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LEZIONE 02 | 23 febbraio 2022

(ripresa lezione precedente)

L’evoluzione attraverso i secoli di un approccio archeologico è cambiata moltissimo. Gli antichi avevano
un’idea di una archaiologia che era duplice:

1. un’archeologia che racconta cose antiche, che si basa su un mito e che quindi va a definire un sostrato
ideale, un background di antenati molto lontani;
2. un’archeologia più materiale, (es. scavo delle tombe di Delo all’epoca di Tucidide in cui si comincia a
percepire una concretezza storica, una distanza temporale che non è così lontana da porre il reperto
in un mito ma è una distanza temporale sufficientemente ravvicinata per poterne riconoscerne
elementi di un passato storicamente documentabile.)
si è visto come in età augustea, tardo repubblicana e poi imperiale subentri un’idea di collezionismo,
non solo per le opere d’arte in quanto tali ma anche un recupero di oggetti che parlano di un’età
regia come potevano le monete che augusto regalava come dei souvenir della storia di Roma. Fino
ad arrivare ad una forma di collezionismo, che porterà ad una forma di riuso di un antico, che serve
a trasmettere un’idea di auctoritas, un’idea di un potere che si basa anche su un riconoscimento di
un antico che è connotativo del gruppo sociale e di specifici regnanti.

Questo approccio è servito per avvicinarci alle prime scoperte e si è capito come attraverso figure chiave
come Schliemann o Evans l’idea di un antico non si sofferma solo sulla Grecia di Pericle o sulla Roma di
Augusto ma si amplifica a civiltà che vengono molto prima del V secolo e che a loro volta hanno costituito le
basi per lo sviluppo della cultura greca che diventerà poi, trasformandosi, la cultura romana.

Siamo partiti dagli scavi della città minoica di


Creta, soffermandosi sul Palazzo di Cnosso,
che è un luogo chiave per l’inizio dello studio
dell’archeologia classica. Vi è anche il teatro
di Cnosso che è molto importante all’interno
delle dinamiche del regnante, rappresenta lo
spazio per le rappresentazioni al limite della
cerimonialità. Questo spazio è già
conformato a una struttura a gradoni che
sarà chiaramente un confronto per tutte le
successive soluzioni che si vedranno nella
Grecia del V e del IV secolo. Era collocato in
prossimità della via d’accesso al palazzo e quindi la sua funzione di luogo di rappresentazione, di affermazione
del potere dalla parte del re è sicuramente una funzione di grande rilievo

La fase più importante, più attestata archeologicamente → fase dei “secondi palazzi” della metà del secondo
millennio a.C. (1600-1500 a.C.) perché è la fase in cui a Creta e in tutta la Grecia si afferma la civiltà dei
micenei.

Gli archeologi hanno considerato che nella Cnosso degli anni intorno al 1400-1500 a.C. è molto forte la
presenza micenea pe runa serie di tracce che parlano di un subentro di un nuovo gruppo dominante che ha
nell’Argolide il suo centro principale.
In realtà la civiltà micenea, non fa capo a un’unità statale in
senso moderno del termine, è una pluralità di città-stato che
non corrisponde a un contesto unitario → lo si vede molto
bene dalla carta di distribuzione dei siti (p.39) del secondo
millennio a.C. con città che presentano contesti di epoca
micenea.

Sono singole città stato che sono dislocate in un’area molto


estesa della Grecia. L’Argolide e la corinzia sono le aree
particolarmente significative da un punto di vista della
monumentalità delle città.

Di questa civiltà parla Omero, si forma una tradizione a


partire dalla caduta dei regni micenei dal X-IX secolo a.C. e
cominciano a svilupparsi delle forme di racconto di queste
vicende mitiche che andranno a costituire i due poemi
omerici dell’VIII secolo. In questi poemi i greci propri
individuano i loro antenati che poi si tramutano in personaggi con un carattere mitologico (antenati
eroicizzati). Questa prospettiva di raccontare una fase mitica ha alterato la percezione stessa di questa realtà
micenea nel corso dei secoli. Solo grazie a Schliemann verrà dimostrato che non erano genti inventate ma
che facevano capo a realtà etniche veramente esistite.

Da punto di vista dello sviluppo dei Micenei, vengono individuate 3 fasi:

1. una fase iniziale, tra il 2000 e il 1700 a.C. = fase di formazione dell’ethnos, del gruppo etnico di
riferimento. In questa fase non si assiste a una differenziazione interna su base di classi sociali.
Questo perché le necropoli mostrano dei corredi che hanno delle omogeneità, non una varietà in
termini di arricchimento dei corredi rispetto a quello che si registra successivamente.
2. Tra il 1700 e 1600 sin ha la fase in cui per una fase di miglioramento sociale e arricchimento di alcuni
gruppi rispetto ad altri favorito dal commercio o da un affinamento della produzione emerge la classe
dominante che si pone a capo di questi gruppi. Da essi nascono i regni con le grandi famiglie.
3. L’aumento demografico che si registra sulla base del numero di sepolture, si coniuga con uno
sviluppo dei centri abitati, che è il risultato dell’incremento della vita di questi gruppi etnici che
sviluppano allevamento, industria tessile, una produzione artigianale che si specifica con oggetti
ceramici che vengono esportati non solo nella Grecia ma in tutto il Mediterraneo. Sarà proprio questo
elemento che connoterà la fase di grande espansione micenea datata tra il 1400 e il 1200 a.C.
Sono questi i secoli dove i prodotti vengono esportati perché a fronte di una capacità artigianale di
produrre prodotti di un certo valore dal punto di vista estetico, manca ai Micenei quello che
scambiano presso le popolazioni con le quali commerciano. (metalli e materie prime come l’ambra,
che era considerata un prodotto naturale che poteva essere lavorato in maniera preziosa avvertito
come materiale di prestigio che serviva alle classi dominanti per esprimere il loro potere).

Proprio il Veneto è un centro che ha una funzione importante in questa fase, in particolare a Fratta Polesine
vicino a Rovigo, che rappresenta un centro importante perché qui ci sono manufatti di importazione micenea
che vengono scambiati con oggetti semilavorati o grezzi che arrivano dal Baltico e che qui trovano un’area
commerciale importante.

La grande fase si conclude dal 1200 al 1100 con il crollo di questo sistema produttivo e palazziale.

Uno degli aspetti che ha consentito di ricostruire la storia dei Micenei è stata la decifrazione della lingua dei
micenei detta Lineare B → scrittura che combina segni fonetici con ideogrammi, ai quali si possono
aggiungere dei simboli che indicano unità di misura. Pregreca, già decifrata: alcuni con valore sillabico, altri
con valore semantico. La decifrazione di questa lingua spetta a
Chadwick e Treuil che nel 1956 fanno un primo lavoro sulla
decifrazione di questa scrittura sulla base del ritrovamento di diversi
supporti, che sono iscrizioni su tavolette di argilla, dipinti su vasi
trovati nei palazzi micenei in una notevole quantità. Si tratta del più
antico dialetto della Grecia, infatti è chiamato protogreco che ha forti
attinenze con quelli che sono i dialetti parlati nella Grecia del primo
millennio (ionico-attico, arcado-cipriota, dorico acheo ed eolico).

Il Lineare B è una semplificazione del Lineare A della civiltà minoica,


che è stato solo in parte ricostruito.

Foto – diversi esempi di supporti su cui sono state trascritte parole in


lineare B: una è una tavoletta che può ricordare una pagina di un libro
con grafia organizzata su righe; una che è una tavoletta definita a forma di foglia di palma per dare l’idea di
una disposizione sulla linea orizzontale dei diversi segni e poi altri frammenti di terracotta o anche pitture su
un’anfora.

Società e segni del potere nel mondo miceneo

Dallo studio delle tavolette micenee, si è


riuscito a decifrare anche la struttura
organizzativa, la gerarchia del potere nella
società.

Al culmine di un ipotetico cono dei vari ruoli


c’è il livello divino, livello soprannaturale. →
pansitheoi

Poseidon è la divinità principale, non solo


perché la divinità del mare ma anche la
divinità che presiede a tutte le acque quindi
alla gestione di quella che è considerata la
principale risorsa per l’uomo.

Il livello centrale è dominato dal wanax, che è


il re-sacerdote che governa la struttura della città-stato al quale vengono rivolte tutte le attività svolte ai
diversi livelli. Sotto al wanax, c’è il lawagetas, un dignitario ossia colui che gestisce per conto del wanax i
possedimenti, le terre, tutte le attività artigianali e che ha un ruolo di contatto tra il re e il resto della
popolazione. Sotto di lui ci sono altri livelli, in particolare l’eqeta che è il comandante militare e sotto il
damokoro, il damos che è il gruppo sociale più allargato che dipende dal wanax ma al quale il quest’ultimo
garantisce l’approvvigionamento di tutti quelli che sono i beni provenienti dallo sfruttamento delle terre e
dell’allevamento, e in cambio il damos paga dei tributi al palazzo, ovvero al santuario. Il livello del damos è
quindi un livello periferico che però costituisce il nervo del potere del wanax. All’interno del damos ci sono
anche gli artigiani che producono i materiali che poi vengono esportati attraverso i commerci.

Al livello inferiore ci sono gli schiavi, che sulla base dello studio delle tavolette sembrano persone che sono
rese schiave, cioè persone che hanno anche nomi che non sono micenei ma che vengono da un’altra zona
che potrebbero essere il risultato di una loro schiavizzazione avvenuta dopo il controllo, il possesso e
l’ampliamento dei territori.
Foto: Possibile bardatura di colui che detiene il potere e che
siede su un seggio, connotato da un punto di vista militare. Il re
viene visto non solo come divinità ma anche come un re
militare, che ha una sua riconoscibilità nel fatto che sa guidare
l’esercito, a cui vengono affidati molti poteri che gli assicurano
un controllo assoluto.

LE CITTÀ-STATO MICENEE → 3 esempi che permettono di cogliere un aspetto che solitamente non viene
considerato, ossia queste città- stato non erano solo delle città, ma anche un territorio, dal quale traevano
dei beni che garantivano un potere forte.

1° CASO: PILO-NAVARINO

Pilo è affacciata sul mare e sarà poi la Navarino veneziana. È un esempio molto interessante perché intorno
al sito della città, Pylos, esiste una moltitudine di centri minori con cui era in contatto. Dal punto di vista
distributivo ci sono degli elementi naturali che segnano il confine della terra di Pylos (es. monti del Taigeto
nel settore nord-est, il fiume Neda nella parte settentrionale, il mar Ionio sul fronte ovest e il golfo della
Messenia sul fronte meridionale).

Questa dislocazione di centri pone la questione del rapporto tra la sede e il territorio e per questo sono state
rilevate una serie di infrastrutture, vie che collegavano questi centri con la città principali attraverso una rete
di scambi che garantiva alla classe dominante un controllo molto forte della produzione e della ridistribuzione
dei beni.

Palazzo di Nestore, Pilo (Palazzo di Nestore nei poemi omerici)

All’interno di questo palazzo, nei vani 7-8, è stato scoperto un ricchissimo archivio contenente tavolette in
lineare B (XIV-XIII sec. a.C.), che hanno permesso una comprensione molto accurata e più complessa della
struttura della vita della società micenea.

Questo palazzo ha un edificio principale con uno sviluppo di circa 50x30 metri; ha un doppio accesso con una
sorta di doppio propileo con un’area a destra per il corpo di guardia (n° 55-56) e a sinistra un archivio (n° 8).
Attraverso l’archivio venivano documentati i beni reali del Re, ovvero della classe dominante, venivano
formalizzati gli scambi anche con altri gruppi etnici e quindi non è un caso che questo luogo sia collocato
immediatamente all’ingresso del palazzo, anche perché l’accesso verso la sala più sontuosa (megaron) è un
accesso limitato, non tutti potevano entrare.

Sul cortile, che ha un secondo accesso sottolineato dalle colonne, si apre il megaron. Al centro c’è il focolare,
4 colonne e sul lato est il posizionamento del trono regale.

In questa sala sono state trovate delle partizioni a livello frammentario dei cicli pittorici che decoravano le
pareti e tracce di stucco con riquadri regolari a motivi geometrici sul pavimento. In questa stanza, la più
importante, venivano accolte le persone di rango ammesse al cospetto del wanax.

Sul lato sx rispetto al megaron, un corridoio divideva questo il settore di rappresentanza da un altro settore
in cui erano allocati i vani per lo stoccaggio delle merci (n°11-12), sono stati trovati molti vasi anche nei vani
n° 19 (solo in questo 2850 vasi) 22 (622 vasi), e altri pitoi (grandi contenitori per i liquidi nei vani 23 e 24. =
Marcano in un corridoio il luogo di detenzione del potere con quelli che erano i beni che il basileus, il re
possedeva.
Nel settore di destra ci sono le stanze della regina con una sorta di
vano di rappresentanza (vano n°46), con un focolare al centro, e a
fianco con una stanza per il bagno con una vasca. È un palazzo che
racchiude una serie di spazi per il potere, per la conservazione dei
beni con anche un magazzino del vino del Re, una cantina dove
vengono posizionati 35 pitoi per il vino per il re.

Nell’area n°92 c’è invece un’area dedicata al culto.

2° CASO: TIRINTO

È stata esplorata prima da Schliemann e poi dai tedeschi dalla metà degli anni
60.

Il palazzo ha un’estensione simile al palazzo di Pilo, ma in questo caso mostra


una cinta di fortificazioni molto rilevante e che conosce un ampliamento a
partire dal XIV-XIII secolo.

L’area centrale della corte rappresenta il cuore del palazzo. Lungo il percorso
di accesso, vi sono le “Case matte”, ambienti seminterrati o interrati dove
erano posizionate le guardie del corpo del Re. L’area principale è quella che
verte attorno al megaron, che anche qui ha un doppio accesso sempre con
funzione di enfasi del potere regale e serie di altri vani e alloggi per la
cittadinanza aristocratica della corte.

3° CASO: MICENE

È un punto di cerniera tra l’area di Corinto e il golfo di Salonicco. Fin dagli inizi
la cittadella rimarrà sempre il centro del potere perché qui si formano le prime
abitazioni nella fase inziale (2000-1700 a.C.) e attorno alle colline si
svilupperanno le necropoli che in seguito verranno monumentalizzate.

Come per Pilo, la città è inserita all’interno di un circuito di


controllo territoriale piuttosto ampio, che riconosce a partire dal
XVIII-XVII sec. l’ascesa di un gruppo familiare che porta Micene ad
essere la capitale del regno argivo.

Il territorio è ampio circa 35 ettari, con 7 mila abitanti. Ha un


sistema viario che connette il centro del potere con le aree
periferiche. Le strade sono larghe 6 metri e attorno o in
prossimità di questi percorsi sono state trovate delle costruzioni,
che secondo le ipotesi recenti potrebbero essere quelle che per i romani saranno le mansiones, ossia delle
aree di controllo delle merci a garanzia dell’autorità del sovrano in un’ampia area territoriale.

La città ha una serie di edifici e un’area destinata sia alla residenzialità, con abitazioni di personaggi che
lavorano per il wanax o che producono per lui e una serie di tombe.
La fase del XIV secolo, 1300-1200, è la più
importante perché si registra una forte
affermazione della classe dirigente, che si
traduce anche nella costruzione di una cinta
muraria costituita da blocchi murari irregolari
con riempimento interno che può raggiungere,
senza il parapetto in mattoni crudi esterno i 7,5
metri di spessore e se si considera si arriva a 12,5
metri. Questo circuito murario ha inizialmente
un profilo che ingloba solo una parte della città
e poi solo nel XIII secolo si amplierà e andrà a
inglobare anche un tumulo, circolo di tombe per
una serie di ragioni.

All’ampliamento della cinta muraria va riferita anche l’inserimento di quella che era una sorgente, necessaria
per l’approvvigionamento idrico del gruppo dominante. → questo gruppo codifica il proprio potere
attraverso delle forme monumentali come la muraglia e lo fa avendo dei modelli che sono sia le costruzioni
della Creta della metà del secondo millennio, sia la civiltà ittita, attusa molto avanzata con struttura di tipo
gerarchico molto forte. Sulla base di questi modelli, la famiglia degli Atridi realizza, tra il XIV-XIII secolo, un
ampliamento delle mura, con la costruzione delle Porta dei Leoni (XIII sec. a.C.) con simbolo araldico del
potere del gruppo dominante che dà la misura del livello raggiunto.

Da un punto di vista dello sviluppo si ha un’estensione di circa dieci mila mq ma comunque si tratta di una
città a tutti gli effetti, che ha al suo interno il palazzo, ossia il megaron f, ha una serie di botteghe nel settore
g, ha la parte dell’ingresso della porta (a) e il luogo dove vengono depositate le derrate alimentari che
controlla il wanax (b). Inoltre, ci sono un circolo di tombe (circolo a), un nucleo per le attività sacre, un altro
quartiere insediativo con abitazioni di un certo tipo nel settore settentrionale e meridionale.

Il fatto che l’ampliamento delle mura inglobi anche la sorgente, è stato interpretato come indizio di un
pericolo esterno, come se non ci fosse più la possibilità di approvvigionarsi di acqua dalle sorgenti del
territorio perché sollecitate da incursioni di nemici. Per questo viene inglobata, in modo da garantire un
approvvigionamento sicuro.

L’area del palazzo è contraddistinta dal megaron. Esso può essere considerato l’archetipo del tempio greco
secondo i manuali, ma queste classificazioni non tengono in considerazione quelle che sono le effettive
manifestazioni dell’uso di questi spazi all’interno del periodo storico che si analizza. Il megaron è il cuore del
potere politico della società micenea. Qui si ha una serie di vani con morfologie diverse e che parlano di una
complessità di cerimonie che prevedono una partecipazione collettiva anche attraverso la distribuzione di ex
voto che vengono collocati sulle banchine all’interno dello spazio di culto.

Nella città di Micene c’è una dislocazione di aree che sono destinate a funzioni diversi e che per nuclei
determinano una distribuzione all’interno della città. Nel XIV-XIII viene inglobato il Circolo A, che non è
propriamente il nucleo di tombe più antiche come per Schliemann.

All’interno dello spazio di Micene esistono anche altre tombe, di cui il circolo B è il più antico.

L’archeologia studia le necropoli, perché attraverso lo studio dei corredi, della tipologia delle sepolture, dei
monumenti, come per esempio i tumuli, è possibile ricostruire fenomeni sociali e culturali molto importanti,
ricostruire diagrammi di vita, di articolazione sociale attraverso i decenni. È un ambito di studio privilegiato
per capire come l’uomo antico ha veicolato attraverso il proprio monumento una serie di informazioni su sé
stesso per le generazioni successive.
Il monumento funerario, da moneo (verbo in latino attraverso il quale si esprime il concetto di lasciare
memoria), è propriamente quella costruzione, quell’edificio che trasmette ai vivi la memoria e il ricordo del
defunto. Permette alla famiglia del defunto di trasmettere ideologie particolari che consentono di esplicitare
informazioni di tipo politico, sociale, ideale, ecc.

I messaggi sono veicolanti, elementi che appartengono al concetto di aretè (virtù), di valore militare, di
capacità di gestire agoni cioè i combattimenti, i confronti, le gare tra pari. Ma questi monumenti possono
anche trasmettere informazioni sulla ricchezza che si è ottenuta con il possedimento di terra, l’allevamento
di bestiame ma anche la capacità di procreare e garantire nel corso del tempo alla propria gens, stirpe
attraverso il matrimonio.

Questi messaggi propagandistici si trovano anche nelle tombe di Micene, dove sono state trovati degli oggetti
che ci parlano di 2 gruppi dominanti distinti. Schliemann scopre le tombe del circolo B, che sono le più ricche,
e distanza di 100 anni gli archeologi trovano al di fuori della cinta muraria un gruppo di tombe che è
rappresentato dal circolo B. → queste tombe sono più antiche e risalgono al XVIII-XVI secolo, sono state
scavate negli anni 50 e si trovano a 100 metri al di fuori dell’ingresso rispetto alla porta dei leoni.

Queste tombe sono poste all’interno di un recinto in muratura, un peribolo di pietra di 28 m di diametro con
all’interno circa 20 tombe a fossa di persone sepolte (inumati) e non cremate, che erano membri di
un’aristocrazia militare (hanno dei corredi fortemente indicativi di questo ruolo militare) e che si fanno
seppellire con serie di oggetti che parlano di una classe dominante di livello.

Le tombe del XVI secolo di questo circolo, ad un certo punto, risultano più povere rispetto al XVIII secolo per
sottolineare che il gruppo gentilizio che si fa seppellire lì stava perdendo potere. Da quel momento vengono
seppellite persone nel circolo A all’interno delle mura che ci dà ulteriore indicazione sulla funzione di questo
nuovo circolo (datato tra il XIV e il XII secolo) all’interno delle forme di rappresentazione del potere miceneo.

È il circolo che viene scoperto da Schliemann, nel 1876, costituito da 6 sepolture e credute appartenenti alla
famiglia di Agamennone.

- Dalla fossa II proviene lo scheletro di un maschio con diadema aureo e panopia completa e una serie
di oggetti di importazione.
- Dalle tombe III, IV e V vengono oggetti in oro di estrema rile anza tra cui la famosa maschera detta
di Agamennone; 60 armi e manufatti in oro pari a 2,4 kg.
- Dalla tomba IV vengono altri individui sepolti con corredi aurei per un totale di 7 kg.
- Dalla tomba III una deposizione di una donna con due bambini, uno dei quali ricoperto da una lamina
d’oro che riproduce l’intera sagoma del corpo.
= Vi è un totale di 15 kg su 7 uomini, 8 donne, e 2 bambini, sottoforma di maschere e altri oggetti.

Schliemann dice che sono di Agamennone ma non possono esserlo per la cronologia perché queste tombe si
datano a partire dal XIV secolo mentre Agamennone se si parte dalla guerra di Troia del 1194-1184 non
corrispondono.

Il gruppo al potere dal 14esimo secolo crea all’interno del proprio palazzo un luogo di culto per se e per i
propri antenati che si contrappone al Circolo B che evidentemente apparteneva alla famiglia che regnava
precedentemente → impone un’ideologia basata sulla ricchezza materiale e quindi si tratta di una famiglia
molto più ricca di quella precedente.

Dentro il circolo A sono state trovate anche sepolture di bambini e questo indica che la famiglia che
seppellisce lì riconosce nella stirpe un valore aggiunto, indica che i bambini erano considerati parte della
famiglia, considerati elementi di pari livello degli adulti all’interno di un’ideologia della famiglia che fa del
lignaggio il proprio elemento connotativo. Normalmente i bambini non ricevevano una sepoltura pari a quella
degli adulti (anche in Veneto seppellivano i bambini sotto i pavimenti delle case).
Dal circolo A si capisce che è un gruppo dominante che controlla Micene per lungo tempo e usa la sepoltura
come strumento di apoteosi della famiglia stessa.

Pausania (II, 16, 5-7): «Fra le rovine di Micene …ci sono costruzioni sotterranee di Atreo e dei figli, dove erano
depositati i loro tesori. E c’è la tomba di Atreo, e anche le tombe di quanti, ritornati da Ilio con Agamennone
e invitati a banchetto da Egisto, furono da questi assassinati…Clitemnestra e con lei Egisto furono invece
sepolti a breve distanza dal muro; essi non furono infatti ritenuti degni d’esser sepolti all’interno, là dove
giacevano Agamennone e coloro che erano stati assassinati insieme a lui».
→Si parla di una mitizzazione dei tumuli di Micene da parte degli stessi abitanti della città.

Tipologia “a testata” delle tombe → sono di due tipi:

1. Tombe a camera con lungo dromos, corridoio di accesso che consente di accedere in una camera che
viene scavata dentro un banco roccioso con sistema di copertura per bloccare l’accesso dopo la
deposizione del defunto in cuoi possono essere presenti banchine per i rituali di commemorazione
ovvero letti dove adagiare i corpi dei defunti.
2. Tombe a tholos → es. famosa tomba di Atreo con pianta circolare regolare costituita da filare di
blocchi in pietra regolare aggettante con profilo ad alveare preceduta da corridoio di accesso che è
ancora una volta il dromos. Da un punto di vista decorativo è una delle tombe più significative per i
resti recuperati da Schliemann e poi da altri in seguito. Il punto di accesso della tomba, che si trova
al di fuori della cinta muraria è collocata sulla strada di accesso alla cittadella. = questo per rimarcare
che queste sepolture devono raccontare qualcosa non solo agli abitanti ma anche a chi viene da fuori.

La sede del potere è una sede fortificata, quindi indice di una cultura che deve proteggersi, al contrario
dell’area cretese dove il palazzo non è circondato da mura. Il passo di Pausania riconduce la costruzione delle
mura ai ciclopi per dare valore irrazionale a una cosa che non si penserebbe possibile che in realtà erano
evolute.

Infine, si ha una valutazione sociale e politico, in cui queste rappresentazioni urbanistiche e questi
monumenti funerari, sono il segno di un sistema palaziale che fonda il proprio potere su una serie di elementi
ideologici ma anche monumentali.

Lezione 2 | L’ETÀ PROTO-GEOMETRICA E GEOMETRICA

Nel momento del crollo del sistema palaziale miceneo (fine del XII secolo) e di tutta l’organizzazione sociale,
culturale, politica e produttiva, l’archeologia degli anni 60 del 900 ha individuato la “fase delle dark ages”
(delle età oscure) → per fare riferimento a un momento di crisi generale che coincidono con gli anni tra la
caduta di Troia e prodromi della formazione di quella che sarà la polis tra il IX e l’VIII secolo. Questa fase
segna anche un momento di passaggio culturale tra l’età del bronzo e l’età del ferro.

Questa instabilità per gli storiografi greci si pone a distanza di circa 80 anni dalla caduta di Troia è una fase
che viene ricostruita anche da alcuni pensatori come Eratostene e Apollodoro (pensatori, storici del III e II
a.C.) che ruotano attorno all’ambiente alessandrino (centro di produzione massima) e all’interno di questa
città arrivano della biblioteca i massimi studiosi dell’epoca che danno vita alla raccolta di materiali cercando
di ricostruire frammenti di storia e pongono tra il 1194 e il 1184 la guerra di Troia. (le datazioni sono date
dagli archeologi con la nostra cronologia perché loro si basavano su eventi come le olimpiadi o i regni di
determinati re)

Vedono nel X secolo la crisi totale di questo sistema miceneo anche per l’arrivo dei Dori. Di questi ne parla
Tucidide già nel V secolo a.C. e corrisponde a una fase di crisi nella produzione, nella costruzione di edifici,
nella tipologia dei corredi funerari che non coincide a una totale cesura ma ad una contrazione delle attività.
Il fatto che questa crisi coincida con la crisi con il sistema palaziale fa sì che vengano meno anche i sistemi di
approvvigionamento delle risorse primarie, in particolare i sistemi di recupero dei metalli, delle ambre, ecc.
che servivano per gli oggetti di lusso. = C’è una necessità di trovare nuove forme di produzione.

Questa fase dura circa due secoli e vede, dal punto di vista mitico la fine delle grandi dinastie (Agamennone
ucciso da Egisto, Ulisse costretto a navigare per 10 anni perché punito da Poseidone). Si tratta quindi di un
periodo di messa in discussione di questo potere per una serie di fattori concomitanti (guerre tra gruppi etnici
ma anche fattori naturali come terremoti, devastazioni e anche una ribellione da parte del damos nei
confronti della classe dirigente del sistema palaziale) che creano instabilità.

La crisi e la contemporanea venuta di popoli dal nord della Grecia con culture diverse (= “popoli del mare”)
danno inizio a un ulteriore fenomeno: la prima migrazione di genti greche sulle coste dell’Anatolia, dove
queste persone vanno a portare la loro cultura, i loro dialetti, nuove sollecitazioni occupando delle terre
prevalentemente libere in modo da sfruttare i territori e ottenere nuove risorse naturali.

Questo spostamento di persone implica un trasferimento di sensibilità culturali e artistiche, patrimonio di


queste genti, le quali trasferiscono anche i loro dialetti. Ad ogni specificità lessicale corrisponde anche un
distretto geografico (eolico, ionico o dorico) che andrà a costituire le Dodecapoli, le Eoliche.

- Genti della Beozia e della Tessaglia si spostano verso le coste anatoliche con la fondazione di Smirne
e altre città. → Dodecapoli eolica.
- Dall’Attica e dall’Eubea si spingono gruppi etnici verso le Cicladi e a sud di Smirne formeranno i nuclei
da dove si svilupperanno Mileto, Efeso, Samo, Priene e Chio con dialetti ionici → Dodecapoli ionica
- L’area del distretto dorico con Alicarnasso e Ko e rielaborazione di sistemi decorativi e soluzioni
architettoniche specifiche. → Dodecapoli dorica

Le nuove forme di insediamento fra IX e VIII sec a.C.: dal palazzo miceneo alla polis

Nel momento di trapasso tra la calata dei Dori e la formazione degli insediamenti del proto-geometrico si
impone progressivamente un passaggio da gruppi che hanno inizialmente una comune base di beni e poi
progressivamente si costituiscono nuovi gruppi familiari, che possiedono una terra, che riescono a produrre
in eccedenza i beni e a vendere i loro prodotti. Si affermano nuove capacità artigianali, non usando più il
bronzo, che prevedeva l’importazione delle materie prime come lo stagno ma il ferro. = nuove conoscenze e
nuove rotte commerciali.

Questa nuova formazione di gruppi sociali, che riescono in alcuni casi ad accumulare una nuova ricchezza e
organizzare la struttura sociale in classi, parte dal presupposto che tra il X e il IX secolo riprendono le rotte
commerciali in relazione al fatto che genti dell’area siro-palestinese (Fenici) riprendono a commerciale
rimettendo in moto quel sistema che, anche se struttura diversa, era appartenuta alla società minoico-
micenea.

Nella seconda metà dell’ VII secolo si avvia una seconda fase di colonizzazione, di trasferimento di genti =
colonizzazione greca, dovuta al fatto che per un maggiore benessere che la popolazione riesce ad acquisire
(si riproduce di più e i gruppi sono più numerosi) non per tutti c’è spazio sufficiente nella città e
necessariamente si deve andare oltre il proprio territorio, con la clausola che in un altro territorio c’era un
altro gruppo etnico che non si poteva invadere quindi gruppi etnici deciono di trasferire prevalentemente la
parte giovane del gruppo in un Occidente (Magna Grecia, Siciilia, coste della Gallia, della Spagna dell’Africa
settentrionale) e andranno a fondare nuove città.
In questa stessa fase vi è una ripresa delle costruzioni architettoniche, che coincide con figure che sanno
costruire in legno. L’architetto è propriamente il capo dei carpentieri → “architektones” è colui che sta a capo
dei tektones, coloro che sanno lavorare il legno.

Gli studi recenti hanno rilevato la gestione della carpenteria edilizia sia da collegare con le conoscenze che
questi gruppi avevano nella produzione di navi, nella cantieristica navale e abbiano trasferito conoscenze sui
tipi di legname, sulla resistività di certi legni rispetto ad altri, sulle modalità di utilizzo in determinati contesti.
Il sacro è un elemento fondamentale per questi gruppi, un elemento che viene utilizzato dalle classi al potere
ma anche dal demos. Si tratta della società che elabora i poemi omerici tra IX e VIII secolo, che verranno
trascritti in età tardo-arcaica. → Si tratta di una fase di grande fervore culturale che si è sviluppata attraverso
la dark age e che non ha corrisposto a una totale cesura con la fase precedente ma è stata una fase di
assestamento che ha portato poi nel corso del tempo alla costituzione della polis.

Centralità del sacro come spazio identitario della comunità: i primi edifici di culto. Modello dorico vs modello
ionico.

Da un punto di vista strutturale esistono per questa fase delle forme architettoniche che hanno segnato un
trapasso. (??) In questa fase tra il X e IX secolo, si riesce a studiare come questi gruppi sono riusciti a creare
costruzioni, forme di rappresentazione abbastanza nuove e innovative per ricostruire il tessuto sociale di
riferimento.

Lo spazio sacro, la casa della divinità che viene riconosciuta come identitaria del gruppo, è uno degli esempi
strutturali tra i primi di cui abbiamo traccia. Sono i secoli nei quali si forma un duplice modello: quello dorico
e quello ionico.

a) IL MODELLO DORICO → dal punto di vista morfologico, ispirato al megaron miceneo, inteso come
sala di prestigio, e all’oikos, la ‘casa’> da qui si sviluppano iprimi esempi di edifici sacri.

Lefkandì, heroon, X sec. a.C.

Lefkandì è un sito dell’Eubea, scavato negli anni 80 del


900 e rientra in un contesto di tipo necropolare
pertinente ad un abitato presso Seropolis. Si tratta di
una struttura che termina in abside, da un accesso sul
lato corto. È lunga quasi 50 metri e costituita da sorta di
anticamera, un lungo vano interno e serie di locali sul
lato di fondo.

Le pareti interne di questi ambienti sono scandite con


materiale ancora povero = pareti in mattoni crudi e pali
interni in legno per i pilastri, che indicano un asse
centrale. All’esterno c’è una sorta di peribolo con 60 pali
che va a cingere tutta la costruzione.

Inizialmente è una struttura abitativa, probabilmente


della famiglia regnante ma che nel momento in cui il re
muore diventa la sua tomba. Infatti, all’interno della
struttura vengono create 2 sepolture:

- una che conteneva le ceneri all’interno di un’anfora avvolta in un drappo, probabilmente un


guerriero, con spada e punta di lascia in ferro. Si parla di incinerazione, non più di inumazione.
È affiancato a una donna con gioielli e manufatti preziosi, che dimostrano l’appartenenza a uno stato
sociale molto alto.
- Nell’altro comparto vengono sepolti gli scheletri di 4 cavalli con bardature, che stanno a indicare il
rango di colui che è inserito in questa tomba monumentale.

Un uomo e la sua donna che ad un certo punto vengono riconosciuti come antenati divinizzato e quindi ha
cambiato il suo status. Diventa un eroe (da qui Heroon) ed evidentemente questo modo di trasformare
l’abitazione in tomba si utilizza per creare un nuovo luogo di culto di quello che sarà il capostipite di questo
gruppo. Non a caso, questa tomba viene ricoperta di terra, si creano delle rampe per accedervi da sopra e in
qualche modo diventa non più accessibile ma resta il segno di una divinizzazione di un defunto.

Dalla tipologia di questo rituale gli archeologi hanno cercato di trarre dei parallelismi con le narrazioni
omeriche dei funerali di Patroclo con il sacrifico dei cavalli durante la cremazione del compagno di Achille. È
un elemento che consente id iniziare a capire quanto, a livello di espressione ideale, questi monumenti
possono avere una loro funzione.

Modello dorico: il Daphnephorion (letteralmente: luogo sacro a Daphne) presso Etreria

Lo spazio sacro, prima dell’agorà, è il luogo attorno al quale ci si trova, si stabiliscono delle regole, dei limiti
individuali. Attraverso l’egida del sacro questi gruppi si danno un ordine.

Il Daphnephorion viene costruito a partire dal VIII


secolo a.C. ed è un edifico absidato lungo 10 metri, con
pareti sostenute da pali disposti a tenaglia e un alzato
con intreccio di rami di alloro (pianta sacra ad Apollo).
Soltanto alla fine del secolo viene costruito un altro
edificio (hekatompedon) lungo 100 piedi (30 metri), che
poi soltanto nel VII secolo sarà sostituito dal periptero
di forma rettangolare. Rimane nel tempo il culto in
onore di Apollo.

Thermos, dai megara (I-III) di età micenea, al tempio (IV)


di fine VII sec. a.C.: Apollonion

Sempre in riferimento al modello dorico, ci sono una serie


di edifici a Thermos in Etolia con serie di megara negli edifici
I-III (in pianta) datati all’età micenea e che solo in seguito,
nel VIII secolo vengono sostituti dall’edificio IV.

Edificio sacro a Mazaraki, (Patrasso, Creta), a 1300 m slm


dedicato ad Artemide che Soffia, Aontia: Artemision.

L’Apollonion trova un parallelo in questo edificio da poco


scoperto a Creta. Questo è stato dedicato all’Artemide
che soffia, alla dea che presiede anche ai forti venti che
soffiano su questo monte

Questo tipo di edifici che richiama le aule di ricevimento


micenee ha poi come modello anche l’oikos, nel senso di
casa del dio. Rappresenta una soluzione, tra VIII e VI
secolo che richiede meno impegno costruttivo, minore
dispendio economico da parte della comunità; infatti, i tipi trovati non sono superiori ai 10 metri di lunghezza.
Da questi oikoi si sviluppa il tipo del naiskos, che è il
tempietto, la cellula base del tempio greco che
mediamente ha una suddivisione tra un’area di
ingresso e la cella interna vera e propria con un
sistema di copertura curvo o piano.

Nel tempio di Corinto, località Perachora (sx) e


nell’Heraion di Argo (dx) si nota come ci sia già una
necessità di realizzare gli ingressi con le colonne (?). Si vede già dalla decorazione che vi è una certa cura per
questi edifici.

Ci sono alcune divinità che sono già nella civiltà micenea altre che invece si impongono sostanzialmente dal
X secolo a.C. e che in molti casi permangono nel corso del tempo (es. Apollo e Poseidone). Non tutti i nomi
micenei corrispondono a quelli greci ma per quanto riguarda le divinità femminili soprattutto quelle attestate
vengono identificate ad esempio con Artemide. Abbiamo una funzionalità di culto che si protrae nel corso
del tempo, mentre in altri casi ci sono delle sostituzioni ovvero delle assimilazioni. Questo dipende, da un
punto di vista della storia delle religioni, da quanto alcuni caratteri di alcune divinità vengono trasmessi e
vengono riconosciuti come forti e valenti anche nelle generazioni successive trasportando la questione a
all'età romana. I romani danno dei nomi o spesso associando degli aggettivi che possono richiamare le
divinità indigene un po’ perché i romani erano fortemente superstiziosi, un po’ perché a loro serviva a livello
di controllo sociale, per garantire una continuità attraverso i templi.

b) IL MODELLO IONICO → L’altra tipologia edilizia per l’edificio di culto si sviluppa in area ionica
partendo da un diverso concetto di area sacra: il modello ‘ionico’ elabora, amplificandolo, un recinto
sacro allungato e monumentalizzato (sekòs), arrivando a elaborare una tipologia specifica volta a
delimitare l’area scoperta in cui appare la divinità tramite la sua statua di culto (agalma).

L’altra tipologia edilizia, ad Efeso e Samo, ha alcune tracce molto evidenti che si affermano già nel VIII secolo,
e che partono da una prospettiva diversa cioè la agalma deve essere protetta da un recinto sacro (sekòs).
Questo recinto è inizialmente delimitato da pali, da colonnati che hanno una lor monumentalizzazione ma
per proteggere la statua c’è bisogno di una costruzione. All’interno viene realizzata la casa del dio.

Esempio: Efeso, Artemision; all’interno del futuro diptero


arcaico di Creso (VI sec. a.C.), resti del tempio di VIII sec. a.C.

Si parte da nucleo iniziale che viene inglobato nella


costruzione successiva e che è uno dei primissimi esempi di
questa monumentalizzazione dello spazio sacro. Già a partire
dal X secolo, l’area lascia tracce di una frequentazione a uso
sacro frequentato da genti che si insediano presso il fiume
Kaestros sempre nella zona della Ionia. Qui esistevano già
delle tracce per un culto di una dea madre poi connotata come Artemide. Dal VIII secolo si costruisce questo
recinto con 8x4 colonne e all’interno una sorta di tabernacolo dove viene posta la statua di culto. A differenza
di tutti gli altri templi greci, questo luogo di culto è orientato ad ovest e non ad est, che è di norma il lato da
cui si accede al tempio perché lato in cui sorge il sole e quindi rivolto a divinità. Dalla tipologia dei materiali
ritrovati all’interno del tempio sacro, si pensa sia dedicato a una divinità che ha probabilmente valenza
notturna e per questo entrata dal lato ovest e quindi dove tramonta il sole.
Samo, Heraion. Prima e seconda fase dell’edificio sacro, VIII sec. a.C.

Anche questo edificio ha una doppia fase di costruzione. La


prima fase è quella con un tempio rettangolare molto
allungato. Anche in questo caso è un hekatompedon lungo
100 piedi. Doveva avere una copertura piana anche se
secondo altre ipotesi si trattava di una copertura a due falde
di paglia.

Le pareti sono in mattoni crudi, costituite da piccole pietre


squadrate e all’interno c’è un allineamento di pilastri lignei
che hanno una funzione di architrave in senso longitudinale,
dentro cui si accede con accesso scandito da tre pilastri. Sul
fondo la presenza della base per la statua è disassata perché la statua doveva vedersi nella sua integrità (se
fosse stata messa in asse con i pilastri non sarebbe stata visibile integralmente).

Questa soluzione viene superata quando i pilastri vengono addossati alle pareti sui lati lunghi e poi viene
creato un peribolo esterno su cui si scarica il resto del peso della copertura. Questo tipo di soluzione porterà
alla codificazione delle strutture templari successive. (VI secolo a.C.)

Se i gruppi etnici costruiscono questi edifici per il riconoscimento della divinità che li tiene uniti, IX e VIII
secolo è anche il periodo in cui si iniziano a porre le basi di quella che sarà la polis.

In un libro di F. De Polignac, La nascita della città greca. Culti spazi e società nei secoli VIII e VI a.C., vengono
delineate quelle che sono le tappe per la costruzione, per la codificazione della città a partire da gruppi etnici
che hanno un’identità condivisa e che saranno quelli che creeranno i presupposti per la polis. Questi gruppi
sviluppano diversi agglomerati di abitazioni e di luoghi di produzione e attraverso lo sviluppo della cellula
base/casa (oikos) in più oikoi che sono i gruppi di persone che si riconoscono all’interno di un insediamento
si creano gli spazi condivisi che sarà lo spazio pubblico che in futuro si chiamerà agorà, lo spazio per lo sacro,
posto sulla collina. La cellula base si sviluppa all’interno del nucleo della futura città ma controlla anche un
territorio (chora), segnato dalla comunità attraverso serie di spazi sacri (santuari), abitazioni, luoghi di
riunione, vie, necropoli, delle aree di produzione (alcune produzioni molto pericolose all’interno del nucleo
abitativo per la presenza del fuoco) ma anche zone dove si produceva ciò che era necessario alla comunità
come le fattorie extraurbane. Queste erano delle case per la fascia sociale medio bassa e avevano una
struttura piuttosto semplice: un unico ambiente
quadrangolare per un totale di 20 mq, pensato per un
nucleo di famiglia (mononucleare) che può svolgere le
attività di produzione (come la lavorazione della lana, dei
tessuti o la produzione di ceramiche per uso interno) con
una sorta di cantina sottostante accessibile dall’interno
dell’abitazione per inserire le provviste necessarie alla
famiglia.

(foto: esempio di abitazione in età geometrica in località incoronata, Metaponto)

All’interno vi erano pochi oggetti, sono delle strutture effimere con alzati in mattoni crudi. Esistono anche
altre abitazioni più grandi per classe più elevata e famiglia più ampia che richiamano l’idea del megaron dal
punto di vista della struttura originaria. Questo tipo di abitazioni si inseriscono all’interno di un insediamento
in maniera non regolare.

Smirne → ricostruzione della città secondo un impianto regolare dopo un incendio della fine dell’VIII sec. a.C.
In questa città questo sistema urbanistico diventa l’occasione per
ripensare la città dove intorno al 1000 queste case sono distribuite in
maniera incoerente. Nel momento in cui avviene un incendio,
nell’VIII secolo viene distrutta la città e ne viene costruita una nuova,
che questa volta ha centinaia di esempi di abitazioni con:
fondamenta in pietra, alzati in legno, mattoni crudi e copertura in
materiali straminei. In questo caso si dispongono all’interno di un
circuito murario più o meno circolare, che all’interno ha
un’articolazione rispetto agli assi stradali ben definita, e
posizionamenti delle abitazioni più scanditi.

Emporion, Chio

In questo caso ci sono degli insediamenti che occupano sia la parte


sommitale con il megaron e il luogo di culto in onore di Atena e una
serie di abitazioni disposti lungo la pendice attorno alla città.

Ci sono delle costruzioni molto semplici, essenziali ma che


rispondevano all’esigenza dei gruppi abitativi.

Esistono due tipi di città:

1. le città ad accrescimento (es. Atene), che progressivamente


si sviluppano, si amplificano e che possono non avere un
ordine regolare come Smirne;
2. le città per fondazione, che sono la testimonianza di fondazioni ex-novo che rientrano nella
colonizzazione greca e che costituiscono delle progettazioni a monte di come doveva essere la città
fondata dall’oikistes (ecista) e che racconta molto delle forme dell’abitare e del modo si costruire dei
greci.

La colonizzazione greca è uno dei fenomeni più interessanti del mondo greco che vede lo spostarsi di gruppi
etnici dalla madrepatria, dalla metropoli verso territoti che per informazioni pregresse o per piste seguite già
dai micenei erano note attraverso le rotte commerciali. In queste terre, la madrepatria decide di fondare dei
nuovi luoghi in cui trasferisce parte della sua popolazione. L’oikistes, una figura a cui è riconosciuto un valore
militare ma anche morale, che va a capo di queste spedizioni e fondano la apoikia (città di fondazione), sotto
la guida di oracoli che indirizzano i popoli a scegliere certi luoghi rispetto ad altri.

Queste fondazioni non erano sempre in pace perché a volte si trovavano anche indigeni, che portano a delle
situazioni di scontro, degli accordi, dei matrimoni tra diverse etnie per garantire osmosi tra indigeni e nuove
persone e quindi a delle nuove città. Queste recuperano molto della tradizione della madrepatria,
stabiliscono dopo alcune generazioni il culto del fondatore, si danno delle norme → isonomia, una legge che
vale per tutti e che garantisce un’articolazione del territorio in maniera organica e ordinata già in una fase
molto precoce.

Megara Hyblea, Sicilia, 728 a.C., → esempio di città “pianificata”

Il nucleo urbano ha già una linea muraria che delimita il perimetro


interno, ha una serie di strade (le plateiai in senso orizzontale e gli
stenopoi in verticale). All’interno si generano degli isolati in cui si
sviluppano delle abitazioni.

Si definisce fin da subito, uno spazio per la divinità Poliade, che va


a garantire l’ordine della città.
All’inizio non tutto il territorio interno era usato e occupato, le fondazioni della città prevedono una
delimitazione del territorio che poi diventerà quello della città anche per motivi difensivi e per garantire
all’interno di questo primo nucleo urbano lo spazio per attività di produzione, di allevamento che poi
verranno spostate fuori.

Queste città di fondazione hanno una chora di pertinenza, che svolge un ruolo importante perché dentro lo
spazio si sviluppano, non solo luoghi di culto che marcano il suo limite, ma si sviluppano anche fattorie o
abitazioni che sono quelle cellule che garantiscono alla propria cittadinanza di controllare il territorio.

La chora è il luogo dove la cittadinanza e anche i popoli fuori dalla città trasferiscono una serie di elementi
costituitivi del proprio ethnos e dove si svolgono cerimonie connotative dell’ethnos stesso, come cerimonie
legate a santuari di frontiera, in cui gruppi sociali come giovani devono dimostrare attraverso gli atla (gare di
iniziazione) di essere in grado di gestire determinate situazioni di pericolo, di essere in grado di svolgere una
serie di attività che corrispondono a una norma codificata dal gruppo sociale. → all’interno della chora
esistono anche degli spazi in cui i gruppi si riconoscono e quindi delimitano sé stessi e pongono il punto di
separazione tra loro e l’altra chora di un’altra popolazione.

Non solo la città viene ad essere lo spazio di identità ma anche il territorio ha questa pertinenza, che si
concretizza tra VII e VI secolo ma che tra IX e VIII diventa l’elemento che connota questi nuovi gruppi di nuovi
greci.
LEZIONE 03 ǀ 1 marzo 2022

Dalla produzione ceramica di età geometrica (IX-VIII sec. A.C) ai fenomeni culturali e artistici di
età orientalizzante (VII sec a.C)
Siamo arrivati fino ad alcune attestazioni dell’VIII secolo, che sono molto residuali da punto di vista di resti
e delle tracce monumentali.

Produzione Ceramica
La ceramica è un ambito che rappresenta il tema dello studio della archeologia classica. I frammenti di
ceramica, sono per gli archeologi il “fossile guida”, sempre e aiuta a datare lo strato del contesto di
riferimento.

La produzione ceramica è importante non solo perché è un’oggetto che si trova in grandi quantità nelle
necropoli, ma anche perché permette di individuare delle classi tipologiche e botteghe e tendenze
artistiche, ma ha permesso:

• di ricostruire una serie di informazioni su luoghi di destinazioni di questi vasi, con usi civili, sacri e
funerari
• capire il processo di produzione di queste ceramiche.

Come si realizza un vaso?

1- Estrazione dell’argilla.
2- Deposito e decantazione in vasche.

Pinakes tavolette dipinte, da cui pinacoteca, dell’area


greca Corinzia, datate al VI secolo a.C.

Un primo aspetto da considerare è quello legato dal


recupero della materia prima che è l’argilla.

Cavatori di argillaNell’immagine vi sono i cavatori di


argilla, i quali recuperavano i blocchi di argilla in cave a cielo
aperto, con un trasporto garantito da dove si estrae l’argilla
e dove viene lavorata.

Il colore di argilla varia in base alla zona in cui viene


estratta:

• l’argilla dell’area corinzia è più chiara e viene decorata, con tendenzialmente un colore giallo-verde
• quella dall’area attica è più rossastra, poiché vi è la forte presenza di materiale ferroso
• quella dell’area microasiatica è più marroncina più simile a cuoio
3- Dopo l’estrazione, l’argilla poi veniva depurata, ovvero depositata da bacini ricchi d’acqua, dove si
depositavano sul fondo la massa di argilla e venivano
rimossi dal pelo dell’acqua quello sporco che era
presente, come foglie, insetti e altri materiali, poi il tutto
veniva impastato e lavorato al tornio (sorta di invenzione
micenea perfezionata in Grecia).

Argilla veniva depurata, che veniva modellata al disco nelle


officine chiamate Ergasteria (ergon è propriamento l’oggetto
prodotto, l’opera).
4- Prima della pittura, i vasi poi venivano fatti essiccare, poi in seguito veniva passato uno straccio di
pelle per rendere liscia, la superficie del vaso prima di essere dipinto. Il pittore doveva essere abile
per fare un disegno preparatorio dipinto, visto anche nella ceramica geometrica. A seconda del
tipo di pittura si avevano anche diversi tipi di colorazione, in base alla temperatura che si
ottenevano in cottura.
5- Cottura, fase delicatissima. Le fornaci, realizzate in muretti di ciottoli, poi rivestiti in mattoni di
argilla, che rendevano isolata la struttura. Vi erano delle aperture del forno, che garantivano il
controllo della cottura che doveva avvenire in maniera costante, che durava circa 8-9 ore, e
temperatura a circa 800-950°.

Nelle officine vi erano dei simulati di divinità che proteggevano la professione, in particolare Atena e
Efesto

Attività che si svolgeva all’interno delle fornaci e delle officine in senso lato, che in greco prendono nome di
Ergasteria.

Ergasteria luogo in cui di facevano gli erga, ovvero le opere, ergasterion al plurale di opera

Il caso di Atene è importante per l’età geometrica, si sviluppa un quartiere chiamato Kerameikos, dove si
sviluppano molte officine e quindi anche molte botteghe. Quartiere ceramico, anche con la presenza del
fiume si garantiva il processo produttivo.

Forme realizzate per i banchetti, e altri per unguenti e la toilette personale.

Forme utilizzate per i banchetti, con una destinazione prevalentemente maschile,


e forme per il trasporto, con brocche e anfore per il trasporto.

Le tipologie decorative della fase geometrica

Gli studiosi, hanno diviso le fasi di decorazione della fase geometrica, in circa altre
4 fasi:

• Fase proto-geometrica (1050-900 a.C), in cui ci sono queste forme in cui


gli elementi decorativi, vanno ad occupare le parti più importanti del

Fase proto-geometrica
vaso, tra cui la spalla e la pancia del vaso. Sono in seguito il piede e collo oggetto di decorazione ad
hoc. Decorazione che si sviluppa orizzontalmente.
• Fase geometrica (stile geometrico antico), 900-850, con grandi dimensioni di vasi (crateri, anfore), e
compaiono alcuni motivi zig-zag, e svastiche.
• Fase geometrica media (850-750), arrivando a delle linee e motivi geometrici, coerenti alla forma
del vaso, ma perfettamente eseguiti, con una comparsa, con alcuni elementi applique, con alcune
impugnature ed elementi di tipo animale ed umano.

Ultima fase geom media che dura 100 anni, i vasi che vengono prodotti, permettono di rendere la superfice
del vaso parlante, con scene di quotidianità o che richiamano imprese di singoli
individui oppure, elementi connessi al mito, oppure con una sfera di vettori, in cui
le persone potessero riconoscersi.

Vi sono alcuni esempi di Pisside, con coperchio decorato da cavalli (applique), che
simboleggiava il detenere un patrimonio di un certo tipo, cavalli con ricchezza.
Nella foto anche uno skyphos, con scena di attracco di una nave e di scontro tra 2
diversi gruppi, che viene da Eleusi, compare una scena con l’arrivo di una nave,
con un uomo con arco e freccia, che rimanda o una scena mitologica, oppure uno
scontro tra gruppi, cosiddetti “pirati”.

Fase geom. media

Vasi venivano usati come segnacoli tombali, crateri usati per le sepolture maschili e le anfore per quelle
femminili.

“The tomb of the rich lady”, anfora trovata ad Atene.


Esempio di tomba molto importante per una serie di
motivi.

Non siamo più in un contesto di inumazione, ma di


incenerazione, è cambiato il rituale di sepoltura. Le ossa
trovate all’interno dell’anfora, con decorazione
geometriche, e altri oggetti ritrovati, con una riproduzione
in miniatura di pithoi (contenitori di alimenti), che
The tomb of the rich lady significava il lavoro che svolgeva quando era in vita, e
granaio in miniatura, e altri oggetti come gioielli.
Quindi anche nell’ambito femminile aveva una gestione manageriale dei beni in questo caso lei era
probabilmente una detentrice di vaste aree di coltivazione, che fa capire il ruolo.

Anfora del Dipylon, Atene-Esempio di una anfora trovata ad Atene, di grandi dimensioni H 1,55 m, in una
scena di prothesis e di compianto di una defunta distesa su un letto funebre, da parte di un gruppo
ristretto, con una figura di bambino a lato. Scena di compianto, che era ancora in una scena di tipo
familiare.

In altri esempi il numero di persone aumenta, e queste fa intuire, e questo fa immaginare non più una
società di clan familiari, ma una società che via via si arricchisce e si struttura in comunità.

Benchè non ci siano ancora tracce di una statuaria, oltre ai vasi, sono stati trovati oggetti plastici di piccole
dimensioni, realizzati in terracotta o bronzo.

Produzione in bronzo, che ad Olimpia ci sono molti esemplari, che vengono prodotti questi grandi tripodi,
che venivano dedicati nelle aree di santuari, che con anche l’avvenuta delle Olimpiadi, si aveva una grande
produzione di questi oggetti per celebrare questo tipo di vittorie.

Oggetti con primo approccio, della figura umana, che chiama in causa la capacità di realizzare, manufatti di
confusione piena, e primo scontro tra soggetti, con statue non alte più di 20 cm.

ETA’ ORIENTALIZZANTE

Produzione artistica, nel VII sec a.C, con un flusso da parte delle genti orientali, dura circa un secolo, che
avviene dal 600-699 a.C. Avviene perché a partire dal nono secolo a.c ripartono i grandi commerci, e vede
le genti dell’aria fenicia, che connettono i prodotti artistici e cultura dell’area orientale con il mondo greco.

Se nell’area artica vengono prodotte delle ceramiche di altissimo livello, poi vengono soppiantate da una
serie di prodotti con una marca fortemente orientale, con un commercio via mare.

Nei racconti di Omero, si parla di uomini che dalla terra Fenicia, giungevano molte navi, portando con se
molte “chincaglieria”, ovvero tutta una serie di merci, che meravigliavano una committenza locale, con
delle decorazioni, con una espressione e violenza.

Nel cratere di Aristonothos, con raffigurati Ulisse e suoi compagni che stanno per uccidere Polifemo, di
produzione greca, con una scritta con il nome dell’autore.

Questo permette anche di intendere una società che non si basa su leggi orali, leggi non scritte, che
quindi a discapito di una popolazione che dipende da una sua autonomia, ma che dal punto di vista
amministrativo si ha anche un sistema di famiglie nobili, che si affermano nella società.

Si ha bisogno di stabilire un sistema di regole che si affermano sempre di più, via via creando delle società
sempre più complesse.

La pietrificazione del tempio

In questo secolo, il passaggio dell’uso del legno, a quello dell’uso della pietra che va a codificare una serie di
innovazioni, per quello che è l’edificio che costituisce la società che è il tempio. Vanno sostituite le
coperture lignee, con l’uso anche delle tegole in terracotta, probabile invenzione degli abitanti di Corinto,
intono al 680.

Si inventarono delle “maschere”, tegole ante- fisse, che vano a coprire la parte superiore del tetto e
abbellirla, e che permettono di coprire lo spazio interno, che in qualche modo viene ripensato.

- Introduzione delle tegole fittili per la copertura del tetto: invenzione degli abitanti dell’Istmo di
Corinto;
- Introduzione delle ‘maschere’ per coprire le estremità dei tetti: sono le ante-fisse, inventate dal
vasaio Butades; che vano a coprire la parte superiore del tetto e abbellirla, e che permettono di
coprire lo spazio interno, che in qualche modo viene ripensato.
- Inclinazione del doppio spiovente non superiore al 32/35% del totale (cfr. i precedenti tetti dei
modellini fittili);
- Minore inclinazione=maggiore ampiezza della cella, scarico dei pesi sulla peristasi esterna e sui
sostegni interni, cella che ora diventa in pietra, sulla peristasi, che definisce un nuovo ruolo, di
sostegno della copertura ma un luogo in cui i fedeli possono sostare
- Definizione dei due principali ordini, dorico e ionico.

L’Heraion di Olimpia (650-600 a.C), è un esempio di come si possa registrare un passaggio progressivo da
una casa del dio realizzata di legno e poi in pietra. Cella di 100 piedi con un pronao di 20 piedi e 2 colonne
in antis. Qui si ha un opistodomo, che rende ariosa le due corti del tempio. Peristasi di 6x16 colonne con
uno stilobate.

Pausania, ci dice nel quinto libro


della periegesi, ci racconta che lui va
a va vedere questo santuario, e dice
che nell’opistodomos lui vede
ancora una colonna in legno,
probabilmente apparteneva alla fase
più antica della costruzione, prima di
essere stata sostituita in legno.

La suddivisione tra pronao, e naos, (cella), la presenza del colonnato che si addossa quasi completamente
alle pareti laterali, in cui si ospitavano i due simulati del tempio di Era e Zeus.

Qui viene notato uno di quelli che viene chiamato, il conflitto angolare perché qui si decise di spostare
l’asse delle colonne al margine del tempio, in modo di rendere più larga la prima metopa.

Un altro edificio, che è stato soggetto di studi specifici è stato quello di:

Thermos, che subisce una serie di modifiche, tra cui il tempio di Apollo (630-620 a.C), con una presenza di
colonnato assiale, con una peristasi di 5x15 colonne con parte dei tamburi in pietra e una serie di metope,
su un fregio dorico.
Evoluzione del tempio in pietra è quello sul fronte Ionico. Già
analizzato con il secondo Hekatompedon I (VIII sec a.C), con
una ricostruzione del portico stoà per i fedeli.

Viene abolita la fila centrale di colonne, con posizione della


statua che era disassata per non ostacolare la sua visione al
momento dell’ingresso.

Hekatompedon II Colonnato esterno, cella in pietra calcare,


e colonnato interno addossato alla parete rendendo lo spazio
arioso, e sulla base la statua di culto collocata.

Portico meridionale la Stoà legato al culto e alle cerimonie,


santuari luoghi dove avvenivano una serie di occasioni di
ritrovo sociale e politico, che andava oltre la funzione
prettamente religiosa dello spazio sacro. Qui si ritiene che
venivano deposte varie cerimonie ex voto, che nel momento
massimo di epifania della divinità, ovvero il sacrificio, che
veniva realizzata nell’altare, considerata una delle parti più
sacre.

SCULTURA MONUMENTALE

Anche a livello plastico, la scultura si assiste ad una nascita e


una affermazione chiara cosiddetta monumentale, non più
come una scultura con forme ceramiche, che serve come
fronzolo all’oggetto ceramico in sè, ma viene pensata come
scultura con una vita autonoma.

Le aree in cui vengono attestate le prime tracce di questa scultura monumentale,


sono l’isola di Creta, il Peloponneso e le Cicladi.

Qui rappresentato un bronzetto, alto circa di 20 cm, con rappresentato da


Mantiklos, nel tempio di Apollo, a Tebe, appartenete al VII a.C. Il bronzetto è ancora
legato alla resa del corpo umano, con impronta geometrica. La testa triangolare e il
busto triangolare e le gambe quasi a livello tubolare, qui si rappresenta questo
primo oggetto, di rendere e rispondere ad uno dei primi tentativi di rappresentare
la moda dell’epoca, che anche rappresentavano la acconciatura con delle trecce, e
elementi costitutivi del viso, e del corpo, con i glutei, pettorali e genitali.

Sulle gambe della scultura vi è una dedica scritta incisa ad Apollo. In qualche modo è
l’oggetto dedicato che parla e presenta se stesso alla divinità, caratteristica costante
in questi tipi di oggetti, come un ammonimento per colui che vede l’oggetto, quindi
portatore di un messaggio. Oggetto realizzato con fusione piena, con capacità di
lavorazione di un certo livello. Fa muovere le braccia dal corpo, con il gesto che
tiene un arco e una freccia, è una statuetta a tutto tondo.

A Creta nasce lo “stile dedalico”.

Per far risalire qualche personaggio del mito in scultura, le fonti del mito dicono che l’invenzione della
statuaria è attribuita a Dedalo. Ha un nomen omen (dal nome parlante).
Dedalo deriva da Daidallen=ovvero lavorare ad arte.

Daidalos =colui che modella ad arte, ma anche secondo le fonti un architetto che ha gli strumenti di lavoro.
A lui vengono attribuite le doti straordinarie di aver inventato il labirinto, ma anche aver inventato gli
strumenti dell’ascia, fili a piombo, che serve per costruire tali opere, ma anche per realizzare queste opere
con una serie di competenze.

Un altro elemento da considerare tra il mitologico e lo storico, è che a Minosse, a Creta, si trovano le prime
tracce di produzione di sculture in pietra, Creta si pone come una culla di invenzioni e definizioni, dove si ha
un transito di persone e merci, in un posto dove transita quello che è il mondo antico.

Si attribuiscono 2 tipi di statue xoana e sphyrelata. Sono due sculture mobili,


di piccole dimensioni.

- Xoana, statue di culto sotto forma di idoli aniconici, per lo più in


legno o in avorio, ne restano pochi esemplari come quelli dal
santuario arcaico di Palma di Montechiaro, Sicilia, che sorge nelle
sorgenti di acqua solfurea con connotazioni di acqua termale, e
queste statuette sono state trovate nel fango, che è l’unico
ambiente che conserva meglio il legno. Rappresentazioni di divinità femminili, con primi tentativi
di rappresentare i tratti femminili, con una prima
curvatura, con la cura dei tratti del viso, con una serie
di copricapi.
- Sphyrelata, provengono da questa fase dello stile
dedalico, provengono da Creta, provengono dal
tempio dell’Apollonion di Dreros. Hanno la
caratteristica di essere realizzate a partire dall’anima
di legno, a cui viene data una forma prestabilita, su cui
viene poi applicata con chiodi una lamina in bronzo. In
questo caso, si hanno rappresentate Apollo, Latona e
Artemide, rappresentati con una pre-resa anatomica che poi nei segoli verrà perfezionata.
Tempio con modello ad oikos, con modello quadrangolare semplice, con fossa centrale per i rituali,
e la statua dove venivano messo sul fondo del vano.

Ancora a Creta ci sono ulteriori esempi, con sculture


dedaliche in pietra, come nel tempio di Prinias, con tipologia
a “naiscos”, con 3 pilastri all’ingresso e una cella interna, con
colonne al centro e spazio sacrale nel mezzo.

Queste sculture, sono raffigurazioni che si ispirano al mondo


orientale, mondo
assiro, non solo per la
resa statica delle figure sedute, ma anche per la presenza delle vesti
sofisticate e decorate, per la resa del volto delle divinità, e per la
presenza degli animali che fanno sfilate tipiche del gusto orientale.

La dama di Auxerre 640 a.CUno dei primi esempi in scultura in


calcare, importante perché richiama, la resa della capigliatura, con
lavorazione delle ciocche definita. Vi è un eco per il gusto della
lavorazione della ceramica, con tracce di bicromia nella veste.
A Micene, ritrovato un frammento in rilievo di busto femminile. Testa di Here, che viene dall’Heraion,
secondo Pausania era una statua che ricorda quella trovata nell’acropoli di Olimpia.

Nelle Cicladi, si concretizza l’utilizzo del marmo, con l’utilizzo di trattamenti specifici per l’uso del marmo,
anche con statue di grandi dimensioni. Il termine utilizzato comunemente per indicare statue di grandi
dimensioni, in greco kolossòs è qualcosa che ha una dimensione colossale, ma significa un qualcosa che è
saldo nel terreno, che non si può spostare che è inamovibile. Le statue piccole in bronzo viste in
precedenza, invece usualmente venivano trasportate durante le processioni sacre, durante le festività, che
richiedevano la presenza fisica delle divinità.

Esempio, una statua del villaggio di Melanes a Nasso, con un kouros, che è
lasciato abbozzato.

La statua di Nikandre, alta 2 metri, è la prima kore(fanciulla) a noi giunta,


con una dedica, che dice di essere figlia Deinodikes, facendo così si va a
ricavare l’importanza di affermare ad una famiglia prestigiosa, e della sua
posizione sociale.

L’arte del VII secolo, non interessa solo l’architettura e la grande scultura,
ma anche un’arte che va a esplicitarsi nell’oreficeria, non solo con
committenza greca, ma anche una committenza non greca. Se nella fase
geometrica si aveva una grande presenza di tripodi, nel 7° secolo si ha una
prevalenza di realizzazioni di calderoni, su supporti conici e che possono
presentare dei grifoni.

Oggetti di grandi dimensioni, trovati con altri oggetti di lusso e prestigio, in


2 tombe a Palestrina, tomba Barberini e Bernardini, le 2 famiglie che hanno
finanziato lo scavo, ed è stata scavata in queste 2 aree, e sono stati trovati i bronzi, lo scettro e troni
straordinari, con gusto orientale, e danno proprio la misura, di come genti dell’occidente, volessero nelle
loro tombe questi oggetti di grandi dimensioni, considerati di grande prestigio.

Vengono creati degli oggetti con gusto orientale, e riprodotti, con idea del gusto orientale che è
caratterizzato, da scene esotiche, senso di sottomissione della società, e animali fantastici.

Gusto che poi si ritrova nelle produzioni di Pithos di Mikonos, con il cavallo di Troia, stilizzato nel momento
in cui viene portato nella città.

Se Atene dominò la produzione ceramica in tutto il 9° e 8° secolo, la città che si impone nel 7° secolo, è
Corinto, che è stata meno produttiva per quanto riguarda nella produzione ceramica, e che invece
recepisce quelle sollecitazioni che provengono dall’oriente. Il nucleo antico della città è sul promontorio, e
la Corinto romana rifondata dopo la distruzione del 146 a.C. Città con già la sua vivacità nell VIII sec., con
posizione strategica a metà tra il mare d’occidente e il mar Egeo, tra i Golfo di Salonicco e Golfo di Corinto,
e quindi va a controllare tutta una serie di traffici tra le due sponde. Nel VII secolo produce ceramiche con
gusto orientale, e che rispondono ad elementi del mito, con gusti esotici, e uno dei prodotti pi famosi è
Olpe Chigi, una brocca, che ci mostra come la cultura raffigurativa anche nei vasi, ha elaborato delle
rappresentazioni e personaggi.
LEZIONE 04 | 2 marzo 2022

L’ETÀ ARCAICA (VI secolo a.C.)


Le conquiste nell’architettura e nella scultura
L’età arcaica comprende un periodo di circa 120 anni → decenni dal 600 al 480

Il momento di trapasso tra questi due secoli serve per comprendere quelle che sono stati gli indizi di
trasformazione, di nuovi elementi che hanno interessato l’arte greca e che non possono essere disgiunte
dalla politica, dall’economia, dalla cultura e quindi dalla società che le ha fornite.

Il VI secolo è il secolo in cui la rete di vie commerciali, di rapporti tra etnie diverse, che non sono solo quelle
della Grecia ma sono anche gli altri popoli (es. Fenici).

Questa rete di contatti fa sì che si registri un netto aumento del benessere della popolazione, che si traduce
non solo in una situazione nelle singole realtà della madre patria ma anche nelle colonie. Questo ampliarsi
delle potenzialità di una vita meno in difficoltà si traducono con il fatto che nel VI secolo si registra già una
maggiore consapevolezza del saper fare, dell’essere degli artigiani che hanno capacità artistiche, che hanno
una propria riconoscibilità, una propria bottega → questa consapevolezza fa sì che dalle personalità mitiche
si passa a prime personalità artistiche che vengono ricordate dalle fonti in questo secolo.

L’aumento della produzione e dei commerci favorì una necessaria introduzione della monetazione. IL VI
secolo è infatti, secondo le fonti, il momento in cui vengono riconosciute le prime forme di coniazione di
monete che si riconoscono nell’area Lidia (microasiatica) e che rispondono a delle necessità prime di stabilire
un valore alle merci vendute. Nella frammentarietà della situazione greca sia della madrepatria, sia di colonie
questa situazione fa sì che ogni città inizi a coniare delle proprie monete, che scelgono dei simboli che
evocano un carattere particolare della città in cui la cittadinanza si riconosce e che hanno dei valori ponderali,
a livello di scambio differenti.

La pratica di un rapporto strettissimo tra queste città chiama in causa l’altra grande potenza → Impero dei
Persiani. Questo impero si incontra alla fine dell’età arcaica nel momento in cui Grecia, capeggiata da Atene
si scontrerà con questa potenza navale e oplitica, ma in realtà questa civiltà per tutto il VI secolo continuerà
a pressare le città della Grecia ionico (Efeso, Mileto e Smirne sul Mediterraneo) che rappresentano per il gran
re gli avamposti per controllare tutto lo sbocco delle merci. I greci li chiameranno barbaroi (“coloro che non
sanno parlare il greco”).

Città principale in questo periodo è Atene → soppianta il ruolo di grande esportatore di ceramica di Corinto
e questa nuova ascesa si deve anche all’emergere di alcune figure che costituiscono dei punti di rifermentò
sociali e politici per la comunità:

- Solone = il grande legislatore e mediatore delle tensioni sociali a cui pure Atene era sottoposta.
Questa prima codificazione di leggi deriva dalla necessità di rendere chiare delle leggi che diano pari
diritto alla popolazione togliendo il totale arbitrio dalle mani dell’aristocrazia.
- Pisistrato = a capo di un governo tirannico (534-528 a.C. - altera la situazione, riassume in sé tutte le
criticità sociali promettendo premi, favori e denaro - figure dei tiranni presenti anche in altre città).
Egli riesce a imporsi sulla scena politica e tenta di superare la crisi favorendo l’agricoltura e
l’artigianato, promuovendo attività infrastrutturali ed edilizie per la città dando vita a una prima
flotta navale. La parola tyranos viene introdotta nel VII secolo, nel momento in cui i greci assumono
un certo vocabolario orientale, che sta a indicare una figura carismatica che accentra su di sé il
potere.
La situazione resta così dinamica fino a quando non subentrano i figli Ippia e Ipparco. Ippia è
presentato come il braccio armato della famiglia, mentre Ipparco come l’uomo intellettuale, che
chiama a corte gli artisti e i poeti che cade sotto le armi dei due tirannicidi Armodio e Aristogitone
che uccidono Ipparco nel 514 a.C.; nel 510 a.C. Ippia viene cacciato.
- Clistene introduce innovazioni politiche fondamentali, tra cui l’abolizione della tirannide in favore di
un regime democratico (fine VI secolo a.C.)

Corinto mantiene un controllo di una parte della produzione ceramica soprattutto verso i mercati della Grecia
settentrionale e in Occidente, ma quando nel 585 cade la dinastia dei Cipselidi, dal capostipite Cipselo, la
città andrà incontro a una progressiva contrazione.

Sparta diventa il nuovo centro politico egemone del Peloponneso, dando avvio alla lega peloponnesiaca
anche grazie a una produzione rilevante di ceramiche e bronzi attestati anche in Occidente.

Le città greche della Ionia, in Asia Minore, sono pressate dalla spinta dominatrice dell’Impero persiano: solo
alcune riescono a mantenere un’autonomia significativa, che permette loro di progredire anche in termini
culturali e artistici.

Subito dopo la fine della tirannide, la cittadinanza incarica ANTENORE di fare un


gruppo di statue che doveva essere esposto a memoria perenne dell’impresa
straordinaria di Ippia e Ipparco. Nel 480 viene poi portato via dai persiani,
nell’ambito delle guerre persiane. Sconfitti i persiani nel 479 a Platea la
cittadinanza decide che vuole ancora questo gruppo e quindi incarica altri artisti:
Crizio e Nesiote. → per realizzare un secondo gruppo che resta nella copia
romana che si trova al museo archeologico di Napoli. Un originale che resta ad
Atene ma che a un certo punto viene affiancato da quella di Antenore perché
quando Alessandro Magno conquista l’impero persiano e trova l’originale lo
riporta ad Atene.

Nel momento in cui cade la tirannide nel 510 e vengono sollecitate delle innovazioni da un punto di vista
giuridico con le norme in senso democratico di Clistene, vengono identificati anche degli organi di governo,
di amministrazione della città che si concretizzano nella grande boulè, nell’assemblea dei 500 nella quale
sono sorteggiati possibili esponenti delle 50 ? territoriali. Nella boulé vengono introdotte delle possibilità di
limitare eventuali aspirazioni di affermazioni di potere personali come l’ostracismo, procedura attraverso la
quale venivano allontanate persone dalla città nel caso in cui esse fossero considerate nemiche della città.

La parola “ostracismo” deriva dal greco ostracon = ‘coccio di terracotta’ sul quale i partecipanti della boulè
potevano incidere il nome di quella persona che volevano allontanare dalla città.

Arte e architettura in età arcaica: consolidamento della tradizione orientalizzante ed elaborazione di un


nuovo linguaggio espressivo

Da un punto di vista artistico e delle codificazioni nell’architettura l’età arcaica si presenta come un secolo di
grande importanza in cui da un lato vengono codificate le tradizioni di fase orientalizzante (come la
pietrificazione del tempio che porterà alla sostituzione di tutti gli elementi lignei con elementi in pietra) e
dall’altra l’elaborazione di un nuovo linguaggio espressivo che interessa i manufatti di tipo individuale (doni,
monumenti realizzati da singole personalità a livello di dono individuale e personale) ma anche di tipo
comunitario, ossia a livello di un’espressione concittadina pubblica nel momento in cui si vanno a realizzare
opere che sono espressione dell’intera comunità.

In questa fase:

- Aumento del benessere generale e della consapevolezza degli artisti e degli artigiani di saper
produrre opere di rilievo consente il superamento dell’anonimato che aveva caratterizzato la fase
orientalizzante, che si concretizza con la firma sulle opere in qualche caso sulle architetture ma più
spesso sulle statue e sui vasi. Non più artisti con nomi mitici ma persone reali.
- Si fissa un tipo di raffigurazione del corpo umano sia maschile che femminile = rappresentazione
dell’ideale femminile e maschile che corrisponde in greco al kouros, il giovane atleta e alla kore, la
fanciulla in età da marito.
- Codificazione di un canone proporzionale per larghezza, lunghezza e altezza dell’edificio sacro:
connessione fra lo spazi interno del naos e il recinto esterno (peristasi).
- Invenzione della ceramica a figure nere: sui vasi (di varie tipologie e dimensioni) sono rappresentati
miti e temi cari alla società arcaica (gli agoni atletici, le prove eroiche, il matrimonio, la gestione dele
potere, il rispetto degli dèi, la morte onorevole).
- Si codificano in maniera definitiva gli ordini dorico e ionico con serie di parole specifiche che aiutano
a capire la complessità e la teorizzazione di trattati sull’architettura e che permettono di riconoscere
queste codificazioni in quelli che sono edifici ancora noti e che spaziano all’interno di tutto il VI secolo
a partire dai primi esempi presenti non in Grecia ma nelle colonie.

Codificazione dell’ordine dorico

L’Apollonion di Siracusa, Ortigia, inizi del VI sec. a.C.

A Siracusa viene costruito questo tempio in onore di


Apollo. La planimetria è pensata in maniera organica
(paio di decenni dopo l’Heraion di Olimpia) e si vede
come sono codificati alcuni elementi che
diventeranno poi canonici nell’architettura =
architettura tendenzialmente allungata, con forme
piuttosto allungate rispetto a esempi alla fine del
secolo con diminuzione della forma allungata in
favore di una maggiore contrazione delle forme.

- Planimetria che prevede una fronte di 6x17


colonne in pietra su un crepidoma di tre gradini (un
solo gradino ad Olimpia) che in successione, nella parte di ingresso, prevede una seconda fila di
colonne a rimarcare l’importanza dell’accesso all’interno del naos;
- Il naos ha il pronao di stilo in antis e ha una doppia fila di colonne interne che inquadrano visivamente
il luogo principale del tempio → sul fondo della cella viene collocata la statua di culto
- La cella non è chiusa completamente perché al posto dell’opistodomo c’è un aditon, ossia un vano
che non è accessibile sul retro. Viene interpretata come una realizzazione funzionale alle attività
puntuali e rituali previste dal culto apollineo.

È uno dei templi dorici più antichi tra quelli realizzati in pietra, se si pensa che le colonne (di cui quelle frontali
hanno un interasse maggiore rispetto a quello laterale per consentire l’allineamento con le colonne del
pronao e quelle interne) sono monolitiche, non realizzate per rocchi con altezza media di 8 metri, ciascuna
delle quali pensa 33 tonnellate.

Viene firmata dall’architetto che lascia iscrizione sul gradino superiore del crepidoma, sullo stilobate che
recita: «Kleomene figlio di Knidieidas, fece il tempio per Apollo e alzo i colonnati, belle opere». → non c’è
soltanto l’affermazione della realizzazione dell’opera ma viene sottolineata anche l’importanza della peristasi
(“dalle belle colonne”), che non è uno elemento secondario perché per gli antichi lo spazio del sacro è
caratterizzato da un insieme delle realizzazioni che vengono dedicate alla divinità che acquistano un
significato importante che aiutano a capire perché all’interno dei santuari si possono trovare, tra gli ex voto,
anche colonne iscritte, tavoli, oggetti di arredo, non si trovano solo sculture ma oggetti dedicati per onorare
la divinità.
La divinità viene scelta a seconda della sensibilità e tradizione culturale locale.

Corcyra, Artemision, 580 a.C.

Il tempio viene dedicato alla sorella di Apollo, Artemide, ed è uno


degli esempi che servono per ribadire l’importanza di questa fase di
realizzazione di monumenti straordinari.

- Ha un peristilio di 8x16 colonne


- Colonnato che lascia lo spazio quasi doppio tra l’interno della
cella e il peribolo circostante per garantire un afflusso di fedeli
importante nel momento in cui avvenivano le varie cerimonie
- All’interno del pronao c’è una lunga fila di colonne a due
livelli per visualizzare immediatamente sul fondo della cellula la
statua della dea.
- Alla dea e al suo mondo selvaggio si riferiscono i personaggi
che per la prima volta occupano il frontone del tempio. Al centro di
uno dei due frontoni c’è la
Gorgone, rappresentata nella
corsa inginocchiata. In questa fase la resa prospettica non è
ancora affinata da permettere di rendere una figura nel
movimento della corsa e quindi per dare l’idea della
dinamicità questo tipo di corsa è una caratteristica della
decorazione del Vi secolo superata poi nel V secolo con una
resa corretta del movimento del corpo.

A fianco della dea sono raffigurati Crisaure e Pegaso che, secondo il mito, nascono nel momento in cui Perseo
taglia la testa alla Gorgone. Il fatto che venga scelta questa figura così mostruosa per decorare il frontone del
tempio non evoca solo il mondo selvaggio di cui Artemide era la divinità ma è anche un eco del gusto orientale
per la raffigurazione di mostri e creature più o meno fantastiche che aveva connotato la presenza e le forme
artistiche del VII secolo.

Codificazione dell’ordine ionico

L’altro grande esempio che ci permette di comprendere la


codificazione dell’ordine ionico è l’Heraion di Samo, 570-
560>530 a.C. che sostituisce il secondo hekatompedon
nella prima metà del Vi secolo e che secondo Erodoto, si
tratta di un’opera straordinaria che rimane nella memoria
della Grecia come una delle sette meraviglie del mondo.

L’opera è attribuita a un architetto di nome Rhoikos (Reco in italiano) al quale viene affidata la realizzazione
di questo nuovo enorme tempio (n°2 nella pianta), che dimensioni di 52,5 m x 105 m (= 100x200 braccia
same), orientato a est e sovrapposto ai precedenti hekatompedon. Il grande edificio viene collocato su un
terreno instabile perché nei pressi del fiume. Intorno al 560 viene realizzato un grande altare sulla fronte del
tempio per garantire allo spazio sacro un’area dedicata ai sacrifici che non avvenivano più all’interno del naos
ma all’esterno della cella. Sempre la tradizione scritta ci informa che questo edifico presenta una serie di
problemi di ordine statico, non solo perché non erano stati calcolati esattamente i corretti rapporti di
distribuzione dei pesi ma perché il terreno alluvionale aveva provocato delle criticità tanto da richiedere una
sostituzione, che sarà realizzata per volere di Policrate (tiranno locale) verso la fine del secolo con una nuova
grande opera che diventa l’opera di riferimento principale. Quest’opera resta nella memoria collettiva tanto
quanto quella realizzata ad Efeso intorno alla metà del secolo.
Artemision di Efeso, 560 a.C. → per volontà di un altro tiranno viene realizzato questo nuovo edificio, che è
maggiore di quello di Samo. = 59x115 metri come dimensioni

Le fonti parlano di due architetti cretesi, Chersifrone e


Metagene, suo figlio che lo stesso Vitruvio elogerà nel suo
trattato perché avevano inventato delle macchine per
trasportare in loco i grandi blocchi di pietra che servivano
per la costruzione.

Da un punto di vista costruttivo:

- Ci sono molte colonne con maggiore importanza


data all’area del pronao.
- La cella resta ipetrale, quindi scoperta e all’interno il
naiskos serve come baldacchino per la statua di culto.

Secondo i ritrovamenti che sono stati fatti a più riprese, la decorazione architettonica prevedeva una sorta
di rilievo curato, non solo per la parte alta della trabeazione ma anche per le basi delle colonne che furono
sostituite nel corso del tempo. Le fonti raccontano che anch’esso era considerato uno dei monumenti più
straordinari del tempo antico. Fu bruciato, da un gesto folle di un personaggio nel 356 a.C., coincidente con
la nascita di Alessandro Magno, il quale si interessò di aiutare gli efesini nella ricostruzione del tempio perché
questi iniziarono subito dopo l’incendio un nuovo rifacimento del quale abbiamo testimonianza nei resti delle
basi delle colonne che sono del IV secolo e che ci parlano di un cantiere continuamente attivo anche in questo
contesto sacro.

Santuario di Apollo a Didyme presso Mileto (a 16 km da Mileto sulla costa ionica)

Mileto è una delle città più ricche dal punto di vista


culturali. È la patria dei grandi pensatori come Talete e
Anassimandro. È uno dei centri più vivaci del periodo greco.

- È un grande edificio di 12x21 colonne su un luogo già


molto noto perché sede di un oracolo molto famoso dove
si recavano gli abitanti di Mileto, lungo una strada
realizzata tra la città e la sede di Dydime lungo la quale vi
era anche una serie di statue che ricordavano i sacerdoti
principali che avevano operato nel santuario.
- È un diptero di grandi dimensioni che costituisce una sorta di recinto monumentale di quello che è il
naiskos interno, che si trova a una quota inferiore rispetto al piano di appoggio del colonnato esterno.
È accessibile scendendo una doppia fila di gradini sul lato del pronao.
- All’interno dell’area sacra sorge il naiskos sacro per svolgere tutta una serie di ritualità che
permettevano ai sacerdoti di riportare attraverso questa scalinata sul livello di visibilità del pronao
l’esito delle pratiche rituali avvenute.
- C’è una cura straordinaria nella realizzazione architettonica e decorativa quasi come una gara tra
città a chi faceva il monumento più sontuoso.

SCULTURA ARCAICA = in riferimento a quella realizzata per rendere omaggio a singoli individui, per realizzare
opere da donare ai grandi santuari –-> si registra una grande produzione che aveva trovato nelle Cicladi
(Nasso) un’espressione prodromica nell’utilizzo del marmo. Queste sculture sono codificate nei due tipi per
la resa dei soggetti maschili e femminili: i kouroi e le korai (al plurale) per la rappresentazione di individui
che sono l’espressione di soggetti che appartengono alle classi più elevate della cittadinanza. → classi che
riconoscono nell’ideale eroico dell’efebo, della giovane sposa, di questi giovani che hanno superato la fase
adolescenziale e che sono pronti a diventare marito o moglie ovvero soldati o madri. Sono quindi espressione
dell’ideologia dominante attraverso canoni e codici espressivi.

KOUROS = colui che è kalos kai agathos cioè bello e buono, nel senso di virtuoso e valoroso. Si tratta di
un’espressione morale e non solo estetica del ruolo che andranno ad occupare. Questo ideale aristocratico
di giovinezza, bellezza e coraggio si configura nella nudità eroica del corpo maschile con attenzione
particolare per le mode delle acconciature dell’epoca, che sono un simbolo dell’appartenenza a una classe
sociale elevata. → statue maschili stanti, nude, poste frontalmente e senza particolari attributi che erano già
note nella piccola plastica della fase orientalizzante o come statue colossali nei santuari.

A livello simbolico, vi è la contrapposizione fra l’espressione di un’estetica propria dei cittadini greci e quella
dei soggetti “barbari”, cioè non greci. → Cratere di Eufronio, da Cerveteri, 510-500 a.C.

Cratere in cui viene rappresentata la lotta tra Eracle e Anteo, due figure
interessanti che anche se rappresentate nude nell’espressione della forza e della
virtù dal punto di vista fisico, Eracle ha un’acconciatura alla moda con capelli
raccolti sul di dietro, con frangia elaborata sul davanti e barba curata, mentre
Anteo ha un’acconciatura che non è aristocratica.

Da un punto di vista scultoreo queste figure seguono un’evoluzione nel modo in


cui il corpo umano viene realizzato in chiave naturalistica, cioè viene realizzato
per come viene visto. Nella fase geometrica e orientalizzante, la composizione
delle figure fosse immaginata in senso geometrico dove avevamo ancora un busto triangolare, una
composizione per singole parti.

Capo Sounion, santuario di Poseidon, Kouros, h 3,05 m, 600 a.C. → è una delle primissime
espressioni dell’arte arcaica. Inizialmente, dove prevale ancora un principio additivo delle
parti del corpo, dove le parti sono pensate per rendere in maniera realistica le parti del corpo
e le giunture. Però è ancora una figura statica che richiama la statuaria egiziana anche se
molto precedente per la postura delle braccia con mani a pugno, le spalle orizzontali e una
sola gamba in avanti (tendenzialmente la sinistra). Questo esempio di statue colossali non si
trova solo in contesti sacri ma anche ad Atene nel Dipylon.

Atene, testa colossale del Dipylon, h 44 cm, 600 a.C., Atene, Museo
Archeologico Nazionale

Ha una resa ancora piuttosto rigida e di impostazione geometrica. Il tratto


del naso viene reso in maniera continua con l’arco sopraccigliare, i grandi occhi occupano
tutta la frontalità del viso incorniciato da un’accurata resa della capigliatura che segue le
mode dell’epoca.

Qualcosa inizia a cambiare nel momento in cui vengono elaborate due statue
provenienti dal santuario di Delfi e che gli archeologi hanno attribuito a un’opera
famosa ricordata da Erodoto in un testo. (p.19) → i gemelli Cleobi e Bitone, opera
di Polymedes di Argo, Museo Archeologico di Delfi, 580 sec. a.C. (h 2,16 m)

Al di là della cornice sacra, queste statue rappresentavano l’ideale aristocratico


della “bella morte” (Meglio morire giovani per impresa grande piuttosto che
morire vecchi senza aver fatto nulla nella vita). Da un punto di vista dell’analisi
stilistica c’è ancora una staticità molto rigida del corpo anche se la gamba sinistra è più avanzata. Anche nella
resa delle parti superiori continua la tradizione delle acconciature dell’epoca.

Un’evoluzione, che si nota tra la metà e la seconda metà del secolo nei kouroi trovati in
altri contesti in cui viene studiato ed espresso quello che è lo studio dell’anatomia umana,
che è espressione di una consapevolezza molto forte da parte non solo dell’artista ma
soprattutto del dedicante.

Il dedicante è Creso, che muore prima del tempo per bella morte → affida a un’iscrizione
sulla statua il memento per il viandante: «Fermati e piangi presso il monumento del
defunto Creso, che Ares rabbioso un giorno ha ucciso mentre combatteva nelle prime file».
L’opera richiama l’attenzione del passante e celebra la bella morte di chi se ne va in
battaglia prima di aver raggiunto l’apice della vita sposandosi e formando una famiglia.
Il monumento ‘ammonisce’ il viandante per assicurare memoria del defunto dopo la
morte.

Sul fronte ateniese ci sono altri esempi di scultura del VI secolo che vengono dalla colmata
persiana = grande terrapieno realizzato dopo le guerre persiane e dopo il fatto che i persiani arrivano nel 480
e distruggono tutti gli edifici e i monumenti dell’acropoli → per ricordare questa forma di libris, di azione
sacrilega commessa dal barbaro Atene decide di non ricostruire gli edifici e le statue ma di dedicarle nel suolo
dell’acropoli e di coprire questi ex voto con una fossa.

All’interno di questa colmata sono stati trovati molti oggetti della fase precedente alla costruzione periclea,
che ci permettono cogliere l’evoluzione della cultura artistica nell’Atene del Vi secolo con serie di reperti.

Moscoforo = ‘portatore di vitello’ dedicato da Rhombos a seguito di una vittoria nelle


panatenaiche, dal 566 a.C. ricelebrate. Viene rappresentato come il solito kouros con
gamba sx avanzata ma che in questo caso reca un oggetto per il sacrificio, il piccolo
vitellino, al quale viene assicurata una resa non secondaria dei particolari anatomici non
solo nella tensione delle zampe riunite sul petto del moscoforo ma anche nella resa del
muso dell’animale. La stessa attenzione calligrafica è resa anche nello scolpire il volto del
giovane che segue le acconciature dell’epoca. Essendo in luogo sacro porta anche una
veste.

Cavaliere ‘Rampin’, 550 a.C. = proviene sempre dalla


colmata persiana. Anche in questo caso si parla di nudità
eroica a cavallo e di acconciatura preziosa.

Inizialmente questa statua era stata trovata senza testa, ma Humphray Payne
ha riconosciuto la corrispondenza della testa alla
pertinenza del busto nel reperto che era stato
conservato al Louvre ricollocandolo nella giusta
posizione.

Vi è una resa calligrafica delle parti dell’acconciatura di


questo giovane aristocratico che si rivolge verso lo
spettatore con il cosiddetto “sorriso arcaico”. L’elemento che caratterizza questa
statua è l’acconciatura, ma anche nell’espressione del volto che è stata associata alla
mano di un artista, attribuito anche ad un’altra scultura.

Acropoli di Atene, kore con peplo, 520 a.C., Museo dell’Acropoli di Atene, con tracce
di policromia. Altra opera è la kore, fanciulla in età da marito che può subire una sorte
avversa e non raggiungere lo stato di matrona. È rappresentata con veste, in un peplo che doveva essere
policromo, per rappresentare una figura appartenente a società medio-alta.

Viene poi ulteriormente rappresentata nella kore di Antenore dedicata da Nearco, h 2,15 m, 520 a.C. che
presenta il sorriso arcaico.

Sorriso arcaico = cifra espressiva dell’età arcaica, sulla quale gli studiosi si sono interrogati - 2 ipotesi (nel
libro di C. Franzoni, Tirannia dello sguardo, 2006):

1. Motivazioni tecniche = il sorriso permette di rendere un’articolazione del volto su piani differenti o
per adattare il volto a una visione dal basso;
2. Motivazioni espressive, ideali = si vuole raffigurare compiacimento di appartenere a una certa classe
sociale che si concretizza nell’accettare una sorta di una morte prematura.

Segno della vitalità infusa nelle immagini, particolarmente apprezzata dagli antichi, il sorriso corrisponde alla
mobilità del volto. Ciò non toglie che poi esso diventi un elemento convenzionale, che gli artisti ripetono per
inerzia. Segno dello status sociale, del relativo comportamento e dell’ethos connesso.

Nell’alto Egitto, a Naucrati, c’è un santuario arcaico presso i quali i greci commerciavano = luogo di incontri
e scambi che ha portato a sollecitazioni reciproche, che è mediata anche dai Fenici. Benché il divario
cronologico sia evidente queste statue c’erano ancora.

L’acropoli alla fine dell’età del bronzo - Fase finale del VI secolo tra 520-510 e 480 a.C.
Fase precedente del cantiere pericleo → importante perché spazio dell’acropoli come luogo fondativo
dell’Atene come luogo in cui la comunità ha condensato tutta una serie di testimonianze rispetto alla sua
storia, ai propri culti.

L’archeologia ha riconosciuto
sull’acropoli le tracce di una presenza
micenea nei blocchi che individuano il
grande mura di cinta (= muro poligonale
detto pelargico) riconosciuto in vari tratti
dell’acropoli. All’interno di questo spazio
sono state trovate tracce labili di un
megaron, di una costruzione
appartenente a uno dei wanax che
attestano una prima occupazione di questo settore della città in una fase molto precoce.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che all’interno del megaron ci fosse una sorta di culto per una divinità
femminile nell’età del bronzo che però da un punto di vista materiale non trova nessun riscontro. Viceversa,
le prime attestazioni di un culto praticato sull’acropoli derivano dai reperti che risalgono tra età geometrica
e età orientalizzante che si concretizzano con vasi e grandi tripodi. → In questo momento l’acropoli si
definisce come cuore sacro per eccellenza della città.

Del VI secolo non ci restano edifici così evidenti perché tra la fine del VI e l’inizio del V secolo vengono create
delle opere di terrazzamento e livellamento del terreno, sulle quale verrà impostato il Partenone.

Nel corso degli studi fatti negli ultimi decenni che hanno coinvolto più sguardi hanno permesso di chiarire
che nel corso del VI secolo sull’area dell’acropoli dovevano esistere, non solo degli spazi preposti al culto di
Atena, ma soprattutto una serie di oikoi, di piccole costruzioni delle quali ci restano dei frammenti che sono
stati postulati sulla base del ritrovamento di una serie di frammenti che provengono dalla colmata tirannica
(che si distingue da quella persiana per essere precedente) nell’area sud del Partenone. → viene identificata
come sorta di grande area interessata da un riempimento in cui vengono deposti vari frammenti di queste
costruzioni, che non servivano a svolgere dei culti/riti ma erano dei luoghi dove venivano conservati gli ex
voto in onore delle divinità. Alla fine del VI secolo, questi oikoi vengono defunzionalizzati (perché distrutti da
eventi particolari o perché andati in rovina) e una parte di queste partizioni vengono inserite nella colmata
tirannica (chiamata così perché pertinente a una fase dominata dall’ordinamento tirannico). Sono tutti
piccoli edifici in poros, calcare locale, di ordine dorico che servivano per accogliere i votivi o per svolgere
particolari cerimonie legate alle diverse divinità e di cui ci restano alcuni soggetti rappresentati nei frontoni
datati tra il 570 e il 550.

Da un punto di vista dimensionale


non dovevano essere più ampi di
circa 6 metri sulla fronte, quindi
piccoli edifici rispetto ai grandi
monumenti. Sui fronti di questi
edifici compare soprattutto un
personaggio principale, Eracle in
due diverse scene:

- Eracle e l’idra di Lerna, 560 a.C., dove Eracle lotta con l’idra;
- Apoteosi di Eracle all’Olimpo, 550 a.C., quando Eracle fa il suo ingresso all’Olimpo raffigurato con
Zeus seduto in trono affiancato dai resti di Era e tra alcune divinità come Zeus.

Altro frontone = Atena e l’ulivo sacro, 560 a.C. → richiama il


ruolo centrale della figura della divinità, particolarmente
attenta a Eracle che lo assiste in una serie di fatiche. Eracle ha
un ruolo così centrale perché è una delle divinità prescelte
dall’ideologia aristocratica = divinità che per la sua
connotazione mitologica di eroe che fonda sulla sua capacità
fisica il raggiungimento di una serie di imprese, soprattutto
l’aver portato a termine gli atla. È un soggetto che per la
mentalità dell’epoca ben rispondeva a questo tipo di ideale.

Sempre all’interno dello spazio, che poi sarà occupato dal grande cantiere pericleo, viene localizzato un altro
edificio → hecatompedon (o antico Partenone) del quale restano partizioni della parte frontonale. Il
materiale utilizzato è il calcare locale e la datazione è il 570 a.C.

Ancora una volta in uno dei due frontoni si vede Eracle che lotta con
un mostro marino con tracce di policromia. Al centro ci doveva
essere la raffigurazione di due leoni in assalto su un toro, di cui si
vede la testa adagiata, ormai morente, sulla parte bassa del
frontone. Sul lato dx si vede un mostro tricorpore = cosiddetto
gruppo dei “Barbablu” perché presenti tracce di colore blu, che è
un’espressione di questa prima fase di resa dell’anatomia di un
corpo in movimento che cerca di dare un’immagine ‘realistica’ del
movimento del corpo che rappresenta un primo esempio su queste
sculture templari di una volontà di richiamare l’attenzione del
devoto sulla scena che si sta svolgendo.

L’archaios naos di Atena Polias, 520 a.C. dove poi sorse l’Eretteo →
Ultima area con importanza per l’area arcaica è il settore occupato
dall’Eretteo. In questa zona uno studioso, Doerpfeld, si occupò di rintracciare le tracce di un antico tempio
tardo-arcaico che secondo le ricostruzioni si presentava come un periptero dorico di 6x12 colonne in poros
del Pireo. Essendo alla fine del secolo, le dimensioni della cella sono più ridotte. Doerpfeld trova una serie di
elementi che sono stati osservati con un punto di domanda, nel senso che la curvatura dello stilobate e la
contrazione angolare sembrerebbero datare la costruzione alla fine del VI secolo, ma viceversa essendoci un
solo gradino del crepidoma farebbe anteporre la costruzione ad una fase legata ai primi esempi dello stile
dorico (cfr. Heraion di Olimpia). In qualche modo ci sono delle contraddizioni interne che vengono risolte dal
fatto che ci sono delle tegole marmoree che in precedenza erano fittili e ancora da un punto di vista cultuale,
il tempio doveva ospitare molteplicità di divinità di cui Atena era la principale ma le fonti affermano che
nell’archaios naos dovevano esserci anche i culti di Poseidone ed Eretteo. Sostanzialmente si tratta di un
edificio che doveva essere datato alla fine del VI e che doveva essere decorato sul frontone da alcune statue
riconducibili al tema della gigantomachia con Atena al centro, alta circa 2 metri = Statue maggiori del normale
e serie di giganti che combattono contro la dea. Uno dei personaggi mostra il fatto che è stato colpito da una
freccia e se la sta togliendo e si rivolge verso lo spettatore con prospettiva di interlocuzione, di rapporto
diretto con lo spettatore.

Questi sono i principali elementi che permettono di riconoscere all’interno dello spazio sacro dell’acropoli
dei chiari richiami a forme di culto che anticipano il cantiere pericleo.

Sguardo alla situazione dell’agorà nel VI secolo. Tra VIII e VII secolo l’area dell’agorà non esisteva, essendo
occupata prevalentemente da botteghe e officine di produzione. Nella seconda metà del sesto secolo,
quest’area è un luogo in cui si definiscono meglio degli spazi per riunioni della comunità pubblica. Attorno
all’agorà sono stati trovati indizi di precedenti agorai private, luoghi di riunione per ristretti gruppi di persone,
in particolare a sud dell’acropoli presso il santuario di Afrodite Pandemos e che soltanto con i pisitratidi
vengono de-funzionalizzate per dare spazio all’agorà della città.

Uno degli elementi più interessanti che occupano questo settore della città → prytanikon o edificio F e della
boulé = gli studiosi si sono chiesti la funzione di questi edifici (similitudini con etruschi nella pianta
trapezoidale, nella presenza del colonnato interno e serie di spazi attorno scoperti) e se questo luogo avesse
svolto la funzione di palazzo dei pisitratidi o se da subito avesse svolto la funzione di sede dei pritani:

- 50 esponenti che facevano parte della boulé dei 500 (450+questi 50)
- funzione di prestigio e di direzione di governo dell’assemblea;
- gli era stata affidato il ruolo di rappresentare la comunità nel momento in cui si dovevano accogliere
araldi o ambasciatori da parte di delegazioni straniere;
- il compito di portare avanti eventuali azioni giudiziarie nei confronti di chi si macchiava di delitti
molto gravi nei confronti della comunità.

Tra gli altri edifici che risalgono a questa fase c’è la stoà reale (=portico reale) dove aveva sede Laconte (?) il
quale era preposto alle attività di tipo religioso, che scandivano le fasi delle diverse festività della comunità
ateniese. Inoltre, ai pisistratidi si deve l’altare dei 12 dei, dedicato da Ippia nel 522, a sx delle vie per le
panatenee, che era un luogo sacro tra i principali dello spazio pubblico dell’agorà.

Grazie a Pausania, si sa che nell’agorà esisteva una fontana, l’Enneakrounos, provvista di nove bocche di cui
è incerta la localizzazione. Secondo alcuni è da riconoscere in questa fontana che si trova nel settore sud-
orientale della piazza. L’elemento interessante è che sotto i pisistratidi vengano realizzate non solo grandi
opere pubbliche ma anche infrastrutture necessarie per una comunità che ha poche sorgenti all’interno della
città e che quindi può contare su questa infrastruttura idrica per i bisogni quotidiani.

Dal momento in cui viene realizzata questa fontana e il relativo acquedotto compaiono anche sui vasi una
serie di raffigurazioni che vanno alla fonte che potrebbero richiamare questa grande opera pubblica.
Negli anni tra il 510 e il 480 → si registrano delle innovazioni interessanti per quanto riguarda la resa dei corpi
e dei movimenti di questi prodotti scultorei, che sono una delle principali necessità della scultura arcaica.

Statua di Aristodikos, 520 a.C. → segna uno scarto rispetto ai kouroi non solo perché
corpo reso con linea più sottile, realistica e la resa della muscolatura è decisamente più
aderente alla realtà. Anche le braccia non sono più rigide attaccate al corpo ma staccate
dal busto. La resa della capigliatura è ancora aristocratica con sorta di ciocche
aristocratiche raccolte sul retro, ma di uso aristocratico è anche la resa del pube con resa
estetica dei peli. Ma soprattutto non è ancora uno scarto forte rispetto alle statue
precedenti se si notano le spalle ancora in posizione statica orizzontale facendo capire
che benché ci sia una sorta di movimento la statua è pensata ancora ferma e fissata a
terra.

Qualcosa di diverso si vede sulla base dal muro di Temistocle, 510 a.C. → mostra per la
prima volta in scultura una scena di genere, non legata a contesto funerario, ma scena
con atleti (efebi) che si allenano in un contesto del ginnasio. Al di là del soggetto nuovo,
che richiama una quotidianità di vita,
cerca di rappresentare questi atleti
con una prospettiva non ancora del tutto realizzata. Per
esempio, la resa del busto del personaggio di sx mostri gli
addominali frontali, anche si dovrebbe vedere di fianco.
Anche l’altro personaggio è raffigurato quasi
frontalmente, ma se si immaginasse la posizione della
testa ci si aspetterebbe di vederlo di profilo.

Si hanno dei primi tentativi di rendere la dinamicità delle prime sperimentazioni con massima espressione
nei secoli successivi.

Tre opere → aiutano a introdurre un aspetto molto forte negli anni tra il 480 e il 450 = ossia la serietà dei
volti (tipica dell’età severa anticipata da queste figure che richiamano ancora una moda arcaica, calotte
compatte con resa calligrafica della pettinatura e occhi molto grandi, ma viene meno il
sorriso arcaico che era un elemento caratterizzante delle sculture dei decenni precedenti.
Si dice che il sorriso arcaico si trasforma in una sorta di espressione imbronciata con occhi
verso il basso, come a lasciare quella felicità finta dei kouroi e delle korai)

1. l’efebo biondo
2. la kore di Euthydikos
3. L’ultima opera è l’Efebo di Crizio, uno degli scultori più famosi dell’epoca insieme
a Nesiote (a cui viene affidata realizzazione secondo gruppo dei tirannicidi), dove
la postura è rinnovata perché la gamba sinistra è quella portante e la testa è
rivolta verso destra; probabilmente una delle due braccia regge un’offerta;
ancora una volta la resa della figura cerca di esprimere al meglio una prima
ponderazione del corpo non ancora raggiunta per il fatto che le spalle sono ancora
orizzontali mentre le due anche sono disassate.

L’ultima costruzione di questa fase è il tempio di Atena Aphaia ad Egina, fine del VI sec. a.C.

Si trova nell’isola di Egina collocata tra l’Argolia e l’Attica nel golfo di Salonicco. Si tratta di un’isola che assume
ruolo strategico per la sua posizione in tutto il circuito commerciale e che è nota per essere un’isola in cui si
erano formati vari artisti, tra cui anche esperti in bronzo, che le fonti ci dicono aver realizzato delle opere di
grandissimo pregio e valore di cui però non è rimasto nulla.
La costruzione che ci attesta la centralità della comunità nel
panorama della Grecia è il santuario ristrutturato alla fine del VI
secolo in onore di Atene. Si tratta di un santuario extraurbano
per il quale viene realizzata una grande terrazza con un temenos
(da temno, verbo che significa tagliare) che è lo spazio sacro
ritagliato e separato dallo spazio profano.

- Il santuario è provvisto di un’entrata monumentale con una


costruzione di propileo, che impiega il calcare locale al quale va
messo sopra uno strato di stucco, che permette un gioco di
decorazione a colori;
- tempio dorico con pronao, opistodomo, naos con doppia file di colonne interno
- contrazione della cella non più allungata (6x12 colonne) = costruzione meno allungata rispetto a fase
iniziale dell’età arcaica
- sistema decorativo di cui ci sono rimaste interessanti testimonianze. Dal momento in cui è stato
scavato agli inizi del 800 dai tedeschi, all’epoca c’era la prassi di restaurare in maniera portante le
opere antiche. In questo caso era stata affidata a Thorvaldsen la commissione di restaurare questi
pezzi pertinenti ai frontoni del tempio. Questi frammenti furono esposti nella gipsoteca di Monaco,
solo negli anni 60 del 900 si decide di togliere i restauri antichi per portarli alla loro forma originale.
Sono statue a tutto tondo in cui i personaggi sono attorno ad Atena (compare sia nel frontone
occidentale che in quello orientale) e che assiste agli scontri dei guerrieri ricondotti alla guerra di
Troia, non solo quella cantata da Omero ma anche quella che si ambienta in una fase precedente
perché è un luogo simbolico nell’immaginario antico.
- I due frontoni sono realizzati in due epoche diverse perché la resa dei personaggi è differente, non
solo perché alcune figure richiamano sculture della prima metà del secolo, ma anche perché è molto
probabile che la resa finale dei due gruppi scultorei sia da attribuire a due gruppi/scuole diverse. →
si ritiene che il frontone ovest sia quello più antico risalente al 510, mentre il frontone est sia del
periodo tra il 490 e il 480 a.C.

Esiste una serie di manufatti in bronzo che attestano come nel corso di un secolo si sia riusciti a tradurre in
prodotti artistici del tutto nuovo quelli che erano dei primi tentativi di rendere con il bronzo delle prime
raffigurazioni di divinità o umane.

Nella fase geometrica, le sculture a cera persa, prevedeva che venisse realizzato un prototipo in cera,
cesellato in ogni dettaglio, sul quale veniva poi posta una camicia di argilla (strato di argilla molto aderente)
provvisti di fori per lasciar passare la cera liquefatta dopo la cottura. Una volta fuoriuscita la cera veniva
introdotto il bronzo fuso, il quale una volta solidificato avrebbe assunto la forma dello stampo e quindi poi
sarebbe stato perfettamente cesellato. → questo serviva per realizzare tendenzialmente delle piccole statue
a fusione piena e per l’alto costo che queste lavorazioni comportavano veniva utilizzato per oggetti di piccole
dimensioni.

La tradizione vuole che un salto di qualità e di tecnica di realizzazione venga realizzato da Teodoro e da Reco
(architetti che avevano lavorato a Samo) che sperimentano un nuovo metodo per mettere a punto nuove
statue in bronzo nel secondo quarto del Vi secolo realizzando dei prodotti molto più leggeri che permettono
di modellare la statua in argilla. = si riveste tutto con la cera, poi si fa un altro strato di argilla che deve
combaciare perfettamente con il primo strato, e poi si mette nuovamente a cottura. Nell’intercapedine della
cera liquefatta viene inserito il bronzo fuso. In qualche modo si cerca di risolvere questa difficoltà rendendo
queste sculture molto più leggere e meno costose rispetto alla fusione piena (applicabili quindi a sculture di
più grandi dimensioni).
Cratere bronzeo di Vix, 530-520 a.C. → Esempio di cratere più grande
arrivato a noi che mostra come la diffusione delle conoscenze non restasse
limitata all’area greca ma si diffondesse in tutto il Mediterraneo.

Questo cratere misura 1,73 m ed è stato trovato a Vix in Borgogna. Pesa oltre
200 kg. Secondo gli studi si tratta di un prodotto realizzato in Magna Grecia
tra Sivari e Poseidonia, il che fa ritenere che gli artisti e i bronzisti mettessero
a disposizione il loro sapere per una comunità vasta. In questo caso si
potrebbe trattare di un dono per un’élite aristocratica celtica che controllava
una serie di vie di approvvigionamento e di smercio dei metalli e che mette
in luce il fatto che questi prodotti erano richiesti anche da una committenza
di alto livello e anche internazionale.

Non solo bronzo e marmo erano materiali che venivano usati per statue, ma si parla anche di sculture
crisoelefantine attribuite a Fidia = tecnica che univa oro (crisos) e avorio (elephantos), conosciuta già in
precedenza e riservata per donari particolarmente importanti di cui sono stati trovati degli esemplari a Delfi.
L’avorio era importato dalla fenicia e utilizzato per oggetti di uso personale ma anche sacro → nel museo di
Delfi sono esposti due esemplari che mostrano due statue: una di Apollo di grandezza naturale, le parti nude,
ora carbonizzate erano in avorio e il resto del corpo, almeno per la parte decorativa era in lamina d’oro
lavorata a sbalzo; l’altra testa di una divinità femminile, con volto in avorio e gli oggetti in oro.

Si deve immaginare che questi oggetti di gusto ionico per la resa dei particolari del volto ci parlano di una
trasmissione di saperi che permette realizzare, all’interno di questi luoghi santuariali, dei prodotti di altissimo
rilievo che sono poi stati sepolti in due fosse sacre all’interno del santuario per fare posto ad altri donari,
come era in uso in questi luoghi.

IL SANTUARIO DI DELFI
Santuario = non era solo lo spazio in cui avvenivano dei riti in onore di una divinità ma erano dei luoghi che
hanno consentito alle comunità di definire una propria identità, di stabilire delle proprie regole e quindi di
elaborare un concetto stesso di comunità.

Un santuario è tale nel momento in cui è riconosciuta la presenza della/delle divinità: alcuni indicatori naturali
(alberi sacri, fruscio costante di fronde d’alberi, sorgenti naturali avvertite come benefiche, ma anche grotte,
rocce, montagne) potevano segnalare l’immanenza del dio; all’interno potevano esserci degli edifici come il
naos ma anche un altare, una statua di culto, un oggetto sacro che connota quello spazio come luogo
prescelto dalla divinità per la sua epifania. Potevano però bastare anche un altare, alcuni cippi, o
un’immagine sacra per connotare uno spazio come santuario.

Sotto la guida di queste divinità potevano essere svolte una serie di attività che andavano oltre il semplice
rapporto fedele-dio-divinità: luoghi in cui veniva insegnato a leggere e a scrivere → Ad Este, il santuario di
Pora Reitia, V-II sec. a.C. era destinato a questo tipo di attività e si sa grazie ai votivi rimasti, che sono degli
alfabetari in cui i fedeli venivano invitati a imparare l’alfabeto venetico e a trascrivere in frasi il loro
apprendimento dell’alfabeto attraverso gli stili scrittori che venivano poi dedicati alla divinità.

C’erano anche dei santuari con una funzione salutifera come l’Asklepeion di Kos.

La presenza della divinità va a marcare la funzione di quello spazio, che non è necessariamente uno spazio in
cui trova posto un dio soltanto perché il santuario può ospitare diverse divinità perché ognuna di queste ha
una sua specifica vocazione, un suo ambito di pertinenza, di potere specifico.
Testimonianza di Plinio il Giovane (età traianea) a proposito del santuario alle sorgenti del Clitumno (Umbria):

PLIN. ep. VIII, 8, 2-6: «S'innalza una collinetta coperta di un fitto ed ombroso bosco di antichi cipressi. Dalle
sue falde scaturisce una fonte che fuoriesce per diverse vene diseguali e che, dopo aver superato il gorgo che
essa produce, si allarga in un ampio bacino, puro e cristallino, tanto da poter contare le offerte votive gettate
e i sassolini luccicanti [...]. Accanto si eleva un tempio antico e venerabile: vi si erge in piedi il Clitumno in
persona, vestito ed ornato della [toga] pretesta; che il nume vi dimori e che sia profetico e testimoniato dalla
presenza delle sorti. All'intorno sono sparpagliati parecchi sacelli, ciascuno ha la propria forma di
venerazione, ognuno il proprio nome/fama, ma alcuni sono anche titolari di fonti. Infatti, tranne (la sorgente
del) Clitumno, che è quasi la madre delle altre, ce ne sono di più piccole, le quali, pur sgorgando in punti
diversi, confluiscono nel fiume, che è attraversato da un ponte. Quest'ultimo e il terminus tra lo spazio sacro
e lo spazio profano».

In questo grande santuario c’era Clitumno che era la divinità principale, ma potevano essercene molte altre
che partecipavano di questa sacralità. Nel momento in cui si analizza un santuario, si deve tenere conto di
diversi fattori che non sono solo i fattori strutturali dell’edificio sacro in sé ma che sono tutti gli elementi
legati ali ex voto che ci parlano dei soggetti coinvolti in questi spazi sacri dove vigevano delle regole che
pertenevano al santuario specifico. Ogni santuario aveva delle regole ma i culti antichi non erano basati su
testi scritti ma sulla ripetizione di rituali che garantivano nel tempo l’adeguarsi a norme che si trasmettevano
di generazione in generazione.

I quattro santuari panaellenici – Delfi, Olimpia, Nemea, Istmia sono la sede nella quale a scadenze regolari
si riunisce la comunità panellenica.

Il tempio di Delfi sorge alle pendici del monte Parnaso, 600 m slm. È santuario estremamente interessante
perché qui per tradizione ha sede Apollo, ma prima di lui la dea Ghe e il figlio Pitone, che per prima era stata
a vaticinare il futuro. La tradizione vuole che Apollo entri in conflitto con Pitone e lo uccida, si imponga nello
spazio sacro come la nuova divinità titolare del luogo e per primo componga un canto accompagnato dalla
cetra per Pitone perché era stato un degno avversario. Da qui inizia la tradizione della composizione poetica
all’interno degli agoni che poi verranno stabiliti in concomitanza delle cerimonie sacre.

Se il mito si permea di valenze che giocano sull’immaginario e che richiamano nella figura della Pizia, la
sacerdotessa che è invasata dal dio che le suggerisce i vaticini, non si ricorda che Delfi si trova all’incrocio di
due faglie terrestri: quella di Delfi e quella di Kerna. Dalle scaturigini delle rocce si generano delle sorgenti di
cui i geologi hanno trovato i depositi calcarei nel sottosuolo del tempio ma soprattutto sono sorgenti con
valenza particolare perché oltre ad essere ricche di minerali, trasportano anche dei gas come l’etilene.

Degli studiosi hanno avanzato l’ipotesi che queste proprietà mantiche della Pizia siano in realtà legate al fatto
che nella camera sotterranea ci fossero delle fessure che consentivano di respirare questo gas che se
respirato in quantità minime rendeva euforici, ma se quantità maggiori poteva causare la morte. C’è stata
anche l’ipotesi che questa figura sia in realtà imputabile da una situazione geomorfologica particolare che
abbia favorito nel corso dei secoli l’attività mantica e che poi si è esaurita, nella fase tardo antica nel momento
in cui qualcosa è cambiato geologicamente, la pizia era meno profetica perché la quantità di gas si era ridotta
e questo succede molto spesso in contesti geomorfologici collegati al termalismo e a queste manifestazioni
legate alle sorgenti.

Delfi si pone come un luogo di attrazione internazionale → l’area di ingresso, se si proviene dall’area della
Beozia è quella del tempio di Atena Pronaia con serie di edifici (che si amplificano nel corso dei secoli) e la
via sacra incontra prima la sorgente Castalia e poi arriva al recinto sacro (in cui il pellegrino attraversava la
via sacra che lo portava al tempio presso la quale sorgevano delle realizzazione non più dell’individuo ma
della comunità: i thesauroi, dei tesori che sono delle piccole costruzioni realizzate da alcune città della Grecia
dove vengono esposti i votivi che le città dedicavano alle diverse divinità.
Esempi:

- Tesoro di Sicione, 560 a.C = piccolo edificio con metope scolpite di cui resta quella con i Dioscuri;
- Tesoro dei Sifnii, 530 a.C. = piccolo oikos con due korai che sostituiscono le colonne in antis; sul fregio
miti panellenici, tra cui la gigantomachia;
- Tesoro degli Ateniesi, 490 a.C. = metopa con Eracle che lotta contro la cerva. C’è una resa della
decorazione architettonica che richiama l’arte figurativa dell’epoca.

Proseguendo verso il basso si arriva al tempio vero e proprio che ha avuto diverse fasi costruttive perché era
stato distrutto da un incendio e che poi viene ricostruito. Subisce diverse ricostruzioni nel corso del IV secolo
a seguito di un terremoto che lo aveva ridotto in rovina. È il cuore del santuario con il suo altare antistante
dall’esterno del tempio.

Lo spazio santuariale è uno spazio di ritrovo: c’è il teatro per rappresentazioni collegate alle cerimonie sacre
e serie di altri edifici che si sono aggiunti per rimarcare importanza di questo luogo sacro.
LEZIONE 05 ǀ 8 marzo 2022

L’ETÀ ARCAICA (seconda parte)

Ideologia aristocratica attraverso lo studio della ceramica del VI secolo a.C e la trasportazione della
cultura greca nelle colonie d’Occidente

Aristocrazia del 6° secolo, ha avuto un forte impatto nel 7° secolo quando è entrata in contatto con il mondo
orientale, e ha recepito un’idea di potere assoluto, e un potere basato sulla capacità di gestire numeri
consistenti di persone. Nel 7° secolo, questa società elabora il concetto di tirannos, parola orientale che
significa non solo tiranno ma una ideologia che ruota attorno a questa parola.

Il 7° secolo, aveva visto una netta produzione corinzia, che aveva recepito più velocemente le citazioni dal
mondo orientale, mettendo sul mercato una serie di prodotti, connotati da scene cruente, inquadrati da un
repertorio, con motivi di gusto orientale, (tra cui animali fantastici tra cui grifoni e pantere). Questa grande
moda, si esaurisce abbastanza presto, poiché gli artigiani non riescono ad innovare la loro produzione.

Tra la fine del 7 secolo e gli inizi del 6°, vi è una produzione nella regione attica (ateniese in particolare),
avevano una produzione con una tecnica particolare a figure nere, colorando in scuro le figure e lasciando
in chiaro la tinta neutra della terra cotta, la resa di alcuni particolari, vengono incisi. È un nuovo modo di
decorare gli spazi del vaso che sono 5: il collo del vaso, la spalla, la pancia, il piede e le anse (ovvero le
maniglie).

Questa decorazione si specializza sulle parti del vaso, questo tipo di decorazione scene dei miti, che
rappresenta la comunicazione non verbale, la comunicazione attraverso le immagini.

Questi vasi che sembrano delle anfore, scelte per rappresentare di precetti di vita, che vengono trasmessi
attraverso alcuni miti, che hanno esito positivo o negativo, che servivano per far capire cosa si poteva o non
si poteva fare. Alcune tecniche devono essere migliorate, ancora fase di sperimentazione ma comincia ad
affermarsi consapevolezza di artigiani che iniziano a firmare i loro vasi.

Il pittore in questo caso Sofilo, rappresenta delle scene di miti, in questo caso “i giochi funebri in onore di
Patroclo”, con una prima resa di prospettiva, che verrà migliorata nei decenni successivi. Raffigurata una folla
di spettatori su una gradinata per assistere ai giochi. Il rapporto dei corpi sono in fase di sperimentazione,
ma interessante la nascita di una consapevolezza di una classe di artigiani
che formano i loro vasi orgogliosamente.

Figura di Sofilo è una tra le figure più interessanti accanto ad altri due artisti
che firmano questo vaso.

Il Vaso Fracois, 570-560 a.C trovato in una tomba di Chiusi, nel 1845, e
rappresenta da punto di vista morfologico un cratere ad anse, nelle sue
superfici presenta una serie di decorazioni. Chiamato così grazie al suo
scopritore, cratere a volute, alto 66 cm, organizzato in una serie di fasce di
decorazione. Trovato in una tomba etrusca giunto però dalla Grecia dalla regione attica, lo realizzarono il
vasaio Ergotimo e il pittore Clizia, per una committenza aristocratica ateniese, e successivamente viene
ceduto in Etruria per un’altra committenza aristocratica, che alla fine lo destinerà ad un corredo funerario. IL
libro “Le strategie di Kleitias”, di M. Torelli ne parla, fa una serie di osservazioni suddivide il vaso in facce: la
faccia A e la faccia B, sempre con la prospettiva che questi vasi erano posizionati al centro della sala, e poi
tutti i lati erano visibili a tutti i commensali.
Lato A Questo vaso ha sostanzialmente due protagonisti, il primo soggetto è Teseo, che ha una fortissima
ascendenza per Atene, famoso per aver ucciso il minotauro, e aver liberato dal giogo sacrificio i giovani
ateniesi. Viene raccontato lo sbarco da Teseo a Delo, sul collo vi è la danza del geranos (ovvero la danza delle
gru), danza che viene vista dal punto di vista cerimoniale, per rievocare l’impresa, è un segno che va a
sottolineare il fatto che senza l’intelligente di Teseo e l’aiuto di Arianna che gli ha dato, non riuscì ad uccidere
il minotauro e poi diventare il re della città. Questa danza viene interpretata come una sorta di simbolo, per
ottenere il rango massimo ovvero la regalità, attraverso una serie di imprese che i greci chiamavano gli “atla”,
una serie di prove di forza, ed intelligenza.

La seconda scena sul collo è la scena della centauromachia, la lotta tra i Centauri e i Lapiti a cui partecipa
Teseo.

Sulla scena della pancia, vi è rappresentato il corteo per celebrare le nozze di Peleo e Teti, un mortale sposa
una dea, dalla cui unione nascerà un semidio, Achille.

Sotto, il ritorno di Efesto sull’Olimpo su un asino al posto di un cavallo. Efesto, viene cacciato dall’Olimpo
poiché era nato zoppo e quindi non perfetto, ci sono varie opere che Efesto fa tra cui un trono d’oro, in cui
una madre viene intrappolata, poi richiamato nell’Olimpo dagli dei, tramite la figura di Dioniso riesce a
liberare la madre, che simboleggia l’intelligenza.

Lato B Lato in cui il protagonista sembra essere Achille. L’orlo del vaso, si ha la rappresentazione della
famosa “caccia del cinghiale calidonio” da parte di Meleagro, Atalanta, Peleo, e padre di Achille.

Sul collo c’è il funerale di Patroclo, e la corsa dei carri che vedono Achille ancora come protagonista dell’atlon,
poiché si misura la sua superiorità di resistenza, messa in discussione nella fascia del corteo sottostante.

Sulla pancia si ha il corteo delle nozze di Peleo e Teti, e sotto si ha l’agguato a Troilo, in cui Achille lo uccide,
qui lui mostra la sua prepotenza e quindi non mettendolo in buona luce. In questo caso in questa scena del
mito, racconta che chi si macchia di un reato, prima o poi ne pagherà le conseguenze, infatti secondo il mito,
Achille poi verrà ucciso da Apollo, con la sua freccia nel tallone.

Ultime parti del vaso che evocano sul piede: la teoria di animali fantastici e la battaglia fra gru e pigmei. Sulle
anse: Aiace che trasporta Achille, e Artemide la signora degli animali e la Gorgone, una di quelle figure che
vanno a segnare i limiti della società, dove se si superano si va in un mondo diverso. Sulle maniglie Gorgone
e Artemide.

Vaso con una complessità iconografica molto grande.


Molti di questi miti, si trovano sui templi e metope, andando quindi a raccontare con una comunicazione non
verbale, si va a sancire l’ordine sociale.

Achille e Aiace giocano seduti, Exechias artista che realizza


straordinarie opere, i vasi sono sia anfore che crateri, tra cui coppe
particolari, lui occupava sia la pancia che orlo del vaso, con delle
scene non solo di violenza ma delle scene tipiche dell’epoca. In
questo caso si occupa la pancia del vaso, che non raffigura delle
scene di violenza, ma delle scene di società dell’epoca.

In un esempio di un vaso, vi è Achille e Aiace che giocano seduti, con


Achille con l’elmo, che poggia il suo scudo, a destra c’è Aiace che
poggia le sue armi. Qui da seduti, si vedono meglio le decorazioni del
manto, con dal piede di Aiace e di Achille di intravede l’uso di una
prospettiva.

Altre opere di Exechias, sono un'altra anfora, con Aiace che si suicida.

L’ultima opera che gli si attribuisce a Exechias, e la coppa di Dioniso


su una barca, con i delfini che nuotano intorno alla nave, scena forse
che rievoca, il momento in cui Dioniso viene rapito da dei pirati e poi
trasformati in delfini.

Queste iconografie permettono di recepire come la cultura del sesto secolo trasmette dei messaggi
fortemente propagandistici, che è caratterizzata da scene dipinte su dei vasi, per veicolare dei messaggi, e
veicolari dei gruppi di potere.

La produzione ateniese, non si ferma solo alla regione attica ma si estende in tutto il Mediterraneo, e quindi
della colonizzazione dell’occidente.

Tra la fine del 9° e nella prima


metà dell’ottavo secolo vi è
uno spostamento di gruppi
etnici dalla Grecia si
trasferiscono in Occidente, con
delle rotte battute dai micenei.
Nelle “dark ages”, nei secoli bui
vanno dall’11° al 10° secolo,
questi gruppi hanno una
minore possibilità di
ripercorrere queste rotte, in
cui i mezzi per ripercorrerle
vengono a meno, si era rotta la
rete di scambi, che aveva
caratterizzato lo sviluppo della
civiltà micenea. In questi punti
dell’occidente vengono
rappresentate molte scene
dell’Odissea, e delle imprese di Ulisse. Braccesi storico, esamina e i miti legati all’occidente andando a
spiegare le rotte di Ulisse, e spiegando come attraverso i flussi e mercati, con le sue rotte di Ulisse vanno a
definire il quando più in là si sono spinti i mercati greci.
Questa proiezione in Occidente, aiuta a spiegare perché si possano trovare in terre lontane della madre
patria.

Movimenti di gruppi che sono tappeggiati da degli individui prevalentemente aristocratici, che vanno a fare
delle azioni di pre-colonizzazione e arrivano in queste terre, che offrono probabilmente più risorse, sono più
strategiche per la facilità di approdo, per l’assenza di gruppi locali indigeni.

Questi gruppi arrivano in queste terre e lasciano dei loro prodotti della loro area, tra cui frammenti ceramici,
e che preludono la fase della colonizzazione Greca, che avviene tra 8 fino al pieno 6° secolo. Nella piena fase
della colonizzazione greca vera che va dal 8° secolo fino al pieno del 6° secolo, in cui acquistano una valenza
pubblica, in cui dei gruppi vengono mandate dalla madre patrie in una impresa di colonizzazione.

Anche nella seconda fase della colonizzazione è caratterizzata dal bisogno di sfruttare nuove terre e risorse
da sfruttare, la metropolis (madrepatria) manda un gruppo di cittadini liberi per fondare una nuova città, alla
apokia (colonia, una nuova casa), attraverso l’okistes (il fondatore). I cittadini nel momento in cui lasciavano
la madrepatria perdevano la cittadinanza, ma ne acquistavano una nuova nel momento in cui ne
acquistavano delle nuove città. Città che sono delle apokia, città ex-novo che sono indipendenti e autonome
rispetto alle città di origine anche se queste mantengono rapporti e tradizioni di tipo politico e culturale.

Ci sono le Colonie, ma anche delle altre aree subcolonie, ovvero delle nuove città fondate dalle prime colonie.

SELINUTE

Una delle città che consentono di percepire il come questi gruppi aristocratici vanno a mettersi a capo di
queste nuove rotte, e spedizioni che poi permettono la creazione di nuove apokiai, Selinute è un caso
estremamente interessante.

Le fonti ci parlano di questo fenomeno, e ci raccontano di una realtà molto standardizzata e regolata, una
fondazione che avviene sulla base di una isomoiria, che è una legge uguale per tutti, in cui si aveva una
ripartizione egualitaria per la terra uguale per i lotti. Ma questa è una realtà, che avviene in parte, si avranno
delle occupazioni da parte della città. Vi erano delle questioni tra chi abitava nella città vera e propria e chi
veniva destinato fuori città.

Venivano decise le aree per lo spazio sacro, e le necropoli e tutti quei luoghi che marcano i territori occupati
dalla nuova cittadinanza che spesso vengono segnati dall’aspetto sacro. La città viene definita dal circuito
stradale, e dal circuito stradale difensivo, si hanno i plateiai che sono i circuiti stradali principali, che
normalmente sono 2 o 3, e poi ortogonalmente a queste si sviluppavano le vie minori gli stenopoi, che
davano origine a degli isolati con all’interno le abitazioni.

Non vi era una netta distinzione tra cui coltivava il territorio, e chi invece la governava.

L’arrivo nella cosiddetta terra promessa, venivano divide le aree pubbliche dalle aree private, e quelle
necropoli. Città definita dal circuito stradale, definita dell’arteiadi, del manto stradale, che davano vita ad
altre parte steniopoi.

Selinute che è una apoikìa fondata da Megara Iblea, che si trova nel settore nord-orientale della Sicilia,
fondata alla fine del VII secolo, e l’origine del nome della città è selinon che era una pianta che nasceva in
quell’area, è anche il nome del fiume antico, oggi il Modione che costeggiava la città, che aveva una funzione
importante, poiché dalla foce si riusciva a risalire il fiume con imbarcazioni leggere, entrando nell’entroterra
alimentando il commercio via mare.

Il piano ortogonale, che risale agli inizi del sesto secolo, e prevede 3 zone distinte:

- zona dell’acropoli
- agorà nella collina di Manuzza
- la collina orientale dove sorgono i templi
- zona oltre il fiume dedicata all’area delle necropoli, qui sorgeva anche il santuario di Demetra

Il parco di Selinute, permette di cogliere forme di costruzione e centri abitativi, della fase arcaica.

Agorà che occupa 2 parti della città tra cui l’acropoli, e una zona sulla piana dei Manuzza, già dal 580 si
conservano una serie di edifici poi ampliati e ristrutturati.

La zona dell’Acropoli, che è in un’area con forma irregolare,


è un esempio significativo della ripartizione delle aree ad
uso sacro, piuttosto che a uso abitativo, rispetto alla plateia
e i stenopoi.

Il tempio C, più antico datato nel 540 a.C, si ha l’area di


ingresso con doppia file di colonne doriche 6x15, colonne
tutte diverse segno di sperimentazioni di area coloniale,
con anche delle metope che furono oggetto di studi
approfonditi, con una forte tendenza in questa fase di
rappresentazioni in maniera drammatica le gesta di
personaggi, con una sorte di evocazione teatrale, rispetto
alla madrepatria, in questa area di evocano più gli aspetti
drammatici di queste rappresentazioni.

Nel tempio G, sulla collina orientale nella zona di controllo


di territorio, datato al 530-520 a.C. Un edificio iniziato e
probabilmente mai finito, vi sono 8x16 colonne doriche
vengono realizzate con ultilizzo delle cave di Cusa di
Selinute, con in situ blocchi mai finiti per l’edificio. Un
edificio, con una strana planimetria, con una peristasi importante, che inquadra la zona del pronao, che è
piuttosto profondo che dà accesso ad un’area interna e sul fondo doveva esserci una sorte di naiskos, in cui
doveva esserci l’area di culto, e dalla sua anta del naiskos, vi sono dei frammenti di iscrizioni i principali culti
della città.

Nella collina di Gàggera, il santuario di Demetra Malophoros, con impianto inserito all’interno di temenos,
che racchiude l’area sacra con un ingresso monumentale, e all’interno un grande altare e l’area del tempio,
che non rispondono alle tradizionali planimetrie dei templi dorici, poiché il culto di Demetra ha la sua
specificità legata al ciclo biotico e il ciclo di vita. Santuario che aveva un’area di culto di importante del culto
di Zeus Meilichios (dolce come il miele), aspetti particolari che richiamano l’idea una comunità, che
richiamano dei luoghi specifici significativi, dei luoghi che si trovavano ad una zona prossima alla foce del
fiume. Zona soggetta a problemi di impaludamento, tanto che viene chiamato Empedocle per bonificare
quest’area, risolvendo problemi di ordine sanitario.

Contesto di Selinute, che ci mostra che come i nuclei che si spostano dalla madre patria e arrivano poi in
occidente, siano in grado di dare vita a degli insediamenti a delle comunità.

Il caso di Selinute, della Sicilia, che resta una provincia autonoma distinta dalla Magna Grecia, che verrà a far
parte dell’Italia, e quindi queste due aree presentano dei caratteri distinti sulle abitazioni che vi furono.

POSEIDONIA/PAESTUM

L’area di Poseidonia, che in età romana sarà Paestum, è un sub-colonia di Sibari, che era una colonia achea
non lontana da Taranto, e si pensa sia stata una scelta strategica per collocare un punto a sud di Napoli questo
centro. La colonia di Poseidonia, di cui ci parla Strabone, trattatista greco dell’abustea, e scrive della
geografia del Mediterraneo, la città viene ad occupare un punto strategico delimitato tra due corsi d’acqua,
a nord il fiume Sele, dove non a caso Poseidonia pone il santuario extra urbano che è l’Heraion del Sele, e a

sud il fiume. La colonia viene posizionata all’interno della costa, in un punto che occupa un’area su una
piattaforma calcarea a circa 15 metri sul livello del mare, datata al 600 a.C. Molte aree vengono lasciate libere
e vengono occupate nel corso dei decenni.

La città si definisce per questa forma pentagonale irregolare, e presenta un’area centrale, che è lunga 1 km
circa da nord a sud, e copre una superficie di 300 m di larghezza tra est-ovest e 1km tra nord-sud, e copre
l’area dell’agorà greca. A nord e a sud sono delimitati da aree sacre, attorno alle si sviluppano le altre aree
della città, organizzato rispetto ad una maglia stradale con 2 grandi plateiai a est-ovest, e una serie di assi
larghi 5m in senso nord-sud che generano in impianto regolare. Le mura creano un circuito, che rendono la
forma della città più regolare.
Uno degli edifici che ci sono noti e non distrutti, è uno spazio
sacro che è l’Heroon area con un’area in memoria per il
fondatore, collocato in un recinto sacro temeos, in blocchi di
calcare, all’interno lo spazio è parzialmente ipogeico, con un
piccolo edificio rettangolare 3,8x3,5 m.

All’interno si connota uno spazio, che ha subito la sua


realizzazione attraverso un rituale specifico, che prevedeva
una disposizione di vasi gli idriai, contenitori, in bronzo, a
parte l’anfora, da degli studi alcuni hanno tracce con
all’interno del miele, con una funzione rituale puntale
specifica. Nel mezzo del vano una sorta di panchina con un
tavolo ligneo, sul quale sono stati trovati 5 spiedi di ferro
avvolte in un tessuto di lana, decorati.

Questo edificio è di tipo cittadino-civico, che serviva per


rafforzare il legame della città con il fondatore, che rimarca il fatto di questi popoli che vanno a vivere in terre
non conosciute.

Tempio di Atena, il cosiddetto tempio di Cerere, si


pensa che risalga all’inizio del sesto secolo, tempio
dorico esastilo, costruito nell’area sud dell’acropoli
probabilmente costruito sulla base di un tempio dorico
comune, con 6x13 colonne doriche, situata nella parte
più alta della città. Tipologia anomala, con grande
pronao tetrastilo che funge da grande ingresso una
sorta di atrio. All’interno c’è solo la cella, è stato notato
sulla base dei resti che se la peristasi esterna è dorica,
all’interno ci sono tracce di colonne ioniche, uno dei
primi tentativi di commissioni di stili, che si afferma nel
corso del V secolo.

BouleuterionAl centro dell’agorà vi è lo spazio per l’assemblea cittadina, a cui è stata fatta un’ipotesi
ricostruttiva, che conteneva circa 500-600 persone, il diametro di 35 m. Vi è anche un altare, dove si
realizzavano cerimonie, dello spazio comunitario, che serviva all’attività amministrativa della città.

Tempio di Hera I, (basilica), a sud, si data al 560, è un


enneastilo, con un fronte a 9x18 colonne, all’inizio
doveva avere un opistomos, che viene poi sostituito da
un Adyton, da cui si accedeva da un doppio ingresso,
che si vede dal pronao, con una fila di colonne interne,
dando risalto a 2 statue di culto e quindi 2 diverse
divinità.

Tipi di ex-voto, legano questa costruzione ad Hera,


colei che nutre i kuroi, che si occupa della crescita della famiglia, ma anche ad Ippia protettrice dei cavalli.
L’ultimo spazio sacro, è l’heraion del Sele, un
santuario che delimita la città nell’area nord,
oltre il fiume, come confine naturale, oltre il
quale si occupano le terre dalle popolazioni
circostanti.

Il santuario costituito da una serie edifici, che


hanno permesso di comprendere che nei
decenni la popolazione ha costruito una serie di
edifici per rimarcare la funzione di spazio di
incontro della comunità che abita la kora.

All’inizio c’era solo un altare (n.6), e poi viene


realizzato una sorte di Thesauros, sorta di
edificio rettangolare, con base della cella in
calcare, e invece il resto in arenaria.

All’interno dello spazio sono state trovate delle metope, che parlano delle varie vasi di costruzione del
santuario, rilevati alcuni gruppi di metope, che vanno a rappresentare l’area sacra. Dal santuario provengono
circa 60 metope divide in diversi gruppi:

- Primo gruppo di 36 Metope, che appartiene della prima fase di costruzione e di occupazione, tra 560-
570 a.C, e risulta connotato da tematiche legate all’Ilioupersis (presa di Troia), a Oreste e a Eracle.
- Secondo gruppo della fine del secolo 520 a.C, e che si ritiene legato ad altri miti, e a figure femminile,
tra cui fanciulle danzanti e in fuga.

La situazione del santuario, fa si che nel corso del tempo più spazi vengono allestiti per a raccogliere
l’organizzazione dei fedeli, viene realizzata la stoà settentrionale al posto del nuovo altare, proprio perché
qui dovevano avvenire associazioni comunitarie sotto lo spirito della comunità.

Area a sud, conosce una destinazione di tipo funerario, in cui viene scoperta una tomba, è la Necropoli della
Tempa del Prete.

Questa necropoli è leggermente distante, rispetto ad altre aree di necropoli della città, quasi a significare un
volersi distinguere dalla popolazione, e quindi probabilmente appartenente ad una famiglia benestante e
aristocratica.

Tomba del tuffatoreQuesta tomba che coincide con una cassa, che ha una serie di immagini al suo interno,
uno dei primissimi casi di pittura. Nelle lastre sono rappresentate delle scene di momenti conviviali, in cui
personaggi maschili siedono ad un banchetto, momenti che vedono nella lastra superiore della cassa, con
una scena di un uomo che si tuffa in un bacino d’acqua, che probabilmente è un’immagine simbolica che da
il senso di un “tuffo nell’aldilà”.
LEZIONE 06 | 9 marzo 2022

L’ETÀ DELLO STILE SEVERO (480-450 a.C.)


Età dello stile severo, chiamata così perché G.G. Winckelmann aveva già individuato una serie di sculture
(copie di originali greci) che si richiamano a preciso momento. Usa un termine streng ossia ‘rigoroso’ che
nella traduzione italiana viene definito come severo, in riferimento a una serie di manufatti precedenti all’età
di Fidia, periclea in cui si codificano delle cifre stilistiche che appartengono allo stile classico. Questa
produzione artistica si connota come unna produzione in cui lo studio delle figure umane, che vengono scelte
nella rappresentazione di determinati cicli scultorei, ha come caratteristica il fatto di avere una postura molto
composta, connotata da volti con espressioni riflessive, rigorose e quindi “severe”.

Non è scelta stilistica che segna una cesura netta con il Leitmotiv della produzione artistica dell’età arcaica
caratterizzata dal sorriso arcaico che dava espressione di apparente gioia/compiacimento in queste statue,
ma è anche lo specchio di una situazione culturale generale della società greca che è coinvolta in una serie di
condizioni storico-politiche molto complesse perché tra la fine del VI secolo e gli inizi del V succedono dei
fatti epocali, che portano il popolo greco a riflettere non solo sull’idea di quale vita si vuole, ma soprattutto
della caducità della vita e dell’essere soggetti a situazioni storiche o a un fato che decide al posto tuo e che ti
rende soggetto a fortune alterne. → ci si riferisce alla fase che vede la pressione dell’impero persiano sulla
Grecia e sulle città della Ionia, sul fronte della Grecia orientale. Questo nemico che si era organizzato in un
impero con organizzazione in satrapie, con satrapi (sorta di governatori che amministrano queste terre), si
era spinto verso la Grecia ionica e pressava le città che erano greche di origine ma sottoposte a serie di
richieste a livello di tassazione, di oneri che creano una situazione insostenibile per le città-stato di marca
greca.

La prima rivolta è quella di Mileto (499 a.C.), che si ribella al gran re perché costretta a versare tributi sempre
più onerosi. La città chiede aiuto al popolo greco. Della Grecia risponde solo Atene, non solo perché sorella
della medesima stirpe ionica ma perché guardava con timore a questa pressione persiana su un mare greco,
quale era l’Egeo. In poco tempo anche altre città insorgono ma la prima battaglia navale davanti a Mileto a
Laden (?) viene vinta dai persiani nel 494 e in seguito distruzione totale della città di Mileto ma anche
situazione del famoso santuario del Didymaion.

Dal 494 al 490 = Prima guerra che chiama in causa Atene alla guida di un numero consistente di opliti, alla
quale seguono degli anni di instabilità. Dario I decide di punire questa Atene riottosa e poco incline a
sottomettersi al volere del gran re e dichiara guerra ad Atene ma in generale a tutta la Grecia, e
inaspettatamente l’esercito che arriva alla piana di Maratona (20 mila uomini) viene sconfitto da Atene, che
aveva un numero minore di uomini = vittoria di Maratona del 490 a.C. → battaglia che segna l’approccio e
la consapevolezza dell’Atene dell’epoca, non senza morti o feriti. Inizia anche una sorta di propaganda volta
a celebrare questi morta e volta a rimarcare una netta cesura tra popolo ateniese e popolo persiano
(appartengono al gruppo di barbari perché rispecchiano un modo di vita e di organizzazione sociale diverso
dalle città-stato, dove c’è un gran re e i sudditi che gli obbediscono ≠ Atene dove i propri cittadini erano in
gran parte liberi e autonomia interna specifica).

Succeduto a Dario I, il nuovo re persiano Serse decide di attuare una nuova guerra, non solo contro Atene
ma contro tutta la Grecia. Sono gli anni in cui Temistocle è lo stratega dell’epoca che capisce la necessità di
puntare a una realizzazione di una flotta navale che sia in grado di far fronte a un attacco via mare. Già in
questa fase progetta una serie di mura che possano difendere la città e il suo porto.

Tuttavia, la prima parte della seconda guerra persiana inizia male perché c’è una prima uccisione di Leonida
alle Termofili con 300 uomini in Tessaglia. Nel 480 viene organizzata una strategia ad opera di Temistocle che
vede da un lato la necessità di abbandonare temporaneamente la città perché il gran re si stava avvicinando,
dall’altra parte si organizza una controffensiva che usa anche la flotta e nel 480 la battaglia di Salamina segna
una vittoria per Atene e per i greci. Si concluderà poi nel 479 a.C. con la battaglia di Platea, a cui segue l’ultima
a Micale sul fronte ionico. Da quel momento i persiani si ritirano e sarà solo Alessandro Magno, 100 anni
dopo, che si reinventerà una nuova guerra contro i persiani, perché i persiani nel 480 quando avevano
attaccato Atene aveva osato distruggere anche i templi e molti ex voto dedicati alla dea. = questo fatto verrà
rivendicato da Alessandro Magno e sulla base di questa profanazione baserà la sua azione.

Quando gli ateniesi tornano in città e vedono lo scempio che è stato fatto, decidono che questa distruzione
deve rimanere a memento dei concittadini e dei posteri a dimostrazione della grandezza dell’atto di empietà
compiuto dai persiani. Questo atto viene amplificato in termini di propaganda, ma lo fanno attraverso una
sepoltura sacra, fossa votiva che gli archeologi hanno definito come colmata persiana. → accumulo di oggetti
che erano stati distrutti in quegli anni e che essendo stati dedicati alla dea dovevano esserle restituiti in
termini di deposito sacro. Questo deposito ha permesso il recupero di molti oggetti precedenti agli eventi del
480 e che segnano un ante e un postquem rispetto a quegli eventi. La scoperta di questa colmata avviene
alla fine degli anni Ottanta dell’800 tra il 1885 e il 1891. Viene scoperto perché un archeologo, Kavvadias,
decide di indagare quel tratto di spianata davanti al Partenone sulla fronte meridionale dell’acropoli. Decide
di scavare quest’area smontando uno strato dopo l’altro che parlano di una serie di interventi che per una
parte coincidono con questa colmata ma che riportano a una storia precedente all’occupazione dell’acropoli.

Ci sono 5 grandi fase di costruzione di muri di


contenimento e relative colmate che implicano un
interro complessivo dai 6 ai 10 metri → dislivello
importante

Il muro 2 è il muro di fondazione realizzato intorno al


500 a.C. per il pre-Partenone, la costruzione che
precede il Partenone. Questo grande muro viene
utilizzato per poggiare i tre gradoni dello stilobate del
Partenone. Rispetto a questo dalla parte opposta, il
muro 4 viene considerato il muro costruito a fini
difensivi dopo la battaglia di Salamina. Dopo il 480.
Tra queste due consistenti costruzioni vi sono una serie di indicazioni di lavori iniziati precedentemente che
non furono mai portati a termine anche in relazione alla situazione persiana.

Il muro 1 è stato individuato da Kavvadias come un muro di epoca micenea (1400-1200 a.C.) in tecnica
ciclopica, a cui corrisponde (sulla dx) una prima colmata (colmata n°1) che viene tagliata stratigraficamente
per fare la fossa di fondazione del basamento del pre-Partenone.

La seconda colmata si riferisce a una serie di scarti di lavorazione pertinenti ai materiali di lavorazione per il
Partenone, con un muretto di contenimento (2a) per gli stessi e che in qualche modo finiscono per essere
sovrabbondanti, tant’è che sopra il muro 1 viene costruito un altro muro (2b) che utilizza come base di
appoggio il muro ciclopico. Sono gli anni tra il 500 e il 490 quindi la fase precedente alla distruzione dei
persiani del 480 e quindi gli oggetti di questa colmata sono necessariamente antecedenti al 480.

Il muro 3 che utilizza le murature precedenti: quella ciclopica e quella del 500-490. È un muro che per la
qualità della messa in opera è considerata un’opera realizzata in fretta negli anni in cui Temistocle nel 480
cerca di approntare una sorta di muraglia difensiva per l’acropoli in vista della minaccia persiana. Contiene la
colmata 3 che contiene serie di oggetti datati tra 490 e 480. Si assiste a una prima deposizione di oggetti che
servono a regolarizzare quest’area.

Il muro 4 detto di Cimone perché costruito dopo la battaglia di Salamina (470-460) contiene delle statue
mutilate, che sono quelle che i persiani distruggono nel momento in cui arrivano all’acropoli. Questa è la
favissa sacra, la vera e propria deposizione fatta per ricordare lo scempio persiano degli ex voto per la dea
ed è una colmata che dà l’idea di quanto fosse importante per la comunità dedicare questi ex voto.
Nell’età di Pericle, la comunità con il muro 5 decide di adeguare la spianata ai nuovi progetti, al cantiere
pericleo quindi la colmata 5 è quella che rende uniforme il piano pavimentale che sarà poi funzionale al
cantiere.

Questi eventi non sono interessanti soltanto da un punto di vista storico, ma aiutano anche a ricostruire serie
di tracce che archeologicamente non sarebbe stato facile ricondurre a determinate situazioni. Tuttavia,
segnano un’affermazione fortissima della consapevolezza dell’Atene vittoriosa sui persiani, che diventa la
grande potenza non solo della Grecia ma, per alcuni anni, di tutto il mediterraneo.

Atene è vittoriosa grazie a Temistocle, che promuove una serie di attività politiche e culturali che la
porteranno al vertice della scena nazionale e internazionale. Grazie a Temistocle viene concretizzata in
maniera concreta la lega delio attica con sede nell’isola di Delo, dove vi era il santuario di Apollo e nel quale
veniva conservato il tesoro della lega. → ogni città federata aveva l’obbligo di versare un tributo, che era
posto sotto il controllo del santuario. Non tutte le città erano d’accordo sul pagare questo tributo e così inclini
a sottomettersi politicamente all’egemonia ateniese, per cui alcune entrano di loro spontanea volontà, altre
sono caldamente invitate ad entrare.

Atene è una potenza internazionale, che si pone subito con contrasto con Sparta (a capo della lega
peloponnesiaca) però la Sparta, dopo le guerre persiane, è una città che si chiude in sé stessa, che vive di una
propria struttura fin tanto che nella seconda metà del V secolo sarà la nuova protagonista che riuscirà a
sconfiggere Atene. La supremazia ateniese diventa così importante che nel 454 il tesoro viene trasferito ad
Atene. Per questo tesoro, Pericle e il suo entourage decidono di rifare l’acropoli e tutta una serie di iniziative
a favore delle città. Dall’altra parte le città greche occidentali sono a loro volta chiamate a scontrarsi con altri
barbari: gli etruschi e i cartaginesi. Gli etruschi nel 474 vengono sconfitti da Ierone di Siracusa nella battaglia
di Cuma limitando il potere di quest’altra forza occidentale. Negli anni tra il 480 e il 450 Atene e la Grecia si
impegnano in un grande rinnovamento a livello urbanistico ma anche a livello di arti figurative.

La costruzione delle mura voluta da Temistocle è una costruzione che parte dal 479-478 e arriva fino agli 60
del 400 del V secolo. T. capisce l’importanza dell’esperienza navale, di dotare la città di un sistema difensivo
articolato e che non protegga solo l’acropoli o la città, ma che permetta di giungere all’area portuale
all’interno di un sistema difensivo complesso; e capisce la necessità di dotare l’area portuale di un impianto
urbanistico funzionale a tutte le attività.

La strategia di Temistocle è quella di organizzare


la parte a mare di Atene attraverso un settore
portuale pianificato. È Ipodamo di Mileto che
presiede questo tipo di rifacimento urbanistico.
Le fonti sottolineano in maniera marcata il ruolo
di questo architetto, pianificatore e come sempre
gli si affida tutta l’invenzione del piano
urbanistico. L’idea di fondare nuovi insediamenti
su tracciati viari ortogonali che definiscono isolati
regolari, che rispondano a esigenze di un abitato
organizzato secondo un sistema regolare è
un’esigenza già documentata in Occidente. Le
sperimentazioni su questo tipo urbanistico erano già state fatte.

Ipodamo codifica e teorizza, in trattati, la regolare disposizione di come doveva essere la struttura di una
polis ‘perfetta’. Si suddivide per settori: le zone per la politica, per la città intesa come polis, la parte dedicata
al sacro, al ludico, alle attività condivise, la parte per il privato, per lo spazio commerciale.

Nel settore del Pireo si nota come fosse stata pianificata l’area a est: l’area che verte sul ponte di Cantaros,
l’area commerciale rispetto a quella orientale che verte sul porto di Zea solo per le attività militari. Intorno ci
sono i quartieri abitativi e l’area destinata alle attività pubbliche della città secondo una precisa distinzione
funzionale delle diverse zone abitate. È interessante ricordare che a Ipodamo le fonti attribuiscono anche il
progetto urbanistico della città di Turi, fondata per volontà di Pericle nell’area di Sibari, distrutta per motivi
di controllo territoriale perché prossima ad altre città della Magna Grecia.

L’Atene di Temistocle si dota di un grande impianto portuale che diventa uno dei luoghi strategici, non solo
per lezioni commerciali, per la diffusione dei prodotti via mare ma anche per lo stanziamento della flotta
militare.

Se la città dio Atene si dota di opere che garantiscano il ruolo egemone rispetto ad altre città, nel
Peloponneso viene ad essere cruciale una fase edilizia per il santuario della città di Olimpia, città che si trova
nella regione dell’Elide (zona nordorientale) già nominata perché luogo dove sorgeva già dalla fine del VII
secolo il tempio di Era → uno dei primissimi esempi di tempio dorico con l’utilizzo della pietra unito alla
tecnica del legno (per la costruzione di grandi edifici nel VII secolo).

La città di Olimpia si trova ai piedi del monte Kronos (padre di Zeus) ed era collocata tra due fiumi: l’Alfeo,
che scorre verso sud-est e il Cladeo che si incrociano in prossimità della città. = città famosa per il suo
santuario presso il quale vengono ambientate due leggende con due personaggi importanti del mito greco:

- Prima leggenda: riguarda Pelope, figlio di Tantalo ed eroe del Peloponneso che viene chiamato in
causa perché arriva nella città di Pisa dove regna il re Enomao, il quale secondo un oracolo sarebbe
stato ucciso dal genero che avrebbe sposato sua figlia. Per questo il re non permette a nessuno di
avvicinarsi alla figlia e quindi sfida ogni pretendente in una gara di carri, nelle quali vince sempre lui
perché hai cavalli più potenti. La sfida prevedeva che chi dei due vincesse, potesse uccidere l’altro e
quindi in questo modo vengono uccisi tutti i pretendenti. Tuttavia, Pelope che ragiona con una metis
(un’intelligenza che sa far prevedere le cose e che sa far capire che cosa bene o meno fare) si fa dare
due cavalli da Poseidone per vincere la gara. Secondo un altro mito riesce a corrompere Mirtilo, il
palafreniere di Enomao, il quale manomette il carro del re facendo vincere Pelope. -> sposa
Ippodamia e subentra a Enomao.
- Seconda leggenda: riguarda Eracle e vede la sua presenza in quanto fondatore degli atla. Egli aveva
fondato questi giochi per celebrare Pelope, portando dagli iperborei i sacri ulivi con i quali venivano
realizzate le corone da dare ai vincitori delle varie gare.

Rispetto a questo mito, grazie agli scavi tedeschi fatti


con grande precisione ed attenzione stratigrafica, si sa
che c’è stata una serie di fasi insediative nel santuario
a partire dall’epoca micenea. In questa fase, dai
frammenti degli ex voto si pensa che si venerassero
divinità legate a personaggi come la dea Ghe o Kronos.
Soltanto dall’età tardo orientalizzante arcaica (fine del
VII secolo) si hanno i primi edifici come l’Heraion.
Oltre ad Era era venerato anche Zeus in uno spazio
chiamato altis (bosco sacro), ossia l’area dove poi
sorge il tempio.

Secondo la tradizione nel 776 a.C. (VIII sec.) c’è la prima olimpiade e quindi la fondazione dei giochi olimpici,
che stabilivano una tregua ogni 4 anni di eventuali contese fra le città = tregua sacra per permettere che le
diverse città tramite i loro atleti potessero partecipare a questi agoni, che inizialmente prevedevano gare di
carri per evocare quella mitica di Pelope ed Enomao. Nel corso del tempo vengono sostituiti dai giochi come
il pentathlon (salto, lancio del disco e del giavellotto, corsa e lotta) per sfidarsi in una serie di gare, affiancate
a gare musicali e poetiche, a cui poteva partecipare tutta la grecità (anche Grecia delle colonie infatti
numerosi ex voto che parlano di personaggi provenienti dall’Occidente).
Questo grande santuario che ha una valenza plurima:

- religiosa panellenica perché richiama tutta la grecità a ritrovarsi a omaggiare le divinità olimpiche
come Zeus ed Era,
- una valenza culturale sportiva importante perché per gli antichi la capacità di affrontare degli atla
che prevedono anche un’intelligenza, una capacità di gestire questo tipo di attività fisiche, era
fondamentale. Essere un buon atleta significava ritagliarsi un posto all’interno della società.
All’interno di questi santuari c’è la possibilità di autorappresentarsi con ex voto, monumenti, edifici
per celebrare la presenza individuale delle varie città.

Per la fase antica le testimonianze che i tedeschi hanno rilevato riguardano quello che era il luogo fondativo
dell’area sacra → Heroon in onore di Pelope = Pelopion (desinenza -ion per definire un luogo di culto per una
o più divinità, non solo un tempio ma tutti i luoghi sacri) che ha una serie di fasi:

1. fase protostorica (II millennio a.C.): è stato individuato un grande tumulo circolare di circa 30 metri
di diametro con annessa capanna. = Pelopion I
2. fase di VI secolo: si sovrappone alla prima fase = Pelopion II
3. fase di IV secolo: questo spazio sacro viene monumentalizzato con recinto poligonale, che racchiude
un altare, delle statue ed è circondato da alberi. È collocato tra i due edifici principali che sono
l’Heraion e l’Olimpieion. = Pelopion III

La saga di Pelope è fisicamente uno spazio, che i greci vedevano nel santuario e al quale dedicavano
attenzione e votivi. Sempre in riferimento al mito, attraverso una lunga descrizione nei libri V e VI della sua
“Periegesi della Grecia” ci ricorda che a memoria di Pelope ed Enomao esisteva ai suoi tempi una colonna in
legno che apparteneva al palazzo di Enomao e che veniva utilizzata come punto di giro delle gare dello stadio.
Non c’è alcuna traccia micenea, a parte il tumulo per ricondurre questa colonna a un palazzo preciso.

Nell’area sono state trovate tombe riconducibili al II millennio a.C. con molti corredi. È probabile che
all’interno del mito di Pelope, si era utilizzato questo ritrovamento per dimostrare la presenza di una
frequentazione molto remota di un utilizzo di tombe molto lontane dall’epoca di ritrovamento per costituire
una memoria, un’origine mitologica di queste popolazioni. Prima della costruzione del tempio c’era un
grande altare, datato al Vi secolo, alto 7 metri, costituito dall’accumulo delle ceneri per i riti realizzati dai
fedeli e che sarà poi sostituito dalla costruzione del grande tempio, datato a un periodo tra il 472 e il 457 a.C.
→ date confermate perché quando Pausania descrive il santuario e il tempio, che attribuisce all’architetto
Libone dell’area dell’Elide afferma che egli aveva potuto utilizzare il bottino ottenuto dalla guerra vinta contro
quella chiesa. Questa guerra è stata vinta nel 472, quindi è come dire una data certa, dopo la quale viene
costruito il tempio. Inoltre, Pausania ci dice che nel suo tour a Olimpia vede sul frontone del tempio il grande
scudo d'oro che gli Spartani avevano dedicato al Dio dopo aver vinto gli ateniesi nel 457, in una delle varie
battaglie che le due città fanno tra di loro. Fu distrutto nel VI secolo da un terremoto e per questo è stato
conservato nella sua interezza.

TEMPIO DI ZEUS, Olimpia, 472-457 a.C.

Si tratta di un edificio con dimensioni imponenti (64 m


di lunghezza x 26 sui fronti), che arrivava ad un’altezza
di 20 m calcolata sulla base dei resti ancora esistenti. La
peristasi dorica circondava una cella con pronao e
opistodomo in antis. All’interno vi era una doppia fila di
colonne a doppio ordine che permettevano lo sviluppo
in altezza. Sul fondo della cella era seduto lo Zeus di
Fidia. Il tempio viene costruito in calcare locale e
rivestito in stucco bianco, mentre il tetto aveva tegole in marmo. Per le parti scultoree delle metope e dei
frontoni viene usato il marmo pario, con inserti policromi e in metallo.
In termini strutturali, i resti delle colonne mostrano che i fusti dovevano avere un’entasi piuttosto sviluppata
per diminuire l’effetto della rigidità, una delle criticità dell’ordine dorico. Le colonne dei lati maggiori e le
prime due dei lati corti avevano un’inclinazione consistente verso l’interno per risolvere le deformazioni
ottiche tipiche per queste costruzioni. Tutta la costruzione si basa su un modulo ricavato dall’interasse delle
colonne che creano una serie di multipli e sottomultipli alla base di un calcolo complessivo del tempio =
garantisce un’idea di armonia e perfetta calibrazione di tutte le sue parti secondo una proporzione aritmetica,
che era il frutto di una teorizzazione particolare per arrivare a creare un insieme armonico e simmetrico in
tutte le sue parti.

Si conosce, grazie a Vitruvio che questo è il periodo delle grandi opere, anche teoriche elaborate in Grecia;
quindi, opere che in qualche modo cercano di teorizzare le conoscenze raggiunte, le sperimentazioni, fino ad
allora realizzate. Si cerca di codificare in trattati questi livelli raggiunti in uno scambio reciproco che non si
ferma solo alla Grecia, ma che si diffonde in tutto il Mediterraneo.

La decorazione esterna del tempio

Le metope sono state realizzate intorno agli anni 60 del 400 a.C. e hanno un’ampiezza media di 1,6 x 1,5
metri. Interessano l’area del pronao e dell’opistodomos. Raccontano le dodici fatiche di Eracle, figlio di Zeus,
sui lati est e ovest, anche se dovevano essere messe sui lati lunghi. Le descrive Pausania, a noi ne restano
alcune parti che sono state disegnate e ricostruite sempre con l’idea di seguire lo sviluppo delle sue fatiche
(la cattura del cinghiale di Erimanto; la cattura delle cavalle di Diomede, re della Tracia,; lo scontro con
Gerione; l’acquisizione dei pomi delle Esperidi; la cattura di Cerbero; la pulizia delle stalle di Augias sotto il
controllo di Atena; la cattura del leone di Nemea; l’uccisione dell’Idra di Lerna) in una narrazione che doveva
raccontare attraverso questi miti una serie di azioni positive fatte dall’eroe, sempre con la prospettiva di
educare la popolazione in senso positivo.

L’altro ciclo scultoreo riguarda i due frontoni. La lunghezza dello spazio frontonale arriva a 26 metri per
un’altezza di 3,5 metri. Il retro di queste figure non è lavorato, segno che dovevano occupare una posizione
frontale sulla fronte del tempio. Dato che in epoca bizantina furono smontate e in parte riusate e infatti
ritrovate intorno all’area sacra la loro attuale collocazione è stata proposta sulla base della descrizione di
Pausania. Si tratta anche in questo caso di un’opera che prevede una sorta di definizione e di architettura
iconografica unitaria, tant’è che si è parlato del maestro di Olimpia per riferirsi a una personalità artistica che
diresse i lavori e che progettò tutto l’apparato decorativo del tempio su committenza aristocratica locale
(committenza che sfrutta il mito per ammonire i fedeli al rispetto delle leggi della patria e per ricordare che
tutte le azioni contro la legge definiscono la rovina di chi le compie).

Frontone est → celebra la saga di Pelope. Al centro c’è il padre degli dèi,
Zeus, che sta a indicare la volontà degli dèi e l’attuazione del fato, che
prevedeva che Pelope dovesse superare la prova. Alla sinistra di Zeus c’è
Pelope con Ippodamia, che fa il gesto dello svelamento cioè il gesto tipico
della donna che sta per sposarsi o che è già sposa ma che si caratterizza
come colei che ha raggiunto lo statuto matrimoniale e dall’altra parte c’è
Enomao, che è affiancato da una serie di personaggi. Non ci sono solo
cavalli per richiamare l’imminente gara ma che viene prefigurata. Sulla
destra c’è il vecchio indovino che fa un segno di incertezza e timore per
quello che sta per avvenire e che prefigura l’esito della gara.

Frontone ovest → si sceglie una rappresentazione di quelle che sono le forze contrapposte positive e
negative: c’è lo scontro tra i Centauri e i Lapiti (centauromachia), dove i Lapiti si scontrano contro i centauri
in occasione delle nozze di Piritoo e Deidamia che peccano di hybris perché si sono ubriacati e che si lasciano
andare ad azioni violente e di profanazione delle leggi dell’ospitalità e della convivenza civile. Al centro c’è
Apollo, che va a marcare l’inizio dello scontro e a segnare la sua protezione nei confronti di chi va contro la
legge; infatti, ha un movimento molto più dinamico rispetto a quello
del frontone est che è molto più posato. Il volto di Apollo è una delle
espressioni più evidenti di questa idea dell’età severa che appare
molto concentrata e che segna il momento di rottura rispetto alla
cifra stilistica precedente.

Lo Zeus di Fidia → disegno ricostruttivo sulla base della descrizione di


Pausania nel libro V e delle monete di età adrianea. Si tratta di una statua
crisoelefantina con anima in legno ricoperta in avorio/oro. È stata
commissionata a Fidia intorno agli anni 60 del V secolo.

Pausania: «Il dio, in oro e avorio, siede in trono; ha in testa una corona di
ramoscelli d' ulivo. Con la destra regge una Vittoria, anche questa d' avorio
e d' oro, che ha una corona sul capo; nella mano sinistra uno scettro
intarsiato d' ogni sorta di metalli; l'uccello che posa sullo scettro è l'aquila.
I calzari sono anch'essi d'oro, come la veste sulla quale sono intessute
figure di animali e fiori di giglio. Il trono che è adorno di oro e di pietre
preziose, oltre che di ebano e di avorio; su di esso, sono dipinte figure e scolpite immagini.»

Sulla base di questa descrizione e su una serie di monete ritrovate che si ispiravano all’iconografia della statua
si è tentata una ricostruzione = solo idea per vedere come era fatta. Era molto grande.

A Olimpia è stata individuata la casa di Fidia, l’area in cui viene ad operare l’artista e in cui è stata trovato un
piccolo vaso con scritto in greco Pheidio eimi “io sono di Fidia”.

Filippo, cent’anni dopo si fa costruire a Olimpia il suo edificio di culto, il Philippeion. Era importante andare
ad occupare questi spazi anche a fini propagandistici, solo che nel V secolo si hanno opere commissionate
dalla comunità, mentre nel IV secolo con Filippo si parla di opere realizzate da un individuo per un individuo.

PHILIPPEION, Olimpia, seconda metà IV secolo a.C.

Ad Olimpia, dal punto di vista architettonico, le modalità con cui


questi apparati decorativi vengono definiti portano a una cesura
nella raffigurazione dei personaggi scelti ma anche a codificare
delle strutture monumentali di riferimento.

In Occidente il rapporto tra le madrepatrie e le colonie è molto


dinamico. In questi luoghi si assiste a delle forme di
sperimentazione nelle strutture pubbliche, sacre che ci permettono
di seguire nelle colonie quelle che erano le diverse soluzioni e i
diversi punti di arrivo che venivano raggiunti. Anche per la fase dello stile severo, l’Occidente ci riserva delle
importanti attestazioni sia dal punto di vista strutturale, che dal punto di vista della produzione artistica.

Poseidonia → nell’area pubblica, estesa su una fascia di circa 1 km da nord a sud intorno alla quale si
organizzano i diversi isolati che saranno occupati dalle abitazioni dopo la deduzione della colonia romana di
Paestum del 273. Gli edifici di culto, a nord con il tempio di Atena e a sud con il tempio di Era, avessero una
valenza di demarcazione di questi spazi. Anche per la fase tra 480 e 460 a Poseidonia si realizza il tempio di
Poseidon nel settore meridionale della città con dimensioni minori rispetto a quello di Zeus e Olimpia, ma
con elementi che lo avvicinano alla costruzione dell’Elide.
- La peristasi è di 6x14 colonne doriche. (qui il canone
dei moduli scelti per questa costruzione non è lo
stesso usato in madrepatria, segno che in Occidente
arrivavano le sollecitazioni della madrepatria ma
poi si doveva saper metterle in pratica. Certe
approssimazioni sono dovute al fatto che in
occidente alcuni elementi per perfezionare questi
edifici non erano ancora stati adottati).
- C’è pronao e opistodomo in antis con cella inserita all’interno della peristasi
- Cella a cui si accede con apertura realizzata all’interno dello spazio del pronao. Come in altri contesti,
era primaria la collocazione della statua di culto.
- All’interno la presenza del doppio colonnato non è affiancata ai muri interni e quindi esiste navata
centrale con due laterali molto più strette a sottolineare che il focus è tutto rivolto verso la statua di
culto.

A Selinunte → TEMPIO E, dedicato a Hera, 460 a.C. (non lontano


da tempio G)

- ha pianta più allungata rispetto a Paestum con 6x15


colonne doriche;
- manca il colonnato interno;
- c’è un doppio spazio finale della cella, provvisto di un
opistodomo e di una sorta di adyton che serviva per la
gestione del tempio. È probabile che ci fossero parte degli ex voto, dei manufatti che rispondessero
a esigenze di tipo gestionale della struttura.
- All’esterno del tempio c’è un ciclo di metope che richiamano in maniera evidente le nuove cifre
stilistiche dell’età severa. Sono tutte datate intorno al 460, e che sembrano legate al linguaggio
peloponnesiaco di marca olimpiaca, che prevedeva figure con volumi piuttosto importanti
immaginati in un dialogo continuo dei vari soggetti.

(È possibile che la messa in opera di questi prodotti sia stata graduale ma che non fosse sconosciuta a livello
di cultura figurativa. Questi artisti si parlano tra loro, si trovano all’interno di un circolo culturale dove c’erano
molti siti in cui l’espressione artistica poteva esprimersi. Il rapporto tra madrepatria e colonia è un rapporto
costante, che non si attua nell’anno stesso ma che si lega all’interno di un arco temporale attraverso rete di
scambi commerciali e culturali).

Questo tipo di trasmissione di modi di raffigurare questa nuova moda = moda dell’età severa veicolata da
serie di sollecitazioni, in cui l’artigiano o lo scultore ha la possibilità di confrontarsi con opere della
madrepatria. La tendenza generale permette di visualizzare quello c’era l’eco della madrepatria. Il tempio E
è stato oggetto di un processo di anastilosi nel 1959 e da un punto di vista della fase costruttiva si pensa che
sia iniziato nel 460 e che sia concluso nel 450.

Ciclo metopale del tempio E → I soggetti sono legati a Eracle o a particolari elementi del mito per sottolineare
la vicinanza di comuni ideali a cui queste popolazioni si rifanno. Dalla scultura architettonica si possono
recuperare tracce dello stile severo anche nella bronzistica e nelle altre opere scultoree, si può osservare
attraverso serie di oggetti rimasti come ci si stata una netta evoluzione nello studio del corpo umano e
nell’elaborazione di un modo di esprimere le parti del corpo, che non sono più pensate come porzioni unite
tra loro e giustapposte (cfr. età arcaica).

Dalle fonti si sa che in questa fase e in quelle successive il materiale preferito dagli scultori è il bronzo. Ci
sono rimasti pochissimi esempi.
Veniva utilizzato anche per gli oggetti di piccole dimensioni → bronzetto
dell’atleta da Adrano (Sicilia), 470-460 a.C. (h 19,5 cm) con il quale si possono
valutare una serie di elementi che poi si troveranno riprodotti nelle statue di più
grandi dimensioni (es. copie romane di originali greci)

In questo caso lo studio del movimento del corpo implica una ponderazione delle
parti con la gamba destra portante su cui si scarica il peso e quindi con l’anca
leggermente superiore a quella sinistra = questo posizionamento giustifica il fatto
che l’atleta sta porgendo con la mano dx un oggetto che è forse il dono alla
divinità in omaggio alla vittoria raggiunta (forse piatto per le cerimonie sacre).

Si vede come a livello di resa dei particolari c’è una notevole attenzione al busto,
con addominali e pettorali ben definiti, le braccia spostate rispetto al corpo con
idea di movimento libero (≠kourai con braccia allineate ai fianchi), mentre da un
punto di vista della resa del volto e del capo, la capigliatura è una calotta
compatta (non più lunghi capelli raccolti in ciocche) e l’espressione è seria e
concentrata sul gesto che sta facendo. La testa è abbassata verso il braccio più teso = rimarca che l’atleta è
concentrato su questo atto di presentazione, ha tutta la sua attenzione rivolta verso quella parte mentre gli
arti di sinistra sono liberi. Non si esclude che potesse reggere con la sx la palma della vittoria, un altro
elemento che lo connotava come vincitore.

Dato che nella Sicilia dell’epoca c’è la presenza di Pitagora di Reggio, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la
resa finale di un oggetto piccolo ma di pregevole fattura sia il frutto di una sollecitazione da parte della
produzione scultorea locale rispetto alle conquiste realizzate attorno a questa figura.

Altra statua che consente di osservare netta evoluzione nella resa del corpo
umano e del suo muoversi all’interno di uno spazio è la replica romana in marmo
di un originale perduto: l’Apollo di Kassel, una località tedesca. = Apollo
Parnopios

La ponderazione è invertita: la gamba portante è la sinistra e trattandosi di


un’opera in marmo che ha delle necessità di ripartizione dei pesi più importante.
Per questo ha un supporto laterale che è il contenitore dell’arco sulla sua sinistra.
La destra è libera, viene portata leggermente in avanti e il bilanciamento dei pesi
rende appena percettibile la postura del bacino, che è leggermente alzato dalla
parte portante = questa ponderazione dei pesi viene studiata ulteriormente e
variata nei secoli successivi.

È detto “Parnopios” per la sua capacità di sterminare cavallette. Viene descritto


da Pausania come dedicato sull’acropoli di Atene, che permette di individuarne il
valore di statua pensata per ringraziare la divinità che presiedeva al contrasto di
quelli che potevano essere flagelli di tipo naturale.

Le opere che hanno posto le basi per capire lo sforzo straordinario fatto dagli artisti greci → scoperta dei
BRONZI DI RIACE nel 1972. Sono due dei pochi originali del V secolo che ci sono giunti. Sono stati scoperti da
dei pescatori davanti alle coste di Riace. In questa pesca sono stati recuperati due bronzi che oggi si trovano
al museo nazionale di Reggio Calabria, dove sono stati sottoposti a lunga serie di restauri e analisi. Ora sono
collocati su basamenti che ne assicurano la stabilità in caso di terremoto.

Sono due sculture in bronzo che rappresentano due personalità maschili: uno di età più matura (Bronzo A) e
uno più giovane (bronzo B).
Bronzo A, 460 a.C. → rappresenta un uomo di età più
matura, con barba e acconciatura raccolta in riccioli
tenuti da sorta di benda chiamata tenia che tiene i
capelli schiacciati sulla fronte. I particolari della bocca
denunciano l’utilizzo di materiali diversi (argento per
resa dei denti) = una serie di più materiali, che fanno
emergere alcuni particolari nella vivacità della statua.
Dal punto di vista della ponderazione si vede come ci
sia una certa affinità rispetto all’Apollo di Kassel, anche
se in questo caso la gamba dx è quella portante.

È possibile che il braccio sinistro fosse piegato a tenere lo scudo che è andato
perduto, mentre l’altro braccio era libero. Rispetto all’Apollo di Kassel c’è la
medesima linea orizzontale per le spalle, segno che la scultura è ancora pensata
in un atteggiamento di movimento ma ancora pensato in maniera statica.

Bronzo B, 430 a.C. → è posteriore rispetto


all’altro bronzo quindi frutto di un punto di
arrivo molto avanzato, che è quello segnato
dalla teorizzazione di Policleto e del suo
canone dell’atleta perfetto. Ha la medesima
ponderazione sulla gamba destra, ma in
questo caso il bacino è leggermente più
inclinato e le spalle non orizzontali come nel
bronzo A. C’è la possibilità che sia stato trafugato in età romana da uno dei
santuari greci che erano ricchi di queste statue. Si è ipotizzato che questo
trafugamento risalisse agli anni di Nerone, perché è emersa una certa
propensione per un recupero di statue di questa tipologia da portare a Roma e
da posizionare nei luoghi di maggior prestigio. Naufragarono nel tirreno e
vennero definitivamente perdute.

Lo studio delle terre di fusione usate per le sculture, conferma che si tratta di
due luoghi di provenienza diversa: Argo (area argiva) e l’area attica (forse Atene).
Ulteriore elemento che permette di travedere che una cultura figurativa sia stata
recepita da più scuole in un arco temporale piuttosto vasto ma che poi abbia creato il presupposto per creare
opere di questo tipo.

Altro originale → AURIGA DI DELFI, 478-466 a.C.


arrivata integra a noi perché sepolta a seguito di un
terremoto nel IV sec d.C. che colpì tutto il santuario.
Si pensa che fosse posizionata presso il teatro, nella
terrazza al di sopra del terreno, dove trovarono non
solo i resti del carro ma anche la base del dedicante
(Polizzalo, tiranno di Gela).

La scoperta è avvenuta nel 1896 ed è attualmente


esposta al museo di Delfi.

Il giovane che ha lunga tunica cinta da un’unica fascia sopra i fianchi = questa
tunica fa sì che tutto il corpo sia nascosto, ad eccezione delle braccia e dei piedi.
Sui piedi c’è una resa minuziosa dei tendini e delle singole parti degli arti inferiori ad indicare che l’opera non
sia astata frutto di un lavoro occasionale di un’azione di importante cesellatura.

La capigliatura è molto compatta (cfr. Apollo di Olimpia) con ciocche di capelli trattenuti da una tenia (benda)
decorata con elementi di argento e di rame, rilevati come tracce sulla scultura. Fino a 50 anni prima c’erano
ancora i kouroi con le ciocche molto lunghe. Da un punto di vista cronologico, fa capire come lo studio di
queste sculture possa essere aiutato anche dall’analisi dell’evoluzione stilistica di questi elementi.

La testa è rivolta verso destra perché si deve immaginare l’auriga sia rivolto verso coloro che lo stanno
guardando, verso lo spettatore e ancora una volta l’espressione seria e concentrata testimonia che è una
postura volutamente rimarcata per esprimere l’idea che questo personaggio sta guardando nel giro di saluto
degli spettatori dopo che ha vinto la gara, coloro che lo stanno applaudendo.

Altra scultura rimasta in almeno due copie → coppia di ARMODIO


E ARISTOGITONE, opera di Crizio e Nesiote, 480-470 a.C. (Napoli,
Museo archeologico nazionale) → sono i tirannicidi, coloro che se
uccidono Ipparco e segnano l’inizio della caduta della tirannide.
Erano stati celebrati attraverso un gruppo in bronzo affidato ad
Antenore (scultore ateniese della tarda età arcaica) di cui ci resta
anche una kore. Questo gruppo che viene sottratto da Serse e poi
restituito cent’anni dopo da Alessandro Magno che lo recupera.
Dopo il 480 Atene decide che senza i due tirannicidi non si può
stare e quindi affida una nuova realizzazione a Crisio e Nesiote, di
cui questa è una replica della prima età imperiale.

Dal punto di vista stilistico la versione in marmo ha un supporto


(tronchi di albero), mentre negli originali non è detto che ci
fossero perché statue in bronzo più leggere e pensate per essere
autoportanti.

Essendo visibili da tutti i lati e seppur concepite singolarmente, in


realtà dovevano formare un gruppo unitario con Aristogitone, che dovrebbe essere il più maturo, e Armodio,
il più giovane. Entrambi rappresentati nello sforzo di attaccare il tiranno.

Statua del dio recuperata nei fondali, h 2,09 m, 460 a.C. → viene ritrovata a
Capo Artemision in Eubea, santuario in onore di Poseidon.

Vi è la definizione di uno sforzo che allarga sempre di più le braccia verso uno
spazio che fa parte della scultura che quindi partecipa dell’espressione stessa
dell’opera medesima.

Alla fine di questa fase tra le sculture rimaste in copie romane, che si prestano
a comprendere quanto avanti potesse essere l’analisi e la rappresentazione
del movimento del corpo umano osservato da diverse prospettive.

DISCOBOLO, copia romana del II sec. a.C. dell’originale in bronzo, 458-450


a.C. → è attribuito a Mirone, scultore dell’età severa copia romana. Il
discobolo è colui che sta per lanciare il disco ed è tra le opere più celebri di
questo maestro, originario della Beozia ma attivo in Attica che aveva realizzato varie statue dedicate ad
Olimpia (di cui ci restano le basi con il suo nome).

È una copia dell’originale in bronzo = si vede supporto che regge statua, necessario per la distribuzione dei
pesi. È stato notato come la resa dei particolari anatomici sia molto asciutta ma nello stesso tempo molto
curata non solo nella resa dei muscoli ma anche dei tendini e delle vene.
Ponderazione = l’atleta è raffigurato concentrato verso l’oggetto che sta per
lanciare quindi concepito in una prospettiva circolare che dal punto di vista dei
tratti del viso si allinea al gusto dello stile severo. È un volto molto idealizzato,
concentrato nel gesto del lancio ed è la rappresentazione dell’attimo
precedente al lancio del disco

Ci sono tante altre statue di cui ci rimane solo la copia in romana in marmo. →
per esempio, il gruppo di Atena e Marsia, in cui viene raccontato lo stupore del
satiro che vede gettato per terra il flauto che aveva inventato la dea. La dea
aveva provato a suonarlo, ma aveva visto che il suo viso si era deformato e non
essendo adatto a una dea lo getta. Lo strumento viene raccolto da Marsia, che
non solo lo prende e lo suona ma poi diventa così bravo che vuole sfidare il
maggiore musicista dell’Olimpo, Apollo. Egli non lo può tollerare e naturalmente
vince la sfida. La punizione è che il satiro venga scuoiato vivo e appeso a un
albero.

Altra opera famosa rimasta e attribuita a Fidia → ATENA LEMNIA, 450 a.C.

È una statua della dea, realizzata sempre all’interno dell’età severa. si chiama Lemnia
perché era stata dedicata dagli abitanti di Lemnos sull’acropoli e ancora una volta, al di
là della resa stilistica e dell’egida che le ricopre il petto, la concezione è ancora quella
dell’Apollo Parnopios: ponderazione ancora molto orizzontale della statua e
un’avversione un po’ maschile di una divinità che fugge dal matrimonio.

In occidente ci sono molte testimonianze di questo periodo. La ricezione di queste


nuove mode arriva anche in occidente.

TRONO LUDOVISI, 460-450 a.C., Palazzo Altemps - Museo nazionale romano, Roma →
altra opera estremamente importante che richiama un tentativo di rendere il corpo e la
nudità femminile secondo il gusto dell’epoca.

Il trono fu trovato nel 1887 a Locri Epizefiri nell’area del tempio


ionico di Marasà. È stato chiamato trono per la forma ma è
possibile che costituisse una sorta di parapetto per un pozzo sacro
nell’area del santuario.

La dea è raffigurata mentre esce dal bagno ed è aiutata dalle


ancelle, le cui vesti sono rese come un vel0m talmente sottile da
lasciar intravedere il movimento delle braccia e del corpo.

La dea è in parte nuda, un velo ne copre la parte inferiore ed è raffigurata di profilo con un’espressione
attenta e concentrata. Sui lati ci sono altri personaggi che richiamano il contesto celebrativo dell’evento e
testimoniano il fatto che quest’opera sia astata realizzata da uno scultore esperto nella lavorazione del
marmo insulare, di cui è fatto il trono. Probabilmente era uno scultore magno greco di cui non si sa il nome
e interessato e aggiornato sulle conquiste in madrepatria.

Il VI secolo è interessato da una produzione di ceramica a figure nere (ad Atene) che viene sostituita dal 480,
dagli inizi del V secolo da una nuova tecnica inventata sempre ad Atene → TECNICA A FIGURE ROSSE
= prevedeva una lavorazione inversa, dove le figure vengono lasciate senza colore ma
rese nei particolari attraverso l’incisione e lo sfondo viene dipinto di scuro. Il tono
arancione rossastro della ceramica attica viene dalla presenza di sali di ferro,
dell’argilla. Uno dei pittori più famosi che si lega a questa fase di prodizione è il pittore
di Kleophrades, che propone soggetti legati ad alcuni personaggi del mito (per
esempio soggetti dionisiaci per i simposi e i banchetti) con l’idea che questi vasi
dovessero essere ben gradite a un mercato, non solo greco ma internazionale, alla
vita del simposio e dei banchetti.

Questo tipo di raffigurazioni hanno come modello le grandi opere scultoree coeve,
che sono il punto di riferimento per la resa di queste pitture, che non mancano di
tradurre in un eco fittile quella che era la discussione in atto nell’Atene a ridosso delle guerre persiane e
quella che era una marcata consapevolezza di tutto quello che significava la guerra come momento di stragi,
uccisioni. Anche la raffigurazione di particolari truci diventa un elemento su cui anche gli stessi ceramisti e
pittori si confrontano.

Le opere teatrali come quelle di Eschilo saranno lo specchio di questo ragionamento di questa valutazione di
quello che significava la guerra: aver fatto strage di corpi, perdita di familiari, essersi confrontati con una
reale perdita delle persone. La produzione della ceramica attica ha moltissimi scuole e protagonisti, ma
soprattutto è una ceramica che viaggia in tutto il Mediterraneo e che si trova anche in Italia. È stata oggetto
di studi approfonditi di gruppi di studiosi che hanno analizzato nel dettaglio questi vasi, frammenti di vasi con
la capacità di ricondurre a determinate scuole questi prodotti artistici che in alcuni casi non rinunciano a
raffigurare momenti non mitici ma scene di lavoro.

Coppa della Fonderia, inizi del V sec. a.C., Berlino,


Antikensammlung, Kylix attica → vengono rappresentate diverse
fasi della lavorazione di sculture in bronzo lavorate per parti con
appesi singoli prodotti realizzati ad hoc (una mano, la spalla, il piede,
la testa, il corpo che manca dell’attaccatura della testa). Testimonia
quanto vivaci potessero essere queste attività e quanto ci fosse una
consapevolezza del livello raggiunto da parte della classe artigianale
dell’epoca.

Il pittore di Leningrado, Hydria con scene di lavoro in un Ergasterion, 470-


460 a.C. → Se le arti e la produzione artistica sono prevalentemente legate a
personaggi maschili, ci sono tracce anche di capacità di lavorazione e
produzione femminile – su questa spalla del vaso sono raffigurati artigiani.
che lavorano alla produzione di crateri. Le Nikai stanno per incoronarli a
sottolineare il livello raggiunto dalla loro arte, ma non ci sono solo bravi artisti
maschi ma anche c’è anche un’artista donna intenta a dipingere l’ansa di un
cratere. il mondo antico ci parla molto poco dei soggetti femminili, ma anche
loro erano coinvolti nei processi di produzione. Si tratta di casi sporadici ma
si apre una finestra su un mondo più complesso di quello che si poteva
immaginare.
LEZIONE 07 ǀ 15 marzo 2022

L’ETÁ CLASSICA (450-323 a.C.)

L’acropoli di Atene ai tempi di Pericle e Fidia

In questo periodo si rielabora i temi della vittoria sui persiani, e della disperata supremazia ateniese e greca,
e come questi temi sono stati risemantizzati, anche in termini di occupazioni del territorio, in particolare
dell’acropoli, e quindi una coscienza condivisa per i greci.

ETÁ CLASSICA= è un periodo molto ampio, che va dal 450 e si conclude con la morte di Alessandro Magno.
L’età classica ha un momento particolarmente creativo e innovativo che è la seconda metà del quinto secolo,
a cui segue il quarto secolo, e in cui tutte le arti figurative vengono recepite e creeranno le basi per l’età
ellenistica.

Si diffonde un’idea di classicità che riguarda solo la Grecia, ma in senso lato, non solo Atene come città.

Atene di Pericle  dopo aver sconfitto i persiani, si pone come la città egemone in tutto il Mediterraneo.
Pericle è a capo di Atene fino alla sua morte a causa di peste (vissuta dagli ateniesi come punizione). Di Pericle,
nel parla il grande storico del Peloponneso, ovvero Tucidide, racconta della guerra del Peloponneso, e
racconta di Pericle, come uno stratega, integerrimo, incorruttibile.

Atene è un modello per le altre città, e quindi Pericle capisce la forza della macchina propagandistica in
termini di propaganda veicolata da arte e immagini, funzionali a trasmettere l’idea politica e la morale di
stato come quella vincente alla quale tutti si devono uniformare.

Busto di Pericle  copia romana dell’originale, attribuito a Cresila. Personaggio


con l’elmo corinzio, con un’espressione decisa. Ci si è chiesti s e l’immagine di
Pericle fosse un’immagine che riprendesse veramente i lineamenti di Pericle, quindi
l’ipotesi di una statua ritratto o se rappresenta il tipo di stratega, cioè non si
rappresentano soggetti individuali, ma dei tipi civici (stratega, filosofo, giovane
donna, giovane uomo, dea, dio, ecc.)

Pericle è importante perché non da solo al potere e per attuare questa macchina
propagandistica si deve attorniare da persone di alto livello, quindi a Fidia (grande
artista), Erodoto e Ippodamo di Mileto e molti altri personaggi di cui gli storici
hanno delineato anche i profili. Pericle poteva contare su due grandi fondi da cui
trarre soldi per la città e la macchina propagandistica:

1. Recente scoperta delle miniere del Laurion, che erano in Attica miniere di
piombo argentifero, che permette di ricavare ingenti quantità di risorse per poi
successivamente fare cassa.
2. Straordinaria flotta che Temistocle aveva fatto costruire, all’arrivo della seconda tornata dei Persiani
3. Tesoro della lega delio-attica, nel 457 a.C viene trasferito ad Atene nell’acropoli precedentemente
situato a Delo, controllo fatto con la massima osservanza per non cadere in accuse molto forti di uso
illecito di questo denaro, ma soprattutto giustificare agli occhi degli alleati che avevano versato dei
tributi, un uso adeguato di questo tesoro.

La città non si limita a lavorare su sé stessa, ma avvia campagna di colonizzazione, di espansione dei propri
confini, fondando colonie nell’Egeo settentrionale, e in occidente nella città di Thurii, perché città fondata
per volontà di Pericle nel 444 a.C. a ridosso della città di Sibari, fondata a sua volta dagli achei nel
Peloponneso, e poi distrutta nel 410 dai Protoniati.

Pericle avrebbe incaricato Ippodamo di Mileto di fondare questa città in un occidente che doveva avere un
avamposto ateniese ben riconoscibile.
Della fondazione di Thurii, ne parla Diodoro siculo che vive nel I secolo a.C, e nel suo 12° libro traccia un
profilo della città dicendo che era stata realizzata dagli abitanti, a partire da 4 strade, dando nomi legati dalle
principali divinità venerate, poi tracciate altre 3 verso sud. Era una città bene apparecchiata, rimarcando un
impianto regolare e ortogonale. Gli scavi recenti, ha permesso, di riconoscere un impianto della città, non
per strigas (isolati allungati), ma con un impianto a scacchiera.

La politica di Pericle non è stata facile, perché fu una politica imperialistica, che garantiva la protezione
militare a tutte le città che si dichiaravano alleate di Atene, ma era dura con quelle che non si sommettevano
alle leggi ateniesi. Quindi una politica imperialistica che ha anche imposto dei tributi pesanti, per fare fronte
per queste azioni di propaganda e di rinnovamento urbanistico, che causò un generale risentimento nei
confronti di Atene e una ribellione dalle città che avevano un’autonomia rilevante. Dall’altra parte c’era
Sparta che aveva sotto la propria egida la lega peloponnisiaca (lega formata da città del Peloponneso) che
non vedevano di buon occhio l’ascesa ateniese.

Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) che finisce con la pace di Nicia. Dopo il 421 compare un giovane di
grandi aspirazioni politiche, che si inventerà una nuova strategia ovvero strategia occidentale e si mette a
capo della spedizione in Sicilia, che serviva per aiutare le città di Segesta contro Siracusa e Selinute, ma
principalmente per rimarcare il potere ateniese.

Pericle poi muore, e la spedizione in Sicilia, si rivela una spedizione disastrosa, che vede Siracusa a capo del
fronte in opposizione ad Atene, con una sconfitta per Atene, che vede molti ateniesi imprigionati nelle cave
di pietra di Siracusa.

Sparta, si impone poiché viene finanziata dai persiani e riesce a sconfiggere Atene nel 405, e Atene firma una
resa, che comporterà:

- lo scioglimento della lega delio attica


- la consegna di ciò che resta della flotta navale
- l’abbattimento delle grandi mura
- accetta una guarnigione spartana stabile in città.

Nel 404 Atene perde il suo dominio dell’impero, che aveva creato ma non viene meno l’apporto culturale che
Atene riuscirà a mantenere fino all’età ellenistica.
Per riferirsi a quest’età si utilizza il termine classica, questa accezione per riconoscere i momenti in cui sono
stati realizzati e teorizzati criteri di ricerca e di realizzazione opere volte alla perfezione, rispetto al periodo
romantico in cui si dà libero spazio alla fantasia, alla sperimentazione e quindi non ci sono regole teorizzate
e canoni da seguire. Quindi in effetti nel periodo classico, bisogna riconoscere che Fidia e Policleto, hanno
creato un’arte in base alla perfezione e ordine.

La città di Pericle e il cantiere dell’acropoli

Cantiere dell’acropoli, che è attivo da quando Pericle sale al potere (449-448 a.C) e il cantiere vero e proprio
segue un periodo di esecuzione dei lavori tra 447 e 432. Per salire all’acropoli il settore di accesso è quello
occidentale, da questo lato, che è l’unico accessibile rispetto allo strapiombo che circonda i lati dell’acropoli,
esisteva già dall’età arcaica una via processionale che permetteva di salire all’acropoli per le cerimonie in
onore di Atene. La parte della scalinata è opera tarda di Claudio, idea di linearità tipica del gusto romano,
mentre in precedenza con i numeri 5 e 7, era un’area presso la quale si arrivava una volta salita la via tortuosa
di accesso.

Con il n.5, il santuario dell’Artemide di Brauronia, originario dell’Artemide del Brauronion, località non
distante da Atene, che marcava la Kora della città.

La Calcoteca, era la zona in cui venivano depositati gli ex-voto in metallo, per la dea.

Il cantiere di Pericle e Fidia (vero sovrintendente di tutta la topografia dell’acropoli) è un piano che tende a
regolarizzare tutta quest’area che era ingombra di una serie di situazioni preesistenti. Il primo edificio
progettato è il Partenone e il progetto viene affidato a Callicrate, e poi Ectino. I lavori iniziano nel 447 perché
serie di iscrizioni, i cui vengono incisi tutti i rendiconti per tutti i lavori fatti nell’acropoli.

Propilei di Mnesicle, prima costruzione che si incontra salendo nell’acropoli. Con Mnesicle il progetto viene
totalmente ripensato, si usa marmo penterico e marmo nero di Eleusi per la parte inferiore dei muri. Non c’è
scultura architettonica particolare per poca
disponibilità di soldi. Sappiamo però come il
progetto, mirasse a creare sorta di insieme
unitario capace di superare le diverse quote di
accesso al pianoro dell’acropoli attraverso un
corpo centrale rettangolare, con le facce
simmetriche, da cui si accedeva a ovest e da
sud.

Nel settore settentrionale era stato realizzato


un vano per banchetti religiosi e celebrativi, e
un’area per esposizioni di quadri famosi,
ovvero la Pinacoteca, dei riti di Atene.

Il corpo centrale che prevedeva una rampa in


direzione est, era fiancheggiato da una serie di
colonne, ioniche 3 per parte, con dei fusti
slanciati, per sostenere i tetti dei propilei.
Mentre le facciate verso est o ovest, avevano
l’ordine dorico con un’alternanza dei 2 ordini.

L’intercolumnio centrale è maggiore rispetto agli altri intercolumni, per consentire il passaggio dei carri per
le cerimonie partenee.

La parte dell’ingresso parte


rilevante che serviva da biglietto di
visita per chi entrava, attorno al
quale nel corso del tempo si sono
realizzati altri edifici, tra cui
l’Odeion di Pericle, grande sala
ippostila, di 70x62 m, per lo spazio
del teatro di Dionisio.

Al V secolo si rifiniscono altri edifici


che servivano a sottolineare un
progetto per l’acropoli che aveva
nel Partenone il suo focus principale.

45.22

Partenone

Gli anni di costrizione vanno tra il 447-432, e lo


spazio va ad occupare un’area pensata per il
pre-Partenone, probabilmente mai costruito
per le guerre persiane.

- Costruzione enorme (70x 30 m)


- Peristasi 8x17 (sui lati lunghi il doppio +1)
colonne doriche alte oltre 10m
- Pronao e opistodomo sono esastili e dorici,
generano spazio relativamente stretto rispetto
ad altri templi con intento di lasciare maggior spazio per la cella vera e propria e dell’opistodomos
- Cella ha al suo interno un colonnato a pi greco con due ordini, piuttosto spostato verso i muri laterali
della cella proprio per lasciare spazio alla statua di culto, sul fondo della cella
- Altro vano con colonne ioniche probabilmente per doni da dare alla dea, ovvero il tesoro monetario
della città.

Tutto l’apparato decorativo della città, non era completamente spoglio e candido, ma ricco di decorazioni e
cromie.

Punto di vista costruttivo  ad opera di Titino, che scrisse anche un trattato in cui teorizzava le proporzioni
delle singole parti rispetto a un’unità di misura, che avrebbero evitato le deformazioni ottiche, ma che
avrebbe garantito un insieme armonioso ben preciso.

Decorazione  le metope, come ad esempio ad Olimpia, sono un apparato messo in opera per primo.
Normalmente nei tempi dorici esastili, le metope occupano solo pronao e opistodomos. Mentre nel caso del
Partenone le metope sono in tutto 92, di alto rilievo e sono aggettanti di dimensioni considerevoli
1,25x1,37m. Queste metope trattano, dei temi legati al mito greco, che sono riassumibili dalla
contrapposizione della civiltà greca contro le barbarie dei non greci.

- Lato sud, Centauromachia, ostentazione, l’andare contro le regole del vivere civile
- Lato nord, Ilioupersis, contrapposizione tra achei e troiani, in un’ottica fortemente anti-persiana.
- Lato ovest, le Amazzoni donne che rifiutano il matrimonio, tutto ciò che veniva considerato come
formativo, e sono nemiche dei greci. Sono assassine di maschi e considerati come nemici della
popolazione.
- Lato est, gigantomachia, scontro tra dei e giganti e che avevano cercato di usurpare il potere degli
olimpi. Ancora una volta scelta simbolica per veicolare materiali propagandistici, contrapponendo
forze del bene e forze del male.

Lato est è il lato in cui sul frontone c’è la nascita di Atena. Ogni singola parte era stata progettata per essere
un richiamo in un percorso ben preciso. Già solo nelle metope, la retorica anti-persiana era bene esplicitata,
la funzione era quella non solo di trasmettere degli ideali, ma c’è l’idea di trasmette regole condivise per
quello che doveva essere un comportamento giusto. Per le metope si chiamarono più molti artisti- artigiani
fermo restando che la regia spetta a Fidia.

Fregio del Partenone

Fidia che prevede di dotare questo tempio un fregio che doveva correre, nella galleria e quindi tra la peristasi
e nei muri cella. Fregio lungo 160 metri di sviluppo che si sviluppano in tutto il perimetro dell’edificio, con
altezza di 1m, con 119 lastre continue, si organizzano attorno al perimetro, per rappresentare la processione
del dono del peplo ad Atena.

Il fregio posto a 12m di altezza, non era facile da osservare, e per risolvere il problema si decide di fare un
rilievo a bassorilievo, poco aggettante per evitare chiaroscuri. La realizzazione mira a descrivere questa
processione che non è da intendere come processione avvenuta in un anno preciso, ma come una
processione atemporale, idealizzazione della
processione, in cui dei e uomini vengono rappresentati
insieme come ad avere la stessa importanza.

Qui la polis, si vuole documentare rappresentando tutte


le sue componenti: angolo sud-ovest con la parata dei
cavalieri, che convergono verso est in cui poi la
consegna del peplo, che rappresenta il nervo del futuro
della civiltà ateniese, i lati positivi della gioventù.
Seguono poi gli opliti e magistrati, con la processione
delle giovenche e pecore.
La processione delle vergini e delle matrone, coloro che tessono il peplo alla dea. Vi è un’iconografia di donne
con vesti molto ricche, posture molto ponderate e misurate e capo reclinato in senso di modestia. Una
contrapposizione netta contro le Amazzoni, mezze nude.

Ha un ritmo molto lento della sfilata delle matrone, in contrapposizione con la parte inziale dei cavalieri che
mostrano una cifra stilistica diversa. Cifre che poi si concretizzano nel lato est con la consegna del peplo.

C’è sempre Fidia dietro il coordinamento di queste decorazioni. Da un punto di vista si parla di un tempio
costruito in 15 anni, che può stare alla pari con tempi come quello di Olimpia, fasi costruttive molto dilatate,
e nel caso del Partenone si condensano in questo caso perché Fidia riesce a mettere in campo i migliori
artigiani ateniesi per realizzare il tempio.

Si parla di un tempio che aveva i focus principali nei frontoni. Le sculture del frontone sono state realizzate a
tutto tondo a fine esecuzione dei lavori.

Frontoni del Partenone

Frontone est  parte da cui si accede


al tempio. Rappresenta la nascita di
Atena, della dea che nasce dal
cervello di Zeus e la sua nascita è
attesa da tutti i 12 dei che sono
rappresentati sul frontone, ne
restano solo alcune parti.

Nascita della dea come evento


cosmico, simboleggiato dal
posizionamento sugli angoli del
frontone, del carro di Elios, nel
momento in cui sorge da est e
dall’altra parte c’è la quadriga di Selene con i cavalli che voltano ad ovest. La successione delle divinità ricorda
dopo Elios, Dioniso sdraiato verso la nascita del sole e volge le spalle alla nascita della dea. Seguono poi
Demetra e Kore, che sono rivolte verso e poi Iris portatrice della novella e che annuncia la nascita della dea.

Sulla destra ci sono conservate le tre dee ce attendono l’evento, che sono Estia, dea del focolare sacro,
Afrodite, dove si focalizza la resa della sensualità della resa di una fisicità romana di per sé, gli aspetti
principali di una dea. La resa da un effetto bagnato, per rendere una delicatezza e aderenza ai corpi. Un gusto
che è stato riconosciuto in opere successive degli allievi di Fidia, che ha costituito una cifra stilistica per il
canone della scultura degli ultimi 30 anni, il cosiddetto stile ricco.

Altro frontone rimasto meno conservato, nel quale rispetto alla nascita di Atene c’è lo scontro con Poseidon
per il dominio dell’Attica. La scansione dei personaggi, è su base di ricostruzione, al centro c’è l’ulivo, su cui
Poseidone fa scaturire una sorgente di acqua salata.

Ai lati personaggi divergenti secondo impostazione di tipo


centrifugo, che vuole sottolineare una dinamicità molto forte della
scena rappresentata.
All’interno della cella c’è la statua di Atena Parthenos, statua commissionata direttamente a Fidia, tra 438-
437. Di questa statua sono state trasmesse diverse copie e trascrizioni da varie fonti, che ce la presentano
come statua crisoelefantina, alta 12 m (corrispondente a 26 cubiti), per la quale era stata utilizzata una
tonnellata di oro. Questa statua è costata 750 talenti, che era pari al salario annuali di 12000 operai. La statua
è stata variamente ricostruita – copia a Toronto, e altre copie. Dea era raffigurata:

- stante con la gamba destra portante e la gamba sx flessa


- un lungo peplo che cade sul corpo, evidenziato dalle pesanti pieghe
- porta l’egida sul petto con il grande gorgoneion
- a destra regge la nike, portatrice di vittoria, in senso metaforico
- a sinistra regge lo scudo, le fonti ci dicono che all’esterno vi è una amazzonomachia, all’interno
gigantomachia. Il simbolo del serpente richiama i miti della prima regalità di Atene.
- Elmo con sfinge affiancata da grifoni, un simbolo legato al concetto stesso di regalità
- Base che regge la statua si rifà alla nascita di Pandora, con serie di rimandi a episodi legati alla città e
ai suoi cittadini

Si tratta di una statua che racchiude in sé una sintesi della storia della città. L’acropoli non è solo
rappresentata dal Partenone, ma altri edifici ne hanno segnato la topografia.

Tempietto di Atena Nike

Si decide di costruirlo nell’area di ingresso dopo i propilei, che anticamente coincideva con il luogo da cui il
padre di Teseo guardava il mare per osservare il ritorno del figlio dall’impresa cretese. Il giovane preso dalla
sua vittoria si era dimenticato di mettere le vele bianche simbolo di vittoria e vedendo le vele nere e
pensando che il figlio fosse morto, il padre si gettò nella rupe.

Si decide di realizzare tra il 430-420 a.C, un tempietto in onore di Atena Nike, dea della vittoria per esaltare
la vittoria sui barbari, tempio propagandistico.

Tempietto di piccole dimensioni: 8x5 m. Unica sola cella, ionico e tetrastilo.

Fregio narrazione continua con scene di guerre tra greci e persiani per sottolineare valenza esemplare di
modello di realizzazione di questo tipo di opere.

Alla fine del secolo quando Atene è ormai al suo tramonto si decise di apporre balaustra in marmo pentelico
con le nikai e Atena per monumentalizzare un edificio che ha portato sfortuna.

Eretteo

Si trova nell’area dove si trovava il tempio di Atena Polias. Realizzato tra 413-405, e non può essere
considerato un tempio vero e proprio, perché non segue
canonicamente il modello di tempio, ma è un santuario. Santuario che
raccoglie in sè i vari culti ancestrali dell’Atene arcaica, riuniti in un’unica
struttura seppur simmetrica, che lega i re miti di Atene tra cui Eretteo,
che serviva per omaggiare Poseidon, e altre
aree. Area dedicata all’antico tempio di Atena
Polias, e a sud erano state realizzate le cariatidi
che poi sono state trasferite in museo, che
secondo le ricostruzioni, le copie di villa
adriana dovevano reggere degli oggetti di tipo
sacrificale e cerimoniale.

Se l’acropoli è un grande luogo di realizzazione


di monumenti celebrativi, di quella che è per la
macchina di guerra di Atene anche l’agorà
incontra delle realizzazioni di particolare impegno che sottolineano la funzione produttiva di questi spazi ,
in particolare della collina del Kolonos Agoraios, che era un luogo di riunione dei vari artisti e artigiani. Qui si
realizza l’Hephasteion, che è stato completato dopo la conclusione dell’acropoli, con dimensioni
considerevoli, 31,77x13,73 m, che non ha una scansione di pronao e opistodomos, in spazi ristretti. Quello
che si richiama al Partenone è peristasi interna a pi greco, con il posizionamento della statua di culto in onore
di Efesto. Una statua e apparato decorativo, attribuito all’allievo di Fidia Alcamene.

Alcamene realizza l’apparato decorativo di un tempio esemplificativo della propaganda politica di Pericle,
anche dal punto di vista della valenza produttiva della città.

La scelta di mischiare gli ordini dorico e ionico, non è soltanto il culto dell’Atene Periclea, ma si trova anche
nel Peloponneso, nella località di:

- Figaliae Bassae, viene realizzato un tempio dedicato ad Apollo Epicurio, fine del V secolo a.C.

All’interno del tempio di Apollo viene realizzata una colonna con capitello corinzio che fa la sua comparsa e
che poi verrà utilizzato nelle architetture successive con dialogo tra ordini che non è più avvertita come
sperimentazione ma come valore aggiunto su cui le maestranze del IV secolo si cimenteranno.
LEZIONE 08 | 16 marzo 2022
L’ETÀ CLASSICA (450-323 a.C.) – seconda parte
Il linguaggio figurativo e le innovazioni a livello urbanistico
La scultura della seconda metà del V sec. a.C. Lo “stile classico maturo” (450-430 a.C.) e lo “stile ricco” (430-
400 a.C.)

In questa fase la figura di Fidia è quella dominante per l’Atene periclea. Non è stato l’unico personaggio di
questa fase, ma il V secolo è un periodo di figure straordinarie (intellettuali, medici, artisti, ecc..), che non
solo hanno partecipato all’elaborazione di un’idea di democrazia a livello teorico ma hanno contribuito a
determinare una serie di cifre stilistiche che saranno poi considerate classiche nell’accezione di stabilire degli
exempla che verranno poi usate come modelli, ma soprattutto classico nell’accezione di un linguaggio
stilistico e architettonico che si basa su trattati, regole, canoni. → tutti questi personaggi elaborano una serie
di sollecitazioni e nuove proposte che andranno a costituire la cultura della Grecia del V secolo.

La tendenza a codificare attraverso delle teorizzazioni generali come si doveva costruire un edificio, realizzare
un’abitazione, scolpire una scultura o disegnare/dipingere un’opera pittorica → tendenza che si recepisce
molto bene in tutta la letteratura successiva a quella fase che ci parla di questi intellettuali e che laddove non
ci restino dei testi di costoro, ci restano delle menzioni, sintesi di questi trattati, di cui anche la scultura ha
avuto i suoi principali esponenti. Quest’ultimi che traggono dal passato e cercano di elaborare un canone
della statua perfetta, sia essa una statua di divinità o una statua di atleti, figure femminili o animali.

Fidia, Policleto e gli allievi come Agoracrito, Alcamene, Peonio, Callimaco, ecc. sono delle personalità sulle
quali i testi di epoca romana ci tramandano una serie di informazioni che hanno posto le basi per tentare di
attribuire ad uno o all’altro dei monumenti di cui non ci fossero dati specifici sulla paternità dell’opera.
Questo tipo di studio si è basato sul fatto che costoro avevano stabilito dei canoni, frutto di una sintesi di
elementi sia artistici, che tratti dall’esperienza medica ossia dallo studio dell’anatomia di matrice ippocratica,
dall’osservazione dei corpi in movimento sulla scena teatrale, dalla codificazione a livello di matematica, di
rapporti matematici delle singole parti del corpo rispetto a un’unità di misura. Questa codificazione di opere
d’arte resta un exemplum (‘esemplare’) per tutte le opere successive fino al pieno XX secolo, le quali possono
ripetere rielaborando alcune delle principali caratteristiche di queste statue, ma possono anche liberarsi da
questi canoni e provare nuove soluzioni.

Nel momento in cui si pone una regola tutti gli altri si devono adattare.

Fidia realizza un nuovo canone per la rappresentazione delle statue degli dèi e delle dee. (libro: Massimiliano
Papini, Fidia. L’uomo che scolpì gli dèi, 2014 – testo nel quale l’autore raccoglie una serie di informazioni di
diversa natura per ricostruire la figura di Fidia) → a lui vengono attribuite anche sculture di grandi dimensioni:

- Athena Promachos, 460 a.C. – l’Atena pronta alla battaglia, la più antica
- Athena Lemnia, 451-447 a.C.
- Athena Parthenos, 448-437 a.C.

Di queste sculture non ci è giunto nessun originale ma di Fidia si conoscono


varie informazioni. La sua nascita si fissa agli inizi del V secolo e sembra che sua
carriera sia iniziata come pittore e solo successivamente si sia affermato come
scultore, in particolare come bronzista per realizzare l’ATHENA PROMACHOS.
→ colei che combatte nelle prime file, che doveva essere posizionata di fronte
all’ingresso, subito dopo i Propilei. La base di questa statua è stata ritrovata,
non l’originale ma sulla base del calcolo della grandezza della base dello
sviluppo in altezza la statua doveva essere alta circa 9 metri. Si diceva che fosse
possibile vederla dal mare.
Intorno al 451-447 a.C., a Fidia viene chiesto da alcuni cittadini ateniesi, che
sarebbero stati chiamati ad andare a ‘colonizzare’ una colonia sull’isola di Lemnos.
→ ATENA LEMNIA, cioè un’opera realizzata per ringraziare la dea del fatto che
avrebbe patrocinato questa nuova fondazione. Non ci sono originali ma copie
romane (foto: testa = copia augustea in marmo pentelico dell’originale fidiaco in
bronzo + copia romana, Museo di Dresda). Si tratta di un ex voto che campeggiava
nello spazio dell’acropoli.

ATENA PARTHENOS → rappresenta il suo straordinario


lavoro per il Partenone. Non è stata un’opera semplice da
tanti punti di vista. Primo problema era il costo della
realizzazione perché si aggirava intorno ai 700-900 talenti quindi 16 mila dracme = una
cifra altissima (corrispondeva a salari di numerosi operai). La realizzazione è
crisoelefantina, nel senso di statua della divinità che riprende quelle tipologie già
realizzate nell’area di Delfi con opere che avevano tra le caratteristiche un utilizzo
misto di materiali. Si utilizza l’oro della lega delio attica. Per questa scultura si
utilizzano 1000 kg d’oro = dato importante non solo dal punto di vista del valore
artistico dell’opera ma è importante ricordare che questa quantità di oro era una
forma di tesaurizzazione del denaro. Le fonti affermano, infatti che tutto questo
ornamento era considerato come scorta di tesoro che sì sarebbe potuto utilizzare in
caso di necessità, fermo restando l’obbligo di restituirlo poi alla dea.

Le sculture crisoelefantine avevano un’anima in legno e una modellazione di tutte le parti in gesso o argilla
sopra la quale si rivestivano tutte le parti in materiali preziosi. Un passo di Luciano ricorda, che in realtà le
statue di Fidia, fuori erano tutte d’oro ma all’interno erano piene di chiodi, punteruoli, stanghe, cunei,
elementi di pece per tenere insieme le parti ossia un insieme di strumenti che dovevano tenere insieme
questa statua. Questa statua poteva nel tempo essere oggetto di nascondiglio per quale animale. Dentro
questi enormi manufatti potevano esserci sia insetti che topi. = È un’estremizzazione della rappresentazione
della statua che però doveva essere impattante all’interno della cella.

Fidia, insieme agli architetti, chiede che la cella sia circondata da una peristasi a doppio livello, sul fondo della
quale doveva capeggiare la statua su una base alta diversi metri. Questa base serve a raccontare una serie di
storie. Secondo le riproduzioni esistenti, la statua era stante organizzata secondo il principio di ponderazione
(equilibrio tra le parti) su una base ampia 8x4 metri e alta oltre 1,5 metri. Doveva essere rappresentata con
la dx portante, con peso scaricato su gamba destra e la gamba sinistra libera. La questione della ponderazione
non era finalizzata solo a una resa estetica, ma anche a soddisfare equilibri e garantire un equilibrio della
statua.

Questa statua reggeva con la mano sinistra uno scudo e con la destra la Nike, rappresentata in volo come se
si stesse appoggiando sulla mano della dea.

Attorno alla base, secondo le descrizioni dei vari scrittori, erano raccontate le storie di Pandora.

Pandora = la figura femminile che Zeus chiede a Efesto di creare, dopo che Prometeo aveva rubato il fuoco,
mischiando insieme elementi naturali cioè terra e acqua. Tutti gli dèi concorsero a dotarla di elementi
aggiuntivi (Afrodite le dona la grazia, Atena le insegna l’arte della tessitura, ecc.) e questa creatura nasce per
volontà di Zeus ma nasce ancora non da un parto ma da una téchne. È un esempio di divinità (come Atene
nasce dalla testa di Zeus, quindi dalla sua intelligenza e non dall’unione di due persone) realizzata dalla
capacità artigianale di Efesto, a cui contribuiscono tutti gli altri dèi rendendola la prima donna della sfera
mitica che ha in sé un p’ tutte le caratteristiche positive. Nel momento in cui entra in contatto con altri
personaggi e le viene affidato il famoso vaso che doveva custodire e che non avrebbe mai dovuto aprire
perché conteneva tutti i mali del mondo.
Secondo una versione del mito, sono le sue sorelle che aprono il vaso e da quel momento il mondo viene
invaso anche di tutti i mali. Pandora viene a rappresentare la positività e anche la negatività ad un tempo che
deve trovare un suo equilibrio. → la scelta di raffigurare questo personaggio all’interno dell’iconografia della
Parthenos rientrava nella prospettiva di trasferire modalità di comportamento, modalità di recepire le regole
condivise attraverso dei miti connessi con la figura di Atena e con l’idea di civiltà che Atene riconosceva nella
propria divinità poliade.

L’Athena Parthenos, che era visibile da chi entrava sul fondo


della cella, secondo Pausania si specchiava su un bacile d’acqua
= bacile che archeologicamente non è stato facile ritrovare e
spiegare da un punto di vista funzionale. Rispetto alla fase
iniziale in cui fu posta la statua, successivamente si sia realizzata
una sorta di vasca non molto profonda che doveva garantire
un’umidità adeguata alla statua. Questo perché essendo un
prodotto artistico che univa insieme più materiali (in particolare
legno), era una statua che necessitava di un microclima. Ma dato
che nell’acropoli in estate molto caldo si erano probabilmente
notate dei problemi per la parte in legno legati ad un clima
molto secco e che si fosse adottata una soluzione di questo tipo per cercare di ottemperare ai problemi di
conservazione.

Questa statua sarebbe stata usata da Fidia per rappresentare sé stesso. Nel mondo antico, a parte l’eccezione
dei pittori e dei ceramisti che firmano i loro vasi, fino al V secolo non abbiamo dei nomi degli artisti che
firmano le loro opere. Si hanno solo nel momento in cui si parla di opere come ex voto o ad uso provato.

Nel caso della Parthenos e anche dell’architettura periclea, il popolo gradiva


molto poco che venissero firmate queste opere perché c’era il rischio che
queste venissero percepite non come opere della polis ma come opere di
uno solo. C’è una tradizione che ci trasmette il fatto che Fidia non potendo
firmarsi nelle sue opere, abbia usato l’espediente del cripto ritratto =
rappresenta sé stesso sullo scudo di Atena. Si tratta di una copia dello scudo
della Parthenos che è stato riprodotto in alcuni esemplari a scala ridotta
(foto: calco dello scudo di Stangford, British Museum, II sec. a.C.). Dalla
descrizione delle fonti, si sa che all’esterno c’era un’Amazzonomachia e
all’interno una Gigantomachia. Fidia avrebbe deciso di rappresentarsi come greco in lotta con le amazzoni =
secondo alcuni il suo ritratto sarebbe da riconoscere in una sorta di persona matura ma calva con la barba
che in un altro scudo è rappresentato mentre sorregge una pietra. Secondo queste voci, Fidia avrebbe
rappresentato anche Pericle come combattente greco. Non si sa se ciò è avvenuto, ma sta di fatto che la sua
fama e la sua notorietà furono coì globali che non solo fu celebrato ad Atene ma a lui viene poi anche chiesta
la realizzazione della statua per il tempio di Olimpia, uno dei luoghi più significativi nella prima metà del V
secolo. La statua viene realizzata solo nella seconda metà del V secolo. → statua crisoelefantina di Zeus (435-
425 a.C.) = statua colossale che doveva rappresentare la potenza del padre degli dèi con un’iconografia che
doveva riassumere tutti gli elementi cari alla leggenda di Zeus ad Olimpia con una serie di accezioni locali.

POLICLETO DI ARGO (490-420 a.C.) → Altro grande scultore vissuto tra gli inizi del V e la fine del V secolo e
considerato uno dei massimi esponenti dello stile maturo. È ricordato perché tenta di realizzare una statua
perfetta di atleti, è colui che si specializza nello studio della nudità atletica e che cerca di realizzare un’opera
canonica. Scrive un trattato che si chiama “Canone”, che non è solo un’espressione che serve per indicare
una regola, ma deriva da kanòn che indica più concetti: una specie di segmento/sbarra/lancia; idea di una
linea retta e quindi intesa come misura, ma anche impiegata per strumenti di lavorazione nelle opere di
carpenteria (regolo). Indica anche il modello, la regola, il paradigma di un qualsiasi argomento.
In questa accezione polisemica il canone di Policleto è passato alla storia. Si tratta di una trattazione che
metteva insieme una serie di acquisizioni che la cultura greca che aveva raggiunto. Mette insieme elementi
legati all’osservazione anatomica del corpo umano, elementi tratti dai calcoli matematici per realizzare una
forma perfetta sulla base di unità di misura che nel caso di Policleto partiva dal dito. A seconda di questa
unità di misura venivano calcolati il rapporto armonico e il rapporto geometrico di tutte le parti del corpo.

Era un corpo che non doveva rispondere solo a una precisa disposizione di ogni singola parte rispetto all’unità
di misura, ma anche al principio di ponderazione inteso come equilibrio tra le parti. Non bastava costruire la
statua in parti giustapposte e armoniche si doveva anche costruire in maniera che fosse ponderata. Secondo
Policleto, la ponderazione poteva tradursi nella schematizzazione della figura, come la chi greca (χ), cioè il
chiasmo che doveva rispondere a questo equilibrio della ponderazione tra la parte portante tesa e la parte
rilassata. Questa architettura del corpo umano è funzionale a costruire una statua con
una propria simmetria e armonia tra le parti, che garantivano il raggiungimento del
canone della statua perfetta.

Nel concetto policleteo del V secolo, la statua perfetta non è perfetta perché
equilibrata tra le componenti, ma è anche un exemplum di quello che doveva essere il
personaggio rappresentato, quindi un modello anche sul piano morale che deve
rappresentare il meglio della società ateniese.

DORIFORO, originale in bronzo del 440 a.C. → è uno dei modelli, delle copie più fedeli
dell’originale in bronzo = copia romana trovata nella palestra sannitica di Pompei (sede
di un’associazione aristocratica di origine osca con forti connotazioni militari e che non
a caso sceglie di avere all’interno della palestra la statua di Policleto perché
rappresentava la perfezione atletica ma anche una moltitudine di virtù etiche, morali
che il canone voleva rappresentare. A livello dii storia della scultura, il canone non
passa solo come trattato ma anche come opera (perché anche la statua è chiamata
canone). = passa da teoria a pratica, dando una forma alla sua teorizzazione.

DIADOUMENOS →si tratta di una teorizzazione che si spinge oltre quando


prende in esame il movimento del corpo di un atleta quando ha vinto la sua gara,
che si stringe la benda della vittoria alzando le braccia dal corpo. Osservando
questo movimento in un’idea di ponderazione, il piede è ancora appoggiato co
la punta a terra. Nel caso dell’opera in marmo c’è la presenza di un supporto. Il
confronto con il bronzo B di Riace è stato stringente e ha acconsentito di datare
l’originale leggermente dopo il bronzo A e anche una corrispondenza tra queste
due opere che riassumono gli stessi tentativi di equilibrio
con le anche leggermente oblique l’una rispetto all’altra.
La linea (verde) tende a discendere verso il basso a cui si
contrappone il movimento della spalla destra più bassa
rispetto a quella sinistra. A differenza delle opere
dell’arte severa che hanno invece le spalle alla stessa
altezza, che ha consentito una riconoscibilità di diverse
soluzioni.

A Policleto si attribuisce anche statua ad Olimpia per un vincitore di una gara di


pugilato → KYNISKOS (CINISCO), 450 a.C. di cui resta solo la base che va ad ampliare
queste realizzazioni dell’osservazione del corpo umano e della sua ponderazione con
braccio destro sollevato e il chiasmo sia invertito.

Altro fatto interessante che ci dà la misura della vivacità di questo secolo è un evento:
i sacerdoti del santuario di Artemide a Efeso indicono una gara per la realizzazione
della migliore Amazzone da dedicare alla dea. Si realizza una statua in onore di un’amazzone, che ricevevano
una sorta di culto, non tanto nell’accezione ateniese di guerriere orientali sconfitte dai greci ma
nell’accezione locale di personaggi mitici che avevano per prime stabilito un culto ad Artemide, la loro divinità
per eccellenza. Da un punto di vista antropologico, popoli che fanno parte di una stessa koinè culturale
interpretano uno stesso mito con diversi significati a seconda del sentimento della popolazione che lo pratica.

435 a.C. → questa gara poneva come richiesta minima che l’amazzone dovesse essere rappresentata ferita.
Le fonti ci parlano di vari artisti che partecipano a questa gara: Fidia, Policleto, Cresila (gli viene attribuita la
testa di Pericle) e Fradmone. Di questa gara Plinio il vecchio ci dà delle informazioni e gli studiosi hanno
cercato di attribuire tra le varie amazzoni un modello per Fidia, per Policleto e uno per Cresila. È molto difficile
trovare una certezza per tutte le opere. Il modello dell’Amazzone di villa Mattei è quella che dovrebbe
ricondurre alla statua di Fidia, mentre la copia romana firmata da Sosicle (ai Musei Capitolini) sarebbe
attribuita a Policleto. Quella conservata al Metropolitan di NY invece viene attribuita a Cresila.

Queste amazzoni vengono da posti diversi. Si trovano tra 700 e 800 o primi del 900. Dall’archeologia filologica,
da un gruppo di studiosi che tentano di superare il modello di Winckelmann e di ricostruire la storia attraverso
un confronto tra i prodotti artistici rimasti e le fonti epigrafiche. Tentano di attribuire all’uno o all’altro queste
opere anche dove ci siano delle riproduzioni in scala minore con la relativa base che riporta dei riferimenti
all’originale.

Si parla di cultura artistica che mostra vivacità di soluzioni che mettono in contrasto uno scultore con l’altro.
La vicenda di questa gara si conclude con la vittoria di Policleto. Questi personaggi creano
dei modelli ma anche delle scuole.

Gli ultimi 30 anni del V secolo sono segnati dai continuatori/allievi di questi personaggi.
Le fonti nominano alcuni allievi di Fidia come Algoracrito e Alcamene, ai quali gli studiosi
hanno attribuito alcune opere o nella versione di copie in cui era scritto in modo esplicito
che era una riproduzione di un originale (es. Agoracrito, Nemesi di Ramnunte) o nel caso
di Atene è rimasto un originale che rappresenta il mito di Procne e Itys che Alcamene
avrebbe donato come ex voto sull’acropoli di Atene. Ritornano alcuni degli elementi
tipici dei particolari scultorei delle statue di Fidia con panneggi molto pesanti e arricchiti
rispetto alle linee essenziali di Fidia, che troveranno nelle opere della fine del V secolo,
in particolare nelle Cariatidi all’Eretteo un’ulteriore enfasi, cesellatura.

Lo stile classico ricco

Palonios di Mende, LA NIKE DI OLIMPIA, 421 a.C. – anche i successori di Fidia


accentuano lo stile del panneggio bagnato, soprattutto Peonio a cui viene attribuita
quest’opera, per rendere l’idea di una stoffa impercettibile che segue le forme del
corpo, laddove l’immagine debba essere quella di una dea in movimento e colpita
dal vento.

Sarà uno stile che vedrà negli ultimi esponenti come


Callimaco delle personalità che vanno a render più
ricercato e prezioso il modo di rendere queste figure
in movimento con l’idea di esprimere quanto più
possibile l’idea delle vesti in movimento e di un
corpo che si intravede sotto le vesti.

Callimaco, Menadi danzanti → copia in marmo del bassorilievo in bronzo. Da ricondurre alla celebre
rappresentazione delle Baccanti di Euripide del 406 a.C.
Queste soluzioni si vedranno anche nelle realizzazioni più tarde:

- Il fregio del Tempietto di Atena Nike e particolare della balaustra, 410 a.C. con una Nike che si
allaccia il sandalo, Acropoli di Atene.
- nelle stele funerarie della seconda metà del V secolo, nelle quali è stato riconosciuto un eco di questa
fase di rielaborazione che Fidia e gli scultori che hanno lavorato con lui hanno realizzato. Anche nel
rilievo funerario provato le cifre delle grandi sculture sulle opere pubbliche vengono recepite e questi
personaggi che si fanno ritrarre in senso di commiato alla vita, si ispirano ai grandi cicli figurativi come
il cavaliere a cavallo, con l’animale che si alza sulle zampe posteriori, raffigurazioni di personaggi
seduti, che richiamano questo tipo di raffigurazioni.

Echi nelle conquiste dello stile maturo nel rilievo e nelle stele funerarie.

- Esempi da Egina e Rodi, 430-420 a.C. (stele in cui un defunto tiene un uccellino che era chiuso in una
gabbia sopra un pilastrino, stele di Krito e Timarista);
- Esempi da Atene, fine V-inizi IV sec a.C. (Hegesò sceglie i gioielli da portarsi nell’aldilà dal suo
portagioie; Dexilos morto in battaglia nel 394 a.C. presso Corinto = schema simile a quello classicistico
dei rilievi del Partenone)

Ricezione di quelle che sono le conquiste fidiache che interessa l’ambito funerario, dove abbiamo dei prodotti
di rilievo artistico notevole, che danno la misura della volontà di privati di spendere per soldi per realizzare
opere private. Questo tipo di opere rientrano all’interno della produzione scultorea.

La pittura

Plinio il Vecchio ci parla della pittura antica e di quelli che erano stati i maggiori artisti noti. Di tutta questa
produzione pittorica non ci resta nulla, ma dalle fonti letterarie si apprende che anche i pittori avevano
elaborato delle teorie per la resa delle figure sulle tele.

o Agatarco di Samo aveva scritto un trattato di metodologia della resa pittorica: scrive su come era
possibile rendere le pitture a livello tridimensionale attraverso un accurato studio dei rapporti
matematici e geometrici. Dalle descrizioni si capisce che potessero avere dei supporti sia in legno che
in pietra.

Alcune di queste grandi innovazioni hanno avuto un proseguimento anche in epoca romana, quando Roma
domina tutto il mediterraneo e va a prelevare delle opere scultoree e pittoriche dalla Grecia = inizia così una
produzione che si ispira ai prodotti della Grecia ellenistica.

Plinio fornisce un elenco a livello cronologico di questi personaggi, che sono delle figure di cui non ci resta
niente. Agatarco è tra quelli che avevano realizzato la pittura per scenografia per l’Orestea di Euripide, quindi
una pittura non solo per ex voto o opere sacre ma anche opere ad uso della cittadinanza in determinati
contesti.

o Le fonti parlano anche di Zeusi di Atene = famoso pittore che realizza pitture con sfondo monocromo
bianco e le figure risaltavano sullo sfondo = figure rosse;
o Parasio di Atene, che secondo Plinio, era riuscito a rendere il volume e il movimento dei corpi come
mai prima di allora.

La pittura ellenistica (seconda metà del IV secolo) soprattutto della corte macedone, ci dà un eco
straordinario di queste conquiste però della pittura del V secolo non sappiamo nulla. Si sa cosa fu imitato
della pittura e della scultura attraverso le ceramiche, che si ispirano alle grandi statue, ai grandi cicli in rilievo
o alle grandi firme dei pittori ma che poi devono tener conto dello spazio del vaso che hanno a disposizione.
Ezechias, vasi della fine del VI secolo → individua nella spalla del vaso il punto dove rappresentare e occupare
in maniera più estesa scene come quelle di Achille che gioca a dadi con Aiace sono delle soluzioni che si
pongono il problema di come articolare su uno spazio non regolare, curva.

Coppa del Pittore di Pentesilea da Vulci → dipinge nella sua coppa la


regina delle Amazzoni mentre sta per essere uccisa. È un pittore che ha
recepito la lezione della grande scultura perché la resa delle figure
richiama quella che la grande scultura aveva realizzato per l’attenzione dei
particolari del corpo, dei volti, per l’incrocio degli sguardi. C’è uno spazio
limitato, quindi Pentesilea viene rappresentata in ginocchio ma esso in
posizione anomala, piegata su una gamba solo. L’amazzone ferita sulla dx
che deve riempire la scena e dare l’idea di questo scontro
dell’Amazzonomachia ha una posizione poco naturale. Apparentemente
ha le braccia alzate sopra il capo, è ritratta frontalmente però le gambe
sono inclinate come se fosse distesa. Esemplificazione di come a fronte di una composizione di pregio, ma
nel particolare siamo a livello degli artigiani. Si affronta lo studio indiretto di queste opere con l’accortezza di
ragionare partendo dal prodotto di analisi, capire che cosa si po' recepire a livello e riconoscere i limiti della
resa artigianale.

Altri esempi = filone di studi archeologici che si occupa della ceramica attica, delle
botteghe dei vari pittori e dei vari ceramisti.

Anfora del Pittore di Achille, Museo Gregoriano etrusco, città del Vaticano, 440
a.C. = produce una serie di vasi che in qualche modo sono un eco delle grandi
sculture adattate alla forma del vaso che si doveva decorare. In questo vaso la
figura dell’eroe viene rappresentata come fosse statua (cfr. grandi statue
realizzate all’epoca).

Si cerca di dare l’idea di una statua appoggiata sul piede sx con gamba libera e la
lunga lancia serve da perno. A livello ancora artigianale quindi resi non perfetta.

Altro vaso che dà l’idea della trasmissione di iconografie, di soluzioni tra


Grecia e occidente → cratere della collezione Jatta di Ruvo di Puglia attribuito
al Pittore di Talos = Talos era un personaggio legato al mito degli Argonauti,
era un automa, un “robot” realizzato totalmente in bronzo che doveva
custodire l’isola di Creta da qualsiasi attacco. Nel mito degli argonauti è solo
Medea, la maga che con le sue arti magiche riesce a sconfiggerlo. La scena
rappresentata è quella di questo personaggio ormai privo di forza vitale e
sostenuto dai due Dioscuri, rappresentati in un secondo piano rispetto a
Talos. Per questo personaggio il pittore sceglie una pittura molto chiara per
rendere la brillantezza del suo corpo che non era in carne ed ossa come gli
altri personaggi. Viene scelta questa colorazione particolare per rendere
meglio la sua figura. Questa composizione occupa tutta la parte centrale e la
spalla del vaso, ma soprattutto le figure sono poste su due livelli: questo sta
a significare che la grande pittura aveva elaborato delle tecniche di
rappresentazione anche in senso prospettico che vengono recepite anche nella ceramica, su cui l’attenzione
è resa nei particolari delle vesti, dei ricami e dei decori sulle vesti, dei singoli volti. Essendo posti su diversi
piani richiamano le grandi conquiste della scultura e del rilievo. = la resa dei panneggi è molto ricca e i diversi
piani su cui sono posti i personaggi richiamano il chiaroscuro della scultura e del rilievo, ma anche il tentativo
di rendere di scorcio la veduta delle scene ovvero le conquiste in fatto di prospettiva.
L’età classica tra la fine del V e il IV sec. a.C.

Fine del V secolo a.C. → Fase in cui Atene è alla fine della guerra del Peloponneso e sconfitta politicamente
ma è ancora a livello culturale uno dei centri propulsori maggiori tra quelli del Mediterraneo.

Tuttavia, a livello politico, emerge Sparta e questo fa sì che la ripartizione delle aree di influenza sia più
allargata e di conseguenza cambiano gli equilibri politici, le dinamiche interne tra le varie città. Il IV secolo è
dominato da vari eventi legati alla città di Tebe, alla figura di Epaminonda che acquista una posizione
importante nella prima metà del IV secolo. In questo periodo prevale la netta preponderanza dei macedoni
prima con Filippo II e poi la figura di Alessandro, suo figlio.

Venuta meno l’egemonia ateniese si ritorna ad una moltiplicazione di luoghi, in cui si sperimentano nuove
soluzioni a livello artistico ed architettonico. Questa evoluzione in termini architettonici e urbanistici
rappresenta lo specchio della ripresa di dissidi tra le varie città che nel IV fanno sì che si presti attenzione alle
opere di difesa dei propri agglomerati urbani e a evidenziare le caratteristiche specifiche delle comunità che
le rappresentano.

Queste comunità recepiscono le grandi acquisizioni e realizzazioni che in qualche modo erano state
sintetizzate sulla figura di Ippodamo e del suo trattato sull’urbanistica, sulla città ideale. Le città cercano di
riprodurre un’idea utopica della città ideale, della città ippodamea, che deve tenere conto delle
caratteristiche geomorfologiche delle singole città. Per questo motivo ogni sito tenta di adeguare questo tipo
di schema e questo canone ippodameo alla realtà locale.

A livello teorico anche Platone nelle leggi descrive quella che doveva essere la città ideale =una città che
doveva basarsi sul concetto di isonomia e isomeria quindi suddivisione degli spazi per ogni nucleo familiare
secondo delle norme con giusta ripartizione delle parti. Questa città ideale doveva essere governata da una
buona amministrazione che aveva al suo interno un equilibrio nella componente sociale. Anche per Platone
la città ideale si basa su regole che si realizzano attraverso suddivisione geometrica degli spazi pubblici e
privati (ogni città deve avere un’agorà, la sua sede dove avviene l’azione politica e governativa, distinta dallo
spazio per le azioni mercantili. Naturalmente deve avere le sue aree per le attività pubbliche e per quelle
private). Anche Aristotele, 40 anni dopo, teorizza nella politica la scelta dell’impianto della città ideale non
solo sulla base di norme riguardanti la giustapposizione delle parti ma anche in base alla salubrità del luogo,
al rifornimento idrico, all’esposizione a oriente dell’area su cui deve sorgere la città.

La teorizzazione della città si basa anche sulla risposta a necessità della vita quotidiana. Il principale allievo di
Aristotele, Alessandro Magno, cercherà di adottare lo schema ortogonale per le sue città come Alessandria
di Egitto. Lo poté fare solo dove c’era spazio e disponibilità di espansione secondo schemi regolari, mentre
nelle città della Grecia dove lo spazio era già occupato da strutture preesistenti la situazione era diversa e
doveva essere analizzata caso per caso.

Due esempi nell’area del Peloponneso, un’area distinta dall’Attica:

1. MESSENE, è una città interessante perché agli inizi del IV secolo si


decide di fare nuove mura, che vengono realizzate con particolare
impegno perché il ritorno a una situazione di instabilità (ogni città
doveva badare a sé stessa) fa sì che queste mura dovessero essere in
grado di fronteggiare eventuali attacchi anche con catapulte o nuove
macchine di assalto. Quindi questa città stende un circuito murario per
9 km ca. seguendo i vari dislivelli del terreno attraverso serie di torri
quadrangolari lungo il perimetro e in qualche modo si configurano le
mura come un monumentum nell’accezione di opera pregevole, non
solo come opera difensiva ma soprattutto come monumento/prodotto
artistico, che non doveva solo difendere la città ma anche abbellirla.
Sono costruite in opera quadrata con spessore medio di 2,5 metri e con un cammino di ronda che
consentiva la sosta lungo i vari bastioni con torri, alternate semicircolari o quadrate. Erano fornite di una
serie di feritoie per guardare la situazione nel territorio all’esterno.

Ci sono anche delle porte della città che sono 3: porta di Arcadia (nord), porta della Laconia (sud-est) e
porta di Messenia (sud).

A livello urbanistico, gli scavi hanno portato in luce una serie di edifici: teatro, agorà, ampio santuario
dedicato ad Asclepio, l’area dello stadio con il ginnasio, edifici di origine romana, tra cui una grande villa
che testimoniano la continuità di uso all‘interno della città.

2. MANTINEA, interessante per l’assetto urbanistico (foto:


assetto che risale al IV sec. a.C.). È un assetto che subentra
all’originaria fondazione degli inizi del V secolo, quale risultato
del sinecismo di 5 villaggi che decidono di riunirsi e costruire
una città (attorno al 460).
Gli spartanni la distruggono nel 385 e subito dopo viene
ricostruita con circuito murario che prevedeva uno zoccolo in
blocchi di pietra trapezoidali e alzato in mattone. Ha un
perimetro di tipo ellittico che si adatta alla pianta urbana ovale
con un asse maggiore, esteso da nord a sud per circa 1350
metri e un asse minore di 1100 metri. Intorno al circuito
c’erano postazioni di guardia = 120 torri (una ogni 33 metri)
con relative porte (10 in tutto). La città si è sviluppata a partire da un corso d’acqua che è stato
deviato per creare una sorta di fossato che cingeva attorno la cortina muraria per un perimetro totale
di quasi 4 mila metri.

La disposizione interna dell’assetto urbano è meno accurata = l’agorà è situata al centro della città ma
l’assetto stradale non è regolare perché si adattava a preesistenze e alla necessità di preservare
l’organizzazione interna della maglia urbana, alla quale l’elemento che doveva rispondere principalmente
era un elemento difensivo quindi in questo senso la maggiore preoccupazione era stata quella di
assicurare cinta urbica capace di resistere ad attacchi esterni.

L’altro centro, interessante dal punto di vista culturale e architettonico è l’area di EPIDAURO che aveva un
famoso santuario leggermente all’interno. È una città affacciata sul mare quindi ci si poteva arrivare anche
via mare (parte della città è stata ritrovata sott’acqua). Le fonti ci parlano di questo centro di particolare
rinomanza nel corso del IV secolo perché qui si concentrano particolari soluzioni scultoree e architettoniche
per sottolineare l’importanza che aveva raggiunto il santuario di Asclepio.

Asclepio è figlio di Apollo, per il mondo greco è il dio della medicina. Il culto conosce un grande sviluppo nel
corso del V secolo e in precedenza nell’area del santuario, già nel VI secolo era venerato Apollo (si sa da ex
voto rimasti). Questo garantisce che questo centro avesse mantenuto nel corso del tempo una prerogativa
di tipo curativo essenziale e forte (anche Apollo è medico).

Per arrivare al santuario si doveva percorrere una strada, di cui sono


state rilevate delle tracce. Al santuario non ci si recava solo
occasionalmente ma ci si poteva recare tutte le volte che un fedele ne
aveva bisogno in quanto malato, non solo per cerimonie. Le fonti sulla
figura di Asclepio e sulla ritualità connessa agli Asclepeia, luoghi di culto
sparsi del Mediterraneo ci danno moltissime informazioni. Si deve
pensare a una sorta di pellegrinaggio a questi luoghi sacri che
principalmente erano dei luoghi di cura. = approccio al sacro con
vocazione al medico.
Erano dei luoghi organizzati per accogliere grande quantità di fedeli, che arrivavano e venivano accolti da
un’area di ingresso (foto: ricostruzione).

Oltre i propilei si entrava nello spazio del santuario, costruito per ospitare tanti fedeli. Questi fedeli, dopo
aver fatto un lungo viaggio erano anche bisognosi di avere una prima accoglienza e di presentarsi
degnamente al dio. Per questo all’interno del santuario c’erano dei luoghi di accoglienza ma anche luoghi in
cui ci si poteva lavare, preparare all’incontro con il dio. → il dio aveva un tempio dorico con peristasi di 6x11
colonne e costruito da Teodoto. È privo di opistodomo per ragioni cultuali. Ancora una volta, al suo interno
aveva una statua di tipo crisoelefantina ispirato alle grandi opere di Fidia. Aveva una serie di luoghi che
circondavano il grande spazio del tempio preposti ad ospitare i fedeli. All’interno del santuario vi erano stoai
(portici), luoghi dove i fedeli si intrattenevano per poi avere contatto con la divinità e dalle fonti si sa che i
fedeli dovevano seguire anche una dieta specifica per
incontrare il dio. Infatti, era presente l’abaton per il sonno
dei pellegrini, che nel sonno ricevevano le indicazioni
della cura per risolvere la malattia. In molti casi ci restano
le descrizioni delle esperienze di malati guariti dopo la
visita al santuario.

Uno degli edifici particolarmente famosi


è la grande tholos (parola femminile) →
edificio circolare con peristasi di 36
colonne doriche che racchiudevano
cella con all’interno un ulteriore giro di
colonne corinzie. Al centro doveva
esserci una sorta di botola per accedere
a un vano sotterraneo funzionale alle
attività di culto. È stato rilevato come il pavimento presenti una decorazione a
motivi geometrici con losanghe alternate bianche e nere. = una prima
rappresentazione dell’attenzione alla decorazione pavimentale, che sarà tipica
dal IV secolo in avanti con soluzioni particolarmente interessanti.

Questa tipologia architettonica sarà copiata in altri contesti (cfr. Philippeion di Olimpia, Tholos di Delfi).

Altra opera straordinaria è il TEATRO attribuito a Policleto il Giovane e


che è quasi perfettamente conservato. Ha dimensioni considerevoli:

- Cavea: diam. 182 me, con 55 ordini di sedili


- Orchestra: diam. 20 m

Si tratta di un teatro che segue le pendici del colle, come elemento su


cui si ricavano gli spazi della cavea con un totale di circa 15000 posti a
sedere. Il teatro viene utilizzato anche per celebrazioni e spettacoli.
[Esiste un’associazione chiamata diazoma che si occupa della promozione di tutti i teatri della Grecia anche
a fini conservativi, che dà l’idea di capillarità di monitoraggio e valorizzazione dei teatri.]

L’orchestra ha un diametro di 20 metri con attorno l’area della cavea suddivisa a ventagli con serie di sedili
disposti in senso longitudinale in diversi blocchi. Le soluzioni acustiche vengono realmente messe in opera.

Oltre alla funzione teatrale c’erano anche luoghi per le attività fisiche quindi lo stadio e il ginnasio.
Tendenzialmente erano gli adolescenti che si dedicavano a queste attività, però se uno avesse intrapreso la
carriera come guerriero si sarebbe dovuta ovviamente esercitare. Non tutte le classi sociali potevano avere
tanto tempo da dedicare a queste attività. È una cultura che rimane anche nel mondo romano all’interno di
contesti preposti. Era un elemento caratterizzante dell’essere cittadino. Si vedono queste scene anche sui
vasi. C’erano delle scuole che servivano per educarsi all’educazione dei greci. Plutarco parla di una
quotidianità scadenzata da momenti di apprendimento teorico e momenti di attività fisica, del corpo libero
a seconda delle diverse età e dei diversi gradi sociali.

Il tempio di Atena Alea a Tegea, post 394 a.C. → architetto e


direttore dei lavori e dell’apparato decorativo: Skopas,
un’artista che rielabora le grandi soluzioni del V secolo. In
questo caso l’architetto viene chiamato a realizzare una nuova
pianta di questo tempio già esistente in precedenza ma che
subì un incendio intorno agli inizi del IV secolo. Segue ancora
il canone dorico con 6x14 colonne, ma con presenza
all’interno di colonne corinzie che vanno a cingere la cella non
creando un corridoio interno (cfr. Partenone) ma che si
addossano alla parete lasciando in vista lo spazio per la statua
di culto.

Il mix di diversi ordini estende le sperimentazioni già fatte


sull’acropoli di Atene con il tentativo di dare un ulteriore
contributo alle sperimentazioni a livello architettonico.

La figura di Skopas realizza anche il ciclo scultoreo che decorava il tempio di cui ci rimangono pochi elementi.
Questa figura è considerata preponderante nel primo IV secolo. Oltre a Skopas, ci sono altre due figure
importanti ossia degli scultori ateniesi: Cefisodoto e il figlio Prassitele.

A Cefisodoto, Atene chiede di realizzare agli inizi del IV secolo una grande statua, non
in onore delle divinità olimpiche ma in onore della pace in quanto portatrice di
ricchezza → Eirene e Ploutos sono i soggetti di una grande statua in bronzo che
doveva occupare un luogo di rilievo nell’agorà. Il concetto stesso della
rappresentazione di pace che porta la ricchezza, visto che Atene era stata appena
sconfitta era un’idea molto forte per richiamare l’idea che la personificazione stessa
del concetto di benessere garantito da una condizione di pace rappresentava un
nuovo sistema concettuale per esprimere i nuovi ideali della nuova società che andava
costituendosi.

Foto: Eirene e Ploutos, Pace e Ricchezza copia romana dell’originale in bronzo


dall’agorà di Atene, 386 a.C., Monaco, Gliptoteca.

- Pace viene raffigurata con figura femminile con un ampio mantello sopra il
peplo, che reggeva con la destra uno scettro.
- A sinistra regge il piccolo Ploutos, secondo una rielaborazione delle grandi statue femminili realizzate
da Fidia con però un’accezione nuova che predilige un aspetto più introspettivo di queste figure di
divinità che rappresentano dei concetti astratti (concetti preferiti in questa fase).

Nella bottega di Cefisodoto lavora anche il figlio Prassitele, uno dei maggiori scultori a cui viene attribuita
L’AFRODITE DI CNIDO, 360 a.C. = una tra le prime sculture nude che ci sono rimaste. Secondo Plinio, gli
ambasciatori dell’isola di Kos avevano commissionato a Prassitele una statua della dea da collocare all’interno
del santuario e quando tornarono a prenderla rimasero esterrefatti perché rappresentata nuda. Questa
statua viene considerata inadeguata, quindi la lasciano nella bottega e ne prendono un’altra più tradizionale.
Non sembrano recepire la grande novità rappresentata da questa statua. Di lì a poco arrivano alla bottega di
Prassitele degli altri ambasciatori mandati da Cnido, ai quali la statua piace
moltissimo. La prendono e viene adattata al santuario di Cnido, pensato ancora
una volta per contenere quest’opera.

Era in marmo pentelico, si appoggiava a un vaso su cui c’erano le vesti = colta nel
momento in cui sta per immergersi nel bagno e copre a livello di pudicizia il pube
con la mano destra. I capelli sono raccolti in una capigliatura a riccioli suddivisi
rispetto a una scriminatura centrale e l’ovale è pieno, che rimarca i particolari del
volto. La statua è concepita per trasmettere una delle caratteristiche di Afrodite:
la karis (la grazia, dono che Afrodite dà a Pandora).

A Prassitele viene attribuita anche un’altra statua,


uno dei pochi originali rimasti e trovato dai
tedeschi nel 1877 nel santuario di Olimpia. → Hermes che regge Dioniso =
schema del gruppo con statua di un adulto che regge il piccolo Dioniso. La
struttura della composizione della statua va a modificare in maniera
importante il canone policleteo, infatti, la statua è inclinata dalla parte della
gamba libera. = La ponderazione viene ripensata con un equilibrio delle parti
distribuito in diverse prospettive. In qualche modo è una statua che va a
rivedere le regole della composizione delle statue nude maschili.

Altre statue attribuite a Prassitele:

- Apollo Sauroktonos = uccisore della lucertola di cui resta una copia al Louvre. Tutto il baricentro è
spostato verso sinistra (cfr. Hermes di Olimpia) e il dio è rappresentato mentre si appoggia da una
parte all’albero su cui era la lucertola e dall’altra la mano protesa in avanti per anticipare il gesto con
cui la colpirà.
- Satiro in riposo = nuova cifra stilistica che va a rimodulare la posizione del satiro rispetto alla
ponderazione di Policleto. (copia romana dell’originale in marmo, Musei Capitolini)

Anche Skopas a modo suo ripensa il movimento e l’espressione dei corpi colti in diverse posture. – maestro
del pathos

Menade di Dresda = copia romana di un originale con corpo pensato nello


slancio per la danza bacchica nella tensione del corpo che viene rappresentato
nel movimento della danza con gioco di contrasto tra la postura della testa e il
movimento delle parti del corpo.

Skopas importante anche per aver contribuito a realizzare il ciclo figurativo del
MAUSOLEO DI MAUSOLO → satrapo della regione della Caria, attuale Turchia
ed è un personaggio che avendo vocazione di stampo orientale realizza serie di
opere per la città che includono il proprio monumento funerario, posto al
centro della città per rimarcare la sua posizione dominante all’interno della
maglia urbana. Se lo fa costruire finché è ancora in vita, ma non sarà concluso alla sua morte ma proseguito
da Artemisia, sua moglie.

L’opera viene a rappresentare quello che poi sarà il prototipo del mausoleo a cui si ispireranno molti atri
dinasti successivi (es. Alessandro, Augusto, Adriano). È un monumento che doveva occupare uno spazio su
pianta quadrata di 38x32 metri e un’altezza calcolata intorno ai 45 metri. Si organizzava su 3 grandi gradoni
sopra cui era l’edificio a forma di tempio, cinto da 36 colonne ioniche, sopra le quali c’era il tetto a forma di
piramide suddiviso in 24 gradini e sormontato dalla quadriga reale con Mausolo. Alla base c’era la camera
funeraria ipogea vera e propria.

Per quest’opera viene chiamato Piteo, a cui si affiancano altri artisti:


Timotheos, Skopas, Leocare e Briasside ai quali viene affidata la
decorazione e il ciclo decorativo di questo monumento, scoperto solo
nella seconda metà dell’800. Verrà ricostruito per portarlo al British
dove sono esposte le principali partizioni del monumento.

Prevedeva una serie di cicli decorativi per i quali gli storici dell’arte
antica hanno cercato di riconoscere le mani di uno scultore piuttosto
che di un altro. Ci sono stati moltissimi studi. Sono state calcolate 88
statue sul primo gradone, 72 sul secondo gradone e 56 sul terzo. + 36
statue tra gli intercolumni + 56 statue per la parte inferiore dell’area
della piramide superiore → Totale = 252 statue di cui rimangono alcuni
esemplari, tra cui due statue che si sono attribuite a Mausolo e
Artemisia, anche se si pensa che fossero in realtà personaggi legati alla corte del satrapo e forse figure di tipo
sacerdotale.

Le innovazioni raggiunte con Policleto e Fidia si traducono poi in opere che nel IV secolo rielaborano questi
concetti di cui rimangono anche degli originali, in altri delle copie di età romana sempre in bronzo:

- Atleta da Anticitera, museo nazionale di Atene, h 2 metri = rappresenta atleta con tutto il peso su
gamba sinistra e destra libera quindi chiasmo invertito. Policleteo è il concetto di base ma nuovi sono
i rapporti tra la figura stante e il gesto che fa con la mano destra in cui si ritiene che recasse un
oggetto piccolo e tondo (forse una mela in riferimento a Eracle con il pomo delle Esperidi o a Paride
che sta per donare il pomo ad Afrodite);
- Atleta da Efeso e Atleta da Lussino = atleta che regge lo strigile per pulirsi dagli oli che si era spalmato
prima della gara.
- Efebo dalle acque di Maratona che richiama i grandi scultori degli inizi del IV secolo in particolare la
statua dell’Apollo Sauroctono che è pensata con un piano di appoggio dato dall’albero e una gamba
portante che regge il peso. In questo caso si parla di un’opera in bronzo e non in marmo che deve
soddisfare questioni statiche diverse.

Molte copie romane perché quelle greche in bronzo fuse e quelle in marmo usate per calce.
LEZIONE 09 | 22.03.2022

La casa greca fra l’età classica e del primo ellenismo


Nel V e IV sec, la casa abbia assunto una posizione particolarmente rilevante. Le abitazioni, abbiano avuto
una diversa organizzazione nello spazio della città, quando si tratta di città di accrescimento, come nel caso
di Atene, quindi lo spazio delle case non è pianificato in partenza, ma si organizza secondo delle aree
disponibili, e in base alle aree preesistenti. A quella che è invece la casa di fondazione inserita su una maglia
organica a e predefinita.

La tipologia abitativa, è una branca dello studio dell’archeologia, che ha permesso di capire l’evoluzione e
sviluppo dei popoli, perché progressivamente c’è una netta ristrutturazione dello spazio abitativo in chiave
sempre più complessa.

Due sono le fonti le quali da cui possiamo ricostruire la forma della casa greca costituite da:

Le fonti scritte, per la parte latina si hanno molte fonti, ma per la parte greca, si hanno delle fonti numerose,
che hanno permesso di immaginare e codificare un’idea di casa. In realtà questa costruzione agli inizi del 900,
risulta arbitraria nella misura in cui sono state usate delle informazioni distanti nel tempo, che non potevano
dare una soluzione a delle realtà specifiche. Una delle fonti che ha viziato l’impostazione, è stato Vitruvio,
che si pone con il suo trattato de Architectura, si ha un quadro di massima. Agli inizi del 900, si cerca di
riconoscere gli spazi e luoghi dei racconti di Vitruvio.

Altre fonti, elencano una serie di spazi che connotavano la casa greca del V e VI secolo a.C. L’area di
separazione tra la strada e il cuore della casa, veniva individuata un’area di ingresso, solitamente chiusa da
due porte il prothyron, area d’ingresso, e che dà l’accesso alla corte, uno spazio scoperto. La corte definita
aulè, su cui ruota tutta serie di vani dell’abitazione, ci può essere un pozzo, ma anche c’è un altare domestico,
esthìa, che è lo spazio sacro dedicato ai sacrifici rituali, che ogni famiglia dedicava abitualmente per le regole
di protezione della casa. Attorno allo spazio scoperto, ci sono le camere da letto, vani ambiti a contenere le
provviste della famiglia, ovvero i tameios,(camere da letto e vani ad uso magazzino). Le stanze maschili,
andronitis e femminili gynaikonitis, dove potevano avvenire attività legata alla produzione della tessitura e
filatura, mentre nello spazio maschile, si accoglievano ospiti, quindi uno spazio pubblico. Una serie di
separazioni, di porte e corridoi, che delimitavano l’area produttiva di vita da quella che era l’area di soggiorno.
La pastas, il portico, che caratterizza una classe sociale, spazio che caratterizza una parte porticata tra i vani
e l’area della corte.

Questo tipo di vani poteva essere attestato nella casa greca, sia in contesti urbani che nella residenza di
campagna. Per quanto riguarda i discorsi di Pericle, si evince come per la classe aristocratica ateniese, il
possesso di terre e le ville connesse in spazi extra urbani, fossero significativi, perché era da lì che le famiglie
ne traevano la loro ricchezza. Quando lui fa riferimento ai possedimenti terrieri, voleva tranquillizzare le
famiglie aristocratiche, ma avendo come obbiettivo il bene comune, senza preoccuparsi che i Peloponnesi,
invadessero l’attica, lui dice che la fonte di ricchezza ovvero le case di campagna, nel momento di bisogno
può far fronte a queste case, come interesse nazionali, come nella città di Atene, che è una città-impero.
Casa aristocratica di Callia, Atene

Questa abitazione è stata sulla base delle


fonti letterarie e poi anche quelle
archeologiche, interrogando alcuni testi
molto noti e che hanno consentito di
immaginare 2 tipi di abitazioni: una casa
di città e una casa aristocratica.

Questa abitazione è attribuita a Callia,


che viene descritta nel Protagora di
PlatoneSi tratta di uno dei famosi
dialoghi, in cui Platone, ricostruisce a
pezzi filosofici con a figura di Socrate, il
quale si reca nell’abitazione di questo
ricco ateniese di nome Callia, che ospitava una sofista microasiatico, Protagora nella sua abitazione.

Nel momento in cui Socrate, passa nell’area di ingresso c’era un portiere con un suo vano, e di lato un locale
che serviva anche da stalla, ma soprattutto all’interno della aulè, si aprivano dei luoghi per immagazzinare
dei beni utili alla famiglia, trasformati in hospitalia, luoghi di soggiorno per gli ospiti, in determinate occasioni.
Ci sono degli ambienti posizionati rispetto alla pastas, in questo caso era presente sia nel lato settentrionale
e meridionale, in cui vi erano altri locali, sempre di rappresentanza, tra cui l’andron.

Ci sono un’altra serie vani a sud per la componente femminile o servile.

Casa urbana di ceto medio

Questa casa compare nella orazione di Lisia descritta da Eufileto 


queste orazioni venivano fatte, da oratori esperti che venivano
pronunciate da altre persone, in occasioni di processi pubblici, per
stupire la giuria, focalizzando alcune questioni, mettendo in cattiva luce
gli accusatori. In questa causa di Eufileto, era mossa dai parenti di un
certo Eratostene, ucciso da Eufileto, perché questo ragazzo aveva una
relazione con sua moglie.

Questo racconto descrive molto bene, quella che era la casa del
cittadino medio, che aveva una cosa urbana, distinta da quella di
campagna.

La casa era su 2 piani, il secondo piano occupa tutta l’ampiezza del piano
terreno, all’interno dell’aulè c’è la scala per il piano primo, mentre a
nord, ci sono gli spazi maschili, con una distinzione delle aree per gli
ospiti e della cucina e del bagno, vicini perchè usavano le stesse
condutture di scolo. C’è un pozzo, con la parte della servitù, e poi la zona
del gineceo, dove c’era il talamos, dove il marito e moglie dormono
assieme, con altre stanze nell’area maschile, dove il padrone poteva
unirsi con altre schiave o ancelle, quindi mantenendo separate le stanze
ufficiali da quelle da uso privato.
Abitazione di campagna

Qui un altro testo di riferimento è Economico di Senofonte, e la descrizione è quella di una fattoria a Scillute
di un certo Iscomaco.

Nelle vicinanze dell’area scoperta si trovano i vani per la conservazione di prodotti che necessitano di luoghi
freschi e asciutti, quindi esposti verso nord. Dall’altra parte c’è l’area della cucina e del bagno con luoghi
separati per le zone di residenza, con distinzione tra maschile e femminile. Dalla descrizione si parla del piano
superiore, gestite dai padroni di casa, da cui si vedeva cosa veniva fatto al piano terreno, con il thalamos, e
l’histeòn,(dove la padrona svolgeva attività di filatura), e il ripostiglio per gli oggetti di valore e di uso
quotidiano nel tameion.

Al di là delle ricostruzioni, si delinea articolazione della casa che varia a seconda delle possibilità economiche
del proprietario, quindi si capisce che lo spazio domestico ha una vocazione auto-rappresentativa, laddove
la casa di città è la casa in cui si può dare sfoggio della ricchezza. Dentro la casa di campagna si accumula i
beni venduti in città, la casa ceto basso assicura una distinzione tra varie componenti familiari.

Da un punto di vista degli scavi e conoscenze, Atene ha conservato resti non completi e non del tutto
ricostruibili delle abitazioni antiche. Tra la città e l’Attica, Atene contava oltre 10 mila unità abitative, sia
distribuite nella città sia, sia quelle che occupavano il territorio.

Nel settore dell’agorà sono state portate in luce alcune abitazioni allineate alla
strada verso il Pireo, che consentono di notare alcuni elementi di cui parlano
anche le fonti  casa C e casa D

Casa C aveva accesso diretto dalla strada che portava a una corte con pozzo
centrale, su cui si aprivano 11 ambienti, di cui il 12 è una bottega che non ha
accesso diretto, ma sul lato della strada. Il vano principale l’andron è il 3°, che si
affaccia sulla corte che è speculare ad altro vano 9 (per attività femminili),
perché al suo interno sono stati trovati dei telai. I vani 5 e 7, più a nord recano
la presenza di conduttura idrica, quindi interpretati come cucina e bagno,
mentre il vano 4 utilizzato come dispensa.

Casa D è più piccola, più modesta e ha due accessi, sulla strada e da una stradina
secondaria che è a settentrione. Questa casa non ha un pozzo, ma si pensa fosse
un’abitazione per ranghi inferiori (forse a servizio della casa C); tanto è vero che
nel V secolo le case vengono inglobate, e si assiste a una unificazione dei due nuclei a un’istallazione in questo
settore della ex casa D, per una officina di bronzi da cui si deduce dagli scavi.

Quartiere abitativo dell’Aeropago, V secolo a.C.  Altri esempi mostrano come le case avessero uno
sviluppo quadrangolare, con corte centrale e pochi vani, non articolate come le case nobili, spazi
polifunzionali.

Questo non esclude che ad Atene non potessero esserci delle abitazioni facoltose, provviste di spazi porticati
sul cortile interno, e in questo senso, secondo degli esempi di queste sale per la componente maschile si può
trovare un esempio molto famoso nell’aula chiamata Pinacoteca (vicino ad Acropoli) dove venivano messe
le opere. È accessibile da area porticata con all’interno una sala di importanti dimensioni, attorno la quale
c’erano dei sedili, in maniera non diversa da quella stanza che nel Protagora, Platone descrive. Nell’affaccio
delle sale sugli spazi scoperti ci sono diversi esempi che spaziano fino al V fino al pieno IV secolo, per
dimostrare come questa tipologia residenziale sia bene attestata. Si tratta di una tipologia, che anche sul
fronte della casa di campagna che trova delle interessanti testimonianze:

area dell’attica settentrionale  La Dema House = era una


fattoria che era stata scavata negli anni ’80. Si pone come
un edificio rettangolare con sviluppo di 22x16 metri, che
prevedeva: ingresso, area con cortile porticato su cui si
affacciano a sud i magazzini e cantina dove venivano
depositati i beni prodotti e a nord spazi per la componente
maschile e altri vani per la componente femminile la
fattoria si connota come elemento concluso e
autosufficiente, in cui spazi ripartiti secondo una
funzionalità.

Una stessa funzionalità si trova anche nel settore meridionale dell’attica  fattoria del IV secolo, dimensioni
piccole 13x17m. Il cuore è articolato rispetto alla aulè e alla pastas. Ha poche stanze, ma sono funzionali alle
attività condotte al podere. C’è vano di ingresso per il portinaio ma anche presenza di questa struttura che
sono dei muri di spessore maggiore rispetto agli altri e che secondo le ipotesi ricostruttive, doveva fungere
da pyrgos (=torre), a due piani che doveva servire come sala residenziale per il padrone di casa quindi
sopraelevata rispetto al pt. Questo si trova anche in altri contesti di tipo agrario, che avrebbe potuto svolgere
una funzione di controllo sulla fattoria per assicurare una piena gestione di questi possedimenti.

Se da Atene ci si sposta ad Olinto, non si hanno informazioni che


descrivano abitazioni in città, ma moltissimi scavi e dati archeologici
(missione americana) che da un punto di vista storico città che è durata
poco. Fondata nel 432 a.C dal re Perdicca e viene distrutta dal Filippo
nel 348. È un sito che è estremamente interessante, perché rispecchia
una realtà della Grecia classica in un contesto urbano organizzato
secondo maglia regolare, già questi 100 anni di storia si può assistere
a modifiche. La città ha una maglia regolare con diversi isolati divisi
dalle arterie stradali in base ai quali si individuano dei lotti, dalle 8-10
unità abitative che hanno complessivamente un’articolazione
omogenea, con delle varietà che dipendevano dalle possibilità dei
proprietari delle abitazioni.
Olinto, Isolato A-V, casa AV, 10

Uno degli elementi caratteristici delle case, è la


presenza di un secondo piano, con un punto nella
parte dell’aulè, vi è un punto di pietra, su cui si
poggiava la scala, e poi uno sviluppo in legno.

I vani sul piano terreno sono gli spazi dove si


svolgevano le attività di tipo domestico, nel caso di
questo isolato con planimetria quadrangolare con
situazioni anche più articolate.

Si è presa in esame l’abitazione segnata, la casa con ingresso principale, ma ne aveva un altro su strada
secondaria in F, permettendo una diversa articolazione. Il cortile presenta una pavimentazione in ciottoli di
fiume, si pensa che qui ci sia scala che permetteva di salire al piano superiore. In questo settore è stato
riconosciuto l’area della cucina, con un sistema di riscaldamento sulla base di altri esempi presenti nella città
di Olinto, con un sistema di riscaldamento che permetteva di arrivare ai piani superiori.

È quindi una articolazione che non prevede non un grande numero vani, che potevano avere funzione plurima
a seconda di varie attività che si svolgevano. In questa fase risponde a questa società a quella di Olinto, che
era una società regolata per nuclei familiari, okoi.

Ad Olinto si conoscono anche case con articolazione meno regolare, che presentano dei finimenti interni di
tipo inferiore, tanto che si è pensato che queste abitazioni appartenessero allo strato sociale più basso con
più nuclei familiari, a abitazioni con articolazione senza apparente ordine dei vani.

Questa situazione rispecchia una società dell’Olinto degli inizi del IV secolo, società abbastanza omogena
con ripartizione interna in vani che rispondono a limitate funzioni auto-rappresentative.

Poi iniziano ad esserci delle case più grandi, con spazio scoperto dotato di porticato come pastas ma non
limitata a un solo lato, ma inizia a coprire tutti i lati della corte.

Ad Olinto abbiamo uno dei primi esempi delle colonne attorno allo spazio scoperto, che diventa da cui di
prende luce e aria, ma anche il luogo che fa da biglietto da visita per chi entra nell’abitazione.

Villa della Buona Fortuna, IV secolo a.C.  Questa villa


suburbana della parte meridionale della citta, risale nel suo
impianto e complessivamente la fronte occupa circa 26 metri. Il
cortile presenta più supporti per le colonne, e su di esso di
affacciano vari locali, che cominciano a configurarsi per
l’apparato decorativo come ambienti di particolare prestigio,
come ambienti che vedremo, un elemento connotativo della
casa ellenistica.

La casa che non è più la casa in cui il padrone e la famiglia vivono


e ricevono un ristretto numero di persone, ma diventa luogo in cui si fa politica, si privatizza, si riconduce a
livello di rapporti interpersonali quelle attività che si svolgevano all’interno dell’agorà.

Ci sono grandi aree per la dispensa, con vani di maggiore autorevolezza, affiancati da quelle che erano le
stanze del padrone di casa. Altri vani residenziali sono nel settore nord-orientale, per la decorazione
pavimentale, ma non si esclude che ci siano decorazioni sulle pareti.
Questo tipo decorazioni ha dei precedenti che sono di età tardo classico-ellenistica, che usano
prevalentemente ciottoli di fiume per fare questo tipo di decorazioni, mentre più tardi si specializzeranno
per creare tessere sempre più piccole, per creare dei pannelli sempre più decorati.

Le due sale hanno da una parte il corteo di Dioniso trainato sul carro da due pantere, e attorno le menadi che
ruotano e festeggiano, e nell’altra sala c’è la consegna delle armi ad Achille. Le sale si arricchiscono di
elementi, che sottolinea con l’uso prestigioso di chi sostava all’interno di queste sale, tra cui in alcune sale la
presenza di una ruota della fortuna per un buon auspicio.

Città di Olinto, chiude la sua vita nel 348, sigillando una serie di informazioni del IV secolo.

Il IV secolo, segnato da grandi trasformazioni geopolitiche, con emergere di alcuni personaggi che si
impongono sulla scena politica mediterranea, trasformando società democratica costituite da città stato, in
regni che apparentemente mantengono una loro autonomia ma che fanno parte di imperi veri e propri
ascesa della corte macedone con Filippo II

Ai quali si riferiscono delle abitazioni prestigiose, che in qualche modo sono quelle in cui la società coeva si
modella, in base alle nuove sollecitazioni dei grandi dinasti, Filippo è il più noto prima di Alessandro Magno.

Il palazzo macedone di Ege Si ha un palazzo con articolazione di tutte le sale rispetto a corte porticata che
diventa la corte con il peristilio, siamo nella seconda metà del IV secolo). Anche a Pella, nuova capitale
macedone, si svilupperanno le abitazioni della aristocrazia macedone.

Pella, Casa detta di Dioniso  nuova accezione dell’abitazione, che


prevedeva 2 peristili(porticato), distinguendo in maniera più netta le
sale ad uso pubblico gli andonitis, e gli ambienti dell’oikos, inteso
come della casa vissuta della componente femminile.

Si è avanti nella decorazione dei pavimenti di queste sale che


rispecchiano le grandi soluzioni della grande scultura e trasferiscono
a livello domestico, gli studi della resa dei corpi in movimento e dei
corpi umani a seconda dell’iconografia che dovevano rappresentare.

I mosaici della casa di Pella sono tra i più famosi, si evoca la presenza
della figura di Alessandro in ruolo esemplare di questo grande
dinasta anche all’interno degli spazi privati come la raffigurazione
della caccia al leone (legata a figura di Alessandro ma anche Filippo),
in quelle attività di capacità di gestire il pericolo, che connotano una
certa classe sociale.

Pella, Casa del Ratto di Elena uno dei mosaici, connotato da questo tipo di iconografie, con 2 personaggi
che si affrontano, in una sfida in capacità guerriere, come ad esempio la Caccia al cervo, gli storici parlano di
questo mosaico che potesse richiamare i soggetti delle grandi pitture, dei grandi artisti dell’epoca di
Alessandro ed Efestione.

Questa abitazione si sviluppa rispetto al peristilio, elemento che viene introdotto nella metà del IV secolo, in
maniera prepotente all’interno della casa greca.
Priene, Casa 33  si segue trasformazione della casa
greca fino a impianto come grande casa aa cui si ispirano
le abitazioni dell’epoca tardo romana e imperiale. Qui
siamo a Priene nel IV secolo, città articolata su diversi
terrazzamenti. La casa che ha accesso dalla strada con
area di interfaccia tra spazio scoperto e ambito
residenziale. Nel corso del tempo, la corte viene
sviluppata verso est e si aggiungono ancora dei vani che
cambiano l’assetto iniziale e premettono un accesso da
sud, invece che dal lato orientale. Quindi si realizzano
delle stanze intermedie che vanno a amplificare la
funzione dell’oikos, di fronte al quale vi è l’esedra, vano
residenziale permette di capire come la casa venga
modificata, per una diversificazione degli ospiti che
vengono ricevuti.

È una società che si trasforma progressivamente, nel


momento in cui crolla il sistema democratico ateniese,
con società che predilige forme di poteri, con acquisizione
di poche famiglie di quelli che erano le attività produttive su più fronti. Si assiste a un impoverimento della
popolazione, a favore di un arricchimento di classi ristrette che comprano lotti di terreno. Passano al servizio
dei grandi proprietari. Non si ha più autonomia precedente.

A.Rumpf , 1935 ha proposto in un articolo di riconoscere specificatamente all’interno a contesti


residenziali come quelli di Delo, quelle che sono le descrizione di Vitruvio, a proposito della casa greca, lui
vuole applicare alla Casa delle Maschere di Delo, tutti gli ambienti che Vitruvio descrive nella casa greca.

Vitruvio indica con 3 nuclei della casa greca:

- componente femminile che chiama inaikonistis, che ha accesso da un lungo vestibolo, che va in una
zona di una corte porticata
- area dell’andronitis, che fa capo sull’area del peristilio
- stanze per ospiti (hospitalia), che costituiva una casa tipiche delle case ricche.

La molteplicità degli spazi di ricevimento è l’elemento più importante. Grande evoluzione quindi si parte da
ogni singolo contesto e tenta di negare ciò che ci possono fornire le fonti.
LEZIONE 10 | 23 marzo 2022

LA GRECIA, IL MEDITERRANEO E L’ASCESA DELLA STIRPE DEGLI ARGEADI nella seconda metà del
IV secolo a.C.
Tra V e IV secolo succedono delle cose piuttosto importanti dal punto di vista sociopolitico, architettonico e
culturale. La caduta di Atene su un piano politico alla fine del V secolo (guerra del Peloponneso, 404 a.C.)
crea una fase di instabilità politica importante che coincide con l’ascesa dei cosiddetti 30 tiranni che vedono
l’imporsi di una politica di indirizzo oligarchico (≠ da quella del regime democratico pericleo). Parallelamente
emergono alcune figure che prendono le redini di una situazione instabile ma emergono anche delle
personalità che fino a quel momento erano state ai margini della Grecia propria, che appartenevano alla
Grecia settentrionale, alla Macedonia. Questa Grecia è una terra che aveva come caratteristica, rispetto alla
Grecia, quella di essere governata da una monarchia → casata degli ARGEADI (si dicevano discendenti di
Eracle)

Questo gruppo è circondato non da pares sul piano democratico, ma da famiglie aristocratiche che
supportano il potere monarchico da cui ricevono dei benefici e che appoggiano le scelte del monarca. Dalla
metà del IV secolo in Macedonia si afferma Filippo II (regna tra 356-336), uno degli ultimi discendenti di
questa famiglia. Si pone con 2 obiettivi:

1. consolidamento del proprio territorio espandendo l’impero macedone verso nord e verso est, in
particolare andando a controllare le terre che corrispondono all’antica Tracia quindi il fronte sul mar
Nero.
2. espansione verso ovest per quale si affida a una serie di alleanze che stabilisce con i capi tribù delle
popolazioni che occupano questo settore (culturalmente molto lontano dall’assetto greco). Riesce a
sposare una principessa epirota, Olimpiade, per assicurarsi il fronte occidentale della costa greca.
Olimpiade non era la prima moglie ma Filippo II si sposerà sette volte perché erano dei rapporti per
creare alleanze.

Dal matrimonio con Olimpiade nasce ALESSANDRO MAGNO (356 a.C.) e poi una seconda figlia, Cleopatra.
Olimpiade è una personalità di grande profilo culturale, iniziata a vari misteri quindi a divinità di tipo elitario
(come Filippo). I due, almeno per un certo periodo ritrovano un comune sentire ma che si sfalda nel momento
in cui Filippo capisce che è più importante instaurare alleanze tramite nuovi matrimoni. Questa distanza viene
anche dal fatto che essendo Olimpiade epirota e non propriamente macedone e greca, dalla compagina
aristocratica macedone è vista in maniera negativa come una barbara. Ad Olimpiade questo approccio non
va bene, soprattutto quando Filippo decide di sposare una giovane ragazza macedone, Euridice. Olimpiade si
allontana e torna in Epiro lasciando una situazione di stallo, che si concretizza dal punto di vista storico nel
momento in cui Filippo, dopo aver espanso il potere verso nord si affaccia sulla Grecia propria (molto
frammentaria in cui era emersa Tebe come nuova potenza militare) e decide che è arrivato il momento di
tenerla sotto le proprie guide.

L’esercito greco è capeggiato da Tebe e Atene. Il grande scontro è quello di Cheronea nel 338 a.C.: la forza
militare di Filippo è una forza totale, incommensurabile con quella greca e Filippo, quindi, diventa l’arbitro di
tutta la Grecia. Questa guerra avrà come esito la distruzione di Tebe e il risparmio di Atene per il prestigio
culturale che la città aveva sempre avuto.

Filippo, che non era tanto acculturato quanto la moglie ma che comunque era uno stratega, non si pone di
fronte alla Grecia come un despota, ma si pone come garante della pace tra queste due città, della stabilità
politica della Grecia che erano continuamente in lotta tra loro. Si inventa una missione, che poi però farà suo
figlio cioè quella di punire i Persiani di aver attaccato la Grecia e soprattutto di aver distrutto l’acropoli di
Atene. A distanza di quasi 140 anni queste grandi guerre, questi nemici vengono rievocati non perché
costituissero dei pericoli concreti ma si tratta di una propaganda strategica funzionale a togliere l’attenzione
sul suo potere assoluto di controllo della Grecia per veicolarlo verso un altro nemico.

Intorno al 338 a.C. con Filippo si pone una nuova fase che si concretizza dal punto di vista architettonico con
scelte che vanno a profilare nuovi messaggi di propaganda che sono dei messaggi funzionali ad esaltare la
figura del sovrano, del potere monarchico rispetto a una comunità che di norma favorisce l’erezione di edifici
della comunità e non di un singolo cittadino in un contesto pubblico.

Santuario di Olimpia → uno dei santuari più importanti dall’età geometrica e arcaica. Tutti gli edifici presenti
sono espressione delle città e delle comunità che si facevano rappresentare attraverso questi monumenti.

Filippo si fa costruire un edificio con il suo nome Philippeion (n°7)


tra il più antico santuario di Olimpia (Heraion) e l’edificio di culto
del fondatore dei giochi olimpici, Pelope (Pelopion). Lo fa in questo
preciso luogo per rimarcare il suo valore, la sua abilità sul piano
strategico e di governo. Questo edificio è orientato verso est (come
gli altri edifici di culto) e vengono poste delle statue delle quali ci
restano 5 basamenti, che secondo le ricostruzioni non riesce a
completar prima della sua morte. L’idea era quella che all’interno
ci fossero delle statue di Filippo, di Olimpiade, di Alessandro
Magno e probabilmente dei genitori di Filippo.

Aldilà di questa costruzione, l’elemento che emerge dalla politica di Filippo è un elemento che si ha anche
sul piano urbanistico se si considera che i due poli di potere della Macedonia settentrionale sono Pella ed
Ege-Vergina.

PELLA → capitale del regno di Macedonia, dove nasce Alessandro e


dove vive anche Olimpiade per un certo periodo prima di ritirarsi in
Epiro. È una città che aveva già avuto una sua storia e
un’edificazione nel V secolo. Si sa che qui era arrivato anche Euripide
alla fine del V secolo. Presenta un impianto regolare con strade che
individuano serie di isolati, con maglia ortogonale con strade di cui
quelle maggiori sono larghe fino a 9 metri. Al centro il cuore della
città è connotato dall’agorà, ampia 200x180 metri, una grande
piazza per le attività amministrative della città. Non si parla di città-
stato in senso democratico ma città con monarca.

All’interno della città di Pella non ci sono edifici caratteristici di una


città-stato. È il centro di controllo del re, il quale ha nel palazzo reale
a settentrione, nel punto più alto della città la sede del potere.
Attorno, oltre ad edifici di tipo cultuale che veicolano i culti e le
credenze della compagine macedone, sono circondati da edifici di tipo culturale: biblioteche, archivi ma
anche città con attorno serie di abitazioni, le quali appartengono prevalentemente a famiglie aristocratiche
che occupavano il territorio in maniera sparsa e che in qualche modo si decide di convogliare all’interno dello
spazio cittadino e dove arrivano anche personaggi di certo livello: Zeusi viene chiamato a dipingere le pareti
del palazzo. Già alla fine del V secolo Pella è un centro culturale.

PALAZZO DI CASSANDRO → ha una serie di nuclei organizzati secondo peristili, che sono la nuova struttura
architettonica che viene prescelta come spazio funzionale a regolarizzare non solo uno spazio scoperto ma
anche le case. Il nucleo del palazzo, che poi è stato ricostruito nella sua fase attribuita a Cassandro, uno die
diadochi di Alessandro Magno e che stabilisce a Pella il suo centro di potere. Si tratta di un palazzo dove c’è
il re, tutta la corte, ma anche la guardia del re, motivo per cui c’è anche un’area destinata a caserma. Ci sono
una serie di sale di rappresentanza alle quali si accede da
ingresso monumentale: pensate per attività simposiali e di
ricevimento. Ci sono anche delle sale di soggiorno e un piano
superiore per le stanze da letto. Secondo uno studio recente
la forma e il posizionamento del tetro è stato individuato a
lato del palazzo, sottolineando una prossimità e una
funzionalità dello spazio teatrale anche in termini di
cerimonialità e di veicolo di messaggi propagandistici con
l’impianto del palazzo. Questo rapporto emerge anche
nell’altra capitale.

EGE-VERGINA → città che ospita il palazzo regale ma città che accorpa anche una serie di luoghi significativi:
teatro, santuari con attorno cinta muraria che si estende lungo l’acropoli con mura larghe 2 metri. Il palazzo
è un edificio interessante per lo sviluppo della tipologia edilizia regale a partire dalla metà del IV secolo. Esso
è stato scoperto nell’800 da una missione francese ma solo nella seconda metà del 900 è stato
completamente scavato dai greci.

Il palazzo macedone di Ege

È un edificio che misura 104x88 metri con un’area di ingresso verso est e
secondo lato a nord. Entrambi con un lungo corridoio porticato, all’interno
del quale sul lato est vengono posti tre ingressi con scelta di quella che era
una ritualità dell’ingresso a palazzo sottolineata da successione di vestiboli,
sottolineati dalle colonne. Entrando, oltre ad esserci probabile area di
guardia, il primo spazio che si incontra è la sala del trono. Essa si apre sul
peristilio centrale quadrangolare (lato medio di 44,5 m) con 60 colonne
doriche che circondano l’area scoperta ma veicolano anche l’acqua dalle
falde del tetto in questo sistema di canalizzazione che viene fatto defluire
all’esterno della struttura. L’impianto del palazzo ha due livelli diversi: verso
nord-est ha una pendenza leggermente inferiore rispetto alla parte sud-ovest.

Sala del trono → sala principale del palazzo ed è la prima che si trova in senso antiorario, che ha all’esterno
una pianta quadrata ma all’interno una pianta circolare. = scelta architettonica simbolica per differenziare in
maniera forte questa sala da tutte le altre. Si chiama sala del trono perché all’interno di questa sala è stata
trovata una struttura che viene interpretata come la base di un trono, ma anche perché qui dentro il re
riceveva gli ospiti ma anche officiava cerimonie, dal momento in cui all’interno sono stati trovati ex voto sia
un’iscrizione con dedica ad Eracle padre, nell’accezione di progenitore della stirpe degli Argeadi. Si sa dalle
fonti che questi re avevano in sé una doppia funzione: di governo (monarchi) e religiosa (sacerdoti).

Quelli che seguono sono vani (non di tutti è stata possibile ricostruire la destinazione) ed è possibile che
esistesse un piano superiore, del quale sono state trovate delle tracce presso le basi delle scale riconosciute
sia ad est che a sud. In questo senso, la parte residenziale era pensata al piano superiore mentre al piano
terra dovevano esserci le sale di rappresentanza. In queste si doveva immaginare una corte che partecipa ai
vari momenti pubblici della vita del re, una corte che deve risiedere in vani di pregevole decorazione, tanto
è vero che è probabile che nell’insieme di sale affacciate a nord e dotate in alcuni casi di banchine per i letti
fossero le sale in cui si ricevevano gli ospiti e dove venivano svolte tutte quelle attività di rappresentanza
proprie della vita di corte. Alcuni vani erano adibiti a magazzini o a locali destinati allo svolgimento di tutte
queste attività. A nord c’erano altri locali, che sono di più incerta funzione perché non sono state trovate
tracce significative per una loro interpretazione.
Vano E → vano sul lato est con sistema decorativo del pavimento, che ha al
centro un motivo geometrico floreale che parte da un grande rosone da cui
partono dei racemi che vanno a creare dei giochi per disegnare elementi
floreali molto ricchi. Il tutto è all’interno di una doppia cornice a meandro e
onda corrente tipica di questo gusto. Agli angoli di questa composizione ci
sono delle figure femminili che nascono dai racemi di questi motivi floreali e
vegetali con l’idea di rimandare a una ricchezza e floridezza di questa
vegetazione che rientra nel gusto dell’epoca.

Vicino al palazzo vi era un TEATRO → interessante perché costruito


intorno alla metà del IV secolo su un’area che non ha u pendio
sufficientemente esteso da poter assicurare la disposizione della
cavea sulle pendici della scarpata. La cavea è stata realizzata
scavando la roccia soltanto nel settore orientale, giacché nel settore
occidentale era stato necessario una sorta di prima struttura
portante. Anche qui ad Ege si riconosce la reciprocità palazzo –
teatro perché non erano semplicemente luoghi di rappresentazione
per la comunità in senso democratico ma luoghi dove i dinasti
facevano sfoggio del loro potere di fronte a una comunità (come insieme dell’aristocrazia che regge quel
potere). In questo teatro avviene l’uccisione di Filippo nel 336 a.C., anno in cui egli è al culmine del suo potere,
ma anche anni in cui Alessandro ha 18 anni con educazione greca data da Aristotele chiamato da Filippo per
assicurare al suo primogenito un’educazione greca (Alessandro deve essere greco a differenza di Filippo). Nel
338 Alessandro è un giovane che dovrebbe succedere al padre per linea diretta ma c’è un problema perché
Filippo ha avuto anche un altro figlio da un’altra donna macedone che potrebbe succedere al trono perché
figlio macedone e quindi considerato dall’aristocrazia locale come il vero nuovo discendente legittimo. A
Olimpiade questa cosa non va bene e per questo motivo si pensa che la vera mente dell’uccisione di Filippo
sia stata lei perché con il figlio aveva un rapporto strettissimo. (quando Filippo sposa la giovane macedone,
Alessandro si arrabbia e decide di abbandonare temporaneamente il padre)

Dal 338 al 336 Filippo si è creato almeno due nemici istituzionali:

- partito democratico greco di cui ad Atene c’erano personaggi di un certo livello antimacedoni;
- i persiani che Filippo voleva conquistare definitivamente.

Ma si crea anche un terzo nemico interno fondamentale che è la moglie e probabilmente anche il figlio.
Questi due anni che portano all’uccisione di Filippo sono cruciali sulle quali converge un evento che Filippo
cerca di creare per ricucire queste discordie che aveva provocato il suo comportamento. = Filippo fa sposare
Cleopatra con il genero cioè il fratello della madre Olimpiade: Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, che aveva
tutti gli interessi di allargare il proprio ambito di dominio imparentandosi più strettamente con la Macedonia.
Questi due si sposano nel 336 a Ege. Al matrimonio partecipano ufficialmente anche Alessandro e Olimpiade.
Aldilà della cerimonia in sé Filippo decide che una parte delle cerimonie si deve svolgere nel teatro. A questa
rappresentazione partecipa tutta la corte macedone e fa sfilare le statue dei 12 dei e tra questi mette anche
la sua, raffigurandosi come tredicesima divinità. Qualcuno decide di chiamare un sicario, un certo Pausania
che accetta di ucciderlo perché costui non lo aveva difeso quando era ragazzino da uno stupro che aveva
ricevuto da uno dei suoi generali. Segue un momento di grande caos. Alessandro e Alessandro il Molosso non
sono vicini a Filippo perché voleva entrare alla fine della parata senza il corpo di guardia per presentarsi al
massimo del suo potere. Pausania scappa e trova fuori dei cavalli che lo attendono, ma non riesce a montare
bene a cavallo e le guardie arrivano e lo uccidono. Ovviamente ci sono molte incongruenze che riguardano
questo racconto. Si tratta di un fatto che pone sulla scena Alessandro come nuovo re. Per alcuni anni, egli
cercherà di appianare le dicerie su sua madre e fomenterà le voci per cui siano stati i Persiani a ordinare
l’uccisione.

Alessandro seppellisce il padre nel settore sud-


occidentale dove vi era una grande area
necropolare → viene scoperto un enorme
tumulo nel 1977 da Manolis Andronikos, il
grande scopritore delle tombe macedoni.

Si tratta di un tumulo di 100 metri di diametro e


12 metri di altezza. Si inizia con smontaggio di
ogni singolo strato dall’alto verso il basso. Non
sanno che cosa c’è ma percepiscono quest’area
poteva riservare delle grandi informazioni.

Si scoprono 3 tombe principali: Tomba I, Tomba II e Tomba III. La Tomba IV verrà scoperta dopo. Sono
affiancate da un heròon, luogo di culto connesso con la venerazione degli antenati e una serie di sepolture
minori.

TOMBA I, Tomba di Persefone = prima tomba che viene scoperta. Era già stata saccheggiata in antico tanto
che non si trova nessun elemento di corredo ma ha conservato ciclo pittorico che è uno dei pochissimi
originali della pittura greca di IV secolo. Da un punto di vista strutturale, questa tomba è caratterizzata da
camere con volta a botte e facciata monumentale che può essere ad una sola cella o a due celle.

Nel caso della tomba di Persefone, la cella era unica.


È detta “di Persefone” perché sul lato settentrionale
rispetto ai quattro lati c’era un affresco con il
rapimento di Persefone, la figlia di Demetra da parte
di Ade. Da un punto di vista dell’analisi stilistica lo
schema pittorico prevedeva la parte dello zoccolo
inferiore con monocromia a sfondo rosso, sopra la
quale dopo una breve fascia su sfondo chiaro si
stende una sorta di predella a sfondo azzurro su cui ci
sono dei fiori di varia qualità (narcisi, gigli, giacinti)
intervallati da animali fantastici, come grifoni e sfingi (animali fantastici con funzione di porsi a metà tra la
vita degli umani e quella dell’al di là) interpretate come creature che anticipano quella che è la grande scena
del riquadro centrale. → il soggetto è il Ratto di Persefone da parte di Ade, re degli inferi che si innamora di
questa ragazza che vede mentre raccoglie fiori con le compagne, e decide di rapirla. In basso a destra c’è una
delle sue compagne che accompagnavano Persefone, una ninfa rappresentata con il braccio sollevato e con
espressione inorridita dall’evento.

La scena è dominata dalla coppia, Persefone e Ade, resi con grande forza. Da una parte c’è Ade che sta
salendo sul carro, che trascina con il braccio sinistro la ragazza rappresentata terrorizzata con gesto di portare
le braccia verso le amiche in senso di disperato terrore e dall’altra parte ci sono i cavalli che sono
rappresentati nel momento in cui stanno per lanciarsi verso la corsa.

È una scena con pochi colori = 4 colori che richiama un aspetto della pittura di questo periodo, cui Plinio ci
parla nel famoso libro 35 della Naturalis Historia dove fa una storia delle varie tappe della pittura antica.
Questo tetro cromatismo usa:

- il rosso sangue per il carro su cui Persefone viene condotta agli inferi ed è un colore molto rimarcato;
- il colore porpora sia delle vesti di Persefone che di Ade prefigurando una sorta di osmosi tra le figure
(Persefone resta 6 mesi nell’ade e per 6 mesi torna dalla madre = divinità polisemica nel senso che
ha sia una funzione ctonia, che urania);
- l’ocra che richiama la terra e non a caso utilizzata per la veste di Ciane perché personaggio destinato
a restare sulla terra;
- il bianco per delineare i corpi in movimento.

Questa rappresentazione è stata ricondotta dagli storici a un possibile


personaggio che era tra i maggiori pittori affermati del IV secolo →
Nicomaco di Tebe che era stato ingaggiato dallo stesso Alessandro per
dipingere questa tomba e anche le altre. Il livello della rappresentazione,
della capacità di usare il cromatismo e di rendere il movimento è un
risultato straordinario. Guardando l’espressione di Ade si capisce il gusto
dei riccioli che sembrano fatti in maniera calligrafica e la capacità di
rendere l’espressione degli occhi voltati verso la fanciulla sono degli scorci
fatti appositamente. Fa capire come la pittura fosse considerata per i
contemporanei una delle tappe più libere perché consentiva le maggiori
sperimentazioni a livello pratico di questi soggetti.

All’interno di questa tomba è stato trovato uno straordinario trono sulla


quale la coppia di Persefone e Ade è rappresentata con pacatezza. Ormai
la coppia è sposata e sullo schienale sono raffigurati entrambi sul trono.
È plausibile che la destinazione della tomba fosse di rango, una delle
personalità di rilievo della famiglia macedone.

TOMBA II, Tomba di Filippo II → tomba più importante a Vergina.

È una tomba a camera con doppia cella, una copertura a


volta e un ingresso monumentale, che corrisponde alla
facciata con porta centrale in marmo fiancheggiata da due
semicolonne doriche. Si tratta di una porta a due ante con
le borchie che caratterizzavano gli elementi decorativi degli
interni delle abitazioni. Sopra la porta c’è un fregio
(5,56x1,61 m) oggetto di varie interpretazioni. È rimasto in
buono stato di conservazione, con scena di caccia multipla
in cui sono rappresentati un cervo, un cinghiale e un orso
all’interno di un paesaggio boschivo nel quale è stato
riconosciuto un contesto macedone-tracio nel quale si
muovono vari
personaggi (alcuni a cavallo, altri a piedi) in un’azione che sembra
coordinata e corale. = Si tratterebbe di una caccia eroica alla quale hanno
partecipato Filippo, Alessandro e i suoi compagni, che voleva raffigurare
simbolicamente la capacità della casata macedone di affrontare degli
atla, delle grandi cacce contro fiere di difficile contrasto e di essere stati
in grado di aver dominato delle terre selvagge quasi leggendarie.

Superata la porta la prima sala, una sorta di anticamera che contiene un primo sarcofago in marmo, che
custodiva al suo interno un cofanetto in oro con stella macedone sul coperchio. All’interno di questo c’erano
i resti cremati di due individui avvolti in un tessuto di porpora, di cui sono rimasti frammenti ben conservati,
Vi era anche un diadema d’oro con foglie vegetali e serie di oggetti che facevano parte del corredo. Da qui
c’era una seconda porta che permetteva di entrare in una stanza più interna, nella quale era posto un
secondo sarcofago in marmo con una seconda scatola aurea, all’interno della quale erano contenute altre
ossa cremate. + serie di gioielli e altri manufatti di altissimo livello circondati da oggetti che erano stati riposti
in occasione del rito di sepoltura. Ci sono anche delle tracce di un letto e di un tavolo in legno, su cui erano
adagiati vari materiali. All’interno di questa sala sono stati ritrovati anche elementi che facevano parte
dell’armatura di colui che era stato seppellito tra cui una corazza in oro e bronzo e uno scudo realizzato con
tecnica crisoelefantina insieme ad altri oggetti destinati alla toeletta e al simposio. All’interno dell’urna le
ossa sono state sottoposte ad analisi osteologica: quelle della prima sala appartenevano a una donna e a un
bambino (la presenza di armi traciche hanno fatto pensare a una sepoltura di una delle spose di origine
traciche di Filippo), mentre le altre della seconda sala potevano essere ricondotte a Filippo, che
evidentemente era stato sepolto qui dal figlio. Aldilà del fatto che appartenga o meno a Filippo, con questa
tumulazione Alessandro mette definitivamente fine al regno di suo padre e inizia il suo regno nel 336 fino al
323. (in 13 anni riesce a conquistare quello che nessuno mai era riuscito a conquistare.

Da un punto di vista rituale questo tipo di sepolture prevedevano la costruzione della tomba, la realizzazione
della cremazione delle ossa, la raccolta delle ossa ed eventualmente la raccolta della terra di rogo. Si
prevedeva l’accumulo della terra di rogo anche al di sopra della tomba perché l’insieme del rituale doveva
essere raccolto e conservato e quindi l’attenzione che si pone oggi negli scavi è proprio quello di non farsi
sfuggire nessun elemento. È un tumulo non realizzato immediatamente, infatti nella Tomba III (forse quella
del figlio di Alessandro Magno) però la complessità del tumulo è alla fine di un processo che ha visto la
sepoltura di più individui in un arco temporale di 50-60 anni.

Gli interventi di sepoltura hanno interessato anche altre zone della Macedonia. Non lontano da Pella, presso
Salonicco nella località di Derveni un’area necropolare in cui sono state trovate altre tombe che possono dare
l’idea della ricchezza di questi personaggi che venivano seppelliti secondo il rituale macedone e che dovevano
essere esponenti della classe aristocratica che sosteneva gli Argeadi.

TOMBA B di Derveni → all’interno è stato trovato uno dei crateri più grandi che ci sono rimasti in bronzo
dorato (alto 90 cm e pesante 40 kg), scoperto nel 62 e che apparteneva ad Astion, figlio di Anaxagoras di
Larisa che era stato cremato e le ossa riposte all’interno del cratere. Su questo cratere si trova molta
documentazione. Da un punto di vista tipologico si tratta
di un cratere a volute che ha tutte le superfici decorate: il
corpo centrale raffigura le nozze di Arianna e Dioniso.
Arianna è seduta e fa il gesto dell’anakalipsis (gesto dello
svelamento, dello sposare il velo che copre la testa, segno
di seduzione che si trova in molte iconografie femminili. Il
mito racconta che Arianna, che aveva aiutato Teseo a
scappare dal Minotauro con il famoso filo, scappa anche
lei da Creta e si imbarca sulla nave con Teseo verso Atene
ma gli dèi hanno previsto altre nozze per Teseo e quindi
lui la abbandona su un’isola. Arianna abbandonata è un
tema che ha interessato molti prodotti artistici dell’arte
greca e dell’arte romana. Il mito racconta che Arianna viene abbandonata mentre dorme e secondo alcune
versioni a un certo punto si sveglia, vede le navi lontane e si dispera; altre versioni raccontano che mentre è
ancora dormiente viene colpita dal thiasos dionisiaco e diventerà la sua sposa.

È un soggetto al quale era già stato riservato un culto, che la vede come signora del labirinto e alla quale
vengono dedicati degli ex voto trovati a Cnosso. Dioniso è raffigurato seduto con il braccio sopra il capo, gesto
di assoluto abbandono (come Arianna mentre dorme): questo sta ad indicare che il corteggio con le Menadi
e i Satiri sono sull’altro lato è il corteggio che prelude al matrimonio di questi due soggetti, i quali non sono
stati scelti dal defunto in modo casuale anche perché sul resto del vaso ci sono altri elementi che sottolineano
il ruolo della figura di Dioniso, seduto insieme ad altre Menadi sulla spalla del vaso. In realtà questo
personaggio è iniziato dai misteri dionisiaci, anche perché si ritiene che il rito di sepoltura che aveva portato
il vaso all’interno della tomba abbia previsto dei rituali riconducibili al mito dionisiaco e in particolare alla
figura di Arianna come soggetto che passa da condizione umana a condizione divina perché moglie di Dioniso
e attraverso il sonno riceve una nuova vita. Ma all’interno della terra di rogo è stato trovato un papiro orfico
studiato e ricollegato a una dinamica di iniziazione, a cui sia il defunto ma anche le altre componenti della
necropoli dovessero essere legati a questi culti misterici. Per quello che riguarda la Grecia settentrionale si
deve immaginare che la componente sociale più elevata come quella aristocratica non fosse esclusivamente
intenta a far parte della corte dei regnanti ma avesse una propria attività a livello sacrale che si traduce in
questi prodotti che veicolano dei messaggi molto forti.

In Asia minore, se si considerano le sollecitazioni che dai palazzi di Pella ed Ege vengono prodotti, si vede
come alcuni siti recuperano elementi propri della città macedone, in particolare l’organizzazione per nuclei
di potere molto ben articolati che si svilupperanno tra III e II secolo. → PRIENE che si trova a metà tra la
regione della Caria e la regione della Ionia, prossima a Samo, è una città molto interessante per diversi punti
di vista:

- città con storia che risale già all’VIII secolo. Fa parte


delle 12 città ioniche che si erano riunite già a partire
dell’età geometrica. È tra quelle città che si
oppongono ai persiani tra fine del e gli inizi del VI
secolo. Nel 494 era stata distrutta dai persiani e viene
poi ricostruita dopo il 479, dopo le varie battaglie che
hanno visto la Grecia prevalere sui persiani.
- Intorno alla metà del IV secolo subì una serie di
alluvioni a causa del fiume Meandro, che da est
scendeva verso sud-ovest. Intorno alla metà del IV
secolo viene in parte ricostruita presso le pendici del monte Micale, in un luogo con diverse altezze
altimetriche che richiesero un’articolazione per terrazze. L’impostazione urbanistica serve ad
assicurare un impianto regolare e quindi uno sviluppo coerente dele varie parti della città, ma
assicura anche attraverso un sistema di rampe e gradinate l’accesso ai diversi spazi della città.
- Dal punto di vista storico, nel 334 è alleata di Alessandro Magno nella battaglia contro i persiani. Sarà
proprio lui che finanzierà buona parte delle spese di ricostruzione della città, tra cui il completamento
del tempio di Atene, a patto che a lui spettasse la dedica del tempio. Solo nel 133 entrerà a far parte
dell’Impero Romano, quando Roma conquisterà tutta la Grecia diventando la provincia d’Asia.
- La città rimase abbastanza indipendente coniando una moneta propria.
- È stata scavata negli anni finali dell’800 dai tedeschi. Si trovava in condizioni molto buone.

È organizzata su 4 terrazze parallele tra loro, realizzate con sbancamento del terreno con organizzazione
solo funzionale ma anche per questioni igieniche nel momento in cui queste nuove abitazioni sono tutte
orientate verso sud e quindi potevano utilizzare la luce naturale e un sistema planimetrico interno
affacciato sul meridione.

- La prima terrazza si trova a 30 s.l.m. e ha delle aree per le attività ginniche.


- La seconda terrazza a 79 m s.l.m. prevede l’agorà e un tempio di Zeus Olimpios con serie di altri
edifici;
- La terza terrazza a quasi 100 m s.l.m. contiene il santuario di Atena Polias, il teatro e un secondo
ginnasio;
- la quarta terrazza a 130 m s.l.m. ha il santuario di Demetra, che fa da punto estremo verso nord della
terrazza.
In totale il dislivello è di 345 metri, superato grazie a serie di percorsi e scale che collegano i diversi nuclei, i
quali sono generati da strade parallele ortogonali che generano circa 80 isolati, che misurano 120x160 piedi
(ca. 35x47 metri). Questi isolati definiti dagli incroci stradali sono affacciati su delle vie che possono essere
larghe da 3 a 7 metri e quelle principali sono sviluppate da est a ovest secondo un sistema ortogonale molto
rigido con presenza di scali idraulici sottostanti ai piani stradali lastricati.

Attorno c’è cinta di mura con torri quadrangolari che consentivano di controllare la città in tutti i suoi lati e
queste mura sono molto spesse che avevano delle porte come accessi monumentali verso il resto del
territorio. Dal punto di vista urbanistico il cittadino poteva contare su organizzazione di aree raggruppate per
finalità molteplici che sono riconducibili alle aree per le attività ginniche e amministrative, aree per il centro
religioso e la gestione della macchina organizzativa; dall’altra parte vi era un sistema di smaltimento
dell’acqua che viene realizzato nel momento in cui viene costituita la nuova forma della città di IV secolo.

Partendo dalla terrazza inferiore, l’edificio principale è il GINNASIO → da un


punto di vista della sua attestazione ci è noto già dall’ VIII secolo, mentre da un
punto di vista strutturale ci è noto dall’inizio del V secolo perché in precedenza
questi luoghi erano prevalentemente aperti come giardini o parchi alberati in
cui venivano fatte le diverse attività ginniche. Sono dei luoghi dove la
cittadinanza a seconda delle età infatti vari ginnasi per varie fasce d’età in città
più numerose e che possono disporre di più area per edifici. Ci sono ginnasi per
ragazzini, per gli efebi, per gli adulti per differenziare l’utenza che poteva
frequentare questi edifici. Non erano solo luoghi in cui si faceva sport, ma
esistevano anche stanze in cui ci si poteva spogliare, dove ci si spargeva l’olio per svolgere meglio le attività
ginniche o quando si era finita l’attività per togliersi con lo strigile la polvere e lo sporco. = potevano essere
presenti delle fontane o comunque delle aree predisposte per il lavaggio degli atleti. Sono anche luoghi
culturali perché qui dovevano trovare posto sale per lezioni, conferenze, sale per banchetti, attività di tipo
pubblico e biblioteche = luoghi per l’educazione, per la paideia dove si esercita anche lo spirito.

Dal punto di vista planimetrico, il peristilio, ossia il portico che circonda la palestra peristilio è il luogo attorno
al quale si sviluppano tutte le altre sale. Questo peristilio (si impone dalla metà del IV secol) è la cifra di questi
edifici che potevano occupare più luoghi della città e che potevano essere prossimi allo stadio come in questo
caso o a luoghi di culto laddove ci fossero divinità che venivano avvertite come vicine e patrone di questa
attività culturale. I ginnasi potevano essere chiamati come queste divinità o con i nomi di chi elargiva denaro
sufficiente o commissionava la costruzione (regnanti o cittadini benestanti). Questi luoghi avevano dei
gestori, ossia i ginnasiarchi che assicuravano la manutenzione degli spazi e il buon funzionamento di questi
luoghi. C’è l’idea di un esercizio che fa bene anche lo spirito che viene poi trasferito nella terma romana
igienica anche se con impostazione diversa perché gli atleti greci erano di solito nudi (in epoca romana questo
tipo di attività non era realizzata a corpo libero). In ogni caso per Priene vi erano due ginnasi: uno nella
terrazza inferiore e uno in quella superiore. Esisteva una seconda fila di colonne che andava a separare lo
spazio settentrionale, in cui avvenivano tutte le attività.

STADIO → ha lunghezza di 109 x18 m con serie di spalti per assistere


alle gare quindi complesso molto articolato.

Nella terrazza superiore lo spazio per l’AGORÀ, anch’essa delimitata


da area porticata sui tre lati est, sud, ovest su cui si affacciano i locali
per le attività commerciali. Soltanto in un secondo momento viene
realizzata una seconda stoà sacra che regolarizza lo spazio
dell’agorà. All’esterno si devono immaginare una serie di edifici che
vanno a circondare l’agorà che inizialmente ha al centro un altare
per i sacrifici pubblici, che in un secondo momento si arricchisce poi
di altri monumenti e statue che finiscono per riempire uno spazio che inizialmente doveva essere abbastanza
libero.

Sul lato settentrionale, affacciati sulla stoà c’erano i due edifici amministrativi principali:

a. Bouleterion → pianta quadrata = 20x21 metri con


serie di gradinate su 3 lati. La gradinata a nord è
appoggiata alla pendice del monte e provvista di serie
di scalette per raggiungere i vari posti. Al centro c’era
l’altare sacrificale per i vari rituali previsti nelle varie
occasioni cerimoniali. È stato calcolato che potesse
ospitare circa 140 persone. Ci sono una serie di porte
che consentivano di muoversi dall’agorà, mentre nella
parte più alta doveva esistere un sistema di copertura
a capriate lignee come riparo alle persone. Nella foto
si vede il rifacimento del II sec. a.C., ma dagli scavi fatti si è capito che è stato solo una ricostruzione
dell’impianto originario del 330. Qui si riuniva il consiglio cittadino che prendeva tutte le decisioni
per la gestione della città.
b. Pritaneion → ha un cortile centrale e alcuni vani che servivano per l’archivio e la gestione delle
attività amministrative della città. Al centro di una di queste sale era custodito anche il fuoco sacro
della città, che doveva proteggere la cittadinanza.

Sulla terza terrazza si trova il grande tempio di Atena (ATHENAION) →


secondo le fonti si ritiene che sia stato iniziato nel 350, corrispondente
alla data di costruzione della città ma dedicato da Alessandro Magno
solo dopo il 334. È attribuito all’architetto Piteo. Per la realizzazione si
realizza spianata per favorire l’organizzazione del tempio in un’area con
dei propilei di accesso. Il tempio è un periptero ionico con l’utilizzo di
una pietra calcarea locale di colore bluastro e che secondo i calcoli fatti
doveva essere stato realizzato secondo un calcolo modulare a partire da un quadrato di 6 metri di lato. Ha
un pronao molto profondo di stilo in antis che dà accesso alla cella, sul
fondo della quale c’è la statua di culto. L’opistodomo è molto ristretto
perché maggior spazio doveva essere lasciato alla cella. Secondo le fonti, la
statua di culto, almeno nel rifacimento del II sec. a.C. doveva ispirarsi a
quella di Fidia = una statua crisoelefantina, un acrolito con parti nude in
marmo e avorio e le vesti in bronzo dorato.

Al di sopra dell’area del tempio, l’altro edificio importante è il TEATRO che


è tra gli esempi più conservati che è stato realizzato in prossimità della
fondazione della città anche se con serie di rifacimenti. Era addossato alle
pendici del monte e quindi la cavea ha un impianto a ferro di cavallo con
serie di cunei che erano serviti da scale che consentivano di raggiungere i vari posti. La situazione
dell’orchestra e della scena è di età romana quindi non si sa esattamente quale fosse la situazione di età
ellenistica.

Nella quarta terrazza → SANTUARIO DI DEMETRA E


KORE

Si tratta di un santuario che non risponde strettamente


alle conformazioni dei santuari per gli dèi olimpici che si
vedono solitamente. In questo caso si tratta di un
santuario completamente chiuso da muri continui,
accessibili solo con porte di accesso che limitano l’ingresso dei fedeli. La tipologia dei templi non richiama
immediatamente il tempio greco dorico o ionico classico ma si pone con struttura quadrangolare che aveva
un accesso a un vano sotterraneo per le offerte a Kore in qualità di divinità infera. All’interno dello spazio
potevano essere presenti statue di sacerdotesse, di personaggi che avevano contribuito a far restare vivo
questo culto di Demetra e Kore assicurandone il proseguo di generazione in generazione.

L’arte di Lisippo, fra classicità ed ellenismo

Se si considera la produzione artistica della seconda metà del IV secolo, si può parlare del maggiore scultore
del IV secolo → LISIPPO

Lisippo è nato a Sicione e secondo Plinio aveva ripensato totalmente all’idea della rappresentazione del corpo
umano perché secondo lui le statue non dovevano rappresentare il corpo come doveva essere ma come è.
L’accezione è totalmente diversa dall’impostazione del canone policleteo che rappresenta l’idea del corpo
atletico maschile. Plinio gli attribuisce oltre 1500 opere.

Si concentra prevalentemente sul corpo umano maschile:

- Per far questo teorizza e realizza delle figure molto più snelle con movimenti più liberi rispetto a
quelli di Policleto, inventando una nuova distribuzione delle grandezze. Affida alla parte alta della
testa un volume più piccolo e più contenuto rispetto alla scelta policletea; quindi, si hanno delle teste
più piccole e le parti che segnano il volto sono complessivamente più piccole. A questa riserva grande
attenzione per i particolari che devono connotare la fisionomia del personaggio: occhi piccoli, bocca
piccola e carnosa, occhi più infossati che fanno risaltare l’aspetto patetico, una delle cifre di Lisippo
e delle sculture dell’ellenismo.
- Altro elemento caratteristico della produzione di Lisippo è quello di rendere particolari specifici dei
personaggi che vuole rappresentare, quindi non più sculture di tipi di cittadini, filosofi, poeti,
strateghi ma opere di personaggi realmente esistiti. Già da Alessandro si imposta il ritratto
individuale, la grande innovazione dell’età ellenistica.

Tra le prime statue commissionate come bronzista anche se poi si specializza anche
nel marmo sono delle statue per un re della Tessaglia che gli chiede di realizzare
gruppo di statue di famiglia impostate, di cui ci resta una statua per il santuario di
Delfi. In questo caso il corpo è atletico e impostato secondo lo schema a chiasmo
policleteo con distribuzione ragionata dei pesi, ma viene maggiormente accentuata
la line mediana del busto e soprattutto il fatto che la testa sia più piccola e la
capigliatura più compatta dà più slancio al resto del corpo che è sviluppato per dare
l’idea di un corpo atletico e meno massiccio dell’impostazione policletea.

Altra opera che gli viene attribuita è l’APOXYOMENOS – giovane atleta che con lo
strigile si deterge dagli oli usati prima della gara e dalla fanghiglia. Dal punto di
vista dell’organizzazione della statua, la scelta della posizione delle braccia sul
davanti fa sì che ci sia molta più libertà nel movimento del corpo ma soprattutto
che i poli di attenzione nella visualizzazione dell’atleta non siano più la parte dei
pettorali ma sia da un lato la testa verso destra e nella postura di un’attività
diversa che non fosse quella dell’atleta policleteo. Il forte patetismo dato dai
particolari dei volti, si ottiene dalla resa degli occhi molto infossati e che
denunciano un’attenzione che non è rivolta verso lo spettatore ma verso
qualcos’altro. Il gioco è quello di accentuare in senso chiaroscurale le varie parti
del corpo.
Copia romana dell’originale in bronzo, ammirato coì tanto da Agrippa che lo portò a Roma, alle Terme di
Agrippa, conservata ai Musei Vaticani. A Roma viene copiato come tipo scultoreo nuovo in molte varianti e
dà inizio a nuova idea di rappresentazione del corpo

ERACLE FARNESE di Lisippo → rappresenta una copia romana di una statua colossale
commissionata tra il 350 e il 340. Viene ritrovata nelle terme di Caracalla nel 1540,
ma solo in seguito viene a far parte della collezione Farnese. È alto 3,15 metri.

Il concetto di base della figura di Eracle punta molto sui volumi e sulle masse
atletiche, ma soprattutto si tratta di un eroe pensoso che non è più colto nella sua
sicurezza e aggressività mentre combatte contro un mostro o una divinità. Tiene la
mano destra dietro le natiche, dove forse tiene i pomi delle Esperidi. Con la sinistra
si appoggia alla clava, su cui è appoggiata la sua leontè, ossia la pelle del leone
Nemeo.

Concetto innovativo → eroe rappresentato in tutta la sua potenza fisica ma che


pensa e medita su se stesso e sulle proprie vicissitudini. Infatti, è rappresentato con
capigliatura molto ricca per questa tendenza ala chiaroscuro che diventa la cifra di questa corrente culturale
tardo classica proto-ellenistica. Lo sguardo è verso terra = meditativo.

Atene gli affida una statua di SOCRATE, 330-320 a.C. che la stessa città aveva costretto al
suicidio. Se fino a quel momento le statue di Socrate erano poche, alla fine del IV secolo
chiedono questa statua che viene posta nel Pompeion di Atene, nel settore nord-ovest
della città. Lo schema della composizione ci viene data dalla copia romana che si trova al
British Museum, dove il filosofo viene rappresentato uno schema tipico dell’iconografia del
grande pensatore con folta barba e capigliatura spettinata, ma vestito del mantello che lo
rende il cittadino per eccellenza.

Lisippo si sposta dalla Grecia e lavora per Taranto, dove gli


vengono affidate diverse composizioni, tra cui uno Zeus
colossale di cui Plinio e Pausania ci danno delle informazioni. Si
parla di 40 cubiti di altezza = 18 metri di altezza → realizza anche una statua
sempre da Taranto che non ci è giunta = Testa di Eracle a Taranto di I sec a.C.,
forse dall’originale in bronzo della fine del IV a.C., alto 5 metri, che era collocato
sull’acropoli della città.

Esiste un originale della metà del IV secolo, scoperto a Roma nel 1885 nell’area
delle terme di Costantino. Si trova al Museo Nazionale romano. → pugile in
bronzo attribuibile a Lisippo o alla sua scuola. È un’opera in bronzo alta 128 cm
che viene datata alla metà del IV sec. a.C. Secondo le fonti, la statua era stata
appositamente nascosta per evitare che venisse depredata per scopi non proprio
artistici e viene completamente ricoperta da una terra depurata, che in qualche
modo si è pensato di usare appositamente per non far rovinare la statua. Forse
tutta questa attenzione era dipesa dal fatto che era opera di un artista
eccezionale.

Raffigura un pugile in riposo che reca delle cifre che richiamano la poetica di Lisippo nella misura in cui
vengono evidenziate le caratteristiche atletiche del pugile, ma di lui vengono anche evidenziate il naso rotto,
le cicatrici sugli zigomi. Lo sguardo è rivolto altrove quindi anche in questo caso atleta pensoso, che riflette
su quello che gli ha recato la lotta a livello di fatica e sforzo.
LEZIONE 11 | 29 marzo 2022

La prima età ellenistica

L’età ellenistica, coincide con la morte di Alessandro Magno 323 a.C, e si conclude con il 31 a.C, con la
battaglia di Azio, battuta da Ottaviano e contro Antonio e Cleopatra, anche lei si ucciderà e con lei si chiuderà
la dinastia dei Tolomei, ed è l’ultima sovrana ellenistica che regna sull’Egitto.

Il regno macedone alla morte di Filippo II, 336 a.C, ma lascia il suo regno ad Alessandro.

Filippo, che tiene molto all’educazione per Alessandro che attraverso Aristotele, guida per diversi anni, con
lui entra in contatto con la cultura greca, e acquisisce una propensione per una cultura che è onnisciente,
non specializzata. Aristotele, si occupava anche di altre cose, come l’analisi dell’anatomia dei pesci, e questa
stessa attitudine alla conoscenza a 360° è la cifra di Alessandro, ed è anche la sua grandezza andare oltre, e
nuovi traguardi. A 18 anni partecipa alla battaglia di Cheronea con il padre, e a 20 anni è il re dell’Impero
macedone. Si tratta di un regno molto esteso che comprende tutta la Macedonia e la Grecia, e era già
nell’idea di Filippo di espandere l’impero verso oriente, che purtroppo non si realizzò per la sua morte, e
questo progetto viene portato avanti dal figlio.

Le fonti sottolineano come il suo sistema di narrazione sia un sistema che ruota intorno al concetto di
propaganda, richiama l’idea che era necessario, vendicare l’onta che i persiani avevano fatto in Grecia con le
guerre persiane.

In Occidente manda il cognato, Alessandro il Molosso, con l’idea di aiutare alcune delle popolazioni greche
dagli attacchi barbari, questa sarà un’azione puramente propagandistica per porre controllo anche lì. Il
molosso viene ucciso e finirà così il coordinamento delle azioni. Quella di Alessandro è una spedizione che
tocca varie città che inizia con battaglia del Granico del 334, dove il re Dario III viene sconfitto una prima
volta, e nel giro di poco tempo, le truppe di Alessandro, si spingono in tutta l’Asia minore, con poi la battaglia
di Isso, e da lì inizia un percorso, che lo porterà lungo la Fenicia, in Egitto, e nell’oasi di Siwa qui le fonti ci
dicono che interrogando l’oracolo, Alessandro scopre di essere anche figlio di Zeus

Negli stessi anni fonda sul Nilo, Alessandria d’Egitto che rimarrà una tra le città più famose fondate da lui.
Proseguirà poi con la vittoria su Dario III a Gaugamela, con impero persiano arrivando a Ecbatana, dove il re
Dario III viene ucciso a tradimento da Alessandro ma a tradimento da un sapabo e Alessandro si proclama
come successore del trono di Persia. Una conquista che muove migliaia di soldati, e raggiungono gli estremi
del mondo conosciuto allora.
Dal 326 a 324 sosta a Susa, nelle città della Persia e qui con il suo seguito dei suoi generali, decide di dar vita
al suo progetto ecumenico quindi fondere i 2 popoli: greci e persiani facendo sposare i propri soldati con
donne persiane. Lui stesso sposa delle donne persiane e questa decisione di porre le basi di un nuovo impero
fondato sulla condivisione segna una nuova fase: l’inizio della comunità ellenistica.

Muore a Babilonia nel 323 per una morte improvvisa che lo uccide a 33 anni. Da qui parte l’età ellenistica che
si concluderà nel 31 a.C., ma che in qualche modo continuerà in seguito.

Le fonti dicono che con Alessandro non partirono solo soldati ma anche molti intellettuali, persone di grande
spessore culturale, per far si che acquisiscano nuove informazioni, nuove competenze, che arricchissero la
cultura greca.

Questa sua proiezione verso la conoscenza e la partecipazione di storici, biografi, artisti, farà sì che la sua
fama si diffonda in maniera eccezionale, soprattutto dopo la sua morte. Gli studiosi hanno sottolineato come
la figura di Alessandro e la sua cifra propagandistica siano stati oggetti di imitazione in quella forma che è
detta limitatio Alessandri che non si limiterà dal punto di vista formale estetico, ma anche si tradurrà dal
punto di vista della persona al di fuori della norma.

Alessandro vuole al suo fianco degli artisti, che possano rappresentare lui, ma anche i dettagli del luogo che
questa spedizione incontra. Grazie a questi artisti viene codificato l’aspetto di Alessandro che deve essere
trasmesso a livello di racconto delle imprese. Attraverso artisti e scultori era possibile veicolare più immagini
per stigmatizzare l’iconografia del condottiero, ma avendo la codificazione dell’immagine del principe questa
immagine poteva essere replicata molte volte e quindi questa immagine diventa il veicolo stesso della sua
intera propaganda.

I 2 scultori individuati sono Apelle e Lisippo, attraverso la figura di Lisippo vengono codificati alcuni originali
del principe che viene presentato in diverse posture situazioni con diversi significati. Prima di tutto viene
scelto il ritratto di Alessandro, il suo volto. Lisippo, fa diverse prove fino a codificare l’immagine ufficiale del
personaggio e inventa delle statue di Alessandro, che saranno degli archetipi e modelli per i successori di
Alessandro che lo codificano come:

- generale in battaglia a cavallo


- un semi- dio, in nudità eroica con la lancia;
- come Zeus, con una duplice valenza di generale e soldato ma anche nuovo dio
- con la sua posa Roxane/Statira

Con Lisippo, avviene un cambio di prospettiva, lui era originario di Sicione, dell’area peloponnisiaca, e ha
acquisito quelle che erano le norme della scultura policletea, degli scultori ateniesi come Fidia. È chiamato
non al servizio di una città, ma di un regnante, quindi la sua produzione non è più pensata per un committente
pubblico ma privato e di fatto la sua era un’arte di corte.

Nuova committenza= nuovi codici espressivi. La produzione di Lisippo arriverà in Occidente e sarà di grande
esempio per le popolazioni successive.

Ritratto ufficiale di Alessandro, ha subito una serie di adattamenti. Gli storici dicono che sono 2 i punti di
riferimento che occorre avere in mente, per avere questo adattamento del ritratto di Alessandro:

- da una parte c’è il gruppo del Philippeion di Olimpia, che prevedeva 5 statue della famiglia di Filippo
e Alessandro, di cui le fattezze non ci sono note
- dalla tomba II di Vergina, alcune partizioni di un mobile, che
è andato perduto, mostrano delle testine con figure a rilievo in
avorio, in 2 delle quali sono state riconosciute le fattezze di
Filippo e di Alessandro.
Nel resto della scultura riconducibile a Lisippo 3 caratteri
fondamentali:
1 Principe è rappresentato con sguardo verso l’altro, le fonti
dicono che la capacità di Lisippo era stata quella di essere stato
rappresentato con uno sguardo umido, in grado di enfatizzare il suo sguardo. Anche il resto della
testa, ovvero il collo si adegua a questo movimento verso l’alto, torcendosi
2 Capigliatura: per la prima volta un principe viene raffigurato con capelli piuttosto lunghi e scomposti
dove la caratteristica è la separazione netta è il ciuffo alzato sulla fronte, postura della capigliatura
che si chiama anastolé si troverà anche nelle sculture di Augusto. È una cifra stilistica, ma sorta di
marcatore della poetica di Lisippo.
3 Disegno preciso che intende rappresentare le fattezze fisionomiche della persona. Non è più un tipo
di persona ma si cerca di rappresentarlo per come era realmente.

Dopo la tappa a Siwa, Alessandro si esalta e comincia a farsi rappresentare con attributi propri di Zeus. Su
questa questione, Lisippo cerca di enfatizzare la figura di Alessandro, c’era stata una controversia tra Lisippo
e Apelle, che per primo aveva rappresentato Alessandro con la fogore.

Tipi iconografici che vengono codificati per volontà di Lisippo, all’interno di una corrente culturale composta
da vari artisti.

1. Alessandro con la lancia  posture meno rigide, possenti di


Policleto. Si ha personaggio con volto rivolto verso un altrove. Lisippo
cerca di andare oltre della concezione del canone policleteo del
Doriforo.
2. Alessandro a cavallo  modello per eccellenza della prima fase di
produzione di Lisippo di cui ci rimangono diverse descrizioni. Piccola
statua trovata a Ercolano, che lo ritrae a cavallo. Si ritiene che lo
spunto per la realizzazione sia da individuare nella battaglia di
Granico dove Alessandro sbaraglia esercito persiano, secondo le
fonti Filippo avrebbe dovuto creare un gruppo di statuette in bronzo
in Macedonia. Questa statuetta è stata trovata dopo la scoperta di
Ercolano. Questa statuetta mostra come la concezione della postura
sia pensata da Lisippo, con l’idea di rendere quanto più enfatica la
forza del movimento, in cui Alessandro che regge le briglie del
cavallo, e con la destra tiene la spada. Il busto è totalmente ruotato
in avanti, rendendo chiara la dinamicità di questo sforzo. Il principe
porta la corazza macedone ma non ha l’elmo, e non ha la barba, altra
cifra caratteristica di Alessandro. Questa rappresentazione a cavallo,
sarà riprodotta molte volte.
3. Alessandro contro Dario III  doveva rappresentare lo scontro tra
Dario e Alessandro di cui ci resta straordinario mosaico, che è stato realizzato alla fine del II secolo
a.C. = mosaico pavimentale fatta con centinaia di migliaia di tessere che molto probabilmente doveva
riprodurre questo quadro famoso all’interno di una cornice paesaggistica che qui è limitata a un
albero secco, visto come elemento che prefigura un futuro non rigoglioso, negativo. Ci sono più punti
di vista, ma si vede Alessandro che irrompe verso il centro della scena dove compare Dario sul carro
e la disposizione su più piani in senso prospettico ma anche in senso di più punti di veduta
consentono di fornire una visione davvero
dinamica di questa battaglia con l’incrocio degli
sguardi tra Alessandro e Dario, veicolati dalla
postura delle lance a destra e sinistra e con fughe
centripete dove i movimenti dei cavalli servono per
spostare punto di vista principale.
4. Alessandro come Zeus  in questo senso è stata
richiamata l’attenzione su serie di pitture di epoca
romana, che sembrano ispirate a queste opere del
primo ellenismo che hanno permesso di definire un
nuovo modo di rappresentazione dei grandi generali, in questo caso dei principi. C’è questa idea di
rappresentare Alessandro con folgore e lo scettro, che richiama le rappresentazioni di epoca classica
che richiama le divinizzazioni del potere.
5. Le nozze di Alessandro con Roxane/Statira  oltre ad Apelle aveva
seguito il giovane principe era seguito da un altro pittore Ezione, al
quale era stato chiesto di rappresentare il momento della
cerimonia nuziale tra persiani e greci, un quadro che doveva
veicolare il concetto di comunità universale. Nelle pitture si ha
un’ambientazione con sfondo strutturato, di un edificio e si è
pensato che dell’originale ci dovesse esserci una rappresentazione
della reggia persiana, doveva essere accollata da una serie di
personaggi. I due protagonisti Alessandro e Roxane sono distinti tra
loro: il primo nella nudità eroica con corpo più scuro rispetto a
quello femminile, mentre la figura femminile con sorta di scettro
che appare come donna di alto rango. Non sono dei personaggi
astratti ma hanno dei tratti fisionomici, che vogliono specificare che sono proprio quei 2 soggetti.

La sua iconografia non muore con la sua morte.  Alessandro dopo Alessandro= ritratti di ricostruzione fatti
dopo la sua morte, riprendono i caratteri dell’iconografia di Lisippo.

Lisippo non lavorò solo per Alessandro ma anche per altri contesti anche in Italia, viene riconosciuto il merito
di essere stato capace di elaborare nuove figure di soggetti iconografici che non fossero solo dei, ma
personificazioni astratte.

Le fonti parlano di una famosa statua in bronzo, realizzata per Sicione che
doveva rappresentare il kairòs (momento opportuno che si doveva cogliere e
non si doveva perdere)  oggetto di studi approfonditi perché attraverso
descrizione fatta dalle fonti di queste rappresentazioni la scelta di Lisippo
sarebbe stata quella di rappresentare un giovane nudo con ciuffo sul davanti.
Questa rappresentazione di un soggetto allegorico apre la strada a soggetti in
qualche modo simbolici, che saranno importanti per questa fase ellenistica
della prima e della seconda epoca.

La pittura nell’età di Alessandro e altri esempi di soggetti mitici o astratti.

Apelle aveva rappresentato una serie di dipinti. Le storie sono state raccolte attorno a Lisippo e Apelle. Plinio
è uno degli scrittori romani che parlano delle opere di Apelle, ma anche ce ne parla Pausania, ma tutti
sottolineano il fatto che Apelle aveva rappresentato il non plus ultra, di quelli che erano i pittori dell’epoca.
Apelle, era originario di Colofone, e aveva fatto una sorta di periodo di apprendistato, a Efeso e Sicione, viene
chiamato a Pella alla corte di Filippo e da lì rimarrà nella corte macedone. Le fonti ci dicono che si era distinto
anche per aver scritto serie di trattati riguardanti problematiche di tipo artistico ed estetico, e tra le vaerie
citazioni della produzione letteraria. In una sua citazione lui parla di due sue qualità nella rappresentazione
ovvero:

- Caris = idea di grazia,


- “So togliere la mano dal quadro” = era capace di raggiungere una perfezione nell’esecuzione, per cui
non era necessario continuare a lavorare sulla stessa opera

Sono state tratte delle descrizioni, con raffigurazioni di concetti astratti come la “Calunnia”, aneddoto, era
stato calunniato da un suo rivale, da un altro pittore alla corte di Tolomeo, Antifilo, che lo aveva calunniato
davanti al re. Apelle trasse spunto da questa maldicenza, da questa calunnia per elaborare una raffigurazione
di un sentimento negativo, di una espressione della negazione della negatività umana.

Più famosi soggetti rappresentati, che ci tramandano le fonti:

- Eracle osserva Telefo allattato da una capretta al cospetto di Dioniso da cui viene tratta una copia
da Ercolano, che potrebbe richiamare la famosa tela.
- Altro artista famoso è Nicia, a cui viene attribuita un’altra opera della quale la civiltà romana ci
fornisce una copia.  Perseo libera Andromeda dal mostro marino. C’è una volontà di creare
un’ambientazione del tutto nuova in un contesto roccioso con personaggi su due livelli diversi. Lei
viene raffigurata ancora incatenata con braccio ancora appeso alla roccia. Il suo abbigliamento è
ricercato, ma è rappresentato nella sua situazione della sua precarietà, con seno scoperto, non porta
i calzari. Il giovane ha gli attributi tipici, le piccole ali alle caviglie, la spada e la gorgone. La scena è
conclusa dalla rappresentazione del mostro stesso in basso a sinistra.
- Atenione di Maronea = altro pittore  Citato da Plinio, come un artista aveva rappresentato Achille
nascosto a Sciro, sotto le sembianze di ragazza per sfuggire alla morte che poi avrà a Troia. Egli è
rappresentato con pelle chiara a livello delle donne. Le copie romane ci danno un’idea della pittura
ellenistica che prevalentemente rappresentava soggetti legati ai miti dell’epoca e che nel caso della
calunnia rappresentavano nuovi soggetti e nuove occasioni per studiare e le posture del corpo
umano.

Alla figura di Alessandro è legata anche opere monumentali e urbanistiche che hanno segnato l’epoca.
L’impero di Alessandro viene diviso tra i suoi generali dà la misura che era un impero troppo vasto e
disomogeneo per essere tenuto insieme dal punto di vista politico. Vengono create delle nuove città e dei
nuovi reggni:

- Macedonia/Grecia: Cassandro, che poi ucciderà dopo la morte di Alessandro uccise Roxane e
Alessandro III
- Egitto: Tolomeo  regno dei Tolomei che terminerà con Cleopatra
- Tracia/Anatolia: Lisimaco
- Asia/Persia: Regno dei Seleuci
- Cipro: Antigono, e suo figlio Demetrio

Questa divisione avrà delle ulteriori modifiche ai confini con i successori.

La città di Alessandria, tra le più interessanti anche se non si conosce tanto. È nota per alcuni saggi tra 800 e
900 e per alcune indagini molto puntuali. Tramite le fonti, si aveva un’ispirazione tramite un sogno, l’idea di
collocare la città davanti al mare e in quella posizione, sul fronte della costa.

Alessandro si era affidato a un architetto e urbanista chiamato Dinocrate di Rodi  complesso urbano che
si estendeva per 5 mila km lungo fascia di terreno con larghezza media di 1,5 m con rete stradale con maglia
regolare. All’interno dello spazio urbano c’era il palazzo del re, gli spazi civici (biblioteca= una delle invenzioni
più importanti di Alessandro, Tolomeo che fanno arrivare i maggiori filosofi, grammatici, copie da più parti
del regno e da più autori, per disporre di una vera e
propria raccolta che darà il via alla filologia classica
perché saranno gli studiosi alessandrini che valuteranno
le conoscenze più vicine alla loro.

La biblioteca e il museo e gli spazi sacri, il ginnasio, il


teatro, il santuario e un’opera sull’isola di Faro cioè il
grande faro, che dovrà indirizzare le navi che si
avvicinavano alla costa considerato poi una delle 7
meraviglie del mondo. Faro poi collegata a una sorta di
diga che era lunga 7 stadi che separavano il porto dalla
terraferma. Questo tipo di costruzione sta a ribadire
come questi centri di vita diventano dei luoghi dove il dinasta risiede e in cui convergono più persone che
contribuiscono a enfatizzare il suo potere realizzando opere di tipo infrastrutturale e culturale.

In queste città si formano anche degli artisti, chiamati anche fuori dall’impero.

L’idea della regolazione degli spazi secondo i centri di potere, come abbiamo visto a Pella.

civici è sempre più ispirata a un principio di ordine e razionalità. Deve essere funzionale. In quei centri di culto
si ha lo scenario in cui vari committenti finanziano delle opere che vanno a ordinare questi centri di tipo
portuale.

Area dell’isola di Rodi con proiezione verso l’alto di questi diversi blocchi su terrazzamenti, che vengono
regolarizzati attraverso la creazione di grandi porticati, uno degli elementi cardine del IV secolo, che
contribuiscono alla gestione di vaste aree.

Nel santuario di Kos, in onore di asklepio, questa stessa necessità e questa stessa stesso bisogno di
organizzare spazi con terrazzamenti. Diventano complessi molto ben organizzati. Nella stessa Atene, viene
delimitata dalle stoai creano una sorta di scena per lo spazio pubblico cittadino.

Santuario di Apollo a Didyme  noto fin dall’età arcaica con dimensioni importanti. Alla fine del IV secolo
intorno al 313 viene ampliato da 88x41 m ad 110x51, con h 20m, e peristasi di 21x10 colonne. Questa grande
costruzione si caratterizza inquanto viene data grande importanza alla
funzione oracolare che viene valorizzata, perché la parte ipetrale della
corte in cui è inaiskos con la statua di Apollo, viene monumentalizzata con
serie di elementi che permettono di accrescere l’aspetto scenografico del
rituale stesso, che prevedeva un luogo in cui venissero interrogati gli
oracoli e scendendo dalla parte visibile del tempio. Attraverso queste scale
i sacerdoti entravano nella corte per interrogare oracolo e dopo aver
ricevuto risposta, risalivano questa scala di 24 gradini che portava fino alla
porta delle apparizioni (14m di altezza) per trasmettere la volontà di
Apollo. Questo tipo di rappresentazione non solo funzionale all’idea della
grandezza, della potenza di coloro che commissionano questo tipo di
costruzioni ma anche funzionali a creare teatralità nello spazio sacro per
assicurare dimensione sovrannaturale e molto partecipata di questo tipo
di rituali, che sono dei rituali di grande partecipazione pubblica che
servivano per veicolare una serie di messaggi voluti dal potere centrale.

Tolomeo I alla fine del IV secolo, incarica uno scultore di nome Briasside,
commissiona una grande statua per il tempio di Alessandria, gli chiede di
creare statua che raffigurasse commistione di popolazioni diverse.
Briasside scolpisce Serapide, che: doveva essere insieme di caratteri dello Zeus greco, ma anche della figura
orientale di Osiride.

La figura della rappresentazione della città da parte di Seleuco deve richiamare e riassumere questi nuovi
elementi che devono trasmettere l’idea di un regno uovo basato sul recupero di elementi precedenti. In cui
la statua della città è una personificazione della città del nuovo regno, che viene raffigurata con nuove cifre
stilistiche:

1 Gambe accavallate, un braccio posato sulla roccia, l’altro che regge le messi, simbolo di ricchezza
(come il modio di Serapide)
2 Testa piccola di derivazione lisippea, con corona turrita simbolo della città
3 Dea seduta su una roccia e posa il piede sull’Oronte, il fiume

La città di Rodi chiede a Carate di rappresentare una statua di grosse dimensioni, un colosso che passa la
storia per essere l’Helios, il dio Sole, in bronzo. Carete aveva realizzato un opera che era il doppio di quella
richiesta, arriva a 32 metri di altezza. Si usarono vari accumuli di denari ottenuti vendendo armamenti lasciati
sull’isola da alcuni nemici. Quest’opera che doveva essere in bronzo, e che per essere stabile doveva essere
bloccata, con pietre ai piedi della statua.

Si diceva fosse sull’imbocco del porto, per segnare ai viaggiatori l’arrivo in città. Plinio la descrive quando la
vede a pezzi, era considerata così sacra che nessuno poteva prelevarne delle parti, che furono poi vendute
in epoca medievale.

Non si sa quale fosse l’iconografia di questa statua, anche se abbiamo alcune


riproduzioni, che ci danno l’idea di come potesse rappresentarsi, in particolare la
copia da Santa Marinella, con la presenza del dio che incede, con al capo la corona
radiata e con la mano destra la fiaccola.

Per la testa di ha la copia di Helios da Rodi, III-II sec. a.C. che è per la resa dei
particolari, è una copia ellenistica di quello che doveva essere l’originale. Dopo
Alessandro c’è l’idea di una cultura, che deve saper trasmettere l’idea di una
nuova società basata sui regni e non sulle città stato che si traduce con opere
monumentali (colossali), che segneranno le produzioni successive.
LEZIONE 12 | 30 marzo 2022

(ripresa lezione 29.03)

Come raffigurare gli esseri umani?

Tema dei ritratti → tema molto importante per l’arte romana. La storiografia ha rilevato come nella fase
arcaica e classica il problema della rappresentazione dei volti nelle statue di persone fosse un tema che in
qualche modo si legava a quella che era la tendenza culturale e sociale dell’epoca volta a definire dei tipi di
persone in quanto rappresentanti di cittadini delle varie poleis. Sostanzialmente, l’idea di rappresentare
individui della città fu una tendenza che delineò una strategia volta a creare dei tipi di individui che
rispondessero a delle classi sociali non in termini economici ma di ruolo sociale.

Fino all’età di Filippo i ritratti sono di tipo tipologico: si andava a delineare dei tipi di cittadini.
Oltre alle giovani donne o uomini nell’età arcaica, soprattutto dal V secolo si pongono delle
statue che hanno dei caratteri che individuano dei personaggi in qualità di stratega (es.
Pericle, copia, Berlino, Staatliche Museum), di poeti o di personaggi che partecipano alla vita
pubblica.

All’interno di questa fase si può notare che già nel V secolo si afferma un primo principio:
rappresentare con fattezze reali degli individui → Temistocle (copia, Museo di Ostia) che è un
primo esempio di rendere le fattezze reali.

È con Lisippo che si definisce la necessità di definire una fisionomia dell’individuo (perché è
necessario elaborare un ritratto codificato della persona che si vuole celebrare) → si parla di
ritratto fisionomico che in maniera realistica (quanto più corrispondente alle fattezze della
persona) definisce i caratteri specifici della persona. Da Alessandro Magno in avanti e
soprattutto con i diadochi si impongono i ritratti dei dinasti che elaborano delle specifiche
caratteristiche che li faranno riconoscere nella loro individualità.

Questa tendenza sul fronte anche pubblico si manifesta a partire dal IV secolo quando vengono
commissionati anche ritratti ed eventualmente statue con ritratti di poeti, oratori che devono far riconoscere
questi soggetti come importanti per la cittadinanza. Per esempio, nell’Atene del IV secolo si impone una
tendenza che mira a rappresentare post mortem i ritratti di Eschilo, Sofocle o Euripide per celebrarne la
grandezza e dando a questi personaggi dei caratteri che si tramandavano nella consapevolezza comune.

Nel caso del Menandro, ci si trova già di fronte a un ritratto fatto quando il poeta era ancora
vivo quindi ha delle fattezze che non sono ancora idealizzate ma presenta dei caratteri che
sono tipici della sua persona: gli occhi piuttosto
infossati e ravvicinati al naso, i capelli trattati con
chiome piuttosto lunghe.

Dall’altra parte i ritratti come quello di Platone o Omero


sono ispirati all’idea del poeta di epoca arcaica di cui
vengono elaborati dei caratteri specifici: la folta barba che va ad indicare
il poeta per eccellenza e gli occhi senza una luce vera perché dovevano
indicare che Omero era cieco.

In qualche modo sono delle spie che ci vanno a chiarire che nel corso del IV secolo va a sostituirsi l’idea di un
ritratto tipologico con un ritratto fisionomico, che sarà caratteristico non solo di tutta l’età ellenistica ma
anche della fase tardo-repubblicana e imperiale romana.

I ritratti di filosofi → ognuno ha una sua specificità che permetta di riconoscerlo come individuo ma allo
stesso tempo ognuno di essi ha la folta barba come carattere che ne connota la statura intellettuale.
Nel ritratto di Aristotele, l’attenzione per i suoi tratti individuali viene accentuata nella
resa delle rughe, degli zigomi molto scavati, di una bocca e un naso ben delineati. Questo
aspetto del ritratto individuale e fisionomico è estremamente rilevante per capire come
attraverso l’arte fosse possibile indicare delle caratteristiche della persona che si voleva
rappresentare. Questa specificità sarà connotativa della cultura artistica dell’età
ellenistica e soprattutto romana

LA MEDIO-TARDA ETÀ ELLENISTICA


Il sito di Pergamo permette di riconoscere sia a livello urbanistico, architettonico e scultoreo una serie di
elementi che connotano quest’epoca. → è un’epoca che a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. fino
al II e I secolo è caratterizzata da un alternarsi di regnanti e personaggi che si impongono sulla scena politica
internazionale e che cercano di ricavarsi uno spazio a livello internazionale.

PERGAMO in Misia → già Senofonte nella seconda metà del V secolo, affermava che questa città era
controllata dai persiani e si caratterizzava come luogo imprendibile perché era arroccata su pendici e con
alture veramente irraggiungibili tanto che alla fine del IV secolo con la spartizione delle terre conquistate da
Alessandro tra i diadochi, Lisimaco, uno dei generali l’aveva scelta come città in cui custodire il proprio tesoro
(9 mila talenti = qualche miliardo di euro). Si tratta di una rocca adatta ad essere la sede di un regno che si
doveva formare ma Lisimaco affida il suo tesoro a un suo uomo fidato (Filetero), il quale dopo un poco di
tempo si dichiara indipendente (281) e si tiene Pergamo. Da questo momento nasce l’embrione di quello che
sarà il regno di Pergamo, che nel corso del III e II secolo a.C. viene ampliato anche grazie all’affermarsi della
dinastia degli Attalidi. Di cui il primo re è Attalo I (241-198 a.C.), Eumene II (198-157 a.C.), Attalo II (157-138
a.C.) e Attalo III, che resta in carica solo 3 anni perché a un certo punto decide che non avendo figli lascia il
regno a Roma. Dal 133 a.C. il regno di Pergamo passerà alla potenza romana, che si impone nel Mediterraneo
quando riesce a sconfiggere i cartaginesi, gli ultimi fautori della libertà greca che cercano di contrastare
l’ascesa di Roma con vari tentativi di sommosse che vengono sedate con la distruzione di ritto (?) del 146 e
di Cartagine con la conseguente costituzione della provincia della Grecia tutta, Acaia.

Il regno di Pergamo dura circa 150 anni ma è un regno che si configura come un tentativo di costituirsi come
un centro culturale di primo ordine, tanto è vero che in questo centro non solo si realizzano complessi
monumentali di straordinaria rilevanza ma si formano anche degli artisti e scultori che sono artisti di corte.
→ artisti che lavorano per un progetto funzionale ad esaltare i regnanti, ma che attraverso questo sforzo
artistico elaborano un modo di fare scultura e arte che creerà una scuola pergamena, dalla quale deriveranno
dei flussi artistici che arriveranno in Occidente e saranno alla base di ulteriori prodotti.

La città si articola su vari livelli, (a partire dal


basso) i quali vengono serviti da una serie di scale
e di rampe che consentono il movimento tra i vari
settori, di cui quello sommitale era destinato
all’ACROPOLI e anche quello in cui si trovano gli
spazi più rappresentativi della dinastia attalide.
Solo nell’acropoli è stata notata una differenza di
quota significativa tra l’area dell’agorà superiore
e gli arsenali a nord = differenza di oltre 100 metri
considerando che gli arsenali si trovano a 350 metri s.l.m. e questa differenza viene compensata dalla
presenza di una serie di terrazze collegate tra loro da scale e da rampe che permettevano il passaggio tra i
vari poli ma anche all’interno di ciascun polo di raggiungere le diverse aree.
A est esisteva una sorta di ingresso monumentale fiancheggiato da un primo edificio destinato al culto degli
antenati, che si delinea fin da subito come un culto diverso delle città dell’Occidente o di edifici come il
Pelopion di Olimpia che era un luogo di culto della comunità per un antenato della comunità.

Si parla di un heroon, di un luogo di culto per la dinastia degli Attalidi stessi, i quali riconoscono la necessità
di avere uno spazio di culto per i propri antenati (legati ad Eracle e Telefo) in quanto si dichiarano discendenti
da questi personaggi mitici.

L’heroon si configura come uno spazio caratterizzato da un’ampia corte con peristilio. Il cortile misura 21x13
metri e ha sul lato est una cappella, che è il luogo di culto principale e sul resto dei lati si aprono una serie di
ambienti destinati allo svolgimento di vari rituali previsti per l’eroe. Questo primo dato permette di
focalizzare l’attenzione sul biglietto da visita degli Attalidi: fin dall’ingresso viene chiarito che sono di stirpe
divina.

Se si prosegue all’interno dell’acropoli il primo nucleo che si incontra è quello dei palazzi dei dinasti. Questa
parte della città è stata scavata dai francesi e di questa parte non sono state trovate porzioni di alzati
sufficienti per immaginare tutto lo sviluppo, ma emerge un’articolazione (cfr. Pella, Ege) di questi grandi
palazzi di regnanti con il cortile porticato su cui si aprivano varie stanze tra cui stanze per il culto del dinasta,
inteso come il culto in cui è il regnante stesso a svolgere delle attività sacre per manifestare la propria pietas
e per sottolineare che in questo tipo di spazio viene manifestata l’adesione del regnante a quelle che erano
le norme comportamentali condivise a livello comunitario.

Poi c’è l’area sviluppata in direzione nord in cui erano i magazzini, le caserme e gli arsenali. Questo elemento
fa capire che il potere doveva essere sottoposto ad un vigile controllo da parte del corpo di guardia che
garantiva la sicurezza del regnante e provvedeva alla sua difesa. Questa parte dell’acropoli è cinta da mura
con torri di avvistamento posizionate a livelli altimetrici superiori rispetto al resto. → Si denuncia l’aspetto
legato alla necessità di difendersi da eventuali attacchi esterni, che ci furono effettivamente e che
consentirono agli Attalidi di celebrare sé stessi come vincitori.

L’altro grande nucleo è quello del tempio cosiddetto di Traiano (in epoca romana fu un tempio di Traiano ma
si pensa che in precedenza ci fosse un culto a Zeus, al quale si sovrappone poi il culto imperiale). →
TRAIANAEUM

Oltre al Traianaeum, l’altra grande costruzione è il


TEATRO. È stato costruito lungo le pendici del monte e
utilizza anche la parte delle mura che in qualche modo
proteggevano il settore orientale dell’acropoli,
sviluppandosi per diverse decine di metri considerando
che la quota dell’orchestra è 46 metri più in basso
rispetto all’area del tempio di Atena.

La cavea aveva i sedili realizzati incidendo la roccia del


monte, costituita da componente tufacea che si rivela poco adatta a sostenere l’impatto dell’utilizzo e per
questo motivo diventa facilmente friabile e nel giro di poco tempo le gradinate furono rivestite in trachite
per proteggere e di preservare nel tempo le sedute. I posti erano circa 15 mila = calcoli fatti sulla base del
numero di sedili disposti su 78 file e separate dalle scalinate che permettevano di raggiungere i vari livelli
della cavea. Quest’ultima aveva in origine un edificio scenico costruito in legno e che poi successivamente fu
monumentalizzato.

La parte a est del teatro prevedeva una lunga stoà, un lungo porticato con dimensioni 245x7 metri con una
sorta di porzione retrostante con funzione di passaggio coperto per eventuale riparo per gli spettatori. A
sinistra di questa c’era un tempio, interpretato come tempio in onore di Dioniso sempre per corrispondenza
con Atene.

Da un punto di vista tipologico è un tempio prostilo e tetrastilo su un alto podio = tipologia più italica; infatti,
sotto i romani questo edificio viene adibito a luogo di culto per l’imperatore.

Al di sopra della parte sommitale della cavea c’è un’area dominata dal tempio di Atena. All’interno l’area è
porticata, cifra della tarda età classica e dell’ellenistico. Si parla anche di un temenos, di uno spazio recintato
e ritagliato nel senso di luogo delimitato rispetto al resto. Questo porticato risale agli inizi del III secolo che
prevedeva una spianata su cui si imposta il tempio di 22x13 metri con 6x10 colonne doriche.

L’altra costruzione principale sull’area sacra di Atena è la


BIBLIOTECA, costruita sul lato settentrionale del cortile.
Costituisce uno dei primi esempi di biblioteche pubbliche
realizzate per la cittadinanza. Si ritiene che risalga al II secolo
a.C. secondo le analisi fatte.

All’interno del vano (in alto a dx) è stato calcolato che fosse
possibile disporre sui lati una serie di scaffalature per contenere
circa 17 mila rotuli, una quantità rilevante di produzioni
letterarie e di vario tipo che sono poste sotto l’egida di Atena
come divinità che presiede anche alle arti. La presenza di questa biblioteca è importante perché, come ad
Alessandria aveva nella sua biblioteca un centro culturale e di produzione filologica molto rilevante, così
anche a Pergamo gli Attalidi si preoccupano di realizzare uno spazio che sia destinato alla promozione dello
studio della letteratura e delle opere culturali. Viene affidata a Cratete di Mallo, uno dei grandi intellettuali a
cui viene affidata la realizzazione di questo centro culturale.

Il cortile del tempio di Atena è uno spazio, in cui secondo delle ricostruzioni, viene posizionato un monumento
che passa alla storia come il grande Donario di Attalo I → voleva commemorare la sua vittoria contro una
popolazione che opprimeva non solo Pergamo ma tutta la regione. Questa popolazione è nota come i Galati,
un popolo di origine celtica arrivato in Asia agli inizi del III secolo perché chiamati come mercenari da un
potente locale, Nicomede, re di Vitigna. Questi, dopo aver svolto la loro attività di mercenari, restano in Asia
e distruggono tutto quello che trovano, nel senso che rimangono barbari e continuano a fare razzie e
distruzioni delle città che circondano la loro zona di posizionamento. Nel momento in cui Attalo decide di
svolgere una campagna di definitiva sottomissione di questi popoli e ci riesce decide di creare questa grande
rappresentazione della Vittoria, che si carica di un significato propagandistico di enorme portata.

Questo Donario era costituito da una serie di statue in bronzo di cui restano le copie romane e che di recente
sono state oggetto di vari studi, tra cui Filippo Quarelli, il quale ha proposto di individuare nell’area circolare
le statue che dovevano raffigurare almeno due tipologie di Galati:

1. Un galata suicida perché non accetta di diventare schiavo


sottomettendosi ai nuovi conquistatori. Prima di uccidere sé uccide la
moglie, che viene raffigurata morente mentre il suo sposo sta per
uccidersi. Questo primo gruppo mostra come la capacità dello scultore
(secondo Quarelli è epigono), che sceglie di dare massima
rappresentazione a quella che è la componente emotiva, patetica della
scena in cui sono rappresentati i vinti piuttosto che i vincitori. I vinti sono
caratterizzati da elementi che li fanno fin da subito riconoscere come
barbari: la donna ha degli abiti lontani dal peplo greco ma soprattutto
ha i capelli corti, una capigliatura diversa dalle statue femminili di
produzione greca; la resa del corpo e dell’atteggiamento del galata è
estremamente raffinata di tutti quelli che erano gli studi sulla corporatura maschile di un guerriero
nudo secondo i canoni estetici dell’epoca. Anche questo è caratterizzato da capelli corti ma
soprattutto portano i baffi che li distingue dalla rappresentazione delle componenti maschili. (questo
si vede anche nel galata morente)
È un gruppo che tende a enfatizzare al massimo il senso del pathos e la torsione del corpo.
2. Il galata morente → statua ricca di aspetti emotivi e rappresenta delle specifiche caratteristiche che
consentono di riconoscere il guerriero galata da quello greco, che porta al collo una particolare
collana che è il torques. Sullo scudo ovale, su cui giace,
c’è una sorta di oggetto ricurvo che è la tromba che i
Galati utilizzavano durante la battaglia e che, secondo
Plinio, è stato un elemento che ha consentito di
richiamare la figura di Epigono perché ci dice che lo
scultore aveva lavorato per Attalo I e aveva realizzato un
trombettiere in bronzo con questi caratteri. Da questa
citazione si è riusciti a ricostruire una serie di elementi
che hanno permesso di codificare gli aspetti caratteristici
di questa produzione.

L’intento è quello di esaltare la capacità del regnante di aver sconfitto dei guerrieri di livello degni di essere
rappresentati. La propaganda che sta alla base di questa esaltazione del barbaro che viene definitivamente
distrutto consente agli Attalidi di porsi alla pari dei Greci quando sconfissero i Persiani ma soprattutto di porsi
alla pari degli dèi che sconfiggono i Giganti.

L’ALTARE DI PERGAMO → altra grande costruzione che è contigua


allo spazio del tempio di Atene sul lato sud della terrazza. Altro
grande edificio dove gli Attalidi continuano a rappresentare sé stessi
come dinasti che hanno delle capacità in più rispetto agli altri.

Ad Attalo I succede Eumene II, che decide di proseguire l’esaltazione


di questo grande evento che aveva liberato l’Asia dai Galati e
costruisce tra il 181 e il 150 un altare orientato verso ovest, verso la
parte bassa della città e si trova al di sopra di 14 metri rispetto
all’agorà. Questo spazio è realizzato all’interno di una spianata con
sorta di ingresso monumentale viene ad essere occupato da questo
grande altare che misura 36x34 metri e che si pone come un enorme
momento commemorativo e autocelebrativo.

Rispetto a uno zoccolo in marmo su cui si pone il crepidoma e l’altare vero e proprio, la struttura è costituita
sul lato occidentale da una enorme scalinata che dà accesso alla piattaforma centrale che è inquadrata da
due avancorpi che vanno in aggetto e che definiscono lo spazio all’interno del quale vi è l’altare sacrificale.
(cfr. grandi altari dei santuari dell’Asia minore come Efeso, Samo, Didyme)

In questo caso le dimensioni sono eccezionali, anche perché l’apparato decorativo previsto per questo altare
si sviluppa al di sopra dello zoccolo con un altorilievo che occupa tutti i lati ma in particolare i lati nord, est e
sud per 2,30 metri ed è lungo 120 metri (→ raffigura la Gigantomachia). All’interno della struttura c’è un
altro tipo di fregio, ossia un rilievo della Telefeia (sulle gesta di Telefo) con altro linguaggio artistico.

I tedeschi che scavarono questo grande edificio hanno trasferito a Berlino l’apparato compositivo della
costruzione e hanno riprodotto il lato occidentale con l’intento di rendere visibile quella che era l’ideologia
alla base di questa costruzione. Questa era immaginata per celebrare la vittoria della civiltà sui barbari ma
soprattutto per utilizzare questa occasione come affermazione della rinascita di una nuova Atene, di una
nuova capitale culturale in cui la realizzazione di un ciclo scultoreo pensato per celebrare gli Attalidi usa la
Gigantomachia come strumento per affermare il ruolo e la potenza di questa dinastia.

Da un punto di vista stilistico questo monumento segna una elaborazione di un modo di rappresentare scene
mitiche, di movimento avvicinato al concetto di barocco (termine per indicare produzione artistica volta ad
enfatizzare gli elementi patetici ed emotivi in chiave idealizzata). Per questo si è parlato di una scuola del
barocco pergameno, dalla quale prenderanno spunto varie realizzazioni artistiche dell’epoca successiva in
cui la ricerca del chiaroscuro, degli effetti patetici, della tendenza ad ammassare corpi per dare l’idea della
violenza e della complessità di questi scontri tra umani e divini potessero rappresentare la tendenza a
rendere patetiche queste iconografie.

La Gigantomachia → lo scontro è pensato con una scelta di definire gruppi di divinità che si scontrano contro
i Giganti che avevano tentato di opporsi agli dèi per il possesso del cosmos (tutte le dimensioni del cosmo:
terra, acqua e cielo). Queste figure sono organizzate su diversi piani per accentuare senso del dinamismo e
questa dinamicità è ottenuta anche attraverso delle composizioni che non sono solo centripete ma in altri
sono anche centrifughe.

Esempio: Atena che viene a tenere per i capelli Alcioneo, uno dei giganti, il quale tenta di opporsi alla dea
trattenendola per una gamba. L’arrivo di una Vittoria che sta per incoronare Atena anticipa il successo degli
dèi sui giganti anche se alla base della composizione emerge dalla terra Ghe, la madre dei giganti con il braccio
rivolto l’alto e lo sguardo rivolto verso Atena implorando pietà.

L’altra parte del fregio, quella interna, è dedicata alle gesta di Telefo. Egli
è il fondatore della stirpe degli Attalidi e figlio di Eracle. Si sviluppa per 79
metri con un’altezza media di 1,57 metri. Vengono raffigurate scene della
vita di Telefo con un linguaggio diverso rispetto al fregio esterno, nel senso
che in questo caso la scelta è di maggiore pacatezza e minore enfasi
patetica alla lotta e alla durezza degli scontri.

Quello di differenziare nettamente in due livelli quelle che erano le diverse


gesta che si volevano raffigurare probabilmente era stata una scelta voluta
da colui che presiedette alla composizione e all’ideazione del programma figurativo.

È stato avanzato il nome di Firomaco come scultore ateniese, che potrebbe essere stato tra quelli che
contribuirono alla realizzazione di questo grande edificio. Non è straordinario solo per la grandezza e per le
dimensioni ma soprattutto perché permette di capire quanto a livello di propaganda il sacro potesse prestarsi
ad essere utilizzato da queste grandi casate come veicolo nella trasmissione
dei messaggi della propria autorità e del proprio potere.

L’AGORÀ chiude il settore meridionale della parte alta della città con un
sistema di sostruzioni che permettevano lo sviluppo, nonostante la forte
pendenza di questo tratto del monte (277 m s.l.m.). per quanto restino poche
tracce si è compreso che l’agorà occupasse un’area di 87x43 metri con serie di
stoai di ordine dorico e serie di botteghe retrostanti in cui erano posti i negozi per le varie attività
commerciali.

Nella parte seminterrata ottenuta con serie di terrazzamenti dovevano


essere collocati i magazzini e tutti gli ambienti di servizio per le attività
commerciali. (foto)

In questo settore vi era anche un tempietto prostilo di 12x7 metri su un


podio di circa 1 metro, su cui si alternano colonne doriche su base ionica
(gusto ecclettico tipico della Pergamo ellenistica). È possibile che piuttosto
che Dioniso come si pensava inizialmente, qui fosse venerato Hermes in
quanto patrono delle attività commerciali.

Scendendo all’area della terrazza intermedia, troviamo a nord-ovest il grande SANTUARIO DI DEMETRA, che
era già stato costruito nella prima fase di Filetero ma che subì degli interventi di ricostruzione in epoca
romana. È un edificio prostilo corinzio, che aveva un grande altare antistante inserito in una serie di elementi
che chiudevano lo spazio sacro in quella prospettiva di culto limitato a una certa parte della cittadinanza.

Il culto di Demetra aveva una cerimonialità notturna che doveva


prevedere lo svolgimento di rituali di notte con partecipazione
limitata alla componente femminile. Tra i vari monumenti presenti
era presente anche un pozzo dentro cui erano state gettate le varie
offerte da parte delle dedicanti che partecipavano all’attività sacra.

Il grande edifico che occupa la parte centrale della terrazza


intermedia è il grande GINNASIO che rappresenta il cuore di questo
settore della città. Non era l’unico ma c’era anche un altro ginnasio
per la componente infantile della popolazione (l’altro per gli adulti). I ginnasi potevano essere più di uno per
rispondere alle diverse esigenze della componente sociale.

Fu costruito su una terrazza di 200x45 metri con un santuario dedicato ad Asclepio e successivamente in età
romana viene poi posto anche uno spazio per il culto imperiale, uno degli elementi caratteristici della
propaganda imperiale destinata a promuovere il potere della casata. Attorno al ginnasio si aprono una serie
di vani e al di sotto c’era un sistema di sostruzioni e porticati per assicurare il superamento dei diversi livelli
del terreno.

La questione dello sviluppo nelle altre zone della città è molto interessante perché permette di ricostruire
come nel corso della seconda metà del II secolo a.C. vengono realizzati una serie di edifici come l’AGORÀ
INFERIORE che veicola ulteriormente l’idea che il regnante assicura alla popolazione più spazi in cui svolgere
le attività. In questi spazi vengono realizzati altri edifici per le diverse questioni amministrative che vengono
sottoposte al re.

Pergamo è un luogo in cui si condensano diverse soluzioni a livello architettonico, urbanistico e artistico. Con
la prospettiva di realizzare e porre a Pergamo un nuovo centro culturale gli Attalidi vogliono esportare la loro
produzione artistica ad Atene, dove la cultura artistica si era sviluppata inizialmente.

Pausania racconta che sull’acropoli di Atene un attalo aveva donato un gruppo formato da molte statue, che
raffiguravano i Galati, gli Amazzoni, i Giganti e i Persiani. Si trattava di un insieme di statue che dovevano
celebrare in una comunità di immagini le vittorie sulla barbarie da parte dei greci e quindi su un piano mitico:
vittorie degli dèi contro i Giganti, vittorie degli eroi greci sulle Amazzoni ma anche le vittorie degli Attalidi
contro i Galati e dei greci tutti contro i Persiani.
Da una serie di elementi si ritiene che le statue dovessero essere 56 in bronzo, alte a 2/3 del vero =
costituiscono il “piccolo donario” che doveva essere collocato nel settore sudorientale della piana del
Partenone come sembrano confermare alcune recenti indagini che hanno individuato dei basamenti posti
sulla sommità dell’acropoli. È probabile fossero state realizzate Attalo II perché da un punto di vista della
scelta figurativa le citazioni del Grande donario sono molte, il che potrebbe significare che il piccolo donario
sia stato prodotto da Attalo II su ispirazione del primo donario e che quindi abbia rappresentato una sorta di
replica per Atene da parte degli Attalidi.

Ci sono varie serie, di cui una parte di copie romane è esposta al


Museo nazionale di Napoli. La cifra esecutiva è marcatamente
barocca e finalizzata a manifestare il pathos dei vinti, (anche se è
probabile che ci fossero anche delle statue degli Attalidi stessi =
quindi vincitori e vinti) e a rimarcare da un lato la forza di questi
nemici ma dall’altro anche la loro inevitabile fine di individui che
sono destinati a soccombere dove viene a prevalere una forza
superiore. L’enfasi del pathos connota la produzione scultorea di III
e II secolo e questi stilemi decorativi si possono cogliere anche in
altri famosi gruppi che rappresentano personaggi del mito.

GRUPPO DETTO DEL “PASQUINO”, copia romana a Palazzo Pitti, Firenze, da un


originale di III-II sec. a.C. → ha una serie di riproduzioni. Il gruppo ha una
disposizione quasi triangolare e mostra una resa differente tra il personaggio in
piedi, vestito da guerriero con elmo e spada al fianco che guarda verso lo
spettatore mentre solleva il corpo nudo di un compagno d’armi morto. Si è
supposto che il gruppo rappresentasse Menelao che regge il corpo di Patroclo,
un eco delle vicende dell’Iliade. Aspetto interessante è la resa del corpo morente
in abbandono in contrapposizione al corpo che è in piedi e che regge il compagno
defunto.

Altro gruppo famoso è il ‘TORO FARNESE’, che rappresenta uno dei grandi
prodotti del III secolo a.C. anche se rimane solo una copia romana in marmo.
È stato trovato nelle terme di Caracalla e poi è confluito nella collezione
Farnese per poi essere esposto al museo nazionale di Napoli. Su questo
gruppo ci sono stati moltissimi studi e ipotesi, ma si ritiene che fosse una
copia realizzata da artisti greci in particolare Apollonio e Taurisco di Rodi e
che fosse stata prelevata e portata da Cassio intorno al 42 a.C. e inserita
all’interno di una famosa collezione di opere: Asini Polionis Monumenta, una
serie di monumenti tratti dalla Grecia ormai conquistata che sarebbero
andati a costituire la collezione di un personaggio di grande statura culturale
come Gaio Asinio Pollione.

Il gruppo rappresenta la punizione di Dirce, la moglie di un personaggio di nome Lico, la cui nipote Antiope
era stata sedotta e messa incinta da Zeus. Il padre di Antiope non accetta questa gravidanza e la caccia;
quindi, la ragazza va da Lico dove viene inizialmente accolta ma la moglie di Lico anziché dedicarle ogni
premura la tratta come una serva. Alla fine, lei scappa e se ne va. A distanza di tempo i due gemelli: Anfione
e Zeto si vendicano del trattamento operato sulla madre da parte di Dirce e decidono di punirla con una
punizione molto truce, ossia quella di essere uccisa legata a un toro infuriato. La scelta del mito, ma anche la
resa artistica della resa del mito è molto cruenta indirizzata a enfatizzare questi aspetti emotivi di alcuni miti.

La composizione del gruppo scultoreo ha una linea ascendente che culmina con il toro. Ha uno sviluppo verso
l’alto con l’immagine del toro all’apice, la figura di Dirce (donna sulla sx) è rappresentata in un movimento di
torsione verso il toro. I due gemelli tentano di tenere fermo il toro legando alle corna la corda a cui è
agganciata la donna.

Questo mito scelto in maniera non arbitrario serviva ad ammonire chi si macchiava di misfatti come la
mancata osservanza del principio di ospitalità nei confronti di chi ti chiede protezione o un aiuto. Intorno alla
metà del II secolo, Eumene II insieme al fratello Attalo avevano commissionato per il santuario di Cizico
(Turchia settentrionale) un gruppo scultoreo in cui erano loro stessi rappresentati come i due gemelli
proponendosi loro stessi come garanti delle punizioni verso chi si fosse macchiato di oltraggio nell’esecuzione
di azioni contro la legge. La cultura pergamena travalica Pergamo stesso e irradia con la propria potenza
espressiva, innovativa rispetto a soluzioni straordinarie dei predecessori di questa fase e va ad influenzare
tutto il Mediterraneo.

Nel Mediterraneo si pone in questo secolo Roma come il novo centro di potere, tanto che Attalo III lascerà
nel 133 il regno di Pergamo a Roma. Infatti, qui si ritrovano opere d’arte di straordinaria rilevanza anche degli
originali perché è a Roma che confluiscono non solo prodotti artistici greci ma anche artisti greci a servire,
produrre sculture, opere o monumenti per Roma, per i grandi personaggi che a Roma dominano la scena.

Fino alla metà del II secolo, quella ellenistica è ancora un’età in cui almeno per il fronte greco vi è una
molteplicità di centri di produzione artistica, centri in cui i grandi dinasti esercitano il loro potere. Nel
momento in cui subentra, per una serie di instabilità politiche, il controllo romano i poli di produzione
diventano diversi e si sposteranno poi in Occidente.

Alla fine, dell’800, in una cantina dell’Esquilino vengo trovate due statue:

- Il pugilatore (cfr. lezione 10), ha creato una serie di problemi


interpretativi perché una buona parte della critica, capeggiata
da Paolo Moreno credeva che fosse da attribuire a Lisippo o alla
sua scuola = fase del primo ellenismo, del tardo IV secolo.
Un'altra scuola ritiene che sia un’opera successiva che si
inserisce all’interno di una produzione che è volta verso
l’Occidente.
- Altra statua chiamata “Il principe delle terme” che secondo
alcuni rappresenta Attalo II perché ci sono una serie di elementi
soprattutto per quanto riguarda la testa che sottolinea dei
tratti fisionomici molto accentuati che potrebbero corrispondere con dei tratti di alcuni ritratti di
Attalo che abbiamo da copie successive. Dal punto di vista dell’impostazione della testa
l’insegnamento di Lisippo di renderla più piccola rispetto al corpo per esaltare lo slancio della figura
è ben recepito anche se le forme sono molto muscolose e che devono rispondere a una committenza
che vuole essere rappresentata così. Circa l’ipotesi che sia Attalo II, sono state avanzate delle critiche
perché normalmente gli Attalidi si facevano raffigurare con benda sul capo, che connota la loro
genealogia di ascendenza regale. In ogni caso il prodotto è eccezionale che va spiegato all’interno di
questa corrente artistica, che si confronta con vari temi e argomenti.
Questo permette di focalizzare l’attenzione su alcune statue che ci fanno intravedere i livelli raggiunti
da questo tipo di produzione.

Gruppo del LAOCOONTE, dal Palazzo di Tito, Roma, metà I secolo a.C., Musei Vaticani → è stato trovato nel
1506 nei sotterranei delle terme di Tito presso la Domus aurea. È stato subito avvicinato a un passo di Plinio,
che dice che questo gruppo rappresentava il sacerdote troiano, Laocoonte, stritolato da dei mostri mandati
da Poseidone insieme ai figli perché costui si era opposto all’ingresso del cavallo a Troia perché ne aveva
percepito il potenziale pericolo.
Plinio dice che era esposto nella casa di Tito e che già all’epoca era
considerato come una delle massime opere scultoree che poteva essere
preferita alle opere in bronzo per la perfezione che aveva raggiunto.

Era opera di tre scultori: Atanodoro, Agesandro e Polidoro. Il gruppo


sarebbe composto dal Laocoonte, rappresentato in un gesto estremo di
contrapporsi ai mostri su una sorta di supporto, che è probabilmente
l’altare stesso su cui morirà. È una composizione diagonale, realizzata
attraverso il movimento delle braccia sia di Laocoonte che dei figli che si
rivolgono al padre anche se ormai soggetti alle spire die mostri.

Si ritiene che questo gruppo sia opera di artisti provenienti da Rodi per
una serie di iscrizioni ritrovate sull’isola e che richiamano i nomi di questi
personaggi che avevano una bottega intorno alla metà del I secolo a.C. =
sono degli artisti che richiamano fortemente la scuola barocca e pergamena anche se ormai Pergamo era
romana. Una parte degli studiosi la ritiene una delle ultime opere delle botteghe greche per Roma; invece,
altri ritengono che sia una copia romana di un originale tardo-ellenistico.

Questo tipo di scultura di impronta pergamena


doveva aver influenzato anche altre sculture e
prodotti artistici, tra i quali si devono ricordare i
grandi gruppi dell’Odissea in marmo trovati a
Sperlonga negli anni ’50 del ‘900. → Sperlonga si
trova sulla costa meridionale del Lazio e qui esisteva
una parte di litorale connotata da grotte. All’interno
di una di queste grotte fu realizzata una sala di
soggiorno della villa di Tiberio.

Questa grotta era costituita da una parte accessibile da terra e una sorta di isolotto artificiale all’interno della
quale era predisposto uno spazio tricliniare. Tacito, un altro storico di età romana, racconta che Tiberio qui a
volte pranzava e che nel 23 era crollato il soffitto, al quale crollo l’imperatore era sopravvissuto.

Da un punto di vista archeologico si è compreso che nel corso dei secoli quest’area fu poi abbandonata ed in
epoca tarda tutto il gruppo che rappresenta l’ACCECAMENTO DI POLIFEMO da parte di Ulisse e dei compagni
fu volontariamente fatto a pezzi e gettato all’interno della vasca che occupava una parte di questo isolotto.
Una parte delle sculture è stata ritrovata, mentre l’altra parte no.

La rappresentazione dell’accecamento di Polifemo non è tra i primi esempi, perché viene raffigurata anche
nei vasi arcaici. L’intento della composizione è quella di creare un movimento dinamico che ha una
composizione triangolare con l’apice sulla testa del mostro. Anche se alcuni personaggi sono frammentari, si
capisce quanto dovesse essere movimentata la scena che doveva essere rappresentata.

Ancora una volta gli stilemi sono quelli del barocco pergameno. È soprattutto
nella resa dei volti, delle capigliature, nelle espressioni che si evince questa
cifra stilistica.

L’altro gruppo che si è potuto ricomporre dalla grotta di Sperlonga è il GRUPPO


DI SCILLA, Museo di Sperlonga, metà I sec. a.C. → nel mito omerico è un
mostro che rapisce Ulisse e i suoi compagni. Il mostro emerge dalle acque e ha
una parte di corpo a forma di donna, mentre quello inferiore ha delle spire di
serpenti e corpi di cane che assalgono la nave di Ulisse e distruggono
l’imbarcazione e uccidono i compagni di Ulisse.
Anche in questo caso si può sottolineare questo forte patetismo che emerge da questo gruppo. Ancora una
volta è riconducibile ad Agesandro, Polidoro e Atanodoro di cui restano alcune parti dei nomi nel gruppo di
Scilla. Secondo altri, sarebbero delle riproduzioni successive.

Si capisce quanto queste influenze dal mondo orientale arrivino in Occidente e quanto siano attente a
rappresentare in modo diverso dei soggetti già ampiamente noti o già oggetto di sculture o pitture con un
linguaggio diverso → linguaggio che cerca di veicolare non soltanto le richieste di eusebeia, di esaltazione di
vittorie, di grandi eventi comunitari che potevano suggellare il sentimento comunitario della polis ma nell’età
ellenistica si cercano anche nuove sperimentazioni e nuovi soggetti che prima non venivano considerati come
degni di essere rappresentati.

Tra questi soggetti ci sono personaggi della comunità che sono ai


margini, non composizioni di rilevo → la VECCHIA UBRIACA è uno di
questi personaggi di cui si hanno alcune repliche (Gliptoteca,
Monaco, da ambiente microasiatico, fine III secolo a.C.). In questo
caso l’idea è quella di esprimere un corpo decadente che è arrivato
alla fine. La resa dei particolari del volto come le rughe, l’espressione
persa dallo stato di piattezza mentale dovuto all’essere sempre in
stato confusionale da ubriaca la rendono interessante da un punto
di vista artistico.

IL VECCHIO PESCATORE → anche lui ai margini della società ellenistica, che vuole delle
immagini che siano fonte di evasione dalla quotidianità quindi i generi non richiamano
solo all’ordine, alla vita comunitaria ma dei generi di evasione che consentono a chi
commissiona queste opere di godere di una sorta di libertà attraverso queste opere.

I soggetti sono molti e possono anche essere legati al mondo della cultura, al mondo
femminile inteso come soggetti mitici (le Muse) o con rappresentazioni che mostrano i
soggetti femminili come divinità ma anche come personaggi reali che decidono di
rappresentarsi all’interno del proprio spazio domestico.

Il gusto ellenistico di questa fase predilige anche gruppi legati


all’ambito personale e privato: gruppi erotici o legati alla sfera
dionisiaca. L’arte romana riproduce molti esemplari, che ci permettono di capire come
aldilà delle grandi opere esistesse una produzione di genere che doveva allietare e
abbellire gli spazi privati.

Eros e Psiche sono dei soggetti molto frequenti ma altrettanto i gruppi erotici dei satiri
con le Ninfe e le Menadi o gli Ermafroditi si trovano frequentemente riprodotti. Veicolano
l’idea che la sessualità fa parte della dimensione quotidiana, del privato e quindi anche
questa sfera merita di essere rappresentata.

Questa sfera erotica si manifesta anche attraverso dei nudi che prediligono il lato B
rispetto al lato A del corpo femminile → AFRODITE CALLIPIGIA, uno degli esempi che
meglio rappresentano questa attenzione per il lato B.
Altro esempio → ERMAFRODITO DORMIENTE, rappresentato disteso con
la pancia in giù che denuncia questo genere di attenzione.

Da una parte la sfera erotica, dall’altra il mondo dionisiaco inteso come


mondo di evasione, del simposio, mondo in cui i grandi proprietari
passavano molta parte del proprio tempo diventa un
oggetto di rappresentazione come il SATIRO DANZANTE → ha prodotto serie di ipotesi
interpretative. Si poteva trattare di un originale del IV-III sec. a.C. o un prodotto sempre
originale ma molto più tardo. È stato trovato in Sicilia nelle acque di Mazara ed è
l’espressione di questa tendenza artistica che predilige i soggetti legati a Dioniso come
soggetti per i quai si tentano anche delle elaborazioni formali che scardinano le
soluzioni precedenti. Questo satiro è pensato per rispondere all’idea della danza, del
movimento, della torsione del corpo e della postura della testa totalmente a seguire il
ritmo della musica.

Altro sito interessante è l’isola di Delo → DELOS, importante perché svolge un ruolo chiave in un torno di
tempo ristretto = circa 80 anni dal 166 a.C. quando viene nominato porto franco per contrastare altri poli
contrari a Roma fino a quando viene distrutta da Mitridate nei primi decenni del I secolo a.C.

Prima di questa epoca, l’isola ha svolto un ruolo molto importante perché per la tradizione mitica in
quest’isola si era rifugiata Latona per sfuggire alle ire di un’altra donna, Era, gelosa della sua gravidanza
generata dalla sua unione con Zeus. Latona si rifugia in quest’isola per partorire i due gemelli: Artemide ed
Apollo, i quali nascono a Delo presso una pianta che sorgeva su un lago sacro e da quel momento i due dei
diventano patroni dell’isola. Infatti, qui c’era un santuario di Apollo a cui prestavano devozione varie città
dell’Egeo ma soprattutto presso il santuario era depositato il tesoro della lega delio-attica che poi verrà
trasferito ad Atene sotto Pericle.

Durante la guerra del Peloponneso insieme al santuario di Epidauro viene decretato sito sacro in cui non si
poteva svolgere nessuna attività contraria a quella religiosa. In quest’isola varie personalità tra cui Antigono,
Gonata e Filippo V di Macedonia costruiscono vari edifici per omaggiare gli dèi con dei monumenti.

Questo centro riveste un ruolo importante quando nel 166 viene stabilito che qui ci fosse un porto franco,
dove si potevano svolgere attività commerciali liberamente. L’isola diventa un grande centro di commercio
non solo per i Greci ma anche per gli italici; infatti, qui ben presto si crea una grande comunità di mercanti
che si insediarono nell’isola e che diedero il via ad una grande proliferazione di edifici privati e di domus.

Questo centro diventa una sede interessante perché ci sono una serie di individui, dei mercatores italici, dei
mercanti che si recano qui per trasportare e vendere le proprie merci e per acquisire nuovi oggetti che
vengono dalla Grecia e dall’Oriente.

Tra gli edifici più importanti il sito più interessante è l’AGORÀ DEGLI ITALICI →
secondo la missione francese (che ha scavato sull’isola e alla quale si deve una
grande cura nella registrazione di tutti i dati emersi negli scavi) l’agorà viene
costruita intorno alla metà del II secolo a.C. e diventa la sede di associazioni
mercantili in cui si decidevano le strategie commerciali. Qui si riunivano i principali
artefici dei grandi movimenti commerciali anche verso Occidente.

Dal punto di vista planimetrico si tratta di una grande corte scoperta a pianta
trapezoidale chiusa da un muro continuo su cui si aprono serie di ambienti ed
esedre che dovevano essere coperte da grate. In questo spazio avevano sede degli
incontri di tipo commerciale. Secondo delle ipotesi di 30 anni fa si era ipotizzato
che qui ci fosse la tratta degli schiavi, cioè che tra i prodotti venduti ci potessero essere anche tutte quelle
persone che erano state sottomesse dalle conquiste romane in Grecia o in Asia che perdevano il loro statuto
di cittadino libero e diventavano merci.

Sabone dice che a Delo potevano essere presenti anche 10 mila schiavi al giorno che venivano distribuiti e
acquistati dai vari mercatores. L’ipotesi è stata quella che in questo spazio avvenisse la contrattazione della
vendita degli schiavi nel lato occidentale dove è stata trovata una zona adibita a terme = si è ipotizzato che
gli schiavi venissero lavati prima di essere esposti nei vari padiglioni e nei vari ambienti della piazza. È solo
un‘ipotesi ma dalla metà del II secolo affluiscono a Roma e in Italia numerosi schiavi che andranno a sostituire
la manodopera pagata italica e a lavorare per le grandi ville, per i grandi possedimenti fondiari dei patroni
romani creando una nuova forza lavoro a costo zero che permetterà un enorme arricchimento da parte di
alcune famiglie che trarranno vantaggio da questa manodopera. Studi di circa 40 anni fa sulla base di studi di
alcune ville produttive hanno evidenziato che in Italia si assiste a una produzione schiavistica che permetterà
di arrivare ad accumuli di ricchezza ossia a strutture produttive di straordinaria ampiezza.

Delo è importante anche per l’architettura domestica perché qui in un arco temporale di quasi cento anni si
può registrare una costruzione di diverse abitazioni improntate allo schema
tradizionale a peristilio e che si possono ampliare nel corso dei decenni tanto
quanto si arricchiscono i proprietari che le detengono.

CASA DEL DIADUMENO, II secolo a.C., nell’isolato di Bijoux → da qui proviene una
famosa copia del Diadumeno di Policleto. La gamba sinistra manca, ma in qualche
modo viene sostituito da delle pietre, tanto per dare l'idea della statura della
statua. Una sorta di ‘pastiche’ che unisce alla riproduzione dell’opera di Policleto
la variante della faretra apollinea, qui usata per decorare il sotegno della statua.

Altre abitazioni → MAISON DE HERMES, chiamata così perché è stata trovata un


erme di Hermes. È interessante perché sviluppandosi su più piani recepisce il
concetto del peristilio centrale, della corte come pozzo di luce. È un pozzo perché
è una casa a più piani, che segue le pendici del colle.

Casa tardo-ellenistica = rispetto a questa si sviluppano le case tardo-repubblicane


con la relativa decorazione delle pareti.

Echi di pittura tardo ellenistica in Occidente

Come per le sculture, anche la pittura in questa fase cerca di soddisfare un gusto del pubblico che richiede
soggetti temi e soggetti volti ad allietare la quotidianità e incuriosire quelli che erano gli spettatori del
prodotto finale. Questo tipo di genere ha grande fortuna in Grecia, ma del quale ci restano degli echi nella
produzione occidentale tardo-ellenistica con alcuni mosaici firmati e trovati a Pompei nel 1764 nella villa
suburbana di Cicerone.

I SUONATORI DI DIOSCURIDE → Dioscuride di Samo, del quale si legge la


firma in alto a sinistra del dipinto. Si tratta di un pannello musivo di 43x41
cm datato alla seconda metà del II secolo a.C. e che potrebbero essere stati
concepiti come emblema, come quadro centrale all’interno di un mosaico
di più grandi dimensioni.

Rappresenta una scena ambientata all’interno di un contesto teatrale,


dove si vedono dei musicanti (due personaggi maschili): quello a sinistra
reca delle nacchere, quello a destra un cembalo, i quali sono colti mentre
ballano davanti a un edificio (si vede la parete e la porta d’ingresso sullo sfondo) quasi a mettere in scena
una sorta di danza teatrale. Sono accompagnati da una donna (sx) che ha un abito complesso di una certa
eleganza che suona un flauto e sua volta affiancata da un ragazzino che incuriosito guarda la scena.

È possibile che si trattasse di una rappresentazione di musicisti ambulanti legati al culto di Cibene per via
della presenza del cembalo, strumento sacro alla dea e che fossero inseriti all’interno di una
rappresentazione di commedia per i tratti teatrali dei volti dei personaggi.

Altro mosaico firmato da Dioscuride → LA FATTUCCHIERA DI


DIOSCURIDE, mosaico di 42x35 cm che rappresenta un’altra scena
legata alla commedia di Aristofane in cui ci sono dei personaggi
all’interno di uno spazio chiuso (lo si capisce dallo sfondo e dagli
elementi architettonici che consentono un’ambientazione della scena).
Ci sono tre donne sedute su degli sgabelli al di sopra di tre gradini. È
possibile che ci fosse una sorta di inquadramento teatrale.

Si parla di un mosaico che rappresenterebbe una fattucchiera, nel


senso che delle tre donne, le due sedute a sx sono delle signore ben
vestite che siedono anche su cuscini molto pregiati e che sono comodamente sedute davanti a un tavolo
quasi a bere il tè. La donna a dx che reca probabilmente una maschera che la connota come una vecchia è
forse una maga, alla quale le due donne si rivolgono per avere una qualche informazione magica. Si è pensato
che potesse essere una sorta di consulto della fattucchiera con una ragazzina che è ai margini della scena che
assiste al consulto con l’idea di trasmettere una scena di genere che poteva essere lo specchio di scene
teatrali che costoro avevano potuto vedere a teatro.

L’artista è un personaggio che sa rendere con tessere minutissime gli effetti chiaroscurali e gli effetti delle
luci in maniera molto elevata e precisa, che ci dà l’idea di tutto il lavoro di preparazione di realizzazione dello
schema da cui egli è partito.

Altro personaggio attivo intorno alla metà del II sec. a.C. → SOSO DI PERGAMO, un mosaicista attivo a
Pergamo che realizzò diverse opere, tra le quali due citate da Plinio e che influenzarono la cultura artistica
romana tanto che furono oggetto di tante repliche.

Esempio: Le colombe che bevono da una coppa, da un recipiente di


metallo = soggetto di cui ci rimangono diverse copie. Sono dei prodotti di
altissimo livello per la capacità di rendere la luce che illumina il bacile e le
colombe tanto che si vede l’effetto dell’illuminazione.

Plinio ci dice anche che Soso inventa un tipo di mosaico che farà storia →
asàratos oikos ossia l’ambiente non spazzato. L’ambiente tricliniare che
appare come doveva risultare alla fine di un banchetto, con tutti gli scarti
del cibo a terra. C’è l’idea di
rappresentare la sporcizia di una
sala come soggetto artistico e questo è un modo di decorare le
superfici pavimentali, che troverà grande seguito a Roma e
nell’Occidente. Mostra come questo tipo di cultura sia una cultura che
cerca nuovi temi per rappresentare la quotidianità.

Questa quotidianità è fatta anche di soggetti naturalistici come i grandi “cataloghi” di pesci o animali che
ottengono statuto artistico alla pari di altri temi e soggetti. Anche qui torna la lezione dei grandi pensatori di
osservare gli animali e la natura e tutta la produzione di tipo culturale che con Alessandro e Aristotele ha
lasciato traccia.
Ci sono anche altri soggetti che possono costituire fonte di
ispirazione → mondo dell’Egitto e dell’Oriente e soprattutto il
mondo dei Tolomei diventa un soggetto che riceverà grande
attenzione anche perché nella stessa Alessandria si sviluppa una
scuola artistica che opererà non solo lì ma anche in tutto il
Mediterraneo. In vari contesti occidentali si è parlato di artisti
alessandrini nel momento in cui si riconoscevano degli stilemi
tipici di questo MOSAICO NILOTICO trovato nel 700 a Preneste,
vicino a Roma = grande santuario in onore di Iside di fortuna
primigenia, laziale del II secolo a.C. in cui vengono chiamate
maestranze alessandrine per decorare una sala in cui è stato
trovato questo pannello musivo. Questo rappresenta l’Egitto e il Nilo dall’ambientazione urbana che si nota
nella scena in basso, fino alla parte interna e più selvaggia della regione del Nilo.

Il mosaico è organizzato su diversi livelli e le ambientazioni alternano aree dove cvi sono costruzioni con serie
di personaggi. Sulla parte in fondo nell’area del porto c’è un grande edificio colonnato protetto da sorta di
grande velario sotto cui si svolgono scene di ambito religioso + serie di imbarcazioni che si avvicinano al porto.

Andando verso la parte meno abitata di Alessandria si incontrano sempre meno costruzioni e persone che
lasciano il posto ad ambientazioni agresti, naturali, selvagge dove troviamo vari animali esotici fino ad
arrivare alle terre più lontane connotate da rocce, da elementi di un paesaggio selvaggio a testimoniare
questa gradualità della rappresentazione e questa scelta di mostrare un affresco paesaggistico così
straordinario.

Esiste anche tutta una produzione di oggetti di piccole dimensioni che


dovevano far parte dell’arredo di lusso dei grandi dinasti → LA TAZZA
FARNESE, uno degli oggetti più noti e più studiati che ha avuto una
complessa storia di collezionismo perché da Roma passa a Bisanzio, poi
torna in Italia e finisce nella collezione Farnese e attualmente è al Museo
archeologico nazionale di Napoli.

Si chiama tazza ma in realtà è un blocco di agata sardonica, un vero e


proprio cameo prodotto sempre nell’Egitto tolemaico intorno alla metà del
II secolo e viene lavorato in modo da costituire all’interno del blocco una
serie di immagini che rappresentano apparentemente dei soggetti statici.
In realtà si tratta di una rappresentazione dal basso di Iside che è seduta su sorta di sfinge, ai suoi lati c’è la
raffigurazione di personificazioni: la piena del Nilo e la raccolta delle messe sulla destra. A sinistra c’è una
figura barbata che probabilmente il Nilo seduto con la cornucopia, simbolo dell’abbondanza e in alto ci sono
due giovani che rappresentano i 20 efesi che favoriscono durante la stagione delle piene del Nilo la fertilità
della regione.

Sulla base dello studio di questi tratti si è pensato che nelle 3 divinità fossero rappresentati i dinasti dei
Tolomei e in particolare: Osiride che sarebbe rappresentato sulla sfinge con volto umanizzato; Tolomeo V
Epifane, regnante tra 203 e 181; Iside rappresenterebbe la madre Cleopatra che regge il trono fino a quando
il figlio Tolomeo VI raggiunge l’età matura; e Trittolemo starebbe ad indicare suo figlio che succede al trono
tra il 181 e il 160.

Questo cameo, nonostante abbia delle immagini legate al mito, è un prodotto che veicola l’apoteosi e di
autorappresentazione dei regnanti stessi.
LEZIONE 13 | 5 aprile 2022

L’Occidente italico: la protostoria di Roma

Dal principato di Augusto si ha un periodo molto lungo che vede un progressivo ampliamento in termini di
architetture, monumenti, iconografiche che spazieranno in tutto il periodo romano.

Nella fase tardo-repubblicana e augustea mettendo insieme molteplicità di sistemi, prodotti.

Tradizione letteraria di Roma, che nell’età augustea di è tentato di codificare la storia romana, che si
tramandavano una serie di informazioni, che parlano della realtà delle città civiche, della civitas di Roma.

Rispetto queste informazioni letterarie, trasmesse, esiste anche dopo tutta la documentazione
archeologica, che ha avuto negli ultimi 30 anni una grande spinta innovativa. Che va grazie all’indagine
stratigrafica, che ricostruisce le testimonianze più antiche.

Informazioni letterarie e archeologiche, come fonti vanno a ricostruire la storia della città, ma che non
combaciavano.

Si ha un insieme di gruppi che si sono uniti e hanno costituito il primo gruppo.

Nel momento in cui la società complessa con la propria stratigrafia tenta di porre un ordine nelle informazioni
seleziona e predilige una certa prospettiva rispetto ad un’altra.

L’archeologia negli ultimi 30 anni ha permesso di dare delle risposte a delle questioni che la lettura delle fonti
letterarie antiche aveva posto, soprattutto dagli studiosi ottocenteschi.

L’idea stessa della nascita di Roma sia il frutto di 2 tradizioni:

1. Tradizione si sviluppa in ambito greco, e che collega nascita di Roma a dei fatti greci per eccellenza,
quali furono i ritorni degli eroi troiani dopo la guerra di Troia in patria. Nella corrente greca la nascita
di Roma si collega dalla fuga di Enea di Troia, e il suo arrivo nelle coste laziali, e l’inizio di una “nuova
Troia”.
2. Nelle terre di Roma, nell’area centro italica si sviluppa una storia di un personaggio locale, che diventa
colui nasce la città di Roma. Romolo, da cui solo in seguito viene associato ad Enea, è colui che prende
il nome da Roma, Romolus (nome dal luogo in cui nasce).

Questa duplice tradizione che ha convissuto nella cultura latina e romana, si ritrova a stridere perché
personaggi collegati a due momenti distanti. Per risolverla ci sono i grandi filologi alessandrini ed ellenistici,
che raccogliendo tutte le tradizioni sui vari miti, storie legate alla fase più antica della civiltà mediterranea.
Uno storico e intellettuale come Eratostene nel III sec a.C stabilisce la data a cui risale la caduta di Troia 
da questa data si poteva far risalire tutte le vicende legate ai personaggi legati con Troia.

In età tardo ellenistica e tardo repubblicana, le 2 tradizioni quella greca e indigena si uniscono. Enea dopo
la caduta di Troia, arriva nel Lazio, conosce il re indigeno Latino e sposa la figlia Lavinia, quindi i due regni si
uniscono. In onore della moglie, fonda Lavinio (oggi in provincia di Pomezia).

Da qui inizierà questa unione, che porterà il figlio di Enea, Ascanio a fondare Albalonga. Dalla genealogia dei
re che sono 30, si arriva a Numitore che diventa l’ultimo re che un fratello minore Amulio, che spodesta il
fratello e impedisce a Rea Silvia di generare figli che potessero salire al trono. Marte si innamora di Rea Silvia,
che genera Romolo e Remo, che verranno lasciati sul Tevere in una cesta, poi raccolta da Fausto che è il
pastore che li darà alla lupa. Queste due tradizioni, greco-troiana e quella indigena si fondono e hanno una
loro coerenza storica. Dagli inizi del XI secolo si passa dai 30 re di Albalonga fino a Romolo. La figura di Romolo
è probabilmente un’invenzione, i nomi che vengono assegnati, potrebbero essere un riferimento ai fatti
storici avvenuti.
Intorno alla metà del VIII secolo si assiste ad un primo nucleo di Roma a livello urbanistico, una tradizione
vuole il 21 aprile del 753 a.C, la fondazione di Roma. A seguire gli altri re che hanno dei caratteri che la
tradizione ci trasmette e che sono il sintomo di una situazione, che non dovette essere così lineare come le
fonti ci fanno credere.

Numa Pompilio è il re che istituisce gli istituti religiosi della civitas, ispirato da Pitagora (anche se
cronologicamente non può essere) ma la tradizione tenta di ancorare la cultura della magna Grecia coloniale,
un influsso e un’importanza non secondaria per le prime fasi di Roma.

Tullio Ostilio viene ricordato come codificatore delle azioni militari, a lui vengono attribuite varie azioni di
conquista e di ampliamenti del territorio di Rom,a fino ad arrivare ad Albalonga che la tradizione vuole fargli
distruggere. Attorno a questo re si condensano tutte le difficolta di relazione tra Roma e le città vicine.

Numa Pompilio e Tullio Ostilio viene legato all’ambito sabino, e darebbe una misura per una componente
importante per questa prima fase. Anco Marzio, sembra più una componente sociale legata agli interessi
commerciali e mercantili, perché a lui si ricollega la fondazione e Ostia, e quindi il collegamento verso il mare.

I 3 re legati al mondo etrusco: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, che regnano tra le fine
del VII e la fine del 509, con la caduta di Tarquinio il Superbo. La tradizione li collega a una serie di importanti
opere nel territorio di Roma sia a livello costruttivo che infrastrutturale, anche a livello organizzativo, perché
sotto questi re vengono definite le varie componenti della cittadinanza con delle suddivisioni in tribù, ovvero
in curie.  che sarà la base dell’organizzazione dell’età repubblicana

Servio Tullio richiama un legame con tribù plebea,


figlio di una schiava. La tradizione lo presenta
come colui che ha rinnovato l’esercito perché ha
introdotto la componente oplitica, che
permetteva solo a chi poteva permettersi
un’armatura di far parte dell’esercito.  esercito
organizzato su base censoria, significava non solo
il fatto di non possedere denaro, ma avere il
possedimento di terre e allevamenti di bestiame.

Pecunia= deriva da pec, ovvero pecore. La pecunia


si calcola sulla base del possesso di un ingente
patrimonio in termini di bestiame e terre.

Fino al VI secolo i gruppi sociali che si sono


affermati nel Lazio e nell’Etruria. Sono dei gruppi
che vedono emergere un cospicuo possedimento di terre d’allevamento, tali per cui si distinguono dalle altre
diventando la componente aristocratica della società. Nel VI secolo quando c’è Servio Tullio si assiste a un
cambiamento netto, un’apertura e maggiore rilevanza in termini sociali e politici, rispetto all’altra
componente libera, mercanti artigiani e allevatori, i quali sono quelli che stanno dietro la figura di Servio
Tullio, reclamano una maggiore condivisione dell’apparato legislativo.

Tarquinio il Superbo, le fonti ci hanno voluto rimandare in qualsiasi modo, come un re di impronta tirannica,
ma che cercò di favorire la componente popolare rispetto alla componente aristocratica, con cui
evidentemente entrava in conflitto.

Le tappe che portano alla formazione della res pubblica, sono tappe che durano per diverso tempo e che
archeologicamente iniziano nei primi decenni del primo millennio a.C.
Nei primi due secoli si afferma nel Lazio e Etruria, la cultura villanoviana dove la componente latina avrà un
suo ruolo.  da un punto di vista storiografico, trae spunto dal ritrovamento di una necropoli non lontana
da Bologna è una cultura che vede insediamenti organizzati in villaggi non molto numerosi, con capanne
distinte da necropoli e quindi dei gruppi etnici omogenei, all’interno alla loro consuetudine, e l’area che ci
interessa sono i colli che poi andranno a formare Roma.

Su questi colli sono state ritrovate diverse capanne, che sono l’espressione di questa prima componente
insediativa, che si sviluppa tra il X e IX secolo a.C. e che interessa l’area tra il Palatino e il Cermalo questo
tipo di organizzazione prevede quindi che piccoli gruppi uniti da legami familiari occupassero alcuni di questi
colli. La tipologia delle abitazioni è molto semplice. Queste capanne, di cui restano le fondazioni.

Queste capanne mostrano elementi frequenti:

- Pianta ovale o rettangolare, che prevede scavo del blocco


tufaceo
- Fori di alloggiamento dei pali (2 o 3 sull’asse centrale + pali
per sostenere la copertura)
- Pareti costituite da un intreccio di rami e argilla che isola
dall’umidità e dal freddo
- Fossa al centro dove ha sede il focale
- Per garantire l’emissione del fumo queste capanne dovevano
avere un’apertura lasciata libera dall’intreccio dei pali e il
rivestimento è in materiali deperibili per quanto riguarda il tetto

La “capanna I”, trovata tra Palatino e Cermalo, ha confermato la


presenza di un fosso circostante il perimetro della capanna, che
serviva per far refluire l’acqua piovana dall’area della capanna. È
stato sottolineato attraverso uno studio comparato tra uno studio
di strutture, che probabilmente l’isolamento ottenuto dallo strato
di argilla per pareti esterne sia stato lisciato solo in un secondo
momento, e reso adatto per un primo adatto decorativo esterno,
di cui abbiamo qualche testimonianza.

Queste prime abitazioni che ci sembrano così elementari, nel caso


della capanna del Palatino era lunga 12x8m non era così piccola, ma ci fa entrare nel vivo della costruzione
per la prima Roma. Queste abitazioni sono del X secolo, prevedevano che intorno alla capanna ci fosse parte
terra abbastanza grande per garantire attività agricola e possesso di bestiame.

Colui che è il capo della famiglia che si insedia in questo tipo di strutture è il pater familias, colui che deteniete
tutto il possesso del patrimonio fondiario e attraverso la sua figura, vengono garantite non soltanto tutte
quelle attività che va a mantenere la famiglia anche quando non è allargata, soprattutto sono le figure che
saranno i punti di riferimento per comunità. Inizialmente doveva essere omogeneo, una società tra pa

inizialmente doveva essere omogeneo una società tra fari? ma nel giro di 150 anni il possesso allargato, nelle
mani di poche famiglie, garantisce il formarsi di una società più strutturata, che vede la formazione del
patronus, come capo e con lui stabiliscono dei rapporti di reciprocità con un rapporto di fides cioè una mutua
fiducia reciproca, che comportava il sostegno da questi uomini in caso di guerra e scontri, e invece per il
patronus implica una protezione che assicura una mutua assistenza.

Il momento di formazione di questo rapporto clientelare si forma in questi secoli (non di poveracci), ma secoli
che archeologicamente mostrano come nel giro di qualche generazione si formino dei gruppi molto potenti
nel controllo della terra, controllo e sottomissione di una parte di comunità rilevante, e queste poche famiglie
avranno la possibilità di esprimere il loro ruolo all’interno della società, visibile anche nel contesto funerario.

Attorno agli abitati, l’archeologia ha documentato


l’esistenza di varie necropoli che sono delle necropoli che
sono per lo più di incenerati. Le necropoli ci danno delle
informazioni della prima fase insediativa in cui da un alto la
tipologia delle tombe è canonica, cioè vengono scavate delle
fosse con dei grandi vasi, che contengono un tipo di corredo.

Questi pozzi, possono avere una copertura, o uno strato di


terra che va a coprire il rituale di sepoltura.

Queste tombe prevedevano dei vasi, all’interno dei quali, poteva esserci degli ulteriori vasi, che potevano
contenere le ossa del defunto, e quindi l’urna poteva avere la forma di vaso conico, con una copertura ad L
o a scodella. All’interno di potevano trovare nel caso maschile punte di freccia e nel caso della donna corredi
per la toilette o legati alla tessitura. È stato notato come in queste sepolture, il rito dell’incinerazione , come
uno strumento per superare il trauma della morte del congiunto, che con il fuoco si poneva una distanza
netta tra le due sfere dei mondi dei vivi e dei morti.

Esiste anche altro modo di sepoltura che è l’indice di questa distinzione per ruolo, che vede l’utilizzo di un
altro tipo di contenitore  urne a forma di capanna

Questi tipo di urna, è un tipo di contenitore che viene destinato solo a


pochi individue, che dovevano rivestire un ruolo particolare, e
attraverso lo studio e analisi di questi oggetti, si è tentato di ricostruire
la fase protostorica. I materiali con cui sono fatte queste urne sono la
terracotta e argilla, ma anche in metallo. Nelle quali si inserivano
all’interno dell’urna degli oggetti miniaturistici, che andavano a
riprodurre degli oggetti di vita quotidiana, sempre nella prospettiva di
assicurare nella vita del defunto degli oggetti per la vita ultraterrena.

Tomba 126 della Osteria dell’Osa, a Gabii, 900-830 a.Csono state


trovate alcune tombe tra cui la 126, dalla sezione dello scavo si vede
una fossa all’interno della quale viene inserito un grande dolio, che ha
all’interno una piccola urna a forma di capanna. Urna che ha degli
elementi sul tetto che richiamavano le travi, all’interno ci sono degli
oggetti simbolici, ovvero una piccola lancia sacrificale, una fibula, una
statuetta di un offerente con un vaso che probabilmente va a
simboleggiare il rituale. Attorno al primo dolio, vengono riposti altri
vasi, delle olle, con decorazione a rete, e una serie di “ossi di cervo”
che vengono sigillati, attraverso uno strato di terra, come se l’atto di
chiusura della sepoltura con una serie di doni e che garantivano una
corretta esecuzione di quei rituali che servivano ai vivi. Nelle pareti
esterne dell’urna a capanna, si avevano delle decorazioni, che fanno
intuire una probabile lisciatura delle pareti di argilla.
Un altro elemento che l’archeologia ha permesso si cogliere è la presenza in qualche esemplare di capanne,
collocate ad di sopra della porta di ingresso.

Urna a forma di capanna da Bisenzio, IX sec a.C si tratta di un’urna che ha


copertura a doppio spiovente, in cui vengono evocati gli elementi lignei,
segnando il colmo del tetto. Urna interessante, poiché in questa fase così
antica ci potevano essere degli elementi di protezione da parte di un’entità.
Sopra la porta d’ingresso dell’urna un antenato divinizzato, con copricapo a
forma di polos, e la presenza di questa figura un elemento rilevante per
società arcaica delle origini, va a connotare il valore della famiglia, che ha un
antenato che legittima il ruolo della famiglia all’interno del gruppo.

Esiste una documentazione in metallo, che fa intuire la capacità di queste


popolazioni l’utilizzo del metallo. L’archeologia ha dimostrato tra il X e VIII
sec a.C, sono le singole comunità che producono per sé i prodotti per le loro
necessità quindi una produzione molto limitata.

La produzione di oggetti in metallo all’inizio che fiorisce tra gli inizi dell’VIII secolo a.C., che presuppone dei
luoghi adatti per questa lavorazione, che non potevano essere le capanne. Probabilmente queste officine
sono l’occasione per ritrovarsi di cerchie di persone specializzate, che si preoccupano di acquisire la materia
prima, che sono in grado di realizzare questi oggetti e venderli traendone, un profitto per il gruppo che li
produce.

Gli artigiani che sapevano produrre questi oggetti, appartenevano ad una classe agiata.

Nella fase di produzione di questa società, di ritrovano degli elmi crestati, con sorta di punta allungata e
cresta segnata da file con di motivi puntinati, ovvero borchiette, che sono degli oggetti di pregio che possono
servire a coprire urna cineraria, come elemento di prestigio del defunto. Insieme agli elmi si trovano urne in
bronzo che riproducono tipologia della capanna.  nel caso dell’urna a capanna in bronzo dell’area di Vulci,
è esemplificativa per vari elementi:

- Formato da più lamine, di cui nella base forma il perimetro della capanna
- Sopra questa, vengono poste delle lamine verticali, delle pareti con decorazioni a puntini impressi, e
fissati a chiodi nel bordo della base
- Sopra una sorte di culmine del tetto, che significa il punto di unione del tetto, per garantire l’uscita
di fumo dalla capanna
- Porta con cardini per l’apertura

La capacità di realizzazione di questi oggetti va a sottolineare la capacità di alto livello di realizzare queste
opere società che va sempre più articolandosi al suo interno. Intorno alla metà dell’ VIII secolo, và a
trasformarsi per 2 motivi: i nuclei di gentes, si sono organizzati in maniera sempre più complessa, definendo
i loro patrimoni e quindi le loro sfere di influenza, ma soprattutto dal secondo quarto dell’VIII secolo, queste
comunità entrano in contatto con le comunità della Grecia e quindi con le polis e il mondo greco.

Il contatto con il mondo greco e la sua trasposizione in Occidente è un elemento di grande importanza per
queste comunità di entrare in contatto con i commerci tra oriente e occidente, che già i micenei avevano
assicurato, ma soprattutto il contatto con queste polis fa sì che si avverta precocemente una necessità di
creare una città.  infatti, una serie di villaggi sparsi intorno ai colli, quando queste entrano in contatto con
civiltà greca in cui avviene per tradizione fondata la città di Roma.

Il contatto con i greci implica l’acquisizione di una cultura figurativa, che va a imporsi e a sostituire quella
precedente, ma soprattutto il contatto con le colonie greche fa sì che si acquisiscano le sollecitazioni culturali,
tra cui la religione (fondativo per i greci per la costituzione delle varie città), ma che per l’Occidente diventa
acquisizione di queste divinità che si uniscono con divinità indigene già esistenti, e che vengono veicolate
questa narrazione dei miti, attraverso i poemi, che fissano quelle divinità, che saranno alla base delle diverse
soluzioni.

Per capire come questo contatto con il mondo greco è assorbito e trasferito da parte delle comunità indigene
si possono considerare due manufatti, uno che è della metà dell’VIII secolo, l’altro con una funzione religiosa
interessante.

Il carrello di Bisenzio  trovato all’interno di una tomba femminile vicino a Viterbo. Rappresenta un oggetto
di tipo rituale che è stato collegato a oggetti di produzione cipriota(di area levantina). Si tratta di una sorta
di carrello che regge un bacile con forma tronco-conica,
all’interno del quale sono state trovate tracce di materiale
carbonizzato, che fa intendere che all’interno venivano
portare delle sostanze dedicate a una divinità femminile
latina, patrona della raccolta delle messi e del grano. Al di
sotto di questo carrello ci sono dei sostegni, che reggono i 4
bracci su cui è fissato il bacile. Su queste asticelle si trova un
insieme di statuette, umane e personaggi, che sono state non
comprese e che invece in anni più recenti sono state studiate
da Mario Torelli, che ha dimostrato che queste statuette
sono tra loro collegate e che rappresentano un messaggio
dell’ideologia della comunità.

Ci sono delle figure poste sui lati esterni dei supporti e altre
figure all’interno della struttura portante.
Nella parte interna sono rappresentati
animali, che si pongono sulle asticelle di
raccordo e che sono degli animali che
hanno a che fare con un mondo selvaggio;
un cervo, un ariete e un lupo verso il quale
si muove un personaggio maschile armato
rappresentato nel momento in cui sta per
scagliare una freccia con l’animale
rappresenta uno statuto di maturità
all’interno della società, e per questo passa
si status diventa un individuo adulto. In uno
dei lati si trova questo personaggio
maschile che per Torelli poteva essere
l’uomo che teneva per guinzaglio il cane
della caccia, ma potrebbe anche non essere
un animale pronto per scontro armato su
carro, quindi un cavallo.

Le altre scene mostrano l’iconografia che va a richiamare diversi momenti della vita di questo personaggio:

- armato e con lo scudo e elmo;

- accanto ad una donna portatrice di un vaso, alla quale potrebbe unirsi e che ha la funzione di portatrice di
acqua in grado di garantire acquisizione di quelli che sono gli elementi di base della vita comunitaria;
- personaggio armato ha i genitali in vista, con la donna a fianco, mentre tocca il seno e che a sua volta gli
tocca i genitali, a fianco un bambino con gli stessi attributi del padre, e in parte visto come colui che spinge
l’aratro e quindi colui che riesce a mantenere la sua famiglia

- in alto ci sono delle scimmie e degli uccelli, che richiamano la vita ultraterrena, che presiede a queste attività

- scontro tra due uomini in una sorta di ruotini, in una terra selvaggia per indicare che la situazione prevedeva
anche una sorta in contrapposizione tra nuclei confinanti.

Si tratta di un oggetto con funzione solo sacra, una sorta di portantina per le offerte sacre, è un oggetto
simbolico e rappresentativo di queste comunità, che attraverso la scansione di scene di momenti della vita
che vanno a codificare dei passaggi di status, raggiungimento di una cerca posizione nella società.

Al pater familias compito di garantire tutte le condizioni per cui tutta la famiglia potesse progredire.

Satricum, località Le Ferrerie, dal 750 a.C.  nel Lazio meridionale, in una delle città fondate da Enea, è
interessante perché a partire dal VIII seolo, questo edificio si colloca sopra ad una capanna di tipo sacro,
perché pur essendo scavato nel terreno tufaceo con pavimento in terra battuta, presentava al centro una
fossa dove sono trovati vari oggetti votivi, connotandola uno spazio di culto, che verrà mantenuto perché
inglobato da edifici successivi ma riproduceva capanna secondo le tecniche edilizie allora note, che
richiamavano religiosità dei primordi di Roma, che rispecchia una tradizione ricordata da Ovidio come
esprime nella descrizione del tempio di Vesto nel Foro di Roma. C’è l’idea che ci potesse essere un luogo dove
avvenivano i rituali e da qui si capisce quella che è la prima forma di una ritualità che non è più una ritualità
di un gruppo sociale, ristretto ma prima forma di comunità allargata.
LEZIONE 14 | 6 aprile 2022

ROMA E IL LAZIO IN ETÀ REGIA


I primi secoli del primo millennio sono stati utili a comprendere le prime dinamiche insediative, che sono
inserite all’interno della cultura latina. All’interno di questo comparto geografico si vede come la tipologia
della capanna a forma ellittica è una tipologia edilizia che risponde a una società, a raggruppamenti etnici
che vedono nella famiglia il nucleo fondativo di questi gruppi. La cellula di questa casa-capanna, che
racchiude una famiglia tradizionale, ha a capo il pater familias che accentra in sé le funzioni di guida della
famiglia in quanto tale, ma si caratterizza anche laddove questo pater familias ha una capacità di accumulare
ricchezza attraverso il possesso di terra e animali che gli permette un ruolo di rilievo all’interno di questi
gruppi.

La capanna come punto di riferimento e il possedimento privato della terra (non della comunità come
succedeva nella società precedente dell’età del bronzo dove ci sono esempi di capanne più grandi che
accolgono al loro interno più nuclei con organizzazione condivisa) determinano gli elementi costituitivi di
questi primi gruppi. In caso di soggetti che hanno un particolare peso all’interno del gruppo possono
rappresentare delle immagini al di sopra della loro entrata, che richiamano una protezione divina di quella
famiglia attraverso la statua dell’antenato.

Tre elementi importanti: la famiglia, il possedimento privato della terra e la funzione del sacro come
elemento che delinea meglio determinate famiglie ma che soprattutto dà a queste famiglie un’autorevolezza,
una capacità per sangue di comando.

Questa situazione che interessa i colli intorno a Roma (Palatino, Campidoglio, Velia, ecc.) sono popolati da
gruppi con un’occupazione delle terre non abitate per le necropoli (fino alla metà del VIII secolo sono anche
nella zona del Foro). Si ha un mutamento sostanziale quando dalla metà del VIII secolo questi gruppi vengono
sollecitati dalla colonizzazione greca = quindi dalla costituzione ex novo di poleis, che vengono realizzate con
una pianificazione chiara dello spazio della città. Mentre nella situazione laziale più gruppi abitano con ethnos
diverso per ogni villaggio, nel caso delle poleis greche esse sono il frutto di uno spostamento di gruppi
omogenei (perché da una medesima città) e quindi trasferiscono in queste nuove metropoli (apoikiai) dalle
città di origine elementi costituitivi di questi gruppi. Nel caso di Roma sarà diverso e la figura di Romolo, che
è colui che la tradizione riconosce come l’ecista della città, è una persona mitica, mai esistita alla quale viene
dato il compito di unire questi gruppi e creare una nuova cittadinanza con insieme di tradizioni diverse.

Questa situazione della fase romulea vede l’affermarsi di soggetti che esprimono attraverso una figura un
loro volere e questi gruppi che sono capeggiati da principes (“primi tra gruppi”) sono esponenti di quella che
in futuro sarà il patriziato, l’aristocrazia. Questi gruppi sono costitutivi delle gentes, dei gruppi dominanti che
possono essere sia consanguinei, appartenenti ad una stessa famiglia allargata ovvero ad un certo punto
potranno far confluire anche persone non strettamente consanguinee ma comunque a loro associate si
riconoscono in un elemento comune che sono i sacra (termine latino, neutro plurale = insieme dei culti che
connotano un preciso gruppo sociale ossia la cittadinanza) → sacra gentilicia (della gens, della famiglia
allargata) attraverso i quali si ha un collante per questa fase.

In questi sacra si riconosceranno sia gli esponenti di spicco di queste gentes che i clientes di questi gruppi,
cioè le persone non consanguinee ma che riconoscono nel patronus il proprio punto di riferimento.
Attraverso quel mutuo scambio di sostegno basato su rapporto di fides accolgono anche i sacra del patronus
e attraverso un complesso sistema solidale ricevono dal patronus una protezione, aiuti economici in termini
di beni e in cambio assicurano il sostegno al patronus sia a livello militare che politico.

Questo processo che porterà alla fondazione di Roma nel 753 è frutto di una situazione che si forma in un
lasso di tempo abbastanza ristretto nella misura in cui si avverte questa necessità di modificare i sistemi sulla
base dell’esempio greco. All’interno di questo processo l’archeologia ha avuto un ruolo importante.
Se nella saga di Enea alcuni personaggi vengono nominati a proposito dell’iniziale rapporto di contesa tra il
nuovo arrivato e le popolazioni locali e si menziona Mezenzio, il ritrovamento di oggetti su cui può comparire
una forma mediata di questo nome come:

Vaso da Caere = con iscrizione di un personaggio che ha nome Laucie Mezentie. Dà una
consistenza materiale circa la tradizione che pone molto prima questo tipo di
personaggi. È una tradizione che si basava su una realtà storica che l’archeologia
dimostra e che permette di inquadrare personaggi all’interno di una società complessa
come quella laziale.

La tradizione greca e la tradizione indigena, che riuniscono l’eroe troiano alla genealogia che porterà a
Romolo, individuano nei successori di Enea coloro che creeranno una stirpe che arriva fino all’VIII secolo.
All’interno del quadro mitico l’archeologia ha dato il suo contributo in termini di tracce materiali. Queste
tracce confermano le datazioni della tradizione che individuano i sette re di Roma:

1. Romolo (ecista): 753-716 a.C.


2. Numa Pompilio: 715-673 a.C.
3. Tullo Ostilio: 673-641 a.C.
4. Anco Marzio: 640-616 a.C.
5. Tarquinio Prisco: 616-579 a.C.
6. Servio Tullio: 578-535 a.C.
7. Tarquinio il Superbo: 535-509 a.C.

In queste figure sono espressione delle diverse componenti etniche che vengono chiamate a fondare la nuova
città (Etruschi, Latini, Sabini) confluiscono delle sollecitazioni.

Per i primi re, la loro ascesa è mediata da una sorta di elezione tra patres = non è un fattore di lignaggio,
segno che la Roma dei primordi ha bisogno di consolidare queste figure di governo perché devono cementare
la comunità in quanto esprime un proprio rappresentante.

ROMOLO = è l’ecista, colui che fonda la città di Roma. Molti autori (Ovidio, Catone, Tacito) pongono nella
figura di Romolo colui che ha effettivamente fondato la città. Come sempre questa fondazione doveva
avvenire con un’investitura divina nel senso che, se le fonti attribuiscono a Romolo la definizione della Roma
quadrata ovvero del Pomerium, questo atto è un atto possibile perché Romolo è espressione di una volontà
divina infatti è lui stesso un sacerdote. → la tradizione dice che nel momento in cui delimita attraverso delle
pratiche lo spazio della Roma degli inizi lo fa attraverso dei rituali. Il rituale prevedeva che Romolo aggiogasse
una vacca e un toro che con l’aratro dovevano delimitare un sulcus, un solco nel terreno che è l’espressione
di un’osservazione della volontà divina che prevedeva che il sacerdote (o augure) riconoscesse nel cielo una
linea attraverso l’osservazione del volo degli uccelli. Quella linea doveva essere proiettata sulla terra
delimitando il perimetro della futura città. Questo perimetro interno comprende anche uno spazio esterno
chiamato pomerium (“oltre il muro”), che era una fascia libera che delimitava uno spazio esterno rispetto
all’interno della città. Essa è individuata attraverso il sulcus primigenius fatta di quattro angoli (sono dei
luoghi inaugurati, luoghi riconosciuti dai sacerdoti come luoghi resi sacri
attraverso questa ritualità):

- Ara Consi – area del dio Consi che sarà poi il Circus Maximus
(Circo Massimo);
- Ara Maxima Herculis, area di Ercole, che è il punto alla
confluenza delle due aree future del Foro Boario presso la riva
del Tevere;
- le Curiae Veteres, collocate dove oggi c’è l’arco di Costantino);
- Sacellum Larundae, il sacello di Larunda legata ai Lari, dove
sorgerà il Foro Romano.
Questa città, che viene fondata con un rito religioso che necessita di avere in Romolo il sacerdote ci dà l’idea
di quella che doveva essere la conformità dell’atto rispetto a delle regole rituali ben definite, in cui il
sacerdote con un bastone ricurvo e lituo per tracciare linea nel cielo che poi doveva essere proiettata sulla
terra partendo da Oriente e arrivando ad Occidente.

Rispetto a questa delimitazione l’azione del sacerdote di osservare il cielo e di proiettarne la forma sulla terra
equivale nel dizionario latino a “specchio”.

Questo livello rituale implica che gli auguri fossero esperti della misurazione della terra e si capisce il fatto
che questa capacità di misurare la terra fosse una conoscenza che da tempo era in atto presso queste
popolazioni che affidavano ai sacerdoti la conoscenza di questo sapere tecnico basato sulla geometria e
sull’agrimensura. Gli auguri sono gli unici depositari di questo sapere. Aldilà delle conoscenze delle prassi
ordinaria, anche queste erano un bagaglio assodato da queste genti. L’azione rituale della definizione della
Roma quadrata viene sottoposta sotto l’egida di Romolo che assicura che questo tipo di spazio sia
riconosciuto dalla comunità (perché essa affida all’augure la giusta misurazione della città).

Questa fondazione (21 aprile 753 a.C.) è frutto di un atto simbolico, di un sinecismo, di una molteplicità di
ethnos che formano questo nuovo nucleo cittadino.

Intorno al 725 a.C. nell’area del Palatium esistesse una prima delimitazione muraria della città che doveva
prevedere una palificata lignea intesa come pre-circuito murario. Secondo gli scavi, il primo tratto di muro
subisce diverse trasformazioni anche nel corso del VII secolo con le fondazioni in scaglie di pietra e alzato in
cortine di argilla con riempimento interno. Questo tipo di erezione prevede anche delle azioni rituali ogni
volta che si interviene su questa cortina muraria a sottolineare il fatto che non era semplicemente un’opera
difensiva ma un’opera costitutiva della città, che affidava all’ambito divino non solo l’operazione stessa della
rifondazione ma anche attraverso il placet della divinità riconosceva in questa costruzione un elemento
costitutivo della componente comunitaria.

A partire dalla metà dell’VIII secolo, l’archeologia riconosce una tendenza sempre più massiccia a liberare
spazi delle necropoli (che saranno poi spazi comunitari) che precedentemente erano sorte al di fuori dello
spazio dei villaggi. Soprattutto dal VII, anche la zona del foro vedrà la creazione di sistemi di drenaggio, volti
a risanare una zona che era tendente a impaludamento per la presenza di corsi d’acqua.

Fin dai primordi della Roma arcaica, l’area del Foro avrà dei luoghi che saranno costitutivi della Roma
repubblicana:

- Comitium = è la sede della riunione dei comizi centuriati,


affiancato dalla Curia, sede del senato. È stato oggetto di uno
scavo alla fine dell’800 da parte di Giacomo Boni, che ha tentato
di applicare una sorta di stratigrafia ante litteram. In questo
spazio, già nel VII secolo, si sa che c’è una sorta di pavimentazione
in terra battuta. È uno spazio che connota la comunità, dove Boni
trova un luogo di culto molto interessante. → Lapis niger, sorta di
pavimentazione in pietra nera che se risale all’età repubblicana,
racchiude sotto uno spazio sacro che molto probabilmente era
uno dei primi sacelli attestati in questo luogo. Era costituito da un
altare a tre ante a forma di U, affiancato da una base per statua e
a fianco un cippo che reca un’iscrizione bustrofedica (sia da dx
che da sx) che in una delle frasi si specifica che chiunque avesse osato violare quel luogo sarebbe
stato maledetto agli dèi inferi. = avrebbe corso il rischio di essere ucciso cioè si poteva anche
incorrere alla pena di morte.
- Volcanal = luogo prossimo al comizio, che secondo la tradizione è il luogo nel quale Romolo muore,
dove trapassa da stato di uomo a stato divino diventando il dio Querinus, il protettore dei cittadini e
dei quirites che si riunivano in assemblea qui. Questo spazio che si connota come luogo per le
assemblee, già si circonda di elementi sacri che richiamano la figura di Romolo come soggetto ecista
al quale viene riservato uno spazio di culto; ma definiscono anche i limiti delle azioni che si possono
fare in questo luogo. Fin dall’inizio sarà uno spazio delimitato da luoghi sacri, rispetto ai quali la
comunità svolge la sua attività di decisione della macchina governativa. Dal V secolo in avanti sarà il
luogo più importante della res pubblica.

- C’è anche la casa del rex = Regia → di questo edificio si conosce la


struttura del VI secolo, ma gli ultimi scavi mostrano che in realtà
c’era già una frequentazione in questo luogo. Per tradizione
doveva essere il luogo dove venivano custoditi gli oggetti sacri in
onore di Marte (padre di Romolo e Remo) e Oxo?, divinità che
tutelava e presiedeva a tutte quelle attività legate alla raccolta del
grano e all’acquisizione dei beni dalla proprietà privata e alla quale
venivano dedicate varie cerimonie durante l’anno. In questo spazio
della casa del re, in origine secondo le fonti trovava luogo anche
uno spazio per il culto di Vesta, la dea del focolare, che verrà poi spostato in altra sede, nel tempio
di Vesta. Questo fa capire quanto nel processo di costituzione di questa comunità da un iniziale
accentramento nelle mani del re (anche custode del fuoco sacro) si passa a una condivisione,
suddivisione dei poteri in altri spazi gestiti da altri soggetti.

Curiae Veteres = sono dei gruppi di comunità che Romolo


individua in 30 unità: le Veteres. Esse, secondo la tradizione,
occupano delle zone libere. Questo primo raggruppamento di
gruppi all’interno delle Curiae sarà il primo passo per costituire
la cittadinanza della prima fase di Roma. A queste vengono
aggiunte le Curiae Nove, istituite da Tullio Ostilio (re a cui la
tradizione attribuisce grandi opere di conquista delle città del
Lazio) che necessitavano di avere un riscontro a livello della rappresentanza della città, creando dei nuovi
raggruppamenti di esponenti delle città latine per inglobare più elementi che abbracciassero una comunità
più ampia. Questo concetto che si esplicita nella duplicità (Curiae Veteres e Curiae Nove) ci dà prova della
lungimiranza del governo che da un lato si imponeva come conquistatore, ma dall’altro comprendeva la
necessità di tenersi buone le popolazioni conquistate rendendole partecipi della macchina governativa.

Roma continuerà ad avere questa prospettiva, a meno che lo scontro con alcune popolazioni fosse stato
talmente dirompente da non lasciare possibilità di mediazione. Roma opera attraverso il sacro accorpa
all’interno del proprio Pantheon tutte quelle divinità indigene che partecipano nella quotidianità delle
popolazioni conquistate, e che nel momento in cui vengono non solo non abolite ma inglobate all’interno
della macchina religiosa e cultuale vengono legittimate e partecipano anche a livello di sentimento delle
comunità conquistate alla progressiva fase di romanizzazione.

Nascono come una civiltà multietnica, che inizialmente è ristretta. Secondo la tradizione, Romolo rapisce le
donne dei Sabini perché gli uomini erano abbastanza poche per iniziare la comunità. L’unione di Romani e
Sabini implica una prima unione di due etnie e questo processo assicurerà fino alla piena età imperiale un
rapporto solidale delle città. Nel momento in questi gruppi entrano a far parte di un sistema che garantisce
loro un ordinamento giuridico sicuro (Roma ha le leggi delle 12 tavole dal V secolo a.C.) e questo sistema di
delimitazione sacra della terra e le conoscenze di una geometria applicata per la proprietà privata ci dà le
misure di una società che ha una sua forma mentis ben organizzata. Queste popolazioni avvertono lo scarto
tra una macchina organizzativa che assicura un sistema di benessere generalizzato (nel VI secolo viene fatta
la cloaca massima) e quindi anche a livello igienico il trasferimento di queste conoscenze ad altri popoli
permette un benessere in termini di sanità generale.

Questa fondazione che viene gestita attraverso l’ecista implica che la città sia un luogo privilegiato per
comprendere altre situazioni dell’Italia centrale e che vedono nell’arco di 150 anni, dalla metà del VIII alla
fine del VI il divenire di una cultura molto complessa.

Il VII secolo a.C. vede l’affermarsi di conoscenze che sono mediate dal mondo greco. Plinio nel libro XXXV
racconta che intorno alla metà del VII secolo arriva da Corinto un personaggio chiamato Demarato di Corinto,
che scappa dalla propria città e trova rifugio a Tarquinia. Qui sposa una nobildonna locale dalla quale unione
nasce Tarquinio Prisco, il futuro re di Roma. Sono due persone di rango ma l’arrivo di Demarato è
interessante, non solo perché greco che arriva in Occidente (non è un greco qualunque, ma proveniente da
città attiva nel recepire tutte le sollecitazioni del mondo persiano che vengono trasferite prima in Grecia e
poi in Occidente attraverso la ceramica). Plinio ci trasmette una tradizione riportata per secoli che racchiude
nel fondo della sua espressione un probabile elemento di verità. = Demarato come personaggio che richiama
una certa sensibilità e cultura. Infatti, insieme a lui arrivano degli artisti con nomi parlanti:

- Eucheir = dalla buona mano. Colui che sa plasmare


- Eugrammos = colui che sa fare un buon disegno, sa ben dipingere;
- Diopos (dia = attraverso) = colui che traguarda e sa porre in opera architetture complesse, sa andare
oltre un muro e quindi colui che su un piano tecnico è un architetto.

Costoro arrivano con Demarato e portano delle conoscenze. Se attraverso i nomi si capiscono quali
conoscenze arrivano in Occidente, non deve sfuggire che anche in Grecia nello stesso periodo la tradizone
ricorda la figura di Dedalo, colui che sa ben modellare. Questo aspetto aiuta a capire come in questa fase
vengano attribuite delle conoscenze a persone che si chiamano con un termine che indica le loro abilità e che
quindi veicolano attraverso il loro nomen delle conoscenze. A costoro i principes etruschi si affidano perché
hanno quella conoscenza che serve a esplicitare al meglio la loro forma di potere. Lo fanno attraverso opere
grandi: opere di tipo palaziale ma soprattutto di tipo funerario perché questa conoscenza tecnica, artistica e
architettonica dà la possibilità di esprimere il potere dei principes, che utilizzano queste conoscenze per
creare dei veri e propri paesaggi del potere. → espressione che gli archeologi hanno coniato per indicare il
fatto che con il VII secolo ci sono delle trasformazioni in termini non solo di capacità di esprimere sé stessi
attraverso delle forme simboliche, ma anche attraverso la costituzione di espressioni concrete e
monumentali di questo potere. Lo studio dell’arte romana fa i conti con lo studio dell’arte etrusca.

La necropoli di Cerveteri è un contesto importante così come


altra necropoli ossia quella di Praeneste, vicino a Roma, dalla
quale necropoli arrivano degli oggetti. → perché delineano
questo modo di esprimere il potere che si veicola con oggetti e
il paesaggio del potere.

TOMBA BERNARDINI, 670 a.C. (stesso momento in cui arriva


Demarato - Museo di Villa Giulia) → da qui arriva un ricchissimo
corredo con oggetti che provengono dalla Grecia e dall’Oriente.

È una tomba rettangolare (5,45x4 metri) costituita da blocchi in calcare e tufo che possono raggiungere
altezza di 2 metri. Questi blocchi delimitavano la tomba, ma poi sono stati utilizzati anche per riempire la
tomba, che è stata scavata agli inizi dell’800 e quindi ha subito uno scavo che non ha aiutato a comprendere
tutte le fasi di deposizione del defunto. Egli doveva essere posto su una sorta di banchina con oggetti
intenzionalmente frantumati perché erano stati usati solo per quella cerimonia funeraria e per non essere
utilizzati in seguito.
Sul fondo della tomba sono stati trovati 123 oggetti tra cui: 15 in oro, 4 in argento
dorato (foto), 22 in argento, 33 in bronzo, 27 in avorio e 15 in altri materiali.

All’interno di questa molteplicità di oggetti che definivano un defunto di altissimo


rango, spiccano un lebete e una patera in argento dorato. Richiamano un gusto
orientale, caratterizzato dalla presenza di mostri che vanno ad occupare non solo
in forma plastica (con statuette) i bordi dei grandi crateri. Qui ci sono dei serpenti,
nei crateri si potevano trovare anche dei grifoni, dei mostri mitici. Occupano
anche altri spazi dell’oggetto che richiamano un mondo mitico e che si uniscono alla rappresentazione di
attività di guerra, attività che richiamano l’ideologia del potere attraverso la conquista aggressiva. Ci sono dei
guerrieri sia a piedi che a cavallo in una delle fasce principali del bacile, che richiamano questa ideologia che
si ritrova anche nella patera. Al centro c’è una scena di un personaggio orientale (probabilmente egiziano)
che è rappresentato davanti a uomo legato a un palo e altro raffigurato dietro, che sta per colpire un
avversario. Richiama questo mondo fondato su antagonismo, attorno al quale ci sono degli animali fantastici,
simbolo di una mentalità che si ritrova anche in un’altra sepoltura. → TOMBA 70 dell’Acquacetosa
Laurentina (Roma, Vulcano Laziale), prima metà del VII sec. a.C. tra le più ricche documentate in area laziale
di età orientalizzante.

È una sepoltura che prevede uno scavo nel banco tufaceo dello
spazio della tomba, con una banchina su cui era deposta la defunta.
C’è una serie di vasi frantumati che andavano a ridefinire l’atto
rituale della sepoltura + una serie di oggetti di altissimo prestigio: è
stata rilevata la presenza di una partizione di un trono, ma anche di
un carro nuziale (sx), alcuni scudi appoggiati alla parete che
dovevano trasmettere un ruolo verticistico della defunta e una serie
di altri oggetti e vasi per il consumo del vino per attività conviviali di
cui la donna doveva aver fatto parte. Sono oggetti necessari ad
accompagnare la defunta nel suo viaggio ultraterreno. È una tomba
a inumazione, non a incinerazione.

La cerimonia della sepoltura doveva costituire un’affermazione molto forte del ruolo della defunta e in
particolare della sua famiglia.

Cerveteri = tantissime tombe a tumulo

- Tomba Regolini-Galassi, 675 a.C. → ha un diametro di 48


metri e aveva al suo interno una serie di sepolture successive
rispetto al nucleo iniziale che si sono giustapposte rispetto alla
camera iniziale. Questa camera ha un dromos di accesso su cui
si aprono due camere di forma ovale, all’interno delle quali
sono stati trovati un’incinerato e due inumati.
In questo caso la realizzazione della tomba (savata all’interno
del banco tufaceo) prevedeva un sistema di copertura a
pseudo-ogiva che dà un ulteriore
elemento a proposito della capacità acquisita nel corso del VII secolo da
parte della componente artigianale etrusca.
All’interno di questa tomba sono stati trovati molti oggetti, tra i quali un
pettorale. È alto 42 cm e ricopriva il petto dell’inumato nella cella di destra.
È costituito da anima in rame sul quale era stata posta una sottile lamina
d’oro, sulla quale sono state realizzate 13 file di motivi ornamentali che
inquadravano lo scudo centrale, che è il focus dell’oggetto che viene
attorniato dalla rappresentazione di animali fantastici (leoni, pantere, sfingi,
grifoni) in un’abbondanza decorativa tipica della componente italica. Questo si
vede molto bene anche nel bracciale.

Tra i vari oggetti che sono stati trovati c’era un bracciale: nella parte superiore ha una
Potnia theròn (una signora degli animali = Artemide) sotto cui si pongono delle sfilate
di giovani che compiono una danza all’interno di motivi ornamentali.

Il paesaggio del potere di un gruppo del VII secolo che occupa Cerveteri, è un paesaggio
che si connota attraverso questi grandi tumuli, più o meno estesi, i quali all’interno
hanno delle costruzioni intagliate nel tufo, con copertura sovrastante all’interno dei quali ci sono oggetti di
grandissimo valore che denotano l’ostentazione della ricchezza da parte di questi gruppi di principes.

Paesaggi del potere. I palazzi di Murlo e Acquarossa

Nell’area tra Lazio settentrionale ed Etruria meridionale (Toscana meridionale) si trovano due siti scavati negli
anni ’60 del ‘900. → Questi due siti sono importanti per comprendere due momenti e modalità di
rappresentare lo spazio del potere in quanto sede della reggia, della famiglia dominante.

Questi due siti mostrano come in una fase che va dalla seconda metà del VII secolo alla prima metà del VI
questi principes non si possano più accontentare di capanne ma si facciano costruire da architetti diopoei
(che sanno ‘traguardare’) dei palazzi.

MURLO (in località Siena)

Su un precedente edificio di VII secolo (delineato in nero), viene costruito un vero


e proprio palazzo intorno al 580 a.C. (inizi del VI secolo). È un edificio che occupa
un’area di circa 3600 mq, che sorge su sorta di altura. Non ha attorno altri edifici,
ma si pone come punto di raccordo, di riferimento per quella realtà. È un edificio
quadrangolare che si sviluppa intorno a uno spazio coperto porticato su almeno 3
lati. Doveva prevedere agli angoli 4 torri angolari che richiamano i casi nella Grecia
di epoca successiva ma che avevano già dei precedenti. Questa costruzione ha serie
di spazi:

- Spazi a nordest e sudest per immagazzinamento dei beni, gestiti e


posseduti da colui che occupa il livello più alto della famiglia. Non si esclude
che all’interno di questi vani potessero anche essere ospitati gli animali per
stalle.
- Nel settore nord-occidentale risiedeva il princeps. Questa serie di vani
(rosso) prevede un vano centrale di più ampie dimensioni aperto su spazio scoperto + altri due locali
legati a quello principale che servono per ospitare i momenti conviviali in cui il signore del palazzo
incontra i propri pari e con loro condivide il momento simpodiale = stessa funzione greca di
consolidare anche relazioni a livello politico e anche sostegno militare.
Il vano centrale è il precursore del tablino, ossia il vano di rappresentanza della domus
romana in cui il signore riceve i suoi ospiti e dà udienza (non solo ai pari, ma anche a
quelli inferiori).
Davanti a questo vano si pone un edificio di estremo interesse, piccolo oikos = sacello
di culto sul cui tetto erano collocate varie statue in terracotta che rappresentano circa
20 figure maschili e femminili sedute, affiancate da statue di animali anche fantastici.
Tre di questi personaggi maschili portano un largo cappello che sottolinea la posizione
di rango, richiamata dal fatto che questi personaggi reggevano uno scettro (come si
coglie dalla posizione delle mani).
Questi personaggi erano gli antenati del re del palazzo → nella tradizione latina si chiameranno
imagenes maiorum = statue dei maiores, cioè degli antenati, che una volta defunti passano a un
livello superiore divinizzato e come tali diventano i divi parentes cioè i parenti divinizzati che
attraverso il loro esempio in vita, hanno assunto post mortem uno statuto divino e presiedono alle
regole comportamentali della famiglia. Per questa fase arcaica servono a legittimare il potere del
signore in vita. Quest’ultimo infatti pone la propria stanza principale di fronte al sacello, decorato da
queste statue che vanno confermare che questo ruolo viene dalla sua genealogia che include
personaggi che diventano divinizzati. È un potere che gli viene dalla propria stirpe.
- La centralità di questo spazio descritto, non a caso affacciato a est, per richiamare topografia di uno
spazio sacro con affinità con il mondo greco. Altro elemento importante è il fatto che questa
organizzazione della triplice sequenza di vani affacciati su uno spazio scoperto, che include anche
l’edificio sacro è una tripartizione che ha un confronto molto forte in Persia dove il sistema tripartito
(Liwan) ha la funzione di esplicitare a livello di disposizione architettonica la centralità del vano
centrale e negli altri due si svolgono altre attività che partecipano della gestione potere.
I due vani laterali sono i precursori delle ale.

Regia, l’edificio di culto degli antenati.

Questo tipo di edificio che ha una parte per i vivi e una per i morti, è un
complesso che, attraverso le immagini, veicola il potere e le immagini possono
tradursi in monumenti scultorei come le statue ma anche attraverso lastre
figurate sul tetto, sulle quali sono rappresentati ancora scene importanti della
vita del signore del palazzo. → scene di banchetto non diverse rispetto ad
altre immagini di simposio del mondo greco con i signori che pranzano e
brindano distesi sulle klinai, con inservienti che recano i vasi su cui bere. +
rappresentazioni di divinità in trono che assistono alla cerimonialità dei vivi +
rappresentazione di un momento fondamentale del matrimonio = arrivo della
sposa nella casa del suo futuro marito. La sposa arriva in carrozza, ed è seguita
e preceduta da inservienti, persone della sua famiglia che recano doni.
Attraverso questo momento raffigurato per essere eternizzato si consolida il
gruppo familiare e si dà inizio a nuova famiglia che proseguirà la stirpe e che
garantirà sistema di lignaggio.

Per questa fase questo caso richiama quell’idea del nucleo familiare che è la cellula da cui parte il potere del
signore e che rappresenta attraverso i membri il potere sia che sia la famiglia dei vivi, (il matrimonio e il
banchetto), sia che sia la famiglia degli antenati divinizzati che partecipano a questa esaltazione del potere
del rex.

ACQUAROSSA (VITERBO). Il palazzo della metà del VI a.C., intorno al 560 a.C.

Qualcosa sembra cambiare nell’altro contesto successivo ad Acquarossa, in cui questo palazzo non è l’unica
evidenza architettonica residenziale presente nell’area perché è circondato da altre abitazioni di minore
complessità architettonica e decorativa. Questo dimostra che è un abitato non limitato al palazzo ma che
interagisce con altre strutture abitative.

Il palazzo è costituito da due corpi di fabbrica disposti a L, affacciati su un cortile che sembra essere porticato,
in cui troviamo la tripartizione dei locali (cfr. Murlo). Il locale principale è più ampio dell’altro, ma è
evidenziato rispetto agli altri, perché al centro dell’ingresso vi è una colonna (ci resta la base) che va ad essere
un elemento di prestigio nello spazio abitativo rispetto agli altri vani che non hanno questo apprezzamento
architettonico. Così richiama la tripartizione di locali ma soprattutto chiarisce che quella era la sala di
ricevimento principale per il re.
Egli nel vano di dx (rosso) doveva svolgere probabilmente
i banchetti, perché le tracce di muro sono le tracce di una
banchina a U, che ricorda la stessa disposizione delle klinai
che connota il triclinio di epoca storica.

Sottolinea come queste sale fossero pensate per attività di


tipo rappresentativo in cui il padrone di casa e i suoi sodali
si riunivano. Lo spazio scoperto ha un ruolo importante
nelle dinamiche della ricezione degli ospiti, ovvero delle
attività del padrone di casa, il quale si fa decorare le pareti
del suo palazzo con lastre figurate. = non sono più limitate
all’esaltazione della componente familiare come cellula unica ma richiamano un’idea di potere, non più
veicolato dal lignaggio ma dalle sue capacità di intraprendere azioni di tipo atletico, militare e conviviale che
prendono come riferimento il mondo di Eracle, gli atla, tutte le imprese che l’eroe realizza → sono strumento
di rappresentazione da parte dei vivi per affermare una capacità e un potere acquisiti perché in grado di
gestire certe situazioni di scontro, guerra, di prove fisiche, di relazione con altri che pongono in primo piano
la capacità dell’individuo come aristos, come primo tra gli altri perché più capace degli altri.

La centralità di questa attestazione di Acquarossa è importante per capire come nell’arco di una generazione
cambi anche la prospettiva di come questi principes si pongono di fronte al resto della popolazione
proponendosi come capi popolo perché hanno delle capacità militari, governative, politiche e sociali maggiori
degli altri (ottenute perché sono stati chiamati a dare prova di questa loro bravura).

Intorno alla metà del VI secolo si afferma una mentalità per la quale il potere deve essere dimostrato (non è
più acquisito). Non è un caso che siano gli stessi anni in cui al trono di Roma vi sia Servio Tullio. Secondo la
tradizione è il figlio di una schiava che aveva una genealogia nobile ma in termini concreti è l’espressione del
ceto che si sta costituendo come l’altra forza propulsiva della città = classe popolare, media di cui fanno parte
anche mercanti e artigiani, coloro che garantiscono scambio di merci e arricchimento di singoli gruppi
familiari di più ampie associazioni di famiglie.

In questo torno di tempo si assiste ad affermazione di un ruolo di questa compagine sociale che finirà per
contrapporsi al patriziato della Roma repubblicana e che acquisirà pari diritti (patrizi e plebei) in un periodo
di tempo non così breve. In questo periodo cambia qualcosa in termini di ideologia e di affermazione del
potere.

Se fino al VII secolo e inizi del VI attorno a questi principes si concentra la produzione sia di lusso, che per la
committenza locale perché sono queste figure che attirano gli artigiani e gli artisti, dalla seconda metà del VI
si assiste a un mutamento che fa sì che siano i luoghi di culto gli spazi in cui avvengono gli incontri e gli scambi
che questa volta vengono sottoposti sotto l’egida di divinità (non del princeps). → È estremamente
interessante analizzare questi insediamenti, queste tracce archeologiche non solo come espressione artistica
di un determinato periodo storico, ma come una traccia di un approccio alle necessità della società che le
esprime, che le produce, la quale società veicola un determinato sentire condiviso attraverso monumenti e
iconografie.

LAVINIO, PRATICA DI MARE (POMEZIA) → città dove Enea insieme a Lavinia viene fondano la prima
comunità da cui avrà seguito la genealogia di Roma. È stato scavato negli anni ’50-’60. Si trova a Pratica di
Mare, dove uno storico, Diodoro Siculo, dice che qui esisteva un luogo di culto in onore di Enea in quanto
fondatore della stirpe dei futuri romani. Era affiancato da una serie di edifici, tra cui delle aree tutte orientate
verso est costruite tra il VI e III secolo a.C. che erano una memoria di un sacrificio che Enea aveva già realizzato
nella costituzione della città e alla quale seguono altre fasi edilizie.
HEROON DI ENEA

Un edificio interessante è quello trovato lungo la strada che porta ad


Albalonga, non lontano dall’area delle 13 are perché in questo sito è stato
rinvenuto un grande tumulo, una grande area che conservava una tomba
principesca del VII secolo costituita dalla sepoltura di uomo, vestito con
mantello e fibule. Era all’interno di una costruzione con lastre di cappellaccio,
nella quale era stata posta una serie di elementi che connotavano il defunto
come personaggio di rango, in particolare le sue armi, un coltello sacrificale,
una spada, una tazza di tipologia di qualche generazione precedente. Attorno
un servizio di banchetto, un carro con la bardatura e i finimenti dei cavalli e
una serie di altri oggetti che servivano all’azione post mortem del defunto.

Quello che interessa è che nel VI secolo questa tomba


fu visitata perché in questo momento essa viene
riconosciuta come la tomba di un eroe mitico, che non
poteva che essere Enea. Quindi vengono apposti dei vasi che sono tipologicamente del
VI secolo e che indicano l’attuazione di un sacrificio svolto presso questa tomba. Nel IV
secolo, questa tomba viene monumentalizzata attraverso la costruzione di una sorta di
falsa porta, poi sigillato per precisarne la natura di luogo di culto.

Si ha un contesto, dove pur avendo tante fasi edilizie, ma che iniziano dal
riconoscimento di una tomba di un eroe proprio perché ha un apparato sontuoso che
consente di individuarlo come personaggio di rango, si assiste alla formazione di un
modo di svolgere attività di culto a livello comunitario che vanno oltre il ristretto nucleo famigliare. → Il sacro
diventa il luogo dove la comunità si riconosce, attraverso il quale definisce delle proprie regole. Sono delle
regole che fanno parte della comunità.

Altro esempio interessante a Roma → AREA SACRA DI S. OMOBONO (zona del Foro Boario)

Intorno al 570 a.C. vengono costruiti dei templi gemellari preceduti da due
altari a forma di U e che secondo la tradizione sarebbero appartenuti a
Fortuna (dedicato da Servio Tullio, in quanto era la sua personale divinità
protettrice) e a Mater Matutae (divinità legata ai mercanti stranieri).

Gruppo fittile di ATENA ED ERCOLE, 540-530 a.C. → In questa costruzione è


stata ritrovato uno dei primi gruppi scultorei della Roma arcaica, nel quale è
stato riconosciuto, anche se non tutti sono concordi Ercole ed Atena che
dovevano occupare la sommità del tetto oppure essere collocati come
elementi acroteriali all’estremità del tetto.

In questo caso vi è lo scarto rispetto a Murlo a livello di rappresentazione dei soggetti


mitici, perché non sono più gli antenati ma sono delle divinità di tutta la comunità.

Aldilà degli elementi stilistici, (sorriso ionico, ecc.) la trasposizione dell’iconografia


risente dei grandi monumenti in Grecia quindi si parla di un contesto premiante e
che richiama quell’aspetto dell’afflusso in Occidente della cultura greca e dei suoi
motivi, i quali vengono acquisiti per significare qualcosa di nuovo rispetto
all’ideologia pregressa = questi edifici sono per la comunità e non più per una singola
famiglia al potere.
CAPITOLIUM della Grande Roma dei Tarquini, VI a.C. → è una delle opere attribuite ai Tarquini. In questo
caso si tratta di una delle primissime realizzazioni di templi etrusco-italici di tipo tuscanico, di dimensioni
eccezionali (circa 3000 mq). Sulle dimensioni ci sono posizioni diverse, nel senso che non ci resta l’intera
pianta ma ci restano porzioni dell’edificio. → indicativamente doveva essere ampio tra i 50 e i 60 metri e che
doveva porsi come la rappresentazione del potere dei Tarquini nella città.

L’edificio sorgeva su un basamento di fondazioni in cappellaccio, a pianta quasi


quadrata e accessibile nella sua parte sommitale da una scalinata
monumentale, sopra la quale vi era un vestibolo con 6 colonne sulla fronte
suddivise in 2 ulteriori file interne = costituiva una grande area di ingresso per
quelle che erano le 3 celle allungate (cfr. tripartizione dello spazio sacro).

Le tre celle erano dedicate alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. La
triade si troverà in quasi tutte le città dell’impero. Se la presenza del colonnato
è un richiamo alla peristasi greca, in questo caso la peristasi non occupa tutti e
quattro i lati perché è un periptero sine postico (senza la parte posteriore della
peristasi), che è un adattamento alla configurazione del tempio greco.

La datazione tradizionale dice che spetta a Tarquinio Prisco il voto e l’inizio dell’opera. L’archeologia afferma
che probabilmente è alla fine del VI secolo viene realmente costruito forse sotto il regno di Tarquinio il
Superbo e completato soltanto nei primi anni della repubblica tra 509 e 500 a.C.

Plinio dice che spetta a un artista etrusco di Veio, un certo Vulca la realizzazione della statua di culto in onore
di Giove che era in questo caso in terracotta e con le tinte prevalenti del rosso. Gli viene attribuita anche una
quadriga sul culmine del tetto, che verrà sostituita da quadrighe in bronzo dorato in epoche successive.

È importante sottolineare che le maestranze che realizzano questo edificio e l’apparato decorativo non sono
di Roma ma maestranze esterne. Questo significa che Roma non aveva ancora raggiunto un’autonomia e un
grado di capacità artistica/artigianale di questo livello. Solo nel IV secolo si avrà un’indicazione iscritta di un
artista che si firma come originario di Roma.

La storia del Capitolium prosegue nei secoli: subisce un primo incendio nel 83 a.C. con nuova dedica nel 69
a.C. e in seguito subisce un altro incendio per la cui ricostruzione interviene Vespasiano,
che lo restaura a spese pubbliche.

La raffigurazione di come poteva presentarsi ci è tramandata sia dalle monete sia da alcuni
rilievi, sullo sfondo dei quali la facciata del tempio compare.

Oltre al Capitolium, anche lo spazio del FORO è nel VI secolo è un luogo importante. A questo secolo risale la
planimetria della Regia e quindi si data intorno al 570 a.C.

Anche in questo spazio di forma insolita → spazio trapezoidale con almeno


due lati porticati all’interno. È incerto se ci fosse in origine anche l’ala di
sinistra porticata però all’interno vi era sicuramente spazio per i sacrifici.

Era collegato con il fronte aperto sulla via sacra costituito da un vano di
ingresso + altri due vani laterali destinati a conservare le cose sacre di Marte
e Oxconsiva (?). Subì nei secoli una serie di rifacimenti. Anche qui vi sono
delle lastre (cfr. palazzi Murlo) → in cui sono rappresentate scene legate a
Teseo: scena di Teseo e Minotauro, VI secolo. Ancora una volta la
testimonianza è quella in base alla quale se questo spazio sorge inizialmente come la casa del rex, in cui
vengono accentrate tutte le varie prerogative compresa quella sacra, a un certo punto questo spazio viene
gestito dal rex sacrorum, un magistrato che ha specificatamente questa funzione. Quindi in età repubblicana
avrà una sua autonomia e una sua gestione separata.
Da un punto di vista tipologico, è stato notato che questa forma trapezoidale richiama quella del Prytaneios
di Atene della fase arcaica, che ha la stessa forma con all’interno un porticato sui lati lunghi e che potrebbe
richiamare una scelta delle forme architettoniche previste per questi luoghi in cui si gestiva il potere.

Idea dello spazio sacro del tempio etrusco-italico – su questa costruzione si riesce a cogliere una serie di
elementi che legano la costituzione degli edifici principali del mondo: la casa, il tempio, la tomba in maniera
chiara.

Varrone (vive nel I sec. a.C.) scrive moltissimo ma uno di questi (De Lingua Latina)
contiene un passo in cui viene descritto il tempio tuscanico e le sue caratteristiche.
Egli spiega che, prima di tutto, la parola che indica il nostro “tempio” non coincide
con l’accezione che il templum ha in latino. Templum = spazio sacro, tale perché
ritagliato rispetto al resto dello spazio circostante. È uno spazio ritagliato perché è
l’espressione della divinità sulla terra. Il templum che ha origine dal greco temno che
significa ‘taglio’ è uno spazio che, come tale, non è necessariamente costruito. Infatti,
non tutti i templa sono templi, e non tutti i templi sono degli edifici monumentali nel
senso del termine.

Un templum può anche essere un’area sacra definita da alcuni elementi costitutivi
come l’altare, ma è sacra perché ritagliata rispetto al resto. Lo spazio destinato alla divinità viene liberato da
spiriti negativi attraverso rituali che gli auguri compiono e per questo è uno spazio liberato dagli spiriti e
anche ritagliato rispetto ai punti cardinali. Per questo, diversamente dal mondo greco, questo templum deve
avere un basamento che lo pone a un livello superiore rispetto al piano pavimentale su cui poggiano i piedi
dei fedeli → podium è parte integrante nella costruzione templare.

L’organizzazione delle parti del tempio, che possono avere un’ampia area vestibolare porticata che dà
accesso alla cella tripartita. È un elemento che può essere costitutivo di un tempio ma si può avere anche
tempio con unica cella che non necessariamente deve essere tripartita. Questa originaria tripartizione è
interessante perché richiama quella tripartizione dell’hiwan, che viene importata dall’Oriente e che ritrova
nell’Occidente e nella mentalità romana un’espressione particolare. Questa espressione si ritrova anche nello
spazio funerario, laddove si vede che aldilà delle iniziali tombe delle celle a forma quasi circolare si
impongono delle tombe che hanno questa stessa tripartizione con lungo ingresso (dromos) su cui si possono
affacciare dei vani laterali + un’area porticata. → TOMBA DEI CAPITELLI nella
necropoli della Banditaccia, Cerveteri, 600-570 a.C. = è sottoterra e viene scavata
direttamente nel tufo, in cui si ricavano i letti e le banchine funerarie su cui vengono
posti i defunti. Nello spazio del porticato ci sono ancora degli elementi colonnari, che
servono a presentare e rendere sontuoso l’ingresso verso l’interno.
È un interno tripartito, in cui il vano principale è quello centrale,
affiancato da altri due vani in cui trovano posto le atre tombe.

Questa tomba è famosa perché presenta un esempio di capitelli


eolici, abbastanza rari in Occidente.

Le sollecitazioni che vengono dall’Oriente sono molte. Dalla cella tripartita (nelle tombe, nello spazio sacro e
nelle abitazioni) si concretizza la rappresentazione del potere, che ha una sua attestazione nell’ambito
privato. → DOMUS 3 alle pendici del Palatino, già della fase arcaica del VI secolo. Mostra uno schema sia
assiale rispetto ad area del vestibolo con il vano principale sul fondo dell’asse e ai cui lati si aprono le are.

L’articolazione della casa segue il sistema tripartito, rispetto a una fronte su cui si aprono le taverne, i luoghi
in cui il padrone vende o commercia dei prodotti; infatti, affacciati sulla strada + stanze laterali per i beni di
necessità della famiglia e destinate al riposo (cubicola). A sud nella parte sul fondo dell’abitazione c’è il
tablino affiancato da sx da un triclinio, da una sala conviviale e a destra l’area di
gestione femminile con cucina e bagni legati alla produzione tessile, che partecipano
dell’attività del padrone di casa e di tutte le sue relazioni con persone di rango
inferiore che accedono all’interno dell’abitazione. E poi vi è il grande hortus usato
anche per la coltivazione e trasformato poi in giardino.

Ai Tarquini viene attribuita la grande infrastruttura di collettore delle acque nere


della città. → LA CLOACA MASSIMA

Secondo la tradizione è iniziata con Tarquinio Prisco,


tra la fine del VII e i primi 25 anni del VI. Sarà Servio Tullio che poi la realizzerà
e la completerà alla fine del secolo.

L’infrastruttura è ancora funzionante, tanto che nell’800 a questa cloaca fu


collegata la rete fognaria della città. È possibile vederla in alcuni punti,
soprattutto nella zona del Foro romano dove c’è la Basilica Giulia.

I dati archeologici indicano che, inizialmente doveva essere un grande condotto


a cielo aperto e che soltanto in età repubblicana viene chiusa con copertura a
volta in conci di tufo litoide. All’interno la sezione ha un’altezza media di 2,7 x
una larghezza di 2,12 metri, poi si allarga progressivamente verso la fine del
percorso dove arriva anche a una larghezza di 4,5 metri. È una grande opera di sistemazione delle acque
reflue della città, che sfociava nel Tevere e che permette di sanare tutto questo luogo centrale della vita della
Roma arcaica.

Parallelamente a questa fase della Roma dei Tarquini si ha la


creazione del CIRCO MASSIMO (600x140 m), grande opera che
permette la sistemazione di un’ampia area tra Palatino e Aventino.
Viene dedicata alla corsa dei cavalli e che poi conoscerà una
monumentalizzazione in età cesariana e traianea, quando viene
realizzato in laterizio tutto il sistema delle gradinate. Ha una sorta di
pista e una fila centrale, che è la spina dove Agrippa posizionerà delle
statue in bronzo per monumentalizzare questo spazio.

Qui si svolgevano le corse su quadrighe dei carri, che in età imperiale erano divise in quattro fazioni/colori:
rosso, bianco, verde e azzurro. Queste 4 fazioni sono come le squadre di calcio di oggi, che avevano dei
sostenitori agguerriti tanto che anche nelle case più nobili abbiamo dei mosaici con le corse dei carri con
l’enfatizzazione di una fazione rispetto all’altra a testimoniare che erano delle corse sentite ma anche
patrocinate da alcune famiglie che attraverso questi finanziamenti si ricavavano un sostegno politico dalla
plebe.

Questi secoli tra meta dell’VIII e la fine del VI ci permettono di seguire le varie tappe che portano alla
creazione della res pubblica e di acquisire dati per ricostruire i cambiamenti ideologici attraverso opere
architettoniche, scultoree e decorative di questa società che si forma e che nel giro di 150 anni si afferma nel
Lazio in maniera importante. Dal 509 diventerà un’interlocutrice temibile per le altre città della magna Grecia
e della Sicilia e poi di tutta la Grecia che conquisterà.
LEZIONE 15 | 12 aprile 2022

La prima e media età repubblicana


Il paesaggio del potere in cui i principes si facevano costruire delle residenze in chiave palaziale, come si
facessero seppellire in contesti necropolari come quello di Cervetteri o Preneste, fossero paesaggi del potere
che marcavano la modalità di rappresentare lo stato di questi principes, ma anche è un paesaggio che andava
a delineare le aree di influenza di questi principes. Sullo scorcio del VI secolo perdono rilevanza, con la
cacciata di Tarquinio il Superbio del 509 e l’istituzione della repubblica romana.

Si tratta di una fase, frutto di un processo che non accetta più un tipo di potere autarchico come quello dei
principes. La fase che porta alla costituzione della repubblica, è un passaggio che necessiterà una serie di
assestamenti, dal punto di vista giuridico e istituzionale, e sia dal punto di vista architettonico.

Per il Capitolium le maestranze non erano romane ma alloctone, etrusche che avevano una sapienza e una
conoscenza di tutto quello che riguardava le opere scultoree, che aveva assunto molti dei caratteri della
cultura greca e che venivano trasposte nel mondo latino/occidentale.

Santuario di Portonaccio, Veio (poco a nord di Roma), 510-500 a.C in una delle città etrusche più
importanti, ci permetti di comprendere come la realtà di Roma, sia una realtà che aveva molte influenze della
civiltà etrusca, aveva delle proprie specificità e
caratteristiche.

Questo santuario è un sito, che si collocava lungo una


traiettoria che consentiva agli abitanti di questo luogo di
raggiungere Roma ma anche di raggiungere il litorale,
con le grandi distese di saline. Sito frequentato già nel VII
secolo, nel VI secolo viene edificato un edificio dedicato
a Minerva, e che si configura come un edificio col quale
la realtà di Roma, ha una serie di elementi
estremamente interessanti.

Tra i 13 e gli 8 metri di larghezza e affiancato da una


piscina, per svolgere attività di tipo oracolare per la
divinità di Apollo e Minerva. Si tratta di un edificio che ha
subito una serie di rifacimenti, e una serie di azioni che
attestano la continuità dell’edificio fino al II sec a.C,
quando poi il contesto perde importanza dal punto di
vista culturale. Poi diventa un luogo abbandonato, da cui
si prelevano in antico del materiale, comportando una
dispersione delle partizioni dell’edificio e una difficoltà a
ricostruirlo nella sua interezza.

Sono state trovate le partizioni che costituivano l’alzato


del tempio con serie di elementi che conosciamo della
decorazione della parte superiore degli edifici
templarima da cui deriva un gruppo scultoreo che
dovevano essere collocate a modo di state croteriali sul
tetto.

Le divinità principali sono tre : nella posizione centrale sono presenti le statue di Apollo che si scontrano con
Eracle, rappresentando la versione del mito di Eracle poco diffusa, lo scontro è dovuto alla conquista di una
cerva. La figura di Apollo che viene ritratto secondo il gusto tardo-arcaico che ci ricorda l’iconografia della
parte greca, ci dà la misura della forza greca in termini di scultura.

Si è fatto il nome di Vulca, come lo scultore locale che probabilmente ha realizzato questo ciclo scultoreo,
come quello del Capitolium.

La critica ha sottolineato come queste


sculture, a 10 metri di altezza da terra, fossero
state realizzate in terracotta con prospettiva
volta a superare le deformazioni ottiche
dovuta a una visione dal basso di queste
sculture. La resa volumetrica ci descrive la
capacità dell’artista, o gruppo che aveva
lavorato con Vulca, che aveva raggiunto un
livello artistico molto alto.

Sulla destra la madre di Apollo, con in braccio


il bambino, e che evoca un’altra parte del mito
legato ad Apollo, che aveva ucciso da bambino il serpente-pitone a Delfi, mettendosi Apollo lui dell’area
sacra. Versione del mito meno rappresentata, ed essendo in periferia, si poteva avere una certa declinazione
per rispondere a certe istanze locali.

Se a Delfi si ha il suo fulcro sull’idea dell’acqua, anche qui si cerca di riproporre una funzione oracolare in una
terra che non è Delfi, si afferma una implicita volontà di richiamarsi al mondo greco culturale e artistico per
l’occidente italico.

La cultura laziale alla fine del VI secolo, è sollecitata da tante spinte che non sono spinte solo artistiche,
religiose, ma sono anche spinte che devono mettere a sistema una realtà sociale, politica di una Roma appena
formata, che mette in campo due fazioni distinte: quelle dei patrizi e plebei. Nel momento in cui i Tarquini
vengono cacciati si formano questi due gruppi sociali, che inizialmente devono trovare un assetto
istituzionale, è stato un processo abbastanza lungo, non si è passato subito da re a console. Si ha una fase di
assestamento che gli storici hanno ricostruito, in base alle istanze di quelle famiglie che erano nella cerchia
del potere del re, le famiglie aristocratiche che decidono che questo sistema non risponde più alle esigenze,
partecipando alla caduta dei tarquini.

Gli storici hanno sottolineato, analizzando una serie di fonti, come l’aristocrazia abbia cercato di
impossessarsi del controllo delle nuove
magistrature, cariche repubblicane che si
stavano definendo e di creare casta chiusa di
controllo di queste cariche, per continuare a
mantenere potere di tipo gentilizio.

Quali sono i nuovi paesaggi del potere? Cosa


succede a livello urbano?

Si sono individuate tre aree di


rappresentazione del potere repubblicano:

1. Foro
2. Aventino
3. Campo Marzio

FORO ROMANO  come questo luogo, aveva


in età regia, un luogo con alcuni siti che
marcavano la centralità e che diventa nel periodo della nuova repubblica il centro del potere dell’aristocrazia.
Qui si riunivano le famiglie aristocratiche (il senato) e alla fine del VI secolo si concentrano gli interessi per
marcare questo luogo.

Primo edificio rappresentativo è il tempio di


Saturno, non divinità romana ma latina. Si tratta di
una scelta interessante, perché il luogo in cui viene
eretto il tempio di Saturno, in data del 493. Questo
edificio viene collocato è in prossimità del mundus,
cavità nel terreno che per tradizione accoglieva le
primizie del raccolto della buona stagione. Saturno
rappresentava per la tradizione arcaica, il dio dell’età
dell’oro ed è il dio al quale viene dato il compito di
patrocinare tutte le attività che hanno a che fare con
l’Heraion della città, il tesoro della città.

In origine era collocato tra il vicolus iugarius e il colle


Capitolino, la sua posizione era funzionale a essere
prossimo alla via sacra, che attraversava il foro per andare verso il colle. Questo edificio è su alto podio con
scalinata di accesso, che secondo la ricostruzione doveva avere un fronte esastilo di ordine corinzio, che poi
con il tempo verrà restaurando prediligendo l’ordine ionico. Essendo prossimo al mundus, e essendo la
gestione dell’erario, si doveva avere presso il lato del podio, lo spazio interno nel quale venivano svolte
attività legate a questo tipo di mansione.

Sul podio era possibile apporre le lastre che riportavano le leggi approvate dal Senato, in modo che i cittadini
potessero prenderne visione.

Saturno era una divinità prescelta dalla fazione aristocratica, perché avvertita come divinità ancestrale che
aveva costituito Roma. Dal 17 dicembre venivano festeggiati i Saturnalia  festività avvertita, dove si
scambiavano dei doni sigillaria (statue in terracotta) servivano come dono ben augurante per l’anno
successivo. Festività sentita, perché si invertivano i ruoli sociali, perché schiavi non erano più schiavi ma i
padroni potevano allestire dei banchetti per i propri schiavi. Divinità che va a marcare il lato ovest del foro.

Dalla parte opposta del tempio, c’è edificio importante per il potere dell’aristocrazia Tempio dei Dioscuri.

I Dioscuri, sono una divinità di origine greca, una coppia gemellare maschile, che presiede la cavalleria, per
la componente romana latina, i Dioscuri nella loro natura, proteggono la cavalleria, nella parte ricca degli
aristocratici.

La tradizione dice che romani e latini si scontrano, presso il lago Regillo nel 499, e in quella occasione una
coppia di cavalieri appare all’esercito romano, come segnale della probabile vittoria della cavalleria romana
in questo scontro e da qui nasce il voto di dedicare ai Dioscuri un tempio in caso di vittoria, per glorificare e
rimarcare il ruolo della cavalleria per la componente sociale. Le fonti dicono anche che i due cavalieri con i
due cavalli, sarebbero stati visti in un’area del foro dove c’era una sorgente Giuturna, per abbeverare i cavalli
e che è stata poi monumentalizzata in età repubblicana per sottolineare l’importanza divina gesta.

Le statue che dovevano abbellire il tempio vengono trovate in pezzi all’interno della fontana, porta. In epoca
successiva nell’area, era stato costruito un tempietto per la ninfa Giuturna. Le fonti ci dicono, se nel tempio
di Saturno c’era la sede dell’erario, qui era stata realizzata una struttura annessa al tempio, relativa alla
stazium acquaria, alla gestione delle acque della città.

All’interno dello spazio del foro esistono dei marcatori dello spazio, funzionali ad esprimere la rilevanza
dell’aristocrazia nel controllo delle manifestazioni del potere repubblicano.
AVENTINONel 495-494, i plebei si organizzano e si impossessano dell’altro colle che è l’Aventino e
decidono di nominare di propri rappresentantii tribuni/magistrati che sono contrapposti ai consoli e
anch’essi giurano su delle leggi sacre, che vincolano l’operato dei loro rappresentanti. All’interno di questa
area svolgono il concilium plebis, le riunioni della plebe, che era la componente che controllava tutti i traffici
commerciali ed era una componente sociale molto rilevante.

I resti che si conoscono sull’Aventino sono di epoche


diverse, dove gli scavi hanno individuato dei luoghi sacri:

- tempio di Cerere (Demetra), Libero e Libera


(=Dioniso che rientra in serie di attività legate alla terra) e
Libera (Kore figlia di Demetre che richiama la terra)
- di Diana e Minerva= scelta antagonista di porre il
tempio di saturno a presiedere quel tipo di attività. Per
questo tempio di Cerere viene scelta una sacerdotessa
greca.

La scelta di porre il tempio di Cerere, Libero e Libera è una


risposta antagonista rispetto alla scelta dell’aristocrazia di
presiedere quel tipo di attività.

Del tempio di Cerere, Libero e Libera si sa molto poco


dell’apparato scultoreo, di cui Plinio ci dice che erano stati
chiamati due artisti magnogreci, Damofilo e Gorgaso che
dovevano realizzare le statue in onore di queste 2 divinità
e che a loro viene richiesto di dipingere anche le sale
interne.

Gli storici dell’arte antica, hanno richiamato come esempio dei resti frammentari da luoghi uno da Roma e
da Faleris Veteres, in cui a sinistra di vede un frammento dell’Amazzone ferita dal tempio dell’Esquilino (luogo
di sepoltura), e dell’altra parte un frammento di un combattimento.

CAMPO MARZIO  terzo luogo si presta ad essere


teatro di una nuova espansione urbanistica. Nella fase
regia, i tarquini pongono vari possedimenti privati, e qui
era collocata un’area a svolgere attività cerimoniali
connesse a Marte, che viene nuovamente a essere la
divinità che presiede le azioni militari. Il Campo Marzio
diventa lo spazio, in cui l’esercito sotto la guida di Marte
non svolge solo attività militari, ma avviene anche
procedura legata alla votazione, da parte dei comizi
centuriati, quindi al censimento dei cittadini sulla base
del loro censo, dentro a strutture che sono dei recinti in
legno, che solo in età più tarda verranno
monumentalizzati.

Si tratta di un luogo simbolico, perché era molto ampio


rispetto all’area della città. Quest’area era attraversata non solo dal fiume, ma anche da corsi d’acqua minori,
era l’acqua saluziana e amis petronia, che arrivavano nella “palude della capra” e che creava una situazione,
in cui si avevano dei vapori che richiamavano il mondo dei morti e degli inferi. Qui era collocato il Tarentum,
collegato al mondo infero e in particolare aveva come caratteristica il fatto che ci fosse un altare sotterraneo
e che veniva dissepolto con particolari cerimonie che prevedeva il sacrificio di un cavallo, secondo la
cerimonia Equus October. Cerimonia che prevedeva una serie di gare alla fine della quale il cavallo più veloce
veniva sacrificato a queste divinità.

Luogo con sede di tutte le attività militari, e qui vengono celebrati anche i trionfi delle azioni militari, portati
all’interno della città dove venivano offerte alla triade capitolina i doni come tributi di guerra.

La cittadinanza cerca di espandere l’occupazione del territorio, riconoscendo delle funzioni di aree al posto
di altre quindi una polarizzazione della città.

All’interno di queste procedure che prevedevano una serie di tappe per arrivare a costruire un edificio sacro,
occorreva seguire una serie di azioni che garantivano attraverso un rituale il seguire una procedura che
assicurava la piena soddisfazione delle culture sociali e religiose.

Codificazione delle azioni per la costruzione di un edificio sacro deliberate dal popolo. Si individuava:

- Votum da parte del magitrato cum imperio, che aveva la carica istituzionale
- Locatio, il luogo della realizzazione dell’edificio
- Dedicatio = edificio costruito e dedicato a divinità che presiedono questo spazio
- Consecratio è il rituale con cui i sacerdoti sanciscono il passaggio della costruzione nei beni della
divinità

I romani, non avevano dei libri scritti con le procedure rituali, la canonizzazione avveniva attraverso delle
procedure puntuali.

La comunità si riorganizza, in senso di un ordinamento democratico, necessita di individuare vari luoghi di


rappresentazione del nuovo potere.

Non sono solo luoghi che veicolano la nuova Roma, ma anche attraverso le immagini/iconografie simboliche
della Roma, che andava costituendosi andavano rimarcate
le origini della città, le tecniche di lavorazione. Su questo
l’archeologia e le altre discipline hanno trovato un punto di
disaccordo che è la Lupa Capitolina. Le prime notizie su
questo bronzo risalgono all’inizio del V secolo d.C., quando
questa scultura viene segnalata alla sede papale al Laterano,
insieme ad altri oggetti antichi, un atto giuridico che
rimarcava l’idea di autoritas (continuità dell’antichità dopo
la sua fine).

Questo oggetto è esposto in questa sede al Laterano, fino al


1471 quando Sisto IV decide di trasferirlo in Campidoglio per
restituirlo alla comunità e al popolo romano. Questo esemplare ha come caratteristica quella di presentare
la lupa in posizione laterale, testa rivolta verso lo spettatore, con fauci spalancate e denti digrignanti a
sottolineare che la lupa è posta a tutela dei due gemelli(aggiunta del XII secolo).

Lupa esprime senso di protezione verso i due gemelli.

È una lupa che ha un focus su quella che è la pelliccia attorno al collo resa con la tecnica “a fiamma”. Lupa
molto magra, nel suo essere un animale selvaggio. Chi ha realizzato l’opera marca il costato per simboleggiare
la ferocità dell’animale, anche le zampe sono estremamente essenziali nella resa. Sono state rinvenute delle
tracce di bruciatura nelle zampe posteriori, il che ha fatto recuperare una testimonianza di Cicerone che
ricorda che a Roma vi era più statue della Lupa e Romolo e Remo.

Una copia nel Campidoglio, era stata colpita da un fulmine nel 65 a.C, facendo capire che potrebbe trattarsi
dell’originale, se ne parla anche nei documenti medievali, fino a quando Sisto IV lo riporta in Campidoglio lo
riporta alla popolazione.
Ci furono numerosi dibattiti, perché in occasione di un restauro ed un’analisi delle terre trovate all’interno,
si arriva a pensare che questo sia un manufatto di età medievale.  gli storici medievali, non hanno trovato
molti confronti di questo tipo rappresentazione. Sono stati apportati diversi esempi di opere tardo arcaiche,
della prima età repubblicana, della Lupa capitolina.

Due esempi che scatenarono il dibattito su questo manufatto: un frammento di una statua di una lupa o forse
di una leonessa, con la stessa resa del costato e parte sommitale del pelo, dall’altra parte vi furono dei
confronti iconografici sulla posa della lupa

Sono state rilevate delle discrepanze delle stesse terre di fusione di epoche riverse, delle difficoltà nel porre
una data certa. I manuali la considerano un’opera romana. Non è l’unica opera che ci è giunta.

Altro prodotto legato agli etruschi, in bronzo, di livello alto, produzione nota anche in ambito letterario e ci
fa capire la capacità di questi artisti che vengono influenzati dalla statuaria classica. 

Marte di Todi, fine V secolo a.C.  alta 1.41 m, attribuita alla scuola
di Orvieto, che richiama alcuni elementi della statuaria greca, dalla
fase greca, con la postura della statua sulla gamba destra portante e
gamba sinistra libera. Le braccia sono staccate dal corpo sollevate,
nella mano destra aveva una patera (per la dedica votiva) e nella
sinistra una lancia. I particolari della resa della corazza sono frutto di
un’attenta analisi dei particolari dell’abbigliamento e da un punto di
vista dello studio della statua è stato richiamata una bravura di alto
livello dell’artista. Particolari definiti anche per la capigliatura, viene
usata la pasta vitrea per la resa degli occhi. La situazione è dinamica
che fa il conto con una realtà artistica, che è ancora prodotta fuori
dalla città di Roma. Le conoscenze non sono ancora trasferite
all’interno della componente romana, che chiama artisti ed esperti
per queste realizzazioni, ovvero gli elementi rappresentativi della
città.

I due secoli tra il V e la metà del IV sono dei secoli in cui la città di
Roma ha le due componenti che marcano il territorio, ma che si tratta
di comunità con grandi contraddizioniIl potere legislativo e
decisionale resta in mano all’aristocrazia e non riconosce un pari valore giuridico delle decisioni della
componente plebea.

Si arriva a vari scontri, che si concludono con le leggi Licinie Sestie nel 367 a.C, in con cui viene stabilità una
parità giuridica tra patrizi e plebei, costruito in tempio della Concordia (divinità astratta) che doveva
suggellare il legame tra le due componenti, in un luogo rappresentativo di fianco il foro. Nel momento in cui
Roma inizia la corsa per la definizione di uno stato autonomo, con ordinamento democratico, che si allarga
per occupare territorio più ampio del Lazio, è fino agli anni 60 del IV secolo, è una città non così forte
all’interno da contrastare un attacco repentino da parte dei Galli.  incendio gallico del 390 a.C., mettendo
a ferro e fuoco la città, mettendo in debolezza le forse esterne della città al suo attacco.

Da questa situazione Roma ha saputo riqualificare sé stessa, e ricostruire la città secondo un impianto
razionale dato poco congruente perché Roma si sviluppa nel corso dei secoli. Testimonianze di Tito Livio,
che racconta tutti i vari fatti della grande Roma di Augusto, si presenta come città che aveva saputo ricostruire
se stessa secondo impianto regolare, che vedeva in altre città di fondazione e che mancava totalmente a
Roma, descrivendo gli interventi di Ottaviano Augusto.
Negli anni della ricostruzione della città nella seconda metà del IV secolo, si
cominciano a delineare delle maestranze romane che finalmente hanno
acquisito una capacità di elaborazione dei materiali, nelle tecniche esecutive
architettoniche tanto da firmare quello che producono.

Cista Ficoroni  sorta di beauty case femminile, firmata da Novio Plauzio,


primo oggetto in cui viene nominato l’artista Novio Plauzio di origine campana,
ma attivo a Roma, che realizza questo cofanetto che viene dedicato da una
madre a una famiglia e trovato in una necropoli di Preneste. Su questo oggetto
vengono riprodotte iconografie che si trovano nella ceramica coeva, in alcune
figure, nella costruzione delle scene, legate al mito degli argonauti. La funzione
dell’oggetto non è la connessione tra mondo femminile, ma in generale il
mondo del mito.

Sempre per quanto riguarda la bronzistica esempio rilevante è il Bruto


Capitolino bronzo donato alla corte papale nel XV secolo e che è stato
attribuito a Bruto che aveva ucciso il Superbo. Questa scultura mostra la
volontà esplicita di raffigurare un personaggio che non si sa chi sia ma con
tratti fisionomici molto marcati, elementi specifici di una persona, con
elementi specifici: resa delle occhiaie, e rughe d’espressione, capigliatura. 
inizi di una tradizione ritrattistica specificatamente romana

Elemento connotativo di questa cultura, di rappresentare con il ritratto i tipi


dei cittadini, ma delle persone, con ritratti fisionomici dei vari soggetti. La
questione di matrice non solo di estetica, la componente romana ma vuole
lasciare anche traccia solida evidente di qualcosa che è avvenuto, e non una
figura ideale per lasciare traccia materiale di tutte le azioni che si facevano.

È estremamente interessante ricordare che in una necropoli dell’Esquilino attribuita ad una famiglia nobile,
si trova un frammento di una pittura parietale di una tomba (298-290 a.C.) con scena su quattro livelli: eventi
storici riconducibili alla III guerra sannitica, sono rappresentati degli uomini alcuni quasi nudi e altri vestiti
con la toga. Questa serie di azioni vedono i gruppi che si scontrano o che si ritrovano presso un muro di una
città, e che potrebbero corrispondere alla raffigurazione di due gruppi contrapposti: quello dei Sanniti e dei
romani. Scena dei combattimenti messa in visione di altri di altri cittadini, facendo vedere lo scontro tra i
sanniti e romani.

Vi sono una serie di guerre sannitiche che hanno interessato l’esercito e la comunità romana, dei gruppi etnici
che hanno favorito una volta i romani, ma più volte per i sanniti per ostacolare l’espansione di Roma nell’Italia
centrale. Da questo frammento racconta di una propensione al racconto dei fatti storici, prende inizio il filone
della pittura storica, che avrà espressione anche su pietra. Il rilievo stoico, elemento caratterizzante dell’età
romana che permette di rappresentare fatti storici, elogiare figure che avevano avuto ruolo importante sulla
scena politica e sociale. Durante le processioni dei soldati e dei generali venivano presentati dei quadretti
che servivano per richiamare l’attenzione dei cittadini, su determinate scene che si volevano elogiare per
richiamare il ruolo svolto dai soldati e ottenere il riconoscimento delle res gestae, le azioni compiute durante
queste imprese.
LEZIONE 16 | 13 aprile 2022

ARCHITETTURA E URBANISTICA A ROMA E NEL LAZIO IN ETÀ MEDIO-TARDO REPUBBLICANA


(seconda metà del IV secolo e gli inizi del I sec. a.C. = epoca ellenistica)
Roma e le Guerre Sannitiche

Ci sono delle guerre che hanno portato Roma a diventare con la fine del II sec. a.C. la signora assoluta del
Mediterraneo fino alla parte orientale greca. Nella fase tra il V e il IV c’è un livello culturale non così marcato
da poter dominare le arti, ma nelle opere più importanti si richiedeva l’esperienza etrusca o greca quando
c’era bisogno di costruire qualcosa.

La seconda metà del IV secolo è il periodo che, da una parte,


ha visto l’unione dei due poli dei patrizi e dei plebei dopo le
leggi Licinie Sestie del 367 che rendono possibile l’elezione
anche degli esponenti delle classi plebea nelle varie cariche
pubbliche che fino a prima erano sotto il controllo
aristocratico. → Questo fa sì che la classe commerciale
artigianale che aveva contribuito ad arricchire la città acquista
un ruolo importante. Era la classe che racchiudeva i contadini,
i piccoli possidenti di terra che venivano resi parte della
comunità attraverso il censimento e che si basava sul loro
effettivo podere di terra e bestiame. Queste persone vengono
chiamate alle armi e ci mettono di più in termini di forza militare perché devono abbandonare la loro attività
di contadini per svolgere quella di soldati. Nel momento in cui Roma si allarga sempre di più entra in contrasto
con un gruppo dominate nel centro Italia: i Sanniti, che poco amano l’idea di essere soggiogati a loro perché
avevano tutta una loro cultura, tutto un loro territorio che arrivava fino al Lazio meridionale ma anche alla
Campania.

Le guerre sono tre: dal 346 fino agli inizi III a.C. (295-291). Questa popolazione comincia una guerra di
contrapposizione netta rispetto a Roma e alle città alleate, che Roma controllava attraverso la lega latina. Da
un lato da parte dei Sanniti di accerchiare Roma facendo leva anche su altre popolazioni che occupavano la
penisola italica come i Galli, ossia gli etruschi che Roma aveva eliminato dal centro del potere nel momento
in cui aveva occupato anche Veio. Dall’altra parte Roma cerca di ancorarsi a questa rete di città che controlla,
fondandone di nuove e quindi cercando di avere uno sbocco a mare che permette a Roma di avere un
ulteriore fronte di guerra.

Roma commette una serie di ingenuità nel momento in cui cerca di contrapporsi a questi guerrieri, che
conoscevano molto bene i territori appenninici di non facile movimento e gestione. Da un lato si arriverà alla
famosa battaglia delle Forche Caudine presso Caudio, località del Sannio. = enorme sconfitta per Roma del
321, su cui gli annali cercheranno di minimizzare a livello propagandistico l’impatto di questa sconfitta, che
in realtà è clamorosa per i romani. Parallelamente le dinamiche della guerra vanno avanti fino alla fine del
secol, tanto che i Sanniti cercano di allearsi con i Galli, gli Umbri e gli Etruschi. Solo nel 295 verrà fatta una
grande vittoria presso Sentino e poi a sud tra Benevento e Ascoli Piceno che permetterà a Roma di entrare
definitivamente in possesso di questi territori. → Non seppero far squadra contro i romani e quindi la
superiorità dei romani si avvertì nella incapacità degli altri gruppi di coalizzarsi contro Roma.

Da qui la civitas si trova in possesso di un territorio sempre più ampio, che si progressivamente si amplierà
anche nel II secolo quando da un lato Roma riuscirà a controllare anche la Magna Grecia, soprattutto quando
entrerà in possesso di Taranto (272 a.C.). → una delle grandi metropoli della Magna Grecia insieme a Siracusa
(annientata nel 212 a.C.).
Ci sono anche degli altri nemici: i Cartaginesi, che avevano una loro tradizione antica perché Cartagine vien
fondata nell’VIII secolo a.C. (fondata dai Fenici da Tiro) e ha tutta una sua espansione e un suo sviluppo
straordinario anche da un punto di vista culturale che le permette di espandersi nel nord Africa ma anche di
controllare il mercato del Mediterraneo occidentale, su cui Roma mette gli occhi. (liberato tutto il territorio
italico restavano questi gruppi che controllavano non solo parte della Sicilia ma anche il fronte ispanico).

Le tre guerre puniche, in particolare la prima (264-241 a.C.) e la seconda (218-201 a.C. che finisce con la pace
definitiva tra Roma e Cartagine) che si svolgono nella II metà del III secolo, fanno sì che Roma controlli un
enorme territorio. = la proietta come signora assoluta in Occidente e che la spinge a guardare anche nella
Grecia degli Epigoni di Alessandro, coloro che si erano spartiti l’impero di Alessandro Magno. Nel II secolo ci
sono stati vari scontri in varie città greche: Pidna nel 168, Corinto che viene distrutta nel 146 e da quel
momento anche tutto il fronte orientale passa in mano a Roma.

Roma nel II secolo, quando controlla anche l’Egeo, promuove Delo come porto franco per tutti i commerci
verso il settore dell’Egeo. A Delo si trasferiscono molti italici che farà sì che anche tutta quella componente
sociale che prima aveva una serie di attività commerciali ristrette all’ambito tirrenico e del Mediterraneo
occidentale abbiano la possibilità di espandersi anche verso est.

Da questa situazione a Roma si creano le condizioni per uno scontro interno che sfocerà nella guerra civile
del I sec. a.C.: da un lato a causa di tutte le guerre in territorio italico che avevano richiesto una grande
componente della classe contadina o militare si impoverisce moltissimo, dall’altra la conquista di nuove terre
e quindi la sottomissione di altri popoli fa sì che Roma acquisisca schiavi = tutta questa manodopera che
viene ad essere a disposizione di Roma va a scardinare gli equilibri interni delle popolazioni locali, le quali
vedono l’emergere di alcuni generali che acquisiscono un enorme potere in termini di fama e potere reale
con bottini straordinari (fatti dalle razzie di coloro che vengono sottomessi); ma fa sì che anche una
componente sociale medio-bassa torni nelle proprie terre che non erano state sfruttate e si trovino a non
essere più in grado di sostenere lo scarto tra l’emergere di alcune figure con grande potere e la loro possibilità
di far fronte alle richieste e alla situazione politica che si va a delineare. Una parte della popolazione si trova
in grave difficoltà a fronte di quella componente aristocratica con mercanti che riescono a sfruttare questa
nuova potenzialità. I generali conquistano, ma fanno anche razzia di beni del mondo magno greco e siculo
che avevano conquistato. Tra la fine del III secolo e il II sec. a.C. arrivano a Roma enormi quantità di opere
d’arte e anche artisti, scultori, architetti, intellettuali che non potendo far capo a contesti attivi culturalmente
(come erano prima le città greche) decidono di trasferirsi in occidente = così arrivano molte sollecitazioni
culturali che portano a un ribaltamento della mentalità romana, che fino a quel momento era basata sulla
proprietà anche del piccolo proprietario terriero e sul rispetto delle tradizioni sulle norme comportamentali,
su tutto quello che aveva a che fare con un regime che gli antichi chiamano mos maiorum, ossia il “costume
degli antichi”. A fronte di sollecitazioni culturali che vengono dal contatto con le grandi corti ellenistiche
(Alessandria, Pergamo, Seleucide) che sono degli esempi di una regalità, di una rappresentazione del potere
molto più potente di quella che Roma aveva conosciuto fino a quel momento.

A ridosso di questa nuova stagione sociale-culturale, gli stessi autori latini coniano un’espressione per dare
l’idea di questa nuova dimensione a cui Roma si avviava = parlano di asiatica luxuria → nel senso di
propensione al lusso, allo sfarzo, alla monumentalità che è asiatica nel senso di orientale/non italica e che
sarà un importante elemento di propaganda per quelle classi che si arricchiscono grazie a questi nuovi
possedimenti e conquiste e che utilizzeranno le potenzialità di questo tipo di manifestazione di ricchezza per
ricavarsi un proprio potere. A fronte di questa linea dei grandi intellettuali e generali del tempio come, per
esempio, il circolo degli Scipioni = una sorta di circolo culturale che a Roma fa convergere tutta l’intelligentia
del tardo Ellenismo, non solo italico ma anche asiatico (=greco/orientale).

A questa tipo di situazione si contrappone un gruppo di intellettuali romani, che sono contrari e forti
oppositori rispetto a questa luxuria asiatica, perché ne vedono tutti i rischi da un punto di vista dello
stravolgimento dei loro costumi, delle loro forme di rappresentazione, del loro sistema repubblicano che si
era consolidato in quei decenni. La spinta al benessere, al bello non poté che essere predominante e infatti
il II secolo è il secolo della manifestazione di questa grande potenzialità di rinnovamento, che investirà Roma
e le sue colonie ovvero le città delle quali Roma è il riferimento = TRASFORMAZIONE PROFONDA SIA A LIVELLO
IDEOLOGICO E CULTURALE, CHE A LIVELLO URBANISTICO, ARCHITETTONICO E ARTISTICO.

Per la società romana, che aveva una propria modalità di rappresentare sé stessa e
trasferire anche a livello di immagini o monumenti un certo tipo di messaggio
propagandistico, era importante lasciare traccia delle gesta dei propri generali,
esponenti politici, personaggi di spicco. Questo frammento è interessante perché la
narrazione avviene su almeno quattro livelli (forse composizione più ampia) di scene
legate a una delle ultime guerre con i Sanniti. → Roma, Necropoli dell’esquilino,
tomba, 298-290 a.C. (Centrale di Montemartini, Roma).

Nella pittura sono indicati anche alcuni nomi di personaggi co epigrafi dipinte sulla
pittura a testimoniare la specifica volontà di raccontare dei fatti. Attraverso questa
narrazione i personaggi in vista della scena politica di Roma traducono in propaganda
le loro gesta e imprese.

In questi termini un altro sito importante è il SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI, che


si trova nella parte esterna della città serviana, repubblicana. È poco prima
dell’inizio del parco dell’Appia.

Questa tomba si pone già a partire dal III secolo, come una delle tombe più
rappresentative di una famiglia come quella degli Scipioni che trasmettono
con questi monumenti un’informazione di sé.

Tra la fine del IV e gli inizi del III secolo,


viene posta una prima tomba, che verrà
poi monumentalizzata. È accessibile con ingresso monumentale dal lato
sinistro della via Appia. Questa tomba è stata scoperta nel 1780, perché
all’epoca tutta quest’area era ad uso agricolo e i fratelli Sassi volevano
realizzare una cantina in questa zona suburbana. Si interfacciano subito
con un contesto molto complesso, che poi si è capito essere già stato
oggetto di scavi clandestini che avevano asportato e saccheggiato alcune
delle sepolture di questo grande sepolcro. Aldilà di questa prima scoperta
del ‘700 è solo nel 1926 che viene ampliata l’analisi e lo scavo del
sepolcro, restaurando alcune parti e portando i sarcofagi, ovvero le
statue dell’interno ai Musei Vaticani. Nel luogo sono state messe delle
copie degli oggetti. Si ritiene che il fondatore fosse Scipione Barbato,
agli inizi del III secolo, il cui sarcofago era in posizione centrale. La
peculiarità del sepolcro è costituita dal fatto che trattandosi di una
camera ipogea il complesso era stato scavato nel tufo lasciando
quattro pilastri a risparmio, attorno ai quali vengono
progressivamente ricavati spazi per l’alloggiamento di diversi
sarcofagi.

Il sarcofago principale fu quello posto su una sorta di asse visivo principale e soltanto in seguito vengono
realizzate delle nicchie, all’interno delle quali vengono posti vari sarcofagi che arrivano alla fine del II-I secolo
a.C. L’uso di questo sepolcro prosegue anche in età imperiale, quando poi nel III secolo tutto il contesto viene
obliterato. All’interno delle varie nicchie sono stati trovati 7 sarcofagi in totale, che recano iscrizioni che ci
informano sulle varie personalità che occuparono il sepolcro, che venne monumentalizzato solo nel II secolo
attraverso la facciata (ricostruita da schizzo) e che prevedeva un alto
podio all’interno del quale erano realizzati i tre archi (due ciechi e
uno di ingresso al sepolcro). Al di sopra c’erano una serie di nicchie
con sculture celebrative che dovevano essere la rappresentazione
forte di coloro che avevano fatto grande la famiglia degli Scipioni. Da
un passo di Tito Livio si sa che qui dovevano essere rappresentate
delle statue di Scipione l’Africano, dell’asiatico e del poeta Ennio a ribadire ancora una volta il fatto che queste
famiglie avevano la capacità di far convergere, richiamare attorno a sé anche intellettuali al pari di come in
Oriente i grandi dinasti (Alessandria, Pergamo) richiamavano attorno a sé gli artisti e gli intellettuali
dell’epoca. È possibile che a livello architettonico coloro che chiesero di realizzare questa
monumentalizzazione della fronte del sepolcro si fossero ispirati alle grandi architetture teatrali del mondo
greco, che vengono anche riprodotte a livello pittorico.

La tomba di Scipione viene descritta da Tito Livio. (vedi ppt p.9)

Il sarcofago più interessante è quello di Lucio Cornelio Scipione


Barbato, console nel 298. Egli si fa costruire sarcofago per la pratica
dell’inumazione in una pietra etrusca chiamata nefro. Presenta la
cassa con decorazione di tipo architettonico a forma di altare, di cui
si hanno esempi anche in ambito ellenistico. Ha una base con
modanatura a sottolineare il punto sopra cui è collocata l’iscrizione
commemorativa, che a sua volta è decorata da fregio dorico con
triglifi e metope e poi un coronamento a volute, che vengono abbellite con foglie d’acanto.

La fronte principale reca anche un’iscrizione nella quale l’elogium di Scipione sottolinea alcuni elementi che
in qualche modo sottolineano la sua grande virtù, fama. → “Virtute, parisuma” = grazie “alla sua virtù
incredibile” realizzò una serie di attività in qualità di console, censore, edile, ecc. a sostenere che costui
attraverso l’aver ricoperto cariche pubbliche e imprese militari che guidò ha conquistato un ruolo di spicco
nella società romana.

All’interno del sepolcro sono state trovate alcune sculture, tra cui una testa, metà del II
secolo a.C. → inizialmente attribuita a Ennio, ma la testimonianza di Livio ha veicolato
delle interpretazioni per trovare riscontro ma in realtà non ci sono altri dati per affermare
con certezza che si tratti di Ennio.

In questa statua si tenta di rappresentare degli elementi caratteristici, fisionomici della


persona con labbra pronunciate, occhi infossati, resa della capigliatura particolare con
segni di una possibile corona d’alloro sulla testa. È possibile che questa statua fosse
pensata non per essere posta verticalmente ma come una statua collocata in senso
recumbente sopra il sarcofago. Si tratta di una statua per coprire il coperchio di un sarcofago all’interno della
cornice cronologica della metà del II sec. a.C.

All’interno di questa grande cornice in cui molti personaggi appaiono sulla scena politica. Con la situazione di
controllo mediterraneo che viene a crearsi con il II secolo a.C. si impongono nuove sollecitazioni che
riguardano i monumenti di individui particolari sia introduzioni specifiche in termini di architettura e arte.
Dall’apporto del mondo greco vengono moltissime innovazioni che si traducono a livello di costruzioni e di
apparati decorativi complessi tra i quali emergono due tipologie edilizie che derivano dalle stoai greche:

1. Le porticus diventano uno strumento con il quale nelle città si tenta di regolarizzare luoghi, contesti
e monumenti per enfatizzarne l’importanza e dare maggiore importanza al contesto di riferimento.
2. L’altra costruzione (soprattutto nel II sec.) è la basilica, che avrà un ruolo importante perché in essa
convergono tutte quelle attività che normalmente si svolgevano solitamente nel foro (attività
giudiziarie, transizioni commerciali, scambi, incontri politici e di lavoro). Si tratta di un edifico che,
marca lo spazio pubblico di Roma e delle città che le si affiancano. Resta l’idea di un luogo nel quale
affluiscono molte persone. Gli archeologi hanno rilevato che probabilmente il contatto di Roma con
le grandi architetture asiatiche ed egiziane abbia consentito di riconoscere nelle grandi sale ipetrali
egiziane (pensate per manifestazione regale del potere) che potessero essere dei modelli quello
stesso concetto di basilichè con l’accezione di luogo nel quale il potere si manifesta, non più in senso
autarchico (cfr. Egizi) ma trasferendolo in un contesto ancora pubblico e democratico. È uno spazio
che serve a trasferire nella sfera pubblica tutte le attività svolte all’interno della piazza ma che non
avevano una sede.

Alcune ipotesi hanno richiamato il fatto che nell’architettura repubblicana, attorno agli spazi del foro si
possano trovare prima dell’inizio della forma della basilica gli atria regia, dei luoghi in cui ci si ritrovava con
la funzione di spazio racchiuso in cui ci si ritrova, si ha uno scambio. È un modello del tutto occidentale, che
insieme convive fino alla costituzione di questo spazio rappresentativo della cittadinanza. → anche a Pompei
o Paestum c’è questa forma architettonica, che va a marcare lo spazio del foro, che si pone su un lato del
foro con il lato lungo o corto. Diventa uno dei poli di gestione dell’amministrazione pubblica.

Questi due secoli creano una nuova idea di Roma, idea di urbanitas ossia dell’essere una città con un suo
prestigio monumentale, architettonico; una sua razionalità da un punto di vista urbanistico e che in qualche
modo si contrappone alla rusticitas. → nel mondo rustico si svolgono attività non di tipo politico in senso
stretto e quindi che non richiede un certo tipo di urbanistica, organizzazione. È uno spazio libero, dove chi
può occupa i propri poderi (praidia) e costruisce residenze più o meno articolate.

Tra il III e il II secolo a.C. si impone l’ordine corinzio, che diventa uno degli
elementi caratteristici dell’apparato decorativo romano. Avrà un grande
successo, un’opportunità per avere tre ordini sovrapposti. Tra la fine del
III e gli inizi del II secolo, si impone una nuova invenzione alla base delle
straordinarie realizzazioni che starà alla base delle straordinarie
realizzazioni monumentali ottiche = opus caementitium che va a sostituire
progressivamente l’opera quadrata (parallelepipedi senza legante, che
continua ad essere usata per alcuni edifici di prestigio) → l’opera
cementizia che si basa su conglomerato con malta + pietrisco all’interno
del nucleo. Si richiede la presenza di un paramento esterno che vada a
coprire il nucleo, e per questo vengono inventati diversi paramenti murari esterni, che inizialmente
prevedono una giustapposizione di tufelli piramidali che all’inizio hanno una disposizione irregolare e che
sono definiti con l’espressione opus incertum (no disposizione certa). Questa porterà poi all’opera quasi
reticolata, che si impone tra la fine del II e gli inizi del I a.C. e che prevede una disposizione abbastanza
regolare di questi tufelli piramidali fino ad avere una disposizione geometrica più regolare che è la reticolata
(fino all’età giulio-claudia). Viene poi sostituita da opera mista con giustapposizione di tufelli irregolari e
l’introduzione di mattoni o tegole su fasce orizzontali e regolari. Le altre due opere: opus latericium ci sarà
l’opera laterizia e l’opus vittatum (vittata) dal II secolo a.C. fino all’età tarda. Hanno come elemento
caratteristico anche il fatto che usando tegole e mattoni con i bolli delle fabbriche che li avevano realizzati,
in molti casi ci permettono di ricostruire e datare con un margine abbastanza certo gli edifici nei quali
vengono utilizzate queste opere.

È importante ricordare queste innovazioni, perché mentre per costruire monumenti in opera quadrata era
necessario avere una conoscenza e un sapere artigianale in grado di mettere in opera questi edifici che
dovevano garantire stabilità, sicurezza, adattabilità ai terreni e soprattutto apporto di materie prime =
circolazione dei materiali costruttivi che davano lavoro a molte persone (dall’estrazione della cava, al
trasporto, alla messa in opera). L’opera cementizia è una tecnica con la quale si fa un grande miscuglio che
chiunque può fare e quindi questo tipo sapere, che inizialmente era di esclusiva realizzazione da parte di
personale specializzato può essere tranquillamente affidato a tutta la manodopera servile che non deve
essere pagata e che però mette in opera questa tecnica che permetterà da un lato di ripetere all’infinito con
progetti architettonici diversi in tutti i luoghi in cui si poteva costruire, dall’’altra si hanno tempi di esecuzione
dell’opera più rapidi. Infine, questa tecnica edilizia permette di realizzare opere estremamente più complesse
e articolate definendo delle possibilità di progettazione architettonica o costruzione urbanistica di complessi
monumentali che reinventeranno l’immagine delle città.

La potenzialità di questa tecnica è riscontrabile nella città di Roma. Le soluzioni urbanistiche e le innovazioni
architettoniche in tre aree cruciali della città:

1. Il Porto fluviale / foro Boario


2. Il Campo Marzio
3. Il Foro romano

Sono tre i luoghi dove vengono applicate le trasformazioni urbanistiche.

1. L’area portuale = PORTUS TIBERINUS, è un0’ara


occupata in parte dal foro Boario ed è il luogo
dove per tradizione si scambiano i prodotti
commerciali che vengono veicolati attraverso il
commercio fluviale. Ad esempio, aveva tra i
prodotti da commerciare il sale (ricavato dalle
saline di Ostia) e che vengono trasferite in città in
grandi quantità. Nell’età repubblicana quest’area
è molto importante ma che non riceve una
costruzione, un insieme di edifici monumentali. Questi si moltiplicano a partire dal II sec. a.C. e che
corrispondono sia a grandi strutture che ad infrastrutture che recano il nome di questi generali che
si impongono sulla scena politica.
Gli Aemilii (in particolare Emilio Lepido ed Emilio Paolo) finanziano queste grandi opere e in
particolare l’Emporium, l’area commerciale che si costruisce nell’ansa del Tevere, è interessata da
una serie di opere per le quali ci vogliono circa 20 anni. L’Emporium comprendeva il porticus Aemilia,
anche se in realtà le interpretazioni più recenti parlano di navalia, ossia un luogo per l’accoglienza
delle imbarcazioni (attraccavano qui) e per lo scambio di prodotti e merci.
Ha una struttura molto ampia di 487x60 metri e realizzata in opera incerta con serie di vani retti da
294 pilastri, disposti in varie file e che erano necessari per attività di scarico/carico delle merci che
da Roma partivano e che si inserivano all’interno di un circuito mediterraneo non più tirrenico. Si
tratta quindi di quantità enorme che richiede una struttura in grado di gestire questa mole
straordinaria.
Oltre che i navalia, viene realizzata anche una lunga banchina per circa 500 metri di estensione con
serie di scale e rampe che permettevano di raggiungere i vani in cui queste merci dovevano essere
deposte. Attorno vi erano anche degli uffici, degli ambienti in cui venivano registrati tutti gli arrivi di
merci. Le merci venivano redistribuite e ripartite in generi all’interno di queste ulteriori grandi
costruzioni che prendono il nome di horrea = magazzini per lo stoccaggio delle derrate alimentari e
tutti gli altri prodotti commerciati. Tra questi prodotti, gli archeologi hanno riconosciuto anche gli
schiavi, che erano parte della merce. All’interno di questo complesso insieme di costruzioni, alcuni
vani che sembrano di scarsa accessibilità e poco comunicanti con l’esterno sono stati interpretati
come degli ergastula, stanze in cui venivano ammassati gli schiavi e poi presentati ai vari compratori.
Nel tempo quest’area ha comportato un accumulo enorme di contenitori che non venivano più
utilizzati tanto è vero che presso questa zona si forma un accumulo straordinario chiamato Testaccio,
risultato di una sovrapposizione di contenitori ceramici ormai in disuso che costituiranno un tumulo
che marcherà il territorio.
Quest’area del fiume accoglie una serie di imbarcazioni che muovono dall’area mediterranea e del
sud Tirreno; quindi, si parla di imbarcazioni che vengono da tutto il Mediterraneo. Per questo, Roma
rifonda a Puteoli, cioè a Pozzuoli un centro portuale di altissima rilevanza presso l’area flegrea nel
194 a.C. = nel tempo presso questa città arriveranno tutte quelle navi che portavano grano
dall’Egitto; quindi, delle navi onerarie che non riuscivano ad arrivare a Roma attraverso il fiume e che
arrivavano qui e venivano sostituite con imbarcazioni più piccole che riuscivano a risalire il fiume.
Tutta questa quantità di merci aveva in primis la distribuzione del grano, ovvero del frumentum che
diventa uno strumento di affermazione dei generali che sono in grado di portare grandi quantità di
derrate alimentari per una popolazione che non era più in grado di produrre il fabbisogno necessario
per sé. Si affida alla generosità di questi che le danno gratuitamente → le danno in spazi destinati
alle frumentationes e che per l’area del Campo Marzio saranno molto importanti.
Nell’area del Foro Boario esistono degli edifici che connotano simbolicamente la componente più
rilevante plebea con la costruzione di edifici che vanno a marcare il territorio:
esempio → TEMPIO DI ERCOLE VINCITORE di forma circolare (cosiddetto
tempio di Vesta) = esempio di come attraverso la presenza importante
di maestranze greche si vede come ci sia la costruzione di edifici simili ad
architetture tipiche greche (cfr. tholos di Atene o di Epidauro = edifici
molto rappresentativi ma che in Occidente fino a questo periodo non ci
sono). L’architettura diventa uno strumento per esprimere una forma di
acquisizione di elementi che vengono dalla Grecia.

2. CAMPO MARZIO = fin dall’età della prima Repubblica è il luogo prescelto per gli incontri e le
adunanze militari, dopo che era stato luogo di proprietà privata dei Tarquini. Nel corso dei secoli, si
presta anch’esso ad essere occupato da edifici che permettono di rappresentare simbolicamente il
potere di alcuni personaggi.
Mappa multifase (foto p.18): tra gli edifici di età tardo repubblicana si rilevano: Circo Flaminio; area
sacra di Largo Argentina; Porticus Minucia Vetus; Porticus Metelli (poi portico di Ottavia); il tempio di
Giunone Regina e Giove Statore.
Il generale Flaminio Nepote, che svolge anche l’incarico
di censore decide, alla fine del III secolo di realizzare un
grande circo che si contrappone al Circo Massimo. È una
grandissima costruzione che occupa l’area dell’ansa del
fiume ed è un’area dove si svolgevano attività di tipo
censorio e riunioni dei gruppi plebei. Questo grande
circo che sarà pensato per i ludi plebei (in
contrapposizione ai ludi aristocratici che si svolgevano
nel Circo Massimo) costituisce un punto di snodo
rispetto ai percorsi della viabilità della via sacra che si
dirigeva verso il Foro. Per questo motivo questo edificio segna il margine sud-ovest dell’area del
Campo Marzio e rispetto a questo verranno a porsi altri edifici.

AREA SACRA DI LARGO ARGENTINA = area nel Campo Marzio, che aveva conosciuto già un interesse
da parte della comunità attraverso un tempio → Tempio C (tra i più vecchi dei 4 presenti in
quest’area). Tra il III e il II sec. a.C., questi 4 templi vengono ripensati perché nel 107 viene realizzata
una porticus (Porticus Minucia Vetus) che cinge un’area avvertita come sacra e di grande importanza
all’interno della quale venivano celebrate diverse divinità:
- Tempio C, tempio su podio con scalinata d’accesso e area di pronao molto profonda. Doveva
essere dedicato a Feronia, con la possibiltà di riconoscere in questa divinità di origine sabina colei
che patrocinava tutti gli ambiti legati alla fertilità e al benessere della comunità (= intesa come
comunità che dalla fertilità della terra riesce ad ottenere un benessere);
- Tempio A, leggermente più piccolo e dedicato a Giuturna. È un tempio su podio con grande
scalinata d’accesso e peristasi sui lati lunghi ma anche sul fronte probabilmente e con cella al
centro. È stato datato nella seconda metà del III secolo e, secondo alcune ipotesi, collegato a
Giunone Curite, dopo che Falerii Veteres era stata espugnata nel 241;
- Tempio D (sul lato meridionale), è un grande edificio su grande podio e gradinata d’accesso. È
stato interessato da grandi ristrutturazioni nel corso del I secolo a.C. Si sa che doveva essere
dedicato da Emilio Lepido nel 179 a.C. in onore di divinità particolari, ossia i Lari Permarini =
divinità orientali, i Cabiri di Samotracia, protettori della navigazione che richiamavano
ulteriormente l’idea che in questo spazio sacro dovessero trovare luogo quei culti e quelle
divinità in cui si riconoscevano più soggetti della comunità;
- Tempio B, 101 a.C., più recente e dedicato da Quinto Lutazio Catulo a Fortuna huiusce diei
(Fortuna del giorno presente). È un edificio che presenta una planimetria circolare su podio e con
una peristasi colonnata all’interno che potrebbe essere legata a quelle frumentationes, nel senso
che da una serie di testimonianze di tipo letterario si apprende che qui avvenivano le distribuzioni
del grano alla popolazione. In questo senso era uno spazio, nel quale avvenivano delle elargizioni
per la comunità. Tra l’edificio B e C è stata ritrovata una testa colossale di divinità femminile,
esposta nella Centrale Montemartini. Probabilmente era la statua di culto inserita all’interno di
questo tempio.

Le Porticus vanno a racchiudere questi luoghi altamente simbolici e sentiti per la popolazione. Oltre
a questa Porticus, ne viene realizzata un’altra in epoca successiva (tra Claudio e Domiziano) che ha
creato dei problemi sotto Settimio Severo (tra la fine del II d.C. e gli inizi del III). In questo momento
viene realizzata una grande mappa di Roma in marmo che è la Forma Curdis Severiana, conservata
per buona parte ed era esposta nell’area dei Fori. Da un punto di vista topografico indica i vari
monumenti che erano presenti all’epoca → nell’area di Campo Marzio viene nominata la Porticus
Minucia Frumentaria, che non poteva essere quella precedente perché in area diversa. Si è
compreso che in realtà quest’area era tutta pensata per la distribuzione delle frumentationes e che
quindi questa seconda Porticus servisse ad ampliare la prima di epoca tardo repubblicana, in
definitiva, quest’area chiarisce come i portici siano un’opportunità per regolarizzare gli impianti
urbani che precedentemente erano irregolari.

Vi è un altro portico = PORTICUS METELLI che racchiude il nucleo di due edifici sacri: di Giunone
Regina (179 a.C.) e di Giove Statore (146 a.C.).
Vengono realizzati all’interno dell’area libera del Campidoglio e che sono importanti, soprattutto
quello di Giove Statore, perché le fonti ci dicono che era stato realizzato su commissione di Cecilio
Metello e che aveva incaricato Ermodoro di Salamina
(architetto greco) di costruire un tempio per la prima volta
interamente in marmo. Fino a questo momento, gli edifici sia
sacri che civili utilizzano il calcare locale. La scelta di realizzare
con marmo sottolinea il fatto che questi generali vogliono
copiare tutto quello che in Grecia era strumento di
autocelebrazione soprattutto nelle grandi corti macedoni. Lo
fanno trasferendo a Roma questo tipo di costruzioni e
materiali. All’interno di questo grande spazio viene razziato
dalla Grecia un gruppo di sculture, attribuito a Lisippo, scultore
di Alessandro Magno → gruppo per celebrare la vittoria sul Granico di Alessandro Magno con i suoi
compagni, che viene a marcare ancora una volta questo luogo pubblico abbellito da opere d’arte di
forte messaggio propagandistico da parte di questi generali.

3. FORO ROMANO = terzo luogo con altri edifici


rappresentativi da parte di alcune personalità di spicco
della Roma tardo repubblicana. Nel II-I sec. a.C. si
arricchisce di ulteriori monumenti. Nella prima età
repubblicana vengano marcate le zone dei lati lunghi
meridionali dello spazio del Foro con due edifici sacri:
tempio di Saturno e dei Dioscuri, a cui si aggiunge la zona
dell’area di Saturno, la zona del Lapis niger, la regia. Nel II
secolo vengono realizzate alcune basiliche come luoghi
utili per chiudere questa grande piazza, che era stata
utilizzata per svolgere non solo attività di tipo commerciale-politico ma anche per attività ludiche. =
per esempio i Ludi Gladiatori, finché non viene costruito il Colosseo con costruzione di tribune lignee
che occupavano i lati lunghi.
Le due basiliche principali → Basilica Aemilia e Basilica Sempronia (poi Iulia) vanno a chiudere e a
limitare la piazza con delle forme che ridefiniscono lo spazio del Foro, nell’accezione di luoghi che
monumentalizzano in senso scenografico lo spazio condiviso. Nel corso del tempo, la Sempronia
viene poi ricostruita e dedicata alla gens Iulia. Aldilà di questo, lo spazio del foro viene sempre più
delimitato e regolarizzato da questi grandi edifici, che si pongono non solo come scene teatrali dello
spazio condiviso ma vanno anche a marcare delle aree che in precedenza erano occupate da taverne,
botteghe, luoghi per il commercio che vengono sempre più allontanati o comunque posti al di fuori
dello spazio del foro che viene dedicato alla rappresentazione dei monumenti onorari con statue,
colonne, altari fino a diventare sotto l’età augustea lo spazio della rappresentazione del potere dei
nuovi imperatori.

Tra III e II secolo l’area del COMIZIO viene interessata da nuovi interventi. Non soltanto perché è nel
III secolo che acquisisce la forma circolare, ma anche perché all’interno del Comizio viene posto un
orologio idraulico che serviva a scandire il tempo delle riunioni, dell’attività del Comizio. Era un luogo
inaugurato nel senso del templum e per questo motivo aveva delle sue regole, delle sue tempistiche
che necessitavano di essere regolate. La forma circolare si ispira all’Ekklesiasterion di ambito greco
(cfr. Paestum). Questa acquisizione di forme di origine greca va a marcare la rappresentazione dei
luoghi pubblici della città.
Altro edificio importante è quello che sorge sul lato occidentale del foro e costruito agli inizi del I
secolo a.C. → il TABULIARIUM (da Tabulae, i supporti su cui vengono iscritte le varie disposizioni),
identificato come archivio di stato della città. È un edificio che serve da un punto di vista
amministrativo per conservare tutto quello che la città produceva
a livello di documentazione ufficiale e che aveva bisogno di una
sede nella quale essere conservata.
Il tabularium è stato realizzato in un punto tra il clivo capitolino e il
lato del Foro, occupato dall’Aedes della Concordia e da Saturno.
Aveva tutto il lato verso il capitolium ancora irregolare e quindi è
stato pensato per regolarizzare questo lato del Foro, diventando
una sorta di scenografia teatrale, pensata attraverso la costruzione di una solida base sostruttiva,
sopra la quale vengono articolate più file di arcate. A loro volta queste arcate racchiudono all’interno
una serie di ambienti a livelli altimetrici differenti perché si parla di sostruzione che va a incidere sul
lato del colle. Scelta che va a pensare la fronte che si affaccia sul foro come fronte articolata su arcate
fino all’ultimo livello con gli ambienti maggiormente rappresentativi.

Rispetto a queste soluzioni scenografiche e marcatamente personalizzate attraverso l’apposizione di nomi


che veicolano il ruolo avuto da alcuni esponenti della classe politica di Roma, esistono anche altri contesti di
tipo sacro che in realtà sono l’espressione di comunità italiche che si ritrovano all’interno di questi spazi. →
da un lato, ci permettono di riconoscere anche fuori da Roma un utilizzo dell’opera cementizia per edifici
monumentali, ma dall’altro ci permettono anche di capire come l’apporto di soluzioni urbanistiche e
architettoniche ellenistiche orientali vengano trasferite in occidente.

Ci sono quattro santuari, portatori di grande interesse e significato nel Lazio antico. → Praeneste, Tivoli,
Gabii e Terracina. Sono stati studiati diversi anni fa da Filippo Quarelli, che ha esaminato queste realtà perché
sono estremamente interessanti per comprendere come popolazioni italiche abbiano cercato di
impressionare Roma e la sua classe dirigente commissionando degli impianti architettonici molto grandi. Si
parla di luoghi in cui le costruzioni si datano tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C.

PRAENESTE (attuale Palestrina) → si tratta di una città raggiungibile con


strada (Praenestina) su cui convergevano i flussi di persone e merci, che
dal centro del Lazio si dirigevano verso Roma. Non è lontano da Tivoli. Fin
dal III sec. a.C. era sede di un santuario oracolare, dedicato alla dea
Fortuna Primigenia. Di questa iniziale sede oracolare ci resta un’iscrizione
del III sec. a.C. che ricorda che qui avveniva l’estrazione delle sortes =
oracoli richiesti da vari soggetti pubblici o privati per sapere come
potevano andare delle imprese da realizzare o dei fatti personali. Le sortes
sono degli oggetti, che da un punto di vista archeologico, sono documentati e che possono essere di varie
forme e materiali. Sono su vari supporti e possono essere delle asticelle di bronzo o metallo incise su cui
venivano scritte delle frasi di non facile comprensione, appositamente scritte “dalla divinità”. Si deve
immaginare un sistema di organizzazione sacerdotale che consentisse di poter interpretare questi scritti,
adattati e oscuri proprio perché si potessero adattare a più richieste differenti.

Intorno alla seconda metà del II secolo, la comunità di Praeneste decise di investire in questo spazio collocato
sulle pendici del monte Ginestro e decide di organizzare una grande costruzione che incide fortemente sul
paesaggio, tanto da diventare un’architettura del paesaggio attraverso l’impiego dell’opera incerta. Su
questa costruzione si sono sovrapposti nel tempo edifici moderni che ne hanno richiamato la forma.

Se si considera questo spazio, l’edificio era pensato secondo un alternarsi di sostruzioni, gallerie e rampe
sovrapposte che vanno a formare fino a sei terrazzamenti, a partire dal livello più basso (raggiungibile dallo
spazio della città) fino ad arrivare all’area superiore con l’edificio sacro. Partendo dal basso c’è un sistema di
sostruzioni che permette attraverso delle scalinate di arrivare su una sorta di piattaforma sulla quale vi sono
due nuclei di edifici. Questi sono stati interpretati in maniera ipotetica (le tracce erano poche) come sede di
edifici sacri in onore di Iside e Serapide, ovvero con una funzione di sede di magistrature cittadine.
All’interna vi è un’aula absidata, all’interno della quale viene realizzato un mosaico (cfr. lezione 12) che
decorava l’aula e che poi è stata trasformata in edificio moderno. Questo grande mosaico è costituito da
straordinaria composizione di scene che rappresentano la regione egiziana, a partire da quella che era l’area
di Alessandria e del delta del Nilo inoltrandosi verso l’interno della regione arrivando fino ai confini etiopi
dove nasceva il Nilo.

Si è anche pensato che nelle scene della parte inferiore vi fosse una rappresentazione di alcuni padiglioni
della reggia dei Tolomei, in particolare di Tolomeo Filadelfo. Siamo intorno ai primi due decenni del III secolo
a.C. e per questo si sono richiamate le rappresentazioni di banchetti o celebrazioni sacre connesse a delle
festività, che prendevano il nome dei Tolemaia e che erano stati istituiti da Tolomeo Filadelfo intorno al 280
a.C.

Si notano anche altri padiglioni connessi con città che sorgevano lungo il corso del Nilo e a seguire una serie
di altri luoghi che via via diventano meno abitati e costruiti, fino a raggiungere delle terre selvagge dove
prendono posto gli animali selvaggi. Non si sa chi avesse realizzato questo tipo di mosaico, che però ci parla
di una committenza importante, che può sostenere la spesa di una realizzazione di questo tipo. Inoltre, ci
parla di una capacità artistica di altissimo livello che è probabilmente di matrice alessandrina/ellenistica
chiamata a realizzare per una comunità italica un prodotto di altissimo livello che va a definire un apporto
culturale di altissimo livello. → Tra gli artisti noti nell’Italia del II secolo a.C. vi era anche un certo Demetrio,
detto Il Topografo, come colui che era esperto pittore di paesaggi e di rappresentazioni di aree esterne. Si
stabilì a Roma intorno al 165 a.C. e quindi gli archeologi ritengono che con questa figura possano essere
sviluppate anche localmente una serie di maestranze che poi successivamente andranno ad operare in altri
luoghi dell’Italia antica.

Superando la prima terrazza si poteva salire a terrazze superiori


superando una serie di dislivelli attraverso delle rampe. Le altre due
terrazze sono servite da serie di gallerie interne che superano i vari
dislivelli intermedi e che portano alla realizzazione di fronti
scenografiche mosse dal gusto dell’epoca con esedre semicircolari o
nicchie rettangolari per creare delle quinte scenografiche, funzionali a
rimarcare il superamento degli ultimi livelli sopra cui si estende il piazzale
principale (tutto sostruito), che aveva intorno una grande Porticus su tre
lati su due livelli e che doveva consentire di superare un ulteriore terzo
livello fino a giungere alla sesta terrazza (terrazza degli emicicli) dove
all’interno di un grande emiciclo era stata ricavata la cella della dea.

Foto: nel cerchio rosso, si riteneva che ci dovesse essere il pozzo da cui
si traevano le sortes e che quindi si potesse proseguire quell’attività
mantica che aveva connotato fin dall’inizio questo contesto sacro.

La penultima terrazza è connotata da un emiciclo, scandito da una


gradinata ha fatto porre l’attenzione sul fatto che la cavea teatrale era
funzionale ad ospitare per la seduta un numero cospicuo di fedeli, che
dovevano partecipare a tutte le cerimonie connesse con le celebrazioni
di Fortuna. Queste comportavano una grande quantità di persone che
andavano ad assistere a questi giochi. Nella Roma e nel Lazio non vie
erano edifici teatrali preposti allo svolgimento dei ludi in maniera
stabile ma erano delle costruzioni occasionali, perché legandosi alla
tradizione del mos maiorum il senato riteneva che le occasioni di ritrovo connesse alla teatralità e alle attività
ludiche potessero un’occasione pericolosa per la riunione di fazioni, che in qualche modo volevano
soverchiare il potere o andare a destituire il potere repubblicano. Si voleva evitare che i grandi ritrovi di
persone potessero diventare delle occasioni stabili di ritrovo.

In questo caso è la comunità che sceglie di avere uno spazio come la cavea teatrale: questo spazio che si
inserisce all’interno di una scenografia che non può che richiamare le grandi scenografie ellenistiche tipiche
delle città della Grecia ellenistica che avevano articolato su più livelli i vari nuclei abitativi a seconda degli usi
che si volevano fare (cfr. Priene = zona inferiore con stadio + terrazza superiore con ginnasio superiore).
Questo esempio mostra come la seconda metà del II secolo sia un momento in cui le comunità manifestano
la loro affinità con il mondo greco attraverso complessi scenografici. Da un punto di vista archeologico è stato
notato un elemento interessante: utilizzando l’opera cementizia o incerta per il paramento di questo grande
complesso in tutto il santuario non troviamo l’uso del marmo, che è presente a Roma nello stesso momento
come elemento di marca propagandistica da parte di chi fa venire Ermodoro di Salamina e gli chiede un
tempio in marmo. → utilizzano pietre locali (calcare, tufo, travertino) = scelta voluta per rimarcare una
tradizione culturale e artigianale locale italica in contrapposizione con il gusto ellenizzante e l’idea di luxuria
asiatica. Questo complesso ci aiuta a capire quanto fosse necessario per le popolazioni italiche mostrarsi,
apparire, confrontarsi con Roma e dimostrare di avere, non solo la capacità di realizzare costruzioni di questo
tipo ma anche saper imporre un proprio gusto personale. è probabile che le comunità locali che hanno
finanziato quest’opera fossero inserite all’interno delle rotte commerciali in Oriente e che quindi abbiano
avuto modo di vedere questo tipo di realizzazioni in altre parti, ma soprattutto di entrare in contatto con le
maestranze che realizzare il grande mosaico.

TIVOLI → il secondo santuario laziale è il SANTUARIO A ERCOLE VINCITORE. Si data agli inizi del I secolo a.C.
negli ultimi decenni del II secolo a.C. ed è collocato lungo la strada che collegava il settore della valle del
Sannio, l’interno dell’appennino, con l’area di Tivoli e Roma. Questo percorso veniva battuto dai tratturi
appenninici e dalle mandie di buoi e pecore che durante il periodo della transumanza si spostavano dalle
montagne verso il mare e viceversa. → Si tratta di un luogo strategico che va a insistere fuori dalla città. Il
ruolo di Ercole non è solo di un culto legato all’eroe greco ma culto che risponde specificatamente a questo
contesto produttivo legato alla transumanza e al commercio pecoraio. Ercole era protettore dell’allevamento
e del bestiame e quindi già in epoca arcaica è avvertito come colui che presiede a quelle attività legate alla
pastorizia e alla vendita dei prodotti secondari derivati dalla pastorizia. Era il dio per eccellenza di coloro che
commerciavano in questo tipo di risorsa.

Anche in questo caso si tratta di un santuario di tipo scenografico. Si


pone su una grande piattaforma regolarizzata attraverso sostruzioni
per un’ampiezza di quasi 190x140 metri. Viene realizzato lungo il
pendio del roccione creando un dislivello di 50 metri tra la parte
superiore e la parte inferiore. Quest’articolazione su più livelli è
assicurata da contrafforti, che sono ciechi nella parte inferiore e aperti
nella parte superiore. Un elemento interessante è il fatto che da un
lato la grande platea su cui viene costruito il santuario è servito da due
grandi scalinate laterali, che permettevano di raggiungere un piazzale;
all’altro che nella parte inferiore della platea venisse a convergere
quella strada che veniva percorsa dai tratturi transitando all’interno
del santuario. → questa via è coperta = una via Tecta (coperta)
illuminata da una serie di lucernai che vengono ricavati da questa parte sostruttiva del tempio. Attorno a
quest’area si sviluppano ambienti funzionali alle attività di mercatura, di commercio, di vendita dei capi e che
quindi fossero gestiti in occasione di quei momenti di ritrovo e festività legate alla divinità di Ercole (mese di
agosto per serie di ragioni).

Il grande piazzale, dominato dal periptero sine postico di tipo etrusco-italico su alto podio con scalinata di
accesso (8x10 colonne). È un tempio che viene collocato sul fondo di questo portico a U che va ad incorniciare
scenograficamente il piazzale. Il tempio è in asse con un’altra grande costruzione: la cavea sulle pendici
meridionali, sul livello più basso dello sperone roccioso e che probabilmente era funzionale ad ospitare un
numero cospicuo di fedeli che si riunivano per i ludi scenici realizzati in occasione delle festività in onore di
Ercole. Qui fronte scena vero e proprio doveva essere di volta in volta allestito proprio perché non ci restano
delle decorazioni specifiche delle partizioni architettoniche, che ci permettano di immaginare che ci fosse già
un fronte scena stabile.

Da un punto di vista edilizio, l’opera incerta viene utilizzata per questa grande costruzione che si pone come
architettura del paesaggio, alla quale si ispireranno anche altre soluzioni che interessano la Roma del I sec.
a.C.

Altro santuario → SANTUARIO DI GIUNONE a Gabii =località non lontana da Roma


e prossima a Tivoli e Praeneste. È un luogo di grande importanza fin dall’età
arcaica perché sede di un culto in onore di Giunone. Nel corso del II secolo a.C.
viene monumentalizzato in chiave scenografica con una posizione del tempio
all’interno di uno spazio cinto sempre da un portico. Si trattava di uno spazio che
in origine doveva essere probabilmente occupato da un nemus, ossia un bosco
sacro che nel momento della monumentalizzazione viene regolarizzato
attraverso la creazione di fosse quadrate. All’interno di queste si suppone
venissero collocati degli alberi legati sempre alla cerimonialità e alla cultualità
praticata in onore della dea, che veniva venerata all’interno del suo edificio di
tipo etrusco-italico. Risponde a tipologia italico-romana.

Anche in questo caso si ha una cavea teatrale, che occupa lo spazio antistante del tempio e che marca
fortemente l’architettura e il territorio per rispondere a quelle stesse esigenze degli altri due santuari. Si parla
di luoghi stabili che però vengono sempre posti sotto l’egida della sacralità per evitare che ci fosse qualche
tendenza a usarli come luoghi di sommossa e contestazione.

TERRACINA → colonia che viene fondata da Roma alla fine delle Guerre
Sannitiche e quindi si tratta di un fronte del Lazio meridionale marittimo. In
questo caso del tempio si hanno dati abbastanza sufficienti per riconoscere la
sua costruzione al di sopra di una piattaforma sostruita attraverso arcate che
monumentalizzano l’ingresso e la base del tempio stesso, accessibile anche da
scale laterali. SANTUARIO DI IUPPITER ANXUS = fronte marittimo. Pe rispondere
a esigenze di tipo cultuale, non è posto in maniera ortogonale rispetto alla
fronte della base della costruzione ma è posto in senso obliquo. È un tempio
con alto podio, periptero sine postico di tradizione italica, che ha sul retro anche
un porticato che racchiude la parte retrostante del tempio. È costruito in opera
incerta con la necessità di rispondere ai diversi livelli di quota attraverso gallerie e rampe che permettevano
di salire al livello superiore del tempio.

Le grandi realizzazioni scenografiche e monumentali troveranno nella Roma del I


secolo a.C. il luogo ideale in cui alcuni personaggi trasferiranno per la prima volta
questi spazi teatrali per dare una marca fortemente personale ai luoghi della
Roma tardo repubblicana. Da queste grandi soluzioni laziali verranno applicate sia
sul fronte pubblico che privato con soluzioni che marcheranno in maniera più
incisiva il ruolo di singole personalità sulla scena della città fino ad arrivare prima
a Cesare poi ad Ottaviano Augusto.
LEZIONE 17 | 19 aprile 2022

L’età tardo repubblicana: l’arte e la politica

Gli antichi hanno in qualche modo sono ben consapevoli di questa fase di passaggio tra un prima e un dopo.

Con il termine di luxuria asiatica non solo un termine che indica le mode e vita, ma anche un acquisire
delle competenze artistiche, veicolate dagli artisti greci, ma che vengono rielaborate nel mondo italico e nel
mondo romano. Nei santuari laziali vengono strutturate delle scenografie che vanno a modificare il paesaggio
in senso scenografico. Resta una questione di fondo: i romani hanno appreso tutto del mondo greco o hanno
fatto una selezione?

Plinio il vecchio è un grande intellettuale, ammiraglio della flotta militare, è un naturalista che si interroga
prende in esame, un po' tutto il conoscibile, gli aspetti più tecnici, fino a considerare gli aspetti legati all’arte.
Secondo Plinio si immagina di fare una genealogia dell’arte, secondo l’opinione dominante dell’epoca dove
il massimo dell’espressione artistica che si era ottenuta, culminava con la 121° l’olimpiade, quando morì
l’arte.

In termini cronologici nell’opinione della classe dirigente romana l’arte greca per eccellenza era l’arte che
coincideva con l’arte severa, l’arte classica e inizio dell’arte ellenistica. Lasciando perdere perché percepita
come arte che non rispondeva agli ideali romani, un’arte troppo sperimentale, alla ricerca di soluzioni poco
razionali dal punto di vista romano. Ritrova una propria solidità quando Roma si riappropria di quell’arte,
trasferita in occidente, rielaborata secondo modelli architettonici, culturali, e stili artistici scultorei che in
qualche modo rispondono ad un certo gusto e sentire.

L’archeologia ha rilevato il fatto che questa prima fase di contatto con il mondo greco, che avviene nel 272
a.c quando viene conquistata Taranto, capitale della Magna Grecia, nel 212 conquistata Siracusa. Nella prima
fase sembra che una parte della società romana si sia violentemente appropriata della società greca.

Solo in un secondo momento, nella metà del II sec, il modo di porsi nei confronti dell’arte greca è più pacato
e viene ricondotto a una certa propaganda di matrice ‘catoniana’ (cioè senatoria), che ostacolava una
eccessiva ellenizzazione della cultura romana, a discapito di quello che era il famoso mos maiorum, la
tradizione degli antenati.

Esiste una sorta di convivenza di culture che si compenetrano e si influenza, in questi secoli che sono cruciali
per la storia romana, e che si possono distinguere tra correnti legate a tradizione italica di ispirazione etrusca,
che li vedrà legati ad una corrente di bronzisti, che lavorano per gli italici che per Roma.Sia per all’arrivo di
artisti greci, neoattici che lavorano a Roma e che si mettono a disposizione di questi nuovi committenti e
parallelamente c’è una produzione artistica romana.

Per comprendere queste sollecitazioni che si manifestano anche nel resto del territorio italico, vi sono alcuni
esempi di decorazione architettonica fittile, ma anche in decorazione architettonica in marmo datate tra II e
I secolo a.C., arrivando alla fino del I sec a.C ad una standardizzazione generale di cui Augusto si farà
l’accentratore dando via all’arte di corte, arte imperiale, trasferendosi in tutto l’impero.

Ricostruzione di un frontone del tempio di Civitalba, Sentino, Marche collocato sopra un colle, era un
posto significativo perché qui i romani avevano vinto in 2 battaglie, i Galli nel 367, quando i Galli si erano
spinti verso Roma, facendo il famoso “Sacco di Roma”. I romani rispondono ad uno scontro nel 295 con la
battaglia di Sentino, con coalizione tra Sanniti, Etruschi e Umbri e Galli Senoni contro i romani. Il fatto di aver
ritrovato alla fine dell’800 una serie di terrecotte architettoniche, in un a fossa sacra collocate l’una sopra,
facendo intuire quasi un deposito voluto, facendo ipotizzare che in questo luogo, avendo trovato il fregio e
frontone in terrecotte, in zone marginali occupate dai galli, dall’altra parte vi era la domanda di chi aveva
commissionato queste terrecotte.
In questo senso la letteratura, ha tentato di dare serie di ipotesi che si basano su lettura del fregio.

Fregio di Civitalba, Scontro con i GalliSi tratta di una


rappresentazione di figure che si possono facilmente riconoscere
come barbari e figure divine che si contrappongono a questi barbari,
che sono riconosciuti come Galli, sia per le loro capigliature (capelli
lunghi) e i baffi, le vesti e portano scudi rettangolari che differiscono
dagli scudi romani. Questi personaggi si vestono degli abiti, che sono
tuniche realizzate da delle pellicce, diverse dalle panopie e armamenti
romani. Galli rappresentati mentre scappano dal tempio, dopo aver
rubato dei votivi, che potrebbero rimandare a un evento storico
avvenuto effettivamente, un tentativo di derubare il tempio di Delfi
nel 279, tentativo che viene sbaragliato con l’intervento delle divinità
(Apollo, Atena, Artemide). Questo richiamo si rifarebbe alla ben nota
propaganda che già gli attalidi avevano messo in atto, sbaragliando i
Galli in Asia.

Questa idea di rappresentare in Occidente, uno


scontro tra divinità italiche olimpiche e barbari era
una sorta di riproposizione di veste orientale di
quella ideologia di vittoria sul barbaro, già vista ad
Atene, e poi tradotta dagli Attalidi come un
paradigma tra civiltà contro la barbaria.

A Civitalba, questo ci fa pensare che probabilmente sulla base della raffigurazione dei personaggi che
raffiguravano le lacune per via delle condizioni in cui sono state trovate queste terrecotte, in cui c’è un
elemento dionisiaco, con il corteggio di satiri e ninfe, con Arianna addormentata.  questo fa pensare che
la committenza sia senatoria romana, che avesse voluto trasferire un contesto lontano dal centro, degli stili,
affermando il fatto che Roma sia arrivata fino a lì.

I romani stesso lo faranno arrivando fino alla pianura Padana, portando la loro idea di forza civilizzata e
razionale, portatrice di ideali, e di rispetto, diritto e regole, che servirà a influenzare queste popolazioni
imparando a vivere alla romana.

Frontone del tempio di Luna (Luni, Liguria) metà del II sec. a.C quando Emilio, arriva nella colonia ligure,
con nuovi romani e nuovi veterani, agli artisti della terracotta viene chiesto di tradurre delle rappresentazioni
con stile greco, veicolando la cultura greca in occidente.

Questa compresenza di diverse modalità di rappresentazione di stilemi artistici, trova espressione nella
terracotta e nel marmo  rifacimento della basilica Emilia ci mostra come ci sia un passaggio dalla
terracotta, fino al passaggio ad una scultura in marmo che richiede delle maestranze. Dando luogo a delle
opere d’arte funzionali ad esprimere i sentimenti delle classi che le richiedono.

Fregio della Basilica Emilia, inizi I sec a.C. 


doveva decorare il primo ordine del
colonnato, sono stati ricomposti 16 metri di
fregio, ma per decorare l’intero edificio si
sono calcolati ben 90m di fregio, con altezza
di 60 cm. Marmo pentelico, con un rilievo, nel
quale vengono realizzate delle scene relative
alla storia di Roma, tra queste la Lapidazione
di Tarpea, giovane romana che avrebbe
aperto le porte per far entrare i Sabini, ribaltando la situazione, scena carica di pathos, con gioco di manto
investito dal vento, veste che lascia scoperto il seno, in segno di disfatta, con giovani che riempiono di scudi
per la creazione del suo sepolcro.

Ci sono più livelli espressivi, nell’arte classica che stabiliva un fondo neutro su cui si stagliavano le figure,
rispetto invece ad un’arte del primo ellenismo, con figure in movimento, con dinamicità delle azioni, creando
complessità di livelli di piani. Qui il piano è uno solo, si parla di opera che mischia le tendenze artistiche
diverse per rielaborare espressione artistica autonoma. In questo torno culturale abbiamo diverse sensibilità
artistiche che cercano di rispondere alle diverse sollecitazioni della nuova committenza.  che risponde a
dei generali, che portavano a casa dei bottini, e per questo la produzione artistica cerca di esprimere questa
volontà di questi triunfales di autorappresentarsi come generali romani alla greca o alla romana.  Due
tendenze:

1. Corrente senatoria legata al mos maiorum


2. Corrente di nudo che si ispira al mondo greco

Statua di Aulo Metello da Pila, Perugia, fine II a.C. h 1,7 m

Fa parte della corrente ‘senatoria’, è stata trovata in una situazione integra, e dagli
studi fatti, essendo prodotta da un’officina scultorea di bronzisti, doveva
rappresentare un personaggio di spicco della comunità locale. Sul lembo della veste
iscrizione con nome del personaggio raffigurato, un togato romano, con una toga
più corta, con braccio destro alzato, come per chiedere un momento di silenzio per
cominciare il suo discorso.

È realizzata con metodo di fusione a cera persa, realizzata in sette pezzi e poi
assemblata. La caratteristica è che non è una statua di un cittadino qualsiasi, ma la
statua di Aulo Metello con tratti individuali che cercano di cogliere nello specifico
gli elementi del suo volto. Si è voluta rendere la capigliatura, le rughe, rughe
d’espressione, bocca pronunciata e occhi che dovevano essere riempiti in pasta
vitrea. Una statua che risponde alle esigenze del togato romano in un momento
pubblico nel suo discorso davanti alla folla.

Statua del Togato Barberini È alta 1,65, realizzata in marmo, e rappresenta un


uomo che ha tutti i caratteri del togato romano, raffigurato stante con gamba
sinistra leggermente in avanti e libera, mentre la sua postura e basata sul lato
destro del corpo. La rappresentazione è individuale di un personaggio
caratterizzato da età matura, calvo con occhi infossati che vanno a connotarlo per
i suoi aspetti fisionomici. I busti degli antenati servono per i ritratti, gli antenati
erano i maiores (maggiorenti), che facevano parte della famiglia romana e
l’avevano resa grande e portata all’apice della società. In questo senso la corrente
di questa tradizione romana faceva sì che l’espressione della cultura italica si
traducesse anche attraverso quelle che erano le rappresentazioni dei propri
antenati.

Il ritratto romano, nel mondo italico che non sono solo rappresentazione fedele
dell’uomo che fu ma espressione anche di un modo di autoidentificarsi che è
tipicamente romano e italico. Uno dei primi esempi è il

Bruto Capitolino, si evince tendenza a rendere con grande attenzione a rendere


elementi che connotavano i singoli cittadini. Nel II sec. a.C, c’è la tendenza a
rappresentare individuo in tutte le sue caratteristiche, senza una sublimazione della persona viene
rappresentata in maniera forte, che da un lato rispondono ad un’arte romana che guarda il mondo greco e
una corrente popolare che risponde a istanze locali e di provincia, che vogliono affermare un realismo delle
persone non avvertito come elemento negativo, ma come elemento caratterizzante e ancorato alla
tradizione.

Il busto in mezzo, è Postumio Albino, con rughe del corpo,


di accentuano i chiari scuri delle rughe oer dare vividezza
all’espressione del personaggio anche con la capigliatura
con ciocche a ricci molte compatte.

Una soluzione all’eccesso che fa parlare il verismo italico, si


nota nel Ritratto di anziano, uomo arrivato alla fine della
sua età, con occhi gonfi e calvizia, e anche i tratti
fisionomici.

Questo eccesso al verismo,


produzione tipicamente romana,
nei decenni del I sec a.C, poteranno
ad un ritratto come:

Ritratto di anziano da Osimo, in cui lo scultore tende a focalizzare lo guardo dello


spettatore tende a focalizzare la vista nelle rughe, e non sul volto in generale.

Altro modo di fare ritratto, con il Naturalismo tardo repubblicano, di cui Pompeo e
Cesare sono degli esempi molto ben riusciti.

Busto di Pompeo Magno  rappresenta una copia di età


tiberiana, in cui Pompeo era in vita. Trovata in una tomba dei
Icini, famiglia nobile romana, adottata per una sua parte da
Pompeo, suoi ascendenti. Si è voluto giocare su 2 livelli:
rendere una capigliatura mossa, un’espressione pacata e
ovale morbido quasi a rimarcare la consapevolezza delle sue
doti da generale romano.

Busto di Cesare scelta di rendere le fattezze individuali del


dittatore, ma con aura che lascia poco al realismo italico e che
si sofferma più sui caratteri specifici del dictator e che dà via
a capigliatura compatta sulla fronte, portata in avanti, espressione delle rughe, si cerca di dare un’aria
intellettuale.

Vi è poi anche la tradizione della ritrattistica mos maiorum ispirata alla nudità eroica, in cui si cerca si vuole
prendere delle caratteristiche greche ma per marcare la romanità di loro stessi.

Statua di altletaatleta del modello achilleo, faccia soddisfatta, con mascella possente, corpo improntato
sulla tradizione dell’atletismo greco.

Generale di Tivoli  richiama gli stilemi ispirati alla corrente artistica dei greci al lavoro in occidente, quasi
nudo con mantello, con la parte destra che impugnava una lancia, gamba six portante su supporto. Supporto
a corazza, che connota la posizione di generale, è un ritratto individuale che vuole marcare la sua soggettività.

Il ritratto nasce come un’espressione di forma di religiosità nei confronti del personaggio, quando questo è
un antenato, o un personaggio divinizzato, che è tipico della cultura romana. All’interno della abitazione
potevano esserci delle raffigurazioni di antenati, visti come colore che garantivano il rispetto delle norme
comportamentali della famiglia.
I Romani avevano in uso di avere delle immagini degli antenati sottoforma di maschere dei defunti che
venivano messi nell’atrio della casa ed esposti alla vista dei visitatori.

I Romani erano chiamati a mettere in scena delle rappresentazioni che imitassero le gesta dei defunti. Le
famiglie usavano questi funerali che erano delle occasioni ulteriori per rappresentare il proprio status. Quindi
studiare la ritrattistica, non è soltanto funzionale a capire la mentalità dietro queste rappresentazioni, e come
queste immagini potevano veicolare un certo tipo di rappresentazione. Questo sistema regge e funziona a
livello di comunità fino a quando la res pubblica è viva, quindi le famiglie fanno a gara, di chi aveva un maggior
numero di antenati da rappresentare.

Nel momento in cui Cesare diventa il dittatore, colui che riesce attraverso le proprie imprese, non solo a
sbaragliare tutti gli altri contendenti, ma soprattutto a prendere le distanze da quella stessa nobiltà che aveva
esplicitato il suo potere.

Si instaura, un nuovo filone di propaganda, che sarà amplificato da Augusto (figlio adottivo), dopo la morte
del padre, porterà a un culto della persona e dell’individuo e che creerà il punto di svolta, per cui i ritratti
possono continuare ad essere presenti nelle abitazioni, sepolcri e piazze cittadine, ma chi ha il ruolo superiore
a tutti è il princeps. Cesare ottiene con la morte di diventare dio, ma il senato decreterà anche immagine di
Cesare che doveva comparire in tutti i templi dell’impero.

Questi due secoli e in particolare i decenni sono degli anni cruciali per il modificarsi repentino dell’arte
romana che fino al secondo era improntata alle tradizioni, ma sono anche anni in cui l’arte, l’architettura e
l’urbanistica che vanno ad esprimere i sentimenti delle nuove istanze politiche e ideologiche.

Prima di loro c’è Pompeo, è a lui che spetta una prima azione di alterazione del sistema della res pubblica,
nel momento in cui dopo aver vinto numerose guerre, Pompeo torna a Roma e decide di occupare l’area al
di fuori del Pomerion, teatro di una rappresentazione ovvero il Campo Marzio.

Nel Campo Marzio, Pompeo decide di costruire:

le opera Pompeiana (opere di Pompeo)edifici stabili che


creano complesso chiuso e, costituito da un tempio in
summa cavea primo teatro stabile a Roma. Il Porticus post
scaenam che va a chiudere questo settore (area di Largo
Argentina). La grande costruzione che fa Pompeo è
propagandistica e lo fa con delle forme, che acquisisce dal
centro Italia, lo fa ispirandosi ai grandi ginnasi delle città
ellenistiche.

Ma per Roma, era impedito costruire per il popolo un teatro


stabile, pensata come sede di sommosse, congregazioni
rivoluzionarie  Pompeo inventa il grande teatro in
funzione del tempio che costruisce in summa cavea, e che
dedica a Venere Vincitrice, colei che preserva l’attività
teatrale, rappresentazioni fatte in funzione della dea, e non
vengono sempre messi in scena i nudi scenici.  escamotage
per ovviare al divieto

Questo edificio ha un impatto forte per la cittadinanza tanto che gli opera pompeiana come primo tentativo
di realizzare un settore della città di Roma, su esempio dei grandi complessi edilizi ellenistici, dove è Pompeo
protagonista non la cittadinanza. All’interno di questa grande costruzione, le fonti dicono che Pompeo aveva
pensato a un edificio, come curia alternativa al foro, che in qualche modo era abbellita da statua di Pompeo
stesso del quale si riconosce scultura di Pompeo ora a Palazzo Spada,
rappresentato come nudità eroica, come pacere che regge un globo, e che
rappresenta un personaggio con forte carica.

Oltre a questo complesso del teatro e del tempio Pompeo si era fatto
costruire una villa, residenza privata vicino al complesso, possedimento
controllato da lui in persona. A un certo punto abbandona la scena politica,
e prevale Cesare che è di famiglia nobile, Julius e la tradizione ci dice che fin
da bambino viene educato alla lettura della storia greca e romana e
apprende tutta la storia di Alessandro Magno.

Cicerone ne esalta le gesta e ricorda le pugnas innumerabilis, le battaglie


innumerevoli e le vittorie incredibili. Perché a Cesare viene affidato il
compito di intraprendere varie spedizioni militari. Riesce a spingersi nella
Gallia e Bretagna, Cesare scrive anche molto. È colui che si afferma nella
scena politica per le imprese militari, ma riesce anche a stabilire legame con
i suoi soldati, è un legame tra persone che condividono un’idea di conquista
per la patria.Che gli garantisce un favore popolare, che lo farà allontanare
dalla nobilitas, a cui appartiene.

Esponente della corrente plebea, e sarà quello che sceglierà di realizzare


opere in funzione della plebe, poi marchingegno per affermare il proprio
potere personale. La sua attività a Roma si concentra su tre zone:

- il foro romano
- foro Iulius
- il Campo Marzio.

L’attività che Cesare fa nel foro è un’attività che mira a imporre degli elementi che affermano la gens Iulia
all’interno dello spazio forense. Prima trasformando la Basilica sempronia del foro, in Basilica Julia del 46 a.C,
ma soprattutto il trasferimento la ricostruzione della Curia del senato non presso il comizio, ma dietro l’area
del comizio in prossimità, del foro personale come se curia diventasse ingresso al proprio foro.

Lo fa perché dopo varie sommosse, nel 52 la basilica Portia e quella Ostilia prendono fuoco e vengono
distrutte e Cesare otterrà di spostare luogo del senato verso nord. Della curia ci resta buona parte dell’edificio
perché nel VII d.C secolo trasformata in chiesa. Al posto della Curia Hostilia, Cesare ottiene un tempio per
libertas, di cui non resta nessuna traccia.
Il nuovo spazio per transitare tra i due fori è veicolato dalla nuova curia
Iulia. Si configura come nuova piazza 75x160 m, colonnata su 3 lati e posta
tra la zona del via argentario, e del settore a nord del foro. Era abbellita al
centro da statua equestre con Cesare a cavallo (in origine era opera di
Lisippo e che Cesare aveva fatto decapitare per metterci un proprio
ritratto).

La piazza con porticato, è dominato dal tempio di Venere Genitrice, e che


si configura come tempio di tipo italico, su podio con gradinate laterali per
l’accesso, con pronao profondo e cella interna. Sul lato destro vengono
realizzate anche delle botteghe, che servono a compensare uno spazio di
risulta nel quale possono trovare spazio le attività della popolazione. Per
avere idea del gusto e della fase tardo-repubblicana nella raffigurazione di
immagini  Iside riconoscibile per nodo al di sotto dei due seni, è una
divinità in trono su scranno per ricordare iconografia dell’epoca.

Saepta Iulia = recinti che servivano al censimento della popolazione e


Cesare investe grandi quantità di denaro per monumentalizzare queste
zone. È un luogo che necessita di essere monumentalizzato spazio sacro,
che sottolinea l’importanza del censimento cittadino, perno della struttura sociale. ;a in realtà queste opere
vengono portate a termine da Agrippa nel 26.

Ultimo edificio attribuito a Cesare, teatro a sud e che sarà portato a termine da Augusto  teatro di Marcello

Lui vorrà fare un’opera come quella di Pompeo, ma non ci riuscirà creerà solo la piattaforma, perché poi verrà
ucciso.

Questi luoghi della rappresentazione pubblica diventano luoghi per rappresentazione individuale personale.
Pompeo è rimasto fuori dal pomelio, Cesare va a occupare il cuore della città, per stabilire potere personale,
appoggio che si è guadagnato perché ha combattuto con quell’esercito. Propaganda basata su condivisione
di ideali e gesta. All’interno di queste dinamiche si sviluppano delle situazioni in parte simili con differenze
LEZIONE 18 | 20 aprile 2022

UNA CITTÀ DI PROVINCIA IN ETÀ REBUBBLICANA: IL CASO DI POMPEI


ripresa lez. 19 aprile → Le piazze forensi e i luoghi di ritrovo pubblico come spazi per mettere in pratica
efficaci sistemi di propaganda attraverso immagini e architetture, ma anche come luoghi di vita reale e non
sempre improntata al tanto decantato mos maiorum.

Plauto, poeta vissuto tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. = scrive una serie di versi del Curculio, che sono
interessanti perché egli fa parlare un giovinastro in cerca di fortuna molto scapestrato. A fronte di tutta quella
carica propagandistica (attraverso, sculture, monumenti, ritratti, ecc.) esisteva anche una vita quotidiana che
fa da contraltare rispetto a quell’aurea parvenza di benpensanti e di quel mos maiorum di cui la Roma tardo-
repubblicana voleva trasmettere l’immagine prevalente di sé. Questi versi sono ambientati come se ci si
trovasse nel foro di Roma.

versi ppt pag.3 → al di là dei toni di una commedia dà un’idea di che cosa era il foro, ossia un luogo nel quale
tutti i cittadini avevano un diritto di esserci (a seconda delle loro possibilità e lavoro) ed è il luogo nel quale
la cittadinanza vive ed che aveva avuto il compito di trasmettere determinati messaggi.

Pompei mette insieme tutti gli elementi dell’età tardo repubblicana di Roma con la vita reale dei pompeiani,
i quali hanno una loro storia e tradizione che si incontra con quella di Roma in età tardo-repubblicana.

Dal centro di Pompei a una città di provincia: POMPEI

Pompei si trova in area vesuviana, dista circa 200km da Roma e sorge dentro la città attuale di Pompei, molto
ordinata e pulita e a sud-est di Roma.

Questa città ha una storia molto particolare, che per l’epoca


moderna inizia per caso, nel senso che agli inizi del ‘700 alcune
occasionali scoperte fatte prima ad Ercolano (1738) ma già agli inizi
del 700 in quella che si rivelerà essere la città di Pompei (1748) →
viene scoperta un’iscrizione all’interno di una piana disabitata e
sconosciuta dal punto di vista archeologico. Oltre all’iscrizione che
inizia a far capire che sottoterra forse c’era una qualche realtà
antica, poi emergono frammenti di decorazioni architettoniche, di
pitture, di oggetti che potevano essere messi a confronto con quelli
che già si conoscevano da tempo per Roma (grande città antica a cielo aperto, che per la sua continuità d’uso
nei secoli presentava delle evidenze in maniera occasionale e fortuita, non sempre ricostruibili nella loro
interezza). La campagna era sotto il regno di Napoli di Carlo III di Spagna e nel momento in cui si capisce che
scavando si poteva trovare qualcosa, il re decide di accentrare tutte le operazioni di scavo, non stratigrafici
ma improvvisati. Oltre a questo, fin da subito inizia la pratica di trasferimento dai luoghi di scavo a quello che
oggi è il museo dei Portici presso Pompei, che raccoglieva tutti i vari manufatti che venivano trovati. Si
lavorava per cunicoli sotterranei iniziando così ad avere una mole di informazioni rilevanti nel corso di poco
tempo. → comincia così a formarsi un repertorio formativo eccezionale e viene fondata anche l’accademia,
che doveva essere l’istituzione culturale dedita alla pubblicazione dei dati scoperti.

Al di fuori della Campania l’attenzione era massima, anche a livello internazionale. La curiosità e la voglia di
andare a vedere questi scavi diventa così una mania e tra i vari curiosi c’era Winckelmann, uno dei massimi
esperti di storia dell’arte antica che aveva tutto l’interesse di andare a vedere queste cose sul posto per
metterle a confronto con le sue conoscenze. Per timore di essere criticati e per non eccedere nella curiosità
a Winckelmann non viene dato il permesso di vedere gli scavi; infatti, lui denuncerà sia gli errori commessi
nell’operare non per strati negli scavi e nelle interpretazioni che venivano date su queste scoperte.
Pompei è la prima città che viene scoperta nella sua interezza, che dà il via a quella straordinaria fortuna che
l’area vesuviana avrà e che costituisce la palestra per ogni archeologo e architetto. La fama della città è
straordinaria perché per la prima volta nella cultura occidentale c’è la possibilità di ricostruire una civiltà
all’interno di una città ancora intatta. = una città che nonostante tutte le imprecisioni diventa il grande
serbatoio sull’arte romana.

Di fronte a queste evidenze c’era chi era rimasto deluso come Goethe, che scrive il suo diario del suo viaggio
in Italia → qui visita delle “case da bambole” cioè trova delle realtà talmente perfette, fossilizzate che quasi
è deluso perché la sua è una cultura della rovina, per cui l’antico è la rovina. C’è un tipo di sentimento quasi
deluso che lascia poco all’immaginazione.

Se la città di Pompei è in qualche modo fossilizzata nel 79 a.C., in realtà si tratta di una città con una storia
più lunga e complessa, che ha un suo inizio circa 1000 anni prima del ‘79, nella tarda età del bronzo. L’area
dell’insediamento prende corpo a ridosso della foce del fiume Sarno, fiume che costituisce un’area di foce
interessante dal punto di vista dei commerci e della navigazione sotto costa. È un fiume che nell’area della
foce crea una serie di paludi, che verranno successivamente bonificate. Gli studi geomorfologici, uniti a quelli
archeologici della tarda età del bronzo, indicano che presso quella che sarà la città di Pompei, al di là di alcuni
primi insediamenti presso Sant’Abbondio (= area al di fuori della città e che sarà una traccia di queste prime
zone oltre le quali si svilupperà l’insediamento). Era un’area che rispetto alla foce del fiume aveva una
prossimità della linea di costa molto più retrocessa, ossia il suburbio di Pompei era molto più vicino al mare
rispetto a quello che si può vedere oggi.

Per la fase dall’VIII-VII sec. a.C., li insediamenti che occupano la piana del Sarno si interfacciano con l’altra
grande presenza greca (Pitecussa e Cuma, che dalla seconda metà dell’VIII secolo sono insediamenti greci),
ma anche la presenza degli Etruschi, che si spingono fino a una parte della Campania e che costituiscono
un’interfaccia culturale molto importante per queste popolazioni. E poi ci sono anche gli indigeni (Ausoni,
Sanniti, Volsci) con i quali riescono ad avere uno scambio importante, tanto è vero che questa sollecitazione
tra mondo greco ed etrusco favoriranno molto il primo insediamento nella città. = nel settore, che dal punto
di vista altimetrico è il più alto fin dalle prime fasi arcaiche.

Nella zona del futuro Foro in posizione altimetrica più elevata rispetto al resto della futura città, sorge dagli
inizi del VI secolo un TEMPIO ARCAICO IN ONORE DI APOLLO, 575-550 a.C. → rappresenta un luogo
comunitario che unisce elementi indigeni (presenza di votivi di produzione locale) ed elementi greci o etruschi
che lo connotano come spazio di relazione tra gruppi etnici diversi.

Della prima fase (secondo venticinquennio del VI sec.) ci rimane poco perché il tempio
subirà un rifacimento nel II a.C. ma di questa fase rimangono alcuni frammenti della
decorazione architettonica, che ci danno idea di come poteva presentarsi questo tempio.

Per ribadire questa idea di luogo di contatto tra culture diverse, ha la caratteristica di quello
che è il tempio etrusco-italico: alto podio che permette di delimitare, sopraelevare nel
senso di templum, del temenos, di qualcosa che viene tagliato e ritagliato lo spazio per il
dio dal resto dell’area di calpestio dei dedicanti.

Il tempio vero e proprio ha una cella profonda, dove ci sarà la base per la statua di culto.
Altro elemento di contaminazione greca è la presenza di un colonnato circostante che è di matrice greca, che
dà la misura di una commistione di questi due elementi. La costruzione che
vediamo oggi è del II secolo a.C., realizzata in opera incerta e con una
peristasi in stile corinzio con rifacimenti anche tra l’età augustea e la prima
età imperiale. Elemento significativo è che va ad occupare uno spazio
fondamentale della futura piazza, che sarà monumentalizzata soltanto in
età tardo-repubblicana.
In età arcaica, al di là della città di epoca sannitica, anche il territorio viene controllato in quella accezione
che prevedeva di marcare il territorio di possesso di un centro attraverso luoghi sacri, santuari, templi,
insediamenti sparsi che vanno a difendere il territorio.

Al VI secolo risale un insediamento di tipo sacro → SANTUARIO DEDICATO AL DIO POSEIDONE che non è
solo il dio del mare, ma in generale il dio delle acque, dei fiumi e delle paludi. Viene collocato in località
Bottaro. Viene realizzato un santuario che si pone in prossimità delle aree paludose realizzate dalla foce del
fiume e per questo motivo diventa un marcatore molto interessante della
prospettiva della comunità di segnare il territorio, che poi sarebbe stato
occupato dal porto per rivendicarne il controllo. Il santuario continua ad essere
frequentato anche in età più tarda come ci dimostrano certi ex voto, ma anche
un’iscrizione in cui si chiarisce il dono da parte di questo personaggio (S.L.) a
Nettuno, signore del santuario.

L’archeologia ha chiarito che la città ha già una sua prima cinta difensiva a partire dal VI secolo, che viene più
volte rifatta nel V usando un tufo locale, Pappamonte e che garantisce una cortina difensiva molto efficace.
Nel tempo sarà più volte rinforzata, soprattutto nel III secolo quando Pompei si trova nella situazione di
costituire un punto tra le forze romane e quelle cartaginesi. Annibale va ad occupare la piana tra il Vesuvio e
il Monte Tifata, non lontano da Paestum, ed occupa con esercito straordinario l’area di pertinenza dei gruppi
etnici che facevano capo alle città costiere della Campania.

Già in fase arcaica la città ha una propria cinta difensiva e una serie
di porte che verranno poi monumentalizzate per dare un degno
ingresso alle strade che solo successivamente avranno dei nomi
specifici: da nord, la porta verso il Vesuvio e verso Ercolano; a sud
la zona di Porta Marina e Porta Stabia e Nocera e a est la Porta del
Sarno, che conduceva verso l’entroterra verso la parte di pianura.

Nel corso del tempo (tra il III e il II sec. a.C.) alle mura vengono
aggiunte torri difensive, in relazione alle guerre cartaginesi. Tuttavia, a livello dell’impianto urbanistico la
città già da questi primi secoli, mantiene e mostra di mantenere un impianto abbastanza regolare, che vede
un primo insediamento nella zona della Regio VI e a proseguire le altre regiones. Di queste prime fasi non ci
resta molto dal punto di vista monumentale e decorativo, anche perché dal II sec. a.C. la città avrà un grande
apporto in senso monumentale che farà piazza pulita degli edifici preesistenti.

La città ha una componente osca prevalente ma anche etrusca; ha quindi delle proprie magistrature di
governo e amministrazione, ha una propria lingua che è l’osco = città con propria autonomia, organizzazione
ed economia basata sul commercio di olio e vino. = due beni che caratterizzarono la città fino alla sua
distruzione. Infatti, tra il III e il II secolo quando Delo diventa porto franco e si apre il fronte orientale, Pompei
beneficia di questa internazionalizzazione dei commerci e delle rotte mercantili di cui Roma si fa patrona.
Abbiamo ritrovamenti di prodotti con marchi pompeiani anche nella Gallia e nella Spagna = estensione delle
reti commerciali.

È ancora nel II secolo una città senza cittadinanza romana, però l’aristocrazia locale investe molti soldi per
apparire come città degna di far parte della rete di città federate e alleate di Roma = lo fa con
monumentalizzazione delle proprie strutture pubbliche e private. → la componente aristocratica e
mercantile cerca di rispondere a quella di idea di urbanitas che Roma andava diffondendo quando
conquistava nuove terre. La città beneficia di questo sistema di commercio internazionale fino a quando non
ha l’idea di parteggiare per i Mariani, trovandosi al centro della guerra sociale italica che, agli inizi del I secolo
a.C., investe varie città dell’Italia centrale e meridionale. Questo comporterà per Pompei l’assedio di Silla
nell’89, la capitolazione di Pompei che viene dedotta come colonia cornelia veneria pompeianorum dall’80
= diventa una colonia romana e per fare questo Silla, quindi, manda quale migliaio di veterani che vanno a
marcare la nuova colonia di Roma e lo fanno con l’occupazione delle magistrature più importanti, la
costruzione di abitazioni che apportano nuovi elementi della romanità. (Piano piano la città comincia ad avere
una fase di benessere e di grande incremento demografico ed economico fino alla metà del I sec. d.C. quando
un primo fatto la pone in una situazione di criticità = terremoto del ‘62 che abbatte molti edifici e crea una
prima fase di necessario ripensamento della città e di sovvenzioni da parte dello Stato.

Da un punto di vista archeologico e storico è stato interessante verificare che al momento dell’eruzione solo
alcuni edifici distrutti dal terremoto erano in corso di ristrutturazione: da un lato perché i soldi non erano
tanti, si dava privilegio ad alcune strutture piuttosto che ad altre; ma soprattutto questo terremoto ha posto
un momento di crisi per la componente sociale, che si trova ad avere una situazione inaspettata. = non il 24
agosto come dicono vari libri, ma con il ritrovamento di un frammento di una decorazione che essendo datata
al 79 d.C. ha permesso di posticipare il giorno di eruzione al mese di ottobre.

Di quell’evento si hanno due epistule che scrisse Plinio il Giovane a posteriori, che aveva 17 anni nel 79
(grande intellettuale alla corte di Traiano – 98-117 d.C. regno di Traiano). Era il nipote di Plinio il Vecchio, il
quale era lo zio da parte di madre ma era soprattutto l’ammiraglio della flotta imperiale al Miseno. Costui
riceve una segnalazione, anche se nei giorni precedenti nella zona erano state registrate varie scosse che
dopo quella del 62 erano abbastanza frequenti e quindi non avevano destato tanto timore. → Le due lettere
che Plinio indirizza a Tacito dicono che la madre di Plinio aveva attirato l’attenzione perché si era creata una
sorta di nuvola a forma di pino, molto strana e anomala. Nel frattempo, era arrivata la richiesta da parte di
una nobildonna romana, Rettina, che aveva una villa ai piedi del Vesuvio = cominciava a vedere delle prime
vampate dal vulcano e chiede aiuto perché dalla parte di terra le sembrava non fosse sicuro, chiede
l’intervento dei mezzi navali. Plinio decide quindi di trasportare buona parte della flotta verso l’area
vesuviana, segue un percorso a ridosso della costa ma le navi vengono in parte invase dalle ceneri che
diventano più dense e calde nel momento in cui ci si avvicina all’area di Pompei. L’ammiraglio decide di non
fermarsi nella zona portuale presso la città, ma di dirigersi a Stabia, che dista 4 miglia da Pompei. A Stabia
risiedeva un conoscente di Plinio il Vecchio, che aveva una villa e che nel momento in cui arriva l’ammiraglio
era intento a caricare in gran fretta tutti i suoi beni in vista della partenza di queste navicelle aspettando che
il vento fosse favorevole. L’ammiraglio decide di rimanere a casa di costui per vedere meglio l’evoluzione del
fenomeno che comportava una serie di larghe fiamme e continua pioggia di ceneri che invadono anche il
cortile di Pompeiano. Ad un certo punto consigliano gli astanti di lasciare la casa e portarsi fuori con dei
cuscini in testa per evitare di avere le ceneri sopra il capo. Ma costoro non sanno che, insieme alle ceneri, il
vulcano emette anidride solforosa, gas ricco di zolfo che finirà per ammazzare tutti coloro che si troveranno
a contatto diretto con un’aria non più respirabile. I ritrovamenti dei corpi di molte persone che non riuscirono
a fuggire sono stati individuati come impronte lasciate all’interno del banco tufaceo di lava (soltanto Fiorelli
nel secondo Ottocento si è inventato i calchi in gesso per ottenere la forma dei morti).

La distruzione totale riguarda non solo Pompei, ma anche Stabia, Ercolano e altre località intorno al Vesuvio.
Dop questo evento (dove muore anche Plinio il Vecchio), l’imperatore Tito decide di istituire una magistratura
preposta a provvedere ai bisogni delle persone che furono costrette ad abbandonare la città. Dalle fonti, si
sa che dopo il 79 molti tentarono di tornare lì per recuperare alcuni averi ma di fatto la città viene
abbondonata, tanto è vero che nel corso del tempo se ne perde la
memoria fino al 1748.

È un evento che cancella dalla storia la città e che ci racconta la


tragedia. Di quell’evento poi ci restano anche altri documenti →
ALTARE DOMESTICO ritrovato in una villa del Molise in cui si nomina
Rettina (probabilmente la stessa nominata da Plinio), in salvezza della
quale un suo liberto dedica questo altare ai Lari con la speranza del suo
ritorno (ob reditum) dall’eruzione del 79. Al di là dell’evento molti sono
i dati che ci permettono di riallacciare tracce della vita e delle
aspettative di salvezza delle persone al di là di Pompei e naturalmente anche l’insieme degli studi
geomorfologici hanno permesso di comprendere la portata di questo cataclisma.

La città che viene sigillata nel 79 era una città di grande interesse che l’archeologia ha cercato di ricostruire
a partire dagli spazi sia pubblici che privati.

La città tardo repubblicana – Il foro cittadino e gli edifici di II-I secolo a.C.:

Il FORO è lo spazio cittadino privilegiato per esprimere il concetto di


urbanitas e il concetto di adesione a quelle forme monumentali e
manifestazioni della cultura romana, non solo a Roma ma anche al di
fuori della città. → è la piazza di 38x132 metri che successivamente
viene porticata su 3 lati ed è lo spazio nel quale dsi svolge l’attenzione
degli aristocratici locali, i quali a partire dalla metà del II secolo a.C. =
realizzano serie di costruzioni per rispondere a quell’idea di città
parte della romanità, ma che in qualche modo conosce anche le
mode e le culture dell’epoca e quindi città, prossima a città di origine
greca viene ulteriormente sollecitata da un punto di vista culturale.

L’edifico principale è il TEMPIO DI APOLLO → viene inglobato nello


spazio forense attraverso un porticato che va a regolarizzare un
elemento che è leggermente difforme da un punto di vista
dell’orientamento della piazza perché il tempio esisteva già e aveva
delle necessità precedenti alle quali si cerca di ottemperare attraverso un accesso dal lato lungo che viene
monumentalizzato.

Il rifacimento del tempio che viene ri-


monumentalizzato e adeguato dal punto di vista dei
gusti viene affiancato dalla BASILICA. → grande edificio
che caratterizza lo spazio forense a Roma e che non
poteva mancare nella città vesuviana. Si data a partire
dal 120 a.C. e ha come caratteristica quella di essere un edificio chiuso su tutti i 3 lati (2 lati lunghi e lato di
fondo) su cui insiste il tribunal, cioè il rialzo da cui parlavano i magistrati e le persone incaricate di svolgere
attività amministrative e giuridiche.

All’interno prevedeva un colonnato ionico di 12x4 colonne e attorno, a ridosso del muro di recinzione, si
vedono delle semicolonne che enfatizzano lo spazio della basilica che prevede un secondo piano nella parte
di fondo e che aveva un ingresso nel lato corto della basilica, enfatizzato da questa sorta di ingresso. =
calcidicum, ossia una sorta di antisala con una funzione di monumentalizzazione dello spazio d’ingresso della
basilica. Aveva anche una bassa gradinata che andava ad enfatizzare l’accesso allo spazio della basilica.

Dalla parte opposta rispetto al tempio di Apollo, c’è una sala porticata, affacciata sul lato
occidentale della piazza → MAGAZZINO/HORREUM che secondo gli studi doveva essere un
luogo di deposito delle merci per tutti i prodotti che venivano venduti nelle taverne, nelle
aree circostanti al foro. Si ritiene che a nord (cerchio rosso) ci fosse una sorta di erario, cioè
il luogo dove si deteneva il tesoro della città mentre nella settore meridionale doveva
esserci lo spazio in cui venivano pesate le merci che poi venivano vendute alla popolazione
= mensa ponderaria.

Il settore settentrionale del foro, quello monumentale, viene occupato dalla metà del
secolo dall’edificio principale della nuova città intesa come città inserita nel circuito romano
→ CAPITOLIUM ossia un edificio di tipo italico su alto podio con scalinata di accesso e che
ha un pronao profondo con quattro intercolumni di riferimento per enfatizzare
l’ingresso alla cella. All’interno di quest’ultima solo in epoca sillana verrà collocata la
tripartizione delle tre celle per la triade capitolina. La sua posizione sul lato corto del
foro sta a rimarcare la funzione di luogo di culto della città, del luogo per eccellenza del
foro (cfr. tempio di Venere genitrice nel foro di Cesare). = Questo tipo di scelte
urbanistiche, di monumentalizzazione dello spazio condiviso sia stata una soluzione
che ha interessato ben prima le città collegate a Roma e che a Roma diventa una cifra
per tutti i fori successivi.

Dalla parte opposta rispetto al tempio di Giove sta il nucleo per l’attività di
amministrazione cittadina → CURIA, l’edificio per gli edili e per i duoviri
(sindaci) e ad est il COMIZIO. Ancora nel II sec. a.C. questa porzione
orientale del foro non prevedeva questi edifici, ma c’erano delle case di
personaggi in vista che solo successivamente verranno smantellate e
occupate da edifici di tipo sacro e legati alla centralità dell’imperatore.

Nella fase in cui Pompei diventa una colonia romana dopo l’80, Silla marca a
sua volta lo spazio con un tempio → TEMPIO DI VENERE nella zona
sudoccidentale della città ben visibile da chi arrivava dal mare, posizione
dominante che va a marcare la città con un nuovo edificio sacro. Siccome i
romani erano fortemente superstiziosi, per non offendere Apollo (divinità
arcaica della cittadinanza), due magistrati decidono di rifare un altare in onore
di Apollo e lo posizionano di fronte alla scala di accesso al tempio con
l’iscrizione che dedica il rinnovamento al dio.

Lo spazio del foro è uno spazio che doveva avere tutta una pavimentazione in
lastricato, di cui non ci è giunta una grande documentazione se non alcune
lastre con iscrizione in bronzo a sottolineare l’importanza dell’opera. In questo spazio fino al 70 si svolgevano
tutti quei ludi gladiatori (cfr. Roma) che dovevano rispondere anche ai gusti dei nuovi arrivati (veterani) che
poi troveranno sede più adeguata in un altro luogo.

Nel settore meridionale c’è il FORO TRIANGOLARE. → anche in questa zona si possono recuperare dati
interessanti riguardo alla corsa dei pompeiani a fornire la propria città i luoghi adatti a rispondere a tutte
quelle sollecitazioni che si impongono dal III-II sec. a.C. in Italia. All’interno di uno spazio triangolare
monumentalizzato, dall’età arcaica sorgeva un tempio dorico (VI sec. a.C.)
che avendo un orientamento particolare e una morfologia particolare
denuncia la sua arcaicità rispetto al resto delle costruzioni che vengono a
essere realizzate tra il II e il I secolo a.C. in questo settore.

Si tratta di tempio che ha una prima fase del VI secolo e che è stato più volte
rimaneggiato, soprattutto nella fase tardo repubblicana. È un tempio che
va ad occupare una collocazione obliqua
rispetto all’orientamento degli altri edifici per
esigenze di tipo cultuale. È un edificio su
crepidoma a più gradini, che rispondono a delle
differenze altimetriche in conformità con la geomorfologia di questa parte della
città. Dalla tipologia degli ex voto e da una serie di elementi ricavati da scavi
recenti si ritiene che fosse legato al culto di Atena ed Ercole. Presso questo edificio
viene realizzata una sorta di tholos = edificio con peristasi circolare che andava a
monumentalizzare un pozzo. Il diverso orientamento del tempio non deve far
intendere che non avesse una sua funzione, ma al contrario il fatto stesso che venga abbellito e inserito
all’interno di uno spazio porticato ci dà la misura della rilevanza agli occhi della popolazione.

Nel corso del II secolo la popolazione decide di finanziare un TEATRO


che va a sfruttare le pendici della sopraelevazione di questa parte
della città. Già dal III secolo la città ha uno spazio che nel corso del II
secolo viene ulteriormente monumentalizzato, con una cavea che si
adatta alla situazione morfologica ma che soprattutto denuncia uno
spazio per la rappresentazione che richiama, non tanto i teatri
semicircolari classici di epoca romana ma richiama piuttosto gli
edifici con orchestra e cavea a ferro di cavallo ispirati al modo greco.
L’edificio scenico viene aggiunto successivamente (fine del II sec.)
con serie di aperture che rispondono al gusto dell’epoca. All’interno
dello spazio dell’orchestra viene installato un bacino per giochi 1 teatro grande (sx) e teatro piccolo (dx)
d’acqua, da immaginare utilizzato nei momenti in cui c’era una pausa
tra una rappresentazione e l’altra.

Le parodoi, le zone di passaggio vengono coperte solo nel I sec. e la fase di monumentalizzazione con un
ampliamento della parte superiore della cavea si registra in epoca successiva con una possibilità di aumentare
il numero degli spettatori che sono calcolati intorno ai 5 mila.

Questo edificio è importante perché è uno dei primi edifici per spettacoli costruiti ad hoc in Campani (anche
nel Lazio e a Roma sono edifici che trovano spazio in età tarda), che sono stati vietati perché costituivano un
luogo potenziale di ritrovo da parte di malintenzionati, che volevano sfruttare per organizzare sommosse o
riunioni non autorizzate. Per questo motivo l’importanza dell’edificio si evince dal fatto che i pompeiani
decidono di sponsorizzare un’opera che ritengono fondamentale per la loro cittadinanza.

Al di là dell’aspetto tipologico, un altro elemento che richiama la


volontà dei pompeiani di adeguarsi a dei modelli greci è la decisione di
realizzare un QUADRIPORTICO del teatro = uno spazio che richiama i
ginnasi greci e che in qualche modo svolgevano in Grecia la funzione di
luoghi di attività fisica e intellettuale. È incerto che qui a Pompei abbia
svolto fin da subito una funzione legata alle attività ginniche, ma si
pensa che servisse per possedere uno spazio porticato sull’esempio dei
greci forse legato più a momenti di riposo e sosta tra uno spettacolo e
l’altro. In età tarda, prima dell’eruzione qui si esercitavano anche i gladiatori = funzione mista che nel tempo
si è maggiormente definita e che richiama in maniera molto forte questa volontà di possedere uno spazio su
imitazione greca.

Altro edificio → piccolo teatro chiamato ODEUM, che non si sa se già


dall’80 a.C. abbia svolto la funzione di luogo per le rappresentazioni
musicali o poetiche. Al di là della tipologia che richiama i bouleuteria,
c’è stato Paul Zanker, uno dei massimi archeologi romanisti e che per
anni si è dedicato a Pompei. Lui riteneva che questo edificio fosse nato
come un luogo di ritrovo dei veterani di Silla, che avevano bisogno di
uno spazio per incontrarsi in maniera separata rispetto al resto della
popolazione. E che soltanto successivamente abbia avuto la destinazione di odeum.

È stato calcolato che potessero essere ospitate circa 1500-2000 persone, che è anche il numero di veterani
che ci trasmettono le fonti. Superata la fase difficile di accettazione della nuova componente romana a
Pompei (osmosi tra componente indigena e quella alloctona), lo spazio abbia effettivamente svolto la sua
funzione di edificio per gli agoni musicali.
Subito dopo la deduzione della colonia (la Cornelia), nella città viene
costruito un ANFITEATRO (70 a.C.), che inizialmente viene chiamato
edificio per spettacoli. Rappresenta uno dei primissimi esempi
attestati (a Roma il primo stabile è quello dei Flavi) e viene collocato
in una zona periferica della città dall’ingresso orientale per
rispondere alle esigenze di organizzazione del traffico e di
smistamento della popolazione che arrivava numerosamente non
solo dall’interno della città ma anche dall’esterno. L’edificio viene orgogliosamente dedicato da due
magistrati (Quinto Valgo e Marco Porcio), i quali specificano che la costruzione è avvenuta ex pecunia sua, a
partire dai beni personali per l’onore della colonia e della comunità divenendo un monumento che non viene
pensato solo come occasione per dare sfoggio della propria ricchezza ma principalmente come monumento
funzionale alla città.

Da un punto di vista architettonico e costruttivo gli archeologi


hanno notato che l’architetto che progettò questo monumento
decise di costruire una parte dell’arena al di sotto il piano di
calpestio. Ciononostante, l’edificio risponde comunque alla sua
funzione di spazio per i ludi gladiatori, che secondo Zanker sono
stati valorizzati attraverso questa costruzione anche per
rispondere alla componente dei veterani sillani, i quali essendo
dei soldati avevano una propensione per gli spettacoli violenti che veicolavano a livello antropologico forme
di aggressività e di tendenza alla violenza insita in chi era abituato a svolgere il lavoro del soldato. Da un
punto di vista funzionale è un edificio che risponde a questo tipo di divertimento con 35 file di posti a sedere
divisi dai pulpita. Diventa uno tra i primi esempi attestati in Italia.

Altra forma architettonica che connota Pompei è quella delle TERME STABIANE, che si trovano a poca
distanza dal Foro Triangolare e che sono collocate all’incrocio della strada che porta verso Porta di Stabia e
via dell’Abbondanza che esce fuori verso Porta del Sarno. Sono state costruite a partire da un precedente
contesto adibito a balneum di III secolo a.C. e mostrano uno dei primi esempi di organizzazione del bagno
pubblico in una società che non disponeva di bagni privati all’interno delle abitazioni = quindi necessitava di
luoghi per l’igiene personale. Fin dall’inizio l’organizzazione dell’impianto termale prevede due nuclei
separati:

- Nucleo settentrionale per le donne;


- Nucleo meridionale per gli uomini.

Questi nuclei hanno in comune il Praefurnium, cioè il forno semi


sotterraneo che serve alla combustione e alla canalizzazione nei due
speculari vani preposti al bagno caldo (Calidaria) dell’aria che
riscalda lo spazio e l’acqua della vasca. Gli ingressi di entrambi i
nuclei sono separati fin dall’origine: a nord quello delle donne e a
sud quello degli uomini. In qualche modo si comprende la volontà di
tenere lontani questi due nuclei delle terme, che avevano in comune
anche la grande palestra che serve per le attività ginniche ma anche
come luogo di sosta tra un bagno e l’altro.

Come si svolgeva questo percorso? Oltre che pagare un obolo per entrare, prima di tutto le persone dovevano
spogliarsi. Lo spazio in cui depositavano i propri averi e le vesti è l’Apodyterium, lo spogliatoio dove ci si
preparava per il bagno. Si trattava di un bagno tiepido (Tepidarium) e che successivamente prevedeva il
bagno caldo. Le terme romane avevano anche il Frigidarium, ma questo è un elemento che viene introdotto
solo successivamente perché si sa che ancora nel I secolo a.C. questo nucleo di terme non prevedeva il bagno
freddo. Sul lato della piazza viene realizzato un Destrictarium, un luogo nel quale ci si detergeva e ci si puliva
dagli oli che si mettevano per praticare le attività ginniche e successivamente nel I secolo a.C. viene realizzato
il Laconicum (ambiente pensato per le sudationes = sauna). → questo tipo di ambienti comuni che si trovano
nelle terme tardo repubblicane e imperiali sono luoghi chiusi di dimensioni contenute con muri spessi per
garantire il mantenimento del calore all’interno. Almeno in questa fase sono ad uso maschile.

Dopo il terremoto viene abbellita con apparato decorativo in stucco, ma soprattutto viene inserito nel lato
occidentale una grande vasca che sarà pensata per attività legate ad esercizi in acqua. Per dare idea della
complessità, a Pompei ci sono altri edifici ma soprattutto dall’età imperiale si impone una tipologia edilizia
delle terme imperiali che vedrà un’articolazione degli spazi molto più regolare e canonizzata con una
successione molto precisa delle varie stanze.

Le Terme Stabiane mostrano una loro origine dal mondo greco o romano, nel senso che l’assenza del
frigidarium è un elemento che li avvicina più ai balnea di origine greca. = non sono stanze pensate in maniera
organica ma vani giustapposti. A proposito di questi balnea, Vitruvio ricorda che erano distinti dalle palestre,
nel senso che quest’ultime non erano in uso nella tradizione italica. Nella sua descrizione ignora
completamente il Frigidario, a favore di una Frigida Lavatio, di un’attività di lavaggio con acqua fredda che
non necessariamente deve prevedere una vasca appositamente realizzata.

Plinio, nella Naturalis Historia, afferma che prima di Augusto non era costume lavarsi frequentemente con
l’acqua fredda. Si segue evoluzione della terma nella prospettiva di comprendere le diverse sollecitazioni dal
mondo greco.

(Testimonianza di Seneca, Lettere a Lucilio, libro VI, 56) – ppt pag. 32 → una giornata in prossimità di un
edificio termale romano. Anche se la lettera sia scritta in età neroniana (ca. 100 anni dopo alla realizzazione
delle Terme Stabiane) ci dà un’idea chiara di una giornata alle terme. La vita alle terme non è solo farsi il
bagno, ma significa passare il tempo a fare varie attività e avere relazioni sociale. Per questo dall’età augustea
in avanti le terme saranno un grande strumento di favore per il popolo che gli imperatori useranno per avere
un consenso popolare.

Questo tipo di attività non solo garantiva un plauso da parte della popolazione, ma garantiva anche due
elementi fondamentali:

1. l’igiene pubblica su ampia scala (= risoluzione di banali problemi sanitari come i pidocchi);
2. la circuitazione di soldi e di attività economiche attorno alle terme. Questo perché era anche un
luogo in cui si vendevano prodotti; quindi, attorno alle terme potevano svolgersi delle attività
economiche che servivano ad alimentare la sosta dentro alle terme per più ore e a garantire tutte
quegli elementi per lavarsi (spugne, asciugamani, ciabatte), molto ben documentati già in questa fase
ma che in età imperiale saranno un elemento costituivo della vita alle terme.

Se le terme igieniche sono necessarie a garantire una situazione di prassi sanitaria quotidiana per le persone,
altrettanto rilevante è lo sfruttamento delle sorgenti termo minerarie. = sorgenti con acque a componente
minerale a seconda delle diverse sorgenti solo perché sono nettamente distinte dalle terme igieniche sia da
un punto di vista della distribuzione degli spazi (la sorgente è l’elemento per cui si costruisce l’edificio, il quale
deve avere delle vasche dove a diverse temperature e funzioni venivano svolte delle attività di cura attraverso
l’acqua: la balneoterapia, la pinoterapia (ingestione dell’acqua), terapia di tipo aerobico attraverso
l’ispirazione di vapori termominerali catturato da sorgenti gassose, trattamenti per la cura di affezioni sia
dermatologiche che muscolari (fanghi, di cui i romani sono i primi iniziatori e che risolveranno tanti problemi)
→ TERME SALUTIFERAE in queste terme si sviluppa una tipologia architettonica diversa a seconda del tipo
di sorgente e trattamento, ma nella cultura romana si sviluppa una trattazione specifica di trattati e scritti
legati a cosa si poteva guarire utilizzando certe acque rispetto ad altre nelle varie aree dell’Impero.
L’edilizia residenziale in area italica e le evidenze repubblicane a Pompei

Se la Pompei tardo-repubblicana ci permette di avere un’idea della profusione di soldi e di


attenzione nell’ambito pubblico, anche l’edilizia privata costituisce un ambito di interesse
per capire come la popolazione va a rappresentare le proprie possibilità economiche
attraverso le proprie abitazioni e le espressioni artistiche all’interno della loro abitazione.

Dall’architettura che utilizza la semplice pietra (opera quadrata) passa con la fine del III e
gli inizi del II ad utilizzare il legante nell’opera cementizia per costruzioni che diventano più
semplici da realizzare (nel momento in cui si impara viene affidato a tutti, alla manodopera
servile di cui Roma e le altre città si arricchiscono dopo la conquista dell’oriente). Questo
permette soluzioni di diversa natura che interessano anche la città di Pompei, dove
vengono realizzate delle abitazioni che si adattano al gusto e alla tecnica edilizia in voga
all’epoca.

A Pompei si trova una situazione fossilizzata (che rispecchia quello che troviamo anche in altre città come a
Roma), dove vengono costruite delle abitazioni di lusso ma vengono costruite anche abitazioni di diversi livelli
sociale e abitazioni che non si sviluppano solo al pian terreno ma anche nel sottosuolo. → l’architettura
romana a partire dal II a.C. conosce una grande fase di sfruttamento di tutti quei contesti in pendice ovvero
in contesti in cui la geomorfologia permetteva uno scavo in sottosuolo complesso che permetteva di
espandere le aree di abitato in una dimensione ipogea. Vengono utilizzati in luoghi dove la geomorfologia lo
consente come il Lazio, l’Etruria, la Campania e in altri contesti dove fosse possibile realizzare opere ipogee.
Si tratta di opere che sono state oggetto di studio

Ci potevano essere diverse costruzioni nel sottosuolo:

1. Scavando in senso orizzontale o verticale un terreno = vani


totalmente sotterranei
2. Interrati se al di sotto del piano di campagna
3. Seminterrati, se solo una parte sottoterra con la possibilità di
accedervi a livello di una scala interna;
4. Sottosuolo finto, che viene creato artificialmente perché vengono apportate grandi quantità di
terrendo con la differenza di una accessibilità dal piano di calpestio rialzata rispetto a quello interno
del locale.

L’uso di questi contesti non è solo funzionale a sopperire differenze di quota, ma serve anche a creare enormi
nuove zone di costruzione per finalità di servizio (infrastrutture, magazzini, luoghi di passaggio) ma anche
come vere e proprie stanze di percorrenza e transito o residenzialità. Sia nel Lazio che in Campania (in
particolare a Pompei) non è strano trovare dei vani ad uso tricliniare e ad uso di residenzialità di lusso.

Inoltre, ci sono anche dei luoghi in cui al sottosuolo viene data la funzione di spazio in cui collocare una parte
della familia = famiglia servile che doveva restare separata dalla frequentazione altolocata del sopraterra.

Pompei è un luogo dove questo tipo di architettura in sottosuolo ci dà degli esempi straordinari. Al di là della
potenzialità costruttiva del sottosuolo e dello sfruttamento di aree in pendice, l’edilizia privata dall’età
arcaica ha al centro uno spazio scoperto (impluvium) in cui l’atrio si organizza con serie di spazi che vanno a
canalizzare il percorso dall’area dell’ingresso verso il tablino (sala principale) con a fianco serie di vani di
rappresentanza o accesso per gli ospiti o vani di tipo privato.

Questo tipo di costruzioni trova anche a Pompei delle esemplificazioni molto evidenti e si è costruita anche
una teoria in base alla quale le case fossero solo di tipo ad atrio, anche se in realtà non era così. Questo
dipendeva dalle potenzialità e dalle possibilità del proprietario.
CASA DEL CHIRURGO, VI, 1,10, (III a.C) = modello della casa ad atrio. È sempre stata
presa come modello per la sua articolazione che prevedeva una successione molto
chiara dall’area dell’ingresso dalla strada con una disposizione di vani: le fauces, il
vestibulum e l’atrium su cui si affacciavano dei locali (cubicula per il riposo), dei vani
a ridosso dell’ingresso che in alcuni caso possono essere adibiti a taverna o bottega in
gestione del patronus o affittate a terzi. Sul lato dell’ingresso sta il tablino, che prende
il nome da tabulinum, da tabulae cioè dal fatto che qui il padrone riceveva non soltanto
i propri amici ma anche i clientes (persone di stato giuridico libero che potevano
partecipare alle votazioni, alle attività che coinvolgevano l’amministrazione e la vita
politica della città). Affidandosi al patronus ne diventavano un braccio operativo,
soprattutto quando gli veniva affidata la gestione di una parte del patrimonio del patronus. Nel tablino
vengono ricevute queste persone, vengono annotate le attività amministrative (attività di vendita e acquisto
di prodotti, scambi, affitti) in una sorta di vera e propria attività redditizia per il patronus, il quale rispondeva
a questo tipo di servizio garantendo quotidianamente ai clientes, che si recavano per praticare la salutatio
mattutina (il saluto al proprio patrono), la donazione di sportulae (sacchetti in cui il patronus poteva mettere
dei prodotti di genere alimentare, ma anche piccole somme di denaro = reciproco scambio in questo rapporto
clientelare).

Rispetto a costoro il patronus poteva ricevere degli ospiti selezionati che non ospitava necessariamente nel
tablino ma in altri vani di tipo residenziale come i triclini, le esedre, gli oeci, ecc. → lo spazio del ricevimento
diventerà una cifra molto importante, soprattutto nel II secolo quando la casa diventa una grande occasione
di manifestazione del lusso e dello status raggiunto dai proprietari. Quello che è il modello di casa ad atrio
con l’hortus (giardino retrostante adibito anche solo a coltivazione di vegetali o piante che servono per il
sostentamento del nucleo familiare) si amplifica e diventa uno strumento di autorappresentazione.

Il nome della casa deriva dal fatto che negli scavi del ‘700 qui sono stati trovati circa una quarantina di
strumenti di bronzo e ferro pertinenti ad attività forse mediche (cateteri, pinze, bisturi, ecc.).

L’altra grande abitazione che ci dà la misura del cambiamento è la CASA DEL FAUNO, VI 12, 2 → ci dà il polso
di quella che fu la corsa a presentarsi a Roma e ai concittadini nel momento in cui Pompei diventa la città
tardorepubblicana di II sec. a.C. inserita in tutto quel circuito di contatti e commerci con l’Oriente greco, dal
quale ricava delle sollecitazioni culturali.

Questa casa appartenne a una famiglia aristocratica locale, ai Satri, i quali tra la fine del III e la seconda metà
del II secolo decidono di ristrutturare questa casa, che occupa circa 3mila mq e quindi praticamente un’intera
insula.

Siamo nella Regio VI e la casa è così grazie alla trasformazione e


all’accorpamento di più nuclei abitativi precedenti. Vi
è un primo nucleo (a sx lato occidentale) e un
secondo nucleo (lato orientale). = Sono dei luoghi che
originariamente dovevano essere separati e che
soltanto alla fine del II secolo vengono resi
comunicanti con ingressi separati dalla strada, su cui
si affacciano vani ad uso di attività commerciali gestite dal padrone di casa. E fin
dall’inizio, chi entrava veniva salutato con vocazione sul pavimento, ma anche con
chiara affermazione di quelli che erano le cifre rappresentative della famiglia, che
colloca già nell’area di ingresso uno spazio per il culto domestico, che riproduce delle
facciate templari connesse ad una religiosità privata che viene fin da subito
rappresentata. Nello spazio dell’atrio viene ad essere centrale il grande impluvio, sul
cui bordo c’è la statuetta del satiro danzante che dà il nome alla casa. Attorno a questo
atrio e all’impluvio viene a disporsi una serie di cubicoli e ale (vani per la deposizione e l’archivio della famiglia
+ eventuale esposizione dei ritratti degli antenati del padrone di casa). Sono dei luoghi importanti che vanno
ad ampliare lo spazio dell’accoglienza del visitatore, che si conclude nel vano (rosso), che nasce come tablino
ma che poi viene pensato per veicolare il percorso nel primo peristilio.

Vi è un altro settore della casa che fa leva sull’atrio tetrastilo su ci si aprono altri locali, ma non ha il tablino
quindi si è ritenuto che questo non fosse per sistema clientelare ma forse per la componente femminile.

Il settore successivo è pensato per una selezione di ospiti, che viene riservato a
ospiti selezionati, i quali vengono ammessi alla parte più interna della casa, che è
una parte connotata da un elemento tipico delle case ellenistiche: il peristilio. = È
lo spazio su cui vertono i locali di rappresentanza, che funge da tramite anche per
il secondo grande giardino che si apre all’interno del secondo peristilio
settentrionale. Questo spazio è selettivo e di ricevimento perché in questi vani si trova un apparato
decorativo straordinario (es. Mosaico dall’esedra fra i due peristili con la battaglia di Alessandro contro Dario
III a Isso del 333 a.C., 120 a.C.). In questo settore la casa è abbellita da apparato decorativo sia musivo che
pittorico di straordinario interesse che ci parla di un’aristocrazia che non solo è in grado di apprendere
elementi della cultura ellenistica internazionale ma si serve di maestranze di altissimo livello in grado di
realizzare opere come il mosaico con la Battaglia di Alessandro.

L’ultimo parte dell’abitazione è dedicato alla famiglia, alle proprie attività


commemorative. Sul fondo del peristilio maggiore viene collocata una grande esedra,
nicchia che sembra accessibile ma in realtà non lo è. È costituita da un grande podio
su cui il padrone di casa alloggia altari ed elementi di tipo cultuale che ribadiscono la
sua religio/sfera ideale che contribuisce a raccontare qualcosa di sé. A fianco ci sono
vani di servizio per l’immagazzinamento di oggetti per la quotidianità.

Le abitazioni di campagna: villae d’otium e villae rusticae

Anche al di fuori della città abbiamo delle testimonianze interessanti di come l’aristocrazia di età tardo-
repubblicana si adegui e risponda alle sollecitazioni esterne con delle forme autorappresentative che
rispondono alle esigenze di vita e autorappresentazione.

VILLA DEI MISTERI → villa che si trova nel settore nord-occidentale del suburbio
di Pompei. È raggiungibile dalla via delle tombe, da fuori Porta Ercolano.
Rappresenta un caso di costruzione suburbana realizzata in epoca tardo
repubblicana, in cui il patronus andava, ma che rispondeva anche all’esigenza
di possedere delle abitazioni lontane dal clamore cittadino. In età imperiale
diventeranno delle villae d’otium, nelle quali i nobili trascorreranno la maggior
parte del loro tempo affidando ai procuratores (propri sottomessi) tutte le
attività in città e che poi diventeranno delle imitazioni delle grandi regge
imperiali (già la Casa del Fauno ne era un esempio; infatti, la sua estensione era
maggiore del Palazzo degli Attalidi a Pergamo).

Questo tipo di costruzioni rispondono a quella vita agreste, di cui le fonti parlano e che aveva fin dalle origini
caratterizzato la società romana basa sulla pecunia (ricchezza dal vetus, dalla terra). È il luogo in cui svolgono
diverse attività – attività che nel caso di questa villa ma anche di tutte le aziende agricole a partire dal II sec.
a.C. sfruttano la manodopera servile, che rappresenta il punto di forza dell’economia tardo-repubblicana
romana perché va a scalzare la piccola proprietà a favore di grandi proprietà gestite da pochi. Questi affidano
ai servi, tramite i clientes, la produzione che si svolge nella pars rustica della villa = settore pensato come
esclusivamente dedicato alle attività di tipo agricolo ≠ dalla pars urbana, in cui il padrone svolge le sue attività
di ozio ma di impronta urbana.
Da un punto di vista distributivo prevede una sorta di inversione degli spazi: in questo caso abbiamo prima il
peristilio e poi l’atrio (≠ villa in città).

Nella Villa dei Misteri, che nell’ultima fase appartenne agli Stacidi, si sa che la prima fase risale alla prima
metà del II secolo. La committenza è aristocratica sannitica e conosce alcune ristrutturazioni tra il 60 a.C. e
l’età augustea.

Viene costruita su un’area in pendenza, infatti viene realizzato un grande terrapieno artificiale con
criptoportico. Complessivamente l’immobile occupa 1820 mq e l’affaccio è verso il mare. L’ingresso avviene
da est e prevede una prima dislocazione di locali intorno al peristilio con parte dedicata alla cucina e al bagno,
una sala per il culto domestico (antisala che enfatizza lo spazio interno) e un’area articolata rispetto all’atrio
con serie di stanze per l’attività d’otium del padrone di casa. Egli aveva anche una
settore di tipo produttivo (freccia rossa) con un torcularium, che è stato poi riprodotto
per dare l’idea di come si doveva presentare questo spazio nel settore settentrionale.
In questo luogo avveniva la spremitura dell’uva, che veniva fatta defluire all’interno di
doli che contenevano la spremitura e che corrispondeva ad una delle maggiori attività
economiche di tutta l’economia pompeiana. Si ha produzione con grande nomea anche
al di fuori della città.

Pittura romana. I quattro ‘stili’ pompeiani (cfr. classificazione di August Mau)

La città di Pompei ha anche permesso di definire le tecniche decorative e pittoriche dell’arte romana. Dal II
secolo a.C. si ha un’introduzione di una modalità decorativa classificata da August Mau (grande archeologo
dell’800) → egli ha proposto una classificazione della pittura decorativa a partire dai 4 stili pompeiani.
Questa classificazione si basa sull’analisi e sullo studio delle realtà che andava a scoprire e definire, che sono
la base della classificazione che ancora utilizziamo.

1. Primo stile pompeiano: detto a ‘incrostazione’ o ‘stile strutturale’, II sec. a.C.


- 80 a.C.
È uno stile che prevede il rivestimento delle pareti interne attraverso la
riproduzione di una muratura con un’articolazione dall’alto verso il basso di
plinti, ortostati e fasce di copertura o fregi in stucco che vanno a riprodurre
l’idea di un’architettura che può essere decorata anche con elementi pittorici
monocromi per dare l’idea di venature diverse delle pietre. Rappresenta uno
stile che troviamo non solo qui, ma anche a Roma e in altri contesti laziali.
(Foto > Ercolano, Casa Sannitica. Veduta di una parete in I stile.)

2. Secondo stile pompeiano: detto ‘stile architettonico’, 100 – 15 a.C.


È uno stile che tenta di ispirarsi all’architettura, intesa come
un’evoluzione interna per cui si vanno progressivamente a sostituire i
blocchi di pietra rappresentati nel primo stile con pitture che imitano
le lastre di marmo (Cipollino, Porfido, Onice) e che riproducono degli
elementi architettonici propri creando delle architetture finte, che
creano anche delle profondità distinte = almeno un secondo piano in
cui lo sguardo si pone.
Foto > Roma, Palatino, Casa dei Grifi, fine II-Inizi I a.C. (prima fase del II stile).

Alla Villa dei Misteri questa decorazione è molto presente, però mostra anche come
questo tipo di decorazione si evolverà fino ad aprire degli scorci che faranno
intravedere delle altre architetture (si parla di architetture illusionistiche) che vanno
a realizzare dei piani sovrapposti alternando diversi livelli di prospettiva.
All’interno di questo ambito esistono anche delle megalografie = pitture pensate per decorare in
maniera completa con delle scene le pareti delle sale principali. Danno la misura della grande volontà
di una grande rappresentazione che va anche oltre l’aspetto architettonico.

3. Terzo stile pompeiano: detto ‘stile ornamentale’ fine I a.C. - 50 d.C.


Questo stile supera il secondo per l’aspetto architettonico. Prende piede in età augustea e si attesta
poi fino alla prima metà del I secolo d.C. e vede una rimodulazione di questo effetto illusionistico del
II stile in favore di un’architettura molto più razionale (tipica nell’ideologia augustea. → dà spazio a
un’eleganza e sobrietà funzionale a riproporre un’idea di classicismo e ponderazione attraverso delle
scene con pitture che riproducono dei veri e propri quadri, creando degli effetti illusionistici sia
all’interno di edicole stilizzate in cui vengono posti dei quadri di rappresentazione mitologica; che
nella parte superiore con delle ulteriori architetture, ispirate sempre a quest’idea della sobrietà che
in qualche modo caratterizzano questa produzione.
Il terzo stile è anche quello in cui vengono riprodotte le
pitture di giardino, tipiche dell’età augustea. In alcuni casi
come la Villa di Livia ad gallinas albas (30-20 a.C.) = pittura in
ambiente totalmente interrato, sala di ricevimento interrata
abbellita da pitture che riproducono la vegetazione esterna
attraverso una decorazione che pone su diversi piani un
interno di un giardino con una sorta di perimento esterno di
recinto che delimita lo spazio coltivato dalla vegetazione
lussureggiante esterna. Questo crea degli effetti illusionistici straordinari, ma solo in apparenza
perché c’è un’attenzione millesimale al particolare reale della rappresentazione che si vuole fare.

4. Quarto stile pompeiano: detto ‘ultimo stile pompeiano’, 50 – 79 d.C.


È uno stile che ribalta ulteriormente il concetto della rappresentazione.
Vi è un ulteriore cambiamento di gusto che va verso uno stile
completamente fantastico, in cui non importa più una reale
rappresentazione dei diversi piani di architettura (cfr. II stile), ma
vengono create delle scene al di fuori dell’effettiva disposizione
prospettica per creare prospetti fantastici che seguono il gusto di una
nuova tendenza artistica.
Foto > Alcuni degli interni dipinti della Domus Aurea a Roma.

Dopo Pompei la pittura non smette di essere realizzata, ma rispetto ai quattro stili pompeiani ci sarà un
ulteriore adeguamento e modifica che andrà a seguire le diverse linee artistiche e gusti di rappresentazione
con motivi che saranno di volta in volta adeguati allo stile e al contesto in cui queste vengono create.
LEZIONE 19 ǀ 26 aprile 2022

L’ETA’ DI AUGUSTO

Prende avvio dalla morte di Cesare. Figlio adottivo Ottaviano viene richiamato a Roma dall’Epiro (da
Apollonia, nell’Epiro meridionale). Ha 19 anni all’epoca. Sta completando formazione come giovane nella
nobiltà romana. Ha già idee molto chiare. Una delle prime azioni che fa è quella di chiedere al Senato che
venga votata ed eretta una statua equestre dorata in onore di Cesare, collocata presso i rostri del foro
romano (tribuna da cui parlavano i relatori). Riesce ad ottenere permesso di coniare monete con
rappresentazione della statua equestre prima ancora che venga realizzata, per messaggio propagandistico.
Si accerchia, crea gruppo di sostenitori e arruola mercenari che costituiranno corpo della guardia personale
e vendetta di chi aveva ucci so il padre. Ultima azione che ottiene quasi subito è quello di poter essere
candidato subito alle magistrature (10 anni prima del minimo). Non è ancora augusto ma figlio adottivo di
cesare e colui che lavora per la repubblica.
Si pone colui che agisce per l’interesse dello stato, percepita come figura favorevole rispetto ai vecchi
interessi dell’oligarchia senatoria, tipo Pompeo. Era riuscito a creare consenso tale da aspirare alla carica di
dittatore a vita. Quando senato pensa di ripristinare situazione antica pre-Cesare. In realtà il popolo vuole
un individuo al comando che favorisca una situazione di pace e continuità e non continui scontri tra fazioni.
Ma c’era anche in campo Marco Antonio. Si fa dare testamento da Calpurnia, moglie di cesare, che aveva
“pensato al popolo” dalla lettura: Ottaviano era legittimo erede.
Ma a Ottaviano la presenza di Antonio non fa molto gioco rispetto alle sue mire. Antonio aspira a governo
delle provincie orientali. Anche Antonio costruisce una propria propaganda.
Antonio riconosce in Ercole la propria divinità di riferimento. Si fa rappresentare come ritratto fisionomico
di Ercole. In seguito, negli anni 30 del I sec. a.C. Antonio scontro con Ottaviano. Idea di nuova Roma su
ipotesi di province orientali (si unisce con Cleopatra che si era già unita con Cesare da cui era nato
Cesarione).

Il Foro repubblicano dopo l’uccisione di Cesare nel 44 a.C, diventa il nuovo teatro per la propaganda di
Ottaviano a cominciare dalla statua dorata di Cesare ai Rostri nel 43 a.C.

Antonio vs Ottaviano, Oriente vs Occidente: due modelli a confronto> l’uso delle divinità ‘personali’ per la
propaganda di parte.

Ottaviano, il quale invece vuole proporsi al contrario come colui che difende la tradizione italica, che
riconosce nell’Italia la terra fertile, legata al mos maiorum, e si arriva allo scontro definitivo del 31 a.C, con
lo scontro finale fra Antonio e Ottaviano ad Azio, in Epiro. Le due flotte contrapposte tra Ottaviano e
Cleopatra si scontrano, che vedrà la prevalenza di Ottaviano su Antonio, il quale scappa con Cleopatra in
Egitto.

Ottaviano resto l’unico arbitro della situazione, lo fa ponendo dei punti fermi, si rende conto che non è
conveniente presentarsi come un monarca, ma come un restauratore delle antiche tradizioni. Per fare così
si presenta, come primus interpares, accetta che gli vengano conferiti alcuni titoli, tra cui quello di
“Augusto” nel 27 a.C, un appellativo, che è frutto di una meditazione geniale, non solo sua ma della sua
cerchia, con anche Agrippa.

Augusto= sacro, venerabile, sublime appellativo che prima era riservata a Giove.

Il suo principato non vuole chiamarsi monarchia, ma lui fa una serie di gesti attraverso i quali chiarisce il suo
programma di governo facendolo attraverso immagini e monumenti, non solo con la parola e produzioni
letterarie, richiamando il consenso generale.

Arles, scudo trionfale in marmo  riproduce quello che Ottaviano aveva dedicato nella curia dopo il 27, si
tratta di uno scudo dove compaiono le 4 parole chiave della propaganda: virtus, clementiae, iustitiae e la
pietas. Augusto, tenta si risistemare una situazione politica, basandola sul concetto di pietas, clemenza e
virtù, e di giustizia, in particolare di pietas, perché affronta una serie di guerre e uccisioni, portando la
società romana sul crollo totale.

Per fare questo costruisce una sua immagine, che inizialmente era una figura divina di Apollo, dopo una
fase che suona la cetra e che quindi è improntato alla pace, e prima era un Apollo che era contrario ad ogni
forma di eccesso, razionale, punitivo, ed è infatti è la figura che Ottaviano vuole contrapporre a ad ogni
modo a quella di Dioniso, nella sua prima fase.

Ritratto da Arles e da Fondi, 40-35 a.C Nella prima fase, la


sua immagine è ancorata a modelli di ritrattistica tardo
repubblicana, che si ispira ai modelli orientali dei dinasti, con
eccessi della rappresentazione dei volti. Richiamo di una
certa pettinatura simile a quella di Alessandro Magno, con
una certa torsione del volto, occhi infossati, con idea di
sguardo molto concentrato, e si data ai primi anni della
giovinezza. Dopo Azio, viene codificata un’altra immagine del
giovane Ottaviano.

Dopo Azio viene codificata una nuova immagine del giovane Ottaviano, che richiama una certa ritrattistica
che guarda l’esaltazione dei caratteri psicologici dei personaggi, a un’impostazione con un’impostazione di
un modellato diverso.

Ritratto di Ottaviano Augusto, 35-29 a.C immagine più pacata

Arriverà dopo il 27 a.C, con una costruzione


di un’immagine definitiva che poi si
sposterà in tutto l’impero, non prendendo i
grandi condottieri e dinasti ellenistici, ma si
rifà ai modelli classici dell’Atene periclea,
con una chiara adesione a quei modelli
culturali e politici, con una adesione di
pacatezza e sicurezza.

Augusto di Prima Porta, confronto con il


Doriforo di Policleto (erma in bronzo)

Augusto vede nell’Atene periclea avrebbe visto la cifra stilistica su cui improntare tutta l’arte europea.

Augusto di Prima Porta trovata a Prima Porta, è stata una scoperta straordinaria, questa statua ha
l’elemento caratterizzante, non è solo il ritratto individuale di Augusto, costruzione del volto ai modelli
Pelicletei. All’interno della statua si ha il braccio in richiesta di silenzio, l’immagine dell’imperatore non con
la toga ma con vesti militari. Corazza trasmette un messaggio propagandistico articolato su 3 livelli:

- Personificazione del cielo, la quadriga del sole e di sfosforus


- Personificazione delle provincie che assistono alla scena e consegna delle insegne sottratte dai Parti
- Gli dèi di Ottaviano: Tellus (dea dell’abbondanza), Apollo su un grifone, Diana su una cerva

Opera realizzata da artistici neo-attici, a cui viene richiesta una statua con gli stilemi della classicità
ateniese, pensata per una nuova propaganda per l’esaltazione del potere di Ottaviano Augusto.

Si hanno altre immagini di sé, della sua persona:


- Augusto come Pontefice Massimo, dal 12 a.C > auctoritas e pietas
- Augusto con la corona civica

Assume in sé tutte le cariche religiose, che gli permetteranno di rappresentarsi come pontefice, con il capo
velato, con braccio destro che tiene l’oggetto del sacrificio che sta per compiersi, e elementi tipici del suo
volto. Rappresentazione di sé non è solo per Roma, ma una riproduzione che deve espandersi in tutto
l’impero, con immagini certe e codificate dell’imperatore. Immagine del principe, che riempie gli spazi
pubblici della città, ma anche quelli privati, proprio perché Augusto chiede una forma di lealtà, che si
traduce in una forma di adorazione verso il principe, a cui verranno dedicate delle forme di venerazione.
Dopo la sua morte verranno realizzate delle nuove cariche sacerdotali, come ad esempio i sacerdotales,
coloro che sono incaricati di svolgere il culto delle cerimonie in onore dell’imperatore, per assicurare una
tradizione che porterà ad una divinizzazione di tutta la famiglia dell’imperatore.

Il suo braccio destro Agrippa e sua moglie Livia, che Ottaviano sposa, figlia un personaggio della nobiltà
della Roma, che era già sposa di Tiberio Claudio Nerone, da cui aveva avuto Tiberio e da cui aspettava
Truso. Ottaviano se ne invaghisce, decide di sposarla, anche se la legge proibiva che una donna incinta si
sposasse, concessione che viene fatta ad Ottaviano. Nel momento in cui si considera l’età augustea, non si
possono scindere i compagni di vita dell’imperatore, che erano modelli di vita per i cittadini, tutta la
propaganda che fa Augusto, non è solo sull’operato ma anche su una attenta costruzione di immagini
simboliche, come modelli per la propaganda dell’impero.

Livia creerà delle immagini di


sé:

- conciatura italica, con


capelli gonfiati sulla fronte, con
nodo
- acconciatura classicistica,
con scriminatura centrale
- acconciatura con riccioli
sulle tempie, età matura, in
voga molto nelle corti

Livia si pone come modello con caratteri religiosi, concetti legati alla ricchezza, abbondanza e fertilità,
facendosi ritrarre sotto sembianze di divinità varie. Per dare un’idea di una rappresentazione femminile che
fa da modello per le altre città.

Per Giulia, figlia di Augusto, figura controversa, con poche immagini rimaste, poiché non veniva considerata
degna, non messa al potere. Molte immagini di Agrippa, braccio destro di Augusto, che Giulia sposa avendo
5 figli, tra cui Gaio, Lucio Cesari, che Augusto adotterà come figli adottivi Gaio e Lucio Cesari moriranno
presto, probabilmente Livia potrebbe centrare nella scomparsa, poiché voleva far salire al trono suo figlio
Tiberio. Tiberio poi prenderà la mano di Giulia, marito odiato, che poi allontanerà Giulia, e Livia e Tiberio
avranno campo libero.

L’altra grande azione di creazione del consenso, si impernia sui monumenti. La genialità di Augusto, è stata
quella di veicolare nei suoi monumenti non solo la propria auctoritas, ma soprattutto l’idea che la gens Julia
dovesse occupare il posto del governo, pur non avendo nessuna carica ufficiale, tutti i luoghi importanti
della città recano il marchio della gens Julia.
Dopo un incendio la Basilica sempronia, viene
ricostruita e dedicata a Gaio Lucio Cesare. Nel
foro, luogo in cui Ottaviano Augusto rimarca il suo
interesse, facendo costruire nel lato inferiore, nel
lato orientale rimasto libero, era in direzione nel
tempio di Vesta e la Regia, due edifici che
verranno sbarrata per la costruzione del Tempio
del Divo Giulio. Dall’altra parte della Basilica
Emilia, viene realizzato un vestibolo per i nipoti.
Vengono rifatti i tempi di Saturno e tempio dei
Castori.

Augusto occupa un lato del foro con la creazione


di 2 archi: uno per celebrare la vittoria ad Azio,
che ha un solo follice, e uno per celebrare la
restituzione delle insegne da parte dei Parti,
oggetto di iconografia, veicolo per la propaganda
di governo. Questo va a sistemare i lavori
sistemati da Cesare.

Foro di AugustoAugusto decide di costruire un


proprio foro personale, costruendo una piazza
118x115m. Pianta mistilinea con una grande area
centrale, occupata sul fondo con il tempio di Marte.
Ai lati 2 porticati, dove si aprono delle esedre, al
centro la quadriga di Augusto, bronzo per celebrare
il suo ruolo nell’impero. Sui lati vi sono immagini
legate alla tradizione della storia più antica di
Roma vicenda con Enea, re di Albalonga e i
personaggi che erano alla base delle origini di Roma.
Sul lato opposto immagini con racconto di Romolo,
facendo si che attorno alla figura di Augusto, queste
2 tradizioni si possa trovare un punto di unione. 
Augusto punto di unione, che racchiude in sé la
storia della città di Roma.

Storia condensata della città di Roma nella piazza, lo


stile Augusto sceglie è classicheggiante, che si
raccoglie nell’apparato decorativo dei portici che ci
sono rimasti nella partizione dell’attico superiore. Stile ispirate alla classicità, cariatidi al posto di colonne.

Tempio in onore di Marte, che non c’entra con Apollo, a cui dedica un altro tempio. Sceglie Marte come
vendicatore, vendicare la morte di Cesare.

Tempio su alto podio, è un ottastilo corinzio con profondo pronao, al fondo della cella aveva fila di colonne
laterali, al fondo sull’abside lo spazio per le immagini di culto, ci stavano Marte Ultore, e anche Venere
(capostipite dei Giuli), e il Divo Giulio (padre di Augusto=princeps).
Acutissimo modo per legittimarsi il
potere a lui conferito, fino a che
non morirà. Non solo nell’ambito
pubblico trasferisce segni della sua
propaganda, lo fa anche nel
privato del princeps, privato molto
relativo, colui attorno al quale si
svolge l’esempio per tutta la
cittadinanza. All’insegna di una
propaganda e veicolare dei
messaggi molto selezionati, che la
vita del princeps si articola.

Si fa costruire la casa sulle


appendici del Palatino, da sempre
il luogo in cui per tradizione, erano i luoghi nei quali abitava Romolo, punto simbolico in cui realizzare la
propria residenza.

Domus di Augusto, costruita raggruppando una


serie di abitazioni già presenti, lo fa perché l’idea è
quella di articolare una posizione dominante.

Altro grande edificio che fa costruire sul Palatino,


ovvero il Tempio di Apollo, dio protettore
personale di Augusto. Secondo le fonti, sappiamo
che nella fase di assoluzione del potere, Ottaviano
aveva già voluto un edifico di Apollo prima di Azio,
poi realizzato nel 28, in un punto in cui gli aruspici
avevano notato un punto in cui era caduto un
fulmine, che avrebbe indicato il luogo prescelto
dal dio.

Tempio di ApolloDopo il 31 il tempio viene


costruito, occupando uno spazio porticato, con
alto podio e gradinata d’accesso, pronao profondo di 30 intercolumni, marmo di carrara di rivestimento,
attenzione per gli elementi delle porte, si dice che fossero dorate. Portico antico, con una serie sculture che
richiamavano le danaidi, figlie di Danao, che dovevano essere 50, circondando lo spazio attorno al tempio.
Tempio con statue originali greche, un Apollo di Scopas, e Artemide di Timotteo. Inserire in una struttura
romana, decorato con opere d’arte greche, e all’interno decorazione, ci sono lastre classicheggianti, dove
sono riprese scene del mito apollineo. Cifra stilistica ispirata al classicismo greco, all’interno di una
concezione, che mira a coniugare la tradizione italica con l’impronta classicheggiante voluta da Ottaviano.

Ottavia fa unificare una serie di abitazioni tardo repubblicane presenti in questa zona, lo fa attraverso una
articolazione ispirata alla organizzazione delle abitazioni ellenistiche intorno al peristilio.  unendo la casa
privata di Livia, che era nel retro della casa di Augusto, con un nucleo con l’atrio centrale e l’articolazione
delle varie stanze. Abitazione improntata sulla tipologia ellenistica.

Nella casa Augusto cerca di imporre una tendenza alla razionalità e evitare sfarzo eccessivo, eccessiva
ostentazione del lusso. vuole rappresentare una discontinuità con i suoi predecessori, improntando il
modello di vita sul concetto di austerità, che aveva caratterizzato la tradizione italica, limitare
l’ostentazione.
Decorazioni che si articolano tra il secondo stile e il terzo stile, la fase tardo repubblicana, caratterizzata
con pitture prospettiche. Gusto più pacato per il terzo stile augusteo, gli eccessi sono sedati, scelte linee di
rappresentazione più essenziali, con decorazioni del terzo stile quindi con tendenze alla monocromia, ed
elementi puntuali che catturano l’attenzione.

La casa di Augusto e di Livia, sono due cardini di come


spiegare come fare dei modelli sul fronte della decorazione.
Alla fine del 800 è stata trovata una residenza, che aveva un
carattere diverso, non secondo alla tipologia di domus ad
atrio, ma che rispecchia l’idea di villa urbana e sub urbana. Si
trova nella villa della Farnesina, che sarebbe stata la villa di
Giulia e Agrippa.

 Questa abitazione le cui pitture sono state strappate al momento dello scavo, e poi la parte
indagata è stata distrutta. Dalla pianta si capisce che era un’enorme abitazione articolata su
un’enorme esedra sorretta 3 muri concentrici, con prospetto rivolto verso il Tevere. Un’asse
trasversale, su cui si articolavano alcuni vani, sovrapposti verso un piano inferiore sorretto da un
finto portico e affacciato verso la strada.
 Apparato decorativo, tendenza di ridurre la propensione ad architetture prospettiche, si vuole una
decorazione con scene con riquadri di piccole e grandi dimensioni, che occupano la parte centrale
della parete, che richiamano lo stile classicheggiante, con soggetti che variano. Esempio (Venere in
trono, con uno stile pompeiano)

Pittura che ci permette di farci un’idea dell’evoluzione del gusto, negli anni che si voleva evitare l’eccesso di
sfarzo, con pitture più semplificate, con soggetti che si improntano su certi momenti, tipo il Giudizio di
Salomone. Gusto per la rappresentazione della natura, dominata dalla mano dell’uomo, cifra dell’arte
Augustea, con rappresentazioni di tanti giardini, con fontane.

Dalla villa viene una serie di decorazioni in stucco di tipo mitico o iniziatico, di cui la critica si è molto spesa.
Stucco sul cubicolo ERappresentazione dionisiaca, con bambino accompagnato dalla madre nel rito
dell’iniziazione con la testa incappucciata, elementi che delineano il comparto grafico, e il paesaggio

Anche il Campo Marzio è stato un luogo in cui Augusto e Agrippa, volvano veicolare il loro messaggio. Area
settentrionale con la costruzione del mausoleo di Adriano.

Mausoleo Adriano Questo edificio viene progettato già nel momento in cui sale al potere, tra 32 e 28
a.C, concepito come luogo di sepoltura di Augusto e per tutta la sua famiglia. Modello di riferimento è il
mausoleo di Alicarnasso, in asia minore. Si trattava di una grande costruzione, su una successione di corpi di
fabbrica, con muro esterno cilindrico alto 9 metri che racchiude un edificio largo 87 m. Edificio che doveva
essere un grande contenitore, ricoperto da un tumulo di terreno con alberi. La cella interna con le celle di
Augusto, il modello doveva essere come quello di un tumolo di cifre orientale.

La costruzione del mausoleo, non è solo il fatto di avere una tomba degna per il principe, ma è un
monumento che si ispira ai precedenti, che veicola il messaggio di un potere basato sulla trasmissione sulla
memoria di sé, ospitando il corpo di Augusto e dei suoi famigliari.

Nel 10 a.C, Augusto regala al popolo un enorme orologio solare, il cui ago segnava al terreno il movimento
del sole indicava le varie ore del giorno, come ago dell’orologio si ha un obelisco egiziano, che ancora oggi
di trova in Piazza Montecitorio. L’ombra dell’orologio, nel giorno compleanno di Augusto, doveva
proiettarsi sull’altro edificio di Augusto, ovvero l’Ara Pacis Augustae.

Ara Pacis Augustae Da un punto di vista planimetrico, si tratta di un grande altare marmoreo, con 2
grandi accessi, una dalla via flaminia e una da parte del Campo Marzio. Altare monumentale, ispirato a
Pergamo. Questo monumento prevedeva un recinto monumentale, che racchiudeva l’altare, accessibile da
una rampa. Distinzione tra la rappresentazione esterna dell’altare, e quella interna, propria allo spazio
sacro, interno al recinto. Ara è l’altare interno, e insieme del recinto monumentalizzato, attorno al quale,
vengono scelte delle immagini significative. Nella parte inferiore della decorazione esterna, una linea
continua di fregi con ali di acanto, con animali e piante che alludono alla prosperità dell’età Augustea che
ha portato. Nella parte superiore è articolata su 2 facce:

- quella rivolta ad ovest sul Campo Marzio, legata alla nascita di Romolo e Remo allattati dalla lupa
con Marte e Faustolo, Enea che sacrifica la scrofa ai Penati
- quella verso est, in cui vengono scelte delle immagini ispirate per il lato, legate all’origine di Roma.
Divinità legate all’idea di prosperità di Roma, con la dea Tellus (dea dell’abbondanza e ricchezza)e
la dea Roma armata, seduta e che regge la lancia.
- Sui lati lunghi nord e sud, c’è rappresentato il motivo per cui viene costruito l’Ara Pacis, la
manifestazione di una processione sacra, rappresenta la sublimazione dell’idea processione sacra a
cui partecipava Augusto e la sua famiglia. Il corteo sacro inizia con Augusto come pontefice
massimo, che guida la processione, con i flamines (sacerdoti per determinate cerimonie sacre).
Seguono dei personaggi legati alla famiglia di Augusto, con ritratti di singoli, in ordine secondo la
successione dinastica. Rappresentava la continuità della stirpe giulio-Claudia.

Elemento costitutivo, è che si è voluta rappresentare della famiglia di Augusto, chiamata a celebrare un
evento religioso, preso in modello per tutte le popolazioni dell’impero.

Altare con interno, si riproduce la staccionata per eseguire il sacrificio, mostra una scena legata per la
successione paratattica, con scelta per sottolineare la rappresentazione iconografica romana.
LEZIONE 20 | 27 aprile 2022

L’ARTE L’IMPERO NEL I SEC. d.C.


Da un lato si può cogliere la grande esperienza innovativa di Augusto e come i suoi successori ne hanno
imparato la letio: facilior da certi punti di vista, cioè la realizzazione più semplice e più facile e quella dificilior,
la più difficile dove si voleva aggiungere e integrare alcuni dei dati che Augusto aveva introdotto.

La strategia di Augusto era stata quella di circondarsi di intellettuali che attorno alla sua figura di mecenate
contribuirono a diffondere con opere letterarie e storiografiche l’età dell’oro (l’età della pace augustea), ma
ha avuto anche un’importanza dal punto di vista architettonico e artistico per la codificazione di una serie di
elementi che veicolavano attraverso le immagini e i monumenti il messaggio propagandistico di Augusto. →
messaggio che attraverso la scelta precisa di un codice classicistico (ispirato alla Grecia del V sec.) ha
permesso di sviluppare un linguaggio propriamente augusteo.

Questa ricostruzione dell’arte da Augusto alla fine del I sec. d.C. deve necessariamente avere chiari i periodi,
nei quali hanno regnato i vari successori di Augusto. Si deve tener conto degli anni dei regni ma anche delle
diverse strategie che hanno portato all’affermazione di un personaggio piuttosto che un altro, perché se si
conosce il contesto storico di riferimento si comprende anche le scelte adottate a livello iconografico o
monumentale per trasmettere diversi messaggi propagandistici.
I REGNI DEI GIULIO-CLAUDII E DEI FLAVI

- Principato di Augusto: 27 a.C.-14 d.C. → attorno famiglia di Augusto si erano concentrate forze
centripete e centrifughe:
1. Forze centripete incardinate attorno ad Augusto e Livia, che rappresentava il modello esemplare
della matrona romana per eccellenza. Livia si pone come matrona per eccellenza che non solo
realizza il filo in casa, mostrando la continuità della tradizione del Lanificium (= condizione di
statuto giuridico già di epoca repubblicana); ma insegna anche alle donne di casa questo tipo di
attività non solo a fini propagandistici, ma perché deve rappresentare l’esempio positivo della
donna romana. Livia non ha figli da Augusto, ma due figli dal primo letto: Tiberio e Druso. Tiberio
sarà il prescelto e verrà adottato dopo la morte dei due figli di Giulia, che erano stati adottati dal
nonno per garantire una continuità dinastica al suo regno. Si sospetta che Lucio Cesare sia stato
ucciso dalla nonna adottiva.
2. Forze centrifughe: Tiberio è colui che ha il via libera ma inizia il suo potere con atti molto forti,
nel senso che la forza centrifuga rappresentata da Giulia, che era stata esiliata dal padre nel II
a.C. = anno cruciale per Augusto perché anno in cui viene nominato pater patriae e anno in cui
viene scoperta la congiura, di cui Giulia era la mandante. Viene allontanata con l’accusa di
adultera e di aver attentato al regno. Viene mandata a Ventotene, dove la raggiunge la madre
Scribonia. Qui resterà per diverso tempo finché non verrà trasferita a Reggio Calabria dove
morirà di stenti per colpa di Tiberio che nel 14 uccide anche l’ultimo figlio di Giulia, Agrippa
Postumo, con la scusa di tradimento e di voler attentare al regno basandosi su fatto che le fonti
lo avevano già presentato come un ragazzo poco stabile mentalmente e quasi pericoloso.
- Tiberio: 14-37 d.C. (fa uccidere l’ultimo nipote di Augusto, Agrippa Postumo) → sale al trono facendo
fuori chi era scomodo e si appoggia pienamente alla madre che lo seguirà nel suo percorso.
- Caligola: 37-41 d.C. → lui regna per poco tempo ed era uno dei figli di Germanico e Agrippina
Maggiore (figlia di Giulia e Agrippa). È un personaggio, delineato dalle fonti come volto a un’idea di
monarchia assoluta di stampo orientale. Con studi più recenti è stata rivalutata la sua figura, che
comunque arriva a uccidere il co-reggente, Tiberio Gemello, e poi viene assassinato quando la
situazione non è più gestibile anche a livello delle istituzioni senatorie.
- Claudio: 41-54 d.C. → personaggio interessante, il Grande conquistatore della Britannia. Avocherà
in sé una similitudine con Giove nel momento in cui si fa rappresentare (cfr. Tiberio). Viene
assassinato dalla moglie Agrippina minore con un piatto di funghi velenosi in favore dell’ascesa del
figlio Nerone.
- Nerone: 54-68 d.C. (precettore: Seneca; poi svolta assolutistica fino al ’suicidio assistito’) → regna
per 14 anni. Inizialmente gli viene affiancata una figura intellettuale di primissimo livello, Seneca,
tanto che le fonti lo delineano come un imperatore illuminato nella sua prima fase del regno. Nella
seconda metà del suo regno, le tendenze assolutistiche diventano predominanti e non solo attuerà
delle scelte architettoniche e artistiche all’estremo della rappresentazione del potere, ma poi sarà
costretto al suicidio nel senso che nel 68, dopo una delle ennesime congiure di Calpurnio Pisone
decide di farsi uccidere da un servo. Lascia il potere scoperto perché non ha figli, infatti, l’anno dopo
è quello dei 4 imperatori.
- 68-69 d.C. > anno dei ‘4 imperatori’: Galba/Vitellio/Otone/Vespasiano
- Vespasiano: 69-79 d.C. → si imporrà con la sua dinastia dei Flavii dal 69 al 96 d.C. Egli muore
improvvisamente e Tito gli subentra immediatamente.
- Tito: 79-81 d.C. → egli regna due anni e gli succede il fratello Domiziano.
- Domiziano: 81-96 d.C. → proseguirà la linea neroniana di Caligola e Nerone e che accetterà di essere
chiamato ‘dominus et deus’ per rimarcare ulteriormente questo potere assoluto di cui intendeva
servirsi e mostrare. Verrà poi assassinato nel 96 d.C.

Questa panoramica permette di capire in quale clima l’arte e l’architettura si sono espressi e concretizzati. È
stato un clima di grande tensione e scontri interni che venivano sedati e mascherati da una propaganda
fortissima. → propaganda che quando poi diventava insostenibile si eliminavano le persone che non
andavano bene.

Già con Augusto, la rappresentazione del potere passava attraverso l’espressione dell’idea della vittoria e
del trionfo come elementi che in qualche modo connotavano e consolidavano il potere raggiunto ma
soprattutto veicolavano il consenso verso l’imperatore con queste immagini. Esse dovevano rappresentare
dei fatti storici realmente avvenuti, delle gesta che il princeps aveva effettivamente svolto. In qualche modo
questa accentuazione dell’idea della vittoria e dell’importanza della trasmissione attraverso le immagini non
faceva altro che riprendere una tradizione della Roma repubblicana. (non solo quando in Campo Marzio in
età tardo medievale passavano i trionfi seguendo determinati percorsi, ma anche nella famosa pittura
dell’Esquilino con le scene rappresentate su quattro livelli con scontro tra Sanniti e romani era manifestata
la necessità di documentare dei fatti, di esprimere graficamente il valore delle persone coinvolte. Questo
elemento della trasmissione era assicurato dall’esposizione durante i trionfi delle tabulae pictae, tavolette
che venivano mostrate alla popolazione e in cui venivano rappresentate determinate scene salienti).

Il racconto storico doveva documentare la forza e i valori dei generali, ai quali il trionfo veniva concesso
soltanto se dimostravano di essersi conquistato l’onore di tale cerimonia.

L’ideologia della esaltazione della vittoria militare, quale elemento cardine della propaganda augustea e
imperiale, si basava sull’antichissima cerimonia del trionfo e della parata trionfale in città, la quale richiedeva
però (Le fonti spiegano che il trionfo veniva assicurato solo se erano state compiute delle azioni specifiche:

1. che la guerra fosse stata vinta contro nemici stranieri, che quindi non fosse una vittoria per una
guerra intestina;
2. che il vincitore (generale a capo dell’esercito) presentasse una richiesta ufficiale (anche tramite invio
di tabulae pictae con le scene principali degli scontri) al Senato, il quale deliberava, soltanto con
opportuna documentazione) se concedere il trionfo o no;
3. che il generale avesse esercitato l’imperium maximum/autorità suprema nella battaglia principale e
sterminato almeno 5000 uomini. Che avesse avuto un riconoscimento reale nella sua capacità di
condurre la battaglia;
4. che il generale e l’esercito, in quanto macchiatisi di sangue e quindi impuri, dovessero attendere fuori
dal pomerio sostando nel Campo Marzio, prima di ricevere il placet del Senato per svolgere la
cerimonia;
5. ottenuto il permesso e decretata a spese dello Stato la cerimonia, il generale e il suo esercito partiva
dal Campo Marzio, entrava dalla Porta Triumphalis (tra il Campidoglio e il Tevere), attraversava la Via
Sacra e il Foro giungendo al Capitolium, dove avveniva il sacrificio in onore di Giove. Veniva poi
restituito l’imperium al Senato;
6. il trionfo si doveva chiudere con un banchetto ufficiale.

L’importanza della narrazione storica per legittimare status sociale e rango raggiunto dei cittadini.

Questa prassi, di cui tutti gli imperatori sono i prosecutori, ha una serie di testimonianze provenienti da vari
monumenti. Alcune opere ci parlano, non solo della continuità nella rappresentazione del trionfo ma ci
trasmettono anche l’idea di necessità di rappresentare fatti realmente accaduti come la cifra costitutiva di
una certa forma di linguaggio romano = il rilievo storico.

Tra le opere proposte per spiegare la scelta di veicolare attraverso immagini reali dei fatti realmente accaduti
si usa l’ARA DI DOMIZIO ENOBARBO, Louvre, 120 a.C. → mostra come nell’arte romana tardo-repubblicana
si univa alla rappresentazione di immagini mitiche che affondavano le radici nella cultura ellenistica o classica
dall’età augustea per ambientare dei fatti storici all’interno di un’aura mitica, salvo poi dedicare delle
partizioni specifiche alla rappresentazione storica dei fatti.

È un documento che si conserva al Louvre e ha come dimensioni: 78cm di altezza x 5m di lunghezza x 1,75 di
larghezza. Su tre facce sono rappresentate delle scene di ispirazione ellenistica con le nozze di Anfitrite e
Nettuno. Rispetto a questa rappresentazione molto enfatica nei particolari e nella narrazione delle immagini.
Rispetto a questo registro iconografico si contrappongono le altre lastre che occupano una parte dell’ara, in
cui sono rappresentate scene di censimento della popolazione → il censore è seduto all’inizio della
rappresentazione e tiene in mano le tabulae censorie davanti alle quali si presenta un cittadino qualsiasi =
tiene in mano dei documenti che attestano i suoi possedimenti e quindi le sue proprietà terriere. Rispetto a
questi documenti che presenta, il censore lo registra nelle liste della cittadinanza e rivolgendosi al togato
sulla dx (si mette una mano del cuore) conferma la validità di questa dichiarazione. A questa segue sempre
un momento celebrativo, di sacrificio che in questo caso viene svolto alla presenza di Marte (questi
censimenti venivano fatto in Campo Marzio e presso i contesti legati a Marte). Poi c’è la rappresentazione
degli elementi che vengono sacrificati (toro, ariete e maiale) che segnano questo tipo di celebrazione.

La narrazione storica è un elemento caratteristico dell’arte romana sia di età repubblicana che imperiale.
Rispetto al linguaggio artistico usato per le rappresentazioni mitiche che si rifanno a modelli ellenistici e
dinamici, la rappresentazione dei temi di tipo storico è una descrizione con uno stile più paratattico e
didascalico perché riprendeva la tradizione dei trionfi e delle descrizioni delle gesta che dovevano essere
immediatamente compresi.

La propaganda dopo Augusto: legittimazione e consolidamento del consenso all’imperatore a Roma e nelle
province.

Questa necessità di raccontare con narrazioni comprensibili prosegue anche dopo Augusto. Questo si
concretizza in vari monumenti, tra cui l’ARCO DI ORANGE, 27 d.C. → realizzato da Tiberio, che mostra non
solo il fatto che precise forme architettoniche venivano scelte per esprimere il concetto di trionfo e vittoria,
ma anche che queste forme dovevano essere riprodotte in tutto l’Impero e non solo a Roma. (vedi n°
engramma ppt p.6 | sull’arco onorario, in cui viene ricostruita la storia di questi archi trionfali per mostrare
la loro importanza nella traduzione e nell’importazione del consenso verso l’imperatore in tutto l’impero).

L’arco di Orange è interessante perché viene dedicato da Tiberio nel 27 d.C. per commemorare Germanico
(morto nel 19 d.C.) e le sue vittorie in Germania. Questo arco ha una decorazione molto enfatica, in cui sopra
i fornici laterali ci sono trofei di armi e nella parte superiore elementi che richiamano i rostri e le battaglie
navali.

Nella parte superiore dell’attico sono presenti scene di


battaglia con un linguaggio ispirato alla tradizione ellenistica
che ancora una volta deve sottolineare il potere e la forza di
Roma che riesce a sottomettere i barbari. Questi vengono
rappresentati con il capo reclinato in una posizione di
sottomissione e sopra di loro ci sono i trofei di armi a
rivendicare ulteriormente il potere e la forza di Roma, ai quali
si sottomettono le potenze straniere.

La propaganda imperiale non interessa solo i grandi monumenti, ma anche


forme artistiche e prodotti di lusso che dovevano veicolare questo tipo di
messaggio anche con la realizzazione di opere straordinarie → IL GRAN
CAMMEO DI FRANCIA → conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi. È una
grande gemma in sardonica lavorata su tre registri, in cui viene ribadito il
concetto del trionfo e della potenza imperiale.

1. REGISTRO INFERIORE: sono rappresentati i barbari sconfitti = si riconoscono


non solo per le capigliature non canoniche con capelli lunghi e baffi, ma
soprattutto per il fatto che occupano il registro inferiore e sono ammassati
sotto i piedi dei vincitori. Tengono in braccio i loro figli con l’idea di proteggerli e consapevoli della sorte che
li attende.

2. REGISTRO CENTRALE: Questa sorte viene ben descritta nel registro superiore, dove compaiono Tiberio e
probabilmente Livia → entrambi sono in trono con i piedi sul suppedaneo (cfr. fase arcaica = divinità sempre
rappresentata in trono e non poggia mai i piedi a terra ossia deve essere sollevata dal contatto con la
superficie calpestata da tutti gli altri). L’immagine di Tiberio è consolidata dal suo ritratto, ma anche dai suoi
attributi: lo scettro e la vicinanza della madre e non della moglie (che nel frattempo era morta).

La critica ha fatto varie ipotesi identificative sui personaggi che si trovano ai lati:

- alla sua sx c’è un personaggio vestito in armi = si pensa che sia germanico, forse in partenza per una
delle sue missioni. È affiancato da Agrippina, la moglie con il piccolo Caligola.
- Sulla dx ci sono altri personaggi: Druso con la moglie Libilla + personaggi in posizione sottomessa =
rappresentazione dei popoli sconfitti con capo reclinato.

3. REGISTRO SUPERIORE: rappresentazione di coloro che occupano i posti celesti: Augusto, capite velato; Enea
in vesti frige che potrebbe ricordare le origini troiane e il mito della romanità; altro personaggio su cavallo
Pegaso = qualcuno ha ipotizzato che fosse Germanico divinizzato quando ormai era defunto, ma in realtà non
si ha un’interpretazione univoca.

Questo tipo di oggetti di estremo valore hanno la funzione di trasmettere immagini funzionali al consenso e
che si devono immaginare posseduti da grandi famiglie e personalità di alto livello. A questi veniva lasciata la
libertà di possedere questi oggetti e di mostrarli agli ospiti.
Questo tipo di dimostrazione di lealtà verso l’imperatore è una forma che si traduce anche in oggetti di uso
quotidiano (anche se di alto valore) come i 108 oggetti in argento ritrovati in una villa di Boscoreale nel 1895,
che mostrano come al di fuori della capitale le famiglie possidenti volessero tradurre la loro adesione alla
propaganda possedendo oggetti di questo tipo.

Ancora una volta la scelta è quella di mostrare le virtutes, il valore di Augusto


e Tiberio, anche da un punto di vista militare → TAZZE IN ARGENTO, prodotti
di età tiberiana:

- da un lato una rappresentazione di Augusto seduto su un subsidium


(sedia) con il suppedaneo davanti. Attorno a lui c’è l’esercito che fa
avanzare un barbaro che presenta suo figlio per chiedergli la clemenza.
- Dall’altra parte c’è il trionfo di Tiberio sul carro trainato dai cavalli e che
ancora una volta trasmette l’idea di celebrazione del trionfo
dell’imperatore (si pensa il trionfo dei Germani nel 7 d.C. o in Pannonia
nel 12 d.C. o forse più in generale l’idealizzazione del trionfo imperiale).

Su diverse tipologie monumentali o artistiche la trasmissione dell’ideologia augustea e imperiale trova il suo
spazio ed è a sua volta il documento materiale di quanto forte fosse stata la propaganda, che aveva annullato
anche tutte quelle voci contrarie a questa impostazione. La storia che ci viene raccontata è ovviamente quella
dei vincitori e non dei vinti; quindi, esistono storie diverse rispetto a quelle che ci racconta la propaganda
dell’epoca. Tutti i personaggi scomodi che ostacolavano l’affermazione del potere venivano eliminati.

L’archeologia e la storia antica hanno il compito di interpretare i manufatti, tentando di inquadrarli


storicamente e darne una spiegazione che tenga contro di tutte queste sfaccettature, le quali vertono sul
concetto chiave: da Augusto in avanti il potere è totale, che identifica l’imperatore con una divinità (Apollo x
Augusto; Giove x Tiberio) = totale identificazione di un potere che viene dal cielo.

Da un punto di vista politico, questo si traduce per l’Occidente con la divinizzazione di


questi personaggi (cfr. divo Cesare) dopo la loro morte o a livello privato anche in vita in
forma mediata e non diretta.

In oriente questa idea di una divinizzazione del potere aveva delle radici molto antiche non
solo orientale dai Persiani, ma anche con Alessandro e i diadochi che avevano imposto
un’idea di comando suffragata dalla veste divinizzata.

Claudio si fa rappresentare nelle vesti di Giove ma non lo fa solo a Roma, ma lo richiede


anche al di fuori della città con monumenti di grande impatto come l’ARA PIETATIS AUGUSTAE, 44 d.C. →
ricondotta all’età di Claudio. Modello di celebrazione di vittorie
militari, che consentono a Claudio di porsi come trionfatore e
dio supremo. Dal punto di vista monumentale richiamano l’Ara
Pacis di Augusto e le forme di rappresentazione più
paratattiche rispetto alle lastre che richiamano il sacrifico del
toro.

Il culto imperiale a Roma e nelle province come legante sociale.

Per l’arte romana, il culto imperiale è uno degli elementi fondamentali. Appena muore Augusto, Livia si
precipita a realizzare un sacrario in suo onore a Roma e quindi prestargli un culto come esponente della
famiglia Giulio-claudia.

Dopo questo viene realizzato un vero e proprio culto in onore dell’imperatore divinizzato con l’istituzione
degli Augustales = sacerdoti appositamente nominati per queste celebrazioni, le quali si svolgevano negli
Augustea, ossia edifici realizzati con finalità religiose nei confronti degli augusti e delle auguste. → i Occidente
si chiamavano Augustea, in Oriente Sebasteia (da Sebastos, l’equivalente di Augustus) che trovano in Oriente
un terreno molto fertile perché già codificato dalla popolazione con i culti nei confronti dei monarchi
ellenistici.

Il SEBASTEION DI AFRODISIA, in Caria → stessa città del mausoleo. Viene


costruito un grande edificio che viene ad essere il monumento che va a
codificare la devozione nei confronti dei theoi sebastori (= dèi augusti) da
parte della cittadinanza. Si tratta di un complesso costituito grande
ingresso monumentale che si affaccia su via processuale e che mostra fin
dalla parte frontale una serie di immagini che richiamano sia personaggi
mitici, che la presenza della sottomissione di popolazioni sconfitte. →
Due esempi, dove i due imperatori vengono rappresentati in nudità eroica ma con chiara definizione e
descrizione come combattenti:

a. CLAUDIO che sottomette la BRITANNIA → Nel caso di Claudio la


sottomissione della Britannia mostra una donna svestita che ha
un’espressione dolente e che alza il braccio per chiedere pietà. Questo tipo di
schema iconografico richiama l’iconografia della lotta tra Achille e Pentesilea
= Amazzonomachia ossia il modello di riferimento in cui la personificazione
femminile è identificata nelle Amazzoni come soggetto femminile che
combatte e viene vinto, anche se in questo caso si traduce in un linguaggio
romano che ha le sue regole e i suoi schemi.
b. NERONE che sottomette l’Armenia. → Anche la sottomissione dell’Armenia da
parte di Nerone è improntata sulla rappresentazione di un corpo femminile
nudo sottomesso, che viene descritto e reso identificabile dal berretto frigio
che porta sul capo e che la connota come una personificazione di una terra
orientale come l’Armenia.

A più livelli e su più fronti questo tipo di messaggio investe la cultura artistica romana
e ogni cittadinanza trasferisce a livello pubblico la propria adesione a questo tipo di
propaganda.

Dal pubblico al privato. Come l’ideologia augustea e imperiale fu recepita e manifestata dalla popolazione.

A livello privato la rappresentazione del far parte di questa società nuova e rinnovata da Augusto in avanti si
traduce in monumenti come quelli funerari, che sono estremamente emblematici di
questa necessità di raccontare sé stessi come parte di una grande storia e grande
evento.

La TOMBA DEL FORNAIO MARCO VIRGILIO EURISACE, 30-20 a.C., Roma, Porta
Maggiore → esempio importante perché mostra come un plebeo Eurisace voglia
mostrare il successo della sua carriera (favorito da quella pax augustea che aveva
permesso le condizioni ottimali per la ripresa dei commerci e dell’attività produttiva).
Egli lo fa attraverso il proprio monumento funerario perché da semplice fornaio era
riuscito a diventare appaltatore di commesse statali nonché ufficiale subalterno di un
magistrato.
Questo monumento ha già una forma e un’architettura piuttosto esuberante che rappresenta il gusto
popolare e plebeo. Si discute, se questo grande parallelepipedo che è caratterizzato da alternarsi di tubi in
posizione verticale o orizzontale, fosse in qualche modo una modalità di trasmettere l’idea di contenitori del
grano che serviva alla produzione del fornaio o piuttosto un apparato di raccolta di farina.

Sulla sommità, il monumento ha un fregio che non si può vedere integralmente ma si deve girare intorno al
monumento. Su questo fregio vengono descritte le varie fasi della panificazione:

- il travaso del grano nei contenitori;


- il conteggio e la macinazione del grano;
- La lavorazione della farina e dell’impasto su appositi supporti;
- la cottura all’interno dei forni delle varie forme;
- l’organizzazione della loro raccolta nelle ceste della produzione che poi vengono pesati e suddivisi;
- la distribuzione e la vendita ai committenti.

Il fregio, che deve raccontare le capacità raggiunte da questo personaggio è


estremamente paratattico nella sua descrizione, non ha niente di aulico. È tipico dell’arte
plebea (si chiamava così negli anni 70-80), in cui si ha la raffigurazione di una società
consapevole del proprio ruolo e soddisfatta dello status raggiunto all’interno della
componente sociale. In questo senso, Eurisace e sua moglie si fanno rappresentare con
delle statue funerarie come togato e come matrona proprio perché la loro posizione
sociale gli permetteva di raffigurarsi al pari dei nobili.

Altro monumento non proveniente da Roma, ma da Chieti, dall’antica Teate. → MONUMENTO FUNERARIO
DI C. LUSIO STORACE, 20-40 d.C., Chieti, Museo Nazionale.

Si data tra l’età di Tiberio e Caligola. È un altro esempio di come


questa ideologia augustea e questo voler far parte della grande
macchina imperiale venga recepita a livello privato per
assicurare una posizione all’interno della società.

Caio Lusio Storace era stato un esponente del collegio dei Seviri
Augustali, incaricati di provvedere al culto imperiale.

Questo monumento riproduce un tempietto con frontone decorato e un fregio con iscrizione sottostante.
Doveva rappresentare la condizione di questo personaggio. Il fregio principale mostra al centro Lusio Storace
che viene attorniato da togati, che sono i magistrati e gli esponenti dell’amministrazione del foro cittadino,
che viene indicato sulla sx con colonne. Questa scena è posta sopra il tribunal, luogo da cui gli oratori
esplicitavano i propri discorsi. Lusio Storace viene esaltato nella sua carica anche attraverso la raffigurazione
di musicanti che danno il via a una cerimonia, ricordata dall’iscrizione ed esplicitata nella parte sottostante =
cerimonia che dava inizio al ludus gladiatorus, cioè lo svolgimento dei giochi gladiatori offerti da Lusio Storace
che si fa rappresentare nel suo monumento con scene legate a questa attività che aveva patrocinato.

Il modo in cui le espressioni artistiche di questa prima fase imperiale si traducono sui monumenti sono delle
forme che rispondono a un gusto locale, ma che utilizza gli stilemi e gli schemi compositivi propri della grande
arte ufficiale.

Adesione alla corte giulio-claudia anche attraverso l’adozione delle medesime acconciature di moda.

Anche a livello delle immagini e dei ritratti, l’adesione alla propaganda augustea e all’essere parte di una
nuova era e società, che da Augusto in avanti viene proposta. Si traduce anche con l’adozione di acconciature
che sono a imitazione di quelle dei ritratti ufficiali di corte:

- per i maschi dei capelli portati in avanti con frangette sulla fronte (cfr. tipo di Cesare o Augusto);
- per le donne il tipico nodo sulla fronte che dà un’immediata riconoscibilità delle matrone a quella
che era la moda di corte iniziata da Livia nella fase giovanile con i riccioli portati e raccolti sopra le
tempie e annodati sul retro.

TOMBA DEI FURII, Roma, Musei Vaticani → i


personaggi si fanno rappresentare con tipologia
iconografica che mostra come tutti si adeguassero
a questo nuovo modo di rappresentarsi a tutti i
livelli e su tutte le forme monumentali e
artistiche.

RITRATTI UFFICIALI degli imperatori giulio-claudii e codificazione dei volti e delle acconciature secondo la
linea ‘classicistica’; Nerone inaugura invece un ritorno al gusto ‘baroccheggiante’ di età tardo repubblicana.

Questo modo di rappresentare sé stessi sulla base della moda imperiale non si ferma all’età augustea, ma si
traduce in nuove modalità di rappresentazione da parte dei successori di Augusto, i quali sono riconoscibili
sia nei ritratti ufficiali (si trovano a Roma e in molte città dell’Impero), che in rilievi, monete o oggetti di pregio
(cfr. Gran Cammeo di Francia, Tazze da Boscoreale).

Il fatto di prestare attenzione a questi prodotti, non è solo una questione tipologico-stilistico, ma è anche
l’occasione per capire come questi personaggi abbiano voluto rappresentare sé stessi e trasferire un’idea di
sé al di fuori della corte. = questi oggetti dovevano veicolare la presenza degli augusti e delle auguste al di
fuori della città.

- Caligola, che vuole rappresentarsi come un dio,


sceglie un’iconografia che lo ritrae vestito con
l’armatura;
- Claudio, si fa raffigurare con la corona d’alloro
(trionfatore per eccellenza);
- Nerone, che era un tipo più lontano dagli schemi, 1 da sx: Caligola, Claudio e Nerone
sceglie una sua immagine molto più legata alle
caratteristiche tardo-repubblicane di impronta barocca piuttosto che rappresentare la propria
immagine secondo i modelli augustei di un volto con modellato liscio e levigato.
Sceglie una capigliatura più ricca e scomposta rispetto a quella dei suoi precedenti. C’è la scelta di
avere uno sguardo molto più introspettivo e carico da un punto di vista psicologico, attraverso occhi
più infossati rispetto ai predecessori. Questo ritratto di Nerone è uno dei pochi che abbiamo perché
colto da una damnatio memoriae; quindi, i suoi volti e le sue immagini furono per decreto eliminate
dall’Impero.

Parallelamente, anche le figure femminili rielaborano da


Livia in avanti una capigliatura che le fa riconoscere anche
attraverso i loro tratti fisionomici. Ma il fatto che gli ultimi
esponenti dei Giulio-Claudii, Nerone e Agrippina minore
(moglie di Claudio e madre di Nerone), siano coloro che
portano all’estremo l’idea di un potere assoluto, non si
2 Agrippina Maggiore sposa di germanico, Antonia
moglie di L. Domizio Enobarbo, Agrippina minore traduce solo con queste immagini fortemente caratterizzanti
moglie di Claudio e improntate a un gusto (gli storici dell’arte antica richiamano
al mondo del barocco), ma si traduce anche con delle innovazioni architettoniche → vengono attribuite in
modo specifico a Nerone e si riconoscono a Roma in alcuni edifici che gli vengono attribuiti nella fase mediana
del suo regno (Domus Transitoria, collocata non lontana dalla Domus di Augusto e la Domus Aurea).
Dalla Casa di Augusto ai Palazzi Imperiali. L’estensione ipotetica della Domus Aurea, 64-68 d.C.

Della DOMUS TRANSITORIA si hanno pochissimi dati → ci


sono due aule scavate agli inizi del ‘900 sul Palatino.
Attualmente sono al di sotto della Domus Flavia e Augustana.
Sono interessanti dal punto di vista iconografico perché
mostrano un passaggio da un punto di vista artistico a una
novità dell’arte di epoca neroniana, ma soprattutto legata ai
nomi di Severo e Celere (due architetti di Nerone) la
realizzazione della Domus Aurea, che secondo la tradizione
viene costruita dal 64 d.C. → in questo anno c’era stato un
incendio che aveva distrutto 3/4 della città e che consente a
Nerone di farsi costruire una nuova residenza che doveva occupare un’area totale di 80 ettari tra Palatino,
Velia, Esquilino e Celio. Chiese ai suoi due architetti di realizzarla su modello dei grandi palazzi ellenistici.

Di questa residenza ci parlano due autori antichi: Svetonio e Tacito, i quali


la descrivono come una reggia che doveva proseguire e manifestare
ulteriormente l’idea di potere assoluto e di monarchia assolutistica che
Nerone dal 64 abbraccia. = Si traduce non solo nella codificazione di un suo
ritratto di sé stesso di matrice baroccheggiante, ma va anche a scardinare
completamente l’idea della domus di stampo italico, realizzando una vera
e propria villa all’interno della città.

Nella zona del Tevere c’era la possibilità di costruire una villa come quella
attribuita a Giulia e Agrippa (La Casa della Farnesina), che aveva nella sua
architettura già delle forme differenti rispetto all’impostazione ad atrio (cfr. case sul Palatino, le case arcaiche
e quelle pompeiane).

Questa villa doveva essere organizzata secondo una disposizione di più padiglioni, affacciati su un grande
lago artificiale che doveva servire da specchio su cui i vari padiglioni si dovevano ritrarre. Intorno a questi
padiglioni furono realizzati enormi giardini e parchi abitati da specie animali di tutti i tipi che dovevano
ispirarsi ai grandi giardini orientali (i Paradeisa), che erano già di fama molto nota e presi a modello per questa
costruzione.

Le fonti affermano, che tra i vari padiglioni organizzati da Severo e Celere dovevano esserci delle zone per i
bagni, in cui Nerone aveva fatto arrivare (non si sa se realmente o solo nelle intenzioni) anche acque termali,
in particolare da Acque Albule vicino a Tivoli e marine per godere di diverse tipologie di acqua, ma anche per
mostrare la capacità di condensare all’interno di questa straordinaria abitazione ogni caratteristica dell’orbe.

Lungo la via sacra il grande vestibolo per la Domus Aurea era capeggiato da un grande colosso, che ritraeva
Nerone sotto le fattezze di Elios (Sole) di circa 120 piedi di altezza (ca. 35 metri) e che doveva fin da subito
chiarire a chi appartenesse questa abitazione.

Questa abitazione è nota nel settore dell’Oppio perché


quando Nerone muore (68 d.C.) i Flavi decidono che tutta la
parte che Nerone aveva sequestrato dalla città per costruire
la propria abitazione doveva essere restituita. Nel tempo:

- nello spazio occupato dal Lacus, i Flavi realizzeranno il


Colosseo;

- in una parte della Domus Aurea vengono realizzate le terme


di Tito;
- da Traiano viene utilizzata tutta la parte di sostruzione della Domus Aurea per costruirci sopra le terme di
Traiano.

Quando alla fine del 400 si va a girovagare per quello che resta delle terme di Traiano ci si cala nelle grotte e
si scoprono delle costruzioni perfettamente conservate = resti della Domus Aurea che ispireranno le famose
grottesche di Raffaello e di tutta la sua cerchia quindi prese a modello per l’iconografia rinascimentale.

Tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 e di recente, dagli scavi sono stati scoperti numerosi vani, che erano articolati
attorno a tre nuclei con un sistema di sfruttamento ipogeo attraverso dei corridoi sotterranei. Questi corridoi
sono concepiti come punti di intercapedine tra il colle e la proiezione della villa su sostruzioni verso valle che
permettevano una sorta di isolamento tra le parti più umide a contatto con la roccia e le parti costruite.
Queste parti costruite sono organizzate a partire da nuclei giustapposti con serie di sale di varia natura anche
di tipo utilitario. La parte ritrovata è quella seminterrata della villa e i padiglioni scoperti sono tre. La
letteratura parla di un settore occidentale e uno orientale:

- Il settore orientale era dominato da una cosiddetta sala ottagona,


che per molto tempo è stata considerata la Coenatio Rotunda, di
cui parla Svetonio, che gli architetti di Nerone avrebbero costruito
per far sì che gli ospiti che vi ci cenavano ruotassero dentro questa
sala sopra la quale ruotava anche il soffitto = sul questo soffitto in
modo alternato comparivano gli astri e le varie costellazioni e
scendevano petali di rosa e profumo per dare l’idea dell’alternarsi
delle ore del giorno, tanto che Svetonio dice che veniva fatta girare
attorno a sé stessa di giorno e di notte per simulare la rotazione del mondo.

Gli scavi recenti fatti nei primi anni 2000 hanno individuato questa Coenatio Rotunda in una serie di
costruzioni che sono sotto Villa Barberini, non lontane dal Colosseo. In queste costruzioni è stato ritrovato
un enorme pilone. Si tratta di un meccanismo, che non è stato trovato in quanto tale, ma che si pensa fosse
manovrato da macchine in legno, di cui si ritiene aver riconosciuto i punti di appoggio e che doveva consentire
il movimento della sala attorno a un’infrastruttura che ne garantisse questa scenografia straordinaria. (v. pdf)

È interessante perché totalmente coperta dalle terme di Traiano ha conservato


i resti dell’apparato pittorico = testimonianza del IV stile che alterna alla parte
alta la volta della sala di Achille a Sciro, dove un quadro centrale occupava
parte della volta.

Ha delle pareti che riproducevano delle architetture fantastiche, molto esili ed


essenziali nelle quali è totalmente perduta la ricerca della prospettiva e della
sovrapposizione di più architetture su più piani (cfr. II stile) e che si traduce in
motivi decorativi molto essenziali, che possono essere occupati da quadretti in
cui vengono descritti delle scene e dei motivi particolari. → si trova nel
Corridoio della Domus Aurea.

L’età di Nerone è molto complicata da un punto di vista politico, ma


straordinaria dal punto di vista artistico a livello di innovazioni, elaborazione di
nuovi schemi perché la planimetria stessa va a scardinare gli schemi precedenti
delle architetture domestiche e prelude alle grandi innovazioni dei Flavi e
dell’età adrianea.

Nerone ha subito la damnatio memoriae e con lui tutto quello che era stato prodotto è andato perduto.
La dinastia dei Flavi

Il 68 d.C. è un anno cruciale che mostra tutte difficoltà che il


regno dell’ultimo dei Giulio-Claudii aveva comportato, ma
che pone le basi per un rinnovamento totale, che viene
attuato da colui che riesce a imporsi nell’anno dei 4
imperatori: VESPASIANO

Vespasiano è un personaggio della nobiltà senatoria e


appartenente a quell’insieme di ‘imperatori buoni’. È un 3 Ritratti dei tre Flavi: Vespasiano, Tito e Domiziano
personaggio che intende ritradurre a livello semantico e propagandistico l’idea che l’impero è un potere per
il bene del popolo e non per il bene dell’imperatore.

Usa questa opportunità della Domus Aurea come grande cantiere solo in parte finito come
lo spunto per restituire al popolo una parte della città, che era stata sottratta.

La figlia di Tito, Giulia → importante per la dinastia delle Auguste (non si parla di imperatrici,
titolo che non viene mai dato alle mogli degli imperatori). Le signore flavie elaborano
ulteriormente questa acconciatura con corona di riccioli sopra la fronte, che va a codificare
le immagini delle matrone di questa fase del I sec. d.C.

Al di là dell’aspetto iconografico, è interessante ricostruire gli elementi che hanno portato alla nuova
traduzione in forma monumentale degli spazi.

Lo spazio del Lacus, che era stato realizzato da Nerone per il


suo grande lago artificiale viene destinato e prescelto da
Vespasiano come il luogo nel quale finalmente Roma doveva
possedere un anfiteatro. → ANFITEATRO FLAVIO (o
COLOSSEO deriva dal fatto che c’era il colosso di Nerone che
viene poi smantellato). È l’opera più famosa che Vespasiano
realizza per il popolo.

È il più famoso e importante monumento dell’antichità di


Roma che viene celebrato dalle fonti, non solo perché
comportò una costruzione che si protrasse per quasi 10 anni (viene iniziato da Vespasiano nel 71-72 d.C. e
viene inaugurato da Tito nell’80 + alcuni lavori di perfezionamento conclusi da Domiziano).

Tito per celebrare questo evento straordinario aveva istituito delle


feste che durarono per diversi giorni, si parla di 100 giorni con dei
Ludi Gladiatori, che comportarono la strage di circa 2000 gladiatori
e 9000 animali. Rimase come un’opera straordinaria, che aveva
finalmente dato alla città un edificio per questo tipo di ludi.

Da un punto di vista architettonico → dimensioni 188x156 metri con


altezza totale di 57 metri, con una costruzione che si basa su una
gigantesca cava ellittica, le quali sostruzioni cementizie sono
realizzate con blocchi di travertino e sono ripartite in 4 piani.

La cavea si organizza in una serie di nuclei organizzati nei diversi meniani con l’area dell’arena limitata dal
podio che proteggeva le prime file dai prossimi combattimenti. Vi è un’articolazione dei tre meniana: il primo,
il secondo e l’ultimo con il quarto su cui, secondo le fonti, doveva essere realizzata una struttura in legno che
permetteva l’ancoraggio dell’enorme velario che proteggeva gli spettatori durante le venationes. Era fatto
funzionare da un apposito distaccamento della flotta del Miseno.
È una struttura straordinaria che va ad essere il simbolo dei Flavi come
monumento realizzato appositamente per il popolo come restituzione di ciò
che gli era stato sottratto e uno spazio utilizzato dal popolo.

Avrà una vita molto lunga fino alla tarda età imperiale. Nel 438 Valentiniano
III abolisce definitivamente i Ludi Gladiatori, che comporta una cessazione
del suo uso primario e che implica un progressivo abbandono della
struttura. Tra l’età medievale e rinascimentale sarà utilizzata come:

- luogo di deposito di macchinari e alloggio di bestiame;


- luogo per abitazioni povere;
- una cava a cielo aperto da cui si traggono materiali da costruzione per vari edifici (es. la Basilica di
San Pietro).

Solo dall’età romantica, è stato oggetto di scavi e restauri accurati ed è normalmente utilizzato per attività
ed eventi. Vengono anche realizzate mostre ed esposizioni temporanee che permettono un doppio livello
d’uso dell’opera.

L’AREA DEI FORI IMPERIALI

L’area dei Fori imperiali è l’altro grande spazio che


viene utilizzato per rappresentare l’impero positivo
per il popolo.

Vespasiano fa realizzare il TEMPLUM PACIS → il tempio della pace che viene


iniziato nel 74 d.C. come un monumento che doveva celebrare il ritorno
della pace, di quell’età felice di cui Augusto era stato l’iniziatore. Si traduce
in un enorme piazza (135x110 metri) che all’epoca era uno spazio
considerevole. Va ad occupare un’area posta tra l’esistente Foro di Augusto,
il foro di Cesare, la Basilica Emilia e poi quella che sarà un’altra area occupata
dalla Basilica di Massenzio.

Si tratta di una grande piazza, un luogo delimitato da un perimetro mosso


da esedre rettangolari, che si concludono sulla fronte sudorientale con il Tempio della Pace con un altare
antistante, che va costituire il punto di riferimento dell’organizzazione della piazza non pensata come
totalmente lastricata ma secondo le fonti abbellita da elementi floreali, piante che ricreavano una grande
area adibita a giardino. Questo spazio è delimitato da portici che vanno a costruire l’idea di uno spazio
racchiuso secondo l’impostazione ellenistica.

Oltre al tempio esistevano due sale adibite a biblioteche pubbliche: una greca
e una latina. → un punto di attrazione per la cittadinanza e dei luoghi di cultura
aperti a tutti. Uno degli elementi più interessanti è il fatto che i vari scaffali che
contenevano i rotuli erano identificati da piccole immagini degli scrittori che
avevano prodotto determinate opere per permettere un’immediata
riconoscibilità (es. filosofi, storici, letterati). L’idea che questa restituzione al
popolo di uno spazio della cultura per la cultura fosse la cifra del messaggio propagandistico di Vespasiano
fa capire perché questo complesso fu considerato già all’epoca come una straordinaria opera di enorme
importanza culturale.

All’interno di questa sala in età severiana viene collocata la famosa Forma Urbis Severiana, la mappa
marmorea della città di Roma, di cui ci restano molte parti. Era un’ulteriore affermazione della positività del
regno dei Flavi.

Per vicinanza topografica e non cronologica, nella zona di risulta tra il Foro di Cesare, il Foro di Augusto e il
Templum Pacis, Domiziano sceglie di realizzare il proprio foro → conosciuto oggi come FORO DI NERVA, che
però era stato realizzato da Domiziano in onore di Minerva Ergane (dea ‘industriosa’, colei che fa le cose,
patrona di tutte le arti e mestieri), la sua dea protettrice.

La tradizione lo definisce come Transitorio, perché consentiva il passaggio tra i vari


blocchi costruttivi, ma non ce ne parla come Foro di Nerva (non di Domiziano).
Questo succede perché anche Domiziano aveva subito la damnatio memoriae;
quindi, a lui non poteva essere dedicato questo Foro che viene poi concluso e
inaugurato da Nerva nel 97 d.C. (un anno dopo la morte di D.).

Da un punto di vista architettonico, gli architetti al soldo di Domiziano riescono a


riproporre una piazza porticata pur non avendo lo spazio per fare un portico vero.
Cingono questo rettangolo con un lato curvo di un lungo muro, all’interno del quale
inseriscono un porticato che è solo fittizio = sono solo colonne che non consentono
la creazione di un vero e proprio portico interno, ma permettono di realizzare un
sistema decorativo di cui ci restano pochi elementi perché ha subito nel tempo varie
distruzioni (nel ‘600 profonde alterazioni).

L’edificio in onore di Minerva è sul fondo della piazza ed è di tipo etrusco-italico:


su alto podio con gradinata di accesso, esastilo con pronao profondo e sul fondo
della cella l’immagine della dea. Quest’ultima compare anche sul fregio che
decora il portico interno ed è un portico in cui vengono rappresentati momenti
legati alla filatura e alla tessitura di stoffe, collegandole ad alcuni dei miti legati a
Minerva – es. mito di Aracne = fanciulla brava a filare che sfida la dea, ma che poi
la punisce per la sua hybris.

L’elemento interessante è la realizzazione di un fregio secondo un modello classicheggiante, che va a


continuare la tradizione avviata già da Augusto.

Altro edificio pubblico è l’ARCO DI TITO → viene costruito subito dopo la


Guerra in Giudea, che aveva comportato la distruzione del tempio di
Gerusalemme e dopo la morte di Tito, dopo l’81.

Sull’attico vi è l’iscrizione commemorativa, che fa capire che Tito era già


morto: SENATUS / POPULUSQUE ROMANUS / DIVO TITO DIVI VESPASIANI
F(ILIO) / VESPASIANO AUGUSTO = Il Senato e il Popolo Romano al Divo Tito
Vespasiano Augusto figlio del Divo vespasiano.

È un monumento celebrativo per onorare l’imperatore,


del quale vengono rappresentate all’interno del fornice
delle scene ispirate alla tradizione del rilievo storico
romano e che mostrano come il trionfo di Tito fosse
celebrato attraverso la pompa trionfale. → Bellum
Iudaicum (70 d.C.): pompa trionfale con il bottino sottratto al Tempio e quadriga di Tito incoronato da un
Vittoria = rilievo famoso per capire l’iconografia del trionfo.

Sono rappresentati i soldati che portano le insegne, ossia gli oggetti sottratti durante lo scontro (es.
candelabro a sette bracci dal tempio di Gerusalemme) ma anche le tabulae pictae, che dovevano
rappresentare momenti salienti di queste battaglie. Dovevano essere trasportate durante il transito verso la
porta trionfale e che valorizzavano l’impresa dall’imperatore, acclamato
sulla quadriga dall’esercito e dal popolo e che viene incoronato da una
Vittoria (si intravedono le ali sulla dx).

L’imperatore, essendo Divo, viene raffigurato anche sulla sommità del


fornice all’interno di una volta cassettonata ricchissima → apoteosi di
Tito = al centro Tito è rappresentato come trasportato in cielo dall’aquila
= simbolo regale per eccellenza a testimoniare la sua ascesa tra gli dèi.

Gli edifici pubblici dei Flavi: le Terme di Tito e la tipologia ‘imperiale’.

TERME DI TITO = altra grande opera pubblica per la cittadinanza. Vengono


realizzate in prossimità della Domus Aurea e sfruttano parte delle sostruzioni su
cui era sorta la stessa Domus. Riprendono lo schema delle terme imperiali
dell’età tardo repubblicano di Pompei, che prevede articolazione assiale degli
spazi pensati per i bagni = assialità e simmetria che va a esplicitare l’idea che
queste grandi opere per l’igiene del popolo, presentate da enorme scalinata e
spazio verde su cui si affacciano gli edifici termali. Sono pensati secondo un’idea
di razionalità e giustapposizione secondo lo schema simmetrico degli spazi, non
semplicemente giustapposizione funzionale dei due calidari, del tepidario e del
frigidario ma un’impostazione regolare che doveva rispondere a una sistematizzazione di questi spazi.

La grande novità dei Flavi è stata la costruzione di un’abitazione per gli imperatori, che fosse una degna
continuazione di precedenti soluzioni (da quella di Augusto molto semplice a quella di Tiberio, nota solo per
la parte sostruttiva rimasta e la Domus Flavia e Augustana che va a occupare un’area precedentemente
utilizzata da Augusto per la sua biblioteca e altri spazi).

Lo spazio occupato dalla Domus Flavia si va a collocare in un punto nevralgico tra l’area aperta sul Circo
Massimo, l’area della Casa di Augusto con il tempio di Apollo, il tempio di Cibele, ecc.

Il palazzo dei Flavi: DOMUS FLAVIA e DOMUS AUGUSTANA

Secondo le fonti, questa grande casa viene costruita dall’architetto Rabirio. Si tratta di un’abitazione molto
grande che occupa tutto il resto del Palatino, che da quel momento si chiamerà Palatium perché ospiterà il
palazzo dei Flavi. Si hanno delle dimensioni inferiori rispetto alla Domus Aurea, ma non gli invidia nulla a
livello architettonico.

Secondo le fonti, la Domus dei Flavi occupava due aree:

1. un’area che è la Domus Flavia, la domus della parte pubblica in cui


gli imperatori svolgevano attività di tipo pubblico (in verde);
2. una parte privata che è la Domus Augustana, sviluppata verso sud-
est (in rosso).
DOMUS FLAVIA: caratterizzata da articolazione su terrazzamenti, di cui quello superiore è connotato dalla
presenza di una grande aula, chiamata la Basilica per la presenza di un colonnato interno e un’abside sul
fondo, che serviva per il consiglio del Principe.

È affiancata dalla grande sala per le udienze = Aula Regia, in cui il principe riceveva i propri sudditi e svolgeva
la vera e propria attività di udienza prevista dalla sua carica.

A destra dell’aula regia, vi è il Lararium (chiamata così impropriamente perché questa parola non è attestata
nel lessico latino prima del III d.C.) = sala per il culto dell’imperatore perché gli scavi mostrano che al centro
vi era un altare dedicato forse a Minerva. La configurano come un vero e proprio sacrario, in cui l’imperatore
svolgeva atti cerimoniali e celebrazioni particolari.

Al livello inferiore vi è un grande peristilio caratterizzato da una grande


fontana al centro e serie di locali mistilinei che si affacciano intorno. Sono
conclusi verso sud da un grande triclino = grande sala decorata da fontane
particolari a forma ellittica, che ci parlano di una progettualità
architettonica innovativa rispetto alle fasi precedenti → segnerà un punto
di partenza per idee progettuali per le architetture private e pubbliche e che
4 Fontane ellittiche nel Triclinium
si tradurranno nel II secolo nelle aule mistilinee e nelle grandi costruzioni
polilobate.

DOMUS AUGUSTANA: questa zona si articola intorno a un grande peristilio centrale. È ipotizzata come zona
per la vita privata degli imperatori. Rispetto allo spazio centrale, vi è un’organizzazione simmetrica delle varie
sale, ma soprattutto una varietà delle forme che sono funzionali a sfruttare al massimo lo spazio a
disposizione ma che variano anche l’architettura del tardo I secolo d.C.

Si affaccia sul Circo Massimo, con esedra gigante verso sud. Sulla dx ha un grande spazio scoperto, lo stadio
= in realtà è un giardino circiforme (160x50 m) che nasce come una passeggiata coperta con un prospetto a
semicolonne. Nella sua parte inferiore, serviva come architettura da cui guardare gli spettacoli nel Circo
Massimo da parte della famiglia inferiore.

Le forme di lealtà verso l’imperatore da parte dei municipia. Gli edifici per il culto imperiale a POMPEI.

A livello pubblico → Se tutte queste forme e edifici si trovano nel


cuore di Roma e servono da modello per le altre città, anche Pompei
mostra come questa architettura per i dinasti, la celebrazione del
potere imperiale e la traduzione a livello privato di queste innovazioni
sia riconoscibile anche lì.

Tutta la parte del foro tardo-repubblicano è inizialmente occupata da


edifici che aiutano a capire come la piazza pubblica si vesta di edifici
che vanno a rimarcare a funzione amministrativa o religiosa dello
spazio pubblico.

Dall’età augustea il lato destra viene occupato da edifici di culto


dell’imperatore:

- E: edicola per il culto imperiale nel Macellum pubblico (mercato pubblico);


- G: edificio per il culto imperiale dei Lari pubblici (edificio sacro costruito in onore dei Lari ma Augusto
promuove il culto del proprio Genio insieme ai Lari in tutte le città);
- H: tempio in onore di Vespasiano (edificio sacro connesso al culto imperiale);
- F: edificio di Eumachia = edificio di età augustea, grande edificio pubblico come luogo di riunioni
pubbliche all’interno del quale vengono collocate statue per ricordare personaggi importanti della
Pompei tardo-repubblicana e di età augustea. = un’imitazione di quei summi viri che avevano
connotato i portici del foro di Augusto + immagini dei dinasti + immagine di Livia nella nicchia sul
fondo come Concordia sul fondo del grande vano.

A livello privato, le domus vanno a esplicitare la moltiplicazione degli spazi (cfr. casa del Fauno), ma che ora
diventano i luoghi nei quali i possidenti esprimono:

- la loro ricchezza;
- il fatto che è venuta meno l’attività pubblica e amministrativa che è ormai demandata a pochi
esponenti perché tutto si decide a livello centrale. Trasferiscono gran parte delle loro attività
pubbliche all’interno dello spazio domestico, che si traduce in un progressivo allargamento dei
luoghi.

DOMUS DEL MENANDRO, Pompei, I Regio, (I,10,4) → la casa sorge su


un primo nucleo di III sec. a.C. che ha il consueto schema ad atrio con
fauces vestibolo, ala (tablino) sul fondo e impluvio al centro. A questo
schema si aggiunge progressivamente dal 40-30 a.C. tutta l’occupazione
del resto dello spazio precedentemente occupato da un’altra
abitazione con un allargamento che occuperà gran parte dell’insula.

Ci sono una serie di vani che ruotano attorno al peristilio, di pregevole


decorazione architettonica e pittorica. Le esedre semicircolari o
rettangolari della fase tardo-repubblicana vengono trasformate dal 62
d.C. (terremoto) → in particolare la sala 25 viene trasformata in sacrario
domestico = fa capire come a livello personale e familiare ci fosse un
adattarsi alle grandi esigenze di mostrare la propria adesione ai paradigmi dell’impero e le effettive
insicurezze che derivavano da eventi straordinari come il terremoto.

È interessante vedere come una sala originariamente decorata in II stile


viene trasformata in luogo di culto per il timore che questo evento aveva
provocato e che si era tradotto a livello delle abitazioni. = Si traduce
nella trasformazione di alcuni vani da triclini a sacrari domestici, nei
quali viene trasferita l’espressione di una richiesta di protezione alle
divinità attraverso apparati come un grande basamento (cfr. grandi
basamenti dei templi) con piccolo altare e nicchia, che vuole simulare le
grandi absidi dei grandi templi pubblici. In questa nicchia si collocano
5 Sacrario domestico con ritratti degli delle immagini di divinità e antenati, ai quali si chiede protezione per la
antenati
famiglia.

La CASA DI D. OCTAVIUS QUARTIO, Pompei → Laddove la famiglia


non avesse le stesse possibilità economiche, si cerca di trasferire il
benessere o le proprie istanze religiose all’interno dello spazio
domestico, che si trasforma da abitazione di impostazione
canonica con atrio centrale in una vera e propria villa in miniatura
(cfr. Roma con imperatori che si erano costruiti abitazioni che non
avevano più nulla di tradizionale ma che si esplicitano in grandi
possedimenti con grandi spazi adibiti a giardino).
È l’esempio di come due case organizzate rispetto all’atrio e alla distribuzione dei vani intorno ad esso,
vengano unificate. Pur mantenendo i due accessi distinti vengono pensati come unica abitazione che deve
rappresentare il livello raggiunto dal proprietario.

Si tratta forse di un adepto al culto di Diana o Iside, alla quale dedica un ambiente all’interno della propria
abitazione e un tempietto (cfr. i grandi templi di culto pubblico).

Utilizza lo spazio (in rosso) precedentemente occupato da costruzioni private per


realizzare un grande giardino in cui riproduce sempre in piccolo e gusto provinciale,
un Euripus = grande canale che portava l’acqua sul quale sono state trovate diverse
statuette di varie divinità per riprodurre enfasi della religione/del mondo orientale
veicolata attraverso serie di elementi (es. riproduzione dell’Euripus di Alessandria),
ovvero dei piccoli tempietti che sorgevano lungo questi canali con attorno una
vegetazione molto ricca (ricostruita dagli scavi archeologici attraverso analisi
palinologica, dei semi trovati).

Questo permette di comprendere come questa società sia stata un grande specchio delle grandi soluzioni
della capitale, della quale non sempre si riesce ad avere la stessa qualità di informazioni perché città con
continuità d’uso ininterrotta e non sempre c’è la possibilità di percepire questi livelli intermedi
dell’architettura privata.

Da queste soluzioni si evolvono sia a livello pubblico che privato le invenzioni degli architetti del II sec. a.C.
che introdurranno ulteriori elementi utili a capire quanto architettura e arte si siano parlate e si siano
influenzate sulla base delle proposte pubbliche dei grandi imperatori.
LEZIONE 21 ǀ 03 maggio 2022

L’arte e l’impero durante i regni di Traiano e Adriano


Il II sec d.C, nel quale hanno posto assoluto rilievo alcuni imperatori da Traiano porteranno avanti alcune
iniziative rilevanti da punto di vista artistico e architettonico, delle forme modelli che resteranno fino all’età
tardo antica (medievale). Nel II sec, ha raggiunto la sua massima espressione per vari motivi:

- Dal principato in avanti, l’estensione


del controllo di terre mai raggiunte,
permette a Roma di penetrare in
territori molto estesi, fino alla
Bretagna, Africa settentrionale e fino
alla Sira e Mesopotamia.
- Modello del vivere romano viene
esportato attraverso immagini,
mode, forme architettoniche
urbanistiche, e consolidati poteri
amministrativi basati sul radicamento
delle aristocrazie provinciali
dell’ideologia imperiale. Far parte
dell’impero, era anche mezzo per
ottenere privilegi, e benessere su larga scala, con trasporto di persone, pensieri e progetti.

Propaganda fatta da Augusto, con i solidi concetti, essere parte di una città di Roma, era condiviso con tanti
altri popoli. Traiano contribuì un consolidamento dell’essere romani. Traiano non era italico, era spagnolo,
come Adriano (suo cugino), e questo fa si che le provincie sono capaci di esprimere personalità e quindi
personaggi di rango e di ruolo all’altezza di una certa posizione.

Traiano regna dal 98 al 117 d.C., è colui che espande tra il 101-106, l’impero dei Daci. Erano delle terre
ricchissime di risorse naturali, miniere d’oro, che consentono a Traiano di presentarsi non solo come
imperatore- soldato, conquistando nuove terre con la sua intelligenza, lui trasferirà benessere su larga
scala. Figura molto studiata, grazie a 2 voci contemporanee, Plinio il giovane, e Plinio il vecchio e Tacito, il
grande storico di questa fase imperiale.

Traiano rappresenta il continuatore come il primo modello augusteo, e quindi il principato, che risponde a
quel modello exemplum non soltanto il punto di riferimento per il concept di idea di impero, si impone
come imperatore che lavora al servizio dello stato. Avvicina al principato un’idea di servizio, non staccata
dall’idea di libertas, benessere non è solo un vettore per la libertà della popolazione, legandosi alla
condivisione dei poteri. Cerca una collaborazione con l’aristocrazia senatoria, quindi anche con i plebei,
consenso basato sul suo sapersi porre e ascoltare.  linea ufficiale descritta dalla fonti, anche se sa essere
molto autarchico, potere concentrato sulla persona mediandolo con una propaganda soft, e attenzione
verso il popolo.

Ritratto ufficiale di Traiano, 108 d.CNella sua


stessa immagine di imperatore, richiama i modelli
giulio claudi, presentandosi con un abito nudo, idea
di nudità eroica come quella di Achille, che indica un
essere uomo d’armi, perché ha la fascia che regge la
spada. Espressione che richiama modelli classicistici,
la sua espressione che guarda verso un punto
preciso, capigliatura secondo modelli giulio-claudi,
piatta che aderisce alla calotta. Fisionomia dell’individuo traiano, modellazione liscia del busto, con resa dei
suoi tratti individuali.

Ritratto di Plotina moglie di Traiano, sceglie una capigliatura complessa, che segnerà una moda, che fa
seguito che l’idea della corte flavia, avevano proposta con corona e riccioli in avanti.

Già nel ritratto si evince il potere rassicurante, e che vuole evitare gli eccessi, che invece erano tipici degli
imperatori precedenti. Ritratto per festeggiare i decennali di riferimento, richiamando il volto
dell’imperatore.

Imperatore, decide di investire un’enorme somma del bottino preso dalle campagne militari, per costruirsi
un proprio foro.

Secondo un erudito di corte Tito satilio Critone, Traiano aveva conquistato le terre tra la attuale Romania,
Moldavia e Ucraina, che gli permette di guadagnare enormi quantità di oro, con un bottino con altissimo
valore, che lo permette di realizzare opere, di cui l’architetto è Apollodoro di Damasco, originario dell’area
siriaca. Attivo a Roma, personaggio di straordinario valore, Traiano aveva un rapporto di confronto e
affinità.

Foro di Traiano la planimetria ha un’area molto estesa tra il colle Capitolium e quella che è l’altura del
Quirinale. È un’area che occupa uno spazio di 300x185 m, viene realizzata perché Apollodoro decide di
spianare la sella che univa questi 2 colli, tra il 107-113. Questo grande complesso, è costituito da più nuclei,
da nord a sud organizzati secondo un’idea di progressione, rendendo il visitatore partecipe ad un’idea di
spazi, improntati su Traiano e la sua autorità ed esaltazione. Nord-ovest, c’è l’ingresso con una gradinata,
con in primo spazio un grande porticato colonnato, con al centro la colonna traiana, come punto centrale.

Primo impatto con questa colonna alta circa 30 m, che doveva richiamare l’altezza della sella che era stata
eliminata, doveva dare l’impressione dell’enormità dei lavori che sono stati realizzati. A sx e dx della
colonna, vi erano 2 aule rettangolari colonnate, le fonti dicono di essere vicine alle biblioteche greche e
latine, coperte con nicchie che ospitavano le diverse scaffalature per il volumina. Dal passaggio delle
colonne, si entrava nella Basilica Ulpia, detta Ulpia cognome di Traiano.

Basilica Ulpia La quale è un’enorme sala porticata su 2 lati, con terzo livello di colonne che presentano le
2 absidi dei lati corti. Suddividevano la basilica in 5 navate, e le colonne della parte più interna erano in
granito, mentre quelle delle navate laterali erano in marmo cipollino. Vi erano ai lati delle esedre, e nel lato
più lungo si avevano 3 apertura, con di fornici, con entrata limitata nelle aperture laterali e più grande
quella centrala.
Piazza del foro  dominata al centro con la grande statua di Traiano a cavallo, attorno circondata di
colonne, poste a livello superiore dal piano di calpestio della piazza. Questi porticati, avevano un attico con
statue di prigionia dei Daci, e alle loro spalle, altre 2 esedre, richiamando il perimetro della basilica Ulpia.
Una serie di mosaici policromi che decoravano la piazza. Parte che sul fronte meridionale, avevano una
forma a linee spezzate, che consentivano di accedere verso est, alla parte occupata dagli altri edifici, (foro
di Augusto).

Questo foro ha una serie di elementi innovativi, che ci fanno capire meglio la figura di Traiano come
committente di Apollodoro. Modificava la normale successione che gli altri fori ci avevano fatto vedere
nell’ingresso alla piazza, con il tempio sul fondo della piazza che qui non c’è. Questa piazza ha un’idea di
piazza chiusa, circondata da un muro, isolata dal resto della città. Il focus di chi entrava da nord-ovest, era
la colonna Traiana, come monumento più rappresentativo dell’imperatore.

Colonna Traiana realizzata in marmo di luni, con 29


rocchi, h 30m circa. Ha la caratteristica con fregio
spiraliforme, con uno sviluppo continuo di 200 m.
L’altezza dello sviluppo che saliva da 0,9 m a 1,25 m in
progressione. Su questo fregio, sono stati riconosciute
155 quadretti, con scene rappresentative, legate alle
imprese della Dacia. Individuate le prime 77 scene con
la prima guerra dacica (101-102 d.C), dalle 77-166
scene della 2° guerra dacica (105-106 d.C). Con un
totale di 2570 figure.

L’idea di base è quella di richiamare il modo tipico


della cultura romana, rappresentazione attraverso il
rilievo storico e pitture storiche, le imprese degli
imperatori, in cui avrebbero raggiunto fama e virtù.
Nell’iscrizione rimasta si scrive che fu il senato a
decretare la costruzione di questo monumento.
Traiano organizza con Apollodoro, che rappresenta un
unicum, poggia sorta di colonna d’allora, un plinto, e un basamento decorato da cataste d’armi, in cui dal
lato della basilica Ulpia si aveva una porticina che permetteva di entrare e raggiungere una cella interna che
avrebbe contenuto le ceneri di Traiano all’interno di un’urna d’oro.

Si ha una scala interna, che permette di salire e raggiungere la sommità, con delle piccole feritoie realizzate.
Nei cataloghi regionali tardi, la colonna viene chiamata “clochide”, per la forma della scala interna e fregio,
che richiama la chiocciola. Si pensa ci sia Apollodoro, anche se il maestro delle imprese di Traiano, dietro cui
c’è Apollodoro. La colonna narra, la serie di tappe che segnano il trionfo di un generale romano. Il quale non
bastava che vincesse la guerra, la battaglia ma doveva dimostrare di saperla gestire ed essere clemente con
i propri soldati.

Per i Romani non bastava vincere una guerra: occorreva anche dimostrare pietas, clementia, liberalitas etc.
per consolidare il potere raggiunto.
Così nelle immagini legate alle imprese militari si possono riconoscere vari momenti salienti tra cui:
1. profectio/partenza per la guerra>senato e popolo assistono all’avvio dell’impresa;
2. lustratio/purificazione>suovetaurilia e sacrificio per assicurare la protezione all’esercito: l’imperatore è il
sommo sacerdote;
3. adlocutio/il discorso ai soldati>incoraggiare le truppe e sollevare gli animi, forte la componente psicologica
che mira a garantire la comune fiducia e lealtà;
4. pugna/battaglia> non combattimenti reali ma idealizzazione dell’imperatore combattente secondo gli
schemi
alessandrini, ma il nemico è sempre inferiore, non è mai alla pari con il sovrano;
5. submissio/sottomissione dei nemici grazie a valore e virtù>l’imperatore assiste clemente a chi gli si
sottomette oppure assiste ai nemici trascinati al suo cospetto recalcitranti;
6. adventus/ritorno in patria>l’imperatore che torna trionfante è accolto dalla città: personificazioni di
concetti astratti ad esempio Aeternitas e Felicitas);
7. triumphus/trionfo in città>rappresentazione della virtus dell’imperatore;
8. sacrificio per la vittoria>si ringrazia sul Campidoglio Giove per il risultato raggiunto;
9. congiarium/elargizione al popolo>i beni e i bottini vengono divisi con la popolazione (liberalitas).

Sono i temi della Colonna Traiana e di altri monumenti traianei. I temi hanno un senso didascalico, volendo
riconoscere luoghi, personaggi, eventi che ne hanno caratterizzato la funzione della pittura romana, pittura
trionfale, dimostrando di avere vinto tramite le immagini, comprensibile agli analfabeti.
Schema del rilievo basata su livello topografico tipologica, con scene di assedio, intervallate a scene di pausa,
e scene di transito in cui si dava da mangiare alla popolazione (mietitura). Scene legate alle scene di Traiano,
scene di pausa. Traiano è raffigurato più altro dagli altri per marcare il suo ruolo.
Scene di battaglia molto vivaci e crude.
Apollodoro, sceglie la dea Vittoria, poggia il piede sul un elmo, usa uno scudo come supporto per scrivere il
vincitore.
Imperatore non è solamente uomo soldato. Ma garantisce ai popoli con cui entra un conflitto, e che
sottomette una serie di opere, che migliorano il luogo, per le infrastrutture.
Dal basso si riescono a vedere 6 file della colonna, si pensa che dalle biblioteche si potesse vedere qualcosa.
Secondo una teoria, si riusciva a sì poteva riconoscere delle imprese.
Rappresentazione del fregio, rimane il focus dell’opera, rappresentando le scene di guerra, e rendere la
dinamicità dell’arte plebea, fondendone i due aspetti.
Colonna pensata come luogo di sepoltura di Traiano, si pone come un monumento unicum, perché la legge
non consentiva di seppellire nel Pomelio. La critica ha sottolineato, come questo foro non aveva un tempio,
secondo un’ipotesi Traiano, avendo fatto queste imprese, infondo al foro si aveva un’aurea sacrale senza
un vero dio.

Mercati Traianei costruiti da


Apollodoro, costruiti alle appendici del
quirinale, rese necessarie con il taglio
nella sella, tra capitolium e Quirinale. A
ridosso del muro che delimitava il lato
nord-est del foro di traiano. Realizzata
una strada, che isolava i 2 nuclei, rialzata
rispetto la strada, realizzata una serie di
moduli costruttivi, iniziano da un
complesso di taverne porticate, con una
serie di vani, che caratterizzano un
profilo della piazza. Tra gli spazi di risulta
salendo di livello, verranno costruiti altri
vani. In una seconda strada Biberatica, va
a servire un altro libello di taverne, con facciata con frontoncini semicircolari.
Dietro alla via Biberatica, ci sono altri vani che vendono merci. La presenza di strade non rettilinee, che fa
riflettere sull’idea sbagliata di linearità, nella fase Adrianea e Traianea, si vuole creare forme nuove, con
facciate trilobate e curvilinee.

Figura di Traiano, che conquista, ma si preoccupa del popolo, e per le persone, attraverso le forme
architettoniche, ovvero per il mercato e le terme.
Terme di Traiano 104-112 d.C  occupano 10
ettari, con complesso 130x115m, su progetto di
Apollodoro, che pensa di codificare l’impianto
termale su impianto assiale. Percorso termale che
va dal freddo al caldo, e dal caldo al freddo.
Disposti in maniera simmetrica, lasciando
compatto il blocco di vani per l’igiene personale,
all’esterno grande area scoperta, richiusa da cui si
accede da una sorta di propileo. Successione che
parte dal grande vano centrale, la grande piscina
collegata allo spazio per il frigidarium. Area per il
tiepidarium, area intermedia, 20-30 gradi. Il
calidarium, stanza per il bagno caldo, che conclude
l’asse di percorrenza per la costruzione. Intorno
all’asse di costruzione Apollodoro moltiplica altre
sale, pensate per tipiche dell’essere alle terme,
sale per i massaggi e per il riposo, dove poter
ascoltare delle recitazioni, e poesie, con
biblioteche, luoghi per rilassarsi. Attenzione per la popolazione, che si traduce in forme monumentali. Qui
ci sono linee più morbide e curve, e non rettilinee come quelle degli altri imperatori.

Arco di Benevento eretto per celebrare il nuovo tratto


della via Appia Traiana da Benevento a Brindisi, 114 d.C. Si
tratta di uno degli archi meglio conservati, con un solo
fornice, le vittorie che occupano nell’angolo del fornice.
Questa costruzione pensata per chi arriva e chi esce della
città, in base all’ingresso cambiano i messaggi espressi.
Dall’interno ci sono immagini legate all’arrivo di Traiano, al
suo essere accolto dalla popolazione, le sue azioni di pietas.
Mentre le scene sono legate alle imprese militari, e
all’interno dell’arco si hanno gli esiti finali, ovvero i bottini e
beni della popolazione, ovvero institutio alimentaper la
popolazione poteva evitare di pagare di tributi, e beni di
prima necessità.
Sulla parte alta dell’arco, la celebrazione di Traiano
coronato dalla Vittoria, con cornice e cataste d’armi.
Verso l’esterno, scene che richiamano la sua attenzione
verso l’esercito.

Plutei di Traiano dentro la curia nel foro, che mostrano le azioni che fa per la popolazione, che istituisce
l’esenzione del pagamento di certi tributi. La scelta di aiutare le popolazioni in difficoltà economica. I
cittadini con i debiti, vengono distrutti azzerando i debiti.

Dopo Traiano che muore in Cilicia nel 117. Gli succede Adriano, suo cugino originario
della Spagna, e che è detto l’imperatore filosofo. Lui rende l’idea di solidità e
prestigio, come Traiano ampliando i confini, che fa della cultura una delle cifre della
forza dell’impero.
Adriano si impone come architetto, scrittore, pittore, uomo di cultura. Recepisce
dalla Grecia, il ritratto dell’imperatore- filosofo, riconoscibile per la barba e
capigliatura riccia.
Vibia Sabina è la moglie di Adriano, che non ama molto, ma si innamorerà molto
Antino, suo compagno che morirà prematuramente.
L’imperatore fa costruire su suo
progetto il tempio di Venere
Roma viene costruito nel luogo,
in cui Nerone aveva messo
l’ingresso della domus aurea. Si
pone tra il foro romano e il
Colosseo, sposta da qui il colosso di
Nerone, trasformata in statua di
elios.
Realizza un’enorme piattaforma di
145x100m, che è racchiusa da un
muro non continuo con una serie di
aperture, con aperture che
immettono nello spazio la costruzione templare vera e propria.
Si pone in maniera discontinua e difforme, rispetto alla tipologia templare classica, non su un podio ma su
un enorme basamento, sorta di crepidoma a più gradini, circondato da peristasi su tutti e 4 i lati, 10x19
colonne. All’interno i 2 templi gemelli sono presentati da un profondo pronao.
All’interno la cella ha delle nicchie laterali, che inquadrano l’abside con Venere da una parte e Roma
dall’altra.
Subì una serie di rifacimenti in epoche successive, Apollodoro, non approvò questo progetto, per era
difforme dalla tradizione romana. Apollodoro venne cacciato da Adriano, entrato in contrasto dopo la
morte di Traiano, ci dà comunque la misura di quelle che erano i dibattiti culturali.

Pantheon, 118-128 d.C in Campo


Marzio, dove Agrippa aveva realizzato
prima un tempio chiamato Pantheon,
dedicato a più divinità, e poi distrutto da
un incendio nell’80, in altro incendio
durante Traiano, questo permise a Adriano
di ripensare totalmente all’edificio. Il quale
inizialmente era un rettangolo, in pianta,
ampio e aperto a sud, dal lato dei grandi
edifici realizzati in campo Marzio.
Il tempio di Adriano viene rovesciato totalmente, ora con forma circolare, con area di ingresso, con pronao
affiancato da 2 ambienti absidati laterali. Oltre i quali si accede alla struttura centrale, che va a costituire la
grande nudità, con una organizzazione della tecnica costruttiva, con progressivo impiego di materiali
sempre più leggeri fino in alto.
In origine la cupola aveva tegole in piombo, sostituite da tegole in bronzo. Al centro grande oculus di 9m.
Altezza ha 33,9 m, cupola emisferica, e da Vitruvio si avevano dedicate delle cortezze di cupole tipo
termale, marmi policromi, di cui i
pavimenti con motivi quadrati e
circolari, sulle pareti, nicchie con
abside sulla linea dell’ingresso.

Mausoleo di Adriano  viene


realizzato sulla destra del Tevere
sul campo Marzio, servito dal
ponte Aelius, ora ponte di
S.Angelo. Ispirato dal mausoleo di
Augusto amplificandone le
dimensioni. Si dispone su un dado
con base di 84 m di lato e di h
10m, si pone il tamburo in marmo
rivestito, con ingresso dal alto del ponte. Al di sopra di ha un diametro di 60m,
dagli scavi dicono che ci sia del tufo rivestito da del travertino in lastre. Al di
sopra del tumolo, si ha del verde con vegetazione, e al di sopra si aveva la
quadriga di Adriano in bronzo.
Dal quinto secolo fu spogliato da decorazioni, e che ora è Castel S.Angelo.

Il compagno di Adriano, Antinoo fu oggetto di raffigurazioni mentre fu in vita,


ma quando muore gli vengono dedicate varie statue, per celebrarne l’aura
sacra. Antoeia erano luoghi di culto in onore di Antinoo, di quelle che erano le
linee classicistiche dell’arte romana, scegliendo una nudità eroica totale, con
modellato liscio, a cui fa contrasto la capigliatura arricciata, cifra stilistica di
Antino.

Alcune opere riutilizzate in altri monumenti, come l’Arco di Portogallo,


mostrano ulteriori immagini di Adriano come marito che celebra l’apoteosi della
moglie di Sabina, trasportata da Ion in cielo, o come colui che parla al popolo
romano o senato, nel foro.

Villa Adriana  copre 300 ettari,


e che è vicino a Tivoli. Nasce
come l’idea di scardinare l’idea
della villa. Questa è una villa
come una città, con tutti i servizi
necessari, 4 aree sono i nuclei in
cui è suddivisa la villa:
- Zona della Piazza d’Oro
- Pecile
- Canopo
- Roccabruna
All’interno più costruzioni che
segnano lo spazio di costruzioni
che viene ad essere una piccola
città servita, con strutture
infrastrutture che garantivano un
personale di servizio. Villa
Adriana, ha una parte ipogea,
con sale di servizio.
Adriano scrive di queste
strutture.
Piazza d’Oro, con enorme area scoperta con peristilio, con nucleo della sala centrale polilobata, che
richiama il perimetro, mosso, che Apollodoro ha proposto, nelle terme di Traiano, con grande ninfeo sul
fondo, che abbellisce questa grande sala.
Area del Pecile, con grande piazza colonnata, con forma rettangolare, con al centro un bacino d’acqua, con
sistema di subsutruzioni, 100 camerelle, per sopraelevare il piano di calpestio, per rendere consolidato il
nucleo, con stanze.
Canopo, prende nome da una città del basso Egitto, unito da Alessandria da un canale artificiale, qui
riprodotto in miniatura, con statue con divinità greche, Marte e cariatidi, con edifici come il Serapeion, che
richiamano la volta.
Grandi Terme, altra grande costruzione, per servire la corte della villa.
Teatro Marittimo, probabile residenza dell’imperatore, con una sorte di isola circolare, con peristilio, e
canale che la circonda.
Roccabruna, grande torre sul paesaggio, luogo del godimento del paesaggio circostante che resta
conservata.

Adriano scardina in senso positivo, la forma dei grandi palazzi imperiali, e l’idea della regalità. Da qui
ulteriori sollecitazioni, che permetteranno di sperimentare e ridefinire l’idea di un’archiettura.
LEZIONE 22 | 4 maggio 2022

L’ARTE NELLE CITTÀ DI PROVINCIA E NELLE PROVINCE NEL II sec. d.C. - dal regno di Traiano agli
Antonini

L’Impero Romano nel II sec. d.C.:

- Traiano, 98-117
- Adriano, 117-138
- Antonino Pio, 130-161
- Marco Aurelio, 161-180
- Commodo, 180-194

OSTIA ANTICA | Una città provinciale esemplificativa di altri contesti dell’impero

Ostia è una città prossima a Roma.

- è l’immediata trasposizione di molti


messaggi della propaganda imperiale
attraverso il mondo commerciale per
vicinanza topografica;
- dalla fine del I a tutto il II sec. d.C. ha una fase
interessante di sviluppo ed evoluzione, utile
per capire come al di fuori della capitale in
città di provincia vengano recepiti determinati
1 mappa topografica di Ostia antica
messaggi. In questo modo si possono seguire gli
sviluppi anche da punto di vista socioeconomico e politico dei commercianti (= base forte ed
economicamente attiva dell’impero).

Ostia ha avuto una stagione di scavi molto importante agli inizi del ‘900. I principali studiosi (Becatti, Calza e
anche architetti come Gismondi) hanno applicato delle indagini con metodo stratigrafico, che hanno
consentito di portare in luce una città ben conservata ed estremamente ampia e organizzata in maniera
complessa, lasciando molti dati di tutto quello che si andava scoprendo. = Si scoprono aspetti monumentali
e architettonici, ma anche documentazione di reperti, mosaici e pitture che però dopo quasi cento anni non
sono più conservati come quando vengono scoperti.

• Ostia è una colonia romana dal IV secolo a.C., anche se la tradizione la voleva legata già alla fase
regia.
• Diventa il porto fluviale di Roma perché sorgeva alle foci del Tevere, tanto è vero che il toponimo
Ostia è legato alla parola latina hostium che significa ‘foce’.
• Nasce per controllare la zona portuale marittima a sud di Roma.
• La tradizione ne affida un primo nucleo ad Anco Marzio, il quale aveva l’intenzione di sfruttarne le
potenzialità di luogo da cui trarne benefici per la presenza di saline, che già in epoca arcaica
costituivano un’opportunità di commercio molto elevata.
• Da un punto di vista archeologico non sono stati trovati dei resti precedenti al IV secolo. Per questo
si ritiene che se ci dovessero essere stati dei primi insediamenti erano sporadici e non strutturati
(come invece si registrano a partire dal IV secolo quando vengono realizzate delle prime cortine in
muratura, di cui sono stati trovati i resti in blocchi di tufo, che vengono costruite proprio perché dal
IV secolo Ostia è una colonia romana. Per la protezione delle attività legate alle saline il castrum ha
questa funzione).
Dal punto di vista geomorfologico, in età antica e fino alla metà del XVI secolo, il fiume scorreva prossimo
all’insediamento e solo dalla metà del secolo per un’alluvione il fiume viene deviato e quindi non più tangente
alla città.

La prima fase di occupazione in senso anche monumentale della città coincide con il II secolo a.C. = momento
in cui Roma conquista tutta la penisola (a parte l’area settentrionale) → conquista anche la Sicilia e tutto
quello che è attorno alla movimentazione delle merci. Dal 146 quando distrugge Corinto occupa anche tutto
l’Oriente del Mediterraneo e di conseguenza tutti i traffici.

Ostia assume un ruolo centralissimo che conserverà per


quattro secoli fino al II-III sec. d.C. quando i poli politici ed
economici si sposteranno nell’Africa settentrionale (grazie a
un imperatore che viene dall’Africa). Poi l’impero verrà
suddiviso e i traffici si sposteranno.

Dal II secolo d.C. lo sviluppo della città conosce una fase


interessante perché nell’area centrale della città viene
sviluppato il Foro cittadino → mostra di possedere i
monumenti tipici dell’urbanitas romana.

Il CAPITOLIUM è rispettoso della tipologia etrusco-italica


dell’edificio sacro su alto podio con scalinata monumentale
di accesso, una fronte esastila con intercolumnio centrale
leggermente maggiore rispetto a quelli laterali per
enfatizzare ulteriormente l’ingresso nello spazio sacro. C’è
anche una seconda fila di colonne ai lati, quindi per
sottolineare l’area del pronao e dell’ingresso alla cella. La cella è
quadrangolare con una serie di rientranze, nicchie rettangolari e
semicircolari che inquadrano lo spazio sacro all’interno del quale erano
poste le statue della Triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva). È un
tempio canonico che risponde alle necessità di rappresentazione della
dimensione religiosa della città, ossia della componente civica.

La componente civica necessita anche di costruzione per le attività giudiziarie, per le


transizioni come la basilica → BASILICA GIUDIZIARIA = grande aula con una fila di
colonne che vanno a suddividere in più navate lo spazio interno e che normalmente
ha sul fondo una tribuna, dalla quale gli oratori parlavano.

Le persone coinvolte nelle varie questioni giuridico-amministrative si confrontavano


di fronte al pubblico.

Oltre alla basilica giudiziaria, nella parte opposta del Capitolium,


dalla prima età imperiale si apre il TEMPIO DI ROMA E AUGUSTO,
di cui restano pochi dati (restano alcune partizioni dell’apparato
scultoreo e una parte del frontone) perché ha subito pesanti
distruzioni.

È importante considerare il fatto che lo spazio è marcato dai


principali edifici dello spazio civico della città.
Non lontano dal foro, sorgono le TERME DEL FORO → ulteriore segno dell’adesione
della cittadinanza alle forme di rappresentazione del potere imperiale. La datazione
risale al II secolo d.C., ma all’interno di questo spazio della città le terme acquistano
un ruolo centrale per testimoniare anche ad Ostia questo tipo di edificio.

Ha un impianto canonico con successione di vani rispetto ad un asse centrale, anche


se non sono come le terme imperiali (cfr.
Traiano) e hanno una dimensione meno
di rappresentanza.

Questo non esclude il fatto che la città ha un teatro → TEATRO DI OSTIA con
tipologia edilizia simile ad altri contesti.

Dietro la scena viene successivamente costruito uno


spazio coperto e porticato = PIAZZALE DELLE
CORPORAZIONI. → È una piazza, che ha la funzione di porticus post scenam rispetto
alle tipologie precedenti.

- funzione di luogo di ritrovo per la principale componente della città:


commercianti e imprenditori.
- È una grande piazza porticata (125x80 m) con un’alternanza di colonne ioniche
(interno) e tuscaniche (esterno) in laterizio, che aveva tutto intorno una serie di
vani = sede delle varie corporazioni che lavoravano e commerciavano nella
città. In questi ambienti sono conservati anche mosaici, che veicolano
messaggi sulle attività commerciali e mercantili. In uno di questi viene
rappresentato un momento cruciale come il trasbordo delle merci da
grande nave oneraria a nave più piccola che risaliva il Tevere e trasportava
i prodotti.

Questo tipo di costruzioni e spazi edilizi ci dà la misura della centralità e del potere politico e decisionale di
questa componente sociale all’interno della comunità di Ostia. = Segna lo scarto tra il dominio prevalente di
poche famiglie aristocratiche (avevano gestito in precedenza questa attività), a favore di una classe media
non elevata da un punto di vista della genealogia ma posizionata in un settore sociale non così basso per le
potenzialità economiche che aveva. → Questo tipo di realtà si trova in tutte le città ma ad Ostia acquisisce
un ruolo importante anche perché queste corporazioni (i colegia, i corpora) avevano come elemento
comune:

- obiettivi comuni e quindi elaboravano strategie per favorire l’accrescimento della loro attività
produttiva;
- una divinità condivisa alla quale dedicavano una statua di culto all’interno del loro schola (= termine
per indicare la struttura architettonica nella quale si trovavano i vari afferenti a un determinato
collegium). Non a caso anche nel Piazzale delle Corporazioni viene posizionato un edificio di culto =
piccolo tempio

Da un punto di vista archeologico è stato notato come tanti soldi fossero stati spesi per questi spazi
comunitari di tipo commerciale, ma anche per restaurare e manutenere quelli che erano stati gli edifici aperti
sul foro di età repubblicana, che venivano a essere meno centrali nella logica dell’insediamento,
dell’evoluzione e dell’investimento economico da parte della popolazione, ad eccezione di alcuni edifici come
quelli di culto in onore di Augusto e più in generale degli Augusti (Augustea) che erano affidati a Servili
Augustales (collegio sacerdotale formato da liberti, quindi l’amministrazione sceglieva esponenti di rango
medio-basso a cui veniva affidato questo tipo di mantenimento e gestione delle attività religiose). La matrice
su cui sia articola la composizione sociale e la forza della comunità sta nel riconoscersi attorno a un potere
forte, che assicura interventi di edilizia specifica ma anche contributi economici dove necessari.

Le aree portuali di Ostia in rapporto al Tevere: PORTO DI CLAUDIO E TRAIANO

La città si fonda sulla sua prossimità al fiume. Il porto di Ostia


è stato oggetto di grandi studi e scavi recenti funzionali a
ricostruire le attività realizzate nell’area del porto nel tempo.
Già in epoca repubblicana (dal IV-II sec. a.C.) dovevano esserci
delle banchine e alcune costruzioni di regimentazione del
corso del fiume, il quale depositava enormi quantità di detriti
che avevano la caratteristica di insabbiare velocemente e in
maniera rilevante l’area antistante la foce e quindi impedire
l’attracco delle navi.

Questa parte antica è stata oggi bonificata in parte (costituisce un’area di un parco naturalistico), mentre la
parte più interna è quella che ha ottenuto una maggiore rilevanza dal punto di vista strutturale e
organizzativa. Risale alla fase di Claudio, alla metà del I secolo a.C. perché si sa che nel 42 Claudio aveva
realizzato un’area portuale di grande rilevanza (bacino di circa 150 metri) con un affaccio sul mare che oggi
non è stato immediatamente possibile riconoscere per i mutamenti geomorfologici, ma che doveva
prevedere un’isola artificiale, sulla quale era costruito faro (cfr. Alessandria). = operazione complessa che fu
avvalorata dal fatto che Claudio aveva fatto scavare dei canali artificiali (in latino fossae) → dovevano
consentire alle navi la possibilità di rientrare verso l’interno del porto in maniera agevole, senza incappare
nelle sedimentazioni fluviali e permettere trasbordo delle mercanzie dalle navi onerarie alle navi che
dovevano risalire il Tevere per portare le merci a Roma.

Questo sistema è interessante anche per l’area veneta perché la Venetia di epoca romana ed etrusca è stata
un’area interessata da operazioni di questi tipi, di cui ci restano molte testimonianze letterarie = ci parlano
di fosse scavate dai vari imperatori per permettere una navigazione endolagunare da Ravenna fino ad
Aquileia ed oltre (Fossa Augusta, da Ravenna ad area di Adria, Fossa Flavia da Adria a Chioggia e Fossa Clodia
a Venezia che permetteva l’ingresso nella laguna).

Nonostante questa operazione di Claudio, gli interventi non


furono sufficienti ad ostacolare le masse di detriti che finirono
per bloccare nuovamente l’area portuale di Claudio.
Obbligarono Traiano a intervenire creando un nuovo enorme
porto → realizzato tra il 100 e il 112 d.C. e copriva un’area di 33
ettari.

- Aveva più punti di attracco per le navi, che entravano dal


mare verso l’interno.
- Ha una forma esagonale con lato di 357 metri, ai cui
angoli erano posizionate diverse aree di attracco per le navi con grossi anelli ferma gomene.

Attorno a quest’area Traiano sviluppa una serie di infrastrutture e strutture necessarie all’attività portuale e
mercantile. Anche Traiano fa scavare delle fosse, tra cui il principale è il Canale di Fiumicino, e attraverso
questo sistema viene incanalata l’acqua del fiume verso il mare in maniera più organizzata e funzionale per
fare in modo che il porto fosse libero da questi detriti.
Questo porto diventa un punto di riferimento essenziale con una reciprocità con il bacino precedente di
Claudio assicurato da serie di infrastrutture che avevano la funzione di mantenere attivo quel settore. Oltre
al bacino, viene realizzata anche la VIA FLAVIA che univa l’area portuale con la zona di Ostia.

Apollodoro di Damasco è il grande architetto di Traiano, che sta dietro il progetto di questa grande opera.
Gli altri architetti che lavorano con lui pensarono che questo polo attrattivo non fosse solo funzionale a
garantire una trasposizione delle merci. Era anche un luogo degno della casata imperiale nel senso che
doveva essere un biglietto da visita per tutti coloro che arrivavano dal mare alla penisola.

Per questo motivo lo spazio portuale doveva avere una statua di Traiano:

- ne marcava la paternità e l’idea progettuale = l’auctoritas in quanto tale;


- il fatto che Traiano si pone come imperatore al servizio della popolazione e dell’impero e quindi deve
essere colui che rappresenta l’idea stessa di liberalitas = azioni di liberalità nei confronti della
popolazione attraverso costruzioni di questo tipo, ma anche costruzioni che, appena arrivati ad Ostia,
potessero prestare una prima forma di ospitalità ai viaggiatori di un certo livello. Tanto è vero che
attorno allo spazio portuale vengono costruiti:
• edifici che servono a contenere, distribuire e conservare le merci;
• edifici sacri come il tempio di Portuno;
• edifici che potessero costituire delle residenze come il Palazzo imperiale, che era un luogo
nel quale viaggiatori di rango potevano avere una sorta
di albergo degno del loro livello sociale e in cui fare una
sosta prima di proseguire il viaggio.

La costruzione di questo porto fa sì che la zona prossima al porto sia un


nuovo centro che avvia importanza anche dal punto di vista insediativo =
nasce una cittadina che si chiama PORTUS, in contrapposizione con il
nucleo antico di Ostia tanto è vero che dal III secolo sarà Porto ad avere
un ruolo più rilevante rispetto ad Ostia. -> Questa sistematizzazione
dell’area portuale agli inizi del II secolo fa sì che si intensifichino non solo
gli arrivi e le permanenze delle persone da tutto il Mediterraneo, ma che
nella città abitino anche delle persone.

I tre tipi di caseggiati attestati ad Ostia

Ostia è un esempio di come si sviluppi la tipologia edilizia del caseggiato a più piani, di cui abbiamo esempi
anche a Roma, ma che a Ostia viene testimoniato e documentato archeologicamente in maniera rilevante.

Questi caseggiati (insulae in latino) servivano a risolvere il problema del sovraffollamento di una città
commerciale. = dovuto al fatto che grazie ai commerci e agli incrementi di tutte le transizioni che il porto
aveva promosso implica che le persone stessero bene, potessero riprodursi in modo considerevole o decidere
di fermarsi qui occupando un’area che inizialmente non era pensata per un numero consistente di persone
ma che nell’età imperiale diventa un problema reale.

Questo problema viene risolto con uno sviluppo dei caseggiati in altezza, non diversamente dai nostri
condomini, anche se restano alcune domus di livello con sviluppo in senso areale e consistente. Le insulae
rispondono ad una popolazione medio-bassa.

Già dalla planimetria si capisce come questi edifici non dovevano rispondere ad esigenze di tipo
autorappresentativo ma ad esigenze logistiche come luogo dove abitare con sviluppi differenti a seconda
delle possibilità economiche dei vari proprietari. Questi edifici (giallo chiaro nella mappa topografica)
occupano una parte specifica della città (centro occidentale) con tipologie diverse.
L’archeologia, in particolare con gli studi di Daniela Scagliarini Corlaita
nel 95, ha rilevato come ci fossero tre tipi di caseggiati ad insulae che
potevano avere una prevalente funzione commerciale, residenziale o
mista a seconda dell’organizzazione dalla quale erano costituiti.

TIPO 1: Case con botteghe sulla strada → Es: Casa del Thermopolium
e del Larario, con veduta del cortile interno (foto)

La prima tipologia ha al piano terreno delle botteghe caratterizzate da


apertura sulla strada, su uno spazio centrale condiviso = cortile scoperto.
Questo tipo di edifici aveva un mezzanino (piano superiore) che in latino
corrisponde alle taberne con pergolis e che veicolano il rapporto
intermedio tra spazio pubblico (come il contatto sulla strada o sullo spazio
interno che è comunque pubblico perché luogo in cui avviene sorta di
piccolo mercato) e i piani superiori privati in cui si andava ad abitare.

TIPO 2: Caseggiati ad esclusivo uso residenziale → Es: Caseggiato dei Dipinti

È sviluppato in senso verticale. È un caseggiato che ha esclusivamente destinazione di tipo


abitativo e quindi ci possono essere dei nuclei residenziali aperti su cortili comunitari. Ha
uno sviluppo su più piani e che normalmente potevano essere distinti tra persone di rango
medio che occupavano i primi piani e andando più in alto abitavano le persone che
disponevano di ricchezza inferiore. Questo tipo di insula ha una sorta di giardino
condominiale che costituisce una fonte di luce e ricambio dell’aria per i diversi piani.

È stato calcolato che gli appartamenti più prestigiosi potessero arrivare a uno sviluppo di
circa 500 mq (piano terreno + primo piano) dove al pian terreno c’erano le stanze di prestigio
come i triclinia, mentre nelle parti del primo piano vi erano le stanze private o quelle per la servitù.

In alcuni casi gli appartamenti collocati ai piani superiori potevano essere raggiungibili anche da scale poste
all’esterno del blocco abitativo per differenziare gli accessi tra le varie componenti del caseggiato.

TIPO 3: Case a giardino. → nel II secolo hanno un incremento particolare.


È un immobile a funzione mista, nel senso che rispetto a due nuclei
abitativi centrali rispetto ad un’area scoperta con articolazione modulare
e speculare tra i vari nuclei delle abitazioni si potevano disporre anche
una o più file di taverne che andavano a rapportarsi con l’esterno sulle
strade o con l’interno dei giardini comuni. Questo tipo di insediamento
prevede un unico ingresso monumentale (in questo caso da est) che va a
costituire l’ingresso del condominio.

LA PITTURA OSTIENSE: evoluzione dello stile pompeiano -> es. Domus di


Giove e Ganimede

Da un punto di vista decorativo, Ostia rappresenta anche una città


nella quale è possibile registrare un’evoluzione tra il IV stile e le
soluzioni pittoriche che si sviluppano successivamente al 79 d.C. (data
di cesura di Pompei) che non si ferma al di fuori dell’area vesuviana.
Permette di riconoscere come la pittura antica si evolva sempre più
verso una tendenza che va ad esaurire le spinte nella resa delle
partizioni pittoriche strutturate rispetto ad un’organizzazione
prospettica complessa verso una generale semplificazione.
Ad Ostia per quanto si rispetti una tripartizione tra la fascia inferiore (zoccolo che può essere occupata da
fascia monocroma e articolazione su più pannelli) si sviluppa poi sulla parte mediana, poi si sovrappone una
terza fascia senza più riuscire a realizzare pareti organizzate con tripartizione in pannelli (cfr. Domus Aurea).
Anche le prospettive, ossia le visioni di architetture in prospetto che perdono coerenza volgono a una
concentrazione dello sguardo su pannelli che occupavano la parte centrale della parete piuttosto che creare
delle composizioni organiche.

Nell’epoca tardo-antica la prospettiva cambia in senso ideologico. → non è più necessaria una
rappresentazione realistica della natura, ma c’è la tendenza a un’idealizzazione di un’espressione della
pittura a livello simbolico, funzionale a rispondere a un’ideologia religiosa e culturale più vicina a un’idea
dell’arte simbolica, frutto di un cambiamento culturale che la religione cristiana impone. Non è una regola
assoluta, quindi ci sono pitture tardo-antiche che riprendono schemi classicistici o naturalistici perché
funzionali a trasmettere una certa iconografia, ma anche un livello più aulico in cui l’idea è quella di esprimere
un concetto astratto di un tema con funzione simbolica più marcata. = Non si parla di continuità dal punto di
vista delle capacità di realizzazione dell’architettura, ma occorre sempre ricordare la committenza dell’opera
e quindi che cosa chiede e cosa vuole esprimere.

HORREA EPAGATHIANA = Tornando all’idea del caseggiato, allo spazio dei luoghi di
produzione ci sono anche gli Horrea cioè i grandi magazzini, i luoghi in cui venivano
trasferiti i beni richiamano l’idea di questi caseggiati organizzati rispetto a una corte
centrale.

Riprende il modello ad insula per organizzare uno sviluppo verticale rispetto ad una
corte centrale. In questo caso sono edifici di proprietà dei liberti (si sa per serie di
iscrizioni rimaste) e che organizzano varie stanze attorno al cortile centrale con
all’esterno fila di botteghe che si aprono sulla strada. Dal punto di vista costruttivo e decorativo vi è una
tendenza all’uso del laterizio per la decorazione delle facciate esterne, sopra le quali poteva esserci una
balconata con fila di finestre che servivano ai piani superiori di questi edifici.

Se si considera quella che è la classe più agiata, ad Ostia si trovano


anche degli esempi di Domus, che mostrano un’ulteriore evoluzione
della tipologia ad atrio (cfr. fase repubblicana). → CASA DI APULEIO
(autore del II sec. d.C. che ha scritto le Metamorfosi, uno dei pochi
romanzi rimasti dell’antichità). La critica ha voluto per una serie di
motivi riconoscere Apuleio come uno dei proprietari di questa domus.
Questa domus è contigua al Piazzale delle Corporazioni. Il nome del
proprietario è stato ricollegato grazie all’individuazione di una serie di fistule acquarie che portano il nome
di Apuleio.

Ha uno sviluppo ad L in senso longitudinale, con un’area che si apre sulla strada con serie di vani, tra cui
anche un vano ad uso misto con sviluppo verso il centro dell’abitazione = cortile ad
otto colonne corinzie, rispetto al quale in asse con l’ingresso si pone la sala principale
(sorta di tablino), presso la quale ci doveva essere anche una latrina.

Ci sono anche una serie di vani che si aprono sullo spazio scoperto e che sono
riconoscibili nella loro funzione residenziale anche per la presenza di partizioni
pavimentali di prestigio sia in opus sectile che in opus tessellatum (tecnica musiva
che utilizza le tessere in pietra bianca e nera o colorato rispetto all’opus sectile che
ha le lastre in marmo policromo che vanno a decorare le superfici).
Negli altri vani si evince una scelta decorativa che risponde a quelle che erano le mode dell’epoca = mosaici
bianco e neri con sistemi geometrico-floreali o figurati (es. testa della Gorgone).

Altro nucleo interessante della casa è il settore occidentale perché questa abitazione era
in connessione con un luogo di culto particolare → Il MITREO DELLE 7 SFERE

Il Mitreo è una costruzione specifica per un credo religioso, che ha come protagonista
una divinità iranica che è Mitra. È costituito da ambiente rettangolare connotati da lunghi
banconi sui quali sostavano e prendevano posto i fedeli del culto, che assistevano ai riti
che si svolgevano sul fondo del vano dove solitamente c’era l’iconografia del dio. La
prossimità del luogo di culto alla casa permette di richiamare l’attenzione sul fatto che
alcune tipologie religiose (quelle mitraiche in particolare) hanno avuto una versione
privata rilevante anche in considerazione del fatto che a fronte di mitrei
pubblici, cioè realizzati a spese del governo si contano numerosi esempi
di mitrei di minori dimensioni ma contigui alle abitazioni e con molta
probabilità finanziata da privati.

Questo perché il mitraismo è stata una religione per iniziati di tipo


misterico, che ha avuto un grande successo nella Roma del primo impero e anche nelle province.

Il MITRAISMO = religione monoteistica di origine orientale che dal I sec. d.C. attecchì fra soldati, schiavi,
mercanti e gli imperatori ne favorirono la diffusione. Aveva elementi molto simili se non identici al
cristianesimo e motivo per cui alla fine dell’impero (V sec.) il paganesimo non viene più riconosciuta come
religione ufficiale, molti di questi mitrei vengono distrutti o simbolicamente coperti da edifici ecclesiastici
cristiani. Così si viene a suggellare monumentalmente la vittoria del cristianesimo sul paganesimo
rappresentato dal mitraismo.

La diffusione tra gli stati meno levati della popolazione era resa forte
dal fatto che questa religione prevedeva una serie di gradualità,
nell’essere iniziati che richiamava i gradi propri del cursus sonorum o
del cursus militari che richiamavano lo sviluppo presso le cerchie
militari della popolazione → c’erano 7 gradi di iniziazione (Corax,
Crypticus, Miles, Leo, Perses, Heliodromus, Pater), una costellazione di
pianeti e divinità che presiedeva a tutti questi diversi gradi che
2 dipinto di un mitreo Ipogeo da Marino
culminavano con il Pater (personalità di rilievo nella comunità) e che si
incentravano su un richiamo di un iniziale rito svolto da Mitra per ostacolare le forze del male e far prevalere
le forze del bene attraverso il sacrificio del toro. Dal sangue del toro presero vita tutti gli esseri viventi e tutte
le forze del bene che si inseriscono all’interno di un ciclo di vita di cui Cautes e Cautopates sono i due simboli.

- CAUTES è colui che tiene la fiaccola verso l’alto, che indica simbolicamente l’inizio della giornata,
l’inizio della vita;
- CAUTOPATES è colui che tiene la fiaccola verso il basso e che quindi segna la fine del ciclo biotico.

Il contesto è un circuito simbolico, che per la tradizione del mitraismo coincide con una grotta; infatti, i mitrei
sono realizzati in un sottosuolo vero o semi vero o sopratterra, ma la decorazione con la quale vengono
rivestiti deve richiamare l’idea di un sottosuolo = elementi che richiamano le concrezioni rocciose, sorgenti
che scaturivano da grotte. Si ha quindi una conformazione dei mitrei a forma di grotta reale o presunta.

Tutto l’aspetto della simbologia delle immagini non interessa solo le pitture private ma interessa anche i
luoghi di culto nel quale trovavano posto diversi esponenti della comunità cittadina.
Questo tipo di religione non si trova solo ad Ostia ma in tutto l’impero, tant’è che esistono una serie di volumi
che conta decine di libri dedicati al mitraismo e che raccolgono tutte le informazioni che riguardano questo
luogo di culto, il quale è stato un vettore di penetrazione della romanità che ha attecchito nelle aree di
confine e in cui i militari risiedevano a protezione delle aree liminali = hanno lasciato traccia, sia da un punto
di vista strutturale che dal punto di vista degli oggetti dedicati.

Dalle case dei vivi alle case dei morti. La necropoli ostiense di Porto nell’Isola Sacra

Ostia non è solo la città dei vivi, ma anche la città dei morti. Le necropoli
ostiensi hanno rappresentato straordinari luoghi di studio di quelle che
sono state le evoluzioni dei rituali della cremazione/inumazione
(convivono in questi luoghi) ma che parlano anche della tipologia delle
tombe come spazi molto interessanti per comprendere il mondo ideale
degli antichi.

Vi è un sepolcreto lungo la strada che collegava l’area portuale con la


città che va a costituire luogo importante in cui è possibile notare come questi spazi sono i luoghi in cui
rappresentavano sé stessi e la propria attività lavorativa svolta durante la vita.

Rilievo fittile dalla tomba 29 → È un rilievo che viene da tomba che svolgeva attività
di arrotino. Espone nella sua tomba una serie di oggetti in metallo che vendeva ed
elaborava nella sua bottega, per dare l’idea di come queste persone avessero interesse
a rappresentarsi sia a livello di immagini che strutture funerarie.

Da un punto di vista di storia delle religioni è


interessante ricordare che i primi scavi avevano
avuto un approccio tipologico all’analisi e allo
scavo di questi monumenti facendo sì che ognuna
di queste tombe venisse smontata e suddivisa su
base tipologica (vedi ppt p.29-30) = venivano
analizzati gli aspetti architettonici, scultorei,
musivi e pittorici senza leggere il contesto nel suo
insieme. Questo viene fatto dagli anni 70-80 da
Ilda Baldassare e Ilenia Bragantini, le quali hanno tentato di ricostruire e rispiegare ogni singolo contesto
facendo dialogare i diversi aspetti che potevano costituire questa realtà.

L’organizzazione prevede una disposizione dei monumenti che si sviluppa rispetto al tracciato viario con
strutture a pianta quadrangolare o rettangolare, che possono prevedere la presenza di un recinto nel quale
venivano svolte tutte quelle attività di memoria dei defunti che si svolgevano durante i Parentalia nella
stagione autunnale.

In queste tombe l’archeologia ha trovato sia spazi per le urne, per i rituali di
cremazione che spazi per le sepolture in sarcofagi, per una ritualità di inumazione.
Questo chiama in causa la produzione di sarcofagi e casse realizzati ad hoc per
questo tipo di cerimonia e che si organizza come risposta a una certa idea di
religiosità che non prevedeva la cremazione tra le modalità di sepoltura.

Questa convivenza di cremazione/inumazione che si mantenne per tutto il II secolo


si registra in molto chiara all’interno delle tombe (es. tomba 47), nelle quali si
possono trovare:
1. le formae (nicchie) a terra, dove venivano messe le urne;
2. gli arcosoli sulle pareti, dove venivano collocate le diverse casse.

Lo studio dell’archeologia della morte tiene conto di una complessità di rituali, ma


anche di una diversità di spazi e monumenti. Per questo motivo deve saperne
riconoscere le specificità tanto più quando si tratta di una tomba che può avere un
periodo di vita abbastanza lungo.

Tomba della Mietutura E25 → è stata scavata in anni recenti e ha permesso


di ricostruire le ideologie sottese alla rappresentazione di sé dopo la morte.
In questa tomba gli apparati decorativi mostrano i momenti salienti legati alla
vendita del grano e alla panificazione: la mietitura e la produzione del pane.
È un elemento che richiama il fatto che coloro che si fecero seppellire qui
facevano parte di collegio, di una famiglia impegnata in questo tipo di attività,
che connotano il ruolo all’interno dello spazio cittadino e che non rinunciano
a costruzioni che siano degne della loro posizione sociale.

Questo tipo di strutture prevedevano spazi di memoria e celebrazione dei defunti durante la fase della
stagione autunnale, che nella fase di chiusura dell’anno con i Parentalia che venivano celebrati in febbraio.
→ La festa dei Parentalia, 13-21 febbraio → culto degli antenati che consolidavano i rapporti familiari.
Richiamavano la funzione e l’exemplum degli antenati nella strategia di autorappresentazione dei romani
attraverso cerimonie che venivano realizzate presso le tombe e di cui l’archeologia ha imparato a riconoscere
le tracce smontando i vari strati con grande attenzione. Viene rilevato al di sopra delle tombe stesse, dei piani
dei recinti su cui avvenivano queste ritualità le tracce di piccole deposizioni e depositi cultuali che ci parlano
di una ripetizione di azioni nel corso del tempo.

La conquista di nuove terre e la realizzazione di un sistema stradale efficiente: su di esso fu possibile la


penetrazione dell’arte figurativa e monumentale romana nelle province.

Si tratta di un impero che è stato conquistato progressivamente e che ha comportato un’organizzazione


territoriale basata sulle strade. Via via che l’impero avanza si creano le infrastrutture per far sì che l’esercito
e i cittadini possano trasferirsi e viaggiare in una situazione facilitata, comoda e veloce. = I mezzi di trasporto
(carri con cavalli o vie d’acqua) dovevano avere come caratteristica la comodità, l’efficienza e la velocità. La
stesura delle strade è stata una cifra della romanizzazione, soprattutto per la fase imperiale e l’idea della rete
della viabilità antica che ha toccato tutte le terre conquistate da Roma (in alcuni casi coincide ancora con
parti di strade che ancora oggi conosciamo).

La tecnica di stesura delle strade ha una sua storia che ha


radici già dall’epoca repubblicana. Viene adattata ai
contesti geomorfologici nei quali va ad estendersi. A
seconda dei consoli, le strade potevano prendere il nome
di coloro che le avevano promosse. Questa rete viaria ci
è giunta non solo grazie alle tracce archeologiche ma
anche per uno straordinario documento, conservato alla
Biblioteca di Vienna → TABULA PEUTINGERIANA
(segmento V-VI) = copia medievale di uno stradario
dipinto di IV sec. d.C.

È una mappa che ha uno sviluppo per circa 6 metri in senso rettangolare e longitudinale = rappresentazione
del mondo antico conosciuto all’epoca. In questa tabula sono indicate tutte le principali città che nel IV secolo
erano ancora in uso in tutto l’impero. Oltre alle città e le strade (indicate in rosso) con distanze tra una località
e l’altra, indicazioni di montagne, fiumi, porti, sono indicate anche le stazioni termali, curative che i viaggiatori
potevano trovare durante il loro tragitto.

Si tratta di una mappa che indica le principali città dell’impero e che ci dà un quadro della realtà tardo-antica
dell’impero. Molte delle città che oggi conosciamo si possono recuperare da questo documento, studiato dai
topografi, che ha tutta una sua storia e ci permette di avere una percezione concreta di che cosa ha significato
la penetrazione della romanità in tutto l’impero e nelle province. Questo impero ha veicolato sulle strade la
propria propaganda e nella città ha trasferito le forme del proprio potere, che viene assunto dalle classi
dirigenti locali. → in un tempo non così lungo, esse diventano delle persone totalmente inserite nel sistema
organizzativo romano e per questo motivo anche nelle province si forma una classe dirigente transnazionale,
che permette un completo inserimento delle comunità nell’organizzazione locale. Questo sistema
organizzativo mantiene delle proprie tradizioni e propri usi, ma fa a gara per rappresentare l’adesione
all’urbanitas di Roma. Questa corsa ad essere romani si trasferisce nei monumenti, nelle architetture e anche
nei manufatti singoli.

RICEZIONE DEL LINGUAGGIO FIGURATIVO NELLE PROVINCE → L’archeologia e la storia antica hanno
permesso di rilevare una differenza tra la modalità di ricezione nelle province d’Occidente rispetto a quelle
d’Oriente. → Mentre l’oriente (Grecia, Asia Minore e parte delle terre dell’Asia propria) che aveva già avuto
una forte tradizione greca hanno una storia, una propria cultura che è secolare da cui Roma ha tratto molte
delle sue forme artistiche. Al contrario l’Occidente è stato conquistato e non avendo delle forme
monumentali e delle arti fortemente influenzate dalla cultura greca sono delle realtà che hanno previsto
creazioni ex novo dal punto di vista urbanistico (≠ Oriente dove le città c’erano già e avevano tradizione
secolare più forte).

Arte ispirata alla corrente classicistica (con committenza elevata) vs arte ispirata alla corrente simbolica di
matrice plebea

Se in Oriente si parla di tradizione classicistica ed ellenistica molto più forte, che avrà ad Afrodisia uno dei
centri principali; in Occidente la tradizione artistica è legata alle forme di rappresentazione esportate da
Roma e fortemente aderenti a quella corrente dell’arte plebea. = arte che rappresenta immediatamente
attraverso un linguaggio didascalico o attraverso una rappresentazione semplificata degli elementi che
intende mostrare. Si traduce poi in un’arte meno naturalistica, meno capace di richiamarsi alle forme del
naturalismo classico e che tenderà ad usare dei linguaggi espressivi molto simbolici e più legati ad una certa
corrente di gusto popolare.

Per avere un’idea di questa diversa ricezione della cultura artistica = serie di
esempi perché la scultura ci dà una misura immediata di come questa ricezione
avviene. Alcuni prodotti delle statue della divinità → STATUA DI VENERE
(Venere da Mas d’Agenais a dx e Venere Anadiomene a sx) = richiama una
tipologia di scultura fortemente improntata sugli esempi classicistici e che ci
permette di comprendere come una certa committenza locale prediliga di
rifarsi a dei tipi, a dei modelli che sono immediatamente riconoscibili e che
danno la misura dell’adesione a questa corrente classicistica.

Corrente classicistica vs corrente simbolica

Esistono anche esempi in cui gli esponenti della classe provinciale esagerano un po’ nel mostrare la loro
adesione alla cultura figurativa e alle mode dell’epoca, nel senso che pur di mostrare di essere in linea con la
cultura dell’epoca esagerano nel rappresentare sé stessi. Infatti, se a Roma ci sono modelli improntati a
mostrare acconciature di un gusto che nell’età flavia ha un’espressione molto forte; nelle
province esagerano nel mostrare questo essere in linea con il gusto locale.

Foto > Busto di dama da Siviglia con acconciatura a toupet, fine I d.C. Lo schema si ispira
alle acconciature delle Auguste di età flavia, Musei Capitolini.

Tendenza classicistica vs tendenza simbolica

Allo stesso modo, se si considerano altre forme di


espressione dell’arte figurativa si incontrano delle
soluzioni che hanno in mente dei modelli classici, ma
che poi vengono affidati a maestranze che non sono
in grado di riprodurre lo schema iconografico e il
modello di riferimento. Simbolicamente danno l’idea
di come poteva essere la rappresentazione di Venere
con le ninfe al bagno richiamandosi a una mitologia e 3 Rilievo di Venere e le ninfe da Newcastle>
narrazione del mito di Venere, che aveva avuto ispirato al modello della Afrodite di Dedalsa
massime espressioni figurative (come l’arte ellenistica), ma che poi sul piano pratico devono dare l’idea che
anche lì è arrivata Venere, è arrivato il messaggio di queste figure femminili al bagno che evocano sensualità,
fertilità. La resa viene realizzata in base alle capacità locali.

Inoltre, si può considerare che queste committenze locali anche nella sfera
funeraria abbiano una modalità differente nel seguire una corrente
artistica di tradizione popolare, che è interessata a rappresentare il
messaggio che intendeva trasmettere → es. RILIEVO FUNERARIO da Kostolac
(Serbia), Museo di Belgrado: schema ispirato al linguaggio artistico
‘classicistico’, ma la resa è simbolica e ispirata all’arte plebea = mostra il
protagonista seduto sulla sx (esattore seduto) su un seggio, ha i piedi
sollevati da terra, non sono posti a contatto diretto con il pavimento. Sul tavolo ha una serie di mercanzie
depositate da coloro che devono documentare la loro attività e in mano ha un dittico, un registro in cui scrive
e annota quanto viene presentato. È vestito alla moda romana con la toga e il palio. L’altro personaggio sta
in piedi, che gli mostra la sua attività produttiva e in realtà lo scalpellino non è stato in grado di rendere la
figura di profilo, ma pone la figura frontalmente nel busto e fa girare solo la testa. L’attenzione è posta nella
rappresentazione dei tratti fisionomici dei personaggi, perché questi siano immediatamente riconoscibili.

MONUMENTO FUNERARIO DI ALBINUS ASPER → altro rilievo in


contrapposizione con l’altro perché anche in questa scena la matrona è
seduta su un seggio di vimini (cura nella seggiola). Siede anche lei su una sorta
di poltrona e poggia piedi su un seggio.

È attorniata da ancelle che la stanno pettinando e le mostrano il risultato con


specchio. = toeletta femminile e quindi dimostrazione di persona altolocata
che si fa rappresentare su questo monumento funerario all’interno di un
inquadramento architettonico, che si ispira ai grandi prodotti artistici della capitale. Questo monumento
funerario scoperto nel 1878 nell’antica città di Treviri è un elemento che ci permette di verificare come ci
fossero diversi livelli di acquisizione e rappresentazione di questa cultura figurativa romana.

Ci sono tre casi esemplificativi di città inserite nello spazio dell’Impero Romano → Treviri, Efeso, Antiochia
per mostrare come a migliaia di km di distanza si possano riconoscere e ritrovare elementi comuni o
specificità nella ricezione di questi elementi.
TREVIRI

AUGUSTA TREVERORUM (Trier) → capoluogo della Gallia belgica. È un esempio


di come viene organizzato il consenso nelle province attraverso schemi
urbanistici e improntati su un sistema di assi ortogonali e viari che permettono
un impianto ortogonale delle diverse parti della città. Nella città il foro occupa la
parte centrale all’incrocio degli assi viari principali con gli edifici principali.

Oltre alle abitazioni, alle terme e agli edifici per lo spettacolo (anfiteatro e stadio),
ci sono anche gli edifici sacri e tutta una serie di elementi che vanno a connotare
la città romana. Viene ricordata da Pomponio Mela nel I sec. d.C. come città
opulentissima, che già per questa fase conosce un suo sviluppo ed evoluzione
interessante. Nel IV secolo Ausonio (letterato tardo originario di Bordeaux e
precettore del futuro imperatore Graziano) scrive un’opera, il Mosella ispirata a
una serie di produzioni precedenti e che ricorda questa città come una città viva, con una sua fase importante
in età augustea e che opera uno sviluppo del territorio circostante anche attraverso le strade che
regolarizzano il territorio. Viene poi costruito un ponte in legno e poi in pietra, che starà alla base delle
infrastrutture successive.

Nella parte settentrionale viene realizzata anche una porta


monumentale → PORTA NIGRA = dava accesso alla viabilità verso il
Reno.

Archeologicamente si data al II secolo d.C. ed è una fase importante


perché la parte settentrionale dell’impero era sottoposta ad attacchi da
parte delle popolazioni non romane esterne al confine dell’impero e che
cominciano a premere dal II d.C. sui confini. Infatti, le città poste in prossimità dei confini svolgono ruolo
importante. La porta:

- è costruita in opera quadrata con blocchi di arenaria sbozzati in maniera non regolare;
- Ha due torri semicircolari verso l’esterno, mentre quelle interne sono rettangolari;
- Al centro lo spazio di transito ha due fornici, e nella parte superiore una facciata a due piani
sovrapposti che vanno a correlarsi e unirsi con i prospetti delle torri laterali.

EFESO

Se nell’impero settentrionale ci sono città ex novo, a Efeso si ha un’arte e


forma di rappresentazione artistica vicina alla corrente classicistica e al gusto
ellenistico di cui queste città erano promotrici.

Al di là dei vari edifici realizzati nella città in età romana la BIBLIOTECA DI


CELSO è un esempio interessante di come in queste città, da una fortissima
tradizione storico-culturale possano emergere persone che occupando
posizione di rango possono finanziare
opere e monumenti che sorgono su una
delle strade principali della città, ma che
soprattutto veicolano a loro modo un
messaggio autopromozionale cercando di poter essere a un livello
comparabile a quello dei ranghi superiori.
La biblioteca è un edificio realizzato da Tito Giulio Aquila per il padre Celso Polemeano ed è pensato come
spazio pubblico per la conservazione di volumi, anche se all’interno è destinato a ospitare la tomba di Celso,
al di sotto di una statua di Minerva collocata nell’abside.

È un monumento che ci parla di una committenza che finanzia


un’opera di tipo civico. Da un punto di vista della rappresentazione
della facciata e dell’articolazione interna, i modelli sono le grandi
scene frontes dei teatri e quindi dei monumenti con grande
tradizione precedente alle spalle, che veicolano un messaggio
autopromozionale perché alla fine diventa una sorta di Heroon, inserito all’interno di uno spazio particolare.

ANTIOCHIA

Viene fondata da Seleuco (età ellenistica), che avrà una grande fortuna in età tardo-
antica. È un ulteriore esempio di questo modo di aderire alla cultura romana con
tendenza fortemente classicistica, tant’è che le rappresentazioni iconografiche
(pitture, mosaici, sculture, monumenti) sono delle espressioni con un marcato
carattere ellenistico che ci permette di comprendere quanto la capacità della
cultura romano sia penetrato nelle varie province e come ogni città abbia avuto la
forza, l’indipendenza e la dipendenza da Roma di esprimere quest’adesione al
linguaggio artistico locale.

Oltre a Traiano e Adriano, il II secolo è connotato dalla presenza di altri tre


imperatori → gli ANTONINI: Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo, i quali a
vario titolo e in vario modo partecipano e promuovono questa propaganda
imperiale attraverso una serie di operazioni di tipo militare.

In particolare, Marco Aurelio si scontrerà con quei popoli della


Germania non inseriti nell’impero e che premevano nei confini
nordorientali. Egli contribuisce a rafforzare temporaneamente
questo settore dell’impero. Da un punto di vista iconografico, gli
imperatori richiamano e si rifanno al modello promosso da
Adriano, dell’imperatore filosofo = iconografia caratterizzata
dalla presenza della barba e di una capigliatura complessa, una barba che si allunga sempre di più e che
diventa sempre più marcata fino ad assumere, nel caso di Marco Aurelio, una valenza simbolica nella misura
in cui questo imperatore entra subito in conflitto con l’aristocrazia senatoria perché tende a richiamare il
modello assolutistico del potere a differenza degli imperatori precedenti. Non a caso si fa rappresentare
come Ercole, con accezione fortemente autocelebrativa.

Gli Antonini e i due linguaggi artistici, quello aulico/di corte, ispirato alla corrente classicistica, e quello
didascalico/popolare

Base della COLONNA ANTONINA in Campo Marzio → Gli schemi delle opere
degli Antonini sono espressione di questo duplice linguaggio: corrente
classicistica vs corrente popolare, dell’arte plebea e simbolica, che viene ben
rappresentata in questo monumento, di cui ci resta la base realizzata da
Marco Aurelio e Lucio Vero per commemorare Antonino Pio al momento
della sua morte.
È interessante vedere come gli schemi compositivi vedano l’ascesa della coppia
regnante in cielo = apoteosi attraverso la figura di Aion (divinità astratta del
tempo eterno, diverso da Kronos che rappresenta il tempo puntuale), alla
presenza della personificazione del Campo Marzio con l’obelisco di Augusto e
della dea Roma.

Ai lati vi è la rappresentazione dei giochi funebri in funzione in onore della


cerimonia rituale con giostra nella quale i cavalieri e i vari personaggi sono
rappresentati secondo un gusto immediato e legato all’espressione didascalica tipica del gusto plebeo.

LA COLONNA AURELIANA, 193 d.C. → Grande monumento della produzione artistica del II secolo. Viene
realizzata su ispirazione della colonna di Traiano con fase di gestazione piuttosto lunga = viene iniziata nel
176 e terminata nel 193 d.C., viene posta in Campo Marzio e ha la funzione di esemplificare le gesta compiute
dall’imperatore durante le campagne militari condotte contro le popolazioni germaniche dei Quadi e dei
Marcomanni.

L’organizzazione è pensata per un rotolo a


rilievo con una spirale che si sviluppa in 115
quadri con uno sviluppo in altezza di oltre 40
metri. Anche nel caso della colonna aureliana,
queste scene sono ripartite tra una prima
rappresentazione del bellum germanicum
(Quadri 1-42) e dal bellum marcomannicum (Quadri 43-55) e un’ultima parte contro i
Quadi e i Sarmati (Quadri 56-77 e 78-115).

La cronologia degli eventi si pone tra il 171 e il 175 (colonna realizzata subito dopo
questi eventi).

Da un punto di vista della rappresentazione convivono le due espressioni


artistiche:

- Espressione di tipo aulico con resa naturalistica e quanto più vicina al


classicismo inaugurato dall’età augustea in avanti;
- dall’altra parte scene di tipo più simbolico, di gusto popolare che
dovevano trasmettere un’immediatezza e una rappresentazione
simbolica degli eventi nella prospettiva di trasmetterne un’immediata
leggibilità da parte degli astanti.

La sequenza è pensata in senso topografico e cronologico quindi lo spettatore doveva essere in grado di
riconoscere personaggi, luoghi, eventi in qualche modo a sfavore di una contestualizzazione paesaggistica
più complessa. → le città sono evocate simbolicamente, mentre si dà più rilievo alle azioni militari e alle gesta
compiute dai vari personaggi. Questo ci permette di richiamare come il modello della colonna traiana resti
un modello di riferimento fondamentale per le opere successive.

Se Roma riesce ad espandersi così tanto, a dominare terre non conquistate e riesce a trasferire e costruire in
tutte le aree occupate monumenti, strade, strutture abitative e di servizio, lo fa perché ha una forza
economica e una capacità tecnico-ingegneristica di alto livello, a discapito delle realtà micro-ambientali dei
singoli luoghi in cui andava ad operare.

Per costruire una città si doveva:


- spianare e regolarizzare aree boschive o pianeggianti;
- si doveva assicurare tutta quella quantità e massa di elementi necessari alla costruzione di edifici
(disboscamenti di alberi e modifiche delle situazioni micro-ambientali locali);
- significava anche portare in tutti gli anfiteatri di tutte le città che ne erano provviste animali e persone
dalle aree più diverse e quindi veicolare elementi alloctoni rispetto a quelli locali.

Questa straordinaria macchina imperiale ha significato un grande benessere, una grande fase di
rinnovamento, di crescita culturale, ma anche il creare condizioni per cui questo benessere fosse
controproducente. Disboscare terre, portare con animali malattie e microorganismi da luoghi in cui
precedentemente avevano un loro equilibrio, in luoghi che non erano in grado di realizzare una risposta
immunitaria forte → fa sì che insieme a questa globalizzazione nel Mediterraneo arrivino anche molte
malattie che fanno i conti con cambiamenti geo ambientali. I romani non li potevano controllare e prevedere
e questo crea i presupposti, per cui nel III e IV secolo l’impero ha delle gravi difficoltà di tipo sanitario ed
economico. Laddove si costituivano dei cluster di malattie rilevanti, c’era una diminuzione della produzione,
una contrazione dei trasporti, un’alterazione degli equilibri che fino a quel momento erano stati garantiti. La
popolazione poteva avere una minore capacità di svilupparsi, un’incidenza di ammalarsi maggiore e quindi
venivano meno una serie di condizioni che avevano garantito un benessere dell’impero.

Rispetto a queste situazioni pandemiche, di cui Roma aveva già un’esperienza dai trattati della medicina
precedente, nel momento in cui diventa un problema di milioni di persone diventa un punto debole
dell’impero. Al di là della propaganda ufficiale politica che gli imperatori di II secolo si preoccuperanno di
dare esiste anche una realtà di difficoltà concreta dell’impero = peste antonina, uno dei momenti di più grave
crisi, che fa i conti con un cambiamento climatico che portò al superamento del cosiddetto optimum
climaticum romano, che aveva visto una situazione climatologica positiva con una normale successione della
stagione, una ciclicità produttiva molto regolare fino al II secolo. A questa succede una nuova fase di
cambiamento climatico, che proseguirà fino a tutto il VI secolo e che avrà come effetto una drastica
diminuzione delle piogge, una diminuzione della possibilità di garantire una produzione agricola necessaria a
soddisfare tutte le esigenze della popolazione. → Si registrano una serie di azioni che miravano a tentare di
garantire una capacità di vita e di controllo dell’economia dell’impero che però è destinata a chiudersi.

C’è anche un elemento sotterraneo, che nei grandi porti e nelle grandi concentrazioni di prodotti vengono
accumulate enormi scorte di derrate alimentari. In quei luoghi si sviluppano animali come i topi, interessati
ad aver un’accessibilità immediata di elementi ma che con la loro presenza trasportano malattie. È
interessante sempre aver una percezione di come a fronte di una grande ricchezza, in realtà non sempre si
fu in grado di percepire la pericolosità di un mancato controllo di alcune norme igieniche che ora sono di
prassi, ma che nel mondo antico non rappresentavano un problema perché non se ne conoscevano gli effetti
scatenanti. Non si ponevano nemmeno le condizioni per frenare queste situazioni.

Con la pesta antonina si parla di forme di religiosità apotropaica eccessiva per cui si facevano grandi
donazioni ad Apollo Alexikakos (colui che allontana i mali) con la speranza che si potesse scacciare il male.
Non serviva a nulla, ma ci dà la misura di quanto rispetto alla lectio della propaganda ufficiale esistesse una
realtà molto più complessa da gestire che aveva a che fare con la salute pubblica e con il venir meno di alcune
condizioni geo ambientali che avevano fino a quel momento garantito il benessere della romanità. → quando
si parla del grande impero di Roma si deve ricordare che questo impero ha provocato a lungo termine la
propria decadenza, non solo perché il sistema politico e amministrativo è entrato in crisi, ma anche perché
l’enorme sfruttamento del territorio, delle risorse, di quella trasformazione che l’impero ha comportato nel
bacino nel quale ha agito ha provocato un’alterazione molto importante, che è stata alla base della sua crisi
e del suo crollo.
LEZIONE 23 ǀ 10 maggio 2022

L’arte e l’architettura nel III sec. d.C


Introduciamo, il periodo che viene considerato la fine dell’impero romano d’occidente. Il 476 d.C, caduta
dell’impero d’occidente. Romolo Augusto viene destituito, ma la cultura romana prosegue in oriente e va
avanti per quasi 1000 anni.

Secoli che consideriamo sono interessanti, con un impero che attraversato da varie difficoltà, con eventi
catastrofici come la peste antonina, che ha provocato milioni di morti, destabilizzando anche il sistema
politico ed economico dell’impero.

Il III secolo, si apre con questa scia negativa, e questa situazione di instabilità e insicurezza, ha come effetto
un cambiamento importante, anche nelle forme anche d’arte e architettura.

Questo cambiamento si avverte nei primi anni del 3 secolo, frutto di una crisi profonda, che si avverte nella
città, con i conflitti continui, crisi nei rapporti di governo, i rapporti tra le classi sociali, e nella società nel
suo complesso. Ascesa di gruppi famigliari, gruppi della classe medio bassa, grazie ad un commercio
generalizzato, con l’ascesa di persone.

Crisi anche a livello religioso, con l’affermarsi di religioni misteriche, come il mitraismo, altri culti di matrice
orientale, seguiti da frange di popolazione collocate lungo i confini, presso le provincie. Tutto questo si
traduce nell’arte e nell’architettura con un nuovo linguaggio. Questa crisi che la macchina imperiale nei
primi 2 secoli aveva saputo, contenere grazie alla forza economica che poteva vantare e che aveva
provocato grandi mutamenti geo-ambientali. Là dove Roma va a conquistare terre, e a disboscare alberi e
nuove città. Muovendo cose persone ed animali fino ai confini dell’impero. Questa macchina aveva
funzionato fino al I secolo, ma tra la fine del II e gli inizi del III, non funziona più bene. Durante la conquista
della Mesopotamia, Babilonia e Seleucia, non solo i soldati si erano addentrati in aree mai relazionate con
l’Occidente, in alcune occasioni si erano lasciato andare a distruzione e strage di popoli sottomessi senza un
effettivo bisogno. In alcune occasioni, il popolo non ha posto resistenza durante lo scontro, ma i soldati
presero il controllo, abusando del loro potere.  violando i luoghi di culto, distruggendo gli edifici sacri

Secondo le fonti la peste antonina che arrivò verso la fine del II secolo, viene in qualche modo attribuita
dalle fonti del tardo secondo secolo, con questa tracotanza e incapacità di controllare le pulsioni,
soprattutto a Seleuce che prima si arrese e poi devastata barbaramente, e che Apollo si vendica
portando la peste in occidente

Questa peste andrà a distruggere i sistemi produttivi, e la rete di scambio. La salute dei romani era
migliorata, con le aperture delle terme, Marco Aurelio e Faustina, si sposano avranno 14 figli e ne muoiono
solo 2.

Questo mutamento che si registra tra la fine del II secolo e inizi del III tra Commodo e i Severi, è una
situazione che porta una crisi, in cui l’imperatore assume un ruolo centrale, nella risoluzione di situazioni
drammatiche, presentandosi al popolo, che aveva ricevuto un benessere generale. Nel momento in cui il
benessere entra in crisi una fetta della popolazione perdono potere d’acquisto, perdendo il lavoro,
diventano in qualche modo sono soggetti, che devono rifarsi e sottomettersi a chi aveva una ricchezza
superiore, riesce a conquistare la rete di produzione. Diventano potentati, sotto di cui anche le famiglie
libere entrano nella loro rete di controllo. Sono coloro che detengono i sistemi produttivi e commerci, in
aree molto grandi, cominciano a farsi valere da Roma, quando prima dovevano essere accettati da Roma.

Anche le architetture, e i cittadini copiano le mode di Roma. Questa distribuzione nelle mani di pochi, dei
sistemi produttivi e della rete di commerci, soprattutto nelle quali viene stanziato l’esercito.  Roma
perderà sempre più il potere
Questa situazione di crisi fa si che i personaggi al potere, vengano investiti di una capacità salvifica che si
traduce in anche nella rappresentazione del sovrano. Il ritratto del sovrano, nelle epoche precedenti si
aveva aderito al classicismo di stampo greco, aveva fatto si che l’impronta dei ritratti era fortemente
razionale. Traiano si fece ritrarre con un soldato mentre parla, quindi con un’umanità che con i Severi viene
meno. Si afferma l’idea di un imperatore, con gli sguardi rivolti verso l’alto, e pur mantenendo quel
linguaggio classicistico, tipico dell’arte ufficiale imperiale.

Il classicismo non era più in grado di rappresentare fino in fondo, con nuove forme e modi di forme
artistiche:

Occhi rivolti verso l’alto, marcato uso del trapano, rende le pupille enfatizzate

Capigliatura che esaspera sempre di per i ricci e la barba, per la quale modalità di rendere una modalità
abbastanza lunga, raccolta  caratteristica per il ritratto Settimio Severo

Ritratto di Caracalla accentua più il pathos all’enfatizzazione della rappresentazione del sovrano, con
occhi infossati, chiaro-scuro molto forte, e che viene accentuato con testa voltata verso la sinistra, chioma
ricca

Ritratto di Giulia Domna  moglie di Settimio Severo, che ha questa capigliatura compatta, quasi una
cuffia sulla testa, riprodotta in manufatti che ci sono rimasti

 tondo con i Severi con anche Geta, con barba di Settimio Severo, con duplice riccio sul mento,

Per poi arrivare a statue di imperatori, che dopo i Severi sono progressivamente degli imperatori acclamati
dall’esercito e raramente sono dinasti per eredità di sangue cambia il meccanismo di elezione

Decio sceglie un ritratto molto razionale, tratti fisionomici che ha delle rughe molte accentuate, con resa
degli occhi che puntano verso l’alto.

Gallieno con un’accentuazione migliore del chiaro scuro, con tendenza con accentuazione dei tratti
individuali

Diocleziano  colui che dividerà l’impero tra occidente e oriente. Sarà colui che accentuerà il carattere
psicologico, nella resa dell’imperatore, che deve trasmettere allo spettatore per poi portarlo ad una sfera
altra.

Sfera altra, che viene trasferita sui più vari monumenti dell’impero, sia a livello di città di Roma che in Altre
città.

Una sintesi di una tendeva di questo periodo storico, fondere insieme un linguaggio ufficiale ispirato alla
tradizione classicistica, dell’arte imperiale ufficiale. Un’arte più astratta e simbolica che è quella plebea, che
prevale sull’arte classicistica, non più avvertita capace di esprimere, quella ricerca di attenzione di
semplicità dell’arte plebea.

Arco degli Argentari, Roma, III dC  dedicato a Settimio Severo e


a Giulia Domna. Nella zona prossima si S.Giorgio in velabro, i
dedicatari sono i banchieri e i commercianti buari.

Porta architravata su 2 pilastri che viene inglobata in parte dalla


chiesa di S.Giorgio in velabro. Nella porta una serie di immagini,
che richiamano la sfera mitica di riferimento per questo tipo di
dedicatari, e le azioni simboliche e le ritualità che i dinasti erano
chiamati a svolgere per proteggere la popolazione. Un ciclo
decorativo che mette in gioco, conquiste militari, scena di romani
che portano un barbaro legato. Scene più connesse con il mondo
religioso, e la protezione di questi gruppi di cittadini che
raffigurano Giulia Domna e Settimio Severo, con capo velato,
compiono un sacrificio con di fronte un altare. Nella parte
inferiore e superiore, vi sono le
immagini che richiamano lo
svolgimento del rituale sacrificale.
Sotto l’altare gli strumenti per il
rituale, la brocca, la patera il piatto
sacro consacrato su cui viene
offerta la pietanza solida per la
divinità.

Sotto la raffigurazione di sacrificio


di animali, che poi prevede il
consumo della carne sacrificata.

Questo tipo di monumenti, sintetizzano una ricerca di rappresentazione, verso una sfera che deve
proteggere queste popolazioni, quando sono chiamate a compiere delle imprese militari.

Settimo Severo orinario di Leptis Magna, città che sorge a sud-est di Cartagine, con origini antichissime,
fondata dagli abitanti di Tiro, dai fenici nel VII sec a.C.

Leptis Magna, sorge presso un corso d’acqua che è il basi Lebda che dà nome alla città, fiume navigabile

che permetteva di portare verso il mare i prodotti delle popolazioni da smerciare. Città di basso profilo fino
a che c’era Cartagine che controllava tutta l’area settentrionale Africana. Leptis viene costretta a pagare
delle ingenti tasse per limitare la sua capacità di commercio ed espansione, poichè avrebbe limitato i
commerci di Cartagine. Quando Cartagine fu distrutta, Leptis e altre città dell’africa settentrionale, entrano
dell’orbita romana, e vengono abbattute le tasse, con una fase di crescita. Fase favorita da Augusto che
crea la provincia d’Africa, unificando tutto in un unico territorio.

Con Augusto e gli imperatori successivi, che la città viene monumentalizzata, con una serie di costruzioni,
che si articolano su un’asse principale su cui i vari isolati si dispongono. Con una strada colonnata in epoca
severiana, che proiettava sul fronte del mare, organizzato un porto per le merci.

Foro Vecchio, Leptis Magna primo nucleo, del foro, la piazza non è rettangolare, non seguendo le liee
romane, con basilica e altri edifici.

Area di mercato, al centro della città, si avrà un bellissimo Teatro, con fronte mare a nord. Con Settimio
Severo, venne monumentalizzata un’altra città,
poco costruita prossima all’impianto termale.
Prevede un secondo foro, Foro Severiano, che
prevede la glorificazione della Gens Septimia, e
della Concordia. All’interno della piazza porticata
con taverne, e vani mistilinei, che occupano uno
spazio di risulta, mettendo in comunicazione la
Basilica severiana, appositamente costruita da
Settimio.
Foro Severiano

Arco di Settimio, Leptis Magna 202 d.C uno dei più famosi archi delle
provincie, arco quadrifronte che celebrava le varie campagne militari
dell’imperatore, e che è organizzato con una decorazione architettonica e
scultorea, il trionfo dell’imperatore. All’interno ci sono le aquile che
esaltano il vincitore attraverso il trionfo. Sui fregi viene rappresentata la
famiglia imperiale, e Settimio Severo e Caracalla e Geta a cui viene tolta
la testa, su una quadriga. L’imperatore viene rappresentato sempre in
posizione frontale, più alto rispetto agli altri, qui si preferisce dare risalto
alla comprensione al ruolo centrale dell’imperatore. Qui non si ha uno
vero sfondo su cui vengono inseriti i personaggi a più livelli, le persone
vengono poste frontalmente per accentrare il concetto di gerarchia dei
soggetti.

Arco di Settimio nel Foro Romano, 203 d.C  anche qui la


celebrazione deve essere quella dei trionfi avuti in oriente. La
costruzione dell’edificio rispecchia i modelli precedenti, con
dimensioni importanti 23h in larghezza 25 m, 11m di profondità,
non percorribile da carri. Aveva nell’iscrizione la sintesi del
messaggio propagandistico poi trasformato in immagini. La
decorazione interessa tutte le superfici a partire dalle basi su cui
poggiano le colonne libere, sulle fronti del monumento. La
decorazione è nelle parti sopra gli archi maggiori e quelle laterali.
Gli spazi sulle fronti, nei fornici minori.

Il modo vengono raffigurate le narrazioni storiche, è un modo completamente nuovo, le descrizioni


dovevano essere immediatamente percepibili, la scelta di rappresentare i vari momenti delle battaglie,
devono essere subito intuibili i diversi momenti delle scene rappresentate. Linguaggio artistico, è
fortemente vicino alle rappresentazioni di arte popolare. Pannello sud-est si ha la presa di Nisibis 195 d.C,
in cui si ha uno scontro tra gli eserciti, si conclude con la presa della città, con il discorso di Settimio severo
all’esercito. Pannello nord-est presa di Edessa, 198 d.C, seonda campagna, rappresentazione didascalica,
che reca la macchina da guerra l’ariete e apre la porta della città, e mostra i funzionari che si sottomettono
alla potenza di Roma.

Nei pannelli nord-ovest e sud-ovest ancora una volta l’organizzazione delle rappresentazioni è a fasce per
linee orizzontali, che vanno a definire i livelli cronologici e topografici. Una delle questioni e fatti che
narrano di questa presa.

Nella presa di Ctesifonte, da cui fugge il re a piedi e non a cavallo, per rimarcare la capacità di
sottomettersi ai romani.

All’arco vengono fatti dei rifacimenti, sommerso da strati poi scoperti nell’800.

Dal punto di vista dell’architettura civile, Settimio Severo e Caracalla riescono a guadagnare ingenti somme
di denaro, per fornire a Roma un’altra grande costruzione termale.

Questo tipo di edifici sono fatti per ottenere il consenso dalla popolazione per la casata imperiale che si
preoccupa del benessere della cittadinanza.

Terme di Caracalla Settimio le inizia e il figlio Caracalla le finisce nel 216 d.C. Dal punto di vista
strutturale, lo schema, che aveva circondato un grande recinto il blocco dei bagni igienici. Viene enfatizzato
e modificato, attraverso 2 tipi di invenzioni: totale isolamento del corpo dei bagni e degli edifici connessi,
come le palestre, rispetto al recinto, con perimetri di 337x328 m. Prevede una base sostruttiva che
permette di superare il dislivello del terreno, e permette di realizzare elementi infrastrutturale e servile,
che servono per il funzionamento delle terme. Rispetto al blocco centrale, l’edificio, ha una assialità
perfetta, con l’ingresso verso Nord, a cui corrisponde una grande scalinata monumentale sulla quale si
potevano le persone per assistere alle attività gimniche e celebrazioni comunitarie. Dietro alla
monumentale scalinata, una grande cisterna che serviva a tutte le attività che si svolgevano all’interno del
corpo dei bagni igienici.

Attorno al blocco centrale ci sono vani polifunzionali, tra cui spiccano le 2 grandi esedre che hanno la
caratteristica di contenere dei vani mistilinei, nei quali si pensa che vengano svolte le attività non
strettamente igieniche quindi: biblioteca, sale audizioni. La caratteristica di questo nuovo impianto termale,
è quello di avere il blocco dei vani igienici isolato da tutto il resto del recinto. Anche qui l’assialità governa
l’organizzazione dell’edificio, con la consueta ripartizione di ambienti. Con settore di ingresso degli
spogliatoi, si accedeva
all’area della natazio e
frigidario, che prevedeva
le sale fino al
tiepidarium.

Il grande spazio del


caldario, ha un diametro
di 35 m con nicchie che
contengono delle vasche
e nella cupola delle
finestre per arieggiare il
locale, che garantiva una
temperatura stabile
pensato come grande
blocco assestante.

Ai lati della consueta


tripartizione, ci sono le
palestre, affiancate ad ulteriori vani in cui ci si preparava alla ginnastica con trattamenti agli oli profumati.
Dopo le attività ginniche si ripulivano e si preparavano per il resto del percorso. Tra le caratteristiche si
avevano delle sale mistilinee, quasi ellittiche architettura ormai avanzata con forme particolari, andando
oltre i problemi di statica.

Come si rappresenta l’aspetto privato convivenza del linguaggio ispirato ai modelli classicisti e la corrente
popolare.

I sarcofagi, è una tipologia che viene codificata, perché in questi prodotti sono condensate la tendenza
verso l’astrattismo e il simbolismo, e tentativo di continuare una tradizione classicistica di vecchia data.
Sono grandi casse che ospitavano il defunto inumato e non incenerato nuova tendenza religiosa, nuovo
rituale. Ad Ostia ad un certo punto convivono incenerazioni e sarcofagi.

Con la fine del II sec e inizio del III sec si preferiva l’inumazione, poiché il corpo si pensava avesse una vita
ultraterrena. Si stava affermando il cristianesimo, come religione monoteistica, e con vita ultraterrena,
elemento per cui la pratica religiosa è cambiata.

Sarcofagi erano molto costosi, suddivisibili in 3 categorie, vi furono 3 centri di per la produzione di sarcofagi
poi esportati in tutto l’impero:

- sarcofago urbano, prodotti a Roma nelle officine, che prevedono una forma rettangolare a catino
(ellenos), con lati curvi, con decorazione su 3 facce, lato addossato al muro non decorato.
Organizzazione della decorazione che occupa tutta la
superficie disponibile, coperchio con maschere e
sviluppo longitudinale. Si hanno sia coperchi piani che
a tetto a doppio spiovente
- Secondo tipo, di produzione attica, officine che
producono fino alla metà del II sec d.C, fino all’arrivo
dei barbari, che mettono in crisi la produzione.
Produzione che investe fino al mediterraneo, casse
più grandi, con decorazioni su tutti e 4 i lati, quindi
poste in strutture accessibili, e che presentano una
decorazione di base, con cornici importanti, nella parte sommitale, e in basso e al centro con motivi
tipicamente greci, con combattimenti. Decorazioni di amazzoni e greci o persiani, sopra i quali il
coperchio poteva essere a spiovente o incline, ovvero con il defunto rappresentato mentre dorme,
ed è una tipologia che troviamo in tutto il mediterraneo.
- Terzo tipo di produzione microasiatica, non avendo un vero centro di produzione, officine diffuse
nell’area microasiatica, è difficile stabilire degli elementi costanti nella produzione: con motivi a
ghirlande, e decorazioni allegoriche, o architetture che vanno a richiamare monumenti ideali, con
posti del mito e il defunto.

Sarcofago Ludovisi  trovato sulla porta tiburtina,


richiama battaglie e scontri avvenuti tra i romani e
barbari (probabilmente goti). Scontro tra personaggi
sovrapposti con una sorta di grande groviglio di corpi,
con nella fronte principale, un personaggio in posizione
dominante posto frontalmente con segno di trionfo.
Secondo ricostruzioni, si potrebbe trattare del figlio di
Decio, Ostiliano, morto nella peste nel 251.
Riconducibile alla capigliatura a calotta piatta come
quella del padre, e sulla fronte una croce, che
potrebbe ricondurre alla sua iniziazione ai misteri di
Mitra. Affiancato da altri personaggi a cavallo, che
indica una sorta di protezione nei suoi confronti, individuati come protectores, guardia personale doveva
proteggere l’imperatore. Qui si ha un recupero della rappresentazione dell’arte classica, anche se mancava
un inquadramento naturalistico, idea di svolgimento reale dei fatti. Questa raffigurazione parla di una
commissione di elementi, tra il classicismo e un tipo più simbolico della componente plebea.

Componente plebea, connota la produzione artistica anche di tipo pittorico, anche in edifici sia pubblici, le
pitture mirano a raffigurare le scene da rappresentare.

Nella domus dei preconi degli araldi, che era una sede sotto i palazzi imperiali, con attività dove si
annunciavano le corse su carro. La figurazione mostra dei soggetti, dei servitori poiché sono scalzi, con
oggetti per le cerimonie. Arte che trasmette la scena da evocare, senza l’ambientazione naturalistica.

Dura Europos, Sinagoga del mondo ebraico  dove vi erano scene


tratte dall’antico testamento, nella sala, ciclo pittorico che mostrano
scene dell’antico testamento. Datato al 245 d.C, in cui vengono trovate
delle modalità di rappresentare dio solo con le sue mani. Esempio di
decorazione pittorica di immediata riconoscibilità.

Circuito murario di Aureliano  Aureliano famoso per aver aver


sconfitto i goti, e per aver protetto le provincie orientali dalle pressioni
dei barbari. Fra i tanti meriti, aveva soggiogato la regina Zenobia, che
poi la sconfigge contro il regno di Palmira, poi trasferita a Roma.

La città era vista in pericolo, e quindi si aveva bisogno di una cortina


muraria per proteggersi.

Alla fine del III secolo, arriva Diocleziano, si chiamava Diocle, di origini dalmate, si trova a fronteggiare una
situazione poco sostenibile, le forze centripete sfuggono al controllo centrale di Roma, minacciato dai
barbari.
 Caracalla, fa un’importante
istituzione, in cui tutti i cittadini
dell’impero ottenevano la cittadinanza,
tutti colori che nascevano e crescevano
nell’impero dovevano essere cittadini.

L’impero diventa difficile da gestire, e


Diocleziano nel 293 divide l’impero.
Spartisce i poteri, moltiplicando anche
le provincie da 50 a 100. Con
ripartizione delle varie diocesi. La
frammentazione dei 2 ambiti
dell’impero, Roma perde la sua
centralità, a favore da altri centri, come
Bisanzio e Antiochia.

Diocleziano nel foro romani, interviene sistemando lo spazio distrutto da un incendio. Lo spazio della piazza
viene delimitato da colonne, 5 su lato est e 8 su lato sud, colonne libere si pensa che siano o con una base o
con …, con l’idea di creare una sorte di frontescena, in cui l’imperatore poteva trarre spazio.

Base dei decennalia cioè la base che celebra i 10 anni del regno, con sotto nemici sconfitti, souvetaurilia,
sacrificio del toro e dell’ariete.

Coppia degli Augusti e Cesari in piazza San Marco a Venezia, copia dei tetrarchi, simbologia nuova del
potere tetrarchico, come simbolo di unione dell’impero. In porfido.

Preso durante una crociata, a Costantinopoli, doveva essere Philadelphio. Abbraccio simbolico tra augusti e
cesari.

Diocleziano lascia il potere, e si ritira in un’enorme villa a Spalato, Palazzo


a Spalato. Nasce con l’idea di rappresentare il potere . Ingressi in asse, che
dividevano le 4 aree del palazzo, con corpi di guardia, a sud i quartieri
residenziali, aree delle terme e poi al centro i 2 nuclei di rappresentanza,
con un tempio in onore di Giove a sinistra e a destra il grande mausoleo.
Parte di separazione definita dal peristilio centrale che mettono in
relazione i 2 blocchi rappresentativi.
LEZIONE 24 ǀ 11 maggio 2022

L’arte e l’architettura in età tardo antica


Si vedranno i secoli del IV secolo e V, dal punto di vista stilistico, e dal punto di vista socio culturale.

Si ha una percezione di prossimità verso la fase successiva, anziché una continuità verso l’era precedente, ci
da una visione di come l’arte di questo periodo abbia avuto una valenza, con un’arte che produce nuove
modalità espressive.

Vi è molta continuità soprattutto con la produzione del secolo precedente, e questa continuità va di pari
passo con l’elaborazione di un linguaggio che investe l’iconografia di senso lato, quindi scultura, pittura e
architettura ed edifici monumentali. Produzione che acquisisce le nuove istanze della religione cristiana dal
313 è libera di essere professata con l’Editto di Costantino, e poi sarà la religione dominante, quando
Teodosio alla fine del IV secolo, la istituzionerà come religione di stato.

La messa al bando del paganesimo, nella realtà farà si che ci saranno delle vere e proprie persecuzioni nei
confronti dei pagani. Resta uno zoccolo duro, è l’aristocrazia senatoria, con una fortissima prossimità e un
collegamento con la cultura precedente, tenteranno di far continuare simbologie e ideologie, che poi
saranno sopraffatti.

La tetrarchia di Diocleziano, è rarefatta quando Costantino ha lo scontro con Massenzio al pontemilvio. Si


ritrova ad essere colui che riunisce l’impero, dopo che era stato diviso in parte orientale ed occidentale.

La divisione dei due blocchi, la duplicità della macchina dell’impero, pone Roma in una condizione di
minoranza, spostando la capitale a Costantinopoli. Costantino spostando sul versante il centro del potere
ne sottolinea il ruolo trainante, per quella parte dell’impero. Roma continua a rappresentare il teatro della
propaganda imperiale, dove dare sfoggio al messaggio propagandistico.

C’è stato un forte passaggio e cambiamento, anche nell’ambito iconografico, diventa colui raccoglie nella
sua figura nella sua rappresentazione, l’unico in grado di risolvere la grande crisi dell’impero per crisi,
pestilenze e carestie. Questo porta ad una povertà diffusa delle famiglie, che si rivolgono ai grandi
proprietari terrieri, riponendo il potere sulle mani di pochi. Questi potentati in tutte le province
dell’impero, fanno sì il ruolo trainante di Roma venga meno a favore dei centri.

 Con la cittadinanza a tutti i nati sotto l’impero, vengano a Roma in cui assumo ruoli importanti, ma
con origine barbare, che fino a pochi decenni prima non erano considerati romani, si hanno nuovi
sistemi iconografici, e nuove sollecitazioni, portando alla disgregazione dell’arte romana.

Tendenza a riconoscere nelle figure di singole persone il potere istituzionale. Gli imperatori accentuano la
loro posizione sopra di tutti. L’imperatore si fa rappresentare come il personaggio che coincide con la
divinità.  investito da un’aura sacrale, per far fronte alle difficoltà dell’impero, andando oltre alle
inibizioni della tradizione romana che aveva imposto anche agli imperatori. Prima nessuno si aveva fatto
equiparare alla divinità.

Nel piano iconografico si traducono in schemi, il modo il linguaggio artistico sarà legato all’arte simbolica
plebea, improntata su una ricerca didascalica senza uno studio complesso, del contesto di riferimento,
l’arte classicistica, non viene più percepita di trasmettere una iconografia astratta e simbolica come è di
fatto quella tardo antica. Produzioni classicistiche del IV e V secolo, sono tentativi di riproporre in maniera
ripetitiva un’arte.
Arco di Costantino (312-315 d.C)  eretto tra il
Palatino e il Celio, subito dopo la vittoria su
Massenzio. Propone una tipologia edilizia, tipologia
che manifesta il trionfo su vittorie militari. È su 3
fornici, prevede delle colonne antistanti libere, su
basi che inquadrano i 3 fornici, al di sopra la
decorazione complessa, articolata su più livelli,
concludendosi con nella parte alta l’attico del
monumento, in cui si ha l’iscrizione dedicatoria.

Arco importante perché l’apparato decorativo e


scultore o, si vede il bisogno di trovare un linguaggio
figurativo nuovo della tendenza verso l’astrattismo,
in questa fase si mischia la tradizione classicistica da
Augusto con il nuovo linguaggio dell’apparato decorativo di Costantino. Si utilizzano i materiali di impiego
da altri edifici distrutti, risalenti all’età di Adriano, Traiano e di Marco Aurelio. Nei quali Costantino i suoi
architetti riconosco una capacità di raccontare il trionfo in maniera esemplare e quindi riutilizzati nel
monumento.

La serie di sculture dell’età traianea appartiene a diverse partizioni dell’arco: le 8 statue dei Daci prigionieri
nella parte alta dell’attico, poste nelle base, si ritiene fossero tratti da foro di Traiano. Oltre alle statue
provengono gli altri 4 rilievi nei lati brevi dell’attico e nei fornici piccoli, nei quali vengono raffigurati delle
scene, in cui l’esercito romano vince i barbari, idea di trasmettere concezione di dominio.

Questi rilievi sono valorizzati dagli altri 8 tondi, che occupano i fornici sulle pareti laterali, provengono da un
monumento di età Adrianea, scene in cui ci sono scene di caccia o sacrificio verso le divinità.  veicolano
l’idea dell’imperatore che domina le forze naturali e le altre sfere del mondo. Riassume in sè le
caratteristiche per un dominio universale.

Aspetto della virtus militare, nei pannelli da un edificio di Marco Aurelio inserito nell’attico, 8 pannelli con
rilievi, importanti perché ci permettono di vedere il rilievo storico romano, e l’imprese militari ma
soprattutto il come questi modelli erano ancora sentiti in questa nuova società in mutamento impregnata
ancora della tradizione classicistica.

Rilievi di riferiscono alle guerre contro Quadi e Marcomanni, probabilmente erano di un arco aureliano alle
pendici del Campidoglio. Scene
cominciano con:

1- Profectio, scena di partenza


da Roma con l’esercito
2- Lustratio, sacrificio di buon
augurio, su un altare e inizio della
spedizione con protezioni degli dei
3- Adlocutio, discorso che
l’imperatore fa per spronare l’esercito
per svolgere le operazioni
4- Capitivi, i prigionieri
presentati all’imperatore su una base
5- Clementia, gesto di
clemenza dei giovani e anziani che
chiedono la salvezza
6- Rex datus, salvezza verso il campo dei sconfitti, e reso schiavo
7- Adventus/triumphus, prelude al trionfo
8- Liberalitas, atti di generosità, i frutti della campagna militare, iperatore su posizione superiore sotto
i plebei.

Costantino si pone la summa degli optimes principes, fonti che ci dicono di quelli che sono stati i migliori
imperatori di cui Costantino di vuole rappresentare il continuatore, racchiude in sé la tradizione dei secoli
d’oro, investendolo di un nuovo potere. Potere lo pone come lui è il liberatore della città, fondator urchetis.

Traduce l’idea si sintesi politica, con dei rilievi ovvero la novità artistica su questo monumento
realizzando un fregio (elemento innovativo dell’apparato dec.) e rilievi sulle basi delle colonne dei fornici,
archi dei fornici, tondi di Sol e Luna

Rilievi su arcate rimandano a vittorie, personificazioni di fiumi e stagioni (di barbari sottomessi),
veicolano un’idea di allegoria degli spazi, delle figure che rappresentano una totalità del poter.

Costantino qui è colui che domina il potere, agisce sotto un placet divino, veicolando l’idea di potere
completo, potere va a esplicitare i momenti con Massenzio.

Fregio espressioni che codificano partenza,


assedio e battaglia e sottomissione delle genti,
ecc. Importante, perché cambia totalmente il
linguaggio figurativo. Se si confrontano queste
scene con gli altri rilievi, qui si sceglie una
rappresentazione didascalica, che rinuncia ad un
tentativo di articolare su più livelli le scene.
Rappresentare in maniera paratattica le diverse
fasi dello scontro, in maniera che lo spettatore
possa riconoscere immediatamente i
personaggi.

Nella rappresentazione dell’assedio a Verona, la


città che era rappresentata da fascia di mura, con l’esercito all’interno, non si tenta di creare una visione
prospettica, i personaggi sono giustapposti, seguendo la tradizione delle scene delle tavole victe, inviate al
senato durante le azioni militari dei generali. La volontà di rendere riconoscibili i momenti dell’impresa, con
la morte dell’esercito di Massenzio nel fiume. La risoluzione dell’evento che si conclude con il discorso di
Costantino che fa al popolo romano, con posizione frontale, su una base sopraelevate. Nella fascia inferiore
l’imperatore che fa opere di liberalitas, con popolazione più piccola, con imperatore al centro.
Si ritrovano statue colossali di imperatori, che fanno capire questa enormità, alcuni resti vengono ritrovati
nella Basilica di Massenzio, testa e braccia. Si rileva il fatto che l’imperatore si richiama il volto e la faccia
con stampo classicistica, con sguardo verso il cielo.

Ritrovato un bronzo da Barletta, 4,5 m, che rappresenta Marciano o Leone I, della metà del V secolo, si ha
la sua investitura divina dell’imperatore.

Base di Teodosio, a Costantinopoli,


con trasporto dell’obelisco, con
articolazione su 2 livelli, sopra imperatori
che guardano i giochi del circo, con
esercito. Al di sotto, si ha la fascia
intermedia della popolazione, con
riscontro della posizione gerarchica con
funzionari della cerchia imperiale.

Assenza di definire i personaggi, in


maniera paratattica, con personaggi con
toghe, rendendo omogenee i personaggi
senza quella individualità tipica del classicismo romano, che era la cifra dell’arte romana. Quest’ora si
percepisce la manifestazione del potere imperiale, assume una dimensione gerarchica.

Decorazione parietale della Basilica di Giunio Basso a


Roma pannelli in marmo policromo, che decorano
un’aula basilicale, rinvenuta su S. Maria maggiore
sull’Esquilino. Apparato decorativo, con motivi che
richiamano la tradizione classicistica, con miti come il
rapimento di Hylas da parte del ninfe,la cui
rappresentazione viene proposta con il nuovo linguaggio
figurativo tardo, con personaggi in primo piano, immediata
comprensione. Esclusione del livello prospettico,
sovrapposizione di piani, tipico dell’età repubblicana per
rispondere alla nuova moda. In questo caso si mischiano
diversi linguaggi e temi, temi pagani con elementi sotto del
mondo egizio. Sotto Giulio Basso, capo delle corse circensi,
con tecnica paratattica che pone frontalmente il
protagonista, mentre veste una toga policroma, gli altri
funzionari con toghe più sobrie.

Utilizzo dell’opus ectile, consente al decoratore di


rappresentare scene di diverso tipo, come la scena della
raffigurazione di “Tigri azzannano un toro e un cerbiatto”.

In quest’epoca si parlano più linguaggi e più forme espressive.


Da Roma nelle altre parti dell’impero ci siano delle duplicità
con il linguaggio classicistico, con chiari riferimenti.

Villa di Chiragan a Tolosa  ha una continuità di vita dall’età


augustea fino al VI secolo è abitata. Viene ricondotta alla casa
imperiale degli Aconi. Residenza ha ben 80
camere, estesa di 16 ettari. Si hanno diverse
parti, parte rustica, con ambienti produttivi,
con laboratorio per tessitura, fonderia e una
parte residenziale, con rinvenute oltre 200
statue, busti rilievi  consentono di
ripercorrere una carellata di statue romane,
con riproduzioni, quindi anche alle lealtà.

Recuperate partizioni di complesso ciclo


decorativo, frantumate e sepolte nel momento
dell’abbandono, magari per nascondere, le
tracce di paganità.

12 pannelli che raffigurano le fatiche di Ercole


 probabilmente ricondotte alle maestranze microasiatiche, con un tardamento dei gusti artistici, con miti
ispirati ai gusti classicistici.

Villa romana di Lullingstone, I-V sec


d.C  trovata Villa, con continuità di
vita, che ha subito poi allargamenti e
modifiche, e che in questo caso ha al
suo interno ha una convivenza di
elementi di tipo tradizionale, e in
senso raffigurativo. Stanza semi-
interrata (deep room), che viene
dedicata fino all’età imperiale al culto
domestico nel quale vengono trovati
busti di antenati, che parlano della
terra della Bretagna, la trasmissione
degli ideali del mos maiurum, sia di
tipo identitario.

Proprietari dell’ultima fase, scelgono


richiami alla mitologia classica tradizionale, usando delle maestranze locali,
che veicolano un linguaggio astrattistico, si rappresentano dei linguaggi
tradizionali, con miti tradizionali come Bellerefonte e Pegaso con la
Chimera, e il ratto di Europa da parte di Giove-toro.

Iconografia, con al centro del pavimento la figura di Bellerefonte, con


cornici complesse, e scena inserita in un rombo, con agli angoli le 4 stagioni.

Nell’abside c’è la scena del rapimento di Europa da parte di Giove, in cui


sopra il proprietario fa inserire un disco legiaco.
Dittico dei Simmaci e dei Nicomaci, IV sec  Linguaggio
essenziale ed astratto, un altro manufatto è di tutt’altro
approccio. Definito dalle fonti la postata, colui che cerca
di riproporre un mondo che ormai era cambiato la
cultura pagana. Due famiglie imparentate di Roma,
molto potenti, che vorranno proteggere la tradizione
romana antica, e a queste 2 famiglie vengono ricondotti
questi dittici (tavole con annotazioni e documenti,
nell’epoca tarda diventano oggetti preziose per il
materiale, in questo caso l’avorio). Rappresentate 2
scene di sacrificio, a sx una sacerdotessa dei Simmaci,
con un altare mentre sparge sul fuoco dei grani di
incensio, sacrifica sotto un albero. Seconda figura mostra
una sacerdotessa, con seni scoperti con in man una
fiaccola con altare rotondo, con sacrificio sotto un pino, con
appesi dei cembali.

Dittico di Probiano  linguaggio ribaltato, con in primo piano


Probiano, che ha una posizione rilevante, con carica
amministrativa, raffigurazione con in quinta architettonica con
delle persone al suo cospetto, e lui in primo piano.

Vassoio in argento di Corbirdge (Britannia) 363 d.C  trovato in


un fiume, sotto il regno di Giuliano, raffigurato un momento
celebrativo di Giuliano in un sacrificio a Delo, con una
raffigurazione dei soggetti. Artemide sotto un albero, con Atena, e
gorgone, e Apollo, e Latona, e con Apollo sotto un edificio. Simboli
legati al sacrificio, e attorno la simbologia mitico rituale, con cornice la vite e i grappoli della vite,
simboleggia il culto che vuole essere rappresentato.

IV e V secolo, caratterizzati da spinte di linguaggi espressivi, che poi verranno sempre più affermarsi i culti
legati alla cristianità.

Ideologia di un potere nelle mani di pochi,


che successivamente diverranno i
latifondisti.

Villa romana del Casale (Enna), Piazza


Armerina  riconosciuta in uno stradale
imperiale, nominata e riconosciuta, definita
villa Filosofiana. Non si conoscono i
proprietari, è una villa costruita negli inizi
del IV secolo, questa è un’architettura che
manifesta gli elementi autorappresentativi
della sua famiglia del proprietario. Ci sono 4
diversi nuclei con ingresso quasi tripartito,
su un portile porticato a ferro di cavallo da
cui si accede a nord-ovest al settore termale
ad est al primo nucleo nel peristilio
rettangolare.
Pavimenti tutti mosaicati, valutata come patrimonio dell’UNESCO.

Nel primo vano si ha un sacrario, aula rettangolare con un’abside sul fondo, con un altare e 4 colonne agli
angoli, con funzione di prestigio e al pavimento si hanno motivi geometrici con foglie di vite.

Al centro della villa, si ha un peristilio rettangolare, cuore della villa, con una fontana mistilinea, e su di esso
si aprono alcuni padiglioni, di cui quello settentrionale riservato al personale di servizio, con stanze a 2 file.

Lato est, si ha un grande corridoio trasversale, funzione di diaframma tra movimento di acceso, fino alla
parte pubblica dell’aula Basilicale, con dimensioni notevoli, e che rimarca le dimensioni dei vani, sala in cui
il proprietario riceveva e aveva una funzione di aula regale.

Ai lati della Basilica, si hanno le stanze della famiglia nobile, mentre sotto è stata trovata una stanza con un
mosaico con delle ragazze in bikini, dove probabilmente si svolgevano attività di palestra e ludiche.

Settore dell’aula padronale, con ingresso con portico decorato, e pavimento con mosaico. In altri settori, si
avevano delle raffigurazioni della villa, nei mosaici. Nella palestra, e spogliatoio, con un frigidario, e una sala
ottagonale, con tiepidario, ecc.

Un altro nucleo è quello che si organizza attorno al peristilio ovoidale, si hanno una serie di ambienti con un
a tricora forma antica, che rimanda a presenze con ingressi laterali, aula che rimanda alla cerimonialità
dove potevano essere organizzati tutti quei banchetti, di tipo pubblico.

Corridoio della Grande Caccia, con raffigurazioni


straordinarie, con mosaico con raffigurazione di
un’area della Mesopotamia, con animali e altre
rappresentazioni anche dell’Egitto, che
rimandano a queste rappresentazioni di tipo
simbolico, evocando il mondo delle venationes,
che con Teodoro vengono abolite le attività di
giochi gladiatori. Tematiche scelte, che
raccontano le attività del proprietario, con
scene di caccia, trasporto e consegna di questi
animali di terre esotiche e che servivano per le
attività di tipo venatorio.

Queste maestranze sono ricondotte a quelle


dell’Africa, perché si producono molti mosaici, di
cui alcuni mosaicisti si spostano e vengono
chiamati a realizzare alcuni manufatti. Scena
rappresentata su primo livello.

Mosaico di Iulius da una domus di Cartagine


tardo IV dC  modello di vita urbano e sub-
urbano dell’epoca, scene articolate su 3 livelli, in
cui vengono raffigurati momenti della villa. LA
tipologia della villa fa capire che è un complesso
chiuso, con torri e mura con ingresso
monumentale, con attività che assicurano
prestigio e ricchezza al padrone, sul livello più
basso su un seggio, con dall’altra parte la sua
consorte. A cui vengono recati dei doni, con
delle ceste ricolme di frutti. Sopra mentre c’è la caccia, con vari lavoratori che servono il padrone.

Ipogeo funerario di Trebio Giusto, Roma  era un imprenditore edile, con scene di operai con diverse
scene e fasi di lavoro. Il protagonista che parla con il capomastro.

Aula ipogea di Via Livenza, Roma ninfeo ipogeo,


condensate le tematiche pagane e cristiane che
connotano alcuni monumenti di questa fase.
Scoperto nell’800, grande aula con vasca e nicchia
sul fondo, con una serie di decorazioni. Nella vasca
con nicchia, si hanno dei richiami al mondo
pagano, e poi un’altra decorazione del mondo
romani, pittura con pannelli che imitano il mondo
romano. Si ha a destra una nicchia con il mosaico,
e contesti verticali, e alla grotta. Resti di una
decorazione del mondo cristiano, Miracolo della Fonte di san Pietro con il battesimo del militare. Vivevano
tematiche pagane con tematiche cristiane, cultura che si mischiava.

Normalmente l’arte cristiana viene vista come arte distinta dal mondo pagano, quando invece si aveva una
grande complessità.

La tradizione dice che all’interno delle domus si svolgevano quelle attività, in cui non si sapeva dove
svolgere in altri posti, sono le domus ecclesiae, abitazioni con vani per assicurare l’accesso ad una sala.

Basilica di S.Pietro Roma 320-327 d.C Costantino, e i


suoi architetti per costruire una prima chiesa, pensano alla
forma di una Basilica. Aula rettangolare con colonne, con
lato absidato o no.

Tra il 320-340, con settore di Roma, adibito a necropoli, e al


suo interno si aveva sepolto S.Pietro, riscoperto, con sopra
si aveva un edicola che enfatizzava la sepoltura. Creato un
enorme atrio di ingresso, che va a presentare la struttura
basilicale, con 87x64 metri, con la presenza di 4 colonnati
da 22 colonne, e con transetto, che indicava uno spazio che
è un diaframma tra lo spazio interno e l’edicola del santo.
Attorno alla costruzione, si hanno molte altre sepolture.
Basilica poi ricostruita dopo la fase medievale.

Questa basilica sarà esempio per altre, con doppia funzione


di luogo rituale e ruolo di sepoltura.

Basilica cimiteriale e mausoleo di Tor Pignattara, Roma doveva


essere inizialmente sepolto Costantino, e poi trasferita la sede a
Costantinopoli, ma in cui decide si seppellire la madre Elena, con
un sarcofago in porfido rosso, con costruzione iconografica,
simbolica, che deve esplicitare un messaggio simbolico.

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