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Cronologia e trasmissione
della letteratura greca

DA OMERO A GIUSTINIANO cessivo alla morte di Alessandro Magno


(323), in cui il greco è divenuto una
La letteratura della Grecia an-
Tredici secoli grande lingua internazionale, parlata in
di letteratura tica abbraccia tredici secoli
tutte le regioni raggiunte dalla conquista
di storia. Comincia con Ome-
del sovrano macedone.A servirsi del gre-
ro - la cui figura, in base ad una notizia
co per la comunicazione orale e scritta e

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trasmessa da Erodoto, era convenzional-
a trasformarne considerevolmente il les-
mente posta dagli antichi attorno all’850
sico e la sintassi, sono, in questa seconda
a.C. – e finisce, per una convenzione fase, intellettuali estranei a confini etnici
egualmente opinabile, con la chiusura e geografici della Grecia classica. Il greco
dell’Accademia platonica di Atene, de- parlato nelle grandi città ellenistiche, fin
cretata da Giustiniano nel 529 d.C. Al sulle coste settentrionali dell’Africa e al-
momento di quel decreto, in realtà, già le propaggini occidentali del subconti-
da diversi decenni la produzione lettera- nente indiano,la koinhv, è stato strumento
ria in lingua greca nasceva sotto l’in- di una nuova stagione della cultura, uti-
fluenza dell’ambiente bizantino e Bisan- lizzato non solo per opere letterarie, ma
zio, capitale dell’Impero romano d’O- anche per una ricca produzione di tipo
riente, si era imposta come il centro cul- tecnico e scientifico e per i testi sacri
turale di maggior rilievo dell’area medi- della nascente religione cristiana.
terranea.
Oltre a questa fondamentale
Periodo
Nel caso della letteratura gre- arcaico e distinzione fra un periodo el-
Fase ellenica
e fase ca, la delimitazione di periodi periodo attico lenico ed uno ellenistico, vi
ellenistica estesi ed omogenei, può fon- sono buone ragioni, non ulti-
darsi, più che su specifiche ma quella della chiarezza didattica, per
date, sul rilievo delle trasformazioni ma- proporre una seconda e più articolata
croscopiche compiutesi nell’arco di se- distinzione diacronica, che fa coincide-
coli. Tali trasformazioni riguardano le re i periodi storici della letteratura gre-
modalità di elaborazione e diffusione dei ca con le aree di concentrazione della
testi, il rapporto fra autore e pubblico, le produzione letteraria. Nell’ambito della
aree geografiche entro cui i fenomeni fase ellenica, possiamo distinguere:
letterari hanno assunto maggior rilievo, a) Periodo arcaico (o ionico o pre-
la preferenza accordata ad un qualche classico), che va dalle origini alla
dialetto come efficace strumento di co- battaglia di Salamina (480 a.C.) e
municazione letteraria. Dalla valutazione che è caratterizzato dalla presenza
di questi fattori può derivare una prima di numerosi autori originari delle
distinzione fra un periodo ellenico, in colonie dell’Asia minore, in partico-
cui la produzione letteraria è stata ali- lare da autori di stirpe ionica;
mentata soltanto da autori di madrelin- b) Periodo attico, che va dalla battaglia
gua greca, ed un periodo ellenistico, suc- di Salamina alla morte di Alessandro

CRONOLOGIA E TRASMISSIONE DELLA LETTERATURA GRECA 1


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Magno e che vede, parallelamente al- nore determina una fondamentale di-
l’ascesa di Atene come principale stinzione cronologica. Dobbiamo distin-
centro politico e culturale del mon- guere:
do ellenico, l’affermazione del dialet- a) Età ellenistico-alessandrina, che va
to attico come lingua letteraria e cul- dalla morte di Alessandro al 30 a.C.
turale. In tale anno l’Egitto diviene provin-
cia romana e Alessandria perde il
Nel passaggio dal periodo ar- ruolo di capitale culturale dell’ecu-
Trasformazione
del pubblico caico a quello attico, il feno- mene greco, dopo che, per circa tre
meno letterario tende a fis- secoli, era stata punto di aggregazio-
sarsi nella forma del testo scritto e a dis- ne per i letterati e gli intellettuali,
costarsi dalle modalità della comunica- fervente centro di ricerca scientifi-
zione orale, che erano state determinan- ca, di attività accademiche e di pro-
ti, ad esempio, nella nascita dei poemi duzione libraria;
omerici e della poesia melica. Rimane b) Età romana (o imperiale), che va
tuttavia molto forte, in entrambi i perio- dal 30 a.C. al 529 d.C. Questo perio-
di, il rapporto fra letteratura e vita socia- do è caratterizzato dal fatto che Ro-
le. Sono le circostanze in cui la comuni- ma, oltre ad essere la capitale politi-
tà s’incontra e si aggrega – i banchetti, le ca dell’impero e ad aver creato un
solennità civili e religiose – a scandire le organico sistema di amministrazione
occasioni per la diffusione delle opere in tutte le province, è anche il princi-
letterarie. Diffusione che in alcuni casi, pale punto di riferimento per gli in-
come in quello delle performances de- tellettuali, dalle origini più disparate,
gli aedi e delle rappresentazioni del tea- che hanno adottato il greco come lo-
tro dionisiaco, giunge ad un pieno coin- ro lingua.A Roma si parla, si scrive e
volgimento delle classi popolari. Questo s’insegna in greco, proprio come, in
rapporto organico fra i generi letterari e precedenza, era accaduto ad Alessan-
la vita della polis s’interrompe in età el- dria d’Egitto e nelle altre capitali elle-
lenistica, quando la cultura letteraria as- nistiche.
sume veste libresca e ha una circolazio-
ne limitata all’elite dei dotti e delle per-
I DIALETTI GRECI E I DIALETTI LETTERARI
sone colte; nel contempo la produzione
scientifica, che in età ellenistica gode di La presenza di popolazioni
Il miceneo
una diffusione più ampia rispetto a quel- indoeuropee, nell’area della
la letteraria, trae alimento dalla crescen- Grecia continentale, nonché sulle coste
te richiesta, avvertita anche dai ceti me- e sulle isole del Mediterraneo orientale,
di delle grandi città, di un sapere tecnico risale almeno alla fine del terzo millen-
e di conoscenze praticamente utilizzabi- nio a.C. Ma solo per il periodo compre-
li. Ma anche questo tipo di produzione è so fra il XVI secolo e il XIII secolo a.C.
concepito per la fruizione individuale; disponiamo di una documentazione
raggiunge un pubblico disperso ed ete- adeguata per poter dire qualcosa di pre-
rogeneo, che non coincide più con una ciso sulle lingue parlate in questi terri-
compatta comunità cittadina. tori. La decifrazione della scrittura linea-
re B (cfr. p. 11) ha permesso di avere in-
Nel corso dell’età ellenistica, formazioni sul dialetto miceneo, un dia-
L’età
alessandrina la rapida espansione di Ro- letto paleogreco parlato dagli Achei,
e l’età romana ma e la sua affermazione co- che occuparono il Peloponneso, con-
me potenza indiscussa in tut- quistarono Creta e fondarono colonie
ta l’area del Mediterraneo e dell’Asia Mi- sulle coste dell’Asia Minore. Questo dia-

2 CRONOLOGIA E TRASMISSIONE DELLA LETTERATURA GRECA


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letto, formatosi dall’incontro delle po- non solo nella scelta delle strutture e
polazioni achee con quelle già stanziate dei temi ma anche in quella della lin-
nell’area greca, apparteneva alla fami- gua, dall’autore o dagli autori che per
glia delle lingue indoeuropee e presen- primi li hanno coltivati: chi, a distanza
tava elementi morfologici, nonché sin- di tempo, si è proposto di scrivere se-
gole voci, destinati a sopravvivere nei condo i canoni di un genere già affer-
dialetti delineatisi durante il Medioevo mato, ha ritenuto di dover seguire l’au-
Ellenico. Si pensi al destino di parole tore modello sotto ogni aspetto norma-
micenee come wanax («signore»; cfr. gr. tivo, condividendone anche il dialetto.
a[nax), damos («popolo»; cfr. gr. dh`mo"), Per ragioni puramente letterarie, ovve-
basileus («funzionario»; cfr. gr. basileuv", ro per collocarsi nel solco di una tradi-
«re»). Probabilmente sapremmo molto zione ormai consacrata, scrittori e poeti
di più sul miceneo se, su questa lingua, hanno talvolta scelto di utilizzare idio-
non disponessimo soltanto di una docu- mi diversi da quelli parlati nella loro re-
mentazione limitata a testi di carattere gione di provenienza. In particolare no-
amministrativo e contabile. Ma ciò che tiamo che:
conosciamo basta a farci affermare un 1. Lo ionico, dato il prestigio di Omero
rapporto di continuità fra la lingua degli e di Esiodo, si è imposto nella poe-
Achei e quella dei popoli che successi- sia epica ed è stato adottato anche
vamente hanno occupato il territorio dagli elegiaci dell’età arcaica. La lin-
ellenico. gua omerica, in cui gli elementi ioni-
ci prevalgono su un antico fondo
Una lingua comune a tutti i eolico, non è però mai stata una lin-
I dialetti
Greci si è formata solo nel gua parlata, ma una lingua formula-
periodo attico ed ellenistico, dapprima re, creata artificialmente dagli aedi
grazie al prestigio dell’Atene di Pericle e sulla base degli idiomi diffusi nelle
poi grazie alle conquiste di Alessandro colonie ioniche dell’Asia Minore.
Magno. Fino al V sec. la realtà linguistica Più vicino al parlato è lo ionico usa-
dell’Ellade appare profondamente diver- to dai primi prosatori e dallo storico
sificata. Più che di un’unica lingua pos- Erodoto (V sec. a.C.).
siamo parlare di vari dialetti,parlati in di- 2. L’attico, le cui strutture grammatica-
stinte aree geografiche e differenziati so- li sono molto simili a quelle dello io-
prattutto sul piano fonetico e morfologi- nico, si è imposto come lingua lette-
co. Essi sono così raggruppabili: raria fra il V e il IV sec. a.C. È stato
a) dialetti ionico-attici (Attica, Eubea, utilizzato dai poeti tragici (Eschilo,
Ionia); Sofocle, Euripide), dai poeti comici
b) dialetti eolici meridionali (Arcadia, (Aristofane, Menandro), dagli storici
Cipro, Panfilia); (Tucidide, Senofonte), dagli oratori
c) dialetti eolici settentrionali (Tessa- (Lisia, Isocrate, Demostene) e dai fi-
glia, Beozia, Eolide); losofi (i sofisti, Platone). Data la
d) dialetti dorici occidentali (Epiro, grande tradizione letteraria che si è
Acarnania, Etolia, Acaia, Focide, Lo- ad esso legata, è divenuto il princi-
cride, Elide); pale punto di riferimento nello stu-
e) dialetti dorici meridionali (Pelopon- dio linguistico del greco antico.
neso, Cicladi, Doride, Creta, Cirene). 3. Il dorico è stato il dialetto della poe-
Quattro di questi dialetti hanno assunto sia melica corale (Simonide, Pinda-
dignità letteraria, ovvero lo ionico, l’atti- ro, Bacchilide) e ricompare in forma
co, il dorico, l’eolico. I generi letterari sistematica nelle parti liriche della
sono stati profondamente improntati, tragedia attica.

CRONOLOGIA E TRASMISSIONE DELLA LETTERATURA GRECA 3


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4. L’eolico deve le sue fortune al fatto piri permettono spesso di verificare


di essere stato la lingua di Alceo e le condizioni del testo prima del me-
Saffo, nativi dell’isola di Lesbo e rite- dioevo.Tali manufatti risalgono a un
nuti, anche dai Latini, modello della periodo che va dal IV secolo a.C. al
lirica monodica. VII secolo d.C.;
c. epigrafi; sono pochissimi i testi lette-
rari giuntici attraverso iscrizioni su
LA TRASMISSIONE
pietra o metallo; le epigrafi conten-
DELLA LETTERATURA GRECA
gono infatti soprattutto documenta-
Quello che abbiamo della let- zione politica e legislativa;
Tradizione
diretta teratura greca è di norma d. traduzioni antiche (in latino, ma an-
e indiretta mediato dalla “tradizione” (da che siriaco, copto, etiopico, ecc.) di
tradere, «trasmettere») me- opere greche andate perdute nella
dievale, costituita dalle copie di copie forma linguistica originale.
delle opere antiche fatte dopo la fine 2. Per tradizione indiretta. Significa

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dell’antichità (collocabile, per l’area gre- che di un’opera ci è conservato un
ca, fra VI e VII sec. d.C.). Di qualche libro frammento per citazione o riassun-
antico abbiamo resti grazie ai papiri, ma to-parafrasi all’interno di un’altra
anch’essi non risalgono all’età classica, opera, arrivataci per via diretta. Può
bensì perlopiù ellenistica e imperiale. trattarsi di brani estesi, come anche
Due sono i modi di trasmissione degli soltanto di singole parole. Fino all’e-
scritti. poca dei ritrovamenti papiracei
1. Per tradizione diretta. Significa che (XIX e XX sec.) di molti poeti arcai-
le opere ci sono arrivate grazie a te- ci si conoscevano solo frammenti di
stimoni fisicamente esistenti. Essi questo tipo.
possono essere:
a. codici medievali, perlopiù successi- È compito della “critica del
La critica
vi al secolo IX, e in quantità progres- del testo testo”, un ramo della filolo-
sivamente crescente per i secoli XI- gia, ordinare tutta la docu-
XV (ma ne esistono anche dei secoli mentazione in modo da stabilire un te-
IV-VI); escludendo quelli d’epoca sto il più possibile vicino a quello che
umanistica e neoellenica, le bibliote- circolava nell’antichità (ma non all’ori-
che conservano oltre 24.000 codici ginale, che, se pure è esistito, resta
greco-bizantini, dei quali però non sempre inattingibile). Il risultato di tali
più di un quinto riporta testi dell’an- ricerche porta alle «edizioni critiche»,
tichità vera e propria; in cui, di solito a piè di pagina, si dan-
b. papiri (e affini); quelli letterari sono no indicazioni sulle condizioni del te-
una percentuale minima dei papiri sto e delle sue varianti nei vari rami
greci, ma hanno permesso il recupe- della tradizione. Sono appunto i nomi
ro di frammenti significativi di opere degli editori, più recenti o giudicati
ignote alla tradizione medievale, per “migliori”, quelli che accompagnano
esempio dei lirici arcaici, di Menan- l’indicazione di alcuni testi (ad es., Saf-
dro, Eroda ecc. Per opere note, i pa- fo fr. 1 Voigt).

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Dall’età micenea all’età arcaica

Quadro storico
L’età micenea
Durante l’età del bronzo, nella seconda metà del III millennio a.C., la Gre-
La prima
espressione di cia fu abitata dal mitico popolo dei Pelasgi, di cui si sono perse le tracce
civiltà greca nella successiva evoluzione storica. È soltanto al temine dell’elladico me-
dio (1950-1580), che sono chiaramente visibili gli effetti della presenza del
popolo indoeuropeo degli Achei. Dalla vita e dalle gesta di questo popolo hanno avuto
origine le leggende che, trasmesse nell’arco di secoli dalla recitazione degli aedi, hanno
infine trovato sistemazione scritta nei poemi omerici.Anche per questo, ma non per que-
sto soltanto, la civiltà micenea, cui gli Achei hanno dato vita, può essere assunta come
prima manifestazione significativa della civiltà greca e come indispensabile punto di rife-
rimento per lo studio della stessa storia letteraria. La lingua, la cultura, le istituzioni e l’ar-
te dell’età micenea non sono mai del tutto scomparse dalla storia della Grecia classica ed
ellenistica; qualcosa di esse si è perpetrato, nonostante il solco prodottosi dopo l’invasio-
ne dorica, nei quattro secoli del cosiddetto Medioevo ellenico, che fu un’età di gestazio-
ne e trasformazioni profonde.

I poemi omerici, nel parlarci di Micene «ricca d’oro», di Tirinto «ben mu-
Lo sviluppo
culturale e rata», di Creta «dalle cento città», ci portano quasi all’estremo limite della
l’espansione civiltà micenea, al momento in cui essa, appropriatasi di numerosi ele-
menti della civiltà minoica, era in grado di tentare una politica di grande
potenza, paragonabile a quella che nel Mediterraneo orientale mettevano in atto l’Egitto
e gli Hittiti.Tuttavia il processo di acculturazione di questo popolo di pastori e guerrieri
fu piuttosto lungo. Furono necessari diversi secoli perché gli Achei, spostatisi verso sud-
ovest dall’area carpatico-balcanica o dalla regione del Mar Nero, assimilassero la cultura
delle popolazioni indigene e fossero in grado di affrontare il mare, da loro denominato,
significativamente, con la parola qavlassa, estranea alle lingue indoeuropee ma nota alle
popolazioni pregreche. Con la conquista di Creta, sottomessa dagli Achei attorno al
1450 a.C., comincia la fase di espansione della Grecia micenea. L’espansione avviene sia
verso occidente, raggiungendo la Sicilia e la Puglia meridionale, sia verso oriente: gli
Achei s’insediano nelle Cicladi meridionali, a Rodi, sulle coste dell’Asia minore. L’episo-
dio più noto delle loro spedizioni di conquista è la guerra di Troia, ricordo mitizzato di
una comune impresa dei principi achei, guidati dal re di Micene, contro la fiorente e ric-
ca città che controllava lo stretto dei Dardanelli.Tale evento, databile attorno al 1250,
precede di poco più di mezzo secolo il crollo miceneo, avvenuto nella prima metà del
secolo XII a.C.

Un tempo si poneva un rapporto di causa-effetto fra la discesa dei Dori, il


La caduta loro insediamento nelle regioni della Grecia e il brusco declino degli
Achei. Oggi si dà una lettura più sfumata degli eventi. Probabilmente i Do-
ri hanno tratto profitto da una crisi delle città-stato micenee ed hanno
sfruttato le possibilità di espansione determinate dall’indebolimento delle strutture mili-
tari ed organizzative di queste ultime. L’indebolimento potrebbe essere dovuto a cause

DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA 5


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Quadro storico
naturali (siccità, carestie), a discordie sociali interne, nate dal risentimento delle comuni-
tà contadine ridotte dal fiscalismo statale agli estremi limiti di sussistenza, oppure ad
un’aggressione venuta dall’esterno, da parte di un popolo straniero più forte. Non i Dori,
che giunsero in Grecia per spostamenti interni, muovendo dall’area balcanica, ma i “po-
poli del mare”, che in quegli stessi anni avevano fatto cadere il regno degli Hittiti ed era-
no giunti a minacciare l’Egitto di Ramesses III, potrebbero aver determinato una crisi ir-
reversibile. Delle tavolette ritrovate a Pilo (Peloponneso) danno molta credibilità a que-
sta ipotesi, poiché parlano di un maggior impegno nell’opera di difesa e di vigilanza, in vi-
sta di un pericolo che sarebbe dovuto venire dal mare.

La decifrazione della scrittura lineare B, trasmessa agli Achei dai Cretesi, ci


L’area ha messo in condizione d’interpretare le tavolette custodite negli archivi
di diffusione
dei palazzi micenei e di avere numerose informazioni sull’area di diffusio-
ne di questa civiltà, sulla sua organizzazione politica e sociale, sul notevole
livello di sviluppo economico da essa raggiunto. Il mondo miceneo non conobbe mai l’u-
nità politica, ma era costituito da città-stato.Varie città sorsero in Argolide, dove si trova-
vano Tirinto,Argo e Micene, il centro di maggior prestigio, da cui la civiltà micenea prese
nome. Per altro in tutto il Peloponneso, in Attica, in Beozia e in varie altre regioni della
Grecia continentale, sono visibili le tracce della presenza micenea, che, come si è detto, si
è poi estesa a tutto il Mediterraneo orientale.

Al vertice dell’organizzazione politica stavano il re (wanax), il capo dell’a-


Organizzazione
politica ed ristocrazia guerriera (lawagetas) e i sacerdoti. Soltanto a loro, che viveva-
economica no in massicci palazzi fortificati, era possibile avere la proprietà privata
delle terre. Le classi lavoratrici vivevano in villaggi (damoi), dedicandosi
all’agricoltura, all’allevamento e all’artigianato. Nei villaggi si producevano navi, armi, tes-
suti, vasi; parte dei prodotti alimentava una fiorente esportazione. La terra coltivabile, in-
dispensabile fonte di sostentamento, era concessa, soltanto in affitto, dal re e dagli aristo-
cratici, in cambio di una parte del raccolto, di prestazioni e di servigi. Le comunità dei da-
moi non disponevano dunque della possibilità di opporsi a quanto era deciso nel palaz-
zo, dove buona parte della ricchezza prodotta era immagazzinata e registrata.Vi era però
un’organizzazione interna ai villaggi, presieduta dai basileis (in questo periodo il termine
non significava ancora «re» ma designava gli esponenti più autorevoli delle famiglie), che
si riunivano in assemblea (gherousia) per regolare affari d’interesse comune.

La civiltà micenea ha trasmesso alla Grecia classica elementi linguistici


Elementi (cfr. p. 11), religiosi (il culto delle divinità celesti, tipico dei popoli indoeu-
di continuità
ropei, combinato con quello delle forze fecondatrici della terra) e architet-
tonici (il megaron, la sala che accoglieva il focolare domestico, ha influito
sulla struttura del tempio greco dell’età classica).

Il Medioevo ellenico
Per analogia con il millennio intercorrente fra la caduta dell’Impero ro-
L’invasione mano d’Occidente e gli inizi dell’età moderna, si definisce Medioevo elle-
dorica
nico il periodo, compreso fra il XII e il IX secolo a.C., durante il quale la
Grecia, decaduta dai livelli di civiltà dell’età micenea, attraversa una lunga
fase di assestamento e di apparente regresso. L’evento perturbatore di questo periodo è
l’invasione dei Dori (XI secolo), penetrati in Grecia dalle regioni settentrionali (Epiro,

6 DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA


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Macedonia, Tessaglia). Discendendo

Quadro storico
verso sud, essi si lasciarono alle spal-
le l’Attica, chiusa dalla catena del Ci-
terone, e andarono a stanziarsi nel
Peloponneso; di qui passarono ad
occupare le Cicladi e arrivarono infi-
ne ad occupare Creta e Rodi. L’inva-
sione dei Dori fu la causa di una se-
rie di migrazioni e di spostamenti
che riguardarono tutti i popoli della
Grecia, costretti dalla pressione de-
gli invasori a cercare terre coltivabi-
li. Le coste dell’Asia Minore furono
allora interessate da un nuovo feno-
meno migratorio, dopo la colonizza-

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zione conosciuta in epoca micenea. Veduta area degli scavi di Micene.
Le popolazioni della Tessaglia e della
Beozia, stabilendosi sulle coste settentrionali dell’Anatolia e nell’isola di Lesbo, costitui-
rono l’Eolide; più a sud si stanziarono gruppi provenienti dall’Attica e dall’Eubea e grup-
pi di Dori, dando vita rispettivamente alla Ionia e alla Doride.

Al termine di questa fase di assestamento, per alcuni secoli il mondo gre-


Una fase
di stasi e co sembra chiudersi in se stesso e presenta caratteri fortemente regressi-
di decadenza vi. Decadono il commercio e le attività mercantili, l’agricoltura e la pasto-
rizia diventano le principali fonti di sostentamento di un’economia chiu-
sa; si perdono le tracce di un’organizzazione politica capillare: ai regni micenei, suben-
trano piccole comunità, poco più grandi di un villaggio, in cui un basileuv", appartenen-
te alla famiglia più ricca, è riconosciuto come guida militare e come arbitro delle con-
troversie. Il suo potere non è però ereditario ed è limitato dall’aristocrazia, costituita da
proprietari terrieri, i quali rappresentano la parte forte della società, poiché possono
provvedere da soli alla difesa del territorio. La maggior parte della popolazione è costi-
tuita da braccianti e da artigiani; costoro, pur riunendosi formalmente in assemblea, so-
no costretti a subire le decisioni dei potenti. La giustizia è amministrata secondo le con-
suetudini, la cui applicazione è affidata all’interpretazione dell’aristocrazia.Alcune carat-
teristiche di questa fase storica sono desumibili dall’Iliade e dall’Odissea: questi poemi,
formatisi da leggende di età micenea tramandate e modificate durante tutto il Medioevo
ellenico, hanno finito con il riflettere anche gli elementi storici più recenti, fornendo in-
formazioni sulle tecniche di produzione, sulle forme di organizzazione politica, sulla vi-
ta sociale e culturale.

Durante il Medioevo ellenico, si cessò di utilizzare la scrittura lineare B,


La scrittura
fonetica, ma, alla fine del IX secolo, fu adottato un alfabeto fonetico che adattava al-
l’uso del ferro le necessità dei dialetti greci le lettere dell’alfabeto fenicio. Non fu questa
l’unica innovazione importante seguita all’invasione dorica. Notevoli pro-
gressi tecnici derivarono dall’uso del ferro, già noto agli Hittiti e diffusosi, dopo la loro ca-
duta, fra le popolazioni della penisola anatolica. La sua introduzione nell’area greca per-
mise di fabbricare oggetti più resistenti e incrementò la produzione delle armi, facendosi
preferire alla più costosa lega in bronzo, tipica del periodo miceneo. Divenne così più fa-
cile alle classi medie e popolari la partecipazione alla guerra.

DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA 7


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Quadro storico
L’influenza dorica fu inoltre decisiva nel determinare il definitivo passag-
La formazione
dell’olimpo gio dei popoli greci ad una religione nazionale, che anteponeva il culto
greco delle potenze celesti della tradizione indoeuropea a quella delle forze ge-
neratrici della terra. Con il tempo però – e anche di questo i poemi omeri-
ci forniscono una fondamentale testimonianza – l’olimpo greco smarrì l’originario colle-
gamento con i fenomeni naturali e gli dèi divennero l’immagine ingigantita delle facoltà
e delle passioni della natura umana.

L’età arcaica
Alla fine del Medioevo ellenico, il mondo greco conosce una fase di straor-
Ripresa
demografica dinario dinamismo, che costituisce il precedente immediato dell’età classi-
ed economica ca. Denominiamo questo periodo, compreso fra l’VIII e il VI secolo, come
età arcaica. Esso è in primo luogo caratterizzato da una crescita demografi-
ca, conseguente ad una maggior produzione agricola e ad una tecnica più scaltrita nella
conservazione delle derrate alimentari, attestata ad esempio dalla diffusione di un nuovo
tipo di granaio. La conseguenza più vistosa di questa rinascita economica è la ripresa su
vasta scala delle attività mercantili. Ed è da ciò che traggono impulso i due fenomeni po-
litici e culturali di maggior rilievo dell’età arcaica: l’affermazione della polis e la seconda
colonizzazione.

La polis che si costituisce in età arcaica, e che continuerà fino all’età elle-
Caratteri nistica ad essere la cellula fondamentale della civiltà greca, è una realtà
della polis
molto più complessa delle antiche città-stato micenee. Queste erano sol-
tanto centri amministrativi e luoghi di difesa: proteggevano ed esercitava-
no un controllo su un territorio ma inibivano al loro interno le trasformazioni della strut-
tura sociale. Le poleis sono invece il risultato di difficili equilibri fra forze sociali differen-
ziate, risentono d’interessi economici che si modificano nel tempo e che danno luogo a
mutevoli assetti politici. Della polis non fanno parte soltanto gli aristocratici, i proprietari
terrieri, che in un primo momento ne detengono il controllo politico, ma anche gli arti-
giani e i ceti mercantili, che si arricchiscono attraverso il commercio e sono in grado
d’investire i loro capitali nell’acquisto di terre. Con il tempo, i ceti emergenti rompono il
sistema di potere oligarchico e gentilizio imposto dall’aristocrazia, aspirano con successo
a partecipare al governo della città e ad assumerne la difesa. Le lotte intestine, i frequenti
mutamenti di regime che interessano le poleis dell’età arcaica sono appunto espressione
di un dinamismo sociale sempre aperto, che porta a cercare mediazioni e compromessi.
Nel periodo iniziale dell’affermazione della polis, è facile incontrare, nella Grecia conti-
nentale e nelle colonie, figure di tiranni e di legislatori.A costoro è affidato il compito di
scrivere costituzioni nelle quali tutte le classi sociali si possano rispecchiare, oppure di
tutelare i ceti emergenti nei confronti dell’antica aristocrazia. Solo alla fine dell’età arcai-
ca il mondo delle poleis raggiunge una relativa stabilità istituzionale, affidandosi perma-
nentemente al governo illuminato di un tiranno, come accade in varie città della Sicilia,
oppure riconoscendosi in uno dei due principali modelli costituzionali, quello oligarchi-
co di Sparta e quello democratico di Atene. In ogni caso l’affermazione della polis porta
con sé il concetto dell’autogoverno dei cittadini liberi, del loro coinvolgimento nelle
scelte di politica estera e nella difesa del territorio, nonché il riconoscimento di un rap-
porto di complementarità fra l’aggregato urbano e il territorio circostante: il territorio
produce non solo sostentamento per tutta la popolazione, ma anche ricchezza ecceden-
te, che rende possibili gli investimenti, la crescita dell’artigianato e dell’esportazione; al

8 DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA


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territorio la città offre protezione, servizi,

Quadro storico
possibilità di commercio.Anche dal punto
di vista architettonico la polis ha un aspet-
to ben definito, che ne rivela la genesi e gli
obiettivi. Ne sono parte caratterizzante l’a-
cropoli fortificata, dove si trovano i templi
delle divinità protettrici, e l’agorà, dove si
svolge il mercato e dove si raduna l’assem-
blea.

L’incremento demografico e
La seconda le tensioni interne alle po-
colonizzazione
leis favorirono un massiccio
fenomeno di colonizzazio-
ne. Chi non disponeva di risorse sufficienti
nella madrepatria o chi riteneva di non po- Acropoli di Atene.
tersi in essa affermare tentava di fare fortu-
na altrove, trasferendosi assieme ad altri concittadini in un territorio da colonizzare. Il
gruppo era guidato da un ecista, che provvedeva a spartire le terre secondo criteri di
equità, in modo che tutti i colonizzatori, almeno inizialmente, disponessero delle stesse
possibilità di successo. Pur essendo formalmente libere, le colonie mantennero spesso
rapporti privilegiati con la madrepatria ed ebbero con essa intensi scambi commerciali,
favoriti dall’affermarsi dell’economia monetaria, nonché dai progressi dell’arte nautica e
dalla maggior celerità garantita dalla diffusione di navi a vela. Le conseguenze macrosco-
piche di questo fenomeno furono un’ulteriore crescita della ricchezza e l’intensificazio-
ne dei rapporti con popoli stranieri. Ad avvantaggiarsene non erano soltanto le attività
mercantili, ma anche la circolazione delle idee, perché il contatto con altre genti costitui-
va uno stimolo importante per l’attività creatrice e per la ricerca scientifica. Non è certa-
mente un caso se i primi filosofi greci, i primi prosatori, i primi poeti lirici compaiono
nelle colonie greche dell’Asia minore, in territori ove continui erano gli scambi fra la cul-
tura ellenica e quella dei popoli orientali.

Al tempo della seconda colonizzazione, i confini stessi del mondo greco si


Espansione
ad Oriente e allargano, poiché essa s’indirizzò in modo deciso, da un lato, verso la Sici-
ad Occidente lia e l’Italia meridionale, dall’altro, verso il Ponto Eusino (Mar Nero). Furo-
no proprio le antiche colonie della Ionia, come Mileto, a dare avvio alla co-
lonizzazione della regione degli Stretti, del Ponto Eusino e del tratto meridionale del Da-
nubio. Fra le città della Grecia continentale la più attiva fu Corinto, che, dopo aver occu-
pato Corcira (Corfù), fondò varie colonie sulle coste dell’Epiro e dell’Illiria. Si deve ad un
gruppo di coloni corinzi anche la nascita di Siracusa (734 a.C.), che, assieme ad Atene e
Mileto, primeggiò a lungo sul mondo greco come potenza economica e mercantile.

Al termine dell’età arcaica, la Grecia ha già raggiunto quelli che, fino all’età
Il sentimento
e le istituzioni ellenistica, rimarranno i suoi confini etnici, geografici e culturali.Al di so-
panelleniche pra dei particolarismi delle poleis, di una miriade di motivi di tensione e
d’inconciliabili interessi, sono già ben delineati potenti fattori di unità cul-
turale: culti religiosi che, pur essendo legati alle tradizioni delle singole poleis, fanno rife-
rimento a divinità, quelle olimpiche, riconosciute da tutti gli Elleni; istituzioni politiche
fondate sulla partecipazione, sul consenso e sulla condivisione delle responsabilità; senso

DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA 9


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Quadro storico
di appartenenza ad una superiore civiltà, nettamente distinta dalla rozzezza delle genti
barbare che vivono oltre i confini del mondo greco. Molto hanno giovato al costituirsi di
un sentimento nazionale greco le istituzioni panelleniche che si affermano fra l’VIII e il
VII secolo. Le Olimpiadi, che si tennero ogni quattro anni, a partire dal 776, sono l’esem-
pio più noto di come le città greche sapessero mettere periodicamente da parte le loro
rivalità per incontrarsi culturalmente, assistendo non solo alle gare sportive ma anche al-
le esibizioni poetiche ed oratorie che costituivano uno dei motivi di richiamo dei giochi.
Alla solidarietà panellenica concorrevano altresì altre feste religiose, in cui un santuario o
una città divenivano punto di richiamo per l’intera Grecia (giochi nemei, giochi istmici,
giochi pitici); ed in misura ancor maggiore vi contribuivano, dato il loro carattere di le-
ghe politiche permanenti, le associazioni religiose di Stati limitrofi (anfizionie), che s’im-
pegnavano nella difesa di un santuario e curavano affari di comune interesse.

Gli oracoli, in particolare quello di Apollo a Delfi (Focide), occupavano,


Gli oracoli nella società greca, un ruolo paragonabile a quello dei mass media nelle

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società industrializzate.Al santuario giungevano voci e notizie provenienti
da tutte le città greche e non soltanto da esse, visto che talvolta anche po-
poli e sovrani stranieri erano interessati ad interpellare il dio. Chi viveva nel santuario
disponeva così di un campo d’informazioni a largo spettro e poteva servirsene con co-
gnizione di causa, per confezionare responsi la cui pertinenza e saggezza dipendeva, an-
ziché dall’ispirazione divina, dalla precisa cognizione di un problema e dall’intenzione di
risolverlo secondo l’ottica interessata di qualche gruppo di potere.

La complessità politica e culturale della Grecia arcaica è il presupposto


Origine della
letteratura più importante per comprendere perché in questo periodo, accanto ai
arcaica poemi di Omero e di Esiodo, trasmessi dal Medioevo ellenico, si sviluppi
una nutrita produzione filosofica e letteraria, organicamente collegata con
la vita e con i problemi della polis. In particolare i generi della nascente lirica monodica
mettono in evidenza lo sviluppo di un forte senso dell’individualità, le risposte soggettive
alle sofferenze che la vita e la storia producono nell’animo umano. Per altro la stessa liri-
ca monodica s’incontra spesso con quella corale nell’affermazione dei valori etici e filo-
sofici da cui una comunità politica trae le ragioni della propria esistenza.

10 DALL’ETÀ MICENEA ALL’ETÀ ARCAICA


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Cultura orale e scritta


La scrittura in età micenea
Gli scavi archeologici condotti a partire dal secolo scorso a Creta e nei
Le scoperte principali centri della civiltà achea, come Micene e Pilo, hanno restituito
archeologiche
un cospicuo numero di tavolette d’argilla incise che riportano tre diversi
tipi di scrittura, denominati da Evans (lo scopritore dei palazzi cretesi) «ge-
roglifico cretese», «lineare A» e «lineare B». Mentre le prime due forme di scrittura riman-
gono a tutt’oggi indecifrate, la terza è stata decifrata negli anni Cinquanta da Michael Ven-
tris, il quale dimostrò senza ombra di dubbio che la «lineare B» è una scrittura sillabica (in
cui ogni segno indica cioè una sillaba) utilizzata per un’antichissima lingua greca risalen-
te al II millennio a.C., la lingua achea.

KO NO SO = Knwssov", Cnosso WA NA KA = ¸avnazÃÃa[nax, sovrano

Una volta dimostrato che gli Achei conoscevano la scrittura, rimane tutta-
Uso limitato via il dubbio sull’esatto ruolo a essa attribuito nella società dell’epoca. Gli
della scrittura
archivi delle roccaforti achee, Pilo in particolare, hanno restituito solo do-
cumenti di natura amministrativa e contabile, che dovevano essere redat-
ti da scribi professionisti alle dipendenze degli amministratori dei vari wanakes (cfr. l’o-
merico a[nax, «signore»). Nulla è stato trovato che autorizzi a pensare all’esistenza di una
letteratura scritta, dal che si dedurrebbe che la scrittura rivestì nel mondo acheo un ruo-
lo assai limitato e fu riservata a usi contabili. La conservazione, l’attualizzazione e la tra-
smissione del patrimonio della cultura tradizionale doveva essere affidato interamente
all’oralità.

Con il crollo del mondo acheo in seguito (o in concomitanza) dell’invasio-


Ritorno ne dorica, la scrittura sembra scomparire totalmente dal mondo greco, che
all’oralità
appare caratterizzato dal ritorno a un’oralità primaria (propria, cioè, di
una cultura che ignora del tutto la scrittura) per tutto il cosiddetto Me-
dioevo ellenico, fra XI e VIII secolo a.C.

La diffusione dell’alfabeto fenicio


La scrittura ricompare in Grecia nell’VIII secolo a.C., e questa volta essa è
Ricomparsa caratterizzata dalla diffusione di un sistema alfabetico di derivazione feni-
della scrittura
cia; la tradizione attribuiva il merito di avere introdotto il nuovo alfabeto
a Cadmo, figlio di Agenore (re di Tiro o di Sidone, in Fenicia) e fondatore
di Tebe, in Beozia; oggi si propende per collocare in Oriente l’evento, nelle colonie gre-
che dell’Asia Minore. Naturalmente, in conseguenza della parcellizzazione del territorio
dall’originario modello fenicio furono derivati più repertori alfabetici, caratterizzati da

CULTURA ORALE E SCRITTA 11


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numerose varianti locali in ragione anche delle differenze dialettali.Ad ogni modo, quel
che più conta è che dopo più di tre secoli la Grecia rientrava in possesso di uno stru-
mento indispensabile allo sviluppo della civiltà. Ma la nuova scrittura era destinata an-
ch’essa a svolgere una funzione marginale e puramente amministrativa, come nell’età
achea?

La «coppa di Nestore»
Alla domanda possiamo rispondere senz’altro negativamente, grazie a un
Descrizione documento straordinario che costituisce una delle testimonianze più anti-
e testo
che della scrittura e della letteratura greca; si tratta della cosiddetta “coppa
di Nestore”, uno skuvfo" rodio tardogeometrico rinvenuto nel 1954 in una
necropoli di Ischia (l’antica Pitecusa) e su cui è incisa, con andamento da destra a sini-
stra, la seguente iscrizione metrica in alfabeto euboico:

Nevstoro" me;n eu[poton pothvrion∑


o{" d∆a[n tou`de pivhsi pothrivou aujtivka kh`non
i{mero" aiJrhvsei kallistefavnou A ∆ frodivth".

Certo, la coppa di Nestore era straordinaria per bere:


ma in compenso chi beve da questa coppa subito
lo prenderà il desiderio di Afrodite bella corona.

Tanto il vaso quanto l’iscrizione (graffita successivamente alla fabbricazio-


Riferimenti a
un repertorio ne dell’oggetto, probabilmente dal proprietario, a Ischia) risalgono alla se-
epico conda metà dell’VIII secolo a.C., epoca in cui fu dunque realizzato questo
raffinato gioco simposiale, che presuppone evidentemente la conoscenza
del repertorio epico sia per quanto riguarda il metro (l’iscrizione è composta da un ver-
so giambico associato a due esametri epici) sia per quanto riguarda i temi: il nostro testo
allude infatti proprio alla favolosa coppa di Nestore (cfr. Iliade XI 632 ss.), rispetto alla
quale la pur umile coppa di Ischia si permette di vantare maliziosamente una ben supe-
riore efficacia erotica.

La diffusione del libro


Un testo come quello graffito sulla coppa di Nestore basta a dimostrare
Primato della
recitazione che nella cultura greca arcaica la scrittura non rivestì solo un ruolo funzio-
e del canto nale alle esigenze contabili dell’amministrazione, ma divenne veicolo di
cultura in senso decisamente più ampio. Col passare del tempo assistiamo
al moltiplicarsi delle iscrizioni, graffite o dipinte su vasi, oppure scolpite su tavole di pie-
tra; contestualmente fa la sua apparizione in Occidente un nuovo strumento di cultura, il
libro, costituito da un rotolo di fogli di papiro incollati assieme.
Sarebbe tuttavia errato pensare a esso come a un oggetto comune destinato a una lettu-
ra diffusa, o addirittura come a un bene di mercato. In realtà il libro rimase ancora lun-
gamente, in età arcaica, un oggetto quasi sacro e sapienziale, riservato a pochi e desti-
nato per lo più a usi differenti dalla circolazione del testo, affidata ancora alla perfor-
mance, la spettacolare esecuzione-esibizione del rapsodo epico, del citarodo, del coro
lirico o, semplicemente, del convitato che nel simposio improvvisava (o riciclava) i
canti della festa.

12 CULTURA ORALE E SCRITTA


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Tecnicamente diamo il nome di aurale a una civiltà che conosce l’uso del-
Civiltà aurale la scrittura e l’applica nelle fasi di produzione e trasmissione del testo, ma
non in quella della sua diffusione e circolazione, affidate ancora al canale
voce-udito. La matrice orale-aurale della cultura greca farà avvertire ancora
per lungo tempo il suo influsso.Ancora alla fine del V secolo, in piena età classica, ci è da-
to incontrare infatti un personaggio come Socrate che sempre rifiutò di dare veste scrit-
ta ai suoi insegnamenti, mentre il suo grande discepolo, Platone, in diversi passaggi della
sua opera esprime perplessità verso un mezzo come la scrittura, accusata, di fronte al di-
scorso orale, di non sapersi difendere con efficacia. La parola scritta per Platone è dun-
que muta e priva di vita, mentre solo la parola parlata può esprimere la verità nella sua ef-
ficace interezza.

Per assistere alla nascita di una società della lettura, oltre che della scrittu-
Tarda
affermazione ra, in senso moderno, caratterizzata quindi da un mercato librario, dalla dif-
del libro fusione di biblioteche private e pubbliche, dall’abitudine a un rapporto in-

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dividuale con il libro - oggetto che ciascuno può acquistare, rigirare fra le
mani con il piacere del bibliofilo, e poi godere nell’intimità della propria casa - bisognerà
attendere l’età ellenistica, quando cioè le condizioni politiche, sociali e culturali del mon-
do greco saranno mutate a tal punto da farlo assomigliare decisamente più al mondo a
noi familiare che all’antica società arcaica e classica.

Psicodinamica dell’oralità
Se ora restringiamo il nostro campo di attenzione al “Medioevo ellenico”,
Un diverso
modo di fruire culla della tradizione epica e periodo caratterizzato, come si è detto, da
del testo una oralità di tipo primario, possiamo cercare di individuare i fattori prin-
cipali che distinguono quel tipo di cultura dalla nostra, così da familiariz-
zarci, per quanto è possibile, con gli usi e le dinamiche che condizionarono per secoli il
modo stesso di concepire la letteratura, oltre che di produrla e di fruirne: usi e dinamiche
che, in buona misura, continuarono a caratterizzare la ricezione del testo per tutta l’età
arcaica, anche quando l’oralità primaria lasciò il campo all’auralità.
Walter J. Ong ha sintetizzato in modo estremamente efficace i caratteri generali di quella
che egli stesso ha definito «psicodinamica delle culture orali primarie», sottolineando in
particolare alcuni aspetti.

Il primo aspetto è che, in assenza di scrittura, le parole non hanno ovvia-


Importanza mente presenza visiva, ma esistono come puri suoni; e il suono intrattiene
del suono
con il tempo un rapporto assai diverso rispetto a un oggetto visibile, per-
ché non ammette la categoria di «permanenza»: se il senso della vista infat-
ti è in grado di cogliere tanto il movimento che l’immobilità (offrendoci nel primo caso
dati sensibili principalmente sintetici, e solo nel secondo caso analitici), ciò non accade
per l’udito, che percepisce l’immobilità solo come silenzio.
Il suono, dunque, ha come carattere primario quello di scomparire per sempre nel mo-
mento stesso in cui viene emesso; è dunque innanzitutto un evento. Ciò significa che
se la parola scritta può essere concepita e manipolata come un oggetto, la parola detta
non è invece un oggetto, ma piuttosto un’azione, e come ogni azione incide sulla real-
tà, modificandola; di qui deriva il carattere magico e sacrale che le culture orali prima-
rie attribuiscono alla parola, considerata un mistico strumento di potere e di controllo
sulle cose.

CULTURA ORALE E SCRITTA 13


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Un altro aspetto fondamentale, legato al precedente, è quello della pecu-


Metodi liare natura della memoria orale; se infatti il suono è per sua natura effi-
mnemonici
mero, in nessun altro caso come in una cultura orale acquista validità as-
soluta il principio secondo cui «noi siamo quel che ricordiamo». Ma co-
me può essere ricordato, nell’ambito di una cultura orale, un pensiero particolarmente
elaborato, sofisticato e complesso?
Ong evidenzia due strumenti principali: la comunicazione interpersonale e la formu-
larità. Occorre che chi parla trovi i modi più efficaci per colpire e tenere desta l’atten-
zione di chi ascolta, creando continuamente nel discorso ritmi, simmetrie, formule ri-
correnti. «È necessario pensare in moduli mnemonici creati apposta per un pronto re-
cupero orale. Il pensiero deve nascere all’interno di moduli bilanciati a grande conte-
nuto ritmico, deve strutturarsi in ripetizioni ed antitesi, in allitterazioni e assonanze, in
epiteti ed espressioni formulari, in temi standard (l’assemblea, il pasto, il duello, l’aiu-
tante dell’eroe, e così via), in proverbi costantemente uditi da tutti e che sono rammen-
tati con facilità, anch’essi formulati per un facile apprendimento e ricordo, o infine in
altre forme a funzione mnemonica [...] Quanto più sofisticato è il pensiero che si orga-
nizza oralmente, tanto più aumentano le probabilità che esso sia caratterizzato dall’uso
di frasi fatte» (W.J. Ong, Oralità e scrittura, Bologna 1986, pp. 62 ss.). Questo significa,
in modo solo in apparenza paradossale, che quanto più un pensiero sarà originale e ine-
dito, quindi degno di essere ricordato, tanto più tradizionali saranno le forme espressi-
ve cui si affiderà per essere ricordato; se non lo facesse, ricorrendo invece a forme al-
trettanto inusitate e originali, e dunque difficili da ricordare, si condannerebbe da sé a
essere prontamente dimenticato.

Una, la conseguenza immediata di questo stato di fatto: noi sappiamo che


Una visione la parola struttura il pensiero, in quanto il modo stesso con cui “sceglia-
della realtà
mo le parole” per dire qualcosa determina l’interpretazione che noi dia-
mo dell’esperienza. Ebbene, lo stesso avviene in una cultura orale prima-
ria, in cui a determinare l’interpretazione della realtà concorrono, prima ancora che le
parole, le formule espressive e i temi standardizzati cui abbiamo accennato. Questo si-
gnifica che della realtà gli uomini dell’età arcaica avevano, a differenza di noi moderni,
una visione “sintattica” più che “morfologica”, ossia abituata a cogliere sinteticamente i
nessi prima che a isolare analiticamente i particolari (si noti anche, almeno cursoria-
mente, che mentre il senso della vista è per natura fortemente selettivo, non foss’altro
perché è impossibile per un essere umano guardare in più direzioni contemporanea-
mente, il senso dell’udito è invece unificante, perché il suono raggiunge l’orecchio da
ogni direzione simultaneamente, creando un effetto di “immersione” sonora che non ha
alcun corrispettivo nell’ambito della vista).

Caratteri del discorso orale


Da queste premesse deriva una serie di conseguenze “pratiche” che ca-
Tendenze ratterizzano il pensiero orale e la sua espressione (anche, ma non solo,
espressive
artistica), come per esempio la tendenza:

– a strutturarsi paratatticamente (per frasi coordinate) piuttosto che ipotatticamente


(per frasi subordinate);
– a dispiegarsi in modo aggregativo, per associazioni, piuttosto che analitico, per evi-
denziazione dei particolari descrittivi;

14 CULTURA ORALE E SCRITTA


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– a privilegiare la ridondanza, avvertita in genere con fastidio in una cultura scritta,


ma indispensabile invece in una comunicazione orale «per mantenere saldamente
sul tracciato sia l’oratore, sia l’ascoltatore» (W.J. Ong, Oralità e scrittura, Bologna
1986, p. 69);
– a essere fortemente conservatore (o meglio “tradizionalista”) piuttosto che innovati-
vo, il che porta le società orali ad apprezzare più il vecchio saggio depositario di an-
tiche tradizioni che il giovane ricercatore aperto a sperimentare strade nuove. Que-
sto non significa tuttavia che la cultura orale sia priva di originalità, ma piuttosto
che tale originalità si colloca su un piano differente rispetto al nostro modo di con-
cepire i fenomeni culturali: «l’originalità narrativa ad esempio non sta nell’inventare
nuove storie, ma nel creare una particolare interazione col pubblico: ogni volta il
racconto deve essere inserito in modo unico in una situazione anch’essa unica, poi-
ché nelle culture orali il pubblico deve essere portato a reagire, spesso in maniera
vivace» (W.J. Ong, ibid., p. 71). E questo, ovviamente, è proprio ciò che la parola
scritta non può fare: il lettore può naturalmente percepire diversamente il messag-
gio del testo in base alle sue variabili condizioni psicologiche individuali, ma la pa-
rola scritta in sé gioca un ruolo puramente passivo, è “lettera morta”, perché incapa-
ce di modificare in modo originale il contesto comunicativo, cosa che invece è fon-
damentale nell’ambito della performance (e questo ci consente di capire ancora
meglio la diffidenza espressa nei confronti della scrittura da Platone);
– a privilegiare, rispetto all’astrazione, la narrazione di situazioni e casi concreti: ragio-
ne per cui le culture orali in primo luogo ignorano la manualistica tecnica (su argo-
menti anche di comune interesse come la guerra, la navigazione, ecc.) e abbondano
invece di racconti tradizionali i cui protagonisti compiono gesti tecnici (come com-
battere una battaglia, armare una nave, ecc.). In secondo luogo tendono da un lato a
privilegiare protagonisti eccezionali e situazioni straordinarie, perché più facili da ri-
cordare rispetto a personaggi mediocri e a vicende comuni, dall’altro a “tipicizzare”
eroi e imprese eroiche per adattarli ai moduli mnemonici tradizionali;
– ad assumere un carattere fortemente agonistico, che condiziona di fatto tutto lo “sti-
le di vita” delle culture orali, meno portate ad astrarre la conoscenza su di un piano
diverso rispetto alla vita e a sottrarla alla “lotta per l’esistenza” che caratterizza ogni
aspetto della realtà quotidiana. Di qui il carattere eminentemente “dialettico” delle
culture orali, per cui anche una semplice richiesta di informazioni o l’acquisto di un
oggetto al mercato tendono a trasformarsi in un duello di abilità verbale;
– a creare con il proprio oggetto e con l’interlocutore un rapporto di forte comparte-
cipazione emotiva, per cui il narratore, ad esempio, finisce per identificarsi realmen-
te, e con lui il pubblico, nel protagonista della sua storia;
– a utilizzare un codice espressivo sinestetico, cioè caratterizzato dal fatto di investire
simultaneamente tutti i sensi umani. Mentre in un testo scritto il significato della
singola parola è in larga misura determinato da un contesto formato da altre parole,
in un testo orale il significato della singola espressione sarà determinato anche dal
gesto, dall’inflessione della voce, dalla mimica del corpo e del viso, dallo sguardo, e
dall’intero “ambiente” umano in cui si svolge la comunicazione;
– a percepire e descrivere il mondo in modo unitario e centralizzato, ossia come un
tutto unitario di cui l’uomo occupa il centro, mentre la scrittura, rappresentando il
mondo sulla carta, ce lo fa apparire come qualche cosa di esterno, come una vasta
superficie su cui tracciare confini, oppure progettare invasioni o viaggi esplorativi, in-
somma qualche cosa di manipolabile senza conseguenze per l’uomo, mero osserva-
tore esterno.

CULTURA ORALE E SCRITTA 15


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Conclusione
Ovviamente un discorso appropriato ed esauriente sul rapporto tra oralità
Un mondo
vicino e scrittura richiederebbe spazi e approfondimenti ben maggiori di quanto
e lontano abbiamo fin qui offerto e di quanto consenta la natura di questa introdu-
zione. Ci basta avere prospettato un quadro generale della questione, per
consentire allo studente di accostarsi ai testi compresi in questo primo volume dell’anto-
logia con lo spirito giusto, dopo essere stato messo in guardia contro facili quanto inevi-
tabili anacronismi: per quanto vicini ci possano apparire gli antichi Greci per sensibilità,
tematiche e via dicendo, la loro civiltà, non bisogna dimenticarlo, è al tempo stesso lonta-
na e diversa dalla nostra; educare una matura coscienza della diversità è del resto, da sem-
pre, uno degli scopi fondamentali degli studi classici.

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Per approfondire
D. Diringer, L’alfabeto nella storia della civiltà [1953], Firenze s.d.
E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone [1963], Bari 1973
J. Goody, L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano 1981
W.J. Ong, Oralità e scrittura [1982], Bologna 1986
G.R. Cardona, Culture dell’oralità e culture della scrittura, in La letteratura italiana, a cura di A. Asor
Rosa, II, Torino 1983

16 CULTURA ORALE E SCRITTA


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Cavalieri,
fregio del lato
nord del
Partenone.

L’epica

OMERO ❖ EPICA PSEUDO-OMERICA ❖ IL CICLO EPICO ❖ ESIODO


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L’epica
I generi letterari

Caratteri e diffusione del genere epico


Epica deriva da e[po"; in particolare con il plurale e[ph i greci indicavano
Definizione tanto i racconti tradizionali quanto il verso che li esprimeva, ossia l’esa-
metro epico. Possiamo dunque definire la poesia epica in generale come
una poesia narrativa di contenuto tradizionale, e l’epica greca in partico-
lare come poesia narrativa di contenuto tradizionale espressa in esametri dattilici.

Questo genere letterario ha avuto larghissima diffusione nell’antichità


Antichità
e universalità presso tutti i popoli, indoeuropei e non: poemi epici sono noti nella cultu-
dell’epos ra ittita (la lotta fra il dio Kumarbi e il mostro Ullikummi), mesopotamica
(le gesta di Gilgamesh e il poema teologico-cosmologico Enuma elish),
egizia (una ricca letteratura epica fiorì per esempio in merito alle gesta di faraoni come
Ramses II), ebraica (carattere epico hanno molti libri o parti di libri della Bibbia). In età a
noi più vicina, l’epica si è affermata in India (in particolare con il Mahabharata), mentre
la tradizione greca è passata nel mondo latino (soprattutto nell’Eneide di Virgilio).Anche
il medioevo conosce una fiorente tradizione epica, sia nel mondo neolatino sia in quello
germanico: ne sono esempi poemi come la Chanson de Roland in Francia, il Cantar de
mio Cid in Spagna, il Beowulf in Inghilterra, il Nibelungenlied in Germania, gli Edda in
Islanda. Si tratta di opere trasmesse quasi sempre senza il nome dell’autore.

Il fatto che tutti questi poemi, proprio come l’Iliade e l’Odissea, abbiano
Un genere come protagonisti dèi ed eroi ha contribuito a diffondere l’idea che “epi-
poliedrico
co” ed “eroico” siano sostanzialmente sinonimi. Così invece non è, tanto
che già nel mondo greco arcaico possiamo distinguere fra un’epica pro-
priamente “eroica” (è il caso di Iliade e Odissea), un’epica “cosmologica” (ad es. la Teo-
gonia di Esiodo), un’epica “didascalica” (è il caso delle Opere e giorni, sempre di Esio-
do, che in età ellenistica avrà continuatori in Arato di Soli e Nicandro di Colofone), un’e-
pica “filosofica” (ad es. il poema Sulla natura di Parmenide di Elea e le Purificazioni di
Empedocle di Agrigento).

Gli argomenti
Per quanto concerne l’epica greca di età arcaica, benché le sole opere su-
I “cicli” perstiti siano di fatto l’Iliade e l’Odissea di Omero, la Teogonia e le Ope-
arcaici
re e giorni di Esiodo, le fonti antiche ci hanno conservato notizie relative
a un patrimonio tradizionale assai più vasto, che tendeva ad aggregarsi in
saghe ben definite (chiamate anche “cicli”) a cui vari poeti, di alcuni dei quali ci è stato
tramandato almeno il nome, hanno dato nel tempo il proprio personale contributo.
Possiamo così distinguere:

1. poemi sugli dèi: Titanomachia attribuito a Eumelo di Corinto o ad Arc-


tino di Mileto (VIII / VII sec. a.C.)
Gigantomachia

18 L’EPICA
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2. poemi su Tebe: attribuito a Cinetone di Sparta o a Le-

I generi letterari
Edipodia
sche di Mitilene (VII / VI sec. a.C.)
Tebaide attribuito a Omero o ad Antimaco di
Teo (VI sec. ? a.C.)
Epigoni attribuito ad Antimaco di Teo (VI sec. ?
a.C.)
Spedizione
di Anfiarao attribuito a Omero
3. poemi su Argo: Foronide
Danaide
4. poemi su Eracle: Eraclea attribuito a Pisandro di Rodi (VII / VI
sec. a.C.)
Presa di Ecalia attribuito a Creofilo di Samo (VIII / VII
sec. a.C.)

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5. poemi su Teseo: Teseide (quasi certamente non anteriore all’età
di Pisistrato)
6. poemi sull’impresa
degli Argonauti: Canti di Corinto attribuito a Eumelo di Corinto (VIII /
VII sec. a.C.)
Canti di Naupatto attribuito a Carcino di Naupatto (VI
sec. ? a.C.)
7. poemi sulla guerra
di Troia: cfr. cap. 3 Il ciclo troiano

L’esecuzione epica
Le testimonianze antiche ci consentono di distinguere tra due principali
Aedi e forme di esecuzione dell’epos, che per semplificare possiamo chiamare
rapsodi
aedica e rapsodica. La prima, esemplificata dalla performance di Demò-
doco nell’Odissea (VIII 62-78), consiste in un canto a solo con accom-
pagnamento di fovrmigx («cetra»). La seconda, esemplificata nell’operetta anonima giunta-
ci sotto il titolo Omero ed Esiodo, la loro stirpe, la loro gara, consiste invece in un re-
citativo senza accompagnamento ed è caratterizzata dal fatto che il rapsodo doveva “in-
tessere” la sua esecuzione assieme a quella di altri sfidanti nell’ambito di una competi-
zione (cfr. più avanti la scheda L’esecuzione epica). Da altre fonti, come i frammenti di
Senofane o il dialogo platonico Ione, apprendiamo che si diffuse (forse già nel VI secolo
a.C.) l’uso che nelle competizioni il rapsodo accompagnasse i brani epici con un breve
commento esplicativo, trasformandosi così in una sorta di “filologo” ante-litteram.

Il rapporto con il pubblico


Il fatto che la tradizione epica si sia sviluppata in una fase della civiltà gre-
L’intervento
di tutte ca caratterizzata dall’oralità rende questo genere letterario particolar-
le classi mente sensibile alle interazioni poeta-uditorio. Eseguendo in pubblico le
sue performances, il poeta epico era sottoposto a un forte controllo so-
ciale, in quanto in lui la mentalità comune vedeva innanzitutto il custode di una tradi-

L’EPICA 19
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zione tramandata di generazione in generazione e destinata a rimanere, nella sostanza,


I generi letterari

inalterata. L’epos dovette tuttavia andare incontro a una profonda evoluzione allorché,
diffondendosi la prassi agonale, il pubblico del cantore, in origine limitato alle classi no-
biliari, andò ampliandosi coinvolgendo settori più ampi della società, chiamati così a
confrontarsi con i tradizionali paradigmi etici della tradizione eroica.

Funzioni dell’epos
Luigi Enrico Rossi ha distinto, nell’ambito dei rapporti fra tradizione epica e pubblico,
quattro “funzioni” fondamentali dell’epos:
1. referenziale: in quanto genere narrativo, l’epica si relaziona inevitabilmente con una
realtà “esterna”, che sarà ora il mondo degli dèi, ora il mondo degli eroi;
2. conativa, dal verbo latino conor, «tentare di (persuadere)»: è particolarmente forte
nell’epica, che per statuto ha il compito di offrire modelli di comportamento, e dun-
que deve assumersi un compito educativo imprescindibile;
3. metalinguistica: nella misura in cui il poeta pone a oggetto del proprio canto se stes-
so e il proprio “fare poesia”, come nel caso di Demòdoco, il cantore dell’Odissea, ve-
ro alter ego di Omero;
4. poetica: in quanto l’epica utilizza uno specifico codice formale contraddistinto da
una lingua altamente formalizzata e da una misura metrica definita.

Sviluppo della tradizione epica


Per un singolare destino, di tutta la vasta produzione epica greca sono
Esiguità della
produzione giunte fino a noi pochissime opere, per di più rappresentanti di epoche
superstite fra loro lontanissime e profondamente diverse. Dopo le opere di Omero
e di Esiodo, specchio dell’età arcaica, dobbiamo attendere secoli prima
di incontrare le Argonautiche di Apollonio Rodio (III sec. a.C.), legate indissolubilmen-
te al gusto ellenistico, che tende a problematizzare la figura dell’eroe tradizionale, ad
accordare un ruolo nuovo ai personaggi femminili, e ad approfondire gli aspetti psico-
logici. Infine, ultimo grande rappresentante dell’epica greca sono le Dionisiache di
Nonno di Panopoli (V sec. d.C.), testimonianza complessa di un mondo che dal punto
di vista sociale, estetico e religioso era ormai lontanissimo dallo spirito della Grecia ar-
caica e classica.

L’epica didascalica ha un suo sviluppo indipendente a partire dall’età el-


Epica
didascalica lenistica, dai poemetti di Arato (Fenomeni, sulle costellazioni) e Nican-
e storica dro (sugli animali velenosi e i rimedi contro di essi) fino ai poemi zoolo-
gici dei due Oppiani nel II-III secolo d.C. L’epica di argomento storico (e
non più mitico) iniziò propriamente col perduto poema di Cherilo di Samo (V sec.
a.C.) sulla spedizione di Serse contro la Grecia, e fu praticata da alcuni autori ellenisti-
ci di cui restano solo pochi frammenti.

L’esametro epico
L’esametro epico può essere definito come un esametro dattilico catalettico, la cui strut-
tura fondamentale è la seguente:

– —, – —, – —, – —, – —, – ×
˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘
20 L’EPICA
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Vale per l’esametro epico il principio caratteristico della metrica ionica, per cui ritmi-

I generi letterari
camente due sillabe brevi vengono considerate equivalenti a una sillaba lunga; non è il
caso di approfondire in questa sede se sia più corretto parlare di alternanza fra dattilo
(– ) e spondeo (– –) oppure fra dattilo trisillabico e dattilo bisillabico; sta di fatto
˘˘
che la sostituzione tende ad essere evitata nel quinto metro (se bisillabico, l’esametro è
detto spondaico o spondiaco).

Le principali cesure, ovvero le posizioni metriche in cui tendenzialmente cade la fine di


parola procurando pausa sintattica o espressiva all’interno di un singolo metro, sono:

1. la semiquinaria o pentemimera, detta “maschile” se cade dopo il terzo tempo forte


(a),“femminile” se cade dopo il “terzo trocheo” (b):

– —, – —, – ⏐a ⏐b , – —, – —, – ×
˘˘ ˘˘ ˘ ˘ ˘˘ ˘˘
2. la semiternaria, dopo il secondo tempo forte (a), e la semisettenaria, dopo il quar-
to tempo forte (b), sovente accoppiate nel medesimo verso:

– —, – ⏐ a —, – —, – ⏐ b —, – —, – ×
˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘
Infine la più diffusa dieresi, ovvero la posizione metrica in cui tendenzialmente cade la
fine di parola nell’intervallo fra due metri, è la cosiddetta dieresi bucolica, fra quarto
e quinto metro:
– —, – —, – —, – —, ⏐ – —, – ×
˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘

Per fare il punto


1. Che cosa intendevano gli antichi con il termi- la Grecia arcaica?
ne e[po~? 6. In quali contesti erano solitamente eseguiti
2. Definisci sinteticamente in generale la “poe- brani epici? Con quali modalità esecutive?
sia epica” e, in senso più ristretto, la “poesia 7. A che tipo di pubblico si rivolgeva la poesia
epica greca”. epica? Che tipo di rapporto intratteneva con
3. L’epica è un genere letterario di tradizione l’uditorio?
esclusivamente greca? Ne conosciamo svi- 8. Quali sono le principali funzioni dell’epica, se-
luppi in età post-classica? condo lo schema di L.E. Rossi?
4. Indica i principali sotto-generi dell’epica. 9. Qual è lo schema e quali i caratteri dell’esa-
5. Quali sono i principali “cicli” epici diffusi nel- metro epico?

Per approfondire
Ch.R. Beye, Letteratura e pubblico nella Grecia antica [1975], Bari 1979
C.M. Bowra, La poesia eroica [1952], Firenze 1979
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Bari 1984
E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone [1963], Bari 1973
E.A. Havelock, J.P. Hershbell (a cura di), Arte e comunicazione nel mondo antico, Bari 1981
O. Longo, Tecniche della comunicazione nella Grecia arcaica, Napoli 1981
W.J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola [1982], Bologna 1986

L’EPICA 21
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1 Omero
LA VITA

In merito alla storicità di Omero (”Omhro") gli antichi non


nutrirono dubbi, ma nessuna notizia sicura ci hanno tra-
mandato su di lui1. Dalla lettura di alcune biografie com-
poste in età relativamente antica ricaviamo la conferma
che nulla di certo si conosceva né sulla sua patria2, né sul-
l’epoca in cui visse3, né sulla genesi dei poemi (gli antichi

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non dubitarono mai che Omero avesse composto i poemi
per iscritto). Tuttavia alcune costanti nella ricca e spesso
contraddittoria aneddotica debbono farci riflettere: per
esempio l’origine ionica del poeta, la nascita illegittima, la
sua cecità, la pratica della composizione itinerante.Alcuni
di questi elementi, come la nascita illegittima e la cecità,
hanno indubbiamente sapore romanzesco. Altri invece,
come l’origine ionica e la professione di aedo itinerante,
che si procurava da vivere recitando negli agoni, ai ban- Ritratto di Omero.
chetti dei signori, nelle piazze, appaiono tutt’altro che in-
verosimili alla luce delle notizie in nostro possesso sulla cultura e la civiltà greca arcaica.
La critica moderna ha spesso messo in dubbio la stessa realtà storica di Omero, conside-
randolo un paradigma, un simbolo, più che un individuo realmente esistito.

LE OPERE

A Omero nell’antichità veniva attribuito, pur tra molte perplessità, un corpus considere-
vole di opere, ovvero, oltre all’Iliade e all’Odissea, altri poemi epici come la Tebaide, gli
Epigoni, i Canti di Cipro; gli Inni omerici (una raccolta di 33 inni in onore di diverse di-
vinità); il poemetto eroicomico Batracomiomachia (Battaglia delle rane e dei topi); il
poemetto satirico Margite; infine epigrammi e poesie d’occasione (nella biografia attri-
buita a Erodoto vengono citate con il titolo collettivo di Paivgnia, Scherzi, Divertimenti).
In realtà, già presso gli antichi fu presto messa in dubbio l’attribuzione di tutte queste
opere a Omero, alla cui paternità si ridussero alla fine solo i due poemi maggiori giunti
fino a noi, Iliade e Odissea.

1. In mancanza di dati certi la tradizione antica ha sviluppato sul personaggio di Omero una ricca aneddo-
tica che ci è stata tramandata dalle biografie, attribuite falsamente a Erodoto e a Plutarco, nonché dalle no-
tizie raccolte da retori, filologi, storici e semplici compilatori di epoche diverse come Dione di Prusa (I-II
sec. d.C.), Pausania (II sec. d.C.), Esichio di Mileto (VI sec. d.C.), Giovanni Tzetze (XII sec. d.C.), Eustazio di
Tessalonica (XII sec. d.C.). 2. Si contendevano l’onore di aver dato i natali al poeta almeno sette città:
Smirne, Chio, Colofone, Pilo,Argo e perfino Itaca e Atene; non mancano neppure tradizioni che facevano
di Omero uno scriba egizio! 3. Erodoto calcolava che Omero l’avesse preceduto di quattrocento anni, il
che lo collocherebbe nel IX secolo a.C.; altri ipotizzavano che fosse nato attorno all’anno 1000 a.C. o addi-
rittura che fosse contemporaneo alla guerra di Troia, caduta, secondo i calcoli di Eratostene, nel 1184 a.C.

22 L’EPICA
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La questione omerica
In età alessandrina, l’età che vide nascere e fiorire gli studi critici sui poe-
I dissensi
degli mi omerici, la loro attribuzione a un unico poeta fu messa in dubbio da
alessandrini pochi critici, chiamati pertanto separatisti (cwrivzonte"), contro l’opinione
predominante degli unitari come Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Sa-
motracia (III-II sec. a.C.). Gli unitari, per giustificare le cospicue differenze fra i due poe-
mi, che pure furono avvertite e segnalate, avanzarono spiegazioni diverse e talvolta, alme-
no in apparenza, fantasiose: come quella riportata nel trattato Sul sublime di autore ano-
nimo (pseudo-Longino, II sec. d.C.?), che attribuisce l’Iliade alla giovinezza del poeta e
l’Odissea alla vecchiaia.

Solo in età moderna le ricerche sempre più approfondite sulla composi-


L’indagine
omerica in zione, la lingua, lo stile, i temi mitici e storici, la religione, la cultura mate-
età moderna riale dei due poemi misero man mano in luce tutta una serie di problemi
che è uso comprendere sotto il nome di questione omerica4, questione
che col tempo si è smisuratamente arricchita di ricerche, indagini, ipotesi anche assai di-
vergenti sulla genesi e la trasmissione dei poemi.

Nel secolo scorso, dopo i Prolegomena ad Homerum di F.A.Wolff 5 pubbli-


Gli analitici cati nel 1791, prese campo la tendenza analitica interessata ad individuare,
nella stratificazione diacronica riconosciuta nei due poemi, diversi filoni
narrativi di varia epoca e autore. Omero, non più riconosciuto come autore
unico di entrambi i poemi e neppure della sola Iliade nell’integrità del testo a noi perve-
nuto, fu accettato come uno, presumibilmente il più famoso, degli aedi autori dei canti
confluiti poi nei poemi, allargati per espansione da un nucleo primitivo, l’ira di Achille per
l’Iliade, il ritorno di Odisseo per l’Odissea, secondo l’ipotesi di G. Hermann (1840).
Altra teoria importante sulla genesi dell’Iliade fu quella esposta nel 1837 e nel 1848 da
K. Lachmann che, attraverso l’analisi testuale del poema, individuò sedici o diciotto canti
separati, ordinati secondo un piano strutturale solo nel tardo VI secolo a.C. con la cosid-
detta redazione pisistratea menzionata da Cicerone e da altre fonti antiche 6.
Per quanto riguarda l’Odissea, il problema della genesi del testo a noi pervenuto fu af-
frontato in particolare da A. Kirchhoff (1826-1908), che, attraverso l’analisi delle incon-
gruenze nel piano compositivo del testo tramandato, giunse a considerarlo opera di un
maldestro compilatore che nel VII secolo avrebbe raccolto con poca abilità poemetti
epici di epoca diversa.
Tra questi ultimi il filologo tedesco individuò:
– un più antico poema del novsto" (ritorno) di Odisseo, avente per oggetto il soggiorno
dell’eroe presso Calipso, la ripresa del viaggio, l’arrivo nell’isola dei Feaci con l’incon-

4. Di questo complesso capitolo di storia della cultura, e non solo classica, europea, dà un chiaro reso-
conto Giuseppe Broccia nel volume La questione omerica, Firenze 1979. Per quanto concerne l’intera
problematica dell’epos omerico, non limitata alla sola “questione”, riteniamo utile segnalare la recente
voluminosa sistemazione offerta da A New Companion to Homer, edited by Jan Morris and Barry Po-
well, Leiden-New York-Köln 1997. 5. Preceduti da uno scritto (che aprì la strada alla futura ricerca) del-
l’abate F. Hédelin d’Aubignac, apparso postumo nel 1715, e dalle speculazioni del filosofo napoletano
G.B.Vico (il terzo libro della Scienza nuova seconda del 1730 ha come titolo: «Discoverta del vero Ome-
ro»). 6. Secondo Platone, Ipparco 228b, Ipparco, figlio di Pisistrato, avrebbe introdotto in Atene i canti
di Omero e imposto ai rapsodi di recitarli alle Panatenee, cominciando l’uno dove l’altro aveva finito.
Diogene Laerzio I 57 e il lessico di Suida, s.v. uJpobolhv, attribuiscono l’iniziativa a Solone. Sulla redazione
voluta da Pisistrato, cfr. Anthologia Palatina XI 442; Cicerone, De oratore III 34.137.

Omero 23
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tro con Nausicaa e il racconto delle avventure precedenti fatto direttamente dal re di
Itaca alla corte di Alcinoo (Cìconi, Lotofagi, Ciclope);
– un novsto" meno antico relativo alle peripezie narrate dal poeta (Eolo, i Lestrigoni, Cir-
ce, le Sirene, Scilla e Cariddi, l’isola di Helios);
– il poema della tivs i" (vendetta) di Odisseo dopo il ritorno a Itaca, a danno dei preten-
denti, culminata nella mnhsthrofoniva (uccisione dei pretendenti);
– la Telemachia, che, nella sua forma originaria e autonoma, avrebbe avuto inizio con
l’assemblea di Itaca e termine con la partenza di Telemaco da Sparta e che successi-
vamente sarebbe stata collegata dal compilatore al novsto" di Odisseo mediante la
composizione di canti di raccordo (il canto I e la parte iniziale del canto V con il se-
condo concilio degli dèi).
A cominciare dal Wolff fino a tutto il secolo scorso ed oltre, la tendenza analitica domina
il campo degli studi omerici, attraverso i molteplici tentativi tesi a individuare le parti
giudicate più antiche e le aggiunte operate dai successivi rielaboratori o “redattori”, so-
prattutto in relazione all’Iliade.

Tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro secolo gli studi di
Il contributo Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff (1841-1931) segnarono una svolta in
di Wilamowitz
queste ricerche, perché rappresentarono il tentativo organico di ricostrui-
re la storia dell’epos, dalla fase preomerica e da quella di Omero a quella
successiva poi confluita nel testo iliadico tramandato. Il risultato fu di spiegare da una
parte la molteplicità che indubbiamente esiste nel poema, e dall’altra l’unità, di cui ogni
lettore ha il senso preciso e che è avvertita come il frutto di una eccezionale maestria
compositiva. Nel quadro tracciato dal filologo tedesco, Omero interviene nel momento
intermedio della storia del testo, creando un grosso poema epico intorno al motivo del-
l’ira, della vendetta e della morte di Achille7. Questo poema sarebbe nato dalla rielabora-
zione di canti isolati eolici e delle più lunghe rapsodie ioniche, oltre che da composizioni
di Omero stesso, come il canto proemiale, le scene divine dei canti XIII, XIV, XV, i canti
XXI e XXII e il canto XXIII nella parte relativa ai funerali di Patroclo.
Dalla ricostruzione della storia dell’epos iliadico fatta dal Wilamowitz in due studi, rispet-
tivamente del 1884 e del 1916, emerge un cantore di straordinario vigore immaginativo
e di sommo talento compositivo, collocato nel centro della storia del testo tramandato.
Lo stesso filologo, che, dopo le ricerche del 1884, esaminò nuovamente il testo dell’O-
dissea in uno studio del 1927, sulle orme del Kirchhoff, giudicò invece il redattore del
testo tramandato del poema di Ulisse un compilatore, non molto dotato, di tre poemi
minori di età precedenti.

Gli studi del Wilamowitz si distinsero per il tentativo di comporre la mol-


Gli unitari teplicità e l’unità che emergono dalla lettura dei poemi omerici: ad essi
pertanto si riferì la tendenza, chiamata neo-unitaria, che, pur restando nel-
la sostanza analitica, approdava a soluzioni più concilianti almeno sul pia-
no della composizione dei testi.
Ad essa continuò a contrapporsi la tendenza propriamente unitaria, adottata da studiosi
che continuarono a difendere le ragioni dell’unità, in senso proprio, dei poemi, opera, en-

7. Nella ricostruzione del Wilamowitz, il poema si concludeva con la morte dell’eroe tessalico, che riela-
boratori di età successiva avrebbero sostituito con l’incontro di Priamo e di Achille e la restituzione del
cadavere di Ettore, in consonanza con lo spirito di tempi più sensibili a ragioni di umanità e lontani ormai
dall’antico duro codice eroico.

24 L’EPICA
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trambi, o, più ragionevolmente, ciascuno di es-


si, di un unico cantore, non redattore, compila-
tore o raffazzonatore, ma vero creatore-inven-
tore, sia pure come erede di una tradizione nar-
rativa.
Le ragioni dei critici unitari (C. Rothe, E. Dre-
rup e altri) furono rinvigorite da W. Schade-
waldt che, con ricerche puntuali sul testo, esa-
minò il piano strutturale dell’Iliade, giudicata
un «organismo vivente», contrassegnato dalla
«tecnica dell’anticipazione» di temi e motivi, Jean-Auguste-Dominique Ingres, Apoteosi di Omero.
collegati da preannunci, profezie, parallelismi,
gradazioni, allusioni, che costituiscono una fitta rete di rapporti interni, tale da rimanda-
re ad un’unica mente creatrice.

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Al di là della plurisecolare diatriba tra unitari e analisti, gli studi omerici del-
Le teorie l’ultimo mezzo secolo, soprattutto di area anglosassone, sono stati largamen-
oraliste
te influenzati dalle teorie oraliste che hanno avuto il loro iniziatore nell’a-
mericano Milman Parry 8. Nelle sue ricerche il Parry, seguendo intuizioni di
studiosi precedenti, affrontò sistematicamente lo studio delle formule, di cui è intessuta la
dizione omerica, dimostrando così il carattere formulare e tradizionale dello stile epico.
Gli aedi, come gli omerici Femio e Demodoco, recitavano con accompagnamento musi-
cale sulla base di un repertorio mitico-eroico tradizionale, tramandato senza soluzione di
continuità dall’età micenea o, secondo altri studiosi, post-micenea, in una lingua d’arte
composita, mai usata da nessun parlante e in uno stile legato all’impiego di formule.
Queste, costituite da gruppi di parole, associate spesso anche fuori di un riscontro se-
mantico preciso, sono impiegate regolarmente nelle stesse sequenze metriche per defi-
nire persone e oggetti, situazioni ed eventi ricorrenti. La dizione epica, in cui ha impor-
tanza non solo la scelta del lessico, ma anche il suo uso e la sua collocazione in relazione
alla struttura metrica del verso eroico, risponde anche a criteri di “economicità”, che re-
golano composizione e performance nell’oral poetry, studiata da M. Parry anche attra-
verso il confronto tra lo stile dell’epica omerica e le sopravvivenze orali della poesia
eroica serbo-croata.
Il sistema linguistico formulare è spia pertanto di una tecnica compositiva che per lun-
ghi secoli fu orale, dovendo gli aedi, dopo un lungo tirocinio di apprendimento, ogni vol-
ta improvvisare sulla base di un repertorio tematico tradizionale per un uditorio di corte
o per più numerosi ascoltatori convenuti in occasione di festività.

L’alfabetizzazione di Omero
Il problema omerico non può dirsi risolto neppure con la scoperta della
Un problema
ancora formularità e convenzionalità dello stile epico e della presenza incisiva
irrisolto della tradizione aedica orale anche nei poemi omerici. Gli studiosi conti-
nuano infatti a restare in sensibile disaccordo nel valutare il ruolo da attri-
buire, rispettivamente, all’improvvisazione sulla base della tradizione e alla composizione

8. Gli scritti del Parry, a cominciare dallo studio parigino sull’epiteto tradizionale in Omero (L’épithète
traditionelle dans Homère, Paris 1928), sono stati raccolti nel 1971, con saggio introduttivo del figlio
Adam (The Making of Homeric Verse: the Collected Papers of Milman Parry, Oxford 1971).

Omero 25
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meditata entro un articolato piano complessivo, realizzata anche con l’aiuto della scrittu-
ra, attestata in Grecia già dalla fine del IX secolo.

Strettamente associato a tale contrasto di valutazione è il problema legato


Ipotesi
sulla struttura all’alfabetizzazione di Omero. Secondo alcuni omeristi fu lo stesso poeta
scritta dell’Iliade a comporre per primo il nuovo epos valendosi dell’arte della
scrittura, ritenuta indispensabile per un piano narrativo fondato sulla con-
centrazione di una vasta materia eroica in limiti cronologici assai brevi e per le necessità di
un impegno prolungato al fine di realizzare un testo assai elaborato. All’ipotesi dell’auto-
grafo di Omero si affianca l’ipotesi di un cantore-compositore illetterato che avrebbe det-
tato per intero il testo del poema a uno scriba verso la fine del secolo VIII,in un’epoca cioè
vicina all’introduzione dell’alfabeto fenicio in Grecia. Altri pensano a una trascrizione di
parti più o meno lunghe dell’epos in funzione mnemonica nel corso del secolo VII,mentre
gli eredi più ortodossi del Parry non credono a una fase scritta almeno fino al secolo VI.

La trasmissione del testo omerico continuò a essere orale anche dopo le


La redazione prime registrazioni scritte e fino alla prima stabilizzazione del testo, avve-
ateniese
nuta nel tardo VI secolo, per opera di una commissione istituita dal tiranno
Pisistrato. La redazione ateniese si impose su ogni altra versione orale o
scritta e fu alla base dell’edizione alessandrina dei poemi omerici.

Stratificazioni epiche
Secondo la cronologia stabilita da Eratostene di Cirene (III sec. a.C.), la
Fondamenti
storici guerra di Troia sarebbe stata combattuta fra il 1194 e il 1184 a.C. Oggi l’ar-
dell’Iliade cheologia ci consente di dare un fondamento storico alla vicenda e d’ipo-
tizzare, per la guerra che ha ispirato i poemi omerici, una data precedente
di circa mezzo secolo quella trasmessa dagli antichi. Gli scavi iniziati da Schliemann, a
partire dal 1870, sulla collina di Hissarlik, nell’odierna Turchia nord-occidentale, hanno
permesso di individuare un sito su cui, in epoche diverse, si sono succedute diverse fasi
urbane; il livello VIIa potrebbe identificare la Troia omerica, distrutta da un incendio nella
seconda metà del XIII sec. a.C.Troia VIIa era stata ricostruita sul sito di una città più gran-
de e più ricca (Troia VI), devastata da un terremoto verso il 1270. In ogni caso la docu-
mentazione dello Schliemann e di altri successivi archeologi rimanda all’ultima fase della
civiltà micenea. Circa un secolo dopo la “discesa dei Dori” avrebbe spazzato via la civiltà
di Agamennone e di Menelao, di Diomede e di Nestore, di Odisseo e di Achille.Al crollo
degli Achei seguì quella fase oscura della storia greca spesso denominata “Medioevo elle-
nico”, in cui vennero gettate le basi per la successiva età arcaica e classica.

I poemi omerici, nati da leggende di età micenea e trasmessi oralmente


Stratificazione nei secoli di un’altra epoca, riflettono una stratificazione di civiltà; accanto
di civiltà
a elementi tipicamente micenei (quali l’uso delle armi di bronzo e del car-
ro da combattimento, che scompaiono nelle età successive) cogliamo
aspetti sociali e materiali propri di epoche più tarde, che sembrano rispecchiare piutto-
sto i caratteri del “Medioevo ellenico”. Questa stratificazione storica si spiega natural-
mente con la lunga fase di trasmissione orale dell’epos, nel corso della quale all’interno
della tradizione si sono venuti sedimentando tratti di contesti diversi, perché gli stessi ae-
di, nel descrivere e nell’immaginare, erano condizionati dalla realtà storica di cui erano
parte, dal mondo della loro esperienza quotidiana.

26 L’EPICA
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Una poesia paradigmatica


Iliade e Odissea, quale che sia la loro genesi storica, assunsero ben presto
Egemonia
culturale dei una connotazione paradigmatica di tale eccellenza da oscurare ogni altra
poemi omerici espressione epica sia orale sia scritta di età precedente o seguente, di cui,
a parte Esiodo, quasi nulla è stato tramandato. Questa assoluta supremazia
fu assicurata, da una parte, da una potenza immaginativa e da un vigore poetico subito
avvertiti come straordinari e tali da fare di Omero l’iniziatore della poesia greca; dall’altra,
dal fatto che i due poemi, proprio per questa incomparabile eccellenza, furono adottati
per secoli interi come forma ed esempio di ogni norma e aspetto del vivere, come “enci-
clopedia tribale” di tutta la società greca, al di là di tutte le distinzioni, nella metropoli e
nel vasto mondo coloniale.
Omero fu dunque realmente, per secoli, la “scuola dei Greci”, e lo fu in duplice senso. In-
nanzitutto perché Omero veniva studiato nelle scuole, e generazioni di studenti l’ebbero
come inseparabile “compagno di viaggio” fin da quando sull’Iliade e sull’Odissea il mae-
stro insegnò loro a leggere e a scrivere. Quindi perché Omero, con le sue figure di eroi,
guerrieri, navigatori, persino donne e poeti, fornì a generazioni di Greci i paradigmi fon-
damentali di comportamento: ciò in una società in cui, prima della nascita della critica
filosofica, della dialettica, del metodo razionale di indagine del mondo (novità introdotte
nell’Atene del V secolo dai sofisti), gli atteggiamenti e i comportamenti individuali dove-
vano apparire fortemente standardizzati, ritualizzati, e il giudizio su di essi poteva basarsi
unicamente sul consenso – o il dissenso – espresso dalla comunità nei confronti di chi
tali modelli imitava meglio o peggio degli altri.

Di qui i caratteri fondamentali dei personaggi dell’epos omerico, privi di


Modelli un’autentica dimensione interiore – almeno così come noi siamo abituati
per l’agire
a concepirla – in quanto pensiero e sentimento in essi si risolvono intera-
mente in azione. Azione proposta a modello per chiunque, generazione
dopo generazione, voglia correttamente svolgere le funzioni sociali dell’aristocrazia (o
più in generale della classe dirigente, che costituisce indubbiamente il pubblico privile-
giato di Omero), come possono essere, per esempio, convocare e gestire un’assemblea,
celebrare un rito sacrificale, armare una nave, tenere un discorso in pubblico, armarsi per
la guerra, combattere.

La trama dell’Iliade
L’Iliade è il poema dell’ira di Achille (mh'ni" A
∆ cilh'o"); gli editori alessandrini, dando all’o-
pera la sua forma definitiva, ne divisero i materiali in ventiquattro libri (convenzional-
mente numerati con le lettere maiuscole dell’alfabeto greco, per cui A = Iliade I, B =
Iliade II, G = Iliade III, e via dicendo), per un totale di 15.698 esametri. L’azione princi-
pale del poema occupa un “tempo reale” di circa 50 giorni.

LIBRO I. Agamennone rifiuta il riscatto offerto Troiani costringendo gli Achei a implorare il ri-
da Crise, sacerdote di Apollo, per liberare la fi- torno dell’eroe. – LIBRO II. Riuniti in assemblea,
glia; il dio punisce gli Achei scatenando una gli Achei decidono il da farsi; per mettere alla
pestilenza; Achille e Agamennone hanno un prova l’esercito, Agamennone finge di annun-
violento diverbio in seno all’assemblea degli ciare il ritorno in patria; Era e Atena interven-
Achei,in seguito al quale Achille,offeso,decide gono per fermare gli Achei in fuga, e Odisseo
di ritirarsi dal conflitto;Tetide, madre di Achil- punisce il vile Tersite; viene passato in rasse-
le, intercede presso Zeus perchè favorisca i gna l’intero esercito acheo («catalogo delle na-

Omero 27
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vi»); i Troiani rispondono schierandosi a loro parte achea; Ettore sfonda le porte del muro. –
volta per la battaglia. – LIBRO III. Inizia lo scon- LIBRO XIII. Idomeneo, incitato da Poseidone,
tro; affrontato da Menelao, Paride Alessandro compie prodigi di valore e l’assalto troiano vie-
fugge ed è rimproverato da Ettore; è imposta ne fermato; la lotta divampa confusa presso le
una tregua ai combattimenti per dare luogo a navi.– LIBRO XIV. Era inganna Zeus distogliendo-
un duello fra i due;Alessandro ha ancora una lo dal campo di battaglia;Poseidone interviene
volta la peggio,ma è salvato da Afrodite.– LIBRO rintuzzando l’attacco troiano; lo stesso Ettore
IV. Rotta la tregua,riprendono i combattimenti; viene ferito. – LIBRO XV. Zeus, scoperto l’ingan-
Menelao, ferito, è curato da Macaone; dopo no,intima a Poseidone di abbandonare la lotta;
una nuova rassegna dell’esercito acheo la bat- Apollo guarisce Ettore e guida il nuovo assalto
taglia riprende furiosa. – LIBRO V. Atena allonta- troiano; solo Aiace e Teucro reggono all’urto,
na Ares, alleato dei Troiani, e incita alla lotta mentre gli Achei arretrano. – LIBRO XVI. Ettore è
Diomede, che compie gesta memorabili, feren- sul punto di dare alle fiamme le navi achee; Pa-
do persino Afrodite e lo stesso Ares, ricompar- troclo scende in battaglia con le armi di Achil-
so sul campo di battaglia. – LIBRO VI. Si scontra- le per guidare il contrattacco acheo; i Troiani
no Glauco e Diomede che però si scoprono le- sono respinti fino alle mura,ma Apollo ed Etto-

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gati da antica ospitalità e invece di combattere re hanno la meglio su Patroclo e lo uccidono.–
si scambiano le armi. Frattanto Ettore rientra LIBRO XVII. Ettore spoglia il corpo di Patroclo e
momentaneamente in città dove incontra la indossa le armi di Achille; intorno al corpo di
madre Ecuba e la moglie Andromaca, con la Patroclo infuria una battaglia violenta;ad Achil-
quale ha un colloquio struggente. – LIBRO VII. le è annunziata la morte dell’amico. – LIBRO
Nuova tregua dei combattimenti; si sorteggia- XVIII. Achille, straziato dal dolore, è confortato
no due campioni per un nuovo duello e ad af- dalla madre Tetide;il suo grido spaventa i Troia-
frontarsi questa volta sono Ettore e Aiace,sepa- ni consentendo agli Achei di recuperare il cor-
rati dagli araldi al sopraggiungere della notte; po di Patroclo; mentre Achille piange la morte
dopo aver dato sepoltura ai caduti della gior- dell’amico, Tetide incarica Efesto di forgiare
nata,gli Achei decidono di innalzare un muro a nuove armi per il figlio, tra le quali uno splen-
difesa delle navi. – LIBRO VIII. Nell’assemblea de- dido scudo sul quale sono raffigurati i vari
gli dèi Zeus annuncia di voler sostenere mo- aspetti della vita umana. – LIBRO XIX. Achille in-
mentaneamente i Troiani per onorare Achille;a dossa le armi divine e si riconcilia con Aga-
nulla servono le proteste di Atena e di Era, al- mennone di fronte all’esercito schierato a bat-
leate degli Achei costretti a cedere sotto l’im- taglia. Per ispirazione divina, uno dei suoi ca-
peto dell’attacco troiano. – LIBRO IX. Durante la valli gli predice la morte imminente.– LIBRO XX.
notte i capi Achei, riuniti sotto la tenda di Aga- Achille fa strage di nemici mentre gli dèi, otte-
mennone, decidono di implorare il perdono e nuto il permesso di Zeus, scendono in campo
l’aiuto di Achille; un’ambasceria composta da per dare aiuto ai mortali. – LIBRO XXI. Achille è
Aiace, Odisseo e Fenice si reca presso l’eroe, fermato dal fiume Scamandro in piena e l’in-
senza riuscire a persuaderlo. – LIBRO X. Sia gli tervento di Apollo salva i Troiani in fuga.– LIBRO
Achei sia i Troiani tengono un’assemblea not- XXII. Achille insegue Ettore per tre volte intor-
turna, in cui si decide una sortita; ma il troiano no alle mura di Troia; abbandonato da Apollo e
Dolone è sorpreso e ucciso da Odisseo e Dio- ingannato da Atena, Ettore è ucciso da Achille
mede,che penetrano nel campo dei Troiani se- che ne sconcia il cadavere provocando il pian-
minando la strage. – LIBRO XI. Ripresa la batta- to disperato di Ecuba e di Andromaca. – LIBRO
glia, Agamennone compie prodigi di valore, XXIII. Achille celebra le esequie di Patroclo; in
ma i Troiani reagiscono contrattaccando: lo suo onore si svolgono dei giochi funebri con
stesso Agamennone è ferito, e dopo di lui Dio- gare di corsa, di equitazione, di lotta, di lancio
mede e Odisseo; lo stesso Aiace corre grave del peso e di tiro con l’arco.– LIBRO XXIV. Per in-
pericolo; inviato da Achille, Patroclo si reca tervento degli dèi Achille placa la sua collera
presso la tenda di Nestore per conoscere lo contro Ettore; il re di Troia Priamo, uscito not-
sviluppo degli avvenimenti.– LIBRO XII. I Troiani tetempo dalla città, si reca alla tenda di Achille
danno l’assalto al muro acheo eretto a prote- per ottenere il riscatto del corpo del figlio;
zione delle navi; gesta eroiche di Sarpedone e Achille accetta e i Troiani celebrano mesta-
Glauco da parte troiana, di Aiace e Teucro da mente le esequie di Ettore.

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Ecco in breve gli argomenti dei canti:


I. L’ira di Achille – II. Il catalogo delle navi – III e IV. Il duello per Elena e la prima batta-
glia – V. Diomede – VI. Ettore e Andromaca – VII. Il secondo duello: Ettore e Aiace – VIII.
La disfatta dei Greci – IX. L’ambasceria ad Achille – X. Dolone – XI e XII. La battaglia e
l’assalto al muro degli Achei – XIII. La battaglia presso le navi – XIV. L’inganno di Era –
XV. La controffensiva di Ettore – XVI. La morte di Patroclo – XVII. La lotta intorno al ca-
davere – XVIII. Le nuove armi di Achille – XIX. La fine dell’ira – XX.Achille torna in bat-
taglia – XXI. Achille e lo Scamandro – XXII. La morte di Ettore – XXIII. I giochi funebri
per Patroclo – XXIV. Il riscatto di Ettore.

Gli eroi e gli dèi


Le divinità omeriche hanno caratteri antropomorfici, forma e passioni
Tra effimero
e brama umane; spesso si mostrano agli eroi per consigliarli e per proteggerli, ma la
di gloria condizione divina prevede una beatitudine solo episodicamente turbata
da rivalità e contese e soprattutto è caratterizzata dall’immortalità.Al con-
trario gli eroi, che pure hanno, come Achille, il coraggio di apostrofare gli dèi (I 202-203)
e, come Diomede, quello di sfidarli sul campo di battaglia, sono esseri effimeri: il tempo
della vita concede loro brevi gioie e frequenti tormenti; avvertono però un potente im-
pulso verso la gloria, sono disposti ad affrontare anche il rischio di una morte prematura,
pur di compiere, combattendo, gesta che rendano immortale la loro fama. Un simile at-
teggiamento è enunciato con chiarezza da Sarpedone, l’eroe licio, figlio di Zeus, che ca-
drà per mano di Patroclo. Durante la sua impresa più ardita, l’assalto alle navi degli Achei,
egli esorta così l’amico Glauco: «O caro, se mai scampando a questa guerra / potessimo
restare per sempre immuni da vecchiezza e da morte, / io non mi batterei certo fra i pri-
mi / e neppure ti inciterei alla battaglia gloriosa. Ma ora, poiché le parche di morte sovra-
stano / innumerevoli, che un mortale non può sfuggire o evitare, / andiamo! O ad altri
daremo vanto, o qualcuno a noi» (XII 322-328).

L’aspirazione alla gloria comporta un atteggiamento di costante attenzio-


La civiltà
della ne per ciò che la gente pensa (dhvmou favti", «il giudizio del popolo»). L’eroe
vergogna deve far sì, con il proprio modo di agire, che la comunità lo ammiri e lo ap-
provi. Nessuna cosa è peggiore, per l’eroe omerico, dell’umiliazione, della
disapprovazione e del disprezzo. Il bottino di guerra è sentito come un riconoscimento
del valore, si fa apprezzare indipendentemente da ogni considerazione economica ed af-
fettiva. Per questo, nella contesa del primo libro dell’Iliade, Agamennone nutre rancore
all’idea di dover riconsegnare al padre Criseide, la sua schiava di guerra, mentre Achille,
costretto dalla ripicca di Agamennone a privarsi di Briseide, ritiene di aver subito un tor-
to inaccettabile e concepisce un’ira spietata, che condizionerà tutte le vicende della
guerra di Ilio. Il pensiero dell’onore, che vale molto più dell’esistenza mortale, è domi-
nante anche nel massimo eroe troiano. Di fronte alle lacrime di Andromaca, Ettore soffo-
ca il sentimento di pietà, perché l’eventuale disprezzo delle «teucre matrone», se, per at-
taccamento alla vita, egli decidesse di tenersi lontano dai pericoli della guerra, è in lui più
forte del pensiero di lasciar vedova la moglie ed orfano il figlio.Al piccolo Astianatte Etto-
re vuole lasciare in eredità solo l’esempio del proprio valore. Perfino nel momento della
massima angoscia, quando l’istinto di sopravvivenza sta per imporgli di rientrare entro le
mura di Troia e di sottrarsi all’incalzante inseguimento di Achille, l’eroe troiano si sente
inchiodare al campo di battaglia dal pensiero del commento sfavorevole dei concittadini,
che mai gli perdonerebbero di essere divenuto vile, dopo aver rovinato la città per essere

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stato troppo audace (XXII 99-110). Sono questi tipici esempi di quella che gli antropolo-
gi definiscono “civiltà della vergogna”: in essa ogni azione si muove fra l’aspirazione ad
un pubblico riconoscimento (timhv, «onore») e il timore di una pubblica censura, che feri-
rebbe in modo irrimediabile il «sentimento dell’onore» (aijdwv"). Se le moderne società oc-
cidentali possono essere definite “civiltà della colpa”, perché in esse le leggi dello Stato
puniscono determinate trasgressioni, mentre ciò che non è oggetto di sanzione giuridica
è lasciato alla scelta individuale, nel mondo degli eroi iliadici la comunità esercita un con-
trollo costante: la coscienza che nessuna azione incoerente con i valori riconosciuti dal
gruppo potrebbe sfuggire ad una severa condanna, domina i pensieri dell’eroe e ne de-
termina tutto il comportamento.

Se un individuo ritiene di essere stato ingiustamente umiliato, è suo dove-


Dovere
di vendetta re pensare alla vendetta o ad un risarcimento adeguato.Achille è ben de-
e risarcimento terminato a non recedere dalla propria ira, anche quando la notizia delle
stragi subite dagli Achei dopo il suo ritiro gli suggerirebbe di accondiscen-
dere alle proposte di conciliazione della legazione inviata da Agamennone (libro IX). E
quando accetta di tornare a combattere, dopo che Patroclo è stato ucciso, è comunque
necessaria una pubblica cerimonia di conciliazione (libro XIX):Agamennone ammette di
essere stato accecato dagli dèi, si dichiara pronto ad un atto riparatore. Poco dopo, assie-
me a Briseide, sette prigioniere di guerra sono condotte nella tenda di Achille.

La trama dell’Odissea
È il poema delle peregrinazioni di Odisseo durante il decennale viaggio di ritorno (nov-
sto") a Itaca dopo la caduta di Troia; anche in questo caso gli editori alessandrini, dando
all’opera la sua forma definitiva, la suddivisero in ventiquattro canti (convenzionalmente
numerati con le lettere minuscole dell’alfabeto greco, per cui a = Odissea I, b = Odissea
II, g = Odissea 3, e via dicendo), per un totale di 12.310 esametri.

LIBRO I. Nell’asseblea degli dèi Atena intercede lui una tempesta che lo fa naufragare sulla
per Odisseo, da tempo ospite forzato della terra dei Feaci. – LIBRO VI. Nausicaa, figlia del
dea Calipso sull’isola di Ogigia; Zeus dà il suo re dei Feaci Alcinoo, raccoglie il naufrago of-
assenso alla partenza dell’eroe, nonostante frendogli cibo e vesti, quindi lo conduce in
l’opposizione di Poseidone; Atena, sotto sem- città. – LIBRO VII. Odisseo, che non rivela il pro-
bianze umane, scende a Itaca ed esorta Tele- prio nome, è accolto nel palazzo di Alcinoo e
maco a mettersi in viaggio per raccogliere partecipa al banchetto con i dignitari feaci. –
notizie del padre. – LIBRO II. Telemaco annun- LIBRO VIII. In onore dell’ospite si eseguono
cia il suo desiderio di partire, e ha un violen- canti e danze e si celebrano gare atletiche; il
to scontro con i pretendenti della madre Pe- cantore Demodoco narra la caduta di Troia
nelope; con l’aiuto di Atena, il viaggio viene suscitando il pianto di Odisseo. – LIBRO IX.
preparato in segreto. – LIBRO III. Telemaco Odisseo rivela la propria identità e comincia
giunge a Pilo alla corte di Nestore che gli nar- il racconto delle proprie avventure presso i
ra la morte di Agamennone. – LIBRO IV. Telema- Cìconi, i mangiatori di loto, e nell’isola del ci-
co giunge a Sparta dove conosce Elena e Me- clope Polifemo. – LIBRO X. Odisseo narra l’ap-
nelao, che gli narra le sue peripezie e gli rife- prodo all’isola di Eolo e il tradimento dei
risce quel che sa circa la sorte di Odisseo; in- compagni che aprono l’otre dei venti quando
tanto, a Itaca, i pretendenti tramano contro la ormai la nave è in vista di Itaca, provocando
vita di Telemaco. – LIBRO V. L’assemblea degli una tempesta; i Lestrigoni fanno strage dei
dèi invia Ermes presso Calipso ingiungendole compagni di Odisseo, che con i superstiti ap-
di lasciar partire Odisseo; l’eroe salpa su di proda all’isola di Circe, dove trascorrerà un
una zattera, ma Poseidone suscita contro di anno in compagnia della maga. – LIBRO XI.

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Odisseo narra l’evocazione dei morti nella denti e dei servitori infedeli; batte al pugilato
terra dei Cimmerii; colloquio con l’indovino l’impudente mendicante Iro. – LIBRO XIX. Euri-
Tiresia, con la madre Anticlea e con i vecchi clea, incaricata di lavare il forestiero, ricono-
compagni d’arme,Agamennone,Achille e Aia- sce Odisseo da una vecchia cicatrice; un so-
ce. – LIBRO XII. Odisseo narra le avventure del- gno ispira a Penelope l’idea della gara dell’ar-
le Sirene, di Scilla e Cariddi, delle mandrie del co. – LIBRO XX. Durante la notte si fanno i pre-
Sole; perduti tutti i compagni, giunge a Ogigia parativi per la giornata decisiva; i servi fedeli
presso Calipso: qui termina il racconto dell’e- a Odisseo si radunano a palazzo mentre i pre-
roe. – LIBRO XIII. Condotto a Itaca dai Feaci, tendenti consumano il loro ultimo pasto. – LI-
Odisseo è accolto da Atena e insieme con lei BRO XXI. Sfidati a tendere l’arco di Odisseo, i
pianifica la vendetta contro i pretendenti. – pretendenti falliscono uno dopo l’altro; alla fi-
LIBRO XIV. Accolto dal fedele Eumeo, guardia- ne vi riesce il mendicante, che rivela la sua
no dei maiali, Odisseo nasconde la propria vera identità. – LIBRO XXII. Odisseo,Telemaco e
identità e racconta falsi episodi della sua vita. i servitori fedeli fanno strage dei pretendenti;
– LIBRO XV. Mentre Eumeo narra all’ospite le le serve infedeli sono punite con la morte; la
vicende occorse a Itaca negli ultimi anni, Te- sala del palazzo è purificata dopo la strage. –

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lemaco, guidato da Atena, fa ritorno sull’isola. LIBRO XXIII. Penelope sottopone Odisseo a di-
– LIBRO XVI. Nella capanna di Eumeo avviene il verse prove per essere certa della sua identi-
riconoscimento fra padre e figlio; i preten- tà; alla fine marito e moglie si riabbracciano. –
denti, appreso del ritorno di Telemaco, ri- LIBRO XXIV. Le anime dei pretendenti scendono
prendono a tramare contro di lui. – LIBRO XVII. nell’Ade dove incontrano gli eroi defunti del-
Odisseo si reca a palazzo in veste di mendi- la guerra troiana; Odisseo si riunisce al padre
cante; solo il vecchio e fedele cane Argo lo ri- Laerte e ottiene la rappacificazione con i pa-
conosce, mentre i pretendenti trattano l’ospi- renti dei pretendenti uccisi; sventata la mi-
te in modo offensivo e arrogante. – LIBRO XVIII. naccia di uno scontro civile, su Itaca scende
Odisseo è oggetto degli scherni dei preten- finalmente la pace.

Ecco in breve la suddivisione del poema e l’argomento dei singoli canti:


La Telemachia: I. Il concilio degli dèi – II. L’assemblea degli Itacesi – III. Telemaco in
viaggio: Pilo – IV.Telemaco in viaggio: Sparta – V. La zattera di Odisseo.
Presso i Feaci: VI. Nausicaa – VII. Nel palazzo di Alcinoo – VIII. Demodoco.
Il flash-back: IX. Polifemo – X. Circe – XI. L’evocazione dei morti. – XII. Le Sirene, Scilla
e Cariddi.
Il ritorno: XIII. L’arrivo ad Itaca – XIV. Eumeo – XV. Il rientro di Telemaco – XVI. Padre e
figlio si incontrano – XVII. Al palazzo:Argo – XVIII. Al palazzo: Iro e la tracotanza dei
pretendenti – XIX. Euriclea.
L’epilogo: XX. I preparativi finali ed il banchetto – XXI. La gara dell’arco – XXII. La strage
dei pretendenti – XXIII. Odisseo e Penelope – XXIV. Coda: scene nell’oltretomba e
pacificazione a Itaca.

La figura di Odisseo
Fin dal proemio, l’Odissea si presenta come il poema che ha per oggetto
L’eroe le azioni di un poluvtropon a[nqrwpon, di un «uomo dall’ingegno multifor-
multiforme
me». Non le gesta di valore di una guerra luttuosa, come era accaduto nel-
l’Iliade, sono ora argomento di canto, ma l’avventurosa vicenda di un eroe
dalle innumerevoli risorse, grande per il suo agire ed il suo patire, che sa in ogni circo-
stanza essere uguale e diverso da se stesso. Odisseo ha ancora la tempra eroica dei perso-
naggi iliadici; ma mentre costoro la propongono in modo uniforme, senza mai perdere i
loro connotati di maestà e di forza, Odisseo è un eroe che sa vivere anche la vita degli uo-
mini oscuri: può capitargli di perdere le cose più care, di doversi nascondere nell’anoni-

Omero 31
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mato, di essere umiliato e di non essere riconosciuto. La forza spirituale del suo h\qo" («ca-
rattere») è indistruttibile, ma è avvolta in un gioco di luci e di ombre, deve occultarsi pri-
ma di potersi potentemente affermare. In certi momenti solo Atena, la dea che propizia e
protegge ogni fase del ritorno di Odisseo ad Itaca, tiene fermo il suo sguardo sulla gran-
dezza dell’eroe che le è caro; nel frattempo, in patria, molti lo hanno dimenticato e Tele-
maco e Penelope vivono nell’angoscia di averlo perduto.

Al fondo dell’eroismo di Odisseo c’è proprio l’accettazione della condi-


L’accettazione
della natura zione umana. Un’accettazione che diviene evidente, in tutta la sua consa-
umana pevolezza, allorché la beatitudine della condizione divina gli si presenta
per tentarlo. Quando Calipso, la ninfa che lo ha tenuto a lungo prigionie-
ro e si vede costretta a lasciarlo partire dall’ordine degli dèi, gli profetizza, se si allonta-
nerà da Ogigia, un destino di sofferenza e confronta la propria bellezza divina con la fi-
gura effimera e terrena di Penelope, l’eroe sa bene come sciogliersi per sempre dall’ab-
braccio insidioso degli immortali: «O dea, con me non ti devi adirare per questo; anch’io
so tutto assai bene, cioè che la savia Penelope vale meno di te per aspetto e grandezza a
vedersela innanzi; ella infatti è mortale e tu sei senza morte e vecchiezza. Ma pure così,
desidero e voglio in tutti i miei giorni e andarmene a casa e vedere il dì del ritorno» (V
215-220).Assieme a Penelope, Odisseo accetta tutte le avversità del proprio destino. Se
ci saranno incertezze saprà affrontarle, se ci saranno sofferenze le sopporterà con pa-
zienza, ma la dimensione mortale del suo avvenire è chiaramente scritta nella sua men-
te, con la stessa evidenza della casa e dell’isola che costituiscono l’agognata meta del
viaggio dell’eroe.

Un’antica tradizione, che ha trovato l’espressione più celebre nell’Ulisse


Calcolo
razionale e dantesco, associa al nome di Odisseo l’idea di una curiosità incondiziona-
autocontrollo ta, di un bisogno di conoscenza che si spinge fino a risoluzioni temerarie.
Il poema omerico fornisce certo buoni spunti per letture di questo tipo:
è Odisseo a voler esplorare la caverna del Ciclope (IX), a pretendere di chiarire i misteri
dell’isola di Circe (X), a riservare, soltanto a se stesso, l’ascolto dell’irresistibile canto
delle Sirene. Ma nel protagonista dell’Odissea l’impulso della conoscenza e dell’ardi-
mento non è mai dissociato dal senso della complessità delle situazioni, della possibilità
che l’azione preventivata non sia sufficientemente accorta e sagace. Per questo accetta
senza difficoltà il soccorso e l’avvertimento degli dèi, quando gli sono concessi; e se, co-
me più spesso gli accade, deve tentare da solo la soluzione di un problema, vi si applica
con ogni energia, sentendo sempre imminente, accanto alla prospettiva del successo,
l’eventualità del fallimento. Sa affermarsi come uomo sagace anche nella lotta impari
contro le forze della natura, mentre il mare lo sta per travolgere; ma è soprattutto nel
confronto con la malignità e la perfidia degli antagonisti che la sua indole si esalta ed
esce vittoriosa. In Odisseo l’intelligenza calcolatrice è combinata con il controllo degli
impulsi irrazionali. Egli può rinviare il momento della vendetta sul Ciclope che gli ha di-
vorato i compagni e sui Proci che, nella sala del banchetto, lo umiliano con le loro risate
schernitrici. Può altresì ritardare il momento di farsi riconoscere da persone care, rinun-
ciare per qualche tempo all’abbraccio di Telemaco e a quello di Penelope, se l’esecuzio-
ne di un piano, la creazione di circostanze propiziatrici di un definitivo successo gli ri-
chiedono di disciplinare il mondo degli affetti o perfino di porre un freno agli impulsi
più potenti della natura umana. Proprio per queste sue doti di pazienza e perseveranza,
di saggezza politica e di dedizione agli ideali della quotidianità (la terra natia, il focolare
domestico, la famiglia), Odisseo ha potuto essere un modello educativo non solo per la

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Grecia arcaica e classica, ma anche nella Roma del III sec. a.C., che, nella traduzione del-
l’Odissea di Livio Andronico, vi riconobbe una parte importante del proprio patrimonio
etico-religioso.

La tecnica epica
Già in precedenza si è accennato alla dizione epica come elemento carat-
La dizione terizzante l’epos di Iliade e Odissea. Con il termine “dizione”, contrappo-
sto a “stile”, si vuole marcare la distinzione fra testi la cui tessitura forma-
le privilegia ciò che è tradizionale e “tipico”, rispetto a ciò che è invece
individuale e “originale”. Per quanto poi riguarda in particolare la dizione epica omeri-
ca, va aggiunta anche una componente di natura strettamente linguistica: i due poemi ci
appaiono infatti composti in una lingua d’arte che nessun gruppo umano ha mai parla-
to, ma che è stata elaborata e si è evoluta mescolando elementi di origine micenea e al-
tri propri dei dialetti ionico ed eolico, insieme ad altro ancora, il tutto in un rapporto di
organica connessione con l’unità metrico-ritmica dell’esametro dattilico. Oggi è ben
chiaro come la domanda se sia nato prima l’esametro o la dizione epica sia priva di sen-
so: l’epos ha elaborato l’esametro e la sua particolare dizione come un’unità organica e
inscindibile.

Un carattere immediatamente riconoscibile dello stile omerico sono le


Le formule “formule”, ossia quegli elementi ripetitivi che Parry definì come «gruppi di
parole ripetuti che esprimono una medesima idea fondamentale nella me-
desima sede metrica». Esempi particolarmente evidenti sono le cosiddette
formule nome-epiteto, per le quali esiste un repertorio particolarmente ricco. La relazio-
ne fissa fra il gruppo nome + epiteto e la sede metrica in cui è collocato è ciò che si
chiama “economia formulare”.

nomi propri
Phlhiavdew A ∆ cilh'o" (del Pelide Achille) – 2° emistichio
∆ cilleuv" (Achille dai piedi veloci) – clausola
povda" wjku;" A
a[nax ajndrw'n A∆ gamevmnwn (Agamennone re di guerrieri) – 2° emistichio
ejuk ∆ caioiv (gli Achei dai robusti schinieri) – 2° emistichio
> nhvmide" A
eJkhbovlou A∆ povllwno" (di Apollo arciere) – 2° emistichio
qea; glaukw'pi" A ∆ qhvnh (la dea Atena dagli occhi lucenti) – 2° emistichio

nomi comuni
polufloivsboio qalavssh" (del mare dai mille rumori) – 2° emistichio
e[pea pteroventa (le parole alate) – prima parte del 2° emistichio
nhi÷ melaivnh/ (alla nave nera) – clausola
aJlo;" ajtrugevtoio (del mare infecondo) – clausola

Benché passati attraverso fasi diverse e successive manipolazioni e rielabo-


La specificità
della poesia razioni,i poemi omerici conservano tuttavia una traccia profonda della loro
orale origine orale. Ciò significa che la dizione dell’Iliade e dell’Odissea non può
essere analizzata e tanto meno “giudicata” sulla base dei parametri e delle
categorie stilistiche cui noi, figli di una cultura secolarmente scritta, siamo inevitabilmente
avvezzi. Ciò vale per il dettaglio, perché non si può chiedere a un poeta orale nulla di si-
mile a quel che chiamiamo labor limae, come anche per l’insieme: troppo scarsi sono i

Omero 33
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dati in nostro possesso circa le modalità della redazione finale dei due poemi per consen-
tirci di utilizzare categorie narratologiche che inevitabilmente presuppongono un testo
pianificato e organizzato da un autore in senso squisitamente moderno.

La lingua
Qui di seguito offriamo un riassunto schematico dei caratteri fonetici e morfologici più
significativi che s’incontrano comunemente nei due poemi9:

fonetica: a>h
metatesi quantitativa (ad es. newv" / nhov")
apocope (ad es. kat, par per katav, parav)
distrazione (dievktasi"): recupero artificiale di una vocale dopo la contra-
zione per salvare la prosodia (ad es. aujtiovwsan per aujtiw`san)

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protesi vocalica (ad es. ejeivkosi per ei[kosi)
geminazione consonantica (ad es. A ∆ cilleuv" / A
∆ cileuv")
pt per t (ad es. ptovli" / povli"), caratteristica micenea
metatesi (ad es. kardiva / kradiva)

morfologia: I declinazione: gen. sing. masch. in -ao / -ew; gen. plur. in -avwn / -
evwn; dat. plur. in -h/s i / -h/";
II declinazione: gen. sing. in -ou / -oio; dat. plur. in -oisi(n) / -oi"
III declinazione: dat. plur. in -essi(n) / -si(n); occasionale desinen-
za strumentale -fi (caratteristica micenea)
pronomi personali: a[mme" per hJmei'", u[mme" per uJmei'"
enclitica min = aujtovn / aujthvn
valore pronominale dell’articolo
verbi: aumento sillabico e temporale non obbligatori
raddoppiamento presente in forme aoristiche
preverbio spesso separato dal verbo in tmesi
mancata distinzione fra coniugazione tematica e
atematica
desinenza -mi nel congiuntivo
desinenza -sqa nel presente
desinenza atematica -si nella 3a pers. sing. dei ver-
bi tematici
desinenza -atai e -ato nella 3a pers. plur. media
per -ntai e -nto
infiniti in -men, -menai
particella modale ke(n) = a[n
congiunzione aij = eij

9. Una comoda introduzione alla lingua omerica è G. Devoto-A. Nocentini, La lingua omerica e il dia-
letto miceneo, Firenze 1975.

34 L’EPICA
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La metrica
L’opera attribuita a Omero rientra per intero (con la sola eccezione del
L’esametro Margite) nell’ambito della tradizione epica, di cui utilizza i temi, le forme, il
linguaggio e il metro, che è l’esametro epico (e[po"). Di esso abbiamo già
trattato in modo specifico nella parte introduttiva all’epica (cfr. pp. 20-21);
ne riportiamo qui lo schema per comodità:

– —– —– —– —– –×
˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘ ˘˘

◗ ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI
TRADUZIONI ED EDIZIONI COMMENTATE:
Omero, Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti,Torino 1950
Omero, Iliade, trad. di Maria Grazia Ciani,Venezia 1990
Omero, Iliade, trad. di Giovanni Cerri, Milano 1996
Omero, Odissea, trad. di Giovanna Bemporad,Torino 19702
Omero, Odissea, trad. di Rosa Calzecchi Onesti,Torino 1963
Omero, Odissea, trad. di Enzio Cetrangolo, Firenze 1990
Omero, Odissea, trad. di G.Aurelio Privitera, Milano 19862
Guido Paduano, Antologia della letteratura greca. Il periodo ionico, Bologna 1990

STUDI:
A. Aloni, Cantare glorie di eroi. Comunicazione e performance poetica nella Grecia arcai-
ca,Torino 1998
Ch.R. Beye, Letteratura e pubblico nella Grecia antica, 2 voll., Bari 1979
C.M. Bowra, La poesia eroica, Firenze 1979
G. Broccia, La questione omerica, Firenze 1979
E. Cantarella, Norma e sanzione in Omero, Milano 1979
G. Chiarini, Odisseo. Il labirinto antico, Roma 1991
F. Codino, Introduzione a Omero,Torino 1965
G. Devoto–A. Nocentini, La lingua omerica e il dialetto miceneo, Firenze 1975
V. Di Benedetto, Nel laboratorio di Omero,Torino 1994
M.I. Finley, Il mondo di Odisseo, Bari 1978
M.I. Finley, La Grecia dalla preistoria all'età arcaica, Bari 1975
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1995
E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, Bari 1983
E.A. Havelock–J.P. Hershbell (a cura di), Arte e comunicazione nel mondo antico. Guida
storica e critica, Bari 1981
U. Hölscher, L'Odissea. Epos tra fiaba e romanzo, Firenze 1991
J. Latacz, Omero. Il primo poeta dell'occidente, Roma-Bari 1990
A. Mele, Società e lavoro nei poemi omerici, Napoli 1968
C. Miralles, Come leggere Omero, Milano 1992
F. Montanari, Introduzione a Omero, Firenze 1990
L.E. Rossi, Poemi omerici come testimonianza di poesia orale, in Storia e civiltà dei Greci,
I, Milano 1978
B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,Torino 1963
B. Snell, Poesia e società, Bari 1971
M. Vegetti (a cura di), Scrittura Oralità Spettacolo,Torino 1983

Omero 35
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Iliade

1 L’ira di Achille
Iliade I 1-246

Dopo aver individuato nell'«ira di Achille» l'oggetto della propria narrazione, il poeta espone i fatti
che hanno indotto l'eroe a ritirarsi dalla guerra contro i Troiani. Agamennone aveva rifiutato di re-
stituire Criseide, che gli era toccata in schiava come bottino di guerra, al padre Crise, sacerdote
di Apollo, benché il vecchio avesse offerto un enorme riscatto.
Apollo, ascoltando i lamenti del suo sacerdote, aveva punito tutti gli Achei con una terribile pe-
stilenza. Appresa dall'indovino Calcante la causa dell'epidemia, Agamennone, nel corso di un'ani-
mata assemblea, aveva consentito a restituire la sua schiava, purché Achille, che lo aveva invita-

Mh'nin a[eide qea; Phlhi>avdew ∆Acilh'o"


oujlomevnhn, h} muriv∆ ∆Acaioi'" a[lge∆ e[qhke,
polla;" d∆ ijfqivmou" yuca;" “Ai>di proi?ayen
hJrwvwn, aujtou;" de; eJlwvria teu'ce kuvnessin
5 oijwnoi's iv te pa's i, Dio;" d∆ ejteleiveto boulhv,
ejx ou| dh; ta; prw'ta diasthvthn ejrivsante
∆Atrei?dh" te a[nax ajndrw'n kai; di'o" ∆Acilleuv".
Tiv" t∆ a[r sfwe qew'n e[ridi xunevhke mavcesqai…
Lhtou'" kai; Dio;" uiJov": o} ga;r basilh'i> colwqei;"
10 nou'son ajna; strato;n w\rse kakhvn, ojlevkonto de; laoiv,
ou{neka to;n Cruvshn hjtivmasen ajrhth'ra
∆Atrei?dh": o} ga;r h\lqe qoa;" ejpi; nh'a" ∆Acaiw'n
lusovmenov" te quvgatra fevrwn t∆ ajpereivs i∆ a[poina,
stevmmat∆ e[cwn ejn cersi;n eJkhbovlou ∆Apovllwno"
15 crusevw/ ajna; skhvptrw/, kai; livsseto pavnta" ∆Acaiouv",
∆Atrei?da de; mavlista duvw, kosmhvtore law'n:
∆Atrei?dai te kai; a[lloi eju>knhvmide" ∆Acaioiv,
uJmi'n me;n qeoi; doi'en ∆Oluvmpia dwvmat∆ e[conte"
ejkpevrsai Priavmoio povlin, eu\ d∆ oi[kad∆ iJkevsqai:
20 pai'da d∆ ejmoi; luvsaite fivlhn, ta; d∆ a[poina devcesqai,
aJzovmenoi Dio;" uiJo;n eJkhbovlon ∆Apovllwna.
“Enq∆ a[lloi me;n pavnte" ejpeufhvmhsan ∆Acaioi;
aijdei'sqaiv q∆ iJerh'a kai; ajglaa; devcqai a[poina:
ajll∆ oujk ∆Atrei?dh/ ∆Agamevmnoni h{ndane qumw'/,
25 ajlla; kakw'" ajfivei, kratero;n d∆ ejpi; mu'qon e[telle:
mhv se gevron koivlh/s in ejgw; para; nhusi; kiceivw
h] nu'n dhquvnont∆ h] u{steron au\ti" ijovnta,

1. Peleo, re di Ftia, in Tessaglia, e signore dei Mirmi- motracia (II sec. a.C.), si tratta della promessa fatta a
doni, unitosi alla dea marina Teti (o Tetide) aveva ge- Teti (I 524 ss.) di favorire i Troiani contro gli Achei
nerato Achille; Peleo è protagonista di diverse saghe per riscattare l’onore di Achille; per altri il passo, ri-
eroiche, fra cui la spedizione degli Argonauti alla mandando al proemio dei Canti di Cipro, alludereb-
conquista del vello d’oro. 2. Ade, figlio di Crono e be alla decisione di Zeus di alleggerire la Terra dal
fratello di Zeus e Posidone, quando i tre si divisero il peso insopportabile dell’umanità troppo
cosmo, ebbe il dominio del regno sotterraneo, dimo- numerosa. 4. Un verso interamente formulare, for-
ra dei morti. 3. Secondo il filologo Aristarco di Sa- mato dall’unione di due formule nome-epiteto fra

36 L’EPICA
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to a compiere quell'atto, gli desse in cambio Briseide, la schiava più cara al Pelide, anch'essa as-
segnata a suo tempo come riconoscimento di valore assieme al bottino. Ne era nato uno scontro
violentissimo, perché entrambi gli eroi si erano sentiti feriti nell'onore.
Achille, costretto a sottostare al capo riconosciuto della spedizione pur sentendosi più forte di
lui, era stato ad un passo dall'ucciderlo. L'intervento di Atene lo aveva distolto dal farlo, ma la
sua collera era esplosa violenta, ispirandogli l'irrevocabile decisione di non combattere più per
gli Achei.

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Canta, Musa divina, l’ira di Achille figlio di Peleo1,
l’ira rovinosa che portò ai Greci infiniti dolori,
e mandò sottoterra all’Ade 2 molte anime forti
d’eroi, e li lasciò in preda ai cani ed a tutti
gli uccelli: così si compiva il volere di Zeus 3,
da quando si divisero, in lite l’uno con l’altro,
il re Agamennone, figlio di Atreo, e il nobile Achille 4.
Ma quale degli dèi li spinse alla disputa?
Il figlio di Zeus e di Leto 5. Irato contro il sovrano,
suscitò una feroce malattia per il campo, e morivano gli uomini,
perché Agamennone aveva oltraggiato il suo sacerdote,
Crise.Venne alle rapide navi dei Greci
per liberare la figlia, portando un enorme riscatto,
e in mano aveva le bende sacre ad Apollo arciere,
avvolte attorno allo scettro dorato 6, e pregava tutti gli Achei,
ma soprattutto i due Atridi, capi di uomini:
«Atridi e voi altri,Achei dalle belle gambiere,
gli dèi che hanno la loro casa sul monte Olimpo vi diano
di devastare la città di Priamo, e tornare incolumi in patria:
ma liberate mia figlia, ed accettate il riscatto,
rispettando il figlio di Zeus,Apollo arciere 7».
Qui tutti i Greci approvavano che si rispettasse
il sacerdote, e si accettasse il ricco riscatto,
ma non piaceva al cuore di Agamennone figlio di Atreo;
lo cacciò malamente ed aggiunse queste aspre parole:
«Bada che non ti colga più, vecchio, presso le navi,
a indugiarvi adesso o a ritornarvi un’altra volta;

le più comuni. 5. Apollo; l’entrata in scena del dio bi di contenuto tradizionale, ma mentre il primo di-
assolve una triplice funzione: ideologica (rimandare ce esplicitamente che il sacerdote reggeva le inse-
al piano divino le ragioni ultime dell’agire umano), gne del dio ejn cersivn, nel secondo esse appaiono in-
espressiva (nobilitare l’evento conferendogli una di- vece avvolte ajna; skhvptrw/. 7. Il discorso di Crise
mensione ultraterrena), strutturale (sovrapporre la (vv. 17-21) è strutturato in modo accorto; il messag-
“collera”del dio all’“ira”dell’uomo). 6. Un caso in- gio implicito risulta essere che gli Achei, la cui vitto-
teressante di “imprecisione” scaturita dalla tecnica ria sui Troiani dipende dal volere degli dèi, debbono
dell’accumulo formulare: i versi sono infatti entram- stare bene attenti a non scatenarne la collera.

Omero: Iliade 37
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mhv nuv toi ouj craivsmh/ skh'ptron kai; stevmma qeoi'o:


th;n d∆ ejgw; ouj luvsw: privn min kai; gh'ra" e[peisin
30 hJmetevrw/ ejni; oi[kw/ ejn “Argei> thlovqi pavtrh"
iJsto;n ejpoicomevnhn kai; ejmo;n levco" ajntiovwsan:
ajll∆ i[qi mhv m∆ ejrevqize sawvtero" w{" ke nevhai.
’W" e[fat∆, e[deisen d∆ o} gevrwn kai; ejpeivqeto muvqw/:
bh' d∆ ajkevwn para; qi'na polufloivsboio qalavssh":
35 polla; d∆ e[peit∆ ajpavneuqe kiw;n hjra'q∆ o} geraio;"
∆Apovllwni a[nakti, to;n hju?komo" tevke Lhtwv:
klu'qiv meu ajrgurovtox∆, o}" Cruvshn ajmfibevbhka"
Kivllavn te zaqevhn Tenevdoiov te i\fi ajnavssei",
Sminqeu' ei[ potev toi carivent∆ ejpi; nho;n e[reya,
40 h] eij dhv potev toi kata; pivona mhriv∆ e[kha
tauvrwn hjd∆ aijgw'n, tovde moi krhvhnon ejevldwr:
teivseian Danaoi; ejma; davkrua soi's i bevlessin.
’W" e[fat∆ eujcovmeno", tou' d∆ e[klue Foi'bo" ∆Apovllwn,
bh' de; kat∆ Oujluvmpoio karhvnwn cwovmeno" kh'r,
45 tovx∆ w[moisin e[cwn ajmfhrefeva te farevtrhn:
e[klagxan d∆ a[r∆ oji>stoi; ejp∆ w[mwn cwomevnoio,
aujtou' kinhqevnto": o} d∆ h[i>e nukti; ejoikwv".
e{zet∆ e[peit∆ ajpavneuqe new'n, meta; d∆ ijo;n e{hke:
deinh; de; klaggh; gevnet∆ ajrgurevoio bioi'o:
50 oujrh'a" me;n prw'ton ejpwv/ceto kai; kuvna" ajrgouv",
aujta;r e[peit∆ aujtoi's i bevlo" ejcepeuke;" ejfiei;"
bavll∆: aijei; de; purai; nekuvwn kaivonto qameiaiv.
∆Ennh'mar me;n ajna; strato;n w[/ceto kh'la qeoi'o,
th'/ dekavth/ d∆ ajgorh;n de; kalevssato lao;n ∆Acilleuv":
55 tw'/ ga;r ejpi; fresi; qh'ke qea; leukwvleno" ”Hrh:
khvdeto ga;r Danaw'n, o{ti rJa qnhvskonta" oJra'to.
oi} d∆ ejpei; ou\n h[gerqen oJmhgereve" te gevnonto,
toi's i d∆ ajnistavmeno" metevfh povda" wjku;" ∆Acilleuv":
∆Atrei?dh nu'n a[mme palimplagcqevnta" oji?w
60 a]y ajponosthvsein, ei[ ken qavnatovn ge fuvgoimen,
eij dh; oJmou' povlemov" te dama'/ kai; loimo;" ∆Acaiouv":
ajll∆ a[ge dhv tina mavntin ejreivomen h] iJerh'a

8. La replica di Agamennone (vv. 26-32) è un picco- nota sovente momenti di tensione e di imminente
lo capolavoro di simmetria: si apre con una se- pericolo o minaccia (cfr. I 327, 350; IX 182; XXIII
quenza trimembre in cui si prospetta un minaccio- 59). Un altro semantema tradizionale è al v. seguen-
so futuro al povero Crise; segue l’affermazione re- te ajpavneuqe kiwvn, l’appartarsi per pregare presso la
cisa e brutale non la libererò che costituisce la ve- riva del mare (cfr.Telemaco in Odissea II 260), pro-
ra risposta alla richiesta del sacerdote; poi un’altra babilmente una forma rituale per favorire il contat-
sequenza trimembre, che questa volta prospetta to con il divino. 10. La preghiera di Crise ha ca-
con spietato cinismo il miserevole futuro della rattere fortemente tradizionale; prima vengono
sventurata Criseide; infine un verso conclusivo in elencati i titoli del dio, quindi è reclamato generica-
cui, in modo nuovamente brutale e reciso, il sacer- mente il suo favore e il suo aiuto, quindi viene
dote viene scacciato dal campo. Importante è fra avanzata la specifica richiesta. Nota come il rappor-
gli altri il verso 28: Agamennone mostra di avere to tra sacerdote (che pure con il divino ha un rap-
colto il peso che nel suo discorso Crise assegna porto privilegiato rispetto agli altri uomini) e dio si
agli dèi, ma di avere scelto deliberatamente di non configuri come una pura e semplice forma di mu-
tenerne conto. 9. Il nesso tematico tipico (o se- tuo scambio; Crise non fa parola dell’offesa subita e
mantema) para; qi'na polufloivsboio qalavssh" con- non invoca Apollo perché vendichi un torto, ma

38 L’EPICA
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non ti salverebbe lo scettro, e neanche la benda del dio.


Non la libererò, tua figlia; la raggiungerà la vecchiaia
nella nostra casa in Argo, lontana dalla sua patria,
lavorando al telaio e frequentando il mio letto.
Ora vattene e non irritarmi, se vuoi tornartene salvo 8».
Così disse, e il vecchio ebbe paura e ubbidì alla parola;
andò in silenzio lungo la riva del mare rumoreggiante 9,
ed in disparte rivolse molte preghiere
al dio Apollo, figlio di Leto dai bei capelli:
«Ascoltami 10, dio dell’arco d’argento, tu che proteggi
Crisa e la sacra Cilla, e sei il signore di Tenedo 11,
Sminteo 12; se mai t’ho eretto un tempio gradito,
se mai ho bruciato in tuo onore cosce grasse di tori
e di capre, tu compi questo mio desiderio:
i Greci 13 paghino con le tue frecce il mio pianto».
Così disse pregando, e Febo Apollo l’udiva:
scese dalle vette d’Olimpo irato nel cuore,
portando sulle spalle l’arco e la faretra ben chiusa 14.
Risuonavano i dardi sulle spalle del dio adirato
al suo passo, e veniva avanti come la notte.
Si fermò lontano dalle navi e lanciò una freccia:
un tintinnio terribile venne dall’arco d’argento.
Prima colpì i muli ed i cani veloci,
poi scagliò contro gli uomini le frecce aguzze
e sempre bruciavano fittissimi roghi di morti.
Per nove giorni 15 percorsero il campo le frecce divine;
il decimo giorno Achille chiamò l’esercito in assemblea:
glielo mise in mente Era 16, la dea dalle candide braccia,
che si preoccupava dei Greci, perché li vedeva morire.
Quando furono tutti adunati in assemblea,
si alzò il veloce Achille e parlò a loro in tal modo:
«Figli di Atreo, credo che presto noi torneremo
indietro respinti, se pure riusciamo a sfuggire alla morte,
giacché insieme la guerra e la peste tormentano i Greci.
Ma su, interroghiamo un qualche profeta, o un sacerdote,

avanza la sua richiesta in virtù del credito di rico- Rodi. 13. Nel testo Danaoiv, propriamente «di-
noscenza maturato nei confronti del dio attraverso scendenti di Danao», leggendario re figlio di Zeus
sacrifici e atti rituali. 11. Crisa e Cilla sono due che dall’Egitto sarebbe giunto ad Argo con le sue
città della Troade meridionale (la prima, in partico- cinquanta figlie in cerca di rifugio e protezione
lare, è la patria del sacerdote stesso), mentre Tene- contro il fratello Egitto; è uno degli appellativi con
do è un’isola prossima alle coste nord-occidentali cui Omero designa gli Achei. 14. In risposta alla
della regione. 12. Secondo il grammatico alessan- preghiera di Crise si realizza ora l’epifania di Apol-
drino Aristarco l’epiteto di Apollo deriverebbe dalla lo, il dio-arciere signore della malattia, capace di
località di Sminte, in Troade; i più ritengono invece manifestarsi come guaritore (Asclepio, il dio-medi-
che derivi dal termine misio smivnqo", «topo», in rela- co, è suo figlio) ma anche come sterminato-
zione a un’arcaica raffigurazione teriomorfa del re. 15. ejnnh'mar: si tratta di un intervallo conven-
dio, oppure a una sua funzione di difensore dei rac- zionale. 16. In Omero l’azione umana è sempre
colti contro i topi; sappiamo che un tempio dedica- vista come determinata dall’intersecarsi di due pia-
to ad Apollo Sminteo sorgeva ad Amassito, località ni distinti ma cooperanti, ovvero la motivazione in-
presso Crisa, mentre feste dette Smivnqeia in onore terna che nasce dal soggetto e l’“ispirazione” ester-
di Apollo e Dioniso si celebravano annualmente a na che proviene dagli dèi.

Omero: Iliade 39
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h] kai; ojneiropovlon, kai; gavr t∆ o[nar ejk Diov" ejstin,


o{" k∆ ei[poi o{ ti tovsson ejcwvsato Foi'bo" ∆Apovllwn,
65 ei[t∆ a[r∆ o{ g∆ eujcwlh'" ejpimevmfetai hjd∆ eJkatovmbh",
ai[ kevn pw" ajrnw'n knivsh" aijgw'n te teleivwn
bouvletai ajntiavsa" hJmi'n ajpo; loigo;n ajmu'nai.
“Htoi o{ g∆ w}" eijpw;n kat∆ a[r∆ e{zeto: toi's i d∆ ajnevsth
Kavlca" Qestorivdh" oijwnopovlwn o[c∆ a[risto",
70 o}" h[/dh tav t∆ ejovnta tav t∆ ejssovmena prov t∆ ejovnta,
kai; nhvess∆ hJghvsat∆ ∆Acaiw'n “Ilion ei[sw
h}n dia; mantosuvnhn, thvn oiJ povre Foi'bo" ∆Apovllwn:
o{ sfin eju>fronevwn ajgorhvsato kai; meteveipen:
w\ ∆Acileu' kevleaiv me Dii÷ fivle muqhvsasqai
75 mh'nin ∆Apovllwno" eJkathbelevtao a[nakto":
toiga;r ejgw;n ejrevw: su; de; suvnqeo kaiv moi o[mosson
h\ mevn moi provfrwn e[pesin kai; cersi;n ajrhvxein:

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h\ ga;r oji?omai a[ndra colwsevmen, o}" mevga pavntwn
∆Argeivwn kratevei kaiv oiJ peivqontai ∆Acaioiv:
80 kreivsswn ga;r basileu;" o{te cwvsetai ajndri; cevrhi>:
ei[ per gavr te covlon ge kai; aujth'mar katapevyh/,
ajllav te kai; metovpisqen e[cei kovton, o[fra televssh/,
ejn sthvqessin eJoi's i: su; de; fravsai ei[ me sawvsei".
To;n d∆ ajpameibovmeno" prosevfh povda" wjku;" ∆Acilleuv":
85 qarshvsa" mavla eijpe; qeoprovpion o{ ti oi\sqa:
ouj ma; ga;r ∆Apovllwna Dii÷ fivlon, w|/ te su; Kavlcan
eujcovmeno" Danaoi's i qeopropiva" ajnafaivnei",
ou[ ti" ejmeu' zw'nto" kai; ejpi; cqoni; derkomevnoio
soi; koivlh/" para; nhusi; bareiva" cei'ra" ejpoivsei
90 sumpavntwn Danaw'n, oujd∆ h]n ∆Agamevmnona ei[ph/",
o}" nu'n pollo;n a[risto" ∆Acaiw'n eu[cetai ei\nai.
Kai; tovte dh; qavrshse kai; hu[da mavnti" ajmuvmwn:
ou[ tar o{ g∆ eujcwlh'" ejpimevmfetai oujd∆ eJkatovmbh",
ajll∆ e{nek∆ ajrhth'ro" o}n hjtivmhs∆ ∆Agamevmnwn,
95 oujd∆ ajpevluse quvgatra kai; oujk ajpedevxat∆ a[poina,
tou[nek∆ a[r∆ a[lge∆ e[dwken eJkhbovlo" hjd∆ e[ti dwvsei:
oujd∆ o{ ge pri;n Danaoi's in ajeikeva loigo;n ajpwvsei
privn g∆ ajpo; patri; fivlw/ dovmenai eJlikwvpida kouvrhn
ajpriavthn ajnavpoinon, a[gein q∆ iJerh;n eJkatovmbhn
100 ej" Cruvshn: tovte kevn min iJlassavmenoi pepivqoimen.
“Htoi o{ g∆ w}" eijpw;n kat∆ a[r∆ e{zeto: toi's i d∆ ajnevsth
h{rw" ∆Atrei?dh" eujru; kreivwn ∆Agamevmnwn
ajcnuvmeno": mevneo" de; mevga frevne" ajmfi; mevlainai
pivmplant∆, o[sse dev oiJ puri; lampetovwnti eji?kthn:

17. Secondo Aristarco il termine mavnti" indicherebbe volte nell’Iliade come nell’Odissea. 19. Calcante
l’indovino in generale, mentre iJereuv" e ojneiropovlv o" appartiene a una terza categoria di mavntei", è infatti
due distinte categorie di indovini: il primo è colui detto oijwnopovlo", in quanto trae i suoi vaticini dal-
che legge il futuro attraverso i sacrifici, il secondo l’osservazione del volo degli uccelli. 20. Allusio-
attraverso l’interpretazione dei sogni. 18. È un ne forse all’episodio di Aulide (il porto della Beozia
verso interamente formulare, che ricorre diverse in cui si era radunata la flotta achea in procinto di

40 L’EPICA
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o un esperto di sogni 17 – ché da Zeus proviene anche il sogno –


che ci dica perché è tanto irato con noi Febo Apollo,
se si lagna per qualche preghiera o qualche ecatombe,
e se accettando il fumo d’agnelli e di capre senza difetto
vorrà allontanare dal nostro campo la peste».
Ciò detto, tornò a sedere, e si alzò in mezzo a loro 18
Calcante figlio di Testore, di gran lunga il miglior indovino 19,
che sapeva il presente, il futuro, il passato,
e aveva guidato a Troia le navi dei Greci 20
con l’arte divinatoria, che gli donò Febo Apollo.
E lui, con grande saggezza, parlò in questo modo:
«Achille caro a Zeus, tu mi ordini di rivelare
l’ira di Apollo, il divino signore dell’arco,
ed io parlerò; ma tu dammi ascolto e promettimi
che mi difenderai, con le parole e col braccio:
penso che irriterò un uomo che ha grande potere
su tutti i Greci, e a lui i Greci obbediscono.
È troppo più forte un re, quando s’adira con un uomo qualunque:
se anche per un giorno inghiotte la collera,
poi conserva il rancore dentro il suo animo
finché può sfogarlo: tu pensa se mi salverai».
E a lui così disse in risposta il veloce Achille:
«Parla tranquillamente e di’ quel che sai del volere divino:
in nome di Apollo caro a Zeus, che tu preghi, Calcante,
quando riveli ai Greci il volere divino,
finché io vivo e vedo sopra la terra, nessuno
presso le nostre navi ti metterà addosso le mani,
nessuno fra tutti i Greci, se anche nominassi Agamennone,
che si vanta di essere il primo nel nostro esercito».
Allora si rincuorò il grande profeta, e così disse:
«Non si lagna per nessuna preghiera o nessuna ecatombe,
ma per il suo sacerdote che Agamennone ha offeso,
non ha liberato la figlia, non ha accettato il riscatto.
Perciò il dio arciere ci ha dato pena e ce ne darà altre ancora;
non stornerà dai Greci la terribile peste
prima che sia ridata al padre la giovane dagli occhi vivi,
senza prezzo, senza riscatto, e si mandi una sacra ecatombe
a Crisa.Allora soltanto potremo placarlo e convincerlo».
Ciò detto, tornò a sedere, e si alzò in mezzo a loro
l’eroe figlio di Atreo, il potente signore Agamennone,
irato, l’animo pieno di nero furore 21,
gli occhi simili a fiamme che lampeggiavano,

salpare per Troia), quando Calcante interpretò il giungere a Troia. 21. frevne" mevlainai: in termini
prodigio del serpente che aveva divorato nove uc- anatomici si tratta del diaframma, «nero» perché ir-
celli affermando che, dopo nove anni di guerra, nel rorato di sangue che in Omero ha normalmente
decimo gli Achei avrebbero preso la città nemica; quel colore; è considerato sede delle passioni (co-
oppure alle peregrinazioni della flotta stessa, se- raggio, ira, amore), che lo “avvolgono” dall’esterno
condo quanto narravano i Canti di Cipro, prima di (cfr. il preverbio ajmfiv).

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105 Kavlcanta prwvtista kavk∆ ojssovmeno" proseveipe:


mavnti kakw'n ouj pwv potev moi to; krhvguon ei\pa":
aijeiv toi ta; kavk∆ ejsti; fivla fresi; manteuvesqai,
ejsqlo;n d∆ ou[tev tiv pw ei\pa" e[po" ou[t∆ ejtevlessa":
kai; nu'n ejn Danaoi's i qeopropevwn ajgoreuvei"
110 wJ" dh; tou'd∆ e{nekav sfin eJkhbovlo" a[lgea teuvcei,
ou{nek∆ ejgw; kouvrh" Crushi?do" ajglav∆ a[poina
oujk e[qelon devxasqai, ejpei; polu; bouvlomai aujth;n
oi[koi e[cein: kai; gavr rJa Klutaimnhvstrh" probevboula
kouridivh" ajlovcou, ejpei; ou[ eJqevn ejsti cereivwn,
115 ouj devma" oujde; fuhvn, ou[t∆ a]r frevna" ou[tev ti e[rga.
ajlla; kai; w|" ejqevlw dovmenai pavlin eij tov g∆ a[meinon:
bouvlom∆ ejgw; lao;n sw'n e[mmenai h] ajpolevsqai:
aujta;r ejmoi; gevra" aujtivc∆ eJtoimavsat∆ o[fra mh; oi\o"
∆Argeivwn ajgevrasto" e[w, ejpei; oujde; e[oike:
120 leuvssete ga;r tov ge pavnte" o{ moi gevra" e[rcetai a[llh/.
To;n d∆ hjmeivbet∆ e[peita podavrkh" di'o" ∆Acilleuv":
∆Atrei?dh kuvdiste filokteanwvtate pavntwn,
pw'" gavr toi dwvsousi gevra" megavqumoi ∆Acaioiv…
oujdev tiv pou i[dmen xunhvi>a keivmena pollav:
125 ajlla; ta; me;n polivwn ejxepravqomen, ta; devdastai,
laou;" d∆ oujk ejpevoike palivlloga tau't∆ ejpageivrein.
ajlla; su; me;n nu'n th'nde qew'/ prove": aujta;r ∆Acaioi;
triplh'/ tetraplh'/ t∆ ajpoteivsomen, ai[ kev poqi Zeu;"
dw'/s i povlin Troivhn eujteivceon ejxalapavxai.
130 To;n d∆ ajpameibovmeno" prosevfh kreivwn ∆Agamevmnwn:
mh; d∆ ou{tw" ajgaqov" per ejw;n qeoeivkel∆ ∆Acilleu'
klevpte novw/, ejpei; ouj pareleuvseai oujdev me peivsei".
h\ ejqevlei" o[fr∆ aujto;" e[ch/" gevra", aujta;r e[m∆ au[tw"
h|sqai deuovmenon, kevleai dev me th'nd∆ ajpodou'nai…
135 ajll∆ eij me;n dwvsousi gevra" megavqumoi ∆Acaioi;
a[rsante" kata; qumo;n o{pw" ajntavxion e[stai:
eij dev ke mh; dwvwsin ejgw; dev ken aujto;" e{lwmai
h] teo;n h] Ai[anto" ijw;n gevra", h] ∆Odush'o"
a[xw eJlwvn: o} dev ken kecolwvsetai o{n ken i{kwmai.
140 ajll∆ h[toi me;n tau'ta metafrasovmesqa kai; au\ti",
nu'n d∆ a[ge nh'a mevlainan ejruvssomen eij" a{la di'an,
ejn d∆ ejrevta" ejpithde;" ajgeivromen, ej" d∆ eJkatovmbhn

22. Il discorso di Agamennone (vv. 106-120) si svi- Agamennone, che per placarla sarà costretto a sa-
luppa in tre momenti disposti a climax: prima (cfr. crificare la figlia Ifigenia), di cui non c’è traccia
nota 20) il re se la prende direttamente con Calcan- esplicita in Omero. 24. Clitennestra è figlia di
te, «profeta di mali»; poi istituisce un offensivo para- Tindaro e Leda, sorella di Elena e moglie di Aga-
gone fra Criseide e la moglie Clitennestra; infine re- mennone; secondo il mito vendicherà la morte di
clama dagli Achei un dono che compensi la perdita Ifigenia uccidendo a tradimento il marito appena
della ragazza. 23. Agamennone si riferisce proba- rientrato in patria dopo la conclusione della guerra
bilmente alla profezia di Aulide; più problematico è (cfr. Eschilo, Agamennone). 25. Un sintetico ca-
un possibile riferimento alla vicenda di Ifigenia (la talogo delle virtù femminili, che comprendono: a.
flotta è bloccata ad Aulide dal maltempo, Calcante bellezza fisica (devma" ... fuhvn); b. indole, carattere
rivela che la causa è la collera di Artemide offesa da (frevna"), naturalmente compiacente, sottomesso e

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e subito guardò male Calcante e gli disse 22:


«Profeta di mali, mai dici niente che mi sia gradito,
sempre piace al tuo cuore profetizzare sciagure 23,
una parola buona non l’hai mai detta o compiuta.
E anche ora, vaticinando tra i Greci, racconti
che il dio arciere dà loro pena, perché ho rifiutato
di accettare il ricco riscatto per la figlia di Crise;
sì, perché desidero molto averla nella mia casa;
perfino a Clitennestra 24, la mia legittima moglie,
la preferisco: non le è per nulla inferiore,
d’aspetto né di statura, d’abilità né di cuore 25.
Ma tuttavia acconsento a ridarla, se questo è il meglio:
voglio che si salvi il mio popolo e non sia perduto;
ma preparate presto per me un altro premio, che non sia il solo
tra i Greci a restarne privo: non sarebbe giusto.

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Pensate tutti dunque, che mi tocchi un altro premio 26».
E a lui così rispose il nobile, veloce Achille:
«Gloriosissimo Atride, fra tutti il più avido 27,
come faranno a darti un premio i magnanimi Achei?
Non abbiamo da parte molti beni comuni:
la preda delle città devastate è stata spartita 28,
e non può essere che i soldati la tornino a restituire.
Ma tu questa donna rendila al dio, e noi Greci
te la ripagheremo tre o quattro volte, se Zeus
ci concede di devastare Troia dalle belle mura».
E a lui così disse in risposta il re Agamennone:
«Non cercare così, per quanto capace tu sia,Achille pari agli dèi,
di nascondermi il tuo pensiero: non puoi ingannarmi, e neppure
[convincermi.
Tu vuoi, mentre ti tieni il tuo premio, che io in questo modo
ne resti senza, e mi esorti a restituire la donna?
Ma se mi daranno un premio i magnanimi Achei,
scegliendolo adatto al mio desiderio, che valga quanto quest’altro…
se non me lo danno, allora verrò a prendermi io stesso
il tuo premio, o quello di Aiace, o quello di Odisseo,
lo prenderò e lo porterò via, e si adiri quello che scelgo!
Ma noi a questo potremo pensare più tardi;
ora mettiamo nel mare divino una nave, e raduniamo
un equipaggio scelto di rematori e un’ecatombe,

fedele; c. utilità domestica (e[rga), cioè capacità la- beni – gli eroi non mostrano scrupoli a trasformarsi
vorative e amministrative. 26. Il gevra" è la parte all’occorrenza in pirati e in razziatori – che tra l’al-
di bottino che spetta a ciascun guerriero in ragione tro hanno un forte valore sociale in quanto esprimo-
del rango sociale e del valore personale; per le di- no agli occhi della collettività la timhv, il prestigio e
spute che la distribuzione poteva causare cfr. vv. 163 dunque il rango del singolo; è chiaro del resto che
ss.; Agamennone, come comandante supremo della qui è in gioco la timhv di Agamennone, ben più del
spedizione, ha diritto alla prima scelta. 27. L’epite- suo particolare attaccamento a una donna. 28. Al-
to inziale filokteanwvtate può apparire insultante, lusione alle devastazioni e ai saccheggi operati dal-
ma forse meno di quanto sembri a noi moderni: la l’esercito durante i nove anni di guerra, narrati nei
società omerica è in generale fortemente «avida» di Canti di Cipro (cfr. Ciclo epico).

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qeivomen, a]n d∆ aujth;n Crushi?da kallipavrh/on


bhvsomen: ei|" dev ti" ajrco;" ajnh;r boulhfovro" e[stw,
145 h] Ai[a" h] ∆Idomeneu;" h] di'o" ∆Odusseu;"
hje; su; Phlei?dh pavntwn ejkpaglovtat∆ ajndrw'n,
o[fr∆ h{min eJkavergon iJlavsseai iJera; rJevxa".
To;n d∆ a[r∆ uJpovdra ijdw;n prosevfh povda" wjku;" ∆Acilleuv":
w[ moi ajnaideivhn ejpieimevne kerdaleovfron
150 pw'" tiv" toi provfrwn e[pesin peivqhtai ∆Acaiw'n
h] oJdo;n ejlqevmenai h] ajndravs in i\fi mavcesqai…
ouj ga;r ejgw; Trwvwn e{nek∆ h[luqon aijcmhtavwn
deu'ro machsovmeno", ejpei; ou[ tiv moi ai[tioiv eijs in:
ouj ga;r pwvpot∆ ejma;" bou'" h[lasan oujde; me;n i{ppou",
155 oujdev pot∆ ejn Fqivh/ ejribwvlaki bwtianeivrh/
karpo;n ejdhlhvsant∆, ejpei; h\ mavla polla; metaxu;
ou[reav te skioventa qavlassav te hjchvessa:
ajlla; soi; w\ mevg∆ ajnaide;" a{m∆ eJspovmeq∆ o[fra su; caivrh/",
timh;n ajrnuvmenoi Menelavw/ soiv te kunw'pa
160 pro;" Trwvwn: tw'n ou[ ti metatrevph/ oujd∆ ajlegivzei":
kai; dhv moi gevra" aujto;" ajfairhvsesqai ajpeilei'",
w|/ e[pi polla; movghsa, dovsan dev moi ui|e" ∆Acaiw'n.
ouj me;n soiv pote i\son e[cw gevra" oJppovt∆ ∆Acaioi;
Trwvwn ejkpevrsws∆ eu\ naiovmenon ptoliveqron:
165 ajlla; to; me;n plei'on poluavi>ko" polevmoio
cei're" ejmai; dievpous∆: ajta;r h[n pote dasmo;" i{khtai,
soi; to; gevra" polu; mei'zon, ejgw; d∆ ojlivgon te fivlon te
e[rcom∆ e[cwn ejpi; nh'a", ejpeiv ke kavmw polemivzwn.
nu'n d∆ ei\mi Fqivhnd∆, ejpei; h\ polu; fevrterovn ejstin
170 oi[kad∆ i[men su;n nhusi; korwnivs in, oujdev s∆ oji?w
ejnqavd∆ a[timo" ejw;n a[feno" kai; plou'ton ajfuvxein.
To;n d∆ hjmeivbet∆ e[peita a[nax ajndrw'n ∆Agamevmnwn:
feu'ge mavl∆ ei[ toi qumo;" ejpevssutai, oujdev s∆ e[gwge
livssomai ei{nek∆ ejmei'o mevnein: pavr∆ e[moige kai; a[lloi
175 oi{ kev me timhvsousi, mavlista de; mhtiveta Zeuv".
e[cqisto" dev moiv ejssi diotrefevwn basilhvwn:
aijei; gavr toi e[ri" te fivlh povlemoiv te mavcai te:
eij mavla karterov" ejssi, qeov" pou soi; tov g∆ e[dwken:
oi[kad∆ ijw;n su;n nhusiv te sh'/" kai; soi'" eJtavroisi
180 Murmidovnessin a[nasse, sevqen d∆ ejgw; oujk ajlegivzw,
oujd∆ o[qomai kotevonto": ajpeilhvsw dev toi w|de:
wJ" e[m∆ ajfairei'tai Crushi?da Foi'bo" ∆Apovllwn,
th;n me;n ejgw; su;n nhi? t∆ ejmh'/ kai; ejmoi'" eJtavroisi
pevmyw, ejgw; dev k∆ a[gw Brishi?da kallipavrh/on

29. Il discorso di Achille (vv. 149-171) è un uni- sto da Agamennone ai vv. 140 ss. 31. Ecco espli-
cum nell’epica omerica: «Achille pensa e parla co- citato il rapporto ajrethv - timhv - gevra" che sta alla
me nessun altro personaggio omerico, soprattutto base del codice eroico: il guerriero è chiamato a
in virtù della sua visione assolutamente unica di ciò esercitare fino in fondo la sua ajrethv per ottenere
che realmente significa la guerra e di ciò che real- timhv, prestigio – e dunque autorità – agli occhi del-
mente spinge gli uomini a combattere» (G.S. la comunità; il gevra", al di là del valore intrinseco,
Kirk). 30. Achille allude al viaggio a Crisa propo- deve offrire “visibilità sociale” alla timhv frutto dell’aj-

44 L’EPICA
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imbarchiamo la figlia di Crise dalle belle guance,


e il capo della spedizione sia scelto tra i miei consiglieri,
Aiace o Idomeneo, oppure il nobile Odisseo,
oppure tu stesso, figlio di Peleo, il più tremendo fra tutti gli uomini:
fa’ tu il sacrificio e rendi propizio a noi il dio arciere».
Lo guardò di traverso e gli rispose il veloce Achille 29:
«Essere avido, pieno di sfrontatezza, come potrebbe
dare volentieri ascolto alle tue parole un Acheo,
affrontare una strada 30 o combattere contro il nemico?
Non sono venuto qui a causa dei guerrieri troiani,
per combatterli: non mi hanno fatto niente di male,
non mi hanno portato via le vacche e neanche i cavalli,
non hanno distrutto i raccolti della fertile Ftia,
madre d’eroi - tanti monti ombrosi ci sono in mezzo,
e il mare rumoreggiante.Te abbiamo seguito,
spudorato, per il tuo piacere, perché tu e Menelao
riceveste onore da Troia, faccia di cane!
Di questo non ti preoccupi, non ti dai pensiero,
e tu, proprio tu, minacci di portarmi via il premio
per cui tanto soffersi, e me lo diedero i figli dei Greci 31.
Mai non ho un premio uguale al tuo, quando i Greci
devastano qualche bella città dei Troiani:
la più parte della battaglia impetuosa la compiono
le mie mani; però, quando si arriva a spartire,
il tuo premio è molto più grande, ed io me ne vado
alle navi con uno piccolo e caro, dopo aver faticato a combattere.
Ora vado a Ftia: molto meglio tornare a casa
con le navi ricurve: no, non voglio restare
qui senza onore, ad accrescere le tue ricchezze 32».
E a lui così rispose il re Agamennone:
«Fuggi, se il tuo cuore ti spinge a questo, io non ti supplico
di rimanere per me.Accanto a me ci sono anche altri
che mi onoreranno, e il saggio Zeus soprattutto.
Tra i re nati da lui tu mi sei il più odioso,
perché sempre ti sono cari i litigi, le battaglie, le guerre:
se sei fortissimo, questo un dio te l’ha dato.
Vattene a casa con le tue navi e i tuoi compagni,
comanda ai Mirmidoni: io di te non mi curo,
non temo la tua collera: anzi, questo ti dico:
poiché Febo Apollo mi toglie la figlia di Crise,
io la manderò su una delle mie navi e coi miei compagni;
ma Briseide dalle belle guance verrò io stesso 33

rethv. 32. Osserva quali conseguenze sullo svilup- s∆ ojiw


? ...33. In realtà (vv. 320 ss.) Agamennone
po logico del discorso ha la struttura paratattica non andrà di persona ma invierà due araldi a com-
propria della dizione epica: la congiunzione causale piere le sue minacce; la contraddizione è stata spie-
ejpeiv dovrebbe introdurre la ragione della decisione gata come ennesima incongruenza dovuta alla tec-
di Achille, ma in realtà quello che segue è semplice- nica di composizione orale; oppure come ulteriore
mente un ampliamento incidentale; la vera ragione, connotazione negativa del personaggio, che non
il disonore, è invece espressa dalla coordinata oujdev osa affrontare Achille al di fuori delle garanzie as-

Omero: Iliade 45
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185 aujto;" ijw;n klisivhnde to; so;n gevra" o[fr∆ eju÷ eijdh'/"
o{sson fevrterov" eijmi sevqen, stugevh/ de; kai; a[llo"
i\son ejmoi; favsqai kai; oJmoiwqhvmenai a[nthn.
’W" favto: Phlei?wni d∆ a[co" gevnet∆, ejn dev oiJ h\tor
sthvqessin lasivoisi diavndica mermhvrixen,
190 h] o{ ge favsganon ojxu; ejrussavmeno" para; mhrou'
tou;" me;n ajnasthvseien, o} d∆ ∆Atrei?dhn ejnarivzoi,
h\e covlon pauvseien ejrhtuvseiev te qumovn.
h|o" o} tau'q∆ w{rmaine kata; frevna kai; kata; qumovn,
e{lketo d∆ ejk koleoi'o mevga xivfo", h\lqe d∆ ∆Aqhvnh
195 oujranovqen: pro; ga;r h|ke qea; leukwvleno" ”Hrh
a[mfw oJmw'" qumw'/ filevousav te khdomevnh te:
sth' d∆ o[piqen, xanqh'" de; kovmh" e{le Phlei?wna
oi[w/ fainomevnh: tw'n d∆ a[llwn ou[ ti" oJra'to:
qavmbhsen d∆ ∆Acileuv", meta; d∆ ejtravpet∆, aujtivka d∆ e[gnw

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200 Pallavd∆ ∆Aqhnaivhn: deinw; dev oiJ o[sse favanqen:
kaiv min fwnhvsa" e[pea pteroventa proshuvda:
tivpt∆ au\t∆ aijgiovcoio Dio;" tevko" eijlhvlouqa"…
h\ i{na u{brin i[dh/ ∆Agamevmnono" ∆Atrei?dao…
ajll∆ e[k toi ejrevw, to; de; kai; televesqai oji?w:
205 h|/" uJperoplivh/s i tavc∆ a[n pote qumo;n ojlevssh/.
To;n d∆ au\te proseveipe qea; glaukw'pi" ∆Aqhvnh:
h\lqon ejgw; pauvsousa to; so;n mevno", ai[ ke pivqhai,
oujranovqen: pro; dev m∆ h|ke qea; leukwvleno" ”Hrh
a[mfw oJmw'" qumw'/ filevousav te khdomevnh te:
210 ajll∆ a[ge lh'g∆ e[rido", mhde; xivfo" e{lkeo ceiriv:
ajll∆ h[toi e[pesin me;n ojneivdison wJ" e[setaiv per:
w|de ga;r ejxerevw, to; de; kai; tetelesmevnon e[stai:
kaiv potev toi tri;" tovssa parevssetai ajglaa; dw'ra
u{brio" ei{neka th'sde: su; d∆ i[sceo, peivqeo d∆ hJmi'n.
215 Th;n d∆ ajpameibovmeno" prosevfh povda" wjku;" ∆Acilleuv":
crh; me;n sfwi?terovn ge qea; e[po" eijruvssasqai
kai; mavla per qumw'/ kecolwmevnon: w|" ga;r a[meinon:
o{" ke qeoi'" ejpipeivqhtai mavla t∆ e[kluon aujtou'.
«H kai; ejp∆ ajrgurevh/ kwvph/ scevqe cei'ra barei'an,
220 a]y d∆ ej" kouleo;n w\se mevga xivfo", oujd∆ ajpivqhse
muvqw/ ∆Aqhnaivh": h} d∆ Ou[lumponde bebhvkei
dwvmat∆ ej" aijgiovcoio Dio;" meta; daivmona" a[llou".

sembleari (per le quali cfr. l’Analisi del testo di ad Agamennone, ed esordisce dicendo: «Alla tua fol-
p. 50, LA PRASSI ASSEMBLEARE). 34. L’“equazione” è lia io mi opporrò per primo, figlio di Atreo, come è
questa:Apollo sta ad Agamennone come Agamenno- lecito in assemblea, mio signore: e dunque non adi-
ne sta ad Achille; è un altro espediente retorico del rarti» (IX 32-33; trad. Ciani). 35. Il lessico delle
capo per ribadire la propria autorità sui subordina- emozioni è in Omero tanto articolato quanto sfug-
ti. Le parole conclusive di Agamennone violano pa- gente; in questi versi osserviamo ricorrere i termini
lesemente la consuetudine assembleare consolidata h\tor e qumov", mentre in precedenza abbiamo incon-
che offre a chiunque la possibilità di prendere la trato frevne"; gli ultimi due appaiono sostanzialmen-
parola e di sostenere la propria opinione, anche te equivalenti, indicando la sede dell’emozione e
contro quella del re; in un episodio successivo, in- del sentimento; il primo sembra invece legato alle
fatti, Diomede prende la parola proprio per opporsi facoltà decisionali. Il conflitto interiore di Achille è

46 L’EPICA
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alla tua tenda a portartela via, il tuo premio, così che tu impari
quanto sono più forte di te, e così anche ogni altro
tema di parlare di fronte a me, di dichiararsi mio pari34».
Così disse, e il dolore colpì il figlio di Peleo: il suo cuore
nel petto villoso si divideva tra due diversi pensieri:
o sfilare dalla coscia la spada acuta
e fare alzare gli altri e uccidere il figlio di Atreo,
o calmare la collera e trattenere il suo cuore 35.
Così pensava l’eroe nel cuore e nell’anima,
e traeva dal fodero la grande spada, ma giunse Atena
dal cielo: l’aveva mandata Era, la dea dalle candide braccia,
che amava ugualmente ed aveva a cuore ambedue.
Si fermò in piedi dietro il figlio di Peleo e lo prese
per i biondi capelli, visibile a lui soltanto; degli altri nessuno
la vide. Si stupì Achille, si volse e riconobbe
subito Pallade Atena – le splendevano gli occhi terribilmente 36 –
e rivolgendosi a lei le disse queste parole alate 37:
«Perché sei venuta qui, figlia di Zeus signore dell’egida 38?
Per vedere la violenza dell’Atride Agamennone?
Ma io ti dico, e penso che sarà in questo modo:
con la sua superbia presto distruggerà se medesimo».
A lui rispose Atena, la dea dagli occhi splendenti:
«Sono venuta a fermare la tua furia, se vorrai darmi ascolto;
giungo dal cielo, mi manda Era, la dea dalle candide braccia,
che ama ugualmente ed ha a cuore ambedue 39.
Orsù, smetti la lite, non sguainare la spada,
contentati d’umiliarlo a parole, dicendogli quel che deve essere,
e come ti dico, così sarà: verrà un giorno
che ti offriranno splendidi doni, tre volte tanto,
in cambio di questa violenza: trattieniti e dammi retta».
E a lei così disse in risposta il veloce Achille:
«Devo obbedire, dea, alla vostra parola,
per quanto sia irato nel cuore: sarà questo il meglio.
Chi obbedisce agli dèi, gli dèi molto lo ascoltano».
Disse e fermò sull’elsa d’argento la mano pesante,
e di nuovo ripose la grande spada nel fodero,
obbedendo alla parola d’Atena: lei tornò sull’Olimpo
nelle case di Zeus, signore dell’egida, con gli altri dèi.

raffigurato esso pure come un agone assembleare un relitto di un arcaico culto teriomorfo, come nel
fra i sostenitori di due opposte proposte; l’h\tor è caso Apollo-topo (cfr. nota 12). 37. e[pea pteroven-
l’arbitro cui è demandata la decisione finale. 36. ta: formula assai frequente, interpretata in modi di-
Lo splendore sovrumano e terribile dello sguardo è versi: le parole sono «alate» perché volano veloci,
genericamente un attributo della divinità, ma ricor- come gli uccelli, oppure perché colpiscono nel se-
diamo che l’epiteto specifico di Atena è glaukw'pi" gno, come le frecce. 38. aijgiovcoio: l’egida (aijgiv")
(cfr. v. 206), e comunque lo si interpreti («dagli oc- era uno scudo che la tradizione descriveva ricoper-
chi cerulei» o «dagli occhi di civetta») esso rimanda to dalla pelle della capra (ai[x) Amaltea, che con il
a un potere legato in modo particolare allo sguar- suo latte aveva nutrito Zeus bambino; brandendolo
do. Il confronto con l’epiteto di Era bow'pi" («dagli Zeus scatenava il tuono e il lampo, gettando il terro-
occhi di giovenca») ha indotto alcuni a pensare ad re fra i suoi nemici. 39. I vv. 208-209 sono uguali

Omero: Iliade 47
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Phlei?dh" d∆ ejxau'ti" ajtarthroi'" ejpevessin


∆Atrei?dhn proseveipe, kai; ou[ pw lh'ge covloio:
225 oijnobarev", kuno;" o[mmat∆ e[cwn, kradivhn d∆ ejlavfoio,
ou[tev pot∆ ej" povlemon a{ma law'/ qwrhcqh'nai
ou[te lovcon d∆ ijevnai su;n ajristhvessin ∆Acaiw'n
tevtlhka" qumw'/: to; dev toi kh;r ei[detai ei\nai.
h\ polu; lwvi>ovn ejsti kata; strato;n eujru;n ∆Acaiw'n
230 dw'r∆ ajpoairei'sqai o{" ti" sevqen ajntivon ei[ph/:
dhmobovro" basileu;" ejpei; oujtidanoi's in ajnavssei":
h\ ga;r a]n ∆Atrei?dh nu'n u{stata lwbhvsaio.
ajll∆ e[k toi ejrevw kai; ejpi; mevgan o{rkon ojmou'mai:
nai; ma; tovde skh'ptron, to; me;n ou[ pote fuvlla kai; o[zou"
235 fuvsei, ejpei; dh; prw'ta tomh;n ejn o[ressi levloipen,
oujd∆ ajnaqhlhvsei: peri; gavr rJav eJ calko;" e[leye
fuvllav te kai; floiovn: nu'n au\tev min ui|e" ∆Acaiw'n
ejn palavmh/" forevousi dikaspovloi, oi{ te qevmista"
pro;" Dio;" eijruvatai: o} dev toi mevga" e[ssetai o{rko":
240 h\ pot∆ ∆Acillh'o" poqh; i{xetai ui|a" ∆Acaiw'n
suvmpanta": tovte d∆ ou[ ti dunhvseai ajcnuvmenov" per
craismei'n, eu\t∆ a]n polloi; uJf∆ ”Ektoro" ajndrofovnoio
qnhvskonte" pivptwsi: su; d∆ e[ndoqi qumo;n ajmuvxei"
cwovmeno" o{ t∆ a[riston ∆Acaiw'n oujde;n e[tisa".
245 ’W" favto Phlei?dh", poti; de; skh'ptron bavle gaivh/
cruseivoi" h{loisi peparmevnon, e{zeto d∆ aujtov".

ai vv. 195-196; la ripetizione di intere sequenze di ha creato perplessità già presso i critici antichi; nul-
versi è una caratteristica propria della dizione for- la infatti, nei poemi, accredita l’immagine di un Aga-
mulare epica. 40. La sequenza di epiteti offensivi mennone alcolizzato, svergognato e codardo (que-

Analisi del testo


■ LA CONTESA FRA IL VALORE gno evidente e tangibile della stima di cui
E IL POTERE l’eroe gode agli occhi della collettività;
Tema centrale dell’episodio è il confronto l’atto di portargliela via rappresenta un af-
tra il valore individuale incarnato da fronto gravissimo, perché mira a distrug-
Achille e il principio dell’autorità sovra- gere l’immagine sociale dell’eroe, ovvero
na: in un passo successivo (vv. 280-281) ciò che lo fa sussistere come tale. In gio-
l’anziano Nestore ben sintetizzerà la di- co, dunque, è la timhv, l’onore, il prestigio
stinzione affermando: «Se tu (Achille) sei agli occhi degli altri senza il quale la stes-
più forte (karterov"), e ti ha partorito una sa ajrethv, che non basta a se stessa perché
dea, / lui (Agamennone) è più potente non è ancora virtù interiore, perde la sua
(fevrtero"), perché comanda a più uomi- funzione sociale, e diviene perciò inutile:
ni». Briseide, dono dell’esercito ad Achille se con Briseide ad Achille viene tolta la
per il suo valore in battaglia, rappresenta, timhv, mostrare la propria ajrethv in batta-
nell’ottica di quella che gli antropologi glia non ha più senso, né scopo; e Achille
definiscono «civiltà della vergogna», un se- abbandona la lotta.

48 L’EPICA
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Allora il figlio di Peleo di nuovo con aspre parole


si rivolse all’Atride, e non trattenne la collera:
«Ubriacone, faccia di cane e cuore di cervo 40,
tu non hai mai avuto il coraggio di armarti
per la guerra assieme ai tuoi uomini, né di andare in agguato 41
coi migliori dei Greci: questo ti sembra la morte.
Molto meglio è restare nel vasto campo dei Greci
e portar via i premi di chi ti parla apertamente,
re divoratore del popolo, poiché comandi a gente da nulla:
altrimenti, figlio di Atreo, per l’ultima volta avresti offeso.
Ma io ti dico e ti faccio un giuramento solenne:
per questo scettro che non metterà più rami né foglie
da quando una volta è stato tagliato sui monti,
non rifiorirà mai più – il ferro gli ha tolto
foglie e corteccia, e ora lo tengono in mano

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i figli dei Greci che amministrano legge e diritto
in nome di Zeus; è questo il giuramento più grande –
un giorno la nostalgia di Achille invaderà i Greci
tutti; e tu non potrai in nessun modo soccorrerli
per quanto addolorato, quando in tanti cadranno per mano
di Ettore uccisore di uomini, e ti roderai dentro il cuore
per la rabbia di non aver onorato il migliore dei Greci».
Così disse il figlio di Peleo, e gettò a terra lo scettro
adorno di borchie dorate e sedette.
(trad. Guido Paduano)

sto significano, rispettivamente, «faccia di cane» e ta nell’Iliade, che la considera l’occasione in cui
«cuor di cervo»). 41. La tattica dell’«agguato», ri- «soprattutto si manifesta il valore degli uomini»
servata ad aristocratici, è particolarmente apprezza- (XIII 277).

Che del resto in gioco sia un contrasto onore da Troia, faccia di cane!», vv. 157-
insanabile tra valore e potere, lo si rileva 159), Agamennone sminuendo il “valo-
da come la narrazione, prima ancora che re”come estraneo al merito individuale
esploda il contrasto fra gli eroi, tenda a («se sei fortissimo, questo un dio te l’ha
connotare negativamente Agamennone, dato», v. 178) e addirittura rovesciandolo
reo in particolare di avere empiamente nel suo opposto («fuggi, se il tuo cuore ti
offeso due sacerdoti, positivamente inve- spinge a questo», v. 173).
ce Achille, la cui azione è inoltre ispirata L’azione di Agamennone è guidata insom-
dagli dèi. ma dalla volontà precisa di affermare il
Quando poi si arriva allo scontro verba- “potere” a scapito del “valore”, e nello
le, ciascuno attacca l’avversario proprio scontro con Achille vede un modo per ri-
sul piano dei principi che li caratterizza- affermare la propria autorità («...così che
no.Achille rinfacciando al potere di agire tu impari / quanto sono più forte di te, e
unicamente per interesse personale («te così anche ogni altro / tema di parlare di
abbiamo seguito, / spudorato, per il tuo fronte a me, di dichiararsi mio pari», vv.
piacere, perché tu e Menelao / riceveste 185-187).

Omero: Iliade 49
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■ LA PRASSI ASSEMBLEARE Come ogni agone, la lite segue regole pre-


Lo studio delle strategie della comunica- cise, ed è previsto anche l’intervento di
zione nella Grecia arcaica ha consentito un arbitro a garanzia del rispetto delle re-
di rintracciare nell’episodio della lite fra gole: quando infatti Achille, violando il co-
Agamennone e Achille i caratteri di una dice agonistico assembleare, fa il gesto di
prassi assembleare agonistica ben conso- sfoderare la spada (con il rischio che un
lidata. Sappiamo che l’ajrethv iliadica si rea- duello incentrato sul lovgo" degeneri sul
lizza sostanzialmente nei due ambiti delle piano, affine ma separato, degli o[pla),Ate-
armi (o[pla) e della parola (lovgo"), che tro- na, arbitro divino, compare accanto all’e-
vano il proprio ambito di applicazione roe per ricondurre la contesa nell’ambito
particolare sul campo di battaglia e nel- corretto: «orsù, smetti la lite, non sguaina-
l’assemblea; l’episodio della lite è struttu- re la spada, / contentati di umiliarlo a pa-
rato per l’appunto come una e[ri", una role, dicendogli quel che deve essere»,
«contesa», una sfida e un duello verbale. (vv. 210-211).

2 Tersite, l’anti-eroe
Iliade II 211-277

Convocata l’assemblea dei soldati, Agamennone, per mettere alla prova la volontà combattiva del-
le truppe, ricorre allo strano espediente di ricordare i lunghi travagli sofferti, invitando l’esercito a
lasciare la piana di Troia e a veleggiare verso la patria. Il discorso provoca la fuga precipitosa verso
le navi dei soldati, smaniosi di tornare alle loro case. Per intervento divino Odisseo, valendosi dello

“Alloi mevn rJ∆ e{zonto, ejrhvtuqen de; kaq∆ e{dra":


Qersivth" d∆ e[ti mou'no" ajmetroeph;" ejkolwv/a,
o}" e[pea fresi;n h|/s in a[kosmav te pollav te h[/dh
mavy, ajta;r ouj kata; kovsmon, ejrizevmenai basileu's in,
215 ajll∆ o{ ti oiJ ei[saito geloivi>on ∆Argeivoisin
e[mmenai: ai[scisto" de; ajnh;r uJpo; “Ilion h\lqe:
folko;" e[hn, cwlo;" d∆ e{teron povda: tw; dev oiJ w[mw
kurtw; ejpi; sth'qo" sunocwkovte: aujta;r u{perqe
foxo;" e[hn kefalhvn, yednh; d∆ ejpenhvnoqe lavcnh.
220 e[cqisto" d∆ ∆Acilh'i> mavlist∆ h\n hjd∆ ∆Odush'i>:
tw; ga;r neikeiveske: tovt∆ au\t∆ ∆Agamevmnoni divw/
ojxeva keklhvgwn levg∆ ojneivdea: tw'/ d∆ a[r∆ ∆Acaioi;
ejkpavglw" kotevonto nemevsshqevn t∆ ejni; qumw'/.

1. Tersite è nome parlante, derivando dalla radice di la parola nell’assemblea sembra caratterizzarlo co-
qevrso", forma eolica della voce ionica qavrso", qui me un guerriero di una certa dignità; in più, al v. 231
nell’accezione di «avventatezza» piuttosto che di «ar- egli stesso vanta le proprie imprese militari, ricor-
dire». L’epiteto ajmetroephv" non compare altrove in dando la cattura di un dignitario troiano. Kirk con-
Omero, e indica chi «non sa misurare le parole».Ter- clude che, verosimilmente, la mancanza di luogo
site è l’unico personaggio di cui Omero non forni- d’origine e patronimico dipende sostanzialmente
sce né il luogo di provenienza né il patronimico; tut- dal giudizio morale negativo del poeta sul personag-
tavia alcuni dettagli farebbero pensare non a un sol- gio. 2. L’uso di ai[scisto" per indicare pessime
dato qualunque dell’anonima «moltitudine» dell’e- qualità fisiche piuttosto che morali è eccezionale; ri-
sercito acheo: il fatto stesso che egli possa prendere corda che in Omero aspetto (ei\do") e valore (ajrethv)

50 L’EPICA
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VERIFICA T1

1. Quali sono state le teorie più significative privo di abilità diplomatica. Quali passi del
che i filologi del XIX e del XX secolo hanno T 1 potresti citare a sostegno di queste af-
formulato a proposito della questione ome- fermazioni?
rica? 5. Perché sia Agamennone che Achille reagi-
2. Quali sono gli elementi tipici della dizione scono con il massimo sdegno all’idea di do-
epica? Sapresti individuarne degli esempi ver restituire le loro schiave di guerra?
nel T 1? 6. La fierezza di Achille non vacilla neppure di
3. Dopo aver riletto il proemio dell’Iliade (I 1- fronte all’apparizione della divinità. Cita,
8), spiega perché in esso sono anticipati la nel testo greco, l’espressione con cui l’e-
trama e vari altri aspetti del poema. roe accoglie Atena.
4. Secondo Gian Battista Vico, Agamennone 7. Attraverso quale immagine Achille fa senti-
non ha nessuna delle qualità del buon poli- re il carattere irreversibile della sua deci-
tico: è egocentrico, imprudente e del tutto sione di ritirarsi dalla guerra?

scettro di Agamennone, riesce miracolosamente ad arrestare quella impetuosa fiumana di uomini


e li induce a tornare all’agorà: con i capi usa i mezzi della persuasione, con quelli del dh`mo" agisce
duramente percuotendoli con lo scettro e insultandoli. Tutti tacciono, solo Tersite continua a tu-
multuare attaccando lo stesso Agamennone.

Gli altri dunque sedevano, furon tenuti a posto.


Solo Tersite vociava ancora smodato 1,
che molte parole sapeva in cuore, ma a caso,
vane, non ordinate, per sparlare dei re:
quello che a lui sembrava che per gli Argivi sarebbe
buffo. Era l’uomo più brutto 2 che venne sotto Ilio.
Era camuso 3 e zoppo d’un piede, le spalle
eran torte, curve e rientranti sul petto; il cranio
aguzzo 4 in cima, e rado il pelo fioriva.
Era odiosissimo, soprattutto ad Achille e a Odisseo,
ché d’essi sparlava sempre; ma allora contro il glorioso Agamennone
diceva ingiurie, vociando stridulo; certo con lui 5 gli Achei
l’avevano terribilmente, l’odiavano, però dentro il cuore;

coincidono solo fino a un certo punto;Achille è in- chi oscillano fra «appuntito» e «annerito» (dal fuoco,
fatti l’eroe più bello e più forte di tutti, ma per come un vaso mal cotto). 5. Il pronome è stato ri-
esempio in Nireo (v. 673) la bellezza non si accom- ferito da alcuni ad Agamennone, e il senso del brano
pagna affatto alla prodezza. 3. L’aggettivo folkov" sarebbe il seguente: l’esercito ce l’aveva a morte
è un hapax; giacché la descrizione sembra muovere con Agamennone, ma nessuno aveva il coraggio di
dal basso verso l’alto, il significato più probabile esprimere ad alta voce le proprie rimostranze, salvo
non è quello riportato dalla traduzione, bensì «dalle Tersite, raffigurato dunque come una sorta di “eroe
gambe storte» (Liddell-Scott-Jones; Cerri), oppure popolare”; l’interpretazione più diffusa riferisce in-
«che strascica i piedi» (Lobeck, Kirk). 4. Per il va- vece il pronome a Tersite, facendo dunque di lui
lore di foxov", di ignota etimologia, i grammatici anti- l’oggetto del sordo rancore dell’esercito.

Omero: Iliade 51
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aujta;r o} makra; bow'n ∆Agamevmnona neivkee muvqw/:


225 «∆Atrei?dh tevo d∆ au\t∆ ejpimevmfeai hjde; cativzei"…
plei'aiv toi calkou' klisivai, pollai; de; gunai'ke"
eijs i;n ejni; klisivh/" ejxaivretoi, a{" toi ∆Acaioi;
prwtivstw/ divdomen eu\t∆ a]n ptoliveqron e{lwmen.
h\ e[ti kai; crusou' ejpideuveai, o{n kev ti" oi[sei
230 Trwvwn iJppodavmwn ejx ∆Ilivou ui|o" a[poina,
o{n ken ejgw; dhvsa" ajgavgw h] a[llo" ∆Acaiw'n,
hje; gunai'ka nevhn, i{na mivsgeai ejn filovthti,
h{n t∆ aujto;" ajponovsfi kativsceai… ouj me;n e[oiken
ajrco;n ejovnta kakw'n ejpibaskevmen ui|a" ∆Acaiw'n.
235 w\ pevpone" kavk∆ ejlevgce∆ ∆Acaii?de" oujkevt∆ ∆Acaioi;
oi[kadev per su;n nhusi; newvmeqa, tovnde d∆ ejw'men
aujtou' ejni; Troivh/ gevra pessevmen, o[fra i[dhtai
h[ rJav tiv oiJ chjmei'" prosamuvnomen h\e kai; oujkiv:

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o}" kai; nu'n ∆Acilh'a e{o mevg∆ ajmeivnona fw'ta
240 hjtivmhsen: eJlw;n ga;r e[cei gevra" aujto;" ajpouvra".
ajlla; mavl∆ oujk ∆Acilh'i> covlo" fresivn, ajlla; meqhvmwn:
h\ ga;r a]n ∆Atrei?dh nu'n u{stata lwbhvsaio».
’W" favto neikeivwn ∆Agamevmnona poimevna law'n,
Qersivth": tw'/ d∆ w\ka parivstato di'o" ∆Odusseuv",
245 kaiv min uJpovdra ijdw;n calepw'/ hjnivpape muvqw/:
Qersi't∆ ajkritovmuqe, liguv" per ejw;n ajgorhthv",
i[sceo, mhd∆ e[qel∆ oi\o" ejrizevmenai basileu's in:
ouj ga;r ejgw; sevo fhmi; cereiovteron broto;n a[llon
e[mmenai, o{ssoi a{m∆ ∆Atrei?dh/" uJpo; “Ilion h\lqon.
250 tw; oujk a]n basilh'a" ajna; stovm∆ e[cwn ajgoreuvoi",
kaiv sfin ojneivdeav te profevroi", novstovn te fulavssoi".
oujdev tiv pw savfa i[dmen o{pw" e[stai tavde e[rga,
h] eu\ h\e kakw'" nosthvsomen ui|e" ∆Acaiw'n.
tw' nu'n ∆Atrei?dh/ ∆Agamevmnoni poimevni law'n
255 h|sai ojneidivzwn, o{ti oiJ mavla polla; didou's in
h{rwe" Danaoiv: su; de; kertomevwn ajgoreuvei".
ajll∆ e[k toi ejrevw, to; de; kai; tetelesmevnon e[stai:
ei[ k∆ e[ti s∆ ajfraivnonta kichvsomai w{" nuv per w|de,
mhkevt∆ e[peit∆ ∆Odush'i> kavrh w[moisin ejpeivh,
260 mhd∆ e[ti Thlemavcoio path;r keklhmevno" ei[hn,
eij mh; ejgwv se labw;n ajpo; me;n fivla ei{mata duvsw,
clai'navn t∆ hjde; citw'na, tav t∆ aijdw' ajmfikaluvptei,
aujto;n de; klaivonta qoa;" ejpi; nh'a" ajfhvsw
peplhvgwn ajgorh'qen ajeikevssi plhgh'/s in.
265 ’W" a[r∆ e[fh, skhvptrw/ de; metavfrenon hjde; kai; w[mw
plh'xen: o} d∆ ijdnwvqh, qalero;n dev oiJ e[kpese davkru:

6. Non è ben chiaro a quali «mali» faccia qui riferi- ta la vivezza delle immagini e il respiro del movi-
mento Tersite; forse alla pestilenza che ha di recente mento sintattico, cui contribuisce un uso sapiente
colpito l’esercito, o più in generale ai disagi legati al- dell’enjambement) e accorto nel contenuto, in par-
la forzata permanenza a Troia, per combattere una ticolare allorquando riprende temi già sviluppati
guerra di cui solo Agamennone godrà i frutti. 7. Il nella contesa fra Achille e Agamennone, come quel-
discorso di Tersite appare elaborato nella forma (no- lo dell’avidità del capo, avvezzo a godersi i frutti del-

52 L’EPICA
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ma quello gridando forte accusava Agamennone con parole:


«Atride, di che ti lamenti? che brami ancora?
piene di bronzo hai le tende, e molte donne
sono nelle tue tende, scelte, ché a te noi Achei
le diamo per primo, quando abbiamo preso una rocca;
e ancora hai sete d’oro, che ti porti qualcuno
dei Teucri domatori di cavalli riscatto, pel figlio
preso e legato da me o da un altro dei Danai?
o vuoi giovane donna, per far con essa all’amore,
e che tu solo possieda in disparte? ma non è giusto
che un capo immerga nei mali 6 i figli degli Achei.
Ah poltroni, brutti vigliacchi,Achee non Achei,
a casa, sì, sulle navi torniamo, lasciamo costui
qui, a Troia, a digerirsi i suoi onori, che veda
se tutti noi lo aiutavamo o no.
Egli che adesso anche Achille, un uomo migliore di lui,
ha offeso; ha preso e si tiene il suo dono, gliel’ha strappato!
Davvero ira non v’è nel cuore d’Achille, è longanime,
se no,Atride, ora per l’ultima volta offendevi 7».
Diceva così, infamando Agamennone pastore d’eserciti,
Tersite; e a lui si avvicinò rapido il glorioso Odisseo
guardandolo bieco, lo investì con dure parole:
«Tersite, lingua confusa, per quanto arguto oratore,
smetti e non osare, tu, di offendere i re 8.
Io dico che un altro uomo più vile di te
non esiste, quanti con gli Atridi vennero sotto Ilio.
Perciò tu non parlare avendo i re sulla bocca;
non vomitare ingiurie, non ti curar del ritorno.
Non sappiamo ancor bene come saran queste cose,
se con fortuna o sfortuna torneremo, noi figli degli Achei.
Ma tu per questo l’Atride Agamennone pastore d’eserciti
godi d’offendere, perché molti doni gli dànno
gli eroi Danai; e tu concioni ingiuriando.
Però ti dico e questo avrà compimento;
se ancora a far l’idiota come adesso ti colgo,
non resti più la testa d’Odisseo sulle spalle,
non più di Telèmaco possa chiamarmi padre,
s’io non ti acciuffo, ti spoglio delle tue vesti,
mantello e tunica, che le vergogne ti coprono 9,
e ti rimando piangente alle rapide navi,
fuori dell’assemblea, percosso con colpi infamanti!».
Disse così, e con lo scettro il petto e le spalle
percosse; quello si contorse, gli cadde una grossa lacrima,

le fatiche altrui; Willcock osserva opportunamente testa. 9. L’esposizione dei genitali è particolar-
come gli argomenti di Tersite appaiano come «una mente infamante per un eroe, e l’infamia è enfatiz-
parodia di quelli di Achille nel libro I». 8. «Offen- zata dal linguaggio sempre castigatissimo di Omero
dere i re» è già di per sé una colpa, specialmente se riguardo a queste parti anatomiche (tanto che nel
a farlo è un individuo oi\o" cioè solo, isolato, senza repertorio ricchissimo di traumi e ferite descritte
alcun seguito tra le fila dell’esercito, che anzi lo de- dal poeta, ricorrono in una sola occasione).

Omero: Iliade 53
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smw'dix d∆ aiJmatovessa metafrevnou ejxupanevsth


skhvptrou u{po crusevou: o} d∆ a[r∆ e{zeto tavrbhsevn te,
ajlghvsa" d∆ ajcrei'on ijdw;n ajpomovrxato davkru.
270 oi} de; kai; ajcnuvmenoiv per ejp∆ aujtw'/ hJdu; gevlassan:
w|de dev ti" ei[pesken ijdw;n ej" plhsivon a[llon:
w] povpoi h\ dh; muriv∆ ∆Odusseu;" ejsqla; e[orge
boulav" t∆ ejxavrcwn ajgaqa;" povlemovn te koruvsswn:
nu'n de; tovde mevg∆ a[riston ejn ∆Argeivoisin e[rexen,
275 o}" to;n lwbhth'ra ejpesbovlon e[sc∆ ajgoravwn.
ou[ qhvn min pavlin au\ti" ajnhvsei qumo;" ajghvnwr
neikeivein basilh'a" ojneideivoi" ejpevessin.

un gonfio sanguinolento si sollevò sul dorso


sotto lo scettro d’oro; sedette e sbigottì
dolorando, con aria stupida si rasciugò la lacrima 10:
gli altri scoppiarono a ridere di cuore di lui, benché afflitti 11,
e uno parlava così, guardando un altro vicino:
«Ah, davvero, mille cose belle ha fatto Odisseo,
dando buoni consigli e primeggiando in guerra;
ma questa ora è la cosa più bella che ha fatto tra i Danai,
che ha troncato il vociare di quel villano arrogante.
Va’, che il nobile cuore non lo spingerà certo più
a infamare i sovrani con parole ingiuriose!».
(trad. Rosa Calzecchi Onesti)

10. La descrizione degli effetti delle percosse e del- che per le offensive parole pronunciate da Tersite,
le reazioni di Tersite è particolarmente vivida e ric- non certo per la punizione subita dal personaggio,
ca di dettagli assieme realistici e grotteschi, che de- che anzi suscita il riso; notiamo come il riso – uma-
finiscono il ritratto di questo personaggio, negazio- no e divino – di norma nell’Iliade accompagni
ne e rovesciamento di ogni ideale eroico di qualche “brutta figura” toccata a questo o a quel
Omero. 11. Gli Achei sono evidentemente «afflit- personaggio, costituendo la sanzione sociale tipica
ti» sia per il recente sconvolgimento dell’esercito di una «civiltà della vergogna».

Analisi del testo


■ LA RESTAURAZIONE ne stravaganti, Firenze 1942, notò che la
DELL’ORDINE VIOLATO bellezza nei poemi omerici non è descrit-
Uomo libero, rappresentante della massa ta, è solo enunciata, spesso con formule,
anonima, di strati sociali in fase di cresci- mentre solo la sfera del brutto acquista
ta, ma duramente repressi dall’aristocra- dimensioni individuali e viene descritta
zia dominante, Tersite, che ha l’ardire di con ricchezza di particolari). E opportu-
insultare Achille e Odisseo e di ingiuriare namente la funzione di restauratore dei
Agamennone, è rappresentato come esse- valori offesi dallo sproloquio di Tersite –
re ripugnante e deforme, con un ritratto ché tale esso è per il poeta, anche se il
fisico inconsuetamente realistico, nel qua- lettore moderno può leggere in esso una
le la deformità è specchio di un animo protesta, in anticipo sui tempi, contro l’i-
basso e volgare, segno di un disvalore da niquità dei capi – viene assunta da Odis-
colpire e da esecrare perché antieroico seo: «Odisseo incarna quei valori costitu-
per eccellenza. (Il Pasquali, in Terze pagi- tivi dell’ajrethv di cui [...] Tersite è la viven-

54 L’EPICA
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te parodia, l’abbozzo informe, il persecu- la tensione, il dissolversi dell’incubo, la


tore velleitario: Odisseo è soprattutto il rassicurante restaurazione dei valori “co-
lovgo" nella sua espressione perfetta e smici” dopo la tentazione e il momenta-
nella sua irresistibile forza di convinzio- neo smarrimento: Tersite diviene così il
ne, quale apparirà nel suo successivo capro espiatorio, la vittima catartica; e
discorso agli Achei. Le sue parole e il suo perciò il poeta si è preoccupato di raffi-
atto sprezzante, castigando Tersite e ri- gurarlo deforme come il disordine e la
ducendolo al suo essere, restaurano il negatività che simboleggia, e subito af-
kovsmo" (l’«ordine») che gli a[kosma e[ph (i flosciato come un vuoto spauracchio,
«detti sconvenienti»), le parole ouj kata; nel cui sacrificio gli Achei si liberano da
kovsmon («non conformi alla regola») di ogni scoria e trionfano su ciò che an-
quello avevano turbato. Di certo si direb- ch’essi sarebbero potuti essere». (M. Bar-
be che il poeta abbia rappresentato nel chiesi, Due capitoli sul comico, in
riso degli Achei (v. 270) lo spezzarsi del- «Maia», 4, 1960, pp. 285-286).

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LA SOCIETÀ OMERICA

Cultura, storia, società


N ella società omerica, osserva Moses Finley, l'unica marcata distinzione è quella
tra aristocratici e popolo; la diversificazione delle classi sociali in base alla pro-
fessione è scarsamente definita, anche se per alcune prestazioni si nota una partico-
lare considerazione. Gli schiavi costituivano un gruppo consistente, continuamente
alimentato dalla pirateria e dalle guerre.Verso di loro i padroni non avevano scru-
poli morali e, se ciò accadeva, era considerato un fatto degno di nota.

c’è una parola generica per designare il


“ Unail mondo
segna
profonda divisione orizzontale
dei poemi omerici. Sopra «contadino» o l’«artigiano», e ciò si capi-
la linea stanno gli àristoi, letteralmente sce. Questo mondo […] non ha strati ge-
gli «ottimi», i nobili ereditari che detengo- rarchici nettamente contrassegnati come
no la maggior parte della ricchezza e tut- il mondo delle tavolette in Lineare B o
to il potere, in pace come in guerra. Sot- del Vicino Oriente antico. Neppure il con-
to, stanno tutti gli altri, per i quali non esi- trasto tra schiavo e libero emerge con tut-
ste un termine tecnico collettivo, la molti- ta chiarezza. La parola drestèr, per esem-
tudine. Il solco tra le due parti è varcato pio, che significa «uno che lavora o ser-
raramente, se non nei casi inevitabili di ve», è usata nell’Odissea tanto per il libe-
guerre e scorrerie. L’economia è tale che ro quanto per il non libero. Spesso è im-
la creazione di nuove fortune, e quindi di possibile distinguere il lavoro che fanno e
nuovi nobili, è impensabile. Il matrimonio il trattamento che ricevono, da parte dei
è strettamente legato alla classe, così che loro padroni e nella psicologia del poeta.
anche l’altra porta dell’avanzamento so- Gli schiavi erano numerosi: erano pro-
ciale è saldamente sbarrata. prietà, disponibile a piacere. Più precisa-
Sotto la linea principale ci sono varie al- mente, dato che le occasioni principali
tre divisioni che però, a differenza della per procurarsene erano le guerre e le
distinzione primaria tra aristocratico e scorrerie, c’erano soprattutto schiave:
uomo del popolo, sembrano confuse e non c’erano grandi ragioni, economiche o
spesso sono indefinibili. Nei poemi non morali, di risparmiare e rendere schiavi

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gli uomini sconfitti. Di regola gli eroi uc-


Cultura, storia, società
Odisseo è detto che ha cinquanta schia-
cidevano (o talvolta restituivano dietro ri- ve, ma questa è una comoda cifra tonda,
scatto) i maschi e portavano via le femmi- usata anche per la casa di Alcinoo, re dei
ne senza badare al rango. Prima di innal- Feaci. Ci sono anche alcuni uomini schia-
zare la sua preghiera per il figlio, Ettore, vi, come il porcaro Eumeo, aristocratico
che conosce il proprio destino, dice alla di nascita, che è stato rapito bambino da
moglie: «Ma non tanto mi affliggo per il mercanti fenici e venduto schiavo. Gli
futuro dolore dei Troiani... quanto per il schiavi maschi lavorano in casa, come le
tuo, quando uno degli Achei dalla veste di donne, e anche nei campi e nelle vigne,
bronzo ti trascinerà via in lacrime; e vi- mai fuori del paese come servi o atten-
vrai in Argo, lavorando al telaio agli ordini denti.
di un’altra donna, e attingerai acqua da Degli Itacesi che non sono né schiavi né
Messeide o Iperea, quanto mai riluttante, nobili, il grosso della comunità, alcuni so-
e sarai sottoposta a grave costrizione» (VI no presumibilmente «liberi» pastori e
450-8). contadini con proprie terre (non dobbia-
Ettore non aveva bisogno dell’aiuto di mo tuttavia presumere che qui la «libertà»
Apollo per predire il futuro. Nella storia abbia precisamente le stesse connotazio-
greca non si fece mai diversamente: le ni e gli stessi attributi che avrà più tardi
persone e la proprietà dei vinti apparte- nella Grecia classica e nei tempi moder-
nevano al vincitore, che ne disponeva co- ni).Altri sono specialisti, falegnami e lavo-
me preferiva. Ma Ettore dimostra un gen- ratori di metalli, indovini, cantori e medi-
tile riserbo, perché la sua profezia non è ci. Poiché provvedono a certi bisogni es-
completa. Il posto delle schiave era in ca- senziali con una capacità che né i signori
sa, per lavare, cucire, pulire, macinare il né i loro seguaci non specialisti possono
grano, servire; se però erano giovani, il lo- uguagliare, questi pochi uomini restano
ro posto era anche nel letto del padrone, sospesi a mezz’aria nella gerarchia socia-
Briseide in quello di Achille, Criseide in le. Indovini e medici possono anche esse-
quello di Agamennone. Della vecchia nu- re nobili, ma gli altri, benché siano vicini
trice Euriclea il poeta riferisce che «Laer- alla classe aristocratica e sotto molti
te la comprò con [alcuni] suoi beni, anco- aspetti ne condividano il modo di vivere,
ra giovanissima... ma non si unì mai con sono decisamente separati dall’aristocra-
lei nel letto, evitando l’ira della moglie» zia, come dimostrano il trattamento usato
(1.430-3). Ciò che giustifica il commento al cantore Femio e il suo modo di com-
speciale sono l’eccezionalità del compor-
tamento di Laerte e la minaccia dell’ira
portarsi.

della moglie. Né la consuetudine né la
moralità esigevano tale astinenza. (Moses I. Finley, Il mondo di Odisseo,
Qui è inutile andare in cerca di cifre. Di Bari 1978, pp. 21-22)

3 Elena e i principi di Troia


Iliade III 139-160

Mentre si vanno facendo i preparativi per il duello fra Menelao e Paride, con lo scopo di porre fine
così alla lunga guerra, Elena, oggetto della contesa e premio destinato al vincitore, è presa dalla
nostalgia del primo marito. Assieme a due ancelle si reca allora alle porte Scee, da cui era possibi-
le contemplare il campo di battaglia.

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Così disse la dea (Iride) 1 e le pose nel cuore dolce desìo


del primo marito, della sua città, dei genitori 2.
E subito, tutta avvolta in candidi veli,
mosse dalle stanze piangendo tenere lacrime,
non sola, ma la seguivano anche due ancelle,
Etra figlia di Pitteo e Climene dai grandi occhi 3:
e giunsero tosto dove sorgevano le porte Scee 4.
Qui con Priamo e Pantoo e Timete5
e Lampo e Clitio e Icetaone 6, stirpe di Ares,
sedevano Ucalegonte e Antenore 7, due uomini saggi,
anziani del popolo, presso le porte Scee,
per vecchiaia a riposo dalla guerra, ma parlatori
valenti, simili alle cicale, che ne la selva
posate sui rami versano voce.
Stavano dunque i principi dei Troiani nella torre;
e come videro Elena appressarsi al bastione,
subito si rivolsero a vicenda alate parole:
«No, non è ingiusto che Troiani e Achei dai belli schinieri
per una tale donna soffrano da lungo tempo dolori:
terribilmente somiglia nel volto alle dèe immortali 8.
Ma anche se è tanto bella, torni in patria sulle navi
e non lasci a noi e ai nostri figli altro danno ancora».

(trad. Raffaele Cantarella)

1. Iride, la messaggera degli dèi, sotto sembianze too è padre dell’eroe Polidamante, consigliere e
umane si è recata a Troia per annunciare a Elena compagno di Ettore;Timete è personaggio altrimen-
l’imminente duello fra Paride e Menelao. 2. Natu- ti ignoto. 6. Lampo, Clitio e Icetaone sono figli di
ralmente il «primo marito» di Elena è Menelao, re di Laomedonte, fratelli quindi di Priamo. 7. Ucalegon-
Sparta, e i suoi genitori sono Leda e Tindaro (anche te e Antenore sono fratelli, figli di Esuete;Antenore è
se Elena è in realtà figlia di Zeus). 3. Il verso fu padre di Agenore e di altri guerrieri che combatto-
espunto da Aristarco come tarda interpolazione di no a Troia; secondo una leggenda dopo la caduta di
origine ateniese: Etra figlia di Pitteo, re di Trezene, è Troia sarebbe giunto in Italia dove avrebbe fondato
infatti la madre di Teseo; secondo una leggenda, la città di Padova. Sconosciuto è invece Ucalegonte,
quando Teseo rapì Elena ancora bambina, i fratelli di curioso nome parlante che vale «Trascurato», «Negli-
lei, Castore e Polluce (i Dioscuri) intervennero per gente», piuttosto strano per un consigliere! 8. La
liberarla e, per punire il gesto di Teseo, ne rapirono tradizionale comparazione con la divinità serve qui
la madre, assegnandola alla sorella come schia- a enfatizzare la bellezza di Elena, causa della guerra
va. 4. Le porte Scee, che costituiscono uno dei e perciò «terribile», per le sue conseguenze e come
principali accessi alla città, sono la porta principale manifestazione del soprannaturale, il cui contatto
di Troia in direzione del campo di battaglia. 5. Pan- improprio può contaminare l’uomo.

Analisi del testo


■ UNA FIGURA SENZA SPESSORE gara tra le tre dèe. Nell’epopea manca un
Nei poemi epici Elena è una figura com- univoco giudizio di condanna nei con-
plessa: personificazione della bellezza, ella fronti della donna di singolare bellezza, ed
mantiene in parte i tratti di ciò che era in anzi la più severa accusatrice del suo ope-
origine, un’antica dea peloponnesiaca, fat- rato appare Elena stessa. Priamo l’assolve
ta poi figlia di Zeus e di Leda. Per conver- attribuendo la responsabilità della guerra
so è anche, semplicemente, l’adultera do- agli dèi, e con benevola indulgenza le si
nata a Paride arbitro della famosa e fatale rivolge Ettore. Elena appare succube di

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forze più potenti di lei, ora presa da no- concorde ed univoca. E particolarmente
stalgia per l’antico marito, i genitori, la pa- in questo passo si rivela la suggestiva am-
tria lontana, come in questo passo dove biguità della figura di Elena: ai principi
subisce l’influenza di Iride, altrove impe- troiani, intenti a contemplare dalla torre
riosamente spinta da Afrodite a conforta- delle porte Scee la piana di Troia dove so-
re nel talamo Paride, appena sottratto dal- no schierate le forze in conflitto, la donna
la dea alla furia omicida di Menelao. Ma i appare come un prodigio di bellezza, che
personaggi omerici, sappiamo, non sento- potrebbe far ritenere giustificabili gli infi-
no l’angoscia della scelta, la tensione che niti dolori per lei sopportati. Sull’ammira-
provoca la libertà del giudizio: nei loro zione s’impone però il sentimento di ran-
impulsi, spesso discordi, sentono di asse- core e il desiderio che la responsabile di
condare la volontà divina non sempre tanti lutti si allontani dalla città.

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1. Come si crea, per Tersite, la possibilità di 5. Nell’Iliade, come nella tradizione letteraria
manifestare pubblicamente avversione per i successiva, la figura di Elena non è giudica-
capi dell’esercito? ta in modo univoco. Quali sono le giustifica-
2. Ricorda qualche dettaglio della descrizione zioni e le accuse che di solito toccano alla
fisica di Tersite e spiega perché Omero insi- donna che è stata origine della guerra?
sta sul suo aspetto ripugnante. 6. Perché Elena si reca alle porte Scee? È pos-
3. Per un lettore del nostro tempo le esigenze sibile considerarla come un personaggio dal-
di Tersite, che lamenta di dover combattere le autonome risoluzioni, tormentato da sensi
per interessi non suoi e vorrebbe tornare in di colpa? Motiva la tua risposta.
patria, sarebbero probabilmente comprensi- 7. Nell’Iliade vi è una parte, denominata «teico-
bili. È così anche per Omero? Motiva la tua scopia», che diverrà un passaggio obbligato
risposta. per altri poemi epici. Sai indicare la sua col-
4. Come si comportano i soldati, quando Odis- locazione nell’intreccio e l’esatto significato
seo percuote Tersite? del termine?

4 Lo scontro degli eserciti


Iliade IV 422-489

La tregua d’armi stabilita per consentire il duello fra Menelao e Paride Alessandro è stata infranta da
Pandaro che, su istigazione di Atena, ha colpito con una freccia Menelao, ferendolo superficialmen-
te. Dopo avere passato nuovamente in rassegna l’esercito acheo, Agamennone dà il segnale dell’at-
tacco generale.
Come contro la riva echeggiante il flutto del mare
si scaglia senza sosta sotto l’impulso di Zefiro;
prima si gonfia nel mare, ma ecco
frangendosi contro la terra urla roco, e intorno alle punte
s’alza in volute, sputa la schiuma del mare;
così allora senza sosta movevano le file dei Danai
ininterrotte a battaglia; dava loro ordini ognuno
dei capi, ma gli altri andavano muti – non avresti creduto
che tanta folla seguisse e avesse voce nel petto –

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taciti, rispettosi dei capi 1; indosso a tutti


splendevano l’armi variate, di cui vestiti marciavano in file.
Ma i Teucri 2, come le pecore nella corte d’uomo ricchissimo
innumerevoli stanno il latte bianco a far mungere,
e belano di desiderio, udendo voce d’agnelli,
così sorgeva sopra l’esercito il grido 3 dei Teucri;
perché non era uguale la voce di tutti, né uno il linguaggio,
ma mischiata la lingua; erano genti diverse.
E questi spronava Ares, quelli Atena occhio azzurro,
e Terrore e Disfatta e Lotta senza misura furente,
sorella e compagna d’Ares massacratore 4;
piccola si leva in principio, ma ecco
al cielo arriva col capo, cammina sopra la terra;
e anche allora gettò in mezzo a quelli contesa crudele,
andando tra la folla, moltiplicando i lamenti.
E quando arrivarono a incontrarsi in un luogo,
urtarono gli scudi di cuoio, e l’aste e il furore degli uomini
corazzati di bronzo: gli scudi di bronzo rigonfi
cozzarono insieme; gran fragore saliva.
Si mescolavano gemiti e grida gioiose
d’uccisori e d’uccisi, sangue scorreva la terra 5.
Così due torrenti, talvolta, dai monti precipitando,
urtano al confluente l’acqua rabbiosa
delle fonti abbondanti dentro cavo dirupo 6;
ode il rombo lontano, fra le montagne, il pastore;
così al mischiarsi degli uomini fragore sorgeva e spavento.
E primo Antìloco 7 uccise in mezzo ai Troiani un armato,
forte tra i forti, Echèpolo Talisiade 8;
per primo colpì sul cimiero dell’elmo chiomato,
e trapassò la fronte e penetrò nell’osso
la punta di bronzo; di colpo il buio coperse i suoi occhi,
e crollò, come cade una torre, nella mischia brutale.
Afferrò per i piedi il caduto il potente Elefènore,
figlio di Calcodonte, magnanimo re degli Abanti 9;

1. Il silenzio degli Achei contrasta in apparenza con strage; si tratta in ogni caso di manifestazioni dello
il rumoreggiare dei flutti, nota predominante nella “spirito” della guerra solo parzialmente personificate
precedente similitudine; in realtà, l’impressione so- in Omero. 5. Notevole la struttura chiastica dei
nora è legata al rumore martellante, cadenzato e in- versi 450-451, per cui «gemiti» sta a «grida gioiose»
cessante della marcia d’attacco. Il silenzio invece in- come «uccisori» a «uccisi». 6. La similitudine (vv.
tende marcare la disciplina e quindi la concordia di 452-455) riprende un’immagine familiare ai Greci,
intenti finalmente raggiunta dagli Achei. 2. Teucri quella cioè del torrente invernale, che in seguito alle
(ma nel testo originale Trw'e") è l’altro nome con cui piogge abbondanti, invade all’improvviso e con vio-
in Omero vengono designati i Troiani, in quanto figli lenza il letto prosciugato durante la torrida
di Teucro, figlio di Scamandro e primo re della Troa- estate. 7. Figlio di Nestore, Antiloco non è perso-
de. 3. La voce onomatopeica del testo greco, aj- naggio di particolare rilievo nell’Iliade, ma proprio a
lalhtov", richiama ajlalalaiv, il più comune fra le gri- lui spetta l’onore della prima uccisione di un nemi-
da di guerra diffuse ancora presso i Greci delle età co narrata nel poema. 8. Personaggio altrimenti
più tarde. 4. Benché strettamente collegati con ignoto; colpisce la presenza del patronimico, non
Ares, Terrore, Disfatta e Lotta sembrano intervenire frequente, e il nome del padre, che sembra connesso
nella battaglia senza sostenere una parte piuttosto con le qaluvs ia, offerte rituali di primizie del raccol-
che l’altra, ma seminando indiscriminatamente la to. 9. Popolazione dell’Eubea.

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e lo tirava al riparo dai dardi, bramoso al più presto


di strappargli le armi 10; ma fu corto il suo slancio;
ché il magnanimo Agènore 11 lo vide tirare il morto,
e il fianco, rimasto scoperto dello scudo al piegarsi,
ferì con la picca di bronzo, gli fece piegare i ginocchi.
Così lo lasciò la vita 12; e su di lui nacque lotta
tremenda di Teucri e d’Achei; come lupi
balzarono gli uni sugli altri; guerriero uccideva guerriero.
Qui il Telamonio Aiace colpì il figlio d’Antemìone,
un giovane florido, Simoesio che un giorno la madre,
scesa dall’Ida, del Simoenta alla riva
partorì, ché venne coi genitori a badare la greggia 13;
perciò Simoesio lo dissero; ma ai suoi genitori
non rese compenso, breve per lui la vita
fu, poi che cadde sotto la lancia d’Aiace magnanimo.
Mentre avanzava, lo colse per primo, nel petto, sulla mammella
destra; la punta di bronzo diritta traverso la spalla
passò, egli piombò nella polvere, in terra, come un pioppo
cresciuto nell’umido prato di grande palude,
liscio, e i rami in cima gli spuntano;
questo col ferro lucido un fabbricatore di carri
tagliò, a curvar cerchio di ruota per qualche bel carro;
ed esso giace a seccare lungo la riva del fiume 14.
Così spogliò della vita l’Antemide Simoesio
Aiace divino.
(trad. Rosa Calzecchi Onesti )

10. «Bramoso... di strappargli le armi» si tratta di un in persona»; in realtà più che la verosimiglianza qui
tema tipico (o semantema) assai ricorrente; le armi, il poeta sembra avere di mira l’enfasi patetica della
oltre ad avere un valore intrinseco, rappresentava- scena. L’Ida è il massiccio montuoso che chiude a
no, come trofeo di guerra, un segno tangibile (timhv) sud la Troade, raggiungendo quasi i 1800 metri; dalle
del valore (ajrethv) del guerriero. 11. Figlio di Ante- sue pendici nascevano molti fiumi che bagnavano la
nore, per il quale cfr.T 3, nota 7. 12. Nel testo gre- regione, fra i quali il Simoenta e lo Scamandro, il fiu-
co leggiamo qumov" come sinonimo di yuchv («vita», me di Troia. 14. Anche questa “espansione” (vv.
«soffio vitale»). Sulla variabilità del lessico “psicologi- 482-486) ha una funzione sostanzialmente patetica;
co” omerico cfr. T 1, nota 35. 13. Secondo uno nota come la similitudine appaia strettamente corre-
scolio, l’“espansione” del testo dedicata a Simoesio lata al soggetto: Simoesio cade «come un pioppo /
(vv. 473-479) avrebbe come scopo «rendere più cre- cresciuto nell’umido prato di grande palude», dopo
dibile la vicenda, come se il poeta vi avesse assistito essere nato «del Simoenta alla riva».

Analisi del testo


■ DUE DIVERSE TECNICHE parcellizzazione dello scontro in tanti
DI COMBATTIMENTO duelli individuali (vv. 457-489). In questo
Il brano è nettamente scandito in tre parti: repentino passaggio dallo scontro di mas-
la marcia di avvicinamento dei due eserciti sa al duello singolare si è creduto di rico-
in formazione compatta (vv. 422-445), ca- noscere la sovrapposizione di due diverse
ratterizzata dal contrasto fra il silenzio de- tecniche di combattimento: quella più an-
gli Achei e il vociare discorde dei Troiani e tica, di origine micenea, aristocratica, che
dei loro alleati; il cozzo degli eserciti e l’ini- vede il prevalere del singolo campione, e
zio della zuffa sanguinosa (vv. 446-456); la quella più recente, propria del “Medioevo

60 L’EPICA

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