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UNIVERSITÀ DI PADOVA

PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


·' VOL. X X X V II ---------

ENZO DEGANI

ΑΙΩΝ
DA OMERO AD ARISTOTELE

PADOVA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
19 6 1
UNIVERSITÀ DI PADOVA
PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
VOL. XXXVII

ENZO DEGAN!

ΑΙΩΝ
DA OMERO AD ARISTOTELE
**Im portanza speciale per la storia dello spirilo greco
hanno quelle parole che, mentr'ebbero prim a un significato
p iù concreto o p iù vago, divennero poi, ridotte ad astrazioni
m a precisate, i term ini tecnici p iù caratteristici delle forme
m entali che i Greci scoprirono e nelle quali noi Occidentali
ancora viviam o„
(o. p a s q u a li, Pagine stravaganti d i m filologo, 131)

P A D O VA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
19 6 1
TUTTI I D IR ITT I RISERVATI

© - Copyright 1961 by CEDAM - Padova

Printed in Italy - Stampato in Italia

I.T.E. - ISTITUTO TIPOGRAFICO EDITORIALE · LIDO-VENEZIA


Alla cara memoria di mio padre
A l Consiglio
della Facoltà di Lettere e Filosofia

La ricerca del dott. Enzo Degani, «ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele»,


prende in esame il periodo più controverso e meno indagato della storia
semantica di questo vocabolo. Un tale lavoro era non solo importante,
in considerazione della grande portata che ebbe la parola «aión» nell’e­
poca ellenistica; ma era anche necessario, perché «aión» è sempre stato un
termine ambiguo e polivalente, come tutti i vocaboli che hanno attinenza
con la sfera del sacro. La ricerca è condotta dal Degani con acribia
e impegno, e, attraverso i momenti dello sviluppo semantico del vocabolo,
permette di rimeditare e rivedere, dal preciso angolo visuale offerto da
questo determinato problema, l’evolversi di uno degli aspetti fondamen­
tali dell’esperienza greca. Il Degani ha condotto il suo lavoro sulla base
di tutti i testi che la tradizione ci ha conservato, rivedendo criticamente
le posizioni che finora erano state prese dai vari studiosi su tale problema,
non esitando a dichiarare le sue incertezze e ad assumere un atteggiamento
di prudente riserbo dove l’insufficienza o l’ambiguità della documenta­
zione non permetteva conclusioni sicure. Nelle poche ricerche che fino
ad oggi erano state dedicate ad «aión» ed alla storia del concetto del tempo
presso i Greci, ci si era limitati, sotto la guida di un facile razionalismo,
ad un esame astrattamente filologico e più concettuale che storico. È ap­
punto alla storicità delle varie accezioni del termine e a quanto di pun­
tuale esso presenta nei contesti, che il Degani ha soprattutto mirato, fa­
cendo uso, oltre che delle comuni categorie filologiche, anche di quelle
che la più recente problematica storica offre all’indagine dei fatti indivi­
duali e all’analisi del linguaggio.
Il lavoro del Degani si articola in tre parti distinte, ed esamina suc­
cessivamente «aión» nella poesia, nella filosofia e nella religione. Ciò è do­
vuto al desiderio e all’esigenza di organizzare con la maggior chiarezza
possibile la grande quantità di materiale; ma non nuoce all’unità del la­
voro, perché l’autore è sempre presente e pronto a coordinare ed a ri­
chiamare alla memoria quanto ha analizzato in precedenza. O ltre che per
il rigore del metodo e per la serietà degli intenti con i quali è condotto, il
lavoro del Degani si distingue per la compiutezza dell’informazione bi­
bliografica e per il numero abbondante di rimandi e di citazioni.
La ricerca rappresenta indubbiamente un notevole contributo anche
per lo studio della cultura e del pensiero greco. Scritta in forma chiara
e sempre appropriata alla materia trattata, essa è da noi giudicata degna
di venire inserita tra le pubblicazioni della Facoltà.

C a r l o D ia n o
G i u s e p p e S c h ir ò
F r an co Sartori

Padova, 15 luglio 1960


ABBREVIAZIONI DELLE RIVISTE

AAS = Annales Archéologiques de Syrie


AC1 = Antiquité Classique
AfRw = Archiv für Religionswissenschaft
AGI = Archivio Glottologico Italiano
AHES = Annales d’Histoire Economique et Sociale
A lPhO = Annuaire de l’Institut de Philologie et d ’Histoire Orientales de l’Univ.
de Bruxelles
AP = Annali di Pisa
A&R = Atene e Roma
Ath = Athenaeum
BSAA = Bulletin de la Societé Archéologique d’Alexandrie
BnJ = Byzantinisch-neugriechische Jahrbücher
BPbW = Berliner Philologische Wochenschrift
BSL = Bulletin de la Societé de Linguistique
BzN = Beiträge z. Namenforschung
CN = Classici e Neolatini
CPh = Classical Philology
EJ = Eranos Jahrbuch
GCFI = Giornale Critico della Filosofia Italiana
GIF = Giornale Italiano di Filologia Classica
HThR = Harvard Theological Review
IF = Indogermanische Forschungen
IJ = Indogermanisches Jahrbuch
JA = Journal Asiatique
JThS = Journal of Theological Studies
KZ = Kuhn’s Zeitschrift
MAHR = Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de Fècole fran?aise de Rome
MO = Monde Orientai
MSc = Mémoires Scientiphiques
MSL = Mémoires de la Societé de Linguistique de Paris
NJ = Neue Jahrbücher für das klassische Altertum
Phil = Philologus
PP = La Parola del Passato
RA = Revue des Arts
RAL = Rendiconti della R. Accademia dei Lincei
RBPhH = Revue Belgique de Philologie de d’Histoire
REG = Revue des Etudes Grecques
REL Revue des Etudes Latines
RFN Rivista di Filosofia Neoscolastica
RHR Revue de l’Histoire des Religions
RHLR Revue d ’Histoire et de Littérature religieuses
RPAA Rendic. Pontif. Accademia Rom. di Archeologia
RhM = Rheinisches Museum für Philologie
RPhl = Revue Philologique
RPhs = Revue Philosophique
RSF = Rivista di Storia della Filosofia
RUB = Revue de l’Université de Bruxelles
SO = Symbolae Osloenses
SMSR = Studi e Materiali di Storia delle Religioni
V BW = Vorträge der Bibliothek Warburg
ZDMG = Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft
ZfAe = Zeitschrift für Aesthetik und allgm. Kunstwissenschaft
INTRODUZIONE*

Nella tradizione letteraria greca, αιών è una parola poetica per ec­
cellenza: prediletta da Pindaro e dai tragici, quasi affatto ignorata dalla
commedia e usata di rado dalla prosa come elegante e poetico equiva­
lente di βίος. Ma oltre ad essere hochtönig ed hochpoetisch, come lo definisce
più volte il Lackeit, αιών è un termine costantemente aperto ad echi e
sfumature di carattere epifanico. Τοϋτο τουνομα θ είω ς έφθ-εγκται παρά των
αρχαίων, scrisse di αίών Aristotele {D e Cael. 279a22) : θτίως, cioè «per ispi­
razione divina»; e si tratta certo di una parola adatta, quant’altre mai,
a caricarsi di sensi eventici e mistici. Il che si verificò sempre, in tutto
l’arco della letteratura greca, da Omero alla tarda epoca ellenistica: du­
rante la quale αίών finì addirittura per diventare una parola magica (1).
Ed è appunto in questa sua peculiarità che va ricercata, a mio avviso, la
ragione della ricca e spesso contrastante molteplicità di valori che il ter­
mine ha di volta in volta nei luoghi in cui appare. È una caratteristica
generale di tutti i vocaboli che hanno riferimento al destino dell’uomo
e alle «forze» che vengono sentite presenti nei momenti più significativi
della sua esistenza.
Qual è il significato preciso di αίών? A questa domanda non è possi­
bile dare una risposta univoca, neppure se si fa un riferimento diretto ed
esplicito. Il termine non rimanda ad un significato preciso ed unico, bensì
ad un complesso di valori. Perché le parole, nell’ambito della poesia e
della mistica — come in quello della vita — non hanno un unico e pre­
ciso significato: la precisione e l’univocità esistono solo nell’astrazione del
dizionario e nel linguaggio della scienza e della tecnica. In quello poetico
e sacrale, la parola tende invece spesso a sottrarsi ad ogni valore codificato
dall’uso comune, assumendo, dì volta in volta, sfumature diverse, a se-

(*) Questo libro era stato dedicato al Prof. Carlo Diano ma il doloroso fatto
che m i ha colpito pochi giorni prima che il volume andasse in macchina, mi ha in­
dotto a mutare la dedica con l’affettuoso incoraggiamento dello stesso Prof. Diano.
(1) Si incontrano invocazioni come questa: τΙς 8’ αίών αιώνα τρέφων αίώσιν άνάσ-
■οει {Pap. Gr. Mag. X II, 2, 246): cf. Th. Opfner, Griechisch-Aegyptischer Offenbarungszau­
ber, II, par. 96, 137; Pettazzoni, L'Onniscienza di Dio, 103ss.
INTRODUZIONE

conda del contesto in cui si trova inserita; e a caricarsi di sensi escatologici


acquistando valori e risonanze che sfuggono ad ogni definizione esatta.
Tale complessità semantica di αιών non sorprende solo i moderni, ma im­
barazzava già gli antichi, i quali — a cominciare da Aristotele — sen­
tirono molto spesso il bisogno di fissare in una o più definizioni l’ambiguo
e polivalente valore di αιών: vocabolo, che in epoca cristiana diede addi­
rittura luogo a delle controversie nell’interpretazione delle Sacre Scrit­
ture (1). Χρή τοίνυν γιγνώσκειν οτι το του αίώνος δνομα πολύσημόν έστι· πλεΐστα
γάρ σημαίνει, scriveva Giovanni Damasceno (I, 153C) ; e citava poi vari
significati, in genere tardi (δ των χιλίων ετών χρόνος, ecc.), che la parola
aveva assunto. M a in effetti, anche a voler prescindere dalla polisemanticità
ellenistica, va senz’altro riconosciuto — con il M eitzer — che in tutta la
grecità il termine rappresenta veram ente «eines der merkwürdigsten Bei­
spiele von Bedeutungswandel» (2). Ed infatti per tradurre con proprietà
tutti i passi in cui ricorre αιών da Omero a Platone, dobbiamo ricorrere
ad almeno dieci vocaboli — e quindi ad altrettanti concetti — diversi e per
noi assolutamente inconciliabili fra loro, quali «forza vitale», «midollo
spinale», «vita», «tempo», «durata della vita», «età», «evo, epoca»,
«generazione», «sorte, destino», «eternità»: la nostra lingua ignora un
termine così πολύσημος che possa reggere al confronto.
L’interesse degli studiosi fu quasi sempre rivolto sdi’αιών ellenistico
e postellenistico, che ebbe un ruolo di prim aria im portanza soprattutto
nella sfera religiosa e che presenta u n a vasta serie di problemi, tanto oscuri
quanto appassionanti. M a non meno problem atico si presenta il periodo
preplatonico, che fu invece molto meno indagato e in modo, a mio avviso,
insufficiente. Si può dire, in fondo, che i vari significati di αιών in epoca
tarda dipendono sempre, magari indirettam ente, dal valore platonico fis­
sato nel T im eo. Con Platone, infatti, il vocabolo si concettualizza, ovvero
diventa il vocabolo tecnico per esprimere il concetto di eternità: e da
questo momento si attesta definitivamente nella sfera filosofica e poi re­
ligiosa, fino a divenire prim a un vero e proprio «Augenblicksgott» che
rinvia al divino come il θειον dell’età arcaica, e poi esso stesso una di­
vinità, cui è riservato un regolare culto.
La problematicità che presenta 1’αίών dell’epoca arcaica e classica è
eloquentemente attestata già dalle varie e divergenti interpretazioni che
i vari studiosi ne hanno dato. S oprattutto riesce sorprendente e, a tutta
pnma, impiegabile, il passaggio del vocabolo al valore «eternità»; poiché-

Ì2Ì rpkw'Tm’ XXXVII, 268; per altre definizioni, ibid., 266ss.


W BrhW 1917, 138.
INTRODUZIONE IS

da una nozione atem porale, propria dei valori «forza vitale» e «midollo
spinale», o tem poralm ente lim itata, quale «durata della vita», si passa
— in un periodo di tem po relativam ente breve — alla connotazione del­
l’eterno extratem porale: passaggio, che è fra l’altro particolarm ente im ­
portante, in quanto costituisce la tappa fondamentale nella storia seman­
tica del term ine, e precisamente quella da cui dipende ogni sviluppo se­
riore di αιών. In genere si crede di chiarire agevolmente il passaggio, col-
l’affermare che il valore platonico sarebbe la risultante dei cosidetti «al­
largam enti» (E rw eiteru n gen ) semantici della parola; m a in realtà αιών,
anche quando significa «epoca», «evo», rim ane sempre una porzione di
tem po; m entre, col T im e o , esso si sveste assolutamente di ogni idea di
tem poralità. R im ane quindi insoluto e problematico il suddetto passaggio,
che possiamo osservare — plasticamente raffigurato — nelle personificazioni
che Euripide e Proclo fanno di αιών : mentre l’uno dice che Aion è il figlio
di Chronos (H e ra c lid . 900), l’altro invece — seguendo Platone — afferma
l’inverso e fa di Chronos il figlio di Aion (in P la t. R em p . 17, 10 Kroll). Il
figlio diventa padre: un rovesciamento genealogico, che presuppone n atu ­
ralm ente una precisa inversione di valori nel rapporto fra i due vocaboli.
***

Su questo vocabolo, che in una così ricca gam m a di significati di­


versi riunisce valori opposti apparentem ente inconciliabili, si è talora eser­
citato l’ingegno dei filologi, con deduzioni più o meno convincenti. Il
difetto che generalm ente vizia alla base i loro tentativi di coordinare i
diversi aspetti di tale V ieldeu tigkeit, è innanzitutto — a mio avviso —
quello di un rispetto non rigoroso dei testi e di una considerazione limi­
tata e non esauriente di essi. Invece un’indagine del genere deve assolu­
tam ente essere condotta sulla base dei testi, i quali costituiscono la realtà
più obiettiva e meno opinabile, ed impone in prim o luogo, come base di
ogni deduzione, l’esame oculato e m inuto di tutti i passi dove com pare
αιών. Q uando poi si è parlato di una G rundbedeutung, si è generalm ente
regalato il proprio razionalistico modo di vedere le cose agli antichi, spesso
basandosi su supposizioni non suffragate da alcuna attestazione e quindi
gratuite ed arbitrarie. D i qui la presunzione di uno sviluppo genetico,
che da un significato-base avrebbe gradatam ente portato ai valori più
tardi. Si sa invece che quella evoluzione semantica, onde una parola passa
da un valore ad un altro, non segue nitidi e meccanici processi: quasi
che i vari significati, sbocciando l’uno dall’altro, si scambino o rd in ata­
mente la staffetta. U n a tale ricostruzione è u n ’astrazione som m aria che
linearizza un processo che non è né meccanico né razionale: ed infatti,
INTRODUZIONE

nella viva realtà dei testi, queste deduzioni divengono spesso contr
torie, rivelando così il loro provvisorio e fittizio valore di formule
La ragione — è ovvio — v a ad o p erata: altrim enti ci si limiter b b
ad un fenomenologismo vuoto e classificatorio, m entre invece il lav o /
di raccolta è solo propedeutico dell’altro, ben più impegnativo, di inter*
pretazione: e interpretare vale coordinare e riunire. M a va adoperata
oculatam ente, perché gli schemi possono violentare la storia. U na parola
come αιών non passa da un significato all’altro seguendo gli schemi lineari
che fioriscono nella m ente del filologo, m a seguendo una sua linea spez­
zata, dove tutto non è — e sem bra — regolare e logico: linea che è in
fondo, la linea spezzata ed oscillante propria dell’uomo e della sua storia
Sotto il m utare di significato di u n a parola, c’è sempre la concorrenza e
la spinta di m olti fattori: che si riassumono nel m utare stesso dell’uomo
delle sue concezioni e delle sue credenze. E quando si tratta dell’uomo
io credo che chi voglia fare della scienza, nei lim iti in cui può essere fatta
deve porsi da tutti i punti di vista e servirsi di tu tti i metodi.

** *

La nostra ricerca p ren d erà d unque in esame il periodo che va da


Omero ad Aristotele: vari secoli ricchissimi di fermenti, durante i quali
si m aturano e vengono alla luce i germ i della somma civiltà classica. Ho
trattato prim a la poesia, poi la filosofia e poi la religione: non perché si
tratti di tre com partim enti stagni, m a per p u ra com odità di trattazione.
Specie nell’epoca arcaica, questi tre cam pi sono quanto mai vicini l’uno
all’altro: e i prim i poeti-filosofi sono anche dei mistici, se è vero — come
è vero — che la filosofia greca, p rim a di uccidere la mistica, trasse da
essa vita ed alimento. M a della prim itiva filosofia greca ci è rimasto po­
chissimo e quasi nulla della m istica del sesto secolo; perciò ho preferito
occuparmi di un cam po che ci è noto p rim a di affrontarne uno incerto
ed uno quasi ignoto: sia per u n a questione di metodo, sia anche e
soprattutto — di chiarezza. A ggiungo infine che il numero di rimand1
può talora sem brare esagerato e dispersivo, al punto d a appesantire
forse — la lettura; m a questa ricerca, im pegnativa ed in primo luogo
filologica, non m i pare potesse farne a m eno (1).

Padova, aprile 1960

(1) T u tte le opere ch e nel corso d ella tra tta zio n e v en g o n o citate sommar'2
sono riportate per esteso nella Bibliografia.
P a r t e P r im a

ΑΙΩΝ NELLA POESIA


Ca p . I

O M E R O ED ESIO D O

Il Wilamowitz, in una nota del suo commento a lY E ra cle, diede di


αιών una definizione che ha fatto testo: «αιών — egli scrisse — ist die
Zeit relativ, während χρόνος dieselbe absolut ist» (p. 363) : definizione
che è sostanzialmente un’eco di quella aristotelica, secondo la quale αιών
era το τέλος το περιέχον τόν της έκαστου ζωής χρόνον (D e C ael. 279a25).
E questo sarebbe stato — secondo Aristotele ed il Wilamowitz, come pure
secondo i dizionari — il significato che la parola ebbe abitualmente, a
partire da Omero.
In realtà, tale^definizione ha un valore piuttosto astratto e, come
vedremo, può rispecchiare solo entro certi limiti i molteplici aspetti della
prodigiosa evoluzione semantica del termine: anche i valori che αιών ha
in Omero non si possono assolutamente esaurire in essa. L’esame dei testi
può infatti mettere chiaramente in luce come un significato 6 τής ζωής
χρόνος non corrisponde all’aìtàv omerico, che, nella quasi totalità dei casi,
non racchiude in sè alcun valore temporale. Ciò non può essere messo
in rilievo dalla traduzione « life» del LSJ, perché il vocabolo inglese —
come il tedesco «L eben », il francese «vie» ed il nostro « v ita » , — può indi­
care la «vita» sia come «forza vitale» che come «durata della vita». M a
va messo in luce che αιών ha in Omero un valore quasi sempre diverso
da quello che riscontriamo nella poesia postomerica: e, sia pur senza af­
fermare che «periodo di tempo», «tempo della vita», costituisce senz’altro
u n ’accezione più recente e postomerica (1), potremo senz’altro c o n d u ­*

it) Così vorrebbe il B enveniste, BSL X X X V III , 103ss., cui spetta peraltro il merito
<li avere messo definitivam ente in luce questo valore di αιών in O m ero, valore che m olti
dizionari continuano ad ignorare (LSJ, C u rtiu s, Boisaq, F risk, ecc.) ; anche il L a c k e it
(Aion, 9) am metteva che 1’αίών omerico valeva «Lebenskraft» piuttosto ch e «Lebens­
zeit». Notiam o qui che gli scoli omerici si m antennero generalm ente sul piano di una

* “ E. DEGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,


ι8 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

dere che αιών è in Omero soprattutto la «forza vitale» e che, in tale si­
gnificato, αιών è tipicamente omerico (2).
«Vita», dunque; ma non come durata, bensì come vitalità, forza vi­
tale. Il vocabolo esprime chiaramente una nozione di attività, soprattutto
nei passi in cui acquista un particolare rilievo come soggetto della frase:
li indica appunto una forza attiva interna all’uomo, il principio vitale
che rende possibile la vita e senza cui c’è la morte. Ed è appunto per que­
sto che esso viene usato, come giustamente notava il Lackeit (3), «nur in
Beziehung auf das Lebensende, den Tod», cosa che notoriamente si veri­
fica per ψυχή (Nilsson, Gesch. d. griech. R e i., I, 179), ma non per ζωή e βίος.
A tal riguardo, è opportuno qui notare che una vera e propria conver­
genza semantica fra αιών e βίος, si verificherà solo in epoca postomerica:
ma sempre entro certi limiti, contrariamente a quanto mostrava di pen­
sare il Wilamowitz (l.c .). A parte il fatto che αιών ha una Vieldeutigkeit
infinitamente più varia e ricca di quella di βίος, onde la suddetta con­
vergenza si verifica solo quando esso indica genericamente la «vita», va ag­
giunto che αιών rimane sempre sostanzialmente una parola «poetica»,
mentre βίος è il termine del linguaggio comune e della lingua di tutti i
giorni. Era vocabolo diffussissimo e prosastico: serviva spesso ad esprimere
certe sfumature di significato che noi rendiamo con «professione», «averi»,
«costumi», «cibo» e via dicendo (4).

spiegazione esatta: schei. A, B ad T27; B, T ad Ω725; D ad X 58 et Ω725 ( = βίος, ζωή,


ψυχή); scholl. D ad Δ478 et Ω725; schei, vulg. el52 (ό τοϋ ζην χρόνος, ό της ζωής χ .). Inte­
ressanti sono pure, benché inesatti, i due seguenti scoli: B ad X 58: παρά τό άεΐ ή τόν
ύπόλοιπον της ζωής χρόνον e D ad Τ27 : ή άνήρηται 6 βίος, 6 έστι ζωής έστέρηται ή ώς οί
γλωσσογράφοι, 'αιών ϊφθαρται’, 6 έστι ό νωτιαίος μυελός (cf. anche Τ ad T27).
(2) Dopo O mero, questo valore atemporale non si trova che sporadicamente e sem­
pre in costrutti schiettamente omerici: cf. A esch. Prom. 862 (αίώνος στερεΐν: cf. X58) ; Hes.
Sc. 331, S imon., fr. 130, 3; E mped. B158, orph.fr. 245, 4 ( = 247, 5) K ern (αίώνος,
άμέρδειν) ; orph.fr. 223, 2 K e r n ; Q vint . Sm., V I, 586 (τινα λείπει αίών); CALLiM.fr. 178,
33 Pf. A Callimaco Schneider attribuiva pure il fr. citato àzXYEtym. M . 182,1 (cf. n. 21;
per i molti omerismi della lingua callimachea, cf. W ilamowitz, Hellenistische Dichtung,
Berlin 1924, II, 12s; Cahen , Callimaque et son oeuvre poetique, Paris 1929, 447).
(3) o.c., 11. Infatti anche κατείβεσθαι, φθινύθειν αίώνα contengono in sè un riferi­
mento all’idea della morte (cf. Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 21) ; a torto quindi il M e ltz e r
(BPhW 1917, 139) criticava l’affermazione del L ack eit.
(4) T z e tz e s (ad Hes. Op. 687) dice che βίος ha sei significati: professione (βίος έμπο-
ρικός), costumi di vita (βίου χρήστου έστι), mondo, tempo della vita (cf. Etym. M . s.v.
βίος), sostanze, averi (πολύς ήν αύτώ ό βίος), alimento, cibo (cf. α160, σ254, ω536, ecc.:
così il lat. uita: P la v t. Stich. 462, Trin. t i l l , ecc.). Altrettanto si può dire di ζωή (cf. ξ96:
οί ζωή γ ’ ήν άσπετος, ecc.), che è praticamente un sinonimo di βίος, dato che non si
CAP. i: OMERO ED ESIODO 19

Quando uno muore, Omero dice che αιών lo abbandona: così in


η 224: ιδοντα με και λίποι αιών | κτήσιν έμήν δμώάς τε καί ύψερεφές μέγα δώμα
ed in E 685 : έπειτα με καί λίποι αιών | έν πόλει ύμετέρη. Analogamente in
Π 453, dove si incontra il nesso αίών-ψυχή: τόν γε λίπη ψυχή τε καί αιών.
Que-sto αιών che abbandona è dunque la «vita», ma non come ó της ζωής
χρόνος ; né si può dire che il vocabolo qui equivalga a βίος o a ζωή, i quali,
benché possano indicare la «vita» in senso atemporale, non hanno mai
il valore di forze attive. Αιών equivale invece, in questi casi, a ψυχή, θυμός,
μένος e simili : termini epifania, che sono appunto delle forze agenti nel­
l’interno dell’uomo: le sue «seelische Regungen» (Nilsson, L e.) che spesso
— appunto perché manifestazioni della vita — significano «vita», ossia
«forza vitale» (5). Il nesso αΐών-ψυχή si trova anche in 1 523: αΐ γάρ δή
ψυχής τε καί αΐώνός σε δυναίμην | εδνιν ποιήσας πέμψαι δόμον ’Άϊδος εϊσω, dove
αιών esprime evidentemente un valore che non allude affatto alla durata
dell’esistenza. I due vocaboli sembrano richiamarsi a vicenda nel quinto
libro dell 'Iliade, dove al με καί λίποι αιών del ν. 685 risponde poco dopo
il τον δ’ έλιπε ψυχή del ν. 696: ed è probabile che proprio a questa simpatia
e sostanziale equivalenza tra i due vocaboli sia dovuto il genere femmini­
le di αιών in X 58: αυτός δέ φίλης αΐώνος άμερθής, come pensò il Witte (6):
ψυχή ha ceduto il suo genere ad αιών. Questa equivalenza fra ψυχή = «for­
za vitale» ed αιών (7) è tipicamente omerica: ed è possibile appunto per-

può ritenere valida la distinzione di A mmonio, contraddetta di continuo, secondo la


quale βίος έπΐ των λογικών... ζώων, ζωή... έπΐ των άλογων (cf. Stephanus-D indorf, Thes.
Gr. Linguae, III, 255; V, 54s.).
(5) Per indicare lo sfuggire della vita dal corpo, O mero adopera indifferentemente
anche θυμός (M386, Π410, γ455, μ414, ecc.) e μένος (Z27, ecc.), oltre a ψυχή. È eccezio­
nale — e lo notava già I’E beling, Lex. Hom. sv. λείπω — il λείπε δέ θυμόν dell’Inno
ad Apollo, 361, tanto che si cercò di correggerlo in λεϊβε. Cf. anche K ahlo , Numen
1957, 205.
(6) Glotta III, 109; cf. S chwyzer, II, 37. Sulle false interpretazioni degli antichi,
cf. Thes. Gr. Linguae, I, 1125. Invece J. S chmidt, KZ X X V , 24ss. e X X X V III, 49ss., sup­
poneva che originariamente ci fossero due generi e che quello femminile appartenesse
alla radice sigmatica *αί/ώς (cf. ήώς) : ma è una pura supposizione. Il genere femminile
compare ancora in H es. Se. 331, Simon. 130, 3, orph.fr. 245, 4 ( = 247, 5) ICern , P ind .
Pyth. V, 7 e IV , 186, Nem. IX , 44, Ev. Phoen. 1484. Tranne i casi di P indaro ed E uri­
pide , si tratta di omerismi (cf. X58).
(7) Il L a c k e it pensava che «in dem Ausdruck ψυχή-αίών, der die Lebenssumme
bezeichnete, war ψυχή das seelische, αιών das körperliche Element» e che «von Leben
der Tiere nur αίών gesagt werden konnte» (pp. 8; 10 e 19; che ψυχή, in quanto «ani­
ma», non possa essere propria degli animali, sostiene anche B. S n e ll, Cultura greca, 35).
Tale ipotesi, che muove dal semplicistico presupposto che in Omero ci sia già un ben
20 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

ché αιών è il principio vitale. Q u a n d o , dopo O m ero , esso p e rd e rà questo


valore, tale incontro no n sarà p iù possibile (8). U n a n e tta opposizione
fra i due term ini si in co n tra, ad esem pio, g ià in P in d a ro (fr. 136, 3 ). και
σώμα πάντων έπεται θ-ανάτω περισθενεΐ, | ζωον δ’ ετι λειπεται^αιωνος εόδωλον.
L a ψυχή — che q u i è 1’αίώνος εΐδωλον (9) — v ien dagli dèi, è im m o rtale
(v. 4) : e si oppone alla vita te rre n a (αιών) che soggiace invece a lla m orte.

definito concetto di anima, non è accettabile. Il nostro linguaggio oppone di continuo


i concetti di «anima» e di «corpo», ma «pareil contraste est étranger a la pensée primi­
tive. Notre notion de l’àme implique le processus d ’un long développement spirituel»
(S oederblom , ap. V an der L eeuw , La Religion, 297). Anche presso gli indoeuropei, come
può provare la sola indagine linguistica, «non esisteva ancora il concetto dell anim a..., né
era ben chiara la distinzione fra anima e corpo... e tanto meno la separazione fra le diverse
funzioni dello spirito, come diverse forme dell’attività umana» (C. S chick , RSF III, 297).
O mero infatti non conosce né un concetto di «anima» né un concetto di «corpo» (P.
V ivante , AGI XL, 39ss.; Snell , o. c., 28 ss.; cf. V an der L eeuw , L'homme primitif et la
religion, 131), ma tante anime quante sono le facoltà che all’anima noi attribuiamo: cioè
ψυχή, μένος, θυμός e simili, vocaboli che differiscono fra di loro non per il significato
sempre oscillante, ma per la funzione che hanno nella frase (V ivante , AGI X L I, 122,
134s. ; cf. pure N ilsson, Gr. Rei. I, 178). Benché ognuno di essi ruoti intorno ad una par­
ticolare nozione («coraggio», «ardore», ecc.), sono tutti in certo modo «vieldeutig und
schillernd» (N ilsson, Le.) e non si lasciano con precisione distinguere gli uni dagli altri:
tant’è vero che tutti i tentativi di isolare in un univoco significato ciascuno di essi sono
falliti (per un’ampia rassegna di questi tentativi, cf. V ivante , AGI X L I, 114s. ; un esame
acuto, ma spesso inaccettabile nelle sue conclusioni, di questi vocaboli, è fatto anche
dallo Sn ell , o. c., 31ss., 35ss., 38ss.). In determinati contesti — come s’è detto —
possono indicare la «forza vitale»; e così capita anche per ψυχή (E696, X 161, γ74, ξ426,
χ245, ecc.), che altrove è invece il «respiro» (X467) o la smunta immagine del defunto
che va all’Ade (cf. R ohde , Psiche, I, 48; N ilsson, I, 179). E, come «vita», ψυχή è pro­
pria anche delle bestie (ξ426; cf. H es. Se. 173, P ind . Nem. I, 47, ecc.). Il linguaggio ome­
rico, proprio di ima mentalità ancora vicina a quella primitiva, nella quale tutto è fluido
e le «cose» ancora non sono, non ha la tecnicità e l’astrazione del nostro, onde è illu­
sorio credere di trovarvi della coerenza: ed è quindi opportuno non cercare sottili distin­
zioni anche nel caso di αιών e ψυχή, sull’esempio del L a ckeit (cf. anche LfrE, c. 402).
I due termini sono sostanzialmente equivalenti, qui com e in vari altri passi; e sono uniti
in un’unica espressione χάριν έμφάσεως (D imitracos , Λεξ. sv. αιών), onde sottolineare la
scomparsa totale e definitiva della vita: si potrebbe pensare ad un modo di dire affine
al tedesco «Seele und Leben» (M e l t z e r , BPhW 1917, 139) o al nostro «anima e vita».
Altrove O mero dice ψυχή καί θυμός (Λ354, χ154) ο ψυχή καί μένος (Ε296; ψυχή καί βίος
è in T heogn . 730).
(8) Αίων e ψυχή si incontreranno ancora, semanticamente, in epoca molto tarda,
quando indicheranno l’Anima del M ondo avviluppante il cosmo: cf. R eitzenstein,
Psyche, 69; Die heilenist. Mysterienreligionen, 180s.
(9) Cf. R ohde , Psiche, I, 7 ; N ilsson, I, 656. Il frammento è tramandato da P lvt.
Cons, ad Apoll. 35, p. 120 cd (περί ψυχής).
CAP. i : OMERO ED ESIODO 21

Tornando ad Omero, mi pare opportuno far notare una particola­


rità sintattica, alla quale non si è mai fatto attenzione : mentre Omero dice
τινα λείπει αίων (E 685, η 224, Π 453), Euripide dice invece λιποϋσ’ αιώνα
(B acc . 92) ed Archia di Mitilene (A n t. P a l. IX , 111) scrive che presso i
Traci έμπαλι 8 όλβίζουσι δσους αιώνα λιπόντας | άπροιδής κηρών λάτρις έμαρψε
μόρος. Q ui non è dunque Γαιών che abbandona il morente, ma il morente
che abbandona 1’αίών. Q ui la «vita» è un oggetto inerte, è vista come
una «cosa» inanim ata, nella sua complessità e totalità: un oggetto che
si lascia da parte. Αιών non è più l’energia vitale, ma è divenuto un si­
nonimo di βίος (10). Questa diversità di espressione non è — credo —
un’insignificante particolarità, un vezzo dell’arcaico linguaggio epico, ma
un indice del mutato valore del vocabolo: dopo Omero, αιών non è più
il principio vitale ed attivo contrapposto a θάνατος, ma la «vita» vista
nella sua totalità e nel suo contenuto; e, dopo Omero, non si trova più
1’αίών che abbandona l’uomo: il λίπεν Sé μιν άμβροτος αιών delle Postom e­
riche di Q uinto Smirneo (VI, 586) ed il λίπη Sé μιν ιερός αιών di un fram­
mento orfico (fr. 223, 2 Kern) non possono che costituirne una confer­
ma (11).
Un significato atemporale di αιών si trova pure nell’espressione έκ
δ’ «Uv πέφαται (Τ 27, «spenta è la vita»), relativa all’inerte passività di un
cadavere che non può difendersi dall’oltraggio dei vermi e dele mosche
(w . 24ss) : δείδω, μή μοι τόφρα Μενοιτίου άλκιμον υιόν | μυϊαι καδδοϋσαι κατά
χαλκοτύπους ώτειλάς | εύλάς έγγείνωνται, άεικίσσωσι δέ νεκρόν | — έκ δ’ αΐ'ον
πέφαται — κατά δε χρόα πάντα σαπήη. L ’espressione suggerisce qui un’imma­
gine tanto concreta di αιών che alcuni scoliasti lo glossarono con νωτιαίος

(10) L ’espressione βίον λείπειν, άπολείπειν è frequente: cf. Pind. fr. 282, Soph. El. 1444,
Phify.i 158, Ε ν. Hel. 226, Or. 948, P l a t . Legg. 872a, A ntiph. I, 21, ecc. U n αιώνα λείπειν
presuppone una «sostanzializzazione» del significato di αιών, onde la «vita», nella com­
plessità del suo contenuto, viene intesa quasi com e una cosa che si può lasciare da parte
o un «luogo» verso cui ci si dirige: cosa che si riscontra appunto in epoca postomerica:
cf. Pind. Isthm. V II, 42 (ίπειμι ές τον μόρσιμον αιώνα), Εν. Med. 646 (δυσπέρατον αιώνα),
Iph. Aul. 1508 (έτερον αιώνα καί μοίραν οίκήσομεν).
(11) Così in latino abbiamo ulta, che — com e contrapposto di mors — equivale
a uis uitalis, ed aeuum {aetas) che ha invece — com e il postomerico αιών che esso riflette
— solo un valore di durata: e mentre è possibile trovare l’espressione ulta ( = uires) me
deficit (cf. Enn. 35, 4 Vahl. : uires uitaque corpus meum nunc deserit orme), non è invece
possibile trovare aeuum me deficit. È chiaro che in aeuum c’è stato l’influsso di αιών:
nel tempo in cui la letteratura greca fecondò la nascente letteratura latina, con questo
vocabolo furono rese m olte delle tarde sfumature semantiche che αιών aveva acqui­
stato. Nel senso di «generazione», «mondo», la parola greca agl pure su saeculum (cf.
S ta d tm ü lle r, Saeculum II, 152ss.; D ie h l, R hM L X X X III, 255ss.).
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
22

μυελός (Scholl. D, T a d l . ) . U n tale significato è certam ente arbitrario Der


questo passo, m a esistette, come attestano.gli t a a (12) e come ^
va indiscutibilmente un passo di Ippocrate (Epid.^ V II, 122), dove si legRe.
é τύν αιώνα φθινήσας έβδομαΐος άπέθανε, cioè «chi è p red a di una phthisis al
midollo spinale muore il settimo giorno». Si tra tta appunto della tabes
dorsalis, di cui Ippocrate parla in varie occasioni ( M o r b . 2, 51, ecc.).
sto valore materiale di αιών è con ogni p ro b ab ilità presente anche nel-
Y lnno a d E rm ete, là dove si dice che il dio άναπηλήσας γλυφάνω πολιοίο σιδή-
ρου I αιών’ έξετόρησεν όρεσκωοιο χελώνης (ν. 42) e, più avanti (ν. 119),
là dove si spiega il modo con cui uccise le m ucche di A pollo: άμφοτέρας
δ’ επί νώτα χαμαί βάλε φυσιοώσας | έγκλίνων δ’ έκύλινδε δι’ αιώνας τετορή.
σας. In entrambi i passi il verbo (έκ-) τορέω suggerisce insistentemente
un valore materiale di αιών, nonostante che alcuni si siano ostinati a
negarlo (13). Ed altrettanto si può dire p er il fr. 118 di Pindaro, che
Erodano (G loss. H ip p o cr., p. 49 Klein) ci h a conservato quale esempio di
αιών usato nel senso di μυελός: ένέπισε κεκραμέν’ έν αιματι | πολλά δ’
έλκε’ εμβαλε νωμών | τραχύ ρόπαλον, τέλος δ’ άείραις | προς στιβαράς σπάραξε
πλευράς, | αιών δέ δε’ όστέων έραίσ&η. A nche qui il verbo ραίω (cfr. Π 339:
φάσγανον έρραίσθ?], ι 459 : έγκέφαλος ραίοιτο, ecc.) non può che indurci ad
accettare l’interpretazione di Erotiano.
Αιών ebbe dunque anche il significato di «m idollo spinale», benché
il Lackeit ed altri abbiano cercato inspiegabilm ente di negarlo (14). Se-

(12) Sud. αιών- δ νωτιαίος μυελός ή χρόνος άίδιος; H esy ch . αιών... δ έν παντί τώ
σώματι μυελός; cf. pure Etym. Μ . 41, 22; Etym. Gud. 24, 27; E r o t . Gloss. Hippocr.
p. 49 Klein; B ekker, Anecd. Gr. 357, 18; scholl. D, T ad T27; Lex. Περί πολυσήμαντων
λέξεων, cod. Ambros. C. 222 inf., fol. 210 (R e itz e n s te in , Gesch. d. griech. Etymologika,
Leipzig 1897, 337, 0).
(13) Λ236: έτορε ζωστήρα; N onn. Dion. V , 26: σπλάγχνα... τετορημένα χαλκω (cf XIII,
493, ecc.). Il L a c k e it (o.c., 10s.), seguendo il L u d w ic h (Homerischer Hymnenbau, Leipzig
1908, 96), sostiene che qui si tratta di una metaforica «poetische Ausdruckweise»; ed
anche il W ilam o w itz ( o . c . , 364) pensava che in questi due passi si trattasse della «Le­
benszeit» della tartaruga e dei buoi (cf pure N e s tle , Griech. Studien, 141, 30). Giusta­
mente il R a d e rm a c h e r, Der homerische Hermeshymnus, Wien und Leipzig 1931, intende
invece «Lebensmark» nel primo caso e spiega: «das Fleisch der Schildkröte ist in der
Schale eingeschlossen wie Mark im Knochen; so muss die Ideenverbindung des Dichters
sein» (p. 69). Nel secondo caso egli intende αιώνες = «Halswirben» (p. 94).
(14) Il L a c k e it, l.c., nega assolutamente che αιών abbia potuto assumere un tale
valore, basandosi sul fragile argomento che, negli altri passi di I p p o c r a t e , il vocabolo
vale «vita» (cf. Cam. 19: αιών τοϋ άνθρώπου έπαήμερος, A h . 86, Acut. 7, D e fract. 11); e le
vane glosse degli antichi sarebbero un errore degli stessi, dovuto al fatto che effettivamente
1 v i r ,T<!n^ e Cra U SCde ddla forza vitale· N °n « capisce peraltro come egli spieghi
p. VII, 122. Va peraltro ricordato che, in tale passo, αιώνα è dato da una minoranza
CAP. i : OMERO ED ESIODO
23

condo Esichio (s.v. αίων), si trattava di una accezione piuttosto recente


(τινές Sè των νεωτέρων τόν νωτιαίον μυελόν άπέδωκαν, ώς Ιπποκράτης): ma è
difficile pensare che il vocabolo abbia assunto questo significato anato­
mico ed atem porale quando si era già da tempo allontanato dal valore
omerico. E se la scarsa documentazione che abbiamo non ci permette
deduzioni sicure, sicuro è ad ogni modo che «midollo spinale» è un si­
gnificato assolutamente inconciliabile con una notazione temporale e stret­
tamente legato, invece, a quello di «forza vitale». Accettabile senz’altro
è dunque l’affermazione del Benveniste (o .c., 109) che «on n ’aurait pas
fait ά’αιών un terme anatom ique si le sens premier n ’avait été celui q u ’tìe-
mère nous enseigne» (15). D ’altro canto, non deve stupire il fatto che il
vocabolo potesse avere anche questo valore. Il principio vitale — 1’αίών —
cede qui il suo nome a quella parte del corpo, nella quale, secondo un
processo spontaneo e comune alla m entalità primitiva (Lévy-Bruhl, L ’a ­
nim a p rim itiv a , Torino 1948, 149; 152), si pensava che esso avesse ricetto.
È ben evidente anche nel greco arcaico questa tendenza ad identificare
i moti della volontà, del sentimento e dell’intelletto con altrettante parti

di codici; gli altri danno κενεώνα, e questa lezione è stata accettata dagli editori di Ippo-
c r a t e anteriori al L i t t r é (1839-1861). Così il Foesius (Hippocr. Opera, Genevae 1662)
intendeva: «quidam ad lateris inanitatem tabefactus, septimo die mortuus est»; ma ri­
conosceva egli stesso che κενεώνα poteva essere facile errore di trascrizione e che αΙώνα,
attestato dalle «membranae regiae reconditiores», poteva senz’altro essere la lezione esat­
ta, soprattutto se si teneva conto della precisa testimonianza di E ro tia n o e del fatto che
la φίΗσις νωτιάς ο μυελού φθίσις era malattia spesso ricordata da Ip p o c ra te (p. 1242).
Infatti E r o tia n o , Gloss. Hippocr. p. 49 Klein, dopo aver definito αιών come νωτιαίος
μυελός, cita due passi di Ip p o c r a te : ήν σφακελίση τόν αιώνα e τόν αιώνα νοσήσας τις έβδο-
μαΐος άπέθανε. Il primo, di cui E r o tia n o non dice la provenienza, pare vada riferito a
De Fract. 11: καί ίτω κίνδυνος σφακελίσαι τό όξέον τό τής πτέρνης. Καί τοι ήν σφακελίση
τόν αιώνα πάντα Ικανόν άντισχεΐν τό νόσημα, «quod si contingat cane affici, morbo tota
vita perdurat»: si tratta evidentemente di un errore, nel quale era facile cadere leg­
gendo frettolosamente il passo (cf. Thes. Gr. Linguae, I, 1126). Il secondo passo, però,
ripetuto da E sichio e dagli Etimologici Magno e Gudiano, sembra vada senz’altro riferito
ad Ep. VII, 122, nonostante qualche piccola variante e nonostante E ro tia n o lo attribui­
sca al non pervenuto περί βελών καί τραυμάτων. In ogni caso, esso attesta indiscutibil­
mente che presso i medici della Ionia αίών assunse il significato di «midollo
spinale».
(15) Non sappiamo se tale significato fosse più o meno antico. Io non escluderei
che esso potesse risalire alle origini e fare tutt’uno con quello di «forza vitale». A tal
riguardo, non è fuori luogo mettere in guardia contro la facile ipotesi di considerare il
senso di «midollo spinale» originario perché più «concreto». Infatti per il primitivo
«tout ce qui est psychique est physique, tout ce qui est physique est psychique, et l’un
et l’autre sont concrete» (V an d e r L eeuw , L'homme primitif, 29).
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

ed organi del corpo umano (16) ; e, per quanto riguarda la forza vitale,
la sua sede veniva appunto intuitivamente immaginata nel midollo spi­
nale, nel μυελός, la parte più intima e delicata del corpo. Lì era appunto
radicata la vita (17) : il che spiega come — con processo inverso — il ter­
mine specifico μυελός potesse assumere valori astratti come «forza», «vi­
goria» e simili (18) ; e perciò appunto gli eroi omerici, per crescere vigo­
rosi si nutrivano del midollo delle fiere (X 501 ; cfr. Philostr. H er. p. 197
Kays.).
Un significato atemporale αιών presenta pure in Ω 725, dove Andro­
maca dice ad Ettore: άνερ, απ’ αίώνος νέος ώλεο. κάδ δέ με χήρην | λείπεις έν
μεγάροισι. «C’est bien parce que αιών est la source de toute vigueur et non
pas seulement de la durée de l’existence, qu’on dira d’un ètre jeune, tué
en pieine force, άπ’ αίώνος νέος ώλεο ..., mais on ne parlerà pas de 1’αίών
d’un homme àgé» osserva il Benveniste (19), commentando il passo ed acco­
standolo a Δ 478 ( = P 302): μινυνθάδιος δέ οί αιών | έπλεθ·’ ΰπό Αΐαντος...
δαμέντι. Tale affermazione non è però sufficientemente documentata: se
è vero che Omero non parla mai dell’αιών di un vecchio, è altrettanto
vero che solo in Ω 725 esso è accostato ad un’idea di giovinezza. Sembra
invece evidente che in Δ 478 il termine abbia un indiscutibile valore di
durata; e così pure in I 415: ώλετό μοι κλέος έσθλόν, επί δηρόν δέ μοι αιών
I έσσεται, ουδέ κέ μ’ ώκα τέλος θανάτοιο κιχείη, quantunque nel primo

(16) R ohde, Psiche, I, 46; Schick, o. c., 231; S ch rad er-N eh rin g, Lexikon der indog.
Altertumskunde, Berlin 1929, I, 640. Così φρένες, sede degli affetti, indicava gli organi attor­
niami il diaframma (cf. W undt, Völkerpsychologie, IV, 92) ; esso assunse ben presto va­
lori sempre più astratti (cf. φρονεϊν), ma il Corpus Hippocraticum lo usa ancora nel senso
di διάφραγμα. Altrettanto si può dire per πραπίδες, che Esichio spiega: φρένες ή ó τόπος
όπου al φρένες; e per χολή, «ira» e «fiele» (Π203), per σπλάγχνα e via dicendo.
(17) Cf. D emocr. B1 : της ψυχής οί περί τόν μυελόν... δεσμοί κατερριζώμενοι; P lat.
Tim. 73b ss.; ecc. Si pensi al (ίαχίζειν, tipico nei sacrifici (H esych. ραχίζειν παίειν τό
Ιερεΐον).
(18) Cf. β290, Υ108: άλείατα, μυελόν άνδρών; Aesch. Ag. 76, Εν. Hipp. 255, Theocr.
X X V III, 18, ecc.
(19) O.c., 108. Il Benveniste vorrebbe intrawedere in questo passo il senso di
«àge» come «età di pienezza vitale», mentre il F estugière (PP X I, 173 e 188, 2) note­
rebbe qui in αιών «la nuance aussi de ‘temps de vie normal’ mesuré à un homme» e raf­
fronta άπ’ αίώνος con l’espressione πρό τής ειμαρμένης (A ntiph . I, 21). Esatta non mi
pare neppure l’interpretazione del Passow, Handwb. griech. Spr. s.v. αιών, che intende νέος
άπ’ αίώνος con «jung an Alter»: una tale costruzione di νέος con άπό non è attestata. ’Απ’
αίώνος va inteso «strappato dalla vita» (cf. LSJ, sv. άπό, I). Secondo il L ackeit (p. 11),
vi sarebbe tmesi fra απ’ ed ώλεο e αίώνος άπόλλυσ&αι varrebbe «sein Leben verlie­
ren»: ma tmesi non c è, perché άπόλλυμι, nel senso di «perdere», è sempre attivo e co­
struito con l’accusativo (α354 p46; cf. Σ82, Ω44, μ350, ecc.).
CAP. i: OMERO ED ESIODO 25

caso il senso temporale sia implicito in μινυνθάδιος, e nel secondo si imperni


su επι δηρον (20). È difficile anche per gli ultimi casi che ci restano da
esaminare lo stabilire se sia la «forza vitale» o la «durata della vita»:
αϊθε μοι ως μαλακόν θανατον πόροι *Αρτεμις αγνή | αύτίκα νυν, ϊνα μήκετ’
όδυρομένη κατα θυμόν | αιώνα φθινύθω, πόσιος ποθέουσα φίλοιο (σ 204);
κάμμορε, μη μοι £τ ενθαδ’ όδύρεο, μηδέ τοι αιών | φθινέτω (ε 160) ; ουδέ ποτ’
6σσε | δακρυοφιν τερσοντο, κατείβετο δέ γλυκύς αιών | νόστον όδυρομένω
(ε 152). Quantunque il senso sia chiaro, è tuttavia incerto se si debbano far
rientrare questi passi nella categoria temporale o in quella atemporale, am­
messo che si voglia proprio sottilizzare. Nei primi due casi, peraltro, sem­
brerebbe trattarsi dello struggimento di una facoltà interiore (come in A 491:
φθινύθεσκε φίλον κήρ), piuttosto che di un consumarsi del tempo della vita;
nel terzo, mi pare che l’interpretazione «ce doux’temps de vie qu’il avait
à vivre s’écoulait de lui avec ses larmes» (Festugière), sia più propria di
«la vitalité d’Ulixe s’écoule de lui avec ses larmes» (21). Ad ogni modo —
come vedremo — ciò non può avere peso sul risultato della nostra jricerca.
Basta per ora aver messo in luce che αιών in Omero ha ancora vivissimo
quel valore di «forza vitale», che indubbiamente esso aveva anche «in origi­
ne», ovvero prima di Omero: in queiripotetica «Urbedeutung», che, per
mancanza di testi, possiamo solo indirettamente intrawedere e ricostruire.

***

Dopo Omero, αιών tende subito a specializzarsi in un esclusivo valore


temporale. In un passo della Teogonia di Esiodo (22) si legge (w . 607ss.) :

(20) Cf. X54: μινυνθαδιώτερον άλγος | ϊσσεται, ήν μή καί σύ Οάνης Άχιληΐ δαμασθείς:
cf. ο494. Il Benveniste fa un lungo esame di 1415 (o.c., 108; così pure LfrE, c. 402),
per dimostrare che αιών vale «forza vitale», ma gli argomenti non possono essere decisivi ;
ed il Festugière (o.c., 188s.) fa un’analisi non meno laboriosa per dimostrare il contrario.
(21) Benveniste, l.c. Però si potrebbe obiettare che κατείβεσθαι, da O mero sempre
riferito all’acqua o alle lacrime, sembra accordarsi malamente con un’idea di tempo,
sia pure relativo. Di tale espressione omerica c’è un riecheggiamento in un frammento
conservatoci dal VEt. Magn. 182, 1: της όλοφυρομένης άμφ’άχνύι είβεται αιών.
(22) I w . 603-612 della Teogonia furono espunti dallo S chwarz, seguito dal J acoby,
Hesiodi Carmina, I, Berolini 1930, che così giustifica l’espunzione: «non extremae partis,
sed totius narrationis vim omnino frangunt. Sermo obscurissimus» (p. 172). In realtà
il passo è perfettamente comprensibile (cf. M azon, o.c., 53ss.) e, dal punto di vista conte­
nutistico, quadra perfettamente coi versi precedenti e con lo stesso carattere generale
della poesia esiodea, tanto densa di misoginismo. Dal punto di vista stilistico, poi, si pos­
sono trovare buoni elementi contro la tesi dell’interpolazione: il vezzo stilistico ώ δ’.,.τω
δέ τ’ dei w . 607-609, è tipicamente esiodeo (cf. Op. 239, 284, 297).
2 6
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

φ δ’ αδτε γάμου μετά μοίρα γένηται, | κεδνήν δ’ εσχεν & o m v άρηρυΐαν πρα-
πίδεσσι, | τώ δέ τ ’ άπ’ αίώνος κακόν έσθλώ άντιφερίζει | έμμεναι, cioè: «et celui,
e n revanche, qui dans son lot trouve le m an ag e,, p e n t ren co n trer sans doute
u n e bonne épouse de sain jug em en t; mais, m ém e alors, il voit to u te sa
vie le m al compenser le bien» (M azon, H é sio d e , Paris 1951, 54). Q uesta
è la lezione dei codici, orm ai unanim em ente accettata (23) m a n on certo
■del tutto chiara: e fa difficoltà soprattutto quell’oscuro ed insolito απ αίώνος.
In fatti tale locuzione si incontra solo in epoca tardo-ellenistica e cristia­
n a (24), quando il term ine ha già assunto dei valori sem antici assoluta-
m ente estranei all’αιών preplatonico; fin d al suo ap p arire n el prim o
secolo d. Cr. — άπ’ αίώνος significava in fatti «sin d all inizio dei tem pi», «sin
dall’eternità» (25) : ed è sorprendente che tu tti i m igliori lessici (Passow,
. Bailly, LSJ, Bauer, Dimitracos, ecc.) continuino concordem ente a regi­
strare il passo esiodeo sotto αιών = «lungo spazio di tem po, eternità» ed
a citarlo — collegandolo naturalm ente con dei passi evangelici — come
prim o esempio di significati quali «von U rzeiten», « o f old», «depuis le
com m encem ent des àges», «seit ewigen Zeiten», «von jeh er» , «solange es
M enschen gibt» e via dicendo: significati, oltre tu tto , che n o n si possono
assolutam ente adattare al passo esiodeo. N el quale si p a rla di u n uomo
e nel quale αιών non p o trà che indicarne la vita. C he qui, d ’a ltra parte,
la locuzione potesse valere «sin d a ll’inizio della vita», com e verrebbe da
supporre, è smentito dallo stesso contesto: chi si sposa, dice Esiodo, può
avere la fortuna di trovare u n a moglie p er bene, «m a anche p e r lui άπ’ αίώ­
νος il male άντιτάττεται καί έξισοϋται (sch o l .) al bene». D a l che risu lta chia­
ram ente che il significato atteso ed unicam ente am m issibile di άπ’ αίώνος
doveva essere «nel corso della vita», «toute sa vie», com e intese appunto
il M azon. M a è ben difficile am m ettere che tale locuzione potesse espri-

(23) Il passo non è molto chiaro: fa difficoltà άντιφερίζει seguito dall’infinito ϊμ-
μεναι: costruzione non attestata, tanto che il W opkens, seguito dal R z a c h e da vari altri,
emendò quest’ultimo in έμμενές. Per il valore di άντιφερίζει, cf. schol. ad L: άντιτάττεται ή
έξισοϋται (cf. pure H esych., s.v.). I w . 600-609 sono tramandati anche da S to b e o , Flor.
4, 22, 88: ma sulla importanza pressoché nulla delle testimonianze indirette posteriori
a l terzo secolo a. Cr., cf. M azon, o.c., X X IV .
(24) O wen , JThS X X X V II, 274ss., 297; G. Björk , Eranos X L V I, 72s.
(25) Ά π ’ αίώνος si trova per la prima volta nel De Subì. 34, 4: τούς άπ’ αίώνος ρή­
τορας, «gli oratori che ci furono fin dall’inizio dei tempi» ; poi si incontra sempre più di
frequente, come equivalente di έξ αίώνος, anche nelle iscrizioni (cf. IG, X IV , 737, ecc.)
e soprattutto nel gergo ecclesiastico, dove si specializza nel senso di «from eternity, from
the beginning» (O wen , 274). Su tutto ciò, cf. anche M oulton -M illigan , The Vocab.
o f the Gr. Testament, London-New York-Toronto 1914, I, 16.
CAP. i: OMERO ED ESIODO
27
mere un valore del genere (26) e sembra giustificato un emendamento.
Quando in epoca imperiale si costituì quell’unico manoscritto da cui di­
pendono tutti i codici esiodei (cf. Mazon, o.c., XVIIss.), άπ’ αίώνος — allora
molto diffuso si potè facilmente sostituire alla lezione originaria, che
doveva essere una locuzione rara e non più compresa: penserei quindi ad
επ’ αίώνος, vecchia e screditata congettura di Heyne (27), il cui passaggio
ad άπ’ αίώνος sarebbe spiegabilissimo anche dal punto di vista paleografico,
nel caso che si volesse pensare ad una corruzione puramente meccanica (28).
Έ π’ αίώνος, «nel corso della vita», non è attestato, ma è ben attestato fin
da Omero il valore di έπί col genitivo «zur Angabe der Zeit, in oder
während etwas geschieht» (Kühner-Gerth, I, 496s., cf. E 637, I 403 ecc.).
Esempi come έπί νεότητος (Ar. Ach. 211), έφ’ ήβης (Ar. E q. 524) e special-
mente come έπί βίου (Eup. 154 Kock, Plat. Phaedr. 242a), tolgono ogni
dubbio sulla possibilità di una forma έπ’ αίώνος.
Sembra chiaro, in ogni caso, che in tale passo αιών doveva senz’altro
avere un valore temporale, quale è quello implicito nell’aggettivo ίσαίων,
«dalla vita eguale», che costituisce un’interessante hapax (fr. A 8 M e r -
KELBACh ) : ούδ’ [ά]ρα ίσαίωνε[c] όυ[ώς μακάρεσσι θεοϊσιν] | άνέρες ήδέ
γυναίκες έ[σαν (cf. D ie H esiodfr. a u f Papyrus, Leipzig 1957). Altrettanto si
riscontra in un frammento della M elam podia pseudoesiodea (Tzetzes, ad

(26) Lo prova Io stesso significato di άπό (origine, distacco, allontanamento), sem­


pre presente nelle locuzioni temporali da esso formate (K ühner-G erth, I, 457); e lo
può confermare proprio Ω725, al quale il Paley maldestramente rinviava per giustificare
1’άπ’ αίώνος esiodeo. Questo è certo il primo sicuro esempio di άπ’ αίώνος prima dell’epoca
ellenistica; ma lo è solo semplice espressione nella quale άπό mantiene in pieno il suo
fondamentale valore: «Tu perisci giovane, strappato dalla vita». Che un caso analogo
■ed un analogo significato ci sia anche nel passo esiodeo, è da escludere. Il Thesaurus, I,
1125, che così intende, spiega άπ’ αίώνος = άπό βιότου e traduce: «e vita sua malum ha­
ben), ma è fuori strada. È invece significativo notare che non esiste in greco una formula
άπό βίου (cf. invece διά βίου, έπί βίου) ; anche άπ’ αίώνος, come formula, non sarà possi­
bile che quando αίών avrà acquistato valori diversi da «vita».
(27) H eyne leggeva τφ 8’ έπί αίώνος, mentre lo S chömann, il Peppmüller ed altri
τφ δέ δι’ αίώνος. I mss danno quasi tutti τφ δέ τ ’ άπ’, alcuni τφ δ’ άπ’ (contra metrum).
(28) Rispetto ad έπ’ αίώνος, si può osservare che δι’ αίώνος, il cui passaggio ad άπ’
αίώνος è paleograficamente meno chiaro, comporta l’eliminazione di τ’, che è dato dai
mss e richiesto dal contesto (per la forma τφ Sé τ’, cf. Op. 284). Se anziché ad un gua­
sto meccanico si pensa ad una sovrapposizione di formule, si noti che δι’ αίώνος era lo­
cuzione tutt’altro che rara e certo comprensibile anche ai tempi dello scriba : e si spiega
cosi meno facilmente come essa sia stata corretta e sostituita al corrente άπ’ αίώνος. Έ π ’
■αίώνος fu ripreso in considerazione ed accettato, che mi risulti, solo dal L ackerr, p. 11.
■Sul valore di έπί col. gen., cf. pure H umbert, Syntaxe grecque, Paris 1954, 308s.
28 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

Lycophr. 682 = fr. 161 Rzach3), nel quale si legge: Ζεΰ πάτερ, εΐθε μ οι
ήσσον’ έχειν αιώνα βίοιο | ώφελλες δούναι (ν. 1) e poco dopo (ν. 4) : δς
μακρόν γέ μ’ Ιθηκας εχειν αιώνα βίοιο | έπτά τ’ επί ζώειν γενεάς. L’espressio­
ne αιώνα βίοιο implica la distinzione tra la «vita» in senso dinamistico e
la «vita» come durata: e quest’ultima nozione è espressa da αιών (29),
che qui non è più la vita come contrapposto di θάνατος, ma il lasso di
tempo durante il quale uno vive, la sua durata; e non se ne parla più
solo in relazione alla morte come in Omero.
Si aggiunga, per completare l’indagine sull’epos arcaico, che αιών si
incontra infine n cW In n o a d E festo (v. 6), che è peraltro piuttosto tardo
ed appartiene forse al quinto secolo (Humbert, H om ére-H ym nes, Paris 1936,
214) : (ίηϊδίως αιώνα τελεσφόρον είς ένιαυτόν | εΰκηλοι 8’ άγουσιν, ed in Hes.
Sc. 331 : γλυκερής αίώνος άμέρσας. Nel primo caso si ha un evidente senso
temporale, nel secondo invece uno schietto omerismo (cf. X 58).

(29) È difficile decidere del preciso valore dei due termini in questa rara iunciura,
m a pare evidente che l’uno valga «forza vitale» e l’altro «vita» com e continuità di questa
forza. Secondo la P hilippson, RSF IV , 82ss., un’espressione come αιώνα βίοιο permet­
terebbe di affermare che αίών aveva sin dall’origine il senso di «tempo». Il che non è
vero: il greco, per dire «tempo, corso della vita», ama talora servirsi di un pleonasmo
formato da due parole che significano normalmente «vita»: βίου ζωή (P lat. Tim. 44c),
βίος ζωής (P lat . Epitt. 892a), ζωας βιοτά (Εν. Her. f . 664), ecc. N el vedico ayur jivase
(dove jivase è dativo finale della parola indicante «vita», mentre ayur è il parallelo di
αιώνα) abbiam o un’espressione consimile, benché il legame fra i due termini vedici sia
più stretto di quello fra i due greci (ibid., 82).
C a p . II

LA «G R U N D B ED E U TU N G » D I ΑΙΩΝ

La questione della «G rundbedeutung» di αιών, benché sia stata quasi


sempre tra tta ta di scorcio, è piuttosto complessa e presenta dei problemi
che, a mio avviso, vanno riveduti : lo dimostra, se non altro, il fatto che
le varie soluzioni che sono state proposte su questo argomento si rivelano
estremamente discordanti fra di loro.
S’è visto, d all’esame dei testi, come in Omero αιών presenti quasi
sempre un indiscutibile valore atem porale; senonché, di fronte a codesto
valore, sta l’avverbio αίέν con le sue varianti: avverbio che, come la lin­
guistica ha orm ai da tem po assodato, sicuram ente era connesso con αιών.
Il legame etimologico presuppone un legame semantico: ed è chiaro che
αίέν, antica form a locativale, ha fissato in avverbio un valore tem porale
del termine (30). Il che porterebbe a concludere che «in origine» la p a­
rola aveva due significati diversi, uno tem porale e l’altro atem porale.
Prima di addentrarci nella questione ed esam inare le varie interpretazioni,
è bene precisare la posizione di αιών — con le sue parentele — nell’am bito
del dominio linguistico indoeuropeo.
Αιών si collega direttam ente coll’indoiranico dyu h -a yü e col latino
aeuus-aeuum, nonché col gotico a iw s e col tocario A’ Oym. La comparazione
mostra come si debba risalire, per il greco, ad una forma * aìftóv : con u n
digamma (cf. Schwyzer, I, 347) che è epigraficamente attestato nell’avver­
bio aifei (K aibel, E p ig r . g r . 742). Accanto alla forma in nasale (31), l’indo­
europeo possedeva anche una form a sigmatica, come risulta, ad esempio,

(30) Già il Brugm ann, IF X V III, 425, vedeva in αίέν un locativo di αιών, «Lebens­
raum»; cf. C h a n t R aine, Formation, 166.
(31) Anche nell’ai. ci sono tracce di una forma nasale nello strum, äyunä e nel loc.
«jww, che sono direttamente da collevare con le forme greche αιών ed αίέν (M eillet ,
MSL IX, 368).
PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

dal genitivo vedico àyusah: e ne restano delle ben evidenti tracce anche
in greco, riconoscibili nell’accusativo αίώ (Aesch. Ch. 350) e negli avverbi
αίές, άές ed αίεί (32). Su questa forma ♦αί/ώς si sono fatte varie ipotesi;
alcuni hanno pensato, come s’è visto, che fosse di genere femminile, altri
che designasse, più propriamente di αιών, la forza attiva (33). Ma si tratta
di pure supposizioni non suffragate da alcuna attestazione. Comunque,
questi due gruppi nasale e sigmatico sono allargamenti di un tema in.
-u, conservatosi puro solo nell’indoiranico e, forse, nell’eolico e nelfarca-
dico (34). La ricostruita radice indoeuropea *aiw è dunque alla base
degli esiti che si riscontrano nelle varie lingue.

(32) Αίώ presuppone una forma *aif<öaa; l’avverbio dorico αίές è forma locativale
di αίώς così come αίέν lo è di αιών. Anche αίεί deriva da un precedente *αι5εσι (pare or­
mai scaduta l’ipotesi del B ru g m an n , Grundriss, II2, 2, 708 e del K u r y lo w ic z , BSL X X X V ,
32, secondo la quale si tratterebbe del locativo in -et di un tema in -o-, benché essa ri­
compaia nel L frE , c. 280), con vocalismo diverso rispetto ad αίώς. Per l’accentuazione
-ei in luogo di -et, cf. S t r e i t b e r g , IF V I, 340 (atticismo), per il passaggio da αίεί ad
άεί, cf. S c h w y z e r , I, 266; L e je u n e , Phonet. grecque, 216. Per quanto riguarda la pro­
blematica formula υΡαις ζαν del bronzo di Edalione — dove u f è la forma cipriota di
έπί ( S c h w y z e r, I, 631, 2; II, 517) — si sono fatte varie congetture, ma essa non pub
gettare alcuna luce sul valore originario di αιών e di atei. Per I’H o ffm a n n (D ie griech. D ia­
lekte, I, Göttingen 1891, 71ss.), l’espressione equivale ad έπί άεί; per il P o k o r n y , IE W b ,
I, 17 a διά βίου; E. F r a e n k e l , IF L X , 142ss., sostiene invece che ύ5αϊς ζαν sarebbe «ein
uraltes formelhaftes Asyndeton zweier bedeutungsverwandten Wörter» (e cioè «E w ig­
keit» e «Leben») e significherebbe «auf Ewigkeit (Lebenszeit) und bis zum Lebens (Ende)».
Altrettanto poco convincente la spiegazione dello H am p, CPh X L V III, 240, il quale
ravviserebbe nell’espressione cipriota un valore «in saecula saeculorum», che è certo il
risonanza più biblica che greca. Ricordo infine la recente interpretazione del L e je u n e ,
BSL L, 75ss., il quale, leggendo ύ αίς γαν, intende «en jouissance perpétuelle»(cf. γηθέω,
γαίων). In ogni caso, abbiamo in αϊς un equivalente di άεί: del quale avverbio esistono
molte varianti dialettali (cf. Boisaq., sv. αίεί; B uck, The Greek Dialects, Chicago 1955, 105).
(33) C h a n t r a i n e , Formation, 423; cf. W a ld e - P o k o r n y , W IS , I, 6. Anche per que- '
sta ipotesi ci si appoggia ad ήώς.
(3.4) Cf. eoi. αϊι(ν), άι(ν), da *aifi (S c h w y z e r, II, 619, 6; F ris k , G E W b , s.v. αίεί)
È su una forma avverbiale come *a iw i che si appoggiano i derivati latini aetas (da aeuitas)
ed aetemus, che altrimenti è difficile spiegare (cf. E r n o u t - M e i l l e t , D E L , s.v. aeuus;
F ris k , l.c.·, F r a e n k e l , IF L X , 142ss.); su aetemus, si veda però anche S ü t t e r l i n , IF
X L IV , 307s. ( *aiwoterenos); su aetas, S t a b i l e , CN V II, lOlss. ed H e r b ig , Phil L X X IV ,
450. U na tema in -o-, ravvisabile nel gotico aiw s e nel latino aeuus, è probabilmente pre­
sente nello strum, tarant. αίη, oltre che in δηναιός ed in αίόλος, come vedremo. U n tema in
-i- è invece presente nel gotico a iw (* a iw i), nell’aisl. oéfi, oevi «tempo, epoca»; uno in -a-,
infine, nell antico ated. éwa, TLwìdo, ew ig (cf. P o k o r n y , l.c., W a ld e -H o fm a n n , L E W ,
I, 21; F e is t, Vergi. W b. d. got. Sprache, Leiden 1939, 30 e 42; F. S p e c h t, D er Ursprung
der indog. Deklination, Göttingen, 1944, 88ss.). Per la divisione di questi diversi temi nel­
l’ambito indoeuropeo, cf. S p e c h t, o . c . , 539.
CAP. π: LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 3r

In latino, il maschile aeuos-aeuus, come pure il neutro aeuum (35), in­


dica il tempo considerato nella sua durata e non nella sua puntualità (36)
e presenta molti significati analoghi a quelli che αιών assume in epoca
classica e postclassica: come «durata della vita», «generazione», «età»
ed «eternità». Il termine, in effetti, si trova sotto il diretto influsso lette­
rario di αιών, cosa che si può dire anche per le forme celtiche e germa­
niche: così, ad esempio, per il maschile gotico a iw s, che vale «tempo»,
«mondo», «eternità» e riflette alcuni valori tardi della parola greca (37).
È dunque osservando le testimonianze di altre lingue, che si possono fare
delle osservazioni più significative: poiché le forme celtiche, germaniche
ed italiche sono «fixées dès le debut de la tradition» e quindi poco istrut­
tive (Benveniste, 105).
Il tocario A’ possiede ffym-, che rappresenta un antico *ayum e che
— a quanto pare — designava una nozione dinamistica e sacrale quale
«forza vitale», «spirito», «energia» (38). Varie forme presenta invece l’an-
tico indiano: accanto al maschile dyùh, contrassegnante il genio del vigore
fisico e della forza vitale, il neutro ayuh significava «gagliardia», «forza
vitale», «salute», ma anche «durata della vita» (39). Va poi ricordata
un’altra forma neutra dyu-, «Lebensfrische, Lebenskraft» (Grassmann, 183)
e l’aggettivo dyù, «mobile, agile, vitale», la cui forma maschile, sostanti­
vata, talora indica l’uomo — il «vivente» — e tal’altra il dio Agni (40).

(35) Il Benveniste, o .c., 108, pensa che aeuus sia la forma originaria latina, mentre
aeuum sarebbe formazione secondaria dovuta all’influsso di tempus; ma giustamente PEr-
n o u t-M e ille t, s.v. aeuus, osserva che anche la forma neutra è ben attestata già presso-
gli scrittori arcaici.
(36) E rnout-M eillet, l.c.·, E rnout, REL 1925, 107s.
(37) L ackeit, Atari, 6s.; Benveniste, o . c., 105; F eist, o. c., 30ss. Invece per la Phi-
lippson, o.c., 87, tali concordanze dimostrerebbero che tutti questi significati erano po­
tenzialmente racchiusi già in *aiw: ché, secondo lei, «quello che Poriginario pensiero­
linguistico racchiude come in un germe, si sviluppa» in virtù del «linguaggio creatore,
che offre al pensiero linguistico la sua forma» (ibid. 88).
(38) Cf. A.J. V an W indekens, Morphologie comparée du Tokharien, Louvain 1944,
35; cf. pure REG L X IX , 283s. e P okorny, l.c. («Geist, Leben»).
(39) Per àyùh, cf. H. G rassmann, Worterb. zum Rig-Veda, Leipzig 1873, 183 («6'e-
nius der Lebensfrische, Genius der Lebenskraft») ; per ayuh, cf. G rassmann, ibid. («Rüstigkeit,
Lebenskraft, Lebensdauer»), K. Geldner, Der Rigveda in Auswahl, Stuttgart 1927, I, 23
(«Leben, Lebenskraft, Gesundheit, Lebensdauer»)·, cf. pure C. Cappeller, Sanskrit-Wörter-
buch, Strassburg 1886 (comprende anche il vedico), 43. Il G rassmann aggiunge: «beson­
ders häufig da, wo der Wunsch oder die Bitte um lange Lebensdauer ausgesprochen
•wird»: cf. Hes. fr. 161.
(40) Geldner, l.c., Cappeller , l.c., G rassmann, 182.
32 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

Spesso infatti l’aggettivo viene usato come epiteto di tale divinità: cosa
significativa, se si tiene conto del posto predominante che occupa Agni,
il Fuoco vivificatore di tutte le cose (41), nell’ambito della religione ve-
dica. Il vedico dunque presenta la stessa alternanza semantica riscontra­
bile in greco: àyuh indica la «vita» sia come «forza vitale» che come «du­
rata», come si può constatare in una ricca gamma di esempi rigvediani (42).
Il termine indica la vitalità e la vigoria come principio individuale (R V
I, 89, 9) o universale (dyur vìgvàyruh: X, 17, 4), ma talora anche la vita
stessa nella sua totalità (I, 66, 1), come pure nella sua durata (devàhitam
ayuh: I, 89, 8). Talora il termine si presenta staccato da riferimenti con
la vita umana e non di rado viene riferito all’acqua, che nella tradizione
vedica è fonte di vita per eccellenza (43). Il senso di durata appare anche
nell’aggettivo dirghàyu-dirghàyuh (da dirghd, «lungo») e nei suoi derivati
(cf. Grassmann, 612). Con questi dati offerti dal Rigveda concordano
perfettamente quelli delle U pan isad: infatti, anche nel sanscrito vero e
proprio, il vocabolo Ayuh — e con esso i suoi numerosi derivati e com­
posti — può esprimere sia la nozione temporale di «logevità», «durata
della vita», che quella atemporale di «salute», «energia» (44).
Invece nell’iranico, e precisamente nel gatico — che rappresenta
una fase meno arcaica (Benveniste, 106) — il vocabolo mostra di essersi
consolidato, come αιών nell’epoca postomerica, in un esclusivo senso di
durata (Bartholomae, A ir. W b . 333) : sia il neutro äyü che il maschile y u s

(41) Il G eldner, Le., spiega àyù come «dunkles Beiwort des Agni und Soma, viel­
leicht Leben gebend, belebend»: ma se si tiene presente il valore di ayu- e l’importanza
di Agni, tale interpretazione appare sicura (cf. S pecht, KZ L X V III, 196). Su Agni, come
«lebenskraftegebendes Element», cf. T roje, A fR w X X II, lOlss.; V an der L eeuw, La
religion, 54. «La forza che vive nelle acque è Agni, nelle piante è Agni, nelle bestie e nel­
l’uomo è Agni» {RV I, 70, 2). Il T roje, che si sofferma a lungo ad illustrare Agni come
«Herr der Kraft», cost conclude: «nicht umsonst wird daher mit Agni das alte Wort
für Leben, Lebenskraft, dyu- in Beziehung gesetzt» (101s.). Si noti che uno dei soprannomi
di Agni è appunto "Äyusmat, «pieno di forza vitale». Per la questione del fuoco nelle lin­
gue indoeuropee e relativa bibliografia, cf. M astrelli, -AGI L III, lss. Anche dai Greci
il fuoco fu talora visto come una «cosa vivente» che garantiva la lunga vita e l’immor­
talità (cf. S chuhl, La pensée grecque, 114).
(42) I più antichi testi vedici non sono più antichi dei testi omerici (M eillet, A-
perfu, 9s.). N ell’articolo del Benveniste ed in quello della P hilippson sono riportati vari
passi del Rigveda: l’uno tende a far apparire il valore temporale come secondario e po­
steriore, l’altra mostra invece di ignorare quasi completamente il senso di «forza vitale».
(43) Cf. E liade, Storia delle religioni, 193ss.
(44) Cf. S tchoupak-N itti-R enou, Dictionnaire Sanskrìt-Franfais (è escluso il vedico),
Paris 1932, 121.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 33
valgono «durata della vita». «Il lungo dyù dell’infelicità e della tenebra»
(1 astia, XXXI, 20): il vocabolo presenta inoltre anche il valore di «età»,
«età della vita», come αιών ed aeuum (45). Frequente è poi il composto
dardyàyu (da d a n y a , «lungo»), che trova dei paralleli, oltre che nel scr.
dirghdyu, nel lat. lotigaeuus, nell’aisl. langoer e forse nel gr. δηναιός — come
vedremo oltre che in μακραίων. È poi significativo il fatto che l’avestico
conosca — come il greco — delle forme apparentate che significano
«sempre»: così il dativo avverbiale y a v ö i e lo strumentale y a v d (cf. tar.
αίή) (46) : dal primo è poi derivato l’astratto ya v a é td t, perpetuitas. Da
notare infine vispdyu, «duraturo, continuo».

***

La comparazione linguistica mostra dunque che il valore omerico


di «forza vitale» era indubbiamente implicito pure in *aiw . Il Benveniste,
riprendendo le intuizioni del Danielsson e del Johansson (47), ha dimo­
strato in modo convincente che tale tema era connesso con *yu, derivando
entrambi da uno stesso tema * i 2ei ( — *ai ). Da *yu derivano il latino iuuenis,
il sanscritoyuvan, l’avesticoy a v a , il gotico ju g g s e via dicendo: si dimostra
quindi una relazione protostorica fra dyuh e yuvan, aeuus e iuuenis, aiw s e
ju ggs e così via (48). La parola che serviva a designare il vigore fisico e

(45) Cf. B a r t o l o m a e , Altiranisches Wörterbuch, Strassburg 1904, 333. Il B e n v e n iste ,


O.C., 106, nota in questo ayu-età, il senso di «età vigorosa», «età di pienezza vitale»: poi­
ché il termine, nell’età umana, «marque le moment où la force vitale est à son période».
Così l’aggettivo prrmdyu vale appunto «il cui äyu è pieno» e cioè «adulto». Il B e n v e n is te
oppone quindi la sua traduzione «avec Paccomplissement du temps fixé» a quella «mit
dem Alter des bestimmten Termins» del B a r to l o m a e , a proposito della locuzione avestica
bwarstahe zrü d yi (Tt. V ili, II; X , 74); c f anche la convincente spiegazione che egli dà
del termine yuh, che spesso affaticò gli interpreti (ibid., 105).
(46) "Äyü e *yav- sono apparentati: c f B e n v e n is te , o.c., 103; P o k o r n y , o. c., I, 17.
(47) D anielsson , Grammatische und etymologische Studien, Uppsala 1886, I, 49;
J ohansson , Beiträge zur griech. Sprachkunde, 139.
(48) O.C., 103ss., c f Origines, I, 24; 52ss.; 157; 179. *Aiw e *yu sono due formazioni
sviluppatesi dal tema comune *otfi (= * a i) mediante il suffisso radicale -a-; si hanno quindi
due temi: 1) *32éiw, 2) *o2yéu (cf la proporzione *3iéiw: *o2yéu = *déiw. *dyéu). Con l’ag­
giunta dei suffissi -en- ed -es-, abbiamo le varie formazioni indoeuropee, fatta eccezione per
l’indoiranico che non ricorre a suffissi: da un lato si ha quindi αιών (*ai-w-en), dall’altro
αΐές, αίω e via dicendo; e, per il tema *yu, avremo: *s2yéu-en, *3tywen (con suffisso di grado
pieno il vocalismo radicale è zero: c f O igines, 1 , 179), *ety (a) wen, da cui yuvan, iuuenis,
juggs (*yuwungaz, cf. lat. iuuencus), ecc. Dialettalmente, le serie lessicali di *aiw e di *yuwen
si ripartiscono in posizioni opposte : i dialetti che hanno *yuwen non conoscono la forma

3 - E. DEGANI ο “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,


PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

la vitalità era etimologicamente legata con quella che indicava la giovi­


nezza. Il *juw en era dunque colui che era provvisto al massimo di *aiw :
«en d’autres termes — conclude il Benveniste (49) — étre ‘jeune’ c’est
étre en possession de ‘force vitale’».
Il valore vitalistico originario di αιών può venire ribadito anche da
una serie di parole che con ogni probabilità derivano dal tema * a iw . Cosi,
in primo luogo, l’aggettivo αίόλος. Per il senso, esso equivale a ποικίλος,
uersicolor (50), ma il suo valore basilare è «schnell, beweglich, schillernd,
bunt» come dice il Frisk (G .E .W ., s.v.) e come risulta anche da αΐόλλειν
«agitare» (υ 27; Plat. Crat. 409a). Se, come sostengono i più, è connesso
con αιών (*aifó-Xo?), esso costituirebbe un perfetto parallelo di Oyù e por­
terebbe in sè le vestigia dell’antico significato «mobile, vivace, vitale» (51).
Si può osservare che come ayù è spesso attributo di Agni, così αίόλος lo
è talora di Aiace (H 222, Π 107), l’eroe dalla vigoria impetuosa e violenta,
il cui nome è certamente connesso con * a iw . La pretesa ed ancor soste­
nuta parentela fra Αίας ed αία, «terra», («Erdmann») è falsa e non
tiene conto del fatto che in etrusco Αΐας viene trascritto con A ivas : da cui
risulta che la forma antica era *ΑΪ5ας, come oggi è ribadito anche dal
miceneo A iw as (52). Il prototipo, probabilmente, doveva essere *aiw-went,
«pieno di vigore» (cf. REG LXIX, 283).

in -en di *aiw (il latino aeuum sarebbe formazione secondaria); il greco, in effetti, non
ha un equivalente di iuuenis. A tal proposito ricordo qui la tesi del D umézil, BSL X X X IX ,
193, secondo cui il greco avrebbe formato questo genere di derivato dal tema *aiw, an­
ziché da *yu: quindi *aiw-n-ko (e non *yu-w-n-ko, da cui iuuencus, etc.), donde Αιακός (cf.
già il Brugmann, IF IX , 293).
(49) O.c., 110. Questa dimostrazione della originaria parentela dei due temi è ge­
neralmente accettata: cf. E rn o u t-M eillet, sv. aeuus, Pokorny, l.c. La rifiuta invece il
J u r e t (Diet, étymol. grec et latin, Limoges 1942, 93), sulla base però di argomenti cui non
si può dar peso: «comme 1’αΙών agit toute la vie, on ne peut rapprocher ce mot de iu-
venis». Per altri esempi da cui risulta evidente l’affinità e, quasi la complementarietà fra
valori come «energia» e «vita», cf. Van Windekens, KZ LX X , 239ss .
(50) Come ha dimostrato il Parmentier, RBPhH I, 417ss. Anche Eustazio (1681,
3) glossava αίόλος con ποικίλος.
(51) Benveniste, o. c. , 107. Αίόλος deriverebbe da un tema di nome o aggettivo in
-ο-, *αιΕος. Già il Danielsson, IF X IV , 386 aveva ammesso un legame con *atw ed
aveva collegato αίών con αίόλος. Questa spiegazione è generalmente accettata (Boisaq,
Hofmann, ecc.). La rifiuta E. F raenk el, Gnomon X X II, 239, che propone come base
* ( f )αι (Ε)όλος, connettendolo con *wel, «wälzen, drehen, wenden» (cf. είλεϊν, *Εελνε), sul­
l’esempio di δαίδαλος-δαιδάλλειν, παιπάλη-παιπάλλειν. Per altre interpretazioni, cf. Frisk,
sv.; LfrE, s.v.
(52) V entris-C hadwick, Documents in Micenean Greek, Cambridge 1956, 104. Cf.
C arnoy, Dictiom., 13: R oscher, Myth. I, 115; Schwering IF X X X , 220. L’etimologia
CAP. Ii: LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ
35

Potremmo continuare con vari altri accostamenti che sono stati fatti:
ma in realtà essi sembrano tutt’altro che sicuri ; e questo, in verità, è un
campo molto delicato dove la prudenza non è mai troppa, poiché si può
cadere facilmente nel mito. Il Danielsson, ad esempio, ha cercato di ac­
costare ad * a iw , «impeto, vitalità», il verbo άίσσω, «slanciarsi» (cf. άΐκή),
sulla base di un prototipo *aiflx-j&> (IF XIV, 386); ma sembra peraltro
preferibile pensare ad una forma *fai-fix-jw (cf. εϊκω: Boisaq, Hofmann,
Frisk, ecc.). Più ardito ancora, forse, il tentativo dello Specht di far deri­
vare da * a iw anche il tema * a ig -, «quercia», (cf. αιγίλωψ; ted. Eiche, ecc.):
albero che, «unvergänglich und ewig», doveva essere simbolo di «Kraft»,
«Stärke» e di «Beständigkeit» (53). Del tutto ipotetici sono poi da consi­
derare gli accostamenti con "Αιδης (*aifiS-), αΐετός e via dicendo (54).

* * *

Gli opposti valori che αιών, come i testi ci inducono a concludere,


aveva in epoca preomerica, possono sembrare — a tutta prima — incon­
ciliabili fra di loro: tanto è vero che si è sempre tentato di dimostrare una
successione cronologica fra di essi, eliminando l’uno o l’altro di essi dalla
ipotetica «Urbedeutung» del termine.
Infatti, la presenza di αίεί ed il parallelo col latino aetium, general­
mente inducono a pensare che αιών avesse senz’altro «in origine» un si­
gnificato come «tempo della vita», «periodo d i esistenza» oppure «tempo», «du­
rata », «durata infinita ». Così il Boisaq registra per αιών solo valori tempo­
rali («durée de la vie, temps, éternité») ed altrettanto fa il recentissimo
Frisk («Lebenszeit, Zeitdauer, lange Zeit, Ewigkeit»), mentre per l’Ernout-
Meillet lo stesso * a iw era «le nom indo-européen de la ‘durée’ (en général

con αία fu sostenuta dal F ick, KZ X L II, 7 e poi dal BlUmel IF X L III, 272ss., dal
Kretschmer, Gioita X X X III, 12ss. e quindi dal R isch, Wortbildung der hom. Sprache,
23ss. ed ora dal F risk, sv., e dal LfrE, sv. (se ne veda la critica di B. M arzullo, Philol
CI, 189, 1). Ma già il Brugmann, IF X V , 91ss. aveva visto che αία viene da *afta (cf.
auia) e non da *aifa (così il S olmsen, IF X X V I, II, che collegava ala con *A lfa;) ed
aveva anche avuto l’intuizione di collegare αιών con Αίας (IF X I, 293).
(53) Specht, KZ L X V III, 194ss., 198. Cf. robur-robustus; Hesych. δροόν Ισχυρόν; lit.
drùtas «forte», ecc.; V erg. Georg. II, 291 ed E liade, Storia delle religioni, 275ss. L’infìsso
-g- si trova nel gotico «in qjuk-dùps» (είς τόν αΙώνα) e nell’angl. ece «eterno». Il Benve-
niste, O.C., 105, avanza anche l’ipotesi che pure l’aggettivo iugis «qui coule toujours» (del­
l’acqua), derivi da *aiw (cf. invece E r n o u t-M e ille t, s.v. iugum).
(54) D anielsson, IF X IV , 384ss.; Boisaq, Dici., sv. αίόλος. "Αιδης invece viene da
*σαιΕ- (cf. lat. saevus). Di qualche altro accostamento si parlerà in seguito.
36 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

la ‘longue durée’, la ‘durée sans limite’)». Quest’ipotesi è la più diffusa:


ripetuta concordemente dai dizionari — tra cui il LSJ — la si incontra
qua e là nelle grammatiche, nelle morfologie e in genere in tutti
i trattati, laddove venga registrato, accanto al termine, il significato fon­
damentale originario. Ammettendo un valore temporale, sembra infatti
facile spiegare αίεί: prima di fossilizzarsi nel significato di «sempre», il
locativo doveva valere «in meiner Lebenszeit» (Wackernagel, Vorles. II,
273), «zeitlebens» (Lackeit, 7), oppure «in der Zeit», come voleva Hirt
che ne indicava un parallelo nell’ai. àhan, «am Tage» (IF XXXII, 295).
La questione fu apertamente affrontata da H. Fränkel, sia pur in una
nota sommaria e piuttosto generica. Secondo lui, la presenza di αίεί in
Omero mostra senz’altro come il valore «Leben» sia una specializzazione del
tutto secondaria del senso originario, che doveva appunto essere «Dauer»,
«Bestand» (ZfAe XXV, 114) oppure «Zeit» ( W uF 8 6 , 0). Senonché
è difficile ammettere che un valore temporale abbia potuto dar luogo ad
uno atemporale; e la cosa appare senz’altro assurda, se si tiene conto di
un’accezione così schiettamente concreta come «midollo spinale». Anche
volendo ammettere che non sia originaria, essa tuttavia presuppone ne­
cessariamente un significato vitalistico e non temporale. Del resto, tutti
coloro che si muovono sulla via del Fränkel mostrano di ignorare del
tutto i valori «forza vitale» e «midollo spinale». Si finisce così facilmente
per prendere in considerazione solo pochi passi — quelli che possono ser­
vire al proprio scopo — trascurando gli altri: ma con tale metodo ogni
dimostrazione è possibile. È il caso, ad esempio, della Philippson, secondo
la quale il significato primario di αιών era già «eternità», «tempo infinito» :
anzi, nello stesso *aiw , erano già compresi «in nuce» tutti i valori che i
vari aeuum, aiws ed ayu- avrebbero assunto in epoca storica (RSF IV, 81ss).
E quando le capita di incontrare ben evidente il valore atemporale, la Phi­
lippson afferma che, talora, «la durata appare, in certo modo, come forza»
(ibid. 87) : che è conclusione troppo sbrigativa e tutt’altro che soddisfacente.
Invece altri studiosi, seguendo più da vicino i testi e riconoscendo
— come vuole la stessa comparazione linguistica — che il valore atem­
porale non poteva costituire un’accezione marginale e secondaria, pensa­
rono che esso fosse senz’altro quello originale e l’altro ne fosse derivato (55).

(55) Già il Reynaud, RPh XIX , 280, sosteneva, con poca chiarezza, che «la no­
tion de temps derive bien... de celle de vigueur, vie»; ad una anteriorità di «Lebens­
kraft» pensarono pure I’Eisler, W uH , 101; il Lackeit, Aion, 6, il Troje, AfRw XXII,
89 ed altri; vi accennano pure I’Hofmann, GEW, sv. αιών, I’E rnou t-M eillet, DEL,
s.v. aeuus, il Juret, Dici., 93, e, come vedremo, il LfrE.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 37

«Puisque 1’αΐών est le principe interne qui maintient l’homme vivant, c’est
la persistence de 1’αίών qui mesurera la durée de la vie; aussi longtemps
1’αίών d’un homme demeurera intact, aussi longtemps vivra cet homme.
Celui dont 1’αίών subsiste pendant une période étendue, sera dit δην-αίός
(‘qui vit longtemps’, cf. sk. dïrghsyu)» (56): così il Benveniste spiega il
passaggio da «forza vitale» a «durata della vita». Ed è spiegazione con­
divisa, più o meno esplicitamente, da tutti coloro che tennero in consi­
derazione il significato non temporale del termine, per la facile convin­
zione che un valore «astratto» non poteva che essere secondario rispetto
ad uno così «concret et humain» come quello di «forza vitale». Mentre,
peraltro, in genere si concluse che il detto passaggio semantico si doveva
essere verificato prim a di Omero (così, ad esempio, i citati Eisler e Lackeit),
invece secondo il Benveniste il valore temporale del vocabolo sarebbe
esclusivamente postomerico: si presenta così il problema di spiegare il
rapporto fra αιών ed il già omerico αίεί. Il Benveniste lo risolve ammet­
tendo che di fronte al maschile αιών, indicante la «forza vitale», una forma
neutra avrebbe indicato lo spazio di tempo in cui dura detta forza vitale.
Da tale forma si sarebbero sviluppati gli avverbi significanti «sempre»,
tra i quali ed αιών vi sarebbe dunque stata convergenza solo quando il
termine si svuotò — dopo Omero — del suo valore vitalistico e «con­
creto», affievolendosi in «durée de la vie» (p. 109). Senonché, di questa
ipotetica forma neutra (57) non rimane traccia alcuna; esiste, è vero, un
neutro in altre lingue indoeuropee: ma postulare su questa base una forma
non attestata per obbedire al postulato secondo il quale la «forza vitale»
dovrebbe essere espressa da un maschile o un femminile, mentre la «du­
rata della vita» da un neutro, non pare giustificabile (58).

(56) Benveniste , 109. Δηναιός viene generalm ente collegato con αΐών e p ro v erreb b e
d a u n an tico te m a in -o-, te m a che secondo il Benveniste si sarebbe tro v ato an ch e in
u n aggettivo la tin o *aiuos, d a cui sarebbe deriv ato aeuitas (s’è visto p erò che aeuitas si
può spiegare m eglio, sulla base d i form e attestate) (ibid., 107) : lo stesso tem a è co m u n ­
q ue a tte sta to in greco in αΐή e, com e s’è visto, m olto pro b ab ilm en te an ch e in αίόλος. Il
collegam ento d i δηναιός con αιών, am m esso d a l Boisaq e d a ll’HoFMANN, è rifiu tato d a l
F risk , G E W , sv. δηναιός, secondo il quale il term in e d eriv a d irettam en te d a δήν (acc.
d i *SFà, *SoFà ‘d u r a ta ’; cf. duro, dudum): cf. παλαιός, άρχαϊος.
(57) D i un neutro *αΙΓος parla anche il Be c h t e l , Griech. Dialekte, II, 360.
(58) Il B e n v e n i s t e attribuisce grande importanza al genere: una differenza di genere-
corrisponde infallibilmente, secondo lui, ad una differenza di concezione. Il m aschile
(ed il fem minile) significherebbe l’attività, onde aeuus doveva essere il «tem po» consi­
derato com e forza anim ata; una forma neutra invece avrebbe espresso il «tem po» ob­
biettivam ente inteso com e «durata», com e «spazio di tempo» (cf. pure E r n o u t , R E L
1 9 2 5 ,107s.). Sta peraltro di fatto che i testi non seguono m ai tali schemi: aeuus ed aeuum
PARTE ι: ΑΙΩΝ NELLA poesia

Singolare è l’interpretazione di H. Seiler nel L frE . Seguendo il Ben-


veniste, egli afferma che il valore originario di αιών era «Lebenskraft
Jugendblüte des Mannes» (c. 402), ma rinuncia alla forma neutra e tenta
invece di dimostrare che il valore di αΐεί deriva appunto da «forza vi-
tale». L’originario significato dell’avverbio, egli nota, non si doveva rife­
rire alla «vita» o al «tempo» (ciò che sarebbe incompatibile col valore
stesso di αιών), ma piuttosto «auf das, was ‘in flore ’ ist, ‘in K raft' ist, ‘g ilt’,
adv. ‘aufs neue', ähnlich germ. nhd. je , je-w eise, d.h. j e und je , jeweilen, worin
die Repetition beschlossen liegt. Vgl. nachhom. ό αίεΐ βασιλεύων, Hdt.
II, 98, τόν κρατοϋντ’ άεί, ‘den jeweiligen Herrscher’ Aisch. Pr. 907» (c.
280). Il significato fondamentale e primario di αίεί sarebbe dunque «je
und je , aufs neue, wieder : nicht durativ (die immerwährende Dauer bezeich­
nend), sondern segmentativ» (c. 282). Il valore di durata apparirebbe
soltanto, a detta del Seiler, in nessi come έμμενές άεί, συνεχές άεί e si­
mili; più tardi, anche il solo άεί assumerebbe questo senso, specie in

non si differenziano affatto per il significato ed aeuus esprime sempre — nei non molti
passi dove è attestato — l’obbiettiva durata, mentre aeuum assume spesso il valore di
forza cosmica che determina gli eventi (Lvcr. V, 58, 306, 379, ecc.). Non si vuole con
ciò affermare che la nota distinzione fra genere animato ed inanimato, che viene dai
linguisti postulata per lo stadio primitivo delle lingue (cf. Meillet, Linguistique kisto-
rique et linguistique générale, Paris 1948, 219; La catégorie du genre et les conceptions indeuro-
péennes, Paris 1948, 211ss.; Aperfu, 44s.; MSL X X I, 249ss.; cf. L. Hielmsley, Animi et
inanimi, personnel et non-personnel, Paris 1956, 155ss.), non abbia avuto — entro certi li­
miti — il suo valore; anche se si può constatare che tali distinzioni sono contraddette
di continuo: così il maschile avesticoyus ed il neutro dyù valgono entrambi «durata della
vita», mentre anche il neutro vedico àyuh vale «forza vitale» come αιών. Quello che in­
vece ci pare sia da rivedere, è la presunta contrapposizione fra genere animato, come
proprio della sfera religiosa, e quello inanimato come proprio di quella materialistica
(cf. Pisani, RAL IX, 103ss.); poiché quello che per noi è inanimato non è detto che
fosse tale anche per i primitivi, per i quali l’ambito della sacralità aveva un’estensione
molto più vasta. Dire, in altri termini, che la «forza vitale» corrispondeva al genere ani­
mato e la durata di detta forza al genere inanimato, non ha senso che per una lingua
ed ima coscienza che abbia laicizzato e separato queste nozioni, quale è appunto la no­
stra: ma per il primitivo esse erano la stessa cosa e si trattava di una nozione sacra e
quindi dinamica. Il neutro poteva indicare, semmai, una forza anonima ed impersonale,
ma pur sempre una forza come il maschile ed il femminile: come possono indicare, nel
nostro caso, gli esempi di àyuh e di aeuum. Una distinzione fra le funzioni dei generi par­
rebbe invece possibile sul piano della personificazione, anziché sulla base delle categorie
di «animato» ed «inanimato»: se detta forza viene personificata, allora il maschile (o
femminile), si contrappone al neutro. Ecco il maschile àyuh «genio della forza vitale»,
che non potrebbe essere un neutro: e ciò è provato dagli indigitamenta, che contengono
in sè sempre un principio di personificazione e sono tutti ma«-hili e femminili (cf. RE
IX , 2, 1339ss. ; Van der Leeuw, La religion, 147ss.).
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 39

unione col verbo είναι (cf. θεοί αίέν έόντες). In realtà la nozione di du­
rata è ben attestata già nell Ilia d e e nulla autorizza a pensare che essa
sia secondaria (59) ; e, del resto, queste argomentazioni sono tu tt’altro
che convincenti. Non convince affatto che un valore nettamente tempo­
rale come quello contenuto in αίεί possa derivare da uno atemporale;
anche rifugiandoci nei vari « au fs neue, w ied er» ed in una nozione di ripe­
tizione, si e sempre costretti ad ammettere un senso di continuità e, quindi,
di durata, sia pure saltuaria. Del che si rendeva conto lo stesso Seiler, il
quale cade in evidente contraddizione quando, dopo aver osservato che
fra le varie manifestazioni della forza vitale c’è quella di «scorrere», «pas­
sare», come risulta da ε 152, osservava che questa «Weiterentwicklung»
dell’αιών che «verfliesst», «muss...., zum mindesten für die andern Bil­
dungen von selben Stamm (vgl. αί(ί)ές, αί(/)εί, a i(f )έν, usw.), schon
vorhomerisch eingesetzt haben» (c. 402).

***

Non ci si è mai chiesti se questi due significati, che alla nostra ra­
zionalistica m entalità — la quale ha imparato a dividere e disimparato
ad unificare — appaiono affatto inconciliabili, fossero tali anche per la
mentalità dei prim i greci, la quale, molto più «primitiva» della nostra,
ignorava le sottigliezze e le distinzioni del nostro intelletto (60). In quella
lingua e in quella mentalità non potevano questi due concetti — anzi:
nozioni — coincidere ed essere una cosa sola? Come nel greco arcaico,

(59) Lo stesso Benveniste, che pure aveva pensato alla forma neutra, affermava che
«ce ‘toujours’ indique ce qui est perpétuellement récommencé, avant d ’étre un ‘toujours*
permanent et im m obile» (Le.): e contrapponeva il senso di ripetizione di A 52: alti 8è
πυραί νεκύων καίοντο θαμειαί a quello di immobilità di A290 : θεοί αίέν έόντες, dove avrem­
m o uno sviluppo sem antico seriore. Che il primo significato sia il più genuino ed il più an­
tico, è affermazione da discutere: non si potrebbe forse sostenere il contrario? Che cioè
a h i, inserito in un contesto ove si parla di cose che «diventano» e non di cose che
«sono», possa assumere anche il senso di ripetizione? In realtà αίεί indica, in ogni caso,
continuità: ed è proprio il contesto a determinare, di volta in volta il valore dell’avver­
bio (cf. M ondolfo , L ’infinito, 102). Il presunto valore secondario si trova ben attestato
col verbo είναι sia nell’Iliade (A290, 494; Φ518; Ω99: m a il S eiler, c. 287, afferma che
tali passi sono... pochi, per poter smentire la secondarietà del senso di durata) che nel-
ΓOdissea (a263, 379; β143; γ147; 8582; ε7; θ306, 365; μ371, 377; ν144) ed è pure evi­
dente in άενάοντα, «immer fliessend», com e am mette lo stesso S eiler, c. 177.
(60) «U ne grande partie de la culture grecque est ‘primitive’... la ‘prim itivité’ est
une structure de l ’ésprit» (V an der L eeuw , L ’homme primitif, 139).
40 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

così anche nella fase più arcaica dell’indoiranico i testi confermano questa
ipotesi: «forza vitale», «vigoria», «salute» e «durata della vita» (61) sono
compresenti e non si escludono affatto. E nulla in effetti ci autorizza a
pensare ad una anteriorità del significato atemporale: la «durata» non
è affatto un concetto filosofico, né un’astrazione. Questi primi poeti non
erano dei filosofi e non potevano avere che il senso concreto della «du­
rata» bergsoniana: il senso del tempo vissuto e non ancora omogeneizzato,
quale si presenta alla coscienza del primitivo, il quale vive in una sfera
mitica che ignora le astrazioni (62). La forza vitale, all’esperienza, non
si rivela che nella durata: e l’una e l’altra erano la stessa cosa. Il che, anche
se a noi può sembrare un po’ forzato, non è detto che tale dovesse essere pu­
re per i primi Greci e per gli indoeuropei. L’analisi disperde in elementi se­
parati quello che era unitario per la coscienza che l’ha concepito : ma nel
pensiero di questi popoli, e così nella lingua che ad esso corrispondeva, le
varie nozioni di «mobilità», «gagliardia», «salute», «durata», «giovinezza»
e simili — che a noi appaiono ben distinte — erano tanto strettamente col­
legate fra di loro che l’una presupponeva necessariamente le altre: erano
anzi fuse in un’unica intuizione ed espresse da un’unica parola. Di tale
unità, dissoltasi col progressivo razionalizzarsi del pensiero e della lingua,
sussistono peraltro alcune vestigia: degli elementi inafferrabili per la lin­
guistica, nei quali l’unitaria concezione di quei popoli ci appare ancora
in atto e che sono stati ben messi in luce dal Dumézil in un suo studio
dedicato a problemi di mitologia indoeuropea (AHES X, 289ss.). * A iw
e *yuw en, egli sottolinea (p. 290), esprimevano delle nozioni magico-reli-
giose e prima di divenire materia di speculazione «elles ont été vécues,
elles ont représenté un bien, à acquérir ou à conserver..., elles ont soutenu
des rites efficaces et orienté, animé les mythes garants de ces rites». Ed
è appunto attraverso l’esame di alcuni di tali miti, che noi possiamo an­
cora vedere sul vivo — e non ricostruire solo astrattamente — il dina­
mismo antico di queste nozioni: il che è ancora possibile, almeno nel do­
minio italo-celtico.
Vediamo a Roma, il mito di Iuuentas. Tale dea era una delle vecchie
divinità della terra romana ed il ripristino che si fece in epoca imperiale

(61) Possiamo dire anche «durata» semplicemente, anche se il vocabolo, natural­


mente, non lo incontriamo nel senso di «durata in sè», «durata infinita» senza limiti : per
questi primi poeti, infatti, il «tempo» non può essere che il tem po di qualcuno.
(62) È il tempo vissuto e non ancora quantificato, il tem po del m ito e non del ca­
lendario. la durata in cui tutti gli istanti hanno una loro individuale vita. Per tutto ciò,
cf. V an d e r Leeuw , La r e lig io n , 376ss., L ’homme primitif, 96ss. ; C assirer, P h ilo so p h ie d*
symb. Formen, II, 149ss.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI Α ΙΩ Ν 4»

del suo culto, trascurato durante la repubblica, non fu che il ripristino


in un antico stato di cose. Come si può intendere da Dionigi d ’Alicar-
nasso (IV, 15), Iuuentas non era l’astratta patrona dei giovani, ma rap­
presentava «l’aspect mythique d’un rouage essentiel de l’Etat» (p. 291) :
era la garante della durata di Roma, in virtù di un mito che — come
la maggior parte dei miti romani — è calato nella storia. Quando T ar­
quinio il Superbo prese a costruire sul Campidoglio un tempio per Iu-
piter, Iuno e Minerva, scacciò le divinità istallate sulla collina: tutte,
tranne però Terminus et Iuuentas, che vi vollero rimanere (cf. Dion. Hai.
I li, 69; Liu. V, 54, 7; Floro I, 7) ed i cui santuari furono incorporati
nel nuovo tempio: da questo fatto gli indovini conclusero che nessuna
circostanza (καιρός ούδείς) non avrebbe mai né sconvolto i confini, né alte­
rato il vigore della città (ούτε τούς δρους μετακινήσει... ούτε τήν άκμήν μετα-
βαλεϊ). È evidente che Terminus e Iuuentas sono i garanti, rispettivamente,
deH’immobilità e della vitalità dell’Urbe: «le premier ne donne évidemment
pas à Rome T'espace’, l’accroissemente progressif, mais le maintien contre
toute irruption de son tracé du moment; parallèlement, la seconde ne
lui donne pas non plus le ‘temps’, une durée indéfinie, mais le maintien,
contre tout vieillissement, de sa force vitale du moment» (p. 292). Però,
se la distinzione è stabile nel primo caso, nel secondo invece «les notions
de ‘force vitale maintenue’ et de ‘durée’ soni maldiscernables; elles sont
au moins, et très vite, asymptotiques, puisque le maintien de la force vitale
ne peut se prouver qu’à l’expérience, par la constatation de la durée, par
le compte d’un nombre... de générations écoulées sans ‘vieillissement’ de
la cité» (L e.). Qualche tempo dopo Floro, ripetendo il racconto, dice:
«placuit uatibus contumacia numinum (se. Iuuentutis et Termini), siqui­
dem firma omnia et aeterna pollicebantur» (I, 7) : e la conclusione non
può essere che quella del Dumézil: «Iuuentas est donneuse d’aeuum, d’un
aeuum qui est à la fois ακμή et aeternitas» (p. 293). Mito analogo a questo
di Iuuentas è quello dell’antico eroe irlandese M a c Oc (cf. irl. oac, oc, «gio­
vane»; gali, ieuanc, i.e. *yuw n-ko-), il protettore dei giovani, il cui ufficio
era quello di amministrare V * a iw in rapporto agli individui ed alla collet­
tività (pp. 294ss.) : ad un certo momento, benché invitato ad andarsene,
rifiuta di abbandonare la propria sede. Si intravedono così i contorni di
una divinità italo-celtica, il cui nome conteneva *yuwen: ed il carattere
italo-celtico di un tale mito è confermato da varie altre coincidenze che
lo rendono sicuro (63). Questa originaria coincidenza di valori opposti

(63) Ad esempio: le teste sotterrate hanno nella tradizione celtica un posto impor­
tante, come palladio della città; e palladio di Roma era appunto — insieme con Ter-
42 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA

può essere ribadita anche dalla funzione che ebbe *aiw presso le anti·
chissime società segrete (Gandharva, Κένταυροι, Lupercales) e dal nome ar-
meno dell’alba (.Ayg), che era la garante della lunga vita (64).

* * *

Αιών era dunque la «forza vitale», ma non disgiunta dalla sua durata:
il che può spiegare come un avverbio tratto da tale vocabolo potesse va­
lere «sempre». È peraltro necessario mettere in rilievo un altro fatto, fi­
nora non rilevato. Risolta sul piano temporale, la nozione di «forza vi­
tale» che, come giustamente mise in luce il Benveniste, indica qualcosa
che è costantemente alla sua άκμή, non poteva che tradursi in «durata
della vita». Αιών, infatti, indica il «tempo» della vita visto nella sua con­
tinuità, non nella sua puntualità: è la totalità della vita, nei due limiti
del principio e della fine. Questo fondamentale senso di holòtes e di con­
tinuità temporale non verrà mai meno nel termine ed è chiaramente com­
provato dalle definizioni βλος ό βίος, δλος ό παρών βίος che molto spesso
ne furono date (65) : la stessa definizione aristotelica di αιών come τό τέλος
τό περιέχον τον της ζωής χρόνον né è un’ulteriore esplicita conferma. Si

minus e Iuuentas — quel capo umano che venne alla luce durante gli scavi di sistema­
zione del colle (cf. p. 295).
(64) Ayg, come già vide il P a tr u b à n y ( a p . D um ézil, o . c . , 299, 1; 299, 2), va con­
nesso con *aiw : accostamento che però venne molto spesso rifiutato per il senso, poiché
si vedeva in *aiw il solo valore temporale. Ma *aiw non è il «tempo» astratto» : esso è —
se proprio vogliamo esprimerci in questi termini — il «tempo di vitalità massima», il
«tempo giovane»: e l’alba, che nelle concezioni mitiche armene aveva un posto di primo
piano (il sorgere del sole, apportatore di vita, è ancor oggi caricato di sensi religiosi e
d i riti presso il popolo armeno), era appunto il tempo giovane (anche in R V , I, 113, 1,
l ’aurora è detta yuvati) e vivificatore per eccellenza (pp. 299s.). «’A κμήdujour, garante
de la longue vie, la vierge Ayg des croyances et des rituels populaires de l’Arménie, mé­
n te bien del prolonger la force vitale, *aiw , indeuropéenne» (p. 300). Sulle società se­
grete indoeuropee, i cui affiliati rimanevano a lungo giovani usufruendo di un prolun­
gamento di *aiw , cf. pp. 295ss. Lo stesso D um ézil (BSL X X X IX , 193) collega con *aiw
il nome del leggendario re di Egina Αιακός, come s’è visto: Αιακός, che conta fra i suoi
discendenti i guerrieri (*yuiven) Achille ed Aiace, è, come M ac Oc, «l’un des gardiens de
1 autre Monde, de la vie étemelle (cf. αιών), à coté de deux personnages égéens». Sulla
natura bellica della gioventù indoeuropea, cf. ibid. 185ss., 188ss.: il valore militare (cf.
*yeudh, «combattere») era «la manifestation essentielle de la ‘force vitale’ à son période
(άκμή)».
(65) Cf. O w en, o . c . , 265ss. e passim.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 43
■capisce allora come 1 antico locativo αίέν-αίεί abbia potuto assumere il
valore che esso presenta già in Omero (6 6 ) : basti pensare alla locuzione
■δι’ αίώνος, sulla quale torneremo, che potè ben presto passare al valore
di «sempre», «continuamente», cosa che non si verificò affatto per διά
βίου, il cui significato di «durante la vita», «nel corso della vita», si man­
tenne sempre immune da «allargamenti». Ciò non sarebbe stato possibile,
se αίων avesse indicato semplicemente il «tempo» della vita, senza il suac­
cennato senso di holòtes: il quale dà ragione anche delle sfumature fata­
listiche che αίων molto spesso assunse ed in particolare dell’identificazione
αιών = μοίρα che incontreremo in Pindaro (67).

(66) Per la Philippson, o.c., 86 , ad un «sempre» deve corrispondere un sostantivo


che valga «durata infinita, eternità»: ed il Frabnkel, analogamente, osserva: «wenn
einer Handlung Dauer schlechthin zugesprochen wird, ist naturgemäss absolute, also
ewige Dauer gemeint» (ZfAe XXV, 114): tutto ciò equivale a dire che αιών doveva
avere il valore di «eterna durata» già prima di Omero: cosa che cozza, anzitutto, con­
tro l’inoppugnabile evidenza dei testi. In WuF, 85s, 3, il Fr®nkel dà una spiegazione
più elaborata: dalla radice della parola indicante il «tempo» si poterono sviluppare i
vari alci ed aeternus, perché — egli nota — mentre noi siamo soliti vedere nel tempo li­
miti e confini, invece esso è per gli antichi «das unendliche weite Gefäss, das mit seinem
wachsenden Inhalt an Geschehen immer noch mitwächst, und dessen unabsehbare Enden
alles Sein umspannen»; e, per confermare ciò, egli cita Her. V, 9, 3: γένοιτο 8’ äv παν
-έν τφ μακρφ χρόνω e PiND. 01. II, 19: χρονός πάντων πατήρ. Oltre tutto, citare Erodoto
e Pindaro per una questione che si riferisce addirittura ad una fase indoeuropea, non
pare molto appropriato, specie dopo che il Frenkel stesso — nella sua Zeitauffassung —
ha chiaramente dimostrato la profonda diversità del χρόνος omerico e postomerico.
(67) Nel suo Vergleichendes indogermanisch-semitisches Wörterbuch, Göttingen 1911, 5,
il Moeller parla di un protoindoeuropeo-semitico *h-y-w e cita l’aggettivo ebraico hai
«vivo, vivente» ed il sostantivo arabo hayawanun «animale, cosa vivente, vita». È co­
munque da notare che tale aggettivo viene spesso riferito all’acqua (come àyuh), mentre
il sostantivo arabo si trova talora nel senso di «res perennis» ed «aquaefons, iugis aquaefons».
Perché? Perché la vita si rivela nel movimento, nella forza e nella durata: e nel perenne
scorrere dell’acqua i primitivi hanno sempre intravisto un simbolo di vita, nonché di
giovinezza e di perenne durata (Van der Leeuw, La religion, 193ss., 199ss.).
Cap. Ill

I L IR IC I E PIN D A R O

Se i vari ‘significati’ di αίών potevano in epoca preomerica libera­


mente coesistere, essi cominciano a divenire contradditori quando il termi­
ne si laicizza, uscendo da quella prim itiva atmosfera sacrale. Già in Ome­
ro è ravvisabile u n a certa riduzione rispetto a quelle che dovevano essere sta­
te le sfumature semantiche originarie (6 8 ): ma quello che è importante
notare è che tale processo continua dopo Omero e lo si può ben seguire sulla
scorta dei testi. Il significato vitalistico ed atemporale si va perdendo e
lo si incontra sempre più raram ente: il vocabolo presenta quasi sempre
un valore tem porale oppure si avvia ad indicare genericamente la «vita»
nella sua totalità, colta più nel suo contenuto che nella sua durata, dive­
nendo — entro certi limiti — un equivalente di βίος. Si potrebbe in­
fatti pensare che esso finisca per diventare tecnico in tale significato, sia
presso i lirici che presso i tragici: m a in realtà esso assume nuove ampie
sfumature, m antiene in tatti i suoi legami con la sfera sacrale e, in poeti
ancora profondam ente religiosi come Pindaro ed Eschilo, si carica spesso
di valori eventici che sfuggono assolutamente ad ogni cristallizzazione
semantica. Si è spesso parlato — e si parla tuttora — di un probabile
ruolo che αίών avrebbe avuto nella speculazione teologica del sesto secolo:
problema estrem am ente oscuro ed allo stato attuale della nostra documen­
tazione non risolvibile, come vedremo. M a non si può certo negare, ad
°gni modo, che αιών abbia avuto in quest’epoca un’im portanza di primo
ordine, per nulla inferiore a quella di χρόνος, da Pindaro definito πάντων
π «τήρ ( 0 1 . II, 19).
In Simonide (69), αίών indica la «vita» come durata dell’esistenza

(68) Sulla progressiva riduzione sem antica d ei vocaboli om erici, cf. S nell , Cultu­
ra greca, 21ss.; 25ss.
(69) Per i lirici seguo il D iehl , Anthal, lyricei»; per Pindaro il T u ry n , Oxonii* 1952.
46 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

umana e talora ne contrassegna semplicemente il contenuto: non è più


come in Omero, la forza interna che fa vivere l’uomo, bensì una realtà
inerte ed a lui esterna, una «cosa»: il corso della vita, visto in uno col
suo contenuto. Tra αιών e βίος, in questi casi, vi è solo quella differenza
che si manterrà sempre in tutta la letteratura greca: αιών è un vocabolo
più prezioso e ‘poetico’, nel senso che ha una lunga tradizione nell’am-
bito della poesia. «Non voglio gettare in un’irrealizzabile speranza una
parte della vita» (cf. Δ 170: μοίρα βιότοιο), dice Simonide nel fr. 4,5:
οΰ ποτ’ εγώ | κενεάν ές ά | πρακτον ελπίδα μοίραν αίώνος βαλέω, riprendendo
un’espressione già anacreontea (fr. 196) : δός δέ μιν εύθυδίκων Εύωνυμέων
évi δήμω | ναίειν αίώνος μοίραν εχοντ’ άγαθήν «fa che nel demo degli Euò-
nimi egli viva ed abbia la sua buona parte di esistenza» (Gentili, Anacr .,
Roma 1958, 173), E nel fr. 57 afferma che, senza il piacere, neppure la
vita degli dei è desiderabile: ούδέ θεών ζαλωτός αίών. Nel fr. 9 egli ac­
cenna alla miseria della breve esistenza umana, che è un cumulo di do­
lori continui: αίώνι δ’ έν παύρω | πόνος άμφί πάνω. Nel fr. 130, 3 trovia­
mo invece uno schietto omerismo (cf. X 58) : γλυκερής αίώνος άμερσας.
Analoghe osservazioni possono essere fatte anche per gli altri lirici: nel-
Y E p . I, 153 di Bacchilide si incontra la nuova espressione αίώνα λύειν: εδ δέ
λαχών χαρίτων | πολλοΐς τε θαυμασθείς βροτών, | αίών’ έλυσεν πέντε παϊ- |
δας μεγαινήτους λιπών. Questo nesso, che «setzt die Bedeutungsnuance
von Lebensinhalt voraus», come giustamente osserva il Lackeit (A ion , 20),
si incontra poi anche nel fr. 6e, 140 di Timoteo: λ]ϋσον, χρυσοπλέκαμε
θεά I Μάτερ, ίκνοϋμαι, | έμόν έμόν αίώνα δυσέκφευκτον. Nell’Ep. XIII, 61
di Bacchilide l’espressione έν αίώνι vale evidentemente «nel corso della
vita»: χρυσέ]αν δόξαν πολύφαντον έν αί|ώνι] τρέφει παύροις βροτών | α]ίεί.
In Ione di Chio, infine, troviamo un’espressione esiodea: διδοϋ δ’
αίώνα, καλών έπιήρανε έργων, | πίνειν καί παίζειν καί τά δίκαια φρονεΐν
(fr. 1, 15).
Un vocabolo «hochtönig» come αίών trovò molto favore presso Pin­
daro, che lo usa in una ricca gamma di sfumature semantiche: alcune
delle quali abbiamo già esaminato nel precedente capitolo. In molti passi
il vocabolo presenta lo stesso significato che abbiamo constatato negli altri
lirici, ovvero il generico senso di βίος. Così in Pyth. V ili, 102 : άλλ’ όταν
αϊγλα διόσδοτοςέ λθη, | λαμπρόν φέγγος έπεστιν άνδρών | καί μείλιχος αιών,
dove αίών è appunto quella «vita» che diventa dolce quando Zeus tocca
con la sua luce la tormentata finitezza dell’«uno», riscattandolo, in ta*
modo dalla sua nullità. Lo stesso significato si riscontra in M etti. IX»
έκ πόνων δ’, οί σύν νεότατι γένωνται σύν τε δίκα, τελέθει πρός γήρ«ζ αι“ν
“μέρα, ed altrettanto va detto per l’orfica Ol. II, 74, dove si allude alla
CAP. m : I URICI E PINDARO
47

vita «senza lacrime» che si trascorre nell’aldilà (70) : άλλά παρά μέν τι-
μίοις I θεών, οΐτινες έχαιρον εύορκίαις άδακρυν νέμονται | αιώνα · τοί δ’
άπροσόρατον δκχέοντι πόνον. Il valore temporale appare con particolare
evidenza in Pyth. V, 7. ω θεόμορ Αρκεσίλα, | σύ τοί νιν κλυτας | αΐώνος
άκραν βαθμιδών άπο | σύν ευδοξία μεταινίσεαι | έκατι χρυσαρμάτου Κάστορος,
ove la vita di Arcesilao è rappresentata, per così dire, mediante l’im­
magine di una scala i cui gradini ne contrassegnano le brillanti tappe.
Le osservazioni finora fatte si possono estendere anche a Pyth. I li, 86:
αιών δ’ άσφαλής | ούκ έγεντ’ οδτ’ Αίακίδα παρά Πηλεΐ, a Pyth. IV, 186:
μη τινα λειπόμενον | ταν ακίνδυνον παρά ματρί μένειν αιώνα πέσσοντ’, nonché
al fr. 129, 5: μηδ αμαυρου τέρψιν έν βίω* πολύ τοι | φέριστόν άνδρί
τερπνός αιών.
Ma in Pindaro αιών ha anche altri valori. Nel fr. 184 si legge: ίσοδένδρου
τέκμαρ αίώνος θεόφραστον λαχοΐσαι: si accenna qui ad una durata di vita
equivalente a quella di un albero. Τέκμαρ αίώνος λαχοΐσαι ci fa sentire che
αιών è qualcosa che l’uomo ottiene in sorte: e in realtà, in Pindaro, αίών
viene spesso sentito come qualcosa di fisso e di predeterminato che l’uomo
non può assolutamente mutare con le sue forze. Ciascuno ottiene la sua
parte, il suo lotto di vita, il suo conchiuso e limitato periodo di tempo:
ed il vocabolo passa facilmente ad indicare la vita in uno col suo pre­
fissato contenuto di gioie e dolori, assumendo così lo stesso valore di μοίρα.
Come s’è già osservato, questo nuovo significato è strettamente legato col
fondamentale senso di kolòtes che è tipico del vocabolo: né ζωή né βίος
poterono infatti assumere queste sfumature fatalistiche, appunto perché
solo αιών aveva il pregnante valore di όλος ó βίος. Va peraltro precisato
fin da ora che se questo αίών = μοίρα si incontra poi anche in Sofocle ed
in Euripide, tuttavia — come vedremo — in Pindaro tale identificazione
ha un’ampiezza ed una vitalità incomparabilmente più ricche, in quanto
essa viene ad essere espressione di un atteggiamento tipicamente pindarico.
In questa sezione di tempo che l’uomo ottiene in sorte, il Fato (Μοίρα,

(70) Non si tratta dell’«eternità senza lacrime», come vorrebbe il Marmorale,


L'Ultimo Catullo, Napoli 1952, 182s., che raffronta questo passo con l’ambigua espres­
sione «longa aetate» del c. LXXVI di Catullo, che andrebbe intesa «per l’eternità». Per­
altro, sulla possibilità che αίών si fosse specializzato nella sfera orfica a significare la vita
dell’aldilà — e quindi una vita eterna e beata — ritorneremo più avanti. Comunque,
io ogni caso, αίών equivale qui sostanzialmente a βίος: cf. 1 άπονέστερον βίοτον del v. 68
che è appunto l’equivalente deU’ÄSaxpuv αιώνα del v. 74 (cf. pure v. 32 e C. Del Grande,
Filologia Minore, Milano-Napoli 1956, 95). Νέμεσθαι nel senso di «trascorrere» è pindarico
{Flem. X, 56; pyth. X I, 55).
48 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESLA

Πότμος) che per Pindaro è la suprema norma che regola l’esistenza (71)} sj
attua nelle sue inesorabili leggi a cui nessuno può sottrarsi. E .come Òmero
chiamava μόρσιμον ήμαρ (72) un giorno nel quale, in qualche decisivo even­
to, si esplicava il volere del destino, così Pindaro esprime con μόρσιμος αιών
il realizzarsi del destino nella vita di qualcuno: μόρσιμος αιών è la vita in 1
quanto fissata e determinata dal fato. Questo legame μοϊρα-αΐών (7 3 ) lo"
si intraw ede appena in N em . X, 89: έπεί | τούτον, ή πάμπαν θεός έμμεναι
οίκεΐν τ’ ούρανώ, | είλετ’ αιώνα φθιμένου Πολυδεύκης Κάστορος εν πολέμω,
m a esso appare, in forma ben più evidente, in Isth m . V II, 42 : δ τι τερπνόν
έφάμερον διώκων, | έκαλος έπειμι γήρας ές τε τον μόρσιμον | αιώνα, dove
questo μόρσιμος αιών verso cui ci si dirige (cf. fr. 46,87 : έπί γήρας ΐξέμεν
βίου; Eu. Iph . A u l. 1508: έτερον αιώνα καί μοίραν οίκήσομεν), va inteso come
«il destino della mia vita», «l’àge que me fixe mon destin» (74) o qual­
cosa di simile. Ma già in Omero la μοίρα non era solo la «sorte» di qual­
cuno, obbiettivamente intesa: il termine era epifanico e rimandava al
«divino», poteva talora indicare il «Destino» che nel suo svolgersi
determina gli eventi della vita (75). Ed anche 1’ αιών pindarico, che as­
sume tutti i significati di μοίρα, si può caricare anche di questo carat­
teristico dinamismo. U na perfetta equazione, in questo senso, fra μοίρα
ed αιών si incontra in O l. IX , 64:
μείχθη Μαιναλίαισιν έν δειραΐς καί ένεικεν
Λοκρώ, μή καθέλοι νιν αιών πότμον έφάψαις
ορφανόν γενεάς,

(71) Pyth. XII, 30; Nem. IV, 42; XI, 43, ecc. Sulla μοίρα pindarica, cf. G reene,
Moira, Fate, Good, 68ss.; H. S troh m , Tyche, Stuttgart 1944, 46ss.
(72) F r e n k e l , ZfAe XXV, 102; per μόρσιμος e di vari altri aggettivi tratti da μοίρα,
cf. B ianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 43ss.; 196. Anche P in d a ro dice talora μοιρίδιον αμαρ (Pyth.
IV, 255), nello stesso senso. Sul μόρσιμος αιών, cf. Strohm , o.c., 52; H. G u n d ert, Pindar
und sein Dichterberuf, Frankfurt am Main 1935, 105.
(73) Sulla «fatalisticità» dell’aicóv pindarico: cf. S c h m id -S te h lin , Griech. Litgsch.
I, 1, 578ss.; L a c k e it, o.c., 13. In A n a c r e o n te , fr. 196, si trova per la prima volta μοίρα
αίώνος: ma qui μοίρα vale semplicemente «parte», senza sfumature escatologiche. Per il
valore temporale che può essere assunto da μοίρα, cf. B ianchi, o.c., 13; 19ss.; E. L eitzk e,
Moira und Gottheit im alten griech. Epos, Diss. Göttingen 1930, 32.
(74) A. P u ech , Pindare IV, Paris 1923, 70. II B oeck h traduce: «Gaudium in diem
praesens, quod sectans tranquillus accedo senectam atque ad fatale aevum» (A.B., Pin­
dari Opera, II, 2, Lipsiae 1821, 97).
(75) Va peraltro precisato che in O m ero il destino è ancora il destino personale
del personaggio, quasi sempre indipendente dall’idea postomerica di un ordine generale
o cosmico: μοίρα è quindi ancora il «destino» come «esperienza attuale constatata c pa"
tita dal singolo» (B ianchi, o.c., p. 25; cf. anche 26 e 198).
CAP. Ili: I LIRICI E PINDARO
49
dove si racconta che 1 Olimpo rapì e resa incinta la figlia di Opurite, por­
tandola poi al re Locro, «affinché αιών non cogliesse costui e gli appor­
tasse un destino privo di prole»: è chiaro che qui αιών è la «morte» e con­
temporaneamente il «destino», attivamente intesi (76). Il valore mistico
ed epifanico di cui il termine s’è caricato può dunque conferire ad esso
una singolare ambivalenza, onde proprio il vocabolo che normalmente
indica la «vita» può anche connotare la «morte».
L’espressione μόρσιμος αιών si trova pure nell’orfica 01. II, 11: καμόντες
ol πολλά θυμω | Ιερόν έσχον οίκημα ποταμού, Σικελίας τ’ Ισαν | όφθαλμός,
αιών 8 ’ έφεπε μόρσιμος, πλοϋτόν τε καί χάριν άγων | γνησίαις έπ’ άρεταϊς,
«e seguiva il tempo segnato dal destino, adducendo ricchezze e grazia
in aggiunta alle virtù avite» (76bis). Qui αιών è apportatore di gioia e di
ricchezza ed ha anche in tale passo un valore attivo: altrettanto si deve
dire per JVem. II, 8 : όφείλει 8 ’ ίτι, πατρίαν | εϊπερ καθ’ ό8 όν νιν εύθυπομπός
I αιών ταϊς μεγάλαις δέδωκε κόσμον Άθάναις, cioè «oportet vero etiam,
paterna siquidem in via ipsum recta deducens aevum magnis dedit or­
namentum Athenis» (77).
In Pindaro, dunque, αιών non indica solo il lasso di tempo o la sorte
come «cosa» oggettiva ed inerte: spesso il vocabolo si carica di quell’«ener­
getischer Charakter», che il Fränkel riconosceva nel χρόνος pindarico (78).
In questi casi αιών non è più la vita di qualcuno, bensì una forza trascen­
dente ed esterna all’uomo che agisce su tutto il genere umano, determi­
nandone le gioie ed i dolori. Così in Isthm. Ili, 18: αιών 8 è κυλινδομέναις
άμέραις άλλ’ άλλοτ’ έξάλλαξεν άτρωτοι γε μάν παϊδες θεών (79). Qui αιών è
al di fuori da ogni relazione con qualcuno, è usato in senso assoluto: è un

(76) Cf. βΙΟΟ: εις δτε κέν μιν μοΐρ’ όλοή καθέλησι. Cf. pure τ145, γ238, ecc.; Soph.
Aj. 517: μοίρα τόν φύσαντά τε καΦείλεν, Ant. 275, Oed. C. 1690: Aesch. Ag. 398, ecc.
Una reminiscenza di questo passo pindarico si può cogliere in A ntifilo (Ani. Pian. 4,
33) : aàv o(m κϋδος 6 πας αιών κα&ελεΐ.
(76bis) D e l Grande, o . c., 79. «Fate» traduceva il Fennel (P in d a r : T h e N e m a n and
Isthmian Odes, Cambridge 1899, 21).
(77) Boeckh, o. c., 74. II Puech (Pindare, III, Paris 1923, 32) intende «destin pro-
pice». Cf. Fernandez-Galiano, P. Olimpicas, Madrid 1954, 44; 116ss.
(78) O.c., 108. «Chronos — egli aggiunge — ist das Verwirklichende: aus Hoffnun­
gen und Gefahren, aus Möglichkeiten und Fähigkeiten, macht er Wirklichkeit». Anche
il G undert (oc., 63) insiste sul fatto che il χρόνος pindarico non è tanto «der zufällige
Raum, in dem etwas geschieht», ma una vera e propria «Kraft».
(79) Questo verso richiama l’ode saffica a Roma di M elinno (v. 13) : πάντα δì σφάλ-
λων ó μέγιστος αιών, καί μεταπλάσσων βίον άλλοτ’ άλλον, dove αίων è analogamente sen­
tito come equivalente a χρόνος. Cosi pure nell’epigramma adespoto dell Ant. Pai. V II,
225, dove — senza differenza di significato — si trovano assieme χρόνος ed αίων.

4 - E. DEGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,


δ« PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

αιών senza dimensioni che, per così dire, πάντα αιώνα περιέχει: è sentito
come holon, è «tutto il tempo»: e, come χρόνος, comprende e ingloba in
sè la mia come le altre vite particolari. Traduceva il Boeckh: «sed tem­
pus volventibus diebus alia alias immutat» (80) ; e «tempo» tradussero
anche molti altri. È lecito ed esatto tradurre così? La questione è oziosa:
che si traduca in un modo o nell’altro, «vita» o «tempo», non cambia
assolutamente nulla. Bisogna evitare il pericolo di fossilizzarsi sui termini
che di volta in volta si adoperano per tradurre: basta, del resto, guardare
al greco per capire quanto 1’αίών pindarico sia diverso da quello omerico
ed esiodeo. Quello che im porta notare è che il termine si carica, in que­
sto come in altri contesti pindarici, di un senso infinito di durata: o, più
esattamente, diventa principio cosmico e, come tale, acquista la trascen­
denza del «divino». Q uando viene sentito nel suo inesorabile incombere
sulla fragile esistenza um ana, αιών si rivela appunto nella sua puntuale
trascendenza di tempo perìechon. Così in Isth m . V ili, 14 dove Pindaro —
svolgendo un motivo accennato anche in N e m . I l i , 78: έλα δέ καί τέσσαρας
άρετάς | ό θνατός αιών, φρονεΐν δ’ ένέπει το παρκείμενον — invita a consi­
derare sempre il presente:

τό δέ πρό ποδός
άρειον άεί σκοπεΐν
χρήμα παν δόλιος γάρ αιών έπ’ άνδράσι κρέμαται,
έλίσσων βίου πόρον.

Questo αιών che incombe sull’uomo, svolgendone (81) il corso della


vita, viene sentito in tu tta la sua assolutezza e trascendenza di Perìechon
ed acquista quella tinta mistica, onde il Lackeit parlava di «Augenblicks­
personifikation» e di «Schicksalsdämon» {A ion , 8 3 ) : è infatti nel senso
di Destino, di μοίρα, che esso si attesta qui a Perìechon.

(80) O . C . , 92. Ed il P uech (Pindare, IV, 43) : «mais tandis que les jours se dérou-
lent, le temps amène bien des vicissitudes«.
(81) Per έλίσσων, cf. Εν. H e r ./. 669. Traduceva il Boeckh: «quod vero praesens est,
id praestat semper spectari. Dolosum enim aevum viris impendet volvens vitae cursum»
(o.c., 98), ed il Puech, o . c . , 77: «perfide est le temps qui plane sur nous et deroule le
cours de notre vie». Così pure lo H eyne (Pindari carmina, Londini 1823, 528): «urget,
instat, έπίκειται hominibus Tempus insidiose volvendo vitae cursum» e spiegava: «αιών
tamquam de persona, de Tempore». Sulla significativa unione di αίών con έπί (cf. anche
0 1 . II, 11, Pyth. V i l i , 96) ha richiamato ottimamente l’attenzione il F ilen k el, W u F

25, che la mette giustamente in relazione con l’aggettivo έπάμερος-έφήμερος, nel quale
«έπί besagt, dass der Tag ‘auf’ uns ist».
CAP. m : I LIRICI E PINDARO Öl

Come χρόνος, anche αιών può dunque in Pindaro caricarsi di sensi


religiosi ed epifanici. Finché esso è Γαΐών di Arcesilao e di Polluce, allora
indica la «vita» o la «sorte» di qualcuno; ma se viene considerato e sen­
tito come principio assoluto e trascendente, allora non indica più una
porzione di tempo, ma tutto il tempo: perde ogni dimensione e diventa
un punto, il punto dell’«ubique et semper» che si contrappone all’«hic et
nunc» dell’uomo.
Cap. IV

I TRAGICI, I COMICI E LA PROSA

Nella tragedia αιών ha un impiego molto vasto e, con Senofonte, sem­


bra avere trovato un certo favore anche nella prosa, mentre viene invece
praticamente ignorato dalla commedia. Esso peraltro non assume quasi
mai le sfumature eventiche che abbiamo notato in Pindaro: ma il quinto
secolo è ugualmente imo dei periodi più importanti ed impegnativi per
la nostra indagine, soprattutto perché il termine comincia proprio ora a
presentare una sorprendente serie di «allargamenti» semantici, che — a
tutta prima — sembrerebbero costituire un momento decisivo per l’ulte­
riore evoluzione del termine. Vari sono inoltre i passi la cui interpreta­
zione è piuttosto difficile e controversa.
In Eschilo (Suppl. 46) incontriamo ancora il pindarico μόρσιμος αιών:
έφαψιν έπωνυμία
δ’ έπεκραίνετο μόρσιμος αιών
εύλόγως, Έπαφόν τ ’ έγέννασεν,
ma questa epifanica espressione non la si incontrerà più, d’ora in poi.
Il valore invece di «durata della vita» è ben evidente in Sept. 219: μήποτ*
έμόν κατ’ αιώνα λίποι θεών | άδε πανάγυρις (cf. schol. a d ì.) ed in Eum . 315:
οδτις έφέρπει μήνιν άφ’ ήμών, | άσινής δ’ αιώνα διοιχνεΐ, come pure in A g . 1148,
dove si parla dei doni che gli dèi elargirono all’usignolo: περέβαλον
γάρ οί πτεροφόνον δέμας θεοί | γλυκόν τ’ άγ<ειν αί>ώνα κλαυμάτων άτερ, se si
accetta la lezione del Mazon (82). Lo stesso significato di «vita», dove

(82) I mss danno άγώνα (confermato anche dallo scoliasta, che oscuramente intende:
μεταμόρφωσιν), che però è impossibile per il senso, benché sia accettato dal M urray e
nonostante i tentativi del R ose (A Commentary on the Surviving Plays of Aeschylus, II, Amster­
dam 1958, 81). ΑΙώνα si legge in margine al Mediceo ed E. F raenkel, (Agam. I, 160s.;
II, 1148s.) sostiene γλυκύν τ’ αιώνα : in tal modo però diventa difficile spiegare 1’άγώνα dei
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

peraltro l’accento batte più sul contenuto della vita che sul suo aspetto
temporale, si riscontra in Choeph. 442: μορον κτισαι μωμένα | άφερτον αίώνι
σω e 350: λιπών άν εύκλειαν έν δόμοισιν | τέκνων τ ’ έν κελεύθοις | έπι-
στρεπτόν αίώ | κτίσσας πολύχωστον άν είχες τάφον (83), nonché in A g . 715,
dove di Troia si dice: πολύθρηνον μέγα που στένει κικλήσκουσ’ | "Απαριν
τόν αίνόλεκτρον, | παμπορθη πολύθρηνον | αιών’ άμφί πολιτάν | μέλεον αΐμ’
άνατλάσα.
In Sofocle αιών vale sempre «vita»: così in O ed. C . 1736: αύθις ώδ’
έρημος άπορος | αιώνα τλάμον’ έζω ed in T ra cti. 2. ουκ άν αιών εκμάθοις
βροτών, πριν άν | θάνη τις, nonché in A j. 645, dove si allude ad una scia­
gura che si abbatté una volta sugli Eacidi: άταν, άν οΰπω τις έθρεψεν |
αιών Αίακιδάν άτερθε τοϋδε e dove αιών assume singolarmente il concreto
valore di «vivente». In E l. 1086 si parla di una vita «tutta lacrime»:
ώς καί σύ πάγκλαυτόν αΐ |ώνα κοινόν είλου, di una vita «immune da mali»
in A n i. 582: εύδαίμονες οΐσι κακών άγευστος αιών e di una «mediocre» in
P h il. 178 : ώ δύστανα γένη βροτών, | οϊς μή μέτριος αιών. U na pittoresca
personificazione poetica di αιών si incontra in P h il. 1348: ώ στυγνός αιών,
τί με, τί δήτ’ έχεις άνω | βλέποντα, κούκ άφήκας εις "Αιδου μολεϊν;
Analogo discorso si può fare anche per moltissimi passi euripidei.
Uno spiccato senso temporale è presente in A le . 337 : οϊσω δέ πένθος ούκ
έτήσιον τό σόν, | άλλ’ έ'στ’ άν αιών ούμός άντέχη, «je porterai ton deuil, non
pas une année, mais aussi longtemps que dureront mes jours, 6 femme»
(Méridier, E u ripide, I, Paris 1925, 70). Identico significato in M e d . 646:
ώ πατρίς, ώ δώματα, μή δήτ’ άπολις γενοίμαν | τον άμηχανίας έχουσα |
δυσπέρατον αιώνα e 429: μακρός δ’αίών έχει | πολλά μέν άμετέραν άνδρών
τε μοίραν είπεΐν dove il μακρός αιών ha appunto il valore di «lunga vita»
(84) come conferma il fr. 575: δστις δέ θνατών βούλεται δυσώνυμον | εις γή­
ρας έλθεϊν, ού λογίζεται καλώς* | μακρός γάρ αιών μυρίους τίκτει πόνους.

codici. Pare dunque preferibile la lezione del M azon che, seguendo I’Emperius, vi vede
un’aplografìa di άγειν αιώνα. In Ag. 246 i mss. danno αΙώνα, m a la lezione va senz’altro
corretta in παιάνα, come conferma il τριτόσπονδον che precede.
(83) Αίώ è sicura correzione (G. H erm ann, A h ren s) dell’alciva dei mss. (cf. Bekker,
Anecd. gr. 363, 17: αίώ τόν αιώνα κατ’ άποκοπήν Αισχύλος). Il M u r r a y , seguendo il
M ü lle r , legge αίώ anche in Ag. 229, ma non è necessario.
(84) Normalmente si intende «tempo» (cf. M é r id ie r , o . c . , 139; D e l G rand e, Filo­
logia minore, 185), ma l’espressione non equivale a μακρός χρόνος, bensì a μακρός βίος (cf·
A esch. Pr. 449, Soph. Aj. 473, ecc.). Μακρός αιών si trova per la prima volta in Pind.
Nem. I li, 78 come v.l. di θνατός αιών, che è peraltro da preferirsi perché confermato da
Aristarco. Un verso attribuito a M e n a n d r o (Mortosi. 351) contiene la stessa espressio­
ne: μακρός γάρ αίών συμφοράς πολλάς έχει.
CAP. IV : I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
55
Altrettanto va detto per Phoen. 1484: λεύσσειν |... πτώματα νεκρών
σκοτίαν αιώνα λαχόντων, dove — indiscutibilmente comprovato dallo scolio
ricompare il genere femminile. In Suppl. 1084 il poeta anassagoreo la­
menta l’irreversibilità del tempo della vita (cf. Her. f. 655) : άλλ’ έν δόμοις
μέν ήν τι μή καλώς έχη, | γνώμαισιν ύστέραισιν έξορθούμεθα, | αιώνα 8’ ούκ
έξεστιν, mentre il βραχύς αίων di Bacc. 397 va confrontato con il frequente
e prosastico βραχύς βίος (Hipp. Aph. I; Her. VII, 46, 2, 3, etc.). In Ion
625 si trova 1 espressione αιώνα τείνει come variante del più frequente
τεινειν βίον (Aesch. Prom. 537 ; Eu. M ed. 670, ecc.) ; spiccato senso tempo­
rale in Phoen. 1520: μοναδ αί | ώνα διάξουσα τόν άεί χρόνον έν λειβομέ-
νοισι δάκρυσι ed in H ipp. 1109: άλλα γάρ άλλοθεν άμείβεται, | μετά δ’
ϊσταται άνδράσι αιών, come pure in M ed. 243: κάν μέν τάδ’ ήμϊν έκπονου-
μέναισιν εδ | ποσις ξυνοικη μή βία φέρων ζυγόν, | ζηλωτός αιών. In altri
contesti invece, αιών esprime l’esteriore apparenza della vita, più che la
sua durata o il suo contenuto: sfumatura che possiamo rendere con «ge­
nere di vita», «modo di vivere». Così chiaramente in Andr. 1215: τίν’
αιώνα ές τό λοιπόν έξεις; e in Phoen. 1533: δεΐξον, | Οίδιπόδα, σόν αιώνα
μελέων, δς... |... έλκεις μακρόπνουν ζοάν, come pure in Hec. 755: τΐ χρήμα
μαστεύουσα; μών έλεύθερον | αιώνα θέσθαι; e 757: ού δήτα· τούς κακούς
δέ τιμορουμένη | αιώνα τόν σύμπαντα δουλεύειν, nonché nel fr. 239: ήδύς
αιών ή κακή τ’ ανανδρία | οδτ’ οίκον οΰτε πόλιν άνορθώσειεν άν.
Tutto ciò che s’è finora detto sull’aìcóv euripideo vale anche per quel
dibattuto passo dell'Eracle (v. 671), la cui interpretazione è molto contro­
versa: νϋν δ’ ούδείς δρος έκ θεών | χρηστοΐς ούδέ κακοϊς σαφής, | άλλ’
είλισσόμενός τις αί |ών πλούτον μόνον αυξει. «Ora però non c’è nessun chia­
ro segno di distinzione fra buoni e malvagi, mandato dagli dèi: ma un
αιών qualsiasi, nel suo svolgersi, non esalta che la ricchezza»: anche qui
αιών equivale a βίος (85). Un analogo significato, per concludere, si ri­
scontra pure in Or. 981 : βροτών δ’ ó πας άστάθμητος αιών, nel fr. 813 :
δ γάρ πας άσθενής αιών βροτοϊς ed in Suppi. 1005: ές Αιδαν καταλυσουσ’

(85) Cf. WiLAMOWiTZ, Herakles, 364; Festugière, PP XI, 174. Sembra che a ge­
nerare varie incertezze nell’interpretazione sia stato il τις, da molti riferito al parti­
cipio ad αίών: είλισσόμενός τις αιών dovrebbe quindi avere il valore di «la
vita, che si svolge in un modo o nell’altro», cioè quella del buono e del malvagio:
«homines, sine discrimine et pravi et probi divitias sibi acquirunt» (Matthiae). Quan­
to ad αίών, di solito si intende «il tempo» o qualcosa del genere: così il Parmentier {Eu­
ripide, IH, Paris 1950, 46) traduce: «le cours changeant qui empörte le monde». IILac-
keit (Aion, 85), che pure intende giustamente il passo: «Reichtum allein ist das Ziel
des kreisenden Lebens», vede anche qui una «Augenblickspersonifikation» di αίων come
«menschliches Dasein», cosa smentita dallo stesso τις.
56 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

έμμοχθον | βίοτον αίώνός τε πόνους, «per porre fine nell’Ade alla mia
dolorosa vita ed alle pene della mia esistenza». Questa equivalenza fra αΙών
e βίος spiega anche come Euripide nel F ilottete abbia potuto usare un’e­
spressione eccezionale come άπέπνευσεν αιώνα (fr. 801) : Esichio (sv. αιών),
che conserva il frammento, credeva che qui αιών fosse stato usato nel
senso di ψυχή, ma in realtà basta pensare ad espressioni frequenti come
βίον έκπνεΐν (Or. 496, H el. 142, Ion 1600, H er. f . 980, Aesch. A g . 1493,
1517) e βίον άποψύχειν (Soph. A j. 1031) (8 6 ).
Come equivalente di βίος, αιών entrò anche nella prosa. Pressoché
ignorato dall’austero e scientifico linguaggio di Tucidide, che lo usa solo
una volta ed in una formula abituale (I, 70, 25) : καί ταϋτα μετά πόνων
πάντα καί κυνδύνων δι’ όλου τοϋ αίώνος μοχθ-οΰσιν, esso trova più favore
nella poetica prosa erodotea: tre volte si incontra la formula τελευτάν
αιώνα (I, 32, 5; IX , 17, 4; IX , 27, 3), come variante del normale τελευτάν
βίον.Διαφέρειν αιώνα, traducere uitam , si incontra in III, 40, 2; mentre in
VI, 46, 4, compare la singolare espressione γλυκύν γεϋσαι τον αιώνα, «far
gustare la dolcezza della vitii». Anche Senofonte impiegò più volte αιών
nella Ciropedia: 3tà παντός τοϋ αίώνος βιοτεύειν (II, 1, 19), τον αιώνα διάξετε
(III, 3, 3) ,τοϊς δέ κακοϊς....αβίωτος ό αιών άνακείσεται (III, 3, 52), οΰτω
δέ τοϋ αίώνος προκεχωρηκότος (V III, 7, 1 ), έμοί δέ οΐόνπερ αιώνα δεδώκατε,
τοιαύιην καί τελευτήν δούναι (V III, 7, 3). Anche nell ’Agesilao si trova due
volte αιών, in X, 4: άφικόμενος δέ έπί το μήκιστον άν-9-ρωπίνου αίώνος
άναμάρτητος έτελεύτησε ed in X I, 15: τίς μέν γάρ τοΐς έχθ-ροΐς άκμάζων
οΰτω φοβηρός ήν ώς ’Αγησίλαος τό μήκιστον τοϋ αίώνος έχων;
Si può dunque notare un crescente diffondersi dell’impiego di αιών
nella prosa. Inoltre, le espressioni αβίωτος αιών, δι’ αίώνος βιοτεύειν, e, del
resto, la stessa frequente alteranza fra αιών e βίος, mostrano la pressoché
completa equazione fra i due termini. Si direbbe, anzi, che in quest’epoca
l’uso di αιών si fosse tanto esteso e generalizzato da far perdere al voca­
bolo la sua stessa patina poetica: sappiamo infatti che accanto al nome
Εύβίων era in voga, nel quinto secolo, anche Εύαίων, che compare anche
in alcune iscrizioni vascolari databili intorno al 500-450 (87). Parrebbe

(86) Il L ack eit, o .c ., 19, cita questi esempi e ricorda pure espressioni latine come
uitam efflare (S il. I t . X V II, 556; C lavd . In Eutr. II, 444), uitam exalare (V erg . Aen. II,
562) e uitam fondere [ibid. II, 532). Egli peraltro pensa ad una sopravvivenza del valore
omerico di αιών.
(87) D ie te r ic h , RE V I, 836; K irch n er, Prosopographia Attica, I, Berolini 1901,
344. Εύαίων si chiamava anche un figlio di E sch ilo (cf. SEG X V , 594; Sud. s.v. Εύαίων);
e un tale nome ha un personaggio aristofaneo beffeggiato per la sua miserabile povertà
(Eccl. 408).
cap. rv: i lirici , i comici e la prosa
57

quindi che αιών, prosasticizzato, tendesse a diffondersi persino nella


lingua non letteraria.
Ma bisogna andar cauti. In realtà αιών resta e resterà in tutta la let­
teratura greca una parola di caratura molto alta. Lo conferma anche lo
scarsissimo uso che ne fece la Commedia, la quale conosce esclusivamente
il termine βίος: completamente assente in Aristofane, αίών è infatti atte­
stato solo due volte nella formula αιώνα (συνδια-)τρίβειν (Crai. I, 5; Diocl.
14, 5 Kock), quale variante del normale βίον τρίβειν. Anche la νέα lo im­
piega molto di rado, e precisamente solo una volta: στρόβιλος; έν <δσ>ω
συστρέφεται, προσέρχεται, | προέλαβεν, έξήρειψεν, αίών γίγνεται (Men. 656,
5 Kö) (88).

***

Il Lackeit (Aiort, 20) notava che αίών, in Euripide, talora «erhält


einen fatalistischen Zug» ed assume lo stesso valore che aveva assunto in
Pindaro. Questo può essere vero, ma solo però nel senso che talora il ter­
mine, come totalità della vita col suo doloroso e prefissato contenuto, può
indicare la «sorte» di qualcuno. Così appunto in Soph. Track. 34 : τοιοϋτος
αίών ές δόμους τε κάκ δόμων | άε'ι τόν άνδρα έπεμπε λατρεύοντά τω (89), do­
ve il τοιοϋτος αίών indica il modo di vivere (cf. Eu. Andr. 1215) cui Eracle è
costretto e che fa tutt’uno con la sua «sorte», che è quella di poter vedere
solo saltuariamente i suoi cari. Ma con evidenza ben maggiore tale valore
si trova in Euripide: così in Hel. 213: αίών δυσαίων τις έλαχεν e special-
mente in Iph. T. 1122: το δέ μετ’ ευτυχίαν κακού |σθαι θ-νατοϊς βαρύς αίών,
«star male dopo la felicità è per i mortali una sorte penosa». Analoga­
mente in Or. 603: γάμοι δ’ δσοις μέν εύ καθεστασι βροτών, | μακάριος αίών
e nel fr. 30: οίκτρός τις αίών πατρίδος έκλιπεΐν δρους. Queste sfumature,
inoltre, si possono intrawedere anche nell’aggettivo δυσαίων (e nel suo

(88) È chiaro che anche qui αίών ha il significato di «vita» e non di «age, long space
of time», come vorrebbe il LSJ. Alle varie inesattezze già segnalate, si aggiunga qui che
il Lessico, per l’accezione «one’s life, destiny, lot», cita solo Sofocle ed Euripide e trascura
del tutto P in da ro . Il valore «for ever» in Aesch. Ag. 554 non è sicuro. Inoltre έπ’ ai. di
LXX, Ex. 15.18 è έπ’ αίωνα e non έπ’ αίώνος, come parrebbe dagli esempi che precedono.
(89) Qui αίών non vale «tempo», come voleva il Tournier (cit. dal Festugière,
°-c; 174, 2). Secondo il Lackeit, l.c., un senso fatalistico sarebbe ravvisabile, oltre che
in Ev. Phoen. 1520, anche in Aesch. Ag. 715.
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

opposto εύαίων), che appare spesso equivalente a δύσμορος (90) e p0


trovare riscontro anche nel fatto che talora μοίρα ed αιών si trovano °
ciati (Med. 429, Iph. A. 1508), quasi si richiamassero e si completass
a vicenda come αιών e ψυχή in Omero. Tale accostamento risalta anche
in Heraclid. 900, dove compare la personificazione di αιών, della quale '
occuperemo fra poco: πολλά γάρ τίκτει Μοίρα τελεσσιδώ |τεφ’ Αιών τε
Χρόνου παϊς. Moira ed Aion sono qui solidali nel procurare vicissitudini
all’uomo. Si può dunque concludere che in Euripide è ancora evidente
una certa affinità di significato fra i due vocaboli : ma è altrettanto chiaro
che in questo αιών = «sorte» non c’è nessuna sfumatura epifanica vera
e propria, come quella che si intrawedeva nel μόρσιμος αιών. «Abban­
donare i confini della patria è un αιών doloroso»: ma il termine non
assume mai il senso di «destino» in senso cosmico e trascendente come
in Pindaro. Del resto, la stessa μοίρα euripidea non è più quella pindarica:
per il religiosissimo Pindaro la μοίρα — e così pure il μόρσιμος αιών — era
effettivamente una nozione religiosa, la somma forza divina che incideva
sull’esistenza fragile dell’uomo; per l’anassagoreo Euripide essa invece non
è più che un vuoto nome che egli trova nella tradizione : e per lui la μοϊρα
non può celare che la tyche, l’assurdo quid che sconvolge la vita e dietro il
quale v’è il nulla (91).

(90) Εύαίων e δυσαίων sottolineano più il valore contenutistico che temporale di


αιών. Εύαίων, che si trova per la prima volta in A esc h . Pers. 711 (βίοτος), indi in Soph.
Track. 81, ed. Εν. Ion 126, tende ben presto a perdere il suo fondamentale significato di
«dalla vita felice» per diventare semplicemente «fortunato», «beato»: cf. Soph. Phil.
827 (ύπνος) e fr. 543, 1 N a u c k 2 (πλούτος). Εν. Iph. A. 551 (πότμος). Diventa così un
equivalente di μακάριος, come spiega lo schol. ad Call. Hymn, in Del. 293. Δυσαίων compare
forse in A esc h . Sept. 927 (δυσδαίμων mss, Ιώ δυσαίων S id g w ic h , D in d o r f, Voss, per
la metrica; cf. anche w . 870s.), indi in Soph . Oed. C. 150, Ev. Hel. 213 (αιών δυσαίων)
e Suppi. 960 (δυσαίων ό βίος ) ed è spiccata la sua equivalenza con δύσμορος (cf. Soph.
Oed. C. 327; 1109, X60, ecc.). Μακραίων, invece, sottolinea il carattere temporale di
αιών: compare in A esc h . fr. 350, 1 (βίος), Soph . Oed. R. 518 (βίος), Aj. 194 (σχολά); in
Oed. R. 1098 è riferito agli dèi ed in Ani. 987 alle Moire. Si noti che può avere anche il
significato di «attempato, vecchio» (Oed. C. 152), nel qual caso rinvia ad un αίών = «età».
91) In P in d a r o τύχη, intesa come illogica rottura della forma, non esiste, perché
l’evento non può essere mai casuale; per lui essa non può essere che τύχη θεών e risol­
versi nella μοϊρα: infatti la Τύχα σώτειρα (Ol. X III, 2) è una delle Moire (Pavs. VII, 26,
8). Sulla τύχη, cf. D ia n o , FE, 27ss. ; sulla concezione pindarica delle Μοΐραι βαθύφρονες, che
conservano l’ordine del mondo e senza le quali sarebbe il caos, cf. B ianchi, o.c., 57. Moip*
con E u rip id e si svuota dei suoi valori religiosi : siamo ormai in un’atmosfera anassagorea,
nella quale «ogni concetto di divino è sbandito e 1’είμαρμένη cede il luogo alla neces
sità meccanica ed alla τύχη» (D ia n o , Edipo, 19). Per il laicizzarsi del concetto di «
stino» in quello di «necessità», cf. C a ssir e r , II, 163ss.
GAP. IV : I URICI, I COMICI E LA PROSA
59
S è detto che αιών presenta nel quinto secolo una interessante gamma
di «allargamenti» semantici («Erweiterungen»), onde esso esprime delle
nozioni temporali diverse e via via piu ampie di «durata della vita». Cosi
in alcuni passi di Eschilo il termine indica non tanto il tempo e il conte­
nuto della vita, bensì 1 «età» di qualcuno. Fra le molteplici sfumature
■che αιών può esprimere, vi e infatti anche questa: come aeuum ed äyü, esso
può indicare il periodo di tempo che è stato vissuto fino ad un determi­
nato momento e quindi quella che è l’attuale «età». Può anche darsi,
come vorrebbe il Benveniste (o.c., 106), che tale «età» fosse — in un primo
momento — la giovinezza, come «tempo di pienezza vitale»; ma, almeno
nel greco, il significato mostra già nei primi esempi di essersi generaliz­
zato e solo il contesto può precisare se si tratta di giovinezza, virilità o
vecchiaia. Che questa nuova accezione fosse già in Omero (Ω 725), ab­
biamo visto non è affatto sicuro, e non è sicuro neppure che essa sia in
Pindaro (Isthm . V II, 42, stando all’interpretazione del Puech) ; la si trova
invece ben evidente in Aesch. A g. 229: λιτάς Sè καί κλήδονας πατρφους
I παρ’ ούδέν, αιώνα παρθένειον, | έθ-εντο φιλόμαχοι βραβής, dove si allude
•all’età verginale di Ifigenia. Altrettanto va detto per il dibattuto σύμφυτος
αιών di A g . 107 : κύριός είμι θροεΐν οδιον κράτος αίσιον άνδρών | έντελέων Ιτι
γάρ θεόθεν καταπνείει | πειθώ μολπάν <τ’> άλκάν σύμφυτος αιών (92) e per

(92) L’interpretazione del passo è molto controversa e si sono proposti vari emen-
•damenti (πειθοϊ H iller, άλκά Schütz, ecc.). Secondo i mss il M urray: πειθώ, μολπάν
άλκάν, σύμφυτος αΙών, ma la sua interpretazione «a diis anima nostrae cognata eam sua­
delam inspirat quae potestatem canendi habet» è poco convincente, soprattutto per l’in­
solito valore dato ad αιών. Il W ilamowitz, come il D indorf, leggeva πειθώ μολπάν άλκ$,
ma il senso è tutt’altro che chiaro; il L awson (Aeschyli Ag., Cambrigde 1932, llOss.) so-
-Steneva θεός έγκαταπνεύει | πειθώ, μολπάν τ* άλκά, σ. αιών, mentre D enniston e Page (Ae­
schylus, Ag., Oxford 1957, 78), leggendo ίτι γάρ θεόθεν καταπνείει | πειθώ, μολπφ δ’ άλκάν,
•a. α., pensano che il periodo vada spezzato in due frasi: soggetto della prima e cioè di
καταπνείει (sull’opportunità di respingere, nonostante il W ilamowitz, il καταπνεύει dei
■codici, cf. anche E. F ilenxel, Ag., II, 62ss.) sarebbe πειθώ (su Πειθώ, cf. A esch.
Eum. 885s., 970s.) ed il verbo avrebbe un valore assoluto (come in P lat. Com. 173, 14
Kock: μή σοι νέμεσις θεόθεν καταπνεύση). La seconda frase andrebbe quindi intesa: «and
my time o f life is naturally adapted to (per σύμφυτος, cf. Plat. Legg. 844b., A rist. De Anim.
420a4) a song o f valorous deeds (cf. P ind. Mem. V II, 12; Bacchil. X I, 126; Evr . Rh. 933)».
L’interpretazione, benché igegnosa, lascia van dubbi e sembra preferibile attenersi ai
codici, come sostiene il F raenkel nel suo acuto esame del passo (pp. 62-65) e come fa
pure il Mazon, che intende: «les dieux laissent encore une force à notre àge, la foi qu
inspirent ses chants» (o.c., 14). Pare peraltro difficile che μολπάν άλκάν sia opposizione di
πειθώ ed intenderei μολπάν <τ’> άλκάν. Il σύμφυτος αίών, poi, non può significare «inbred
vitality» (cosi il Pearson citato dal F raenkel, 63, 1 ; un valore atemporale «kraftvolles
■Leben» vorrebbe anche il L ackeit, 15), perché qui αίών non può avere che un valore
6o PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

1’αίών μακροβίοτος di Pers. 264” ή μακροβίοτος δδε γέ τις | αιών έφάνθη...


άκού |ειν τόδε πημ’ άελπτον: nell’ascoltare notizie così dolorose, i vegliardi
pensano che meglio sarebbe per essi non vivere e la tarda età che hanno
sembra ai loro occhi troppo lunga (93).
Αιών non è sempre e solo, come voleva il Wilamowitz {Herakles, 364),
la «vita» di qualcuno: esso può anche significare lo spazio di tempo che
corrisponde a quello limitato da una vita umana ed indicare quindi la
durata media della vita. In tale caso, pur senza attestarsi a Periechon, e
pur restando sempre una «cosa» obbiettivamente intesa, αιών si svincola
da ogni relazione con un vivente ed acquista un valore autonomo come
«spazio di tempo che equivale ad una vita» : viene così ad esprimere quella
nozione che noi designamo come «generazione», «età», «epoca», e via
dicendo. Così nei Sette contro Tebe si dice che la colpa di Laio durerà αιώνα
8’ ές τρίτον (v. 744) : per tre vite d’uomo, cioè «fino alla terza generazione»
(cf. Emped. B129, 6). Questo è probabilmente anche il valore del πολύ-
βοτος αιών di Sept. Ilk, benché non sia certo facile definire il preciso si­
gnificato di αίών in questo passo, dove normalmente ed indebitamente si
preferisce leggere — contro i codici — άγών: τιν’ άνδρών γάρ τοσόνδ’
έθαύμασαν | θεοί ξυνέστιοι πόλεος | ό πολύβοτός τ’ αίών βροτών, δσον τότ’
Οίδίπουν; «Multosque alens mortalium aetas», si potrebbe tradurre: ma
più che «tempo», in senso generico, qui αίών potrebbe indicare appunto
i contemporanei di Edipo. Da una parte i θεοί, dall’altra i βροτοί: ad
indicare appunto che Edipo ebbe l’ammirazione del cielo e della terra.
Αίών indicherebbe dunque la «generazione», 1’«epoca» delimitata dalla
vita di Edipo: quel periodo di tempo che potremmo definire «età edipi­
ca», così come chiamiamo «età augustea» il lasso di tempo in cui
visse Augusto (94). E questa «età» è qui naturalmente personificata.

temporale («lifetime», secondo il F r a e n k e l, 62; cf. anche W ila m o w itz , Aìsch. Interpre­
tationen, Berlin 1914, 170, 3) e l’espressione va raffrontata con i συγγενείς μήνες di Soph.
Oed. R. 1082 e con il χρόνος ξυνών μακρός di Oed. C. 7 (per cui cf. D ia n o , Edipo, 17s.)
Σύμφυτος αίών sarebbe dunque propriamente «la vita nata con me», «la mia vita»; ma,
in tale contesto, αίών indica più precisamente l’«età» dei vecchi che compongono il coro,
come ben intese il M a zo n e come conferma Io scolio: ό γάρ σύμφυτός μοι αιών, 6 έστι
γήρας...καταπνεΐ. Quindi: «ancora infatti, per volontà divina, la mia età ispira persua­
sione e forza di canti».
(93) Osserva giustamente il L a c k e it, o.c ., 14, che in questo passo «die Spanne der
Lebenszeit, die Zahl der Jahre, nicht deren Inhalt, nicht die Ereignisse der Lebensjahre,
deren Summe ja auch αίών hiess, durch αίών zum Ausdruck kommt». Anche χρόνος puù
assumere talora un tale valore: cf. Pind. Ol. IV, 30; A esch . Sept. 11, Soph. Oed. C. 875;
Evr. Ion 1042; fr. 42, ecc.
(94) Così intende anche il L a c k e it, o.c., 25: «das menschenreiche Zeitalter des Oe-
CAP. IV : I LIRICI, I COMICI E LA PROSA 6l
Questo generico valore di «epoca, «era», «età», appare comunque
con estrema chiarezza in un noto frammento di Moschione (fr. 6 , 1 ):
ήν γάρ ποτ’ αιών κείνος, ήν ποθ’, ήνίκα | θερσίν δίαιτας εΐχον έμφερεϊς
βροτοί, « c era infatti una volta un’epoca, nella quale gli uomini
conducevano una vita simile alle bestie». Abbiamo qui la precisa
allusione ad un’«era» passata in cui non c’era ancora la civiltà. C’è stato
in effetti una specie di «allargamento» semantico: questo αιών, di cui
parla Moschione, indica uno spazio di tempo ben più generico e più am­
pio di quello che corrisponde ad una vita umana. Si tratta di un seg­
mento generico di tempo dai limiti piuttosto fluidi, che può abbracciare
anche parecchie generazioni. Il concetto di «Zeitalter», come giustamente
notava il Lackeit (A ion, 24), era effettivamente piuttosto elastico: una volta
che αιών si fu consolidato in questo valore, venne facilmente impiegato
per contrassegnare periodi di tempo anche più vasti di quello corrispon­
dente ad una generazione. Però i limiti di un tale ampliamento stanno
appunto nel fatto che si tratta pur sempre di un segmento di tempo, sia
pur generico. Anche quando, nel quarto e nel terzo secolo, questo nuovo
significato si generalizza e lo si incontra sempre più di frequente, il vo­
cabolo ha fondamentalmente sempre questo valore. Cosi in un frammen­
to, che il Nauck attribuisce a Sofocle (fr. 1027), ma che di Sofocle certo
non è ed appartiene ad epoca un po’ più tarda (95), si parla, come in
Moschione, di un’epoca — questa volta futura — dell’umanità:
έσται γάρ έσται κείνος αίώνος χρόνος,
βταν πυράς γέμοντα θησαυρόν σχάση
χρυσωπός αιθήρ.

dipus, die Summe von αΙωνες der Menschen, die zur Zeit des Oedipus lebten». Tutti i
codici danno πολύβοτός τ’ αιών, ma la glossa dello scoliasta (ό ύπό πολλών έμβατευόμενος
ή 6 έπΐ πολύ έκτεινόμενος) non poteva riferirsi ad una tale espressione : si è così pensato a
πολύβατος (cf. Pino. fr. 91, 3: πολύβατον... άστεος όμφαλόν) ed il W eil, seguito dal Blom-
Hed, dal W eck lein e da vari altri, lesse πολύβατός τ’ άγών, «la folta assemblea», «1 agora
populeuse» (M azon). Anche il R ose (o.c., I, 1957, 227) è di questo avviso e l'Index Ae­
schyleus dell’lTAUE registra il passo sotto άγών. Il M u rra y ed il W ilam owttz difendono
Invece la lezione dei codici, e quest’ultimo spiega l’espressione con Nonn. Jfoh. 9, 154:
«Ιών πάντροφος, aggiungendo che αΙών vale βίος. Data la natura del linguaggio eschileo si
può senza altro escludere che la lezione esatta potesse essere πολύβατός τ αΙων ?
(95) Il frammento, tramandato da G iustino (De Monarch. 3, 136) e da C lem ente
Alessandrino (Strom. 1 ,107, 5), è dal primo attribuito a S o fo c le , ma in realtà contiene il
motivo άεΐΐ’έκπύρωιπς stoica. Se si vuole avanzare un’ipotesi per un attribuzione, è ragio­
nevole pensare a Cleante (cf. Jebb-Pearson, The Fragments of Sophocles, III, Cambridge
*917, 176). Per l’espressione, cf. V ero. Am. I, 283.
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
62

Qui notiamo, appunto, la differenza fra αιών e χρόνος: mentre qUest


ultimo è la pura, assoluta durata astratta, αιών indica invece una porzione
di tempo, un lasso di tempo che χρόνος comprende in sè. Così anche
quando Demostene dirà: δόξα ή προγόνων ή του μέλλοντος αιώνος {J)g.
Cor. 199), è chiaro che il μέλλων αιών è l’era che verrà, l’epoca futura
che si contrappone a quella, trascorsa, dei πρόγονοι: ed il termine man­
tiene un senso di tempo limitato e relativo. In questo senso potremmo
dunque accettare — limitatamente per il quinto secolo — la definizione
wilamowitziana, nel senso appunto che αιών è una parte di tempo e non
il tempo; non perché esso sia sempre «in der häufigsten Relation zu
einem lebendigen Subjekt», mentre χρόνος «hat... keine Relation und kann...
nicht eingehen» (96). Questo, come s’è visto, non è esatto; sicché pare
più preciso dire, semmai, che αιών — rispetto a χρόνος — è il tempo
qualificato: o come tempo, e quindi come «vita», di qualcuno, o come
periodo di tempo caratterizzato da alcuni avvenimenti, cioè dal suo con­
tenuto. Χρόνος è invece il tempo che è al di fuori degli avvenimenti e dei
viventi: la pura durata staccata da essi. Esso esprime una concezione
astratta ed assoluta del tempo, un concetto al quale i Greci non arri­
varono pienamente che col quinto secolo; al contrario αιών, anche in
questo periodo, indica una porzione di tempo continua e limitata, con­
clusa e qualificata: non è e non può essere una pura astrazione, poiché
esso esprime una durata interna al tempo, «progressiva e non puntuale,
direttamente vissuta» (97). Αιών è una parola troppo legata al «vissuto»,
troppo carica di risonanze concrete ed umane per poter diventare un’a­
strazione: cosa che, difatti, non si verificherà mai. Nella sfera filosofica
χρόνος diventerà fra breve il tempo divisibile e numerabile: il che non

(96) O.c., 363. Per sostenere che αιών «ist gar nicht für sich», il W ila m o w itz ag­
giunge: «Jeder einzelne Mensch hat seinen, aber auch ein Volk, und so kann er eine
‘Weltperiode’, eine ‘Kulturentwickelung’ sein» (p. 364). Invece il L a c k e it insiste suUa
«Inhaltlichkeit» di αΙών rispetto a χρόνος: «χρόνος heisst n u r die Zeit schlechthin, es
dabei nur das rein zeitliche Moment betont, während αΙών, obwohl ja auch zeitlich,
doch gemäss seiner Grundbedeutung auch noch ein inhaltliches Moment in sich schließt
Ebenso, wie αΙων nicht nur Lebenszeit, sondern auch Lebensinhalt bedeutete, so ist *
auch in der vorliegenden Bedeutung das Zeitalter in Rücksicht auf die Ereignisse, c
in ihm stattfinden» {o.c., 25).
(97) L’espressione è di B. M a r z u l l o , Studi di poesia eolica, Firenze 1958, 41,
la impiega per ώρα a proposito del discusso Sapph. fr. 94 D ie h l. Anche ώρα mdl<* .
ssuta continuità di tempo ben qualifica («giovinezza», «stagione») e non <<tem, κρα>
senso astratto ed assoluto (pp. 35s.) : e se in tale senso χρόνος può sostituirsi talora ad
appare impossibile l’inverso. In ώρα si riscontrano i caratteri della concezione arcai
del tempo (p . 43; cf. C a m a , I, I70ss., 177ss.).
CAP. IV. I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
63
sarà invece mai possibile per αιών. S’intende, peraltro, che tali definizioni
di αιών come «tempo qualificato» e di χρόνος come «tempo quantificato
o astratto» hanno come tutte le definizioni — un valore relativo e
vanno prese come formule-limite, senza che ci si illuda di trovarle sem­
pre rispettate. Poiché, se αιών non assume mai il valore astratto di χρόνος,
quest’ultimo può invece assumere quello di αιών: così quando ha il si­
gnificato di «durata della vita» (98) e quando indica un tempo circo-
scritto e limitato, nel qual caso può anch’esso avere un suo contenuto
che lo qualifica. Così in Crizia, B25, 1 Diels: ήν χρόνος, δτ’ ήν άτακτος
ανίΐροιττων βιος e nell orfico fr. 292, 1 Kern : 9jv χρόνος, ήνίκα φώτες απ’ άλ-
λήλων βίον εΐχον | σαρκοδαπη, si può notare che il termine assume lo
stesso significato che αιών presenta nell’analogo passo di Moschione:
αιών e χρόνος si equivalgono perfettamente. È questione di contesto; ed
è specialmente quando i due vocaboli sono opposti l’uno all’altro che si
può cogliere nettamente la suddetta distinzione.
È dunque chiaro che tali allargamenti semantici di αιών non sono,
in fondo, che delle sfumature diverse dello stesso fondamentale valore
(99). Ad ogni modo, si pensa normalmente che un significato «lungo
spazio di tempo», «tempo infinito» sia stato l’intermediario fra i due
valori opposti, che αιών presenta da Platone in poi, «vita» ed «eter­
nità»; e questo significato — che in realtà compare piuttosto tardi,
quando il valore platonico si diffuse anche fuori del campo filosofico e
religioso in cui esso nacque — lo si cerca soprattutto nella locuzione

(98) Cf. n. 93 e F rankel , ZfAe X X V , 114 e 117. È significativo che talora nei
codici si fece confusione fra χρόνος e βίος (Ar. Plut. 50; A esch. Prom. 449, ecc.).
(99) Di questo avviso non era il Lackeit, di cui esponiamo qui in sintesi la già.
accennata teoria. Il significato «eternità» non è che la risultante di una serie di «Erweite­
rungen» semantiche, onde αίών passa dal valore di «Leben» a quello di «Zeitalter», «Welt­
alter», «Epoche», «Kulturstufe», «die grösste Zeiteinheit»; in quest’ultimo significato,
αίών sarebbe poi passato nel linguaggio filosofico divenendovi abituale. Il concetto d i
«Zeitalter» era infatti «ungeheuer dehnbar» e cosi «konnte man ebenso wie man die
Summe von αιώνες = ‘Menschenleben’ αίών nannte, mit demselben Rechte und demselben
Verfahren auch eine Summe dieser αίώνες = ‘Zeitalter’ αίών nennen. Dieses Anwachsen
von einer kleinen Zeiteinheit ( = vita) zu einer grösseren {aetas) bis daraus die längste
{tempus, tempus longissimum) und grösste, unendliche {aeternitas) wird, scheint auf diese
Weise durchaus verständlich» (p. 26). A questo meccanico processo di ampliamenti se­
mantici si sottraggono però alcuni passi, nei quali si presentano le cosiddette «poetische
Personifikationen» di αίών; come in P ind. Isthm. V i l i , 14, Evr . Her. f . 671 e via dicendo.
Si tratta di «Augenblickspersonifikationen», per le quali «kein reelles Vorbild, keine bestimm­
ten Vorlagen existierten; sie hat sich in Geiste des Dichters in Nu gebildet und wurde
ebenso schnell auch wieder verschwinden, wenn nicht das geschriebene Wort dem Au­
genblick Dauer verliehe» (pp. 82s.). Su tutto ciò ritorneremo a suo tempo.
64 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

δι’ αίώνος, nella quale sarebbe ravvisabile una notevole estensione dei
significato normale (100). La realtà è diversa: δι’ αίώνος valeva propria,
mente «da un capo all’altro della vita» e quindi «per tutta la vita»· e
non è difficile capire come la locuzione, diffondendosi e generalizzan­
dosi, si sia potuta ben presto fossilizzare in un avverbiale «continua-
mente», «sempre» e sia venuta così a coincidere con άεί, tanto che su di
essa potè ben presto essere coniato διαιών.ος (101). Il significato originario
di δι’ αίώνος è chiaro in Aesch. Suppl. 582: γείνατο παϊδ’ άμεμφή, δι’ αίώνος
μακροΰ πάνολβον: è Epafo, che fu felicissimo nella sua lunga vita; ed
anche al v. 574: δι’ αίώνος κρέων άπαύστου | Ζεύς: trattandosi di Zeus,
il suo αιών sarà appunto άπαυστος, «senza fine». È chiaro che non vi
sarebbe bisogno di άπαυστος e di μακρός, se in αιών vi fosse un senso di­
verso da quello di «durata» della vita (102). Analogamente in Ag. 554 si
legge: τίς δε πλήν θεών | άπαντ’ άπήμων τον δι’ αίώνος χρόνον; e
l’espressione indica che αιών è la vita di questo «chi?». E così in Soph.
El. 1024: άσκει τοιαύτη γοΰν δι’ αίώνος μένειν, «cerca, dunque, di rimaner
tale per tutta la vita», e in Eu. Ale. 475: τό γάρ | έν βιότω σπάνιον μέρος·
ή γάρ αν | εμοιγ’ άλυπος δι’ αίώνος αν ξυνείη : l’avere una buona moglie, si
dice, è una rara fortuna: «certo ella vivrebbe con me senza dolori per tutta
la durata della vita». Lo stesso significato è pure da vedere in Hipp. 1426:
κόραι γάρ άζυγες γάμων πάρος | κόμας κεροϋνταί σοι, δι’ αίώνος μακροΰ
I πένθη μέγιστα δακρύων καρπουμένω (103). Un valore «sempre, di con-

(100) Cf. O w en, o . c . , 265; quest’ipotesi è del resto normale nei lessici. Vi si oppone
il F e stu g iè re , o.c., 175, che, come il L a c k e it (cf. p. 14 e 37), pensa che Si’ αίώνος
non si stacchi affatto — o molto tardi — dal valore di «per tutta la vita». Il valore di
«sempre, continuamente» (cf. H esych. atei- άεί διαπαντός συνεχώς- ϊστι δέ καί δι’ αίώνος)
si potè invece sviluppare ben presto per il senso di holòtes proprio di αιών (cf. analoga­
mente διά τέλους).
(101) Questo aggettivo compare per la prima volta con P latone (Tim. 38b), per­
fettamente equivalente ad αιώνιος (cf. poi i tardi διαωνίζειν e αίωνίζειν), che pure si pre­
senta per la prima volta con P latone . Che esso possa essere sorto prima di αιώνιος, non
direi: anche prima di assumere il tecnico valore di «eterno», διαιώνιος — come pure
αιώνιος — doveva naturalmente significare «che dura tutta la vita» e quindi «duraturo,
continuo», per il senso stesso di αιών. Cf. la n. 149.
(102) In questi due passi I’I t a u e , Index Aeschyleus, sv. αιών, ravvisa appunto una
estensione del valore di «durata della vita»; mentre il D indorf , Lexicon Aeschyleum, s^·
αιών, intendeva addirittura «aevum, tempus aeternum» (e così pure in Ag. 554, Ch. »
Eum. 563). Si noti che P la to n e , parlando dell’anima cosmica dotata di un incessa
vita, usa l’espressione άπαυστος βίος {Tim. 36e4). . .
(103) «A travers le àges» il M éridier , Euripide, II, Paris 1927, 84. Ma
lude alla lunga vita che Ippolito trascorrerà nell’aldilà, durante la quale, gì* Pr
CAP. I V . I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
65

tìnuo» si può invece notare in Aesch. C h . 26: δι’ αίώνος δ’ ίυγμοϊσι βό-
σκεται κέαρ : «e sem pre il cuore si pasce di lamenti», dice il coro alludendo
alle presenti dolorose circostanze; e così pure in P ers. 1007: πεπλήγμεθ’ ota
δι’ αίώνος τύχα «da quale continua sciagura siamo colpiti», dove ap ­
punto la contingenza della situazione mostra che la locuzione si è tecni­
cizzata. Forse altrettanto si può dire per E u m . 563: 81 αίώνος δέ τόν πριν
όλβον I έρματι προσβαλών δίκας | ώλετο άκλαυστος, dove si parla della
sorte misera che attende il trasgressore di Dike. È comunque chiaro che
anche tale nuovo valore della locuzione, sviluppatosi dal fondamentale
significato di αιών (cf. αίεί), non presuppone affatto un αιών = «lungo
spazio di tempo, tem po infinito».
Da tutto ciò che finora s’è detto risulta che il rapporto fra αιών e
χρόνος è, nel quinto secolo, quello di u n a parte con il tutto: non è allora
difficile capire il significato della genealogia euripidea Αιών....Χρόνου παΐς
degli E ra c lid i, spesso non rettam ente interpretata. Non si capisce, ad esem­
pio, cosa con precisione significhi «la Durée, fille du Temps» nell’inter­
pretazione del M éridier (E u rip id e , I, Paris 1925, 229); né, tanto meno,
come lo Stadtm üller (Saeculum II, 315) possa sostenere che qui Aion
è «Personifikation der ewigen Zeit»: perché, anche volendo ammettere
la possibilità di un influsso orfico (questione su cui ritorneremo) è chiaro,
che una ragione di tale rapporto genealogico vi deve pur essere stata in
ogni caso. E la spiegazione risulterà chiara, specie se si pensa che Chronos
— come dice lo stesso Euripide (S u p p l. 787) — è Γ «antico padre dei
giorni», παλαιός πατήρ άμερδν: anche Aion, dunque, non potrà che esserne
il figlio. Come i giorni non sono che piccole porzioni di tempo che si in­
seriscono nell’infinita d u rata del tempo, così pure sarà degli αιώνες che
il χρόνος contiene e riassorbe in sè (104). Questa genealogia euripidea è,
per così dire, una plastica e poetica raffigurazione dei rapporti che in­
tercedono fra αιών e χρόνος in questo periodo: durante il quale αιών, mal­
grado le varie «Erw eiterungen», che altro in effetti non sono se non delle

Artemide, gli sarà tributato un grande cordoglio nel mondo. Che poi questa nuova vita
sia anche infinitamente lunga, questo è del tutto estraneo al puro valore semantico del
termine.
(104) Anche il L ackeit, 84, notava che nel passo euripideo «αιών ist im Ausschnitt
aus der grossen unteilbaren Zeitmasse, dem χρόνος» (il termine «unteilbar», da quanto
*u· V*S*°’ non ^ però molto appropriato per χρόνος). Π F e s t u g i è r e , PP X I, 181, pensa di
lanre meglio U passo confrontandolo con Ar. Phys. 221a28: άνάγκη παντα τά èv χρόνψ
^ ‘έχεσθαι ύτώ χρόνου. I dizionari si astengono dall’interpretare questo passo, salvo
“ P^tTRACos, Λέξ., s.v. αΙών, che intende — inspiegabilmente — Αιών = ó άτελεύτητος
Χρόνος.

S * E. DECANI - ‘AIQN da Omero ad Aristotele,


PARTE i : Α ΙΩ Ν NELLA POESIA

poetiche inflessioni di un concetto sostanzialmente identico, rimane fonda


mentalmente un lasso di tempo: e quindi, poeticamente, un figlio di Chronos!
Tale rapporto bisogna tener presente anche per spiegare un altro
accostamento Αίών-Χρόνος che si incontra in un epigramma famoso
(cf. Verg. E d . IX , 51) à t\Y A n to lo g ia P a la tin a (IX, 51), che viene attri­
buito a Platone (Πλάτωνος εις τόν βίον):

Αιών πάντα φέρει· δόλιχος Χρόνος οΐδεν άμείβειν


οδνομα καί μορφήν και φύσιν ήδέ τύχην.

Il Wilamowitz { οχ. , 364) così spiega e commenta: «dem Aion ver­


danken wir alles, was an uns individuell ist, Namen und Gestalt, alles,
wofür πεφύκαμεν, alles, ών τυγχάνομεν. Aber der δολιχόδρομος χρόνος weisst
alles zu wandeln, την έναντίην οδόν πορευόμενος». Rifacendosi ad espressioni
di Schitino di Teo ( Vors. I, 190, 1 = Stob. E el. I, 8, 43), egli pensa di
trovare nell’epigramma una conferma delle sue definizioni di αιών e χρόνος
secondo le quali il primo sarebbe «die Zeit relativ, während χρόνος dieselbe
absolut ist» (p. 263). Ma non è questa l’esatta interpretazione del passo,
nel quale non c’è affatto opposizione fra Aion e Chronos: la mancanza
di un δέ e la presenza del punto, che equivale ad un γάρ, indica invece
che la seconda frase è una spiegazione della prima. È quindi da inten­
dersi che la vita φέρει (105) ogni cosa, perché il lungo tempo ha il potere
di mutare tutto, anche il nome e la forma, la natura e la sorte.

(105) Che φέρει possa significare «porta», com e vuole il W ilam ow itz e come po­
trebbe confermare Sapph. 120 D ie h l, pare probabile, benché il «fert» della traduzione
virgiliana (Eel. IX , 51 : omnia fert aetas, animum quoque) valga «porta via». Ad ogni
modo, ciò è indifferente per quanto segue, che si adatta ad entrambi i casi facilmente.
L ’interpretazione wilamowitziana è condivisa dal F e stu o ièr e, l . c . , e dal L ackeit, 86,
U quale aggiunge che si tratta appunto dell’alciv, «der ja zunächst nur das menschliche
Leben begrenzt und durch den und in dem das M enschenleben nur möglich ist».
P a rte Seconda

ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA


Cap . V

I PR E S O C R A T IC I

D al cam po della poesia, αιών passò ben presto in quello della filosofìa
e con Platone divenne voce specifica per indicare l’eternità. Giustamente
osservava il Lackeit che «hätte es keine Dichterphilosophen gegeben, so
wäre unsres W ort auch nie zu dieser hohen Bedeutung a u f dem Gebiete
der Philosophie gelangt. D enn wer anders als ein Dichter hätte ein hoch­
poetisches W ort wie αιών.seinen Zwecken dienstbar gemacht?» (A io n , 53).
Non ci si deve infatti stupire se αιών potè diventare un termine filosofico:
alle sue origini, infatti, la filosofia greca, imbevuta com’era di intuizioni
religiose, non poteva esprimersi che attraverso le immagini e la lingua
della poesia; ed il R einhardt ha del resto chiaramente dimostrato che il
gergo eleatico sull’essere si formò appunto su quello poetico relativo agli
dèi (106).
M a m entre Platone parla esplicitamente di αιών, nei presocratici in­
vece la precarietà della nostra documentazione rende quanto mai ardua
ed incerta l’interpretazione dei pochi fram m enti nei quali il vocabolo com­
pare: non è possibile accertare con sicurezza se anche prim a di Platone
esso avesse avuto quel significato, che nel T im eo appare già tecnico, e co­
munque in quali precise accezioni potesse venire usato. Proprio questa
insufficienza ed oscurità dei testi ha spesso incoraggiato le ipotesi più fan­
tasiose, quando ci si occupò dell’aìcov presocratico (107) : soprattutto, ci

(106) K. R e in h a r d t , Parmenides und die Geschichte der griech. Philosophie, Bonn


112, 114, 118ss. Cf. anche W e i n r e i c h , A fR w X IX , 178ss· d { frammenti,
. (107) S u II’E isler , ch e si serviva d elle testim onianze com e . , con j
torneremo nella terza parte. Il B e n v e n i s t e , o.c., l l l s s . , conclu e ι s critica in
tesi estremamente personali sulla form azione d el c o n c e tto d i -
D umézil , A H E S X , 290) : egli sostiene che i pensatori greci e indiani P <<y
nità attraverso u n ’esperienza vitale ed im m ediata. Q u a n d o α ων assum infatti la
est à prévoir que 1’αίών cosm ique réproduira la structure d e 1 «ίων hum ai ,
PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA
70

si dimenticò troppo facilmente che le testimonianze, se pure sono molto


importanti per la ricostruzione del pensiero antico, sono invece affatto
inutili ai fini di un’indagine semantica, in quanto sono dossografiche ed
è arbitrario attribuire all’antico filosofo delle espressioni usate da chi seri-
veva molti secoli dopo di lui. Cercando di attenerci il più possibile ai veri
e propri frammenti, noi non faremo che un conto molto relativo delle te­
stimonianze: e ci sbarazzeremo fin d’ora di tutti i vari passi raccolti nel
Wortindex del Diels, i quali contengano delle espressioni quali έξ αίώνος,
έξ αίώνος καί εις αιώνα, τον σύμπαντα αιώνα e via dicendo (108), che tra­
discono la mano di uno scrittore piuttosto tardo. L esame che abbiamo
finora condotto, ci induce infatti a concludere che esse non dovevano es­
sere familiari al linguaggio di quei primi poeti-filosofi: ed è anzi possi­
bile constatare che esse si incontrano solo in epoca tarda, l’epoca appunto
degli scrittori che ci tramandarono le testimonianze stesse (109). Le uniche
cose di cui terremo conto si riducono in tal modo a pochissime: le sole
però su cui si possa impostare un discorso concreto.
Cominciamo coll’esaminare alcuni passi, che spetterebbero più pro­
priamente alla prima parte, ma che abbiamo preferito trattare qui per

forza vitale, im plicando riform azione incessante del p rin cip io ch e la n u tre , suggerisce
al pensiero rim m ag in e «la plus instante» di ciò che si m a n tie n e senza fine n ella freschezza
del sem pre nuovo: di q u i l’idea dell’etern o ritorno, «engendrée... p a r u n e véritable fa-
ta lité linguistique» (!). In fatti, egli spiega, «les notions d ’altóv et d e κύκλος se tien n en t si
étroitem ente q ue la seconde n ’est q u e la projection sensible d e la prem ière» (p. 112):
e p e r afferm are ciò egli cita Anaximandr. A IO: έξ άπειρου αίώνος άνακυκλομένων πάντων
αύτών (sono gli άπειροι κόσμοι), u n passo che invece n o n p u ò p ro v are n u lla ap p u n to p er­
ché dossografico (P lv t. Strom. 2). A nche I’E isler, W uH , 423, e la Philippson, o .c ., 82, Io
considerarono invece fondam entale.
(108) Anaximen. A6 (P lv t. Strom. 3 ): Ά . φησι... τήν γε κίνησιν έξ αίώνος ΰπάρχειν,
Anaximandr. AIO: Ά . φησι... τούς άπαντας άπειρους δντας κόσμους... τήν φθοράν γίγνεσθαι
καί πολύ πρότερον τήν γένεσιν έξ άπειρου αίώνος άνακυκλομένων πάντων αύτών, P h ilo l. Β21
(Stob. Eel. I, 20) e B23 (Iambl. In Nicom. p. 10, 22), Democr. A49 (G al. De ehm. see.
Hipp. I, 2) e A56 (C ic. De Fin. I, 6, 17), Hipparch. 68C7 (Stob. IV , 44, 81), H e ra c l.
A l (Diog. IX , 8). Su F ilo la o ed Ipparco, cf. le n o te 136 e 152. D i tu tte le testim onian­
ze, l ’unica che p o treb b e essere u tile a lla n o stra in d ag in e è q u ella che ci tra m a n d a an ­
che il fr. B50 d i E r a c lito (Hippol. Ref. IX , 9) : cf. p p . 74s.
(109) C f Lackeit, o.c., 32ss., 37ss., 63ss. I n ta li espressioni (specialm ente in έξ
αίώνος εις αιώνα) è c ertam en te ravvisabile u n « E in d rin g en des sem itischen E lem ents in
die griechische L ite ra tu r» (p. 63). P er q u este ta rd e espressioni, c f Owen, o .c ., 272ss.,
274, 179; H atch-R edpath, Concordance to the Septuagint, sv. αιών; per i rapporti fra αιών
e 1 ebraico, c f E isler, W uF, 212 e 468; S ta d tm ü ller , S ae c u lu m I I , 317ss.; Sasse, Reali.
f.A.u. Chr., I, 200ss.; R . M acht, Der Zaddik in Talmund und Midrasch, L eid en 1957, 195ss.;
.“ BILLERBECK’ Kommentar zum Neuen Test, aus Talmund und Midrasch, IV , M ü n ch en
1928, 799ss.; Löwe, Kosmos u. Aion, passim.
CAP. V: I PRESOCRATICI
71
fare un indagine il piu possibile unitaria su ogni singolo autore. Gli dèi
sono chiam ati da Em pedocle δολιχαίωνες (B21, 12; B23, 12), poiché hanno
ottenuto in sorte una vita di lunga durata, μακραίωνος λελάχασι βίοιο (B115,
5). Questo significato di αιών è evidentissimo anche nel fr. B154· oiov
βίου λαχόντες αιώνα (110), nonché nel Si’ αίώνος di B110, 3: d γάρ κέν
σφ’ αδικησι υπό πραπίδεσσιν έρείσας | εύμενέως καθαρήσιν έποπτεύσης μελέ-
τησιν, | ταϋτά τέ σοι μάλα πάντα δι’ αίώνος παρέσονται.
Il significato già notato in Aesch. S ept. 744 si trova invece in B129,
6, dove si parla di colui che «vedeva ad una ad una tutte le cose che sono
per trenta generazioni um ane»: ρεϊ’ 6 γε τών οντων πάντων λεύσσεσκεν
έκαστον | καί τε δέκ’ άνθρώπων καί τ ’ εϊκοσιν αίώνεσσιν. In Bl 7, 11 si tratta
degli elementi che «divengono» e non hanno quindi una vita stabile
(111): τη μέν γίγνονταί τε καί ου σφισιν εμπεδος αίών.
È chiaro che in tutti questi passi il termine non ha affatto un valore
filosofico; non si può invece escludere che 1’άσπετος αίών di B16 potesse
connotare una nozione di una certa importanza nell’ambito della cosmo­
logia empedoclea:
fi γάρ καί πάρος εσκε, καί εσσεται, ούδέ ποτ’, οιω,
τούτων άμφοτέρων κενεώσεται άσπετος αίών.
L ’αίών di tale fram m ento (112) ha dato luogo a diverse inteipreta-
zioni: basti pensare che le ultim e edizioni dei Fragm ente der Vorsokratiker

(110) G ià s’è accennato all’om erism o di B158 (όλβιου αίώνος άμερθείς: cf. X 58), che
va aggiunto agli altri citati dal T raglia , Studi sulla lingua di Empedocle, Bari, 1952, lis e .
N el fr. 44 di A ntifonte (δει αύτόν τόν αιώνα πάντα φυλάττεσθαι), l ’espressione τόν αιώνα
πάντα vale «per tutta la vita» : cf. H ippocr . D e Fract. 11 : τόν αιώνα πάντα Ικανόν άντι-
οχεϊν τό νόσημα.
(111) Cf. W . J eaeger , The Theology o f the Early Greek Philosopher, Oxford 1947, 235,
36; M ondolfo , L ’infinito, 82. Per γίγνονταί, cf. B26, 4. Il frammento continua: ή δέ διαλ-
λάσσοντα διαμπερές ούδαμά λήγει, | ταύτη δ’ αίέν ίασιν άκίνητοι κατα κύκλον, cioè: siccome
■essi non sm ettono m ai questa loro eterna vicenda, così rimangono im mobili nel ciclo,
vale a dire nel tem po (κύκλος = χρόνος: cf. B l 7, 27 - B26, 1). N on si capisce 1 afferma­
zione del F estugière, P P X I , 174: «on noterà ici Popposition γίγνονταί - έμπεδος αίών,
ce dem ier étant explicité par αίέν έασιν com m e plus tard chez Aristote». Per la diffi­
coltà presentata d a ll’alternarsi di verbi al singolare ed al plurale (γίγνονταί, λήγει, έασιν)
— la stessa di B26, 1-2 — cf. il fr. B6: gli elem enti da E mpedocle sono intesi com e di­
g n ità (cf. 1’αίέν έασιν: αίέν είναι è tipico degli d èi), oltre che com e cose (ταϋτα: B26, 3;
Bl7> 6); e βιζώματα viene sentito sostanzialm ente com e equivalente di θεοί: il che
«Piega anche l ’inattesa alternanza διαλλάσσοντα... άκίνητοι. Per tutto ciò, cf. anche J aeger ,
J· Z afiropulos, Empedocle d ’Agrigente, Paris 1953, 241· Per έμπεδος, cf. in >
22 (ίμπεδος χρόνος) ; Parm . B8, 13.
(112) T utto il fram m ento è stato ritoccato: I ppolito (Eef. V II, 29) ava me i
R eam ente im possibile άσβεστος, corretto in άσπετος dal M iller . Correzione c e enc
72 PARTE π : ΑΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

intendono «Lebenszeit», m a nelle prime il Diels traduceva «Ewigkeit»


mentre peraltro il W ortin dex registra costantemente il passo sotto il valore
«Zeit». E «tempo infinito» è appunto la traduzione che comunemente viene
data dell’insolito άσπετος αιών (Zeller, Bignone, Mondolfo, Zafiropulos
ecc.). Invece il Festugière, che, movendo dal presupposto wilamowitziano
«αιών ist gar nicht für sich», sottopone il frammento ad un lungo esa­
me (113), pensa che Empedocle con άσπετος αιών abbia voluto indicare la
«vita» dello Sfero : lo Σφαϊρος κυκλοτερής che, solidamente fissato dai le­
gami dell’Armonia, μονίη περιήγει γαίων (B27, 4) come lo Zeus di Omero,
e che, pur dissolvendosi periodicamente, si ricostituisce ogni volta ed ha
quindi una vita senza fine, dato che anch’esso — come i ριζώματα άγένητα
«che sempre sono» — è una divinità (θ-εός, B31). Il senso generale del
frammento è comunque chiaro: si dice che Amore e Contesa sono sempre
esistiti e sempre esisteranno; e che di queste due forze non sarà mai vuoto
1’αίών «indicibilmente grande» (114). Vita o tempo? È impossibile deci­
dere se questo αιών cosmico sia il «tempo infinito» oppure la «vita infinita»
dell’universo e quindi — data la cosmologia di Empedocle — appunto
dello Sfero, con la quale, in fondo, l’infinità temporale necessariamen-

non sia chiaro com e άσπετος si sia potuto corrompere in άσβεστος — appare insosti­
tuibile. N el verso precedente Ippolito dava ήν καί: ήν δ’ ως N auck , ήν τε καί S chnei-
DEWiN, έσκε, καί D iels .
(113) O.c., 177ss. Partendo dalla definizione aristotelico-wilamowitziana, il Festu­
gière riduce tutti i valori di αιών all’unico significato di «durée de la vie individuelle».
Infatti anche Ι’αΙών = eternità «est encore, au vrai, la durée d ’une vie individuelle; mais
il s’agit, cette fois, d ’un individu qui dure indéfinim ent» (p. 178). Questo individuo dap­
prima doveva essere 1’άπειρον περιέχον di A nassimandro, poi lo sfero di E mpedocle, indi
l’aria di D iogene ed infine 1’άίδιον ζώον di P latone : di qui il passaggio al valore «eternità»,
prodotto esclusivamente da una «réflexion philosophique» (pp. 177s.). L’esame dei testi,
specialmente poetici (pp. 173s.), è peraltro condotto in m odo alquanto sbrigativo e par­
ziale: tutti i passi pindarici ed eschilei, che abbiam o riconosciuti com e particolarmente
significativi nella storia semantica d el vocabolo, non vengono affatto presi in considera­
zione. A nche il fr. 52 di E raclito viene deliberatam ente tralasciato, «car le sens en de­
metire incertain» (p. 176, 1).
(114) Cf. H 558: άσπετος αιθήρ; ξ96: ζωή άσπετος (ζωή = «consistenza patrimonia­
le) ; Κ523: άσπετος κύδοιμος, ecc. È senz’altro da escludere che τούτων άμφοτέρων si riferisca
ad αιών, poiché in tal caso κενεώσεται acquisterebbe un valore pregnante che è certo ^
escludere per E mpedocle («esser privo della propria sostanza», «vanificarsi, svuotarsi»
è valore che κενοϋσθαι ha solo nella tarda cristianità). Il F estugière ammette anche a.
possibilità che si tratti dell’aÌtiiv degli elem enti, anziché dello Sfero; mentre invece
Bollar, Phil 1957, 48, pensa che 1’άσπετος αιών, «die unsäglich lange Zeit», sia soggetto
anche dei primi due verbi: al che si oppone — oltre all’où8é disgiuntivo — ü testo
Ippolito, che dice espressamente trattarsi dei due principi άγένητα ed άθανατα.
CAP. V: I PRESOCRATICI
73
te si identifica. Certo, volere in ogni caso intendere αιών come «vita»
è frutto dell’arbitrario presupposto wilamowitziano, chiaramente smentì’
to — oltre che dai vari passi poetici che abbiamo esaminati - anche
dal fram m ento eracliteo di cui fra poco ci occuperemo; ma non si
può d ’altro canto escludere recisamente che qui Empedocle potesse allu­
dere alla vita dello Sfero. U n frammento orfico di epoca incerta (Proci.
in P la t. T im . 21d = fr. 95 K ern) dice: καί φύσεως κλυτά έργα μένει καί
άπείριτος αιών: qui αιών è appunto la vita della natura, che non può mai
perire, ed e quindi caratterizzato dall’aggettivo άπείριτος, «infinito»: così
come Eschilo chiam ava άσπετος 1’αίών di Zeus (Suppl. 574). Abbiamo
in ogni caso un senso di eternità in questo άσπετος αιών: un’eternità però
che non riposa nell «e», m a che è ciclica e si esplica in un divenire inces­
sante. E non furono certo dei passi come questo che suggerirono a Pla­
tone l’impiego di αιών come term ine specifico per indicare quella forma
di tempo che competeva all’U no: 1’αίών platonico non è un tempo «indi­
cibilmente grande», m a è l’eternità extratem porale; un punto, che è del
tutto estraneo al tempo. Si noti inoltre come la sfumatura ravvisabile nel
frammento empedocleo sia del tutto assente in αιών e tutta sostenuta da
άσπετος.
Ben più istruttivo per la nostra indagine è invece il dibattutissimo
fr. 52 di Eraclito:

αιών παΐς έστι παίζων πεσσεύων παιδός ή βασιλείη.

«Vielleicht — osservava il Nestle (Griech. Studien , 139) — das meist um­


strittene unter allen W orten Heraklits ist das von Aion (fr. 52 Diels)»: e
si potrebbe infatti dire — senza tem a di esagerare — che ogni studioso
ha dato di questo fram m ento e di questa parola un’interpretazione diversa.
La proverbiale oscurità del pensatore di Efeso sembra si rifletta con par­
ticolare evidenza nell’immagine m itica di questo fanciullo che gioca a
dadi e che si chiam a αιών. Che Eraclito abbia qui usato il termine «um
das regellose Spiel des W erdens und Vergehens zu schildern» (Wilamo-
witz, o.c.y 364) pare chiaro: per simboleggiare cioè il capriccioso scorrere
del tempo, che gioca, in un apparente disordine, con gli eventi, come il
fanciullo gioca con le tessere sulla scacchiera. M a come tale immagine
rimane piuttosto enigm atica ed oscura nell’ambito del pensiero eracliteo,
così si presenta problem atica anche la precisa interpretazione di αιών, c e
è sempre stato inteso e tradotto nei più vari modi. Il Diels tra uceva
«Zeit», successivamente corretto in «Lebenszeit»; e che qui il termine
valesse semplicemente «la vita nella varietà delle sue vicende» sosteneva
PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

l’Abbagnano {L o nozione del tempo secondo A risto tele, Lanciano 1933, 14)}
mentre il M azzantini, nel tentativo di una maggiore precisione, afferma
che qui αιών è «la vita che perpetuamente si rinnova nel tempo», in quan­
to il fanciullo sarebbe appunto «la freschezza del perenne rinnovamento,
che in qualche modo imita l’eternità» (115). Molti altri invece intesero
«tempo infinito, eternità» (Kafka, Vorländer, Eisler, Tannery, Schuster,
ecc.), altri ancora «tempo», «evo» (Diès, Bodrero, Joel, Nestle, Macchioro,
Walzer, M ainarich, ecc.) e lo Zeller «Weltlauf», sostenendo che qui αιών
era la divinità ordinatrice del cosmo {P h ilos. d. Griechen, I®, 2, 642). Vi
fu invece chi credette di cogliere nel termine uno spiccato richiamo al
destino dell’uomo e del mondo: così il Brieger, che intendeva «Zufall»
(Neue Jahrb. f. Alt. X III, 690, 1) e la Philippson, secondo la quale αιών
rappresenterebbe «la potenza del destino, apparentemente confusa..., l’e­
terna durata che mediante la sua propria durata eonica... compie il suo gio­
co eterno con le vite dei singoli» {o. c., 83s.) : e si potrebbe continuare con
varie altre interpretazioni diverse (116). M a va piuttosto esaminato da vicino
il fatto che spesso si è cercato di chiarire questo ambiguo valore di αιών
mediante il confronto con un passo di Ippolito, che pare possa effettiva­
mente contenere in sè qualcosa di eracliteo {R ef. IX , 9): 'Ηράκλειτος μέν
οδν <εν> φησι είναι το παν διαιρητόν άδιαίρητον, γενητόν άγένητον, θνητόν
αθάνατον, λόγον αιώνα, πατέρα υιόν, θεόν δίκαιον* "ούκ έμοΰ, άλλά τοΰ
λόγου άκούσαντες όμολογεΐν σοφόν εστι εν πάντα είναι” (fr. Β50) ό ‘Ηρά­
κλειτός φησι. Non si può certo escludere che in questa serie di termini an­
titetici (cf. AGI XL, 116) possa essere rimasta più di qualche espressione
di Eraclito. Ed il Mondolfo, parlando dell’eternità ciclica eraclitea,
afferma che essa è «legge fatale e ragione divina, ingenerata ma coinci­
dente con l’incessante generazione ; immortale, ma identica coll’ininterrotta
vicenda dei mortali; ragione (λόγος) eterna, ma combaciànèé cóT^tem-
po (αιών) mutevole e fluente» { L infinito, 80s.). Invece secondo il Levi αιών
è il «tempo finito» che si contrappone all’eternità del λόγος; e quindi — a

(115) C. M azzantini, Eraclito, Torino 1945, 227; 98. Il fr. 52 viene collegato con
B6, ove si dice che «il sole è nuovo ogni giorno». Che questo sole sia poi un simbolo del
tem po (cf. D iano , Il concetto, 266) può anche darsi; m a tutta l’interpretazione rimane
irrim ediabilm ente incerta.
(116) Il L a c k e i t , 82, intende «Zeitenlauf»; il F r a j n k e l , W uF , 2 6 4 s . , «Dasein». Per
altre interpretazioni, cf. L e v i , R F N X I, 272, 4 ; M a c c h i o r o , Zagreus, 392; Z e l l e r -
N e s t l e , Phil. d. Griechen, I», 808; O. G i g o n , Untersuchungen zu Heraklit, Leipzig 1935,
74ss., 122; N e s t l e , Phil L X IV , 373ss.; G i l b e r t , NJ X X I I I , 172ss. Si veda anche Cas­
s i r e r , II, 170ss. Per un esame critico delle fonti, che purtroppo non possono aiutarci
m olto nell’interpretazione del frammento, cf. R. W a l z e r , Eraclito, Firenze 1939, 89ss.
CAP. V: I PRESOCRATICI 75

p a rte il fatto che detta eternità e un tempo infinito e non un eterno pre­
sente (cf. B30) 1 intuizione eraclitea andrebbe addirittura considerata
u n ’anticipazione della dottrina platonica (RFN X I, 263, 1; 272; 276).
In realtà non pare si possa tener conto della testimonianza di Ippolito,
tutt altro che chiara e coerente : si noti che l’ordine antitetico, che inizia
con διαιρητον-αδιαίρητον, viene bruscamente a capovolgersi con λόγον-αΐώνα
(ammesso che λόγος = «ragione eterna») e manca negli ultimi due ter­
mini. E che significa θ-εόν-δίκαιον ? Pare ben giustificato il sospetto che
il passo debba contenere, inoltre, e proprio in λόγον ed αιώνα, dei ter­
mini gnostico-cristiani (117).

***

Pare dunque impresa disperata, se non impossibile, tentare di inter­


pretare univocamente il valore di αιών, simbolo dell’apparente irraziona­
lità del divenire, nel quadro di questa immagine mitica: e tutti i vari si­
gnificati con cui s’è cercato di definirlo potrebbero andare bene, senza
peraltro che gli uni escludano gli altri. In realtà questo αιών che regna e
domina sul mondo altro non è che il tempo periechon, come in Pindaro:
e per questo non lo si può racchiudere in un significato preciso. Si è di
recente posta la questione se ηεΠ’αίών παίζων ci sia un riferimento al tempo
della vita individuale oppure al tempo cosmico (118): tempo della vita
del singolo o tempo del mondo? Per noi la questione non va posta: αιών

(117) Cf. l’apparato di D ie ls-K r a n z , Vorsokratiker8. Ippolito voleva con la sua opera
■criticare l’eresia noetiana, che affermava l ’identificazione del Padre e del Figlio, cercando
-di dimostrare che tale eresia non derivava dalla parola di Cristo m a dalla dottrina di
Eraclito. N on è d a escludere che anche λόγος ed αιών siano termini del linguaggio ippo-
liteo e non eracliteo; e che — secondo la terminologia di quel tempo — indicassero
il rapporto Figlio-Padre (cf. O w en , o . c. , 272; 280ss.; L eisegang, La Gnose, Paris 1951,
28ss.). U n influsso gnostico am m ette senz’altro il K irk , Heraclitus, 65ss.
(118) Cf. G .S. K irk , Heraclitus. The Cosmic Fragments, Cambridge 1954. Egli preferisce
rinunciare ad una traduzione del termine: «Aion is a child at play, playing draughts;
the kingship is a child’s» e spiega: «the word is most likely to refer to hum an lifetime,
perhaps with the special connotation o f the destiny which is worked out by the individual
•during his lifetim e... It is unlikely to m ean ‘tim e’, absolutely, w hite fa te , in general
is an impossible m eaning and one, furthermore, w hich would give the fragment a signi­
ficance contrary to the general trend o f Heraclitus ‘thought’, with its emphasis (as will
be seen) on m easure»; e conclude che il fr. 52, «alm ost certainly belongs to what I have
•called the ‘anthropocentric’, and n ot the ‘cosm ic’, class o f fragments» (p. X iii). Sostan­
zialmente il K irk , che cerca d i distinguere i frammenti «cosmici» da quelli «antropocen-
PARTE li: ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

è l’uno e l’altro, poiché il Perìechon, in quanto vissuto, è sempre in rela­


zione con un «Aie et mine»; ma non è in relazione con·un «hic et mine» se
non per trascenderlo (119). Qui αιώ ν è il tempo del singolo, che fa tutt’uno
con la sua esperienza e sorte; ma è anche e contemporaneamente il tempo
dell’universo, il Destino, il principio cosmico che regola o sconvolge l’in­
tera umanità. E se si vogliono trovare gli antecedenti di’questo αιών era­
cliteo non si ha che da ricercarlo ηεΙΓαίών pindarico, quell’odtóv che έπ’
άνδράσι κρέμαται έλίσσων βίου πόρον.

trici», pone dunque il fr. 52 fra questi ultimi; ed anche W. B r ö c k e r , Gnomon 1958, 433,
è dello stesso avviso : «αιών meint nicht die Weltzeit, sondern die individuelle Lebenszeit».
Ma in αιών individuale e cosmico sono indissolubilmente congiunti : ed è appunto in que­
sto costante riferimento al vissuto ed all’individuale (che impedisce al vocabolo di di­
venire, come più tardi χρόνος, una pura astrazione), che consiste quell’alone epifanico,
onde αίων passa facilmente ad indicare il Perìechon, ponendosi, quindi, su un piano cosmico.
( 1 1 9 ) Cf. D i a n o , Fenom., 2ss.; Il concetto, 252ss.
Cap. VI

PL A TO N E E A R IST O T E L E

Il problem a del tempo, finora presentatosi in forma episodica, viene


per la prim a volta posto criticam ente da Platone e diventa oggetto di una
trattazione specifica ed organica con Aristotele. E come il concetto di
tempo è legato a quello di eternità, così si affaccia per la prim a volta, con
quello del tempo, anche il problem a dell’eternità e quello del loro mutuo
rapporto.
Il senso filosofico che Platone conferisce ad αιών è espresso con estrema
chiarezza nelle pagine del T im eo dove si tratta della creazione del tempo
e dove il term ine acquista il preciso valore di «eternità»; in opposizione
a quello di «tempo», espresso da χρόνος. Il Demiurgo, che nel plasmare
il cosmo tiene lo sguardo rivolto all’eterno (προς το άίδιον, 29a), cerca
di imitare, meglio che gli sia possibile, l’eterno ed immutabile «vivente
intelligibile che gli fa da modello (ζώον νοητόν, 39e) (120). M a egli non
può conferire all’eìxtóv, che sta costruendo, l’immobilità che è propria
dell’increato paradigm a: deve quindi limitarsi ad imprimere ad essa la
specie più appropriata (οικίαν, 34a) di movimento, la rotazione intorno
a sè stessa, che — rifluendo continuam ente su se medesima — costituisce
appunto u n ’im perfetta mimesi dell’immobile. E quando l’artefice passa
alla creazione del tempo, contrappone in tal modo all’eternità del mo­
dello, che perm ane sempre identico nella sua unità, la temporalità ciclica
del χρόνος, che si rinnova di continuo, caratterizzato dalla molteplicità
delle sue parti (μέρη: cioè i giorni, le notti, i mesi e gli anni) e delle sue
specie (είδη: cioè l’«era» ed il «sarà»).

(120) R iceven d o la ψυχή, il cosm o intelligibile diventa un «vivente (cf. Soph. 248a,
249d; Ttm. 30b) : l ’«essere assolutam ente perfetto» (τό παντελώς δν) diventa il «vivente
perfetto» (ζώον τέλειον), ch e — com e gli dèi — è eterno (αίδιον). Per tutto ciò, cf. D iano ,
Λ concetto, 339ss.
78 PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

'Ως δέ κινηθέν αυτό καί ζών ένόησεν των άιδίων θεών γεγονός άγαλμα
ό γεννήσας πατήρ, ήγάσθη τε καί εύφρανθείς £τι δή μάλλον δμοιον πρός τό
παράδειγμα άπενόησεν άπεργάσασθαι. Καθάπερ οδν αυτό τυγχάνει ζώον άίδιον
6ν, καί τόδε το παν ουτω εις δύναμιν έπεχείρησε τοιοϋτον άποτελεΐν. 'Η μέν
οδν τοϋ ζώου φύσις έτύγχανεν οδσα αιώνιος, καί τοϋτο μέν δή τώ γεννητώ
παντελώς προσάπτειν ούκ ήν δυνατόν είκώ δ’ έπενόει κινητόν τινα αΐώνος
ποιήσαι, καί διακοσμών άμα ουρανόν ποιεί μένοντος αΐώνος έν ένί κατ’ αριθμόν
ΐοϋσαν εικόνα, τούτον £ν δή χρόνον ώνομάκαμεν. 'Ημέρας γάρ καί νύκτας καί.
μήνας καί ένιαυτούς, ούκ δντας πριν ούρανόν γενέσθαι, τότε άμα έκείνω συνι-
σταμένω τήν γένεσιν αυτών μηχανάται · ταΰτα δέ πάντα μέρη χρόνου, καί τό-
τ’ ήν τό τ’ έσται χρόνου γεγονότα είδη, ά δή φέροντες λανθάνομεν επί τήν
άίδιον ουσίαν ούκ όρθώς. Λέγομεν γάρ δή ώς ήν έστιν τε καί Ισται, τή δέ τό-
έστιν μόνον κατά τόν άληθή λόγον προσήκει, τό δέ ήν τό τ ’ Ισται περί τήν έν
χρόνω γένεσιν ΐοϋσαν πρέπει λέγεσθαι — κινήσεις γάρ έστον, τό δέ άεί κατά,
ταΰτα £χον άκινήτως ούτε πρεσβύτερον ούτε νεώτερον προσήκει γίγνεσθαι διά
χρόνου ούδέ γενέθαι ποτέ ουδέ γεγονέναι νϋν ούδ’ εις αδθις έσεσθαι, τό πα-
ράπαν τε ούδέν δσα γένεσις τοΐς έν αΐσθήσει φερομένοις προσήψεν, άλλά χρό­
νου ταΰτα αιώνα μιμουμένου καί κατ’ άριθμόν κυκλουμένου γέγονεν εΐδη —
καί πρός τούτοις £τι τά τοιάδε, τό τε γεγονός είναι γεγονός καί τό γιγνόμενον·
είναι γιγνόμενον, ϊ τ ι τε τό γενησόμενον είναι γενησόμενον καί τό μή δν μή
δν είναι, ών ούδέν άκριβές λέγομεν. Περί μέν οδν τούτων τάχ’ αν ούκ είη καιρός
πρέπων έν τώ παρόντι διακριβολογεΐσθαι. Χρόνος δ’ οδν μετ’ ούρανοΰ γέγονεν,.
£να άμα γεννηθέντες άμα καί λυθώσιν, άν ποτέ λύσις τις αυτών γίγνηται, καί.
κατά τό παράδειγμα τής διαιωνίας φύσεως, £ν’ ώς ομοιότατος αύτω κατά
δύναμιν ή· τό μέν γάρ δή παράδειγμα πάντα αΐώνά έστιν Óv, ό δ’ αδ διά τέλους
τόν άπαντα χρόνον γεγονώς τε καί ών καί έσόμενος. Έ ξ οδν λόγου καί διανοίας
θεοΰ τοιαύτης πρός χρόνου γένεσιν, £να γεννηθη χρόνος, ήλιος καί σελήνη καί
πέντε άλλα άστρα, έπίκλην έχοντα πλανητά, εις διορισμόν καί φυλακήν άριθμών·
χρόνου γέγονεν. ( T im . 3 7 d*3 8 c).
«Ma come il padre che l’aveva generato (se. il Dem iurgo , m o to re del cosmo}
vide muoversi e vivere questo mondo, fatto ad immagine degli eterni dèi,,
se ne compiacque e, tutto lieto, pensò di renderlo ancor più simile al mo­
dello. E come questo è un eterno vivente, così anche questo universo egli
cercò — per quanto era possibile — di renderlo tale. Orbene, è proprio-
la natura di questo vivente che era eterna e tale proprietà non era possi-
bile conferirla in tutto e per tutto a ciò che aveva avuto origine: ed egli
allora pensò di fare un’immagine mobile deU’eternità e, ordinando con­
temporaneamente il cielo, crea della eternità, che rimane nell’uno, una.
immagine eternale procedente secondo il numero, quella appunto che
noi chiamiamo tempo. Ed i giorni e le notti, e i mesi e gli anni, che non
CAP. V: I PRESOCRATICI
79
esistevano affatto prima che il cielo nascesse, fece in modo che nascessero
contemporaneamente alla formazione di quello: tutte queste parti sono
parti di tempo e sia 1 era che il sarà sono forme generate di tempo, forme
che noi — senza accorgercene e non correttamente — riferiamo alla
eterna essenza. Diciamo infatti che essa era, è e sarà, ma in realtà solo è
le si addice veramente, e l’era e il sarà si devono dire di ciò che si genera
e procede nel tempo — ché sono due movimenti, mentre a ciò che si
trova sempre immobile nelle identiche condizioni non spetta di divenire
col tempo né più vecchio né più giovane, né di essere divenuto una volta
né di divenire ora, né in seguito: insomma, non comporta affatto tutti
gli accidenti che il divenire implica per ciò che si muove sul piano della
sensazione, ma questi sono aspetti del tempo che imita l’eterno e si svolge
in circolo secondo il numero — e oltre a ciò noi diciamo espressioni di
tal genere: il divenuto è divenuto, il divenente è divenente; e ancora: il
futuro è futuro e ciò che non è non è: espressioni, queste, di cui nessuna
è esatta. Ma forse non è questo il luogo di indagare tutte queste questioni
con la dovuta acutezza. Il tempo, dunque, nacque col cielo, affinché, ge­
nerati assieme, pure assieme si dissolvano, se mai debba verificarsi una
loro dissoluzione; e fu creato secondo il modello dell’eterna natura, in
modo che sia il più possibile somigliante ad esso modello: infatti il para­
digma è per tutta l’eternità, mentre l’altro (121), dal canto suo, è esistito,

(121) L a m aggior p a rte degli in terp re ti (cf. M o n d o l f o , o.c., 105; R iv a u d , P laton,


X , Paris 1925, 152; T a y l o r , A Commentary on P lato’s Tim aeus, Oxford 1928, 190, ecc.)
sottintende qui ούρανός : sem bra infatti ad essi che χρόνος n o n p ossa assolutam ente stare
con la locuzione τόν άπαντα χρόνον. A nche il F e s t u g i è r e , uno dei pochi che sottinten­
dano χρόνος, finisce tu tta v ia con l’am m ettere che ó 8’ αδ γεγενώς (38c2) «sans doute con­
vieni au M onde, cf. 31b3: ουρανός γεγονώς έστιν καί £r’ έσται» (o.c., 186, 1). In realtà il
richiamo al cielo term in a g ià con γίγνηται; poi si continua a p arlare del tem po, raffron­
tandolo col παράδειγμα. Il soggetto della nostra frase è q uindi — come vuole la stessa g ram ­
m atica — lo stesso d i γέγονεν d i ή ; ed anche il significato è chiarissimo, perfettam ente
coerente con q u an to Platone h a finora detto. Q u i si pone ancora u n a volta l’accento
sulla irrelatività di αιών e χρόνος: d a u n a p arte 1’αΙών, eternam ente fisso nell’«è»: άπαντα
αιώνα, «per tu tta l’eternità», ap p u n to perché esso è m isurabile solo con sè stesso e non
con le categorie del tem po ; d a ll’a ltra il χρόνος diveniente e m isurabile, m a anch esso m i­
surabile solo con se stesso e n o n in riferim ento all’eterno: e che perciò è stato e sarà τόν
άπαντα χρόνον, «per tu tto il tem po». L ’eterno vive nell’eternità, il tem porale nella tem po­
ralità: irriducibilm ente. U n ’eco d i questa irrelatività platonica si ritrova ben evidente
negli scritti erm etici ( W e in r e ic h , A fR w X IX , 185), ed ap p are in definizioni platoniz-
zanti come αΙώ ν μέτρον των αιωνίων, χρόνος' μέτρον των èv χρόνω (cf. F e s t u g i è r e , H erm is
Trismégiste, I, Paris 1945, 157; O w e n , o.c., 265 e 271ss.). A ltrettan to si verifica in am b ito
neoplatonico ( W e in r e ic h , 185s.). Il rap p o rto che intercorre fra αιών e χρόνος è d u n q u e
quello che intercorre fra extratem p o rale e tem porale, non quel che intercede fra il «du-
8o PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

esiste ed esisterà per tutto il tempo, continuamente. Orbene: in base a


questo pensiero e ragionamento di D io riguardo alla nascita del tempo,
allo scopo appunto di fare nascere il tempo, furono creati il sole, la luna
e cinque altri astri, che son detti pianeti, per precisare e conservare i nu­
meri del tempo».
Platone distingue e contrappone chiaramente due forme di tempo:
la puntuale extratemporalità di αιών e la temporalità molteplice di χρόνος.
L’uno è caratterizzato dal permanere nell’unità (μένειν έν ένί), l’altro dal
suo procedere secondo il numero e dal suo distendersi in una molteplicità
di parti, precedenti e successive. Per αιών, fisso nella puntualità aoristica
dell’«è», ogni concetto di estensione temporale — anche se illimitata —
è fuori luogo: poiché, come il punto matematico è privo di dimensione,
così esso non ha alcuna estensione, ovvero durata; non comporta divisioni
temporali, non conosce né l’«era» né il «sarà» e si raccoglie tutto nell’«è»,
fuori del tempo: è un eterno presente. Invece χρόνος, tempo del «que­
sto» (122) e del divenire di tutti i giorni, non conosce la stabilità dell’«è»
e non ha un vero presente: la linea del suo procedere si distende di con­
tinuo dal prima al dopo, dall’«era» al «sarà», secondo le categorie del
tempo. E mentre 1’αίών è ingenerato, esso invece è stato creato: e come
ha avuto una γένεσις, così potrebbe avere anche una λύσις. Il suo moto
è circolare 1123); ed è appunto nel circolo dell’«è-era-sarà», cioè nella
ciclica e perenne vicenda del giorno, del mese, dell’anno e del grande
Anno, che esso imita l’immobile permanenza del modello. In ciò esso ri­
vela il rapporto di somiglianza che lo lega all’αιών di cui è la copia terrena:
la sua «eternalità», ond’è anch’esso αιώνιος (124).

ratu ro » (perenne) ed il «caduco» (tem porale), com e spesso si intende (così A. G uzzo,
Aion e Chronos nell'arte e nella vita spirituale in genere: L a v ita dello spirito ed il problema
dell’arte X X , M ilano 1942, 97ss.).
(122) L ’espressione è di C. Diano: è il tem p o d el «tòde ti» (Il concetto, 296ss.).
(123) Infatti il cerchio, nel quale ogni p u n to è co n tem poraneam ente principio e
fine, è la figura m atem atica p iù p erfetta, l’u n ica che possa in c e r to m odo simboleggiare
il p u n to dell’alcóv. È chiaro però che si tr a tta d i im a ciclicità sconsacrata e quindi .propria
d i un tem po lineare e n u m erab ile; n o n è la ciclicità tem p o rale vissuta nel sesto secolo,
quella che è p ro p ria del pensiero m istico (cf. Diano, ibid., 250ss. e D e lta IX , 60ss.;
E liade, L’ét. retour, passim e Images et symboles, 92).
(124) Se αΙώνιος equivale ad άίδιος, com e indiscutibilm ente m ostra il loro indiffe­
ren te alternarsi com e a ttrib u ti d ella m edesim a sostanza (ζώον άίδιον... φύσις αιώνιος... αίδιον
ούσίαν, ecc.; e rra ta la distinzione del T a y lo r , A Commentary on Plato's Timaeus, 186s.),
j com e m ai questo aggettivo viene a ttrib u ito an ch e all’elx<i>v (cioè a χρόνος), che pure è stata
j c re a ta ? T ale difficoltà fu av v ertita d a ta lu n i ed h a d a to luogo a divergenti interpreta­
zioni, intese a chiarire in che cosa consistesse q u esta « etern ità» del tem po : se si limitas-
C A P . V i : P L A T O N E E A RISTO T EL E 8l

Questa definizione di αιών come puntualità aoristica che esclude pas­


sato e futuro e tu tta si riduce all «è», richiam a d a vicino la definizione
parmenidea dell’essere (B8, 5):

ουδέ ποτ’ ήν ούδ’ £σται, έπεί νϋν έστιν όμου παν

Nell’identità di essere e pensiero (B3), cioè nella specularità dell’es­


sere con se stesso, il passato ed il futuro non hanno realtà: sono non-es-
sere e vengono quindi relegati nel mondo contraddittorio ed ambiguo
della δόξα. M a il mondo delle forme e άεΐΐ’άλή&εια non conosce che l’extra-
temporalità dell’«è», poiché non ha né origine, né fine, è άναρχος ed άπαυ-
στος (B8, 7). E questo p er la legge stessa della forma, che non conosce
il tempo se non come «riflessione unidimensionale dell’identico, e quindi
come eternità» (Diano, o. c ., 260) nel suo moto di speculiarità con se
stessa: quella form a della quale Parm enide mise per prim o in luce la lo­
gica, m a che già O m ero aveva contem plato sul piano dell’arte. Ché gli

alla perenne vicenda ciclica oppure se si dovesse intenderla nel senso che il tem po è in­
finito, senza principio e senza fine; cosa ch e è sm entita, innanzitutto, dalla narrazione
stessa del Timeo. G ià fra gli antichi, se A r i s t o t e l e intese rettam ente P la to n e (Phys.
2 5 1 b l7 ; cf. De Coel. 283b26) e lo criticò {ibid. 280a), com e probabilm ente fece anche Epicu­
r o (B arig azzi, in Epicurea in memoriam H . Bignone, G enova 1959, 35ss., 58), ci furono anche
dei tardi interpreti ( P l v t . D e anim. procr. 5, ecc.) che pensarono alla creazione del Timeo
come ad una «veste m itica, traducente in inizio cronologico il principio logico della d i­
pendenza da una causa intellegibile» (M o n d o lfo , L ’infinito, 108) ; e a questa tesi aderi­
rono lo Z e l l e r , il L ev i, il F r a c c a r o l i ed altri. Invece il D iano [Il concetto, 297ss.) ha
di recente dim ostrato ch e l’unica causa del m ondo creato dal D em iurgo anim a che
opera secondo il bene — consiste appunto in un atto di volontà e d i arbitrio. L a crea­
zione del Timeo non è quindi un m ito com e quello d i Er o com e 1 im m agine della ca­
verna; non si d eve quindi cercare in questo αιώνιος un significato per il quale P la to n e ,
uscendo im provvisam ente d a questa sua presunta narrazione m itica, rivelerebbe il suo
«vero» pensiero. G ià il C o v o tti (A P X I I , 162, 1) notava che la desinenza -ιος,^ nella
form azione di aggettivi, «esprim e la p iù generale attinenza con l’idea del sostantivo da
cui deriva... e solo p iù tardi assum e, co l p iù largo uso, un legam e p iù stretto. Il signifi­
cato originario appare nei gentilizi, ch e si possono usare anche sostantivam ente». N u lla
infatti im pediva a P l a t o n e d i usare αΙώνιος nel senso d i άίδιος in 37d e d i im piegarlo in­
vece in un significato p iù generico n el nostro passo, per indicare la sem plice attinenza
con αΙών. In tal senso, dun qu e, intenderem o «eternale» (term ine suggeritom i dallo stesso
Diano), che ci pare più adeguato ch e non il «dell’eternità» del C o v o tti, il quale troppo
rigidamente equipara εΐκών αιώνιος ad είκών αίώνος. L a natura del suffisso può essere chia­
rita con alcuni esem pi com e βώμιος, «ch e si trova sull’altare», θέμιος «conform e al the-
έλευθέριος (cf. invece έλεύθερος), «proprio di un uom o libero», «liberale», «libe­
ratore» (Zeus), δέσμιος, ch e indica la sem plice attinenza con δεσμός, tanto ch e può valere
*ia «legato» ch e «legante» (A esch. Eum. 332); cf. inoltre Λύδιος, Πελοποννήσιος ed i

6 * t d e g a n i - ‘AIQN da Omero ad Aristotele,


PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA filosofìa

dèi dell’Iliade (125) sono pure forme antropomorfe, a cui sono estranee
le idee di nascita e di morte, e sono di necessità αΐειγενέται ed άθάνατοι
La divinità olimpica non può morire, perché è l’essere: avvolti nell’αίγλη
— la luce della forma — vivono in un’atmosfera immobile e serena, non
scossa dai venti né bagnata dalla pioggia, questi dèi «che sempre sono»
(αίέν έόντες ) : è il «sempre» dell’essere che è fuori del tempo, il «sem­
pre» delle forme: forme che si muovono ed agiscono e quindi sono_
appunto nel loro movimento e nella loro azione — contraddittorie, per­
ché, per ora, esse sono solo intuite e contemplate nell’arte. Ma Parme­
nide ne scoprirà la logica, gettando le basi della scienza.
Se nella puntualità aoristica del suo νυν, 1’αίών platonico si riaggancia
all’essere di Parmenide (126), esso non è tutto qui. Nella contrapposizione
fra αιών e χρόνος, il Timeo distingue il «semper» del Perìechon ed il tempo
profano di tutti i giorni. Αιών è stato scelto da Platone appunto per con­
trassegnare il tempo trascendente e divino, mentre χρόνος rappresenta
invece il tempo puramente umano del «questo», il tempo «relié au nom-
bre et arithmétisé^ 127) che si divide in sezioni e si risolve nel numero e

patronimici tipo Τελαμώνιος. Non sono poi d’accordo col M o n d olfo neppure quando af­
ferma che in P la to n e «l’eterna presenzialità tende a convertirsi in perenne durata, che
implica in sè un tacito riferimento alla successione temporale (o.c., 102ss.). Ciò appari­
rebbe, secondo il M on d olfo, dalla «posizione ambigua dell“è’, che oscilla fra l’extratem-
poralità e la appartenenza al tempo quale sua specie», dalle stesse espressioni usate da
P atone (così αεί, che può applicarsi sia al divenire che all’essere; così αιών «che pro­
babilmente E r a c lito aveva usato nel senso di tempo»; e così pure l’espressione πάντα
αίώνά έστιν βν di Tim. 38b, poiché con essa l’eternità «viene così ad essere convertita in
somma infinita di diversi momenti di esistenza immutabile») e infine dalla collocazione
del Bene fra le eterne perfezioni dell’essere: poiché è quel Bene che determina l’attività
creativa e quindi «l’eterno permanere di converte in eterno processo di creazione» (l.c.).
Non è questo il luogo per discutere l’interpretazione che di P la to n e ha dato il Mondolfo
e premetto che io seguo quella del D iano, al cui studio rimando soprattutto per questa
ultima obbiezione (spec. 340ss.). M i limiterò qui a ripetere che 1’«è» platonico è fuori
del tempo, come chiaramente afferma lo stesso P la to n e ; ed è l’«è» della forma e del-
Ι’έξαίφνης, non quell’«è» ambiguo del divenire che in fondo esiste solo nel nostro imper­
fetto linguaggio: come esplicitamente dice ancora lo stesso P la to n e . Non si vede poi come
il fatto puramente linguistico che άεί possa anche venir riferito al divenire debba ge­
nerare ambiguità nell’interpretazione del nostro passo; e per quanto concerne αιών, s è
visto come esso non abbia assolutamente alcuna estensione e sia un punto. Per παντα
αιώνα, cf. la n. 121.
(125) D iano, FE, 52ss. A ragione Callimaco nell’/nno a Zeus i'rv- 8s·) c a c a v a i
Cretesi che facevano Zeus mortale.
(126) Cf. P hilippson, Mito greco, 22ss. ; sul νϋν parmenideo, cf. anche Levi, RFN
X I, 374s.
(127) L’espressione è di J. D e la H arpe , L idie du temps, 130.
C A P . V II P L A T O N E E ARISTO TELE
83
che è proprio della tecnica e della scienza. In Platone, per la prima volta,
la distinzione fra questi due tipi di tempo diviene concettualmente cosciente
e semanticamente esplicita ; ed anche il tempo periechon acquista definiti­
vamente un suo proprio nome: αιών. Infatti la scala metafisica — e non
fisica, — su cui sono collocate quelle che per Platone sono le varie forme
di realtà, ha nel suo punto più alto l’assoluta Esistenza, l’estità dell’Uno,
ovvero del Bene: il punto «’ve s’appunta ogni dove ed ogni quando»,
Γ«ubique et semper», l’estremo Periechon che di tutto è il periechon e di nulla
il periechomenon (128). La forma di tempo che gli compete è appunto 1’αίών,
il tempo epifanico dell’evento, il punto senza dimensioni che tutto ab­
braccia: al di sotto incontriamo il tempo del mondo, χρόνος: il tempo
numerabile ed ordinato dei cieli, che nel suo continuo ritorno circolare
dall’«era» al «sarà», costituisce la mobile immagine del tempo divino (129).
Il Timeo segnò una tappa fondamentale nella speculazione che gli
antichi fecero sul tempo. Questo dialogo, che in seguito divenne un vero
e proprio testo sacro, fu un costante centro di riferimento per tutti coloro
che, dopo Platone, si occuparono del problema del tempo, come Aristo­
tele, Plotino, Proclo e via dicendo. «Eternità» è infatti il valore costante
ed abituale di αιών per la filosofia post-platonica; e la proposizione pla­
tonica del tempo come «immagine mobile dell’eternità» diede origine ad
una ricchissima serie di figurazioni mitiche nell’ambito del neoplatonismo.
Tutte al Timeo si riagganciano le meditazioni di Plotino, che nel settimo
capitolo della terza Enneade esamina molto a fondo il problema dell’eter­
nità. Per lui αιών è l’insieme delle essenze intelligibili, riunite in un tutto
grazie ad una vita trascendente che circola fra di loro: ed è oggetto di
una specie di visione intuitiva dell’anima, la quale ora scivola verso il
tempo, ora si aderge verso l’eternità, smaniosa di annullarvisi (130). Fu
appunto Proclo, il quale — interpretando dal punto di vista neoplatonico
la narrazione del Timeo — affermò che αΐών...έστι τοϋ χρόνου πατήρ (in
Plat. Remp. 17, lOKroll), a capovolgere letteramente la genealogia euri­
pidea degli Eraclidi. Il larvato rapporto di mimesi che in Platone tem­
pera l’irriducibile separazione fra αιών e χρόνος, si risolve qui in un chiaro
rapporto di discendenza, onde αιών non è che un’opaca emanazione del-

(128) Per t u t t o ciò, cf. D ia n o , U concetto, 338ss. e spec. 340ss.


(129) D ia n o , ibid., 338ss. Al mondo dei corpi e della γένεσις appartiene un tempo
rettilineo e spezzato, dominato da una certa άταξία, ma pur sempre regolato; mentre al
caos del mondo della χώρα compete il vero χρόνος άτακτος, che non procede affatto né
κατ> άριθμόν né κατά τάξιν.
(1 3 0 ) Cf. J. D e l a H a r p e , o . c . , 1 3 1 ss.
84
PARTE Π: Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

Γαίών άγέννητος. M a Proclo, pur allontanandosi dal T im eo , non fa che


sviluppare in sostanza le premesse platoniche, poiché già in Platone l’an.
teriorità e la superiorità dell’eterno rispetto al tempo era implicita e la
esistenza stessa di χρόνος presupponeva necessariamente αιών.

***

Nessun filosofo greco ci ha lasciato una definizione così precisa e ri­


gorosa del rapporto fra eternità e tempo come Platone: il che dipende,
ovviamente, dallo stesso sistema platonico, che solo permetteva una così
netta distinzione. In Plotino, ad esempio, che pure si sforza di seguire
da vicino il T im eo, il tempo viene ad avere una realtà precaria e rischia
di venire assorbito nel mare dell’eternità. Così αιών, nozione trascendente
propria dell’Uno, poteva mantenere questo suo specifico valore solo nel­
l’ambito di un sistema quale era quello platonico: il che ci dà ragione
anche della fondamentale diversità che intercede fra 1’αίών platonico e
quello aristotelico. Aristotele, infatti, conobbe certamente il T im eo e come
tutti vi si rifece quando parlò del tempo: m a la sua dottrina non cono­
sceva né l’Uno né l’iperuranio di Platone, onde la fondamentale e netta
distinzione platonica fra αιών come tempo periechon e χρόνος come tempo
strutturato viene in lui ad annebbiarsi e rischia quasi di scomparire. Giu­
stamente osserva il Levi (Ath X X V I, 3s.) che «la concezione aristotelica
dell’eternità non ha la precisa determinazione di quella platonica» e che
quindi in Aristotele «la netta distinzione posta da Platone fra il concetto
dell’eternità e quello del tempo si offusca»: ciò infatti risulta evidente
anche dall’uso che Aristotele fa del termine αιών. La parola diventa per
lui equivoca ed ambigua: al punto che, come ha ben visto il Lackeit, egli
sembra temerla ed evitarla appunto per la sua «Zwiespältigkeit» e spesso
si serve di espressioni come άπειρος χρόνος e simili, anche dove — secondo
la sua stessa definizione — dovrebbe usare αιών (131).
Certo, nella acutissima analisi cui egli sottopone il concetto di χρόνος,
egli distingue chiaramente il tempo mobile dall’immobile eternità che è
fuori del tempo. Tà άεί οντα — egli scrive nella F isica (221b 3-5) — ?) άεί
όντα, ούκ έστιν έν χρόνω· ού γάρ περιέχεται ύπό χρόνου, ούδέ μετρεϊται τό
είναι αύτών υπό του χρόνου: infatti il tempo, definito άριθ-μός κινήσεως
κατά τό πρότερον καί ύστερον {P h ys. 219Μ), è inevitabilmente connesso col

(131) Aion, 59s. Egli peraltro non fa citazioni; o, p iù precisam ente, cita solo l’inizio
del secondo libro de D e Caelo, dal quale risulta tutt’altra cosa. Cf. Phys. 221a27, De Coti.
275b3 (dove ό άπας χ., sostituisce αιών), ecc.
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
85
movimento {D e gen. 337a23). L’eternità dunque spetterebbe di diritto
solo a Dio, all’Atto Puro: all’oùoia άίδιος καί ακίνητος (Metaph . 1073a3),
che, sempre immobile ed identica a se stessa, agisce solo come causa finale
{ibid. 1072b 35). Ma in realtà Aristotele conosce anche un’altra eternità,
quella del cielo, che è εις, άίδιος, άφθαρτος ed άγένητος {De Cael.
277b27ss.) : esso è mobile, a differenza di Dio, ma è anch’esso άθάνατος
καί θείος fra le cose che sono dotate di movimento {ibid. 284a4s.) ; è il
πέρας των περιεχόντων e la sua κυκλοφορία, τέλειος οδσα, περιέχει τάς άτελεϊς
καί τάς έχούσας πέρας καί παύλαν, αύτή μέν ούδεμίαν οδτ’ άρχήν έχουσαν
οδτε τελευτήν, αλλ’ άπαυστος οδσα τόν άπειρον χρόνον, των δ’ άλλων των μέν
αιτία της αρχής, των δέ δεχομένη τήν παύλαν {ibid. 284a7-12; cf. Phys.
265a25-bl6). Tutto il primo libro del D e Caelo è un inno all’àdavaaia
ed all’à^ió-n^ del cielo (270a-13ss.) che appare come la più alta divinità
trascendente, che άναλλοίωτα καί άπαθή την άρίστην έχοντα ζωήν καί αύ-
ταρκεστάτην διατελεϊ τόν άπαντα αιώνα (279a20ss.). È proprio a questo
punto che Aristotele sente la necessità di dare una definizione di αιών,
cercando di dar ragione del suo contradditorio e duplice valore semantico.
Καί γάρ τοϋτο τοδνομα — egli spiega — θείως έφθεγκται παρά των άρχαίων.
TÒ γάρ τέλος τό περιέχον τόν της έκάστου ζωής χρόνον, οδ μηδέν έξω κατά
φύσιν, αιών έκάστου κέκληται. Κατά τόν αύτόν δέ λόγον καί το τοϋ παντός
ούρανοϋ τέλος καί τό τόν πάντα χρόνον καί τήν άπειρίαν περιέχον τέλος, αιών
έστι, άπό τοϋ αΐεί είναι εΐληφώς τήν έπωνυμίαν, αθάνατος καί θείος (279a
22-28). Cioè: «ed infatti questo nome di aión è stato pronunciato per
ispirazione divina da parte degli antichi. Infatti la forma compiuta e
perfetta (τέλος) che abbraccia il tempo della vita di ciascuno, id di fuori
della quale nulla esiste secondo natura, si chiama aión di ciascuno; ana­
logicamente anche la forma perfetta e compiuta di tutto il cielo e quella
che abbraccia tutto il tempo e l’infinità è aión (ha ricevuto il nome dal
fatto che è sempre) immortale e divino». Questo αιών che abbraccia l’in­
finità ed è άθάνατος καί θείος, può sembrare identico all’aitàv platonico;
senonché Aristotele mette in relazione il valore «eternità» coll’altro cor­
rente ed abituale di «durata della vita»: come αιών è il télos che abbraccia
il tempo della vita di ognuno, analogamente si chiama aión anche il télos
che abbraccia tutto il tempo e l’infinità. E proprio il termine τέλος, che
— usato in riferimento alla vita umana — ha un chiaro valore tempo­
rale, induce a pensare che anche 1’αίών άθάνατος sia qui concepito come
infinita temporalità e non come eternità extratemporale. Così è in effetti:
in Aristotele αιών viene ad assumere, da solo, quel valore che aveva 1 άσπε-
τ°ζ αιών di Empedocle: un tempo incommensurabilmente grande, ma che
è pur sempre tempo e non qualcosa di assolutamente estraneo al tempo,
PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

come in Platone. Di qui l’interpretazione razionalistica di αιών = eter­


nità come «vita» di Dio o dell’Universo: Aristotele cerca infatti di spie­
gare il nuovo senso filosofico di αιών in base al normale significato che esso
aveva nella tradizione poetica. «Ewigkeit und Lebenszeit — nota giusta­
mente lo Zepf (132) — sind die beiden Komponenten, aus denen sein
Aionbegriff zusammensetzt. Sie finden ihre Vereinigung in dem Begriff·
einer unendlichen Lebenszeit, die die Gesamtheit des irdischen Zeit in
sich umfasst und darstellt». Infatti αιών sarà propriamente la vitq di Dio:
al quale, in quanto sommo ζώον άίδιον, spetta un αιών συνεχής καί άίδιος
(M etaph . 1072b28-30). Con evidenza ancora maggiore, ciò è confermato
da un altro passo della M etafisica (1075a8-ll), dove alla mente umana,
legata al χρόνος, si contrappone il pensiero divino che vive nella sfera del-
1’αΐών: ό ανθρώπινος νους, ή δ γε των συνθέτων έ'χει έν τινι χρόνω..., ούτως
δ’ έχει αύτή αυτής ή νόησις τόν άπαντα αιώνα.
Ma 1’αίών è proprio anche del cielo (cf. D e Cael. 279a22), il cielo che
abbraccia la totalità del mondo e la cui vita (αιών) non può essere che
eterna, αίεί ών (133). All’inizio del secondo libro del D e Caelo, Aristotele,
riassumendo quanto ha detto nel primo, rischia quasi di identificare il
cielo stesso con 1’αΐών: δτι μέν ούν ούτε γέγονεν ό πας ουρανός ούτ’ ένδέχεται
φθαρήναι... άλλ’ έστιν εις καί άίδιος, άρχήν μέν καί τελευτήν ούκ έχων τοϋ
παντός αΐώνος, έχων δέ καί περιέχων έν αύτω τόν άπειρον χρόνον, έκ τε των
εΐρημένων έξεστι λαβεΐν τήν πίστιν (283b26ss.). Oltre al τοϋ παντός αΐώνος,
che ribadisce il τον άπαντα αιώνα di 279a22, è qui da notare che il περιέχων
έν αύτω τόν άπειρον χρόνον richiama immediatamente il το τον πάντα χρόνον
καί τήν άπειρίαν περιέχον τέλος dello stesso passo (279a27-28). E benché
Aristotele abbia definito αιών anche come το του παντός ούρανοϋ τέλος
(279a26), non risulta più chiara la differenza fra cielo ed αιών: tanto più
che altrove (278b31ss.-279al3), Aristotele dice chiaramente che al di fuori
del cielo, είς καί μόνος καί τέλειος, nulla esiste secondo natura : ούδε τόπος,
ούδέ κενόν, ουδέ χρόνος. Analogamente anche i corpi celesti e in genere
tutto ciò che è άφθαρτος ed άγένητος sarà partecipe di αιών : τών ουσιών
δσαί φύσει συνεστάσι, τάς μέν άγενήτους καί άφθάρτους είναι τόν άπαντα
αιώνα, τάς δέ μετέχειν γενέσεως καί φθοράς {D e p a rt. anim. 644b22-23) (134).

(132) AfRw X X V , 128. Giustamente metteva in luce questo fatto anche Sim­
plicio,p. 367, 27 H eiberg : e a torto il L ackeit, 61, polemizza con lui.
(133) Cf. W einreichj^oc., 177ss., Zepf, o . c. , 227.
(134) Significativo è ρυκΤάπειρον αιώνα del fr. 40, 1481a39: καί ταϋθ’ ούτως
παλαιά διατελεϊ νενομισμένα παρ’ ήμΐν, ώστε τό παράπαν ούδείς οίδεν ούτε τοϋ χρόνου τήν
άρχήν ούτε τόν θέντα πρώτον, άλλά τόν άπειρον αιώνα τυγχάνουσι διά τέλους οΰτω νενομικό
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
87

Se si pensa che invece Platone aveva connesso il cielo con χρόνος,


risulterà chiara la sensibile differenza fra 1’αίών aristotelico e quello plato­
nico. L’eterna presenzialità del T im eo si risolve qui in un’eterna e mobile
durata, per la quale si potrebbe dire che ήν εστιν τε καί έσται. E in fondo,
in che cosa differisce αιών da χρόνος? Benché Aristotele si sforzi di defi­
nirlo come il τέλος che include in sè tutto il tempo, la definizione è in
realta tutt altro che netta, anche perché 1 infinita di χρόνος, άφθαρτος
ed άγένητος, è affermata da lui innumerevoli volte (135). Strappato all’i-
peruranio di Platone e separato dall’Uno, 1’αίών degrada a tempo: il
senso del νυν όμοΰ παν si è annebbiato.
Con questo pero non si vuole affermare che αιών in Aristotele venga
sostanzialmente equiparato ad άπειρος χρόνος, come frettolosamente con­
cludeva il Lackeit (136), quasi che i due termini differissero solo quanti­
tativamente. In realtà, dopo il T im eo , un’equazione non era più possibile
neppure sul piano qualitativo, anzi non era più possibile specialmente in
questo piano. Si può solo dire che con Aristotele la nitida formulazione
platonica sull’eternità si fa poco chiara e che — sul piano strettamente
filosofico — viene a mancare una precisa distinzione fra αιών e χρόνος.
Ma in realtà χρόνος, ancor più evidentemente che in Platone (137), è e
resta il tempo della matematica e della fìsica, pienamente laicizzato e
risolto nel numero; mentre αιών è un télos che — nella sua holòtes — è
assolutamente indivisibile. Ed esso mantiene ancora ben vivo quell’alone
epifanico che aveva ormai stabilmente acquisito: άθ-άνατος καί καί θείος,

τες.. Per Rhet. 1374a33: ύπολείποι γάρ Sv δ αΙών διαρι&μοΰντα, cf. Isocr. I, 11: έπιλίποι Sv
ήμας δ χρόνος, Dem. 18, 296: έπιλείψει με λέγον-9·’ ή ήμέρα (cf. T heogn. 1131).
(135) Phys. 222a27ss., 251bl0ss, 263al5ss., Meteor. 353al5ss.; De Lin. ins. 969a29,
ecc. La distinzione αίών-χρόνος si offusca di fronte a passi come questi: άναγκη πάντα τά
έν χράνω περιέχεσ&αι ύπδ χρόνου {Phys. 221a27) oppure δ όξπας χρόνος ουκ έχει τέλος, τδ
δέ κεκινημένον έχει {De Cael. 275b3-4).
(136) O . C . , 59s. Egli peraltro riconosce che «der αιών ist weit grösser als der χρόνος,
obwohl auch der χρόνος unendlich ist: denn der αΙών ist eben die ideelle Unendlichkeit, wie
χρόνος die empirische» {ibid., 62) : m a il motivo è ben diverso e le cose non stanno esatta­
mente così. Cf. supra. Per quanto riguarda lo pseudo-aristotelico De Mundo, il L ackeit,
62, osserva che la sua apocrificità è comprovata anche dalle formule έξ αίώνος ές έτερον
αιώνα (397al0; 401al6) e δι’ αίώνος (391bl9; 397a31, b7), che appartengono ad epoca
più tarda; ed altrettanto va detto per i frr. B21 e B23 di F ilo la o , dove compare la locu­
zione έξ αίώνος είς αιώνα. Sono infatti formule tipiche della lingua dei Settanta (cf.
H a tch -R ed p ath , Concordance to the Septuagint, s.v. αίών): ma tutto ciò non vale, come
s è visto, per δι’ αίώνος.
(137) L’analisi del tempo, sotto l’aspetto quantitativo, è molto ampliato da A risto ­
tele rispetto a P latone, benché egli si impigli in contraddizioni insanabili (J. de la H ar­
pe , o.c., 130ss.; L evi, Ath X X V I, 4ss.).
88 PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

esso è sempre il «tempo divino», indica una proprietà che è caratteristi


di Dio e del Cielo, eterno e divinizzato. E ra tuttora θείως έφθ·εγμέν0ς· ^
quell’etimologia αιών = άεΐ ών, che fu proprio Aristotele a codificar
e che, inesatta sul piano linguistico, era tuttavia reale in quello semaio
tico, fu ben a ragione definita «mistica» dall’Eisler (138).

###

Il W einreich intuì questo carattere religioso di αιών in Platone ed in


Aristotele, le cui «philosophische Aionerwähnungen» — egli osservava
— si trovano «stets an hervorragenden und stark religiös getönten Stellen... :
bei Platon in mythisch einkleidender, bei Aristoteles in religiös pathetischer
Um gebung (ebenso später wieder bei Plutarch)» (139) ; e parlava di una
successiva «Deifikation des philosophischen Aionbegriffes». Non è peral­
tro esatto parlare di una vera e propria deificazione del concetto filoso­
fico di αιών, dato che questo stesso concetto — come s’è visto — rac­
chiudeva già in sè una nozione mistica: nozione, che non è quindi solo
ravvisabile nei contesti o nel modo con cui il concetto di αιών = eternità
era stato trattato. Sta comunque di fatto che il termine, dopo Aristotele,
si attestò subito nella sfera religiosa: e nella posteriore grecità esso viene
generalmente contrapposto a χρόνος come il tempo sacro rispetto al / pro­
fano (140), finché divenne esso stesso una divinità ed ebbe l’onore di un

(138) WuH, 695. Questa etimologia doveva certo essere stata sentita anche da Pla­
tone, poiché il valore che αΙών ha nel Tim o rendeva certo immediatamente vitale quel
legame fra αιών ed àet che la cristallizzazione del termine nel valore «vita» doveva
avere quasi del tutto cancellato. Noto qui che I’E is le r parla anche di un presunto col-
legamento di αιών col verbo omerico άίω «fühlen, wahmehmen», e lo spiega come fe­
nomeno di etimologia popolare (ibid., 707, 5; 446, 2): ma egli non cita alcun passo da
cui risulti che i Greci operarono il suddetto collegamento.
(139) O.c., 184. Sull’atóv plutarcheo e sul suo costante riferimento a quello plato­
nico ed aristotelico, cf. L eiseg an g , Die Begriffe der Zeit u. Ewigkeit, 6ss.; L ack eit, 6 2 ss.
(140) ΑΙών viene spesso così definito: χρόνος άΐδιος (Sud. s.v.) oppure χρόνος άγέννητος
(Tm. L ock. 97D) : cf. O wen , o.c., 265, 271ss. Si noti che αΙών rimane sempre il tempo
non misurabile, mentre χρόνος è invece il tempo mobile e misurabile: ché il senso comune
avvertiva nel primo termine il senso di άεί e connetteva invece il secondo con χορ*
(P rocl. in Tim. p. 9.12-15 D iehl ). Talora, con gioco di parole, si definisce χρόνος come
ϊγχρονος αΙών e αΙών come αΙώνιος χρόνος(ΟννΕΝ, 266). Fuori strada è quindi IE blkb,
secondo il quale, dopo P roclo, αίών rappresenta «die bewegende und messbare
in dem unbeweglichen und unendlichen χρόνος» (WuH, 408, 3) e così pure U ßAU*®ISTE^
Denkmäler d. klass. Altertums, I, 32, secondo il quale ΑΙών, dopo Eurip®®» «wird. ^ ^
der bewegenden und messbaren Kraft in dem unbeweglichen und unendlichen
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
89
culto in diverse zone del mondo ellenistico e romano (141). Non è diffi­
cile capire come αιών, tempo periechon in Platone ed attributo sommo della
divinità in Aristotele, abbia potuto ben presto divenire un dio. Molto
significativo è, a tal riguardo, un passo delle Enneadi, dove Plotino —
dopo aver poco prima ribadito che αιών... άπό τοϋ άεΐ δντος (III, 7, 4) —
osserva: σεμνόν ο αιών, καί τακτόν τώ θεω η έννοια λέγει, καί καλώς αν
λέγοιτο è αιών θεός έμφαίων καί προφαίνων έαυτόν οΐός έστι (III, 7, 5).
Ma questa deificazione si era già verificata prima di Plotino: così in
una iscrizione eleusina (S IG s, 1125), che sicuramente risale ad epoca au-
gustea e che è certo strettamente legata alla speculazione platonico-ari­
stotelica su αιών:
Κόϊντος Πομπήϊος Αδλου υ[ίός]
έποίει καί άνέθηκε
σύν άδελφοΐς Αΰλωι καί Σέξτωι
Αιώνα
εις κράτος 'Ρώμης καί διαμονήν
μυστηρίων
Αιών δ αυτός έν τοϊς αύτοΐς αΐεί
φύσει θείαι μένων κόσμος τε εϊς
κατά τά αυτά, όποιος έστι καί ήν
καί έσται, άρχήν μεσότητα τέλος
ούκ έχων, μεταβολής άμέτοχος,
θείας φύσεως έργάτης αιωνίου πάντα.
È stata più volte affermata la diretta derivazione dal Timeo — ormai
divenuto un testo di meditazione religiosa — di questa iscrizione (142).

nos». ΑΙών non è mai un tempo misurabile: molto istruttiva, a questo riguardo, la de­
finizione di Giovanni D amasceno, I, 153C: αΙών ού χρόνος, ούδέ χρόνου τι μέρος, ήλιου
9°Ρ? καί δρόμω μετρούμενον..., άλλά τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς άιδίοις... δπερ γάρ τοϊς ύπδ
χρόνον ό χρόνος, τοϋτο τοϊς άιδίοις έστι αίών, nonché queUa di Gregorio N azianzeno, Or.
38, 8: αίών... ούτε χρόνος οϋτε χρόνου τι μέρος, ούδέ γάρ μετρητόν- άλλ’ δπερ ήμΐν ό χρό-
νος, ήλιου φορ$ μετρούμενος, τοϋτο τοϊς άιδίοις αίών, τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς ούσιν,
e quella di M assimo C onfessore, Ambig. p. 162: αίών... έστι 6 χρόνος όταν στη της κινή-
σεως, καί χρόνος έστιν ό αίών δταν μετρήται κινήσει.
(141) Cf. K och, Gymnasium V, 137ss.; Sasse, RealUx, f.A.u.Chr. I, 197ss.; H a r t k e
J«F, 31ss., 33ss., 49ss.; W einreich, o .c ., 186ss.
(142) Cf. W. K r o ll, RE V III, 817 (e anche J. K r o ll, DU Lehren des H. Trisme-
gistos, Münster 1914, 69, 1); K ern, Hermes X LV I, 432, 3; Troje, AfRw X X II, 88ss.;
Nilsson Gr. Rei. II, 331ss., 478; K och, o.c., 137s. Il fatto che qui Αίών appaia ima di­
vinità del tutto greca, non autorizza affatto ad escludere che esso abbia potuto — in­
seguito o magari anche prima — essere un puro nome per divinità non greche (cf. K och,
442). L’iscrizione è senz’altro di epoca augustea (Nilsson, II, 331, 11).
9° PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

Invece il Weinreich, seguito dallo Zepf, pensava più probabile un influsso


aristotelico, data la stretta connessione di αιών e κόσμος che essa presenta
e dato che appunto in Aristotele ci sarebbero i presupposti per una iden­
tificazione di αιών «mit dem ewig und göttlich gedachten κόσμος» (143).
E in effetti il κόσμος aristotelico, che περιέχει la terra (M eteor. 339b4, a20),
è uno, eterno, ingenerato ed incorruttibile {D e Cael. 280a21 ; frr. 17.1477
alO, 18.1477a25, ecc.) nonché θεός (fr. 21.1477b22). E forse questa del
Weinreich è ipotesi molto più probabile, se si considera che anche la for­
mula έστι καί ήν καί έσται è certo più conforme allo spirito aristotelico che
a quello platonico. Radici aristoteliche ha con molta probabilità anche
l’identificazione di Aion col Cielo, che appare suppergiù in questo stesso
periodo, come ben vide il Reitzenstein (144), mentre di stampo schietta­
mente platonico è la divinità cosmica della speculazione ermetica (145).
Tutto ciò basta a far intendere quanto gli sviluppi mistici di αιών in
epoca ellenistica e postellenistica siano legati a presupposti platonico-ari­
stotelici.

***

Vediamo ora quali conseguenze ebbe il nuovo valore di αιών sul pia­
no puramente semantico e al di fuori del campo strettamente filosofico-
religioso dove esso si maturò. Dice il Lackeit che in epoca ellenistica il
concetto di eternità divenne abituale alla lingua greca ed αιών finì ben pre­
sto per divenire un «Allgemeingut der Alltagssprache» (146). Senonché
nella lingua di tutti i giorni non esiste un tale concetto ed in realtà αιών =
= eternità rimase — in senso proprio — un termine specifico del lin­
guaggio mistico-filosofico anche durante l’ellenismo. Ma la κοινή, come
disgregò le unità dialettali, così contribuì anche, nell’ambito di una stessa
lingua, ad infrangere le barriere fra gergo specifico e tecnico e quello co­
mune di tutti i giorni: nel mondo ellenistico non vi sono compartimenti
stagni e i piani del sapere — sebbene non in forma feconda e discipli­
nata — vengono a contatto e sconfinano facilmente l’uno nell’altro. Quan­
do però il concetto di «eternità» esce dalla sfera filosofica e religiosa, che
è ad esso propria, non può farlo se non risolvendosi in un’iperbole: ecco

(143) O.c., 184; cf. 174ss., 177ss., 179ss.; Zepf, o .c. , 228.
(144) Iran. Erlös., 211; Zepf, 227ss.
(145) Su questo Αιών, cf. W. S cott, Hermetka, Oxford 1924, III, 185ss.; Festu-
cière , Hermis Trismégiste, 157s.
(146) RE, Suppi. I l i , 64; cf. Aion, 32.
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
91

quindi come αιών viene ad acquistare il significato di «lungo, lunghissimo


spazio di tempo», accanto all’altro valore — sempre conservato dalla
tradizione letteraria — di «vita», «durata della vita». In tutta la grecità
infatti, fino al tardo cristianesimo, il vocabolo manterrà ininterrottamente
questo suo antico significato, accanto e di fronte agli altri nuovi che di
volta in volta assunse (147); e tale coesistenza di valori opposti non di­
sorienta solo noi, ma appariva ambigua e contradditoria già agli anti­
chi (148).
Questo duplice e contrastante valore del vocabolo compare per la pri­
ma volta in Platone. Il tradizionale significato si trova — beninteso, in con­
testi non filosofici, — nel Gorgia (448c), là dove si afferma che l’espe­
rienza fa procedere la nostra vita secondo l’arte e l’inesperienza secondo
il caso: εμπειρία μέν γάρ ποιεϊ τδν αιώνα ήμών πορεύεσθαι κατά τέχνην,
άπεφία δέ κατά τύχην, e nelle Leggi (III, 701c), dove si afferma che i
trasgressori della legge sono costretti a condurre una vita difficile ed a non
essere mai liberi dai mali: χαλεπόν αιώνα διάγοντας μη λήξαί ποτέ κακών.
Con Platone compare anche, per la prima volta, l’aggettivo αιώνιος che,
con la sua variante διαιώνιος, rimanda appunto ad un αιών dal valore di
«eternità» (149); mentre invece μακραίων rimanda all’altro significato:

(147) Cf. T h e o d . M ops, in Cal. I, 4: αιών... έστιν... διάστημα χρόνου είτε μικρόν
είτε μέγα- μικρόν μέν... δταν τήν... ζωήν οΰτως καλή, κτλ. È appunto questa duplicità di
valori che h a dato luogo a serie divergenze sull’interpretazione delle sacre scritture (cf.
O w en , o.c., 268s.). Nelle num erose definizioni che furono d ate di αιών, non m anca mai
— accanto ai vari «mondo», «spazio di mille anni», ecc. — il valore di όλος ó βίος, ή
ζωή ήμών, όλος ό παρών βίος, ecc. (O w e n , 266ss.).
(148) L a stessa definizione aristotelica nasce senz’altro d all’a w e n u ta acquisizione
dei due valori opposti «vita» ed «eternità». U no scoliasta di O m e ro (X58) sembra quasi
pensare a due parole diverse: αίών δέ παρά τό άεί, ή τόν υπόλοιπον τής ζωής χρόνον.
(149) In senso strettam ente filosofico, αιώνιος indica propriam ente ciò che non ha
ne inizio né fine: άνώλε9·ρον δέ δν γενόμενον, άλλ’ ούκ αιώνιον (Legg. 904a) ed equivale ad
άίδιος. Riferito a ciò che è nel tem po, invece, esso indicherà qualcosa che è dotato di una
incessante d u rata, «continuo», « duraturo»: così il medico A r e t e o parla di una νοΰσος...
οϋ χρονίη, άλλά... αίωνίη (CA, 1,5), contrapponendo a χρόνιος, «tem poraneo, passeggero»,
αιώνιος nel senso di «duraturo, inguaribile» (ciò che noi esprimiamo col nostro «cronico»).
Analogamente l’avverbio αΙωνίως v arrà «eternam ente» in cam po filosofico ( P r o c l . Inst.
172; Simpl. in Epict. p. 77D.), m entre fuori d i tale cam po h a un valore generico «sem­
pre» che equivale ad un «per tu tta la vita» (Schol. Eur. Ale. 338: αίωνίως μισεΐν). Della
Μ$η αίώνιος di Resp. 363d si tra tte rà in seguito; su αίώνιος = saecularis, cf. L a c k e it, Aioa,
35ss. e spec. S t a d t m ü l l e r , Saeculum I I , 152ss. P er quanto riguarda άίδιος (da άεί col
suffisso — ίδιος: C h a n t r a i n e , Formation, 39), che dopo Platone è sempre usato in rife­
rimento all’eterno, il F e s t u g i è r e te n ta d i m ettere in luce — nel suo sviluppo semantico
preplatonico — un progressivo «enrichem ent», onde l’aggettivo, d a u n valore originai-
PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

τινα μακραίωνα βίον (E p iti . 892a), «una vita dalla lunga durata»
(150).
* * *

Il valore assunto da αιών in Platone sem brerebbe, a tu tta prim a, una


autentica innovazione nell’evoluzione sem antica del term ine; e Platone
è, se non colui che ha «creato» il concetto filosofico della parola (151),
certo colui che l’ha codificata in u n a precisa accezione filosofica. M a è
naturale, dato che il significato di un term ine non può nascere all’improv­
viso, che Platone avesse avanti a sè degli addentellati. I l Lackeit — con­
vinto che il valore da αιών assunto nel T im e o fosse il risultato di u n pro­
gressivo «allargam ento» semantico — pensava che tali addentellati do­
vessero senz’altro trovarsi nei filosofi del quinto secolo, dai quali αίών do­
veva essere stato abitualm ente im piegato nel senso di «grande porzione
di tempo». E siccome il T im eo è u n dialogo pitagorizzante, egli indicava
senz’altro nei Pitagorici coloro che avrebbero elaborato «ein an dem
Ewigkeitsbegriff grenzender αίών» (152). A p arte il fatto che tutto ciò non

mente relativo, passerebbe al significato di «eterno» (PP X I, 183). In realtà l’aggettivo


assume tale valore quando viene riferito ad una realtà necessariamente senza principio
e fine, come l’aria di D iogene (B7), l’essere di P armenide (A34), il Vivente platonico o
gli dèi «che sempre sono» (Ttm. 37d: άιδίων θεών; cf. H esych. άιδίων αιωνίων); fuori
del campo filosofico e religioso, il valore sarà naturalmente «relativo»: H es. Se. 310
(άίδιον... πόνον), T hvc. VII 21, 3 (έμπειρίαν... άίδιον), E mped . B115, 2 (ψήφισμα παλαιόν,
άίδιον), ecc. Nel Timeo άίδιος è perfettamente equivalente ad αιώνιος come in genere an­
che dopo (cf. Corfi. Herrn. V i l i , 2) ; non mancarono peraltro anche delle sottili distin­
zioni fra l’imo e l’altro termine: cf. P lot . I li, 7, 3, lss. e specialmente O lympiodor., in
Ar. Metaph. 146.16 (O wen , o.c., 390).
(150) Quando αίών si sarà ormai generalizzato nel senso di «eternità», allora
μακραίων — dice il L ackeit (Aion, 34s.) — passa dal significato «langlebend» a quello
«ewiglebend»; ma in realtà questa differenza è tutt’altro che apprezzabile. Non c’è nes­
suna differenza sostanziale tra il μακραίων che C ornuto riferisce agli astri eterni (JVflf.
deor. 17) e quello da Sofocle riferito alle Moire (Ant. 987) o alle divinità in generale
(Oed. R. 1099), che sono dotate di un αίών άπαυστος. Gli dèi rimangono μακραίωνες
nell’ellenismo come prima.
(151) «Platon ist... als der Schöpfer des philosophischen αίών-Begriffes anzusehen»
( o.c., 59, cf. W einreich , o.c., 176).
(152) 0.c., 55s. Egli penserebbe di appoggiare tale affermazione col ff. 68C7 di
Ipparco, di cui peraltro riconosce la dossograficità (S tob . IV 44, 81): 'Ιππάρχου Πυ­
θαγορείου έκ τοΰ περί εύθυμίας. 'Ως πρός τόν ξύμπαντα αιώνα έξετάζοντι βραχύτατου Ιχοντες
οί άνθρωποι τόν τδς ζωδς χρόνον, κάλλιστον έν τώ βίω οίονεί τινα παρεπιδαμίαν ποιησοϋνται
έπ ευθυμία καταβιώσαντες (P W . II, 228, 21). Il D iels, Vors6. II, 184, 4A, spiega d
passo come una imitazione di D emocrito (cf. L angerbeek , N eue Phil. Unters. X , 57ss·)-
CAP. VII PLATONE E ARISTOTELE
93
* minimamente documentabile, è chiaro che un «allargamento» di questo
genere - anche se si foste verificato - avrebbe potuto portare, L S
ρ,ϋ, ad un «ίων - fampoc χρίνο? ma non certo al valore piatom i,. Sem
pre per remare di rintracciare gh addentellati a cui Platone ή sarebbe
„fatto, van ahn studiosi - come vedremo - pensarono invece ah“ !
fismo; alto ancora postularono addirittura degli influssi iranici nell,
«Zeitlehre» platonica. Al di fuori da queste affermazioni, che - come si
l ì ~ ? T nere uhe Ìp°tetiche' noi Ubiamo rintracciato
1 esistenza di tab addentellati nella stessa tradizione poetica del termine.
Per completare I indagine, resta ora da esaminare a parte l’altra tra-
dizione, quella propriamente religiosa: nei limiti ben ristretti in cui per
la disperante mancanza di testi, un tale esame può essere condotto’
P arte T erza

ΑΙΩΝ NELLA RELIG IO N E


Cap. VII

L’ORFISM O

Nell’epoca ellenistica il dio Aion, «in ein mystisches Halbdunkel ge­


hüllt, unseren Blicken nur in schwachen Konturen erkennbar», come
scriveva lo Zepf (D e r G ott A ion, 225), ebbe una notevole importanza nel
culto e nella speculazione religiosa: e su questa ambigua divinità s’è negli
ultimi tempi formata un’abbondante bibliografia (153). Si tratta di un
argomento tuttora oscuro e complesso che l’indagine filologica non è
ancora riuscita a mettere definitivamente in luce nei suoi precisi tratti
fondamentali: ma comunque, nonostante le varie divergenze di opinione,
è chiaro che in quest’epoca si va diffondendo un culto di Aion e che anche
il termine è quasi costantemente caricato di valori magici e religiosi.
Si può dire altrettanto per l’epoca precedente ed arcaica? Sono stati
in molti ad affermarlo, e taluni lo credono ancora: ma la scarsissima do­
cumentazione, la pressoché assoluta mancanza di testimonianze dirette
per l’orfìsmo ed il pitagorismo primitivi, non permettono tuttavia delle
deduzioni sicure. È d’altro canto illusorio pretendere di seguire e spiegare
sulla base esclusiva di considerazioni linguistico-fìlologiche un’evoluzione
semantica quale è quella di αιών: poiché un’analisi puramente letteraria
e filologica non può in ogni caso dare esaurientemente ragione dei valori
via via assunti da una di quelle parole «dai molti significati» che hanno
attinenza col «sacro» e col «destino» dell’uomo. Il che è stato di recente
messo in luce ad esempio per μοίρα, altro termine sempre aperto a sfu­
mature epifaniche ed escatologiche nel corso di tutta la letteratura greca
(cf. Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 31ss, 200ss.). «Un’esperienza umana così
essenziale come quella della sorte — spiega il Bianchi — in cui l’uomo

(153) Cf. Bibliografia. Per altre indicazioni, cf. A.B. C o o k , Zeus< Cambridge 1940,
ΙΠ , 913ss. e 1203; S asse , Reallex., I, 204; H a r t k e , JuF, 32; S t a d t m ü l l e r , Saeculum
II, 320.7

7 - E. DEGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,


98 PARTE III: Α ΙΩ Ν NELLA RELIGIONE

percepisce con tanta immediatezza i limiti e la fondamentale povertà del


suo esistere, chiuso fra barriere molteplici indipendenti dalla sua volontà
e dalle sue possibilità delle quali la morte è solo la più evidente... è certo
feconda dal punto di vista religioso» (p. 32) : il che, m u ta tis m utandis, si
potrebbe applicare anche ad αιών, altrettanto suscettibile a caricarsi di
tinte eventiche ed escatologiche, specie quando venga vissuto nell’imme-
diatezza di un evento che incide sulla vita um ana e fa presente all’uomo,
in uno con i limiti invalicabili del suo hic et nunc, anche l ’A ltro che lo
trascende, ovvero la periferia del Periechon, Γ estità dell’ U bique et sem­
p e r (154). Abbiamo del resto osservato come già in epoca preomerica
esso designasse delle nozioni indubbiam ente sacrali (155) e come ancora
in Omero esso riveli un carattere schiettamente epifanico; e s’è poi visto
come una spiccata tinta religiosa esso possa assumere in Pindaro ed in
Eschilo, non più come «forza vitale» ma come μόρσιμος αιών: tanto che
esso, al pari di χρόνος, può esprimere il tempo periechon. Quando poi
questa nozione di un tempo periferico e divino si tradurrà con Platone
in un preciso concetto filosofico, il nome che le competerà sarà appunto
quello di αιών: il quale, d’ora in poi, sarà sempre generalmente inteso
come il tempo divino, contrapposto a χρόνος, il tempo profano. Questo è
quanto si è potuto finora osservare circa i valori religiosi che αιών potè
assumere in epoca arcaica e classica; vediamo ora quali dati potrà fornire
il diretto esame delle testimonianze della religione stessa. Ed anticipiamo
che le nostre conclusioni circa una ipotetica «mystische Anwendung» di
αιών non potranno essere che di prudente riserbo: poiché, se è vero che
essa non può essere incontestabilmente provata, non si può certo soste­
nere che essa fosse impossibile. Comunque, lontani dalle posizioni estre­
miste dell’Eisler e del Lackeit — una accettazione incondizionata ed un
aprioristico rifiuto dell’orficità del termine — ci proponiamo di mettere
in luce sulla base dei testi quanto si può in realtà dire sull’argomento.

(154) Cf. D i a n o , Il concetto, 307ss. ; Fertom., 2sst


(155) La nozione di «forza vitale», «deren Schwinden den toten Menschen von
dem lebendigem unterscheidet» ( N il s s o n , Griech. Rei. I, 178) era appunto una nozione
sacra per la mentalità primitiva. Anche in altre lingue si trovano voci significanti «forza»
che si caricano di valori sacrali : così il rigvediano isirà (gr. Ιερός) : cf. D u c h e s n e - G u i l l e -
m in , Mélanges Boisaq, I, 1937, 333ss. La virtù soprannaturale, spiega il P a g l i a r o J ( & j£ 5 Ì

di critica semantica, Messina-Firenze 1953, 107) si manifesta in «questa vitalità, che per
la mentalità arcaica ha un fondamento magico e, in senso largo, religioso»; nel che,
continua il Pagliaro, non si verifica altro che un aspetto del mana, la forza magica che
ha tanta parte nelle credenze dei primitivi. Cf. anche K o h l b r u g g e , Mnemosyne X, 54ss.
Sulle «forze» in O m e r o e sul loro valore magico e «concreto», cf. S n e l l , Cultura greca, 46s
c a p . v i i : l ’o rfism o
99

Molti hanno dato spesso per scontato che αιών abbia avuto sicura­
mente una parte notevole nella speculazione mistica del sesto secolo, ed
in particolare nell orfismo. In realta si è sempre trattato di supposizioni
non sufficientemente fondate, nate in base ad un ragionamento che ad
altri è spesso sembrato discutibile : siccome nella cosmogonia orfica ar­
caica risulta avesse una notevole importanza la dottrina di Chronos come
sommo principio cosmico e sostanza creatrice, cosi si è pensato che anche
Aion dovesse aver avuto una parte di prim’ ordine in ambito orfico. È
stato però osservato che nell’orfismo Aion compare solo in imo di quei
tardi inni (I, 28: Αίώνος μέγ’ ύπείροχον ίσχύν | καί Χρόνον άέναον), i
quali, come oggi si tende generalmente a riconoscere, esprimevano
credenze molto lontane dall’antica dottrina (156). Difatti, se tale presunta
orficità di αιών non può trovare riscontro che in passi di poeti e filosofi,
dei quali si sa che solo conobbero l’orfismo e ne rimasero suggestionati,
essa può sembrare piuttosto equivoca ed evanescente e rischia di risol­
versi in un mito. Si pensa normalmente, ad ogni modo, che influssi
orfico-pitagorci siano da ravvisare ηεΙΓαίών pindarico (Schmid-Stählin, I,
1, 582) e così pure nella genealogia euripidea degli E ra e lid i (157). Che
in Αιών Χρόνου παΐς Euripide ripetesse una tradizionale formula orfica
può anche darsi, ma non c’è assolutamente nulla che lo possa provare;
come pure non si può affatto provare che Eraclito, parlando dell’ αιών
παΐς πεσσεύων, stesse esponendo il mito orfico di Zagreus, malgrado le
sottili argomentazioni del Macchioro (158).

(156) B i d e z - C u m o n t , M.H., 96ss. ; cf. anche J. K r o l l , Die Lehre des H. Trisme-


gistos, 68.
(157) Cf. R o s c h e r , Myth. I, 899; W e r n i k e , RE, I, 1042ss.; P r e l l e r - R o b e r t ,
Griech. Myth. I, 41; W a s e r , RE, III, 2481ss.; M a c c h i o r o , Zagreus, 394; S t a d t m ü l l e r
o.c., 315. Costoro preferiscono leggere Κρόνου anziché Χρόνου (mss.), ritenendo che la
primitiva divinità orfica fosse Κρόνος, più tardi identificato con Χρόνος (cf. R o s c h e r , II,
1465 e 1546).
(158) Se Ippolito — osserva il M a c c h i o r o , la cui indagine è certo molto ingegnosa
e suggestiva — trovava in E r a c l i t o le fonti dell’eresia noetiana, è evidente che nell’o­
pera dell’Efesio doveva ricorrere il mito di Zagreus, poiché questo è Punico mito greco
nel quale padre e figlio sono identici e distinti ed il figlio muore e rinasce per merito
del padre. E come nel fr. 53 sotto il nome di πόλεμος si deve riconoscere Zeus, cioè il
padre, cosi nel fr. 52 si parla del figlio, chiamandolo αιών. Quando infatti Dioniso fu
ucciso stava giocando a dadi; e l’astragalo, simbolo della passione del dio, era appunto
mostrato ai neofiti nelle cerimonie orfiche (per l’astragalo, cf. anche la figura del Καιρός
ellenistico: P lin. Nat. H. 34, 55). Inoltre, Zagreus era detto παΐς per antonomasia (cf.
L o b e k , Aglaophamus, Regimontii 1829, 699ss.) : ed E r a c l i t o , nell’espome od interpretarne
il mito, si serve del nome αιών ( = evo), perché Eone, figlio di Crono (Κρόνου παΐς, Εν.
Heracl. 900), altri non era se non Protogono, nato appunto — secondo la teogonia di
JOO PARTE π ι: ΑΙΩΝ NELLA r e l ig io n e

L’orficità e pitagoricità di αιών fu ed è sostenuta soprattutto dalla


corrente orientalista, della quale diremo fra poco. Un lavoro ancora fon
damentale, che si occupo a fondo della «mystische Anwendung» di α’ώ j
facendone addirittura un punto chiave per una originale e fantasiosa in­
terpretazione del pensiero greco, è il W eltenm antel und. H im m elszelt di R
Eisler. Questa colossale opera rappresenta il frutto forse più cospicuo di
un orientalismo integrale ed e.tremista, del quale gli stessi orientalisti
hanno talora criticato gli eccessi e rifiutate in parte le conclusioni; ma
è pur vero che essa ha sempre esercitato su di essi un influsso particolare
e costituisce un punto quasi obbligato di riferimento per coloro che sono
propensi a vedere influssi orfico-pitagorici in qualsiasi parola greca che
si riferisca al tempo. Questo era infatti uno dei fondamentali presupposti
su cui si imperniava l’opera delPEisler, la quale, pur essendo tuttora ricca
di suggestive e pregevoli intuizioni, è certo inficiata da gravi difetti me­
todici. Ritengo oppotuno soffermarmici, poiché invero l’Eisler dedicò ad
αιών non poche delle moltissime pagine del suo volume e soprattutto per­
ché, relativamente al problema dell’orfìcità di αιών, quest’opera è tuttora
fondamentale e non ci si può occupare di tale problema senza richiamarsi
ad essa, sia pur per rifiutarne le conclusioni. Gli stessi postulati su cui
essa si imperniava sembrano del resto piuttosto semplicistici e discutibili:

Ellanico — dall’uovo di Crono. Protogono si identificava poi con Dioniso e Fanete, e


quest’ultimo con Αιών (cf. i^agreus, 390ss., 394ss.). Giustamente obbietta al M a c c h i o r o
il G u t h r i e ( O rpheus a n d greek religion, 228) : «the identification o f Dionysos with Aion
is not only unattested before the Christian era but savours strongly of the peculiar alle­
gorical syncretism o f that age». L’alcov del fr. 52 fu spesso collegato con l’orfismo, già
a cominciare dal L a s s a l l e , D ie P hilosophie H e ra k leito s des D u n k e ln v. E phesos, I, 1858, 243s.,
263s. Singolare l’interpretazione del N e s t l e , G riech. S tu d ie n , 139ss. (cf. ora anche in Z e l l e r -
N e s t l e , I®, 808). Premesso che qui αιών vale «Zeit» e che χρόνος era per i pitagorici la
σφαΐσα del cielo e per gli orfici 1’άρχή πάντων (pp. 140s.), egli osserva che l’orfico E r a c l i t o
(sull’orfismo di E r a c l i t o , cf. pp. 113ss.) stranamente preferì il termine αιών a χρονος (che
invece compare nel suo imitatore S c h i t i n o d i T e o ) . La spiegazione sarebbe semplice.
«Auch Aion ist ja nur ein anderer N am e für das Feuer. Dessen Haupteigenschaft ist
aber Leben»; e qui il N e s t l e cita il fr. 30, nel quale si dice che il mondo non è stato fatto
ma ήν άεΐ καί &mv καί ϊσται πΰρ άειζώον, per poi concludere: «diese Eigenschaft des Lebens
aber drückte αιών viel deutlicher aus als χρόνος, schliesst es doch im homerischen Sprach
gebrauch... die beiden Begriffe Leben und Zeit in sich»; quindi E r a c l i t o , nella sua trat
tazione sul tempo, ha seguito gli orfici, «die Bezeichnung dafür aber im Anschluss an
Homer selbst geprägt hat». A parte il fatto che tutto ciò non rispecchia il reale an a^
mento semantico di αιών, neppure il fr. 30 può m inim am ente legittimare le affermazion
del Nestle. Fuori strada era certo anche il B e r n a y s , R hW V II, llOss., che collegava
con O360ss. Viceversa il D i e l s , H e r a k litu s von E phesos, Berlin 1901, 13, negava recisamen
che in αιών ci potesse essere qualcosa di orfico.
CAP. V ii: l ’ o r f is m o
ΙΟΙ

tutte le figurazioni del tem po, che i poeti greci hanno fatto, presuppor­
rebbero necessariam ente delle intuizioni orfiche (159), e queste a loro
volta, dipenderebbero in ogni caso d a llO rie n te (pp. 392ss.). L ’Eisler fa­
ceva poi continuo ricorso alla complessa ed oscura teoria dello isopsefismo
teoria che egli derivava dalle recenti scoperte del suo amico W. Schulz.
I l quale, nella sua Altionische Mystik — altra opera che risente in pieno
di quella m ania orientalista che costituì il vezzo ed il vizio della filologia
di quel tem po: ovvero d i quella tendenza a cercare a tutti i costi le sor­
genti del pensiero greco nell O riente, basandosi spesso su collegamenti
ed addentellati evanescenti (160) — aveva tentato il collegamento fra
le dottrine degli Ionici con la mistica greca (che secondo lui andava ri­
condotta a fonti orientali e specialm ente babilonesi), mediante un’inter­
pretazione nuova dei fram m enti e delle testimonianze dei presocratici,
ottenuta grazie alla «Zahlensymbolische Onomatomantik». Tale teoria
presupponeva come certa l’esistenza, già all’epoca dei primi pitagorici, di
una complicata simbologia di num eri e di sillabe, onde le lettere e le sil­
labe di certe parole rappresentavano un determinato numero magico:
le lettere dell’alfabeto, secondo lo Schulz, avevano ciascuna un preciso
valore numerico ( A = l , B = 2 , Ω = 2 4 ), mentre le sillabe esprimevano i
numeri (A A = 25, A B = 2 6 , ecc.). Che tale forma di scrittura fosse anti­
chissima (sarebbe derivata dall’Oriente, ché faceva parte dell’astronomia
ed astrologia babilonese), sarebbe comprovato anche dalla numerazione
dei canti dei poemi omerici, che invece gli altri studiosi — giustamente
— attribuivano ed attribuiscono ai grammatici alessandrini (161). L’Eisler
avvertì questa difficoltà e cercò di apportare nuovi elementi per dimo­
strare l’antichità di tale sistema di scrittura; ma, in realtà, la mistica dei

(159) O .C ., 386. Il L e v i, RFN X I, 48ss., sostiene invece che tali figurazioni pote­
vano anche presentarsi spontaneamente alla fantasia di un poeta che riflettesse all azione
del tempo: e credo anch’io che il simonideo χρόνος όξύς όδόντας (fr. 75) non richiami
affatto necessariamente la raffigurazione mitraica del drago leontocefalo (E isler , 387) ;
e tanto meno la richiama il simonideo-bacchilideo πανδαμάτωρ χρόνος (Sim. 5, 5; Bacch.
XIII, 206: cf. E is le r , l.c.). Mi sembra peraltro sia difficile negare che la frequente
rappresentazione pindarica del tempo come περιέχον non sia da collegare con 1 orfismo,
che ne era il divulgatore: ed anche il L e v i ammette che si possa fare un’accezione per
il pindarico χρόνος πάντων πατήρ (p. 49, 1). . .
(160) Tendenza romantica, che sorse già in Grecia nel periodo ellenistico (c . e
stu g ière , La révélation d ’Hermes Trismégiste», 6ss.; 14ss.). L’opera di W. S c h u lz b: Al­
tionische Mystik, Leipzig-Wien 1905-1907, i cui principi egli ribadì qualche anno dopo
in Die pytagor. Symbole in Rätsel aus dem hell. Kulturkreise, Leipzig 1909.
(161) Essa risale, in ogni caso, a non prima del terzo secolo a.C. (c . r z u llo ,
R problema omerico, Firenze 1952, ls.).
102 PARTE IU I ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

numeri è piuttosto tarda e — secondo le ipotesi più attendibili —


può risalire, al più, oltre il III secolo a.Cr. (162). Comunque l’E n °n
applicando con estremo rigore le leggi dello Schulz, stabilisce una * ^
di parole mistiche e di numeri magici ad esse corrispondenti (mvst^h
Psephoi von W orten), i cui rapporti sarebbero regolati dalla legge dell’ «iso^
psefismo»; una legge in base alla quale due parole sono isopsefiche e quindi
«misticamente equivalenti» quando corrispondono ad uno stesso numero
(pp. 334ss., 648ss.). Tale norma guida l’Eisler disinvoltamente attraverso
il complicato labirinto delle testimonianze sui presocratici e gli permette
a volte, di fare addirittura delle congetture: come quando afferma che
αιών, anche se non mai attestato, doveva certo avere una parte di primo
piano nella cosmologia di Ferecide, dato che αιών άπειρος è isopsefico col
ferecideo Έπτάμυχος (p. 650, 3): oppure quando sostiene — sempre sul­
l’unica base del suo sistema di rispondenze isopsefiche, nel quale αιών
vale 47, χρόνος 100 e via dicendo (p. 506; 665ss.; 334ss.) — che Anassi­
mandro non parlò mai di un άπειρον di genere neutro bensì di αιών άπειρος,
e di χρόνος άγήρατος (p. 506, 2) ! Aion, secondo l’Eisler, fu sinonimo di
Chronos e contrassegnava appunto la divinità del tempo, l’«Urgott» e
l’«Allgott» di tutta la speculazione religiosa del sesto secolo: e lo dimo­
strerebbe anche, se non altro, la sua isopsefia con Νύξ, che, secondo la
testimonianza di Aristofane (A v. 693ss.), apparteneva con Etere e Caos
alla speculazione orfica (163). L’Eisler vede quindi traccie di orfismo e

(162) P. T a n n e r y , Orphika, MSc IX , 245. L ’E i s l e r accoglie in pieno le teorie del


suo amico (p. X III) e ne illustra con grafici complicati i vari aspetti e le varie appli­
cazioni (pp. 337ss. ; cf. pp. 339ss., ove egli illustra la Ήλιου 'Επτάκις di P o r f i r i o ) , ma ne
avverte la difficoltà cronologica (p. 707). Egli aggiunge che pietre terminali, offerte e
tavolette votive erano spesso contrassegnate, negli inventari dei templi, con lettere alfa­
betiche e rimanda al L a r f e l d , Handbuch der griech. Epigraphik , I, 424; II, 546 e 547 e
specialmente a C. R o b e r t , Hermes X V III, 466ss., il quale, dall’esame delle tavolette
votive del tempio di Dodona e con una serie di argomentazioni aveva sostenuto che tale
«Zahlenschreibweise» era già normale nel V secolo ad Atene e supposto che essa do­
veva appartenere agli antichi mistici. In realtà quel simbolismo numerico fu un aspetto
del neopitagorismo ( N i l s s o n , Griech. Rei., II, 398), come pure esclusivamente neopita­
gorica fu la cosidetta Tetractys, l’Armonia fonte e radice della natura, la cui sola parola
conteneva, nella sua magicità, la spiegazione di tutto l’Universo, «la clé de tous les mi-
stères» ( F e s t u g i è r e , o.c., I, 16), sulla quale I ’E i s l e r fa tanto affidamento (pp. 334ss. ;
423, 696ss.).
(163) «Orpheus verwendet synonym mit Chronos auch den sonst zuerst bei Hera-
klit überlieferten, aber schon bei Anaximander sicher vorauszusetzenden Gottesnamen
Aion» (p. 650). Un esempio della mistica corrispondenza fra Aion e Nyx si troverebbe
chiaramente attestato anche nel fatto che l’espressione Νύξ παίκτειρα dell’inno orfico a
Notte (III, 8) richiamerebbe da vicino 1’αΕών παΐς di Eraclito. A proposito di quest’ultimo,
c a p . v i i : l ’o r fism o 103

di «mystische Zahlenspekulation» dovunque si parli di αιών: così nel-


1’άσπετος αιών di Empedocle (p. 960) e nell’ αιών παϊς di Eraclito, che egli
fa oggetto di un lungo e fantasioso esame (pp. 507ss., 693ss., 700ss.) ; senza
dire che spesso egli pretende, con tale metodo, di risalire all’autentico
«Urtext» di un autore, per il quale possediamo invece solo delle tarde e
vaghe testimonianze: il che gli permette di ravvisare dei valori mistici
di αιών in Anassimene, Anassimandro ed altri (164), mentre 1’είλισσόμενός
τις αιών di Eu. H e r. f . 671 gli fa pensare nientemeno che alle rappresenta­
zioni dell’«Ewigkeitsdämon» dei misteri di epoca tardocristiana (165).
È facile vedere come quasi tutte queste affermazioni dipendano da
postulati gratuiti e non certo da elementi sicuri e concreti, tratti da un
esame obbiettivo dei pochi dati che possono venir forniti dalla mutila
tradizione: ché, anzi, tali dati sono invece molto spesso interpretati in
modo del tutto arbitrario e da un ristretto angolo di visuale che sembra
ignorare affatto la storicità e confondere i frammenti con le testimonianze.
Di qui la labilità delle ipotesi dell’Eisler che furono talora respinte in
blocco da altri studiosi, secondo i quali αιών non fu, almeno nel sesto se­
colo, una parola orfica e non ebbe affatto delle accezioni mistiche
(166) : anche fra costoro si sono raggiunte delle posizioni estremiste,
che tendono ad escludere a priori anche la possibilità che il termine po­
tesse assumere valori religiosi. Si tratta peraltro anche qui di affermazioni
arbitrarie: se non altro perché la stessa scarsissima documentazione non
permette conclusioni sicure di nessun genere. E dire che ad un’impiego
mistico-sacrale di αιών «wiederspricht vor Allem die einfache Grund­
bedeutung unseres Wortes, welcher jede mystische Anwendung fern liegen
musste» (167), significa parlare a vuoto come l’Eisler, sia pure in senso
opposto. Che essa fosse impossibile non è vero: fu anzi probabile. Si può

I’Eìsler osserva che lo stretto legame che c’è fra αιών e λόγος, è provato dal fatto che la
somma dei due numeri corrispondenti ai due termini è 109, numero corrispondente ad
άπτόμενον (pp. 699, 7) !
(164) Pp. 423ss.; 650ss., 675ss., 714ss. «Gewiss kein doxographischer Zusatz!»
sembra il suo motto (p. 699, 7). Questo difetto fu spesso imputato all’EisLER anche dal
Lackeit, 5 5 s ., 1.
P. 4 0 8 , 2 . Su questa espressione I ’E i s l e r ritorna anche in altre occasioni e
(1 6 5 )
talora la pareggia allo πνεϋμα δρακοντοειδής della cosmologia epicurea (p. 676, 1).
(166) Cf. K e r n , Orpheus, Berlin 1920, 56; L a c k e i t , Aion, 54 e RE Suppi. I li , 64ss.
Cf. anche la nota 158. Sui rapporti fra αΙών e l’orfismo, cf. pure G ruppe , Griech. Myth.
Π> 1064, 1; 1480, 2.
(167) L a c k e i t , Aion, 83 e 54; cf. pure N il s s o n , Griech. Rei., II, 478. Questa presunta
«Einfachheit» di αΙών è l’idea fissa del L a c k e it : in realtà, ben poche parole possono
«sere meno «semplici» di αιών.
104 PARTE in : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

dire senz’altro che una parola come αιών — quale l’abbiamo delineata
attraverso l’esame dei testi — si prestava benissimo ad entrare a far parte
del linguaggio di una corrente religiosa; e nulla vieta di pensare che essa
abbia potuto appartenere al gergo mistico del sesto secolo. D’altra parte,
se la cosmologia orfica faceva di Chronos il sommo principio e se questo
senso del tempo come Periechon poteva essere espresso in Pindaro da αιών,
oltre che da χρόνος, non pare si possa escludere a priori la possibilità che
anche il μόρσιμος αιών sia da collegare con l’orfismo.

***

Nella raccolta di frammenti orfici fatta da Kern, αιών si incontra in


quattro frammenti attribuiti ad Orfeo: si tratta di alcuni esametri scritti
nel solenne ed arcaico linguaggio dell’epos omerico ed in essi αιών ha il
valore «vita» e talora quello omerico di «forza vitale». Poco istruttivi sono
dunque questi frammenti, che fra l’altro non si sa a che epoca appar­
tengano (168): è invece per altra via che si può fare qualche osserva­
zione degna di nota.
In una iscrizione orfica, che è di recente venuta in luce ad Ostia e
che sembra composta di versi pindarici (cf. P. Frassinetti, GIF IV, lss.),
si incontra un inizio di questo genere: βραχύς ó βίος, μακρον δέ τον κατά
γας αιώνα τελετώμεν, ovvero: “breve è la vita; ma la lunga esistenza di
sotterra noi celebriamo in festa” (Frassinetti). Qui si fa una chiara distin­
zione fra βίος ed αιών : un termine indica la vita terrena e mortale, l’altro
quella beata ed immortale che si vive nell’aldilà. Orbene: questa distin­
zione semantica è puramente occasionale e dovuta ad esigenze espressive
e stilistiche, oppure αιών (ο μακρύς αιών) era in ambito orfico il termine
specifico che indicava la vita dell’aldilà? (169). Che αιών si sia ad un certo
momento specializzato in questo significato ce lo conferma Olimpiodoro
(In A r. M eteor, p. 146, 16) il quale, parlando delle pene che l’anima deve
scontare nel Tartaro, precisa: ούκ άιδίως, άλλ’ αιωνίως, αιώνα καλοΰντες τύν

(168) Fr. 247, 4 ( = 245, 5): φίλης αίώνος άμέρση; fr. 142, 2: άθάνατον αιώνα λαχεΐν;
fr. 223, 2 ( = P r o c i ,, in Plat. Retnp. 339, 1 7 Kroll): λίπη δέ μιν Ιερός αιών. Qui αίων è
la «forza vitale» che abbandona l’uomo — l’altra reminiscenza omerica — ed è carat­
terizzato dalla sua natura epifanica da Ιερός. Del fr. 95 ( P r o c l . in Plat. Tim. 21d) : καί
φύσεως κλυτά έργα μένει καί άπείριτος αιών, s’è già detto.
(169) Pare che ad una tale ipotesi pensino sia il F r a s s i n e t t i , o.c., 2, che il M a r ­
m o r a l e , L’ultimo Catullo, 182s., 1. Sull’iscrizione ostiense, cf. anche B e c a t t i , RPAA
X X I, 123ss.; G u a r d u c c i , ibid., 143ss.
c a p . v i i : l ’o r f is m o
105

αύτης βίον καί τήν μερικήν περίοδον. Pare del resto probabile che αιών po­
tesse e dovesse venire preferito a βίος — parola troppo comune e pro­
sastica per indicare la beata vita sotterranea che anche agli iniziati
delTorfismo era riservata dopo la morte (170). E Pindaro, proprio nel-
l’orficissima seconda Olimpica — nella quale, si noti, si parla anche di
μορσιμος αιών (v. 1 1 ) dice che nel mondo dell’aldilà si trascorre un
άδακρυν αιώνα; mentre ad Ippolito, iniziato ai misteri orfici (Eu. H ip p .
952ss.), Artemide predice che potrà cogliere Si’ αίώνος μακροϋ, cioè durante
la sua nuova lunga vita, un tributo di lacrime da parte di giovani ver­
gini; e aggiunge: αει δε μουσοποιός ές σε παρθένων | εσται μέριμνα (νν.
1426ss.). È vero che passi di questo genere — dove, come si è già osser­
vato, dal punto di vista strettamente semantico αιών equivale a βίος —
non autorizzano a supporre che il termine si fosse già specializzato nel
detto valore escatologico; ma c’è un luogo di Platone che può, a mio avviso,
confermare tale ipotesi. Si legge nel secondo libro della Repubblica (363c-d) :
Μουσαίος δέ τούτων νεανικώτερα τάγαθά καί ό ύός αύτοϋ παρά θεών
διδόασιν τοΐς δικαίοις· εις "Αιδου γάρ άγαγόντες τώ λόγω καί κατακλίναντες
καί συμπόσιον των οσίων κατασκευάσαντες έστεφανωμένους ποιοϋσιν τον
άπαντα χρόνον ήδη διάγειν μεθύοντας, ήγησάμενοι κάλλιστον άρετης μισθόν
μέθην αιώνιον.
Il passo, di contenuto schiettamente orfico ( = fr. 4 Kem), presenta
la singolare espressione μέθην αιώνιον, che indica appunto 1’«eterna eb­
brezza», dagli orfici ritenuta la migliore ricompensa per la virtù. Qui
forse compare per la prima volta l’aggettivo αιώνιος (171) che, come s’è
visto, doveva originalmente significare «che dura tutta la vita», secondo
il senso fondamentale di αιών: ma qui si tratta evidentemente di un αιών
che dura τόν άπαντα χρόνον e, quindi, di una «vita eterna». Se quindi, come
pare probabile, μέθη αιώνιος è un’espressione orfica (tale la ritiene anche
il Kem), avremmo qui la conferma che αιών si era presso gli orfici tecni­
cizzato per indicare la vita dell’aldilà: si era caricato di tinte mistico-
escatologiche, assumendo il senso di una vita senza fine.
Questo è quanto mi pare si possa dire circa i rapporti di αιών col
misticismo del sesto e del quinto secolo: ed è in verità piuttosto poco. Ma

(170) Si può anche osservare che αιών poteva venire usato in riferimento alla vita
divina, che era naturalmente άσπετος ed άπαυστος, più facilmente di βίος: lo potrebbe
confermare anche il fatto che gli dei sono detti μακραίωνες ο δολιχαίωνες (Soph. Ant.
987, Oed. T. 1098, Ap. Rhod. II, 509, ecc.; Emped. B21, 12; B23, 12) e non μακρόβιοι.
(171) Sulla peraltro non sicura cronologia dei vari libri della Repubblica, cf. R E
XX, 2, 2450s., 2506ss.
ιο6 PARTE Πΐ: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

può costituire una conferma della facile tendenza del vocabolo a mettersi
in rapporto con la sfera sacrale anche qualora esso non venga inteso come
Perìechon. Che poi il μόρσιμος αιών che έπ’ άνδράσι κρέμαται fosse tipico
delPorfismo, non è affatto da escludere, ma non è sicuro.
Ca p . V i l i

LORIENTE

Le fonti delle varie rappresentazioni ellenistiche di Aion sono state


ripetutam ente cercate e rintracciate nelPOriente. Si tra tta di una que­
stione estremamente complessa dove le opinioni sono quanto mai discordi:
ma dopo i numerosi studi fa tti in questi ultim i tem pi dagli iranisti, quando
si parla di Aion si pensa im m ediatam ente all’Iran ed allo Zervanismo (172).
E nonostante il problem a dei rapporti Zervan-Aion sia tuttora piuttosto
oscuro (Bidez-Cumont, Μ Η , I , 64), pare orm ai si possa ritenere che detti
rapporti sicuram ente ci furono e che dietro il nome e la figura del sommo
dio dell’eternità si celasse quasi sempre la divinità iranica (173).
Tutto ciò esula dal campo della nostra indagine. Ma alcuni hanno

(172) «Die Wurzeln der hellenistischen Aion-Theologie liegen in Parsismus» (Sasse


Reallex. I, 193): e questa è certo l’opinione più diffusa. Alcuni cercarono invece le fonti
di Aion nell’India: fu appunto il W e in r e ic h , AfRw X IX , 180ss., che indicò per primo
delle relazioni — per altro malsicure ed isolate — con qualche passo della letteratura in­
diana (Bhagavadgita Veda, Upanisad) ; la questione fu ripresa poi anche dal T r o je , AfRw
XX II, 113ss., che mise in rilievo soprattutto l ’analogia fra la nascita di Agni e quella
di Aion. Altri supposero che dietro 1’αίών eracliteo si celassero dei motivi egizi: così il
T a n n e ry , Pour Vhistoire de la science hellène de Talìs a Empedocle, Paris 1887, 179, il quale,
accostando il frammento a B6, pensava ad una reminiscenza dell inno egizio al dio Rà :
«fanciullo che nasci ogni giorno, vecchio che percorri l’eternità»: contro tale poco pro­
babile interpretazione, cf. B o d r e r o , Eraclito, Torino 1910, 31s. Anche il T e ic h m ü lle r ,
Mue Studien zur Geschichte der Begriffe, II, Gotha 1878, 188ss. aveva supposto un influsso
egizio e pensava al dio Harpocrates. Non mancarono infine coloro che sostennero una
tesi del tutto «ellenista»: 1’ΑΙών ellenistico sarebbe tutto greco e deriverebbe dal Ti­
m o: cf. D u c h e sn e -G u ille m in , Numen, 1955, 193; N ilsso n , Griech. R ei, II, 478ss.
(173) S t a d t m ü lle r , Saeculum II, 316ss. C um ont, TM M M , I, 75ss., ecc. Il L a c k e it
Suppl. IH , 65, nota giustamente che 1’Αίών ellenistico è l’«Ewigkeitsdämon, der eben
seiner Vielheit wegen keine Gestalt endgültig eingeht» e sotto vi si cela Zervan; onde
non è da escludersi «dass wir in den altpersischen Zervanvorstellungen die gemeisame
bJrquelle für alle Aion-Gestalten vor uns haben».
ιο8 PARTE H i: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

più volte sospettato e talora sostenuto che il diffondersi dell’ideologia zer


vanista e del culto di Zerva akarana — il Tempo infinito, la πρώτη πάν­
των αιτία di quell’ideologia stessa — non esercitò il suo influsso solo sulle
speculazioni che in epoca ellenistica i Greci fecero su αίών, ma addirit­
tura anche sul misticismo del sesto secolo: secondo loro la corrispondenza
Aion-Zervan sarebbe cominciata assai presto, prima di Platone. Ed è ap­
punto per questo che riteniamo necessario occuparci un po’ anche dello
Zervanismo e dello spinoso e tormentato problema della presunta deriva­
zione orientale del concetto greco di «tempo infinito».
Precisiamo subito anche qui che noi non siamo né «ellenisti» né «ira­
nisti» e cercheremo di mantenerci indipendenti dall’una come dall’altra
delle due correnti, nelle quad normalmente si ripartiscono gli studiosi di
questi argomenti: gli uni sempre pronti a scorgere infiltrazioni e motivi
orientali anche dove certo non ci sono e gli altri a respingere sistematica-
mente gli apporti degli iranisti nel tentativo di salvare il cosidetto «mi­
racolo greco». È ad ogni modo sicuro che la critica orientalista, pur con
le sue frequenti esagerazioni, ha ormai definitivamente scalzato la tesi
tradizionale che sosteneva l’assoluta assenza di apporti orientali nella cri­
stallina compagine della civiltà greca (174) : ed oggi i più riconoscono
che una notevole serie di problemi, di intuizioni e di idee orientali fecondò
il nascente pensiero greco preparandolo ed avviandolo alla filosofia. Il
«miracolo» ci fu ugualmente e, in realtà, non c’è nulla che si debba «sal­
vare»: ma la originalità e la grandezza del pensiero greco vanno cercate
non in una sua presunta immunità da qualsiasi influenza esterna bensì
nel fatto che esso seppe depurare questo apporto orientale dal suo invo­
lucro mistico-religioso, dando ad intuizioni ancora vaghe e nettamente
mitiche il carattere rigoroso di concezioni razionali. Al che non arrivo
mai il pensiero orientale: perché solo i Greci, che sapevano vedere Γείδος,
furono in grado di porre le basi della scienza, svincolandosi dalle pastoie
del mito.
Fra queste intuizioni orientali che ben presto penetrarono in Grecia
dall’Oriente, ci fu, con molta probabilità, non tanto l’«idea ciclica», fiuan
to piuttosto quella del tempo infinito eletto a divinità suprema, che si w

(174) «Il y aura à dévouvrir, il y aura à discuter; mais l’‘hellenisme intransig ^


est une position intenable» (G ernet -Boulanger , Le girne grec, 147). Il autorev^
sostenitore della originalità della filosofia greca fu lo Z e l l e r , che stroncò facilmen ^
incerti e fantasiosi tentativi dei primi orientalisti G ladisch e R oth (cf. ^EELIÌ* lunga
dolfo La filosofia dei Greci, 35ss.). Ma in seguito si fece molta strada: si veda la
nota del Mondolfo sui rapporti Grecia-Oriente in Z eller -M ondolfo , 63ss.
CAP. vixi : l ’o r ie n t e
109

contra appunto nella speculazione orfico-ferecidea. Un’idea del genere,


di fare cioè del tempo un dio supremo, si pensa sia nata presso una co­
munità di astronomi e che sia con ogni probabilità originaria di Babi­
lonia (175) : e mediatrice, fra la Grecia e la Mesopotamia, si pensa sia
stata senz’altro la religione zervanista. Lo Zervanismo — secondo la tra­
dizionale e più diffusa interpretazione (176) — era infatti una setta ere­
tica dello Zoroastrismo, tendente a superare, nella concezione dell’unità
originaria del Tempo infinito (fe rv o ri akarana), il fondamentale dualismo
della religione mazdaica: e, come pensano i più (177), sembra si sia for­
mata per influsso caldeo, come confermerebbe anche il fatto che i testi
zervanistici portano tutti la nettissima impronta di un fatalismo astrolo-

(175) B i d e z - C u m o n t , I, 64s. ; C u m o n t , I, 19; cf. M o n d o l f o , L'infinito, 60. È ap­


punto il M o n d o l f o ( Z e l l e r - M o n d o l f o , 86) a parlare di «idea ciclica»: ma la cicli­
cità è nella stessa logica del sacro e non è né greca né indiana né caldea (M. E l i a d e ,
Images et Symboles, 92; cf. D i a n o , Approdo II, 13s.).
(176) Gli studi zervanistici non hanno ancora raggiunto una stabile ed univoca
sistemazione di vedute (per una bibliografia storica e ragionata di essi, cf. B i a n c h i , fija-
man i Ohrmazd, 14ss.; cf. pure Z a e h n e r , fifiirvan, 453ss.) e la c.d. «questione zervanista»
costituisce ancora «l’un des matières les plus controversées de Phiranisme» ( D u c h e s n e -
G u i l l e m i n , Zoroastre, 95). Si tratta di quella relativa all’interpretazione dei rapporti
fra Zervanismo e Mazdeismo: la tesi tradizionale è quella che vede in Zervan una di­
vinità antica dalla tradizione distinta da quella mazdaica (cf. N y b e r g , JA C C XIV ,
193ss. ; C C X IX Iss.) o comunque un predecessore di Ohrmazd (cf. W i d e n g r e n , Hoch-
gottglaube in alten Iran, Uppsala 1938, 141; Num en 1955, 47ss., 78ss. ; B e n v e n i s t e , The
Persian Religion according to the chief Greek Text, Paris 1939) : secondo questa corrente, lo Zer­
vanismo sarebbe una vera e propria religione e Zervan un Hochgott concorrente di
Ahoura M azda; e su questa scia si m uove anche il recente volume di Z a e h n e r , secondo
il quale esisteva in origine un sistema puro, affatto indipendente da Ohrmazd ed Ahri­
man (Zurvan, 56). Altri però dubitarono di tale interpretazione (cf. C r i s t e n s e n , M O
X X V , 29ss., ed altri citati dal B i a n c h i , £aman i Ohrmazd, 16); e su questa via è il recen­
tissimo volume di U . B i a n c h i , secondo il quale lo Zervanismo non era una religione
specifica con credenze ed istituzioni proprie, m a «una tendenza, nel senso del M az­
deismo tradizionale, fondata sopra uno sviluppo autonomo ed aberrante di elementi ideo­
logici propri, quali le nozioni di destino e di άρχή teogonica» (p. 19; cf. 106, 154 e spec.
98ss.; cf. pure ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 180ss.).
(177) C u m o n t , I, 8, 70, 87, 137; R H L R V i l i , 10ss.; B i d e z - C u m o n t , I, 64ss.; L e v i ,
R FN X I, 119ss.; P e t t a z z o n i , La religione di Zoratustra, 165, 189; I misteri, 232; D u c h e s n e -
■ G u i l l e m i n , Zoroastre, 95ss. Lo E i s l e r invece vedeva in Zervan un «Vorbild der indischen
Käla-Lehre» (WuH, 441ss., 449, 742ss.); il J u n k e r , Iran. Qu., 148 pensava che la divi-
ffità indiana Prajapati derivasse da quella persiana, mentre il T r o j e , o. c., 87ss., riteneva
■1inverso : a sua volta il S a s s e , conciliando le due tesi, afferma che «möglicherweise ist
■ein vorzoroastrischer pantheistischer Gottesgedanke, der den arischen Völkern gemein-
sam war, im Zarvanismus neu erwacht» (Reallex., I, 195).
no P A R T E i n : Α ΙΩ Ν N EL L A R EL IG IO N E

gico, che è affatto estraneo al vero Mazdeismo (178). Ad ogni modo Zer­
van, che nel Mazdeismo ortodosso è ancora una creatura di Ahoura Maz­
da, diventa nello Zervanismo il πρώτον καί ύστατον, principio e fine di
ogni cosa. Lo Zervanismo è conosciuto solo in una fase piuttosto tarda·
e cioè quale esso fu nell’epoca sassanide, quando — non più setta eretica
e com battuta — si affermò e si diffuse attraverso i misteri di M itra (179).
Il Mitraicismo, infatti, sembra derivare dallo Zervanismo dei Magi del-

(178) B i d e z - C u m o n t , I, 65, 67, 70. Però il F u r l a n i , Aegyptus IX , lss. (e con lui


concordano vari altri studiosi che egli cita), ha sostenuto che il fatalismo dei Caldei è
un m ito: «i Babilonesi non avevano u n a concezione fatalistica della vita, perché stava
sempre in loro potere persuadere gli d èi a cam biare ciò che avevano stabilito. Appena
al tem po dei Seleucidi sembra essersi sviluppato una specie di fatalismo, probabilmente
sotto l’azione del pensiero greco». E d ato che l’origine babilonese dello Zervanismo si
basa solo su questo preteso fatalismo (infatti i Λόγια Χαλδαϊκά sono il prodotto di un
tardo sincretismo, cf. B i d e z - C u m o n t , I, 64s.), essa può legittim am ente essere messa in
dubbio. È del resto logico che se una religione considera il tem po com e principio sommo,
esso debba essere sentito anche com e destino: in una concezione m itica del tempo i con­
cetti di «tem po» e di «destino» non sono ancora separati (cf. C a s s i r e r , II, 161ss.): così
il K àla indiano è contem poraneam ente T em p o e D estino (cf. J . S c h e f t e l o w i t z , Die
Zeit als Schicksalsgottheit in der indischen und iranischen Religion; cf. pure E i s l e r , o.c., 4 9 4 ss .) ;
ed una cosa analoga possiamo riscontrare anche in greco: non tanto — come vorrebbe
lo S c h u h l , La pensée grecque, 233, 2 — in S o f o c l e (Aj. 646-715) ed in E u r i p i d e (Hera-
clid. 900), quanto piuttosto in P i n d a r o , cioè in un autore per il quale il tempo è «il più
potente dei beati» e «padre di ogni cosa». N elle pieghe del suo inesorabile προσέρπεσθαι,
χρόνος non fa che realizzare i decreti del D estino (Nem. IV , 43) ed il suo posto è accanto
alle M oire (Ol. X , 55, cum Schei.). A nche in am bito orfico, del resto, appare evidente
questa com plem entarietà fra le nozioni di tem po e d i destino, com e risulta dalla figura
di Ananke posta accanto a C hronos-Heracles nella teogonia di Jeronim o com e a quella
delle Parche pure poste vicino a Chronos (K ern, Orph. Fr. p. 137, n. 57) : su ciò, cf.
E i s l e r , 3 9 0 ss . Il B i a n c h i (Zaman, 105) pensa ch e per spiegare il carattere fatalistico dello
Zervanismo non sia affatto necessario riferirsi a Babilonia; e gli stessi B i d e z - C u m o n t
non escludono la possibilità che l’Iran — com e l’In dia — avesse già concepito il tem­
po com e dio anche prim a di venire a contatto con i C aldei (p. 65).
(179) A lcuni negano che il leontocefalo m itriaco — il cui tipo iconografico pare
abbia avuto origine egizia (Pettazzoni, ACI X V I I I , 265ss.) — sia da identificarsi con
Zervan: Il W ikander (Etudes sur les mystères de Mithra, I , Paris 1950) pensa che l’origine
di esso vada cercata nell’orfismo greco e non n ell’Iran; viceversa il Duchesne-Guillemin,
N um en 1 9 5 5 ,190ss., pensa che derivi d a l m azdeano A hrim an, m entre il Bianchi, SMS
1957, 126, 1, sottolinea l ’im possibilità d i ogni precisa identificazione. Com unque, questa,
figura leontocefala fu chiam ata Aion d allo Z oega (cf. ora an ch e Dussaud, Syria 1 95 »
253ss.) e dal Reitzenstein (Psyche, 30ss.), Chronos-Saturnus d al Cumont e da altri (c -
specialm ente Nock, H T h R X X V I I , 58ss.), Zervan d all’EiSLER, H e l i o s - Mithras dal La-
yard, Ann. d. Inst. X I I I , 170. Pur riconoscendovi A hrim an, il Duchesne-Guili-emi >
o.c., 193, afferma che il nom e greco p iù proprio sarebbe A ion, il dio della «fatabt
smique».
CAP. v i n : l ’o r ie n t e ui

l’Oriente e, come provano le testimonianze di scrittori cristiani, greci,


armeni e siriaci, costituì il culto unico ed ufficiale dell’impero persiano
sotto i Sassanidi. I documenti mitriaci (Cumont, T M M M , I, 78ss.), ci
presentano una figura leontocefala alata, il cui corpo è avvolto nelle spire
di un serpente (180) : questa divinità doveva essere appunto Zervan, la
cui figura può essere anche illustrata dagli scritti zervanistici che ci sono
rimasti (181). Da essi risulta che Zervan è il tempo Periechon, primor­
diale ed onnipotente: infinito, ingenerato, immortale. Ogni cosa ha in
lui origine e fine: e quindi esso viene molto spesso identificato col de­
stino (182). E poiché questo Fato inesorabile che è il Tempo ha per ma­
nifestazione sensibile il firmamento, «maitre des destine» (Bidez-Cumont
Μ Η , I, 70s.), esso viene spesso identificato col cielo: Zervan non era in­
fatti una pura astrazione, ma un’entità concreta, un essere mitico la cui
forma materiale era il firmamento stellato; e nella teologia zervanista
Cielo e Tempo sono spesso visti come un’unica divinità (cf. Nyberg, JA
1931, 56) : è infatti nel cielo — nei movimenti dei pianeti e nella rivolu­
zione dei segni dello zodiaco — che il tempo si rivela. Zervan era dun­
que Cielo, Tempo, Destino; e talora anche Luce o Fuoco Primitivo (183)
è il θειον πρώτον, infinito non solo come tempo, ma anche come spazio (184),
perché è dovunque: e questa sua infinità non può essere compresa dall’in­
telletto, neppure da quello divino. La sua essenza è ignota persino a lui
stesso (Zaehner, Z u rvan , 232ss.). Questi sono i caratteri salienti che Zer­
van ha in epoca tarda; ma sembra ragionevole pensare che molti di essi
appartenessero già al nucleo originario della dottrina. Giustamente si è
osservato che questa dottrina speculativo-religiosa va posta sullo stesso

(180) Per una dettagliata descrizione ed interpretazione dei vari attributi della
figura, cf. P e tta z z o n i, ACI XVIII, 266s. Sono molte ed innegabili le affinità col Chro-
nos delle teogonie orfiche (cf. L evi, o . c . , 120ss.).
(181) Cf. Bidez-Cum ont, I, 70ss. Per il fondamentale 'Ulema i IsIàm, cf. B lo c h e t,
R HR X X X V II, 22ss.
(182) C’è un senso di predeterminazione e di determinismo assoluto: i Greci tra­
dussero Zervan con Tyche ed Eznik col siriano Bayt, «sorte»; cf. Bidez-Cumont, II,
89, 2.
(183) Cumont, I, 294; II, 108. Per l’importanza del fuoco presso i mazdeisti, cf.
I, 140.
(184) Z a eh n er, Zuroan, 232; Sasse, Reallex., I, 194. Così è pure per l’&rcipov πε-
Ρ^χον di Anassimandro: nell’esperienza dell’evento, infatti, tempo e spazio fanno uno
(Diano, Il concetto, 252). Ciò dà ragione della connessione di spazio e tempo che si ri­
scontra in parecchie cosmogonie: cf. K. N um azaw a, Die Weltanfänge in der japanischen
Mythologie, Zürich-N. York 1950, 44ss.; A. Jerem ias, Die Weltanschauung der Sumerer, Leip-
ZIS 1929, 12; Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 181.
PARTE H i: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

piano di quella orfico-ferecidea, cui appare strettamente legata (185). A


parte il comune motivo del Tempo come Perìechon, si noti che anche in
Ferecide — come avremo modo di vedere più avanti — il Tempo viene
identificato col Cielo; e come da Zervan, Tempo e Cielo, provenivano
nella concezione persiana la luce e le tenebre (Ohrmazd ed Ahriman), così
da Chronos, secondo la teogonia rapsodica, provenivano Etere e Caos,
che altro non sono se non il principio luminoso e tenebroso.
Fu cronologicamente possibile che lo Zervanismo influisse sulla Gre­
cia nel sesto secolo? Chi lo sostiene viene accusato di tradire la cronologia;
in realtà si tratta di un problema molto complesso, che può dar campo
a diverse ed opposte ipotesi. Lo Zoroastrismo, secondo l’opinione comune
degli studiosi, risale al IX -X secolo (186); ma non è dato sapere quando
abbia cominciato a prendere consistenza, staccandosi da esso, quella setta
eretica che aveva eletto il Tempo a dio unico e sommo e che già Eudemo
di Rodi, discepolo di Aristotele, mostrava di conoscere (187). Si può però
dire che essa esisteva già nel IV secolo; ed il Cumont pensa che il culto
di Zervan abbia potuto cominciare a diffondersi già prima dell’epoca
achemenidea (188) : sicché sarebbe possibile che il Χρόνος-Κρόνος degli
orfici e di Ferecide possa già contenere una traduzione in termini greci

(185) Si vedano le ottime osservazioni del C a s s ir e r , II, 168; per maggiori parti­
colari circa questa corrispondenza, cf. L e v i, o . c . , 122ss.
(186) Il P e t t a z z o n i, La religione di Zaratustra, 83, tende a farlo molto più recente,
ma non scende neppure lui oltre il settimo secolo. Per una recente ripresa del problema,
cf. W it h e y , Numen 1957, 214ss.
(187) Cf. B id ez-C u m o n t, II, 69, 15. E u dem o dichiarava che una setta di Magi
chiamava dio unico Χρόνος (D a m a sc. 125bis R u e l l e : cf. B id e z-C u m o n t I, 63): Μάγοι...
καί παν τό άρειον γένος, ώς καί τοϋτο γράφει ό Εΰδημος, ο! μέν Τόπον, οΐ δέ Χρόνον κα-
λοϋσι τό νοητόν άπαν καί τό ήνώμενον, έξ ου διακριθήναι ή θεόν άγαθόν καί δαίμονα κακόν
ή φως καί σκότος πρό τούτων, ώς ένίους λέγειν. Secondo il B ia n c h i {ίζαπιαη, 102, 113ss.),
D am ascio sarebbe un’interpretazione neoplatonica del testo di E u dem o, il quale diceva
insieme Spazio e Tempo, cioè poneva un parallelismo fra le nozioni d tempo e di luogo.
Si trattava quindi del «tempo ambiente», non del tempo personificato; di un aspetto
impersonale del tempo: e quindi tale testimonianza non autorizzerebbe a pensare a
una religione del Tempo come non può far concludere ad una dello Spazio. La stessa
alternativa con cui vengono presentate queste due nozioni, sarebbe di per sè sufficiente
a mostrare il loro valore essenzialmente «ambientale». Il B ia n c h i troverebbe una con
ferma di ciò nel confronto con P l u t a r c o , De Inde, 46ss., il quale cercava invece sistemi
dualistici (pp. Il3ss., così pure D u c h e s n e - G u ille m in , Zoroastre, 101; S c r e d e r , ZD
XCV, 273; cf. contrai B e n v e n is te , J A II, 289ss.; M O XXVI-XXVH, 170ss.; The Persm
Religion, 9ss.).
(188) C u m o n t, I, 279ss., 303ss. Dello stesso avviso è il L e v i, U , ed altri da lui
citati ( M e y e r , S p ie g e l, ecc.).
C A P . V i l i : l ’o r i e n t e
II3

dell’idea iranica di tempo infinito (189). Diffondendosi attraverso l’Asia


Minore, la quale fin dal VII secolo ■— era sempre stata l’anello di
congiunzione della Grecia con l’Oriente (190), lo Zervanismo avrebbe
potuto dunque esercitare la sua influenza sulla mistica e sulla filosofia
ionica ancora in embrione: a tale riguardo, non è da trascurare il fatto
che quasi tutti i pensatori greci — da Anassimandro a Democrito, da Pi­
tagora ad Empedocle, da Eraclito allo stesso Platone — abbiano avuto
delle relazioni con l’Oriente (191).
È certo pero che tutto quanto riguarda il sesto secolo è sempre estre­
mamente ed irrimediabilmente incerto, specie per quanto riguarda i rap­
porti con l’Oriente, come ammettono gli stessi orientalisti (cf. Reitzenstein,
Plato u. Zarathoustra, 31). Per poter ammettere o rifiutare — come si fa
spesso — la possibilità di un influsso zervanistico in quest’epoca, biso­
gnerebbe almeno sapere se al tempo di Eudemo lo Zervanismo era appena
sorto o se aveva già più di qualche secolo di vita, come si ritiene rispetti­
vamente in campo ellenista ed iranista (192).
Se dunque non si può dire nulla di preciso, a tale riguardo, circa il
Χρόνος del sesto secolo, si deve analogamente ritenere una gratuita ipotesi
anche quella che intravedeva nell’aìcov di Eraclito una trasposizione della
idea zervanistica di tempo infinito (193), benché si sia cercato di soste-

(189) Bidez-C um ont, I, 63, 2. Così pensa anche il L evi, 1 2 3 ss . , sia pur con qualche
riserva. Cf. pure J u n k e r , o .c ., 125ss.; G e r n e t-B o u la n g e r , o .c ., 458; E isle r , o .c ., 4 4 1 s s . ,
449, 742ss., per il quale tutto il misticismo e la filosofia ionica dipendono in gran parte
dall’Iran (p. 392).
(190) Cf. R a d e t, La Lydie et le monde grec au temps des Mermnades, Paris, 1892, 303ss.
La lingua in cui il verbo zervanista si sarebbe diffuso avrebbe dovuto essere l’aramaico,
secondo il C o w le y (cit. da E is le r , 644; cf. H e r . II, 109). Sui rapporti greco-acheme-
nidei-iranici, cf. anche A. A ym ard, La civilisation iranienne, Paris 1952, 48ss.
(191) Notizie di viaggi fatti da questi filosofi o di vari contatti che ebbero col mondo
■orientale sono non di rado fomiti da fonte indiretta; ma più spesso troviamo nelle loro
stesse opere delle singolari coincidenze con motivi orientali. Per le relazioni fra P ita -
o o r a e lo Zoroastrismo, cf. B idez-C um ont, I, 33ss. ; P r z y lu sk i, RUB 1932, 290ss. Per
quelle di E r a c lit o , cf. L. S t e l l a , RAL 1927, 580ss. Per quelle di E m p ed ocle, cf. Bidez-
Cumont, I, 238ss. Per P la t o n e , cf. R. R e itz e n ste in , Plato und Zarathoustra, Berlin 1927;
J· Bidez, Platon, Eudoxe de Cnide et I'Orient, Paris 1933; J. K e r sc h e n ste in e r , Platon und
Orient, Stuttgart 1945; J. B idez, Eos ou Platon et VOrient, Bruxelles 1945; W. K o s te r ,
mythe de Platon, de et des Chaldées, Leiden 1951.
(192) Per la «difficoltà cronologica» che gli ellenisti imputano agli orientalisti, cf.
R o s t e r , o .c ., 3 4 , 1. Il M o n d o lfo , appunto perché pensa sia difficile che lo Zervanismo
abbia potuto influire sulla Grecia del sesto secolo, ritiene che l’influsso caldeo sia stato
diretto, senza la mediazione zervanista ( Z e lle r - M o n d o lf o , o .c ., 87).
(193) G e rn e t- B o u la n g e r, Le gènte grec, 147. Questa ipotesi si era già affacciata

* ■ E. DEGANI - rAIfìN dm Omero ad Aristotele,


PARTE m : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
II4

nerla con argomenti senza dubbio ingegnosi. A titolo di pura ipotesi, vor-
rei anzi (jui aggiungere che anche ammettendo che 1 influsso zerva-
nista ci sia stato — il concetto espresso dalla parola iranica probabil­
mente non sarebbe stato reso con αιών, ma con χρόνος. Anche se poteva
indicare il Perìechon, αιών era tuttavia normalmente il tempo qualificato
implicava uno spiccato ed ineliminabile riferimento al vissuto : χρόνος era
invece il tempo indeterminato, aveva un senso più generico e connotava
abitualmente il tempo perìechon: così negli orfici, così in Ferecide e così
in Pindaro. Era χρόνος che avrebbe tradotto quindi perfettamente il senso
di zervan akarana : ed era necessario che esso si laicizzasse, prima che αιών
potesse stabilmente prendere il suo posto. Quando ciò si sarà verificato
ed Aion diventerà P«Ewigkeits-und Schicksalsgott», allora sarà possibile
una perfetta e continua corrispondenza con Zervan (Stadtmüller, Sae­
culum II, 316).
Ed in Platone potè influire Zervan? La «difficoltà cronologica», cui
gli ellenisti si appellano per respingere l’ipotesi di una penetrazione ira­
nica nel sesto secolo, non può certo avere lo stesso peso per l’epoca plato­
nica; d’altronde, che Platone abbia avuto rapporti con l’Oriente, cono­
scesse la teologia iranica e che in parecchi passi delle sue opere si avver­
tano dei motivi zervanistici, è una cosa che ormai non si può più negare.
Certo, che egli fosse addirittura un adepto delle religioni iranica e babi­
lonese e che quasi tutto il suo pensiero sia improntato all’Oriente, sono
le solite esagerazioni degli iranisti (cf. Reitzenstein, o.c., 36ss.) ; ma anche
gli ellenisti ammettono oggi che nella mitologia platonica siano presenti
degli influssi orientali (cf. Festugière, RPhl 1947, 5ss.). Date queste pre­
messe e dato che il valore che αιών assume nel Timeo sembra non avere
dei precedenti nella storia semantica del vocabolo, si è cercato di vedere
in esso una trasposizione dell’idea persiana. Ed il Sasse (194) sostiene che

nel secolo scorso ed era stata ripetutamente sostenuta dal C r e u z e r , dallo S chleier*
u a c h e r , e specialmente dal G la d is h , Heraklitos und Zoroastre, Progr. d. Gymn. zu Kro-
toschin 1859, 86ss., 89ss. (cf. pure C h ia p p e lli, Atri della R . Acc. di Se. mor. e poi. di
Napoli, X X II, 105ss.), poiché si pensava che per E r a c l i t o il tempo si identificasse col fuoc-
o: e tale identità — sostenuta anche dal L e v i, o . c . , 274-277, dal N e s t l e , Griech. Studien, 141.
e da altri, ma non aifatto sicura — richiamava immediatamente la dottrina zervanista.
(194) Reallex. I, 193ss.; Theol. W b. z. Neuen Test., I, 197ss. Nell’iscrizione fatta al
tempo di Antioco di Commagene (69-34 a.C.) : Ιερόν νόμον, δν θέμις άνΟρώπου γενεά«
άπάντων, οδς άν χρόνος άπειρος είς διαδοχήν χώρας ταύτην ιδία βίου μοίρα καταστήση, τηρεί'1'
«συλον... είς τόν αίωνα (Ditt. Or. 383, 44), si è pensato che αίών corrisponda &zervan aka­
rana e χρόνος a zervan darego-chwadata ( J u n k e r , Iran. Qu., 152; S asse, Reallex. I. 1®^’
Bia n ch i , Zaman, 104 respinge tale interpretazione, mentre altri pensano che zervan
CAP. Vili: l ’o rien te
"5
nel rapporto platonico αίών-χρόνος c’è con ogni probabilità un riflesso ed
un calco della contrapposizione mazdeana di zervan akarana, «die unbe­
grenzte, unendliche Zeit, Ewigkeit» e di zervan daregff-chwadäta, «die lange,
eigener Bestimmung unterstehende Zeit, d.h. Weltdauer». Già l’Avesta
distingueva infatti queste due forme di tempo: il tempo senza limiti di una
parte, quello limitato dall altra. Quest’ultimo contrassegna la storia del
mondo, poiché e stato fissato da Ahoura Mazda quale periodo di tempo
durante il quale egli combatterà lo Spirito delle tenebre; e quando, con
la sua vittoria, la lotta sarà finita, il tempo del mondo si risolverà nell’in­
finità di zervan akarana (195). È possibile che Platone, quando distinse
αιών e χρόνος avesse sotto gli occhi questa distinzione persiana e ne abbia
subito l’influsso? Quelli che lo hanno sostenuto (196) si sono sottoposti
agli strali della critica ellenista: e si tratta, forse, di una di quelle que­
stioni che non si potrebbero risolvere in modo decisivo neppure con l’au­
silio di una documentazione più ricca. Ad ogni modo, appare senz’altro
insufficiente e troppo sbrigativa l’obbiezione della Kerschensteiner, la quale
afferma che un calco platonico come quello sostenuto dal Sasse sarebbe
senz’altro «in Gegensatz zum griechischen Sprachgebrauch» (197), dato
che αιών già in Empedocle ed Eraclito avrebbe raggiunto il valore di
«unendliche Zeit». In realtà, anche se 1’αΐών platonico ha naturalmente e
necessariamente degli antecedenti, è tuttavia solo con Platone che il ter­
mine assume stabilmente il significato di «eternità» e resta in ogni caso
sostanzialmente vera la affermazione che il Timeo è «das Werk, das den
αιών als Begriff der Ewigkeit in die griechische Philosophie wenn nicht
eingeführt, so doch in ihr heimatberechtigt gemacht hat» (198). In se­
condo luogo non si può certo provare che la contrapposizione fra αιών e
χρόνος — che in tal caso è quella che maggiormente interessa — avesse
degli addentellati con la speculazione preplatonica.

rana si possa riconoscere invece in Χρόνος άπειρος, dato il legame che c’è in questo passo
fra χρόνος e l’idea di sorte (S c ile d e r, o . c . , 140; Bidez-Cumont, I, 67, 3).
(195) Sono i due tipi di tempo che Z aehner chiama rispettivamente «infinite Time»
e «finite Time» o «Zurvan o f the long dominion» (z^urvan, 57 ; 106). U n ottimo esame
ne fa il C assirer, II, 148ss.
(196) Oltre al Sasse, cf. S ta d tm ü lle r , o . c . , 316ss.; H. L eisegang, Denkformen, Ber­
lin und Leipzig 1928, 362s. H a r t k e , JuF, 14; Bidez, E o s , 91.
(197) O . C . , 80s., 3. Riprova che l’equazione αιών = zervan akarana non poteva
essersi verificata che in epoca più tarda, sarebbe anche il fatto che Eudemo traduce an­
cora Zervan con χρόνος e non con αΙών; ma quella di Eudemo non è una vera e propria
traduzione, bensì una semplice esposizione divulgativa del pensiero iranico: ed egli si
serve del vocabolo più corrente.
(198) W einreich , ARw X IX , 176; cf. Sasse, Reallex. I, 194.
ιι6 PARTE m : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

È invece per altra via che si può mettere in discussione l’ipotesi del
Sasse. Innanzitutto: la contrapposizione fra i due termini iranici è pro­
prio equivalente — o almeno affine — a quella fra i due termini greci?
Ovvero, il valore reciproco che in Platone lega ed oppone fra di loro χρόνος
ed αιών è lo stesso che intercede fra zervan daregß-chwadäta e zervan akaranaì
Già da quanto s’è finora detto risulta che il rapporto era ben diverso.
Fra αιών e χρόνος esiste una fondamentale irrelatività, onde sono nettissi­
mamente distinti l’uno dall’altro; e χρόνος non è una parte di αιών, né,
tanto meno, finirà per risolversi in esso: 1’αίών platonico porta in sè la
esperienza parmenidea dell’essere ed il suo νυν non può scendere a com­
promessi con il divenire. E χρόνος, d’altro canto, non è affatto pareggiabile
a zervan daregß-chwadäta, poiché esso è il tempo strutturato, il tempo che,
filtrato attraverso l’esperienza della forma, si è risolto nel numero ed af­
fatto laicizzato. Invece il «tempo del mondo» iranico non è affatto una
astrazione, né un tempo profano e sconsacrato: esso non è mai «das, was
die Zeit für die theoretische, insbesondere für die mathematische Erkennt­
nis ist..., sondern... die Grundmacht des Werdens selber, die mit göttli­
chen und dämonischen, mit schöpferischen und zerstörenden Kräften be­
gabt ist» (Cassirer, II, 148s.).
Si aggiunga inoltre che se Platone per primo pone la netta distinzione
fra un tempo divino ed un tempo contingente, ciò deriva quasi automa­
ticamente dalla stessa logica interna della sua dottrina: posto il mondo
delle idee, miticamente ipostatizzato, lo sdoppiamento del tempo in due
concetti — divino e profano — ne deriva per necessaria conseguenza.
Con ciò non si vuole escludere in modo assoluto la possibilità di un in­
flusso iranico. Può darsi che esso ci sia stato e che Platone ne sia rimasto
suggestionato; ma queste suggestioni non dovettero, in ogni caso, essere
decisive : riuscirono, semmai, a rafforzare ed a chiarire meglio ciò che era
già nel suo pensiero.
C ap. IX

Χ ΡΟ Ν Ο Σ ED ΑΙΩΝ

Se vogliamo cercare di capire perché Platone abbia elevato αιών alla


connotazione del Periechon ed abbia sostanzialmente capovolto il rapporto
fra αιών e χρόνος, è necessario dare un’occhiata all’evoluzione del concetto
di χρόνος da Omero a Platone : sarà sufficiente un esame sommario, atto a
mettere in luce solo i valori religiosi che il termine potè assumere e per­
dere.
L’opera fondamentale sull’antica JZeitauffassung è certamente quella
del Fränkel, che rappresenta un contributo magistrale su tale argomento,
come giustamente si è osservato (199). M a non sono le sue acutissime os­
servazioni sul senso del tempo nell’epoca arcaica che qui ci interessano.
A noi basta notare invece che il Fränkel mette ripetutamente e chiara­
mente in rilievo il contrasto sorprendente che presenta il concetto di χρόνος
fra l’inizio e la fine dell’epoca arcaica: «bei Homer finden wir eine fast
völlige Indifferenz gegenüber der Zeit, und im Eingang des fünften Ja h ­
rhunderts eine fast überschwengliche Huldigung an Chronos als ‘Vater
aller Dinge’» ( W u F , 1). In Omero c’è, sì, il termine χρόνος, ma esso esprime
un concetto ancora estremamente imperfetto ed impuro rispetto al nostro
«tempo» ed ha un uso ed un significato del tutto limitati: non compare
mai come soggetto, riguarda sempre e solo avvenimenti e circostanze e
sono gli avvenimenti che determinano il tempo. I tre modi del decorso
temporale appaiono chiari in A70: τά τ ’ έόντα τά τ ’ έσσόμενα πρό τ ’ έόντα, ma
il «ciò che è», non è ancora cellula germinale del «ciò che sarà» : la «Dy­
namik» del tempo è ancora affatto ignota (200). A questa limitatissima

(199) Cf. T r eu , Von Homer zur Lyrik, 123. L’opera del F r a n k e l è naturalmente l’ar­
ticolo pubblicato in ZfAe X X V , 95ss. ed ora riportato in WuF, lss.
(200) Per un acuto esame di queste espressioni da cui risulta la concezione ogget*
tiva che O mero ha del tem po, cf. T r e u , 125ss.
ιι8 PARTE III: AIEN NELLA RELIGIONE

ed angusta concezione del tempo, fa riscontro — agli inizi del quinto


secolo — un omaggio quasi incredibile a Chronos, «padre di tutte le
cose», «signore che supera tutti i beati», visto come il «realizzatore»
per eccellenza. L’indagine pur minuziosissima del Fränkel non riesce a
tracciare una chiara e continua linea di evoluzione, alla luce della quale
tale sbalzo diventi comprensibile: e la precarietà della documentazione
è, secondo lui, l’unica causa di tale oscurità (p. 9). Anche gli sforzi del
Treu per ricostruire, attraverso i miseri e spesso controversi relitti che ci
rimangono, la Zeitauffassung eolica e lirica (201), non riescono assoluta-
mente a spiegare come χρόνος, che in Omero esprimeva ancora un con­
cetto così embrionale e limitato di durata profana, abbia potuto — in
un periodo di tempo relativamente breve — divenire un principio cosmo­
gonico e simboleggiare come πάντων πατήρ l’assolutezza e l’infinità del
Perìechon.
Certo l’ampliamento semantico e concettuale del vocabolo si po­
trebbe seguire passo per passo con l’ausilio di una documentazione più
ricca. Ma questo non sarebbe ancora esauriente : poiché il χρόνος pindarico
non ha solo ricevuto — nel suo sviluppo verso il concetto assoluto di
«tempo» — il valore del «giorno» omerico, caricandosi in più, per così
dire, di una particolare «Dynamik» ed assumendo un suo tipico «ener­
getischer Charakter», onde appare sempre altamente attivo (p. 10): in
realtà esso ha acquisito appunto una tinta mistica, è divenuto un prin­
cipio cosmico e trascendente: la somma fra tutte le divinità. E per spie­
gare questo nuovo valore del termine è necessario riconoscere che dietro
Pindaro c’è la speculazione teologica del sesto secolo e quel Χρόνος che —
identificato con Κρόνος — l’orfismo aveva elevato al rango di potenza pri­
mordiale e creatrice, facendone un simbolo del Perìechon: questo è il mo­
tivo — ignorato a torto dal Fränkel (pp. 9; 19) — per cui Chronos venne
ad assumere un ruolo di così grande importanza all’inizio del quinto se­
colo. In Omero χρόνος era ancora un concetto temporale profano: ma,
penetrato nella sfera mistica, esso era stato subito investito di valori epifa-
nici fino a divenire 1’ΰστατον καί πρώτον πάντων che — per usare un’espres­
sione del Pitagoreo Schitino di Teo — έχει έν έωυτω πάντα καί έστι ες αιεί.
Che intuizioni orientali abbiano influito sulla Grecia del sesto secolo por­
tandovi il senso mistico del tempo perìechon o comunque accelerandone
la formazione, non ci è dato sapere; ma sta di fatto che le varie teogonie
orfiche — la cui redazione attuale è recente, ma il cui contenuto è proba­
bilmente antico — concordano nel fare di Chronos una πάντων

(201) Cf. pp . 223ss. (E o u c i), 276ss. (Esiodo), 302 ss. (Sim onide); cf. pure pp- 233»
C A P . IX : ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ
n 9

άρχή (202), mentre i pitagorici, identificandolo col cielo, ne avevano fatto la


σ φ α ίρ α τοϋ περιέχοντος (203). Chronos si incontra per la prima volta nella
teogonia di Ferecide di Siro, contemporaneo di Anassimandro, che dagli an-
tichifu detto fondatore delle dottrine orfiche (204) : il suo principio cosmogo­
nico faceva del Tempo uno degli eterni principi senza origine: Ζάς μέν
καί Χρόνος ήσαν άεΐ καί Χθ·ονίη· ό 8έ Χρόνος έποίησε έκ τοϋ γόνου έαυτοϋ πυρ
καί πνεύμα καί ϋδωρ (Diog. 1 ,119). Alcuni interpreti, pensando che un con­
cetto astratto non potesse ancora esistere in un’epoca così arcaica, hanno
pensato che in questo Χρόνος si debba vedere non il «Tempo», ma il «Cielo»
— come nei pitagorici — o una parte del cielo divinizzata (205) ; e lo
Zeller, la cui interpretazione sembra la più plausibile, sostiene che si tratta
probabilmente della parte di cielo più vicina alla terra — quella più alta

(202) Cf. L ev i, o . c . , 51; cf. N e s tle , Griech. Stud. 140s. D ell’orfìsmo antico si sa po­
chissimo e nulla di sicuro ci è stato tram andato di quei primi testi orfici, che si anda­
vano diffondendo nella seconda m età del sesto secolo (Sud. s.v. Ορφεύς; C lem . A l. Strom.
I, 21; Pavs. I, 22, 7, ecc.). L ’orfismo si può conoscere solo attraverso le diverse e tarde
teogonie, che però m olto probabilm ente conservano, almeno in parte, la cosmologia
primitiva. La teogonia rapsodica, la più diffusa e per noi la più nota, faceva del tempo
il sommo principio da cui derivano Etere e Caos; e gli studiosi, nel tentativo di attri­
buire una data precisa a tale teogonia, sono incerti fra date che oscillano fra il sesto ed
il secondo secolo a.C. (cf. R o s c h e r , Myth. I l l , 1140; D a re m b e rg -S a g lio , IV , 249),
ma pare che le parti fondam entali di essa siano m olto antiche. Anche la teogonia ella-
nico-ieronimiana assegna a Χρόνος una parte importante nella sua cosmologia, rappre­
sentandolo sotto forma di un dragone mostruoso (Χρόνος άγήραος). Il primo sicuro esem­
pio in cui appare il tem po com e «Urpotenz» è fornito da F e re c id e e, più tardi, dai poeti
(cf. su tutto ciò anche W a s e r , R E III, 2, 2481s.).
(203) A r is t. Phys. 218a33; 218M ; S to b . I, 8, 40; Simpl. In Phys. p. 700, 19-20;
cf. pure Doxogr. Gr. p. 318a, 2-3, 619, 13; L evi, o . c . , 57s. Aristotele spiegava razionali­
sticamente il fatto dicendo che tutto ciò che è nel tempo è anche nella sfera del mondo
(Phys. 218b5-7).g
(204) Cf. Sud. s.v. Φ ερ.; C ic. Tuse. I, 38, ecc. F e re c id e è un’oscura figura di mito­
logo e di cosmologo che si m uove sull’oscuro fondo del sesto secolo. N ell ambito delle
teogonie di ques’epoca egli occupa una posizione autonoma, anche se si sono accertati
i legami evidenti fra la sua cosm ologia e quella sia orfica che pitagorica (cf. E is le r ,
WuH, 534ss., L é v y , Recherches sur les sources de la légende de Pythagore, Paris 1926, 3). Or-
fismo e Pitagorismo erano del resto strettamente connessi fra di loro, benché differen­
tissimi per taluni aspetti (cf. B o u la n g e r , Orphée, Paris 1925, 18; D a re m b e rg -S a g lio ,
IV , 241ss.) : principale differenza era che gli uni adoravano Apollo e gli altri Dioniso
(W ilam ow itz, Glaube d. Hellenen, I I , 192).
(205) Cf. Z e l l e r -N estle , Phil. d. Griechen, I», 545, 3; Z eller -M ondolfo , I, 186ss.
L evi, 52ss.; G r u p p e , Griech. Myth. I, 431, 608, 1064; Bidez -C umont, II, 67; E isler ,
330ss. Il L evi ed il G r u p p e pensano che Χρόνος qui indichi la sfera cava dell estremo
cielo delle stelle fisse, com e principio della m utazione c del movimento.
120 PARTE III: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

sarebbe Zeus — e della divinità che la governa (206). In realtà in una


concezione mitica del tempo non può esistere un concetto astratto; ed è
logico che questo Χρόνος ferecideo non potrebbe essere in nessun caso una
entità astratta, come qualcuno ha incautamente suggerito (207). Come
s’è già osservato in Zervan e come si può constatare anche in Kàla (208),
il tempo periechon può d’altronde essere contemporaneamente «tempo»
e «cielo»: e probabilmente anche qui in Ferecide, come suggerisce lo stesso
contesto, abbiamo una identificazione del genere. Si è discusso se qui si
debba leggere Χρόνος ο Κρόνος, per il fatto che, mentre Diogene e Damaselo
(D e P rinc. 124b) danno Χρόνος, invece Ermia (Irris. 12) e Probo (a d Verg.
B ue. V I, 3 1 ), leggevano Κρόνος, pur intendendolo entrambi come «tempo»
(2 0 9 ). In realtà con Ferecide s’è già compiuto quel processo di assimila­
zione, che Proclo (in P la t. C ra tyl. 3 9 6 b = fr. 6 8 Kern) attribuiva agli or­
fici e per il quale Κρόνος extraorfico, che era «ein Gott der vorgriechischen
Bevölkerung» (Pohlenz, R E , X I, 1982s.; Nilsson, I, 480), viene confuso
ed identificato con Χρόνος (210). Si tratta qui dunque veramente del Chro-
nos — Tempo e Cielo — έν φ τά γιγνόμενα, come intendeva Ermia (211),
che viene qui sentito come «Urpotenz»: è in esso e per esso che si verifica
ogni creazione. Si tratta non di un vuoto concetto, ma di una nozione

(206) Philos. d. Griechen, I , 103s.; 545, 3; III, 342s., 6; La filos, dei Greci, I, 186s.
Questa interpretazione è condivisa dal M ondolfo , L ’Infinito, 57, 2.
(207) Così il D echarme , Critique des traditions religieuses chez Ics Grecs, Paris 1904,
28ss., ed il G reen e , Moira, Fate, Good, 55, 76.
(208) Cf. D eussen, Allg. Gesch. der Philos., Leipzig 1 8 9 4 ,1, 1, 210ss. ; cf. L ev i , 61ss., 67.
(209) È appunto il F r e n k e l , W uF , 19s., che vorrebbe leggere Κρόνος. Tutti gli
altri Χρόνος, seguendo D iogene e Dam ascio. Incerto il M o n d o lf o , L’infinito, 57, 2.
(210) Ps. A ris t. De Mundo, 401al5; P l v t . De Is. 32, ecc.; cf. P o h le n z , o . c . , 1986ss.;
E is le r , W uH , 385; G ru p p e , Griech. M yth. I, 427; R iv a u d , Le problème du devénir, 75,
171; 225; R o s c h e r, Myth., I, 899, II, 1496; P f is te r , Die Religion d. Griechen und Römern,
Leipzig 1930, 132; E. P e te r ic h , Die Theologie der Hellenen, Leipzig 1938, 203s. Invece
C. A u tr a n , Homere et les origines sacerdotales de Vepopée grecque, Paris 1938, 151, pensava
che già in O m ero Κρόνος fosse identico a Χρόνος com e proverebbe il suo attributo άγκυ-
λομήτης, che conterrebbe appunto un riferimento alla ciclicità temporale. M a άγκυλομή-
της, «dalla metis ricurva», cioè «attorta», «sagace», è uno di quegli aggettivi (ποικιλο-
μή"0 )?» πολυμήτης, πολυμήχανος, ecc.) che contrassegnano divinità o eroi omerici che
appartengono alla sfera dell’evento e la cui spiegazione è ben diversa (cf. D ian o , FE,
69ss.). Per la controversa etimologia di Κρόνος, cf. R E X I , 1982s.; C a rn o y , Diet., s.v.
Cronos; V a n W indekens, BzN 1958, 167ss.
(211) In alam i frammenti orfici attribuiti a L in o sono espresse concezioni simili
a quelle di F e re c id e : secondo D iog. L a e r t . Pr. 4 la cosmologia di Lino diceva che ήν
ποτέ τοι Χρόνος οδτος, | έν φ άμα πάντ’ έκπεφύκει. Sembra però trattarsi di frammenti
tardi, almeno stando a Pavs. V i l i , 18, 1; sulla questione, cf. però L evi, o . c . , 59.
C A P . i x : Χ ΡΟΝΟΣ E D ΑΙΩΝ I2 I

carica di valori mistici : la prim a mitica intuizione del tempo come «Holon»
e come «Periechon». «U nd noch spät — osserva il Cassirer (II, 157) —
noch auf einzelnen Höhepunkten griechischer Spekulation, fühlt man den
Nachklang derartiger mythischer Grundgedanken und Grundbestimmun­
gen» : di qui il Chronos orfico, che è nella teogonia orfica la πρώτη πάντων
αιτία come lo e Zervan akarana in quella zervanista e lo sarà Aion nella
speculazione ermetica (Corp. Herrn. X I). E le più significative attestazioni
di questo Χρόνος orfico ce le può offrire la poesia, e particolarmente Pin­
daro, che chiamava Orfeo εύαίνητος {Pyth. IV, 177) e χρυσάορος (fr. 217, 9) :
χρόνος vi appare come la forza divina che domina sugli uomini e sulle cose
e che, realizzando gli immutabili disegni della Moira (212), innalza o
avvilisce l’uomo {Pyth. I, 46, X II, 30; Ol. X II, 13, V I, 97, ecc.), doma
la tracotanza dei superbi {Pyth. V ili, 15) ed è «il miglior salvatore degli
uomini giusti (fr. 255), la divinità suprema (fr. 24), il «padre di tutte le
cose» {Ol. II, 19). Χρόνος è qui pienamente immerso nella sfera dell’evento
e delle potenze, non è il tempo lineare e strutturato, ma il tempo periechon.
Anche in altri poeti appaiono con ogni probabilità delle espressioni
orfiche relative al tempo (213): e può darsi che anche Euripide si rifa­
cesse alla tradizione orfica, quando diceva di χρόνος che era ούδενός εκφύς
(fr. 303) o quando lo definiva παλαιός πατήρ άμεραν {Suppi. 787) ο altrove;
ma va notato che in Euripide troviamo ormai un senso tutt’affatto di­
verso del tempo e il suo χρόνος non è orfico ma anassagoreo. Ed è appunto
questa fondamentale diversità fra il χρόνος del sesto e quello del quinto
secolo che secondo noi permise quel capovolgimento semantico, che ab­
biamo osservato nei rapporti fra αιών e χρόνος e che appare in chiara luce
per la prim a volta con Platone.
La cultura attica della seconda metà del quinto secolo e dominata
— come è stato di recente messo in luce (214) — dal pensiero di Anas­
sagora, il padre di ogni umanesimo, per il quale il mondo, visto sotto
l’aspetto dell’essere, esclude rigorosamente ogni trascendenza. Il mondo

(212) Ol. X , 55, Nem. IV , 43, Ol. II, 19s. Questa solidarietà fra Moira e Chronos
costituisce appunto quel «mythischer Urgrund» che lega i concetti di «tempo» e di «de­
stino» nella concezione m itica eprimitiva del tempo (C assirer , I I , 149ss., 161).
(213) Cf. W aser , RE, I I I , 2481ss.; M ondolfo , L'Infinito, 57ss.; W ilamow itz , He­
rakles, 173ss. Naturalmente si è spesso esagerato nel cercare questi motivi orfici; lo stesso
W ilamowitz (p. 174) vorrebbe, ad esempio, trovare una rappresentazione orfica in Her.
f · 777: Χρόνου γάρ οΰτις ^όπαλον είσοραν έτλα, ove si parlerebbe della «Keule» del T em ­
po. M a egli corregge senza necessità il τό πάλιν (cf. P ino . Ol. X , 87 : νεότατος τό πάλιν)
dei codici.
(214) D iano , Edipo, 15ss.; Il concetto, 275ss.; Syngraphi, 234ss.; FE, 73.
122 PARTE III: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

degli dèi e dei miti che l’ingenua fede di Pindaro e la profondissima reli­
giosità di Eschilo avevano sorretto e vivificato, si discioglie sotto il razio­
nalismo anassagoreo, risolvendosi in un complesso di vuoti nomi. Tale
razionalismo, sul cui sfondo si muove e si illumina l’Atene di Pericle, la
politica espansionistica ateniese e la Storia tucididea, fu il punto di arrivo
di quel lento processo di scoperta delle forme e di laicizzazione del sapere,
che ebbe i suoi incerti inizi con la speculazione dei physiologi ionici e che
trovò per la prima volta un’espressione coerente ed integrale appunto
nelle dottrine di Anassagora, che, costruendo il suo cosmo sulle equazioni
di Parmenide, negò gli dèi e mise al loro posto la tyche. Egli venne ad A-
tene nel 462, accompagnato dalla fama di ateo; e come ateo fu condan­
nato più tardi. Insegnò che gli astri non erano che «pietre infuocate» ed
eliminò del tutto la Divinità dal suo universo: ed è da lui che dipende
tutto il vasto movimento illuministico, ond’è impregnata la letteratura e
la vita ateniese del quinto secolo; ed è a lui appunto che risale quella teo­
ria del progresso umano, che è conosciuta anche prima di Anassagora ma
che — nella sua forma più coerente e feconda — è totalmente sua. In
quelli che lo precedettero, infatti, l’evoluzione ha il presupposto del τό
θειον e la ciclicità temporale assicura la perenne identità della legge di
tale pseudo-progresso: invece con Anassagora «il divenire ha inizio in un
punto qualunque del tempo e dello spazio e si svolge secondo la linea
retta: l’eterno degrada a tempo, ogni concetto di divino è sbandito e la
ειμαρμένη cede il luogo alla necessità meccanica ed alla τύχη» (Diano,
Edipo , 19). Tale teoria insegnava che l’uomo, all’inizio, era indifeso ed
inerme, inferiore persino alle bestie; ma poi, con la γνώμη, 1’έμπειρία e la
μνήμη, egli arrivò un po’ alla volta alla σοφία ed alla τέχνη. In un mondo
sconsacrato e libero dal dominio delle potenze, l’uomo, δεινός e περιφραδής,
viene ad occupare la parte centrale: ecco dischiudersi ima nuova visione
della vita, che trova nel tempo (χρόνος ) un alleato per le future conquiste
del νους. Nessuna potenza divina, infatti, condiziona e limita il progresso del­
l’uomo, il φρωνιμώτατος fra tutti gli animali (Anax. A 102), il quale passa
di conquista in conquista portando gradualmente la luce là dove c’è l’om­
bra : gradualmente, ovvero κατά μικρόν, «a poco a poco», perché ogni tappa
di tale progresso è necessariamente figlia del tempo (215). Ed ecco che

(215) Κατά μικρόν è appunto espressione tecnica che indica il lento svolgersi del
tempo, nel quale l’uomo attua il suo progresso (Edipo, 18); cf. Ev. fr. 222 e commento
di D iano, ibid. 17. La teoria compare anche in Platone, che la rifiuta (Legg. 889d): l’at­
tuale mondo è un prodotto del progresso del tempo (προϊόντος....... τοϋ χρόνου) e si è
ealizzato non tutto di un colpo (έξαίφνης), ma κατά σμικρόν..., èv παμπόλλψ τινι χρόνψ.
CAP. ix : ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ
123

nell’ambito di queste nuove idee rivoluzionarie, anche χρόνος ha la parte


che gli compete: ed esso diventa — insieme con la τύχη — il principale
alleato della γνώμη, ossia dell’intelligenza umana. E pertanto anche χρόνος,
che per Pindaro era carico di risonanze mistiche ed escatologiche, esce’
dalla sfera delle potenze, si sveste definitivamente di queste sfumature per
divenire il tempo rettilineo e sconsacrato della tecnica e poi anche della
scienza. «Vidé de son affectivité», questo «tempo», spezzato definitiva­
mente ogni circolo, si distende e si struttura nell’irreversibilità della linea
retta, diventa il tempo del «questo» e del calendario: ed è appunto questo
il tempo di cui parla Platone nel Timeo, quel χρόνος numerabile e divisibile
in parti ed in specie, i cui strumenti (όργανα, 41e, 42d) sono il sole, la
luna ed i pianeti. Nel quale Timeo, come osservò il Cassirer, il quale segui
nella filosofia greca il progressivo laicizzarsi dell’idea del tempo (II, 161ss.),
«tritt nun zum ersten Male in voller Klarkeit ein neuer Zeitbegriff: der
Zeitbegriff der mathematischen Naturwissenschaft heraus» (II, 171s.).
Il tempo di Anassagora è dunque il tempo dell’uomo, il suo alleato:
e χρόνος finisce per diventare ben presto tecnico in questo significato (Dia­
no, ο χ ., 17; 22; 26). Ora che il cielo si è fatto di pietre, esso non è e non
può più essere il tempo periechon: coefficiente della γνώμη, esso diventa il
«tempo artefice» (τέκτων), nel quale si realizza e si rispecchia il continuo
progresso di quell’artefice per eccellenza che è l’uomo. È questo χρόνος
che nel fr. 6 di Moschione guida alla scoperta delle scienze e delle arti;
e l’anassagoreo Clizia, parlando dell’origine degli dèi, definisce il cielo
•άστερωπόν οΰρανοϋ σέλας, | Χρόνου καλόν ποίκιλμα τέκτονος σοφοϋ (216).

U n a definizione d e l te m p o an assagoreo si tro v a in Antifonte, secondo il q u a le il tem po


è «pensiero e m isu ra , n o n so stan za» : Ά .... νόημα ή μέτρον (v. 1. ήμέτερον) τόν χρόνον, ούκ
■ύπόστασιν ( Α ν π ρ η . Β9 = AßT. I , 22, 6). Χρόνος n o n è che u n oggetto d el νοϋς, è ordine
e ra z io n a lità ; e d è a n c h e μέτρον p e rc h é è con esso ch e si m isurano i fa tti e gli eventi. A n­
tifonte p o rta alle e stre m e conseguenze le d o ttrin e anassagoree : il tem po, 1 alleato d el­
l’uom o e d e lla γνώ μ η , n o n h a re a ltà se n o n n e l νοϋς che lo pensa.
(216) Crit. B25, 34 ( = Vors*. II, 388, 1 2 ): cf. Diano, Edipo, 17. L a sem plice, a p ­
p a re n te connessione fra cielo e te m p o c h e a p p a re in ta le fram m e n to h a fa tto pen sare
invece a ll’orfism o (Kern, O rph.fr. p . 3 03; Eisler, o.c., 110, 387s. 600s.; Levi, o.c., 55;
Mondolfo, L ’Infinito, 5 8 ; Schmid-Staìhun, I, 2, 171, 2). I p rim i versi (1-4), c h e ric h ia ­
m an o qu elli d e l fr. 6, 3-17 d i Moschione, fa re b b e ro pensare, secondo il Kern, all inizio
d i u n ra c c o n to orfico : e si è cosi p e n sa to ch e sia Crizia che Moschione d ip e n d a n o d al-
l ’orfism o (Norden, Agnostos Theos, L eip zig 1913, 370s.; Heinimann, Nomos und Physis,
Basel 1945, 46s.) Ciò è sta to g iu s ta m e n te n e g a to d a W . Thomas, Ε Π Ε Κ Ε ΙΝ Α , W ü rz ­
b u rg 1938, 46s., e, re c e n te m e n te , d a A . Battegazzore, D ioniso 1958, 45ss., il q u a le so­
stiene che i versi d i Moschione e Crizia n o n ric h ia m a n o a ffa tto l ’id e a orfica d ell o rig in a ria
•età d ell’oro, m a « la sp ecu lazio n e sofistica su lla c u ltu ra crescente d e l genere u m a n o , svi-
PARTE i n : Α ΙΩ Ν NELLA RELIGIONE

Questo era il χρόνος che Platone aveva a disposizione, quando distinse


nel Timeo il concetto di un tempo immobile e divino da quello di un tem­
po mobile e profano: ed il termine, ormai definitivamente sconsacrato»
non poteva che divenire il nome del secondo.

luppatosi d a m odesti principi, a p oco a poco» (p. 55; cf. g ià R ohde , Psyche, II , 125, 3)r
è appunto la teoria anassagorea del progresso. Χρόνος σοφός si incontra an ch e in altri,
tragici: cf. N auck, T G F *, 810. Sul valore di σοφός in quest’epoca, cf. D egani, M a ia
1960, 214.
CONCLUSIONE
Sulla base dei testi e facendo ricorso ai vari sussidi linguistici e storici
di cui era di volta in volta possibile servirsi, si è dunque messa in luce
l’impossibilità di fissare per αιών un preciso «significato fondamentale»
ed il manifesto kysteron-proteron di quanti sostengono una Grundbedeutung
fondata su uno dei significati che il termine presenta nel periodo classico.
In origine, la parola esprimeva un complesso di nozioni normalmente
comprese nella sfera sacrale ed accentrava in sè — in un’unità poi dis­
soltasi col razionalizzarsi del pensiero e della lingua — dei valori diversi
che possono sommariamente essere fissati con le nozioni di «vigore», «for­
za vitale», «giovinezza», «durata»: una varietà ed un’unità che possono
sembrare contraddittorie alla nostra non più primitiva mentalità, abi­
tuata a concettualizzare e quindi a separare, ma che tali non erano nella
fluida e sacrale atmosfera preomerica. Come ci si allontana da tale at­
mosfera, questa molteplicità di sensi si riduce. In Omero αιών è quasi sem­
pre la «forza vitale», suscettibile di identificarsi con la vita stessa e con
la sua durata: ed il valore atem porale, dopo Omero, lo si incontra piut­
tosto di rado, specialmente in costrutti schiettamente omerici e nella sin­
golare accezione di «midollo spinale». Il significato temporale rappre­
senta invece il valore «normale» del vocabolo e rimase ben vivo fino alla
tarda cristianità: è una cristallizzazione, nella storia semantica di αιών,
che fa del termine — entro certi limiti — un sinonimo di βίος. Entro
certi limiti: e proprio quando il suo uso si estende e generalizza, αιών co­
mincia ad assumere valori come «età», «epoca», «evo» e via dicendo;
ad indicare, cioè, delle porzioni di tempo sempre più vaste e generiche.
Pur rimanendo sempre — e per dirla euripidianamente — un figlio di
Χρόνος.
Però, accanto e di contro a questi valori poetici ma profani, αιών
mantiene vive tutte le connessioni che esso aveva con la sfera sacrale, fino
a divenire, con Platone, voce specifica per indicare l’eternità. E mentre
C O N C LU SIO N E

Euripide definiva ancora Aion come figlio di Chronos, con Platone si è


già verificato quel capovolgimento che permetterà a Proclo di chiamare
Aion padre di Chronos. Certo, quella che nel T im eo si presenta a tutta
prim a come una innovazione nell’evoluzione semantica di αιών aveva na­
turalmente i suoi addentellati. Anche lasciando da parte la dibattuta que­
stione di una possibile ma non comprovabile orficità di αιών, e così pure
quella di una presunta penetrazione, nel pensiero platonico, di concetti
iranici: questioni che, per scarsità di documentazione, non si possono ri­
solvere in modo sicuro; abbiamo visto che è possibile rintracciare nella
stessa tradizione poetica del vocabolo l’esistenza di questi addentellati.
Già in Pindaro αιών, spesso caricato di tinte mistiche ed identificato con
la Moira, era talora sentito come principio cosmico e trascendente; non
più «tempo della vita» di qualcuno, esso si rivela innanzitutto, in tali
passi, come una potenza divina. È il «Tempo», se si vuole: ma come
«H olon », vale a dire come Periechon. La sua puntuale trascendenza epifa-
nica non è che la vissuta puntualità dell’U bique et semper. Questo αιών
si incontra anche in Eschilo e, con ogni probabilità, anche in un fram­
mento di Eraclito, dove è miticamente ipostatizzato nell’immagine di un
fanciullo che simboleggia il capriccioso dominio del tempo. In Platone
questo valore, fino allora limitato all’alone epifanico del termine, diventa
concettualmente esplicito; ed αιών sostituisce definitivamente χρόνος nel si­
gnificato trascendente che ad esso era stato attribuito dalla speculazione
teologica del sesto secolo. La ragione di tale capovolgimento va ricercata,
a mio avviso, nella inevitabile laicizzazione che χρόνος, come termine del­
l’astratta durata, aveva subito in conseguenza del razionalismo della phy­
siologia del quinto secolo ed innanzitutto di Anassagora. Lo stesso sistema
filosofico di Platone esigeva inoltre la distinzione di due tipi di tempo:
quello profano, divisibile e molteplice, da una parte; quello divino, fisso
in un immobile «è» e sempre uno, dall’altra. Strappato ormai definitiva­
mente alla sfera delle potenze, χρόνος non poteva che indicare il tempo
profano: e Platone non aveva scelta. Sensibile è la differenza fra il con­
cetto aristotelico e quello platonico di αιών, spesso troppo facilmente iden­
tificati: per Platone, si tratta di un concetto trascendente proprio del­
l’Uno, mentre per Aristotele, che ha un sistema filosofico completamente
diverso, αιών diventa subito un termine equivoco: perde il preciso carat­
tere extratemporale che aveva nel T im eo , e, ricondotto dal cielo alla terra,
rischia di confondersi col tempo. M a anche Aristotele ne sente e man­
tiene il valore epifanico e fa di αιών un attributo della divinità. E si può
dire che nell’αιών platonico ed aristotelico sono contenuti in germe tutti
i successivi sviluppi semantici e mistici del termine.
APPENDICE

* DeGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,


Avevo già ultimato il mio lavoro, quando sono venuto a conoscenza
del recente The Origins o f European Thought (Cambridge 1954) di R.B.
Onians. È necessario che ne parli, poiché l’autore dedica invero ad αιών
un numero considerevole di pagine quanto mai suggestive, anche se poi,
in realtà, giunge quasi sempre a delle conclusioni estremamente personali
ed audaci, sostenute da una documentazione troppo unilaterale e il più
delle volte assolutamente inadeguata. Mentre il lavoro psicologico di Jung
(.Aion. Untersuchungen zur Symbolgeschichte) prende in considerazione il solo
periodo tardo ellenistico e cristiano, quello dell’Onians invece indaga esclu­
sivamente quello arcaico, sforzandosi di determinare il «fundamental
meaning» del termine già in epoca preomerica. Partendo da alcune ge­
neriche considerazioni di A. C. Pearson, secondo cui αιών significava «vi­
tality», «living stuff», «the principle o f continuity, that which marks the
persistency o f the living force, the lasting thing» ( Verbal Scholarship and
the Growth o f some Abstracts Terms, 26ss.), l’Onians rintraccia questo signi­
ficato in Omero, dove αίών non assume mai un valore temporale (1), ma
è «a ‘thing’ o f some kind like ψυχή persisting through time, life itself or
a vital substance necessary to living» (p. 200). Indi, basandosi su ε 152
(nonché su ε 160 e σ 204) e sul fatto che καιείβειν è costantemente riferito
a dei liquidi, l’Onians enuncia una delle sue sorprendenti affermazioni:
αιών era «thè cerebro-spinal fluid and the seed, the stuff of life und strength»
(p. 202). Passi come θ 522ss., dove Demodoco canta mentre Odisseo τήκετο,
e come τ 204ss. τήκετο 8ε χρώς, indicherebbero infatti 1 esistenza, nella carne,
di un succo vitale, di un «liquid or a liquefiable element, which could
come out o f it and be lost» (p. 201s.) : questo liquido, identificabile con

(1) Il tem po, egli osserva, è espresso d a altre parole in 1415, Δ478 P302 (p. 200).
da discutere sarebbe la sua non docum entata affermazione che είναι vale spesso in
O mero «to live, survive». Egli intende Ω725 «you perished young from your α ν»
(’bid.).
132 A P P E N D IC E

le lacrime e col sudore (1), era appunto 1’αίών. Inoltre, il fatto che di tale
liquido fluente dagli occhi si parli solo nei tre passi citati, nei quasi si
tratta sempre di un uomo e di una donna (Calipso ed Odisseo o Penelope,
πόσιος ποθ-έουσα φίλοιο), e non, ad esempio, quando Laerte piange Odisseo
e Penelope il figlio, indica — secondo l’O nians — che Ι’α’.ών è caratte­
ristico del rapporto sessuale (p. 204). In fatti l’am ore sarebbe dai Greci
ripetutam ente descritto come u n processo di «liquefying, melting», come
attesta il fatto che esso è spesso caratterizzato dall’aggettivo υγρός e come
confermerebbe la stessa etimologia di έράω (2). T u tto ciò permetterebbe
l’interpretazione esatta di un passo finora non inteso e precisamente di
Hes. T h eog. 609: «for him from his α?.ών evil contends with good for exi­
stence» (p. 204), dove « f o r existence» traduce έμμεναι. In realtà non è af­
fatto chiaro come αιών possa in tale passo avere il significato di «fluido
cerebro-spinale»; e lo stesso O nians, che evita qui una appropriata tra­
duzione di άπ’αΐώνος, suggerisce in u na nota u n ’altra interpretazione: «from
h is f a te » oppure « fro m h is gen iu s », che non si vede assolutamente come si
possano inserire in un contesto del genere. Ad ogni modo, αιών sarebbe
stato dunque il «procreative life-fluid» identificabile con la vita stessa
(p. 108ss.), il liquido seminale posseduto dall’uomo come da tutto ciò
che vive e dà vita: anche i fiumi, detti da Eschilo πολύτεκνοι ossia «ferti­
lizzanti» (S u p p l. 1028), hanno evidentem ente il loro αιών (p. 230 e n. 8).
Uno scolio euripideo (P hoen . 347) ne darebbe conferm a: περιρραίνεσθαι...
συμβολικώς παιδοποιίαν εύχόμενοι έπεί ζωοποιόν το ύδωρ κα'ι γόνιμον: «ι. e.
αιών», conclude l’O nians (p. 230), che altrove trova modo di mettere in
relazione αιών anche con l’O ceano (pp. 247-253). Questo originario rife­
rim ento di αιών ad un liquido, trasparirebbe anche dal verbo αίονάω, «I
moisten, foment, apply liquid to the flesh» (e dai suoi derivati e com­
posti έπαιονάω καταιονάω, αίόνησις, αίόνημα ecc.), che sarebbe collegato
ad αιών come δαίμων a δαιμονάω (pp. 209, 221s., 230) (3).*10

(1) Pp. 202ss.; per il sudore, cf. 191ss. Il sudore del morente, come in genere i
sudore, è αΙών che lascia il corpo (p. 254); benché non sia necessario pensare che esso
10 lasci completamente con la morte, aggiunge l’Onians.
(2) Veramente sorprendente l’etimologia suggerita dall’Onians: «‘I pour out (h
quid)’ related to Ιρση» (p. 202, 5; cf. 177s., 9), mentre Ι ρ α μ α ι sarebbe stato «I pour out
myself, emit liquid», «I am poured out». Se έράω si è specializzato nel senso di «amare»,
11 valore primitivo si sarebbe conservato nei composti έξεράω «vomito, emetto», κατεραω
«verso», ecc. I dizionari etimologici distinguono due verbi diversi: ma mentre por
secondo si possono stabilire dei confronti soddisfacenti (lat. ros, ai. ràsah, cf. άρσγ1 ’
per il primo l’etimologia rimane incerta.
(3) Altrove (pp. 221s.), l’Onians parla di αίόνησις come di «infusion of αίων»· °8
A P P E N D IC E
*33
Questo fluido doveva essere concentrato nel capo e connesso col mi-
dolio spinale: di q u i il significato di μυελός assunto talora da αίών sul quale
l’O nians disquisce p e r varie pagine (pp. 250ss.), m ettendo bene in rilievo
il valore sacrale d ella spina dorsale sia presso i Greci che presso altri po­
poli (p· 208, 2 e 3) e la stretta connessione fra anim a (ψυχή ) e midollo
(p. 206). S o p rattu tto egli insiste sul fatto che sembra attestata, presso i
Greci, la credenza nella trasform azione del midollo spinale in serpente dopo
la morte (1). Si passa q u in d i a considerare i successivi significati assunti
da αίών: no n è difficile capire come la parola indicante il fluido vitale,
spiega lO n ia n s, potesse indicare anche la «vita» che da tale fluido è rap ­
presentata e q u in d i anche il «tem po della vita» che ne dipende (pp. 208s.
213ss.). L a progressiva dim inuzione di αίών è infatti indissolubilmente le­
gata al progredire del tem po, così come la sabbia della clessidra si riduce
continuam ente col passare delle ore (p. 215). «The dead were for the
Greeks pre-em inently ‘d ry ’» (p. 254), come risulterebbe pure da frasi
quali τά νεκρούμενα ξηραίνεται (cf. Simpl. P h y s . 23, 21) : e la concezione del­
la vita come progressiva dim inuzione di liquido vitale sarebbe provata anche
dall’espressione αύαίνειν βίον (Soph. E l . 819; cf. P h il. 952) (2). Peraltro,
questo passaggio sem antico avvenne in epoca postomerica: ancora in
Pindaro, infatti αίών vale spesso «fife-fluid» sia in riferimento all’uomo
che alle piante, come l’O nians pretende di rilevare nel fr. 184 (p. 219),
dove invece si presenta, com e s’è visto, u n indiscutibile valore temporale.
In Pindaro, però, αίών non è solo il fluido vitale, bensì anche «a compel­
ling destiny, a δαίμων controlling fife» (p. 405s.) : questo basta all’Onians
per riconoscere, nell’aicóv di Is th m . V i l i , 14, l’alato δαίμων che volteggia
sull’uomo con u n a ταινία in alcune pitture vascolari (pp. 406, 402s., 431s.).*lo

liquido, già d i p er sè , d o veva essere u n balsam o; e certo anche αίών, benché i testi non
lo dicano, d ov ev a essere d iven tato, ad u n certo m om ento, una specie di unguendo o di
«salutary liq u id» d a introdursi n el corpo (pp. 209ss.). Si pensi a T27 : senza αίων, il corpo
si corrom pe, se u n d io n on si affretta a sostituirlo con un altro liquido im m ortale nelle
cavità cerebro-spinali (p. 205) !
(1) Cf. A el . N a t. An. I, 51; O vid . Metam. X V , 389; P lin . N at. Η. X , 66, 188. Per la
Ψυχή> cf. N ilsson, The minoan-mycenaean Religion, 273s. ; per tutto ciò, cf. O nians, p. 206.
(2) Q u esta op p osizion e ξηρότης-ύγρότης (cf. p p. 214ss.), sostenuta com e si vede
con degli elem en ti tu tt’altro ch e con vin cen ti, risulterebbe evidente anche d all agget­
tivo διερός, ch e varreb b e sia «viv en te» ch e «u m id o»: cf. δ. βροτός, ζ201; ζωός βροτός,
ψ187 ; H es. Op. 460. A nche q ui I’O n ia n s riconduce alla m edesim a radice due parole ch e
sii etim ologisti riten gon o d iverse e cita a sostegno della sua tesi alcune oscure glosse d i
Esichio: χλωρόν- ύγρόν, χλωρόν καί βλέποντα’ άντί τοϋ ζώντα; cf. A esch. Ag. 677: ζωντα
*<*ί βλέποντα (ρ. 2 55).
APPENDICE
134

Così è pure in N em . I l i , 78 ed in 0 1 . II, 11, dove peraltro αιών richiame­


rebbe l’immagine di un auriga (p. 406) (come proverebbe il confronto
con Π 724 e 732 ( ?) e specialmente con Nonn. D io n . X X IV , 267, dove
Αιών è detto ηνίοχος βιότοιο!) e la concezione del fato come «yokestrap
and yoke» (pp. 407ss.). È di qui, conclude l’Onians, che deriva proba­
bilmente Timmagine platonica della ψυχή razionale che domina gli appe­
titi (P haedr. 246ss.; cf. Parm. B1 ed Anacr. 4 (!)). Ad ogni modo, questa
nuova accezione di αιών = δαίμων non è affatto in contrasto con l’acce­
zione di «midollo spinale», anzi deriva proprio da quella: anche il Chro-
nos orfico dalla forma di serpente è infatti da collegare con αιών, «wich
was not only the procreative life fluid with wich the ψυχή was identified
(cf. pp. 108ss.), the spinal marrow believed to take serpent form, but also
came to mean ‘lifetime’, ‘period o f time’ and so ‘eternity’» (p. 251) ! Coe­
rente colle sue premesse, l’Onians rifiuta l’apparentamento αίεί-αίών: αίεί
sarebbe un avverbio dall’oscuro significato, che ad un certo momento
viene accostato, per «popular association», ad αιών, favorendo il conso­
lidarsi del termine nella accezione temporale e, più tardi, nel valore «eter­
nità» (p. 209). Αίών sarebbe legato etimologicamente con αίόλλω ed αίόλος
cf. ingl. soul, aglss. sa w o l, got. sa iw a la (cf. s a iw s, «a body of water»), sk.
àyuh, «vital element, life, lifetime» [ib id .).
Non è difficile vedere come tutte queste suggestive argomentazioni
abbiano il torto di essere prive di basi concrete. Di tutta la costruzione
dell’Onians l’unico punto che meriti di essere discusso è quello se αίών
indicasse o meno il «liquido vitale». Se si potesse ammettere che questo
era il valore originario e fondamentale del vocabolo si sarebbe natural­
mente autorizzati a sospettare un legame fra αίών e quel verbo αίονάω, la
cui etimologia è tuttora piuttosto oscura (1) : m a ciò si oppone sia ai dati
della linguistica comparata, sia anche a quelli stessi fornitici dal greco.
In effetti, l’Onians può appoggiare la sua tesi solo alla espressione ome­
rica κατείβετο αίών di ε152 (ricalcata nel verso adespoto citato dall’-Et. M .
182, 1: της δ’ όλοφυρομένης άμφ’ άχνύι είβεται αίών), espressione che egli
prende troppo facilmente alla lettera, così come fa per αύανώ βίον di Soph.
E l. 819 (2). Che εϊβω e κατείβω siano tipici delle lacrime o dei liquidi, non

(1) Sono state proposte due spiegazioni: il F ick, Gött. gel. Anz. 1894, 229, lo colle­
gava col vedico e sanscrito isyämi drapsäm «lascio cader la goccia», mentre il Bezzemberger
(B.-Prellwitz, Beiträge zur Kunde der indog. Sprachen, Göttingen 1887-1906, 27.144) col
lit. sj/vai (da *aaifoväjto).
(2) In ε152 la metafora (cf. H esych. κατείβετο· διεφθείρετο) è suggerita dal δακρυο-
φιν che precede e dall’èSupopévcp che segue il κατείβετο... γλυκύς αίών: Odisseo piange
a p p e n d ic e
Γ35
com porta affatto che q u i «fàv d e b b a essere esso
al presunto significato di «sperm a», che e ra SS° “ n ii(*uido· Q u an to
non v’è assolutam ente nessun elem ento chp SOS,t enuto d a W E is le r ,
supporre p ro b a b ile (1). ° ren d a sicuro o Io faccia

„„ intendersi in senso tem porale o no.


e, nel pianto, «consum a» la sua «vita», sia e κατείβετ0 θυμός άκουη (IH .
Appollonio R odio d irà poi κατείβετο θυμόν άνίη ( >
1 1 32): cf. p u re Athen. X III, 600f. . ζωοποιόν τό δδωρ καί γόνιμον =
(1) È ch iaro c h e è d e l tu tto a rb itra n o in p q n ia n s. A n ch e I’Eisler, W u H
αιών n e l citato schol. E ur. Phoen. 347, co m e vorre · 7 ^ . 2 ( = H ip -
707, 5, sostiene c h e αιών era « Q u e lle d es Sperm as», . εχναι>; si p u ò fare la stessa
PoN. AIO: Vars*. I , 386, 2 1 ) : ot δέ δδωρ γονοποιόν <τήν ψυχί)
osservazione.
BIBLIOGRAFIA
a) O p ere specifiche su αιών:

L acke i t , C ., Aion: Zeit und Ewigkeit in Sprache und Religion der Griechen, Diss. K ö­
nigsberg 1916. Q u est’opera d i 111 p agine esam ina, dal punto d i vista esclusivam ente
linguistico, l’evoluzione sem antica di αΙών da O m ero alla Cristianità. I vari punti
dove sono in accordo o m en o con il Lackeit — e questo valga anche per tutti gli
altri autori — sono am piam en te discussi nelle note. D egne d i rilievo sono le re­
censioni fatte a quest’opera dal Sasse, BnJ 1921, 462 e dal M e l t z e r , BPhW 1917,
137ss. L a seconda parte d i quest’opera (Religion) non fu m ai pubblicata; esiste
però — dello stesso L a c k e it — l’articolo Aion nella RE, Suppl. I l i , 64ss.
B enveniste E ., Expressions indoeuropéennes de Vétemité, BSL X X X V I I I (1937), 103ss.
D um ézil G ., Jeunesse, étemité, aube: linguistique et mythologie comparée indoeuropéennes, A H E S
X (1938), 289ss.
F e stu g iè re A .J ., Le sens philosophique du mot Α ΙΩ Ν , PP X I (1949), 173ss.
P hilippson P ., II concetto greco di tempo nelle parole αιών, χρόνος, καιρός, ένιαυτός, R SF IV
(1949), 81ss.

* * *

Le seguenti opere ed i seguenti articoli si occuparono, dal punto di vista religioso,


psicologico o puram ente archeologico, d el periodo tardoellenistico e cristiano:
H anso n I. W . Aion, Aionios, C hicago 1880.
J u n g C .G ., Aion. Untersuchungen zur Symbolgeschichte, Psychol. A bh. V i l i , Zürich 1951.
J u n k e r Η., Ueber iranische (Quellen der hellenistischen Aionvorstellung, V B W I (1921-1922),
122ss.
L ev i D ., Aion, H esperia X I I I (1944), 269ss. Tratta d ei m osaici del dio ellenistico, sui
quali cf. pure P. B o y an cé, M A H R L I I , 10ss.; N ilsson, Eranos LV , 115ss., 269ss.,
SO X X I V , lss .; F e s tu g iè r e , R A , V I I , 195ss.; W ill, A A S III, 27ss. Su altre tarde
figurazioni, cf. S e y rig , A IP H O X I I I , 603ss.; L e g la y , M A H R L X , 129ss.; Pesce,
BSAA X X X I I I , 221ss.
L ö w e R .L ., Kosmos und Aion, G ütersloh 1935.
N ock A .D ., A Vision of Mandulis Aion, H T h R X X V I I (1934), 53ss., 78ss.
O w e n E .C .E ., Αιών and αιώνιος, J T h S X X X V I I (1936), 265ss., 390ss. È una ricca rac­
colta d i m ateriale per il Lexikon of Patristic Greek.
BIBLIOGRAFIA

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— Saeculum, Saeculum II (1953), 152ss.
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W einreich O ., Aion in Eleusis, A fR w X I X (1919), 174ss.
Z e p f M ., Der Gott Aion in der hellenistischen Theologie, A fR w X X V (1927), 225ss.

b) Altre opere:

Bianchi U ., ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, Rom a 1953.


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Bidez-Cumont, MH: J.B. - F.C., Les Mages hellénisés, I-II, Paris 1938.
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und Leipzig 1889.
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Berlin 1925.
C h risten sen A ., Etudes sur le Zoroastrianisme de la Perse antique, Kcebenhavn 1928.
C o v o tti A., Le teorie dello spazio e del tempo nella filosofia greca fino ad Aristotele, AP X II
(1897), 161 ss.
Cumont, TM M M : F.C., Textes et monuments relatifs aux mystères de Mithra, I-II, Bruxelles
1896-1899.
— Zoroastre chez les Grecs et la doctrine zervaniste, R H L R 1922, lss.
D e l a H arpe, L'idée du temps: J. D e l a H ., Le progrès de l’idée du temps dans la Philosophie
grecque: Festschrift zum 60 Geburtstag von A. Speiser, Zürich 1945, 128ss.
D iano, Syngraphi: C.D., La data dipubblicazion della Syngraphi di Anassagora: ANTHEM ON,
Scritti in onore di C. Anti, Firenze 1955, 234ss.
— FE: Forma ed evento, Venezia 1952.
— Edipo: Edipo, figlio della Tyche, Dioniso IV (1952), 31ss.
— Lettera a P. De Francisci, GCFI III (1953).
— L’eterno ritomo. Delta IX (1956), 61ss.; Approdo II (1952), 13ss.
— Il concetto: Il concetto della storia nella filosofia dei Greci: Grande Antologia Filoso­
fica Marzorati II (1954), 247ss.
— Fenom.: Linee per unafenomenologia dell’arte, Venezia 1954; cf. Delta V I (1954), lss.
D uchesne J.-G uillem in, Z moa~itre> Paris 1948.
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in Le système du monde, Paris 1913, 79ss., 180ss., 244ss.
E lia d e M ., Le mythe de l’itemel retour, Paris 1949.
— Trattato di storia delle religioni, Einaudi 1954.
— Images et symboles, Paris 1952.
— Puissance et sacratiti dans l’histoire des religions, EJ X X I (1952), llss.
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L evi A., H concetto del tempo nella filosofia greca fino a Platone, R F N X I (1919), 44ss., 255ss.
371ss., poi raccolto n el volu m e II concetto del tempo nei suoi rapporti coi problemi del
diveniree dell'essere nella filosofia greca fino a Platone, M ilano 1919.
_ Il concetto del tempo in Aristotele, A th X X V (1948), 3ss.
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B IB L IO G R A F IA
142

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W a ld e -P o k o r n y , WIS: A.W.-J.P., Vergleichendes Wörteburch der indogermanischen Spracheny
Berlin 1927ss.

Varie altre opere, alle quali ho fatto meno spesso ricorso, sono citate nel corso del
lavoro. Non mi è stato possibile consultare L. P ep in , Le dieu alexandrin Aion, tesi di laurea
dell’Università di Louvain (cf. RBPhH X X IV , 1945).
INDICI
INDICE DEI LUOGHI CITATI

AELIANVS 774: 60;


Nat. an. 1,51 : 131,1 870s.: 58,90
927: 58,90
Suppl. 46: 53
AESCHYLVS
574: 64; 73
Ag. 76: 24,18 582: 64
107: 59 1028: 132
229:54,83; 59
246: 54,82 AMMONIVS
398: 49,76 p. 30 Valck.*: 19,4
554: 57,88; 64
677: 133,
ANACREON (Diehl)
715: 54; 57,89
1148: 53 Fr. 4: 134
1493: 56 196: 46; 48,73
1517: 56
ANAXAGORAS
Ch. 26: 64,102; 65
350: 30; 54 A 102: 122
442: 54
Eum. 315: 53 ANAXIMANDER
322: 81,124 A 10: 70,107-8
563: 64,102; 65
885s.: 59,92 ANAXIMENES
970s.: 59,92 A 6: 70,108
Fr. 350,1: 58,60
Pere. 264: 60 ANECDOTA GRAECA (Bekker)
711: 58,90 357,18: 22,12
1007: 65 363,17: 54,83
Prom. 449: 54,84; 63,98
537: 55 ANTHOLOGIA GRAECA
862: 18,2 Ant. Pal. VII,225: 49,79
Sept. 11: 60,93 IX,51: 66
219: 53 ΙΧ,ΙΙΙ: 21
744: 60; 71 Ant. Plan. IV,43: 49,76

«ο - E. DECANI - “ΑΙΩΝ da Onero ad Aristotele,


INDICE DEI LUOGHI CITATI

ANTIPHON ORATOR 401al5: 120,210


I, 121: 21,10; 24,19 401al6: 87,136
De part. anim. 644b22-23: 86
ANTIPHON SOPHISTA Fr. 17.1477al0: 90
B 9: 123,215 18.1477a25:90
21.1477b22: 90
B 44: 71, 110
40.1481a39: 86, 134
APOLLONIVS RHODIVS Meteor. 339a20: 90
339b4: 90
III, 1131: 135,0
353al5ss.: 87,135
III, 290: 135,0
II, 509: 105,170 Metaph. 1072b28-30: 86
1072b35: 85
1073a3: 85
ARETAEVS
1075a8-ll: 86
CA, I, 5: 91,149
Phys. 218a33: 119,203
218M: 119,203
ARISTOPHANES
218b5-7: 119,203
Ach. 211: 27 219M: 84s.
Av. 693ss. : 102 221a27: 84,131; 87,135
Eccl. 408: 56,87 221a28: 65,104
Eq. 524: 27 221b3-5: 84
PI. 50: 63,98 222a27ss.: 87,135
251bl0ss. 87,135
ARISTOTELES 251M7: 81,124
De An. 420a4: 59,92 263al5ss. : 87,135
De Cael. 270al3ss. : 85 265a25-bl6: 85
275b3-4: 84,131; 87,135 Rhet. 1374a33: 87,134
277b27ss. : 85
278b31-279al3: 86 ATHENAEVS
279a20ss.: 85 XIII, 600f: 135,0
279a22: 11; 86
279a22-28: 85 BACCHYLIDES
279a25: 17 Ep. I, 153: 46
279a26: 86
XI, 126: 59,92
279a27-28: 86
XIII, 61: 46
280a: 81,124
XIII, 206: 101, 159
280a21:90
283b26ss.: 81,124; 86
CALLIMACVS (Pfeiffer)
284a4s. : 85
284a7-12: 85 Fr. 178, 33: 18,2
Hymn. Iou. 8: 82,125
De gen. 337a23: 85
De lin. ins. 396a29: 87,135 CATVLLVS
De Mnnd. 391bl9: 87,136 Carm. LXXVI: 47
397al0: 87,136
397a31: 87,136 CICERO
397b7: 87,136 Tuse. I, 38: 119,204
IN D IC E D E I L U O G H I C ITATI
147

CLAVDIANVS DIONYSIVS HALICARNASSENSIS


In Eutr. 11,444: 56,86 III, 69: 41
IV, 15: 41
CLEMENS ALEXANDRINVS
Strom. 1,21: 119,202 EMPEDOCLES
1,107,5: 61,95 B 6: 71,111
V,14: 61,95 B 16: 71
B 17,6: 71,111
CORNVTVS
B 17,11: 71
Nat. deor. 17: 92,150 B 17,27: 71,111
B 21,12: 71; 105,170
CORPUS HERMETICUM
B 23,12: 71; 105,170
V i l i ,2: 92,149 B 26,1: 71,111
XI,lss. : 121 B 26,3: 71,111
B 26,4: 71,111
CRATINVS (Rock)
B 27,4: 72
Fr. 1,5: 57 B 31: 72
B 110,3: 71
CRITIAS (Diek) B 115,2: 92, 149
Fr. B 25,Iss.: 63 B 115,5: 71
B 25,34: 123,216 B 129,6: 60; 71
B 154: 71
DAMASCIVS (Ruelle) B 158: 18,2; 71,110
De princ. 124b. : 120
125bis: 112,187 ENNIVS
35,4 Vahl. : 21, 11
DEMOCRITVS
A 49: 70,108 EROTIANVS
A 56: 70,108
Gloss. Hippocr. p. 49 Rlein: 22; 23,14
B 1: 24,17

DEMOSTHENES ETYMOLOGICVM MAGNVM


De Cor. 199: 62 s.v. αιών: 22,12
296: 87,134 άχνύς : 18,2; 25,21; 134
βίος: 18,4
DE SVBLIME
34,4: 26,25 ETYMOLOGICVM GUDIANVM
s.v. αιών: 22,12
DIOCLIDES (Rock)
Fr. 14,5 :57 EVPOLIS (Rock)
Fr. 154: 27
DIOGENES APOLLONIATES
B 7: 92,149
EVRIPIDES
DIOGENES LAERTIVS Ale. 337: 54
Philos, uit. 1,119: 119 475: 64
Proem. 4: 120,211 Andr. 1215: 55; 57
INDICE D EI LUOGHI CITATI

Bacch. 92: 21 Rh. 933: 59,92


397: 55 Suppl. 787: 65; 121
Fr. 30: 57 960: 58,90
42: 60,93 1005: 55
222: 122,215 1084: 55
239: 55
303: 121 EVSTATIVS
575: 54 1681,3: 34,50
801: 56
813: 55 FLORVS
Her. f. 655: 55
1,7: 41
664: 28,29
669: 50,81
GREGORIVS NAT.
671: 55; 63,99; 103
777: 121,213 Or. 38,8: 89,140
980: 56
Hec. 755: 55 HERACLITVS
757: 55 A 1: 70,108
Hel. 142: 56 B 6: 74,115; 107,152
213: 57; 58,90 B 30: 75; 100, 158
226: 21,10 B 50: 70,108; 74
B 52: 72,113; 73ss.; 100,158; 107,172
Heraclid. 900: 13; 58; 99,158
B 53: 99,158
Hippol. 255: 24,18
952ss: 105 HERODOTVS
1109: 55
I, 32,5: 56
1426: 64
II, 98: 38
1426ss. : 105
II, 109: 113,190
Ion 126: 58,90 III, 40,2: 56
625: 55
V, 9,3: 43,66
1042: 60,93
VI, 46,4: 56
1600:56 VII, 46,2: 55
Iph. Aul. 551: 58,90 VII,46,3: 55
1508: 21,10; 48;58 IX,17,4: 56
Iph. Taur. 1122: 57 IX,27,3: 56
Med. 243: 55
429: 54;58 HERMIAS
646: 21,10; 54 Irris. 2: 135,1
670: 55 12: 120
Or. 496: 56
603: 57 HESIODVS (Rzach*)
948: 21,10 Fr. 161, 1 e 4: 27s.; 31,39
981: 55 A,8 Merk.: 27
Phoen. 1109: Op. 239: 25,22
1484: 19,6; 55 284: 25,22; 27,28
1520: 55; 57,89 297: 25,22
1533: 55 460; 133,2
INDICE DEI LUOGHI CITATI
»49
Se. 173: 20,7 Z 27: 19,6
310: 92,149 H 222: 34
331: 18,2; 19,6; 28 558: 72,114
Th 603-612: 25,22 I 403: 27
607ss.: 25; 132 415: 24; 25,20; 131, 1
K 523: 72,114
h e s y c h iv s
Λ 236: 22,13
354: 20,7
s.v. αίε£: 64,100 M 386: 19,5
άιδίων: 92,149
O 360ss. : 100,158
αιών: 22,12; 23; 56 Π 107: 34
άντκρερίζει: 26,23
203: 24,16
$ροόν: 35,53 339:22
κατείβετο: 134,2 410: 19,5
πραπίδες: 24,16 453: 19; 21
^αχίζειν: 24,17 724: 134
χλωρόν: 133,2 732: 134
P 302: 24; 131,1
HIPPARCVS Σ 82: 24,19
68C3: 70,108; 92,152 T 27: 21; 133,0
Y 108: 24,18
Φ 518: 39,59
HIPPOCRATES
X 54: 25,20
Aph. 1: 55 58: 18,2; 19; 28
Aèr. 86: 22,14 60: 58,60
Acut. 7: 22,14 161: 20,7
Cam. 19: 22,14 467: 20,7
De fract. 11: 22,14; 23,14; 71,110 501: 24
Epid. VII, 122: 22; 23,14 Ω 44: 24,19
Morb. 2, 51: 22 99: 39,59
725: 24; 27,26; 59; 131,1
HIPPOLYTVS « 160: 18,4
Ref. VII, 29: 71,112 263: 39,59
354: 24,19
IX, 9: 70,108; 74s.
379: 39,59
ß 46: 24,19
HOMERVS 100: 49,76
A 52: 39,59 143: 39,59
70: 117 290: 24,18
290: 39,59 γ 74: 20,7
491: 25 147: 39,59
494: 39,59 238: 49,76
Δ 170: 46 455: 19,5
478: 24; 131,1 8 582: 39,59
E 296: 19,6; 20,7 c 7: 39,59
637: 27 152: 25; 39; 131; 134
685: 19; 21 160: 25; 131
696: 19; 20,7 ζ 201: 133,2
IN D IC E D E I NOM I C IT A T I

η 224: 19; 21 LEXICON περί πολυσημ. λέξεων


a· 306: 39,59 s.v. αΙών: 22,12
365: 39,59
522ss.: 131 LIVIVS
t 459: 22 V ,54,7: 41
523: 19
μ 350: 24,19 LVCRETIVS
371: 39,59
V,58: 38,58
377: 39,59
414: 19,5 V,306: 38,58
V 144: 39,59 V,379: 38,58
ξ 96: 18,4; 72,114
426: 20,7 LXX
ο 494: 25,20 Ex. 15,18: 57,88
σ 204: 25; 131
254: 18,4 MAXIMVS CONF.
τ 145: 49,76 Ambig. p. 162a: 89,140
204ss.: 131
υ 27: 34 MELINNO
χ 154: 20,7
Hymn. Rom. 13: 49,78
245: 20,7
ψ 187: 133,2
MENANDER (Körte)
ω 536: 18,4
Fr. 656,5: 57
Hymn. Apoll. 361: 19,5
Hymn. Heph. 6: 28
[MENANDER]
Hymn. Merc. 42: 22
119: 22 Monost. 351 Meineke: 54,84

IOHANNES DAMASG. MOSCHIO (Nauck2)


1,153c: 12; 89,140 Fr. 6: 61; 123

IO N GHIVS NONNVS
Fr. 1,15: 46 Dion. V,26: 22,13
X III,493: 22,13
INSCRIPTIONES X X IV ,267: 134
Ditt. Or. 383,44: 114,194 Par. Eu. Joh. 9,159: 61,94
Kaib. Ep. gr. 742: 29
IG X IV ,737: 26,25 OLYMPIODORVS
Iscr. ostiense (RPAA XXI,123s.): 104 In Ar. Meteor, p. 146, 16 Stüve: 92,149;
SEG X V ,594: 56,87 104s.
SIG® 1125: 89s.
ORPHICA (Kern)
ISOCRATES
Fr. 4: 105
1,11: 87,134 68: 120
95: 73; 104,168
IVSTINVS 142,2: 104,168
De Mon. 3,136: 61,95 223,2: 18,2; 21; 104,168
INDICE DEI LUOGHI CITATI

245,4: 18,2; 19,6; 104,168 184:47; 133


247,5: 18,2; 19,6; 104,168 217,9: 1 2 1
292,1: 63 255: 121
H ym n. 1,28: 99 282: 2 1 ,1 0
III,8: 102,163 Nem. 1,47: 20,7
Π,8 : 49
OVIDIVS III, 78: 50; 54,84; 134
Metam. X V ,389: 133,1 IV, 42: 48,71; 110,178; 1 2 1 ,2 1 2
VII, 12: 59,92
PAPYRI GRAECAE MAGICAE IX, 44: 19,6; 46
XII, 2,146: 11,1 X, 56: 47,70
X, 89: 48
PARMENIDES XI, 43: 48,71
A 34: 92,149
Pyth. 1,46: 1 2 1
B 1: 134
III, 86: 47
B 3: 81
IV, 177: 1 2 1
B 8,5: 81
IV,186: 19,6; 47
B 8,7: 81
IV, 255: 48,72
B 8,13: 71,111
V, 7: 19,6; 47
VIII, 15: 121
PAVSANIAS
VIII,96: 50,81
VIII,102: 46
1,22,7: 119,202 XI, 55: 47,70
V II, 26,8: 58,91 XII, 30: 48,71; 1 2 1
VIII, 18,1: 120,211
Ol. 11,11: 49; 50,81; 105; 134
11,19: 43,66; 45; 121
PHERECYDES
11,32: 47,70
B 1: 119s. 11,68: 47,70
11,74: 46s.
PHILOLAVS IV,30: 60,93
B 21: 70,108; 87,136 VI,97: 121
B 23: 70,108; 87,136 IX, 64: 48s.
X, 55: 110,178; 121,212
PHILOSTRATVS X,87: 110,178; 121,213
Her. p. 197 Kayser: 24 XII, 13: 121
XIII, 2: 58,91
PINDARVS (Turyn)
PLATO COMICVS (Kock)
Isthm. 111,18: 49s.
V II,42: 21,10; 48; 59 Fr. 173,14: 59,92
V i l i ,14: 50; 63,99; 133
PLATO PHILOSOPHVS
Fr. 24: 71,111; 121
42,22: 71,111 Crat. 409a: 34
46,87: 48 Epin. 892a: 28,29; 92
91,3: 61,94 Gorg. 448c: 91
118: 22 Legg. 701c: 91
129,5: 47 872a: 2 1 ,1 0
136,3: 20 844b: 59,92
INDICI DEI LUOGHI CITATI

889d: 122,215 PROCLVS


904a: 91,149 In PI. Crat. 396b: 120
Phaedr. 242a: 27 In PI. Remp. 17, 10 Kroll: 13; 84s.
246ss.: 134 In PI. Tim. 9, 12-15 Diehl: 88,140
Tim. 29a: 77 Inst. 172: 91,149
30b: 77,120
QVINTVS SMYRNAEVS
31b3: 79,121
34a: 77 Postom. VI,586: 18,2; 21
36e4: 64,102
SAPPHO (Diehl)
37d-38c: 78ss.; 81,124; 92,149
38b: 64,101; 82,124 Fr. 94: 62,97
38c2: 79,121 120: 66,105
39e: 77
SCHOLIA
41e: 123
41e: 123 Aesch. Ag. 1148: 53,82
42d: 123 Sept. 219: 53
73bss.: 24,17 774: 61,94
44c: 28,29 Callim. Hymn. Del 293: 58,90
Eur. Ale. 338: 91,149
Resp. 363c-d: 105
Phoen. 347: 132; 135,1
Soph. 248a: 77,120 1484: 55
249d: 77,120 Hes. Th. 609: 26
Horn.: schol. AB ad T27: 18,1
PLAVTVS B ad X58: 18,1; 91,148
Stich. 462: 18,4 BT ad Ω725: 18,1
Trin. 477: 18,4 D ad Δ478, Ω725: 18,1
D ad X58, Ω725: 18,1
PLINIVS DT ad T27: 18,1; 22
vulg. ad ε152: 18,1
Nat. Hist. X,6 6 : 133,1 Pind. Ol. X,55: 110,178
X,188: 133,1
XXXIV,55: 99,158 SCYTHINVS TEIVS

PLOTINVS SILIVS ITALICVS


III,7,3,lss. : 92,149 XVII,556: 56,86
111,7,4: 89
SIMONIDES (Diehl)
111,7,5: 89
Fr. 4,5: 46; 48,73
5,5: 101,159
PLVTARCHVS 9: 46
Cons. Apoll. 35,p. 120cd: 20,9 57: 46
De an. procr. 5: 81,124 75: 101,159
De Iside 32: 120,210 130,3: 18,2; 19,6; 46
46ss.: 112,187
SIMPLICIVS
In De Cael. p. 367, 27 Heiberg: 86,132
PROBVS In Epict. p. 77 Diibner: 91,149
Ad Verg. Bue. VI,31: 120 In Phys. p. 700, 19-20 Diels: 119,203
INDICE DEI LUOGHI CITATI
I5 3
SOPHOCLES SV D A
Aj. 194: 58,90 s.v. αιών: 22,12; 88,140
473: 54,84 Εύαίων: 56,87
517: 49,76 Όρφεύς: 119,202
645: 54 Φερεκύδης: 119,204
645: 54
646-715: 110,178 TH EOCRITVS
1031: 56 X X V III,18: 24,18
Ant. 275: 49,76
582: 54 THEOGNIS
987: 58,90; 92,150; 105,170 730: 20,7
El. 819: 133; 134 1131: 87,134
1024: 64
1086: 54 THEODORVS MOPS.
1444: 21,10 In Gal. 1,4: 91,147
Fr. 543,1: 58,90
1027: 61s TH VCYDIDES
Oed. C. 7: 60,92 1,70,25: 56
150: 58,90 V II,21,3: 92,149
152: 58.90
TIM AEVS LOCRVS
327: 58,90
875: 60,93 97D: 88,140
1109: 58,90
1090: 49,76 TIM OTHEVS
1736: 54 Fr. 6e, 140: 46
Oed. R. 518: 58,90 6e, 220: 46,69
1082: 60.92
1098: 58,90; 105,170 TZETZES
1099: 92,150 Ad Hes. Op. 687: 18,4
Ad Lycophr. 682: 27
Phil. 178: 54
827: 58,90
VERGILIVS
»52: 133
Aen. 1,283: 61,95
Phil. 1158: 21,10
11,532: 56,86
1348: 54
11,562: 56,86
Trach. 2: 54
Eel. IX .51: 66
34: 57
81: 58,90 Georg. 11,291: 35,53

[SOPHOCLES] XENOPHON
Fr. 1027 N .2: 61s. Ages. X ,4: 56
X I,15: 56
STOBAEVS Cyr. 11,1,19: 56
Ecl. 1,8,40: 119,203 111,3,3: 56
1,8,43: 66 111,3,52: 56
IV ,44,81: 92,152 V III,7,1: 56
Flor. IV,22,88: 26,23 V III,7,3: 56
IN D IC E D E G L I A U T O R I M O D ERN I

A BBAG NA N O : 74 C A SSIR E R : 40, 58, 62, 74, HO, 112,


A H R E N S: 54 114, 116, 121, 123
A U T R A N : 120 C H A N T R A IN E : 29, 30, 31
A Y M A R D : 113 C H IA PPELLI : 114
BAILLY : 26 C O O K : 97
BA R IG A ZZI: 81 C O V O T T I : 81
BA R T H O L O M A E : 32, 33 C O W LEY : 113
BA T TEG A Z ZO R E: 123 C R E U T Z E R : 113
BAUER: 26 C U M O N T : 107, 109, HO, 111, 112
B A U M E IST E R : 88 C U R T IU S : 17
BECATTI : 104 D A N IE L SSO N : 33, 34, 35
BECHTEL: 37 D A R EM BER G -SA G LIO : 119
BEK K ER: 22, 54 D E C H A R M E : 120
B E N V E N IST E : 17, 23, 24, 25, 31, 32, D E G A N I : 124
33, 34, 35, 37, 38, 59, 69, 109, 112 D E LA H A R PE: 82, 83, 87
BERNAYS: 100 D E L G R A N D E : 47, 49, 54
BE ZZ EM B ER G E R -PR ELL W ITZ : 134 D E N N IST O N -P A G E : 59
B IA N C H I: 18, 48, 58, 97, 109, 110, 111, D E U SS E N : 120
112, 114 D IA N O : 58, 60, 74, 76, 77, 80, 82, 83,
BIDEZ: 113, 115 98, 102, 120, 121, 122, 123
B ID E Z -C U M O N T : 99, 108, 109, HO, D IE H L : 21, 45
111, 112, 113, 114, 119 D IÈ S : 74
BJO ERK: 26 D IE L S: 70, 72, 73, 92, 100
BLU EM EL: 35 D IE L S-K R A N Z : 75
B L O M FIE D : 61 D IE T E R IC H : 56
B O D R E R O : 74, 107 D IM IT R A C O S : 20, 26, 65
BO EC K H : 48, 49, 50 D IN D O R F : 58, 59, 64
BOISAQ,: 17, 35, 37 D IT T E M B E R G E R : 114
BO LLA R : 72 D U C H E SN E -G U IL L E M IN : 89, 107, 109,
B O U L A N G E R : 119 110, 112
BR IEG ER : 74 D U M É Z IL : 34, 40, 41, 42, 69
BR O E C K ER : 76 D U S S A U D : 110
B R U G M A N N : 29, 30, 34, 35 EB EL IN G : 19
C A H E N : 18 E ISL E R : 36, 70, 74, 88, 100, 101, 102,
CA PPELLER : 31 103, 109, 110, 113, 119, 120, 123, 135
C A R N O Y : 34, 120 E L IA D E : 32, 35, 109
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

ERNOUT: 31, 37 JUNKER: 109, 113, 114


ERNOUT-MEILLET : 30, 31, 34, 35, 36 JURET: 34, 36
FEIST: 30, 31 KAFKA: 74
FERNANDEZ-GALIANO : 49 KAHLO: 19
FESTUGIÈRE: 24, 25, 55, 57, 65, 6 6 , KAIBEL: 29
71, 72, 79, 91, 101, 102 KERN: 89, 103, 105, 110, 123
FICK: 35, 134 KERSCHENSTEINER : 113, 115
FOESIUS: 23 KIRCHNER: 56
FRACCAROLI : 81 KIRK: 75
FRASSINETI! : 104 KOCH: 89
FRAENKEL ED.: 30, 53, 59, 60 KOHLBRUGGE : 98
FRAENKEL ERN.: 34 KOSTER: 113
FRAENKEL H.: 36, 43, 48, 49, 50, 63, KRETSCHMER: 35
74, 117, 118, 120 KROLL J.: 89, 99
FURLANI : 110 KROLL W.: 89
GELDNER: 31, 32 KUEHNER-GERTH: 27
GENTILI: 46 KURYLOWICZ: 30
GERNET-BOULANGER: 108, 113 LACKEIT: 11, 17, 18, 19, 20, 22, 24, 27,
GIGON: 74 31, 36, 46, 48, 50, 55, 56, 57, 59, 60,
GILBERT: 74 61, 62, 63, 64, 65, 6 6 , 69, 70, 74, 84,
GLADISCH: 108, 114 8 6 , 87, 8 8 , 90, 91, 92, 103, 107
GRASSMANN: 31, 32 LANGERBEEK: 92
GREENE: 48, 120 LARFELD: 102
GRUPPE: 103, 119, 120 LASSALLE: 100
GUARDUCCI: 104 LAYARD: 110
GUNDERT: 48, 49 LEISEGANG: 75, 8 8 , 115
GUTHRIE: 100 LEITZKE: 48
GUZZO: 80 LEJEUNE: 30
HAMP: 30 LEVI A.: 74, 75, 81, 82, 84, 87, 101, 111,
HARTKE: 89, 97, 115 112, 113, 114, 119, 120, 123
HATCH-REDPATH : 70, 87 LÉVY: 100
HEINIMANN: 123 LÉVY-BRUHL: 23
HERBIG: 30 LIDDELL-SCOTT-JONES-McKENZIE :
HERMANN: 54 17, 24, 25, 36, 57
HEYNE: 27, 50 LITTRÉ: 23
HIELMSLEY : 38 LOEWE: 70
HILLER: 59 LUDWICH: 2 2
HIRT: 36 MACCHIORO : 74, 99
HOFFMANN: 30 MACHT: 70
HOFMANN: 35, 36, 37 MAINARlC: 74
HUMBERT: 27, 28 MARMORALE: 47, 104
ITALIE: 61, 64 MARZULLO: 35, 62, 101
JACOBY: 25 MASTRELLI: 32
JAEGER: 71 MAZON: 25, 26, 27, 53, 54, 59, 60, 61
JEBB-PEARSON: 61 MAZZANTINI : 74
JEREMIAS: 1 1 1 MEILLET: 29, 38
JOEL: 74 MELTZER: 12, 18, 20
JOHANSSON: 33 MÉRIDIER: 54, 64, 65
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
I5 7
MERKELBACH: 27 RZACH: 26
MEYER: 112 SASSE: 70, 89, 97, 107, 109, 114,«115
MILLER: 71 SCHAEDER: 1 1 2 , 114
MONDOLFO: 39, 70, 74, 79, 81, 108, SCHEFTELOWITZ: 1 1 0
109, 113, 120, 121, 123 SCHICK: 2 0 , 24
MOULTON-MILLIGAN : 26 SCHLEIERMACHER: 113
MOELLER: 43 SCHMID-STAEHLIN : 48, 99, 123
MUELLER: 54, SCHMIDT: 19
MURRAY: 53, 54, 59, 61 SCHNEIDEWIN: 72
NAUCK: 61, 72, 124 SCHNEIDER: 18
NILSSON: 18, 19, 20, 89, 102, 103, 107, SCHOEMANN: 27
120 SCHRADER-NEHRING: 24
NOCK: 110 SCHUHL: 32, 110
NORDEN: 123 SCHULZ: 101
NUMAZAWA: 111 SCHUSTER: 74
NYBERG: 109, 111 SCHUETZ: 59
ONIANS: 131, 132, 133, 134 SCHWARZ: 25
OPFNER: 11 SCHWERING: 34
OWEN: 12, 26, 42, 64, 70, 75, 8 8 , 91, 92 SCHWYZER: 19, 29, 30
PAGLIARO: 98 SEILER: 38, 39
PALEY: 27 SIDGWICH: 58
PARMENTIER: 34, 55 SNELL: 19, 45, 98
PASSOW: 24, 26 SOEDERBLOM: 20
PATRUBÀNY: 42 SOLMSEN: 35
PEARSON: 59, 131 SPIEGEL: 112
PEPPMUELLER: 27 SPECHT: 30, 32, 35
PETERICH: 120 STABILE: 30
PETTAZZONI: 11, 109, 110, 111, 112 STADTMUELLER : 21, 65, 70, 91, 97,
PFISTER: 120 99, 107, 115
PHILIPPSON: 28, 31, 32, 36, 43, 70, STCHOUPAK-NITTI-RENOU: 32
[ f 74, 82 STEPHANUS-DINDORF: 19, 23
PISANI: 38 STELLA: 113
POHLENZ: 120 STRACK-BILLERBECK :. 70
POKORNY: 30, 31, 33, 34 STREITBERG: 30
PRELLER-ROBERT: 99 STROHM: 48
PRZYLUSKI: 113 SUETTERLIN: 30
PUECH: 48, 49, 50 TANNERY: 74, 102, 107
RADERMACHER: 22 TAYLOR: 79, 80
RADET: 113 TEICHMUELLER: 107
REINHARDT: 69 THOMAS: 123
REITZENSTEIN : 2 0 , 2 2 , 90, 1 1 0 , 113 TOURNIER: 57
REYNAUD: 36 TRAGLIA: 71
RIVAUD: 79, 1 2 0 TREU: 117, 118
ROBERT: 102 TROJE: 32, 36, 89, 107, 109
ROHDE: 2 0 , 24, 123 TURYN: 45
ROSCHER: 34, 99, 119, 120 VAN DER LEEUW: 20, 23, 32, 38, 39,
ROSE: 53, 61 40, 43
ROTH: 108 VAN WINDEKENS: 31, 34, 120
IN D IC E D E G L I A U T O R I M O D E R N I

VENTRIS-CHADWICK : 34 WILAMOWITZ : 17, 18, 22, 55, 59, 60,


VIVANTE: 20 61, 62, 6 6 , 73, 119, 121
VORLAENDER: 74 WINDENGREN: 109
VOSS: 58 WITHEY: 112
WACKERNAGEL: 36 WITTE: 19
WALDE-POKORNY : 30 WOPKENS: 26
WALDE-HOFMANN: 30 WUNDT: 24
WALZER: 74 ZAEHNER: 109, 111, 115
WASER: 99, 119, 1 2 1 ZAFIROPOULOS : 71
WECKLEIN : 61 ZELLER: 74, 81, 108
WEINREICH: 69, 79, 8 6 , 8 8 , 89, 90, 92: ZELLER-MONDOLFO: 108, 119
107, 115 ZELLER-NESTLE: 74, 100, 119
WERNIKE: 99 ZEPF : 8 6 , 90, 97
WIKANDER: 110 ZOEGA: 110
INDICE GENERALE
Al Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofìa pag. 7

Abbreviazioni delle Riviste .......................................................................... >> 9

Introduzione ................................................................................................ »

P arte P r im a : ΑΙΩΝ NELLA POESIA


Cap. I: Omero e Esiodo ...................................................................... » 17

C a p . II: La «Grundbedeutung» di ΑΙΩΝ ......................................... » 29


C a p . Ill: I lirici e Pindaro ................................................................... » 45

C a p . IV: I tragici, i comici e la prosa ............................................. » 53

P arte S econda : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA


Cap. V: I presocratici ...................................................................... » 69
C ap. VI: Platone e Aristotele ............................................................... » 77

P arte T e r z a : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE


Cap. VII: L’orfìsmo .............................................................................. » 97
Cap. V ili: L’oriente ............................................................................................... » 107
C a p . IX: ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ ............................................................ » 117

CONCLUSIONE ......................................................................................... » 125

APPENDICE ................................................................................................ » 129

BIBLIOGRAFIA ......................................................................................... » 137

INDICI
Indice dei luoghi citati .................................................................................. Ä 145
Indice degli Autori moderni........................................................................... * 455

t i · E. DECANI » **AIQN da Omero ad Aratotele»


ADDENDA

PAG. 22, n. 13 : Alcuni codici al v. 119 recano δι’ αΐώνος, che viene accettato
da alcuni editori (A lle n ), benché si presenti come un’evidente
normalizzazione del «difficilior» St’ αιώνας. Sui vari emenda­
menti proposti per i w . 41ss. e 119 e per le varie interpreta­
zioni di αιών che furono date nei secoli scorsi (si giunse ad
intenderlo persino «Fleisch»), cf. A. G em oll, Die hom. Hymnen,
Leipzig 1886, 200; 214.

PAG. 54, n. 83 : Αιών si incontra anche in due frustuli eschilei, nei quali però
è impossibile valutare il senso del vocabolo: Pap. Oxyr. 2254,10:
]ησδ’ αίων.[ e fr. 323a,12 M e tte : ] v αιώνα., τ . [. Pare che il
termine ricorra anche nel fr. 20B,24 di B acchilide, ma non è
sicuro (αίώ]νος). È ad ogni modo inaccettabile la proposta dello
S n e ll, Bacchyl. 89, di leggere Stai σ[υχνόν χρόνον | αίώ]νος ed
è del tutto fuori luogo il rimando ad Aesch. Ag. 55: tòv St’
αΕώνος χρόνον.
finito di stampare il 31 gennaio ig6i
con caratteri serie baskerville per monotype presso l’istituto tipografico editoriale
s. nicolò - lido (Venezia) - tei. 60.295

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