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di Tonio Holscher
Archeologia
Università degli Studi di Salerno
29 pag.
Capitolo terzo
I monumenti: problemi, categorie, tesi
Capitolo quarto
Le scene di battaglia e la tradizione del pathos ellenistico
pathos si può vedere dai gesti afflitti dei persiani dietro il carro che, in
quanto spettatori nel quadro, sembrano illustrare il turbamento che deve
provare l’osservatore esterno.
Il dipinto di Alessandro, con la sua rappresentazione di fato e di pathos,
dell’insieme e dei singoli, di potenza e di distruzione, punta con
straordinaria audacia verso il mondo nuovo, sia politicamente che
socialmente e psicologicamente, dell’ellenismo. Ma ciò era possibile in
modo così marcato solo nella pittura: gli altri generi poterono seguirla solo
per singoli aspetti.
Più significativo è il grande monumento per le vittorie di Attalo I di
Pergamo, che rappresentava su un lungo basamento un gran numero di
avversari vinti, galati e persiani. I vincitori non erano compresi nella
rappresentazione: la loro presenza era sottintesa grazie all’impianto in ci il
monumento si trovava, e cioè il recinto sacro di Atena Nikephoros
(«portatrice di vittoria»); essi erano inoltre impersonati nella figura di
Attalo stesso, la cui statua equestre, pur erigendosi su un basamento
separato, costituiva però senza dubbio il punto di riferimento tematico per
le figure dei vinti.
Ancora oltre si spinge il monumento a più figure dedicato da Attalo II
sull’Acropoli di Atene. In esso erano rappresentate le tanto celebrate lotte
di difesa, mitiche e storiche, dei greci contro le aggressioni dei barbari;
senza dubbio, anche in questo caso comparivano solo gli avversari vinti:
Giganti, Amazzoni, persiani, galati. Qui pure – sembra – i vincitori storici,
Attalo II ed Eumene II, cui si riferivano sia i personaggi del mito che
quelli della stria, erano presenti come immagini collocate separatamente;
ma stavolta non si ponevano in relazione al tema della lotta nemmeno
mediante il motivo della statua equestre, bensì erano raffigurati come
colossi stanti e con gli attributi della divinizzazione – quindi da ogni punto
di vista in posizione di superiorità rispetto al resto della scena.
La concezione che sta alla base di queste immagini di battaglia ha una
controparte letteraria nella storiografia drammatizzante (tragica)
dell’ellenismo. Gli storici di questo indirizzo si proponevano di far rivivere
la storia in prima persona ai lettori. Volevano porre gli eventi davanti agli
occhi in maniera viva e credibile, destando pathos, e muovendo a spavento
e ira, a terrore e compassione. Al centro erano gli uomini, mentre agivano
e pativano, di solito isolati, consegnati in balìa della Tyche [dea del fato,
nella sua concezione positiva]. Già dal IV secolo a. C. si possono cogliere
tendenze in questa direzione, e vi sono tappe preliminari anche più antiche;
figurate e in specie per i quadri con battaglie. È vero che nel Mosaico di
Alessandro, come nelle altre figurazioni di storia, l’avvenimento
contemporaneo è scelto non secondo considerazioni estetiche, bensì in
base alla sua funzione politica; tuttavia è significativo che proprio questo
dipinto, dall’argomento della più stretta attualità, sia probabilmente l’opera
con i dettagli più realistici di tutta l’arte greca. Tale realismo appartiene ai
mezzi con i quali si ottiene l’ έυάργεια.
Come vanno intese queste somiglianze fra storiografia e arte figurativa? Se
si guarda alla funzione di tali generi, si vedranno emergere anche delle
differenze: le immagini di battaglia sono monumenti statali, la cui azione
encomiastica muove esclusivamente dalla prospettiva del vincitore; la
storiografia, invece, conserva di solito un punto di vista più distaccato. È
comunque chiaro che il modo drammatico e «tragico» di rappresentazione
è relativamente indipendente dalle funzioni di comunicazione dei vari
generi. Fenomeni affini si possono individuare in ampi settori della civiltà
ellenistica. Nell’epos storico, per esempio, vi erano tendenze analoghe. E
soggetti mitici sono stati più volte rappresentati in maniera simile nell’arte
figurativa: Niobe e Laocoonte con i loro rispettivi figli, Marsia torturato, i
compagni di Odisseo – tutti patiscono dolorosamente la propria fine ad
opera di un destino spietato e impersonale che li travolge. La storiografia
«tragica» è senza dubbio solo un aspetto particolare, nel campo della
storia, di tendenze più generali nell’ellenismo.
Al di là di questo è però evidente che i principi della storiografia «tragica»
potevano anche esser posti al servizio di rappresentazioni encomiastiche.
Purtroppo non ci rimane abbastanza della letteratura panegiristica
dell’ellenismo per poter giudicare in che misura venissero adottati mezzi di
rappresentazione «tragici» o drammatici.
Anche nei monumenti per le vittorie galate l’attenzione al dolore degli
sconfitti non comporta una limitazione della gloria del vincitore: la sua
condizione non ne viene toccata.
La storiografia «tragica» e i monumenti politici hanno senz’altro funzioni
e finalità differenti, ed è anche probabile che si siano sviluppati senza
influenzarsi reciprocamente in maniera troppo diretta. Li congiungono
tuttavia l’effetto emozionale cui essi mirano, e i motivi e i mezzi formali
impiegati.
Capitolo quinto
Scene di battaglia: la ricezione a Roma
Capitolo sesto
Il cerimoniale di stato: la tradizione del decoro classico
Capitolo settimo
Il sistema semantico: le sue componenti e il loro impiego
atletici reali: una resa convincente del loro movimento si poteva ottenere
riallacciandosi a Lisipo.
Infine modelli ancor più recenti, di età ellenistica, furono ripresi per i
numerosi personaggi del tiaso dionisiaco che popolavano sia l’atrio che
parte del giardino: Satiri che danzano o che suonano il flauto, mentre
schioccano le dita o dormono, Fauni, putti, anche un Pan che si accoppia
con una capra, e inoltre diversi animali. Nessun gusto, per quanto
classicistico, avrebbe potuto indurre a cercare modelli di V e IV secolo per
questi motivi: la scelta delle rappresentazioni possibili era predeterminata
dal tema.
Il gusto della prima età imperiale influenza in vari modi la ricezione dei
modelli: il passo successivo sarebbe allora quello di indagare i mutamenti
delle forme stilistiche dell’epoca in relazione a ciò che vogliono esprimere;
ma tale problema oltrepassa i confini della semantica qui presa in esame.
Rimanendo nell’ambito di tipologia e semantica, un ultimo esempio varrà
a illustrare il grado di raffinatezza a cui poteva essere portato questo
linguaggio figurativo.
Anche qui, però, in ciascuna figura sono fuse delle forme non ricavabili
dalla tradizione del tipo corrispondente, come si è già visto per il mantello
di Enea con le sue pieghe tese e condotte con una certa rigidità, di origine
ellenistica.
Quanto più a fondo si conduce l’analisi del processo di strutturazione
formale, tanto più evidente diventa il fatto che l’utilizzo delle forme tradite
avveniva secondo una scala di gradi solitamente differenziate. Si tratta di
una ricca gradazione che va dall’intero al particolare; per ogni livello era a
disposizione tutto il repertorio dell’arte greca, applicabile a seconda del
contenuto del messaggio da trasmettere.
Capitolo ottavo
Il sistema semantico: premesse e struttura
Componendo gli elementi fin qui esaminati, risulta che in età tardo-
ellenistica e romana le forme stilistiche dei vari periodi dell’arte greca
venivano riprese soprattutto perché in tal modo si potevano rappresentare
adeguatamente temi e contenuti differenti in forme di volta in volta
specifiche. Per ciascun tema, ovvero per ciascun aspetto contenutistico di
uno stesso tema, erano a disposizione modelli già pronti che, pur se di
origine eterogenea in una prospettiva diacronica, potevano adesso essere
impiegati sincronicamente l’uno accanto all’altro. Si produsse così un
sistema in cui le forme dell’arte greca venivano filtrate da criteri non
stilistici ma principalmente semantici, risultando utilizzabili in senso del
tutto nuovo. È in questo senso che si può parlare di una semantizzazione
degli stili.
Premesse generali
Alla base di tutto ciò sta un mutamento di ampia portata: la realtà visibile
diveniva sempre più segno di idee non empiriche. Nelle teorie artistiche
coeve tale tendenza si compì mediante l’elaborazione di un sistema di
concetti astratti.
Esiste una serie di sarcofagi di comandanti romani, che mostrano in
successione scene tipiche della carriera dell’élite militare, disposte però in
maniera sorprendente dal punto di vista cronologico: prima una battaglia,
con i nemici poi sottomessi e graziati, di seguito il sacrificio per la
partenza all’inizio della guerra – che in realtà era precedente –, e infine la
celebrazione del matrimonio, che normalmente si compiva in un momento
antecedente. il raggruppamento di tali scene va inteso come una
concezione sistematizzata dei valori ideali, ossia delle virtù politiche
primarie1: virtus, clementia, pietas e concordia.
Capitolo nono
La nascita del sistema: dinamica e staticità
Gli inizi di questo modo di trattare le forme tradite riportano indietro verso
l’arte della Grecia. Anche questa elaborò, in relazione a singoli compiti e
temi, delle forme specifiche che non valevano per tutta la produzione
artistica.
Di rilevanza maggiore per il linguaggio figurativo successivo è il fatto che,
a partire dall’età classica, accanto alla vasta corrente dell’arte nel
complesso «moderna», si svolse un’esile tradizione di forme stilistiche
Capitolo decimo
Il linguaggio figurativo e lo stile
ripercuote nella lastra con Enea dell’Ara Pacis principalmente sotto due
rispetti: nella salda concessione dei personaggi e degli oggetti con al
superficie; e nella lavorazione del marmo, dall’esecuzione viva e naturale
ma nello stesso tempo dura e netta. In età flavia, invece, il voluto ritorno a
forme più prossime al vero causò un certo avvicinamento allo stile dei
rilievi ellenistici.
È una spia nello stesso senso il fatto che si conoscano copie di opere
policletee soprattutto di età giulio-claudia adrianea, e solo più raramente
di età flavia.
A giudicare dal risultato complessivo, però, quest’aspetto della selezione
di modelli tipologici secondo i gusti mutevoli delle varie epoche, su cui ha
molto insistito la ricerca del passato, ha un’importanza solo relativa. Ma
per la gran parte della produzione è senz’altro vero che i temi e i tipi
eterogenei di rappresentazione rimanevano fondamentalmente validi
attraverso le epoche e da una regione all’altra.
Il ritratto è significativo in questo contesto come caso estremo del rapporto
tra tipo e stile. Se nel ritratto il fattore dello «stile dell’epoca» traspare
molto più decisamente che in altri ambiti artistici, ciò mostra che tale tema
era aperto ad accogliere le esperienze proprie di un determinato periodo in
misura maggiore rispetto ad altri campi della produzione d’arte. Il sistema
di valori cui appartenevano, avendo un carattere astratto, collettivo e
relativamente statico, trovava una formulazione adeguata nelle figure
ideali tipizzate della tradizione.
Grazie a questo speciale collegamento con la realtà, il ritratto divenne in
maniera particolare un campo aperto a molteplici e mutevoli esperienze
esistenziali.
Il fatto che la scultura ideale romana si sia finora rivelata molto refrattaria
a datazioni stilistiche non costituisce solamente una circostanza spiacevole
da superare, ma anche un fenomeno significativo: nell’arte romana i
cambiamenti sono meno generali, meno sostanziali e meno rapidi che
nell’arte greca dall’età arcaica a quella ellenistica.
Capitolo undicesimo
Sistema formale e stile nelle teorie retoriche e artistiche
Capitolo dodicesimo
Conclusione: il linguaggio figurativo e la civiltà imperiale