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La questione dell’arte romana è stata posta in chiave moderna per la prima volta ad opera di Alois Riegl e

Franz Wickhoff, fondatori della cosiddetta ‘Scuola di Vienna’ (inizi del XX sec.), facendola assurgere a
disciplina autonoma; la critica ufficiale, infatti, a quei tempi privilegiava manifestamente la cultura greca e
in particolare il momento della sua ‘perfezione’ costituito dall’arte classica del V e IV secolo a.C., la cultura
figurativa romana era, per loro, soltanto il punto d’arrivo della lunga decadenza dell’arte greca. Più tardi il
recupero e la ricostruzione dell’Ara Pacis e l’allestimento della colossale Mostra Augustea della Romanità,
voluta da Mussolini nel 1938 per il bimillenario della nascita di Augusto, (romanesimo sostenuto dal regime
a fini puramente propagandistici), contribuirono da un lato allo sviluppo di scavi e ricerche archeologiche,
dall’altro a lasciare in ombra ogni novità e le posizioni più moderne, sia nel campo della storia dell’arte sia
nell’ambito della metodologia della ricerca archeologica, che fin lì si erano raggiunte

1. La formazione della civiltà romana nell’Italia protostorica

Alla fine del secondo millennio, tra l’età del Bronzo finale e la prima età del Ferro, particolare rilievo
assumono le aree dell’Etruria, del Latium vetus (comprendente un territorio collocato tra il basso corso del
Tevere, il promontorio del Circeo e i colli Albani) e della Campania, ove assistiamo a un precoce sviluppo
delle forme urbane seppur con differenze di comparti territoriali, modalità, cronologia ed esiti finali. Si
avvia, dunque, un processo di accumulo di ricchezza e di differenziazione sociale, testimoniato dalle nuove
e più complesse forme delle costruzioni abitative (ad esempio a Monte Rovello, presso Allumiere, o a Luni
sul Mignone, presso Blera), e dal ritrovamento di numerosi ripostigli contenenti vari oggetti di metallo,
come nel caso di Coste del Marano. Verso il 1000 a.C. assistiamo a un generale abbandono di gran parte
dei villaggi dell’età del Bronzo e alla formazione di abitati più estesi che coincidono sostanzialmente con i
principali futuri insediamenti di età storica, si suole, infatti, indicare questa fase come ‘protourbana’. Già
nel corso del IX sec. a.C. il mondo greco si inserisce nella fitta rete di rapporti commerciali e culturali che si
estende da un capo all’altro del Mediterraneo. Ne conseguirà un vero e proprio movimento di
colonizzazione che porta popolazioni greche a stabilirsi sulle coste dell’Italia meridionale e della Sicilia,
insieme alle merci, inoltre, transitano, uomini, artigiani e conoscenze di tecniche di lavorazione che
daranno origine a numerose influenze.

2. Roma e il Lazio tra reges e principes

Tra la seconda metà dell’VIII e la fine del VI secolo a.C. giungono a maturazione alcuni processi già avviati
nella fase precedente: l’emergere e il consolidamento delle aristocrazie, la strutturazione piuttosto
definitiva della forma urbana. A cavallo tra VII e VI sec. a.C. si afferma un nuovo spazio adibito al commercio
ovvero l’emporion. Nel corso del VI sec. a.C. la città arriva ad inglobare, entro la sua pianta urbanistica,
direttamente l’area commerciale. Questi materiali preziosi corrispondono ai cosiddetti Keimelia, denotano il
prestigio e il potere dei capi aristocratici (=principes), e li rinveniamo all’interno delle loro tombe (es.:
grandi candelabri in bronzo, coppe e patere in oro, argento, fibule, oggetti esotici in avorio, ambra o pasta
vitrea, uova di struzzo decorate, contenitori per spezie e profumi, tessuti e arredi lussuosi). La cerimonia
funebre si presenta, ora, come una delle principali manifestazioni del potere aristocratico, non si tratta solo
dell’apprestamento della tomba ma di un complesso di atti che va dall’esposizione del corpo del defunto al
trasporto e alla sepoltura. Questa sequenza, ritmata da gesti e atti rituali, darà vita a veri e propri ludi che si
svolgono in appositi luoghi presso la tomba. Il più delle volte il defunto era cremato al modo degli eroi
omerici e le ossa collocate in un prezioso tessuto entro un’urna. Esempi: tomba Bernardini. L’altro grande
segno della presenza aristocratica sul territorio è costituito dalle nuove residenze che assumono forme
monumentali a palazzo. Tutto questo paesaggio del potere aristocratico è destinato a scomparire tra VI e V
sec. a.C. in significativa coincidenza con la definitiva strutturazione delle città. ), l’età dei Tarquini mostra
analogie con le fasi tiranniche delle poleis greche, in cui assistiamo da un lato a un ridimensionamento del
potere aristocratico, seppur attraverso lotte e contraddizioni, e dall’altro lato all’emergere di nuovi ceti
legati all’attività artigianale e al commercio. Tutto ciò comporterà la definitiva monumentalizzazione di
Roma a ogni livello, attraverso la realizzazione di un grande circuito di mura, opera di Servio Tullio, la
definizione di tutti i principali santuari urbani, a cominciare da quello di Giove sul colle Capitolino (fig. 15,
grande tempio tuscanico, sede delle antichissime feste dei populi Albenses, voleva essere la massima
espressione del potere tirannico dei Tarquini; fatto costruire da Tarquinio il Superbo fu terminato solo dai
primi consoli della repubblica e dedicato alla Triade Capitolina, Giove Ottimo Massimo, Giunone e Minerva),
). Il Foro diventa luogo definitivo per le attività di scambi commerciali, si assiste, inoltre, alla definitiva
specializzazione di un’area extraurbana, quella del Campo Marzio, per le sepolture di re, per le attività
militari e per il tirocinio dei giovani. La pianta delle abitazioni si fa molto più complessa rispetto alle
precedenti. Nel secolo VI a.C. assistiamo, inoltre, a un forte ridimensionamento del lusso funerario, anche a
seguito di vere e proprie leggi suntuarie, infatti, da società ove il lusso e la ricchezza appaiono funzionali alla
legittimazione del potere, si passa a società ove lo sfoggio di ricchezza viene sentito negativamente e
assimilato allo stile di vita dei tiranni; scompare definitivamente anche l’altra componente dell’antico
paesaggio del potere aristocratico, costituita dalle grandi residenze palaziali. Insieme alle regiae termina
anche la produzione di quelle lastre figurative a rilievo che all’interno di quegli edifici avevano fatto parte
della scenografia del potere dei principes. Una nuova produzione di queste lastre, detta di ‘seconda fase’,
appare destinata esclusivamente a edifici templari.

3. L’età alto e mediorepubblicana

Negli anni immediatamente successivi al 509 a.C. vediamo gradualmente strutturarsi una serie di nuove
istituzioni che imprimono il proprio segno nel tessuto politico e urbanistico. Nell’area del Foro romano,
oltre alla sistemazione dell’area del Comizio e della Curia, sede del Senato, viene eretto nel 497 a.C., un
nuovo tempio dedicato a Saturno (=divinità ritenuta capostipite della stirpe latina), entro l’edificio viene
collocato l’aerarium della città (=ricchezze comunitarie cittadine). Dalla parte opposta del Foro, in direzione
del Palatino sorge un altro tempio dedicato ai Castori (=Dioscuri, protettori della cavalleria). Se questi sono i
segni più evidenti del nuovo potere senatorio, quelli, invece, della plebe emergono sull’Aventino, qui due
nuovi templi, quello di Mercurio, dedicato nel 495 a.C. in funzione della mercatura e dunque in relazione ai
ceti commerciali, e l’altro dedicato nel 493 a.C. a Cerere, Libero e Libera (la forte rilevanza religiosa di
Cerere-Demetra pone l’accento sui valori della terra portatrice di messi e fertilità). Tutto il polo
dell’Aventino, ove si svolgono le assemblee della plebe (=concilia plebis) e si praticano i culti la cui
provenienza è fortemente marcata come straniera, assume un ruolo di contrapposizione rispetto al centro
della città, il Foro, ove, invece, la componente aristocratica del Senato sottolinea il ruolo degli dèi patrii,
come Saturno, oppure di divinità altrettanto greche come i Castori, protettori dei valori aristocratici, di cui è
simbolo il mondo della cavalleria. Altro punto nevralgico della città repubblicana è il Campo Marzio,
campus extraurbano, posto tra il Campidoglio e la grande ansa del Tevere, destinato a luogo di riunione
dell’esercito in armi e per questo posto sotto la protezione di Marte. Qui presso l’Ara Martis si svolge il
lustrum dei censori, vale a dire l’inquadramento politico-militare dei cittadini in base al censo. Inoltre nella
zona detta del Palus Caprae vengono collocati i saepta, le strutture mobili utilizzate per le operazioni di
voto dei cittadini inquadrati nei comitia centuriata. La committenza diventa, ora, per lo più pubblica. Gli
edifici pubblici, e in particolare i santuari e i templi, divengono il vero e proprio biglietto da visita in cui si fa
sfoggio dei tipi architettonici, delle tecniche costruttive e dei materiali, che via via sostituiscono il legno,
delle parti decorative fino alle immagini parlanti, che sotto forma di storie del mito, traducono una pluralità
di valori e significati, vi sarà una forte standardizzazione degli elementi decorativi Si sviluppa un artigianato
di alta qualità, questi artigiani iniziano a firmare le loro opere (consuetudine di derivazione greca). storia
degli Argonauti), così avviene anche su tutto il complesso delle ciste e degli specchi prenestini. Il ruolo
predominante che Roma va assumendo è dimostrato anche dal fatto che attorno al 300 a.C. vi è
l’attivazione della produzione ceramica detta dell’atelier des petites estampilles (fig.11), si presenta
caratterizzata da un’argilla estremamente depurata, sulla quale viene distribuito per immersione uno
spesso strato di vernice a ricoprire integralmente il vaso, con l’eccezione della parte esterna del fondo,
predominano le decorazioni a rilievo raffiguranti rosette. Tra IV e III sec. a.C. si assiste a una
standardizzazione delle ceramiche nell’area etrusco-laziale-campana con i cosiddetti Genucilia. Nel
contempo nasce una particolare forma di rappresentazione connessa alle tabulae triumphales e ai
pegmata, vale a dire raffigurazioni su legno o tessuto, descrivono insomma le res gestae, che sono pertanto
all’origine del rilievo storico romano. A livello urbanistico, in questo periodo, vi è un ulteriore
ristrutturazione dell’area forense, una tendenza generale nell’accrescere l’importanza della zona centrale
delle strutture politiche e di rappresentanza, oltre a quelle delle attività produttive come le tabernae
argentariae (=botteghe dei cambiavalute). A partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. aumentano anche le
statue, equestri o su colonna, dedicate dal Senato a personaggi che abbiano acquisito meriti verso lo Stato
e che trovano, nell’area forense, adeguata collocazione scenografica. In questo clima matura un ritratto.

4. L’urbanistica e i nuovi modelli dell’architettura ellenistica

Tra III e II sec. a.C. Roma si trasforma sul piano urbanistico e monumentale in una delle grandi capitali del
mondo ellenistico, la battaglia di Azio del 31 a.C. la renderà erede di tutti i regni ellenistici. Un punto di
svolta va posto subito dopo la fine della seconda guerra punica, e nei decenni a cavallo tra III e II sec. a.C.,
quando l’afflusso di una nuova ricchezza a livelli mai visti in precedenza, chiamata poi Asiatica Luxuria,
innesca una serie di trasformazioni sia nel tessuto culturale e monumentale di Roma, sia più in generale nei
territori italici che a vario titolo partecipano alle conquiste della capitale dell’impero. Si sviluppa una sorta
di competizione urbanistica e monumentale tra i diversi committenti. In questa prospettiva va inserito il
trionfo del capitello corinzio divenuto ormai il simbolo di un’architettura sfarzosa e attenta come non mai al
gusto decorativo. I committenti mettono in scena, sfruttando ogni occasione, i loro messaggi politici e
culturali; nel quadro di queste realizzazioni un ruolo fondamentale è assegnato alla funzione dei portici e
delle basiliche. La porticus, corrispondente alla stoà greca, prevede la copertura di uno spazio
maggiormente esteso in lunghezza e munito di una fronte a colonne. Uno degli esempi più antichi risale al
166 a.C. ad opera di Gn. Ottavio che, a seguito del trionfo su Perseo di Macedonia, fece erigere presso il
circo Flaminio la porticus Octaviae a duplice navata e decorata con capitelli bronzei. La basilica è un altro
edificio plurifunzionale entro cui possono svolgersi al coperto le attività giudiziaria, le transazioni
commerciali, incontri di ogni tipo, e che può ospitare la sede di uffici amministrativi. L’edificio comprende
solitamente un’aula rettangolare divisa da navate, di cui quella centrale risulta più ampia. A questo
proposito va ricordato che, nella fase tardorepubblicana, vi è una diffusione generalizzata dell’opus
caementicium, un conglomerato di malta e pietrisco come nucleo interno dei paramenti murari;
esternamente il rivestimento veniva fatto con tufelli piramidali inizialmente posizionati in maniera
irregolare, opus incertum, ma a partire dalla fine del II sec. a.C. assumono una disposizione sempre più
regolare, opus quasi reticulatum, per giungere agli inizi del I sec. a.C. a un tessuto di forma geometrica,
opus reticulatum si tratta di tecniche edilizie a basso costo e richiedenti una manodopera non specializzata.
Per tutta l’età repubblicana il Foro continua a ospitare anche i ludi gladiatori e le rappresentazioni di caccia
ad animali feroci, le venationes. Il processo generalizzato di specializzazione degli spazi e delle funzioni
continua anche nell’area forense. Pompeo compirà un’opera ancora più grandiosa, nell’area del Campo
Marzio (fig. 14-15, il primo teatro stabile di Roma, dotato di un templum in summa cavea dedicato a Venere
Vincitrice, escamotage che permette a Pompeo di aggirare i divieti censori che impedivano di costruire a
Roma edifici da spettacolo in muratura), utilizzando il modello ben noto nell’architettura romana, quello
della porticus post scaenam, ovvero un portico posto dietro la scena di un edificio teatrale per offrire riparo
agli spettatori. In realtà già le grandi dimensioni del quadriportico tradiscono intenti propagandistici,
chiaramente esplicitati dall’aggiunta di un gigantesco teatro e di una Curia rispettivamente sui due lati corti
del quadriportico. In questo modo fa il suo ingresso, a Roma, il modello del teatro-tempio, segnalando a un
tempo la speciale relazione che intercorre tra divinità e un condottiero, quale in questo caso Pompeo; un
elemento destinato a grande fortuna che sottolinea una volta di più il potere personale e che troverà ampio
spazio nella costruzione del culto imperiale. La statua di Pompeo posta nell’edificio segnala con tutta
evidenza il condizionamento cui ora è sottoposto il senato stesso a tutto vantaggio dei viri triumphales,
comparivano anche altri gruppi statuari che alludevano sempre alle qualità eroiche di Pompeo. Cesare
duplica l’operato di Pompeo, ma la differenza più evidente è che le nuove opere risulteranno inserite nel
pieno tessuto istituzionale dell’antico foro. Infatti il forum Iulium (fig. 17), inaugurato nel 16 a.C.,
comprende una piazza, circondata da portici e tabernae, che si affianca all’antica area forense: non più,
dunque, un intervento fuori dal pomerium, come nel caso di Pompeo, ma al centro stesso dello spazio della
memoria culturale della Roma repubblicana. La piazza cesariana intende porsi come il nuovo centro politico
attraendo significativamente anche la Curia, ora ricostruita significativamente col nome di Iulia e inserita
lungo uno dei lati della piazza. Sul fondo della piazza, e non più al centro, sorge il tempio di Venere
Genitrice interpretata come progenitrice della gens Iulia. La collocazione sul fondo, che costituirà un
modello per i successivi fori imperiali, permette un più articolato percorso celebrativo entro la piazza che
culmina con la facciata del tempio da dove, nel 44 a.C., lo stesso Cesare riceverà il senato seduto nel
pronao, eloquente immagine della fine della Repubblica.

5. Arte e lotte politiche fra tarda repubblica e impero

Il sistema delle ville, con riflessi anche sul nuovo valore dell’otium (la pars urbana). Queste ville si
specializzano in produzioni, in particolare vino e olio, destinate specialmente ai mercati dell’Oriente, della
Gallia, della Spagna e anche dell’Africa. Le produzioni artigianali di massa e standardizzate rappresentano
una delle grandi novità di questo periodo rese possibili dalla facile disponibilità di manodopera schiavile.
Tale processo richiede una decisa semplificazione dei processi lavorativi ora affidati a manodopera
pressochè priva di specializzazione. Si sviluppa contemporaneamente un ricco mercato di artisti dediti alla
produzione in serie di copie di statue greche classiche, del V e del IV sec. a.C. Cresce la richiesta di copie di
statue, gruppi scultorei, ritratti, rilievi e arredi (fig. 28), destinati ai nuovi spazi dell’otium, fioriscono le
raccolte e le collezioni di opere d’arte e contemporaneamente gli artisti attivi a Roma continuano a trovare
ampio spazio nella committenza pubblica stimolata soprattutto dai personaggi emergenti nel quadro
politico (es. fig. 29-30, monumento onorario probabilmente dedicato a Silla sul Campidoglio). In campo
pittorico il cosiddetto I stile, denominato anche strutturale in quanto riproduce la struttura a blocchi di un
muro o i rivestimenti delle pareti in preziose lastre marmoree, comincia a essere documentato in Grecia
dalla fine del V sec. a.C. ). A partire dalla fine del II sec. a.C., invece, troviamo i primi esempi del cosiddetto II
stile la cui diffusione deve essere compresa nel quadro delle novità introdotte dall’Asiatica Luxuria, rimanda
sostanzialmente a un’idea di ricchezza e sovrabbondanza mediante la rappresentazione di prospetti
decorativi e architettonici, tendaggi, sontuosi edifici, giardini simili a paradisi, vasi colmi di frutta, animali,
scene sacrali ambientate in un paesaggio idilliaco. Ne è un esempio la decorazione all’interno della Casa del
Fauno di Pompei (fig. 37). Dalla metà del I sec. a.C. la decorazione del II stile tende ad annullare del tutto la
parete in modo illusionistico mediante l’uso di ampie scenografie che guidano l’occhio in profondità. Tali
scenografie, ispirate propriamente a quelle teatrali, appaiono funzionali a richiamare le architetture regali e
gli apparati trionfali derivati dal mondo ellenistico. La Villa dei Misteri a Pompei (fig. 40), mostra un
esempio di megalographiae, che indica la grande dimensione dell’immagine e al tempo stesso l’importanza
del soggetto raffigurato, in questo caso vi sono 29 figure, tra personaggi umani e divini che in vario modo
partecipano a una cerimonia, molto probabilmente un’iniziazione ai misteri dionisiaci. Altro genere
pittorico assai diffuso è quello dei topia, in cui compare un repertorio di ambienti geografici come coste,
porti, fiumi, promontori, montagne, campagne e boschi sacri. Il II stile termina agli inizi dell’età augustea,
attorno al 20 a.C., nella fase finale mostrerà una tendenza a richiudere la parete, a modificare gli apparati
architettonici con elementi vegetali e all’inserimento di scene figurate anche a carattere mitologico, ne
costituisce un chiaro esempio la Domus dell’Esquilino (fig. 41) con scene tratte dall’Odissea.

6. L’età di Augusto

In questa fase assistiamo a un forte controllo da parte del potere centrale, che si traduce in una profonda
manipolazione dei temi e delle forme del linguaggio artistico, ispirato allo stile dell’arte attica della prima
età classica, e perciò detto ‘classicista’. Si utilizza l’arte come efficace mezzo di comunicazione, capace di
agire anche sul piano estetico ed emotivo, ossia irrazionale, delle persone. Vi è un costante richiamo alla
tradizione, modificata o addirittura reinventata in funzione della nuova situazione storica, così che ogni
cambiamento apparisse il recupero o l’evoluzione degli aspetti più antichi e nobili caratterizzanti la natura
del popolo romano. Costante è, infatti, il riferimento al mos maiorum. L’arte ufficiale aderisce sempre più a
modelli classici, l’arte classica veniva sentita come la forma ideale per l’espressione di idee legate
all’equilibrio delle passioni, alla compostezza, alla solidità, alla moderazione, all’austerità, a una serie di
valori, insomma, adottati quali elementi guida dalla propaganda imperiale, per la creazione di un consenso
diffuso intorno al progetto di fondazione in chiave autoritaria del nuovo Stato. Comunque l’utilizzo di questi
modelli sono rielaborati e riformulati secondo una sensibilità e un intento profondamente diversi da quelli
originari. Dal punto di vista architettonico, Augusto, completando i lavori nel Foro concepito da Cesare,
vuole suggerire l’idea di continuità rispetto all’azione del padre adottivo. Ogni edificio era completato con
un imponente apparato decorativo che svolgeva un accurato discorso ideologico e propagandistico. Il
soggetto principale era naturalmente Roma, ossia la visione trionfante della sua storia, evocata sia dalle
immagini dei personaggi legati al mito delle origini, quali Enea e Romolo, sia da quelle degli uomini illustri,
che l’avevano resa grande. Il che equivaleva ad esaltare la gens Iulia, ovvero la famiglia di Augusto, e quindi
di Augusto stesso. . Emblematico dell’arte augustea è l’Ara pacis, sia per il linguaggio formale utilizzato
sia per i contenuti. Il monumento per la sua stessa natura rappresenta bene l’ambiguità di fondo del
programma augusteo (fig.13-17, l’interno dell’altare dà l’idea di una verzura di frutta e foglie a ghirlanda,
sostenute da bucrani, al di fuori si offrono le scene mitiche della storia di Roma, con abbondanza di
particolari fino alla rappresentazione di una processione dedicatoria della stessa Ara, che ricorda il fregio
delle Panatenaiche di Fidia scolpito sul naos del Partenone). Mentre celebra la pace diffusa in tutto
l’impero, ovvero la pacificazione manu militari delle province, esaltando la tradizione mitica di Roma, di
fatto si porta l’attenzione sull’imperatore e insieme sulla sua famiglia, ancora una volta. Si introduce, infatti,
in maniera estremamente solenne l’idea della commistione tra privato del princeps ed istituzioni pubbliche
e di conseguenza suggerendo il diritto alla successione al trono per via ereditaria. . Il fregio figurato
sull’esterno dei due lati lunghi, infatti, mostra una processione in cui ai magistrati e ai gruppi sacerdotali
fanno seguito i membri della famiglia imperiale, comprese le donne e i bambini. L’aspetto del pubblico
viene in questa maniera intrecciato indissolubilmente al privato del princeps. Il modello, come già
accennato, dal punto di vista formale è la grande processione sul fregio del Partenone, nell’Ara pacis però
al linguaggio classicista si unisce la concretezza dell’intento ritrattistico nella resa dei volti, esclusivamente
quelli dei membri della famiglia di Augusto. In conclusione i modi austeri e idealizzati del classicismo
vengono usati per inserire personaggi reali ed un evento concreto in un’atmosfera di solennità assoluta,
quasi al di sopra del tempo, funzionale all’evidente intento celebrativo. Più libero rispetto alla rigidità delle
forme classicistiche appare il linguaggio utilizzato per i quattro pannelli sui lati brevi, che celebrano Roma e
il suo impero sia attraverso l’epos sia attraverso allegorie. Su due appaiono Enea che sacrifica ai Penati e
sull’altro la personificazione probabilmente di Tellus. Anche se le singole figure, quali l’Enea sacrificante,
vengono trattate con formule classicistiche, l’utilizzo del paesaggio, il carattere composito delle scene, la
ricchezza e la varietà delle rappresentazioni, insieme alla grande animazione che percorre le superfici,
attingono piuttosto alla vivacità della tradizione ellenistica. Nel terzultimo decennio del I sec. a.C. compare
il III stile che presenta altre soluzioni ornamentali, tutte ugualmente lontane dall’uso illusionistico di
prospettive architettoniche, ridotto ormai ai minimi termini, vengono aggiunti invece piccoli fregi colorati
ed eleganti effetti cromatici. Gode di grande successo anche il tema del paesaggio idillico sacrale, di
tradizione ellenistica, che viene verosimilmente sentito come lo specchio idealizzante della nuova
situazione di pace e di prosperità, cara all’ideologia imperiale.

7. L’arte e la costruzione dell’impero nel I secolo d.C.

Prende ora avvio un vasto programma di monumentalizzazione delle città dell’impero. L’idea del potere di
Roma e l’immagine dell’imperatore vennero diffuse capillarmente e anche le rappresentazioni figurate sulle
monete costituirono uno strumento formidabile di propaganda. Durante il I secolo d.C. si assiste a una
crescita economica generalizzata, si forma così un vasto ceto di nuovi committenti per l’artigianato
artistico, legato per lo più, date le origini sociali, a quel gusto e a quella tradizione che normalmente
chiamiamo ‘arte plebea’. Successivamente anche Claudio, nel teatro di Caere, sarà raffigurato con una
statua nell’atteggiamento caratteristico di Giove Capitolino (fig. 6). Per tutti, comunque, appare importante
la volontà di ricordare il proprio stretto legame con Augusto, sia per legittimare il proprio potere sia per
rafforzare la dinastia. E’ con Nerone che le tendenze non conformi al classicismo augusteo trovano le
espressioni più eclatanti, per quanto fossero già ben presenti in forme evidenti nella produzione
immediatamente precedente. Nerone non solo potenziò gli elementi legati alla tradizione del ritratto
dinastico ellenistico, già riconoscibili peraltro in Claudio, ma giunse nel suo ultimo periodo a pettinarsi con
riccioli artificiali, per corrispondere maggiormente alla tradizione orientale. Appare perfettamente coerente
con questo modello culturale e ideologico la costruzione nel cuore di Roma della sua Domus Aurea (fig.
19), una vera e propria reggia, nel cui vestibolo era posta una statua colossale dell’imperatore ritratto come
Helios, circondata da lussureggianti giardini simili a quelli delle dimore dei sovrani ellenistici. La Domus
Aurea venne immediatamente smembrata dai successori, che volevano chiaramente una politica di
discontinuità rispetto a quella neroniana, troppo assolutistica invisa al popolo romano. Il progetto politico di
Nerone contrasta fortemente con quello augusteo, in quanto ispirato, come già detto, al modello dei dinasti
orientali, il cui potere assoluto non solo veniva espresso con la massima evidenza e ostentazione, ma
ricollegato senza alcuna remora alla sfera divina. Adottando tale concezione, Nerone portò alla luce la
contraddizione insita nella struttura dello Stato augusteo, che escludeva, in realtà, ogni forma e ogni
aspetto di tipo monarchico. La decorazione parietale della Domus Aurea costituisce, comunque, la
documentazione al più alto livello del linguaggio decorativo, detto IV stile (fig.20-22). La cadenzata e
razionale organizzazione parietale del III stile è sostituita ora da un vero e proprio profluvio di quinte
architettoniche, di scene figurate, di riproduzioni di statue e rilievi, in un trionfo del gusto barocco. Si
recupera l’idea, caratteristica del II stile, dello sfondamento prospettico delle pareti. Nel IV stile tale
sfondamento è finalizzato a dare vita a una serie di quinte ardite e fantastiche, che nulla hanno a che fare
con riferimenti reali. Vi è un evidente senso di horror vacui, che conferisce all’insieme un aspetto
decisamente barocco. Numerosi esempi provenienti dalle città vesuviane mettono in evidenza l’estrema
varietà dell’organizzazione architettonica della decorazione e dei soggetti raffigurati, mostrano anche come,
mediante la semplificazione dei suoi schemi, questo stile possa soddisfare anche clientele di ceto non
elevatissimo (fig. 23-25). Comunque, generale è la tendenza a voler esprimere pubblicamente il proprio
status; spesso troviamo come soggetti pittorici episodi di vita quotidiana. Inizia in questo periodo la
costruzione di un edificio che esplica il livello più alto di azione demagogica da parte di un imperatore,
ovvero l’anfiteatro flavio (=Colosseo, fig. 31, primo anfiteatro stabile di Roma, iniziato nel 71-72 d.C. fu
portato a termine sotto Domiziano), venne costruito al posto del grande lago della residenza neroniana. La
dinastia flavia, subentrata a quella giulio-claudia, voleva così rinnovare l’idea augustea di un imperatore
preoccupato principalmente del benessere dei suoi sudditi e rassicurare il Senato circa le tentazioni
assolutistiche. Lo stesso intento ci fu con la costruzione delle terme da parte di Tito (fig. 32, inaugurate
nell’80 d.C. e completate da Domiziano). Altro evidente riferimento al modello augusteo è dato dall’arco di
Tito, che si inscrive con i suoi rilievi nella tradizione dell’arte trionfale, vi notiamo innovativi elementi
stilistici (fig. 33-35, commemora il trionfo di Vespasiano e Tito per la conquista di Gerusalemme del 71 d.C.).
Successivamente Vespasiano creerà il cosiddetto Foro della Pace, anche in questo caso vi ritroviamo lo
stesso intento di esprimere la riaffermazione di una politica legata alla tradizione augustea.

8. L’età di Traiano e degli Antonini

Traiano è l’ultimo sovrano a intervenire su vastissima scala con un progetto urbanistico e architettonico
colossale nel cuore di Roma, con la costruzione di un nuovo Foro e del grande complesso limitrofo dei
Mercati. Egli mostra un atteggiamento pronto da un lato ad assumere le forme di un potere aperto, attento
alla collaborazione con il ceto senatorio ed equestre, e dall’altro ad affermare la sostanza di un potere
sempre più autoritario. Un discorso analogo sembra emergere anche dai modi di rappresentazione
dell’imperatore sulla Colonna traiana si tratta di una grande colonna coclide centenaria, ossia presenta
un’altezza complessiva di cento piedi. Di ordine dorico, ma con capitello a kyma e ovuli, per un totale di 18
rocchi. La base in forma di corona su plinto, poggia su un alto basamento decorato con cataste di armi,
mentre sul lato verso la basilica, al di sotto di un’iscrizione sorretta da ‘Vittorie’ a commemorazione
dell’offerta della colonna da parte del Senato e del popolo romano, vi è l’ingresso che conduce alla cella
interna, ove erano collocate le ceneri dello stesso Traiano; una stretta scala a chiocciola porta alla sommità
del monumento, dove si trovava il simulacro bronzeo dell’imperatore. Corre lungo il corpo della colonna un
rilievo continuo spiraliforme di quasi 200 metri, racconta le vicende vittoriose condotte da Traiano in Dacia
nel 101-102, 105-106 d.C., distinti momenti cronologici che sono visivamente separati da una figura
allegorica di ‘Vittoria’ fra trofei, intenta a scrivere le res gestae. Tra le scene di battaglia trovano posto
anche episodi di vita quotidiana delle legioni, quadri pertinenti le marce di trasferimento, costruzione di
castra, ponti e stationes, immagini di mietitura, vi sono, inoltre, scene di valenza politica, consilia, sacrifici,
ma anche quadri più propagandistici, come nel caso delle torture inflitte dai barbari ai prigionieri romani.
Indicative sono le proporzioni dell’imperator, sempre leggermente più grandi rispetto alle altre figure.
Inoltre, ha intorno a lui sempre il vuoto in modo da risaltarlo maggiormente fra gli altri e soprattutto è
sempre in posizione frontale. Si dà vita, con la colonna, a una commistione di stile, un nuovo linguaggio che
comprende da una parte un’arte colta, dall’altra un’arte plebea, in conclusione il tono classicista,
equilibrato e di pacata severità, con i suoi modi e i suoi schemi, assorbe in sé anche modelli iconografici di
tradizione ellenistica. Va ricordato che la colonna oltre che essere rappresentativa delle imprese
dell’imperatore era un enorme segnacolo funerario per la tomba dell’imperatore, contenuta dal grande
podio alla base della colonna. Egli, infatti, concependo la propria sepoltura all’interno del pomerio sottrae
una prerogativa esclusiva al Senato, a cui solo spettava la concessione di tale rarissimo privilegio, esaltando
quindi al massimo la propria figura. Con Adriano assistiamo a decisi cambiamenti nella produzione artistica
ufficiale, tradizionalmente considerato filoelleno. Un’altra importante innovazione, sempre legata ai
modelli orientali perseguiti da Adriano, è costituita dagli 8 tondi reimpiegati nell’arco di Costantino e
assegnabili forse a un edificio connesso al culto di Antinoo, il favorito dell’imperatore, e databile pertanto
tra il 130 e il 138 d.C. (fig. 14), tutti i tondi sono, infatti, legati al tema della caccia., esplicito è il richiamo ad
Alessandro Magno, di stampo orientale è l’eroismo del principe e la sua esaltazione che vengono espressi
mediante un’attività non pubblica, bensì privata. Rimanda a una concezione della sovranità legata a modelli
orientali anche la costruzione della sua enorme villa (fig. 16, Villa Adriana, presso Tivoli, si strutturava
lungo 4 direttrici principali: Roccabruna, Canopo, Pecile e Piazza d’Oro, quest’ultimo incentrato su un
grande peristilio con salone a pianta mistilinea sul lato orientale, dal quale dipartiva in direzione opposta
un’articolata e varia serie di ambienti ed edifici che attraverso altri 3 peristili, ovvero la ‘sala dei pilastri
dorici’, il peristilio ‘di palazzo’ e il cortile delle cosiddette ‘biblioteche’, in realtà strutture a carattere
residenziale, permetteva di raggiungere il ninfeo. Nell’area orientale di questo primo complesso, si ergeva il
‘Pecile’, un’immensa piazza colonnata di forma quadrangolare, che si innalzava su poderose sostruzioni
artificiali note come le ‘cento camerelle’ e formate da decine di ambienti, verosimilmente destinati alle
attività di servizio. Attraverso una doppia serie di edifici termali con palestra si giungeva al Canopo, un
lungo bacino d’acqua circondato da una ricca serie di sculture, copie di originali greci, che terminava con un
monumentale edificio concepito come una grotta a conchiglia, decorata da nicchie, fontane e giochi
acquatici, in realtà un triclinio estivo. Del complesso di ‘Roccabruna’, infine, facevano parte un edificio a
torre sormontato da una tholos, con copertura a cupola, edifici sacri di difficile attribuzione e la cosiddetta
‘Accademia’, un ennesimo peristilio circondato da edifici e vestiboli riccamente decorati). Anche il
Pantheon mostra fantasia architettonica, raffinata ma a volte bizzarra, l’arditezza ingegneristica e la
profonda rielaborazione di elementi orientali alla luce della grande tradizione romana costituiscono
elementi caratteristici di tutta l’architettura adrianea. L’arte adrianea si ispira in generale al classicismo,
inteso in senso lato, ossia di eclettica ispirazione a diversi modelli e momenti dell’arte greca, i suoi
successori se ne distaccheranno. Esemplare, in questo senso, appare la base della colonna Antonina,
fatta erigere da Marco Aurelio e Lucio Vero (fig. 19-20, nel Campo Marzio, presso il luogo nel quale era
stato cremato il corpo del divo Antonino, Marco Aurelio e Lucio Vero decisero di innalzare una colonna
commemorativa, della quale oggi rimangono la base e la parte sommitale in granito rosso), qui sia pur in
presenza di gusto classico (anche se meno rigoroso), soprattutto nei rilievi della fronte con l’ascesa al cielo
dei divi Antonino e Faustina, si usano contemporaneamente espressioni stilistiche fortemente simboliche
soprattutto sulle facce laterali, come le consuete scale proporzionali e la scelta di dividere nello spazio le 2
decursiones dei soldati, che invece sono distinte nel tempo. Anche qui compaiono scene di vita quotidiana
delle legioni, le scelte stilistiche adottate sono lontane dalla fluidità ellenistica che caratterizza il fregio
traianeo, le figure appaiono ora più dense, fortemente sottolineate da un uso del trapano che accentua la
resa volumetrica in una sintesi che sfocia in un teso illusionismo, anticipando le soluzioni di contenuto e di
forma che caratterizzeranno l’arte della tarda antichità). E’ una colonna coclide istoriata che richiama
esplicitamente il modello traianeo, il linguaggio formale tuttavia rispecchia i cambiamenti profondi che
sono già in atto nei ritratti imperiali, si cerca un effetto espressionistico a scapito anche del senso
naturalistico e della fedeltà all’organicità della forma. Nel mondo funerario si afferma la sepoltura a
inumazione (già dalla fine del I sec.) dando inizio così a un’intensa produzione di sarcofagi che, pur imitando
prototipi dell’Asia Minore, assunse ben presto caratteristiche peculiari. A soggetti escatologici si affiancano
soggetti che vogliono esaltare l’estrazione sociale del defunto.

10. I cambiamenti del III secolo d.C.

Il III è un secolo di profonda crisi, assistiamo a mutazioni in ogni settore, tanto che si suole considerare,
questa, una fase di passaggio a quella, di poco posteriore, denominata età tardoantica. La situazione di
precarietà istituzionale ed economica, da cui derivò, per altro una sempre maggiore concentrazione di
ricchezze nelle mani di pochi, si accompagnò soprattutto nei ceti più umili a una diffusa sensazione di
insicurezza e di paura, che spiega in parte anche il grande diffondersi di varie religioni e credenze orientali,
dirette tutte a garantire la salvezza ultraterrena del singolo individuo. Partendo dai ritratti imperiali,
specchio efficace, come più volte ribadito, dei valori dominanti della società e della concezione del potere,
possiamo misurare la distanza delle scelte formali degli imperatori del III sec. rispetto ai sovrani delle età
precedenti. Vi è un progressivo allontanamento da quella espressione di equilibrio e austerità, che il
linguaggio classicista assegnava al volto del sovrano, sostituita nel tempo da una volontà di espressione di
un’energia immediata e istintiva. Parallelamente assistiamo a un progressivo abbandono della concezione
naturalistica nelle scene complesse, a favore dell’introduzione, in misura sempre maggiore, di modi
espressivi di tipo simbolico. Si struttura l’immagine di un sovrano sempre più legato alla sfera del
soprannaturale. Lo scardinamento dell’equilibrio e del naturalismo classicista a tutto vantaggio di una resa
espressiva più immediata ed efficace la ritroviamo anche in opere di carattere non ufficiale, ad esempio
nelle grandi esedre semicircolari delle terme di Caracalla (fig. 9), l’ultima straordinaria impresa
architettonica in Roma prima del lungo intervallo del III sec., con i grandi mosaici con scene di atleti (fig. 10),
o anche nei rilievi del sarcofago Ludovisi (fig. 11, metà del III sec. d.C.), dove si raccontano le battaglie tra
Romani e barbari (forse Goti), composti da grovigli di figure disposti su 3 piani sovrapposti, tutte divergono
verso una figura resa più grande, probabilmente il committente, raffigurato a cavallo. Il fortissimo
chiaroscuro, il diffuso uso del trapano, il carattere quasi frenetico del trattamento mosso delle superfici
esprimono la drammaticità e l’agitazione profonda, dando vita a un’opera in cui la forma classicista assume
elementi propri dell'espressione simbolica per aderire alla nuova diffusa sensibilità. In campo pittorico
ritroviamo le stesse tendenze, nel III sec. d.C. continua anche quel fenomeno di astrazione dell’articolazione
architettonica dipinta sulla parete, che si trasforma definitivamente in un sistema di semplici linee,
funzionali alla suddivisione dello spazio da decorare, come appare per esempio nella Villa Piccola sotto San
Sebastiano a Roma. Si diffondono sempre più scene a carattere religioso inerenti religioni salvifiche di
origine orientale.

11. L'arte del mondo tardoantico

L'età tardoantica raccoglie e unifica in una nuova sintesi, in particolare dal punto di vista artistico, le diverse
istanze che, massime durante il III sec., avevano già percorso in precedenza il mondo romano. Costantino
sposta la capitale in Oriente, con la fondazione di Costantinopoli, rendendo manifesto il ruolo vivo e
trainante dell'impero orientale rispetto alla crisi che non abbandona la parte occidentale. Roma perde in
pratica molto del suo potere mentre rimane piuttosto uno splendido teatro, sovente rinnovato dal grande
valore simbolico per l'apparizione dei sovrani, che cercano in essa la legittimazione formale e
propagandistica del loro potere. L'ingresso di popolazioni cosiddette barbare nei territori dell'impero, fa
aumentare la diversità delle forme sociali, culturali e dei linguaggi espressivi. Aumenta il simbolismo che si
presta meglio alla nuova situazione, il linguaggio classicistico vede un'applicazione sempre più ridotta, con
la sua visione naturalistica appare ora inadeguato per la rappresentazione di una realtà non più misurabile
con un canone proporzionale e ideale unitario; la realtà, infatti, si presenta ora piuttosto come una
dimensione cifrata, in cui le cose e le persone sono segni e simboli delle forze misteriose e soprannaturali, e
nella quale ogni cosa esiste in funzione di una precisa e rigorosa gerarchia, rispecchiata nell'organizzazione
sociale. Uno straordinario esempio della pluralità dei modelli, ma insieme della forza dell’espressione
simbolica, è offerto da uno dei primi monumenti ufficiali dell’arte tardoantica, ossia l ’arco di
Costantino. Con i suoi 3 fornici si inserisce nella tradizione dei grandi archi trionfali, da una parte ci
troviamo di fronte a un vivo impulso classicista, concretizzato in primo luogo nell’utilizzo nell’arco di rilievi
provenienti da altri 3 monumenti ufficiali, assegnabili rispettivamente all’età di Traiano, Adriano e Marco
Aurelio, questo forse per richiamarsi fra gli optimi principes del secolo d’oro di Roma. Di età costantiniana
sono invece i rilievi con Vittorie e barbari o i tondi con Luna e Sol, sono rilievi di tipo storico narrativo, vi è la
scena della partenza dell’esercito, assedio, battaglia e infine si culmina con le scene ambientate nel Foro
Romano con l’oratio e la liberalitas. Per la prima volta l’arte plebea viene compiutamente assunta in un
monumento ufficiale per rappresentare momenti della vita pubblica, anche non militare dell’imperatore.
L’intento didascalico è ben evidente nelle scene di battaglia dove è stata abbandonata ogni forma di
prospettiva naturalistica, sostituita da una rappresentazione simbolica dello spazio, non solo di lettura più
facile e immediata, ma anche emotivamente più intensa. Nelle 2 scene del Foro costituite intorno alla figura
dell’imperatore, che funge da asse di simmetria, la rappresentazione spaziale è subordinata non solo alla
ricchezza della lettura, quanto soprattutto all’espressione immediata e simbolica della gerarchia dei
protagonisti (anche qui proporzioni gerarchiche). In particolare nella liberalitas l’imperatore è raffigurato
ormai come un dio, in immobilità frontale, di dimensioni superiori, seduto su un alto seggio, ‘appare’
piuttosto che ‘agire’, dal momento che proprio l’apparizione, l’epifania, è l’azione peculiare della divinità. Si
parla a questo proposito di ‘rinascenza costantiniana’ relativamente alla discreta ripresa dei modelli classici.
. Classicismo più accentuato e consapevole, è espresso, invece, in una serie di mosaici risalenti al IV e V sec.
d.C. della città di Antiochia sull’Oronte, in Asia Minore

Il tempio etrusco-italico e i doni votivi

L’idea di templum in origine appare anche come uno spazio libero ritagliato entro il lucus, cioè il bosco
sacro. La aedes in quanto templum prevede anche una divisione interna in pars antica, corrispondente alla
zona del pronao segnata dalla presenza di colonne, e una pars postica relativa all’area posteriore ospitante
le 3 celle con le statue (=signa) delle divinità (ricostruzione di tempio tuscanico, fig. 1). La costruzione di un
tempio prevede una serie di atti, tra i quali il primo è il votum da parte di un magistrato cum imperio,
successivamente la locatio implica la scelta dell’area destinata al tempio, una volta terminata la
costruzione, l’atto giuridico della dedicatio da parte dei magistrati e la consecratio religiosa, da parte del
pontefice, sanciscono il passaggio definitivo del tempio a favore della divinità. Con l’avvento dell’Asiatica
Luxuria (tra III e II sec. a.C.) l’architettura religiosa subisce varie modifiche, quella più evidente è
l’introduzione del capitello corinzio (=simbolo dell’architettura sfarzosa ellenistica). All’interno venivano
contenuti anche tutti gli arredi sacri necessari alle cerimonie di culto, gli ex voto dei fedeli, ma potevano
anche ospitare strutture pertinenti alla pubblica amministrazione

La casa

La casa era articolata in maniera che i suoi percorsi e la disposizione dei vani costituissero un filtro
attraverso cui venivano selezionati gli ospiti, da quelli più importanti (aree più sontuose e interne) a quelli di
minor riguardo (=pars publica dove tutti potevano entrare). Anche la posizione della casa all’interno del
tessuto urbanistico era significativa. Appartenevano a un rango inferiore le cosiddette cenacula equestria,
ovvero appartamenti eleganti, di livello ancora più basso erano le tabernae cum pergolis, che univano allo
spazio destinato all’esercizio commerciale anche un soppalco a funzione abitativa. La tipologia di abitazione
più diffusa era quella ad atrio. Successivamente si avranno sempre più influenze di provenienza greco-
orientale (anche negli edifici pubblici), le piante si complicano e le decorazioni pure con l’ingresso dei
cosiddetti stile I e II , s’introdurrà anche l’uso frequente di colonne preso in prestito dall’architettura
pubblica che dà una resa di magnificenza. Con l’avvento dell’impero si ha il superamento della casa ad atrio,
la domus tende ora ad organizzarsi intorno a una corte scoperta o parzialmente.
Il funerale e la tomba

nell’esposizione del defunto nell’atrio della casa, nella processione verso il Foro insieme ai parenti che
indossavano le maschere degli antenati, nella lettura dell’elogium del defunto che ne esalta la virtus. Il
calendario romano dedicava precisi periodi per ricordare i defunti: la festa dei parentalia a febbraio, quella
dei rosalia tra maggio e giugno e i Lemuria a maggio (quando le anime potevano vagare per alcuni giorni in
mezzo ai vivi). Con l’avvento dell’Asiatica luxuria nasce la tendenza a costruire il sepolcro individuale,
mezzo per propagandare il proprio status, ciò valeva anche per le classi di liberti. Nascono infatti le
cosiddette ‘vie delle tombe’ (dal II sec. a.C.), che si diffonderanno in età augustea anche nell’Italia
settentrionale e nelle province occidentali. A partire dal I sec. d.C. assistiamo alla diffusione di tombe in
laterizio che rivelano un totale cambiamento di struttura, ora non si affacciano più sulle strade ma si
presentano chiuse entro recinti (fig. 5), il nuovo regime imperiale evidenzia e favorisce il ripiegamento sulla
sfera individuale. I cambiamenti a livello architettonico, decorativo e iconografico ci aiutano a capire
l’instaurarsi di una mentalità differente. Dalla prima metà del II sec. d.C. assume grande importanza il
linguaggio allegorico del mito (fig. 6), oppure le simbologie di aeternitas affidate alle stagioni, o ancora la
cosiddetta ‘religione della cultura’ che pone in primo piano il filosofo e gli strumenti del sapere, come il
libro e la scrittura, a simbolo di uno stile di vita in grado di garantire il superamento della morte. Con
Costantino si affermerà il nuovo modello della tomba circolare a volta, ora collocato generalmente presso
la basilica e il circo.

Il trionfo e i bottini di guerra

Conosciamo, inoltre, per Roma il percorso classico della pompa trionfale: partiva dalla villa Publica in
Campo Marzio, proseguiva verso il circo Massimo, attraversava le mura presso la porta Triumphalis
seguendo il percorso della Via Sacra, penetrava nel Foro e si concludeva nel tempio di Giove Capitolino sul
Campidoglio, ove il trionfatore per un giorno poteva essere assimilato alla figura divina. L’arcus triumphalis
costituisce il più caratteristico monumento legato al trionfo (esempi più antichi si hanno in età
tardorepubblicana), in età imperiale si diffondono anche in tutte le province romane. Il teatro di Pompeo e
il Foro di Cesare anticipano l’organizzazione di grandi spazi pubblici atti a celebrare la vittoria e il potere,
tipici dell’età imperiale, in effetti a partire da Augusto tutta la città diviene una sorta di grande scenografia
del potere imperiale, l’immagine dell’imperatore diventa onnipresente .

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