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L’evoluzione attraverso i secoli di un approccio archeologico è cambiata moltissimo. Gli antichi avevano
un’idea di una archaiologia che era duplice:
1. un’archeologia che racconta cose antiche, che si basa su un mito e che quindi va a definire un sostrato
ideale, un background di antenati molto lontani;
2. un’archeologia più materiale, (es. scavo delle tombe di Delo all’epoca di Tucidide in cui si comincia a
percepire una concretezza storica, una distanza temporale che non è così lontana da porre il reperto
in un mito ma è una distanza temporale sufficientemente ravvicinata per poterne riconoscerne
elementi di un passato storicamente documentabile.)
si è visto come in età augustea, tardo repubblicana e poi imperiale subentri un’idea di collezionismo,
non solo per le opere d’arte in quanto tali ma anche un recupero di oggetti che parlano di un’età
regia come potevano le monete che augusto regalava come dei souvenir della storia di Roma. Fino
ad arrivare ad una forma di collezionismo, che porterà ad una forma di riuso di un antico, che serve
a trasmettere un’idea di auctoritas, un’idea di un potere che si basa anche su un riconoscimento di
un antico che è connotativo del gruppo sociale e di specifici regnanti.
Questo approccio è servito per avvicinarci alle prime scoperte e si è capito come attraverso figure chiave
come Schliemann o Evans l’idea di un antico non si sofferma solo sulla Grecia di Pericle o sulla Roma di
Augusto ma si amplifica a civiltà che vengono molto prima del V secolo e che a loro volta hanno costituito le
basi per lo sviluppo della cultura greca che diventerà poi, trasformandosi, la cultura romana.
La fase più importante, più attestata archeologicamente → fase dei “secondi palazzi” della metà del secondo
millennio a.C. (1600-1500 a.C.) perché è la fase in cui a Creta e in tutta la Grecia si afferma la civiltà dei
micenei.
Gli archeologi hanno considerato che nella Cnosso degli anni intorno al 1400-1500 a.C. è molto forte la
presenza micenea pe runa serie di tracce che parlano di un subentro di un nuovo gruppo dominante che ha
nell’Argolide il suo centro principale.
In realtà la civiltà micenea, non fa capo a un’unità statale in
senso moderno del termine, è una pluralità di città-stato che
non corrisponde a un contesto unitario → lo si vede molto
bene dalla carta di distribuzione dei siti (p.39) del secondo
millennio a.C. con città che presentano contesti di epoca
micenea.
1. una fase iniziale, tra il 2000 e il 1700 a.C. = fase di formazione dell’ethnos, del gruppo etnico di
riferimento. In questa fase non si assiste a una differenziazione interna su base di classi sociali.
Questo perché le necropoli mostrano dei corredi che hanno delle omogeneità, non una varietà in
termini di arricchimento dei corredi rispetto a quello che si registra successivamente.
2. Tra il 1700 e 1600 sin ha la fase in cui per una fase di miglioramento sociale e arricchimento di alcuni
gruppi rispetto ad altri favorito dal commercio o da un affinamento della produzione emerge la classe
dominante che si pone a capo di questi gruppi. Da essi nascono i regni con le grandi famiglie.
3. L’aumento demografico che si registra sulla base del numero di sepolture, si coniuga con uno
sviluppo dei centri abitati, che è il risultato dell’incremento della vita di questi gruppi etnici che
sviluppano allevamento, industria tessile, una produzione artigianale che si specifica con oggetti
ceramici che vengono esportati non solo nella Grecia ma in tutto il Mediterraneo. Sarà proprio questo
elemento che connoterà la fase di grande espansione micenea datata tra il 1400 e il 1200 a.C.
Sono questi i secoli dove i prodotti vengono esportati perché a fronte di una capacità artigianale di
produrre prodotti di un certo valore dal punto di vista estetico, manca ai Micenei quello che
scambiano presso le popolazioni con le quali commerciano. (metalli e materie prime come l’ambra,
che era considerata un prodotto naturale che poteva essere lavorato in maniera preziosa avvertito
come materiale di prestigio che serviva alle classi dominanti per esprimere il loro potere).
Proprio il Veneto è un centro che ha una funzione importante in questa fase, in particolare a Fratta Polesine
vicino a Rovigo, che rappresenta un centro importante perché qui ci sono manufatti di importazione micenea
che vengono scambiati con oggetti semilavorati o grezzi che arrivano dal Baltico e che qui trovano un’area
commerciale importante.
La grande fase si conclude dal 1200 al 1100 con il crollo di questo sistema produttivo e palazziale.
Uno degli aspetti che ha consentito di ricostruire la storia dei Micenei è stata la decifrazione della lingua dei
micenei detta Lineare B → scrittura che combina segni fonetici con ideogrammi, ai quali si possono
aggiungere dei simboli che indicano unità di misura. Pregreca, già decifrata: alcuni con valore sillabico, altri
con valore semantico. La decifrazione di questa lingua spetta a
Chadwick e Treuil che nel 1956 fanno un primo lavoro sulla
decifrazione di questa scrittura sulla base del ritrovamento di diversi
supporti, che sono iscrizioni su tavolette di argilla, dipinti su vasi
trovati nei palazzi micenei in una notevole quantità. Si tratta del più
antico dialetto della Grecia, infatti è chiamato protogreco che ha forti
attinenze con quelli che sono i dialetti parlati nella Grecia del primo
millennio (ionico-attico, arcado-cipriota, dorico acheo ed eolico).
Al livello inferiore ci sono gli schiavi, che sulla base dello studio delle tavolette sembrano persone che sono
rese schiave, cioè persone che hanno anche nomi che non sono micenei ma che vengono da un’altra zona
che potrebbero essere il risultato di una loro schiavizzazione avvenuta dopo il controllo, il possesso e
l’ampliamento dei territori.
Foto: Possibile bardatura di colui che detiene il potere e che
siede su un seggio, connotato da un punto di vista militare. Il re
viene visto non solo come divinità ma anche come un re
militare, che ha una sua riconoscibilità nel fatto che sa guidare
l’esercito, a cui vengono affidati molti poteri che gli assicurano
un controllo assoluto.
LE CITTÀ-STATO MICENEE → 3 esempi che permettono di cogliere un aspetto che solitamente non viene
considerato, ossia queste città- stato non erano solo delle città, ma anche un territorio, dal quale traevano
dei beni che garantivano un potere forte.
1° CASO: PILO-NAVARINO
Pilo è affacciata sul mare e sarà poi la Navarino veneziana. È un esempio molto interessante perché intorno
al sito della città, Pylos, esiste una moltitudine di centri minori con cui era in contatto. Dal punto di vista
distributivo ci sono degli elementi naturali che segnano il confine della terra di Pylos (es. monti del Taigeto
nel settore nord-est, il fiume Neda nella parte settentrionale, il mar Ionio sul fronte ovest e il golfo della
Messenia sul fronte meridionale).
Questa dislocazione di centri pone la questione del rapporto tra la sede e il territorio e per questo sono state
rilevate una serie di infrastrutture, vie che collegavano questi centri con la città principali attraverso una rete
di scambi che garantiva alla classe dominante un controllo molto forte della produzione e della ridistribuzione
dei beni.
All’interno di questo palazzo, nei vani 7-8, è stato scoperto un ricchissimo archivio contenente tavolette in
lineare B (XIV-XIII sec. a.C.), che hanno permesso una comprensione molto accurata e più complessa della
struttura della vita della società micenea.
Questo palazzo ha un edificio principale con uno sviluppo di circa 50x30 metri; ha un doppio accesso con una
sorta di doppio propileo con un’area a destra per il corpo di guardia (n° 55-56) e a sinistra un archivio (n° 8).
Attraverso l’archivio venivano documentati i beni reali del Re, ovvero della classe dominante, venivano
formalizzati gli scambi anche con altri gruppi etnici e quindi non è un caso che questo luogo sia collocato
immediatamente all’ingresso del palazzo, anche perché l’accesso verso la sala più sontuosa (megaron) è un
accesso limitato, non tutti potevano entrare.
Sul cortile, che ha un secondo accesso sottolineato dalle colonne, si apre il megaron. Al centro c’è il focolare,
4 colonne e sul lato est il posizionamento del trono regale.
In questa sala sono state trovate delle partizioni a livello frammentario dei cicli pittorici che decoravano le
pareti e tracce di stucco con riquadri regolari a motivi geometrici sul pavimento. In questa stanza, la più
importante, venivano accolte le persone di rango ammesse al cospetto del wanax.
Sul lato sx rispetto al megaron, un corridoio divideva questo il settore di rappresentanza da un altro settore
in cui erano allocati i vani per lo stoccaggio delle merci (n°11-12), sono stati trovati molti vasi anche nei vani
n° 19 (solo in questo 2850 vasi) 22 (622 vasi), e altri pitoi (grandi contenitori per i liquidi nei vani 23 e 24. =
Marcano in un corridoio il luogo di detenzione del potere con quelli che erano i beni che il basileus, il re
possedeva.
Nel settore di destra ci sono le stanze della regina con una sorta di
vano di rappresentanza (vano n°46), con un focolare al centro, e a
fianco con una stanza per il bagno con una vasca. È un palazzo che
racchiude una serie di spazi per il potere, per la conservazione dei
beni con anche un magazzino del vino del Re, una cantina dove
vengono posizionati 35 pitoi per il vino per il re.
2° CASO: TIRINTO
È stata esplorata prima da Schliemann e poi dai tedeschi dalla metà degli anni
60.
L’area centrale della corte rappresenta il cuore del palazzo. Lungo il percorso
di accesso, vi sono le “Case matte”, ambienti seminterrati o interrati dove
erano posizionate le guardie del corpo del Re. L’area principale è quella che
verte attorno al megaron, che anche qui ha un doppio accesso sempre con
funzione di enfasi del potere regale e serie di altri vani e alloggi per la
cittadinanza aristocratica della corte.
3° CASO: MICENE
È un punto di cerniera tra l’area di Corinto e il golfo di Salonicco. Fin dagli inizi
la cittadella rimarrà sempre il centro del potere perché qui si formano le prime
abitazioni nella fase inziale (2000-1700 a.C.) e attorno alle colline si
svilupperanno le necropoli che in seguito verranno monumentalizzate.
La città ha una serie di edifici e un’area destinata sia alla residenzialità, con abitazioni di personaggi che
lavorano per il wanax o che producono per lui e una serie di tombe.
La fase del XIV secolo, 1300-1200, è la più
importante perché si registra una forte
affermazione della classe dirigente, che si
traduce anche nella costruzione di una cinta
muraria costituita da blocchi murari irregolari
con riempimento interno che può raggiungere,
senza il parapetto in mattoni crudi esterno i 7,5
metri di spessore e se si considera si arriva a 12,5
metri. Questo circuito murario ha inizialmente
un profilo che ingloba solo una parte della città
e poi solo nel XIII secolo si amplierà e andrà a
inglobare anche un tumulo, circolo di tombe per
una serie di ragioni.
All’ampliamento della cinta muraria va riferita anche l’inserimento di quella che era una sorgente, necessaria
per l’approvvigionamento idrico del gruppo dominante. → questo gruppo codifica il proprio potere
attraverso delle forme monumentali come la muraglia e lo fa avendo dei modelli che sono sia le costruzioni
della Creta della metà del secondo millennio, sia la civiltà ittita, attusa molto avanzata con struttura di tipo
gerarchico molto forte. Sulla base di questi modelli, la famiglia degli Atridi realizza, tra il XIV-XIII secolo, un
ampliamento delle mura, con la costruzione delle Porta dei Leoni (XIII sec. a.C.) con simbolo araldico del
potere del gruppo dominante che dà la misura del livello raggiunto.
Da un punto di vista dello sviluppo si ha un’estensione di circa dieci mila mq ma comunque si tratta di una
città a tutti gli effetti, che ha al suo interno il palazzo, ossia il megaron f, ha una serie di botteghe nel settore
g, ha la parte dell’ingresso della porta (a) e il luogo dove vengono depositate le derrate alimentari che
controlla il wanax (b). Inoltre, ci sono un circolo di tombe (circolo a), un nucleo per le attività sacre, un altro
quartiere insediativo con abitazioni di un certo tipo nel settore settentrionale e meridionale.
Il fatto che l’ampliamento delle mura inglobi anche la sorgente, è stato interpretato come indizio di un
pericolo esterno, come se non ci fosse più la possibilità di approvvigionarsi di acqua dalle sorgenti del
territorio perché sollecitate da incursioni di nemici. Per questo viene inglobata, in modo da garantire un
approvvigionamento sicuro.
L’area del palazzo è contraddistinta dal megaron. Esso può essere considerato l’archetipo del tempio greco
secondo i manuali, ma queste classificazioni non tengono in considerazione quelle che sono le effettive
manifestazioni dell’uso di questi spazi all’interno del periodo storico che si analizza. Il megaron è il cuore del
potere politico della società micenea. Qui si ha una serie di vani con morfologie diverse e che parlano di una
complessità di cerimonie che prevedono una partecipazione collettiva anche attraverso la distribuzione di ex
voto che vengono collocati sulle banchine all’interno dello spazio di culto.
Nella città di Micene c’è una dislocazione di aree che sono destinate a funzioni diversi e che per nuclei
determinano una distribuzione all’interno della città. Nel XIV-XIII viene inglobato il Circolo A, che non è
propriamente il nucleo di tombe più antiche come per Schliemann.
All’interno dello spazio di Micene esistono anche altre tombe, di cui il circolo B è il più antico.
L’archeologia studia le necropoli, perché attraverso lo studio dei corredi, della tipologia delle sepolture, dei
monumenti, come per esempio i tumuli, è possibile ricostruire fenomeni sociali e culturali molto importanti,
ricostruire diagrammi di vita, di articolazione sociale attraverso i decenni. È un ambito di studio privilegiato
per capire come l’uomo antico ha veicolato attraverso il proprio monumento una serie di informazioni su sé
stesso per le generazioni successive.
Il monumento funerario, da moneo (verbo in latino attraverso il quale si esprime il concetto di lasciare
memoria), è propriamente quella costruzione, quell’edificio che trasmette ai vivi la memoria e il ricordo del
defunto. Permette alla famiglia del defunto di trasmettere ideologie particolari che consentono di esplicitare
informazioni di tipo politico, sociale, ideale, ecc.
I messaggi sono veicolanti, elementi che appartengono al concetto di aretè (virtù), di valore militare, di
capacità di gestire agoni cioè i combattimenti, i confronti, le gare tra pari. Ma questi monumenti possono
anche trasmettere informazioni sulla ricchezza che si è ottenuta con il possedimento di terra, l’allevamento
di bestiame ma anche la capacità di procreare e garantire nel corso del tempo alla propria gens, stirpe
attraverso il matrimonio.
Questi messaggi propagandistici si trovano anche nelle tombe di Micene, dove sono state trovati degli oggetti
che ci parlano di 2 gruppi dominanti distinti. Schliemann scopre le tombe del circolo B, che sono le più ricche,
e distanza di 100 anni gli archeologi trovano al di fuori della cinta muraria un gruppo di tombe che è
rappresentato dal circolo B. → queste tombe sono più antiche e risalgono al XVIII-XVI secolo, sono state
scavate negli anni 50 e si trovano a 100 metri al di fuori dell’ingresso rispetto alla porta dei leoni.
Queste tombe sono poste all’interno di un recinto in muratura, un peribolo di pietra di 28 m di diametro con
all’interno circa 20 tombe a fossa di persone sepolte (inumati) e non cremate, che erano membri di
un’aristocrazia militare (hanno dei corredi fortemente indicativi di questo ruolo militare) e che si fanno
seppellire con serie di oggetti che parlano di una classe dominante di livello.
Le tombe del XVI secolo di questo circolo, ad un certo punto, risultano più povere rispetto al XVIII secolo per
sottolineare che il gruppo gentilizio che si fa seppellire lì stava perdendo potere. Da quel momento vengono
seppellite persone nel circolo A all’interno delle mura che ci dà ulteriore indicazione sulla funzione di questo
nuovo circolo (datato tra il XIV e il XII secolo) all’interno delle forme di rappresentazione del potere miceneo.
È il circolo che viene scoperto da Schliemann, nel 1876, costituito da 6 sepolture e credute appartenenti alla
famiglia di Agamennone.
- Dalla fossa II proviene lo scheletro di un maschio con diadema aureo e panopia completa e una serie
di oggetti di importazione.
- Dalle tombe III, IV e V vengono oggetti in oro di estrema rile anza tra cui la famosa maschera detta
di Agamennone; 60 armi e manufatti in oro pari a 2,4 kg.
- Dalla tomba IV vengono altri individui sepolti con corredi aurei per un totale di 7 kg.
- Dalla tomba III una deposizione di una donna con due bambini, uno dei quali ricoperto da una lamina
d’oro che riproduce l’intera sagoma del corpo.
= Vi è un totale di 15 kg su 7 uomini, 8 donne, e 2 bambini, sottoforma di maschere e altri oggetti.
Schliemann dice che sono di Agamennone ma non possono esserlo per la cronologia perché queste tombe si
datano a partire dal XIV secolo mentre Agamennone se si parte dalla guerra di Troia del 1194-1184 non
corrispondono.
Il gruppo al potere dal 14esimo secolo crea all’interno del proprio palazzo un luogo di culto per se e per i
propri antenati che si contrappone al Circolo B che evidentemente apparteneva alla famiglia che regnava
precedentemente → impone un’ideologia basata sulla ricchezza materiale e quindi si tratta di una famiglia
molto più ricca di quella precedente.
Dentro il circolo A sono state trovate anche sepolture di bambini e questo indica che la famiglia che
seppellisce lì riconosce nella stirpe un valore aggiunto, indica che i bambini erano considerati parte della
famiglia, considerati elementi di pari livello degli adulti all’interno di un’ideologia della famiglia che fa del
lignaggio il proprio elemento connotativo. Normalmente i bambini non ricevevano una sepoltura pari a quella
degli adulti (anche in Veneto seppellivano i bambini sotto i pavimenti delle case).
Dal circolo A si capisce che è un gruppo dominante che controlla Micene per lungo tempo e usa la sepoltura
come strumento di apoteosi della famiglia stessa.
Pausania (II, 16, 5-7): «Fra le rovine di Micene …ci sono costruzioni sotterranee di Atreo e dei figli, dove erano
depositati i loro tesori. E c’è la tomba di Atreo, e anche le tombe di quanti, ritornati da Ilio con Agamennone
e invitati a banchetto da Egisto, furono da questi assassinati…Clitemnestra e con lei Egisto furono invece
sepolti a breve distanza dal muro; essi non furono infatti ritenuti degni d’esser sepolti all’interno, là dove
giacevano Agamennone e coloro che erano stati assassinati insieme a lui».
→Si parla di una mitizzazione dei tumuli di Micene da parte degli stessi abitanti della città.
1. Tombe a camera con lungo dromos, corridoio di accesso che consente di accedere in una camera che
viene scavata dentro un banco roccioso con sistema di copertura per bloccare l’accesso dopo la
deposizione del defunto in cuoi possono essere presenti banchine per i rituali di commemorazione
ovvero letti dove adagiare i corpi dei defunti.
2. Tombe a tholos → es. famosa tomba di Atreo con pianta circolare regolare costituita da filare di
blocchi in pietra regolare aggettante con profilo ad alveare preceduta da corridoio di accesso che è
ancora una volta il dromos. Da un punto di vista decorativo è una delle tombe più significative per i
resti recuperati da Schliemann e poi da altri in seguito. Il punto di accesso della tomba, che si trova
al di fuori della cinta muraria è collocata sulla strada di accesso alla cittadella. = questo per rimarcare
che queste sepolture devono raccontare qualcosa non solo agli abitanti ma anche a chi viene da fuori.
La sede del potere è una sede fortificata, quindi indice di una cultura che deve proteggersi, al contrario
dell’area cretese dove il palazzo non è circondato da mura. Il passo di Pausania riconduce la costruzione delle
mura ai ciclopi per dare valore irrazionale a una cosa che non si penserebbe possibile che in realtà erano
evolute.
Infine, si ha una valutazione sociale e politico, in cui queste rappresentazioni urbanistiche e questi
monumenti funerari, sono il segno di un sistema palaziale che fonda il proprio potere su una serie di elementi
ideologici ma anche monumentali.
Nel momento del crollo del sistema palaziale miceneo (fine del XII secolo) e di tutta l’organizzazione sociale,
culturale, politica e produttiva, l’archeologia degli anni 60 del 900 ha individuato la “fase delle dark ages”
(delle età oscure) → per fare riferimento a un momento di crisi generale che coincidono con gli anni tra la
caduta di Troia e prodromi della formazione di quella che sarà la polis tra il IX e l’VIII secolo. Questa fase
segna anche un momento di passaggio culturale tra l’età del bronzo e l’età del ferro.
Questa instabilità per gli storiografi greci si pone a distanza di circa 80 anni dalla caduta di Troia è una fase
che viene ricostruita anche da alcuni pensatori come Eratostene e Apollodoro (pensatori, storici del III e II
a.C.) che ruotano attorno all’ambiente alessandrino (centro di produzione massima) e all’interno di questa
città arrivano della biblioteca i massimi studiosi dell’epoca che danno vita alla raccolta di materiali cercando
di ricostruire frammenti di storia e pongono tra il 1194 e il 1184 la guerra di Troia. (le datazioni sono date
dagli archeologi con la nostra cronologia perché loro si basavano su eventi come le olimpiadi o i regni di
determinati re)
Vedono nel X secolo la crisi totale di questo sistema miceneo anche per l’arrivo dei Dori. Di questi ne parla
Tucidide già nel V secolo a.C. e corrisponde a una fase di crisi nella produzione, nella costruzione di edifici,
nella tipologia dei corredi funerari che non coincide a una totale cesura ma ad una contrazione delle attività.
Il fatto che questa crisi coincida con la crisi con il sistema palaziale fa sì che vengano meno anche i sistemi di
approvvigionamento delle risorse primarie, in particolare i sistemi di recupero dei metalli, delle ambre, ecc.
che servivano per gli oggetti di lusso. = C’è una necessità di trovare nuove forme di produzione.
Questa fase dura circa due secoli e vede, dal punto di vista mitico la fine delle grandi dinastie (Agamennone
ucciso da Egisto, Ulisse costretto a navigare per 10 anni perché punito da Poseidone). Si tratta quindi di un
periodo di messa in discussione di questo potere per una serie di fattori concomitanti (guerre tra gruppi etnici
ma anche fattori naturali come terremoti, devastazioni e anche una ribellione da parte del damos nei
confronti della classe dirigente del sistema palaziale) che creano instabilità.
La crisi e la contemporanea venuta di popoli dal nord della Grecia con culture diverse (= “popoli del mare”)
danno inizio a un ulteriore fenomeno: la prima migrazione di genti greche sulle coste dell’Anatolia, dove
queste persone vanno a portare la loro cultura, i loro dialetti, nuove sollecitazioni occupando delle terre
prevalentemente libere in modo da sfruttare i territori e ottenere nuove risorse naturali.
- Genti della Beozia e della Tessaglia si spostano verso le coste anatoliche con la fondazione di Smirne
e altre città. → Dodecapoli eolica.
- Dall’Attica e dall’Eubea si spingono gruppi etnici verso le Cicladi e a sud di Smirne formeranno i nuclei
da dove si svilupperanno Mileto, Efeso, Samo, Priene e Chio con dialetti ionici → Dodecapoli ionica
- L’area del distretto dorico con Alicarnasso e Ko e rielaborazione di sistemi decorativi e soluzioni
architettoniche specifiche. → Dodecapoli dorica
Le nuove forme di insediamento fra IX e VIII sec a.C.: dal palazzo miceneo alla polis
Nel momento di trapasso tra la calata dei Dori e la formazione degli insediamenti del proto-geometrico si
impone progressivamente un passaggio da gruppi che hanno inizialmente una comune base di beni e poi
progressivamente si costituiscono nuovi gruppi familiari, che possiedono una terra, che riescono a produrre
in eccedenza i beni e a vendere i loro prodotti. Si affermano nuove capacità artigianali, non usando più il
bronzo, che prevedeva l’importazione delle materie prime come lo stagno ma il ferro. = nuove conoscenze e
nuove rotte commerciali.
Questa nuova formazione di gruppi sociali, che riescono in alcuni casi ad accumulare una nuova ricchezza e
organizzare la struttura sociale in classi, parte dal presupposto che tra il X e il IX secolo riprendono le rotte
commerciali in relazione al fatto che genti dell’area siro-palestinese (Fenici) riprendono a commerciale
rimettendo in moto quel sistema che, anche se struttura diversa, era appartenuta alla società minoico-
micenea.
Nella seconda metà dell’ VII secolo si avvia una seconda fase di colonizzazione, di trasferimento di genti =
colonizzazione greca, dovuta al fatto che per un maggiore benessere che la popolazione riesce ad acquisire
(si riproduce di più e i gruppi sono più numerosi) non per tutti c’è spazio sufficiente nella città e
necessariamente si deve andare oltre il proprio territorio, con la clausola che in un altro territorio c’era un
altro gruppo etnico che non si poteva invadere quindi gruppi etnici deciono di trasferire prevalentemente la
parte giovane del gruppo in un Occidente (Magna Grecia, Siciilia, coste della Gallia, della Spagna dell’Africa
settentrionale) e andranno a fondare nuove città.
In questa stessa fase vi è una ripresa delle costruzioni architettoniche, che coincide con figure che sanno
costruire in legno. L’architetto è propriamente il capo dei carpentieri → “architektones” è colui che sta a capo
dei tektones, coloro che sanno lavorare il legno.
Gli studi recenti hanno rilevato la gestione della carpenteria edilizia sia da collegare con le conoscenze che
questi gruppi avevano nella produzione di navi, nella cantieristica navale e abbiano trasferito conoscenze sui
tipi di legname, sulla resistività di certi legni rispetto ad altri, sulle modalità di utilizzo in determinati contesti.
Il sacro è un elemento fondamentale per questi gruppi, un elemento che viene utilizzato dalle classi al potere
ma anche dal demos. Si tratta della società che elabora i poemi omerici tra IX e VIII secolo, che verranno
trascritti in età tardo-arcaica. → Si tratta di una fase di grande fervore culturale che si è sviluppata attraverso
la dark age e che non ha corrisposto a una totale cesura con la fase precedente ma è stata una fase di
assestamento che ha portato poi nel corso del tempo alla costituzione della polis.
Centralità del sacro come spazio identitario della comunità: i primi edifici di culto. Modello dorico vs modello
ionico.
Da un punto di vista strutturale esistono per questa fase delle forme architettoniche che hanno segnato un
trapasso. (??) In questa fase tra il X e IX secolo, si riesce a studiare come questi gruppi sono riusciti a creare
costruzioni, forme di rappresentazione abbastanza nuove e innovative per ricostruire il tessuto sociale di
riferimento.
Lo spazio sacro, la casa della divinità che viene riconosciuta come identitaria del gruppo, è uno degli esempi
strutturali tra i primi di cui abbiamo traccia. Sono i secoli nei quali si forma un duplice modello: quello dorico
e quello ionico.
a) IL MODELLO DORICO → dal punto di vista morfologico, ispirato al megaron miceneo, inteso come
sala di prestigio, e all’oikos, la ‘casa’> da qui si sviluppano iprimi esempi di edifici sacri.
Un uomo e la sua donna che ad un certo punto vengono riconosciuti come antenati divinizzato e quindi ha
cambiato il suo status. Diventa un eroe (da qui Heroon) ed evidentemente questo modo di trasformare
l’abitazione in tomba si utilizza per creare un nuovo luogo di culto di quello che sarà il capostipite di questo
gruppo. Non a caso, questa tomba viene ricoperta di terra, si creano delle rampe per accedervi da sopra e in
qualche modo diventa non più accessibile ma resta il segno di una divinizzazione di un defunto.
Dalla tipologia di questo rituale gli archeologi hanno cercato di trarre dei parallelismi con le narrazioni
omeriche dei funerali di Patroclo con il sacrifico dei cavalli durante la cremazione del compagno di Achille. È
un elemento che consente id iniziare a capire quanto, a livello di espressione ideale, questi monumenti
possono avere una loro funzione.
Lo spazio sacro, prima dell’agorà, è il luogo attorno al quale ci si trova, si stabiliscono delle regole, dei limiti
individuali. Attraverso l’egida del sacro questi gruppi si danno un ordine.
Ci sono alcune divinità che sono già nella civiltà micenea altre che invece si impongono sostanzialmente dal
X secolo a.C. e che in molti casi permangono nel corso del tempo (es. Apollo e Poseidone). Non tutti i nomi
micenei corrispondono a quelli greci ma per quanto riguarda le divinità femminili soprattutto quelle attestate
vengono identificate ad esempio con Artemide. Abbiamo una funzionalità di culto che si protrae nel corso
del tempo, mentre in altri casi ci sono delle sostituzioni ovvero delle assimilazioni. Questo dipende, da un
punto di vista della storia delle religioni, da quanto alcuni caratteri di alcune divinità vengono trasmessi e
vengono riconosciuti come forti e valenti anche nelle generazioni successive trasportando la questione a
all'età romana. I romani danno dei nomi o spesso associando degli aggettivi che possono richiamare le
divinità indigene un po’ perché i romani erano fortemente superstiziosi, un po’ perché a loro serviva a livello
di controllo sociale, per garantire una continuità attraverso i templi.
b) IL MODELLO IONICO → L’altra tipologia edilizia per l’edificio di culto si sviluppa in area ionica
partendo da un diverso concetto di area sacra: il modello ‘ionico’ elabora, amplificandolo, un recinto
sacro allungato e monumentalizzato (sekòs), arrivando a elaborare una tipologia specifica volta a
delimitare l’area scoperta in cui appare la divinità tramite la sua statua di culto (agalma).
L’altra tipologia edilizia, ad Efeso e Samo, ha alcune tracce molto evidenti che si affermano già nel VIII secolo,
e che partono da una prospettiva diversa cioè la agalma deve essere protetta da un recinto sacro (sekòs).
Questo recinto è inizialmente delimitato da pali, da colonnati che hanno una lor monumentalizzazione ma
per proteggere la statua c’è bisogno di una costruzione. All’interno viene realizzata la casa del dio.
Questa soluzione viene superata quando i pilastri vengono addossati alle pareti sui lati lunghi e poi viene
creato un peribolo esterno su cui si scarica il resto del peso della copertura. Questo tipo di soluzione porterà
alla codificazione delle strutture templari successive. (VI secolo a.C.)
Se i gruppi etnici costruiscono questi edifici per il riconoscimento della divinità che li tiene uniti, IX e VIII
secolo è anche il periodo in cui si iniziano a porre le basi di quella che sarà la polis.
In un libro di F. De Polignac, La nascita della città greca. Culti spazi e società nei secoli VIII e VI a.C., vengono
delineate quelle che sono le tappe per la costruzione, per la codificazione della città a partire da gruppi etnici
che hanno un’identità condivisa e che saranno quelli che creeranno i presupposti per la polis. Questi gruppi
sviluppano diversi agglomerati di abitazioni e di luoghi di produzione e attraverso lo sviluppo della cellula
base/casa (oikos) in più oikoi che sono i gruppi di persone che si riconoscono all’interno di un insediamento
si creano gli spazi condivisi che sarà lo spazio pubblico che in futuro si chiamerà agorà, lo spazio per lo sacro,
posto sulla collina. La cellula base si sviluppa all’interno del nucleo della futura città ma controlla anche un
territorio (chora), segnato dalla comunità attraverso serie di spazi sacri (santuari), abitazioni, luoghi di
riunione, vie, necropoli, delle aree di produzione (alcune produzioni molto pericolose all’interno del nucleo
abitativo per la presenza del fuoco) ma anche zone dove si produceva ciò che era necessario alla comunità
come le fattorie extraurbane. Queste erano delle case per la fascia sociale medio bassa e avevano una
struttura piuttosto semplice: un unico ambiente
quadrangolare per un totale di 20 mq, pensato per un
nucleo di famiglia (mononucleare) che può svolgere le
attività di produzione (come la lavorazione della lana, dei
tessuti o la produzione di ceramiche per uso interno) con
una sorta di cantina sottostante accessibile dall’interno
dell’abitazione per inserire le provviste necessarie alla
famiglia.
All’interno vi erano pochi oggetti, sono delle strutture effimere con alzati in mattoni crudi. Esistono anche
altre abitazioni più grandi per classe più elevata e famiglia più ampia che richiamano l’idea del megaron dal
punto di vista della struttura originaria. Questo tipo di abitazioni si inseriscono all’interno di un insediamento
in maniera non regolare.
Smirne → ricostruzione della città secondo un impianto regolare dopo un incendio della fine dell’VIII sec. a.C.
In questa città questo sistema urbanistico diventa l’occasione per
ripensare la città dove intorno al 1000 queste case sono distribuite in
maniera incoerente. Nel momento in cui avviene un incendio,
nell’VIII secolo viene distrutta la città e ne viene costruita una nuova,
che questa volta ha centinaia di esempi di abitazioni con:
fondamenta in pietra, alzati in legno, mattoni crudi e copertura in
materiali straminei. In questo caso si dispongono all’interno di un
circuito murario più o meno circolare, che all’interno ha
un’articolazione rispetto agli assi stradali ben definita, e
posizionamenti delle abitazioni più scanditi.
Emporion, Chio
La colonizzazione greca è uno dei fenomeni più interessanti del mondo greco che vede lo spostarsi di gruppi
etnici dalla madrepatria, dalla metropoli verso territoti che per informazioni pregresse o per piste seguite già
dai micenei erano note attraverso le rotte commerciali. In queste terre, la madrepatria decide di fondare dei
nuovi luoghi in cui trasferisce parte della sua popolazione. L’oikistes, una figura a cui è riconosciuto un valore
militare ma anche morale, che va a capo di queste spedizioni e fondano la apoikia (città di fondazione), sotto
la guida di oracoli che indirizzano i popoli a scegliere certi luoghi rispetto ad altri.
Queste fondazioni non erano sempre in pace perché a volte si trovavano anche indigeni, che portano a delle
situazioni di scontro, degli accordi, dei matrimoni tra diverse etnie per garantire osmosi tra indigeni e nuove
persone e quindi a delle nuove città. Queste recuperano molto della tradizione della madrepatria,
stabiliscono dopo alcune generazioni il culto del fondatore, si danno delle norme → isonomia, una legge che
vale per tutti e che garantisce un’articolazione del territorio in maniera organica e ordinata già in una fase
molto precoce.
Queste città di fondazione hanno una chora di pertinenza, che svolge un ruolo importante perché dentro lo
spazio si sviluppano, non solo luoghi di culto che marcano il suo limite, ma si sviluppano anche fattorie o
abitazioni che sono quelle cellule che garantiscono alla propria cittadinanza di controllare il territorio.
La chora è il luogo dove la cittadinanza e anche i popoli fuori dalla città trasferiscono una serie di elementi
costituitivi del proprio ethnos e dove si svolgono cerimonie connotative dell’ethnos stesso, come cerimonie
legate a santuari di frontiera, in cui gruppi sociali come giovani devono dimostrare attraverso gli atla (gare di
iniziazione) di essere in grado di gestire determinate situazioni di pericolo, di essere in grado di svolgere una
serie di attività che corrispondono a una norma codificata dal gruppo sociale. → all’interno della chora
esistono anche degli spazi in cui i gruppi si riconoscono e quindi delimitano sé stessi e pongono il punto di
separazione tra loro e l’altra chora di un’altra popolazione.
Non solo la città viene ad essere lo spazio di identità ma anche il territorio ha questa pertinenza, che si
concretizza tra VII e VI secolo ma che tra IX e VIII diventa l’elemento che connota questi nuovi gruppi di nuovi
greci.
LEZIONE 03 ǀ 1 marzo 2022
Dalla produzione ceramica di età geometrica (IX-VIII sec. A.C) ai fenomeni culturali e artistici di
età orientalizzante (VII sec a.C)
Siamo arrivati fino ad alcune attestazioni dell’VIII secolo, che sono molto residuali da punto di vista di resti
e delle tracce monumentali.
Produzione Ceramica
La ceramica è un ambito che rappresenta il tema dello studio della archeologia classica. I frammenti di
ceramica, sono per gli archeologi il “fossile guida”, sempre e aiuta a datare lo strato del contesto di
riferimento.
La produzione ceramica è importante non solo perché è un’oggetto che si trova in grandi quantità nelle
necropoli, ma anche perché permette di individuare delle classi tipologiche e botteghe e tendenze
artistiche, ma ha permesso:
• di ricostruire una serie di informazioni su luoghi di destinazioni di questi vasi, con usi civili, sacri e
funerari
• capire il processo di produzione di queste ceramiche.
1- Estrazione dell’argilla.
2- Deposito e decantazione in vasche.
• l’argilla dell’area corinzia è più chiara e viene decorata, con tendenzialmente un colore giallo-verde
• quella dall’area attica è più rossastra, poiché vi è la forte presenza di materiale ferroso
• quella dell’area microasiatica è più marroncina più simile a cuoio
3- Dopo l’estrazione, l’argilla poi veniva depurata, ovvero depositata da bacini ricchi d’acqua, dove si
depositavano sul fondo la massa di argilla e venivano
rimossi dal pelo dell’acqua quello sporco che era
presente, come foglie, insetti e altri materiali, poi il tutto
veniva impastato e lavorato al tornio (sorta di invenzione
micenea perfezionata in Grecia).
Nelle officine vi erano dei simulati di divinità che proteggevano la professione, in particolare Atena e
Efesto
Attività che si svolgeva all’interno delle fornaci e delle officine in senso lato, che in greco prendono nome di
Ergasteria.
Ergasteria luogo in cui di facevano gli erga, ovvero le opere, ergasterion al plurale di opera
Il caso di Atene è importante per l’età geometrica, si sviluppa un quartiere chiamato Kerameikos, dove si
sviluppano molte officine e quindi anche molte botteghe. Quartiere ceramico, anche con la presenza del
fiume si garantiva il processo produttivo.
Gli studiosi, hanno diviso le fasi di decorazione della fase geometrica, in circa altre
4 fasi:
Fase proto-geometrica
vaso, tra cui la spalla e la pancia del vaso. Sono in seguito il piede e collo oggetto di decorazione ad
hoc. Decorazione che si sviluppa orizzontalmente.
• Fase geometrica (stile geometrico antico), 900-850, con grandi dimensioni di vasi (crateri, anfore), e
compaiono alcuni motivi zig-zag, e svastiche.
• Fase geometrica media (850-750), arrivando a delle linee e motivi geometrici, coerenti alla forma
del vaso, ma perfettamente eseguiti, con una comparsa, con alcuni elementi applique, con alcune
impugnature ed elementi di tipo animale ed umano.
Ultima fase geom media che dura 100 anni, i vasi che vengono prodotti, permettono di rendere la superfice
del vaso parlante, con scene di quotidianità o che richiamano imprese di singoli
individui oppure, elementi connessi al mito, oppure con una sfera di vettori, in cui
le persone potessero riconoscersi.
Vi sono alcuni esempi di Pisside, con coperchio decorato da cavalli (applique), che
simboleggiava il detenere un patrimonio di un certo tipo, cavalli con ricchezza.
Nella foto anche uno skyphos, con scena di attracco di una nave e di scontro tra 2
diversi gruppi, che viene da Eleusi, compare una scena con l’arrivo di una nave,
con un uomo con arco e freccia, che rimanda o una scena mitologica, oppure uno
scontro tra gruppi, cosiddetti “pirati”.
Vasi venivano usati come segnacoli tombali, crateri usati per le sepolture maschili e le anfore per quelle
femminili.
Anfora del Dipylon, Atene-Esempio di una anfora trovata ad Atene, di grandi dimensioni H 1,55 m, in una
scena di prothesis e di compianto di una defunta distesa su un letto funebre, da parte di un gruppo
ristretto, con una figura di bambino a lato. Scena di compianto, che era ancora in una scena di tipo
familiare.
In altri esempi il numero di persone aumenta, e queste fa intuire, e questo fa immaginare non più una
società di clan familiari, ma una società che via via si arricchisce e si struttura in comunità.
Benchè non ci siano ancora tracce di una statuaria, oltre ai vasi, sono stati trovati oggetti plastici di piccole
dimensioni, realizzati in terracotta o bronzo.
Produzione in bronzo, che ad Olimpia ci sono molti esemplari, che vengono prodotti questi grandi tripodi,
che venivano dedicati nelle aree di santuari, che con anche l’avvenuta delle Olimpiadi, si aveva una grande
produzione di questi oggetti per celebrare questo tipo di vittorie.
Oggetti con primo approccio, della figura umana, che chiama in causa la capacità di realizzare, manufatti di
confusione piena, e primo scontro tra soggetti, con statue non alte più di 20 cm.
ETA’ ORIENTALIZZANTE
Produzione artistica, nel VII sec a.C, con un flusso da parte delle genti orientali, dura circa un secolo, che
avviene dal 600-699 a.C. Avviene perché a partire dal nono secolo a.c ripartono i grandi commerci, e vede
le genti dell’aria fenicia, che connettono i prodotti artistici e cultura dell’area orientale con il mondo greco.
Se nell’area artica vengono prodotte delle ceramiche di altissimo livello, poi vengono soppiantate da una
serie di prodotti con una marca fortemente orientale, con un commercio via mare.
Nei racconti di Omero, si parla di uomini che dalla terra Fenicia, giungevano molte navi, portando con se
molte “chincaglieria”, ovvero tutta una serie di merci, che meravigliavano una committenza locale, con
delle decorazioni, con una espressione e violenza.
Nel cratere di Aristonothos, con raffigurati Ulisse e suoi compagni che stanno per uccidere Polifemo, di
produzione greca, con una scritta con il nome dell’autore.
Questo permette anche di intendere una società che non si basa su leggi orali, leggi non scritte, che
quindi a discapito di una popolazione che dipende da una sua autonomia, ma che dal punto di vista
amministrativo si ha anche un sistema di famiglie nobili, che si affermano nella società.
Si ha bisogno di stabilire un sistema di regole che si affermano sempre di più, via via creando delle società
sempre più complesse.
In questo secolo, il passaggio dell’uso del legno, a quello dell’uso della pietra che va a codificare una serie di
innovazioni, per quello che è l’edificio che costituisce la società che è il tempio. Vanno sostituite le
coperture lignee, con l’uso anche delle tegole in terracotta, probabile invenzione degli abitanti di Corinto,
intono al 680.
Si inventarono delle “maschere”, tegole ante- fisse, che vano a coprire la parte superiore del tetto e
abbellirla, e che permettono di coprire lo spazio interno, che in qualche modo viene ripensato.
- Introduzione delle tegole fittili per la copertura del tetto: invenzione degli abitanti dell’Istmo di
Corinto;
- Introduzione delle ‘maschere’ per coprire le estremità dei tetti: sono le ante-fisse, inventate dal
vasaio Butades; che vano a coprire la parte superiore del tetto e abbellirla, e che permettono di
coprire lo spazio interno, che in qualche modo viene ripensato.
- Inclinazione del doppio spiovente non superiore al 32/35% del totale (cfr. i precedenti tetti dei
modellini fittili);
- Minore inclinazione=maggiore ampiezza della cella, scarico dei pesi sulla peristasi esterna e sui
sostegni interni, cella che ora diventa in pietra, sulla peristasi, che definisce un nuovo ruolo, di
sostegno della copertura ma un luogo in cui i fedeli possono sostare
- Definizione dei due principali ordini, dorico e ionico.
L’Heraion di Olimpia (650-600 a.C), è un esempio di come si possa registrare un passaggio progressivo da
una casa del dio realizzata di legno e poi in pietra. Cella di 100 piedi con un pronao di 20 piedi e 2 colonne
in antis. Qui si ha un opistodomo, che rende ariosa le due corti del tempio. Peristasi di 6x16 colonne con
uno stilobate.
La suddivisione tra pronao, e naos, (cella), la presenza del colonnato che si addossa quasi completamente
alle pareti laterali, in cui si ospitavano i due simulati del tempio di Era e Zeus.
Qui viene notato uno di quelli che viene chiamato, il conflitto angolare perché qui si decise di spostare
l’asse delle colonne al margine del tempio, in modo di rendere più larga la prima metopa.
Un altro edificio, che è stato soggetto di studi specifici è stato quello di:
Thermos, che subisce una serie di modifiche, tra cui il tempio di Apollo (630-620 a.C), con una presenza di
colonnato assiale, con una peristasi di 5x15 colonne con parte dei tamburi in pietra e una serie di metope,
su un fregio dorico.
Evoluzione del tempio in pietra è quello sul fronte Ionico. Già
analizzato con il secondo Hekatompedon I (VIII sec a.C), con
una ricostruzione del portico stoà per i fedeli.
SCULTURA MONUMENTALE
Sulle gambe della scultura vi è una dedica scritta incisa ad Apollo. In qualche modo è
l’oggetto dedicato che parla e presenta se stesso alla divinità, caratteristica costante
in questi tipi di oggetti, come un ammonimento per colui che vede l’oggetto, quindi
portatore di un messaggio. Oggetto realizzato con fusione piena, con capacità di
lavorazione di un certo livello. Fa muovere le braccia dal corpo, con il gesto che
tiene un arco e una freccia, è una statuetta a tutto tondo.
Per far risalire qualche personaggio del mito in scultura, le fonti del mito dicono che l’invenzione della
statuaria è attribuita a Dedalo. Ha un nomen omen (dal nome parlante).
Dedalo deriva da Daidallen=ovvero lavorare ad arte.
Daidalos =colui che modella ad arte, ma anche secondo le fonti un architetto che ha gli strumenti di lavoro.
A lui vengono attribuite le doti straordinarie di aver inventato il labirinto, ma anche aver inventato gli
strumenti dell’ascia, fili a piombo, che serve per costruire tali opere, ma anche per realizzare queste opere
con una serie di competenze.
Un altro elemento da considerare tra il mitologico e lo storico, è che a Minosse, a Creta, si trovano le prime
tracce di produzione di sculture in pietra, Creta si pone come una culla di invenzioni e definizioni, dove si ha
un transito di persone e merci, in un posto dove transita quello che è il mondo antico.
Nelle Cicladi, si concretizza l’utilizzo del marmo, con l’utilizzo di trattamenti specifici per l’uso del marmo,
anche con statue di grandi dimensioni. Il termine utilizzato comunemente per indicare statue di grandi
dimensioni, in greco kolossòs è qualcosa che ha una dimensione colossale, ma significa un qualcosa che è
saldo nel terreno, che non si può spostare che è inamovibile. Le statue piccole in bronzo viste in
precedenza, invece usualmente venivano trasportate durante le processioni sacre, durante le festività, che
richiedevano la presenza fisica delle divinità.
Esempio, una statua del villaggio di Melanes a Nasso, con un kouros, che è
lasciato abbozzato.
L’arte del VII secolo, non interessa solo l’architettura e la grande scultura,
ma anche un’arte che va a esplicitarsi nell’oreficeria, non solo con
committenza greca, ma anche una committenza non greca. Se nella fase
geometrica si aveva una grande presenza di tripodi, nel 7° secolo si ha una
prevalenza di realizzazioni di calderoni, su supporti conici e che possono
presentare dei grifoni.
Vengono creati degli oggetti con gusto orientale, e riprodotti, con idea del gusto orientale che è
caratterizzato, da scene esotiche, senso di sottomissione della società, e animali fantastici.
Gusto che poi si ritrova nelle produzioni di Pithos di Mikonos, con il cavallo di Troia, stilizzato nel momento
in cui viene portato nella città.
Se Atene dominò la produzione ceramica in tutto il 9° e 8° secolo, la città che si impone nel 7° secolo, è
Corinto, che è stata meno produttiva per quanto riguarda nella produzione ceramica, e che invece
recepisce quelle sollecitazioni che provengono dall’oriente. Il nucleo antico della città è sul promontorio, e
la Corinto romana rifondata dopo la distruzione del 146 a.C. Città con già la sua vivacità nell VIII sec., con
posizione strategica a metà tra il mare d’occidente e il mar Egeo, tra i Golfo di Salonicco e Golfo di Corinto,
e quindi va a controllare tutta una serie di traffici tra le due sponde. Nel VII secolo produce ceramiche con
gusto orientale, e che rispondono ad elementi del mito, con gusti esotici, e uno dei prodotti pi famosi è
Olpe Chigi, una brocca, che ci mostra come la cultura raffigurativa anche nei vasi, ha elaborato delle
rappresentazioni e personaggi.
LEZIONE 04 | 2 marzo 2022
Il momento di trapasso tra questi due secoli serve per comprendere quelle che sono stati gli indizi di
trasformazione, di nuovi elementi che hanno interessato l’arte greca e che non possono essere disgiunte
dalla politica, dall’economia, dalla cultura e quindi dalla società che le ha fornite.
Il VI secolo è il secolo in cui la rete di vie commerciali, di rapporti tra etnie diverse, che non sono solo quelle
della Grecia ma sono anche gli altri popoli (es. Fenici).
Questa rete di contatti fa sì che si registri un netto aumento del benessere della popolazione, che si traduce
non solo in una situazione nelle singole realtà della madre patria ma anche nelle colonie. Questo ampliarsi
delle potenzialità di una vita meno in difficoltà si traducono con il fatto che nel VI secolo si registra già una
maggiore consapevolezza del saper fare, dell’essere degli artigiani che hanno capacità artistiche, che hanno
una propria riconoscibilità, una propria bottega → questa consapevolezza fa sì che dalle personalità mitiche
si passa a prime personalità artistiche che vengono ricordate dalle fonti in questo secolo.
L’aumento della produzione e dei commerci favorì una necessaria introduzione della monetazione. IL VI
secolo è infatti, secondo le fonti, il momento in cui vengono riconosciute le prime forme di coniazione di
monete che si riconoscono nell’area Lidia (microasiatica) e che rispondono a delle necessità prime di stabilire
un valore alle merci vendute. Nella frammentarietà della situazione greca sia della madrepatria, sia di colonie
questa situazione fa sì che ogni città inizi a coniare delle proprie monete, che scelgono dei simboli che
evocano un carattere particolare della città in cui la cittadinanza si riconosce e che hanno dei valori ponderali,
a livello di scambio differenti.
La pratica di un rapporto strettissimo tra queste città chiama in causa l’altra grande potenza → Impero dei
Persiani. Questo impero si incontra alla fine dell’età arcaica nel momento in cui Grecia, capeggiata da Atene
si scontrerà con questa potenza navale e oplitica, ma in realtà questa civiltà per tutto il VI secolo continuerà
a pressare le città della Grecia ionico (Efeso, Mileto e Smirne sul Mediterraneo) che rappresentano per il gran
re gli avamposti per controllare tutto lo sbocco delle merci. I greci li chiameranno barbaroi (“coloro che non
sanno parlare il greco”).
Città principale in questo periodo è Atene → soppianta il ruolo di grande esportatore di ceramica di Corinto
e questa nuova ascesa si deve anche all’emergere di alcune figure che costituiscono dei punti di rifermentò
sociali e politici per la comunità:
- Solone = il grande legislatore e mediatore delle tensioni sociali a cui pure Atene era sottoposta.
Questa prima codificazione di leggi deriva dalla necessità di rendere chiare delle leggi che diano pari
diritto alla popolazione togliendo il totale arbitrio dalle mani dell’aristocrazia.
- Pisistrato = a capo di un governo tirannico (534-528 a.C. - altera la situazione, riassume in sé tutte le
criticità sociali promettendo premi, favori e denaro - figure dei tiranni presenti anche in altre città).
Egli riesce a imporsi sulla scena politica e tenta di superare la crisi favorendo l’agricoltura e
l’artigianato, promuovendo attività infrastrutturali ed edilizie per la città dando vita a una prima
flotta navale. La parola tyranos viene introdotta nel VII secolo, nel momento in cui i greci assumono
un certo vocabolario orientale, che sta a indicare una figura carismatica che accentra su di sé il
potere.
La situazione resta così dinamica fino a quando non subentrano i figli Ippia e Ipparco. Ippia è
presentato come il braccio armato della famiglia, mentre Ipparco come l’uomo intellettuale, che
chiama a corte gli artisti e i poeti che cade sotto le armi dei due tirannicidi Armodio e Aristogitone
che uccidono Ipparco nel 514 a.C.; nel 510 a.C. Ippia viene cacciato.
- Clistene introduce innovazioni politiche fondamentali, tra cui l’abolizione della tirannide in favore di
un regime democratico (fine VI secolo a.C.)
Corinto mantiene un controllo di una parte della produzione ceramica soprattutto verso i mercati della Grecia
settentrionale e in Occidente, ma quando nel 585 cade la dinastia dei Cipselidi, dal capostipite Cipselo, la
città andrà incontro a una progressiva contrazione.
Sparta diventa il nuovo centro politico egemone del Peloponneso, dando avvio alla lega peloponnesiaca
anche grazie a una produzione rilevante di ceramiche e bronzi attestati anche in Occidente.
Le città greche della Ionia, in Asia Minore, sono pressate dalla spinta dominatrice dell’Impero persiano: solo
alcune riescono a mantenere un’autonomia significativa, che permette loro di progredire anche in termini
culturali e artistici.
Nel momento in cui cade la tirannide nel 510 e vengono sollecitate delle innovazioni da un punto di vista
giuridico con le norme in senso democratico di Clistene, vengono identificati anche degli organi di governo,
di amministrazione della città che si concretizzano nella grande boulè, nell’assemblea dei 500 nella quale
sono sorteggiati possibili esponenti delle 50 ? territoriali. Nella boulé vengono introdotte delle possibilità di
limitare eventuali aspirazioni di affermazioni di potere personali come l’ostracismo, procedura attraverso la
quale venivano allontanate persone dalla città nel caso in cui esse fossero considerate nemiche della città.
La parola “ostracismo” deriva dal greco ostracon = ‘coccio di terracotta’ sul quale i partecipanti della boulè
potevano incidere il nome di quella persona che volevano allontanare dalla città.
Da un punto di vista artistico e delle codificazioni nell’architettura l’età arcaica si presenta come un secolo di
grande importanza in cui da un lato vengono codificate le tradizioni di fase orientalizzante (come la
pietrificazione del tempio che porterà alla sostituzione di tutti gli elementi lignei con elementi in pietra) e
dall’altra l’elaborazione di un nuovo linguaggio espressivo che interessa i manufatti di tipo individuale (doni,
monumenti realizzati da singole personalità a livello di dono individuale e personale) ma anche di tipo
comunitario, ossia a livello di un’espressione concittadina pubblica nel momento in cui si vanno a realizzare
opere che sono espressione dell’intera comunità.
In questa fase:
- Aumento del benessere generale e della consapevolezza degli artisti e degli artigiani di saper
produrre opere di rilievo consente il superamento dell’anonimato che aveva caratterizzato la fase
orientalizzante, che si concretizza con la firma sulle opere in qualche caso sulle architetture ma più
spesso sulle statue e sui vasi. Non più artisti con nomi mitici ma persone reali.
- Si fissa un tipo di raffigurazione del corpo umano sia maschile che femminile = rappresentazione
dell’ideale femminile e maschile che corrisponde in greco al kouros, il giovane atleta e alla kore, la
fanciulla in età da marito.
- Codificazione di un canone proporzionale per larghezza, lunghezza e altezza dell’edificio sacro:
connessione fra lo spazi interno del naos e il recinto esterno (peristasi).
- Invenzione della ceramica a figure nere: sui vasi (di varie tipologie e dimensioni) sono rappresentati
miti e temi cari alla società arcaica (gli agoni atletici, le prove eroiche, il matrimonio, la gestione dele
potere, il rispetto degli dèi, la morte onorevole).
- Si codificano in maniera definitiva gli ordini dorico e ionico con serie di parole specifiche che aiutano
a capire la complessità e la teorizzazione di trattati sull’architettura e che permettono di riconoscere
queste codificazioni in quelli che sono edifici ancora noti e che spaziano all’interno di tutto il VI secolo
a partire dai primi esempi presenti non in Grecia ma nelle colonie.
È uno dei templi dorici più antichi tra quelli realizzati in pietra, se si pensa che le colonne (di cui quelle frontali
hanno un interasse maggiore rispetto a quello laterale per consentire l’allineamento con le colonne del
pronao e quelle interne) sono monolitiche, non realizzate per rocchi con altezza media di 8 metri, ciascuna
delle quali pensa 33 tonnellate.
Viene firmata dall’architetto che lascia iscrizione sul gradino superiore del crepidoma, sullo stilobate che
recita: «Kleomene figlio di Knidieidas, fece il tempio per Apollo e alzo i colonnati, belle opere». → non c’è
soltanto l’affermazione della realizzazione dell’opera ma viene sottolineata anche l’importanza della peristasi
(“dalle belle colonne”), che non è uno elemento secondario perché per gli antichi lo spazio del sacro è
caratterizzato da un insieme delle realizzazioni che vengono dedicate alla divinità che acquistano un
significato importante che aiutano a capire perché all’interno dei santuari si possono trovare, tra gli ex voto,
anche colonne iscritte, tavoli, oggetti di arredo, non si trovano solo sculture ma oggetti dedicati per onorare
la divinità.
La divinità viene scelta a seconda della sensibilità e tradizione culturale locale.
A fianco della dea sono raffigurati Crisaure e Pegaso che, secondo il mito, nascono nel momento in cui Perseo
taglia la testa alla Gorgone. Il fatto che venga scelta questa figura così mostruosa per decorare il frontone del
tempio non evoca solo il mondo selvaggio di cui Artemide era la divinità ma è anche un eco del gusto orientale
per la raffigurazione di mostri e creature più o meno fantastiche che aveva connotato la presenza e le forme
artistiche del VII secolo.
L’opera è attribuita a un architetto di nome Rhoikos (Reco in italiano) al quale viene affidata la realizzazione
di questo nuovo enorme tempio (n°2 nella pianta), che dimensioni di 52,5 m x 105 m (= 100x200 braccia
same), orientato a est e sovrapposto ai precedenti hekatompedon. Il grande edificio viene collocato su un
terreno instabile perché nei pressi del fiume. Intorno al 560 viene realizzato un grande altare sulla fronte del
tempio per garantire allo spazio sacro un’area dedicata ai sacrifici che non avvenivano più all’interno del naos
ma all’esterno della cella. Sempre la tradizione scritta ci informa che questo edifico presenta una serie di
problemi di ordine statico, non solo perché non erano stati calcolati esattamente i corretti rapporti di
distribuzione dei pesi ma perché il terreno alluvionale aveva provocato delle criticità tanto da richiedere una
sostituzione, che sarà realizzata per volere di Policrate (tiranno locale) verso la fine del secolo con una nuova
grande opera che diventa l’opera di riferimento principale. Quest’opera resta nella memoria collettiva tanto
quanto quella realizzata ad Efeso intorno alla metà del secolo.
Artemision di Efeso, 560 a.C. → per volontà di un altro tiranno viene realizzato questo nuovo edificio, che è
maggiore di quello di Samo. = 59x115 metri come dimensioni
Secondo i ritrovamenti che sono stati fatti a più riprese, la decorazione architettonica prevedeva una sorta
di rilievo curato, non solo per la parte alta della trabeazione ma anche per le basi delle colonne che furono
sostituite nel corso del tempo. Le fonti raccontano che anch’esso era considerato uno dei monumenti più
straordinari del tempo antico. Fu bruciato, da un gesto folle di un personaggio nel 356 a.C., coincidente con
la nascita di Alessandro Magno, il quale si interessò di aiutare gli efesini nella ricostruzione del tempio perché
questi iniziarono subito dopo l’incendio un nuovo rifacimento del quale abbiamo testimonianza nei resti delle
basi delle colonne che sono del IV secolo e che ci parlano di un cantiere continuamente attivo anche in questo
contesto sacro.
SCULTURA ARCAICA = in riferimento a quella realizzata per rendere omaggio a singoli individui, per realizzare
opere da donare ai grandi santuari –-> si registra una grande produzione che aveva trovato nelle Cicladi
(Nasso) un’espressione prodromica nell’utilizzo del marmo. Queste sculture sono codificate nei due tipi per
la resa dei soggetti maschili e femminili: i kouroi e le korai (al plurale) per la rappresentazione di individui
che sono l’espressione di soggetti che appartengono alle classi più elevate della cittadinanza. → classi che
riconoscono nell’ideale eroico dell’efebo, della giovane sposa, di questi giovani che hanno superato la fase
adolescenziale e che sono pronti a diventare marito o moglie ovvero soldati o madri. Sono quindi espressione
dell’ideologia dominante attraverso canoni e codici espressivi.
KOUROS = colui che è kalos kai agathos cioè bello e buono, nel senso di virtuoso e valoroso. Si tratta di
un’espressione morale e non solo estetica del ruolo che andranno ad occupare. Questo ideale aristocratico
di giovinezza, bellezza e coraggio si configura nella nudità eroica del corpo maschile con attenzione
particolare per le mode delle acconciature dell’epoca, che sono un simbolo dell’appartenenza a una classe
sociale elevata. → statue maschili stanti, nude, poste frontalmente e senza particolari attributi che erano già
note nella piccola plastica della fase orientalizzante o come statue colossali nei santuari.
A livello simbolico, vi è la contrapposizione fra l’espressione di un’estetica propria dei cittadini greci e quella
dei soggetti “barbari”, cioè non greci. → Cratere di Eufronio, da Cerveteri, 510-500 a.C.
Cratere in cui viene rappresentata la lotta tra Eracle e Anteo, due figure
interessanti che anche se rappresentate nude nell’espressione della forza e della
virtù dal punto di vista fisico, Eracle ha un’acconciatura alla moda con capelli
raccolti sul di dietro, con frangia elaborata sul davanti e barba curata, mentre
Anteo ha un’acconciatura che non è aristocratica.
Capo Sounion, santuario di Poseidon, Kouros, h 3,05 m, 600 a.C. → è una delle primissime
espressioni dell’arte arcaica. Inizialmente, dove prevale ancora un principio additivo delle
parti del corpo, dove le parti sono pensate per rendere in maniera realistica le parti del corpo
e le giunture. Però è ancora una figura statica che richiama la statuaria egiziana anche se
molto precedente per la postura delle braccia con mani a pugno, le spalle orizzontali e una
sola gamba in avanti (tendenzialmente la sinistra). Questo esempio di statue colossali non si
trova solo in contesti sacri ma anche ad Atene nel Dipylon.
Atene, testa colossale del Dipylon, h 44 cm, 600 a.C., Atene, Museo
Archeologico Nazionale
Qualcosa inizia a cambiare nel momento in cui vengono elaborate due statue
provenienti dal santuario di Delfi e che gli archeologi hanno attribuito a un’opera
famosa ricordata da Erodoto in un testo. (p.19) → i gemelli Cleobi e Bitone, opera
di Polymedes di Argo, Museo Archeologico di Delfi, 580 sec. a.C. (h 2,16 m)
Un’evoluzione, che si nota tra la metà e la seconda metà del secolo nei kouroi trovati in
altri contesti in cui viene studiato ed espresso quello che è lo studio dell’anatomia umana,
che è espressione di una consapevolezza molto forte da parte non solo dell’artista ma
soprattutto del dedicante.
Il dedicante è Creso, che muore prima del tempo per bella morte → affida a un’iscrizione
sulla statua il memento per il viandante: «Fermati e piangi presso il monumento del
defunto Creso, che Ares rabbioso un giorno ha ucciso mentre combatteva nelle prime file».
L’opera richiama l’attenzione del passante e celebra la bella morte di chi se ne va in
battaglia prima di aver raggiunto l’apice della vita sposandosi e formando una famiglia.
Il monumento ‘ammonisce’ il viandante per assicurare memoria del defunto dopo la
morte.
Sul fronte ateniese ci sono altri esempi di scultura del VI secolo che vengono dalla colmata
persiana = grande terrapieno realizzato dopo le guerre persiane e dopo il fatto che i persiani arrivano nel 480
e distruggono tutti gli edifici e i monumenti dell’acropoli → per ricordare questa forma di libris, di azione
sacrilega commessa dal barbaro Atene decide di non ricostruire gli edifici e le statue ma di dedicarle nel suolo
dell’acropoli e di coprire questi ex voto con una fossa.
All’interno di questa colmata sono stati trovati molti oggetti della fase precedente alla costruzione periclea,
che ci permettono cogliere l’evoluzione della cultura artistica nell’Atene del Vi secolo con serie di reperti.
Inizialmente questa statua era stata trovata senza testa, ma Humphray Payne
ha riconosciuto la corrispondenza della testa alla
pertinenza del busto nel reperto che era stato
conservato al Louvre ricollocandolo nella giusta
posizione.
Acropoli di Atene, kore con peplo, 520 a.C., Museo dell’Acropoli di Atene, con tracce
di policromia. Altra opera è la kore, fanciulla in età da marito che può subire una sorte
avversa e non raggiungere lo stato di matrona. È rappresentata con veste, in un peplo che doveva essere
policromo, per rappresentare una figura appartenente a società medio-alta.
Viene poi ulteriormente rappresentata nella kore di Antenore dedicata da Nearco, h 2,15 m, 520 a.C. che
presenta il sorriso arcaico.
Sorriso arcaico = cifra espressiva dell’età arcaica, sulla quale gli studiosi si sono interrogati - 2 ipotesi (nel
libro di C. Franzoni, Tirannia dello sguardo, 2006):
1. Motivazioni tecniche = il sorriso permette di rendere un’articolazione del volto su piani differenti o
per adattare il volto a una visione dal basso;
2. Motivazioni espressive, ideali = si vuole raffigurare compiacimento di appartenere a una certa classe
sociale che si concretizza nell’accettare una sorta di una morte prematura.
Segno della vitalità infusa nelle immagini, particolarmente apprezzata dagli antichi, il sorriso corrisponde alla
mobilità del volto. Ciò non toglie che poi esso diventi un elemento convenzionale, che gli artisti ripetono per
inerzia. Segno dello status sociale, del relativo comportamento e dell’ethos connesso.
Nell’alto Egitto, a Naucrati, c’è un santuario arcaico presso i quali i greci commerciavano = luogo di incontri
e scambi che ha portato a sollecitazioni reciproche, che è mediata anche dai Fenici. Benché il divario
cronologico sia evidente queste statue c’erano ancora.
L’acropoli alla fine dell’età del bronzo - Fase finale del VI secolo tra 520-510 e 480 a.C.
Fase precedente del cantiere pericleo → importante perché spazio dell’acropoli come luogo fondativo
dell’Atene come luogo in cui la comunità ha condensato tutta una serie di testimonianze rispetto alla sua
storia, ai propri culti.
L’archeologia ha riconosciuto
sull’acropoli le tracce di una presenza
micenea nei blocchi che individuano il
grande mura di cinta (= muro poligonale
detto pelargico) riconosciuto in vari tratti
dell’acropoli. All’interno di questo spazio
sono state trovate tracce labili di un
megaron, di una costruzione
appartenente a uno dei wanax che
attestano una prima occupazione di questo settore della città in una fase molto precoce.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che all’interno del megaron ci fosse una sorta di culto per una divinità
femminile nell’età del bronzo che però da un punto di vista materiale non trova nessun riscontro. Viceversa,
le prime attestazioni di un culto praticato sull’acropoli derivano dai reperti che risalgono tra età geometrica
e età orientalizzante che si concretizzano con vasi e grandi tripodi. → In questo momento l’acropoli si
definisce come cuore sacro per eccellenza della città.
Del VI secolo non ci restano edifici così evidenti perché tra la fine del VI e l’inizio del V secolo vengono create
delle opere di terrazzamento e livellamento del terreno, sulle quale verrà impostato il Partenone.
Nel corso degli studi fatti negli ultimi decenni che hanno coinvolto più sguardi hanno permesso di chiarire
che nel corso del VI secolo sull’area dell’acropoli dovevano esistere, non solo degli spazi preposti al culto di
Atena, ma soprattutto una serie di oikoi, di piccole costruzioni delle quali ci restano dei frammenti che sono
stati postulati sulla base del ritrovamento di una serie di frammenti che provengono dalla colmata tirannica
(che si distingue da quella persiana per essere precedente) nell’area sud del Partenone. → viene identificata
come sorta di grande area interessata da un riempimento in cui vengono deposti vari frammenti di queste
costruzioni, che non servivano a svolgere dei culti/riti ma erano dei luoghi dove venivano conservati gli ex
voto in onore delle divinità. Alla fine del VI secolo, questi oikoi vengono defunzionalizzati (perché distrutti da
eventi particolari o perché andati in rovina) e una parte di queste partizioni vengono inserite nella colmata
tirannica (chiamata così perché pertinente a una fase dominata dall’ordinamento tirannico). Sono tutti
piccoli edifici in poros, calcare locale, di ordine dorico che servivano per accogliere i votivi o per svolgere
particolari cerimonie legate alle diverse divinità e di cui ci restano alcuni soggetti rappresentati nei frontoni
datati tra il 570 e il 550.
- Eracle e l’idra di Lerna, 560 a.C., dove Eracle lotta con l’idra;
- Apoteosi di Eracle all’Olimpo, 550 a.C., quando Eracle fa il suo ingresso all’Olimpo raffigurato con
Zeus seduto in trono affiancato dai resti di Era e tra alcune divinità come Zeus.
Sempre all’interno dello spazio, che poi sarà occupato dal grande cantiere pericleo, viene localizzato un altro
edificio → hecatompedon (o antico Partenone) del quale restano partizioni della parte frontonale. Il
materiale utilizzato è il calcare locale e la datazione è il 570 a.C.
Ancora una volta in uno dei due frontoni si vede Eracle che lotta con
un mostro marino con tracce di policromia. Al centro ci doveva
essere la raffigurazione di due leoni in assalto su un toro, di cui si
vede la testa adagiata, ormai morente, sulla parte bassa del
frontone. Sul lato dx si vede un mostro tricorpore = cosiddetto
gruppo dei “Barbablu” perché presenti tracce di colore blu, che è
un’espressione di questa prima fase di resa dell’anatomia di un
corpo in movimento che cerca di dare un’immagine ‘realistica’ del
movimento del corpo che rappresenta un primo esempio su queste
sculture templari di una volontà di richiamare l’attenzione del
devoto sulla scena che si sta svolgendo.
L’archaios naos di Atena Polias, 520 a.C. dove poi sorse l’Eretteo →
Ultima area con importanza per l’area arcaica è il settore occupato
dall’Eretteo. In questa zona uno studioso, Doerpfeld, si occupò di rintracciare le tracce di un antico tempio
tardo-arcaico che secondo le ricostruzioni si presentava come un periptero dorico di 6x12 colonne in poros
del Pireo. Essendo alla fine del secolo, le dimensioni della cella sono più ridotte. Doerpfeld trova una serie di
elementi che sono stati osservati con un punto di domanda, nel senso che la curvatura dello stilobate e la
contrazione angolare sembrerebbero datare la costruzione alla fine del VI secolo, ma viceversa essendoci un
solo gradino del crepidoma farebbe anteporre la costruzione ad una fase legata ai primi esempi dello stile
dorico (cfr. Heraion di Olimpia). In qualche modo ci sono delle contraddizioni interne che vengono risolte dal
fatto che ci sono delle tegole marmoree che in precedenza erano fittili e ancora da un punto di vista cultuale,
il tempio doveva ospitare molteplicità di divinità di cui Atena era la principale ma le fonti affermano che
nell’archaios naos dovevano esserci anche i culti di Poseidone ed Eretteo. Sostanzialmente si tratta di un
edificio che doveva essere datato alla fine del VI e che doveva essere decorato sul frontone da alcune statue
riconducibili al tema della gigantomachia con Atena al centro, alta circa 2 metri = Statue maggiori del normale
e serie di giganti che combattono contro la dea. Uno dei personaggi mostra il fatto che è stato colpito da una
freccia e se la sta togliendo e si rivolge verso lo spettatore con prospettiva di interlocuzione, di rapporto
diretto con lo spettatore.
Questi sono i principali elementi che permettono di riconoscere all’interno dello spazio sacro dell’acropoli
dei chiari richiami a forme di culto che anticipano il cantiere pericleo.
Sguardo alla situazione dell’agorà nel VI secolo. Tra VIII e VII secolo l’area dell’agorà non esisteva, essendo
occupata prevalentemente da botteghe e officine di produzione. Nella seconda metà del sesto secolo,
quest’area è un luogo in cui si definiscono meglio degli spazi per riunioni della comunità pubblica. Attorno
all’agorà sono stati trovati indizi di precedenti agorai private, luoghi di riunione per ristretti gruppi di persone,
in particolare a sud dell’acropoli presso il santuario di Afrodite Pandemos e che soltanto con i pisitratidi
vengono de-funzionalizzate per dare spazio all’agorà della città.
Uno degli elementi più interessanti che occupano questo settore della città → prytanikon o edificio F e della
boulé = gli studiosi si sono chiesti la funzione di questi edifici (similitudini con etruschi nella pianta
trapezoidale, nella presenza del colonnato interno e serie di spazi attorno scoperti) e se questo luogo avesse
svolto la funzione di palazzo dei pisitratidi o se da subito avesse svolto la funzione di sede dei pritani:
- 50 esponenti che facevano parte della boulé dei 500 (450+questi 50)
- funzione di prestigio e di direzione di governo dell’assemblea;
- gli era stata affidato il ruolo di rappresentare la comunità nel momento in cui si dovevano accogliere
araldi o ambasciatori da parte di delegazioni straniere;
- il compito di portare avanti eventuali azioni giudiziarie nei confronti di chi si macchiava di delitti
molto gravi nei confronti della comunità.
Tra gli altri edifici che risalgono a questa fase c’è la stoà reale (=portico reale) dove aveva sede Laconte (?) il
quale era preposto alle attività di tipo religioso, che scandivano le fasi delle diverse festività della comunità
ateniese. Inoltre, ai pisistratidi si deve l’altare dei 12 dei, dedicato da Ippia nel 522, a sx delle vie per le
panatenee, che era un luogo sacro tra i principali dello spazio pubblico dell’agorà.
Grazie a Pausania, si sa che nell’agorà esisteva una fontana, l’Enneakrounos, provvista di nove bocche di cui
è incerta la localizzazione. Secondo alcuni è da riconoscere in questa fontana che si trova nel settore sud-
orientale della piazza. L’elemento interessante è che sotto i pisistratidi vengano realizzate non solo grandi
opere pubbliche ma anche infrastrutture necessarie per una comunità che ha poche sorgenti all’interno della
città e che quindi può contare su questa infrastruttura idrica per i bisogni quotidiani.
Dal momento in cui viene realizzata questa fontana e il relativo acquedotto compaiono anche sui vasi una
serie di raffigurazioni che vanno alla fonte che potrebbero richiamare questa grande opera pubblica.
Negli anni tra il 510 e il 480 → si registrano delle innovazioni interessanti per quanto riguarda la resa dei corpi
e dei movimenti di questi prodotti scultorei, che sono una delle principali necessità della scultura arcaica.
Statua di Aristodikos, 520 a.C. → segna uno scarto rispetto ai kouroi non solo perché
corpo reso con linea più sottile, realistica e la resa della muscolatura è decisamente più
aderente alla realtà. Anche le braccia non sono più rigide attaccate al corpo ma staccate
dal busto. La resa della capigliatura è ancora aristocratica con sorta di ciocche
aristocratiche raccolte sul retro, ma di uso aristocratico è anche la resa del pube con resa
estetica dei peli. Ma soprattutto non è ancora uno scarto forte rispetto alle statue
precedenti se si notano le spalle ancora in posizione statica orizzontale facendo capire
che benché ci sia una sorta di movimento la statua è pensata ancora ferma e fissata a
terra.
Qualcosa di diverso si vede sulla base dal muro di Temistocle, 510 a.C. → mostra per la
prima volta in scultura una scena di genere, non legata a contesto funerario, ma scena
con atleti (efebi) che si allenano in un contesto del ginnasio. Al di là del soggetto nuovo,
che richiama una quotidianità di vita,
cerca di rappresentare questi atleti
con una prospettiva non ancora del tutto realizzata. Per
esempio, la resa del busto del personaggio di sx mostri gli
addominali frontali, anche si dovrebbe vedere di fianco.
Anche l’altro personaggio è raffigurato quasi
frontalmente, ma se si immaginasse la posizione della
testa ci si aspetterebbe di vederlo di profilo.
Si hanno dei primi tentativi di rendere la dinamicità delle prime sperimentazioni con massima espressione
nei secoli successivi.
Tre opere → aiutano a introdurre un aspetto molto forte negli anni tra il 480 e il 450 = ossia la serietà dei
volti (tipica dell’età severa anticipata da queste figure che richiamano ancora una moda arcaica, calotte
compatte con resa calligrafica della pettinatura e occhi molto grandi, ma viene meno il
sorriso arcaico che era un elemento caratterizzante delle sculture dei decenni precedenti.
Si dice che il sorriso arcaico si trasforma in una sorta di espressione imbronciata con occhi
verso il basso, come a lasciare quella felicità finta dei kouroi e delle korai)
1. l’efebo biondo
2. la kore di Euthydikos
3. L’ultima opera è l’Efebo di Crizio, uno degli scultori più famosi dell’epoca insieme
a Nesiote (a cui viene affidata realizzazione secondo gruppo dei tirannicidi), dove
la postura è rinnovata perché la gamba sinistra è quella portante e la testa è
rivolta verso destra; probabilmente una delle due braccia regge un’offerta;
ancora una volta la resa della figura cerca di esprimere al meglio una prima
ponderazione del corpo non ancora raggiunta per il fatto che le spalle sono ancora
orizzontali mentre le due anche sono disassate.
L’ultima costruzione di questa fase è il tempio di Atena Aphaia ad Egina, fine del VI sec. a.C.
Si trova nell’isola di Egina collocata tra l’Argolia e l’Attica nel golfo di Salonicco. Si tratta di un’isola che assume
ruolo strategico per la sua posizione in tutto il circuito commerciale e che è nota per essere un’isola in cui si
erano formati vari artisti, tra cui anche esperti in bronzo, che le fonti ci dicono aver realizzato delle opere di
grandissimo pregio e valore di cui però non è rimasto nulla.
La costruzione che ci attesta la centralità della comunità nel
panorama della Grecia è il santuario ristrutturato alla fine del VI
secolo in onore di Atene. Si tratta di un santuario extraurbano
per il quale viene realizzata una grande terrazza con un temenos
(da temno, verbo che significa tagliare) che è lo spazio sacro
ritagliato e separato dallo spazio profano.
Esiste una serie di manufatti in bronzo che attestano come nel corso di un secolo si sia riusciti a tradurre in
prodotti artistici del tutto nuovo quelli che erano dei primi tentativi di rendere con il bronzo delle prime
raffigurazioni di divinità o umane.
Nella fase geometrica, le sculture a cera persa, prevedeva che venisse realizzato un prototipo in cera,
cesellato in ogni dettaglio, sul quale veniva poi posta una camicia di argilla (strato di argilla molto aderente)
provvisti di fori per lasciar passare la cera liquefatta dopo la cottura. Una volta fuoriuscita la cera veniva
introdotto il bronzo fuso, il quale una volta solidificato avrebbe assunto la forma dello stampo e quindi poi
sarebbe stato perfettamente cesellato. → questo serviva per realizzare tendenzialmente delle piccole statue
a fusione piena e per l’alto costo che queste lavorazioni comportavano veniva utilizzato per oggetti di piccole
dimensioni.
La tradizione vuole che un salto di qualità e di tecnica di realizzazione venga realizzato da Teodoro e da Reco
(architetti che avevano lavorato a Samo) che sperimentano un nuovo metodo per mettere a punto nuove
statue in bronzo nel secondo quarto del Vi secolo realizzando dei prodotti molto più leggeri che permettono
di modellare la statua in argilla. = si riveste tutto con la cera, poi si fa un altro strato di argilla che deve
combaciare perfettamente con il primo strato, e poi si mette nuovamente a cottura. Nell’intercapedine della
cera liquefatta viene inserito il bronzo fuso. In qualche modo si cerca di risolvere questa difficoltà rendendo
queste sculture molto più leggere e meno costose rispetto alla fusione piena (applicabili quindi a sculture di
più grandi dimensioni).
Cratere bronzeo di Vix, 530-520 a.C. → Esempio di cratere più grande
arrivato a noi che mostra come la diffusione delle conoscenze non restasse
limitata all’area greca ma si diffondesse in tutto il Mediterraneo.
Questo cratere misura 1,73 m ed è stato trovato a Vix in Borgogna. Pesa oltre
200 kg. Secondo gli studi si tratta di un prodotto realizzato in Magna Grecia
tra Sivari e Poseidonia, il che fa ritenere che gli artisti e i bronzisti mettessero
a disposizione il loro sapere per una comunità vasta. In questo caso si
potrebbe trattare di un dono per un’élite aristocratica celtica che controllava
una serie di vie di approvvigionamento e di smercio dei metalli e che mette
in luce il fatto che questi prodotti erano richiesti anche da una committenza
di alto livello e anche internazionale.
Non solo bronzo e marmo erano materiali che venivano usati per statue, ma si parla anche di sculture
crisoelefantine attribuite a Fidia = tecnica che univa oro (crisos) e avorio (elephantos), conosciuta già in
precedenza e riservata per donari particolarmente importanti di cui sono stati trovati degli esemplari a Delfi.
L’avorio era importato dalla fenicia e utilizzato per oggetti di uso personale ma anche sacro → nel museo di
Delfi sono esposti due esemplari che mostrano due statue: una di Apollo di grandezza naturale, le parti nude,
ora carbonizzate erano in avorio e il resto del corpo, almeno per la parte decorativa era in lamina d’oro
lavorata a sbalzo; l’altra testa di una divinità femminile, con volto in avorio e gli oggetti in oro.
Si deve immaginare che questi oggetti di gusto ionico per la resa dei particolari del volto ci parlano di una
trasmissione di saperi che permette realizzare, all’interno di questi luoghi santuariali, dei prodotti di altissimo
rilievo che sono poi stati sepolti in due fosse sacre all’interno del santuario per fare posto ad altri donari,
come era in uso in questi luoghi.
IL SANTUARIO DI DELFI
Santuario = non era solo lo spazio in cui avvenivano dei riti in onore di una divinità ma erano dei luoghi che
hanno consentito alle comunità di definire una propria identità, di stabilire delle proprie regole e quindi di
elaborare un concetto stesso di comunità.
Un santuario è tale nel momento in cui è riconosciuta la presenza della/delle divinità: alcuni indicatori naturali
(alberi sacri, fruscio costante di fronde d’alberi, sorgenti naturali avvertite come benefiche, ma anche grotte,
rocce, montagne) potevano segnalare l’immanenza del dio; all’interno potevano esserci degli edifici come il
naos ma anche un altare, una statua di culto, un oggetto sacro che connota quello spazio come luogo
prescelto dalla divinità per la sua epifania. Potevano però bastare anche un altare, alcuni cippi, o
un’immagine sacra per connotare uno spazio come santuario.
Sotto la guida di queste divinità potevano essere svolte una serie di attività che andavano oltre il semplice
rapporto fedele-dio-divinità: luoghi in cui veniva insegnato a leggere e a scrivere → Ad Este, il santuario di
Pora Reitia, V-II sec. a.C. era destinato a questo tipo di attività e si sa grazie ai votivi rimasti, che sono degli
alfabetari in cui i fedeli venivano invitati a imparare l’alfabeto venetico e a trascrivere in frasi il loro
apprendimento dell’alfabeto attraverso gli stili scrittori che venivano poi dedicati alla divinità.
C’erano anche dei santuari con una funzione salutifera come l’Asklepeion di Kos.
La presenza della divinità va a marcare la funzione di quello spazio, che non è necessariamente uno spazio in
cui trova posto un dio soltanto perché il santuario può ospitare diverse divinità perché ognuna di queste ha
una sua specifica vocazione, un suo ambito di pertinenza, di potere specifico.
Testimonianza di Plinio il Giovane (età traianea) a proposito del santuario alle sorgenti del Clitumno (Umbria):
PLIN. ep. VIII, 8, 2-6: «S'innalza una collinetta coperta di un fitto ed ombroso bosco di antichi cipressi. Dalle
sue falde scaturisce una fonte che fuoriesce per diverse vene diseguali e che, dopo aver superato il gorgo che
essa produce, si allarga in un ampio bacino, puro e cristallino, tanto da poter contare le offerte votive gettate
e i sassolini luccicanti [...]. Accanto si eleva un tempio antico e venerabile: vi si erge in piedi il Clitumno in
persona, vestito ed ornato della [toga] pretesta; che il nume vi dimori e che sia profetico e testimoniato dalla
presenza delle sorti. All'intorno sono sparpagliati parecchi sacelli, ciascuno ha la propria forma di
venerazione, ognuno il proprio nome/fama, ma alcuni sono anche titolari di fonti. Infatti, tranne (la sorgente
del) Clitumno, che è quasi la madre delle altre, ce ne sono di più piccole, le quali, pur sgorgando in punti
diversi, confluiscono nel fiume, che è attraversato da un ponte. Quest'ultimo e il terminus tra lo spazio sacro
e lo spazio profano».
In questo grande santuario c’era Clitumno che era la divinità principale, ma potevano essercene molte altre
che partecipavano di questa sacralità. Nel momento in cui si analizza un santuario, si deve tenere conto di
diversi fattori che non sono solo i fattori strutturali dell’edificio sacro in sé ma che sono tutti gli elementi
legati ali ex voto che ci parlano dei soggetti coinvolti in questi spazi sacri dove vigevano delle regole che
pertenevano al santuario specifico. Ogni santuario aveva delle regole ma i culti antichi non erano basati su
testi scritti ma sulla ripetizione di rituali che garantivano nel tempo l’adeguarsi a norme che si trasmettevano
di generazione in generazione.
I quattro santuari panaellenici – Delfi, Olimpia, Nemea, Istmia sono la sede nella quale a scadenze regolari
si riunisce la comunità panellenica.
Il tempio di Delfi sorge alle pendici del monte Parnaso, 600 m slm. È santuario estremamente interessante
perché qui per tradizione ha sede Apollo, ma prima di lui la dea Ghe e il figlio Pitone, che per prima era stata
a vaticinare il futuro. La tradizione vuole che Apollo entri in conflitto con Pitone e lo uccida, si imponga nello
spazio sacro come la nuova divinità titolare del luogo e per primo componga un canto accompagnato dalla
cetra per Pitone perché era stato un degno avversario. Da qui inizia la tradizione della composizione poetica
all’interno degli agoni che poi verranno stabiliti in concomitanza delle cerimonie sacre.
Se il mito si permea di valenze che giocano sull’immaginario e che richiamano nella figura della Pizia, la
sacerdotessa che è invasata dal dio che le suggerisce i vaticini, non si ricorda che Delfi si trova all’incrocio di
due faglie terrestri: quella di Delfi e quella di Kerna. Dalle scaturigini delle rocce si generano delle sorgenti di
cui i geologi hanno trovato i depositi calcarei nel sottosuolo del tempio ma soprattutto sono sorgenti con
valenza particolare perché oltre ad essere ricche di minerali, trasportano anche dei gas come l’etilene.
Degli studiosi hanno avanzato l’ipotesi che queste proprietà mantiche della Pizia siano in realtà legate al fatto
che nella camera sotterranea ci fossero delle fessure che consentivano di respirare questo gas che se
respirato in quantità minime rendeva euforici, ma se quantità maggiori poteva causare la morte. C’è stata
anche l’ipotesi che questa figura sia in realtà imputabile da una situazione geomorfologica particolare che
abbia favorito nel corso dei secoli l’attività mantica e che poi si è esaurita, nella fase tardo antica nel momento
in cui qualcosa è cambiato geologicamente, la pizia era meno profetica perché la quantità di gas si era ridotta
e questo succede molto spesso in contesti geomorfologici collegati al termalismo e a queste manifestazioni
legate alle sorgenti.
Delfi si pone come un luogo di attrazione internazionale → l’area di ingresso, se si proviene dall’area della
Beozia è quella del tempio di Atena Pronaia con serie di edifici (che si amplificano nel corso dei secoli) e la
via sacra incontra prima la sorgente Castalia e poi arriva al recinto sacro (in cui il pellegrino attraversava la
via sacra che lo portava al tempio presso la quale sorgevano delle realizzazione non più dell’individuo ma
della comunità: i thesauroi, dei tesori che sono delle piccole costruzioni realizzate da alcune città della Grecia
dove vengono esposti i votivi che le città dedicavano alle diverse divinità.
Esempi:
- Tesoro di Sicione, 560 a.C = piccolo edificio con metope scolpite di cui resta quella con i Dioscuri;
- Tesoro dei Sifnii, 530 a.C. = piccolo oikos con due korai che sostituiscono le colonne in antis; sul fregio
miti panellenici, tra cui la gigantomachia;
- Tesoro degli Ateniesi, 490 a.C. = metopa con Eracle che lotta contro la cerva. C’è una resa della
decorazione architettonica che richiama l’arte figurativa dell’epoca.
Proseguendo verso il basso si arriva al tempio vero e proprio che ha avuto diverse fasi costruttive perché era
stato distrutto da un incendio e che poi viene ricostruito. Subisce diverse ricostruzioni nel corso del IV secolo
a seguito di un terremoto che lo aveva ridotto in rovina. È il cuore del santuario con il suo altare antistante
dall’esterno del tempio.
Lo spazio santuariale è uno spazio di ritrovo: c’è il teatro per rappresentazioni collegate alle cerimonie sacre
e serie di altri edifici che si sono aggiunti per rimarcare importanza di questo luogo sacro.
LEZIONE 05 ǀ 8 marzo 2022
Ideologia aristocratica attraverso lo studio della ceramica del VI secolo a.C e la trasportazione della
cultura greca nelle colonie d’Occidente
Aristocrazia del 6° secolo, ha avuto un forte impatto nel 7° secolo quando è entrata in contatto con il mondo
orientale, e ha recepito un’idea di potere assoluto, e un potere basato sulla capacità di gestire numeri
consistenti di persone. Nel 7° secolo, questa società elabora il concetto di tirannos, parola orientale che
significa non solo tiranno ma una ideologia che ruota attorno a questa parola.
Il 7° secolo, aveva visto una netta produzione corinzia, che aveva recepito più velocemente le citazioni dal
mondo orientale, mettendo sul mercato una serie di prodotti, connotati da scene cruente, inquadrati da un
repertorio, con motivi di gusto orientale, (tra cui animali fantastici tra cui grifoni e pantere). Questa grande
moda, si esaurisce abbastanza presto, poiché gli artigiani non riescono ad innovare la loro produzione.
Tra la fine del 7 secolo e gli inizi del 6°, vi è una produzione nella regione attica (ateniese in particolare),
avevano una produzione con una tecnica particolare a figure nere, colorando in scuro le figure e lasciando
in chiaro la tinta neutra della terra cotta, la resa di alcuni particolari, vengono incisi. È un nuovo modo di
decorare gli spazi del vaso che sono 5: il collo del vaso, la spalla, la pancia, il piede e le anse (ovvero le
maniglie).
Questa decorazione si specializza sulle parti del vaso, questo tipo di decorazione scene dei miti, che
rappresenta la comunicazione non verbale, la comunicazione attraverso le immagini.
Questi vasi che sembrano delle anfore, scelte per rappresentare di precetti di vita, che vengono trasmessi
attraverso alcuni miti, che hanno esito positivo o negativo, che servivano per far capire cosa si poteva o non
si poteva fare. Alcune tecniche devono essere migliorate, ancora fase di sperimentazione ma comincia ad
affermarsi consapevolezza di artigiani che iniziano a firmare i loro vasi.
Il pittore in questo caso Sofilo, rappresenta delle scene di miti, in questo caso “i giochi funebri in onore di
Patroclo”, con una prima resa di prospettiva, che verrà migliorata nei decenni successivi. Raffigurata una folla
di spettatori su una gradinata per assistere ai giochi. Il rapporto dei corpi sono in fase di sperimentazione,
ma interessante la nascita di una consapevolezza di una classe di artigiani
che formano i loro vasi orgogliosamente.
Figura di Sofilo è una tra le figure più interessanti accanto ad altri due artisti
che firmano questo vaso.
Il Vaso Fracois, 570-560 a.C trovato in una tomba di Chiusi, nel 1845, e
rappresenta da punto di vista morfologico un cratere ad anse, nelle sue
superfici presenta una serie di decorazioni. Chiamato così grazie al suo
scopritore, cratere a volute, alto 66 cm, organizzato in una serie di fasce di
decorazione. Trovato in una tomba etrusca giunto però dalla Grecia dalla regione attica, lo realizzarono il
vasaio Ergotimo e il pittore Clizia, per una committenza aristocratica ateniese, e successivamente viene
ceduto in Etruria per un’altra committenza aristocratica, che alla fine lo destinerà ad un corredo funerario. IL
libro “Le strategie di Kleitias”, di M. Torelli ne parla, fa una serie di osservazioni suddivide il vaso in facce: la
faccia A e la faccia B, sempre con la prospettiva che questi vasi erano posizionati al centro della sala, e poi
tutti i lati erano visibili a tutti i commensali.
Lato A Questo vaso ha sostanzialmente due protagonisti, il primo soggetto è Teseo, che ha una fortissima
ascendenza per Atene, famoso per aver ucciso il minotauro, e aver liberato dal giogo sacrificio i giovani
ateniesi. Viene raccontato lo sbarco da Teseo a Delo, sul collo vi è la danza del geranos (ovvero la danza delle
gru), danza che viene vista dal punto di vista cerimoniale, per rievocare l’impresa, è un segno che va a
sottolineare il fatto che senza l’intelligente di Teseo e l’aiuto di Arianna che gli ha dato, non riuscì ad uccidere
il minotauro e poi diventare il re della città. Questa danza viene interpretata come una sorta di simbolo, per
ottenere il rango massimo ovvero la regalità, attraverso una serie di imprese che i greci chiamavano gli “atla”,
una serie di prove di forza, ed intelligenza.
La seconda scena sul collo è la scena della centauromachia, la lotta tra i Centauri e i Lapiti a cui partecipa
Teseo.
Sulla scena della pancia, vi è rappresentato il corteo per celebrare le nozze di Peleo e Teti, un mortale sposa
una dea, dalla cui unione nascerà un semidio, Achille.
Sotto, il ritorno di Efesto sull’Olimpo su un asino al posto di un cavallo. Efesto, viene cacciato dall’Olimpo
poiché era nato zoppo e quindi non perfetto, ci sono varie opere che Efesto fa tra cui un trono d’oro, in cui
una madre viene intrappolata, poi richiamato nell’Olimpo dagli dei, tramite la figura di Dioniso riesce a
liberare la madre, che simboleggia l’intelligenza.
Lato B Lato in cui il protagonista sembra essere Achille. L’orlo del vaso, si ha la rappresentazione della
famosa “caccia del cinghiale calidonio” da parte di Meleagro, Atalanta, Peleo, e padre di Achille.
Sul collo c’è il funerale di Patroclo, e la corsa dei carri che vedono Achille ancora come protagonista dell’atlon,
poiché si misura la sua superiorità di resistenza, messa in discussione nella fascia del corteo sottostante.
Sulla pancia si ha il corteo delle nozze di Peleo e Teti, e sotto si ha l’agguato a Troilo, in cui Achille lo uccide,
qui lui mostra la sua prepotenza e quindi non mettendolo in buona luce. In questo caso in questa scena del
mito, racconta che chi si macchia di un reato, prima o poi ne pagherà le conseguenze, infatti secondo il mito,
Achille poi verrà ucciso da Apollo, con la sua freccia nel tallone.
Ultime parti del vaso che evocano sul piede: la teoria di animali fantastici e la battaglia fra gru e pigmei. Sulle
anse: Aiace che trasporta Achille, e Artemide la signora degli animali e la Gorgone, una di quelle figure che
vanno a segnare i limiti della società, dove se si superano si va in un mondo diverso. Sulle maniglie Gorgone
e Artemide.
Altre opere di Exechias, sono un'altra anfora, con Aiace che si suicida.
Queste iconografie permettono di recepire come la cultura del sesto secolo trasmette dei messaggi
fortemente propagandistici, che è caratterizzata da scene dipinte su dei vasi, per veicolare dei messaggi, e
veicolari dei gruppi di potere.
La produzione ateniese, non si ferma solo alla regione attica ma si estende in tutto il Mediterraneo, e quindi
della colonizzazione dell’occidente.
Movimenti di gruppi che sono tappeggiati da degli individui prevalentemente aristocratici, che vanno a fare
delle azioni di pre-colonizzazione e arrivano in queste terre, che offrono probabilmente più risorse, sono più
strategiche per la facilità di approdo, per l’assenza di gruppi locali indigeni.
Questi gruppi arrivano in queste terre e lasciano dei loro prodotti della loro area, tra cui frammenti ceramici,
e che preludono la fase della colonizzazione Greca, che avviene tra 8 fino al pieno 6° secolo. Nella piena fase
della colonizzazione greca vera che va dal 8° secolo fino al pieno del 6° secolo, in cui acquistano una valenza
pubblica, in cui dei gruppi vengono mandate dalla madre patrie in una impresa di colonizzazione.
Anche nella seconda fase della colonizzazione è caratterizzata dal bisogno di sfruttare nuove terre e risorse
da sfruttare, la metropolis (madrepatria) manda un gruppo di cittadini liberi per fondare una nuova città, alla
apokia (colonia, una nuova casa), attraverso l’okistes (il fondatore). I cittadini nel momento in cui lasciavano
la madrepatria perdevano la cittadinanza, ma ne acquistavano una nuova nel momento in cui ne
acquistavano delle nuove città. Città che sono delle apokia, città ex-novo che sono indipendenti e autonome
rispetto alle città di origine anche se queste mantengono rapporti e tradizioni di tipo politico e culturale.
Ci sono le Colonie, ma anche delle altre aree subcolonie, ovvero delle nuove città fondate dalle prime colonie.
SELINUTE
Una delle città che consentono di percepire il come questi gruppi aristocratici vanno a mettersi a capo di
queste nuove rotte, e spedizioni che poi permettono la creazione di nuove apokiai, Selinute è un caso
estremamente interessante.
Le fonti ci parlano di questo fenomeno, e ci raccontano di una realtà molto standardizzata e regolata, una
fondazione che avviene sulla base di una isomoiria, che è una legge uguale per tutti, in cui si aveva una
ripartizione egualitaria per la terra uguale per i lotti. Ma questa è una realtà, che avviene in parte, si avranno
delle occupazioni da parte della città. Vi erano delle questioni tra chi abitava nella città vera e propria e chi
veniva destinato fuori città.
Venivano decise le aree per lo spazio sacro, e le necropoli e tutti quei luoghi che marcano i territori occupati
dalla nuova cittadinanza che spesso vengono segnati dall’aspetto sacro. La città viene definita dal circuito
stradale, e dal circuito stradale difensivo, si hanno i plateiai che sono i circuiti stradali principali, che
normalmente sono 2 o 3, e poi ortogonalmente a queste si sviluppavano le vie minori gli stenopoi, che
davano origine a degli isolati con all’interno le abitazioni.
Non vi era una netta distinzione tra cui coltivava il territorio, e chi invece la governava.
L’arrivo nella cosiddetta terra promessa, venivano divide le aree pubbliche dalle aree private, e quelle
necropoli. Città definita dal circuito stradale, definita dell’arteiadi, del manto stradale, che davano vita ad
altre parte steniopoi.
Selinute che è una apoikìa fondata da Megara Iblea, che si trova nel settore nord-orientale della Sicilia,
fondata alla fine del VII secolo, e l’origine del nome della città è selinon che era una pianta che nasceva in
quell’area, è anche il nome del fiume antico, oggi il Modione che costeggiava la città, che aveva una funzione
importante, poiché dalla foce si riusciva a risalire il fiume con imbarcazioni leggere, entrando nell’entroterra
alimentando il commercio via mare.
Il piano ortogonale, che risale agli inizi del sesto secolo, e prevede 3 zone distinte:
- zona dell’acropoli
- agorà nella collina di Manuzza
- la collina orientale dove sorgono i templi
- zona oltre il fiume dedicata all’area delle necropoli, qui sorgeva anche il santuario di Demetra
Il parco di Selinute, permette di cogliere forme di costruzione e centri abitativi, della fase arcaica.
Agorà che occupa 2 parti della città tra cui l’acropoli, e una zona sulla piana dei Manuzza, già dal 580 si
conservano una serie di edifici poi ampliati e ristrutturati.
Nella collina di Gàggera, il santuario di Demetra Malophoros, con impianto inserito all’interno di temenos,
che racchiude l’area sacra con un ingresso monumentale, e all’interno un grande altare e l’area del tempio,
che non rispondono alle tradizionali planimetrie dei templi dorici, poiché il culto di Demetra ha la sua
specificità legata al ciclo biotico e il ciclo di vita. Santuario che aveva un’area di culto di importante del culto
di Zeus Meilichios (dolce come il miele), aspetti particolari che richiamano l’idea una comunità, che
richiamano dei luoghi specifici significativi, dei luoghi che si trovavano ad una zona prossima alla foce del
fiume. Zona soggetta a problemi di impaludamento, tanto che viene chiamato Empedocle per bonificare
quest’area, risolvendo problemi di ordine sanitario.
Contesto di Selinute, che ci mostra che come i nuclei che si spostano dalla madre patria e arrivano poi in
occidente, siano in grado di dare vita a degli insediamenti a delle comunità.
Il caso di Selinute, della Sicilia, che resta una provincia autonoma distinta dalla Magna Grecia, che verrà a far
parte dell’Italia, e quindi queste due aree presentano dei caratteri distinti sulle abitazioni che vi furono.
POSEIDONIA/PAESTUM
L’area di Poseidonia, che in età romana sarà Paestum, è un sub-colonia di Sibari, che era una colonia achea
non lontana da Taranto, e si pensa sia stata una scelta strategica per collocare un punto a sud di Napoli questo
centro. La colonia di Poseidonia, di cui ci parla Strabone, trattatista greco dell’abustea, e scrive della
geografia del Mediterraneo, la città viene ad occupare un punto strategico delimitato tra due corsi d’acqua,
a nord il fiume Sele, dove non a caso Poseidonia pone il santuario extra urbano che è l’Heraion del Sele, e a
sud il fiume. La colonia viene posizionata all’interno della costa, in un punto che occupa un’area su una
piattaforma calcarea a circa 15 metri sul livello del mare, datata al 600 a.C. Molte aree vengono lasciate libere
e vengono occupate nel corso dei decenni.
La città si definisce per questa forma pentagonale irregolare, e presenta un’area centrale, che è lunga 1 km
circa da nord a sud, e copre una superficie di 300 m di larghezza tra est-ovest e 1km tra nord-sud, e copre
l’area dell’agorà greca. A nord e a sud sono delimitati da aree sacre, attorno alle si sviluppano le altre aree
della città, organizzato rispetto ad una maglia stradale con 2 grandi plateiai a est-ovest, e una serie di assi
larghi 5m in senso nord-sud che generano in impianto regolare. Le mura creano un circuito, che rendono la
forma della città più regolare.
Uno degli edifici che ci sono noti e non distrutti, è uno spazio
sacro che è l’Heroon area con un’area in memoria per il
fondatore, collocato in un recinto sacro temeos, in blocchi di
calcare, all’interno lo spazio è parzialmente ipogeico, con un
piccolo edificio rettangolare 3,8x3,5 m.
BouleuterionAl centro dell’agorà vi è lo spazio per l’assemblea cittadina, a cui è stata fatta un’ipotesi
ricostruttiva, che conteneva circa 500-600 persone, il diametro di 35 m. Vi è anche un altare, dove si
realizzavano cerimonie, dello spazio comunitario, che serviva all’attività amministrativa della città.
All’interno dello spazio sono state trovate delle metope, che parlano delle varie vasi di costruzione del
santuario, rilevati alcuni gruppi di metope, che vanno a rappresentare l’area sacra. Dal santuario provengono
circa 60 metope divide in diversi gruppi:
- Primo gruppo di 36 Metope, che appartiene della prima fase di costruzione e di occupazione, tra 560-
570 a.C, e risulta connotato da tematiche legate all’Ilioupersis (presa di Troia), a Oreste e a Eracle.
- Secondo gruppo della fine del secolo 520 a.C, e che si ritiene legato ad altri miti, e a figure femminile,
tra cui fanciulle danzanti e in fuga.
La situazione del santuario, fa si che nel corso del tempo più spazi vengono allestiti per a raccogliere
l’organizzazione dei fedeli, viene realizzata la stoà settentrionale al posto del nuovo altare, proprio perché
qui dovevano avvenire associazioni comunitarie sotto lo spirito della comunità.
Area a sud, conosce una destinazione di tipo funerario, in cui viene scoperta una tomba, è la Necropoli della
Tempa del Prete.
Questa necropoli è leggermente distante, rispetto ad altre aree di necropoli della città, quasi a significare un
volersi distinguere dalla popolazione, e quindi probabilmente appartenente ad una famiglia benestante e
aristocratica.
Tomba del tuffatoreQuesta tomba che coincide con una cassa, che ha una serie di immagini al suo interno,
uno dei primissimi casi di pittura. Nelle lastre sono rappresentate delle scene di momenti conviviali, in cui
personaggi maschili siedono ad un banchetto, momenti che vedono nella lastra superiore della cassa, con
una scena di un uomo che si tuffa in un bacino d’acqua, che probabilmente è un’immagine simbolica che da
il senso di un “tuffo nell’aldilà”.
LEZIONE 06 | 9 marzo 2022
Non è scelta stilistica che segna una cesura netta con il Leitmotiv della produzione artistica dell’età arcaica
caratterizzata dal sorriso arcaico che dava espressione di apparente gioia/compiacimento in queste statue,
ma è anche lo specchio di una situazione culturale generale della società greca che è coinvolta in una serie di
condizioni storico-politiche molto complesse perché tra la fine del VI secolo e gli inizi del V succedono dei
fatti epocali, che portano il popolo greco a riflettere non solo sull’idea di quale vita si vuole, ma soprattutto
della caducità della vita e dell’essere soggetti a situazioni storiche o a un fato che decide al posto tuo e che ti
rende soggetto a fortune alterne. → ci si riferisce alla fase che vede la pressione dell’impero persiano sulla
Grecia e sulle città della Ionia, sul fronte della Grecia orientale. Questo nemico che si era organizzato in un
impero con organizzazione in satrapie, con satrapi (sorta di governatori che amministrano queste terre), si
era spinto verso la Grecia ionica e pressava le città che erano greche di origine ma sottoposte a serie di
richieste a livello di tassazione, di oneri che creano una situazione insostenibile per le città-stato di marca
greca.
La prima rivolta è quella di Mileto (499 a.C.), che si ribella al gran re perché costretta a versare tributi sempre
più onerosi. La città chiede aiuto al popolo greco. Della Grecia risponde solo Atene, non solo perché sorella
della medesima stirpe ionica ma perché guardava con timore a questa pressione persiana su un mare greco,
quale era l’Egeo. In poco tempo anche altre città insorgono ma la prima battaglia navale davanti a Mileto a
Laden (?) viene vinta dai persiani nel 494 e in seguito distruzione totale della città di Mileto ma anche
situazione del famoso santuario del Didymaion.
Dal 494 al 490 = Prima guerra che chiama in causa Atene alla guida di un numero consistente di opliti, alla
quale seguono degli anni di instabilità. Dario I decide di punire questa Atene riottosa e poco incline a
sottomettersi al volere del gran re e dichiara guerra ad Atene ma in generale a tutta la Grecia, e
inaspettatamente l’esercito che arriva alla piana di Maratona (20 mila uomini) viene sconfitto da Atene, che
aveva un numero minore di uomini = vittoria di Maratona del 490 a.C. → battaglia che segna l’approccio e
la consapevolezza dell’Atene dell’epoca, non senza morti o feriti. Inizia anche una sorta di propaganda volta
a celebrare questi morta e volta a rimarcare una netta cesura tra popolo ateniese e popolo persiano
(appartengono al gruppo di barbari perché rispecchiano un modo di vita e di organizzazione sociale diverso
dalle città-stato, dove c’è un gran re e i sudditi che gli obbediscono ≠ Atene dove i propri cittadini erano in
gran parte liberi e autonomia interna specifica).
Succeduto a Dario I, il nuovo re persiano Serse decide di attuare una nuova guerra, non solo contro Atene
ma contro tutta la Grecia. Sono gli anni in cui Temistocle è lo stratega dell’epoca che capisce la necessità di
puntare a una realizzazione di una flotta navale che sia in grado di far fronte a un attacco via mare. Già in
questa fase progetta una serie di mura che possano difendere la città e il suo porto.
Tuttavia, la prima parte della seconda guerra persiana inizia male perché c’è una prima uccisione di Leonida
alle Termofili con 300 uomini in Tessaglia. Nel 480 viene organizzata una strategia ad opera di Temistocle che
vede da un lato la necessità di abbandonare temporaneamente la città perché il gran re si stava avvicinando,
dall’altra parte si organizza una controffensiva che usa anche la flotta e nel 480 la battaglia di Salamina segna
una vittoria per Atene e per i greci. Si concluderà poi nel 479 a.C. con la battaglia di Platea, a cui segue l’ultima
a Micale sul fronte ionico. Da quel momento i persiani si ritirano e sarà solo Alessandro Magno, 100 anni
dopo, che si reinventerà una nuova guerra contro i persiani, perché i persiani nel 480 quando avevano
attaccato Atene aveva osato distruggere anche i templi e molti ex voto dedicati alla dea. = questo fatto verrà
rivendicato da Alessandro Magno e sulla base di questa profanazione baserà la sua azione.
Quando gli ateniesi tornano in città e vedono lo scempio che è stato fatto, decidono che questa distruzione
deve rimanere a memento dei concittadini e dei posteri a dimostrazione della grandezza dell’atto di empietà
compiuto dai persiani. Questo atto viene amplificato in termini di propaganda, ma lo fanno attraverso una
sepoltura sacra, fossa votiva che gli archeologi hanno definito come colmata persiana. → accumulo di oggetti
che erano stati distrutti in quegli anni e che essendo stati dedicati alla dea dovevano esserle restituiti in
termini di deposito sacro. Questo deposito ha permesso il recupero di molti oggetti precedenti agli eventi del
480 e che segnano un ante e un postquem rispetto a quegli eventi. La scoperta di questa colmata avviene
alla fine degli anni Ottanta dell’800 tra il 1885 e il 1891. Viene scoperto perché un archeologo, Kavvadias,
decide di indagare quel tratto di spianata davanti al Partenone sulla fronte meridionale dell’acropoli. Decide
di scavare quest’area smontando uno strato dopo l’altro che parlano di una serie di interventi che per una
parte coincidono con questa colmata ma che riportano a una storia precedente all’occupazione dell’acropoli.
Il muro 1 è stato individuato da Kavvadias come un muro di epoca micenea (1400-1200 a.C.) in tecnica
ciclopica, a cui corrisponde (sulla dx) una prima colmata (colmata n°1) che viene tagliata stratigraficamente
per fare la fossa di fondazione del basamento del pre-Partenone.
La seconda colmata si riferisce a una serie di scarti di lavorazione pertinenti ai materiali di lavorazione per il
Partenone, con un muretto di contenimento (2a) per gli stessi e che in qualche modo finiscono per essere
sovrabbondanti, tant’è che sopra il muro 1 viene costruito un altro muro (2b) che utilizza come base di
appoggio il muro ciclopico. Sono gli anni tra il 500 e il 490 quindi la fase precedente alla distruzione dei
persiani del 480 e quindi gli oggetti di questa colmata sono necessariamente antecedenti al 480.
Il muro 3 che utilizza le murature precedenti: quella ciclopica e quella del 500-490. È un muro che per la
qualità della messa in opera è considerata un’opera realizzata in fretta negli anni in cui Temistocle nel 480
cerca di approntare una sorta di muraglia difensiva per l’acropoli in vista della minaccia persiana. Contiene la
colmata 3 che contiene serie di oggetti datati tra 490 e 480. Si assiste a una prima deposizione di oggetti che
servono a regolarizzare quest’area.
Il muro 4 detto di Cimone perché costruito dopo la battaglia di Salamina (470-460) contiene delle statue
mutilate, che sono quelle che i persiani distruggono nel momento in cui arrivano all’acropoli. Questa è la
favissa sacra, la vera e propria deposizione fatta per ricordare lo scempio persiano degli ex voto per la dea
ed è una colmata che dà l’idea di quanto fosse importante per la comunità dedicare questi ex voto.
Nell’età di Pericle, la comunità con il muro 5 decide di adeguare la spianata ai nuovi progetti, al cantiere
pericleo quindi la colmata 5 è quella che rende uniforme il piano pavimentale che sarà poi funzionale al
cantiere.
Questi eventi non sono interessanti soltanto da un punto di vista storico, ma aiutano anche a ricostruire serie
di tracce che archeologicamente non sarebbe stato facile ricondurre a determinate situazioni. Tuttavia,
segnano un’affermazione fortissima della consapevolezza dell’Atene vittoriosa sui persiani, che diventa la
grande potenza non solo della Grecia ma, per alcuni anni, di tutto il mediterraneo.
Atene è vittoriosa grazie a Temistocle, che promuove una serie di attività politiche e culturali che la
porteranno al vertice della scena nazionale e internazionale. Grazie a Temistocle viene concretizzata in
maniera concreta la lega delio attica con sede nell’isola di Delo, dove vi era il santuario di Apollo e nel quale
veniva conservato il tesoro della lega. → ogni città federata aveva l’obbligo di versare un tributo, che era
posto sotto il controllo del santuario. Non tutte le città erano d’accordo sul pagare questo tributo e così inclini
a sottomettersi politicamente all’egemonia ateniese, per cui alcune entrano di loro spontanea volontà, altre
sono caldamente invitate ad entrare.
Atene è una potenza internazionale, che si pone subito con contrasto con Sparta (a capo della lega
peloponnesiaca) però la Sparta, dopo le guerre persiane, è una città che si chiude in sé stessa, che vive di una
propria struttura fin tanto che nella seconda metà del V secolo sarà la nuova protagonista che riuscirà a
sconfiggere Atene. La supremazia ateniese diventa così importante che nel 454 il tesoro viene trasferito ad
Atene. Per questo tesoro, Pericle e il suo entourage decidono di rifare l’acropoli e tutta una serie di iniziative
a favore delle città. Dall’altra parte le città greche occidentali sono a loro volta chiamate a scontrarsi con altri
barbari: gli etruschi e i cartaginesi. Gli etruschi nel 474 vengono sconfitti da Ierone di Siracusa nella battaglia
di Cuma limitando il potere di quest’altra forza occidentale. Negli anni tra il 480 e il 450 Atene e la Grecia si
impegnano in un grande rinnovamento a livello urbanistico ma anche a livello di arti figurative.
La costruzione delle mura voluta da Temistocle è una costruzione che parte dal 479-478 e arriva fino agli 60
del 400 del V secolo. T. capisce l’importanza dell’esperienza navale, di dotare la città di un sistema difensivo
articolato e che non protegga solo l’acropoli o la città, ma che permetta di giungere all’area portuale
all’interno di un sistema difensivo complesso; e capisce la necessità di dotare l’area portuale di un impianto
urbanistico funzionale a tutte le attività.
Ipodamo codifica e teorizza, in trattati, la regolare disposizione di come doveva essere la struttura di una
polis ‘perfetta’. Si suddivide per settori: le zone per la politica, per la città intesa come polis, la parte dedicata
al sacro, al ludico, alle attività condivise, la parte per il privato, per lo spazio commerciale.
Nel settore del Pireo si nota come fosse stata pianificata l’area a est: l’area che verte sul ponte di Cantaros,
l’area commerciale rispetto a quella orientale che verte sul porto di Zea solo per le attività militari. Intorno ci
sono i quartieri abitativi e l’area destinata alle attività pubbliche della città secondo una precisa distinzione
funzionale delle diverse zone abitate. È interessante ricordare che a Ipodamo le fonti attribuiscono anche il
progetto urbanistico della città di Turi, fondata per volontà di Pericle nell’area di Sibari, distrutta per motivi
di controllo territoriale perché prossima ad altre città della Magna Grecia.
L’Atene di Temistocle si dota di un grande impianto portuale che diventa uno dei luoghi strategici, non solo
per lezioni commerciali, per la diffusione dei prodotti via mare ma anche per lo stanziamento della flotta
militare.
Se la città dio Atene si dota di opere che garantiscano il ruolo egemone rispetto ad altre città, nel
Peloponneso viene ad essere cruciale una fase edilizia per il santuario della città di Olimpia, città che si trova
nella regione dell’Elide (zona nordorientale) già nominata perché luogo dove sorgeva già dalla fine del VII
secolo il tempio di Era → uno dei primissimi esempi di tempio dorico con l’utilizzo della pietra unito alla
tecnica del legno (per la costruzione di grandi edifici nel VII secolo).
La città di Olimpia si trova ai piedi del monte Kronos (padre di Zeus) ed era collocata tra due fiumi: l’Alfeo,
che scorre verso sud-est e il Cladeo che si incrociano in prossimità della città. = città famosa per il suo
santuario presso il quale vengono ambientate due leggende con due personaggi importanti del mito greco:
- Prima leggenda: riguarda Pelope, figlio di Tantalo ed eroe del Peloponneso che viene chiamato in
causa perché arriva nella città di Pisa dove regna il re Enomao, il quale secondo un oracolo sarebbe
stato ucciso dal genero che avrebbe sposato sua figlia. Per questo il re non permette a nessuno di
avvicinarsi alla figlia e quindi sfida ogni pretendente in una gara di carri, nelle quali vince sempre lui
perché hai cavalli più potenti. La sfida prevedeva che chi dei due vincesse, potesse uccidere l’altro e
quindi in questo modo vengono uccisi tutti i pretendenti. Tuttavia, Pelope che ragiona con una metis
(un’intelligenza che sa far prevedere le cose e che sa far capire che cosa bene o meno fare) si fa dare
due cavalli da Poseidone per vincere la gara. Secondo un altro mito riesce a corrompere Mirtilo, il
palafreniere di Enomao, il quale manomette il carro del re facendo vincere Pelope. -> sposa
Ippodamia e subentra a Enomao.
- Seconda leggenda: riguarda Eracle e vede la sua presenza in quanto fondatore degli atla. Egli aveva
fondato questi giochi per celebrare Pelope, portando dagli iperborei i sacri ulivi con i quali venivano
realizzate le corone da dare ai vincitori delle varie gare.
Secondo la tradizione nel 776 a.C. (VIII sec.) c’è la prima olimpiade e quindi la fondazione dei giochi olimpici,
che stabilivano una tregua ogni 4 anni di eventuali contese fra le città = tregua sacra per permettere che le
diverse città tramite i loro atleti potessero partecipare a questi agoni, che inizialmente prevedevano gare di
carri per evocare quella mitica di Pelope ed Enomao. Nel corso del tempo vengono sostituiti dai giochi come
il pentathlon (salto, lancio del disco e del giavellotto, corsa e lotta) per sfidarsi in una serie di gare, affiancate
a gare musicali e poetiche, a cui poteva partecipare tutta la grecità (anche Grecia delle colonie infatti
numerosi ex voto che parlano di personaggi provenienti dall’Occidente).
Questo grande santuario che ha una valenza plurima:
- religiosa panellenica perché richiama tutta la grecità a ritrovarsi a omaggiare le divinità olimpiche
come Zeus ed Era,
- una valenza culturale sportiva importante perché per gli antichi la capacità di affrontare degli atla
che prevedono anche un’intelligenza, una capacità di gestire questo tipo di attività fisiche, era
fondamentale. Essere un buon atleta significava ritagliarsi un posto all’interno della società.
All’interno di questi santuari c’è la possibilità di autorappresentarsi con ex voto, monumenti, edifici
per celebrare la presenza individuale delle varie città.
Per la fase antica le testimonianze che i tedeschi hanno rilevato riguardano quello che era il luogo fondativo
dell’area sacra → Heroon in onore di Pelope = Pelopion (desinenza -ion per definire un luogo di culto per una
o più divinità, non solo un tempio ma tutti i luoghi sacri) che ha una serie di fasi:
1. fase protostorica (II millennio a.C.): è stato individuato un grande tumulo circolare di circa 30 metri
di diametro con annessa capanna. = Pelopion I
2. fase di VI secolo: si sovrappone alla prima fase = Pelopion II
3. fase di IV secolo: questo spazio sacro viene monumentalizzato con recinto poligonale, che racchiude
un altare, delle statue ed è circondato da alberi. È collocato tra i due edifici principali che sono
l’Heraion e l’Olimpieion. = Pelopion III
La saga di Pelope è fisicamente uno spazio, che i greci vedevano nel santuario e al quale dedicavano
attenzione e votivi. Sempre in riferimento al mito, attraverso una lunga descrizione nei libri V e VI della sua
“Periegesi della Grecia” ci ricorda che a memoria di Pelope ed Enomao esisteva ai suoi tempi una colonna in
legno che apparteneva al palazzo di Enomao e che veniva utilizzata come punto di giro delle gare dello stadio.
Non c’è alcuna traccia micenea, a parte il tumulo per ricondurre questa colonna a un palazzo preciso.
Nell’area sono state trovate tombe riconducibili al II millennio a.C. con molti corredi. È probabile che
all’interno del mito di Pelope, si era utilizzato questo ritrovamento per dimostrare la presenza di una
frequentazione molto remota di un utilizzo di tombe molto lontane dall’epoca di ritrovamento per costituire
una memoria, un’origine mitologica di queste popolazioni. Prima della costruzione del tempio c’era un
grande altare, datato al Vi secolo, alto 7 metri, costituito dall’accumulo delle ceneri per i riti realizzati dai
fedeli e che sarà poi sostituito dalla costruzione del grande tempio, datato a un periodo tra il 472 e il 457 a.C.
→ date confermate perché quando Pausania descrive il santuario e il tempio, che attribuisce all’architetto
Libone dell’area dell’Elide afferma che egli aveva potuto utilizzare il bottino ottenuto dalla guerra vinta contro
quella chiesa. Questa guerra è stata vinta nel 472, quindi è come dire una data certa, dopo la quale viene
costruito il tempio. Inoltre, Pausania ci dice che nel suo tour a Olimpia vede sul frontone del tempio il grande
scudo d'oro che gli Spartani avevano dedicato al Dio dopo aver vinto gli ateniesi nel 457, in una delle varie
battaglie che le due città fanno tra di loro. Fu distrutto nel VI secolo da un terremoto e per questo è stato
conservato nella sua interezza.
Si conosce, grazie a Vitruvio che questo è il periodo delle grandi opere, anche teoriche elaborate in Grecia;
quindi, opere che in qualche modo cercano di teorizzare le conoscenze raggiunte, le sperimentazioni, fino ad
allora realizzate. Si cerca di codificare in trattati questi livelli raggiunti in uno scambio reciproco che non si
ferma solo alla Grecia, ma che si diffonde in tutto il Mediterraneo.
Le metope sono state realizzate intorno agli anni 60 del 400 a.C. e hanno un’ampiezza media di 1,6 x 1,5
metri. Interessano l’area del pronao e dell’opistodomos. Raccontano le dodici fatiche di Eracle, figlio di Zeus,
sui lati est e ovest, anche se dovevano essere messe sui lati lunghi. Le descrive Pausania, a noi ne restano
alcune parti che sono state disegnate e ricostruite sempre con l’idea di seguire lo sviluppo delle sue fatiche
(la cattura del cinghiale di Erimanto; la cattura delle cavalle di Diomede, re della Tracia,; lo scontro con
Gerione; l’acquisizione dei pomi delle Esperidi; la cattura di Cerbero; la pulizia delle stalle di Augias sotto il
controllo di Atena; la cattura del leone di Nemea; l’uccisione dell’Idra di Lerna) in una narrazione che doveva
raccontare attraverso questi miti una serie di azioni positive fatte dall’eroe, sempre con la prospettiva di
educare la popolazione in senso positivo.
L’altro ciclo scultoreo riguarda i due frontoni. La lunghezza dello spazio frontonale arriva a 26 metri per
un’altezza di 3,5 metri. Il retro di queste figure non è lavorato, segno che dovevano occupare una posizione
frontale sulla fronte del tempio. Dato che in epoca bizantina furono smontate e in parte riusate e infatti
ritrovate intorno all’area sacra la loro attuale collocazione è stata proposta sulla base della descrizione di
Pausania. Si tratta anche in questo caso di un’opera che prevede una sorta di definizione e di architettura
iconografica unitaria, tant’è che si è parlato del maestro di Olimpia per riferirsi a una personalità artistica che
diresse i lavori e che progettò tutto l’apparato decorativo del tempio su committenza aristocratica locale
(committenza che sfrutta il mito per ammonire i fedeli al rispetto delle leggi della patria e per ricordare che
tutte le azioni contro la legge definiscono la rovina di chi le compie).
Frontone est → celebra la saga di Pelope. Al centro c’è il padre degli dèi,
Zeus, che sta a indicare la volontà degli dèi e l’attuazione del fato, che
prevedeva che Pelope dovesse superare la prova. Alla sinistra di Zeus c’è
Pelope con Ippodamia, che fa il gesto dello svelamento cioè il gesto tipico
della donna che sta per sposarsi o che è già sposa ma che si caratterizza
come colei che ha raggiunto lo statuto matrimoniale e dall’altra parte c’è
Enomao, che è affiancato da una serie di personaggi. Non ci sono solo
cavalli per richiamare l’imminente gara ma che viene prefigurata. Sulla
destra c’è il vecchio indovino che fa un segno di incertezza e timore per
quello che sta per avvenire e che prefigura l’esito della gara.
Frontone ovest → si sceglie una rappresentazione di quelle che sono le forze contrapposte positive e
negative: c’è lo scontro tra i Centauri e i Lapiti (centauromachia), dove i Lapiti si scontrano contro i centauri
in occasione delle nozze di Piritoo e Deidamia che peccano di hybris perché si sono ubriacati e che si lasciano
andare ad azioni violente e di profanazione delle leggi dell’ospitalità e della convivenza civile. Al centro c’è
Apollo, che va a marcare l’inizio dello scontro e a segnare la sua protezione nei confronti di chi va contro la
legge; infatti, ha un movimento molto più dinamico rispetto a quello
del frontone est che è molto più posato. Il volto di Apollo è una delle
espressioni più evidenti di questa idea dell’età severa che appare
molto concentrata e che segna il momento di rottura rispetto alla
cifra stilistica precedente.
Pausania: «Il dio, in oro e avorio, siede in trono; ha in testa una corona di
ramoscelli d' ulivo. Con la destra regge una Vittoria, anche questa d' avorio
e d' oro, che ha una corona sul capo; nella mano sinistra uno scettro
intarsiato d' ogni sorta di metalli; l'uccello che posa sullo scettro è l'aquila.
I calzari sono anch'essi d'oro, come la veste sulla quale sono intessute
figure di animali e fiori di giglio. Il trono che è adorno di oro e di pietre
preziose, oltre che di ebano e di avorio; su di esso, sono dipinte figure e scolpite immagini.»
Sulla base di questa descrizione e su una serie di monete ritrovate che si ispiravano all’iconografia della statua
si è tentata una ricostruzione = solo idea per vedere come era fatta. Era molto grande.
A Olimpia è stata individuata la casa di Fidia, l’area in cui viene ad operare l’artista e in cui è stata trovato un
piccolo vaso con scritto in greco Pheidio eimi “io sono di Fidia”.
Filippo, cent’anni dopo si fa costruire a Olimpia il suo edificio di culto, il Philippeion. Era importante andare
ad occupare questi spazi anche a fini propagandistici, solo che nel V secolo si hanno opere commissionate
dalla comunità, mentre nel IV secolo con Filippo si parla di opere realizzate da un individuo per un individuo.
Poseidonia → nell’area pubblica, estesa su una fascia di circa 1 km da nord a sud intorno alla quale si
organizzano i diversi isolati che saranno occupati dalle abitazioni dopo la deduzione della colonia romana di
Paestum del 273. Gli edifici di culto, a nord con il tempio di Atena e a sud con il tempio di Era, avessero una
valenza di demarcazione di questi spazi. Anche per la fase tra 480 e 460 a Poseidonia si realizza il tempio di
Poseidon nel settore meridionale della città con dimensioni minori rispetto a quello di Zeus e Olimpia, ma
con elementi che lo avvicinano alla costruzione dell’Elide.
- La peristasi è di 6x14 colonne doriche. (qui il canone
dei moduli scelti per questa costruzione non è lo
stesso usato in madrepatria, segno che in Occidente
arrivavano le sollecitazioni della madrepatria ma
poi si doveva saper metterle in pratica. Certe
approssimazioni sono dovute al fatto che in
occidente alcuni elementi per perfezionare questi
edifici non erano ancora stati adottati).
- C’è pronao e opistodomo in antis con cella inserita all’interno della peristasi
- Cella a cui si accede con apertura realizzata all’interno dello spazio del pronao. Come in altri contesti,
era primaria la collocazione della statua di culto.
- All’interno la presenza del doppio colonnato non è affiancata ai muri interni e quindi esiste navata
centrale con due laterali molto più strette a sottolineare che il focus è tutto rivolto verso la statua di
culto.
(È possibile che la messa in opera di questi prodotti sia stata graduale ma che non fosse sconosciuta a livello
di cultura figurativa. Questi artisti si parlano tra loro, si trovano all’interno di un circolo culturale dove c’erano
molti siti in cui l’espressione artistica poteva esprimersi. Il rapporto tra madrepatria e colonia è un rapporto
costante, che non si attua nell’anno stesso ma che si lega all’interno di un arco temporale attraverso rete di
scambi commerciali e culturali).
Questo tipo di trasmissione di modi di raffigurare questa nuova moda = moda dell’età severa veicolata da
serie di sollecitazioni, in cui l’artigiano o lo scultore ha la possibilità di confrontarsi con opere della
madrepatria. La tendenza generale permette di visualizzare quello c’era l’eco della madrepatria. Il tempio E
è stato oggetto di un processo di anastilosi nel 1959 e da un punto di vista della fase costruttiva si pensa che
sia iniziato nel 460 e che sia concluso nel 450.
Ciclo metopale del tempio E → I soggetti sono legati a Eracle o a particolari elementi del mito per sottolineare
la vicinanza di comuni ideali a cui queste popolazioni si rifanno. Dalla scultura architettonica si possono
recuperare tracce dello stile severo anche nella bronzistica e nelle altre opere scultoree, si può osservare
attraverso serie di oggetti rimasti come ci si stata una netta evoluzione nello studio del corpo umano e
nell’elaborazione di un modo di esprimere le parti del corpo, che non sono più pensate come porzioni unite
tra loro e giustapposte (cfr. età arcaica).
Dalle fonti si sa che in questa fase e in quelle successive il materiale preferito dagli scultori è il bronzo. Ci
sono rimasti pochissimi esempi.
Veniva utilizzato anche per gli oggetti di piccole dimensioni → bronzetto
dell’atleta da Adrano (Sicilia), 470-460 a.C. (h 19,5 cm) con il quale si possono
valutare una serie di elementi che poi si troveranno riprodotti nelle statue di più
grandi dimensioni (es. copie romane di originali greci)
In questo caso lo studio del movimento del corpo implica una ponderazione delle
parti con la gamba destra portante su cui si scarica il peso e quindi con l’anca
leggermente superiore a quella sinistra = questo posizionamento giustifica il fatto
che l’atleta sta porgendo con la mano dx un oggetto che è forse il dono alla
divinità in omaggio alla vittoria raggiunta (forse piatto per le cerimonie sacre).
Si vede come a livello di resa dei particolari c’è una notevole attenzione al busto,
con addominali e pettorali ben definiti, le braccia spostate rispetto al corpo con
idea di movimento libero (≠kourai con braccia allineate ai fianchi), mentre da un
punto di vista della resa del volto e del capo, la capigliatura è una calotta
compatta (non più lunghi capelli raccolti in ciocche) e l’espressione è seria e
concentrata sul gesto che sta facendo. La testa è abbassata verso il braccio più teso = rimarca che l’atleta è
concentrato su questo atto di presentazione, ha tutta la sua attenzione rivolta verso quella parte mentre gli
arti di sinistra sono liberi. Non si esclude che potesse reggere con la sx la palma della vittoria, un altro
elemento che lo connotava come vincitore.
Dato che nella Sicilia dell’epoca c’è la presenza di Pitagora di Reggio, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la
resa finale di un oggetto piccolo ma di pregevole fattura sia il frutto di una sollecitazione da parte della
produzione scultorea locale rispetto alle conquiste realizzate attorno a questa figura.
Altra statua che consente di osservare netta evoluzione nella resa del corpo
umano e del suo muoversi all’interno di uno spazio è la replica romana in marmo
di un originale perduto: l’Apollo di Kassel, una località tedesca. = Apollo
Parnopios
Le opere che hanno posto le basi per capire lo sforzo straordinario fatto dagli artisti greci → scoperta dei
BRONZI DI RIACE nel 1972. Sono due dei pochi originali del V secolo che ci sono giunti. Sono stati scoperti da
dei pescatori davanti alle coste di Riace. In questa pesca sono stati recuperati due bronzi che oggi si trovano
al museo nazionale di Reggio Calabria, dove sono stati sottoposti a lunga serie di restauri e analisi. Ora sono
collocati su basamenti che ne assicurano la stabilità in caso di terremoto.
Sono due sculture in bronzo che rappresentano due personalità maschili: uno di età più matura (Bronzo A) e
uno più giovane (bronzo B).
Bronzo A, 460 a.C. → rappresenta un uomo di età più
matura, con barba e acconciatura raccolta in riccioli
tenuti da sorta di benda chiamata tenia che tiene i
capelli schiacciati sulla fronte. I particolari della bocca
denunciano l’utilizzo di materiali diversi (argento per
resa dei denti) = una serie di più materiali, che fanno
emergere alcuni particolari nella vivacità della statua.
Dal punto di vista della ponderazione si vede come ci
sia una certa affinità rispetto all’Apollo di Kassel, anche
se in questo caso la gamba dx è quella portante.
È possibile che il braccio sinistro fosse piegato a tenere lo scudo che è andato
perduto, mentre l’altro braccio era libero. Rispetto all’Apollo di Kassel c’è la
medesima linea orizzontale per le spalle, segno che la scultura è ancora pensata
in un atteggiamento di movimento ma ancora pensato in maniera statica.
Lo studio delle terre di fusione usate per le sculture, conferma che si tratta di
due luoghi di provenienza diversa: Argo (area argiva) e l’area attica (forse Atene).
Ulteriore elemento che permette di travedere che una cultura figurativa sia stata
recepita da più scuole in un arco temporale piuttosto vasto ma che poi abbia creato il presupposto per creare
opere di questo tipo.
Il giovane che ha lunga tunica cinta da un’unica fascia sopra i fianchi = questa
tunica fa sì che tutto il corpo sia nascosto, ad eccezione delle braccia e dei piedi.
Sui piedi c’è una resa minuziosa dei tendini e delle singole parti degli arti inferiori ad indicare che l’opera non
sia astata frutto di un lavoro occasionale di un’azione di importante cesellatura.
La capigliatura è molto compatta (cfr. Apollo di Olimpia) con ciocche di capelli trattenuti da una tenia (benda)
decorata con elementi di argento e di rame, rilevati come tracce sulla scultura. Fino a 50 anni prima c’erano
ancora i kouroi con le ciocche molto lunghe. Da un punto di vista cronologico, fa capire come lo studio di
queste sculture possa essere aiutato anche dall’analisi dell’evoluzione stilistica di questi elementi.
La testa è rivolta verso destra perché si deve immaginare l’auriga sia rivolto verso coloro che lo stanno
guardando, verso lo spettatore e ancora una volta l’espressione seria e concentrata testimonia che è una
postura volutamente rimarcata per esprimere l’idea che questo personaggio sta guardando nel giro di saluto
degli spettatori dopo che ha vinto la gara, coloro che lo stanno applaudendo.
Statua del dio recuperata nei fondali, h 2,09 m, 460 a.C. → viene ritrovata a
Capo Artemision in Eubea, santuario in onore di Poseidon.
Vi è la definizione di uno sforzo che allarga sempre di più le braccia verso uno
spazio che fa parte della scultura che quindi partecipa dell’espressione stessa
dell’opera medesima.
Alla fine di questa fase tra le sculture rimaste in copie romane, che si prestano
a comprendere quanto avanti potesse essere l’analisi e la rappresentazione
del movimento del corpo umano osservato da diverse prospettive.
È una copia dell’originale in bronzo = si vede supporto che regge statua, necessario per la distribuzione dei
pesi. È stato notato come la resa dei particolari anatomici sia molto asciutta ma nello stesso tempo molto
curata non solo nella resa dei muscoli ma anche dei tendini e delle vene.
Ponderazione = l’atleta è raffigurato concentrato verso l’oggetto che sta per
lanciare quindi concepito in una prospettiva circolare che dal punto di vista dei
tratti del viso si allinea al gusto dello stile severo. È un volto molto idealizzato,
concentrato nel gesto del lancio ed è la rappresentazione dell’attimo
precedente al lancio del disco
Ci sono tante altre statue di cui ci rimane solo la copia in romana in marmo. →
per esempio, il gruppo di Atena e Marsia, in cui viene raccontato lo stupore del
satiro che vede gettato per terra il flauto che aveva inventato la dea. La dea
aveva provato a suonarlo, ma aveva visto che il suo viso si era deformato e non
essendo adatto a una dea lo getta. Lo strumento viene raccolto da Marsia, che
non solo lo prende e lo suona ma poi diventa così bravo che vuole sfidare il
maggiore musicista dell’Olimpo, Apollo. Egli non lo può tollerare e naturalmente
vince la sfida. La punizione è che il satiro venga scuoiato vivo e appeso a un
albero.
Altra opera famosa rimasta e attribuita a Fidia → ATENA LEMNIA, 450 a.C.
È una statua della dea, realizzata sempre all’interno dell’età severa. si chiama Lemnia
perché era stata dedicata dagli abitanti di Lemnos sull’acropoli e ancora una volta, al di
là della resa stilistica e dell’egida che le ricopre il petto, la concezione è ancora quella
dell’Apollo Parnopios: ponderazione ancora molto orizzontale della statua e
un’avversione un po’ maschile di una divinità che fugge dal matrimonio.
TRONO LUDOVISI, 460-450 a.C., Palazzo Altemps - Museo nazionale romano, Roma →
altra opera estremamente importante che richiama un tentativo di rendere il corpo e la
nudità femminile secondo il gusto dell’epoca.
La dea è in parte nuda, un velo ne copre la parte inferiore ed è raffigurata di profilo con un’espressione
attenta e concentrata. Sui lati ci sono altri personaggi che richiamano il contesto celebrativo dell’evento e
testimoniano il fatto che quest’opera sia astata realizzata da uno scultore esperto nella lavorazione del
marmo insulare, di cui è fatto il trono. Probabilmente era uno scultore magno greco di cui non si sa il nome
e interessato e aggiornato sulle conquiste in madrepatria.
Il VI secolo è interessato da una produzione di ceramica a figure nere (ad Atene) che viene sostituita dal 480,
dagli inizi del V secolo da una nuova tecnica inventata sempre ad Atene → TECNICA A FIGURE ROSSE
= prevedeva una lavorazione inversa, dove le figure vengono lasciate senza colore ma
rese nei particolari attraverso l’incisione e lo sfondo viene dipinto di scuro. Il tono
arancione rossastro della ceramica attica viene dalla presenza di sali di ferro,
dell’argilla. Uno dei pittori più famosi che si lega a questa fase di prodizione è il pittore
di Kleophrades, che propone soggetti legati ad alcuni personaggi del mito (per
esempio soggetti dionisiaci per i simposi e i banchetti) con l’idea che questi vasi
dovessero essere ben gradite a un mercato, non solo greco ma internazionale, alla
vita del simposio e dei banchetti.
Questo tipo di raffigurazioni hanno come modello le grandi opere scultoree coeve,
che sono il punto di riferimento per la resa di queste pitture, che non mancano di
tradurre in un eco fittile quella che era la discussione in atto nell’Atene a ridosso delle guerre persiane e
quella che era una marcata consapevolezza di tutto quello che significava la guerra come momento di stragi,
uccisioni. Anche la raffigurazione di particolari truci diventa un elemento su cui anche gli stessi ceramisti e
pittori si confrontano.
Le opere teatrali come quelle di Eschilo saranno lo specchio di questo ragionamento di questa valutazione di
quello che significava la guerra: aver fatto strage di corpi, perdita di familiari, essersi confrontati con una
reale perdita delle persone. La produzione della ceramica attica ha moltissimi scuole e protagonisti, ma
soprattutto è una ceramica che viaggia in tutto il Mediterraneo e che si trova anche in Italia. È stata oggetto
di studi approfonditi di gruppi di studiosi che hanno analizzato nel dettaglio questi vasi, frammenti di vasi con
la capacità di ricondurre a determinate scuole questi prodotti artistici che in alcuni casi non rinunciano a
raffigurare momenti non mitici ma scene di lavoro.
In questo periodo si rielabora i temi della vittoria sui persiani, e della disperata supremazia ateniese e greca,
e come questi temi sono stati risemantizzati, anche in termini di occupazioni del territorio, in particolare
dell’acropoli, e quindi una coscienza condivisa per i greci.
ETÁ CLASSICA= è un periodo molto ampio, che va dal 450 e si conclude con la morte di Alessandro Magno.
L’età classica ha un momento particolarmente creativo e innovativo che è la seconda metà del quinto secolo,
a cui segue il quarto secolo, e in cui tutte le arti figurative vengono recepite e creeranno le basi per l’età
ellenistica.
Si diffonde un’idea di classicità che riguarda solo la Grecia, ma in senso lato, non solo Atene come città.
Atene di Pericle dopo aver sconfitto i persiani, si pone come la città egemone in tutto il Mediterraneo.
Pericle è a capo di Atene fino alla sua morte a causa di peste (vissuta dagli ateniesi come punizione). Di Pericle,
nel parla il grande storico del Peloponneso, ovvero Tucidide, racconta della guerra del Peloponneso, e
racconta di Pericle, come uno stratega, integerrimo, incorruttibile.
Atene è un modello per le altre città, e quindi Pericle capisce la forza della macchina propagandistica in
termini di propaganda veicolata da arte e immagini, funzionali a trasmettere l’idea politica e la morale di
stato come quella vincente alla quale tutti si devono uniformare.
Pericle è importante perché non da solo al potere e per attuare questa macchina
propagandistica si deve attorniare da persone di alto livello, quindi a Fidia (grande
artista), Erodoto e Ippodamo di Mileto e molti altri personaggi di cui gli storici
hanno delineato anche i profili. Pericle poteva contare su due grandi fondi da cui
trarre soldi per la città e la macchina propagandistica:
1. Recente scoperta delle miniere del Laurion, che erano in Attica miniere di
piombo argentifero, che permette di ricavare ingenti quantità di risorse per poi
successivamente fare cassa.
2. Straordinaria flotta che Temistocle aveva fatto costruire, all’arrivo della seconda tornata dei Persiani
3. Tesoro della lega delio-attica, nel 457 a.C viene trasferito ad Atene nell’acropoli precedentemente
situato a Delo, controllo fatto con la massima osservanza per non cadere in accuse molto forti di uso
illecito di questo denaro, ma soprattutto giustificare agli occhi degli alleati che avevano versato dei
tributi, un uso adeguato di questo tesoro.
La città non si limita a lavorare su sé stessa, ma avvia campagna di colonizzazione, di espansione dei propri
confini, fondando colonie nell’Egeo settentrionale, e in occidente nella città di Thurii, perché città fondata
per volontà di Pericle nel 444 a.C. a ridosso della città di Sibari, fondata a sua volta dagli achei nel
Peloponneso, e poi distrutta nel 410 dai Protoniati.
Pericle avrebbe incaricato Ippodamo di Mileto di fondare questa città in un occidente che doveva avere un
avamposto ateniese ben riconoscibile.
Della fondazione di Thurii, ne parla Diodoro siculo che vive nel I secolo a.C, e nel suo 12° libro traccia un
profilo della città dicendo che era stata realizzata dagli abitanti, a partire da 4 strade, dando nomi legati dalle
principali divinità venerate, poi tracciate altre 3 verso sud. Era una città bene apparecchiata, rimarcando un
impianto regolare e ortogonale. Gli scavi recenti, ha permesso, di riconoscere un impianto della città, non
per strigas (isolati allungati), ma con un impianto a scacchiera.
La politica di Pericle non è stata facile, perché fu una politica imperialistica, che garantiva la protezione
militare a tutte le città che si dichiaravano alleate di Atene, ma era dura con quelle che non si sommettevano
alle leggi ateniesi. Quindi una politica imperialistica che ha anche imposto dei tributi pesanti, per fare fronte
per queste azioni di propaganda e di rinnovamento urbanistico, che causò un generale risentimento nei
confronti di Atene e una ribellione dalle città che avevano un’autonomia rilevante. Dall’altra parte c’era
Sparta che aveva sotto la propria egida la lega peloponnisiaca (lega formata da città del Peloponneso) che
non vedevano di buon occhio l’ascesa ateniese.
Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) che finisce con la pace di Nicia. Dopo il 421 compare un giovane di
grandi aspirazioni politiche, che si inventerà una nuova strategia ovvero strategia occidentale e si mette a
capo della spedizione in Sicilia, che serviva per aiutare le città di Segesta contro Siracusa e Selinute, ma
principalmente per rimarcare il potere ateniese.
Pericle poi muore, e la spedizione in Sicilia, si rivela una spedizione disastrosa, che vede Siracusa a capo del
fronte in opposizione ad Atene, con una sconfitta per Atene, che vede molti ateniesi imprigionati nelle cave
di pietra di Siracusa.
Sparta, si impone poiché viene finanziata dai persiani e riesce a sconfiggere Atene nel 405, e Atene firma una
resa, che comporterà:
Nel 404 Atene perde il suo dominio dell’impero, che aveva creato ma non viene meno l’apporto culturale che
Atene riuscirà a mantenere fino all’età ellenistica.
Per riferirsi a quest’età si utilizza il termine classica, questa accezione per riconoscere i momenti in cui sono
stati realizzati e teorizzati criteri di ricerca e di realizzazione opere volte alla perfezione, rispetto al periodo
romantico in cui si dà libero spazio alla fantasia, alla sperimentazione e quindi non ci sono regole teorizzate
e canoni da seguire. Quindi in effetti nel periodo classico, bisogna riconoscere che Fidia e Policleto, hanno
creato un’arte in base alla perfezione e ordine.
Cantiere dell’acropoli, che è attivo da quando Pericle sale al potere (449-448 a.C) e il cantiere vero e proprio
segue un periodo di esecuzione dei lavori tra 447 e 432. Per salire all’acropoli il settore di accesso è quello
occidentale, da questo lato, che è l’unico accessibile rispetto allo strapiombo che circonda i lati dell’acropoli,
esisteva già dall’età arcaica una via processionale che permetteva di salire all’acropoli per le cerimonie in
onore di Atene. La parte della scalinata è opera tarda di Claudio, idea di linearità tipica del gusto romano,
mentre in precedenza con i numeri 5 e 7, era un’area presso la quale si arrivava una volta salita la via tortuosa
di accesso.
Con il n.5, il santuario dell’Artemide di Brauronia, originario dell’Artemide del Brauronion, località non
distante da Atene, che marcava la Kora della città.
La Calcoteca, era la zona in cui venivano depositati gli ex-voto in metallo, per la dea.
Il cantiere di Pericle e Fidia (vero sovrintendente di tutta la topografia dell’acropoli) è un piano che tende a
regolarizzare tutta quest’area che era ingombra di una serie di situazioni preesistenti. Il primo edificio
progettato è il Partenone e il progetto viene affidato a Callicrate, e poi Ectino. I lavori iniziano nel 447 perché
serie di iscrizioni, i cui vengono incisi tutti i rendiconti per tutti i lavori fatti nell’acropoli.
Propilei di Mnesicle, prima costruzione che si incontra salendo nell’acropoli. Con Mnesicle il progetto viene
totalmente ripensato, si usa marmo penterico e marmo nero di Eleusi per la parte inferiore dei muri. Non c’è
scultura architettonica particolare per poca
disponibilità di soldi. Sappiamo però come il
progetto, mirasse a creare sorta di insieme
unitario capace di superare le diverse quote di
accesso al pianoro dell’acropoli attraverso un
corpo centrale rettangolare, con le facce
simmetriche, da cui si accedeva a ovest e da
sud.
L’intercolumnio centrale è maggiore rispetto agli altri intercolumni, per consentire il passaggio dei carri per
le cerimonie partenee.
45.22
Partenone
Tutto l’apparato decorativo della città, non era completamente spoglio e candido, ma ricco di decorazioni e
cromie.
Punto di vista costruttivo ad opera di Titino, che scrisse anche un trattato in cui teorizzava le proporzioni
delle singole parti rispetto a un’unità di misura, che avrebbero evitato le deformazioni ottiche, ma che
avrebbe garantito un insieme armonioso ben preciso.
Decorazione le metope, come ad esempio ad Olimpia, sono un apparato messo in opera per primo.
Normalmente nei tempi dorici esastili, le metope occupano solo pronao e opistodomos. Mentre nel caso del
Partenone le metope sono in tutto 92, di alto rilievo e sono aggettanti di dimensioni considerevoli
1,25x1,37m. Queste metope trattano, dei temi legati al mito greco, che sono riassumibili dalla
contrapposizione della civiltà greca contro le barbarie dei non greci.
- Lato sud, Centauromachia, ostentazione, l’andare contro le regole del vivere civile
- Lato nord, Ilioupersis, contrapposizione tra achei e troiani, in un’ottica fortemente anti-persiana.
- Lato ovest, le Amazzoni donne che rifiutano il matrimonio, tutto ciò che veniva considerato come
formativo, e sono nemiche dei greci. Sono assassine di maschi e considerati come nemici della
popolazione.
- Lato est, gigantomachia, scontro tra dei e giganti e che avevano cercato di usurpare il potere degli
olimpi. Ancora una volta scelta simbolica per veicolare materiali propagandistici, contrapponendo
forze del bene e forze del male.
Lato est è il lato in cui sul frontone c’è la nascita di Atena. Ogni singola parte era stata progettata per essere
un richiamo in un percorso ben preciso. Già solo nelle metope, la retorica anti-persiana era bene esplicitata,
la funzione era quella non solo di trasmettere degli ideali, ma c’è l’idea di trasmette regole condivise per
quello che doveva essere un comportamento giusto. Per le metope si chiamarono più molti artisti- artigiani
fermo restando che la regia spetta a Fidia.
Fidia che prevede di dotare questo tempio un fregio che doveva correre, nella galleria e quindi tra la peristasi
e nei muri cella. Fregio lungo 160 metri di sviluppo che si sviluppano in tutto il perimetro dell’edificio, con
altezza di 1m, con 119 lastre continue, si organizzano attorno al perimetro, per rappresentare la processione
del dono del peplo ad Atena.
Il fregio posto a 12m di altezza, non era facile da osservare, e per risolvere il problema si decide di fare un
rilievo a bassorilievo, poco aggettante per evitare chiaroscuri. La realizzazione mira a descrivere questa
processione che non è da intendere come processione avvenuta in un anno preciso, ma come una
processione atemporale, idealizzazione della
processione, in cui dei e uomini vengono rappresentati
insieme come ad avere la stessa importanza.
Ha un ritmo molto lento della sfilata delle matrone, in contrapposizione con la parte inziale dei cavalieri che
mostrano una cifra stilistica diversa. Cifre che poi si concretizzano nel lato est con la consegna del peplo.
C’è sempre Fidia dietro il coordinamento di queste decorazioni. Da un punto di vista si parla di un tempio
costruito in 15 anni, che può stare alla pari con tempi come quello di Olimpia, fasi costruttive molto dilatate,
e nel caso del Partenone si condensano in questo caso perché Fidia riesce a mettere in campo i migliori
artigiani ateniesi per realizzare il tempio.
Si parla di un tempio che aveva i focus principali nei frontoni. Le sculture del frontone sono state realizzate a
tutto tondo a fine esecuzione dei lavori.
Sulla destra ci sono conservate le tre dee ce attendono l’evento, che sono Estia, dea del focolare sacro,
Afrodite, dove si focalizza la resa della sensualità della resa di una fisicità romana di per sé, gli aspetti
principali di una dea. La resa da un effetto bagnato, per rendere una delicatezza e aderenza ai corpi. Un gusto
che è stato riconosciuto in opere successive degli allievi di Fidia, che ha costituito una cifra stilistica per il
canone della scultura degli ultimi 30 anni, il cosiddetto stile ricco.
Altro frontone rimasto meno conservato, nel quale rispetto alla nascita di Atene c’è lo scontro con Poseidon
per il dominio dell’Attica. La scansione dei personaggi, è su base di ricostruzione, al centro c’è l’ulivo, su cui
Poseidone fa scaturire una sorgente di acqua salata.
Si tratta di una statua che racchiude in sé una sintesi della storia della città. L’acropoli non è solo
rappresentata dal Partenone, ma altri edifici ne hanno segnato la topografia.
Si decide di costruirlo nell’area di ingresso dopo i propilei, che anticamente coincideva con il luogo da cui il
padre di Teseo guardava il mare per osservare il ritorno del figlio dall’impresa cretese. Il giovane preso dalla
sua vittoria si era dimenticato di mettere le vele bianche simbolo di vittoria e vedendo le vele nere e
pensando che il figlio fosse morto, il padre si gettò nella rupe.
Si decide di realizzare tra il 430-420 a.C, un tempietto in onore di Atena Nike, dea della vittoria per esaltare
la vittoria sui barbari, tempio propagandistico.
Fregio narrazione continua con scene di guerre tra greci e persiani per sottolineare valenza esemplare di
modello di realizzazione di questo tipo di opere.
Alla fine del secolo quando Atene è ormai al suo tramonto si decise di apporre balaustra in marmo pentelico
con le nikai e Atena per monumentalizzare un edificio che ha portato sfortuna.
Eretteo
Si trova nell’area dove si trovava il tempio di Atena Polias. Realizzato tra 413-405, e non può essere
considerato un tempio vero e proprio, perché non segue
canonicamente il modello di tempio, ma è un santuario. Santuario che
raccoglie in sè i vari culti ancestrali dell’Atene arcaica, riuniti in un’unica
struttura seppur simmetrica, che lega i re miti di Atene tra cui Eretteo,
che serviva per omaggiare Poseidon, e altre
aree. Area dedicata all’antico tempio di Atena
Polias, e a sud erano state realizzate le cariatidi
che poi sono state trasferite in museo, che
secondo le ricostruzioni, le copie di villa
adriana dovevano reggere degli oggetti di tipo
sacrificale e cerimoniale.
Alcamene realizza l’apparato decorativo di un tempio esemplificativo della propaganda politica di Pericle,
anche dal punto di vista della valenza produttiva della città.
La scelta di mischiare gli ordini dorico e ionico, non è soltanto il culto dell’Atene Periclea, ma si trova anche
nel Peloponneso, nella località di:
- Figaliae Bassae, viene realizzato un tempio dedicato ad Apollo Epicurio, fine del V secolo a.C.
All’interno del tempio di Apollo viene realizzata una colonna con capitello corinzio che fa la sua comparsa e
che poi verrà utilizzato nelle architetture successive con dialogo tra ordini che non è più avvertita come
sperimentazione ma come valore aggiunto su cui le maestranze del IV secolo si cimenteranno.
LEZIONE 08 | 16 marzo 2022
L’ETÀ CLASSICA (450-323 a.C.) – seconda parte
Il linguaggio figurativo e le innovazioni a livello urbanistico
La scultura della seconda metà del V sec. a.C. Lo “stile classico maturo” (450-430 a.C.) e lo “stile ricco” (430-
400 a.C.)
In questa fase la figura di Fidia è quella dominante per l’Atene periclea. Non è stato l’unico personaggio di
questa fase, ma il V secolo è un periodo di figure straordinarie (intellettuali, medici, artisti, ecc..), che non
solo hanno partecipato all’elaborazione di un’idea di democrazia a livello teorico ma hanno contribuito a
determinare una serie di cifre stilistiche che saranno poi considerate classiche nell’accezione di stabilire degli
exempla che verranno poi usate come modelli, ma soprattutto classico nell’accezione di un linguaggio
stilistico e architettonico che si basa su trattati, regole, canoni. → tutti questi personaggi elaborano una serie
di sollecitazioni e nuove proposte che andranno a costituire la cultura della Grecia del V secolo.
La tendenza a codificare attraverso delle teorizzazioni generali come si doveva costruire un edificio, realizzare
un’abitazione, scolpire una scultura o disegnare/dipingere un’opera pittorica → tendenza che si recepisce
molto bene in tutta la letteratura successiva a quella fase che ci parla di questi intellettuali e che laddove non
ci restino dei testi di costoro, ci restano delle menzioni, sintesi di questi trattati, di cui anche la scultura ha
avuto i suoi principali esponenti. Quest’ultimi che traggono dal passato e cercano di elaborare un canone
della statua perfetta, sia essa una statua di divinità o una statua di atleti, figure femminili o animali.
Fidia, Policleto e gli allievi come Agoracrito, Alcamene, Peonio, Callimaco, ecc. sono delle personalità sulle
quali i testi di epoca romana ci tramandano una serie di informazioni che hanno posto le basi per tentare di
attribuire ad uno o all’altro dei monumenti di cui non ci fossero dati specifici sulla paternità dell’opera.
Questo tipo di studio si è basato sul fatto che costoro avevano stabilito dei canoni, frutto di una sintesi di
elementi sia artistici, che tratti dall’esperienza medica ossia dallo studio dell’anatomia di matrice ippocratica,
dall’osservazione dei corpi in movimento sulla scena teatrale, dalla codificazione a livello di matematica, di
rapporti matematici delle singole parti del corpo rispetto a un’unità di misura. Questa codificazione di opere
d’arte resta un exemplum (‘esemplare’) per tutte le opere successive fino al pieno XX secolo, le quali possono
ripetere rielaborando alcune delle principali caratteristiche di queste statue, ma possono anche liberarsi da
questi canoni e provare nuove soluzioni.
Nel momento in cui si pone una regola tutti gli altri si devono adattare.
Fidia realizza un nuovo canone per la rappresentazione delle statue degli dèi e delle dee. (libro: Massimiliano
Papini, Fidia. L’uomo che scolpì gli dèi, 2014 – testo nel quale l’autore raccoglie una serie di informazioni di
diversa natura per ricostruire la figura di Fidia) → a lui vengono attribuite anche sculture di grandi dimensioni:
- Athena Promachos, 460 a.C. – l’Atena pronta alla battaglia, la più antica
- Athena Lemnia, 451-447 a.C.
- Athena Parthenos, 448-437 a.C.
Le sculture crisoelefantine avevano un’anima in legno e una modellazione di tutte le parti in gesso o argilla
sopra la quale si rivestivano tutte le parti in materiali preziosi. Un passo di Luciano ricorda, che in realtà le
statue di Fidia, fuori erano tutte d’oro ma all’interno erano piene di chiodi, punteruoli, stanghe, cunei,
elementi di pece per tenere insieme le parti ossia un insieme di strumenti che dovevano tenere insieme
questa statua. Questa statua poteva nel tempo essere oggetto di nascondiglio per quale animale. Dentro
questi enormi manufatti potevano esserci sia insetti che topi. = È un’estremizzazione della rappresentazione
della statua che però doveva essere impattante all’interno della cella.
Fidia, insieme agli architetti, chiede che la cella sia circondata da una peristasi a doppio livello, sul fondo della
quale doveva capeggiare la statua su una base alta diversi metri. Questa base serve a raccontare una serie di
storie. Secondo le riproduzioni esistenti, la statua era stante organizzata secondo il principio di ponderazione
(equilibrio tra le parti) su una base ampia 8x4 metri e alta oltre 1,5 metri. Doveva essere rappresentata con
la dx portante, con peso scaricato su gamba destra e la gamba sinistra libera. La questione della ponderazione
non era finalizzata solo a una resa estetica, ma anche a soddisfare equilibri e garantire un equilibrio della
statua.
Questa statua reggeva con la mano sinistra uno scudo e con la destra la Nike, rappresentata in volo come se
si stesse appoggiando sulla mano della dea.
Attorno alla base, secondo le descrizioni dei vari scrittori, erano raccontate le storie di Pandora.
Pandora = la figura femminile che Zeus chiede a Efesto di creare, dopo che Prometeo aveva rubato il fuoco,
mischiando insieme elementi naturali cioè terra e acqua. Tutti gli dèi concorsero a dotarla di elementi
aggiuntivi (Afrodite le dona la grazia, Atena le insegna l’arte della tessitura, ecc.) e questa creatura nasce per
volontà di Zeus ma nasce ancora non da un parto ma da una téchne. È un esempio di divinità (come Atene
nasce dalla testa di Zeus, quindi dalla sua intelligenza e non dall’unione di due persone) realizzata dalla
capacità artigianale di Efesto, a cui contribuiscono tutti gli altri dèi rendendola la prima donna della sfera
mitica che ha in sé un p’ tutte le caratteristiche positive. Nel momento in cui entra in contatto con altri
personaggi e le viene affidato il famoso vaso che doveva custodire e che non avrebbe mai dovuto aprire
perché conteneva tutti i mali del mondo.
Secondo una versione del mito, sono le sue sorelle che aprono il vaso e da quel momento il mondo viene
invaso anche di tutti i mali. Pandora viene a rappresentare la positività e anche la negatività ad un tempo che
deve trovare un suo equilibrio. → la scelta di raffigurare questo personaggio all’interno dell’iconografia della
Parthenos rientrava nella prospettiva di trasferire modalità di comportamento, modalità di recepire le regole
condivise attraverso dei miti connessi con la figura di Atena e con l’idea di civiltà che Atene riconosceva nella
propria divinità poliade.
Questa statua sarebbe stata usata da Fidia per rappresentare sé stesso. Nel mondo antico, a parte l’eccezione
dei pittori e dei ceramisti che firmano i loro vasi, fino al V secolo non abbiamo dei nomi degli artisti che
firmano le loro opere. Si hanno solo nel momento in cui si parla di opere come ex voto o ad uso provato.
POLICLETO DI ARGO (490-420 a.C.) → Altro grande scultore vissuto tra gli inizi del V e la fine del V secolo e
considerato uno dei massimi esponenti dello stile maturo. È ricordato perché tenta di realizzare una statua
perfetta di atleti, è colui che si specializza nello studio della nudità atletica e che cerca di realizzare un’opera
canonica. Scrive un trattato che si chiama “Canone”, che non è solo un’espressione che serve per indicare
una regola, ma deriva da kanòn che indica più concetti: una specie di segmento/sbarra/lancia; idea di una
linea retta e quindi intesa come misura, ma anche impiegata per strumenti di lavorazione nelle opere di
carpenteria (regolo). Indica anche il modello, la regola, il paradigma di un qualsiasi argomento.
In questa accezione polisemica il canone di Policleto è passato alla storia. Si tratta di una trattazione che
metteva insieme una serie di acquisizioni che la cultura greca che aveva raggiunto. Mette insieme elementi
legati all’osservazione anatomica del corpo umano, elementi tratti dai calcoli matematici per realizzare una
forma perfetta sulla base di unità di misura che nel caso di Policleto partiva dal dito. A seconda di questa
unità di misura venivano calcolati il rapporto armonico e il rapporto geometrico di tutte le parti del corpo.
Era un corpo che non doveva rispondere solo a una precisa disposizione di ogni singola parte rispetto all’unità
di misura, ma anche al principio di ponderazione inteso come equilibrio tra le parti. Non bastava costruire la
statua in parti giustapposte e armoniche si doveva anche costruire in maniera che fosse ponderata. Secondo
Policleto, la ponderazione poteva tradursi nella schematizzazione della figura, come la chi greca (χ), cioè il
chiasmo che doveva rispondere a questo equilibrio della ponderazione tra la parte portante tesa e la parte
rilassata. Questa architettura del corpo umano è funzionale a costruire una statua con
una propria simmetria e armonia tra le parti, che garantivano il raggiungimento del
canone della statua perfetta.
Nel concetto policleteo del V secolo, la statua perfetta non è perfetta perché
equilibrata tra le componenti, ma è anche un exemplum di quello che doveva essere il
personaggio rappresentato, quindi un modello anche sul piano morale che deve
rappresentare il meglio della società ateniese.
DORIFORO, originale in bronzo del 440 a.C. → è uno dei modelli, delle copie più fedeli
dell’originale in bronzo = copia romana trovata nella palestra sannitica di Pompei (sede
di un’associazione aristocratica di origine osca con forti connotazioni militari e che non
a caso sceglie di avere all’interno della palestra la statua di Policleto perché
rappresentava la perfezione atletica ma anche una moltitudine di virtù etiche, morali
che il canone voleva rappresentare. A livello dii storia della scultura, il canone non
passa solo come trattato ma anche come opera (perché anche la statua è chiamata
canone). = passa da teoria a pratica, dando una forma alla sua teorizzazione.
Altro fatto interessante che ci dà la misura della vivacità di questo secolo è un evento:
i sacerdoti del santuario di Artemide a Efeso indicono una gara per la realizzazione
della migliore Amazzone da dedicare alla dea. Si realizza una statua in onore di un’amazzone, che ricevevano
una sorta di culto, non tanto nell’accezione ateniese di guerriere orientali sconfitte dai greci ma
nell’accezione locale di personaggi mitici che avevano per prime stabilito un culto ad Artemide, la loro divinità
per eccellenza. Da un punto di vista antropologico, popoli che fanno parte di una stessa koinè culturale
interpretano uno stesso mito con diversi significati a seconda del sentimento della popolazione che lo pratica.
435 a.C. → questa gara poneva come richiesta minima che l’amazzone dovesse essere rappresentata ferita.
Le fonti ci parlano di vari artisti che partecipano a questa gara: Fidia, Policleto, Cresila (gli viene attribuita la
testa di Pericle) e Fradmone. Di questa gara Plinio il vecchio ci dà delle informazioni e gli studiosi hanno
cercato di attribuire tra le varie amazzoni un modello per Fidia, per Policleto e uno per Cresila. È molto difficile
trovare una certezza per tutte le opere. Il modello dell’Amazzone di villa Mattei è quella che dovrebbe
ricondurre alla statua di Fidia, mentre la copia romana firmata da Sosicle (ai Musei Capitolini) sarebbe
attribuita a Policleto. Quella conservata al Metropolitan di NY invece viene attribuita a Cresila.
Queste amazzoni vengono da posti diversi. Si trovano tra 700 e 800 o primi del 900. Dall’archeologia filologica,
da un gruppo di studiosi che tentano di superare il modello di Winckelmann e di ricostruire la storia attraverso
un confronto tra i prodotti artistici rimasti e le fonti epigrafiche. Tentano di attribuire all’uno o all’altro queste
opere anche dove ci siano delle riproduzioni in scala minore con la relativa base che riporta dei riferimenti
all’originale.
Si parla di cultura artistica che mostra vivacità di soluzioni che mettono in contrasto uno scultore con l’altro.
La vicenda di questa gara si conclude con la vittoria di Policleto. Questi personaggi creano
dei modelli ma anche delle scuole.
Gli ultimi 30 anni del V secolo sono segnati dai continuatori/allievi di questi personaggi.
Le fonti nominano alcuni allievi di Fidia come Algoracrito e Alcamene, ai quali gli studiosi
hanno attribuito alcune opere o nella versione di copie in cui era scritto in modo esplicito
che era una riproduzione di un originale (es. Agoracrito, Nemesi di Ramnunte) o nel caso
di Atene è rimasto un originale che rappresenta il mito di Procne e Itys che Alcamene
avrebbe donato come ex voto sull’acropoli di Atene. Ritornano alcuni degli elementi
tipici dei particolari scultorei delle statue di Fidia con panneggi molto pesanti e arricchiti
rispetto alle linee essenziali di Fidia, che troveranno nelle opere della fine del V secolo,
in particolare nelle Cariatidi all’Eretteo un’ulteriore enfasi, cesellatura.
Callimaco, Menadi danzanti → copia in marmo del bassorilievo in bronzo. Da ricondurre alla celebre
rappresentazione delle Baccanti di Euripide del 406 a.C.
Queste soluzioni si vedranno anche nelle realizzazioni più tarde:
- Il fregio del Tempietto di Atena Nike e particolare della balaustra, 410 a.C. con una Nike che si
allaccia il sandalo, Acropoli di Atene.
- nelle stele funerarie della seconda metà del V secolo, nelle quali è stato riconosciuto un eco di questa
fase di rielaborazione che Fidia e gli scultori che hanno lavorato con lui hanno realizzato. Anche nel
rilievo funerario provato le cifre delle grandi sculture sulle opere pubbliche vengono recepite e questi
personaggi che si fanno ritrarre in senso di commiato alla vita, si ispirano ai grandi cicli figurativi come
il cavaliere a cavallo, con l’animale che si alza sulle zampe posteriori, raffigurazioni di personaggi
seduti, che richiamano questo tipo di raffigurazioni.
Echi nelle conquiste dello stile maturo nel rilievo e nelle stele funerarie.
- Esempi da Egina e Rodi, 430-420 a.C. (stele in cui un defunto tiene un uccellino che era chiuso in una
gabbia sopra un pilastrino, stele di Krito e Timarista);
- Esempi da Atene, fine V-inizi IV sec a.C. (Hegesò sceglie i gioielli da portarsi nell’aldilà dal suo
portagioie; Dexilos morto in battaglia nel 394 a.C. presso Corinto = schema simile a quello classicistico
dei rilievi del Partenone)
Ricezione di quelle che sono le conquiste fidiache che interessa l’ambito funerario, dove abbiamo dei prodotti
di rilievo artistico notevole, che danno la misura della volontà di privati di spendere per soldi per realizzare
opere private. Questo tipo di opere rientrano all’interno della produzione scultorea.
La pittura
Plinio il Vecchio ci parla della pittura antica e di quelli che erano stati i maggiori artisti noti. Di tutta questa
produzione pittorica non ci resta nulla, ma dalle fonti letterarie si apprende che anche i pittori avevano
elaborato delle teorie per la resa delle figure sulle tele.
o Agatarco di Samo aveva scritto un trattato di metodologia della resa pittorica: scrive su come era
possibile rendere le pitture a livello tridimensionale attraverso un accurato studio dei rapporti
matematici e geometrici. Dalle descrizioni si capisce che potessero avere dei supporti sia in legno che
in pietra.
Alcune di queste grandi innovazioni hanno avuto un proseguimento anche in epoca romana, quando Roma
domina tutto il mediterraneo e va a prelevare delle opere scultoree e pittoriche dalla Grecia = inizia così una
produzione che si ispira ai prodotti della Grecia ellenistica.
Plinio fornisce un elenco a livello cronologico di questi personaggi, che sono delle figure di cui non ci resta
niente. Agatarco è tra quelli che avevano realizzato la pittura per scenografia per l’Orestea di Euripide, quindi
una pittura non solo per ex voto o opere sacre ma anche opere ad uso della cittadinanza in determinati
contesti.
o Le fonti parlano anche di Zeusi di Atene = famoso pittore che realizza pitture con sfondo monocromo
bianco e le figure risaltavano sullo sfondo = figure rosse;
o Parasio di Atene, che secondo Plinio, era riuscito a rendere il volume e il movimento dei corpi come
mai prima di allora.
La pittura ellenistica (seconda metà del IV secolo) soprattutto della corte macedone, ci dà un eco
straordinario di queste conquiste però della pittura del V secolo non sappiamo nulla. Si sa cosa fu imitato
della pittura e della scultura attraverso le ceramiche, che si ispirano alle grandi statue, ai grandi cicli in rilievo
o alle grandi firme dei pittori ma che poi devono tener conto dello spazio del vaso che hanno a disposizione.
Ezechias, vasi della fine del VI secolo → individua nella spalla del vaso il punto dove rappresentare e occupare
in maniera più estesa scene come quelle di Achille che gioca a dadi con Aiace sono delle soluzioni che si
pongono il problema di come articolare su uno spazio non regolare, curva.
Altri esempi = filone di studi archeologici che si occupa della ceramica attica, delle
botteghe dei vari pittori e dei vari ceramisti.
Anfora del Pittore di Achille, Museo Gregoriano etrusco, città del Vaticano, 440
a.C. = produce una serie di vasi che in qualche modo sono un eco delle grandi
sculture adattate alla forma del vaso che si doveva decorare. In questo vaso la
figura dell’eroe viene rappresentata come fosse statua (cfr. grandi statue
realizzate all’epoca).
Si cerca di dare l’idea di una statua appoggiata sul piede sx con gamba libera e la
lunga lancia serve da perno. A livello ancora artigianale quindi resi non perfetta.
Fine del V secolo a.C. → Fase in cui Atene è alla fine della guerra del Peloponneso e sconfitta politicamente
ma è ancora a livello culturale uno dei centri propulsori maggiori tra quelli del Mediterraneo.
Tuttavia, a livello politico, emerge Sparta e questo fa sì che la ripartizione delle aree di influenza sia più
allargata e di conseguenza cambiano gli equilibri politici, le dinamiche interne tra le varie città. Il IV secolo è
dominato da vari eventi legati alla città di Tebe, alla figura di Epaminonda che acquista una posizione
importante nella prima metà del IV secolo. In questo periodo prevale la netta preponderanza dei macedoni
prima con Filippo II e poi la figura di Alessandro, suo figlio.
Venuta meno l’egemonia ateniese si ritorna ad una moltiplicazione di luoghi, in cui si sperimentano nuove
soluzioni a livello artistico ed architettonico. Questa evoluzione in termini architettonici e urbanistici
rappresenta lo specchio della ripresa di dissidi tra le varie città che nel IV fanno sì che si presti attenzione alle
opere di difesa dei propri agglomerati urbani e a evidenziare le caratteristiche specifiche delle comunità che
le rappresentano.
Queste comunità recepiscono le grandi acquisizioni e realizzazioni che in qualche modo erano state
sintetizzate sulla figura di Ippodamo e del suo trattato sull’urbanistica, sulla città ideale. Le città cercano di
riprodurre un’idea utopica della città ideale, della città ippodamea, che deve tenere conto delle
caratteristiche geomorfologiche delle singole città. Per questo motivo ogni sito tenta di adeguare questo tipo
di schema e questo canone ippodameo alla realtà locale.
A livello teorico anche Platone nelle leggi descrive quella che doveva essere la città ideale =una città che
doveva basarsi sul concetto di isonomia e isomeria quindi suddivisione degli spazi per ogni nucleo familiare
secondo delle norme con giusta ripartizione delle parti. Questa città ideale doveva essere governata da una
buona amministrazione che aveva al suo interno un equilibrio nella componente sociale. Anche per Platone
la città ideale si basa su regole che si realizzano attraverso suddivisione geometrica degli spazi pubblici e
privati (ogni città deve avere un’agorà, la sua sede dove avviene l’azione politica e governativa, distinta dallo
spazio per le azioni mercantili. Naturalmente deve avere le sue aree per le attività pubbliche e per quelle
private). Anche Aristotele, 40 anni dopo, teorizza nella politica la scelta dell’impianto della città ideale non
solo sulla base di norme riguardanti la giustapposizione delle parti ma anche in base alla salubrità del luogo,
al rifornimento idrico, all’esposizione a oriente dell’area su cui deve sorgere la città.
La teorizzazione della città si basa anche sulla risposta a necessità della vita quotidiana. Il principale allievo di
Aristotele, Alessandro Magno, cercherà di adottare lo schema ortogonale per le sue città come Alessandria
di Egitto. Lo poté fare solo dove c’era spazio e disponibilità di espansione secondo schemi regolari, mentre
nelle città della Grecia dove lo spazio era già occupato da strutture preesistenti la situazione era diversa e
doveva essere analizzata caso per caso.
Ci sono anche delle porte della città che sono 3: porta di Arcadia (nord), porta della Laconia (sud-est) e
porta di Messenia (sud).
A livello urbanistico, gli scavi hanno portato in luce una serie di edifici: teatro, agorà, ampio santuario
dedicato ad Asclepio, l’area dello stadio con il ginnasio, edifici di origine romana, tra cui una grande villa
che testimoniano la continuità di uso all‘interno della città.
La disposizione interna dell’assetto urbano è meno accurata = l’agorà è situata al centro della città ma
l’assetto stradale non è regolare perché si adattava a preesistenze e alla necessità di preservare
l’organizzazione interna della maglia urbana, alla quale l’elemento che doveva rispondere principalmente
era un elemento difensivo quindi in questo senso la maggiore preoccupazione era stata quella di
assicurare cinta urbica capace di resistere ad attacchi esterni.
L’altro centro, interessante dal punto di vista culturale e architettonico è l’area di EPIDAURO che aveva un
famoso santuario leggermente all’interno. È una città affacciata sul mare quindi ci si poteva arrivare anche
via mare (parte della città è stata ritrovata sott’acqua). Le fonti ci parlano di questo centro di particolare
rinomanza nel corso del IV secolo perché qui si concentrano particolari soluzioni scultoree e architettoniche
per sottolineare l’importanza che aveva raggiunto il santuario di Asclepio.
Asclepio è figlio di Apollo, per il mondo greco è il dio della medicina. Il culto conosce un grande sviluppo nel
corso del V secolo e in precedenza nell’area del santuario, già nel VI secolo era venerato Apollo (si sa da ex
voto rimasti). Questo garantisce che questo centro avesse mantenuto nel corso del tempo una prerogativa
di tipo curativo essenziale e forte (anche Apollo è medico).
Oltre i propilei si entrava nello spazio del santuario, costruito per ospitare tanti fedeli. Questi fedeli, dopo
aver fatto un lungo viaggio erano anche bisognosi di avere una prima accoglienza e di presentarsi
degnamente al dio. Per questo all’interno del santuario c’erano dei luoghi di accoglienza ma anche luoghi in
cui ci si poteva lavare, preparare all’incontro con il dio. → il dio aveva un tempio dorico con peristasi di 6x11
colonne e costruito da Teodoto. È privo di opistodomo per ragioni cultuali. Ancora una volta, al suo interno
aveva una statua di tipo crisoelefantina ispirato alle grandi opere di Fidia. Aveva una serie di luoghi che
circondavano il grande spazio del tempio preposti ad ospitare i fedeli. All’interno del santuario vi erano stoai
(portici), luoghi dove i fedeli si intrattenevano per poi avere contatto con la divinità e dalle fonti si sa che i
fedeli dovevano seguire anche una dieta specifica per
incontrare il dio. Infatti, era presente l’abaton per il sonno
dei pellegrini, che nel sonno ricevevano le indicazioni
della cura per risolvere la malattia. In molti casi ci restano
le descrizioni delle esperienze di malati guariti dopo la
visita al santuario.
Questa tipologia architettonica sarà copiata in altri contesti (cfr. Philippeion di Olimpia, Tholos di Delfi).
L’orchestra ha un diametro di 20 metri con attorno l’area della cavea suddivisa a ventagli con serie di sedili
disposti in senso longitudinale in diversi blocchi. Le soluzioni acustiche vengono realmente messe in opera.
Oltre alla funzione teatrale c’erano anche luoghi per le attività fisiche quindi lo stadio e il ginnasio.
Tendenzialmente erano gli adolescenti che si dedicavano a queste attività, però se uno avesse intrapreso la
carriera come guerriero si sarebbe dovuta ovviamente esercitare. Non tutte le classi sociali potevano avere
tanto tempo da dedicare a queste attività. È una cultura che rimane anche nel mondo romano all’interno di
contesti preposti. Era un elemento caratterizzante dell’essere cittadino. Si vedono queste scene anche sui
vasi. C’erano delle scuole che servivano per educarsi all’educazione dei greci. Plutarco parla di una
quotidianità scadenzata da momenti di apprendimento teorico e momenti di attività fisica, del corpo libero
a seconda delle diverse età e dei diversi gradi sociali.
La figura di Skopas realizza anche il ciclo scultoreo che decorava il tempio di cui ci rimangono pochi elementi.
Questa figura è considerata preponderante nel primo IV secolo. Oltre a Skopas, ci sono altre due figure
importanti ossia degli scultori ateniesi: Cefisodoto e il figlio Prassitele.
A Cefisodoto, Atene chiede di realizzare agli inizi del IV secolo una grande statua, non
in onore delle divinità olimpiche ma in onore della pace in quanto portatrice di
ricchezza → Eirene e Ploutos sono i soggetti di una grande statua in bronzo che
doveva occupare un luogo di rilievo nell’agorà. Il concetto stesso della
rappresentazione di pace che porta la ricchezza, visto che Atene era stata appena
sconfitta era un’idea molto forte per richiamare l’idea che la personificazione stessa
del concetto di benessere garantito da una condizione di pace rappresentava un
nuovo sistema concettuale per esprimere i nuovi ideali della nuova società che andava
costituendosi.
- Pace viene raffigurata con figura femminile con un ampio mantello sopra il
peplo, che reggeva con la destra uno scettro.
- A sinistra regge il piccolo Ploutos, secondo una rielaborazione delle grandi statue femminili realizzate
da Fidia con però un’accezione nuova che predilige un aspetto più introspettivo di queste figure di
divinità che rappresentano dei concetti astratti (concetti preferiti in questa fase).
Nella bottega di Cefisodoto lavora anche il figlio Prassitele, uno dei maggiori scultori a cui viene attribuita
L’AFRODITE DI CNIDO, 360 a.C. = una tra le prime sculture nude che ci sono rimaste. Secondo Plinio, gli
ambasciatori dell’isola di Kos avevano commissionato a Prassitele una statua della dea da collocare all’interno
del santuario e quando tornarono a prenderla rimasero esterrefatti perché rappresentata nuda. Questa
statua viene considerata inadeguata, quindi la lasciano nella bottega e ne prendono un’altra più tradizionale.
Non sembrano recepire la grande novità rappresentata da questa statua. Di lì a poco arrivano alla bottega di
Prassitele degli altri ambasciatori mandati da Cnido, ai quali la statua piace
moltissimo. La prendono e viene adattata al santuario di Cnido, pensato ancora
una volta per contenere quest’opera.
Era in marmo pentelico, si appoggiava a un vaso su cui c’erano le vesti = colta nel
momento in cui sta per immergersi nel bagno e copre a livello di pudicizia il pube
con la mano destra. I capelli sono raccolti in una capigliatura a riccioli suddivisi
rispetto a una scriminatura centrale e l’ovale è pieno, che rimarca i particolari del
volto. La statua è concepita per trasmettere una delle caratteristiche di Afrodite:
la karis (la grazia, dono che Afrodite dà a Pandora).
- Apollo Sauroktonos = uccisore della lucertola di cui resta una copia al Louvre. Tutto il baricentro è
spostato verso sinistra (cfr. Hermes di Olimpia) e il dio è rappresentato mentre si appoggia da una
parte all’albero su cui era la lucertola e dall’altra la mano protesa in avanti per anticipare il gesto con
cui la colpirà.
- Satiro in riposo = nuova cifra stilistica che va a rimodulare la posizione del satiro rispetto alla
ponderazione di Policleto. (copia romana dell’originale in marmo, Musei Capitolini)
Anche Skopas a modo suo ripensa il movimento e l’espressione dei corpi colti in diverse posture. – maestro
del pathos
Skopas importante anche per aver contribuito a realizzare il ciclo figurativo del
MAUSOLEO DI MAUSOLO → satrapo della regione della Caria, attuale Turchia
ed è un personaggio che avendo vocazione di stampo orientale realizza serie di
opere per la città che includono il proprio monumento funerario, posto al
centro della città per rimarcare la sua posizione dominante all’interno della
maglia urbana. Se lo fa costruire finché è ancora in vita, ma non sarà concluso alla sua morte ma proseguito
da Artemisia, sua moglie.
L’opera viene a rappresentare quello che poi sarà il prototipo del mausoleo a cui si ispireranno molti atri
dinasti successivi (es. Alessandro, Augusto, Adriano). È un monumento che doveva occupare uno spazio su
pianta quadrata di 38x32 metri e un’altezza calcolata intorno ai 45 metri. Si organizzava su 3 grandi gradoni
sopra cui era l’edificio a forma di tempio, cinto da 36 colonne ioniche, sopra le quali c’era il tetto a forma di
piramide suddiviso in 24 gradini e sormontato dalla quadriga reale con Mausolo. Alla base c’era la camera
funeraria ipogea vera e propria.
Prevedeva una serie di cicli decorativi per i quali gli storici dell’arte
antica hanno cercato di riconoscere le mani di uno scultore piuttosto
che di un altro. Ci sono stati moltissimi studi. Sono state calcolate 88
statue sul primo gradone, 72 sul secondo gradone e 56 sul terzo. + 36
statue tra gli intercolumni + 56 statue per la parte inferiore dell’area
della piramide superiore → Totale = 252 statue di cui rimangono alcuni
esemplari, tra cui due statue che si sono attribuite a Mausolo e
Artemisia, anche se si pensa che fossero in realtà personaggi legati alla corte del satrapo e forse figure di tipo
sacerdotale.
Le innovazioni raggiunte con Policleto e Fidia si traducono poi in opere che nel IV secolo rielaborano questi
concetti di cui rimangono anche degli originali, in altri delle copie di età romana sempre in bronzo:
- Atleta da Anticitera, museo nazionale di Atene, h 2 metri = rappresenta atleta con tutto il peso su
gamba sinistra e destra libera quindi chiasmo invertito. Policleteo è il concetto di base ma nuovi sono
i rapporti tra la figura stante e il gesto che fa con la mano destra in cui si ritiene che recasse un
oggetto piccolo e tondo (forse una mela in riferimento a Eracle con il pomo delle Esperidi o a Paride
che sta per donare il pomo ad Afrodite);
- Atleta da Efeso e Atleta da Lussino = atleta che regge lo strigile per pulirsi dagli oli che si era spalmato
prima della gara.
- Efebo dalle acque di Maratona che richiama i grandi scultori degli inizi del IV secolo in particolare la
statua dell’Apollo Sauroctono che è pensata con un piano di appoggio dato dall’albero e una gamba
portante che regge il peso. In questo caso si parla di un’opera in bronzo e non in marmo che deve
soddisfare questioni statiche diverse.
Molte copie romane perché quelle greche in bronzo fuse e quelle in marmo usate per calce.
LEZIONE 09 | 22.03.2022
La tipologia abitativa, è una branca dello studio dell’archeologia, che ha permesso di capire l’evoluzione e
sviluppo dei popoli, perché progressivamente c’è una netta ristrutturazione dello spazio abitativo in chiave
sempre più complessa.
Due sono le fonti le quali da cui possiamo ricostruire la forma della casa greca costituite da:
Le fonti scritte, per la parte latina si hanno molte fonti, ma per la parte greca, si hanno delle fonti numerose,
che hanno permesso di immaginare e codificare un’idea di casa. In realtà questa costruzione agli inizi del 900,
risulta arbitraria nella misura in cui sono state usate delle informazioni distanti nel tempo, che non potevano
dare una soluzione a delle realtà specifiche. Una delle fonti che ha viziato l’impostazione, è stato Vitruvio,
che si pone con il suo trattato de Architectura, si ha un quadro di massima. Agli inizi del 900, si cerca di
riconoscere gli spazi e luoghi dei racconti di Vitruvio.
Altre fonti, elencano una serie di spazi che connotavano la casa greca del V e VI secolo a.C. L’area di
separazione tra la strada e il cuore della casa, veniva individuata un’area di ingresso, solitamente chiusa da
due porte il prothyron, area d’ingresso, e che dà l’accesso alla corte, uno spazio scoperto. La corte definita
aulè, su cui ruota tutta serie di vani dell’abitazione, ci può essere un pozzo, ma anche c’è un altare domestico,
esthìa, che è lo spazio sacro dedicato ai sacrifici rituali, che ogni famiglia dedicava abitualmente per le regole
di protezione della casa. Attorno allo spazio scoperto, ci sono le camere da letto, vani ambiti a contenere le
provviste della famiglia, ovvero i tameios,(camere da letto e vani ad uso magazzino). Le stanze maschili,
andronitis e femminili gynaikonitis, dove potevano avvenire attività legata alla produzione della tessitura e
filatura, mentre nello spazio maschile, si accoglievano ospiti, quindi uno spazio pubblico. Una serie di
separazioni, di porte e corridoi, che delimitavano l’area produttiva di vita da quella che era l’area di soggiorno.
La pastas, il portico, che caratterizza una classe sociale, spazio che caratterizza una parte porticata tra i vani
e l’area della corte.
Questo tipo di vani poteva essere attestato nella casa greca, sia in contesti urbani che nella residenza di
campagna. Per quanto riguarda i discorsi di Pericle, si evince come per la classe aristocratica ateniese, il
possesso di terre e le ville connesse in spazi extra urbani, fossero significativi, perché era da lì che le famiglie
ne traevano la loro ricchezza. Quando lui fa riferimento ai possedimenti terrieri, voleva tranquillizzare le
famiglie aristocratiche, ma avendo come obbiettivo il bene comune, senza preoccuparsi che i Peloponnesi,
invadessero l’attica, lui dice che la fonte di ricchezza ovvero le case di campagna, nel momento di bisogno
può far fronte a queste case, come interesse nazionali, come nella città di Atene, che è una città-impero.
Casa aristocratica di Callia, Atene
Nel momento in cui Socrate, passa nell’area di ingresso c’era un portiere con un suo vano, e di lato un locale
che serviva anche da stalla, ma soprattutto all’interno della aulè, si aprivano dei luoghi per immagazzinare
dei beni utili alla famiglia, trasformati in hospitalia, luoghi di soggiorno per gli ospiti, in determinate occasioni.
Ci sono degli ambienti posizionati rispetto alla pastas, in questo caso era presente sia nel lato settentrionale
e meridionale, in cui vi erano altri locali, sempre di rappresentanza, tra cui l’andron.
Questo racconto descrive molto bene, quella che era la casa del
cittadino medio, che aveva una cosa urbana, distinta da quella di
campagna.
La casa era su 2 piani, il secondo piano occupa tutta l’ampiezza del piano
terreno, all’interno dell’aulè c’è la scala per il piano primo, mentre a
nord, ci sono gli spazi maschili, con una distinzione delle aree per gli
ospiti e della cucina e del bagno, vicini perchè usavano le stesse
condutture di scolo. C’è un pozzo, con la parte della servitù, e poi la zona
del gineceo, dove c’era il talamos, dove il marito e moglie dormono
assieme, con altre stanze nell’area maschile, dove il padrone poteva
unirsi con altre schiave o ancelle, quindi mantenendo separate le stanze
ufficiali da quelle da uso privato.
Abitazione di campagna
Qui un altro testo di riferimento è Economico di Senofonte, e la descrizione è quella di una fattoria a Scillute
di un certo Iscomaco.
Nelle vicinanze dell’area scoperta si trovano i vani per la conservazione di prodotti che necessitano di luoghi
freschi e asciutti, quindi esposti verso nord. Dall’altra parte c’è l’area della cucina e del bagno con luoghi
separati per le zone di residenza, con distinzione tra maschile e femminile. Dalla descrizione si parla del piano
superiore, gestite dai padroni di casa, da cui si vedeva cosa veniva fatto al piano terreno, con il thalamos, e
l’histeòn,(dove la padrona svolgeva attività di filatura), e il ripostiglio per gli oggetti di valore e di uso
quotidiano nel tameion.
Al di là delle ricostruzioni, si delinea articolazione della casa che varia a seconda delle possibilità economiche
del proprietario, quindi si capisce che lo spazio domestico ha una vocazione auto-rappresentativa, laddove
la casa di città è la casa in cui si può dare sfoggio della ricchezza. Dentro la casa di campagna si accumula i
beni venduti in città, la casa ceto basso assicura una distinzione tra varie componenti familiari.
Da un punto di vista degli scavi e conoscenze, Atene ha conservato resti non completi e non del tutto
ricostruibili delle abitazioni antiche. Tra la città e l’Attica, Atene contava oltre 10 mila unità abitative, sia
distribuite nella città sia, sia quelle che occupavano il territorio.
Nel settore dell’agorà sono state portate in luce alcune abitazioni allineate alla
strada verso il Pireo, che consentono di notare alcuni elementi di cui parlano
anche le fonti casa C e casa D
Casa C aveva accesso diretto dalla strada che portava a una corte con pozzo
centrale, su cui si aprivano 11 ambienti, di cui il 12 è una bottega che non ha
accesso diretto, ma sul lato della strada. Il vano principale l’andron è il 3°, che si
affaccia sulla corte che è speculare ad altro vano 9 (per attività femminili),
perché al suo interno sono stati trovati dei telai. I vani 5 e 7, più a nord recano
la presenza di conduttura idrica, quindi interpretati come cucina e bagno,
mentre il vano 4 utilizzato come dispensa.
Casa D è più piccola, più modesta e ha due accessi, sulla strada e da una stradina
secondaria che è a settentrione. Questa casa non ha un pozzo, ma si pensa fosse
un’abitazione per ranghi inferiori (forse a servizio della casa C); tanto è vero che
nel V secolo le case vengono inglobate, e si assiste a una unificazione dei due nuclei a un’istallazione in questo
settore della ex casa D, per una officina di bronzi da cui si deduce dagli scavi.
Quartiere abitativo dell’Aeropago, V secolo a.C. Altri esempi mostrano come le case avessero uno
sviluppo quadrangolare, con corte centrale e pochi vani, non articolate come le case nobili, spazi
polifunzionali.
Questo non esclude che ad Atene non potessero esserci delle abitazioni facoltose, provviste di spazi porticati
sul cortile interno, e in questo senso, secondo degli esempi di queste sale per la componente maschile si può
trovare un esempio molto famoso nell’aula chiamata Pinacoteca (vicino ad Acropoli) dove venivano messe
le opere. È accessibile da area porticata con all’interno una sala di importanti dimensioni, attorno la quale
c’erano dei sedili, in maniera non diversa da quella stanza che nel Protagora, Platone descrive. Nell’affaccio
delle sale sugli spazi scoperti ci sono diversi esempi che spaziano fino al V fino al pieno IV secolo, per
dimostrare come questa tipologia residenziale sia bene attestata. Si tratta di una tipologia, che anche sul
fronte della casa di campagna che trova delle interessanti testimonianze:
Una stessa funzionalità si trova anche nel settore meridionale dell’attica fattoria del IV secolo, dimensioni
piccole 13x17m. Il cuore è articolato rispetto alla aulè e alla pastas. Ha poche stanze, ma sono funzionali alle
attività condotte al podere. C’è vano di ingresso per il portinaio ma anche presenza di questa struttura che
sono dei muri di spessore maggiore rispetto agli altri e che secondo le ipotesi ricostruttive, doveva fungere
da pyrgos (=torre), a due piani che doveva servire come sala residenziale per il padrone di casa quindi
sopraelevata rispetto al pt. Questo si trova anche in altri contesti di tipo agrario, che avrebbe potuto svolgere
una funzione di controllo sulla fattoria per assicurare una piena gestione di questi possedimenti.
Si è presa in esame l’abitazione segnata, la casa con ingresso principale, ma ne aveva un altro su strada
secondaria in F, permettendo una diversa articolazione. Il cortile presenta una pavimentazione in ciottoli di
fiume, si pensa che qui ci sia scala che permetteva di salire al piano superiore. In questo settore è stato
riconosciuto l’area della cucina, con un sistema di riscaldamento sulla base di altri esempi presenti nella città
di Olinto, con un sistema di riscaldamento che permetteva di arrivare ai piani superiori.
È quindi una articolazione che non prevede non un grande numero vani, che potevano avere funzione plurima
a seconda di varie attività che si svolgevano. In questa fase risponde a questa società a quella di Olinto, che
era una società regolata per nuclei familiari, okoi.
Ad Olinto si conoscono anche case con articolazione meno regolare, che presentano dei finimenti interni di
tipo inferiore, tanto che si è pensato che queste abitazioni appartenessero allo strato sociale più basso con
più nuclei familiari, a abitazioni con articolazione senza apparente ordine dei vani.
Questa situazione rispecchia una società dell’Olinto degli inizi del IV secolo, società abbastanza omogena
con ripartizione interna in vani che rispondono a limitate funzioni auto-rappresentative.
Poi iniziano ad esserci delle case più grandi, con spazio scoperto dotato di porticato come pastas ma non
limitata a un solo lato, ma inizia a coprire tutti i lati della corte.
Ad Olinto abbiamo uno dei primi esempi delle colonne attorno allo spazio scoperto, che diventa da cui di
prende luce e aria, ma anche il luogo che fa da biglietto da visita per chi entra nell’abitazione.
Ci sono grandi aree per la dispensa, con vani di maggiore autorevolezza, affiancati da quelle che erano le
stanze del padrone di casa. Altri vani residenziali sono nel settore nord-orientale, per la decorazione
pavimentale, ma non si esclude che ci siano decorazioni sulle pareti.
Questo tipo decorazioni ha dei precedenti che sono di età tardo classico-ellenistica, che usano
prevalentemente ciottoli di fiume per fare questo tipo di decorazioni, mentre più tardi si specializzeranno
per creare tessere sempre più piccole, per creare dei pannelli sempre più decorati.
Le due sale hanno da una parte il corteo di Dioniso trainato sul carro da due pantere, e attorno le menadi che
ruotano e festeggiano, e nell’altra sala c’è la consegna delle armi ad Achille. Le sale si arricchiscono di
elementi, che sottolinea con l’uso prestigioso di chi sostava all’interno di queste sale, tra cui in alcune sale la
presenza di una ruota della fortuna per un buon auspicio.
Città di Olinto, chiude la sua vita nel 348, sigillando una serie di informazioni del IV secolo.
Il IV secolo, segnato da grandi trasformazioni geopolitiche, con emergere di alcuni personaggi che si
impongono sulla scena politica mediterranea, trasformando società democratica costituite da città stato, in
regni che apparentemente mantengono una loro autonomia ma che fanno parte di imperi veri e propri
ascesa della corte macedone con Filippo II
Ai quali si riferiscono delle abitazioni prestigiose, che in qualche modo sono quelle in cui la società coeva si
modella, in base alle nuove sollecitazioni dei grandi dinasti, Filippo è il più noto prima di Alessandro Magno.
Il palazzo macedone di Ege Si ha un palazzo con articolazione di tutte le sale rispetto a corte porticata che
diventa la corte con il peristilio, siamo nella seconda metà del IV secolo). Anche a Pella, nuova capitale
macedone, si svilupperanno le abitazioni della aristocrazia macedone.
I mosaici della casa di Pella sono tra i più famosi, si evoca la presenza
della figura di Alessandro in ruolo esemplare di questo grande
dinasta anche all’interno degli spazi privati come la raffigurazione
della caccia al leone (legata a figura di Alessandro ma anche Filippo),
in quelle attività di capacità di gestire il pericolo, che connotano una
certa classe sociale.
Pella, Casa del Ratto di Elena uno dei mosaici, connotato da questo tipo di iconografie, con 2 personaggi
che si affrontano, in una sfida in capacità guerriere, come ad esempio la Caccia al cervo, gli storici parlano di
questo mosaico che potesse richiamare i soggetti delle grandi pitture, dei grandi artisti dell’epoca di
Alessandro ed Efestione.
Questa abitazione si sviluppa rispetto al peristilio, elemento che viene introdotto nella metà del IV secolo, in
maniera prepotente all’interno della casa greca.
Priene, Casa 33 si segue trasformazione della casa
greca fino a impianto come grande casa aa cui si ispirano
le abitazioni dell’epoca tardo romana e imperiale. Qui
siamo a Priene nel IV secolo, città articolata su diversi
terrazzamenti. La casa che ha accesso dalla strada con
area di interfaccia tra spazio scoperto e ambito
residenziale. Nel corso del tempo, la corte viene
sviluppata verso est e si aggiungono ancora dei vani che
cambiano l’assetto iniziale e premettono un accesso da
sud, invece che dal lato orientale. Quindi si realizzano
delle stanze intermedie che vanno a amplificare la
funzione dell’oikos, di fronte al quale vi è l’esedra, vano
residenziale permette di capire come la casa venga
modificata, per una diversificazione degli ospiti che
vengono ricevuti.
- componente femminile che chiama inaikonistis, che ha accesso da un lungo vestibolo, che va in una
zona di una corte porticata
- area dell’andronitis, che fa capo sull’area del peristilio
- stanze per ospiti (hospitalia), che costituiva una casa tipiche delle case ricche.
La molteplicità degli spazi di ricevimento è l’elemento più importante. Grande evoluzione quindi si parte da
ogni singolo contesto e tenta di negare ciò che ci possono fornire le fonti.
LEZIONE 10 | 23 marzo 2022
LA GRECIA, IL MEDITERRANEO E L’ASCESA DELLA STIRPE DEGLI ARGEADI nella seconda metà del
IV secolo a.C.
Tra V e IV secolo succedono delle cose piuttosto importanti dal punto di vista sociopolitico, architettonico e
culturale. La caduta di Atene su un piano politico alla fine del V secolo (guerra del Peloponneso, 404 a.C.)
crea una fase di instabilità politica importante che coincide con l’ascesa dei cosiddetti 30 tiranni che vedono
l’imporsi di una politica di indirizzo oligarchico (≠ da quella del regime democratico pericleo). Parallelamente
emergono alcune figure che prendono le redini di una situazione instabile ma emergono anche delle
personalità che fino a quel momento erano state ai margini della Grecia propria, che appartenevano alla
Grecia settentrionale, alla Macedonia. Questa Grecia è una terra che aveva come caratteristica, rispetto alla
Grecia, quella di essere governata da una monarchia → casata degli ARGEADI (si dicevano discendenti di
Eracle)
Questo gruppo è circondato non da pares sul piano democratico, ma da famiglie aristocratiche che
supportano il potere monarchico da cui ricevono dei benefici e che appoggiano le scelte del monarca. Dalla
metà del IV secolo in Macedonia si afferma Filippo II (regna tra 356-336), uno degli ultimi discendenti di
questa famiglia. Si pone con 2 obiettivi:
1. consolidamento del proprio territorio espandendo l’impero macedone verso nord e verso est, in
particolare andando a controllare le terre che corrispondono all’antica Tracia quindi il fronte sul mar
Nero.
2. espansione verso ovest per quale si affida a una serie di alleanze che stabilisce con i capi tribù delle
popolazioni che occupano questo settore (culturalmente molto lontano dall’assetto greco). Riesce a
sposare una principessa epirota, Olimpiade, per assicurarsi il fronte occidentale della costa greca.
Olimpiade non era la prima moglie ma Filippo II si sposerà sette volte perché erano dei rapporti per
creare alleanze.
Dal matrimonio con Olimpiade nasce ALESSANDRO MAGNO (356 a.C.) e poi una seconda figlia, Cleopatra.
Olimpiade è una personalità di grande profilo culturale, iniziata a vari misteri quindi a divinità di tipo elitario
(come Filippo). I due, almeno per un certo periodo ritrovano un comune sentire ma che si sfalda nel momento
in cui Filippo capisce che è più importante instaurare alleanze tramite nuovi matrimoni. Questa distanza viene
anche dal fatto che essendo Olimpiade epirota e non propriamente macedone e greca, dalla compagina
aristocratica macedone è vista in maniera negativa come una barbara. Ad Olimpiade questo approccio non
va bene, soprattutto quando Filippo decide di sposare una giovane ragazza macedone, Euridice. Olimpiade si
allontana e torna in Epiro lasciando una situazione di stallo, che si concretizza dal punto di vista storico nel
momento in cui Filippo, dopo aver espanso il potere verso nord si affaccia sulla Grecia propria (molto
frammentaria in cui era emersa Tebe come nuova potenza militare) e decide che è arrivato il momento di
tenerla sotto le proprie guide.
L’esercito greco è capeggiato da Tebe e Atene. Il grande scontro è quello di Cheronea nel 338 a.C.: la forza
militare di Filippo è una forza totale, incommensurabile con quella greca e Filippo, quindi, diventa l’arbitro di
tutta la Grecia. Questa guerra avrà come esito la distruzione di Tebe e il risparmio di Atene per il prestigio
culturale che la città aveva sempre avuto.
Filippo, che non era tanto acculturato quanto la moglie ma che comunque era uno stratega, non si pone di
fronte alla Grecia come un despota, ma si pone come garante della pace tra queste due città, della stabilità
politica della Grecia che erano continuamente in lotta tra loro. Si inventa una missione, che poi però farà suo
figlio cioè quella di punire i Persiani di aver attaccato la Grecia e soprattutto di aver distrutto l’acropoli di
Atene. A distanza di quasi 140 anni queste grandi guerre, questi nemici vengono rievocati non perché
costituissero dei pericoli concreti ma si tratta di una propaganda strategica funzionale a togliere l’attenzione
sul suo potere assoluto di controllo della Grecia per veicolarlo verso un altro nemico.
Intorno al 338 a.C. con Filippo si pone una nuova fase che si concretizza dal punto di vista architettonico con
scelte che vanno a profilare nuovi messaggi di propaganda che sono dei messaggi funzionali ad esaltare la
figura del sovrano, del potere monarchico rispetto a una comunità che di norma favorisce l’erezione di edifici
della comunità e non di un singolo cittadino in un contesto pubblico.
Santuario di Olimpia → uno dei santuari più importanti dall’età geometrica e arcaica. Tutti gli edifici presenti
sono espressione delle città e delle comunità che si facevano rappresentare attraverso questi monumenti.
Aldilà di questa costruzione, l’elemento che emerge dalla politica di Filippo è un elemento che si ha anche
sul piano urbanistico se si considera che i due poli di potere della Macedonia settentrionale sono Pella ed
Ege-Vergina.
PALAZZO DI CASSANDRO → ha una serie di nuclei organizzati secondo peristili, che sono la nuova struttura
architettonica che viene prescelta come spazio funzionale a regolarizzare non solo uno spazio scoperto ma
anche le case. Il nucleo del palazzo, che poi è stato ricostruito nella sua fase attribuita a Cassandro, uno die
diadochi di Alessandro Magno e che stabilisce a Pella il suo centro di potere. Si tratta di un palazzo dove c’è
il re, tutta la corte, ma anche la guardia del re, motivo per cui c’è anche un’area destinata a caserma. Ci sono
una serie di sale di rappresentanza alle quali si accede da
ingresso monumentale: pensate per attività simposiali e di
ricevimento. Ci sono anche delle sale di soggiorno e un piano
superiore per le stanze da letto. Secondo uno studio recente
la forma e il posizionamento del tetro è stato individuato a
lato del palazzo, sottolineando una prossimità e una
funzionalità dello spazio teatrale anche in termini di
cerimonialità e di veicolo di messaggi propagandistici con
l’impianto del palazzo. Questo rapporto emerge anche
nell’altra capitale.
EGE-VERGINA → città che ospita il palazzo regale ma città che accorpa anche una serie di luoghi significativi:
teatro, santuari con attorno cinta muraria che si estende lungo l’acropoli con mura larghe 2 metri. Il palazzo
è un edificio interessante per lo sviluppo della tipologia edilizia regale a partire dalla metà del IV secolo. Esso
è stato scoperto nell’800 da una missione francese ma solo nella seconda metà del 900 è stato
completamente scavato dai greci.
È un edificio che misura 104x88 metri con un’area di ingresso verso est e
secondo lato a nord. Entrambi con un lungo corridoio porticato, all’interno
del quale sul lato est vengono posti tre ingressi con scelta di quella che era
una ritualità dell’ingresso a palazzo sottolineata da successione di vestiboli,
sottolineati dalle colonne. Entrando, oltre ad esserci probabile area di
guardia, il primo spazio che si incontra è la sala del trono. Essa si apre sul
peristilio centrale quadrangolare (lato medio di 44,5 m) con 60 colonne
doriche che circondano l’area scoperta ma veicolano anche l’acqua dalle
falde del tetto in questo sistema di canalizzazione che viene fatto defluire
all’esterno della struttura. L’impianto del palazzo ha due livelli diversi: verso
nord-est ha una pendenza leggermente inferiore rispetto alla parte sud-ovest.
Sala del trono → sala principale del palazzo ed è la prima che si trova in senso antiorario, che ha all’esterno
una pianta quadrata ma all’interno una pianta circolare. = scelta architettonica simbolica per differenziare in
maniera forte questa sala da tutte le altre. Si chiama sala del trono perché all’interno di questa sala è stata
trovata una struttura che viene interpretata come la base di un trono, ma anche perché qui dentro il re
riceveva gli ospiti ma anche officiava cerimonie, dal momento in cui all’interno sono stati trovati ex voto sia
un’iscrizione con dedica ad Eracle padre, nell’accezione di progenitore della stirpe degli Argeadi. Si sa dalle
fonti che questi re avevano in sé una doppia funzione: di governo (monarchi) e religiosa (sacerdoti).
Quelli che seguono sono vani (non di tutti è stata possibile ricostruire la destinazione) ed è possibile che
esistesse un piano superiore, del quale sono state trovate delle tracce presso le basi delle scale riconosciute
sia ad est che a sud. In questo senso, la parte residenziale era pensata al piano superiore mentre al piano
terra dovevano esserci le sale di rappresentanza. In queste si doveva immaginare una corte che partecipa ai
vari momenti pubblici della vita del re, una corte che deve risiedere in vani di pregevole decorazione, tanto
è vero che è probabile che nell’insieme di sale affacciate a nord e dotate in alcuni casi di banchine per i letti
fossero le sale in cui si ricevevano gli ospiti e dove venivano svolte tutte quelle attività di rappresentanza
proprie della vita di corte. Alcuni vani erano adibiti a magazzini o a locali destinati allo svolgimento di tutte
queste attività. A nord c’erano altri locali, che sono di più incerta funzione perché non sono state trovate
tracce significative per una loro interpretazione.
Vano E → vano sul lato est con sistema decorativo del pavimento, che ha al
centro un motivo geometrico floreale che parte da un grande rosone da cui
partono dei racemi che vanno a creare dei giochi per disegnare elementi
floreali molto ricchi. Il tutto è all’interno di una doppia cornice a meandro e
onda corrente tipica di questo gusto. Agli angoli di questa composizione ci
sono delle figure femminili che nascono dai racemi di questi motivi floreali e
vegetali con l’idea di rimandare a una ricchezza e floridezza di questa
vegetazione che rientra nel gusto dell’epoca.
- partito democratico greco di cui ad Atene c’erano personaggi di un certo livello antimacedoni;
- i persiani che Filippo voleva conquistare definitivamente.
Ma si crea anche un terzo nemico interno fondamentale che è la moglie e probabilmente anche il figlio.
Questi due anni che portano all’uccisione di Filippo sono cruciali sulle quali converge un evento che Filippo
cerca di creare per ricucire queste discordie che aveva provocato il suo comportamento. = Filippo fa sposare
Cleopatra con il genero cioè il fratello della madre Olimpiade: Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, che aveva
tutti gli interessi di allargare il proprio ambito di dominio imparentandosi più strettamente con la Macedonia.
Questi due si sposano nel 336 a Ege. Al matrimonio partecipano ufficialmente anche Alessandro e Olimpiade.
Aldilà della cerimonia in sé Filippo decide che una parte delle cerimonie si deve svolgere nel teatro. A questa
rappresentazione partecipa tutta la corte macedone e fa sfilare le statue dei 12 dei e tra questi mette anche
la sua, raffigurandosi come tredicesima divinità. Qualcuno decide di chiamare un sicario, un certo Pausania
che accetta di ucciderlo perché costui non lo aveva difeso quando era ragazzino da uno stupro che aveva
ricevuto da uno dei suoi generali. Segue un momento di grande caos. Alessandro e Alessandro il Molosso non
sono vicini a Filippo perché voleva entrare alla fine della parata senza il corpo di guardia per presentarsi al
massimo del suo potere. Pausania scappa e trova fuori dei cavalli che lo attendono, ma non riesce a montare
bene a cavallo e le guardie arrivano e lo uccidono. Ovviamente ci sono molte incongruenze che riguardano
questo racconto. Si tratta di un fatto che pone sulla scena Alessandro come nuovo re. Per alcuni anni, egli
cercherà di appianare le dicerie su sua madre e fomenterà le voci per cui siano stati i Persiani a ordinare
l’uccisione.
Si scoprono 3 tombe principali: Tomba I, Tomba II e Tomba III. La Tomba IV verrà scoperta dopo. Sono
affiancate da un heròon, luogo di culto connesso con la venerazione degli antenati e una serie di sepolture
minori.
TOMBA I, Tomba di Persefone = prima tomba che viene scoperta. Era già stata saccheggiata in antico tanto
che non si trova nessun elemento di corredo ma ha conservato ciclo pittorico che è uno dei pochissimi
originali della pittura greca di IV secolo. Da un punto di vista strutturale, questa tomba è caratterizzata da
camere con volta a botte e facciata monumentale che può essere ad una sola cella o a due celle.
La scena è dominata dalla coppia, Persefone e Ade, resi con grande forza. Da una parte c’è Ade che sta
salendo sul carro, che trascina con il braccio sinistro la ragazza rappresentata terrorizzata con gesto di portare
le braccia verso le amiche in senso di disperato terrore e dall’altra parte ci sono i cavalli che sono
rappresentati nel momento in cui stanno per lanciarsi verso la corsa.
È una scena con pochi colori = 4 colori che richiama un aspetto della pittura di questo periodo, cui Plinio ci
parla nel famoso libro 35 della Naturalis Historia dove fa una storia delle varie tappe della pittura antica.
Questo tetro cromatismo usa:
- il rosso sangue per il carro su cui Persefone viene condotta agli inferi ed è un colore molto rimarcato;
- il colore porpora sia delle vesti di Persefone che di Ade prefigurando una sorta di osmosi tra le figure
(Persefone resta 6 mesi nell’ade e per 6 mesi torna dalla madre = divinità polisemica nel senso che
ha sia una funzione ctonia, che urania);
- l’ocra che richiama la terra e non a caso utilizzata per la veste di Ciane perché personaggio destinato
a restare sulla terra;
- il bianco per delineare i corpi in movimento.
Superata la porta la prima sala, una sorta di anticamera che contiene un primo sarcofago in marmo, che
custodiva al suo interno un cofanetto in oro con stella macedone sul coperchio. All’interno di questo c’erano
i resti cremati di due individui avvolti in un tessuto di porpora, di cui sono rimasti frammenti ben conservati,
Vi era anche un diadema d’oro con foglie vegetali e serie di oggetti che facevano parte del corredo. Da qui
c’era una seconda porta che permetteva di entrare in una stanza più interna, nella quale era posto un
secondo sarcofago in marmo con una seconda scatola aurea, all’interno della quale erano contenute altre
ossa cremate. + serie di gioielli e altri manufatti di altissimo livello circondati da oggetti che erano stati riposti
in occasione del rito di sepoltura. Ci sono anche delle tracce di un letto e di un tavolo in legno, su cui erano
adagiati vari materiali. All’interno di questa sala sono stati ritrovati anche elementi che facevano parte
dell’armatura di colui che era stato seppellito tra cui una corazza in oro e bronzo e uno scudo realizzato con
tecnica crisoelefantina insieme ad altri oggetti destinati alla toeletta e al simposio. All’interno dell’urna le
ossa sono state sottoposte ad analisi osteologica: quelle della prima sala appartenevano a una donna e a un
bambino (la presenza di armi traciche hanno fatto pensare a una sepoltura di una delle spose di origine
traciche di Filippo), mentre le altre della seconda sala potevano essere ricondotte a Filippo, che
evidentemente era stato sepolto qui dal figlio. Aldilà del fatto che appartenga o meno a Filippo, con questa
tumulazione Alessandro mette definitivamente fine al regno di suo padre e inizia il suo regno nel 336 fino al
323. (in 13 anni riesce a conquistare quello che nessuno mai era riuscito a conquistare.
Da un punto di vista rituale questo tipo di sepolture prevedevano la costruzione della tomba, la realizzazione
della cremazione delle ossa, la raccolta delle ossa ed eventualmente la raccolta della terra di rogo. Si
prevedeva l’accumulo della terra di rogo anche al di sopra della tomba perché l’insieme del rituale doveva
essere raccolto e conservato e quindi l’attenzione che si pone oggi negli scavi è proprio quello di non farsi
sfuggire nessun elemento. È un tumulo non realizzato immediatamente, infatti nella Tomba III (forse quella
del figlio di Alessandro Magno) però la complessità del tumulo è alla fine di un processo che ha visto la
sepoltura di più individui in un arco temporale di 50-60 anni.
Gli interventi di sepoltura hanno interessato anche altre zone della Macedonia. Non lontano da Pella, presso
Salonicco nella località di Derveni un’area necropolare in cui sono state trovate altre tombe che possono dare
l’idea della ricchezza di questi personaggi che venivano seppelliti secondo il rituale macedone e che dovevano
essere esponenti della classe aristocratica che sosteneva gli Argeadi.
TOMBA B di Derveni → all’interno è stato trovato uno dei crateri più grandi che ci sono rimasti in bronzo
dorato (alto 90 cm e pesante 40 kg), scoperto nel 62 e che apparteneva ad Astion, figlio di Anaxagoras di
Larisa che era stato cremato e le ossa riposte all’interno del cratere. Su questo cratere si trova molta
documentazione. Da un punto di vista tipologico si tratta
di un cratere a volute che ha tutte le superfici decorate: il
corpo centrale raffigura le nozze di Arianna e Dioniso.
Arianna è seduta e fa il gesto dell’anakalipsis (gesto dello
svelamento, dello sposare il velo che copre la testa, segno
di seduzione che si trova in molte iconografie femminili. Il
mito racconta che Arianna, che aveva aiutato Teseo a
scappare dal Minotauro con il famoso filo, scappa anche
lei da Creta e si imbarca sulla nave con Teseo verso Atene
ma gli dèi hanno previsto altre nozze per Teseo e quindi
lui la abbandona su un’isola. Arianna abbandonata è un
tema che ha interessato molti prodotti artistici dell’arte
greca e dell’arte romana. Il mito racconta che Arianna viene abbandonata mentre dorme e secondo alcune
versioni a un certo punto si sveglia, vede le navi lontane e si dispera; altre versioni raccontano che mentre è
ancora dormiente viene colpita dal thiasos dionisiaco e diventerà la sua sposa.
È un soggetto al quale era già stato riservato un culto, che la vede come signora del labirinto e alla quale
vengono dedicati degli ex voto trovati a Cnosso. Dioniso è raffigurato seduto con il braccio sopra il capo, gesto
di assoluto abbandono (come Arianna mentre dorme): questo sta ad indicare che il corteggio con le Menadi
e i Satiri sono sull’altro lato è il corteggio che prelude al matrimonio di questi due soggetti, i quali non sono
stati scelti dal defunto in modo casuale anche perché sul resto del vaso ci sono altri elementi che sottolineano
il ruolo della figura di Dioniso, seduto insieme ad altre Menadi sulla spalla del vaso. In realtà questo
personaggio è iniziato dai misteri dionisiaci, anche perché si ritiene che il rito di sepoltura che aveva portato
il vaso all’interno della tomba abbia previsto dei rituali riconducibili al mito dionisiaco e in particolare alla
figura di Arianna come soggetto che passa da condizione umana a condizione divina perché moglie di Dioniso
e attraverso il sonno riceve una nuova vita. Ma all’interno della terra di rogo è stato trovato un papiro orfico
studiato e ricollegato a una dinamica di iniziazione, a cui sia il defunto ma anche le altre componenti della
necropoli dovessero essere legati a questi culti misterici. Per quello che riguarda la Grecia settentrionale si
deve immaginare che la componente sociale più elevata come quella aristocratica non fosse esclusivamente
intenta a far parte della corte dei regnanti ma avesse una propria attività a livello sacrale che si traduce in
questi prodotti che veicolano dei messaggi molto forti.
In Asia minore, se si considerano le sollecitazioni che dai palazzi di Pella ed Ege vengono prodotti, si vede
come alcuni siti recuperano elementi propri della città macedone, in particolare l’organizzazione per nuclei
di potere molto ben articolati che si svilupperanno tra III e II secolo. → PRIENE che si trova a metà tra la
regione della Caria e la regione della Ionia, prossima a Samo, è una città molto interessante per diversi punti
di vista:
È organizzata su 4 terrazze parallele tra loro, realizzate con sbancamento del terreno con organizzazione
solo funzionale ma anche per questioni igieniche nel momento in cui queste nuove abitazioni sono tutte
orientate verso sud e quindi potevano utilizzare la luce naturale e un sistema planimetrico interno
affacciato sul meridione.
Attorno c’è cinta di mura con torri quadrangolari che consentivano di controllare la città in tutti i suoi lati e
queste mura sono molto spesse che avevano delle porte come accessi monumentali verso il resto del
territorio. Dal punto di vista urbanistico il cittadino poteva contare su organizzazione di aree raggruppate per
finalità molteplici che sono riconducibili alle aree per le attività ginniche e amministrative, aree per il centro
religioso e la gestione della macchina organizzativa; dall’altra parte vi era un sistema di smaltimento
dell’acqua che viene realizzato nel momento in cui viene costituita la nuova forma della città di IV secolo.
Dal punto di vista planimetrico, il peristilio, ossia il portico che circonda la palestra peristilio è il luogo attorno
al quale si sviluppano tutte le altre sale. Questo peristilio (si impone dalla metà del IV secol) è la cifra di questi
edifici che potevano occupare più luoghi della città e che potevano essere prossimi allo stadio come in questo
caso o a luoghi di culto laddove ci fossero divinità che venivano avvertite come vicine e patrone di questa
attività culturale. I ginnasi potevano essere chiamati come queste divinità o con i nomi di chi elargiva denaro
sufficiente o commissionava la costruzione (regnanti o cittadini benestanti). Questi luoghi avevano dei
gestori, ossia i ginnasiarchi che assicuravano la manutenzione degli spazi e il buon funzionamento di questi
luoghi. C’è l’idea di un esercizio che fa bene anche lo spirito che viene poi trasferito nella terma romana
igienica anche se con impostazione diversa perché gli atleti greci erano di solito nudi (in epoca romana questo
tipo di attività non era realizzata a corpo libero). In ogni caso per Priene vi erano due ginnasi: uno nella
terrazza inferiore e uno in quella superiore. Esisteva una seconda fila di colonne che andava a separare lo
spazio settentrionale, in cui avvenivano tutte le attività.
Sul lato settentrionale, affacciati sulla stoà c’erano i due edifici amministrativi principali:
Se si considera la produzione artistica della seconda metà del IV secolo, si può parlare del maggiore scultore
del IV secolo → LISIPPO
Lisippo è nato a Sicione e secondo Plinio aveva ripensato totalmente all’idea della rappresentazione del corpo
umano perché secondo lui le statue non dovevano rappresentare il corpo come doveva essere ma come è.
L’accezione è totalmente diversa dall’impostazione del canone policleteo che rappresenta l’idea del corpo
atletico maschile. Plinio gli attribuisce oltre 1500 opere.
- Per far questo teorizza e realizza delle figure molto più snelle con movimenti più liberi rispetto a
quelli di Policleto, inventando una nuova distribuzione delle grandezze. Affida alla parte alta della
testa un volume più piccolo e più contenuto rispetto alla scelta policletea; quindi, si hanno delle teste
più piccole e le parti che segnano il volto sono complessivamente più piccole. A questa riserva grande
attenzione per i particolari che devono connotare la fisionomia del personaggio: occhi piccoli, bocca
piccola e carnosa, occhi più infossati che fanno risaltare l’aspetto patetico, una delle cifre di Lisippo
e delle sculture dell’ellenismo.
- Altro elemento caratteristico della produzione di Lisippo è quello di rendere particolari specifici dei
personaggi che vuole rappresentare, quindi non più sculture di tipi di cittadini, filosofi, poeti,
strateghi ma opere di personaggi realmente esistiti. Già da Alessandro si imposta il ritratto
individuale, la grande innovazione dell’età ellenistica.
Tra le prime statue commissionate come bronzista anche se poi si specializza anche
nel marmo sono delle statue per un re della Tessaglia che gli chiede di realizzare
gruppo di statue di famiglia impostate, di cui ci resta una statua per il santuario di
Delfi. In questo caso il corpo è atletico e impostato secondo lo schema a chiasmo
policleteo con distribuzione ragionata dei pesi, ma viene maggiormente accentuata
la line mediana del busto e soprattutto il fatto che la testa sia più piccola e la
capigliatura più compatta dà più slancio al resto del corpo che è sviluppato per dare
l’idea di un corpo atletico e meno massiccio dell’impostazione policletea.
Altra opera che gli viene attribuita è l’APOXYOMENOS – giovane atleta che con lo
strigile si deterge dagli oli usati prima della gara e dalla fanghiglia. Dal punto di
vista dell’organizzazione della statua, la scelta della posizione delle braccia sul
davanti fa sì che ci sia molta più libertà nel movimento del corpo ma soprattutto
che i poli di attenzione nella visualizzazione dell’atleta non siano più la parte dei
pettorali ma sia da un lato la testa verso destra e nella postura di un’attività
diversa che non fosse quella dell’atleta policleteo. Il forte patetismo dato dai
particolari dei volti, si ottiene dalla resa degli occhi molto infossati e che
denunciano un’attenzione che non è rivolta verso lo spettatore ma verso
qualcos’altro. Il gioco è quello di accentuare in senso chiaroscurale le varie parti
del corpo.
Copia romana dell’originale in bronzo, ammirato coì tanto da Agrippa che lo portò a Roma, alle Terme di
Agrippa, conservata ai Musei Vaticani. A Roma viene copiato come tipo scultoreo nuovo in molte varianti e
dà inizio a nuova idea di rappresentazione del corpo
ERACLE FARNESE di Lisippo → rappresenta una copia romana di una statua colossale
commissionata tra il 350 e il 340. Viene ritrovata nelle terme di Caracalla nel 1540,
ma solo in seguito viene a far parte della collezione Farnese. È alto 3,15 metri.
Il concetto di base della figura di Eracle punta molto sui volumi e sulle masse
atletiche, ma soprattutto si tratta di un eroe pensoso che non è più colto nella sua
sicurezza e aggressività mentre combatte contro un mostro o una divinità. Tiene la
mano destra dietro le natiche, dove forse tiene i pomi delle Esperidi. Con la sinistra
si appoggia alla clava, su cui è appoggiata la sua leontè, ossia la pelle del leone
Nemeo.
Atene gli affida una statua di SOCRATE, 330-320 a.C. che la stessa città aveva costretto al
suicidio. Se fino a quel momento le statue di Socrate erano poche, alla fine del IV secolo
chiedono questa statua che viene posta nel Pompeion di Atene, nel settore nord-ovest
della città. Lo schema della composizione ci viene data dalla copia romana che si trova al
British Museum, dove il filosofo viene rappresentato uno schema tipico dell’iconografia del
grande pensatore con folta barba e capigliatura spettinata, ma vestito del mantello che lo
rende il cittadino per eccellenza.
Esiste un originale della metà del IV secolo, scoperto a Roma nel 1885 nell’area
delle terme di Costantino. Si trova al Museo Nazionale romano. → pugile in
bronzo attribuibile a Lisippo o alla sua scuola. È un’opera in bronzo alta 128 cm
che viene datata alla metà del IV sec. a.C. Secondo le fonti, la statua era stata
appositamente nascosta per evitare che venisse depredata per scopi non proprio
artistici e viene completamente ricoperta da una terra depurata, che in qualche
modo si è pensato di usare appositamente per non far rovinare la statua. Forse
tutta questa attenzione era dipesa dal fatto che era opera di un artista
eccezionale.
Raffigura un pugile in riposo che reca delle cifre che richiamano la poetica di Lisippo nella misura in cui
vengono evidenziate le caratteristiche atletiche del pugile, ma di lui vengono anche evidenziate il naso rotto,
le cicatrici sugli zigomi. Lo sguardo è rivolto altrove quindi anche in questo caso atleta pensoso, che riflette
su quello che gli ha recato la lotta a livello di fatica e sforzo.
LEZIONE 11 | 29 marzo 2022
L’età ellenistica, coincide con la morte di Alessandro Magno 323 a.C, e si conclude con il 31 a.C, con la
battaglia di Azio, battuta da Ottaviano e contro Antonio e Cleopatra, anche lei si ucciderà e con lei si chiuderà
la dinastia dei Tolomei, ed è l’ultima sovrana ellenistica che regna sull’Egitto.
Il regno macedone alla morte di Filippo II, 336 a.C, ma lascia il suo regno ad Alessandro.
Filippo, che tiene molto all’educazione per Alessandro che attraverso Aristotele, guida per diversi anni, con
lui entra in contatto con la cultura greca, e acquisisce una propensione per una cultura che è onnisciente,
non specializzata. Aristotele, si occupava anche di altre cose, come l’analisi dell’anatomia dei pesci, e questa
stessa attitudine alla conoscenza a 360° è la cifra di Alessandro, ed è anche la sua grandezza andare oltre, e
nuovi traguardi. A 18 anni partecipa alla battaglia di Cheronea con il padre, e a 20 anni è il re dell’Impero
macedone. Si tratta di un regno molto esteso che comprende tutta la Macedonia e la Grecia, e era già
nell’idea di Filippo di espandere l’impero verso oriente, che purtroppo non si realizzò per la sua morte, e
questo progetto viene portato avanti dal figlio.
Le fonti sottolineano come il suo sistema di narrazione sia un sistema che ruota intorno al concetto di
propaganda, richiama l’idea che era necessario, vendicare l’onta che i persiani avevano fatto in Grecia con le
guerre persiane.
In Occidente manda il cognato, Alessandro il Molosso, con l’idea di aiutare alcune delle popolazioni greche
dagli attacchi barbari, questa sarà un’azione puramente propagandistica per porre controllo anche lì. Il
molosso viene ucciso e finirà così il coordinamento delle azioni. Quella di Alessandro è una spedizione che
tocca varie città che inizia con battaglia del Granico del 334, dove il re Dario III viene sconfitto una prima
volta, e nel giro di poco tempo, le truppe di Alessandro, si spingono in tutta l’Asia minore, con poi la battaglia
di Isso, e da lì inizia un percorso, che lo porterà lungo la Fenicia, in Egitto, e nell’oasi di Siwa qui le fonti ci
dicono che interrogando l’oracolo, Alessandro scopre di essere anche figlio di Zeus
Negli stessi anni fonda sul Nilo, Alessandria d’Egitto che rimarrà una tra le città più famose fondate da lui.
Proseguirà poi con la vittoria su Dario III a Gaugamela, con impero persiano arrivando a Ecbatana, dove il re
Dario III viene ucciso a tradimento da Alessandro ma a tradimento da un sapabo e Alessandro si proclama
come successore del trono di Persia. Una conquista che muove migliaia di soldati, e raggiungono gli estremi
del mondo conosciuto allora.
Dal 326 a 324 sosta a Susa, nelle città della Persia e qui con il suo seguito dei suoi generali, decide di dar vita
al suo progetto ecumenico quindi fondere i 2 popoli: greci e persiani facendo sposare i propri soldati con
donne persiane. Lui stesso sposa delle donne persiane e questa decisione di porre le basi di un nuovo impero
fondato sulla condivisione segna una nuova fase: l’inizio della comunità ellenistica.
Muore a Babilonia nel 323 per una morte improvvisa che lo uccide a 33 anni. Da qui parte l’età ellenistica che
si concluderà nel 31 a.C., ma che in qualche modo continuerà in seguito.
Le fonti dicono che con Alessandro non partirono solo soldati ma anche molti intellettuali, persone di grande
spessore culturale, per far si che acquisiscano nuove informazioni, nuove competenze, che arricchissero la
cultura greca.
Questa sua proiezione verso la conoscenza e la partecipazione di storici, biografi, artisti, farà sì che la sua
fama si diffonda in maniera eccezionale, soprattutto dopo la sua morte. Gli studiosi hanno sottolineato come
la figura di Alessandro e la sua cifra propagandistica siano stati oggetti di imitazione in quella forma che è
detta limitatio Alessandri che non si limiterà dal punto di vista formale estetico, ma anche si tradurrà dal
punto di vista della persona al di fuori della norma.
Alessandro vuole al suo fianco degli artisti, che possano rappresentare lui, ma anche i dettagli del luogo che
questa spedizione incontra. Grazie a questi artisti viene codificato l’aspetto di Alessandro che deve essere
trasmesso a livello di racconto delle imprese. Attraverso artisti e scultori era possibile veicolare più immagini
per stigmatizzare l’iconografia del condottiero, ma avendo la codificazione dell’immagine del principe questa
immagine poteva essere replicata molte volte e quindi questa immagine diventa il veicolo stesso della sua
intera propaganda.
I 2 scultori individuati sono Apelle e Lisippo, attraverso la figura di Lisippo vengono codificati alcuni originali
del principe che viene presentato in diverse posture situazioni con diversi significati. Prima di tutto viene
scelto il ritratto di Alessandro, il suo volto. Lisippo, fa diverse prove fino a codificare l’immagine ufficiale del
personaggio e inventa delle statue di Alessandro, che saranno degli archetipi e modelli per i successori di
Alessandro che lo codificano come:
Con Lisippo, avviene un cambio di prospettiva, lui era originario di Sicione, dell’area peloponnisiaca, e ha
acquisito quelle che erano le norme della scultura policletea, degli scultori ateniesi come Fidia. È chiamato
non al servizio di una città, ma di un regnante, quindi la sua produzione non è più pensata per un committente
pubblico ma privato e di fatto la sua era un’arte di corte.
Nuova committenza= nuovi codici espressivi. La produzione di Lisippo arriverà in Occidente e sarà di grande
esempio per le popolazioni successive.
Ritratto ufficiale di Alessandro, ha subito una serie di adattamenti. Gli storici dicono che sono 2 i punti di
riferimento che occorre avere in mente, per avere questo adattamento del ritratto di Alessandro:
- da una parte c’è il gruppo del Philippeion di Olimpia, che prevedeva 5 statue della famiglia di Filippo
e Alessandro, di cui le fattezze non ci sono note
- dalla tomba II di Vergina, alcune partizioni di un mobile, che
è andato perduto, mostrano delle testine con figure a rilievo in
avorio, in 2 delle quali sono state riconosciute le fattezze di
Filippo e di Alessandro.
Nel resto della scultura riconducibile a Lisippo 3 caratteri
fondamentali:
1 Principe è rappresentato con sguardo verso l’altro, le fonti
dicono che la capacità di Lisippo era stata quella di essere stato
rappresentato con uno sguardo umido, in grado di enfatizzare il suo sguardo. Anche il resto della
testa, ovvero il collo si adegua a questo movimento verso l’alto, torcendosi
2 Capigliatura: per la prima volta un principe viene raffigurato con capelli piuttosto lunghi e scomposti
dove la caratteristica è la separazione netta è il ciuffo alzato sulla fronte, postura della capigliatura
che si chiama anastolé si troverà anche nelle sculture di Augusto. È una cifra stilistica, ma sorta di
marcatore della poetica di Lisippo.
3 Disegno preciso che intende rappresentare le fattezze fisionomiche della persona. Non è più un tipo
di persona ma si cerca di rappresentarlo per come era realmente.
Dopo la tappa a Siwa, Alessandro si esalta e comincia a farsi rappresentare con attributi propri di Zeus. Su
questa questione, Lisippo cerca di enfatizzare la figura di Alessandro, c’era stata una controversia tra Lisippo
e Apelle, che per primo aveva rappresentato Alessandro con la fogore.
Tipi iconografici che vengono codificati per volontà di Lisippo, all’interno di una corrente culturale composta
da vari artisti.
La sua iconografia non muore con la sua morte. Alessandro dopo Alessandro= ritratti di ricostruzione fatti
dopo la sua morte, riprendono i caratteri dell’iconografia di Lisippo.
Lisippo non lavorò solo per Alessandro ma anche per altri contesti anche in Italia, viene riconosciuto il merito
di essere stato capace di elaborare nuove figure di soggetti iconografici che non fossero solo dei, ma
personificazioni astratte.
Le fonti parlano di una famosa statua in bronzo, realizzata per Sicione che
doveva rappresentare il kairòs (momento opportuno che si doveva cogliere e
non si doveva perdere) oggetto di studi approfonditi perché attraverso
descrizione fatta dalle fonti di queste rappresentazioni la scelta di Lisippo
sarebbe stata quella di rappresentare un giovane nudo con ciuffo sul davanti.
Questa rappresentazione di un soggetto allegorico apre la strada a soggetti in
qualche modo simbolici, che saranno importanti per questa fase ellenistica
della prima e della seconda epoca.
Apelle aveva rappresentato una serie di dipinti. Le storie sono state raccolte attorno a Lisippo e Apelle. Plinio
è uno degli scrittori romani che parlano delle opere di Apelle, ma anche ce ne parla Pausania, ma tutti
sottolineano il fatto che Apelle aveva rappresentato il non plus ultra, di quelli che erano i pittori dell’epoca.
Apelle, era originario di Colofone, e aveva fatto una sorta di periodo di apprendistato, a Efeso e Sicione, viene
chiamato a Pella alla corte di Filippo e da lì rimarrà nella corte macedone. Le fonti ci dicono che si era distinto
anche per aver scritto serie di trattati riguardanti problematiche di tipo artistico ed estetico, e tra le vaerie
citazioni della produzione letteraria. In una sua citazione lui parla di due sue qualità nella rappresentazione
ovvero:
Sono state tratte delle descrizioni, con raffigurazioni di concetti astratti come la “Calunnia”, aneddoto, era
stato calunniato da un suo rivale, da un altro pittore alla corte di Tolomeo, Antifilo, che lo aveva calunniato
davanti al re. Apelle trasse spunto da questa maldicenza, da questa calunnia per elaborare una raffigurazione
di un sentimento negativo, di una espressione della negazione della negatività umana.
- Eracle osserva Telefo allattato da una capretta al cospetto di Dioniso da cui viene tratta una copia
da Ercolano, che potrebbe richiamare la famosa tela.
- Altro artista famoso è Nicia, a cui viene attribuita un’altra opera della quale la civiltà romana ci
fornisce una copia. Perseo libera Andromeda dal mostro marino. C’è una volontà di creare
un’ambientazione del tutto nuova in un contesto roccioso con personaggi su due livelli diversi. Lei
viene raffigurata ancora incatenata con braccio ancora appeso alla roccia. Il suo abbigliamento è
ricercato, ma è rappresentato nella sua situazione della sua precarietà, con seno scoperto, non porta
i calzari. Il giovane ha gli attributi tipici, le piccole ali alle caviglie, la spada e la gorgone. La scena è
conclusa dalla rappresentazione del mostro stesso in basso a sinistra.
- Atenione di Maronea = altro pittore Citato da Plinio, come un artista aveva rappresentato Achille
nascosto a Sciro, sotto le sembianze di ragazza per sfuggire alla morte che poi avrà a Troia. Egli è
rappresentato con pelle chiara a livello delle donne. Le copie romane ci danno un’idea della pittura
ellenistica che prevalentemente rappresentava soggetti legati ai miti dell’epoca e che nel caso della
calunnia rappresentavano nuovi soggetti e nuove occasioni per studiare e le posture del corpo
umano.
Alla figura di Alessandro è legata anche opere monumentali e urbanistiche che hanno segnato l’epoca.
L’impero di Alessandro viene diviso tra i suoi generali dà la misura che era un impero troppo vasto e
disomogeneo per essere tenuto insieme dal punto di vista politico. Vengono create delle nuove città e dei
nuovi reggni:
- Macedonia/Grecia: Cassandro, che poi ucciderà dopo la morte di Alessandro uccise Roxane e
Alessandro III
- Egitto: Tolomeo regno dei Tolomei che terminerà con Cleopatra
- Tracia/Anatolia: Lisimaco
- Asia/Persia: Regno dei Seleuci
- Cipro: Antigono, e suo figlio Demetrio
La città di Alessandria, tra le più interessanti anche se non si conosce tanto. È nota per alcuni saggi tra 800 e
900 e per alcune indagini molto puntuali. Tramite le fonti, si aveva un’ispirazione tramite un sogno, l’idea di
collocare la città davanti al mare e in quella posizione, sul fronte della costa.
Alessandro si era affidato a un architetto e urbanista chiamato Dinocrate di Rodi complesso urbano che
si estendeva per 5 mila km lungo fascia di terreno con larghezza media di 1,5 m con rete stradale con maglia
regolare. All’interno dello spazio urbano c’era il palazzo del re, gli spazi civici (biblioteca= una delle invenzioni
più importanti di Alessandro, Tolomeo che fanno arrivare i maggiori filosofi, grammatici, copie da più parti
del regno e da più autori, per disporre di una vera e
propria raccolta che darà il via alla filologia classica
perché saranno gli studiosi alessandrini che valuteranno
le conoscenze più vicine alla loro.
In queste città si formano anche degli artisti, chiamati anche fuori dall’impero.
L’idea della regolazione degli spazi secondo i centri di potere, come abbiamo visto a Pella.
civici è sempre più ispirata a un principio di ordine e razionalità. Deve essere funzionale. In quei centri di culto
si ha lo scenario in cui vari committenti finanziano delle opere che vanno a ordinare questi centri di tipo
portuale.
Area dell’isola di Rodi con proiezione verso l’alto di questi diversi blocchi su terrazzamenti, che vengono
regolarizzati attraverso la creazione di grandi porticati, uno degli elementi cardine del IV secolo, che
contribuiscono alla gestione di vaste aree.
Nel santuario di Kos, in onore di asklepio, questa stessa necessità e questa stessa stesso bisogno di
organizzare spazi con terrazzamenti. Diventano complessi molto ben organizzati. Nella stessa Atene, viene
delimitata dalle stoai creano una sorta di scena per lo spazio pubblico cittadino.
Santuario di Apollo a Didyme noto fin dall’età arcaica con dimensioni importanti. Alla fine del IV secolo
intorno al 313 viene ampliato da 88x41 m ad 110x51, con h 20m, e peristasi di 21x10 colonne. Questa grande
costruzione si caratterizza inquanto viene data grande importanza alla
funzione oracolare che viene valorizzata, perché la parte ipetrale della
corte in cui è inaiskos con la statua di Apollo, viene monumentalizzata con
serie di elementi che permettono di accrescere l’aspetto scenografico del
rituale stesso, che prevedeva un luogo in cui venissero interrogati gli
oracoli e scendendo dalla parte visibile del tempio. Attraverso queste scale
i sacerdoti entravano nella corte per interrogare oracolo e dopo aver
ricevuto risposta, risalivano questa scala di 24 gradini che portava fino alla
porta delle apparizioni (14m di altezza) per trasmettere la volontà di
Apollo. Questo tipo di rappresentazione non solo funzionale all’idea della
grandezza, della potenza di coloro che commissionano questo tipo di
costruzioni ma anche funzionali a creare teatralità nello spazio sacro per
assicurare dimensione sovrannaturale e molto partecipata di questo tipo
di rituali, che sono dei rituali di grande partecipazione pubblica che
servivano per veicolare una serie di messaggi voluti dal potere centrale.
Tolomeo I alla fine del IV secolo, incarica uno scultore di nome Briasside,
commissiona una grande statua per il tempio di Alessandria, gli chiede di
creare statua che raffigurasse commistione di popolazioni diverse.
Briasside scolpisce Serapide, che: doveva essere insieme di caratteri dello Zeus greco, ma anche della figura
orientale di Osiride.
La figura della rappresentazione della città da parte di Seleuco deve richiamare e riassumere questi nuovi
elementi che devono trasmettere l’idea di un regno uovo basato sul recupero di elementi precedenti. In cui
la statua della città è una personificazione della città del nuovo regno, che viene raffigurata con nuove cifre
stilistiche:
1 Gambe accavallate, un braccio posato sulla roccia, l’altro che regge le messi, simbolo di ricchezza
(come il modio di Serapide)
2 Testa piccola di derivazione lisippea, con corona turrita simbolo della città
3 Dea seduta su una roccia e posa il piede sull’Oronte, il fiume
La città di Rodi chiede a Carate di rappresentare una statua di grosse dimensioni, un colosso che passa la
storia per essere l’Helios, il dio Sole, in bronzo. Carete aveva realizzato un opera che era il doppio di quella
richiesta, arriva a 32 metri di altezza. Si usarono vari accumuli di denari ottenuti vendendo armamenti lasciati
sull’isola da alcuni nemici. Quest’opera che doveva essere in bronzo, e che per essere stabile doveva essere
bloccata, con pietre ai piedi della statua.
Si diceva fosse sull’imbocco del porto, per segnare ai viaggiatori l’arrivo in città. Plinio la descrive quando la
vede a pezzi, era considerata così sacra che nessuno poteva prelevarne delle parti, che furono poi vendute
in epoca medievale.
Per la testa di ha la copia di Helios da Rodi, III-II sec. a.C. che è per la resa dei
particolari, è una copia ellenistica di quello che doveva essere l’originale. Dopo
Alessandro c’è l’idea di una cultura, che deve saper trasmettere l’idea di una
nuova società basata sui regni e non sulle città stato che si traduce con opere
monumentali (colossali), che segneranno le produzioni successive.
LEZIONE 12 | 30 marzo 2022
Tema dei ritratti → tema molto importante per l’arte romana. La storiografia ha rilevato come nella fase
arcaica e classica il problema della rappresentazione dei volti nelle statue di persone fosse un tema che in
qualche modo si legava a quella che era la tendenza culturale e sociale dell’epoca volta a definire dei tipi di
persone in quanto rappresentanti di cittadini delle varie poleis. Sostanzialmente, l’idea di rappresentare
individui della città fu una tendenza che delineò una strategia volta a creare dei tipi di individui che
rispondessero a delle classi sociali non in termini economici ma di ruolo sociale.
Fino all’età di Filippo i ritratti sono di tipo tipologico: si andava a delineare dei tipi di cittadini.
Oltre alle giovani donne o uomini nell’età arcaica, soprattutto dal V secolo si pongono delle
statue che hanno dei caratteri che individuano dei personaggi in qualità di stratega (es.
Pericle, copia, Berlino, Staatliche Museum), di poeti o di personaggi che partecipano alla vita
pubblica.
All’interno di questa fase si può notare che già nel V secolo si afferma un primo principio:
rappresentare con fattezze reali degli individui → Temistocle (copia, Museo di Ostia) che è un
primo esempio di rendere le fattezze reali.
È con Lisippo che si definisce la necessità di definire una fisionomia dell’individuo (perché è
necessario elaborare un ritratto codificato della persona che si vuole celebrare) → si parla di
ritratto fisionomico che in maniera realistica (quanto più corrispondente alle fattezze della
persona) definisce i caratteri specifici della persona. Da Alessandro Magno in avanti e
soprattutto con i diadochi si impongono i ritratti dei dinasti che elaborano delle specifiche
caratteristiche che li faranno riconoscere nella loro individualità.
Questa tendenza sul fronte anche pubblico si manifesta a partire dal IV secolo quando vengono
commissionati anche ritratti ed eventualmente statue con ritratti di poeti, oratori che devono far riconoscere
questi soggetti come importanti per la cittadinanza. Per esempio, nell’Atene del IV secolo si impone una
tendenza che mira a rappresentare post mortem i ritratti di Eschilo, Sofocle o Euripide per celebrarne la
grandezza e dando a questi personaggi dei caratteri che si tramandavano nella consapevolezza comune.
Nel caso del Menandro, ci si trova già di fronte a un ritratto fatto quando il poeta era ancora
vivo quindi ha delle fattezze che non sono ancora idealizzate ma presenta dei caratteri che
sono tipici della sua persona: gli occhi piuttosto
infossati e ravvicinati al naso, i capelli trattati con
chiome piuttosto lunghe.
In qualche modo sono delle spie che ci vanno a chiarire che nel corso del IV secolo va a sostituirsi l’idea di un
ritratto tipologico con un ritratto fisionomico, che sarà caratteristico non solo di tutta l’età ellenistica ma
anche della fase tardo-repubblicana e imperiale romana.
I ritratti di filosofi → ognuno ha una sua specificità che permetta di riconoscerlo come individuo ma allo
stesso tempo ognuno di essi ha la folta barba come carattere che ne connota la statura intellettuale.
Nel ritratto di Aristotele, l’attenzione per i suoi tratti individuali viene accentuata nella
resa delle rughe, degli zigomi molto scavati, di una bocca e un naso ben delineati. Questo
aspetto del ritratto individuale e fisionomico è estremamente rilevante per capire come
attraverso l’arte fosse possibile indicare delle caratteristiche della persona che si voleva
rappresentare. Questa specificità sarà connotativa della cultura artistica dell’età
ellenistica e soprattutto romana
PERGAMO in Misia → già Senofonte nella seconda metà del V secolo, affermava che questa città era
controllata dai persiani e si caratterizzava come luogo imprendibile perché era arroccata su pendici e con
alture veramente irraggiungibili tanto che alla fine del IV secolo con la spartizione delle terre conquistate da
Alessandro tra i diadochi, Lisimaco, uno dei generali l’aveva scelta come città in cui custodire il proprio tesoro
(9 mila talenti = qualche miliardo di euro). Si tratta di una rocca adatta ad essere la sede di un regno che si
doveva formare ma Lisimaco affida il suo tesoro a un suo uomo fidato (Filetero), il quale dopo un poco di
tempo si dichiara indipendente (281) e si tiene Pergamo. Da questo momento nasce l’embrione di quello che
sarà il regno di Pergamo, che nel corso del III e II secolo a.C. viene ampliato anche grazie all’affermarsi della
dinastia degli Attalidi. Di cui il primo re è Attalo I (241-198 a.C.), Eumene II (198-157 a.C.), Attalo II (157-138
a.C.) e Attalo III, che resta in carica solo 3 anni perché a un certo punto decide che non avendo figli lascia il
regno a Roma. Dal 133 a.C. il regno di Pergamo passerà alla potenza romana, che si impone nel Mediterraneo
quando riesce a sconfiggere i cartaginesi, gli ultimi fautori della libertà greca che cercano di contrastare
l’ascesa di Roma con vari tentativi di sommosse che vengono sedate con la distruzione di ritto (?) del 146 e
di Cartagine con la conseguente costituzione della provincia della Grecia tutta, Acaia.
Il regno di Pergamo dura circa 150 anni ma è un regno che si configura come un tentativo di costituirsi come
un centro culturale di primo ordine, tanto è vero che in questo centro non solo si realizzano complessi
monumentali di straordinaria rilevanza ma si formano anche degli artisti e scultori che sono artisti di corte.
→ artisti che lavorano per un progetto funzionale ad esaltare i regnanti, ma che attraverso questo sforzo
artistico elaborano un modo di fare scultura e arte che creerà una scuola pergamena, dalla quale deriveranno
dei flussi artistici che arriveranno in Occidente e saranno alla base di ulteriori prodotti.
Si parla di un heroon, di un luogo di culto per la dinastia degli Attalidi stessi, i quali riconoscono la necessità
di avere uno spazio di culto per i propri antenati (legati ad Eracle e Telefo) in quanto si dichiarano discendenti
da questi personaggi mitici.
L’heroon si configura come uno spazio caratterizzato da un’ampia corte con peristilio. Il cortile misura 21x13
metri e ha sul lato est una cappella, che è il luogo di culto principale e sul resto dei lati si aprono una serie di
ambienti destinati allo svolgimento di vari rituali previsti per l’eroe. Questo primo dato permette di
focalizzare l’attenzione sul biglietto da visita degli Attalidi: fin dall’ingresso viene chiarito che sono di stirpe
divina.
Se si prosegue all’interno dell’acropoli il primo nucleo che si incontra è quello dei palazzi dei dinasti. Questa
parte della città è stata scavata dai francesi e di questa parte non sono state trovate porzioni di alzati
sufficienti per immaginare tutto lo sviluppo, ma emerge un’articolazione (cfr. Pella, Ege) di questi grandi
palazzi di regnanti con il cortile porticato su cui si aprivano varie stanze tra cui stanze per il culto del dinasta,
inteso come il culto in cui è il regnante stesso a svolgere delle attività sacre per manifestare la propria pietas
e per sottolineare che in questo tipo di spazio viene manifestata l’adesione del regnante a quelle che erano
le norme comportamentali condivise a livello comunitario.
Poi c’è l’area sviluppata in direzione nord in cui erano i magazzini, le caserme e gli arsenali. Questo elemento
fa capire che il potere doveva essere sottoposto ad un vigile controllo da parte del corpo di guardia che
garantiva la sicurezza del regnante e provvedeva alla sua difesa. Questa parte dell’acropoli è cinta da mura
con torri di avvistamento posizionate a livelli altimetrici superiori rispetto al resto. → Si denuncia l’aspetto
legato alla necessità di difendersi da eventuali attacchi esterni, che ci furono effettivamente e che
consentirono agli Attalidi di celebrare sé stessi come vincitori.
L’altro grande nucleo è quello del tempio cosiddetto di Traiano (in epoca romana fu un tempio di Traiano ma
si pensa che in precedenza ci fosse un culto a Zeus, al quale si sovrappone poi il culto imperiale). →
TRAIANAEUM
La parte a est del teatro prevedeva una lunga stoà, un lungo porticato con dimensioni 245x7 metri con una
sorta di porzione retrostante con funzione di passaggio coperto per eventuale riparo per gli spettatori. A
sinistra di questa c’era un tempio, interpretato come tempio in onore di Dioniso sempre per corrispondenza
con Atene.
Da un punto di vista tipologico è un tempio prostilo e tetrastilo su un alto podio = tipologia più italica; infatti,
sotto i romani questo edificio viene adibito a luogo di culto per l’imperatore.
Al di sopra della parte sommitale della cavea c’è un’area dominata dal tempio di Atena. All’interno l’area è
porticata, cifra della tarda età classica e dell’ellenistico. Si parla anche di un temenos, di uno spazio recintato
e ritagliato nel senso di luogo delimitato rispetto al resto. Questo porticato risale agli inizi del III secolo che
prevedeva una spianata su cui si imposta il tempio di 22x13 metri con 6x10 colonne doriche.
All’interno del vano (in alto a dx) è stato calcolato che fosse
possibile disporre sui lati una serie di scaffalature per contenere
circa 17 mila rotuli, una quantità rilevante di produzioni
letterarie e di vario tipo che sono poste sotto l’egida di Atena
come divinità che presiede anche alle arti. La presenza di questa biblioteca è importante perché, come ad
Alessandria aveva nella sua biblioteca un centro culturale e di produzione filologica molto rilevante, così
anche a Pergamo gli Attalidi si preoccupano di realizzare uno spazio che sia destinato alla promozione dello
studio della letteratura e delle opere culturali. Viene affidata a Cratete di Mallo, uno dei grandi intellettuali a
cui viene affidata la realizzazione di questo centro culturale.
Il cortile del tempio di Atena è uno spazio, in cui secondo delle ricostruzioni, viene posizionato un monumento
che passa alla storia come il grande Donario di Attalo I → voleva commemorare la sua vittoria contro una
popolazione che opprimeva non solo Pergamo ma tutta la regione. Questa popolazione è nota come i Galati,
un popolo di origine celtica arrivato in Asia agli inizi del III secolo perché chiamati come mercenari da un
potente locale, Nicomede, re di Vitigna. Questi, dopo aver svolto la loro attività di mercenari, restano in Asia
e distruggono tutto quello che trovano, nel senso che rimangono barbari e continuano a fare razzie e
distruzioni delle città che circondano la loro zona di posizionamento. Nel momento in cui Attalo decide di
svolgere una campagna di definitiva sottomissione di questi popoli e ci riesce decide di creare questa grande
rappresentazione della Vittoria, che si carica di un significato propagandistico di enorme portata.
Questo Donario era costituito da una serie di statue in bronzo di cui restano le copie romane e che di recente
sono state oggetto di vari studi, tra cui Filippo Quarelli, il quale ha proposto di individuare nell’area circolare
le statue che dovevano raffigurare almeno due tipologie di Galati:
L’intento è quello di esaltare la capacità del regnante di aver sconfitto dei guerrieri di livello degni di essere
rappresentati. La propaganda che sta alla base di questa esaltazione del barbaro che viene definitivamente
distrutto consente agli Attalidi di porsi alla pari dei Greci quando sconfissero i Persiani ma soprattutto di porsi
alla pari degli dèi che sconfiggono i Giganti.
Rispetto a uno zoccolo in marmo su cui si pone il crepidoma e l’altare vero e proprio, la struttura è costituita
sul lato occidentale da una enorme scalinata che dà accesso alla piattaforma centrale che è inquadrata da
due avancorpi che vanno in aggetto e che definiscono lo spazio all’interno del quale vi è l’altare sacrificale.
(cfr. grandi altari dei santuari dell’Asia minore come Efeso, Samo, Didyme)
In questo caso le dimensioni sono eccezionali, anche perché l’apparato decorativo previsto per questo altare
si sviluppa al di sopra dello zoccolo con un altorilievo che occupa tutti i lati ma in particolare i lati nord, est e
sud per 2,30 metri ed è lungo 120 metri (→ raffigura la Gigantomachia). All’interno della struttura c’è un
altro tipo di fregio, ossia un rilievo della Telefeia (sulle gesta di Telefo) con altro linguaggio artistico.
I tedeschi che scavarono questo grande edificio hanno trasferito a Berlino l’apparato compositivo della
costruzione e hanno riprodotto il lato occidentale con l’intento di rendere visibile quella che era l’ideologia
alla base di questa costruzione. Questa era immaginata per celebrare la vittoria della civiltà sui barbari ma
soprattutto per utilizzare questa occasione come affermazione della rinascita di una nuova Atene, di una
nuova capitale culturale in cui la realizzazione di un ciclo scultoreo pensato per celebrare gli Attalidi usa la
Gigantomachia come strumento per affermare il ruolo e la potenza di questa dinastia.
Da un punto di vista stilistico questo monumento segna una elaborazione di un modo di rappresentare scene
mitiche, di movimento avvicinato al concetto di barocco (termine per indicare produzione artistica volta ad
enfatizzare gli elementi patetici ed emotivi in chiave idealizzata). Per questo si è parlato di una scuola del
barocco pergameno, dalla quale prenderanno spunto varie realizzazioni artistiche dell’epoca successiva in
cui la ricerca del chiaroscuro, degli effetti patetici, della tendenza ad ammassare corpi per dare l’idea della
violenza e della complessità di questi scontri tra umani e divini potessero rappresentare la tendenza a
rendere patetiche queste iconografie.
La Gigantomachia → lo scontro è pensato con una scelta di definire gruppi di divinità che si scontrano contro
i Giganti che avevano tentato di opporsi agli dèi per il possesso del cosmos (tutte le dimensioni del cosmo:
terra, acqua e cielo). Queste figure sono organizzate su diversi piani per accentuare senso del dinamismo e
questa dinamicità è ottenuta anche attraverso delle composizioni che non sono solo centripete ma in altri
sono anche centrifughe.
Esempio: Atena che viene a tenere per i capelli Alcioneo, uno dei giganti, il quale tenta di opporsi alla dea
trattenendola per una gamba. L’arrivo di una Vittoria che sta per incoronare Atena anticipa il successo degli
dèi sui giganti anche se alla base della composizione emerge dalla terra Ghe, la madre dei giganti con il braccio
rivolto l’alto e lo sguardo rivolto verso Atena implorando pietà.
L’altra parte del fregio, quella interna, è dedicata alle gesta di Telefo. Egli
è il fondatore della stirpe degli Attalidi e figlio di Eracle. Si sviluppa per 79
metri con un’altezza media di 1,57 metri. Vengono raffigurate scene della
vita di Telefo con un linguaggio diverso rispetto al fregio esterno, nel senso
che in questo caso la scelta è di maggiore pacatezza e minore enfasi
patetica alla lotta e alla durezza degli scontri.
È stato avanzato il nome di Firomaco come scultore ateniese, che potrebbe essere stato tra quelli che
contribuirono alla realizzazione di questo grande edificio. Non è straordinario solo per la grandezza e per le
dimensioni ma soprattutto perché permette di capire quanto a livello di propaganda il sacro potesse prestarsi
ad essere utilizzato da queste grandi casate come veicolo nella trasmissione
dei messaggi della propria autorità e del proprio potere.
L’AGORÀ chiude il settore meridionale della parte alta della città con un
sistema di sostruzioni che permettevano lo sviluppo, nonostante la forte
pendenza di questo tratto del monte (277 m s.l.m.). per quanto restino poche
tracce si è compreso che l’agorà occupasse un’area di 87x43 metri con serie di
stoai di ordine dorico e serie di botteghe retrostanti in cui erano posti i negozi per le varie attività
commerciali.
Scendendo all’area della terrazza intermedia, troviamo a nord-ovest il grande SANTUARIO DI DEMETRA, che
era già stato costruito nella prima fase di Filetero ma che subì degli interventi di ricostruzione in epoca
romana. È un edificio prostilo corinzio, che aveva un grande altare antistante inserito in una serie di elementi
che chiudevano lo spazio sacro in quella prospettiva di culto limitato a una certa parte della cittadinanza.
Fu costruito su una terrazza di 200x45 metri con un santuario dedicato ad Asclepio e successivamente in età
romana viene poi posto anche uno spazio per il culto imperiale, uno degli elementi caratteristici della
propaganda imperiale destinata a promuovere il potere della casata. Attorno al ginnasio si aprono una serie
di vani e al di sotto c’era un sistema di sostruzioni e porticati per assicurare il superamento dei diversi livelli
del terreno.
La questione dello sviluppo nelle altre zone della città è molto interessante perché permette di ricostruire
come nel corso della seconda metà del II secolo a.C. vengono realizzati una serie di edifici come l’AGORÀ
INFERIORE che veicola ulteriormente l’idea che il regnante assicura alla popolazione più spazi in cui svolgere
le attività. In questi spazi vengono realizzati altri edifici per le diverse questioni amministrative che vengono
sottoposte al re.
Pergamo è un luogo in cui si condensano diverse soluzioni a livello architettonico, urbanistico e artistico. Con
la prospettiva di realizzare e porre a Pergamo un nuovo centro culturale gli Attalidi vogliono esportare la loro
produzione artistica ad Atene, dove la cultura artistica si era sviluppata inizialmente.
Pausania racconta che sull’acropoli di Atene un attalo aveva donato un gruppo formato da molte statue, che
raffiguravano i Galati, gli Amazzoni, i Giganti e i Persiani. Si trattava di un insieme di statue che dovevano
celebrare in una comunità di immagini le vittorie sulla barbarie da parte dei greci e quindi su un piano mitico:
vittorie degli dèi contro i Giganti, vittorie degli eroi greci sulle Amazzoni ma anche le vittorie degli Attalidi
contro i Galati e dei greci tutti contro i Persiani.
Da una serie di elementi si ritiene che le statue dovessero essere 56 in bronzo, alte a 2/3 del vero =
costituiscono il “piccolo donario” che doveva essere collocato nel settore sudorientale della piana del
Partenone come sembrano confermare alcune recenti indagini che hanno individuato dei basamenti posti
sulla sommità dell’acropoli. È probabile fossero state realizzate Attalo II perché da un punto di vista della
scelta figurativa le citazioni del Grande donario sono molte, il che potrebbe significare che il piccolo donario
sia stato prodotto da Attalo II su ispirazione del primo donario e che quindi abbia rappresentato una sorta di
replica per Atene da parte degli Attalidi.
Altro gruppo famoso è il ‘TORO FARNESE’, che rappresenta uno dei grandi
prodotti del III secolo a.C. anche se rimane solo una copia romana in marmo.
È stato trovato nelle terme di Caracalla e poi è confluito nella collezione
Farnese per poi essere esposto al museo nazionale di Napoli. Su questo
gruppo ci sono stati moltissimi studi e ipotesi, ma si ritiene che fosse una
copia realizzata da artisti greci in particolare Apollonio e Taurisco di Rodi e
che fosse stata prelevata e portata da Cassio intorno al 42 a.C. e inserita
all’interno di una famosa collezione di opere: Asini Polionis Monumenta, una
serie di monumenti tratti dalla Grecia ormai conquistata che sarebbero
andati a costituire la collezione di un personaggio di grande statura culturale
come Gaio Asinio Pollione.
Il gruppo rappresenta la punizione di Dirce, la moglie di un personaggio di nome Lico, la cui nipote Antiope
era stata sedotta e messa incinta da Zeus. Il padre di Antiope non accetta questa gravidanza e la caccia;
quindi, la ragazza va da Lico dove viene inizialmente accolta ma la moglie di Lico anziché dedicarle ogni
premura la tratta come una serva. Alla fine, lei scappa e se ne va. A distanza di tempo i due gemelli: Anfione
e Zeto si vendicano del trattamento operato sulla madre da parte di Dirce e decidono di punirla con una
punizione molto truce, ossia quella di essere uccisa legata a un toro infuriato. La scelta del mito, ma anche la
resa artistica della resa del mito è molto cruenta indirizzata a enfatizzare questi aspetti emotivi di alcuni miti.
La composizione del gruppo scultoreo ha una linea ascendente che culmina con il toro. Ha uno sviluppo verso
l’alto con l’immagine del toro all’apice, la figura di Dirce (donna sulla sx) è rappresentata in un movimento di
torsione verso il toro. I due gemelli tentano di tenere fermo il toro legando alle corna la corda a cui è
agganciata la donna.
Questo mito scelto in maniera non arbitrario serviva ad ammonire chi si macchiava di misfatti come la
mancata osservanza del principio di ospitalità nei confronti di chi ti chiede protezione o un aiuto. Intorno alla
metà del II secolo, Eumene II insieme al fratello Attalo avevano commissionato per il santuario di Cizico
(Turchia settentrionale) un gruppo scultoreo in cui erano loro stessi rappresentati come i due gemelli
proponendosi loro stessi come garanti delle punizioni verso chi si fosse macchiato di oltraggio nell’esecuzione
di azioni contro la legge. La cultura pergamena travalica Pergamo stesso e irradia con la propria potenza
espressiva, innovativa rispetto a soluzioni straordinarie dei predecessori di questa fase e va ad influenzare
tutto il Mediterraneo.
Nel Mediterraneo si pone in questo secolo Roma come il novo centro di potere, tanto che Attalo III lascerà
nel 133 il regno di Pergamo a Roma. Infatti, qui si ritrovano opere d’arte di straordinaria rilevanza anche degli
originali perché è a Roma che confluiscono non solo prodotti artistici greci ma anche artisti greci a servire,
produrre sculture, opere o monumenti per Roma, per i grandi personaggi che a Roma dominano la scena.
Fino alla metà del II secolo, quella ellenistica è ancora un’età in cui almeno per il fronte greco vi è una
molteplicità di centri di produzione artistica, centri in cui i grandi dinasti esercitano il loro potere. Nel
momento in cui subentra, per una serie di instabilità politiche, il controllo romano i poli di produzione
diventano diversi e si sposteranno poi in Occidente.
Alla fine, dell’800, in una cantina dell’Esquilino vengo trovate due statue:
Gruppo del LAOCOONTE, dal Palazzo di Tito, Roma, metà I secolo a.C., Musei Vaticani → è stato trovato nel
1506 nei sotterranei delle terme di Tito presso la Domus aurea. È stato subito avvicinato a un passo di Plinio,
che dice che questo gruppo rappresentava il sacerdote troiano, Laocoonte, stritolato da dei mostri mandati
da Poseidone insieme ai figli perché costui si era opposto all’ingresso del cavallo a Troia perché ne aveva
percepito il potenziale pericolo.
Plinio dice che era esposto nella casa di Tito e che già all’epoca era
considerato come una delle massime opere scultoree che poteva essere
preferita alle opere in bronzo per la perfezione che aveva raggiunto.
Si ritiene che questo gruppo sia opera di artisti provenienti da Rodi per
una serie di iscrizioni ritrovate sull’isola e che richiamano i nomi di questi
personaggi che avevano una bottega intorno alla metà del I secolo a.C. =
sono degli artisti che richiamano fortemente la scuola barocca e pergamena anche se ormai Pergamo era
romana. Una parte degli studiosi la ritiene una delle ultime opere delle botteghe greche per Roma; invece,
altri ritengono che sia una copia romana di un originale tardo-ellenistico.
Questa grotta era costituita da una parte accessibile da terra e una sorta di isolotto artificiale all’interno della
quale era predisposto uno spazio tricliniare. Tacito, un altro storico di età romana, racconta che Tiberio qui a
volte pranzava e che nel 23 era crollato il soffitto, al quale crollo l’imperatore era sopravvissuto.
Da un punto di vista archeologico si è compreso che nel corso dei secoli quest’area fu poi abbandonata ed in
epoca tarda tutto il gruppo che rappresenta l’ACCECAMENTO DI POLIFEMO da parte di Ulisse e dei compagni
fu volontariamente fatto a pezzi e gettato all’interno della vasca che occupava una parte di questo isolotto.
Una parte delle sculture è stata ritrovata, mentre l’altra parte no.
La rappresentazione dell’accecamento di Polifemo non è tra i primi esempi, perché viene raffigurata anche
nei vasi arcaici. L’intento della composizione è quella di creare un movimento dinamico che ha una
composizione triangolare con l’apice sulla testa del mostro. Anche se alcuni personaggi sono frammentari, si
capisce quanto dovesse essere movimentata la scena che doveva essere rappresentata.
Ancora una volta gli stilemi sono quelli del barocco pergameno. È soprattutto
nella resa dei volti, delle capigliature, nelle espressioni che si evince questa
cifra stilistica.
Si capisce quanto queste influenze dal mondo orientale arrivino in Occidente e quanto siano attente a
rappresentare in modo diverso dei soggetti già ampiamente noti o già oggetto di sculture o pitture con un
linguaggio diverso → linguaggio che cerca di veicolare non soltanto le richieste di eusebeia, di esaltazione di
vittorie, di grandi eventi comunitari che potevano suggellare il sentimento comunitario della polis ma nell’età
ellenistica si cercano anche nuove sperimentazioni e nuovi soggetti che prima non venivano considerati come
degni di essere rappresentati.
IL VECCHIO PESCATORE → anche lui ai margini della società ellenistica, che vuole delle
immagini che siano fonte di evasione dalla quotidianità quindi i generi non richiamano
solo all’ordine, alla vita comunitaria ma dei generi di evasione che consentono a chi
commissiona queste opere di godere di una sorta di libertà attraverso queste opere.
I soggetti sono molti e possono anche essere legati al mondo della cultura, al mondo
femminile inteso come soggetti mitici (le Muse) o con rappresentazioni che mostrano i
soggetti femminili come divinità ma anche come personaggi reali che decidono di
rappresentarsi all’interno del proprio spazio domestico.
Eros e Psiche sono dei soggetti molto frequenti ma altrettanto i gruppi erotici dei satiri
con le Ninfe e le Menadi o gli Ermafroditi si trovano frequentemente riprodotti. Veicolano
l’idea che la sessualità fa parte della dimensione quotidiana, del privato e quindi anche
questa sfera merita di essere rappresentata.
Questa sfera erotica si manifesta anche attraverso dei nudi che prediligono il lato B
rispetto al lato A del corpo femminile → AFRODITE CALLIPIGIA, uno degli esempi che
meglio rappresentano questa attenzione per il lato B.
Altro esempio → ERMAFRODITO DORMIENTE, rappresentato disteso con
la pancia in giù che denuncia questo genere di attenzione.
Altro sito interessante è l’isola di Delo → DELOS, importante perché svolge un ruolo chiave in un torno di
tempo ristretto = circa 80 anni dal 166 a.C. quando viene nominato porto franco per contrastare altri poli
contrari a Roma fino a quando viene distrutta da Mitridate nei primi decenni del I secolo a.C.
Prima di questa epoca, l’isola ha svolto un ruolo molto importante perché per la tradizione mitica in
quest’isola si era rifugiata Latona per sfuggire alle ire di un’altra donna, Era, gelosa della sua gravidanza
generata dalla sua unione con Zeus. Latona si rifugia in quest’isola per partorire i due gemelli: Artemide ed
Apollo, i quali nascono a Delo presso una pianta che sorgeva su un lago sacro e da quel momento i due dei
diventano patroni dell’isola. Infatti, qui c’era un santuario di Apollo a cui prestavano devozione varie città
dell’Egeo ma soprattutto presso il santuario era depositato il tesoro della lega delio-attica che poi verrà
trasferito ad Atene sotto Pericle.
Durante la guerra del Peloponneso insieme al santuario di Epidauro viene decretato sito sacro in cui non si
poteva svolgere nessuna attività contraria a quella religiosa. In quest’isola varie personalità tra cui Antigono,
Gonata e Filippo V di Macedonia costruiscono vari edifici per omaggiare gli dèi con dei monumenti.
Questo centro riveste un ruolo importante quando nel 166 viene stabilito che qui ci fosse un porto franco,
dove si potevano svolgere attività commerciali liberamente. L’isola diventa un grande centro di commercio
non solo per i Greci ma anche per gli italici; infatti, qui ben presto si crea una grande comunità di mercanti
che si insediarono nell’isola e che diedero il via ad una grande proliferazione di edifici privati e di domus.
Questo centro diventa una sede interessante perché ci sono una serie di individui, dei mercatores italici, dei
mercanti che si recano qui per trasportare e vendere le proprie merci e per acquisire nuovi oggetti che
vengono dalla Grecia e dall’Oriente.
Tra gli edifici più importanti il sito più interessante è l’AGORÀ DEGLI ITALICI →
secondo la missione francese (che ha scavato sull’isola e alla quale si deve una
grande cura nella registrazione di tutti i dati emersi negli scavi) l’agorà viene
costruita intorno alla metà del II secolo a.C. e diventa la sede di associazioni
mercantili in cui si decidevano le strategie commerciali. Qui si riunivano i principali
artefici dei grandi movimenti commerciali anche verso Occidente.
Dal punto di vista planimetrico si tratta di una grande corte scoperta a pianta
trapezoidale chiusa da un muro continuo su cui si aprono serie di ambienti ed
esedre che dovevano essere coperte da grate. In questo spazio avevano sede degli
incontri di tipo commerciale. Secondo delle ipotesi di 30 anni fa si era ipotizzato
che qui ci fosse la tratta degli schiavi, cioè che tra i prodotti venduti ci potessero essere anche tutte quelle
persone che erano state sottomesse dalle conquiste romane in Grecia o in Asia che perdevano il loro statuto
di cittadino libero e diventavano merci.
Sabone dice che a Delo potevano essere presenti anche 10 mila schiavi al giorno che venivano distribuiti e
acquistati dai vari mercatores. L’ipotesi è stata quella che in questo spazio avvenisse la contrattazione della
vendita degli schiavi nel lato occidentale dove è stata trovata una zona adibita a terme = si è ipotizzato che
gli schiavi venissero lavati prima di essere esposti nei vari padiglioni e nei vari ambienti della piazza. È solo
un‘ipotesi ma dalla metà del II secolo affluiscono a Roma e in Italia numerosi schiavi che andranno a sostituire
la manodopera pagata italica e a lavorare per le grandi ville, per i grandi possedimenti fondiari dei patroni
romani creando una nuova forza lavoro a costo zero che permetterà un enorme arricchimento da parte di
alcune famiglie che trarranno vantaggio da questa manodopera. Studi di circa 40 anni fa sulla base di studi di
alcune ville produttive hanno evidenziato che in Italia si assiste a una produzione schiavistica che permetterà
di arrivare ad accumuli di ricchezza ossia a strutture produttive di straordinaria ampiezza.
Delo è importante anche per l’architettura domestica perché qui in un arco temporale di quasi cento anni si
può registrare una costruzione di diverse abitazioni improntate allo schema
tradizionale a peristilio e che si possono ampliare nel corso dei decenni tanto
quanto si arricchiscono i proprietari che le detengono.
CASA DEL DIADUMENO, II secolo a.C., nell’isolato di Bijoux → da qui proviene una
famosa copia del Diadumeno di Policleto. La gamba sinistra manca, ma in qualche
modo viene sostituito da delle pietre, tanto per dare l'idea della statura della
statua. Una sorta di ‘pastiche’ che unisce alla riproduzione dell’opera di Policleto
la variante della faretra apollinea, qui usata per decorare il sotegno della statua.
Come per le sculture, anche la pittura in questa fase cerca di soddisfare un gusto del pubblico che richiede
soggetti temi e soggetti volti ad allietare la quotidianità e incuriosire quelli che erano gli spettatori del
prodotto finale. Questo tipo di genere ha grande fortuna in Grecia, ma del quale ci restano degli echi nella
produzione occidentale tardo-ellenistica con alcuni mosaici firmati e trovati a Pompei nel 1764 nella villa
suburbana di Cicerone.
È possibile che si trattasse di una rappresentazione di musicisti ambulanti legati al culto di Cibene per via
della presenza del cembalo, strumento sacro alla dea e che fossero inseriti all’interno di una
rappresentazione di commedia per i tratti teatrali dei volti dei personaggi.
L’artista è un personaggio che sa rendere con tessere minutissime gli effetti chiaroscurali e gli effetti delle
luci in maniera molto elevata e precisa, che ci dà l’idea di tutto il lavoro di preparazione di realizzazione dello
schema da cui egli è partito.
Altro personaggio attivo intorno alla metà del II sec. a.C. → SOSO DI PERGAMO, un mosaicista attivo a
Pergamo che realizzò diverse opere, tra le quali due citate da Plinio e che influenzarono la cultura artistica
romana tanto che furono oggetto di tante repliche.
Plinio ci dice anche che Soso inventa un tipo di mosaico che farà storia →
asàratos oikos ossia l’ambiente non spazzato. L’ambiente tricliniare che
appare come doveva risultare alla fine di un banchetto, con tutti gli scarti
del cibo a terra. C’è l’idea di
rappresentare la sporcizia di una
sala come soggetto artistico e questo è un modo di decorare le
superfici pavimentali, che troverà grande seguito a Roma e
nell’Occidente. Mostra come questo tipo di cultura sia una cultura che
cerca nuovi temi per rappresentare la quotidianità.
Questa quotidianità è fatta anche di soggetti naturalistici come i grandi “cataloghi” di pesci o animali che
ottengono statuto artistico alla pari di altri temi e soggetti. Anche qui torna la lezione dei grandi pensatori di
osservare gli animali e la natura e tutta la produzione di tipo culturale che con Alessandro e Aristotele ha
lasciato traccia.
Ci sono anche altri soggetti che possono costituire fonte di
ispirazione → mondo dell’Egitto e dell’Oriente e soprattutto il
mondo dei Tolomei diventa un soggetto che riceverà grande
attenzione anche perché nella stessa Alessandria si sviluppa una
scuola artistica che opererà non solo lì ma anche in tutto il
Mediterraneo. In vari contesti occidentali si è parlato di artisti
alessandrini nel momento in cui si riconoscevano degli stilemi
tipici di questo MOSAICO NILOTICO trovato nel 700 a Preneste,
vicino a Roma = grande santuario in onore di Iside di fortuna
primigenia, laziale del II secolo a.C. in cui vengono chiamate
maestranze alessandrine per decorare una sala in cui è stato
trovato questo pannello musivo. Questo rappresenta l’Egitto e il Nilo dall’ambientazione urbana che si nota
nella scena in basso, fino alla parte interna e più selvaggia della regione del Nilo.
Il mosaico è organizzato su diversi livelli e le ambientazioni alternano aree dove cvi sono costruzioni con serie
di personaggi. Sulla parte in fondo nell’area del porto c’è un grande edificio colonnato protetto da sorta di
grande velario sotto cui si svolgono scene di ambito religioso + serie di imbarcazioni che si avvicinano al porto.
Andando verso la parte meno abitata di Alessandria si incontrano sempre meno costruzioni e persone che
lasciano il posto ad ambientazioni agresti, naturali, selvagge dove troviamo vari animali esotici fino ad
arrivare alle terre più lontane connotate da rocce, da elementi di un paesaggio selvaggio a testimoniare
questa gradualità della rappresentazione e questa scelta di mostrare un affresco paesaggistico così
straordinario.
Sulla base dello studio di questi tratti si è pensato che nelle 3 divinità fossero rappresentati i dinasti dei
Tolomei e in particolare: Osiride che sarebbe rappresentato sulla sfinge con volto umanizzato; Tolomeo V
Epifane, regnante tra 203 e 181; Iside rappresenterebbe la madre Cleopatra che regge il trono fino a quando
il figlio Tolomeo VI raggiunge l’età matura; e Trittolemo starebbe ad indicare suo figlio che succede al trono
tra il 181 e il 160.
Questo cameo, nonostante abbia delle immagini legate al mito, è un prodotto che veicola l’apoteosi e di
autorappresentazione dei regnanti stessi.
LEZIONE 13 | 5 aprile 2022
Dal principato di Augusto si ha un periodo molto lungo che vede un progressivo ampliamento in termini di
architetture, monumenti, iconografiche che spazieranno in tutto il periodo romano.
Tradizione letteraria di Roma, che nell’età augustea di è tentato di codificare la storia romana, che si
tramandavano una serie di informazioni, che parlano della realtà delle città civiche, della civitas di Roma.
Rispetto queste informazioni letterarie, trasmesse, esiste anche dopo tutta la documentazione
archeologica, che ha avuto negli ultimi 30 anni una grande spinta innovativa. Che va grazie all’indagine
stratigrafica, che ricostruisce le testimonianze più antiche.
Informazioni letterarie e archeologiche, come fonti vanno a ricostruire la storia della città, ma che non
combaciavano.
Si ha un insieme di gruppi che si sono uniti e hanno costituito il primo gruppo.
Nel momento in cui la società complessa con la propria stratigrafia tenta di porre un ordine nelle informazioni
seleziona e predilige una certa prospettiva rispetto ad un’altra.
L’archeologia negli ultimi 30 anni ha permesso di dare delle risposte a delle questioni che la lettura delle fonti
letterarie antiche aveva posto, soprattutto dagli studiosi ottocenteschi.
1. Tradizione si sviluppa in ambito greco, e che collega nascita di Roma a dei fatti greci per eccellenza,
quali furono i ritorni degli eroi troiani dopo la guerra di Troia in patria. Nella corrente greca la nascita
di Roma si collega dalla fuga di Enea di Troia, e il suo arrivo nelle coste laziali, e l’inizio di una “nuova
Troia”.
2. Nelle terre di Roma, nell’area centro italica si sviluppa una storia di un personaggio locale, che diventa
colui nasce la città di Roma. Romolo, da cui solo in seguito viene associato ad Enea, è colui che prende
il nome da Roma, Romolus (nome dal luogo in cui nasce).
Questa duplice tradizione che ha convissuto nella cultura latina e romana, si ritrova a stridere perché
personaggi collegati a due momenti distanti. Per risolverla ci sono i grandi filologi alessandrini ed ellenistici,
che raccogliendo tutte le tradizioni sui vari miti, storie legate alla fase più antica della civiltà mediterranea.
Uno storico e intellettuale come Eratostene nel III sec a.C stabilisce la data a cui risale la caduta di Troia
da questa data si poteva far risalire tutte le vicende legate ai personaggi legati con Troia.
In età tardo ellenistica e tardo repubblicana, le 2 tradizioni quella greca e indigena si uniscono. Enea dopo
la caduta di Troia, arriva nel Lazio, conosce il re indigeno Latino e sposa la figlia Lavinia, quindi i due regni si
uniscono. In onore della moglie, fonda Lavinio (oggi in provincia di Pomezia).
Da qui inizierà questa unione, che porterà il figlio di Enea, Ascanio a fondare Albalonga. Dalla genealogia dei
re che sono 30, si arriva a Numitore che diventa l’ultimo re che un fratello minore Amulio, che spodesta il
fratello e impedisce a Rea Silvia di generare figli che potessero salire al trono. Marte si innamora di Rea Silvia,
che genera Romolo e Remo, che verranno lasciati sul Tevere in una cesta, poi raccolta da Fausto che è il
pastore che li darà alla lupa. Queste due tradizioni, greco-troiana e quella indigena si fondono e hanno una
loro coerenza storica. Dagli inizi del XI secolo si passa dai 30 re di Albalonga fino a Romolo. La figura di Romolo
è probabilmente un’invenzione, i nomi che vengono assegnati, potrebbero essere un riferimento ai fatti
storici avvenuti.
Intorno alla metà del VIII secolo si assiste ad un primo nucleo di Roma a livello urbanistico, una tradizione
vuole il 21 aprile del 753 a.C, la fondazione di Roma. A seguire gli altri re che hanno dei caratteri che la
tradizione ci trasmette e che sono il sintomo di una situazione, che non dovette essere così lineare come le
fonti ci fanno credere.
Numa Pompilio è il re che istituisce gli istituti religiosi della civitas, ispirato da Pitagora (anche se
cronologicamente non può essere) ma la tradizione tenta di ancorare la cultura della magna Grecia coloniale,
un influsso e un’importanza non secondaria per le prime fasi di Roma.
Tullio Ostilio viene ricordato come codificatore delle azioni militari, a lui vengono attribuite varie azioni di
conquista e di ampliamenti del territorio di Rom,a fino ad arrivare ad Albalonga che la tradizione vuole fargli
distruggere. Attorno a questo re si condensano tutte le difficolta di relazione tra Roma e le città vicine.
Numa Pompilio e Tullio Ostilio viene legato all’ambito sabino, e darebbe una misura per una componente
importante per questa prima fase. Anco Marzio, sembra più una componente sociale legata agli interessi
commerciali e mercantili, perché a lui si ricollega la fondazione e Ostia, e quindi il collegamento verso il mare.
I 3 re legati al mondo etrusco: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, che regnano tra le fine
del VII e la fine del 509, con la caduta di Tarquinio il Superbo. La tradizione li collega a una serie di importanti
opere nel territorio di Roma sia a livello costruttivo che infrastrutturale, anche a livello organizzativo, perché
sotto questi re vengono definite le varie componenti della cittadinanza con delle suddivisioni in tribù, ovvero
in curie. che sarà la base dell’organizzazione dell’età repubblicana
Tarquinio il Superbo, le fonti ci hanno voluto rimandare in qualsiasi modo, come un re di impronta tirannica,
ma che cercò di favorire la componente popolare rispetto alla componente aristocratica, con cui
evidentemente entrava in conflitto.
Le tappe che portano alla formazione della res pubblica, sono tappe che durano per diverso tempo e che
archeologicamente iniziano nei primi decenni del primo millennio a.C.
Nei primi due secoli si afferma nel Lazio e Etruria, la cultura villanoviana dove la componente latina avrà un
suo ruolo. da un punto di vista storiografico, trae spunto dal ritrovamento di una necropoli non lontana
da Bologna è una cultura che vede insediamenti organizzati in villaggi non molto numerosi, con capanne
distinte da necropoli e quindi dei gruppi etnici omogenei, all’interno alla loro consuetudine, e l’area che ci
interessa sono i colli che poi andranno a formare Roma.
Su questi colli sono state ritrovate diverse capanne, che sono l’espressione di questa prima componente
insediativa, che si sviluppa tra il X e IX secolo a.C. e che interessa l’area tra il Palatino e il Cermalo questo
tipo di organizzazione prevede quindi che piccoli gruppi uniti da legami familiari occupassero alcuni di questi
colli. La tipologia delle abitazioni è molto semplice. Queste capanne, di cui restano le fondazioni.
Colui che è il capo della famiglia che si insedia in questo tipo di strutture è il pater familias, colui che deteniete
tutto il possesso del patrimonio fondiario e attraverso la sua figura, vengono garantite non soltanto tutte
quelle attività che va a mantenere la famiglia anche quando non è allargata, soprattutto sono le figure che
saranno i punti di riferimento per comunità. Inizialmente doveva essere omogeneo, una società tra pa
inizialmente doveva essere omogeneo una società tra fari? ma nel giro di 150 anni il possesso allargato, nelle
mani di poche famiglie, garantisce il formarsi di una società più strutturata, che vede la formazione del
patronus, come capo e con lui stabiliscono dei rapporti di reciprocità con un rapporto di fides cioè una mutua
fiducia reciproca, che comportava il sostegno da questi uomini in caso di guerra e scontri, e invece per il
patronus implica una protezione che assicura una mutua assistenza.
Il momento di formazione di questo rapporto clientelare si forma in questi secoli (non di poveracci), ma secoli
che archeologicamente mostrano come nel giro di qualche generazione si formino dei gruppi molto potenti
nel controllo della terra, controllo e sottomissione di una parte di comunità rilevante, e queste poche famiglie
avranno la possibilità di esprimere il loro ruolo all’interno della società, visibile anche nel contesto funerario.
Queste tombe prevedevano dei vasi, all’interno dei quali, poteva esserci degli ulteriori vasi, che potevano
contenere le ossa del defunto, e quindi l’urna poteva avere la forma di vaso conico, con una copertura ad L
o a scodella. All’interno di potevano trovare nel caso maschile punte di freccia e nel caso della donna corredi
per la toilette o legati alla tessitura. È stato notato come in queste sepolture, il rito dell’incinerazione , come
uno strumento per superare il trauma della morte del congiunto, che con il fuoco si poneva una distanza
netta tra le due sfere dei mondi dei vivi e dei morti.
Esiste anche altro modo di sepoltura che è l’indice di questa distinzione per ruolo, che vede l’utilizzo di un
altro tipo di contenitore urne a forma di capanna
La produzione di oggetti in metallo all’inizio che fiorisce tra gli inizi dell’VIII secolo a.C., che presuppone dei
luoghi adatti per questa lavorazione, che non potevano essere le capanne. Probabilmente queste officine
sono l’occasione per ritrovarsi di cerchie di persone specializzate, che si preoccupano di acquisire la materia
prima, che sono in grado di realizzare questi oggetti e venderli traendone, un profitto per il gruppo che li
produce.
Gli artigiani che sapevano produrre questi oggetti, appartenevano ad una classe agiata.
Nella fase di produzione di questa società, di ritrovano degli elmi crestati, con sorta di punta allungata e
cresta segnata da file con di motivi puntinati, ovvero borchiette, che sono degli oggetti di pregio che possono
servire a coprire urna cineraria, come elemento di prestigio del defunto. Insieme agli elmi si trovano urne in
bronzo che riproducono tipologia della capanna. nel caso dell’urna a capanna in bronzo dell’area di Vulci,
è esemplificativa per vari elementi:
- Formato da più lamine, di cui nella base forma il perimetro della capanna
- Sopra questa, vengono poste delle lamine verticali, delle pareti con decorazioni a puntini impressi, e
fissati a chiodi nel bordo della base
- Sopra una sorte di culmine del tetto, che significa il punto di unione del tetto, per garantire l’uscita
di fumo dalla capanna
- Porta con cardini per l’apertura
La capacità di realizzazione di questi oggetti va a sottolineare la capacità di alto livello di realizzare queste
opere società che va sempre più articolandosi al suo interno. Intorno alla metà dell’ VIII secolo, và a
trasformarsi per 2 motivi: i nuclei di gentes, si sono organizzati in maniera sempre più complessa, definendo
i loro patrimoni e quindi le loro sfere di influenza, ma soprattutto dal secondo quarto dell’VIII secolo, queste
comunità entrano in contatto con le comunità della Grecia e quindi con le polis e il mondo greco.
Il contatto con il mondo greco e la sua trasposizione in Occidente è un elemento di grande importanza per
queste comunità di entrare in contatto con i commerci tra oriente e occidente, che già i micenei avevano
assicurato, ma soprattutto il contatto con queste polis fa sì che si avverta precocemente una necessità di
creare una città. infatti, una serie di villaggi sparsi intorno ai colli, quando queste entrano in contatto con
civiltà greca in cui avviene per tradizione fondata la città di Roma.
Il contatto con i greci implica l’acquisizione di una cultura figurativa, che va a imporsi e a sostituire quella
precedente, ma soprattutto il contatto con le colonie greche fa sì che si acquisiscano le sollecitazioni culturali,
tra cui la religione (fondativo per i greci per la costituzione delle varie città), ma che per l’Occidente diventa
acquisizione di queste divinità che si uniscono con divinità indigene già esistenti, e che vengono veicolate
questa narrazione dei miti, attraverso i poemi, che fissano quelle divinità, che saranno alla base delle diverse
soluzioni.
Per capire come questo contatto con il mondo greco è assorbito e trasferito da parte delle comunità indigene
si possono considerare due manufatti, uno che è della metà dell’VIII secolo, l’altro con una funzione religiosa
interessante.
Il carrello di Bisenzio trovato all’interno di una tomba femminile vicino a Viterbo. Rappresenta un oggetto
di tipo rituale che è stato collegato a oggetti di produzione cipriota(di area levantina). Si tratta di una sorta
di carrello che regge un bacile con forma tronco-conica,
all’interno del quale sono state trovate tracce di materiale
carbonizzato, che fa intendere che all’interno venivano
portare delle sostanze dedicate a una divinità femminile
latina, patrona della raccolta delle messi e del grano. Al di
sotto di questo carrello ci sono dei sostegni, che reggono i 4
bracci su cui è fissato il bacile. Su queste asticelle si trova un
insieme di statuette, umane e personaggi, che sono state non
comprese e che invece in anni più recenti sono state studiate
da Mario Torelli, che ha dimostrato che queste statuette
sono tra loro collegate e che rappresentano un messaggio
dell’ideologia della comunità.
Ci sono delle figure poste sui lati esterni dei supporti e altre
figure all’interno della struttura portante.
Nella parte interna sono rappresentati
animali, che si pongono sulle asticelle di
raccordo e che sono degli animali che
hanno a che fare con un mondo selvaggio;
un cervo, un ariete e un lupo verso il quale
si muove un personaggio maschile armato
rappresentato nel momento in cui sta per
scagliare una freccia con l’animale
rappresenta uno statuto di maturità
all’interno della società, e per questo passa
si status diventa un individuo adulto. In uno
dei lati si trova questo personaggio
maschile che per Torelli poteva essere
l’uomo che teneva per guinzaglio il cane
della caccia, ma potrebbe anche non essere
un animale pronto per scontro armato su
carro, quindi un cavallo.
Le altre scene mostrano l’iconografia che va a richiamare diversi momenti della vita di questo personaggio:
- accanto ad una donna portatrice di un vaso, alla quale potrebbe unirsi e che ha la funzione di portatrice di
acqua in grado di garantire acquisizione di quelli che sono gli elementi di base della vita comunitaria;
- personaggio armato ha i genitali in vista, con la donna a fianco, mentre tocca il seno e che a sua volta gli
tocca i genitali, a fianco un bambino con gli stessi attributi del padre, e in parte visto come colui che spinge
l’aratro e quindi colui che riesce a mantenere la sua famiglia
- in alto ci sono delle scimmie e degli uccelli, che richiamano la vita ultraterrena, che presiede a queste attività
- scontro tra due uomini in una sorta di ruotini, in una terra selvaggia per indicare che la situazione prevedeva
anche una sorta in contrapposizione tra nuclei confinanti.
Si tratta di un oggetto con funzione solo sacra, una sorta di portantina per le offerte sacre, è un oggetto
simbolico e rappresentativo di queste comunità, che attraverso la scansione di scene di momenti della vita
che vanno a codificare dei passaggi di status, raggiungimento di una cerca posizione nella società.
Al pater familias compito di garantire tutte le condizioni per cui tutta la famiglia potesse progredire.
Satricum, località Le Ferrerie, dal 750 a.C. nel Lazio meridionale, in una delle città fondate da Enea, è
interessante perché a partire dal VIII seolo, questo edificio si colloca sopra ad una capanna di tipo sacro,
perché pur essendo scavato nel terreno tufaceo con pavimento in terra battuta, presentava al centro una
fossa dove sono trovati vari oggetti votivi, connotandola uno spazio di culto, che verrà mantenuto perché
inglobato da edifici successivi ma riproduceva capanna secondo le tecniche edilizie allora note, che
richiamavano religiosità dei primordi di Roma, che rispecchia una tradizione ricordata da Ovidio come
esprime nella descrizione del tempio di Vesto nel Foro di Roma. C’è l’idea che ci potesse essere un luogo dove
avvenivano i rituali e da qui si capisce quella che è la prima forma di una ritualità che non è più una ritualità
di un gruppo sociale, ristretto ma prima forma di comunità allargata.
LEZIONE 14 | 6 aprile 2022
La capanna come punto di riferimento e il possedimento privato della terra (non della comunità come
succedeva nella società precedente dell’età del bronzo dove ci sono esempi di capanne più grandi che
accolgono al loro interno più nuclei con organizzazione condivisa) determinano gli elementi costituitivi di
questi primi gruppi. In caso di soggetti che hanno un particolare peso all’interno del gruppo possono
rappresentare delle immagini al di sopra della loro entrata, che richiamano una protezione divina di quella
famiglia attraverso la statua dell’antenato.
Tre elementi importanti: la famiglia, il possedimento privato della terra e la funzione del sacro come
elemento che delinea meglio determinate famiglie ma che soprattutto dà a queste famiglie un’autorevolezza,
una capacità per sangue di comando.
Questa situazione che interessa i colli intorno a Roma (Palatino, Campidoglio, Velia, ecc.) sono popolati da
gruppi con un’occupazione delle terre non abitate per le necropoli (fino alla metà del VIII secolo sono anche
nella zona del Foro). Si ha un mutamento sostanziale quando dalla metà del VIII secolo questi gruppi vengono
sollecitati dalla colonizzazione greca = quindi dalla costituzione ex novo di poleis, che vengono realizzate con
una pianificazione chiara dello spazio della città. Mentre nella situazione laziale più gruppi abitano con ethnos
diverso per ogni villaggio, nel caso delle poleis greche esse sono il frutto di uno spostamento di gruppi
omogenei (perché da una medesima città) e quindi trasferiscono in queste nuove metropoli (apoikiai) dalle
città di origine elementi costituitivi di questi gruppi. Nel caso di Roma sarà diverso e la figura di Romolo, che
è colui che la tradizione riconosce come l’ecista della città, è una persona mitica, mai esistita alla quale viene
dato il compito di unire questi gruppi e creare una nuova cittadinanza con insieme di tradizioni diverse.
Questa situazione della fase romulea vede l’affermarsi di soggetti che esprimono attraverso una figura un
loro volere e questi gruppi che sono capeggiati da principes (“primi tra gruppi”) sono esponenti di quella che
in futuro sarà il patriziato, l’aristocrazia. Questi gruppi sono costitutivi delle gentes, dei gruppi dominanti che
possono essere sia consanguinei, appartenenti ad una stessa famiglia allargata ovvero ad un certo punto
potranno far confluire anche persone non strettamente consanguinee ma comunque a loro associate si
riconoscono in un elemento comune che sono i sacra (termine latino, neutro plurale = insieme dei culti che
connotano un preciso gruppo sociale ossia la cittadinanza) → sacra gentilicia (della gens, della famiglia
allargata) attraverso i quali si ha un collante per questa fase.
In questi sacra si riconosceranno sia gli esponenti di spicco di queste gentes che i clientes di questi gruppi,
cioè le persone non consanguinee ma che riconoscono nel patronus il proprio punto di riferimento.
Attraverso quel mutuo scambio di sostegno basato su rapporto di fides accolgono anche i sacra del patronus
e attraverso un complesso sistema solidale ricevono dal patronus una protezione, aiuti economici in termini
di beni e in cambio assicurano il sostegno al patronus sia a livello militare che politico.
Questo processo che porterà alla fondazione di Roma nel 753 è frutto di una situazione che si forma in un
lasso di tempo abbastanza ristretto nella misura in cui si avverte questa necessità di modificare i sistemi sulla
base dell’esempio greco. All’interno di questo processo l’archeologia ha avuto un ruolo importante.
Se nella saga di Enea alcuni personaggi vengono nominati a proposito dell’iniziale rapporto di contesa tra il
nuovo arrivato e le popolazioni locali e si menziona Mezenzio, il ritrovamento di oggetti su cui può comparire
una forma mediata di questo nome come:
Vaso da Caere = con iscrizione di un personaggio che ha nome Laucie Mezentie. Dà una
consistenza materiale circa la tradizione che pone molto prima questo tipo di
personaggi. È una tradizione che si basava su una realtà storica che l’archeologia
dimostra e che permette di inquadrare personaggi all’interno di una società complessa
come quella laziale.
La tradizione greca e la tradizione indigena, che riuniscono l’eroe troiano alla genealogia che porterà a
Romolo, individuano nei successori di Enea coloro che creeranno una stirpe che arriva fino all’VIII secolo.
All’interno del quadro mitico l’archeologia ha dato il suo contributo in termini di tracce materiali. Queste
tracce confermano le datazioni della tradizione che individuano i sette re di Roma:
In queste figure sono espressione delle diverse componenti etniche che vengono chiamate a fondare la nuova
città (Etruschi, Latini, Sabini) confluiscono delle sollecitazioni.
Per i primi re, la loro ascesa è mediata da una sorta di elezione tra patres = non è un fattore di lignaggio,
segno che la Roma dei primordi ha bisogno di consolidare queste figure di governo perché devono cementare
la comunità in quanto esprime un proprio rappresentante.
ROMOLO = è l’ecista, colui che fonda la città di Roma. Molti autori (Ovidio, Catone, Tacito) pongono nella
figura di Romolo colui che ha effettivamente fondato la città. Come sempre questa fondazione doveva
avvenire con un’investitura divina nel senso che, se le fonti attribuiscono a Romolo la definizione della Roma
quadrata ovvero del Pomerium, questo atto è un atto possibile perché Romolo è espressione di una volontà
divina infatti è lui stesso un sacerdote. → la tradizione dice che nel momento in cui delimita attraverso delle
pratiche lo spazio della Roma degli inizi lo fa attraverso dei rituali. Il rituale prevedeva che Romolo aggiogasse
una vacca e un toro che con l’aratro dovevano delimitare un sulcus, un solco nel terreno che è l’espressione
di un’osservazione della volontà divina che prevedeva che il sacerdote (o augure) riconoscesse nel cielo una
linea attraverso l’osservazione del volo degli uccelli. Quella linea doveva essere proiettata sulla terra
delimitando il perimetro della futura città. Questo perimetro interno comprende anche uno spazio esterno
chiamato pomerium (“oltre il muro”), che era una fascia libera che delimitava uno spazio esterno rispetto
all’interno della città. Essa è individuata attraverso il sulcus primigenius fatta di quattro angoli (sono dei
luoghi inaugurati, luoghi riconosciuti dai sacerdoti come luoghi resi sacri
attraverso questa ritualità):
- Ara Consi – area del dio Consi che sarà poi il Circus Maximus
(Circo Massimo);
- Ara Maxima Herculis, area di Ercole, che è il punto alla
confluenza delle due aree future del Foro Boario presso la riva
del Tevere;
- le Curiae Veteres, collocate dove oggi c’è l’arco di Costantino);
- Sacellum Larundae, il sacello di Larunda legata ai Lari, dove
sorgerà il Foro Romano.
Questa città, che viene fondata con un rito religioso che necessita di avere in Romolo il sacerdote ci dà l’idea
di quella che doveva essere la conformità dell’atto rispetto a delle regole rituali ben definite, in cui il
sacerdote con un bastone ricurvo e lituo per tracciare linea nel cielo che poi doveva essere proiettata sulla
terra partendo da Oriente e arrivando ad Occidente.
Rispetto a questa delimitazione l’azione del sacerdote di osservare il cielo e di proiettarne la forma sulla terra
equivale nel dizionario latino a “specchio”.
Questo livello rituale implica che gli auguri fossero esperti della misurazione della terra e si capisce il fatto
che questa capacità di misurare la terra fosse una conoscenza che da tempo era in atto presso queste
popolazioni che affidavano ai sacerdoti la conoscenza di questo sapere tecnico basato sulla geometria e
sull’agrimensura. Gli auguri sono gli unici depositari di questo sapere. Aldilà delle conoscenze delle prassi
ordinaria, anche queste erano un bagaglio assodato da queste genti. L’azione rituale della definizione della
Roma quadrata viene sottoposta sotto l’egida di Romolo che assicura che questo tipo di spazio sia
riconosciuto dalla comunità (perché essa affida all’augure la giusta misurazione della città).
Questa fondazione (21 aprile 753 a.C.) è frutto di un atto simbolico, di un sinecismo, di una molteplicità di
ethnos che formano questo nuovo nucleo cittadino.
Intorno al 725 a.C. nell’area del Palatium esistesse una prima delimitazione muraria della città che doveva
prevedere una palificata lignea intesa come pre-circuito murario. Secondo gli scavi, il primo tratto di muro
subisce diverse trasformazioni anche nel corso del VII secolo con le fondazioni in scaglie di pietra e alzato in
cortine di argilla con riempimento interno. Questo tipo di erezione prevede anche delle azioni rituali ogni
volta che si interviene su questa cortina muraria a sottolineare il fatto che non era semplicemente un’opera
difensiva ma un’opera costitutiva della città, che affidava all’ambito divino non solo l’operazione stessa della
rifondazione ma anche attraverso il placet della divinità riconosceva in questa costruzione un elemento
costitutivo della componente comunitaria.
A partire dalla metà dell’VIII secolo, l’archeologia riconosce una tendenza sempre più massiccia a liberare
spazi delle necropoli (che saranno poi spazi comunitari) che precedentemente erano sorte al di fuori dello
spazio dei villaggi. Soprattutto dal VII, anche la zona del foro vedrà la creazione di sistemi di drenaggio, volti
a risanare una zona che era tendente a impaludamento per la presenza di corsi d’acqua.
Fin dai primordi della Roma arcaica, l’area del Foro avrà dei luoghi che saranno costitutivi della Roma
repubblicana:
Roma continuerà ad avere questa prospettiva, a meno che lo scontro con alcune popolazioni fosse stato
talmente dirompente da non lasciare possibilità di mediazione. Roma opera attraverso il sacro accorpa
all’interno del proprio Pantheon tutte quelle divinità indigene che partecipano nella quotidianità delle
popolazioni conquistate, e che nel momento in cui vengono non solo non abolite ma inglobate all’interno
della macchina religiosa e cultuale vengono legittimate e partecipano anche a livello di sentimento delle
comunità conquistate alla progressiva fase di romanizzazione.
Nascono come una civiltà multietnica, che inizialmente è ristretta. Secondo la tradizione, Romolo rapisce le
donne dei Sabini perché gli uomini erano abbastanza poche per iniziare la comunità. L’unione di Romani e
Sabini implica una prima unione di due etnie e questo processo assicurerà fino alla piena età imperiale un
rapporto solidale delle città. Nel momento in questi gruppi entrano a far parte di un sistema che garantisce
loro un ordinamento giuridico sicuro (Roma ha le leggi delle 12 tavole dal V secolo a.C.) e questo sistema di
delimitazione sacra della terra e le conoscenze di una geometria applicata per la proprietà privata ci dà le
misure di una società che ha una sua forma mentis ben organizzata. Queste popolazioni avvertono lo scarto
tra una macchina organizzativa che assicura un sistema di benessere generalizzato (nel VI secolo viene fatta
la cloaca massima) e quindi anche a livello igienico il trasferimento di queste conoscenze ad altri popoli
permette un benessere in termini di sanità generale.
Questa fondazione che viene gestita attraverso l’ecista implica che la città sia un luogo privilegiato per
comprendere altre situazioni dell’Italia centrale e che vedono nell’arco di 150 anni, dalla metà del VIII alla
fine del VI il divenire di una cultura molto complessa.
Il VII secolo a.C. vede l’affermarsi di conoscenze che sono mediate dal mondo greco. Plinio nel libro XXXV
racconta che intorno alla metà del VII secolo arriva da Corinto un personaggio chiamato Demarato di Corinto,
che scappa dalla propria città e trova rifugio a Tarquinia. Qui sposa una nobildonna locale dalla quale unione
nasce Tarquinio Prisco, il futuro re di Roma. Sono due persone di rango ma l’arrivo di Demarato è
interessante, non solo perché greco che arriva in Occidente (non è un greco qualunque, ma proveniente da
città attiva nel recepire tutte le sollecitazioni del mondo persiano che vengono trasferite prima in Grecia e
poi in Occidente attraverso la ceramica). Plinio ci trasmette una tradizione riportata per secoli che racchiude
nel fondo della sua espressione un probabile elemento di verità. = Demarato come personaggio che richiama
una certa sensibilità e cultura. Infatti, insieme a lui arrivano degli artisti con nomi parlanti:
Costoro arrivano con Demarato e portano delle conoscenze. Se attraverso i nomi si capiscono quali
conoscenze arrivano in Occidente, non deve sfuggire che anche in Grecia nello stesso periodo la tradizone
ricorda la figura di Dedalo, colui che sa ben modellare. Questo aspetto aiuta a capire come in questa fase
vengano attribuite delle conoscenze a persone che si chiamano con un termine che indica le loro abilità e che
quindi veicolano attraverso il loro nomen delle conoscenze. A costoro i principes etruschi si affidano perché
hanno quella conoscenza che serve a esplicitare al meglio la loro forma di potere. Lo fanno attraverso opere
grandi: opere di tipo palaziale ma soprattutto di tipo funerario perché questa conoscenza tecnica, artistica e
architettonica dà la possibilità di esprimere il potere dei principes, che utilizzano queste conoscenze per
creare dei veri e propri paesaggi del potere. → espressione che gli archeologi hanno coniato per indicare il
fatto che con il VII secolo ci sono delle trasformazioni in termini non solo di capacità di esprimere sé stessi
attraverso delle forme simboliche, ma anche attraverso la costituzione di espressioni concrete e
monumentali di questo potere. Lo studio dell’arte romana fa i conti con lo studio dell’arte etrusca.
È una tomba rettangolare (5,45x4 metri) costituita da blocchi in calcare e tufo che possono raggiungere
altezza di 2 metri. Questi blocchi delimitavano la tomba, ma poi sono stati utilizzati anche per riempire la
tomba, che è stata scavata agli inizi dell’800 e quindi ha subito uno scavo che non ha aiutato a comprendere
tutte le fasi di deposizione del defunto. Egli doveva essere posto su una sorta di banchina con oggetti
intenzionalmente frantumati perché erano stati usati solo per quella cerimonia funeraria e per non essere
utilizzati in seguito.
Sul fondo della tomba sono stati trovati 123 oggetti tra cui: 15 in oro, 4 in argento
dorato (foto), 22 in argento, 33 in bronzo, 27 in avorio e 15 in altri materiali.
È una sepoltura che prevede uno scavo nel banco tufaceo dello
spazio della tomba, con una banchina su cui era deposta la defunta.
C’è una serie di vasi frantumati che andavano a ridefinire l’atto
rituale della sepoltura + una serie di oggetti di altissimo prestigio: è
stata rilevata la presenza di una partizione di un trono, ma anche di
un carro nuziale (sx), alcuni scudi appoggiati alla parete che
dovevano trasmettere un ruolo verticistico della defunta e una serie
di altri oggetti e vasi per il consumo del vino per attività conviviali di
cui la donna doveva aver fatto parte. Sono oggetti necessari ad
accompagnare la defunta nel suo viaggio ultraterreno. È una tomba
a inumazione, non a incinerazione.
La cerimonia della sepoltura doveva costituire un’affermazione molto forte del ruolo della defunta e in
particolare della sua famiglia.
Tra i vari oggetti che sono stati trovati c’era un bracciale: nella parte superiore ha una
Potnia theròn (una signora degli animali = Artemide) sotto cui si pongono delle sfilate
di giovani che compiono una danza all’interno di motivi ornamentali.
Il paesaggio del potere di un gruppo del VII secolo che occupa Cerveteri, è un paesaggio
che si connota attraverso questi grandi tumuli, più o meno estesi, i quali all’interno
hanno delle costruzioni intagliate nel tufo, con copertura sovrastante all’interno dei quali ci sono oggetti di
grandissimo valore che denotano l’ostentazione della ricchezza da parte di questi gruppi di principes.
Nell’area tra Lazio settentrionale ed Etruria meridionale (Toscana meridionale) si trovano due siti scavati negli
anni ’60 del ‘900. → Questi due siti sono importanti per comprendere due momenti e modalità di
rappresentare lo spazio del potere in quanto sede della reggia, della famiglia dominante.
Questi due siti mostrano come in una fase che va dalla seconda metà del VII secolo alla prima metà del VI
questi principes non si possano più accontentare di capanne ma si facciano costruire da architetti diopoei
(che sanno ‘traguardare’) dei palazzi.
Questo tipo di edificio che ha una parte per i vivi e una per i morti, è un
complesso che, attraverso le immagini, veicola il potere e le immagini possono
tradursi in monumenti scultorei come le statue ma anche attraverso lastre
figurate sul tetto, sulle quali sono rappresentati ancora scene importanti della
vita del signore del palazzo. → scene di banchetto non diverse rispetto ad
altre immagini di simposio del mondo greco con i signori che pranzano e
brindano distesi sulle klinai, con inservienti che recano i vasi su cui bere. +
rappresentazioni di divinità in trono che assistono alla cerimonialità dei vivi +
rappresentazione di un momento fondamentale del matrimonio = arrivo della
sposa nella casa del suo futuro marito. La sposa arriva in carrozza, ed è seguita
e preceduta da inservienti, persone della sua famiglia che recano doni.
Attraverso questo momento raffigurato per essere eternizzato si consolida il
gruppo familiare e si dà inizio a nuova famiglia che proseguirà la stirpe e che
garantirà sistema di lignaggio.
Per questa fase questo caso richiama quell’idea del nucleo familiare che è la cellula da cui parte il potere del
signore e che rappresenta attraverso i membri il potere sia che sia la famiglia dei vivi, (il matrimonio e il
banchetto), sia che sia la famiglia degli antenati divinizzati che partecipano a questa esaltazione del potere
del rex.
ACQUAROSSA (VITERBO). Il palazzo della metà del VI a.C., intorno al 560 a.C.
Qualcosa sembra cambiare nell’altro contesto successivo ad Acquarossa, in cui questo palazzo non è l’unica
evidenza architettonica residenziale presente nell’area perché è circondato da altre abitazioni di minore
complessità architettonica e decorativa. Questo dimostra che è un abitato non limitato al palazzo ma che
interagisce con altre strutture abitative.
Il palazzo è costituito da due corpi di fabbrica disposti a L, affacciati su un cortile che sembra essere porticato,
in cui troviamo la tripartizione dei locali (cfr. Murlo). Il locale principale è più ampio dell’altro, ma è
evidenziato rispetto agli altri, perché al centro dell’ingresso vi è una colonna (ci resta la base) che va ad essere
un elemento di prestigio nello spazio abitativo rispetto agli altri vani che non hanno questo apprezzamento
architettonico. Così richiama la tripartizione di locali ma soprattutto chiarisce che quella era la sala di
ricevimento principale per il re.
Egli nel vano di dx (rosso) doveva svolgere probabilmente
i banchetti, perché le tracce di muro sono le tracce di una
banchina a U, che ricorda la stessa disposizione delle klinai
che connota il triclinio di epoca storica.
La centralità di questa attestazione di Acquarossa è importante per capire come nell’arco di una generazione
cambi anche la prospettiva di come questi principes si pongono di fronte al resto della popolazione
proponendosi come capi popolo perché hanno delle capacità militari, governative, politiche e sociali maggiori
degli altri (ottenute perché sono stati chiamati a dare prova di questa loro bravura).
Intorno alla metà del VI secolo si afferma una mentalità per la quale il potere deve essere dimostrato (non è
più acquisito). Non è un caso che siano gli stessi anni in cui al trono di Roma vi sia Servio Tullio. Secondo la
tradizione è il figlio di una schiava che aveva una genealogia nobile ma in termini concreti è l’espressione del
ceto che si sta costituendo come l’altra forza propulsiva della città = classe popolare, media di cui fanno parte
anche mercanti e artigiani, coloro che garantiscono scambio di merci e arricchimento di singoli gruppi
familiari di più ampie associazioni di famiglie.
In questo torno di tempo si assiste ad affermazione di un ruolo di questa compagine sociale che finirà per
contrapporsi al patriziato della Roma repubblicana e che acquisirà pari diritti (patrizi e plebei) in un periodo
di tempo non così breve. In questo periodo cambia qualcosa in termini di ideologia e di affermazione del
potere.
Se fino al VII secolo e inizi del VI attorno a questi principes si concentra la produzione sia di lusso, che per la
committenza locale perché sono queste figure che attirano gli artigiani e gli artisti, dalla seconda metà del VI
si assiste a un mutamento che fa sì che siano i luoghi di culto gli spazi in cui avvengono gli incontri e gli scambi
che questa volta vengono sottoposti sotto l’egida di divinità (non del princeps). → È estremamente
interessante analizzare questi insediamenti, queste tracce archeologiche non solo come espressione artistica
di un determinato periodo storico, ma come una traccia di un approccio alle necessità della società che le
esprime, che le produce, la quale società veicola un determinato sentire condiviso attraverso monumenti e
iconografie.
LAVINIO, PRATICA DI MARE (POMEZIA) → città dove Enea insieme a Lavinia viene fondano la prima
comunità da cui avrà seguito la genealogia di Roma. È stato scavato negli anni ’50-’60. Si trova a Pratica di
Mare, dove uno storico, Diodoro Siculo, dice che qui esisteva un luogo di culto in onore di Enea in quanto
fondatore della stirpe dei futuri romani. Era affiancato da una serie di edifici, tra cui delle aree tutte orientate
verso est costruite tra il VI e III secolo a.C. che erano una memoria di un sacrificio che Enea aveva già realizzato
nella costituzione della città e alla quale seguono altre fasi edilizie.
HEROON DI ENEA
Si ha un contesto, dove pur avendo tante fasi edilizie, ma che iniziano dal
riconoscimento di una tomba di un eroe proprio perché ha un apparato sontuoso che
consente di individuarlo come personaggio di rango, si assiste alla formazione di un
modo di svolgere attività di culto a livello comunitario che vanno oltre il ristretto nucleo famigliare. → Il sacro
diventa il luogo dove la comunità si riconosce, attraverso il quale definisce delle proprie regole. Sono delle
regole che fanno parte della comunità.
Altro esempio interessante a Roma → AREA SACRA DI S. OMOBONO (zona del Foro Boario)
Intorno al 570 a.C. vengono costruiti dei templi gemellari preceduti da due
altari a forma di U e che secondo la tradizione sarebbero appartenuti a
Fortuna (dedicato da Servio Tullio, in quanto era la sua personale divinità
protettrice) e a Mater Matutae (divinità legata ai mercanti stranieri).
Le tre celle erano dedicate alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. La
triade si troverà in quasi tutte le città dell’impero. Se la presenza del colonnato
è un richiamo alla peristasi greca, in questo caso la peristasi non occupa tutti e
quattro i lati perché è un periptero sine postico (senza la parte posteriore della
peristasi), che è un adattamento alla configurazione del tempio greco.
La datazione tradizionale dice che spetta a Tarquinio Prisco il voto e l’inizio dell’opera. L’archeologia afferma
che probabilmente è alla fine del VI secolo viene realmente costruito forse sotto il regno di Tarquinio il
Superbo e completato soltanto nei primi anni della repubblica tra 509 e 500 a.C.
Plinio dice che spetta a un artista etrusco di Veio, un certo Vulca la realizzazione della statua di culto in onore
di Giove che era in questo caso in terracotta e con le tinte prevalenti del rosso. Gli viene attribuita anche una
quadriga sul culmine del tetto, che verrà sostituita da quadrighe in bronzo dorato in epoche successive.
È importante sottolineare che le maestranze che realizzano questo edificio e l’apparato decorativo non sono
di Roma ma maestranze esterne. Questo significa che Roma non aveva ancora raggiunto un’autonomia e un
grado di capacità artistica/artigianale di questo livello. Solo nel IV secolo si avrà un’indicazione iscritta di un
artista che si firma come originario di Roma.
La storia del Capitolium prosegue nei secoli: subisce un primo incendio nel 83 a.C. con nuova dedica nel 69
a.C. e in seguito subisce un altro incendio per la cui ricostruzione interviene Vespasiano,
che lo restaura a spese pubbliche.
La raffigurazione di come poteva presentarsi ci è tramandata sia dalle monete sia da alcuni
rilievi, sullo sfondo dei quali la facciata del tempio compare.
Oltre al Capitolium, anche lo spazio del FORO è nel VI secolo è un luogo importante. A questo secolo risale la
planimetria della Regia e quindi si data intorno al 570 a.C.
Era collegato con il fronte aperto sulla via sacra costituito da un vano di
ingresso + altri due vani laterali destinati a conservare le cose sacre di Marte
e Oxconsiva (?). Subì nei secoli una serie di rifacimenti. Anche qui vi sono
delle lastre (cfr. palazzi Murlo) → in cui sono rappresentate scene legate a
Teseo: scena di Teseo e Minotauro, VI secolo. Ancora una volta la
testimonianza è quella in base alla quale se questo spazio sorge inizialmente come la casa del rex, in cui
vengono accentrate tutte le varie prerogative compresa quella sacra, a un certo punto questo spazio viene
gestito dal rex sacrorum, un magistrato che ha specificatamente questa funzione. Quindi in età repubblicana
avrà una sua autonomia e una sua gestione separata.
Da un punto di vista tipologico, è stato notato che questa forma trapezoidale richiama quella del Prytaneios
di Atene della fase arcaica, che ha la stessa forma con all’interno un porticato sui lati lunghi e che potrebbe
richiamare una scelta delle forme architettoniche previste per questi luoghi in cui si gestiva il potere.
Idea dello spazio sacro del tempio etrusco-italico – su questa costruzione si riesce a cogliere una serie di
elementi che legano la costituzione degli edifici principali del mondo: la casa, il tempio, la tomba in maniera
chiara.
Varrone (vive nel I sec. a.C.) scrive moltissimo ma uno di questi (De Lingua Latina)
contiene un passo in cui viene descritto il tempio tuscanico e le sue caratteristiche.
Egli spiega che, prima di tutto, la parola che indica il nostro “tempio” non coincide
con l’accezione che il templum ha in latino. Templum = spazio sacro, tale perché
ritagliato rispetto al resto dello spazio circostante. È uno spazio ritagliato perché è
l’espressione della divinità sulla terra. Il templum che ha origine dal greco temno che
significa ‘taglio’ è uno spazio che, come tale, non è necessariamente costruito. Infatti,
non tutti i templa sono templi, e non tutti i templi sono degli edifici monumentali nel
senso del termine.
Un templum può anche essere un’area sacra definita da alcuni elementi costitutivi
come l’altare, ma è sacra perché ritagliata rispetto al resto. Lo spazio destinato alla divinità viene liberato da
spiriti negativi attraverso rituali che gli auguri compiono e per questo è uno spazio liberato dagli spiriti e
anche ritagliato rispetto ai punti cardinali. Per questo, diversamente dal mondo greco, questo templum deve
avere un basamento che lo pone a un livello superiore rispetto al piano pavimentale su cui poggiano i piedi
dei fedeli → podium è parte integrante nella costruzione templare.
L’organizzazione delle parti del tempio, che possono avere un’ampia area vestibolare porticata che dà
accesso alla cella tripartita. È un elemento che può essere costitutivo di un tempio ma si può avere anche
tempio con unica cella che non necessariamente deve essere tripartita. Questa originaria tripartizione è
interessante perché richiama quella tripartizione dell’hiwan, che viene importata dall’Oriente e che ritrova
nell’Occidente e nella mentalità romana un’espressione particolare. Questa espressione si ritrova anche nello
spazio funerario, laddove si vede che aldilà delle iniziali tombe delle celle a forma quasi circolare si
impongono delle tombe che hanno questa stessa tripartizione con lungo ingresso (dromos) su cui si possono
affacciare dei vani laterali + un’area porticata. → TOMBA DEI CAPITELLI nella
necropoli della Banditaccia, Cerveteri, 600-570 a.C. = è sottoterra e viene scavata
direttamente nel tufo, in cui si ricavano i letti e le banchine funerarie su cui vengono
posti i defunti. Nello spazio del porticato ci sono ancora degli elementi colonnari, che
servono a presentare e rendere sontuoso l’ingresso verso l’interno.
È un interno tripartito, in cui il vano principale è quello centrale,
affiancato da altri due vani in cui trovano posto le atre tombe.
Le sollecitazioni che vengono dall’Oriente sono molte. Dalla cella tripartita (nelle tombe, nello spazio sacro e
nelle abitazioni) si concretizza la rappresentazione del potere, che ha una sua attestazione nell’ambito
privato. → DOMUS 3 alle pendici del Palatino, già della fase arcaica del VI secolo. Mostra uno schema sia
assiale rispetto ad area del vestibolo con il vano principale sul fondo dell’asse e ai cui lati si aprono le are.
L’articolazione della casa segue il sistema tripartito, rispetto a una fronte su cui si aprono le taverne, i luoghi
in cui il padrone vende o commercia dei prodotti; infatti, affacciati sulla strada + stanze laterali per i beni di
necessità della famiglia e destinate al riposo (cubicola). A sud nella parte sul fondo dell’abitazione c’è il
tablino affiancato da sx da un triclinio, da una sala conviviale e a destra l’area di
gestione femminile con cucina e bagni legati alla produzione tessile, che partecipano
dell’attività del padrone di casa e di tutte le sue relazioni con persone di rango
inferiore che accedono all’interno dell’abitazione. E poi vi è il grande hortus usato
anche per la coltivazione e trasformato poi in giardino.
Qui si svolgevano le corse su quadrighe dei carri, che in età imperiale erano divise in quattro fazioni/colori:
rosso, bianco, verde e azzurro. Queste 4 fazioni sono come le squadre di calcio di oggi, che avevano dei
sostenitori agguerriti tanto che anche nelle case più nobili abbiamo dei mosaici con le corse dei carri con
l’enfatizzazione di una fazione rispetto all’altra a testimoniare che erano delle corse sentite ma anche
patrocinate da alcune famiglie che attraverso questi finanziamenti si ricavavano un sostegno politico dalla
plebe.
Questi secoli tra meta dell’VIII e la fine del VI ci permettono di seguire le varie tappe che portano alla
creazione della res pubblica e di acquisire dati per ricostruire i cambiamenti ideologici attraverso opere
architettoniche, scultoree e decorative di questa società che si forma e che nel giro di 150 anni si afferma nel
Lazio in maniera importante. Dal 509 diventerà un’interlocutrice temibile per le altre città della magna Grecia
e della Sicilia e poi di tutta la Grecia che conquisterà.
LEZIONE 15 | 12 aprile 2022
Si tratta di una fase, frutto di un processo che non accetta più un tipo di potere autarchico come quello dei
principes. La fase che porta alla costituzione della repubblica, è un passaggio che necessiterà una serie di
assestamenti, dal punto di vista giuridico e istituzionale, e sia dal punto di vista architettonico.
Per il Capitolium le maestranze non erano romane ma alloctone, etrusche che avevano una sapienza e una
conoscenza di tutto quello che riguardava le opere scultoree, che aveva assunto molti dei caratteri della
cultura greca e che venivano trasposte nel mondo latino/occidentale.
Santuario di Portonaccio, Veio (poco a nord di Roma), 510-500 a.C in una delle città etrusche più
importanti, ci permetti di comprendere come la realtà di Roma, sia una realtà che aveva molte influenze della
civiltà etrusca, aveva delle proprie specificità e
caratteristiche.
Le divinità principali sono tre : nella posizione centrale sono presenti le statue di Apollo che si scontrano con
Eracle, rappresentando la versione del mito di Eracle poco diffusa, lo scontro è dovuto alla conquista di una
cerva. La figura di Apollo che viene ritratto secondo il gusto tardo-arcaico che ci ricorda l’iconografia della
parte greca, ci dà la misura della forza greca in termini di scultura.
Si è fatto il nome di Vulca, come lo scultore locale che probabilmente ha realizzato questo ciclo scultoreo,
come quello del Capitolium.
Se a Delfi si ha il suo fulcro sull’idea dell’acqua, anche qui si cerca di riproporre una funzione oracolare in una
terra che non è Delfi, si afferma una implicita volontà di richiamarsi al mondo greco culturale e artistico per
l’occidente italico.
La cultura laziale alla fine del VI secolo, è sollecitata da tante spinte che non sono spinte solo artistiche,
religiose, ma sono anche spinte che devono mettere a sistema una realtà sociale, politica di una Roma appena
formata, che mette in campo due fazioni distinte: quelle dei patrizi e plebei. Nel momento in cui i Tarquini
vengono cacciati si formano questi due gruppi sociali, che inizialmente devono trovare un assetto
istituzionale, è stato un processo abbastanza lungo, non si è passato subito da re a console. Si ha una fase di
assestamento che gli storici hanno ricostruito, in base alle istanze di quelle famiglie che erano nella cerchia
del potere del re, le famiglie aristocratiche che decidono che questo sistema non risponde più alle esigenze,
partecipando alla caduta dei tarquini.
Gli storici hanno sottolineato, analizzando una serie di fonti, come l’aristocrazia abbia cercato di
impossessarsi del controllo delle nuove
magistrature, cariche repubblicane che si
stavano definendo e di creare casta chiusa di
controllo di queste cariche, per continuare a
mantenere potere di tipo gentilizio.
1. Foro
2. Aventino
3. Campo Marzio
Sul podio era possibile apporre le lastre che riportavano le leggi approvate dal Senato, in modo che i cittadini
potessero prenderne visione.
Saturno era una divinità prescelta dalla fazione aristocratica, perché avvertita come divinità ancestrale che
aveva costituito Roma. Dal 17 dicembre venivano festeggiati i Saturnalia festività avvertita, dove si
scambiavano dei doni sigillaria (statue in terracotta) servivano come dono ben augurante per l’anno
successivo. Festività sentita, perché si invertivano i ruoli sociali, perché schiavi non erano più schiavi ma i
padroni potevano allestire dei banchetti per i propri schiavi. Divinità che va a marcare il lato ovest del foro.
Dalla parte opposta del tempio, c’è edificio importante per il potere dell’aristocrazia Tempio dei Dioscuri.
I Dioscuri, sono una divinità di origine greca, una coppia gemellare maschile, che presiede la cavalleria, per
la componente romana latina, i Dioscuri nella loro natura, proteggono la cavalleria, nella parte ricca degli
aristocratici.
La tradizione dice che romani e latini si scontrano, presso il lago Regillo nel 499, e in quella occasione una
coppia di cavalieri appare all’esercito romano, come segnale della probabile vittoria della cavalleria romana
in questo scontro e da qui nasce il voto di dedicare ai Dioscuri un tempio in caso di vittoria, per glorificare e
rimarcare il ruolo della cavalleria per la componente sociale. Le fonti dicono anche che i due cavalieri con i
due cavalli, sarebbero stati visti in un’area del foro dove c’era una sorgente Giuturna, per abbeverare i cavalli
e che è stata poi monumentalizzata in età repubblicana per sottolineare l’importanza divina gesta.
Le statue che dovevano abbellire il tempio vengono trovate in pezzi all’interno della fontana, porta. In epoca
successiva nell’area, era stato costruito un tempietto per la ninfa Giuturna. Le fonti ci dicono, se nel tempio
di Saturno c’era la sede dell’erario, qui era stata realizzata una struttura annessa al tempio, relativa alla
stazium acquaria, alla gestione delle acque della città.
All’interno dello spazio del foro esistono dei marcatori dello spazio, funzionali ad esprimere la rilevanza
dell’aristocrazia nel controllo delle manifestazioni del potere repubblicano.
AVENTINONel 495-494, i plebei si organizzano e si impossessano dell’altro colle che è l’Aventino e
decidono di nominare di propri rappresentantii tribuni/magistrati che sono contrapposti ai consoli e
anch’essi giurano su delle leggi sacre, che vincolano l’operato dei loro rappresentanti. All’interno di questa
area svolgono il concilium plebis, le riunioni della plebe, che era la componente che controllava tutti i traffici
commerciali ed era una componente sociale molto rilevante.
Gli storici dell’arte antica, hanno richiamato come esempio dei resti frammentari da luoghi uno da Roma e
da Faleris Veteres, in cui a sinistra di vede un frammento dell’Amazzone ferita dal tempio dell’Esquilino (luogo
di sepoltura), e dell’altra parte un frammento di un combattimento.
Luogo con sede di tutte le attività militari, e qui vengono celebrati anche i trionfi delle azioni militari, portati
all’interno della città dove venivano offerte alla triade capitolina i doni come tributi di guerra.
La cittadinanza cerca di espandere l’occupazione del territorio, riconoscendo delle funzioni di aree al posto
di altre quindi una polarizzazione della città.
All’interno di queste procedure che prevedevano una serie di tappe per arrivare a costruire un edificio sacro,
occorreva seguire una serie di azioni che garantivano attraverso un rituale il seguire una procedura che
assicurava la piena soddisfazione delle culture sociali e religiose.
Codificazione delle azioni per la costruzione di un edificio sacro deliberate dal popolo. Si individuava:
- Votum da parte del magitrato cum imperio, che aveva la carica istituzionale
- Locatio, il luogo della realizzazione dell’edificio
- Dedicatio = edificio costruito e dedicato a divinità che presiedono questo spazio
- Consecratio è il rituale con cui i sacerdoti sanciscono il passaggio della costruzione nei beni della
divinità
I romani, non avevano dei libri scritti con le procedure rituali, la canonizzazione avveniva attraverso delle
procedure puntuali.
Non sono solo luoghi che veicolano la nuova Roma, ma anche attraverso le immagini/iconografie simboliche
della Roma, che andava costituendosi andavano rimarcate
le origini della città, le tecniche di lavorazione. Su questo
l’archeologia e le altre discipline hanno trovato un punto di
disaccordo che è la Lupa Capitolina. Le prime notizie su
questo bronzo risalgono all’inizio del V secolo d.C., quando
questa scultura viene segnalata alla sede papale al Laterano,
insieme ad altri oggetti antichi, un atto giuridico che
rimarcava l’idea di autoritas (continuità dell’antichità dopo
la sua fine).
È una lupa che ha un focus su quella che è la pelliccia attorno al collo resa con la tecnica “a fiamma”. Lupa
molto magra, nel suo essere un animale selvaggio. Chi ha realizzato l’opera marca il costato per simboleggiare
la ferocità dell’animale, anche le zampe sono estremamente essenziali nella resa. Sono state rinvenute delle
tracce di bruciatura nelle zampe posteriori, il che ha fatto recuperare una testimonianza di Cicerone che
ricorda che a Roma vi era più statue della Lupa e Romolo e Remo.
Una copia nel Campidoglio, era stata colpita da un fulmine nel 65 a.C, facendo capire che potrebbe trattarsi
dell’originale, se ne parla anche nei documenti medievali, fino a quando Sisto IV lo riporta in Campidoglio lo
riporta alla popolazione.
Ci furono numerosi dibattiti, perché in occasione di un restauro ed un’analisi delle terre trovate all’interno,
si arriva a pensare che questo sia un manufatto di età medievale. gli storici medievali, non hanno trovato
molti confronti di questo tipo rappresentazione. Sono stati apportati diversi esempi di opere tardo arcaiche,
della prima età repubblicana, della Lupa capitolina.
Due esempi che scatenarono il dibattito su questo manufatto: un frammento di una statua di una lupa o forse
di una leonessa, con la stessa resa del costato e parte sommitale del pelo, dall’altra parte vi furono dei
confronti iconografici sulla posa della lupa
Sono state rilevate delle discrepanze delle stesse terre di fusione di epoche riverse, delle difficoltà nel porre
una data certa. I manuali la considerano un’opera romana. Non è l’unica opera che ci è giunta.
Altro prodotto legato agli etruschi, in bronzo, di livello alto, produzione nota anche in ambito letterario e ci
fa capire la capacità di questi artisti che vengono influenzati dalla statuaria classica.
Marte di Todi, fine V secolo a.C. alta 1.41 m, attribuita alla scuola
di Orvieto, che richiama alcuni elementi della statuaria greca, dalla
fase greca, con la postura della statua sulla gamba destra portante e
gamba sinistra libera. Le braccia sono staccate dal corpo sollevate,
nella mano destra aveva una patera (per la dedica votiva) e nella
sinistra una lancia. I particolari della resa della corazza sono frutto di
un’attenta analisi dei particolari dell’abbigliamento e da un punto di
vista dello studio della statua è stato richiamata una bravura di alto
livello dell’artista. Particolari definiti anche per la capigliatura, viene
usata la pasta vitrea per la resa degli occhi. La situazione è dinamica
che fa il conto con una realtà artistica, che è ancora prodotta fuori
dalla città di Roma. Le conoscenze non sono ancora trasferite
all’interno della componente romana, che chiama artisti ed esperti
per queste realizzazioni, ovvero gli elementi rappresentativi della
città.
I due secoli tra il V e la metà del IV sono dei secoli in cui la città di
Roma ha le due componenti che marcano il territorio, ma che si tratta
di comunità con grandi contraddizioniIl potere legislativo e
decisionale resta in mano all’aristocrazia e non riconosce un pari valore giuridico delle decisioni della
componente plebea.
Si arriva a vari scontri, che si concludono con le leggi Licinie Sestie nel 367 a.C, in con cui viene stabilità una
parità giuridica tra patrizi e plebei, costruito in tempio della Concordia (divinità astratta) che doveva
suggellare il legame tra le due componenti, in un luogo rappresentativo di fianco il foro. Nel momento in cui
Roma inizia la corsa per la definizione di uno stato autonomo, con ordinamento democratico, che si allarga
per occupare territorio più ampio del Lazio, è fino agli anni 60 del IV secolo, è una città non così forte
all’interno da contrastare un attacco repentino da parte dei Galli. incendio gallico del 390 a.C., mettendo
a ferro e fuoco la città, mettendo in debolezza le forse esterne della città al suo attacco.
Da questa situazione Roma ha saputo riqualificare sé stessa, e ricostruire la città secondo un impianto
razionale dato poco congruente perché Roma si sviluppa nel corso dei secoli. Testimonianze di Tito Livio,
che racconta tutti i vari fatti della grande Roma di Augusto, si presenta come città che aveva saputo ricostruire
se stessa secondo impianto regolare, che vedeva in altre città di fondazione e che mancava totalmente a
Roma, descrivendo gli interventi di Ottaviano Augusto.
Negli anni della ricostruzione della città nella seconda metà del IV secolo, si
cominciano a delineare delle maestranze romane che finalmente hanno
acquisito una capacità di elaborazione dei materiali, nelle tecniche esecutive
architettoniche tanto da firmare quello che producono.
È estremamente interessante ricordare che in una necropoli dell’Esquilino attribuita ad una famiglia nobile,
si trova un frammento di una pittura parietale di una tomba (298-290 a.C.) con scena su quattro livelli: eventi
storici riconducibili alla III guerra sannitica, sono rappresentati degli uomini alcuni quasi nudi e altri vestiti
con la toga. Questa serie di azioni vedono i gruppi che si scontrano o che si ritrovano presso un muro di una
città, e che potrebbero corrispondere alla raffigurazione di due gruppi contrapposti: quello dei Sanniti e dei
romani. Scena dei combattimenti messa in visione di altri di altri cittadini, facendo vedere lo scontro tra i
sanniti e romani.
Vi sono una serie di guerre sannitiche che hanno interessato l’esercito e la comunità romana, dei gruppi etnici
che hanno favorito una volta i romani, ma più volte per i sanniti per ostacolare l’espansione di Roma nell’Italia
centrale. Da questo frammento racconta di una propensione al racconto dei fatti storici, prende inizio il filone
della pittura storica, che avrà espressione anche su pietra. Il rilievo stoico, elemento caratterizzante dell’età
romana che permette di rappresentare fatti storici, elogiare figure che avevano avuto ruolo importante sulla
scena politica e sociale. Durante le processioni dei soldati e dei generali venivano presentati dei quadretti
che servivano per richiamare l’attenzione dei cittadini, su determinate scene che si volevano elogiare per
richiamare il ruolo svolto dai soldati e ottenere il riconoscimento delle res gestae, le azioni compiute durante
queste imprese.
LEZIONE 16 | 13 aprile 2022
Ci sono delle guerre che hanno portato Roma a diventare con la fine del II sec. a.C. la signora assoluta del
Mediterraneo fino alla parte orientale greca. Nella fase tra il V e il IV c’è un livello culturale non così marcato
da poter dominare le arti, ma nelle opere più importanti si richiedeva l’esperienza etrusca o greca quando
c’era bisogno di costruire qualcosa.
Le guerre sono tre: dal 346 fino agli inizi III a.C. (295-291). Questa popolazione comincia una guerra di
contrapposizione netta rispetto a Roma e alle città alleate, che Roma controllava attraverso la lega latina. Da
un lato da parte dei Sanniti di accerchiare Roma facendo leva anche su altre popolazioni che occupavano la
penisola italica come i Galli, ossia gli etruschi che Roma aveva eliminato dal centro del potere nel momento
in cui aveva occupato anche Veio. Dall’altra parte Roma cerca di ancorarsi a questa rete di città che controlla,
fondandone di nuove e quindi cercando di avere uno sbocco a mare che permette a Roma di avere un
ulteriore fronte di guerra.
Roma commette una serie di ingenuità nel momento in cui cerca di contrapporsi a questi guerrieri, che
conoscevano molto bene i territori appenninici di non facile movimento e gestione. Da un lato si arriverà alla
famosa battaglia delle Forche Caudine presso Caudio, località del Sannio. = enorme sconfitta per Roma del
321, su cui gli annali cercheranno di minimizzare a livello propagandistico l’impatto di questa sconfitta, che
in realtà è clamorosa per i romani. Parallelamente le dinamiche della guerra vanno avanti fino alla fine del
secol, tanto che i Sanniti cercano di allearsi con i Galli, gli Umbri e gli Etruschi. Solo nel 295 verrà fatta una
grande vittoria presso Sentino e poi a sud tra Benevento e Ascoli Piceno che permetterà a Roma di entrare
definitivamente in possesso di questi territori. → Non seppero far squadra contro i romani e quindi la
superiorità dei romani si avvertì nella incapacità degli altri gruppi di coalizzarsi contro Roma.
Da qui la civitas si trova in possesso di un territorio sempre più ampio, che si progressivamente si amplierà
anche nel II secolo quando da un lato Roma riuscirà a controllare anche la Magna Grecia, soprattutto quando
entrerà in possesso di Taranto (272 a.C.). → una delle grandi metropoli della Magna Grecia insieme a Siracusa
(annientata nel 212 a.C.).
Ci sono anche degli altri nemici: i Cartaginesi, che avevano una loro tradizione antica perché Cartagine vien
fondata nell’VIII secolo a.C. (fondata dai Fenici da Tiro) e ha tutta una sua espansione e un suo sviluppo
straordinario anche da un punto di vista culturale che le permette di espandersi nel nord Africa ma anche di
controllare il mercato del Mediterraneo occidentale, su cui Roma mette gli occhi. (liberato tutto il territorio
italico restavano questi gruppi che controllavano non solo parte della Sicilia ma anche il fronte ispanico).
Le tre guerre puniche, in particolare la prima (264-241 a.C.) e la seconda (218-201 a.C. che finisce con la pace
definitiva tra Roma e Cartagine) che si svolgono nella II metà del III secolo, fanno sì che Roma controlli un
enorme territorio. = la proietta come signora assoluta in Occidente e che la spinge a guardare anche nella
Grecia degli Epigoni di Alessandro, coloro che si erano spartiti l’impero di Alessandro Magno. Nel II secolo ci
sono stati vari scontri in varie città greche: Pidna nel 168, Corinto che viene distrutta nel 146 e da quel
momento anche tutto il fronte orientale passa in mano a Roma.
Roma nel II secolo, quando controlla anche l’Egeo, promuove Delo come porto franco per tutti i commerci
verso il settore dell’Egeo. A Delo si trasferiscono molti italici che farà sì che anche tutta quella componente
sociale che prima aveva una serie di attività commerciali ristrette all’ambito tirrenico e del Mediterraneo
occidentale abbiano la possibilità di espandersi anche verso est.
Da questa situazione a Roma si creano le condizioni per uno scontro interno che sfocerà nella guerra civile
del I sec. a.C.: da un lato a causa di tutte le guerre in territorio italico che avevano richiesto una grande
componente della classe contadina o militare si impoverisce moltissimo, dall’altra la conquista di nuove terre
e quindi la sottomissione di altri popoli fa sì che Roma acquisisca schiavi = tutta questa manodopera che
viene ad essere a disposizione di Roma va a scardinare gli equilibri interni delle popolazioni locali, le quali
vedono l’emergere di alcuni generali che acquisiscono un enorme potere in termini di fama e potere reale
con bottini straordinari (fatti dalle razzie di coloro che vengono sottomessi); ma fa sì che anche una
componente sociale medio-bassa torni nelle proprie terre che non erano state sfruttate e si trovino a non
essere più in grado di sostenere lo scarto tra l’emergere di alcune figure con grande potere e la loro possibilità
di far fronte alle richieste e alla situazione politica che si va a delineare. Una parte della popolazione si trova
in grave difficoltà a fronte di quella componente aristocratica con mercanti che riescono a sfruttare questa
nuova potenzialità. I generali conquistano, ma fanno anche razzia di beni del mondo magno greco e siculo
che avevano conquistato. Tra la fine del III secolo e il II sec. a.C. arrivano a Roma enormi quantità di opere
d’arte e anche artisti, scultori, architetti, intellettuali che non potendo far capo a contesti attivi culturalmente
(come erano prima le città greche) decidono di trasferirsi in occidente = così arrivano molte sollecitazioni
culturali che portano a un ribaltamento della mentalità romana, che fino a quel momento era basata sulla
proprietà anche del piccolo proprietario terriero e sul rispetto delle tradizioni sulle norme comportamentali,
su tutto quello che aveva a che fare con un regime che gli antichi chiamano mos maiorum, ossia il “costume
degli antichi”. A fronte di sollecitazioni culturali che vengono dal contatto con le grandi corti ellenistiche
(Alessandria, Pergamo, Seleucide) che sono degli esempi di una regalità, di una rappresentazione del potere
molto più potente di quella che Roma aveva conosciuto fino a quel momento.
A ridosso di questa nuova stagione sociale-culturale, gli stessi autori latini coniano un’espressione per dare
l’idea di questa nuova dimensione a cui Roma si avviava = parlano di asiatica luxuria → nel senso di
propensione al lusso, allo sfarzo, alla monumentalità che è asiatica nel senso di orientale/non italica e che
sarà un importante elemento di propaganda per quelle classi che si arricchiscono grazie a questi nuovi
possedimenti e conquiste e che utilizzeranno le potenzialità di questo tipo di manifestazione di ricchezza per
ricavarsi un proprio potere. A fronte di questa linea dei grandi intellettuali e generali del tempio come, per
esempio, il circolo degli Scipioni = una sorta di circolo culturale che a Roma fa convergere tutta l’intelligentia
del tardo Ellenismo, non solo italico ma anche asiatico (=greco/orientale).
A questa tipo di situazione si contrappone un gruppo di intellettuali romani, che sono contrari e forti
oppositori rispetto a questa luxuria asiatica, perché ne vedono tutti i rischi da un punto di vista dello
stravolgimento dei loro costumi, delle loro forme di rappresentazione, del loro sistema repubblicano che si
era consolidato in quei decenni. La spinta al benessere, al bello non poté che essere predominante e infatti
il II secolo è il secolo della manifestazione di questa grande potenzialità di rinnovamento, che investirà Roma
e le sue colonie ovvero le città delle quali Roma è il riferimento = TRASFORMAZIONE PROFONDA SIA A LIVELLO
IDEOLOGICO E CULTURALE, CHE A LIVELLO URBANISTICO, ARCHITETTONICO E ARTISTICO.
Per la società romana, che aveva una propria modalità di rappresentare sé stessa e
trasferire anche a livello di immagini o monumenti un certo tipo di messaggio
propagandistico, era importante lasciare traccia delle gesta dei propri generali,
esponenti politici, personaggi di spicco. Questo frammento è interessante perché la
narrazione avviene su almeno quattro livelli (forse composizione più ampia) di scene
legate a una delle ultime guerre con i Sanniti. → Roma, Necropoli dell’esquilino,
tomba, 298-290 a.C. (Centrale di Montemartini, Roma).
Nella pittura sono indicati anche alcuni nomi di personaggi co epigrafi dipinte sulla
pittura a testimoniare la specifica volontà di raccontare dei fatti. Attraverso questa
narrazione i personaggi in vista della scena politica di Roma traducono in propaganda
le loro gesta e imprese.
Questa tomba si pone già a partire dal III secolo, come una delle tombe più
rappresentative di una famiglia come quella degli Scipioni che trasmettono
con questi monumenti un’informazione di sé.
Il sarcofago principale fu quello posto su una sorta di asse visivo principale e soltanto in seguito vengono
realizzate delle nicchie, all’interno delle quali vengono posti vari sarcofagi che arrivano alla fine del II-I secolo
a.C. L’uso di questo sepolcro prosegue anche in età imperiale, quando poi nel III secolo tutto il contesto viene
obliterato. All’interno delle varie nicchie sono stati trovati 7 sarcofagi in totale, che recano iscrizioni che ci
informano sulle varie personalità che occuparono il sepolcro, che venne monumentalizzato solo nel II secolo
attraverso la facciata (ricostruita da schizzo) e che prevedeva un alto
podio all’interno del quale erano realizzati i tre archi (due ciechi e
uno di ingresso al sepolcro). Al di sopra c’erano una serie di nicchie
con sculture celebrative che dovevano essere la rappresentazione
forte di coloro che avevano fatto grande la famiglia degli Scipioni. Da
un passo di Tito Livio si sa che qui dovevano essere rappresentate
delle statue di Scipione l’Africano, dell’asiatico e del poeta Ennio a ribadire ancora una volta il fatto che queste
famiglie avevano la capacità di far convergere, richiamare attorno a sé anche intellettuali al pari di come in
Oriente i grandi dinasti (Alessandria, Pergamo) richiamavano attorno a sé gli artisti e gli intellettuali
dell’epoca. È possibile che a livello architettonico coloro che chiesero di realizzare questa
monumentalizzazione della fronte del sepolcro si fossero ispirati alle grandi architetture teatrali del mondo
greco, che vengono anche riprodotte a livello pittorico.
La fronte principale reca anche un’iscrizione nella quale l’elogium di Scipione sottolinea alcuni elementi che
in qualche modo sottolineano la sua grande virtù, fama. → “Virtute, parisuma” = grazie “alla sua virtù
incredibile” realizzò una serie di attività in qualità di console, censore, edile, ecc. a sostenere che costui
attraverso l’aver ricoperto cariche pubbliche e imprese militari che guidò ha conquistato un ruolo di spicco
nella società romana.
All’interno del sepolcro sono state trovate alcune sculture, tra cui una testa, metà del II
secolo a.C. → inizialmente attribuita a Ennio, ma la testimonianza di Livio ha veicolato
delle interpretazioni per trovare riscontro ma in realtà non ci sono altri dati per affermare
con certezza che si tratti di Ennio.
All’interno di questa grande cornice in cui molti personaggi appaiono sulla scena politica. Con la situazione di
controllo mediterraneo che viene a crearsi con il II secolo a.C. si impongono nuove sollecitazioni che
riguardano i monumenti di individui particolari sia introduzioni specifiche in termini di architettura e arte.
Dall’apporto del mondo greco vengono moltissime innovazioni che si traducono a livello di costruzioni e di
apparati decorativi complessi tra i quali emergono due tipologie edilizie che derivano dalle stoai greche:
1. Le porticus diventano uno strumento con il quale nelle città si tenta di regolarizzare luoghi, contesti
e monumenti per enfatizzarne l’importanza e dare maggiore importanza al contesto di riferimento.
2. L’altra costruzione (soprattutto nel II sec.) è la basilica, che avrà un ruolo importante perché in essa
convergono tutte quelle attività che normalmente si svolgevano solitamente nel foro (attività
giudiziarie, transizioni commerciali, scambi, incontri politici e di lavoro). Si tratta di un edifico che,
marca lo spazio pubblico di Roma e delle città che le si affiancano. Resta l’idea di un luogo nel quale
affluiscono molte persone. Gli archeologi hanno rilevato che probabilmente il contatto di Roma con
le grandi architetture asiatiche ed egiziane abbia consentito di riconoscere nelle grandi sale ipetrali
egiziane (pensate per manifestazione regale del potere) che potessero essere dei modelli quello
stesso concetto di basilichè con l’accezione di luogo nel quale il potere si manifesta, non più in senso
autarchico (cfr. Egizi) ma trasferendolo in un contesto ancora pubblico e democratico. È uno spazio
che serve a trasferire nella sfera pubblica tutte le attività svolte all’interno della piazza ma che non
avevano una sede.
Alcune ipotesi hanno richiamato il fatto che nell’architettura repubblicana, attorno agli spazi del foro si
possano trovare prima dell’inizio della forma della basilica gli atria regia, dei luoghi in cui ci si ritrovava con
la funzione di spazio racchiuso in cui ci si ritrova, si ha uno scambio. È un modello del tutto occidentale, che
insieme convive fino alla costituzione di questo spazio rappresentativo della cittadinanza. → anche a Pompei
o Paestum c’è questa forma architettonica, che va a marcare lo spazio del foro, che si pone su un lato del
foro con il lato lungo o corto. Diventa uno dei poli di gestione dell’amministrazione pubblica.
Questi due secoli creano una nuova idea di Roma, idea di urbanitas ossia dell’essere una città con un suo
prestigio monumentale, architettonico; una sua razionalità da un punto di vista urbanistico e che in qualche
modo si contrappone alla rusticitas. → nel mondo rustico si svolgono attività non di tipo politico in senso
stretto e quindi che non richiede un certo tipo di urbanistica, organizzazione. È uno spazio libero, dove chi
può occupa i propri poderi (praidia) e costruisce residenze più o meno articolate.
Tra il III e il II secolo a.C. si impone l’ordine corinzio, che diventa uno degli
elementi caratteristici dell’apparato decorativo romano. Avrà un grande
successo, un’opportunità per avere tre ordini sovrapposti. Tra la fine del
III e gli inizi del II secolo, si impone una nuova invenzione alla base delle
straordinarie realizzazioni che starà alla base delle straordinarie
realizzazioni monumentali ottiche = opus caementitium che va a sostituire
progressivamente l’opera quadrata (parallelepipedi senza legante, che
continua ad essere usata per alcuni edifici di prestigio) → l’opera
cementizia che si basa su conglomerato con malta + pietrisco all’interno
del nucleo. Si richiede la presenza di un paramento esterno che vada a
coprire il nucleo, e per questo vengono inventati diversi paramenti murari esterni, che inizialmente
prevedono una giustapposizione di tufelli piramidali che all’inizio hanno una disposizione irregolare e che
sono definiti con l’espressione opus incertum (no disposizione certa). Questa porterà poi all’opera quasi
reticolata, che si impone tra la fine del II e gli inizi del I a.C. e che prevede una disposizione abbastanza
regolare di questi tufelli piramidali fino ad avere una disposizione geometrica più regolare che è la reticolata
(fino all’età giulio-claudia). Viene poi sostituita da opera mista con giustapposizione di tufelli irregolari e
l’introduzione di mattoni o tegole su fasce orizzontali e regolari. Le altre due opere: opus latericium ci sarà
l’opera laterizia e l’opus vittatum (vittata) dal II secolo a.C. fino all’età tarda. Hanno come elemento
caratteristico anche il fatto che usando tegole e mattoni con i bolli delle fabbriche che li avevano realizzati,
in molti casi ci permettono di ricostruire e datare con un margine abbastanza certo gli edifici nei quali
vengono utilizzate queste opere.
È importante ricordare queste innovazioni, perché mentre per costruire monumenti in opera quadrata era
necessario avere una conoscenza e un sapere artigianale in grado di mettere in opera questi edifici che
dovevano garantire stabilità, sicurezza, adattabilità ai terreni e soprattutto apporto di materie prime =
circolazione dei materiali costruttivi che davano lavoro a molte persone (dall’estrazione della cava, al
trasporto, alla messa in opera). L’opera cementizia è una tecnica con la quale si fa un grande miscuglio che
chiunque può fare e quindi questo tipo sapere, che inizialmente era di esclusiva realizzazione da parte di
personale specializzato può essere tranquillamente affidato a tutta la manodopera servile che non deve
essere pagata e che però mette in opera questa tecnica che permetterà da un lato di ripetere all’infinito con
progetti architettonici diversi in tutti i luoghi in cui si poteva costruire, dall’’altra si hanno tempi di esecuzione
dell’opera più rapidi. Infine, questa tecnica edilizia permette di realizzare opere estremamente più complesse
e articolate definendo delle possibilità di progettazione architettonica o costruzione urbanistica di complessi
monumentali che reinventeranno l’immagine delle città.
La potenzialità di questa tecnica è riscontrabile nella città di Roma. Le soluzioni urbanistiche e le innovazioni
architettoniche in tre aree cruciali della città:
2. CAMPO MARZIO = fin dall’età della prima Repubblica è il luogo prescelto per gli incontri e le
adunanze militari, dopo che era stato luogo di proprietà privata dei Tarquini. Nel corso dei secoli, si
presta anch’esso ad essere occupato da edifici che permettono di rappresentare simbolicamente il
potere di alcuni personaggi.
Mappa multifase (foto p.18): tra gli edifici di età tardo repubblicana si rilevano: Circo Flaminio; area
sacra di Largo Argentina; Porticus Minucia Vetus; Porticus Metelli (poi portico di Ottavia); il tempio di
Giunone Regina e Giove Statore.
Il generale Flaminio Nepote, che svolge anche l’incarico
di censore decide, alla fine del III secolo di realizzare un
grande circo che si contrappone al Circo Massimo. È una
grandissima costruzione che occupa l’area dell’ansa del
fiume ed è un’area dove si svolgevano attività di tipo
censorio e riunioni dei gruppi plebei. Questo grande
circo che sarà pensato per i ludi plebei (in
contrapposizione ai ludi aristocratici che si svolgevano
nel Circo Massimo) costituisce un punto di snodo
rispetto ai percorsi della viabilità della via sacra che si
dirigeva verso il Foro. Per questo motivo questo edificio segna il margine sud-ovest dell’area del
Campo Marzio e rispetto a questo verranno a porsi altri edifici.
AREA SACRA DI LARGO ARGENTINA = area nel Campo Marzio, che aveva conosciuto già un interesse
da parte della comunità attraverso un tempio → Tempio C (tra i più vecchi dei 4 presenti in
quest’area). Tra il III e il II sec. a.C., questi 4 templi vengono ripensati perché nel 107 viene realizzata
una porticus (Porticus Minucia Vetus) che cinge un’area avvertita come sacra e di grande importanza
all’interno della quale venivano celebrate diverse divinità:
- Tempio C, tempio su podio con scalinata d’accesso e area di pronao molto profonda. Doveva
essere dedicato a Feronia, con la possibiltà di riconoscere in questa divinità di origine sabina colei
che patrocinava tutti gli ambiti legati alla fertilità e al benessere della comunità (= intesa come
comunità che dalla fertilità della terra riesce ad ottenere un benessere);
- Tempio A, leggermente più piccolo e dedicato a Giuturna. È un tempio su podio con grande
scalinata d’accesso e peristasi sui lati lunghi ma anche sul fronte probabilmente e con cella al
centro. È stato datato nella seconda metà del III secolo e, secondo alcune ipotesi, collegato a
Giunone Curite, dopo che Falerii Veteres era stata espugnata nel 241;
- Tempio D (sul lato meridionale), è un grande edificio su grande podio e gradinata d’accesso. È
stato interessato da grandi ristrutturazioni nel corso del I secolo a.C. Si sa che doveva essere
dedicato da Emilio Lepido nel 179 a.C. in onore di divinità particolari, ossia i Lari Permarini =
divinità orientali, i Cabiri di Samotracia, protettori della navigazione che richiamavano
ulteriormente l’idea che in questo spazio sacro dovessero trovare luogo quei culti e quelle
divinità in cui si riconoscevano più soggetti della comunità;
- Tempio B, 101 a.C., più recente e dedicato da Quinto Lutazio Catulo a Fortuna huiusce diei
(Fortuna del giorno presente). È un edificio che presenta una planimetria circolare su podio e con
una peristasi colonnata all’interno che potrebbe essere legata a quelle frumentationes, nel senso
che da una serie di testimonianze di tipo letterario si apprende che qui avvenivano le distribuzioni
del grano alla popolazione. In questo senso era uno spazio, nel quale avvenivano delle elargizioni
per la comunità. Tra l’edificio B e C è stata ritrovata una testa colossale di divinità femminile,
esposta nella Centrale Montemartini. Probabilmente era la statua di culto inserita all’interno di
questo tempio.
Le Porticus vanno a racchiudere questi luoghi altamente simbolici e sentiti per la popolazione. Oltre
a questa Porticus, ne viene realizzata un’altra in epoca successiva (tra Claudio e Domiziano) che ha
creato dei problemi sotto Settimio Severo (tra la fine del II d.C. e gli inizi del III). In questo momento
viene realizzata una grande mappa di Roma in marmo che è la Forma Curdis Severiana, conservata
per buona parte ed era esposta nell’area dei Fori. Da un punto di vista topografico indica i vari
monumenti che erano presenti all’epoca → nell’area di Campo Marzio viene nominata la Porticus
Minucia Frumentaria, che non poteva essere quella precedente perché in area diversa. Si è
compreso che in realtà quest’area era tutta pensata per la distribuzione delle frumentationes e che
quindi questa seconda Porticus servisse ad ampliare la prima di epoca tardo repubblicana, in
definitiva, quest’area chiarisce come i portici siano un’opportunità per regolarizzare gli impianti
urbani che precedentemente erano irregolari.
Vi è un altro portico = PORTICUS METELLI che racchiude il nucleo di due edifici sacri: di Giunone
Regina (179 a.C.) e di Giove Statore (146 a.C.).
Vengono realizzati all’interno dell’area libera del Campidoglio e che sono importanti, soprattutto
quello di Giove Statore, perché le fonti ci dicono che era stato realizzato su commissione di Cecilio
Metello e che aveva incaricato Ermodoro di Salamina
(architetto greco) di costruire un tempio per la prima volta
interamente in marmo. Fino a questo momento, gli edifici sia
sacri che civili utilizzano il calcare locale. La scelta di realizzare
con marmo sottolinea il fatto che questi generali vogliono
copiare tutto quello che in Grecia era strumento di
autocelebrazione soprattutto nelle grandi corti macedoni. Lo
fanno trasferendo a Roma questo tipo di costruzioni e
materiali. All’interno di questo grande spazio viene razziato
dalla Grecia un gruppo di sculture, attribuito a Lisippo, scultore
di Alessandro Magno → gruppo per celebrare la vittoria sul Granico di Alessandro Magno con i suoi
compagni, che viene a marcare ancora una volta questo luogo pubblico abbellito da opere d’arte di
forte messaggio propagandistico da parte di questi generali.
Tra III e II secolo l’area del COMIZIO viene interessata da nuovi interventi. Non soltanto perché è nel
III secolo che acquisisce la forma circolare, ma anche perché all’interno del Comizio viene posto un
orologio idraulico che serviva a scandire il tempo delle riunioni, dell’attività del Comizio. Era un luogo
inaugurato nel senso del templum e per questo motivo aveva delle sue regole, delle sue tempistiche
che necessitavano di essere regolate. La forma circolare si ispira all’Ekklesiasterion di ambito greco
(cfr. Paestum). Questa acquisizione di forme di origine greca va a marcare la rappresentazione dei
luoghi pubblici della città.
Altro edificio importante è quello che sorge sul lato occidentale del foro e costruito agli inizi del I
secolo a.C. → il TABULIARIUM (da Tabulae, i supporti su cui vengono iscritte le varie disposizioni),
identificato come archivio di stato della città. È un edificio che serve da un punto di vista
amministrativo per conservare tutto quello che la città produceva
a livello di documentazione ufficiale e che aveva bisogno di una
sede nella quale essere conservata.
Il tabularium è stato realizzato in un punto tra il clivo capitolino e il
lato del Foro, occupato dall’Aedes della Concordia e da Saturno.
Aveva tutto il lato verso il capitolium ancora irregolare e quindi è
stato pensato per regolarizzare questo lato del Foro, diventando
una sorta di scenografia teatrale, pensata attraverso la costruzione di una solida base sostruttiva,
sopra la quale vengono articolate più file di arcate. A loro volta queste arcate racchiudono all’interno
una serie di ambienti a livelli altimetrici differenti perché si parla di sostruzione che va a incidere sul
lato del colle. Scelta che va a pensare la fronte che si affaccia sul foro come fronte articolata su arcate
fino all’ultimo livello con gli ambienti maggiormente rappresentativi.
Ci sono quattro santuari, portatori di grande interesse e significato nel Lazio antico. → Praeneste, Tivoli,
Gabii e Terracina. Sono stati studiati diversi anni fa da Filippo Quarelli, che ha esaminato queste realtà perché
sono estremamente interessanti per comprendere come popolazioni italiche abbiano cercato di
impressionare Roma e la sua classe dirigente commissionando degli impianti architettonici molto grandi. Si
parla di luoghi in cui le costruzioni si datano tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C.
Intorno alla seconda metà del II secolo, la comunità di Praeneste decise di investire in questo spazio collocato
sulle pendici del monte Ginestro e decide di organizzare una grande costruzione che incide fortemente sul
paesaggio, tanto da diventare un’architettura del paesaggio attraverso l’impiego dell’opera incerta. Su
questa costruzione si sono sovrapposti nel tempo edifici moderni che ne hanno richiamato la forma.
Se si considera questo spazio, l’edificio era pensato secondo un alternarsi di sostruzioni, gallerie e rampe
sovrapposte che vanno a formare fino a sei terrazzamenti, a partire dal livello più basso (raggiungibile dallo
spazio della città) fino ad arrivare all’area superiore con l’edificio sacro. Partendo dal basso c’è un sistema di
sostruzioni che permette attraverso delle scalinate di arrivare su una sorta di piattaforma sulla quale vi sono
due nuclei di edifici. Questi sono stati interpretati in maniera ipotetica (le tracce erano poche) come sede di
edifici sacri in onore di Iside e Serapide, ovvero con una funzione di sede di magistrature cittadine.
All’interna vi è un’aula absidata, all’interno della quale viene realizzato un mosaico (cfr. lezione 12) che
decorava l’aula e che poi è stata trasformata in edificio moderno. Questo grande mosaico è costituito da
straordinaria composizione di scene che rappresentano la regione egiziana, a partire da quella che era l’area
di Alessandria e del delta del Nilo inoltrandosi verso l’interno della regione arrivando fino ai confini etiopi
dove nasceva il Nilo.
Si è anche pensato che nelle scene della parte inferiore vi fosse una rappresentazione di alcuni padiglioni
della reggia dei Tolomei, in particolare di Tolomeo Filadelfo. Siamo intorno ai primi due decenni del III secolo
a.C. e per questo si sono richiamate le rappresentazioni di banchetti o celebrazioni sacre connesse a delle
festività, che prendevano il nome dei Tolemaia e che erano stati istituiti da Tolomeo Filadelfo intorno al 280
a.C.
Si notano anche altri padiglioni connessi con città che sorgevano lungo il corso del Nilo e a seguire una serie
di altri luoghi che via via diventano meno abitati e costruiti, fino a raggiungere delle terre selvagge dove
prendono posto gli animali selvaggi. Non si sa chi avesse realizzato questo tipo di mosaico, che però ci parla
di una committenza importante, che può sostenere la spesa di una realizzazione di questo tipo. Inoltre, ci
parla di una capacità artistica di altissimo livello che è probabilmente di matrice alessandrina/ellenistica
chiamata a realizzare per una comunità italica un prodotto di altissimo livello che va a definire un apporto
culturale di altissimo livello. → Tra gli artisti noti nell’Italia del II secolo a.C. vi era anche un certo Demetrio,
detto Il Topografo, come colui che era esperto pittore di paesaggi e di rappresentazioni di aree esterne. Si
stabilì a Roma intorno al 165 a.C. e quindi gli archeologi ritengono che con questa figura possano essere
sviluppate anche localmente una serie di maestranze che poi successivamente andranno ad operare in altri
luoghi dell’Italia antica.
Foto: nel cerchio rosso, si riteneva che ci dovesse essere il pozzo da cui
si traevano le sortes e che quindi si potesse proseguire quell’attività
mantica che aveva connotato fin dall’inizio questo contesto sacro.
In questo caso è la comunità che sceglie di avere uno spazio come la cavea teatrale: questo spazio che si
inserisce all’interno di una scenografia che non può che richiamare le grandi scenografie ellenistiche tipiche
delle città della Grecia ellenistica che avevano articolato su più livelli i vari nuclei abitativi a seconda degli usi
che si volevano fare (cfr. Priene = zona inferiore con stadio + terrazza superiore con ginnasio superiore).
Questo esempio mostra come la seconda metà del II secolo sia un momento in cui le comunità manifestano
la loro affinità con il mondo greco attraverso complessi scenografici. Da un punto di vista archeologico è stato
notato un elemento interessante: utilizzando l’opera cementizia o incerta per il paramento di questo grande
complesso in tutto il santuario non troviamo l’uso del marmo, che è presente a Roma nello stesso momento
come elemento di marca propagandistica da parte di chi fa venire Ermodoro di Salamina e gli chiede un
tempio in marmo. → utilizzano pietre locali (calcare, tufo, travertino) = scelta voluta per rimarcare una
tradizione culturale e artigianale locale italica in contrapposizione con il gusto ellenizzante e l’idea di luxuria
asiatica. Questo complesso ci aiuta a capire quanto fosse necessario per le popolazioni italiche mostrarsi,
apparire, confrontarsi con Roma e dimostrare di avere, non solo la capacità di realizzare costruzioni di questo
tipo ma anche saper imporre un proprio gusto personale. è probabile che le comunità locali che hanno
finanziato quest’opera fossero inserite all’interno delle rotte commerciali in Oriente e che quindi abbiano
avuto modo di vedere questo tipo di realizzazioni in altre parti, ma soprattutto di entrare in contatto con le
maestranze che realizzare il grande mosaico.
TIVOLI → il secondo santuario laziale è il SANTUARIO A ERCOLE VINCITORE. Si data agli inizi del I secolo a.C.
negli ultimi decenni del II secolo a.C. ed è collocato lungo la strada che collegava il settore della valle del
Sannio, l’interno dell’appennino, con l’area di Tivoli e Roma. Questo percorso veniva battuto dai tratturi
appenninici e dalle mandie di buoi e pecore che durante il periodo della transumanza si spostavano dalle
montagne verso il mare e viceversa. → Si tratta di un luogo strategico che va a insistere fuori dalla città. Il
ruolo di Ercole non è solo di un culto legato all’eroe greco ma culto che risponde specificatamente a questo
contesto produttivo legato alla transumanza e al commercio pecoraio. Ercole era protettore dell’allevamento
e del bestiame e quindi già in epoca arcaica è avvertito come colui che presiede a quelle attività legate alla
pastorizia e alla vendita dei prodotti secondari derivati dalla pastorizia. Era il dio per eccellenza di coloro che
commerciavano in questo tipo di risorsa.
Il grande piazzale, dominato dal periptero sine postico di tipo etrusco-italico su alto podio con scalinata di
accesso (8x10 colonne). È un tempio che viene collocato sul fondo di questo portico a U che va ad incorniciare
scenograficamente il piazzale. Il tempio è in asse con un’altra grande costruzione: la cavea sulle pendici
meridionali, sul livello più basso dello sperone roccioso e che probabilmente era funzionale ad ospitare un
numero cospicuo di fedeli che si riunivano per i ludi scenici realizzati in occasione delle festività in onore di
Ercole. Qui fronte scena vero e proprio doveva essere di volta in volta allestito proprio perché non ci restano
delle decorazioni specifiche delle partizioni architettoniche, che ci permettano di immaginare che ci fosse già
un fronte scena stabile.
Da un punto di vista edilizio, l’opera incerta viene utilizzata per questa grande costruzione che si pone come
architettura del paesaggio, alla quale si ispireranno anche altre soluzioni che interessano la Roma del I sec.
a.C.
Anche in questo caso si ha una cavea teatrale, che occupa lo spazio antistante del tempio e che marca
fortemente l’architettura e il territorio per rispondere a quelle stesse esigenze degli altri due santuari. Si parla
di luoghi stabili che però vengono sempre posti sotto l’egida della sacralità per evitare che ci fosse qualche
tendenza a usarli come luoghi di sommossa e contestazione.
TERRACINA → colonia che viene fondata da Roma alla fine delle Guerre
Sannitiche e quindi si tratta di un fronte del Lazio meridionale marittimo. In
questo caso del tempio si hanno dati abbastanza sufficienti per riconoscere la
sua costruzione al di sopra di una piattaforma sostruita attraverso arcate che
monumentalizzano l’ingresso e la base del tempio stesso, accessibile anche da
scale laterali. SANTUARIO DI IUPPITER ANXUS = fronte marittimo. Pe rispondere
a esigenze di tipo cultuale, non è posto in maniera ortogonale rispetto alla
fronte della base della costruzione ma è posto in senso obliquo. È un tempio
con alto podio, periptero sine postico di tradizione italica, che ha sul retro anche
un porticato che racchiude la parte retrostante del tempio. È costruito in opera
incerta con la necessità di rispondere ai diversi livelli di quota attraverso gallerie e rampe che permettevano
di salire al livello superiore del tempio.
Gli antichi hanno in qualche modo sono ben consapevoli di questa fase di passaggio tra un prima e un dopo.
Con il termine di luxuria asiatica non solo un termine che indica le mode e vita, ma anche un acquisire
delle competenze artistiche, veicolate dagli artisti greci, ma che vengono rielaborate nel mondo italico e nel
mondo romano. Nei santuari laziali vengono strutturate delle scenografie che vanno a modificare il paesaggio
in senso scenografico. Resta una questione di fondo: i romani hanno appreso tutto del mondo greco o hanno
fatto una selezione?
Plinio il vecchio è un grande intellettuale, ammiraglio della flotta militare, è un naturalista che si interroga
prende in esame, un po' tutto il conoscibile, gli aspetti più tecnici, fino a considerare gli aspetti legati all’arte.
Secondo Plinio si immagina di fare una genealogia dell’arte, secondo l’opinione dominante dell’epoca dove
il massimo dell’espressione artistica che si era ottenuta, culminava con la 121° l’olimpiade, quando morì
l’arte.
In termini cronologici nell’opinione della classe dirigente romana l’arte greca per eccellenza era l’arte che
coincideva con l’arte severa, l’arte classica e inizio dell’arte ellenistica. Lasciando perdere perché percepita
come arte che non rispondeva agli ideali romani, un’arte troppo sperimentale, alla ricerca di soluzioni poco
razionali dal punto di vista romano. Ritrova una propria solidità quando Roma si riappropria di quell’arte,
trasferita in occidente, rielaborata secondo modelli architettonici, culturali, e stili artistici scultorei che in
qualche modo rispondono ad un certo gusto e sentire.
L’archeologia ha rilevato il fatto che questa prima fase di contatto con il mondo greco, che avviene nel 272
a.c quando viene conquistata Taranto, capitale della Magna Grecia, nel 212 conquistata Siracusa. Nella prima
fase sembra che una parte della società romana si sia violentemente appropriata della società greca.
Solo in un secondo momento, nella metà del II sec, il modo di porsi nei confronti dell’arte greca è più pacato
e viene ricondotto a una certa propaganda di matrice ‘catoniana’ (cioè senatoria), che ostacolava una
eccessiva ellenizzazione della cultura romana, a discapito di quello che era il famoso mos maiorum, la
tradizione degli antenati.
Esiste una sorta di convivenza di culture che si compenetrano e si influenza, in questi secoli che sono cruciali
per la storia romana, e che si possono distinguere tra correnti legate a tradizione italica di ispirazione etrusca,
che li vedrà legati ad una corrente di bronzisti, che lavorano per gli italici che per Roma.Sia per all’arrivo di
artisti greci, neoattici che lavorano a Roma e che si mettono a disposizione di questi nuovi committenti e
parallelamente c’è una produzione artistica romana.
Per comprendere queste sollecitazioni che si manifestano anche nel resto del territorio italico, vi sono alcuni
esempi di decorazione architettonica fittile, ma anche in decorazione architettonica in marmo datate tra II e
I secolo a.C., arrivando alla fino del I sec a.C ad una standardizzazione generale di cui Augusto si farà
l’accentratore dando via all’arte di corte, arte imperiale, trasferendosi in tutto l’impero.
Ricostruzione di un frontone del tempio di Civitalba, Sentino, Marche collocato sopra un colle, era un
posto significativo perché qui i romani avevano vinto in 2 battaglie, i Galli nel 367, quando i Galli si erano
spinti verso Roma, facendo il famoso “Sacco di Roma”. I romani rispondono ad uno scontro nel 295 con la
battaglia di Sentino, con coalizione tra Sanniti, Etruschi e Umbri e Galli Senoni contro i romani. Il fatto di aver
ritrovato alla fine dell’800 una serie di terrecotte architettoniche, in un a fossa sacra collocate l’una sopra,
facendo intuire quasi un deposito voluto, facendo ipotizzare che in questo luogo, avendo trovato il fregio e
frontone in terrecotte, in zone marginali occupate dai galli, dall’altra parte vi era la domanda di chi aveva
commissionato queste terrecotte.
In questo senso la letteratura, ha tentato di dare serie di ipotesi che si basano su lettura del fregio.
A Civitalba, questo ci fa pensare che probabilmente sulla base della raffigurazione dei personaggi che
raffiguravano le lacune per via delle condizioni in cui sono state trovate queste terrecotte, in cui c’è un
elemento dionisiaco, con il corteggio di satiri e ninfe, con Arianna addormentata. questo fa pensare che
la committenza sia senatoria romana, che avesse voluto trasferire un contesto lontano dal centro, degli stili,
affermando il fatto che Roma sia arrivata fino a lì.
I romani stesso lo faranno arrivando fino alla pianura Padana, portando la loro idea di forza civilizzata e
razionale, portatrice di ideali, e di rispetto, diritto e regole, che servirà a influenzare queste popolazioni
imparando a vivere alla romana.
Frontone del tempio di Luna (Luni, Liguria) metà del II sec. a.C quando Emilio, arriva nella colonia ligure,
con nuovi romani e nuovi veterani, agli artisti della terracotta viene chiesto di tradurre delle rappresentazioni
con stile greco, veicolando la cultura greca in occidente.
Questa compresenza di diverse modalità di rappresentazione di stilemi artistici, trova espressione nella
terracotta e nel marmo rifacimento della basilica Emilia ci mostra come ci sia un passaggio dalla
terracotta, fino al passaggio ad una scultura in marmo che richiede delle maestranze. Dando luogo a delle
opere d’arte funzionali ad esprimere i sentimenti delle classi che le richiedono.
Ci sono più livelli espressivi, nell’arte classica che stabiliva un fondo neutro su cui si stagliavano le figure,
rispetto invece ad un’arte del primo ellenismo, con figure in movimento, con dinamicità delle azioni, creando
complessità di livelli di piani. Qui il piano è uno solo, si parla di opera che mischia le tendenze artistiche
diverse per rielaborare espressione artistica autonoma. In questo torno culturale abbiamo diverse sensibilità
artistiche che cercano di rispondere alle diverse sollecitazioni della nuova committenza. che risponde a
dei generali, che portavano a casa dei bottini, e per questo la produzione artistica cerca di esprimere questa
volontà di questi triunfales di autorappresentarsi come generali romani alla greca o alla romana. Due
tendenze:
Fa parte della corrente ‘senatoria’, è stata trovata in una situazione integra, e dagli
studi fatti, essendo prodotta da un’officina scultorea di bronzisti, doveva
rappresentare un personaggio di spicco della comunità locale. Sul lembo della veste
iscrizione con nome del personaggio raffigurato, un togato romano, con una toga
più corta, con braccio destro alzato, come per chiedere un momento di silenzio per
cominciare il suo discorso.
È realizzata con metodo di fusione a cera persa, realizzata in sette pezzi e poi
assemblata. La caratteristica è che non è una statua di un cittadino qualsiasi, ma la
statua di Aulo Metello con tratti individuali che cercano di cogliere nello specifico
gli elementi del suo volto. Si è voluta rendere la capigliatura, le rughe, rughe
d’espressione, bocca pronunciata e occhi che dovevano essere riempiti in pasta
vitrea. Una statua che risponde alle esigenze del togato romano in un momento
pubblico nel suo discorso davanti alla folla.
Il ritratto romano, nel mondo italico che non sono solo rappresentazione fedele
dell’uomo che fu ma espressione anche di un modo di autoidentificarsi che è
tipicamente romano e italico. Uno dei primi esempi è il
Altro modo di fare ritratto, con il Naturalismo tardo repubblicano, di cui Pompeo e
Cesare sono degli esempi molto ben riusciti.
Vi è poi anche la tradizione della ritrattistica mos maiorum ispirata alla nudità eroica, in cui si cerca si vuole
prendere delle caratteristiche greche ma per marcare la romanità di loro stessi.
Statua di altletaatleta del modello achilleo, faccia soddisfatta, con mascella possente, corpo improntato
sulla tradizione dell’atletismo greco.
Generale di Tivoli richiama gli stilemi ispirati alla corrente artistica dei greci al lavoro in occidente, quasi
nudo con mantello, con la parte destra che impugnava una lancia, gamba six portante su supporto. Supporto
a corazza, che connota la posizione di generale, è un ritratto individuale che vuole marcare la sua soggettività.
Il ritratto nasce come un’espressione di forma di religiosità nei confronti del personaggio, quando questo è
un antenato, o un personaggio divinizzato, che è tipico della cultura romana. All’interno della abitazione
potevano esserci delle raffigurazioni di antenati, visti come colore che garantivano il rispetto delle norme
comportamentali della famiglia.
I Romani avevano in uso di avere delle immagini degli antenati sottoforma di maschere dei defunti che
venivano messi nell’atrio della casa ed esposti alla vista dei visitatori.
I Romani erano chiamati a mettere in scena delle rappresentazioni che imitassero le gesta dei defunti. Le
famiglie usavano questi funerali che erano delle occasioni ulteriori per rappresentare il proprio status. Quindi
studiare la ritrattistica, non è soltanto funzionale a capire la mentalità dietro queste rappresentazioni, e come
queste immagini potevano veicolare un certo tipo di rappresentazione. Questo sistema regge e funziona a
livello di comunità fino a quando la res pubblica è viva, quindi le famiglie fanno a gara, di chi aveva un maggior
numero di antenati da rappresentare.
Nel momento in cui Cesare diventa il dittatore, colui che riesce attraverso le proprie imprese, non solo a
sbaragliare tutti gli altri contendenti, ma soprattutto a prendere le distanze da quella stessa nobiltà che aveva
esplicitato il suo potere.
Si instaura, un nuovo filone di propaganda, che sarà amplificato da Augusto (figlio adottivo), dopo la morte
del padre, porterà a un culto della persona e dell’individuo e che creerà il punto di svolta, per cui i ritratti
possono continuare ad essere presenti nelle abitazioni, sepolcri e piazze cittadine, ma chi ha il ruolo superiore
a tutti è il princeps. Cesare ottiene con la morte di diventare dio, ma il senato decreterà anche immagine di
Cesare che doveva comparire in tutti i templi dell’impero.
Questi due secoli e in particolare i decenni sono degli anni cruciali per il modificarsi repentino dell’arte
romana che fino al secondo era improntata alle tradizioni, ma sono anche anni in cui l’arte, l’architettura e
l’urbanistica che vanno ad esprimere i sentimenti delle nuove istanze politiche e ideologiche.
Prima di loro c’è Pompeo, è a lui che spetta una prima azione di alterazione del sistema della res pubblica,
nel momento in cui dopo aver vinto numerose guerre, Pompeo torna a Roma e decide di occupare l’area al
di fuori del Pomerion, teatro di una rappresentazione ovvero il Campo Marzio.
Questo edificio ha un impatto forte per la cittadinanza tanto che gli opera pompeiana come primo tentativo
di realizzare un settore della città di Roma, su esempio dei grandi complessi edilizi ellenistici, dove è Pompeo
protagonista non la cittadinanza. All’interno di questa grande costruzione, le fonti dicono che Pompeo aveva
pensato a un edificio, come curia alternativa al foro, che in qualche modo era abbellita da statua di Pompeo
stesso del quale si riconosce scultura di Pompeo ora a Palazzo Spada,
rappresentato come nudità eroica, come pacere che regge un globo, e che
rappresenta un personaggio con forte carica.
Oltre a questo complesso del teatro e del tempio Pompeo si era fatto
costruire una villa, residenza privata vicino al complesso, possedimento
controllato da lui in persona. A un certo punto abbandona la scena politica,
e prevale Cesare che è di famiglia nobile, Julius e la tradizione ci dice che fin
da bambino viene educato alla lettura della storia greca e romana e
apprende tutta la storia di Alessandro Magno.
- il foro romano
- foro Iulius
- il Campo Marzio.
L’attività che Cesare fa nel foro è un’attività che mira a imporre degli elementi che affermano la gens Iulia
all’interno dello spazio forense. Prima trasformando la Basilica sempronia del foro, in Basilica Julia del 46 a.C,
ma soprattutto il trasferimento la ricostruzione della Curia del senato non presso il comizio, ma dietro l’area
del comizio in prossimità, del foro personale come se curia diventasse ingresso al proprio foro.
Lo fa perché dopo varie sommosse, nel 52 la basilica Portia e quella Ostilia prendono fuoco e vengono
distrutte e Cesare otterrà di spostare luogo del senato verso nord. Della curia ci resta buona parte dell’edificio
perché nel VII d.C secolo trasformata in chiesa. Al posto della Curia Hostilia, Cesare ottiene un tempio per
libertas, di cui non resta nessuna traccia.
Il nuovo spazio per transitare tra i due fori è veicolato dalla nuova curia
Iulia. Si configura come nuova piazza 75x160 m, colonnata su 3 lati e posta
tra la zona del via argentario, e del settore a nord del foro. Era abbellita al
centro da statua equestre con Cesare a cavallo (in origine era opera di
Lisippo e che Cesare aveva fatto decapitare per metterci un proprio
ritratto).
Ultimo edificio attribuito a Cesare, teatro a sud e che sarà portato a termine da Augusto teatro di Marcello
Lui vorrà fare un’opera come quella di Pompeo, ma non ci riuscirà creerà solo la piattaforma, perché poi verrà
ucciso.
Questi luoghi della rappresentazione pubblica diventano luoghi per rappresentazione individuale personale.
Pompeo è rimasto fuori dal pomelio, Cesare va a occupare il cuore della città, per stabilire potere personale,
appoggio che si è guadagnato perché ha combattuto con quell’esercito. Propaganda basata su condivisione
di ideali e gesta. All’interno di queste dinamiche si sviluppano delle situazioni in parte simili con differenze
LEZIONE 18 | 20 aprile 2022
Plauto, poeta vissuto tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. = scrive una serie di versi del Curculio, che sono
interessanti perché egli fa parlare un giovinastro in cerca di fortuna molto scapestrato. A fronte di tutta quella
carica propagandistica (attraverso, sculture, monumenti, ritratti, ecc.) esisteva anche una vita quotidiana che
fa da contraltare rispetto a quell’aurea parvenza di benpensanti e di quel mos maiorum di cui la Roma tardo-
repubblicana voleva trasmettere l’immagine prevalente di sé. Questi versi sono ambientati come se ci si
trovasse nel foro di Roma.
versi ppt pag.3 → al di là dei toni di una commedia dà un’idea di che cosa era il foro, ossia un luogo nel quale
tutti i cittadini avevano un diritto di esserci (a seconda delle loro possibilità e lavoro) ed è il luogo nel quale
la cittadinanza vive ed che aveva avuto il compito di trasmettere determinati messaggi.
Pompei mette insieme tutti gli elementi dell’età tardo repubblicana di Roma con la vita reale dei pompeiani,
i quali hanno una loro storia e tradizione che si incontra con quella di Roma in età tardo-repubblicana.
Pompei si trova in area vesuviana, dista circa 200km da Roma e sorge dentro la città attuale di Pompei, molto
ordinata e pulita e a sud-est di Roma.
Al di fuori della Campania l’attenzione era massima, anche a livello internazionale. La curiosità e la voglia di
andare a vedere questi scavi diventa così una mania e tra i vari curiosi c’era Winckelmann, uno dei massimi
esperti di storia dell’arte antica che aveva tutto l’interesse di andare a vedere queste cose sul posto per
metterle a confronto con le sue conoscenze. Per timore di essere criticati e per non eccedere nella curiosità
a Winckelmann non viene dato il permesso di vedere gli scavi; infatti, lui denuncerà sia gli errori commessi
nell’operare non per strati negli scavi e nelle interpretazioni che venivano date su queste scoperte.
Pompei è la prima città che viene scoperta nella sua interezza, che dà il via a quella straordinaria fortuna che
l’area vesuviana avrà e che costituisce la palestra per ogni archeologo e architetto. La fama della città è
straordinaria perché per la prima volta nella cultura occidentale c’è la possibilità di ricostruire una civiltà
all’interno di una città ancora intatta. = una città che nonostante tutte le imprecisioni diventa il grande
serbatoio sull’arte romana.
Di fronte a queste evidenze c’era chi era rimasto deluso come Goethe, che scrive il suo diario del suo viaggio
in Italia → qui visita delle “case da bambole” cioè trova delle realtà talmente perfette, fossilizzate che quasi
è deluso perché la sua è una cultura della rovina, per cui l’antico è la rovina. C’è un tipo di sentimento quasi
deluso che lascia poco all’immaginazione.
Se la città di Pompei è in qualche modo fossilizzata nel 79 a.C., in realtà si tratta di una città con una storia
più lunga e complessa, che ha un suo inizio circa 1000 anni prima del ‘79, nella tarda età del bronzo. L’area
dell’insediamento prende corpo a ridosso della foce del fiume Sarno, fiume che costituisce un’area di foce
interessante dal punto di vista dei commerci e della navigazione sotto costa. È un fiume che nell’area della
foce crea una serie di paludi, che verranno successivamente bonificate. Gli studi geomorfologici, uniti a quelli
archeologici della tarda età del bronzo, indicano che presso quella che sarà la città di Pompei, al di là di alcuni
primi insediamenti presso Sant’Abbondio (= area al di fuori della città e che sarà una traccia di queste prime
zone oltre le quali si svilupperà l’insediamento). Era un’area che rispetto alla foce del fiume aveva una
prossimità della linea di costa molto più retrocessa, ossia il suburbio di Pompei era molto più vicino al mare
rispetto a quello che si può vedere oggi.
Per la fase dall’VIII-VII sec. a.C., li insediamenti che occupano la piana del Sarno si interfacciano con l’altra
grande presenza greca (Pitecussa e Cuma, che dalla seconda metà dell’VIII secolo sono insediamenti greci),
ma anche la presenza degli Etruschi, che si spingono fino a una parte della Campania e che costituiscono
un’interfaccia culturale molto importante per queste popolazioni. E poi ci sono anche gli indigeni (Ausoni,
Sanniti, Volsci) con i quali riescono ad avere uno scambio importante, tanto è vero che questa sollecitazione
tra mondo greco ed etrusco favoriranno molto il primo insediamento nella città. = nel settore, che dal punto
di vista altimetrico è il più alto fin dalle prime fasi arcaiche.
Nella zona del futuro Foro in posizione altimetrica più elevata rispetto al resto della futura città, sorge dagli
inizi del VI secolo un TEMPIO ARCAICO IN ONORE DI APOLLO, 575-550 a.C. → rappresenta un luogo
comunitario che unisce elementi indigeni (presenza di votivi di produzione locale) ed elementi greci o etruschi
che lo connotano come spazio di relazione tra gruppi etnici diversi.
Della prima fase (secondo venticinquennio del VI sec.) ci rimane poco perché il tempio
subirà un rifacimento nel II a.C. ma di questa fase rimangono alcuni frammenti della
decorazione architettonica, che ci danno idea di come poteva presentarsi questo tempio.
Per ribadire questa idea di luogo di contatto tra culture diverse, ha la caratteristica di quello
che è il tempio etrusco-italico: alto podio che permette di delimitare, sopraelevare nel
senso di templum, del temenos, di qualcosa che viene tagliato e ritagliato lo spazio per il
dio dal resto dell’area di calpestio dei dedicanti.
Il tempio vero e proprio ha una cella profonda, dove ci sarà la base per la statua di culto.
Altro elemento di contaminazione greca è la presenza di un colonnato circostante che è di matrice greca, che
dà la misura di una commistione di questi due elementi. La costruzione che
vediamo oggi è del II secolo a.C., realizzata in opera incerta e con una
peristasi in stile corinzio con rifacimenti anche tra l’età augustea e la prima
età imperiale. Elemento significativo è che va ad occupare uno spazio
fondamentale della futura piazza, che sarà monumentalizzata soltanto in
età tardo-repubblicana.
In età arcaica, al di là della città di epoca sannitica, anche il territorio viene controllato in quella accezione
che prevedeva di marcare il territorio di possesso di un centro attraverso luoghi sacri, santuari, templi,
insediamenti sparsi che vanno a difendere il territorio.
Al VI secolo risale un insediamento di tipo sacro → SANTUARIO DEDICATO AL DIO POSEIDONE che non è
solo il dio del mare, ma in generale il dio delle acque, dei fiumi e delle paludi. Viene collocato in località
Bottaro. Viene realizzato un santuario che si pone in prossimità delle aree paludose realizzate dalla foce del
fiume e per questo motivo diventa un marcatore molto interessante della
prospettiva della comunità di segnare il territorio, che poi sarebbe stato
occupato dal porto per rivendicarne il controllo. Il santuario continua ad essere
frequentato anche in età più tarda come ci dimostrano certi ex voto, ma anche
un’iscrizione in cui si chiarisce il dono da parte di questo personaggio (S.L.) a
Nettuno, signore del santuario.
L’archeologia ha chiarito che la città ha già una sua prima cinta difensiva a partire dal VI secolo, che viene più
volte rifatta nel V usando un tufo locale, Pappamonte e che garantisce una cortina difensiva molto efficace.
Nel tempo sarà più volte rinforzata, soprattutto nel III secolo quando Pompei si trova nella situazione di
costituire un punto tra le forze romane e quelle cartaginesi. Annibale va ad occupare la piana tra il Vesuvio e
il Monte Tifata, non lontano da Paestum, ed occupa con esercito straordinario l’area di pertinenza dei gruppi
etnici che facevano capo alle città costiere della Campania.
Già in fase arcaica la città ha una propria cinta difensiva e una serie
di porte che verranno poi monumentalizzate per dare un degno
ingresso alle strade che solo successivamente avranno dei nomi
specifici: da nord, la porta verso il Vesuvio e verso Ercolano; a sud
la zona di Porta Marina e Porta Stabia e Nocera e a est la Porta del
Sarno, che conduceva verso l’entroterra verso la parte di pianura.
Nel corso del tempo (tra il III e il II sec. a.C.) alle mura vengono
aggiunte torri difensive, in relazione alle guerre cartaginesi. Tuttavia, a livello dell’impianto urbanistico la
città già da questi primi secoli, mantiene e mostra di mantenere un impianto abbastanza regolare, che vede
un primo insediamento nella zona della Regio VI e a proseguire le altre regiones. Di queste prime fasi non ci
resta molto dal punto di vista monumentale e decorativo, anche perché dal II sec. a.C. la città avrà un grande
apporto in senso monumentale che farà piazza pulita degli edifici preesistenti.
La città ha una componente osca prevalente ma anche etrusca; ha quindi delle proprie magistrature di
governo e amministrazione, ha una propria lingua che è l’osco = città con propria autonomia, organizzazione
ed economia basata sul commercio di olio e vino. = due beni che caratterizzarono la città fino alla sua
distruzione. Infatti, tra il III e il II secolo quando Delo diventa porto franco e si apre il fronte orientale, Pompei
beneficia di questa internazionalizzazione dei commerci e delle rotte mercantili di cui Roma si fa patrona.
Abbiamo ritrovamenti di prodotti con marchi pompeiani anche nella Gallia e nella Spagna = estensione delle
reti commerciali.
È ancora nel II secolo una città senza cittadinanza romana, però l’aristocrazia locale investe molti soldi per
apparire come città degna di far parte della rete di città federate e alleate di Roma = lo fa con
monumentalizzazione delle proprie strutture pubbliche e private. → la componente aristocratica e
mercantile cerca di rispondere a quella di idea di urbanitas che Roma andava diffondendo quando
conquistava nuove terre. La città beneficia di questo sistema di commercio internazionale fino a quando non
ha l’idea di parteggiare per i Mariani, trovandosi al centro della guerra sociale italica che, agli inizi del I secolo
a.C., investe varie città dell’Italia centrale e meridionale. Questo comporterà per Pompei l’assedio di Silla
nell’89, la capitolazione di Pompei che viene dedotta come colonia cornelia veneria pompeianorum dall’80
= diventa una colonia romana e per fare questo Silla, quindi, manda quale migliaio di veterani che vanno a
marcare la nuova colonia di Roma e lo fanno con l’occupazione delle magistrature più importanti, la
costruzione di abitazioni che apportano nuovi elementi della romanità. (Piano piano la città comincia ad avere
una fase di benessere e di grande incremento demografico ed economico fino alla metà del I sec. d.C. quando
un primo fatto la pone in una situazione di criticità = terremoto del ‘62 che abbatte molti edifici e crea una
prima fase di necessario ripensamento della città e di sovvenzioni da parte dello Stato.
Da un punto di vista archeologico e storico è stato interessante verificare che al momento dell’eruzione solo
alcuni edifici distrutti dal terremoto erano in corso di ristrutturazione: da un lato perché i soldi non erano
tanti, si dava privilegio ad alcune strutture piuttosto che ad altre; ma soprattutto questo terremoto ha posto
un momento di crisi per la componente sociale, che si trova ad avere una situazione inaspettata. = non il 24
agosto come dicono vari libri, ma con il ritrovamento di un frammento di una decorazione che essendo datata
al 79 d.C. ha permesso di posticipare il giorno di eruzione al mese di ottobre.
Di quell’evento si hanno due epistule che scrisse Plinio il Giovane a posteriori, che aveva 17 anni nel 79
(grande intellettuale alla corte di Traiano – 98-117 d.C. regno di Traiano). Era il nipote di Plinio il Vecchio, il
quale era lo zio da parte di madre ma era soprattutto l’ammiraglio della flotta imperiale al Miseno. Costui
riceve una segnalazione, anche se nei giorni precedenti nella zona erano state registrate varie scosse che
dopo quella del 62 erano abbastanza frequenti e quindi non avevano destato tanto timore. → Le due lettere
che Plinio indirizza a Tacito dicono che la madre di Plinio aveva attirato l’attenzione perché si era creata una
sorta di nuvola a forma di pino, molto strana e anomala. Nel frattempo, era arrivata la richiesta da parte di
una nobildonna romana, Rettina, che aveva una villa ai piedi del Vesuvio = cominciava a vedere delle prime
vampate dal vulcano e chiede aiuto perché dalla parte di terra le sembrava non fosse sicuro, chiede
l’intervento dei mezzi navali. Plinio decide quindi di trasportare buona parte della flotta verso l’area
vesuviana, segue un percorso a ridosso della costa ma le navi vengono in parte invase dalle ceneri che
diventano più dense e calde nel momento in cui ci si avvicina all’area di Pompei. L’ammiraglio decide di non
fermarsi nella zona portuale presso la città, ma di dirigersi a Stabia, che dista 4 miglia da Pompei. A Stabia
risiedeva un conoscente di Plinio il Vecchio, che aveva una villa e che nel momento in cui arriva l’ammiraglio
era intento a caricare in gran fretta tutti i suoi beni in vista della partenza di queste navicelle aspettando che
il vento fosse favorevole. L’ammiraglio decide di rimanere a casa di costui per vedere meglio l’evoluzione del
fenomeno che comportava una serie di larghe fiamme e continua pioggia di ceneri che invadono anche il
cortile di Pompeiano. Ad un certo punto consigliano gli astanti di lasciare la casa e portarsi fuori con dei
cuscini in testa per evitare di avere le ceneri sopra il capo. Ma costoro non sanno che, insieme alle ceneri, il
vulcano emette anidride solforosa, gas ricco di zolfo che finirà per ammazzare tutti coloro che si troveranno
a contatto diretto con un’aria non più respirabile. I ritrovamenti dei corpi di molte persone che non riuscirono
a fuggire sono stati individuati come impronte lasciate all’interno del banco tufaceo di lava (soltanto Fiorelli
nel secondo Ottocento si è inventato i calchi in gesso per ottenere la forma dei morti).
La distruzione totale riguarda non solo Pompei, ma anche Stabia, Ercolano e altre località intorno al Vesuvio.
Dop questo evento (dove muore anche Plinio il Vecchio), l’imperatore Tito decide di istituire una magistratura
preposta a provvedere ai bisogni delle persone che furono costrette ad abbandonare la città. Dalle fonti, si
sa che dopo il 79 molti tentarono di tornare lì per recuperare alcuni averi ma di fatto la città viene
abbondonata, tanto è vero che nel corso del tempo se ne perde la
memoria fino al 1748.
La città che viene sigillata nel 79 era una città di grande interesse che l’archeologia ha cercato di ricostruire
a partire dagli spazi sia pubblici che privati.
La città tardo repubblicana – Il foro cittadino e gli edifici di II-I secolo a.C.:
All’interno prevedeva un colonnato ionico di 12x4 colonne e attorno, a ridosso del muro di recinzione, si
vedono delle semicolonne che enfatizzano lo spazio della basilica che prevede un secondo piano nella parte
di fondo e che aveva un ingresso nel lato corto della basilica, enfatizzato da questa sorta di ingresso. =
calcidicum, ossia una sorta di antisala con una funzione di monumentalizzazione dello spazio d’ingresso della
basilica. Aveva anche una bassa gradinata che andava ad enfatizzare l’accesso allo spazio della basilica.
Dalla parte opposta rispetto al tempio di Apollo, c’è una sala porticata, affacciata sul lato
occidentale della piazza → MAGAZZINO/HORREUM che secondo gli studi doveva essere un
luogo di deposito delle merci per tutti i prodotti che venivano venduti nelle taverne, nelle
aree circostanti al foro. Si ritiene che a nord (cerchio rosso) ci fosse una sorta di erario, cioè
il luogo dove si deteneva il tesoro della città mentre nella settore meridionale doveva
esserci lo spazio in cui venivano pesate le merci che poi venivano vendute alla popolazione
= mensa ponderaria.
Il settore settentrionale del foro, quello monumentale, viene occupato dalla metà del
secolo dall’edificio principale della nuova città intesa come città inserita nel circuito romano
→ CAPITOLIUM ossia un edificio di tipo italico su alto podio con scalinata di accesso e che
ha un pronao profondo con quattro intercolumni di riferimento per enfatizzare
l’ingresso alla cella. All’interno di quest’ultima solo in epoca sillana verrà collocata la
tripartizione delle tre celle per la triade capitolina. La sua posizione sul lato corto del
foro sta a rimarcare la funzione di luogo di culto della città, del luogo per eccellenza del
foro (cfr. tempio di Venere genitrice nel foro di Cesare). = Questo tipo di scelte
urbanistiche, di monumentalizzazione dello spazio condiviso sia stata una soluzione
che ha interessato ben prima le città collegate a Roma e che a Roma diventa una cifra
per tutti i fori successivi.
Dalla parte opposta rispetto al tempio di Giove sta il nucleo per l’attività di
amministrazione cittadina → CURIA, l’edificio per gli edili e per i duoviri
(sindaci) e ad est il COMIZIO. Ancora nel II sec. a.C. questa porzione
orientale del foro non prevedeva questi edifici, ma c’erano delle case di
personaggi in vista che solo successivamente verranno smantellate e
occupate da edifici di tipo sacro e legati alla centralità dell’imperatore.
Nella fase in cui Pompei diventa una colonia romana dopo l’80, Silla marca a
sua volta lo spazio con un tempio → TEMPIO DI VENERE nella zona
sudoccidentale della città ben visibile da chi arrivava dal mare, posizione
dominante che va a marcare la città con un nuovo edificio sacro. Siccome i
romani erano fortemente superstiziosi, per non offendere Apollo (divinità
arcaica della cittadinanza), due magistrati decidono di rifare un altare in onore
di Apollo e lo posizionano di fronte alla scala di accesso al tempio con
l’iscrizione che dedica il rinnovamento al dio.
Lo spazio del foro è uno spazio che doveva avere tutta una pavimentazione in
lastricato, di cui non ci è giunta una grande documentazione se non alcune
lastre con iscrizione in bronzo a sottolineare l’importanza dell’opera. In questo spazio fino al 70 si svolgevano
tutti quei ludi gladiatori (cfr. Roma) che dovevano rispondere anche ai gusti dei nuovi arrivati (veterani) che
poi troveranno sede più adeguata in un altro luogo.
Nel settore meridionale c’è il FORO TRIANGOLARE. → anche in questa zona si possono recuperare dati
interessanti riguardo alla corsa dei pompeiani a fornire la propria città i luoghi adatti a rispondere a tutte
quelle sollecitazioni che si impongono dal III-II sec. a.C. in Italia. All’interno di uno spazio triangolare
monumentalizzato, dall’età arcaica sorgeva un tempio dorico (VI sec. a.C.)
che avendo un orientamento particolare e una morfologia particolare
denuncia la sua arcaicità rispetto al resto delle costruzioni che vengono a
essere realizzate tra il II e il I secolo a.C. in questo settore.
Si tratta di tempio che ha una prima fase del VI secolo e che è stato più volte
rimaneggiato, soprattutto nella fase tardo repubblicana. È un tempio che
va ad occupare una collocazione obliqua
rispetto all’orientamento degli altri edifici per
esigenze di tipo cultuale. È un edificio su
crepidoma a più gradini, che rispondono a delle
differenze altimetriche in conformità con la geomorfologia di questa parte della
città. Dalla tipologia degli ex voto e da una serie di elementi ricavati da scavi
recenti si ritiene che fosse legato al culto di Atena ed Ercole. Presso questo edificio
viene realizzata una sorta di tholos = edificio con peristasi circolare che andava a
monumentalizzare un pozzo. Il diverso orientamento del tempio non deve far
intendere che non avesse una sua funzione, ma al contrario il fatto stesso che venga abbellito e inserito
all’interno di uno spazio porticato ci dà la misura della rilevanza agli occhi della popolazione.
Le parodoi, le zone di passaggio vengono coperte solo nel I sec. e la fase di monumentalizzazione con un
ampliamento della parte superiore della cavea si registra in epoca successiva con una possibilità di aumentare
il numero degli spettatori che sono calcolati intorno ai 5 mila.
Questo edificio è importante perché è uno dei primi edifici per spettacoli costruiti ad hoc in Campani (anche
nel Lazio e a Roma sono edifici che trovano spazio in età tarda), che sono stati vietati perché costituivano un
luogo potenziale di ritrovo da parte di malintenzionati, che volevano sfruttare per organizzare sommosse o
riunioni non autorizzate. Per questo motivo l’importanza dell’edificio si evince dal fatto che i pompeiani
decidono di sponsorizzare un’opera che ritengono fondamentale per la loro cittadinanza.
È stato calcolato che potessero essere ospitate circa 1500-2000 persone, che è anche il numero di veterani
che ci trasmettono le fonti. Superata la fase difficile di accettazione della nuova componente romana a
Pompei (osmosi tra componente indigena e quella alloctona), lo spazio abbia effettivamente svolto la sua
funzione di edificio per gli agoni musicali.
Subito dopo la deduzione della colonia (la Cornelia), nella città viene
costruito un ANFITEATRO (70 a.C.), che inizialmente viene chiamato
edificio per spettacoli. Rappresenta uno dei primissimi esempi
attestati (a Roma il primo stabile è quello dei Flavi) e viene collocato
in una zona periferica della città dall’ingresso orientale per
rispondere alle esigenze di organizzazione del traffico e di
smistamento della popolazione che arrivava numerosamente non
solo dall’interno della città ma anche dall’esterno. L’edificio viene orgogliosamente dedicato da due
magistrati (Quinto Valgo e Marco Porcio), i quali specificano che la costruzione è avvenuta ex pecunia sua, a
partire dai beni personali per l’onore della colonia e della comunità divenendo un monumento che non viene
pensato solo come occasione per dare sfoggio della propria ricchezza ma principalmente come monumento
funzionale alla città.
Altra forma architettonica che connota Pompei è quella delle TERME STABIANE, che si trovano a poca
distanza dal Foro Triangolare e che sono collocate all’incrocio della strada che porta verso Porta di Stabia e
via dell’Abbondanza che esce fuori verso Porta del Sarno. Sono state costruite a partire da un precedente
contesto adibito a balneum di III secolo a.C. e mostrano uno dei primi esempi di organizzazione del bagno
pubblico in una società che non disponeva di bagni privati all’interno delle abitazioni = quindi necessitava di
luoghi per l’igiene personale. Fin dall’inizio l’organizzazione dell’impianto termale prevede due nuclei
separati:
Come si svolgeva questo percorso? Oltre che pagare un obolo per entrare, prima di tutto le persone dovevano
spogliarsi. Lo spazio in cui depositavano i propri averi e le vesti è l’Apodyterium, lo spogliatoio dove ci si
preparava per il bagno. Si trattava di un bagno tiepido (Tepidarium) e che successivamente prevedeva il
bagno caldo. Le terme romane avevano anche il Frigidarium, ma questo è un elemento che viene introdotto
solo successivamente perché si sa che ancora nel I secolo a.C. questo nucleo di terme non prevedeva il bagno
freddo. Sul lato della piazza viene realizzato un Destrictarium, un luogo nel quale ci si detergeva e ci si puliva
dagli oli che si mettevano per praticare le attività ginniche e successivamente nel I secolo a.C. viene realizzato
il Laconicum (ambiente pensato per le sudationes = sauna). → questo tipo di ambienti comuni che si trovano
nelle terme tardo repubblicane e imperiali sono luoghi chiusi di dimensioni contenute con muri spessi per
garantire il mantenimento del calore all’interno. Almeno in questa fase sono ad uso maschile.
Dopo il terremoto viene abbellita con apparato decorativo in stucco, ma soprattutto viene inserito nel lato
occidentale una grande vasca che sarà pensata per attività legate ad esercizi in acqua. Per dare idea della
complessità, a Pompei ci sono altri edifici ma soprattutto dall’età imperiale si impone una tipologia edilizia
delle terme imperiali che vedrà un’articolazione degli spazi molto più regolare e canonizzata con una
successione molto precisa delle varie stanze.
Le Terme Stabiane mostrano una loro origine dal mondo greco o romano, nel senso che l’assenza del
frigidarium è un elemento che li avvicina più ai balnea di origine greca. = non sono stanze pensate in maniera
organica ma vani giustapposti. A proposito di questi balnea, Vitruvio ricorda che erano distinti dalle palestre,
nel senso che quest’ultime non erano in uso nella tradizione italica. Nella sua descrizione ignora
completamente il Frigidario, a favore di una Frigida Lavatio, di un’attività di lavaggio con acqua fredda che
non necessariamente deve prevedere una vasca appositamente realizzata.
Plinio, nella Naturalis Historia, afferma che prima di Augusto non era costume lavarsi frequentemente con
l’acqua fredda. Si segue evoluzione della terma nella prospettiva di comprendere le diverse sollecitazioni dal
mondo greco.
(Testimonianza di Seneca, Lettere a Lucilio, libro VI, 56) – ppt pag. 32 → una giornata in prossimità di un
edificio termale romano. Anche se la lettera sia scritta in età neroniana (ca. 100 anni dopo alla realizzazione
delle Terme Stabiane) ci dà un’idea chiara di una giornata alle terme. La vita alle terme non è solo farsi il
bagno, ma significa passare il tempo a fare varie attività e avere relazioni sociale. Per questo dall’età augustea
in avanti le terme saranno un grande strumento di favore per il popolo che gli imperatori useranno per avere
un consenso popolare.
Questo tipo di attività non solo garantiva un plauso da parte della popolazione, ma garantiva anche due
elementi fondamentali:
1. l’igiene pubblica su ampia scala (= risoluzione di banali problemi sanitari come i pidocchi);
2. la circuitazione di soldi e di attività economiche attorno alle terme. Questo perché era anche un
luogo in cui si vendevano prodotti; quindi, attorno alle terme potevano svolgersi delle attività
economiche che servivano ad alimentare la sosta dentro alle terme per più ore e a garantire tutte
quegli elementi per lavarsi (spugne, asciugamani, ciabatte), molto ben documentati già in questa fase
ma che in età imperiale saranno un elemento costituivo della vita alle terme.
Se le terme igieniche sono necessarie a garantire una situazione di prassi sanitaria quotidiana per le persone,
altrettanto rilevante è lo sfruttamento delle sorgenti termo minerarie. = sorgenti con acque a componente
minerale a seconda delle diverse sorgenti solo perché sono nettamente distinte dalle terme igieniche sia da
un punto di vista della distribuzione degli spazi (la sorgente è l’elemento per cui si costruisce l’edificio, il quale
deve avere delle vasche dove a diverse temperature e funzioni venivano svolte delle attività di cura attraverso
l’acqua: la balneoterapia, la pinoterapia (ingestione dell’acqua), terapia di tipo aerobico attraverso
l’ispirazione di vapori termominerali catturato da sorgenti gassose, trattamenti per la cura di affezioni sia
dermatologiche che muscolari (fanghi, di cui i romani sono i primi iniziatori e che risolveranno tanti problemi)
→ TERME SALUTIFERAE in queste terme si sviluppa una tipologia architettonica diversa a seconda del tipo
di sorgente e trattamento, ma nella cultura romana si sviluppa una trattazione specifica di trattati e scritti
legati a cosa si poteva guarire utilizzando certe acque rispetto ad altre nelle varie aree dell’Impero.
L’edilizia residenziale in area italica e le evidenze repubblicane a Pompei
Dall’architettura che utilizza la semplice pietra (opera quadrata) passa con la fine del III e
gli inizi del II ad utilizzare il legante nell’opera cementizia per costruzioni che diventano più
semplici da realizzare (nel momento in cui si impara viene affidato a tutti, alla manodopera
servile di cui Roma e le altre città si arricchiscono dopo la conquista dell’oriente). Questo
permette soluzioni di diversa natura che interessano anche la città di Pompei, dove
vengono realizzate delle abitazioni che si adattano al gusto e alla tecnica edilizia in voga
all’epoca.
A Pompei si trova una situazione fossilizzata (che rispecchia quello che troviamo anche in altre città come a
Roma), dove vengono costruite delle abitazioni di lusso ma vengono costruite anche abitazioni di diversi livelli
sociale e abitazioni che non si sviluppano solo al pian terreno ma anche nel sottosuolo. → l’architettura
romana a partire dal II a.C. conosce una grande fase di sfruttamento di tutti quei contesti in pendice ovvero
in contesti in cui la geomorfologia permetteva uno scavo in sottosuolo complesso che permetteva di
espandere le aree di abitato in una dimensione ipogea. Vengono utilizzati in luoghi dove la geomorfologia lo
consente come il Lazio, l’Etruria, la Campania e in altri contesti dove fosse possibile realizzare opere ipogee.
Si tratta di opere che sono state oggetto di studio
L’uso di questi contesti non è solo funzionale a sopperire differenze di quota, ma serve anche a creare enormi
nuove zone di costruzione per finalità di servizio (infrastrutture, magazzini, luoghi di passaggio) ma anche
come vere e proprie stanze di percorrenza e transito o residenzialità. Sia nel Lazio che in Campania (in
particolare a Pompei) non è strano trovare dei vani ad uso tricliniare e ad uso di residenzialità di lusso.
Inoltre, ci sono anche dei luoghi in cui al sottosuolo viene data la funzione di spazio in cui collocare una parte
della familia = famiglia servile che doveva restare separata dalla frequentazione altolocata del sopraterra.
Pompei è un luogo dove questo tipo di architettura in sottosuolo ci dà degli esempi straordinari. Al di là della
potenzialità costruttiva del sottosuolo e dello sfruttamento di aree in pendice, l’edilizia privata dall’età
arcaica ha al centro uno spazio scoperto (impluvium) in cui l’atrio si organizza con serie di spazi che vanno a
canalizzare il percorso dall’area dell’ingresso verso il tablino (sala principale) con a fianco serie di vani di
rappresentanza o accesso per gli ospiti o vani di tipo privato.
Questo tipo di costruzioni trova anche a Pompei delle esemplificazioni molto evidenti e si è costruita anche
una teoria in base alla quale le case fossero solo di tipo ad atrio, anche se in realtà non era così. Questo
dipendeva dalle potenzialità e dalle possibilità del proprietario.
CASA DEL CHIRURGO, VI, 1,10, (III a.C) = modello della casa ad atrio. È sempre stata
presa come modello per la sua articolazione che prevedeva una successione molto
chiara dall’area dell’ingresso dalla strada con una disposizione di vani: le fauces, il
vestibulum e l’atrium su cui si affacciavano dei locali (cubicula per il riposo), dei vani
a ridosso dell’ingresso che in alcuni caso possono essere adibiti a taverna o bottega in
gestione del patronus o affittate a terzi. Sul lato dell’ingresso sta il tablino, che prende
il nome da tabulinum, da tabulae cioè dal fatto che qui il padrone riceveva non soltanto
i propri amici ma anche i clientes (persone di stato giuridico libero che potevano
partecipare alle votazioni, alle attività che coinvolgevano l’amministrazione e la vita
politica della città). Affidandosi al patronus ne diventavano un braccio operativo,
soprattutto quando gli veniva affidata la gestione di una parte del patrimonio del patronus. Nel tablino
vengono ricevute queste persone, vengono annotate le attività amministrative (attività di vendita e acquisto
di prodotti, scambi, affitti) in una sorta di vera e propria attività redditizia per il patronus, il quale rispondeva
a questo tipo di servizio garantendo quotidianamente ai clientes, che si recavano per praticare la salutatio
mattutina (il saluto al proprio patrono), la donazione di sportulae (sacchetti in cui il patronus poteva mettere
dei prodotti di genere alimentare, ma anche piccole somme di denaro = reciproco scambio in questo rapporto
clientelare).
Rispetto a costoro il patronus poteva ricevere degli ospiti selezionati che non ospitava necessariamente nel
tablino ma in altri vani di tipo residenziale come i triclini, le esedre, gli oeci, ecc. → lo spazio del ricevimento
diventerà una cifra molto importante, soprattutto nel II secolo quando la casa diventa una grande occasione
di manifestazione del lusso e dello status raggiunto dai proprietari. Quello che è il modello di casa ad atrio
con l’hortus (giardino retrostante adibito anche solo a coltivazione di vegetali o piante che servono per il
sostentamento del nucleo familiare) si amplifica e diventa uno strumento di autorappresentazione.
Il nome della casa deriva dal fatto che negli scavi del ‘700 qui sono stati trovati circa una quarantina di
strumenti di bronzo e ferro pertinenti ad attività forse mediche (cateteri, pinze, bisturi, ecc.).
L’altra grande abitazione che ci dà la misura del cambiamento è la CASA DEL FAUNO, VI 12, 2 → ci dà il polso
di quella che fu la corsa a presentarsi a Roma e ai concittadini nel momento in cui Pompei diventa la città
tardorepubblicana di II sec. a.C. inserita in tutto quel circuito di contatti e commerci con l’Oriente greco, dal
quale ricava delle sollecitazioni culturali.
Questa casa appartenne a una famiglia aristocratica locale, ai Satri, i quali tra la fine del III e la seconda metà
del II secolo decidono di ristrutturare questa casa, che occupa circa 3mila mq e quindi praticamente un’intera
insula.
Vi è un altro settore della casa che fa leva sull’atrio tetrastilo su ci si aprono altri locali, ma non ha il tablino
quindi si è ritenuto che questo non fosse per sistema clientelare ma forse per la componente femminile.
Il settore successivo è pensato per una selezione di ospiti, che viene riservato a
ospiti selezionati, i quali vengono ammessi alla parte più interna della casa, che è
una parte connotata da un elemento tipico delle case ellenistiche: il peristilio. = È
lo spazio su cui vertono i locali di rappresentanza, che funge da tramite anche per
il secondo grande giardino che si apre all’interno del secondo peristilio
settentrionale. Questo spazio è selettivo e di ricevimento perché in questi vani si trova un apparato
decorativo straordinario (es. Mosaico dall’esedra fra i due peristili con la battaglia di Alessandro contro Dario
III a Isso del 333 a.C., 120 a.C.). In questo settore la casa è abbellita da apparato decorativo sia musivo che
pittorico di straordinario interesse che ci parla di un’aristocrazia che non solo è in grado di apprendere
elementi della cultura ellenistica internazionale ma si serve di maestranze di altissimo livello in grado di
realizzare opere come il mosaico con la Battaglia di Alessandro.
Anche al di fuori della città abbiamo delle testimonianze interessanti di come l’aristocrazia di età tardo-
repubblicana si adegui e risponda alle sollecitazioni esterne con delle forme autorappresentative che
rispondono alle esigenze di vita e autorappresentazione.
VILLA DEI MISTERI → villa che si trova nel settore nord-occidentale del suburbio
di Pompei. È raggiungibile dalla via delle tombe, da fuori Porta Ercolano.
Rappresenta un caso di costruzione suburbana realizzata in epoca tardo
repubblicana, in cui il patronus andava, ma che rispondeva anche all’esigenza
di possedere delle abitazioni lontane dal clamore cittadino. In età imperiale
diventeranno delle villae d’otium, nelle quali i nobili trascorreranno la maggior
parte del loro tempo affidando ai procuratores (propri sottomessi) tutte le
attività in città e che poi diventeranno delle imitazioni delle grandi regge
imperiali (già la Casa del Fauno ne era un esempio; infatti, la sua estensione era
maggiore del Palazzo degli Attalidi a Pergamo).
Questo tipo di costruzioni rispondono a quella vita agreste, di cui le fonti parlano e che aveva fin dalle origini
caratterizzato la società romana basa sulla pecunia (ricchezza dal vetus, dalla terra). È il luogo in cui svolgono
diverse attività – attività che nel caso di questa villa ma anche di tutte le aziende agricole a partire dal II sec.
a.C. sfruttano la manodopera servile, che rappresenta il punto di forza dell’economia tardo-repubblicana
romana perché va a scalzare la piccola proprietà a favore di grandi proprietà gestite da pochi. Questi affidano
ai servi, tramite i clientes, la produzione che si svolge nella pars rustica della villa = settore pensato come
esclusivamente dedicato alle attività di tipo agricolo ≠ dalla pars urbana, in cui il padrone svolge le sue attività
di ozio ma di impronta urbana.
Da un punto di vista distributivo prevede una sorta di inversione degli spazi: in questo caso abbiamo prima il
peristilio e poi l’atrio (≠ villa in città).
Nella Villa dei Misteri, che nell’ultima fase appartenne agli Stacidi, si sa che la prima fase risale alla prima
metà del II secolo. La committenza è aristocratica sannitica e conosce alcune ristrutturazioni tra il 60 a.C. e
l’età augustea.
Viene costruita su un’area in pendenza, infatti viene realizzato un grande terrapieno artificiale con
criptoportico. Complessivamente l’immobile occupa 1820 mq e l’affaccio è verso il mare. L’ingresso avviene
da est e prevede una prima dislocazione di locali intorno al peristilio con parte dedicata alla cucina e al bagno,
una sala per il culto domestico (antisala che enfatizza lo spazio interno) e un’area articolata rispetto all’atrio
con serie di stanze per l’attività d’otium del padrone di casa. Egli aveva anche una
settore di tipo produttivo (freccia rossa) con un torcularium, che è stato poi riprodotto
per dare l’idea di come si doveva presentare questo spazio nel settore settentrionale.
In questo luogo avveniva la spremitura dell’uva, che veniva fatta defluire all’interno di
doli che contenevano la spremitura e che corrispondeva ad una delle maggiori attività
economiche di tutta l’economia pompeiana. Si ha produzione con grande nomea anche
al di fuori della città.
La città di Pompei ha anche permesso di definire le tecniche decorative e pittoriche dell’arte romana. Dal II
secolo a.C. si ha un’introduzione di una modalità decorativa classificata da August Mau (grande archeologo
dell’800) → egli ha proposto una classificazione della pittura decorativa a partire dai 4 stili pompeiani.
Questa classificazione si basa sull’analisi e sullo studio delle realtà che andava a scoprire e definire, che sono
la base della classificazione che ancora utilizziamo.
Alla Villa dei Misteri questa decorazione è molto presente, però mostra anche come
questo tipo di decorazione si evolverà fino ad aprire degli scorci che faranno
intravedere delle altre architetture (si parla di architetture illusionistiche) che vanno
a realizzare dei piani sovrapposti alternando diversi livelli di prospettiva.
All’interno di questo ambito esistono anche delle megalografie = pitture pensate per decorare in
maniera completa con delle scene le pareti delle sale principali. Danno la misura della grande volontà
di una grande rappresentazione che va anche oltre l’aspetto architettonico.
Dopo Pompei la pittura non smette di essere realizzata, ma rispetto ai quattro stili pompeiani ci sarà un
ulteriore adeguamento e modifica che andrà a seguire le diverse linee artistiche e gusti di rappresentazione
con motivi che saranno di volta in volta adeguati allo stile e al contesto in cui queste vengono create.
LEZIONE 19 ǀ 26 aprile 2022
L’ETA’ DI AUGUSTO
Prende avvio dalla morte di Cesare. Figlio adottivo Ottaviano viene richiamato a Roma dall’Epiro (da
Apollonia, nell’Epiro meridionale). Ha 19 anni all’epoca. Sta completando formazione come giovane nella
nobiltà romana. Ha già idee molto chiare. Una delle prime azioni che fa è quella di chiedere al Senato che
venga votata ed eretta una statua equestre dorata in onore di Cesare, collocata presso i rostri del foro
romano (tribuna da cui parlavano i relatori). Riesce ad ottenere permesso di coniare monete con
rappresentazione della statua equestre prima ancora che venga realizzata, per messaggio propagandistico.
Si accerchia, crea gruppo di sostenitori e arruola mercenari che costituiranno corpo della guardia personale
e vendetta di chi aveva ucci so il padre. Ultima azione che ottiene quasi subito è quello di poter essere
candidato subito alle magistrature (10 anni prima del minimo). Non è ancora augusto ma figlio adottivo di
cesare e colui che lavora per la repubblica.
Si pone colui che agisce per l’interesse dello stato, percepita come figura favorevole rispetto ai vecchi
interessi dell’oligarchia senatoria, tipo Pompeo. Era riuscito a creare consenso tale da aspirare alla carica di
dittatore a vita. Quando senato pensa di ripristinare situazione antica pre-Cesare. In realtà il popolo vuole
un individuo al comando che favorisca una situazione di pace e continuità e non continui scontri tra fazioni.
Ma c’era anche in campo Marco Antonio. Si fa dare testamento da Calpurnia, moglie di cesare, che aveva
“pensato al popolo” dalla lettura: Ottaviano era legittimo erede.
Ma a Ottaviano la presenza di Antonio non fa molto gioco rispetto alle sue mire. Antonio aspira a governo
delle provincie orientali. Anche Antonio costruisce una propria propaganda.
Antonio riconosce in Ercole la propria divinità di riferimento. Si fa rappresentare come ritratto fisionomico
di Ercole. In seguito, negli anni 30 del I sec. a.C. Antonio scontro con Ottaviano. Idea di nuova Roma su
ipotesi di province orientali (si unisce con Cleopatra che si era già unita con Cesare da cui era nato
Cesarione).
Il Foro repubblicano dopo l’uccisione di Cesare nel 44 a.C, diventa il nuovo teatro per la propaganda di
Ottaviano a cominciare dalla statua dorata di Cesare ai Rostri nel 43 a.C.
Antonio vs Ottaviano, Oriente vs Occidente: due modelli a confronto> l’uso delle divinità ‘personali’ per la
propaganda di parte.
Ottaviano, il quale invece vuole proporsi al contrario come colui che difende la tradizione italica, che
riconosce nell’Italia la terra fertile, legata al mos maiorum, e si arriva allo scontro definitivo del 31 a.C, con
lo scontro finale fra Antonio e Ottaviano ad Azio, in Epiro. Le due flotte contrapposte tra Ottaviano e
Cleopatra si scontrano, che vedrà la prevalenza di Ottaviano su Antonio, il quale scappa con Cleopatra in
Egitto.
Ottaviano resto l’unico arbitro della situazione, lo fa ponendo dei punti fermi, si rende conto che non è
conveniente presentarsi come un monarca, ma come un restauratore delle antiche tradizioni. Per fare così
si presenta, come primus interpares, accetta che gli vengano conferiti alcuni titoli, tra cui quello di
“Augusto” nel 27 a.C, un appellativo, che è frutto di una meditazione geniale, non solo sua ma della sua
cerchia, con anche Agrippa.
Augusto= sacro, venerabile, sublime appellativo che prima era riservata a Giove.
Il suo principato non vuole chiamarsi monarchia, ma lui fa una serie di gesti attraverso i quali chiarisce il suo
programma di governo facendolo attraverso immagini e monumenti, non solo con la parola e produzioni
letterarie, richiamando il consenso generale.
Arles, scudo trionfale in marmo riproduce quello che Ottaviano aveva dedicato nella curia dopo il 27, si
tratta di uno scudo dove compaiono le 4 parole chiave della propaganda: virtus, clementiae, iustitiae e la
pietas. Augusto, tenta si risistemare una situazione politica, basandola sul concetto di pietas, clemenza e
virtù, e di giustizia, in particolare di pietas, perché affronta una serie di guerre e uccisioni, portando la
società romana sul crollo totale.
Per fare questo costruisce una sua immagine, che inizialmente era una figura divina di Apollo, dopo una
fase che suona la cetra e che quindi è improntato alla pace, e prima era un Apollo che era contrario ad ogni
forma di eccesso, razionale, punitivo, ed è infatti è la figura che Ottaviano vuole contrapporre a ad ogni
modo a quella di Dioniso, nella sua prima fase.
Dopo Azio viene codificata una nuova immagine del giovane Ottaviano, che richiama una certa ritrattistica
che guarda l’esaltazione dei caratteri psicologici dei personaggi, a un’impostazione con un’impostazione di
un modellato diverso.
Augusto vede nell’Atene periclea avrebbe visto la cifra stilistica su cui improntare tutta l’arte europea.
Augusto di Prima Porta trovata a Prima Porta, è stata una scoperta straordinaria, questa statua ha
l’elemento caratterizzante, non è solo il ritratto individuale di Augusto, costruzione del volto ai modelli
Pelicletei. All’interno della statua si ha il braccio in richiesta di silenzio, l’immagine dell’imperatore non con
la toga ma con vesti militari. Corazza trasmette un messaggio propagandistico articolato su 3 livelli:
Opera realizzata da artistici neo-attici, a cui viene richiesta una statua con gli stilemi della classicità
ateniese, pensata per una nuova propaganda per l’esaltazione del potere di Ottaviano Augusto.
Assume in sé tutte le cariche religiose, che gli permetteranno di rappresentarsi come pontefice, con il capo
velato, con braccio destro che tiene l’oggetto del sacrificio che sta per compiersi, e elementi tipici del suo
volto. Rappresentazione di sé non è solo per Roma, ma una riproduzione che deve espandersi in tutto
l’impero, con immagini certe e codificate dell’imperatore. Immagine del principe, che riempie gli spazi
pubblici della città, ma anche quelli privati, proprio perché Augusto chiede una forma di lealtà, che si
traduce in una forma di adorazione verso il principe, a cui verranno dedicate delle forme di venerazione.
Dopo la sua morte verranno realizzate delle nuove cariche sacerdotali, come ad esempio i sacerdotales,
coloro che sono incaricati di svolgere il culto delle cerimonie in onore dell’imperatore, per assicurare una
tradizione che porterà ad una divinizzazione di tutta la famiglia dell’imperatore.
Il suo braccio destro Agrippa e sua moglie Livia, che Ottaviano sposa, figlia un personaggio della nobiltà
della Roma, che era già sposa di Tiberio Claudio Nerone, da cui aveva avuto Tiberio e da cui aspettava
Truso. Ottaviano se ne invaghisce, decide di sposarla, anche se la legge proibiva che una donna incinta si
sposasse, concessione che viene fatta ad Ottaviano. Nel momento in cui si considera l’età augustea, non si
possono scindere i compagni di vita dell’imperatore, che erano modelli di vita per i cittadini, tutta la
propaganda che fa Augusto, non è solo sull’operato ma anche su una attenta costruzione di immagini
simboliche, come modelli per la propaganda dell’impero.
Livia si pone come modello con caratteri religiosi, concetti legati alla ricchezza, abbondanza e fertilità,
facendosi ritrarre sotto sembianze di divinità varie. Per dare un’idea di una rappresentazione femminile che
fa da modello per le altre città.
Per Giulia, figlia di Augusto, figura controversa, con poche immagini rimaste, poiché non veniva considerata
degna, non messa al potere. Molte immagini di Agrippa, braccio destro di Augusto, che Giulia sposa avendo
5 figli, tra cui Gaio, Lucio Cesari, che Augusto adotterà come figli adottivi Gaio e Lucio Cesari moriranno
presto, probabilmente Livia potrebbe centrare nella scomparsa, poiché voleva far salire al trono suo figlio
Tiberio. Tiberio poi prenderà la mano di Giulia, marito odiato, che poi allontanerà Giulia, e Livia e Tiberio
avranno campo libero.
L’altra grande azione di creazione del consenso, si impernia sui monumenti. La genialità di Augusto, è stata
quella di veicolare nei suoi monumenti non solo la propria auctoritas, ma soprattutto l’idea che la gens Julia
dovesse occupare il posto del governo, pur non avendo nessuna carica ufficiale, tutti i luoghi importanti
della città recano il marchio della gens Julia.
Dopo un incendio la Basilica sempronia, viene
ricostruita e dedicata a Gaio Lucio Cesare. Nel
foro, luogo in cui Ottaviano Augusto rimarca il suo
interesse, facendo costruire nel lato inferiore, nel
lato orientale rimasto libero, era in direzione nel
tempio di Vesta e la Regia, due edifici che
verranno sbarrata per la costruzione del Tempio
del Divo Giulio. Dall’altra parte della Basilica
Emilia, viene realizzato un vestibolo per i nipoti.
Vengono rifatti i tempi di Saturno e tempio dei
Castori.
Tempio in onore di Marte, che non c’entra con Apollo, a cui dedica un altro tempio. Sceglie Marte come
vendicatore, vendicare la morte di Cesare.
Tempio su alto podio, è un ottastilo corinzio con profondo pronao, al fondo della cella aveva fila di colonne
laterali, al fondo sull’abside lo spazio per le immagini di culto, ci stavano Marte Ultore, e anche Venere
(capostipite dei Giuli), e il Divo Giulio (padre di Augusto=princeps).
Acutissimo modo per legittimarsi il
potere a lui conferito, fino a che
non morirà. Non solo nell’ambito
pubblico trasferisce segni della sua
propaganda, lo fa anche nel
privato del princeps, privato molto
relativo, colui attorno al quale si
svolge l’esempio per tutta la
cittadinanza. All’insegna di una
propaganda e veicolare dei
messaggi molto selezionati, che la
vita del princeps si articola.
Ottavia fa unificare una serie di abitazioni tardo repubblicane presenti in questa zona, lo fa attraverso una
articolazione ispirata alla organizzazione delle abitazioni ellenistiche intorno al peristilio. unendo la casa
privata di Livia, che era nel retro della casa di Augusto, con un nucleo con l’atrio centrale e l’articolazione
delle varie stanze. Abitazione improntata sulla tipologia ellenistica.
Nella casa Augusto cerca di imporre una tendenza alla razionalità e evitare sfarzo eccessivo, eccessiva
ostentazione del lusso. vuole rappresentare una discontinuità con i suoi predecessori, improntando il
modello di vita sul concetto di austerità, che aveva caratterizzato la tradizione italica, limitare
l’ostentazione.
Decorazioni che si articolano tra il secondo stile e il terzo stile, la fase tardo repubblicana, caratterizzata
con pitture prospettiche. Gusto più pacato per il terzo stile augusteo, gli eccessi sono sedati, scelte linee di
rappresentazione più essenziali, con decorazioni del terzo stile quindi con tendenze alla monocromia, ed
elementi puntuali che catturano l’attenzione.
Questa abitazione le cui pitture sono state strappate al momento dello scavo, e poi la parte
indagata è stata distrutta. Dalla pianta si capisce che era un’enorme abitazione articolata su
un’enorme esedra sorretta 3 muri concentrici, con prospetto rivolto verso il Tevere. Un’asse
trasversale, su cui si articolavano alcuni vani, sovrapposti verso un piano inferiore sorretto da un
finto portico e affacciato verso la strada.
Apparato decorativo, tendenza di ridurre la propensione ad architetture prospettiche, si vuole una
decorazione con scene con riquadri di piccole e grandi dimensioni, che occupano la parte centrale
della parete, che richiamano lo stile classicheggiante, con soggetti che variano. Esempio (Venere in
trono, con uno stile pompeiano)
Pittura che ci permette di farci un’idea dell’evoluzione del gusto, negli anni che si voleva evitare l’eccesso di
sfarzo, con pitture più semplificate, con soggetti che si improntano su certi momenti, tipo il Giudizio di
Salomone. Gusto per la rappresentazione della natura, dominata dalla mano dell’uomo, cifra dell’arte
Augustea, con rappresentazioni di tanti giardini, con fontane.
Dalla villa viene una serie di decorazioni in stucco di tipo mitico o iniziatico, di cui la critica si è molto spesa.
Stucco sul cubicolo ERappresentazione dionisiaca, con bambino accompagnato dalla madre nel rito
dell’iniziazione con la testa incappucciata, elementi che delineano il comparto grafico, e il paesaggio
Anche il Campo Marzio è stato un luogo in cui Augusto e Agrippa, volvano veicolare il loro messaggio. Area
settentrionale con la costruzione del mausoleo di Adriano.
Mausoleo Adriano Questo edificio viene progettato già nel momento in cui sale al potere, tra 32 e 28
a.C, concepito come luogo di sepoltura di Augusto e per tutta la sua famiglia. Modello di riferimento è il
mausoleo di Alicarnasso, in asia minore. Si trattava di una grande costruzione, su una successione di corpi di
fabbrica, con muro esterno cilindrico alto 9 metri che racchiude un edificio largo 87 m. Edificio che doveva
essere un grande contenitore, ricoperto da un tumulo di terreno con alberi. La cella interna con le celle di
Augusto, il modello doveva essere come quello di un tumolo di cifre orientale.
La costruzione del mausoleo, non è solo il fatto di avere una tomba degna per il principe, ma è un
monumento che si ispira ai precedenti, che veicola il messaggio di un potere basato sulla trasmissione sulla
memoria di sé, ospitando il corpo di Augusto e dei suoi famigliari.
Nel 10 a.C, Augusto regala al popolo un enorme orologio solare, il cui ago segnava al terreno il movimento
del sole indicava le varie ore del giorno, come ago dell’orologio si ha un obelisco egiziano, che ancora oggi
di trova in Piazza Montecitorio. L’ombra dell’orologio, nel giorno compleanno di Augusto, doveva
proiettarsi sull’altro edificio di Augusto, ovvero l’Ara Pacis Augustae.
Ara Pacis Augustae Da un punto di vista planimetrico, si tratta di un grande altare marmoreo, con 2
grandi accessi, una dalla via flaminia e una da parte del Campo Marzio. Altare monumentale, ispirato a
Pergamo. Questo monumento prevedeva un recinto monumentale, che racchiudeva l’altare, accessibile da
una rampa. Distinzione tra la rappresentazione esterna dell’altare, e quella interna, propria allo spazio
sacro, interno al recinto. Ara è l’altare interno, e insieme del recinto monumentalizzato, attorno al quale,
vengono scelte delle immagini significative. Nella parte inferiore della decorazione esterna, una linea
continua di fregi con ali di acanto, con animali e piante che alludono alla prosperità dell’età Augustea che
ha portato. Nella parte superiore è articolata su 2 facce:
- quella rivolta ad ovest sul Campo Marzio, legata alla nascita di Romolo e Remo allattati dalla lupa
con Marte e Faustolo, Enea che sacrifica la scrofa ai Penati
- quella verso est, in cui vengono scelte delle immagini ispirate per il lato, legate all’origine di Roma.
Divinità legate all’idea di prosperità di Roma, con la dea Tellus (dea dell’abbondanza e ricchezza)e
la dea Roma armata, seduta e che regge la lancia.
- Sui lati lunghi nord e sud, c’è rappresentato il motivo per cui viene costruito l’Ara Pacis, la
manifestazione di una processione sacra, rappresenta la sublimazione dell’idea processione sacra a
cui partecipava Augusto e la sua famiglia. Il corteo sacro inizia con Augusto come pontefice
massimo, che guida la processione, con i flamines (sacerdoti per determinate cerimonie sacre).
Seguono dei personaggi legati alla famiglia di Augusto, con ritratti di singoli, in ordine secondo la
successione dinastica. Rappresentava la continuità della stirpe giulio-Claudia.
Elemento costitutivo, è che si è voluta rappresentare della famiglia di Augusto, chiamata a celebrare un
evento religioso, preso in modello per tutte le popolazioni dell’impero.
Altare con interno, si riproduce la staccionata per eseguire il sacrificio, mostra una scena legata per la
successione paratattica, con scelta per sottolineare la rappresentazione iconografica romana.
LEZIONE 20 | 27 aprile 2022
La strategia di Augusto era stata quella di circondarsi di intellettuali che attorno alla sua figura di mecenate
contribuirono a diffondere con opere letterarie e storiografiche l’età dell’oro (l’età della pace augustea), ma
ha avuto anche un’importanza dal punto di vista architettonico e artistico per la codificazione di una serie di
elementi che veicolavano attraverso le immagini e i monumenti il messaggio propagandistico di Augusto. →
messaggio che attraverso la scelta precisa di un codice classicistico (ispirato alla Grecia del V sec.) ha
permesso di sviluppare un linguaggio propriamente augusteo.
Questa ricostruzione dell’arte da Augusto alla fine del I sec. d.C. deve necessariamente avere chiari i periodi,
nei quali hanno regnato i vari successori di Augusto. Si deve tener conto degli anni dei regni ma anche delle
diverse strategie che hanno portato all’affermazione di un personaggio piuttosto che un altro, perché se si
conosce il contesto storico di riferimento si comprende anche le scelte adottate a livello iconografico o
monumentale per trasmettere diversi messaggi propagandistici.
I REGNI DEI GIULIO-CLAUDII E DEI FLAVI
- Principato di Augusto: 27 a.C.-14 d.C. → attorno famiglia di Augusto si erano concentrate forze
centripete e centrifughe:
1. Forze centripete incardinate attorno ad Augusto e Livia, che rappresentava il modello esemplare
della matrona romana per eccellenza. Livia si pone come matrona per eccellenza che non solo
realizza il filo in casa, mostrando la continuità della tradizione del Lanificium (= condizione di
statuto giuridico già di epoca repubblicana); ma insegna anche alle donne di casa questo tipo di
attività non solo a fini propagandistici, ma perché deve rappresentare l’esempio positivo della
donna romana. Livia non ha figli da Augusto, ma due figli dal primo letto: Tiberio e Druso. Tiberio
sarà il prescelto e verrà adottato dopo la morte dei due figli di Giulia, che erano stati adottati dal
nonno per garantire una continuità dinastica al suo regno. Si sospetta che Lucio Cesare sia stato
ucciso dalla nonna adottiva.
2. Forze centrifughe: Tiberio è colui che ha il via libera ma inizia il suo potere con atti molto forti,
nel senso che la forza centrifuga rappresentata da Giulia, che era stata esiliata dal padre nel II
a.C. = anno cruciale per Augusto perché anno in cui viene nominato pater patriae e anno in cui
viene scoperta la congiura, di cui Giulia era la mandante. Viene allontanata con l’accusa di
adultera e di aver attentato al regno. Viene mandata a Ventotene, dove la raggiunge la madre
Scribonia. Qui resterà per diverso tempo finché non verrà trasferita a Reggio Calabria dove
morirà di stenti per colpa di Tiberio che nel 14 uccide anche l’ultimo figlio di Giulia, Agrippa
Postumo, con la scusa di tradimento e di voler attentare al regno basandosi su fatto che le fonti
lo avevano già presentato come un ragazzo poco stabile mentalmente e quasi pericoloso.
- Tiberio: 14-37 d.C. (fa uccidere l’ultimo nipote di Augusto, Agrippa Postumo) → sale al trono facendo
fuori chi era scomodo e si appoggia pienamente alla madre che lo seguirà nel suo percorso.
- Caligola: 37-41 d.C. → lui regna per poco tempo ed era uno dei figli di Germanico e Agrippina
Maggiore (figlia di Giulia e Agrippa). È un personaggio, delineato dalle fonti come volto a un’idea di
monarchia assoluta di stampo orientale. Con studi più recenti è stata rivalutata la sua figura, che
comunque arriva a uccidere il co-reggente, Tiberio Gemello, e poi viene assassinato quando la
situazione non è più gestibile anche a livello delle istituzioni senatorie.
- Claudio: 41-54 d.C. → personaggio interessante, il Grande conquistatore della Britannia. Avocherà
in sé una similitudine con Giove nel momento in cui si fa rappresentare (cfr. Tiberio). Viene
assassinato dalla moglie Agrippina minore con un piatto di funghi velenosi in favore dell’ascesa del
figlio Nerone.
- Nerone: 54-68 d.C. (precettore: Seneca; poi svolta assolutistica fino al ’suicidio assistito’) → regna
per 14 anni. Inizialmente gli viene affiancata una figura intellettuale di primissimo livello, Seneca,
tanto che le fonti lo delineano come un imperatore illuminato nella sua prima fase del regno. Nella
seconda metà del suo regno, le tendenze assolutistiche diventano predominanti e non solo attuerà
delle scelte architettoniche e artistiche all’estremo della rappresentazione del potere, ma poi sarà
costretto al suicidio nel senso che nel 68, dopo una delle ennesime congiure di Calpurnio Pisone
decide di farsi uccidere da un servo. Lascia il potere scoperto perché non ha figli, infatti, l’anno dopo
è quello dei 4 imperatori.
- 68-69 d.C. > anno dei ‘4 imperatori’: Galba/Vitellio/Otone/Vespasiano
- Vespasiano: 69-79 d.C. → si imporrà con la sua dinastia dei Flavii dal 69 al 96 d.C. Egli muore
improvvisamente e Tito gli subentra immediatamente.
- Tito: 79-81 d.C. → egli regna due anni e gli succede il fratello Domiziano.
- Domiziano: 81-96 d.C. → proseguirà la linea neroniana di Caligola e Nerone e che accetterà di essere
chiamato ‘dominus et deus’ per rimarcare ulteriormente questo potere assoluto di cui intendeva
servirsi e mostrare. Verrà poi assassinato nel 96 d.C.
Questa panoramica permette di capire in quale clima l’arte e l’architettura si sono espressi e concretizzati. È
stato un clima di grande tensione e scontri interni che venivano sedati e mascherati da una propaganda
fortissima. → propaganda che quando poi diventava insostenibile si eliminavano le persone che non
andavano bene.
Già con Augusto, la rappresentazione del potere passava attraverso l’espressione dell’idea della vittoria e
del trionfo come elementi che in qualche modo connotavano e consolidavano il potere raggiunto ma
soprattutto veicolavano il consenso verso l’imperatore con queste immagini. Esse dovevano rappresentare
dei fatti storici realmente avvenuti, delle gesta che il princeps aveva effettivamente svolto. In qualche modo
questa accentuazione dell’idea della vittoria e dell’importanza della trasmissione attraverso le immagini non
faceva altro che riprendere una tradizione della Roma repubblicana. (non solo quando in Campo Marzio in
età tardo medievale passavano i trionfi seguendo determinati percorsi, ma anche nella famosa pittura
dell’Esquilino con le scene rappresentate su quattro livelli con scontro tra Sanniti e romani era manifestata
la necessità di documentare dei fatti, di esprimere graficamente il valore delle persone coinvolte. Questo
elemento della trasmissione era assicurato dall’esposizione durante i trionfi delle tabulae pictae, tavolette
che venivano mostrate alla popolazione e in cui venivano rappresentate determinate scene salienti).
Il racconto storico doveva documentare la forza e i valori dei generali, ai quali il trionfo veniva concesso
soltanto se dimostravano di essersi conquistato l’onore di tale cerimonia.
L’ideologia della esaltazione della vittoria militare, quale elemento cardine della propaganda augustea e
imperiale, si basava sull’antichissima cerimonia del trionfo e della parata trionfale in città, la quale richiedeva
però (Le fonti spiegano che il trionfo veniva assicurato solo se erano state compiute delle azioni specifiche:
1. che la guerra fosse stata vinta contro nemici stranieri, che quindi non fosse una vittoria per una
guerra intestina;
2. che il vincitore (generale a capo dell’esercito) presentasse una richiesta ufficiale (anche tramite invio
di tabulae pictae con le scene principali degli scontri) al Senato, il quale deliberava, soltanto con
opportuna documentazione) se concedere il trionfo o no;
3. che il generale avesse esercitato l’imperium maximum/autorità suprema nella battaglia principale e
sterminato almeno 5000 uomini. Che avesse avuto un riconoscimento reale nella sua capacità di
condurre la battaglia;
4. che il generale e l’esercito, in quanto macchiatisi di sangue e quindi impuri, dovessero attendere fuori
dal pomerio sostando nel Campo Marzio, prima di ricevere il placet del Senato per svolgere la
cerimonia;
5. ottenuto il permesso e decretata a spese dello Stato la cerimonia, il generale e il suo esercito partiva
dal Campo Marzio, entrava dalla Porta Triumphalis (tra il Campidoglio e il Tevere), attraversava la Via
Sacra e il Foro giungendo al Capitolium, dove avveniva il sacrificio in onore di Giove. Veniva poi
restituito l’imperium al Senato;
6. il trionfo si doveva chiudere con un banchetto ufficiale.
L’importanza della narrazione storica per legittimare status sociale e rango raggiunto dei cittadini.
Questa prassi, di cui tutti gli imperatori sono i prosecutori, ha una serie di testimonianze provenienti da vari
monumenti. Alcune opere ci parlano, non solo della continuità nella rappresentazione del trionfo ma ci
trasmettono anche l’idea di necessità di rappresentare fatti realmente accaduti come la cifra costitutiva di
una certa forma di linguaggio romano = il rilievo storico.
Tra le opere proposte per spiegare la scelta di veicolare attraverso immagini reali dei fatti realmente accaduti
si usa l’ARA DI DOMIZIO ENOBARBO, Louvre, 120 a.C. → mostra come nell’arte romana tardo-repubblicana
si univa alla rappresentazione di immagini mitiche che affondavano le radici nella cultura ellenistica o classica
dall’età augustea per ambientare dei fatti storici all’interno di un’aura mitica, salvo poi dedicare delle
partizioni specifiche alla rappresentazione storica dei fatti.
È un documento che si conserva al Louvre e ha come dimensioni: 78cm di altezza x 5m di lunghezza x 1,75 di
larghezza. Su tre facce sono rappresentate delle scene di ispirazione ellenistica con le nozze di Anfitrite e
Nettuno. Rispetto a questa rappresentazione molto enfatica nei particolari e nella narrazione delle immagini.
Rispetto a questo registro iconografico si contrappongono le altre lastre che occupano una parte dell’ara, in
cui sono rappresentate scene di censimento della popolazione → il censore è seduto all’inizio della
rappresentazione e tiene in mano le tabulae censorie davanti alle quali si presenta un cittadino qualsiasi =
tiene in mano dei documenti che attestano i suoi possedimenti e quindi le sue proprietà terriere. Rispetto a
questi documenti che presenta, il censore lo registra nelle liste della cittadinanza e rivolgendosi al togato
sulla dx (si mette una mano del cuore) conferma la validità di questa dichiarazione. A questa segue sempre
un momento celebrativo, di sacrificio che in questo caso viene svolto alla presenza di Marte (questi
censimenti venivano fatto in Campo Marzio e presso i contesti legati a Marte). Poi c’è la rappresentazione
degli elementi che vengono sacrificati (toro, ariete e maiale) che segnano questo tipo di celebrazione.
La narrazione storica è un elemento caratteristico dell’arte romana sia di età repubblicana che imperiale.
Rispetto al linguaggio artistico usato per le rappresentazioni mitiche che si rifanno a modelli ellenistici e
dinamici, la rappresentazione dei temi di tipo storico è una descrizione con uno stile più paratattico e
didascalico perché riprendeva la tradizione dei trionfi e delle descrizioni delle gesta che dovevano essere
immediatamente compresi.
La propaganda dopo Augusto: legittimazione e consolidamento del consenso all’imperatore a Roma e nelle
province.
Questa necessità di raccontare con narrazioni comprensibili prosegue anche dopo Augusto. Questo si
concretizza in vari monumenti, tra cui l’ARCO DI ORANGE, 27 d.C. → realizzato da Tiberio, che mostra non
solo il fatto che precise forme architettoniche venivano scelte per esprimere il concetto di trionfo e vittoria,
ma anche che queste forme dovevano essere riprodotte in tutto l’Impero e non solo a Roma. (vedi n°
engramma ppt p.6 | sull’arco onorario, in cui viene ricostruita la storia di questi archi trionfali per mostrare
la loro importanza nella traduzione e nell’importazione del consenso verso l’imperatore in tutto l’impero).
L’arco di Orange è interessante perché viene dedicato da Tiberio nel 27 d.C. per commemorare Germanico
(morto nel 19 d.C.) e le sue vittorie in Germania. Questo arco ha una decorazione molto enfatica, in cui sopra
i fornici laterali ci sono trofei di armi e nella parte superiore elementi che richiamano i rostri e le battaglie
navali.
2. REGISTRO CENTRALE: Questa sorte viene ben descritta nel registro superiore, dove compaiono Tiberio e
probabilmente Livia → entrambi sono in trono con i piedi sul suppedaneo (cfr. fase arcaica = divinità sempre
rappresentata in trono e non poggia mai i piedi a terra ossia deve essere sollevata dal contatto con la
superficie calpestata da tutti gli altri). L’immagine di Tiberio è consolidata dal suo ritratto, ma anche dai suoi
attributi: lo scettro e la vicinanza della madre e non della moglie (che nel frattempo era morta).
La critica ha fatto varie ipotesi identificative sui personaggi che si trovano ai lati:
- alla sua sx c’è un personaggio vestito in armi = si pensa che sia germanico, forse in partenza per una
delle sue missioni. È affiancato da Agrippina, la moglie con il piccolo Caligola.
- Sulla dx ci sono altri personaggi: Druso con la moglie Libilla + personaggi in posizione sottomessa =
rappresentazione dei popoli sconfitti con capo reclinato.
3. REGISTRO SUPERIORE: rappresentazione di coloro che occupano i posti celesti: Augusto, capite velato; Enea
in vesti frige che potrebbe ricordare le origini troiane e il mito della romanità; altro personaggio su cavallo
Pegaso = qualcuno ha ipotizzato che fosse Germanico divinizzato quando ormai era defunto, ma in realtà non
si ha un’interpretazione univoca.
Questo tipo di oggetti di estremo valore hanno la funzione di trasmettere immagini funzionali al consenso e
che si devono immaginare posseduti da grandi famiglie e personalità di alto livello. A questi veniva lasciata la
libertà di possedere questi oggetti e di mostrarli agli ospiti.
Questo tipo di dimostrazione di lealtà verso l’imperatore è una forma che si traduce anche in oggetti di uso
quotidiano (anche se di alto valore) come i 108 oggetti in argento ritrovati in una villa di Boscoreale nel 1895,
che mostrano come al di fuori della capitale le famiglie possidenti volessero tradurre la loro adesione alla
propaganda possedendo oggetti di questo tipo.
Su diverse tipologie monumentali o artistiche la trasmissione dell’ideologia augustea e imperiale trova il suo
spazio ed è a sua volta il documento materiale di quanto forte fosse stata la propaganda, che aveva annullato
anche tutte quelle voci contrarie a questa impostazione. La storia che ci viene raccontata è ovviamente quella
dei vincitori e non dei vinti; quindi, esistono storie diverse rispetto a quelle che ci racconta la propaganda
dell’epoca. Tutti i personaggi scomodi che ostacolavano l’affermazione del potere venivano eliminati.
In oriente questa idea di una divinizzazione del potere aveva delle radici molto antiche non
solo orientale dai Persiani, ma anche con Alessandro e i diadochi che avevano imposto
un’idea di comando suffragata dalla veste divinizzata.
Per l’arte romana, il culto imperiale è uno degli elementi fondamentali. Appena muore Augusto, Livia si
precipita a realizzare un sacrario in suo onore a Roma e quindi prestargli un culto come esponente della
famiglia Giulio-claudia.
Dopo questo viene realizzato un vero e proprio culto in onore dell’imperatore divinizzato con l’istituzione
degli Augustales = sacerdoti appositamente nominati per queste celebrazioni, le quali si svolgevano negli
Augustea, ossia edifici realizzati con finalità religiose nei confronti degli augusti e delle auguste. → i Occidente
si chiamavano Augustea, in Oriente Sebasteia (da Sebastos, l’equivalente di Augustus) che trovano in Oriente
un terreno molto fertile perché già codificato dalla popolazione con i culti nei confronti dei monarchi
ellenistici.
A più livelli e su più fronti questo tipo di messaggio investe la cultura artistica romana
e ogni cittadinanza trasferisce a livello pubblico la propria adesione a questo tipo di
propaganda.
Dal pubblico al privato. Come l’ideologia augustea e imperiale fu recepita e manifestata dalla popolazione.
A livello privato la rappresentazione del far parte di questa società nuova e rinnovata da Augusto in avanti si
traduce in monumenti come quelli funerari, che sono estremamente emblematici di
questa necessità di raccontare sé stessi come parte di una grande storia e grande
evento.
La TOMBA DEL FORNAIO MARCO VIRGILIO EURISACE, 30-20 a.C., Roma, Porta
Maggiore → esempio importante perché mostra come un plebeo Eurisace voglia
mostrare il successo della sua carriera (favorito da quella pax augustea che aveva
permesso le condizioni ottimali per la ripresa dei commerci e dell’attività produttiva).
Egli lo fa attraverso il proprio monumento funerario perché da semplice fornaio era
riuscito a diventare appaltatore di commesse statali nonché ufficiale subalterno di un
magistrato.
Questo monumento ha già una forma e un’architettura piuttosto esuberante che rappresenta il gusto
popolare e plebeo. Si discute, se questo grande parallelepipedo che è caratterizzato da alternarsi di tubi in
posizione verticale o orizzontale, fosse in qualche modo una modalità di trasmettere l’idea di contenitori del
grano che serviva alla produzione del fornaio o piuttosto un apparato di raccolta di farina.
Sulla sommità, il monumento ha un fregio che non si può vedere integralmente ma si deve girare intorno al
monumento. Su questo fregio vengono descritte le varie fasi della panificazione:
Altro monumento non proveniente da Roma, ma da Chieti, dall’antica Teate. → MONUMENTO FUNERARIO
DI C. LUSIO STORACE, 20-40 d.C., Chieti, Museo Nazionale.
Caio Lusio Storace era stato un esponente del collegio dei Seviri
Augustali, incaricati di provvedere al culto imperiale.
Questo monumento riproduce un tempietto con frontone decorato e un fregio con iscrizione sottostante.
Doveva rappresentare la condizione di questo personaggio. Il fregio principale mostra al centro Lusio Storace
che viene attorniato da togati, che sono i magistrati e gli esponenti dell’amministrazione del foro cittadino,
che viene indicato sulla sx con colonne. Questa scena è posta sopra il tribunal, luogo da cui gli oratori
esplicitavano i propri discorsi. Lusio Storace viene esaltato nella sua carica anche attraverso la raffigurazione
di musicanti che danno il via a una cerimonia, ricordata dall’iscrizione ed esplicitata nella parte sottostante =
cerimonia che dava inizio al ludus gladiatorus, cioè lo svolgimento dei giochi gladiatori offerti da Lusio Storace
che si fa rappresentare nel suo monumento con scene legate a questa attività che aveva patrocinato.
Il modo in cui le espressioni artistiche di questa prima fase imperiale si traducono sui monumenti sono delle
forme che rispondono a un gusto locale, ma che utilizza gli stilemi e gli schemi compositivi propri della grande
arte ufficiale.
Adesione alla corte giulio-claudia anche attraverso l’adozione delle medesime acconciature di moda.
Anche a livello delle immagini e dei ritratti, l’adesione alla propaganda augustea e all’essere parte di una
nuova era e società, che da Augusto in avanti viene proposta. Si traduce anche con l’adozione di acconciature
che sono a imitazione di quelle dei ritratti ufficiali di corte:
- per i maschi dei capelli portati in avanti con frangette sulla fronte (cfr. tipo di Cesare o Augusto);
- per le donne il tipico nodo sulla fronte che dà un’immediata riconoscibilità delle matrone a quella
che era la moda di corte iniziata da Livia nella fase giovanile con i riccioli portati e raccolti sopra le
tempie e annodati sul retro.
RITRATTI UFFICIALI degli imperatori giulio-claudii e codificazione dei volti e delle acconciature secondo la
linea ‘classicistica’; Nerone inaugura invece un ritorno al gusto ‘baroccheggiante’ di età tardo repubblicana.
Questo modo di rappresentare sé stessi sulla base della moda imperiale non si ferma all’età augustea, ma si
traduce in nuove modalità di rappresentazione da parte dei successori di Augusto, i quali sono riconoscibili
sia nei ritratti ufficiali (si trovano a Roma e in molte città dell’Impero), che in rilievi, monete o oggetti di pregio
(cfr. Gran Cammeo di Francia, Tazze da Boscoreale).
Il fatto di prestare attenzione a questi prodotti, non è solo una questione tipologico-stilistico, ma è anche
l’occasione per capire come questi personaggi abbiano voluto rappresentare sé stessi e trasferire un’idea di
sé al di fuori della corte. = questi oggetti dovevano veicolare la presenza degli augusti e delle auguste al di
fuori della città.
Nella zona del Tevere c’era la possibilità di costruire una villa come quella
attribuita a Giulia e Agrippa (La Casa della Farnesina), che aveva nella sua
architettura già delle forme differenti rispetto all’impostazione ad atrio (cfr. case sul Palatino, le case arcaiche
e quelle pompeiane).
Questa villa doveva essere organizzata secondo una disposizione di più padiglioni, affacciati su un grande
lago artificiale che doveva servire da specchio su cui i vari padiglioni si dovevano ritrarre. Intorno a questi
padiglioni furono realizzati enormi giardini e parchi abitati da specie animali di tutti i tipi che dovevano
ispirarsi ai grandi giardini orientali (i Paradeisa), che erano già di fama molto nota e presi a modello per questa
costruzione.
Le fonti affermano, che tra i vari padiglioni organizzati da Severo e Celere dovevano esserci delle zone per i
bagni, in cui Nerone aveva fatto arrivare (non si sa se realmente o solo nelle intenzioni) anche acque termali,
in particolare da Acque Albule vicino a Tivoli e marine per godere di diverse tipologie di acqua, ma anche per
mostrare la capacità di condensare all’interno di questa straordinaria abitazione ogni caratteristica dell’orbe.
Lungo la via sacra il grande vestibolo per la Domus Aurea era capeggiato da un grande colosso, che ritraeva
Nerone sotto le fattezze di Elios (Sole) di circa 120 piedi di altezza (ca. 35 metri) e che doveva fin da subito
chiarire a chi appartenesse questa abitazione.
Quando alla fine del 400 si va a girovagare per quello che resta delle terme di Traiano ci si cala nelle grotte e
si scoprono delle costruzioni perfettamente conservate = resti della Domus Aurea che ispireranno le famose
grottesche di Raffaello e di tutta la sua cerchia quindi prese a modello per l’iconografia rinascimentale.
Tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 e di recente, dagli scavi sono stati scoperti numerosi vani, che erano articolati
attorno a tre nuclei con un sistema di sfruttamento ipogeo attraverso dei corridoi sotterranei. Questi corridoi
sono concepiti come punti di intercapedine tra il colle e la proiezione della villa su sostruzioni verso valle che
permettevano una sorta di isolamento tra le parti più umide a contatto con la roccia e le parti costruite.
Queste parti costruite sono organizzate a partire da nuclei giustapposti con serie di sale di varia natura anche
di tipo utilitario. La parte ritrovata è quella seminterrata della villa e i padiglioni scoperti sono tre. La
letteratura parla di un settore occidentale e uno orientale:
Gli scavi recenti fatti nei primi anni 2000 hanno individuato questa Coenatio Rotunda in una serie di
costruzioni che sono sotto Villa Barberini, non lontane dal Colosseo. In queste costruzioni è stato ritrovato
un enorme pilone. Si tratta di un meccanismo, che non è stato trovato in quanto tale, ma che si pensa fosse
manovrato da macchine in legno, di cui si ritiene aver riconosciuto i punti di appoggio e che doveva consentire
il movimento della sala attorno a un’infrastruttura che ne garantisse questa scenografia straordinaria. (v. pdf)
Nerone ha subito la damnatio memoriae e con lui tutto quello che era stato prodotto è andato perduto.
La dinastia dei Flavi
Usa questa opportunità della Domus Aurea come grande cantiere solo in parte finito come
lo spunto per restituire al popolo una parte della città, che era stata sottratta.
La figlia di Tito, Giulia → importante per la dinastia delle Auguste (non si parla di imperatrici,
titolo che non viene mai dato alle mogli degli imperatori). Le signore flavie elaborano
ulteriormente questa acconciatura con corona di riccioli sopra la fronte, che va a codificare
le immagini delle matrone di questa fase del I sec. d.C.
Al di là dell’aspetto iconografico, è interessante ricostruire gli elementi che hanno portato alla nuova
traduzione in forma monumentale degli spazi.
La cavea si organizza in una serie di nuclei organizzati nei diversi meniani con l’area dell’arena limitata dal
podio che proteggeva le prime file dai prossimi combattimenti. Vi è un’articolazione dei tre meniana: il primo,
il secondo e l’ultimo con il quarto su cui, secondo le fonti, doveva essere realizzata una struttura in legno che
permetteva l’ancoraggio dell’enorme velario che proteggeva gli spettatori durante le venationes. Era fatto
funzionare da un apposito distaccamento della flotta del Miseno.
È una struttura straordinaria che va ad essere il simbolo dei Flavi come
monumento realizzato appositamente per il popolo come restituzione di ciò
che gli era stato sottratto e uno spazio utilizzato dal popolo.
Avrà una vita molto lunga fino alla tarda età imperiale. Nel 438 Valentiniano
III abolisce definitivamente i Ludi Gladiatori, che comporta una cessazione
del suo uso primario e che implica un progressivo abbandono della
struttura. Tra l’età medievale e rinascimentale sarà utilizzata come:
Solo dall’età romantica, è stato oggetto di scavi e restauri accurati ed è normalmente utilizzato per attività
ed eventi. Vengono anche realizzate mostre ed esposizioni temporanee che permettono un doppio livello
d’uso dell’opera.
Oltre al tempio esistevano due sale adibite a biblioteche pubbliche: una greca
e una latina. → un punto di attrazione per la cittadinanza e dei luoghi di cultura
aperti a tutti. Uno degli elementi più interessanti è il fatto che i vari scaffali che
contenevano i rotuli erano identificati da piccole immagini degli scrittori che
avevano prodotto determinate opere per permettere un’immediata
riconoscibilità (es. filosofi, storici, letterati). L’idea che questa restituzione al
popolo di uno spazio della cultura per la cultura fosse la cifra del messaggio propagandistico di Vespasiano
fa capire perché questo complesso fu considerato già all’epoca come una straordinaria opera di enorme
importanza culturale.
All’interno di questa sala in età severiana viene collocata la famosa Forma Urbis Severiana, la mappa
marmorea della città di Roma, di cui ci restano molte parti. Era un’ulteriore affermazione della positività del
regno dei Flavi.
Per vicinanza topografica e non cronologica, nella zona di risulta tra il Foro di Cesare, il Foro di Augusto e il
Templum Pacis, Domiziano sceglie di realizzare il proprio foro → conosciuto oggi come FORO DI NERVA, che
però era stato realizzato da Domiziano in onore di Minerva Ergane (dea ‘industriosa’, colei che fa le cose,
patrona di tutte le arti e mestieri), la sua dea protettrice.
Sono rappresentati i soldati che portano le insegne, ossia gli oggetti sottratti durante lo scontro (es.
candelabro a sette bracci dal tempio di Gerusalemme) ma anche le tabulae pictae, che dovevano
rappresentare momenti salienti di queste battaglie. Dovevano essere trasportate durante il transito verso la
porta trionfale e che valorizzavano l’impresa dall’imperatore, acclamato
sulla quadriga dall’esercito e dal popolo e che viene incoronato da una
Vittoria (si intravedono le ali sulla dx).
La grande novità dei Flavi è stata la costruzione di un’abitazione per gli imperatori, che fosse una degna
continuazione di precedenti soluzioni (da quella di Augusto molto semplice a quella di Tiberio, nota solo per
la parte sostruttiva rimasta e la Domus Flavia e Augustana che va a occupare un’area precedentemente
utilizzata da Augusto per la sua biblioteca e altri spazi).
Lo spazio occupato dalla Domus Flavia si va a collocare in un punto nevralgico tra l’area aperta sul Circo
Massimo, l’area della Casa di Augusto con il tempio di Apollo, il tempio di Cibele, ecc.
Secondo le fonti, questa grande casa viene costruita dall’architetto Rabirio. Si tratta di un’abitazione molto
grande che occupa tutto il resto del Palatino, che da quel momento si chiamerà Palatium perché ospiterà il
palazzo dei Flavi. Si hanno delle dimensioni inferiori rispetto alla Domus Aurea, ma non gli invidia nulla a
livello architettonico.
È affiancata dalla grande sala per le udienze = Aula Regia, in cui il principe riceveva i propri sudditi e svolgeva
la vera e propria attività di udienza prevista dalla sua carica.
A destra dell’aula regia, vi è il Lararium (chiamata così impropriamente perché questa parola non è attestata
nel lessico latino prima del III d.C.) = sala per il culto dell’imperatore perché gli scavi mostrano che al centro
vi era un altare dedicato forse a Minerva. La configurano come un vero e proprio sacrario, in cui l’imperatore
svolgeva atti cerimoniali e celebrazioni particolari.
DOMUS AUGUSTANA: questa zona si articola intorno a un grande peristilio centrale. È ipotizzata come zona
per la vita privata degli imperatori. Rispetto allo spazio centrale, vi è un’organizzazione simmetrica delle varie
sale, ma soprattutto una varietà delle forme che sono funzionali a sfruttare al massimo lo spazio a
disposizione ma che variano anche l’architettura del tardo I secolo d.C.
Si affaccia sul Circo Massimo, con esedra gigante verso sud. Sulla dx ha un grande spazio scoperto, lo stadio
= in realtà è un giardino circiforme (160x50 m) che nasce come una passeggiata coperta con un prospetto a
semicolonne. Nella sua parte inferiore, serviva come architettura da cui guardare gli spettacoli nel Circo
Massimo da parte della famiglia inferiore.
Le forme di lealtà verso l’imperatore da parte dei municipia. Gli edifici per il culto imperiale a POMPEI.
A livello privato, le domus vanno a esplicitare la moltiplicazione degli spazi (cfr. casa del Fauno), ma che ora
diventano i luoghi nei quali i possidenti esprimono:
- la loro ricchezza;
- il fatto che è venuta meno l’attività pubblica e amministrativa che è ormai demandata a pochi
esponenti perché tutto si decide a livello centrale. Trasferiscono gran parte delle loro attività
pubbliche all’interno dello spazio domestico, che si traduce in un progressivo allargamento dei
luoghi.
Si tratta forse di un adepto al culto di Diana o Iside, alla quale dedica un ambiente all’interno della propria
abitazione e un tempietto (cfr. i grandi templi di culto pubblico).
Questo permette di comprendere come questa società sia stata un grande specchio delle grandi soluzioni
della capitale, della quale non sempre si riesce ad avere la stessa qualità di informazioni perché città con
continuità d’uso ininterrotta e non sempre c’è la possibilità di percepire questi livelli intermedi
dell’architettura privata.
Da queste soluzioni si evolvono sia a livello pubblico che privato le invenzioni degli architetti del II sec. a.C.
che introdurranno ulteriori elementi utili a capire quanto architettura e arte si siano parlate e si siano
influenzate sulla base delle proposte pubbliche dei grandi imperatori.
LEZIONE 21 ǀ 03 maggio 2022
Propaganda fatta da Augusto, con i solidi concetti, essere parte di una città di Roma, era condiviso con tanti
altri popoli. Traiano contribuì un consolidamento dell’essere romani. Traiano non era italico, era spagnolo,
come Adriano (suo cugino), e questo fa si che le provincie sono capaci di esprimere personalità e quindi
personaggi di rango e di ruolo all’altezza di una certa posizione.
Traiano regna dal 98 al 117 d.C., è colui che espande tra il 101-106, l’impero dei Daci. Erano delle terre
ricchissime di risorse naturali, miniere d’oro, che consentono a Traiano di presentarsi non solo come
imperatore- soldato, conquistando nuove terre con la sua intelligenza, lui trasferirà benessere su larga
scala. Figura molto studiata, grazie a 2 voci contemporanee, Plinio il giovane, e Plinio il vecchio e Tacito, il
grande storico di questa fase imperiale.
Traiano rappresenta il continuatore come il primo modello augusteo, e quindi il principato, che risponde a
quel modello exemplum non soltanto il punto di riferimento per il concept di idea di impero, si impone
come imperatore che lavora al servizio dello stato. Avvicina al principato un’idea di servizio, non staccata
dall’idea di libertas, benessere non è solo un vettore per la libertà della popolazione, legandosi alla
condivisione dei poteri. Cerca una collaborazione con l’aristocrazia senatoria, quindi anche con i plebei,
consenso basato sul suo sapersi porre e ascoltare. linea ufficiale descritta dalla fonti, anche se sa essere
molto autarchico, potere concentrato sulla persona mediandolo con una propaganda soft, e attenzione
verso il popolo.
Ritratto di Plotina moglie di Traiano, sceglie una capigliatura complessa, che segnerà una moda, che fa
seguito che l’idea della corte flavia, avevano proposta con corona e riccioli in avanti.
Già nel ritratto si evince il potere rassicurante, e che vuole evitare gli eccessi, che invece erano tipici degli
imperatori precedenti. Ritratto per festeggiare i decennali di riferimento, richiamando il volto
dell’imperatore.
Imperatore, decide di investire un’enorme somma del bottino preso dalle campagne militari, per costruirsi
un proprio foro.
Secondo un erudito di corte Tito satilio Critone, Traiano aveva conquistato le terre tra la attuale Romania,
Moldavia e Ucraina, che gli permette di guadagnare enormi quantità di oro, con un bottino con altissimo
valore, che lo permette di realizzare opere, di cui l’architetto è Apollodoro di Damasco, originario dell’area
siriaca. Attivo a Roma, personaggio di straordinario valore, Traiano aveva un rapporto di confronto e
affinità.
Foro di Traiano la planimetria ha un’area molto estesa tra il colle Capitolium e quella che è l’altura del
Quirinale. È un’area che occupa uno spazio di 300x185 m, viene realizzata perché Apollodoro decide di
spianare la sella che univa questi 2 colli, tra il 107-113. Questo grande complesso, è costituito da più nuclei,
da nord a sud organizzati secondo un’idea di progressione, rendendo il visitatore partecipe ad un’idea di
spazi, improntati su Traiano e la sua autorità ed esaltazione. Nord-ovest, c’è l’ingresso con una gradinata,
con in primo spazio un grande porticato colonnato, con al centro la colonna traiana, come punto centrale.
Primo impatto con questa colonna alta circa 30 m, che doveva richiamare l’altezza della sella che era stata
eliminata, doveva dare l’impressione dell’enormità dei lavori che sono stati realizzati. A sx e dx della
colonna, vi erano 2 aule rettangolari colonnate, le fonti dicono di essere vicine alle biblioteche greche e
latine, coperte con nicchie che ospitavano le diverse scaffalature per il volumina. Dal passaggio delle
colonne, si entrava nella Basilica Ulpia, detta Ulpia cognome di Traiano.
Basilica Ulpia La quale è un’enorme sala porticata su 2 lati, con terzo livello di colonne che presentano le
2 absidi dei lati corti. Suddividevano la basilica in 5 navate, e le colonne della parte più interna erano in
granito, mentre quelle delle navate laterali erano in marmo cipollino. Vi erano ai lati delle esedre, e nel lato
più lungo si avevano 3 apertura, con di fornici, con entrata limitata nelle aperture laterali e più grande
quella centrala.
Piazza del foro dominata al centro con la grande statua di Traiano a cavallo, attorno circondata di
colonne, poste a livello superiore dal piano di calpestio della piazza. Questi porticati, avevano un attico con
statue di prigionia dei Daci, e alle loro spalle, altre 2 esedre, richiamando il perimetro della basilica Ulpia.
Una serie di mosaici policromi che decoravano la piazza. Parte che sul fronte meridionale, avevano una
forma a linee spezzate, che consentivano di accedere verso est, alla parte occupata dagli altri edifici, (foro
di Augusto).
Questo foro ha una serie di elementi innovativi, che ci fanno capire meglio la figura di Traiano come
committente di Apollodoro. Modificava la normale successione che gli altri fori ci avevano fatto vedere
nell’ingresso alla piazza, con il tempio sul fondo della piazza che qui non c’è. Questa piazza ha un’idea di
piazza chiusa, circondata da un muro, isolata dal resto della città. Il focus di chi entrava da nord-ovest, era
la colonna Traiana, come monumento più rappresentativo dell’imperatore.
Si ha una scala interna, che permette di salire e raggiungere la sommità, con delle piccole feritoie realizzate.
Nei cataloghi regionali tardi, la colonna viene chiamata “clochide”, per la forma della scala interna e fregio,
che richiama la chiocciola. Si pensa ci sia Apollodoro, anche se il maestro delle imprese di Traiano, dietro cui
c’è Apollodoro. La colonna narra, la serie di tappe che segnano il trionfo di un generale romano. Il quale non
bastava che vincesse la guerra, la battaglia ma doveva dimostrare di saperla gestire ed essere clemente con
i propri soldati.
Per i Romani non bastava vincere una guerra: occorreva anche dimostrare pietas, clementia, liberalitas etc.
per consolidare il potere raggiunto.
Così nelle immagini legate alle imprese militari si possono riconoscere vari momenti salienti tra cui:
1. profectio/partenza per la guerra>senato e popolo assistono all’avvio dell’impresa;
2. lustratio/purificazione>suovetaurilia e sacrificio per assicurare la protezione all’esercito: l’imperatore è il
sommo sacerdote;
3. adlocutio/il discorso ai soldati>incoraggiare le truppe e sollevare gli animi, forte la componente psicologica
che mira a garantire la comune fiducia e lealtà;
4. pugna/battaglia> non combattimenti reali ma idealizzazione dell’imperatore combattente secondo gli
schemi
alessandrini, ma il nemico è sempre inferiore, non è mai alla pari con il sovrano;
5. submissio/sottomissione dei nemici grazie a valore e virtù>l’imperatore assiste clemente a chi gli si
sottomette oppure assiste ai nemici trascinati al suo cospetto recalcitranti;
6. adventus/ritorno in patria>l’imperatore che torna trionfante è accolto dalla città: personificazioni di
concetti astratti ad esempio Aeternitas e Felicitas);
7. triumphus/trionfo in città>rappresentazione della virtus dell’imperatore;
8. sacrificio per la vittoria>si ringrazia sul Campidoglio Giove per il risultato raggiunto;
9. congiarium/elargizione al popolo>i beni e i bottini vengono divisi con la popolazione (liberalitas).
Sono i temi della Colonna Traiana e di altri monumenti traianei. I temi hanno un senso didascalico, volendo
riconoscere luoghi, personaggi, eventi che ne hanno caratterizzato la funzione della pittura romana, pittura
trionfale, dimostrando di avere vinto tramite le immagini, comprensibile agli analfabeti.
Schema del rilievo basata su livello topografico tipologica, con scene di assedio, intervallate a scene di pausa,
e scene di transito in cui si dava da mangiare alla popolazione (mietitura). Scene legate alle scene di Traiano,
scene di pausa. Traiano è raffigurato più altro dagli altri per marcare il suo ruolo.
Scene di battaglia molto vivaci e crude.
Apollodoro, sceglie la dea Vittoria, poggia il piede sul un elmo, usa uno scudo come supporto per scrivere il
vincitore.
Imperatore non è solamente uomo soldato. Ma garantisce ai popoli con cui entra un conflitto, e che
sottomette una serie di opere, che migliorano il luogo, per le infrastrutture.
Dal basso si riescono a vedere 6 file della colonna, si pensa che dalle biblioteche si potesse vedere qualcosa.
Secondo una teoria, si riusciva a sì poteva riconoscere delle imprese.
Rappresentazione del fregio, rimane il focus dell’opera, rappresentando le scene di guerra, e rendere la
dinamicità dell’arte plebea, fondendone i due aspetti.
Colonna pensata come luogo di sepoltura di Traiano, si pone come un monumento unicum, perché la legge
non consentiva di seppellire nel Pomelio. La critica ha sottolineato, come questo foro non aveva un tempio,
secondo un’ipotesi Traiano, avendo fatto queste imprese, infondo al foro si aveva un’aurea sacrale senza
un vero dio.
Figura di Traiano, che conquista, ma si preoccupa del popolo, e per le persone, attraverso le forme
architettoniche, ovvero per il mercato e le terme.
Terme di Traiano 104-112 d.C occupano 10
ettari, con complesso 130x115m, su progetto di
Apollodoro, che pensa di codificare l’impianto
termale su impianto assiale. Percorso termale che
va dal freddo al caldo, e dal caldo al freddo.
Disposti in maniera simmetrica, lasciando
compatto il blocco di vani per l’igiene personale,
all’esterno grande area scoperta, richiusa da cui si
accede da una sorta di propileo. Successione che
parte dal grande vano centrale, la grande piscina
collegata allo spazio per il frigidarium. Area per il
tiepidarium, area intermedia, 20-30 gradi. Il
calidarium, stanza per il bagno caldo, che conclude
l’asse di percorrenza per la costruzione. Intorno
all’asse di costruzione Apollodoro moltiplica altre
sale, pensate per tipiche dell’essere alle terme,
sale per i massaggi e per il riposo, dove poter
ascoltare delle recitazioni, e poesie, con
biblioteche, luoghi per rilassarsi. Attenzione per la popolazione, che si traduce in forme monumentali. Qui
ci sono linee più morbide e curve, e non rettilinee come quelle degli altri imperatori.
Plutei di Traiano dentro la curia nel foro, che mostrano le azioni che fa per la popolazione, che istituisce
l’esenzione del pagamento di certi tributi. La scelta di aiutare le popolazioni in difficoltà economica. I
cittadini con i debiti, vengono distrutti azzerando i debiti.
Dopo Traiano che muore in Cilicia nel 117. Gli succede Adriano, suo cugino originario
della Spagna, e che è detto l’imperatore filosofo. Lui rende l’idea di solidità e
prestigio, come Traiano ampliando i confini, che fa della cultura una delle cifre della
forza dell’impero.
Adriano si impone come architetto, scrittore, pittore, uomo di cultura. Recepisce
dalla Grecia, il ritratto dell’imperatore- filosofo, riconoscibile per la barba e
capigliatura riccia.
Vibia Sabina è la moglie di Adriano, che non ama molto, ma si innamorerà molto
Antino, suo compagno che morirà prematuramente.
L’imperatore fa costruire su suo
progetto il tempio di Venere
Roma viene costruito nel luogo,
in cui Nerone aveva messo
l’ingresso della domus aurea. Si
pone tra il foro romano e il
Colosseo, sposta da qui il colosso di
Nerone, trasformata in statua di
elios.
Realizza un’enorme piattaforma di
145x100m, che è racchiusa da un
muro non continuo con una serie di
aperture, con aperture che
immettono nello spazio la costruzione templare vera e propria.
Si pone in maniera discontinua e difforme, rispetto alla tipologia templare classica, non su un podio ma su
un enorme basamento, sorta di crepidoma a più gradini, circondato da peristasi su tutti e 4 i lati, 10x19
colonne. All’interno i 2 templi gemelli sono presentati da un profondo pronao.
All’interno la cella ha delle nicchie laterali, che inquadrano l’abside con Venere da una parte e Roma
dall’altra.
Subì una serie di rifacimenti in epoche successive, Apollodoro, non approvò questo progetto, per era
difforme dalla tradizione romana. Apollodoro venne cacciato da Adriano, entrato in contrasto dopo la
morte di Traiano, ci dà comunque la misura di quelle che erano i dibattiti culturali.
Adriano scardina in senso positivo, la forma dei grandi palazzi imperiali, e l’idea della regalità. Da qui
ulteriori sollecitazioni, che permetteranno di sperimentare e ridefinire l’idea di un’archiettura.
LEZIONE 22 | 4 maggio 2022
L’ARTE NELLE CITTÀ DI PROVINCIA E NELLE PROVINCE NEL II sec. d.C. - dal regno di Traiano agli
Antonini
- Traiano, 98-117
- Adriano, 117-138
- Antonino Pio, 130-161
- Marco Aurelio, 161-180
- Commodo, 180-194
Ostia ha avuto una stagione di scavi molto importante agli inizi del ‘900. I principali studiosi (Becatti, Calza e
anche architetti come Gismondi) hanno applicato delle indagini con metodo stratigrafico, che hanno
consentito di portare in luce una città ben conservata ed estremamente ampia e organizzata in maniera
complessa, lasciando molti dati di tutto quello che si andava scoprendo. = Si scoprono aspetti monumentali
e architettonici, ma anche documentazione di reperti, mosaici e pitture che però dopo quasi cento anni non
sono più conservati come quando vengono scoperti.
• Ostia è una colonia romana dal IV secolo a.C., anche se la tradizione la voleva legata già alla fase
regia.
• Diventa il porto fluviale di Roma perché sorgeva alle foci del Tevere, tanto è vero che il toponimo
Ostia è legato alla parola latina hostium che significa ‘foce’.
• Nasce per controllare la zona portuale marittima a sud di Roma.
• La tradizione ne affida un primo nucleo ad Anco Marzio, il quale aveva l’intenzione di sfruttarne le
potenzialità di luogo da cui trarne benefici per la presenza di saline, che già in epoca arcaica
costituivano un’opportunità di commercio molto elevata.
• Da un punto di vista archeologico non sono stati trovati dei resti precedenti al IV secolo. Per questo
si ritiene che se ci dovessero essere stati dei primi insediamenti erano sporadici e non strutturati
(come invece si registrano a partire dal IV secolo quando vengono realizzate delle prime cortine in
muratura, di cui sono stati trovati i resti in blocchi di tufo, che vengono costruite proprio perché dal
IV secolo Ostia è una colonia romana. Per la protezione delle attività legate alle saline il castrum ha
questa funzione).
Dal punto di vista geomorfologico, in età antica e fino alla metà del XVI secolo, il fiume scorreva prossimo
all’insediamento e solo dalla metà del secolo per un’alluvione il fiume viene deviato e quindi non più tangente
alla città.
La prima fase di occupazione in senso anche monumentale della città coincide con il II secolo a.C. = momento
in cui Roma conquista tutta la penisola (a parte l’area settentrionale) → conquista anche la Sicilia e tutto
quello che è attorno alla movimentazione delle merci. Dal 146 quando distrugge Corinto occupa anche tutto
l’Oriente del Mediterraneo e di conseguenza tutti i traffici.
Questo non esclude il fatto che la città ha un teatro → TEATRO DI OSTIA con
tipologia edilizia simile ad altri contesti.
Questo tipo di costruzioni e spazi edilizi ci dà la misura della centralità e del potere politico e decisionale di
questa componente sociale all’interno della comunità di Ostia. = Segna lo scarto tra il dominio prevalente di
poche famiglie aristocratiche (avevano gestito in precedenza questa attività), a favore di una classe media
non elevata da un punto di vista della genealogia ma posizionata in un settore sociale non così basso per le
potenzialità economiche che aveva. → Questo tipo di realtà si trova in tutte le città ma ad Ostia acquisisce
un ruolo importante anche perché queste corporazioni (i colegia, i corpora) avevano come elemento
comune:
- obiettivi comuni e quindi elaboravano strategie per favorire l’accrescimento della loro attività
produttiva;
- una divinità condivisa alla quale dedicavano una statua di culto all’interno del loro schola (= termine
per indicare la struttura architettonica nella quale si trovavano i vari afferenti a un determinato
collegium). Non a caso anche nel Piazzale delle Corporazioni viene posizionato un edificio di culto =
piccolo tempio
Da un punto di vista archeologico è stato notato come tanti soldi fossero stati spesi per questi spazi
comunitari di tipo commerciale, ma anche per restaurare e manutenere quelli che erano stati gli edifici aperti
sul foro di età repubblicana, che venivano a essere meno centrali nella logica dell’insediamento,
dell’evoluzione e dell’investimento economico da parte della popolazione, ad eccezione di alcuni edifici come
quelli di culto in onore di Augusto e più in generale degli Augusti (Augustea) che erano affidati a Servili
Augustales (collegio sacerdotale formato da liberti, quindi l’amministrazione sceglieva esponenti di rango
medio-basso a cui veniva affidato questo tipo di mantenimento e gestione delle attività religiose). La matrice
su cui sia articola la composizione sociale e la forza della comunità sta nel riconoscersi attorno a un potere
forte, che assicura interventi di edilizia specifica ma anche contributi economici dove necessari.
Questa parte antica è stata oggi bonificata in parte (costituisce un’area di un parco naturalistico), mentre la
parte più interna è quella che ha ottenuto una maggiore rilevanza dal punto di vista strutturale e
organizzativa. Risale alla fase di Claudio, alla metà del I secolo a.C. perché si sa che nel 42 Claudio aveva
realizzato un’area portuale di grande rilevanza (bacino di circa 150 metri) con un affaccio sul mare che oggi
non è stato immediatamente possibile riconoscere per i mutamenti geomorfologici, ma che doveva
prevedere un’isola artificiale, sulla quale era costruito faro (cfr. Alessandria). = operazione complessa che fu
avvalorata dal fatto che Claudio aveva fatto scavare dei canali artificiali (in latino fossae) → dovevano
consentire alle navi la possibilità di rientrare verso l’interno del porto in maniera agevole, senza incappare
nelle sedimentazioni fluviali e permettere trasbordo delle mercanzie dalle navi onerarie alle navi che
dovevano risalire il Tevere per portare le merci a Roma.
Questo sistema è interessante anche per l’area veneta perché la Venetia di epoca romana ed etrusca è stata
un’area interessata da operazioni di questi tipi, di cui ci restano molte testimonianze letterarie = ci parlano
di fosse scavate dai vari imperatori per permettere una navigazione endolagunare da Ravenna fino ad
Aquileia ed oltre (Fossa Augusta, da Ravenna ad area di Adria, Fossa Flavia da Adria a Chioggia e Fossa Clodia
a Venezia che permetteva l’ingresso nella laguna).
Attorno a quest’area Traiano sviluppa una serie di infrastrutture e strutture necessarie all’attività portuale e
mercantile. Anche Traiano fa scavare delle fosse, tra cui il principale è il Canale di Fiumicino, e attraverso
questo sistema viene incanalata l’acqua del fiume verso il mare in maniera più organizzata e funzionale per
fare in modo che il porto fosse libero da questi detriti.
Questo porto diventa un punto di riferimento essenziale con una reciprocità con il bacino precedente di
Claudio assicurato da serie di infrastrutture che avevano la funzione di mantenere attivo quel settore. Oltre
al bacino, viene realizzata anche la VIA FLAVIA che univa l’area portuale con la zona di Ostia.
Apollodoro di Damasco è il grande architetto di Traiano, che sta dietro il progetto di questa grande opera.
Gli altri architetti che lavorano con lui pensarono che questo polo attrattivo non fosse solo funzionale a
garantire una trasposizione delle merci. Era anche un luogo degno della casata imperiale nel senso che
doveva essere un biglietto da visita per tutti coloro che arrivavano dal mare alla penisola.
Per questo motivo lo spazio portuale doveva avere una statua di Traiano:
Ostia è un esempio di come si sviluppi la tipologia edilizia del caseggiato a più piani, di cui abbiamo esempi
anche a Roma, ma che a Ostia viene testimoniato e documentato archeologicamente in maniera rilevante.
Questi caseggiati (insulae in latino) servivano a risolvere il problema del sovraffollamento di una città
commerciale. = dovuto al fatto che grazie ai commerci e agli incrementi di tutte le transizioni che il porto
aveva promosso implica che le persone stessero bene, potessero riprodursi in modo considerevole o decidere
di fermarsi qui occupando un’area che inizialmente non era pensata per un numero consistente di persone
ma che nell’età imperiale diventa un problema reale.
Questo problema viene risolto con uno sviluppo dei caseggiati in altezza, non diversamente dai nostri
condomini, anche se restano alcune domus di livello con sviluppo in senso areale e consistente. Le insulae
rispondono ad una popolazione medio-bassa.
Già dalla planimetria si capisce come questi edifici non dovevano rispondere ad esigenze di tipo
autorappresentativo ma ad esigenze logistiche come luogo dove abitare con sviluppi differenti a seconda
delle possibilità economiche dei vari proprietari. Questi edifici (giallo chiaro nella mappa topografica)
occupano una parte specifica della città (centro occidentale) con tipologie diverse.
L’archeologia, in particolare con gli studi di Daniela Scagliarini Corlaita
nel 95, ha rilevato come ci fossero tre tipi di caseggiati ad insulae che
potevano avere una prevalente funzione commerciale, residenziale o
mista a seconda dell’organizzazione dalla quale erano costituiti.
TIPO 1: Case con botteghe sulla strada → Es: Casa del Thermopolium
e del Larario, con veduta del cortile interno (foto)
È stato calcolato che gli appartamenti più prestigiosi potessero arrivare a uno sviluppo di
circa 500 mq (piano terreno + primo piano) dove al pian terreno c’erano le stanze di prestigio
come i triclinia, mentre nelle parti del primo piano vi erano le stanze private o quelle per la servitù.
In alcuni casi gli appartamenti collocati ai piani superiori potevano essere raggiungibili anche da scale poste
all’esterno del blocco abitativo per differenziare gli accessi tra le varie componenti del caseggiato.
Nell’epoca tardo-antica la prospettiva cambia in senso ideologico. → non è più necessaria una
rappresentazione realistica della natura, ma c’è la tendenza a un’idealizzazione di un’espressione della
pittura a livello simbolico, funzionale a rispondere a un’ideologia religiosa e culturale più vicina a un’idea
dell’arte simbolica, frutto di un cambiamento culturale che la religione cristiana impone. Non è una regola
assoluta, quindi ci sono pitture tardo-antiche che riprendono schemi classicistici o naturalistici perché
funzionali a trasmettere una certa iconografia, ma anche un livello più aulico in cui l’idea è quella di esprimere
un concetto astratto di un tema con funzione simbolica più marcata. = Non si parla di continuità dal punto di
vista delle capacità di realizzazione dell’architettura, ma occorre sempre ricordare la committenza dell’opera
e quindi che cosa chiede e cosa vuole esprimere.
HORREA EPAGATHIANA = Tornando all’idea del caseggiato, allo spazio dei luoghi di
produzione ci sono anche gli Horrea cioè i grandi magazzini, i luoghi in cui venivano
trasferiti i beni richiamano l’idea di questi caseggiati organizzati rispetto a una corte
centrale.
Riprende il modello ad insula per organizzare uno sviluppo verticale rispetto ad una
corte centrale. In questo caso sono edifici di proprietà dei liberti (si sa per serie di
iscrizioni rimaste) e che organizzano varie stanze attorno al cortile centrale con
all’esterno fila di botteghe che si aprono sulla strada. Dal punto di vista costruttivo e decorativo vi è una
tendenza all’uso del laterizio per la decorazione delle facciate esterne, sopra le quali poteva esserci una
balconata con fila di finestre che servivano ai piani superiori di questi edifici.
Ha uno sviluppo ad L in senso longitudinale, con un’area che si apre sulla strada con serie di vani, tra cui
anche un vano ad uso misto con sviluppo verso il centro dell’abitazione = cortile ad
otto colonne corinzie, rispetto al quale in asse con l’ingresso si pone la sala principale
(sorta di tablino), presso la quale ci doveva essere anche una latrina.
Ci sono anche una serie di vani che si aprono sullo spazio scoperto e che sono
riconoscibili nella loro funzione residenziale anche per la presenza di partizioni
pavimentali di prestigio sia in opus sectile che in opus tessellatum (tecnica musiva
che utilizza le tessere in pietra bianca e nera o colorato rispetto all’opus sectile che
ha le lastre in marmo policromo che vanno a decorare le superfici).
Negli altri vani si evince una scelta decorativa che risponde a quelle che erano le mode dell’epoca = mosaici
bianco e neri con sistemi geometrico-floreali o figurati (es. testa della Gorgone).
Altro nucleo interessante della casa è il settore occidentale perché questa abitazione era
in connessione con un luogo di culto particolare → Il MITREO DELLE 7 SFERE
Il Mitreo è una costruzione specifica per un credo religioso, che ha come protagonista
una divinità iranica che è Mitra. È costituito da ambiente rettangolare connotati da lunghi
banconi sui quali sostavano e prendevano posto i fedeli del culto, che assistevano ai riti
che si svolgevano sul fondo del vano dove solitamente c’era l’iconografia del dio. La
prossimità del luogo di culto alla casa permette di richiamare l’attenzione sul fatto che
alcune tipologie religiose (quelle mitraiche in particolare) hanno avuto una versione
privata rilevante anche in considerazione del fatto che a fronte di mitrei
pubblici, cioè realizzati a spese del governo si contano numerosi esempi
di mitrei di minori dimensioni ma contigui alle abitazioni e con molta
probabilità finanziata da privati.
Il MITRAISMO = religione monoteistica di origine orientale che dal I sec. d.C. attecchì fra soldati, schiavi,
mercanti e gli imperatori ne favorirono la diffusione. Aveva elementi molto simili se non identici al
cristianesimo e motivo per cui alla fine dell’impero (V sec.) il paganesimo non viene più riconosciuta come
religione ufficiale, molti di questi mitrei vengono distrutti o simbolicamente coperti da edifici ecclesiastici
cristiani. Così si viene a suggellare monumentalmente la vittoria del cristianesimo sul paganesimo
rappresentato dal mitraismo.
La diffusione tra gli stati meno levati della popolazione era resa forte
dal fatto che questa religione prevedeva una serie di gradualità,
nell’essere iniziati che richiamava i gradi propri del cursus sonorum o
del cursus militari che richiamavano lo sviluppo presso le cerchie
militari della popolazione → c’erano 7 gradi di iniziazione (Corax,
Crypticus, Miles, Leo, Perses, Heliodromus, Pater), una costellazione di
pianeti e divinità che presiedeva a tutti questi diversi gradi che
2 dipinto di un mitreo Ipogeo da Marino
culminavano con il Pater (personalità di rilievo nella comunità) e che si
incentravano su un richiamo di un iniziale rito svolto da Mitra per ostacolare le forze del male e far prevalere
le forze del bene attraverso il sacrificio del toro. Dal sangue del toro presero vita tutti gli esseri viventi e tutte
le forze del bene che si inseriscono all’interno di un ciclo di vita di cui Cautes e Cautopates sono i due simboli.
- CAUTES è colui che tiene la fiaccola verso l’alto, che indica simbolicamente l’inizio della giornata,
l’inizio della vita;
- CAUTOPATES è colui che tiene la fiaccola verso il basso e che quindi segna la fine del ciclo biotico.
Il contesto è un circuito simbolico, che per la tradizione del mitraismo coincide con una grotta; infatti, i mitrei
sono realizzati in un sottosuolo vero o semi vero o sopratterra, ma la decorazione con la quale vengono
rivestiti deve richiamare l’idea di un sottosuolo = elementi che richiamano le concrezioni rocciose, sorgenti
che scaturivano da grotte. Si ha quindi una conformazione dei mitrei a forma di grotta reale o presunta.
Tutto l’aspetto della simbologia delle immagini non interessa solo le pitture private ma interessa anche i
luoghi di culto nel quale trovavano posto diversi esponenti della comunità cittadina.
Questo tipo di religione non si trova solo ad Ostia ma in tutto l’impero, tant’è che esistono una serie di volumi
che conta decine di libri dedicati al mitraismo e che raccolgono tutte le informazioni che riguardano questo
luogo di culto, il quale è stato un vettore di penetrazione della romanità che ha attecchito nelle aree di
confine e in cui i militari risiedevano a protezione delle aree liminali = hanno lasciato traccia, sia da un punto
di vista strutturale che dal punto di vista degli oggetti dedicati.
Dalle case dei vivi alle case dei morti. La necropoli ostiense di Porto nell’Isola Sacra
Ostia non è solo la città dei vivi, ma anche la città dei morti. Le necropoli
ostiensi hanno rappresentato straordinari luoghi di studio di quelle che
sono state le evoluzioni dei rituali della cremazione/inumazione
(convivono in questi luoghi) ma che parlano anche della tipologia delle
tombe come spazi molto interessanti per comprendere il mondo ideale
degli antichi.
Rilievo fittile dalla tomba 29 → È un rilievo che viene da tomba che svolgeva attività
di arrotino. Espone nella sua tomba una serie di oggetti in metallo che vendeva ed
elaborava nella sua bottega, per dare l’idea di come queste persone avessero interesse
a rappresentarsi sia a livello di immagini che strutture funerarie.
L’organizzazione prevede una disposizione dei monumenti che si sviluppa rispetto al tracciato viario con
strutture a pianta quadrangolare o rettangolare, che possono prevedere la presenza di un recinto nel quale
venivano svolte tutte quelle attività di memoria dei defunti che si svolgevano durante i Parentalia nella
stagione autunnale.
In queste tombe l’archeologia ha trovato sia spazi per le urne, per i rituali di
cremazione che spazi per le sepolture in sarcofagi, per una ritualità di inumazione.
Questo chiama in causa la produzione di sarcofagi e casse realizzati ad hoc per
questo tipo di cerimonia e che si organizza come risposta a una certa idea di
religiosità che non prevedeva la cremazione tra le modalità di sepoltura.
Questo tipo di strutture prevedevano spazi di memoria e celebrazione dei defunti durante la fase della
stagione autunnale, che nella fase di chiusura dell’anno con i Parentalia che venivano celebrati in febbraio.
→ La festa dei Parentalia, 13-21 febbraio → culto degli antenati che consolidavano i rapporti familiari.
Richiamavano la funzione e l’exemplum degli antenati nella strategia di autorappresentazione dei romani
attraverso cerimonie che venivano realizzate presso le tombe e di cui l’archeologia ha imparato a riconoscere
le tracce smontando i vari strati con grande attenzione. Viene rilevato al di sopra delle tombe stesse, dei piani
dei recinti su cui avvenivano queste ritualità le tracce di piccole deposizioni e depositi cultuali che ci parlano
di una ripetizione di azioni nel corso del tempo.
È una mappa che ha uno sviluppo per circa 6 metri in senso rettangolare e longitudinale = rappresentazione
del mondo antico conosciuto all’epoca. In questa tabula sono indicate tutte le principali città che nel IV secolo
erano ancora in uso in tutto l’impero. Oltre alle città e le strade (indicate in rosso) con distanze tra una località
e l’altra, indicazioni di montagne, fiumi, porti, sono indicate anche le stazioni termali, curative che i viaggiatori
potevano trovare durante il loro tragitto.
Si tratta di una mappa che indica le principali città dell’impero e che ci dà un quadro della realtà tardo-antica
dell’impero. Molte delle città che oggi conosciamo si possono recuperare da questo documento, studiato dai
topografi, che ha tutta una sua storia e ci permette di avere una percezione concreta di che cosa ha significato
la penetrazione della romanità in tutto l’impero e nelle province. Questo impero ha veicolato sulle strade la
propria propaganda e nella città ha trasferito le forme del proprio potere, che viene assunto dalle classi
dirigenti locali. → in un tempo non così lungo, esse diventano delle persone totalmente inserite nel sistema
organizzativo romano e per questo motivo anche nelle province si forma una classe dirigente transnazionale,
che permette un completo inserimento delle comunità nell’organizzazione locale. Questo sistema
organizzativo mantiene delle proprie tradizioni e propri usi, ma fa a gara per rappresentare l’adesione
all’urbanitas di Roma. Questa corsa ad essere romani si trasferisce nei monumenti, nelle architetture e anche
nei manufatti singoli.
RICEZIONE DEL LINGUAGGIO FIGURATIVO NELLE PROVINCE → L’archeologia e la storia antica hanno
permesso di rilevare una differenza tra la modalità di ricezione nelle province d’Occidente rispetto a quelle
d’Oriente. → Mentre l’oriente (Grecia, Asia Minore e parte delle terre dell’Asia propria) che aveva già avuto
una forte tradizione greca hanno una storia, una propria cultura che è secolare da cui Roma ha tratto molte
delle sue forme artistiche. Al contrario l’Occidente è stato conquistato e non avendo delle forme
monumentali e delle arti fortemente influenzate dalla cultura greca sono delle realtà che hanno previsto
creazioni ex novo dal punto di vista urbanistico (≠ Oriente dove le città c’erano già e avevano tradizione
secolare più forte).
Arte ispirata alla corrente classicistica (con committenza elevata) vs arte ispirata alla corrente simbolica di
matrice plebea
Se in Oriente si parla di tradizione classicistica ed ellenistica molto più forte, che avrà ad Afrodisia uno dei
centri principali; in Occidente la tradizione artistica è legata alle forme di rappresentazione esportate da
Roma e fortemente aderenti a quella corrente dell’arte plebea. = arte che rappresenta immediatamente
attraverso un linguaggio didascalico o attraverso una rappresentazione semplificata degli elementi che
intende mostrare. Si traduce poi in un’arte meno naturalistica, meno capace di richiamarsi alle forme del
naturalismo classico e che tenderà ad usare dei linguaggi espressivi molto simbolici e più legati ad una certa
corrente di gusto popolare.
Per avere un’idea di questa diversa ricezione della cultura artistica = serie di
esempi perché la scultura ci dà una misura immediata di come questa ricezione
avviene. Alcuni prodotti delle statue della divinità → STATUA DI VENERE
(Venere da Mas d’Agenais a dx e Venere Anadiomene a sx) = richiama una
tipologia di scultura fortemente improntata sugli esempi classicistici e che ci
permette di comprendere come una certa committenza locale prediliga di
rifarsi a dei tipi, a dei modelli che sono immediatamente riconoscibili e che
danno la misura dell’adesione a questa corrente classicistica.
Esistono anche esempi in cui gli esponenti della classe provinciale esagerano un po’ nel mostrare la loro
adesione alla cultura figurativa e alle mode dell’epoca, nel senso che pur di mostrare di essere in linea con la
cultura dell’epoca esagerano nel rappresentare sé stessi. Infatti, se a Roma ci sono modelli improntati a
mostrare acconciature di un gusto che nell’età flavia ha un’espressione molto forte; nelle
province esagerano nel mostrare questo essere in linea con il gusto locale.
Foto > Busto di dama da Siviglia con acconciatura a toupet, fine I d.C. Lo schema si ispira
alle acconciature delle Auguste di età flavia, Musei Capitolini.
Inoltre, si può considerare che queste committenze locali anche nella sfera
funeraria abbiano una modalità differente nel seguire una corrente
artistica di tradizione popolare, che è interessata a rappresentare il
messaggio che intendeva trasmettere → es. RILIEVO FUNERARIO da Kostolac
(Serbia), Museo di Belgrado: schema ispirato al linguaggio artistico
‘classicistico’, ma la resa è simbolica e ispirata all’arte plebea = mostra il
protagonista seduto sulla sx (esattore seduto) su un seggio, ha i piedi
sollevati da terra, non sono posti a contatto diretto con il pavimento. Sul tavolo ha una serie di mercanzie
depositate da coloro che devono documentare la loro attività e in mano ha un dittico, un registro in cui scrive
e annota quanto viene presentato. È vestito alla moda romana con la toga e il palio. L’altro personaggio sta
in piedi, che gli mostra la sua attività produttiva e in realtà lo scalpellino non è stato in grado di rendere la
figura di profilo, ma pone la figura frontalmente nel busto e fa girare solo la testa. L’attenzione è posta nella
rappresentazione dei tratti fisionomici dei personaggi, perché questi siano immediatamente riconoscibili.
Ci sono tre casi esemplificativi di città inserite nello spazio dell’Impero Romano → Treviri, Efeso, Antiochia
per mostrare come a migliaia di km di distanza si possano riconoscere e ritrovare elementi comuni o
specificità nella ricezione di questi elementi.
TREVIRI
Oltre alle abitazioni, alle terme e agli edifici per lo spettacolo (anfiteatro e stadio),
ci sono anche gli edifici sacri e tutta una serie di elementi che vanno a connotare
la città romana. Viene ricordata da Pomponio Mela nel I sec. d.C. come città
opulentissima, che già per questa fase conosce un suo sviluppo ed evoluzione
interessante. Nel IV secolo Ausonio (letterato tardo originario di Bordeaux e
precettore del futuro imperatore Graziano) scrive un’opera, il Mosella ispirata a
una serie di produzioni precedenti e che ricorda questa città come una città viva, con una sua fase importante
in età augustea e che opera uno sviluppo del territorio circostante anche attraverso le strade che
regolarizzano il territorio. Viene poi costruito un ponte in legno e poi in pietra, che starà alla base delle
infrastrutture successive.
- è costruita in opera quadrata con blocchi di arenaria sbozzati in maniera non regolare;
- Ha due torri semicircolari verso l’esterno, mentre quelle interne sono rettangolari;
- Al centro lo spazio di transito ha due fornici, e nella parte superiore una facciata a due piani
sovrapposti che vanno a correlarsi e unirsi con i prospetti delle torri laterali.
EFESO
ANTIOCHIA
Viene fondata da Seleuco (età ellenistica), che avrà una grande fortuna in età tardo-
antica. È un ulteriore esempio di questo modo di aderire alla cultura romana con
tendenza fortemente classicistica, tant’è che le rappresentazioni iconografiche
(pitture, mosaici, sculture, monumenti) sono delle espressioni con un marcato
carattere ellenistico che ci permette di comprendere quanto la capacità della
cultura romano sia penetrato nelle varie province e come ogni città abbia avuto la
forza, l’indipendenza e la dipendenza da Roma di esprimere quest’adesione al
linguaggio artistico locale.
Gli Antonini e i due linguaggi artistici, quello aulico/di corte, ispirato alla corrente classicistica, e quello
didascalico/popolare
Base della COLONNA ANTONINA in Campo Marzio → Gli schemi delle opere
degli Antonini sono espressione di questo duplice linguaggio: corrente
classicistica vs corrente popolare, dell’arte plebea e simbolica, che viene ben
rappresentata in questo monumento, di cui ci resta la base realizzata da
Marco Aurelio e Lucio Vero per commemorare Antonino Pio al momento
della sua morte.
È interessante vedere come gli schemi compositivi vedano l’ascesa della coppia
regnante in cielo = apoteosi attraverso la figura di Aion (divinità astratta del
tempo eterno, diverso da Kronos che rappresenta il tempo puntuale), alla
presenza della personificazione del Campo Marzio con l’obelisco di Augusto e
della dea Roma.
LA COLONNA AURELIANA, 193 d.C. → Grande monumento della produzione artistica del II secolo. Viene
realizzata su ispirazione della colonna di Traiano con fase di gestazione piuttosto lunga = viene iniziata nel
176 e terminata nel 193 d.C., viene posta in Campo Marzio e ha la funzione di esemplificare le gesta compiute
dall’imperatore durante le campagne militari condotte contro le popolazioni germaniche dei Quadi e dei
Marcomanni.
La cronologia degli eventi si pone tra il 171 e il 175 (colonna realizzata subito dopo
questi eventi).
La sequenza è pensata in senso topografico e cronologico quindi lo spettatore doveva essere in grado di
riconoscere personaggi, luoghi, eventi in qualche modo a sfavore di una contestualizzazione paesaggistica
più complessa. → le città sono evocate simbolicamente, mentre si dà più rilievo alle azioni militari e alle gesta
compiute dai vari personaggi. Questo ci permette di richiamare come il modello della colonna traiana resti
un modello di riferimento fondamentale per le opere successive.
Se Roma riesce ad espandersi così tanto, a dominare terre non conquistate e riesce a trasferire e costruire in
tutte le aree occupate monumenti, strade, strutture abitative e di servizio, lo fa perché ha una forza
economica e una capacità tecnico-ingegneristica di alto livello, a discapito delle realtà micro-ambientali dei
singoli luoghi in cui andava ad operare.
Questa straordinaria macchina imperiale ha significato un grande benessere, una grande fase di
rinnovamento, di crescita culturale, ma anche il creare condizioni per cui questo benessere fosse
controproducente. Disboscare terre, portare con animali malattie e microorganismi da luoghi in cui
precedentemente avevano un loro equilibrio, in luoghi che non erano in grado di realizzare una risposta
immunitaria forte → fa sì che insieme a questa globalizzazione nel Mediterraneo arrivino anche molte
malattie che fanno i conti con cambiamenti geo ambientali. I romani non li potevano controllare e prevedere
e questo crea i presupposti, per cui nel III e IV secolo l’impero ha delle gravi difficoltà di tipo sanitario ed
economico. Laddove si costituivano dei cluster di malattie rilevanti, c’era una diminuzione della produzione,
una contrazione dei trasporti, un’alterazione degli equilibri che fino a quel momento erano stati garantiti. La
popolazione poteva avere una minore capacità di svilupparsi, un’incidenza di ammalarsi maggiore e quindi
venivano meno una serie di condizioni che avevano garantito un benessere dell’impero.
Rispetto a queste situazioni pandemiche, di cui Roma aveva già un’esperienza dai trattati della medicina
precedente, nel momento in cui diventa un problema di milioni di persone diventa un punto debole
dell’impero. Al di là della propaganda ufficiale politica che gli imperatori di II secolo si preoccuperanno di
dare esiste anche una realtà di difficoltà concreta dell’impero = peste antonina, uno dei momenti di più grave
crisi, che fa i conti con un cambiamento climatico che portò al superamento del cosiddetto optimum
climaticum romano, che aveva visto una situazione climatologica positiva con una normale successione della
stagione, una ciclicità produttiva molto regolare fino al II secolo. A questa succede una nuova fase di
cambiamento climatico, che proseguirà fino a tutto il VI secolo e che avrà come effetto una drastica
diminuzione delle piogge, una diminuzione della possibilità di garantire una produzione agricola necessaria a
soddisfare tutte le esigenze della popolazione. → Si registrano una serie di azioni che miravano a tentare di
garantire una capacità di vita e di controllo dell’economia dell’impero che però è destinata a chiudersi.
C’è anche un elemento sotterraneo, che nei grandi porti e nelle grandi concentrazioni di prodotti vengono
accumulate enormi scorte di derrate alimentari. In quei luoghi si sviluppano animali come i topi, interessati
ad aver un’accessibilità immediata di elementi ma che con la loro presenza trasportano malattie. È
interessante sempre aver una percezione di come a fronte di una grande ricchezza, in realtà non sempre si
fu in grado di percepire la pericolosità di un mancato controllo di alcune norme igieniche che ora sono di
prassi, ma che nel mondo antico non rappresentavano un problema perché non se ne conoscevano gli effetti
scatenanti. Non si ponevano nemmeno le condizioni per frenare queste situazioni.
Con la pesta antonina si parla di forme di religiosità apotropaica eccessiva per cui si facevano grandi
donazioni ad Apollo Alexikakos (colui che allontana i mali) con la speranza che si potesse scacciare il male.
Non serviva a nulla, ma ci dà la misura di quanto rispetto alla lectio della propaganda ufficiale esistesse una
realtà molto più complessa da gestire che aveva a che fare con la salute pubblica e con il venir meno di alcune
condizioni geo ambientali che avevano fino a quel momento garantito il benessere della romanità. → quando
si parla del grande impero di Roma si deve ricordare che questo impero ha provocato a lungo termine la
propria decadenza, non solo perché il sistema politico e amministrativo è entrato in crisi, ma anche perché
l’enorme sfruttamento del territorio, delle risorse, di quella trasformazione che l’impero ha comportato nel
bacino nel quale ha agito ha provocato un’alterazione molto importante, che è stata alla base della sua crisi
e del suo crollo.
LEZIONE 23 ǀ 10 maggio 2022
Secoli che consideriamo sono interessanti, con un impero che attraversato da varie difficoltà, con eventi
catastrofici come la peste antonina, che ha provocato milioni di morti, destabilizzando anche il sistema
politico ed economico dell’impero.
Il III secolo, si apre con questa scia negativa, e questa situazione di instabilità e insicurezza, ha come effetto
un cambiamento importante, anche nelle forme anche d’arte e architettura.
Questo cambiamento si avverte nei primi anni del 3 secolo, frutto di una crisi profonda, che si avverte nella
città, con i conflitti continui, crisi nei rapporti di governo, i rapporti tra le classi sociali, e nella società nel
suo complesso. Ascesa di gruppi famigliari, gruppi della classe medio bassa, grazie ad un commercio
generalizzato, con l’ascesa di persone.
Crisi anche a livello religioso, con l’affermarsi di religioni misteriche, come il mitraismo, altri culti di matrice
orientale, seguiti da frange di popolazione collocate lungo i confini, presso le provincie. Tutto questo si
traduce nell’arte e nell’architettura con un nuovo linguaggio. Questa crisi che la macchina imperiale nei
primi 2 secoli aveva saputo, contenere grazie alla forza economica che poteva vantare e che aveva
provocato grandi mutamenti geo-ambientali. Là dove Roma va a conquistare terre, e a disboscare alberi e
nuove città. Muovendo cose persone ed animali fino ai confini dell’impero. Questa macchina aveva
funzionato fino al I secolo, ma tra la fine del II e gli inizi del III, non funziona più bene. Durante la conquista
della Mesopotamia, Babilonia e Seleucia, non solo i soldati si erano addentrati in aree mai relazionate con
l’Occidente, in alcune occasioni si erano lasciato andare a distruzione e strage di popoli sottomessi senza un
effettivo bisogno. In alcune occasioni, il popolo non ha posto resistenza durante lo scontro, ma i soldati
presero il controllo, abusando del loro potere. violando i luoghi di culto, distruggendo gli edifici sacri
Secondo le fonti la peste antonina che arrivò verso la fine del II secolo, viene in qualche modo attribuita
dalle fonti del tardo secondo secolo, con questa tracotanza e incapacità di controllare le pulsioni,
soprattutto a Seleuce che prima si arrese e poi devastata barbaramente, e che Apollo si vendica
portando la peste in occidente
Questa peste andrà a distruggere i sistemi produttivi, e la rete di scambio. La salute dei romani era
migliorata, con le aperture delle terme, Marco Aurelio e Faustina, si sposano avranno 14 figli e ne muoiono
solo 2.
Questo mutamento che si registra tra la fine del II secolo e inizi del III tra Commodo e i Severi, è una
situazione che porta una crisi, in cui l’imperatore assume un ruolo centrale, nella risoluzione di situazioni
drammatiche, presentandosi al popolo, che aveva ricevuto un benessere generale. Nel momento in cui il
benessere entra in crisi una fetta della popolazione perdono potere d’acquisto, perdendo il lavoro,
diventano in qualche modo sono soggetti, che devono rifarsi e sottomettersi a chi aveva una ricchezza
superiore, riesce a conquistare la rete di produzione. Diventano potentati, sotto di cui anche le famiglie
libere entrano nella loro rete di controllo. Sono coloro che detengono i sistemi produttivi e commerci, in
aree molto grandi, cominciano a farsi valere da Roma, quando prima dovevano essere accettati da Roma.
Anche le architetture, e i cittadini copiano le mode di Roma. Questa distribuzione nelle mani di pochi, dei
sistemi produttivi e della rete di commerci, soprattutto nelle quali viene stanziato l’esercito. Roma
perderà sempre più il potere
Questa situazione di crisi fa si che i personaggi al potere, vengano investiti di una capacità salvifica che si
traduce in anche nella rappresentazione del sovrano. Il ritratto del sovrano, nelle epoche precedenti si
aveva aderito al classicismo di stampo greco, aveva fatto si che l’impronta dei ritratti era fortemente
razionale. Traiano si fece ritrarre con un soldato mentre parla, quindi con un’umanità che con i Severi viene
meno. Si afferma l’idea di un imperatore, con gli sguardi rivolti verso l’alto, e pur mantenendo quel
linguaggio classicistico, tipico dell’arte ufficiale imperiale.
Il classicismo non era più in grado di rappresentare fino in fondo, con nuove forme e modi di forme
artistiche:
Occhi rivolti verso l’alto, marcato uso del trapano, rende le pupille enfatizzate
Capigliatura che esaspera sempre di per i ricci e la barba, per la quale modalità di rendere una modalità
abbastanza lunga, raccolta caratteristica per il ritratto Settimio Severo
Ritratto di Caracalla accentua più il pathos all’enfatizzazione della rappresentazione del sovrano, con
occhi infossati, chiaro-scuro molto forte, e che viene accentuato con testa voltata verso la sinistra, chioma
ricca
Ritratto di Giulia Domna moglie di Settimio Severo, che ha questa capigliatura compatta, quasi una
cuffia sulla testa, riprodotta in manufatti che ci sono rimasti
tondo con i Severi con anche Geta, con barba di Settimio Severo, con duplice riccio sul mento,
Per poi arrivare a statue di imperatori, che dopo i Severi sono progressivamente degli imperatori acclamati
dall’esercito e raramente sono dinasti per eredità di sangue cambia il meccanismo di elezione
Decio sceglie un ritratto molto razionale, tratti fisionomici che ha delle rughe molte accentuate, con resa
degli occhi che puntano verso l’alto.
Gallieno con un’accentuazione migliore del chiaro scuro, con tendenza con accentuazione dei tratti
individuali
Diocleziano colui che dividerà l’impero tra occidente e oriente. Sarà colui che accentuerà il carattere
psicologico, nella resa dell’imperatore, che deve trasmettere allo spettatore per poi portarlo ad una sfera
altra.
Sfera altra, che viene trasferita sui più vari monumenti dell’impero, sia a livello di città di Roma che in Altre
città.
Una sintesi di una tendeva di questo periodo storico, fondere insieme un linguaggio ufficiale ispirato alla
tradizione classicistica, dell’arte imperiale ufficiale. Un’arte più astratta e simbolica che è quella plebea, che
prevale sull’arte classicistica, non più avvertita capace di esprimere, quella ricerca di attenzione di
semplicità dell’arte plebea.
Questo tipo di monumenti, sintetizzano una ricerca di rappresentazione, verso una sfera che deve
proteggere queste popolazioni, quando sono chiamate a compiere delle imprese militari.
Settimo Severo orinario di Leptis Magna, città che sorge a sud-est di Cartagine, con origini antichissime,
fondata dagli abitanti di Tiro, dai fenici nel VII sec a.C.
Leptis Magna, sorge presso un corso d’acqua che è il basi Lebda che dà nome alla città, fiume navigabile
che permetteva di portare verso il mare i prodotti delle popolazioni da smerciare. Città di basso profilo fino
a che c’era Cartagine che controllava tutta l’area settentrionale Africana. Leptis viene costretta a pagare
delle ingenti tasse per limitare la sua capacità di commercio ed espansione, poichè avrebbe limitato i
commerci di Cartagine. Quando Cartagine fu distrutta, Leptis e altre città dell’africa settentrionale, entrano
dell’orbita romana, e vengono abbattute le tasse, con una fase di crescita. Fase favorita da Augusto che
crea la provincia d’Africa, unificando tutto in un unico territorio.
Con Augusto e gli imperatori successivi, che la città viene monumentalizzata, con una serie di costruzioni,
che si articolano su un’asse principale su cui i vari isolati si dispongono. Con una strada colonnata in epoca
severiana, che proiettava sul fronte del mare, organizzato un porto per le merci.
Foro Vecchio, Leptis Magna primo nucleo, del foro, la piazza non è rettangolare, non seguendo le liee
romane, con basilica e altri edifici.
Area di mercato, al centro della città, si avrà un bellissimo Teatro, con fronte mare a nord. Con Settimio
Severo, venne monumentalizzata un’altra città,
poco costruita prossima all’impianto termale.
Prevede un secondo foro, Foro Severiano, che
prevede la glorificazione della Gens Septimia, e
della Concordia. All’interno della piazza porticata
con taverne, e vani mistilinei, che occupano uno
spazio di risulta, mettendo in comunicazione la
Basilica severiana, appositamente costruita da
Settimio.
Foro Severiano
Arco di Settimio, Leptis Magna 202 d.C uno dei più famosi archi delle
provincie, arco quadrifronte che celebrava le varie campagne militari
dell’imperatore, e che è organizzato con una decorazione architettonica e
scultorea, il trionfo dell’imperatore. All’interno ci sono le aquile che
esaltano il vincitore attraverso il trionfo. Sui fregi viene rappresentata la
famiglia imperiale, e Settimio Severo e Caracalla e Geta a cui viene tolta
la testa, su una quadriga. L’imperatore viene rappresentato sempre in
posizione frontale, più alto rispetto agli altri, qui si preferisce dare risalto
alla comprensione al ruolo centrale dell’imperatore. Qui non si ha uno
vero sfondo su cui vengono inseriti i personaggi a più livelli, le persone
vengono poste frontalmente per accentrare il concetto di gerarchia dei
soggetti.
Nei pannelli nord-ovest e sud-ovest ancora una volta l’organizzazione delle rappresentazioni è a fasce per
linee orizzontali, che vanno a definire i livelli cronologici e topografici. Una delle questioni e fatti che
narrano di questa presa.
Nella presa di Ctesifonte, da cui fugge il re a piedi e non a cavallo, per rimarcare la capacità di
sottomettersi ai romani.
All’arco vengono fatti dei rifacimenti, sommerso da strati poi scoperti nell’800.
Dal punto di vista dell’architettura civile, Settimio Severo e Caracalla riescono a guadagnare ingenti somme
di denaro, per fornire a Roma un’altra grande costruzione termale.
Questo tipo di edifici sono fatti per ottenere il consenso dalla popolazione per la casata imperiale che si
preoccupa del benessere della cittadinanza.
Terme di Caracalla Settimio le inizia e il figlio Caracalla le finisce nel 216 d.C. Dal punto di vista
strutturale, lo schema, che aveva circondato un grande recinto il blocco dei bagni igienici. Viene enfatizzato
e modificato, attraverso 2 tipi di invenzioni: totale isolamento del corpo dei bagni e degli edifici connessi,
come le palestre, rispetto al recinto, con perimetri di 337x328 m. Prevede una base sostruttiva che
permette di superare il dislivello del terreno, e permette di realizzare elementi infrastrutturale e servile,
che servono per il funzionamento delle terme. Rispetto al blocco centrale, l’edificio, ha una assialità
perfetta, con l’ingresso verso Nord, a cui corrisponde una grande scalinata monumentale sulla quale si
potevano le persone per assistere alle attività gimniche e celebrazioni comunitarie. Dietro alla
monumentale scalinata, una grande cisterna che serviva a tutte le attività che si svolgevano all’interno del
corpo dei bagni igienici.
Attorno al blocco centrale ci sono vani polifunzionali, tra cui spiccano le 2 grandi esedre che hanno la
caratteristica di contenere dei vani mistilinei, nei quali si pensa che vengano svolte le attività non
strettamente igieniche quindi: biblioteca, sale audizioni. La caratteristica di questo nuovo impianto termale,
è quello di avere il blocco dei vani igienici isolato da tutto il resto del recinto. Anche qui l’assialità governa
l’organizzazione dell’edificio, con la consueta ripartizione di ambienti. Con settore di ingresso degli
spogliatoi, si accedeva
all’area della natazio e
frigidario, che prevedeva
le sale fino al
tiepidarium.
Come si rappresenta l’aspetto privato convivenza del linguaggio ispirato ai modelli classicisti e la corrente
popolare.
I sarcofagi, è una tipologia che viene codificata, perché in questi prodotti sono condensate la tendenza
verso l’astrattismo e il simbolismo, e tentativo di continuare una tradizione classicistica di vecchia data.
Sono grandi casse che ospitavano il defunto inumato e non incenerato nuova tendenza religiosa, nuovo
rituale. Ad Ostia ad un certo punto convivono incenerazioni e sarcofagi.
Con la fine del II sec e inizio del III sec si preferiva l’inumazione, poiché il corpo si pensava avesse una vita
ultraterrena. Si stava affermando il cristianesimo, come religione monoteistica, e con vita ultraterrena,
elemento per cui la pratica religiosa è cambiata.
Sarcofagi erano molto costosi, suddivisibili in 3 categorie, vi furono 3 centri di per la produzione di sarcofagi
poi esportati in tutto l’impero:
- sarcofago urbano, prodotti a Roma nelle officine, che prevedono una forma rettangolare a catino
(ellenos), con lati curvi, con decorazione su 3 facce, lato addossato al muro non decorato.
Organizzazione della decorazione che occupa tutta la
superficie disponibile, coperchio con maschere e
sviluppo longitudinale. Si hanno sia coperchi piani che
a tetto a doppio spiovente
- Secondo tipo, di produzione attica, officine che
producono fino alla metà del II sec d.C, fino all’arrivo
dei barbari, che mettono in crisi la produzione.
Produzione che investe fino al mediterraneo, casse
più grandi, con decorazioni su tutti e 4 i lati, quindi
poste in strutture accessibili, e che presentano una
decorazione di base, con cornici importanti, nella parte sommitale, e in basso e al centro con motivi
tipicamente greci, con combattimenti. Decorazioni di amazzoni e greci o persiani, sopra i quali il
coperchio poteva essere a spiovente o incline, ovvero con il defunto rappresentato mentre dorme,
ed è una tipologia che troviamo in tutto il mediterraneo.
- Terzo tipo di produzione microasiatica, non avendo un vero centro di produzione, officine diffuse
nell’area microasiatica, è difficile stabilire degli elementi costanti nella produzione: con motivi a
ghirlande, e decorazioni allegoriche, o architetture che vanno a richiamare monumenti ideali, con
posti del mito e il defunto.
Componente plebea, connota la produzione artistica anche di tipo pittorico, anche in edifici sia pubblici, le
pitture mirano a raffigurare le scene da rappresentare.
Nella domus dei preconi degli araldi, che era una sede sotto i palazzi imperiali, con attività dove si
annunciavano le corse su carro. La figurazione mostra dei soggetti, dei servitori poiché sono scalzi, con
oggetti per le cerimonie. Arte che trasmette la scena da evocare, senza l’ambientazione naturalistica.
Alla fine del III secolo, arriva Diocleziano, si chiamava Diocle, di origini dalmate, si trova a fronteggiare una
situazione poco sostenibile, le forze centripete sfuggono al controllo centrale di Roma, minacciato dai
barbari.
Caracalla, fa un’importante
istituzione, in cui tutti i cittadini
dell’impero ottenevano la cittadinanza,
tutti colori che nascevano e crescevano
nell’impero dovevano essere cittadini.
Diocleziano nel foro romani, interviene sistemando lo spazio distrutto da un incendio. Lo spazio della piazza
viene delimitato da colonne, 5 su lato est e 8 su lato sud, colonne libere si pensa che siano o con una base o
con …, con l’idea di creare una sorte di frontescena, in cui l’imperatore poteva trarre spazio.
Base dei decennalia cioè la base che celebra i 10 anni del regno, con sotto nemici sconfitti, souvetaurilia,
sacrificio del toro e dell’ariete.
Coppia degli Augusti e Cesari in piazza San Marco a Venezia, copia dei tetrarchi, simbologia nuova del
potere tetrarchico, come simbolo di unione dell’impero. In porfido.
Preso durante una crociata, a Costantinopoli, doveva essere Philadelphio. Abbraccio simbolico tra augusti e
cesari.
Si ha una percezione di prossimità verso la fase successiva, anziché una continuità verso l’era precedente, ci
da una visione di come l’arte di questo periodo abbia avuto una valenza, con un’arte che produce nuove
modalità espressive.
Vi è molta continuità soprattutto con la produzione del secolo precedente, e questa continuità va di pari
passo con l’elaborazione di un linguaggio che investe l’iconografia di senso lato, quindi scultura, pittura e
architettura ed edifici monumentali. Produzione che acquisisce le nuove istanze della religione cristiana dal
313 è libera di essere professata con l’Editto di Costantino, e poi sarà la religione dominante, quando
Teodosio alla fine del IV secolo, la istituzionerà come religione di stato.
La messa al bando del paganesimo, nella realtà farà si che ci saranno delle vere e proprie persecuzioni nei
confronti dei pagani. Resta uno zoccolo duro, è l’aristocrazia senatoria, con una fortissima prossimità e un
collegamento con la cultura precedente, tenteranno di far continuare simbologie e ideologie, che poi
saranno sopraffatti.
La divisione dei due blocchi, la duplicità della macchina dell’impero, pone Roma in una condizione di
minoranza, spostando la capitale a Costantinopoli. Costantino spostando sul versante il centro del potere
ne sottolinea il ruolo trainante, per quella parte dell’impero. Roma continua a rappresentare il teatro della
propaganda imperiale, dove dare sfoggio al messaggio propagandistico.
C’è stato un forte passaggio e cambiamento, anche nell’ambito iconografico, diventa colui raccoglie nella
sua figura nella sua rappresentazione, l’unico in grado di risolvere la grande crisi dell’impero per crisi,
pestilenze e carestie. Questo porta ad una povertà diffusa delle famiglie, che si rivolgono ai grandi
proprietari terrieri, riponendo il potere sulle mani di pochi. Questi potentati in tutte le province
dell’impero, fanno sì il ruolo trainante di Roma venga meno a favore dei centri.
Con la cittadinanza a tutti i nati sotto l’impero, vengano a Roma in cui assumo ruoli importanti, ma
con origine barbare, che fino a pochi decenni prima non erano considerati romani, si hanno nuovi
sistemi iconografici, e nuove sollecitazioni, portando alla disgregazione dell’arte romana.
Tendenza a riconoscere nelle figure di singole persone il potere istituzionale. Gli imperatori accentuano la
loro posizione sopra di tutti. L’imperatore si fa rappresentare come il personaggio che coincide con la
divinità. investito da un’aura sacrale, per far fronte alle difficoltà dell’impero, andando oltre alle
inibizioni della tradizione romana che aveva imposto anche agli imperatori. Prima nessuno si aveva fatto
equiparare alla divinità.
Nel piano iconografico si traducono in schemi, il modo il linguaggio artistico sarà legato all’arte simbolica
plebea, improntata su una ricerca didascalica senza uno studio complesso, del contesto di riferimento,
l’arte classicistica, non viene più percepita di trasmettere una iconografia astratta e simbolica come è di
fatto quella tardo antica. Produzioni classicistiche del IV e V secolo, sono tentativi di riproporre in maniera
ripetitiva un’arte.
Arco di Costantino (312-315 d.C) eretto tra il
Palatino e il Celio, subito dopo la vittoria su
Massenzio. Propone una tipologia edilizia, tipologia
che manifesta il trionfo su vittorie militari. È su 3
fornici, prevede delle colonne antistanti libere, su
basi che inquadrano i 3 fornici, al di sopra la
decorazione complessa, articolata su più livelli,
concludendosi con nella parte alta l’attico del
monumento, in cui si ha l’iscrizione dedicatoria.
La serie di sculture dell’età traianea appartiene a diverse partizioni dell’arco: le 8 statue dei Daci prigionieri
nella parte alta dell’attico, poste nelle base, si ritiene fossero tratti da foro di Traiano. Oltre alle statue
provengono gli altri 4 rilievi nei lati brevi dell’attico e nei fornici piccoli, nei quali vengono raffigurati delle
scene, in cui l’esercito romano vince i barbari, idea di trasmettere concezione di dominio.
Questi rilievi sono valorizzati dagli altri 8 tondi, che occupano i fornici sulle pareti laterali, provengono da un
monumento di età Adrianea, scene in cui ci sono scene di caccia o sacrificio verso le divinità. veicolano
l’idea dell’imperatore che domina le forze naturali e le altre sfere del mondo. Riassume in sè le
caratteristiche per un dominio universale.
Aspetto della virtus militare, nei pannelli da un edificio di Marco Aurelio inserito nell’attico, 8 pannelli con
rilievi, importanti perché ci permettono di vedere il rilievo storico romano, e l’imprese militari ma
soprattutto il come questi modelli erano ancora sentiti in questa nuova società in mutamento impregnata
ancora della tradizione classicistica.
Rilievi di riferiscono alle guerre contro Quadi e Marcomanni, probabilmente erano di un arco aureliano alle
pendici del Campidoglio. Scene
cominciano con:
Costantino si pone la summa degli optimes principes, fonti che ci dicono di quelli che sono stati i migliori
imperatori di cui Costantino di vuole rappresentare il continuatore, racchiude in sé la tradizione dei secoli
d’oro, investendolo di un nuovo potere. Potere lo pone come lui è il liberatore della città, fondator urchetis.
Traduce l’idea si sintesi politica, con dei rilievi ovvero la novità artistica su questo monumento
realizzando un fregio (elemento innovativo dell’apparato dec.) e rilievi sulle basi delle colonne dei fornici,
archi dei fornici, tondi di Sol e Luna
Rilievi su arcate rimandano a vittorie, personificazioni di fiumi e stagioni (di barbari sottomessi),
veicolano un’idea di allegoria degli spazi, delle figure che rappresentano una totalità del poter.
Costantino qui è colui che domina il potere, agisce sotto un placet divino, veicolando l’idea di potere
completo, potere va a esplicitare i momenti con Massenzio.
Ritrovato un bronzo da Barletta, 4,5 m, che rappresenta Marciano o Leone I, della metà del V secolo, si ha
la sua investitura divina dell’imperatore.
IV e V secolo, caratterizzati da spinte di linguaggi espressivi, che poi verranno sempre più affermarsi i culti
legati alla cristianità.
Nel primo vano si ha un sacrario, aula rettangolare con un’abside sul fondo, con un altare e 4 colonne agli
angoli, con funzione di prestigio e al pavimento si hanno motivi geometrici con foglie di vite.
Al centro della villa, si ha un peristilio rettangolare, cuore della villa, con una fontana mistilinea, e su di esso
si aprono alcuni padiglioni, di cui quello settentrionale riservato al personale di servizio, con stanze a 2 file.
Lato est, si ha un grande corridoio trasversale, funzione di diaframma tra movimento di acceso, fino alla
parte pubblica dell’aula Basilicale, con dimensioni notevoli, e che rimarca le dimensioni dei vani, sala in cui
il proprietario riceveva e aveva una funzione di aula regale.
Ai lati della Basilica, si hanno le stanze della famiglia nobile, mentre sotto è stata trovata una stanza con un
mosaico con delle ragazze in bikini, dove probabilmente si svolgevano attività di palestra e ludiche.
Settore dell’aula padronale, con ingresso con portico decorato, e pavimento con mosaico. In altri settori, si
avevano delle raffigurazioni della villa, nei mosaici. Nella palestra, e spogliatoio, con un frigidario, e una sala
ottagonale, con tiepidario, ecc.
Un altro nucleo è quello che si organizza attorno al peristilio ovoidale, si hanno una serie di ambienti con un
a tricora forma antica, che rimanda a presenze con ingressi laterali, aula che rimanda alla cerimonialità
dove potevano essere organizzati tutti quei banchetti, di tipo pubblico.
Ipogeo funerario di Trebio Giusto, Roma era un imprenditore edile, con scene di operai con diverse
scene e fasi di lavoro. Il protagonista che parla con il capomastro.
Normalmente l’arte cristiana viene vista come arte distinta dal mondo pagano, quando invece si aveva una
grande complessità.
La tradizione dice che all’interno delle domus si svolgevano quelle attività, in cui non si sapeva dove
svolgere in altri posti, sono le domus ecclesiae, abitazioni con vani per assicurare l’accesso ad una sala.