sulla riva destra del Tevere fuori le mura aureliane. Il
Transtiberim includeva il Vaticano (a nord), il Gianicolo (al centro), Trastevere e l’isola Tiberina (a
sud). Arrivava fino alla foce del Tevere.
[2] Oggi conservati nel museo nazionale romano della Crypta Balbi.
[3] Termine ideato nel periodo medievale.
[4] Finché esistette un regno giudaico con cui Roma era legata da rapporti di amicizia ed alleanza,
gli Ebrei godettero generalmente dello status di stranieri appartenenti ad una cittadinanza
riconosciuta, peregrini alicuius civitatis. Non mancavano gli Ebrei con la cittadinanza romana
(cives romani) o perché servi liberati (manomessi) da cittadini romani o per concessione speciale
dei governatori, talvolta in seguito a servizio militare; vi erano infine gli ebrei nella posizione di
schiavi dei romani (servi).
[5] È stato possibile ricostruire gli antichi giardini romani studiando i resti delle radici delle piante e
le pitture dei giardini (in dimore signorili esistevano raffigurazioni di giardini).
[6] P. Zander, La Necropoli di San Pietro, Fabbrica di San Pietro – Editore De Rosa, Città del
Vaticano – Roma 2015.
[7] Regnò per meno di quattro anni (dal 37 al 41, anno della sua morte).
[8] Agrippina maior, per distinguerla dalla figlia Agrippina minor (madre di Nerone).
[9] Nell’antica Roma erano frequenti gli incendi per il diffuso utilizzo di materie combustibili (es.
legna).
[10] Ciò sarebbe avvenuto con la costruzione della Domus Aurea.
[11] Negli anni del suo potere, Nerone dovette affrontare la rivolta di Gaio Calpurnio Pisone (65
d.C.). Inoltre,  morì suicida (6 giugno 68 d.C.) a causa di una ribellione dei pretoriani che elessero
nuovo imperatore Servio Sulpicio Galba.
[12] Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico fu imperatore dal 41 al 54 d.C.
[13] Esisteva in particolare una simbologia astrologica. L’arena rappresentava la terra, e il fossato
che circondava la pista, il mare. L’obelisco (spina) simboleggiava il sole alla sommità del cielo. I
sette giri di pista della corsa dei carri riproducevano l’orbita dei sette pianeti e il susseguirsi dei
sette giorni della settimana. Le dodici porte delle rimesse dei carri che si affacciavano sul circo
figuravano i luoghi dello zodiaco.
[14] Sia Marziale (in Epigrammi Liber X 25) che Giovenale (in Satire VIII, 235) fanno riferimento
al tormento della cosiddetta “tunica molesta”. Si trattava di un indumento impregnato di sostanze
infiammabili, avvolto intorno al corpo del condannato.
[15] Cf anche: http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01031997_p-
68_it.html.
[16] Ventidue edifici sepolcrali.
[17] M. Guarducci, I graffiti sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1958.
[18] Gaio aveva indicato dei ‘trofei’. Quello di san Pietro era una piccola edicola appoggiata a un
muro intonacato e dipinto in rosso (il cosiddetto “muro rosso”). Si trattava di una mensa sorretta da
due colonnine di marmo con una nicchia in corrispondenza dello spazio tra le due colonnine. Sul
pavimento, al di sotto di un chiusino, c’era una tomba nella nuda terra. L’edicola, databile al II
secolo, venne identificata dagli scavatori con il “trofeo di Gaio”, noto da un passo di Eusebio di
Cesarea che riporta le affermazioni del presbitero Gaio (anni del pontificato di Papa Zefirino, tra il
198 e il 217).
[19] M. Guarducci, Cristo e S. Pietro in un documento precostantiniano della necropoli Vaticana,
1953, p. 18.
[20] Una situazione che si è ripresentata anche durante le indagini riguardanti la tomba
dell’apostolo Paolo.
[21] È da ricordare che i romani, quando volevano affrettare la morte di un condannato, gli
tagliavano i piedi. Il crocifisso, non avendo più un sostegno dal basso, moriva dissanguato e per
asfissia.
[22] Le indagini effettuate non hanno infatti individuato nelle catacombe un luogo che attesti una
conservazione delle reliquie dei due apostoli dopo le persecuzioni anti-cristiane.
[23] Epigrammata damasiana, 21.
[24] Rustico (100-170) fu prefetto di Roma dal 163 al 167. Esponente dello stoicismo. Maestro di
Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180).
[25] Atti e Passioni dei martiri, introduzione di A.A.R. Bastiaensen, testo critico e commento a cura
di studiosi vari, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2014 (7 ed.). Cf
pp. 52-57. E il commento agli ‘Acta Iustini’ a cura di A. Hilhorst, pp. 391-396.
[26] Risposta fornita in modo da sviare le indagini dei persecutori.
[27] Un dato importante per gli storici.
[28] Il luogo non è stato identificato dagli storici.
[29] Regione storica dell’Anatolia.
[30] Regione storica dell’Anatolia centrale.
[31] Esplosione del mondo: cioè la fine dei tempi.
[32] Gli storici non sono riusciti a identificare questo luogo.
[33] Sepolta all’inizio nelle catacombe di San Callisto. Nell’821 le sue spoglie vennero traslate
nella basilica a lei dedicata. Durante i lavori di ristrutturazione effettuati nel 1599 dal card. Paolo
Emilio Sfondrati, (nipote di Papa Gregorio XIV), fu aperto il sepolcro di marmo e nella ulteriore
cassa di cipresso che esso racchiudeva si ritrovò il corpo quasi integro della santa, vestito di bianco
e con il segno delle ferite sul collo.
[34] Le catacombe, alle quali si accede da un ingresso situato presso il nartece, si sviluppano su tre
livelli in quattro regioni, delle quali l’unica pre-costantiniana è la regio I. Quest’ultimo settore è
databile alla seconda metà del III secolo, vi è stata localizzata la tomba di Agnese.
[35] P. Filacchione – C. Papi, Archeologia cristiana, LAS, Roma 2015, p. 63.
[36] In questo complesso furono rinvenute opere marmoree come il Trono Ludovisi, l’acrolito
Ludovisi, l’obelisco Sallustiano, i due gruppi del ‘Galata morente’ e del ‘Galata suicida’, frammenti
di una colossale statua di Apollo e fregi a girali d’acanto con sfingi.
[37] La volta è “a spicchi” . Simmetrici, ai lati dell’aula, vi sono due vestiboli rettangolari:
fungevano da ninfei e sulle pareti scorreva acqua. Dalla sala circolare si accede ad una sala
rettangolare con una nicchia nella parete di fondo. L’ambiente ha una copertura formata da due
volte a botte sovrapposte e poteva essere isolato dall’aula centrale con delle tende.
[38] Si trova all’interno del Collegio Germanico.
[39] Unexpected voices. The graffiti in the cryptoporticus of the horti sallustiani, and papers from a
conference on graffiti at the Swedish Institute in Rome, 7 march 2003, edited by Olof Brandt, Acta
Instituti Romani Regni Sueciae , Series in 4°, LIX, Stockholm 2008.
[40] La zona dovrebbe essere riaperta al pubblico in tempi non lunghi.
[41] Su questo punto cf: R. Rea, Graffiti e targhe proprietarie, in AA.VV., ‘Rota Colisei. La valle
del Colosseo attraverso i secoli’, a cura di R. Rea, Electa, Milano 2002, pp.231-239.
[42] Lettere di Ignazio di Antiochia. Lettere e martirio di Policarpo di Smirne, Città Nuova, Roma
2009.

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