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ENZO DEGANI
ΑΙΩΝ
DA OMERO AD ARISTOTELE
PADOVA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
19 6 1
UNIVERSITÀ DI PADOVA
PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
VOL. XXXVII
ENZO DEGAN!
ΑΙΩΝ
DA OMERO AD ARISTOTELE
**Im portanza speciale per la storia dello spirilo greco
hanno quelle parole che, mentr'ebbero prim a un significato
p iù concreto o p iù vago, divennero poi, ridotte ad astrazioni
m a precisate, i term ini tecnici p iù caratteristici delle forme
m entali che i Greci scoprirono e nelle quali noi Occidentali
ancora viviam o„
(o. p a s q u a li, Pagine stravaganti d i m filologo, 131)
P A D O VA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
19 6 1
TUTTI I D IR ITT I RISERVATI
C a r l o D ia n o
G i u s e p p e S c h ir ò
F r an co Sartori
Nella tradizione letteraria greca, αιών è una parola poetica per ec
cellenza: prediletta da Pindaro e dai tragici, quasi affatto ignorata dalla
commedia e usata di rado dalla prosa come elegante e poetico equiva
lente di βίος. Ma oltre ad essere hochtönig ed hochpoetisch, come lo definisce
più volte il Lackeit, αιών è un termine costantemente aperto ad echi e
sfumature di carattere epifanico. Τοϋτο τουνομα θ είω ς έφθ-εγκται παρά των
αρχαίων, scrisse di αίών Aristotele {D e Cael. 279a22) : θτίως, cioè «per ispi
razione divina»; e si tratta certo di una parola adatta, quant’altre mai,
a caricarsi di sensi eventici e mistici. Il che si verificò sempre, in tutto
l’arco della letteratura greca, da Omero alla tarda epoca ellenistica: du
rante la quale αίών finì addirittura per diventare una parola magica (1).
Ed è appunto in questa sua peculiarità che va ricercata, a mio avviso, la
ragione della ricca e spesso contrastante molteplicità di valori che il ter
mine ha di volta in volta nei luoghi in cui appare. È una caratteristica
generale di tutti i vocaboli che hanno riferimento al destino dell’uomo
e alle «forze» che vengono sentite presenti nei momenti più significativi
della sua esistenza.
Qual è il significato preciso di αίών? A questa domanda non è possi
bile dare una risposta univoca, neppure se si fa un riferimento diretto ed
esplicito. Il termine non rimanda ad un significato preciso ed unico, bensì
ad un complesso di valori. Perché le parole, nell’ambito della poesia e
della mistica — come in quello della vita — non hanno un unico e pre
ciso significato: la precisione e l’univocità esistono solo nell’astrazione del
dizionario e nel linguaggio della scienza e della tecnica. In quello poetico
e sacrale, la parola tende invece spesso a sottrarsi ad ogni valore codificato
dall’uso comune, assumendo, dì volta in volta, sfumature diverse, a se-
(*) Questo libro era stato dedicato al Prof. Carlo Diano ma il doloroso fatto
che m i ha colpito pochi giorni prima che il volume andasse in macchina, mi ha in
dotto a mutare la dedica con l’affettuoso incoraggiamento dello stesso Prof. Diano.
(1) Si incontrano invocazioni come questa: τΙς 8’ αίών αιώνα τρέφων αίώσιν άνάσ-
■οει {Pap. Gr. Mag. X II, 2, 246): cf. Th. Opfner, Griechisch-Aegyptischer Offenbarungszau
ber, II, par. 96, 137; Pettazzoni, L'Onniscienza di Dio, 103ss.
INTRODUZIONE
da una nozione atem porale, propria dei valori «forza vitale» e «midollo
spinale», o tem poralm ente lim itata, quale «durata della vita», si passa
— in un periodo di tem po relativam ente breve — alla connotazione del
l’eterno extratem porale: passaggio, che è fra l’altro particolarm ente im
portante, in quanto costituisce la tappa fondamentale nella storia seman
tica del term ine, e precisamente quella da cui dipende ogni sviluppo se
riore di αιών. In genere si crede di chiarire agevolmente il passaggio, col-
l’affermare che il valore platonico sarebbe la risultante dei cosidetti «al
largam enti» (E rw eiteru n gen ) semantici della parola; m a in realtà αιών,
anche quando significa «epoca», «evo», rim ane sempre una porzione di
tem po; m entre, col T im e o , esso si sveste assolutamente di ogni idea di
tem poralità. R im ane quindi insoluto e problematico il suddetto passaggio,
che possiamo osservare — plasticamente raffigurato — nelle personificazioni
che Euripide e Proclo fanno di αιών : mentre l’uno dice che Aion è il figlio
di Chronos (H e ra c lid . 900), l’altro invece — seguendo Platone — afferma
l’inverso e fa di Chronos il figlio di Aion (in P la t. R em p . 17, 10 Kroll). Il
figlio diventa padre: un rovesciamento genealogico, che presuppone n atu
ralm ente una precisa inversione di valori nel rapporto fra i due vocaboli.
***
nella viva realtà dei testi, queste deduzioni divengono spesso contr
torie, rivelando così il loro provvisorio e fittizio valore di formule
La ragione — è ovvio — v a ad o p erata: altrim enti ci si limiter b b
ad un fenomenologismo vuoto e classificatorio, m entre invece il lav o /
di raccolta è solo propedeutico dell’altro, ben più impegnativo, di inter*
pretazione: e interpretare vale coordinare e riunire. M a va adoperata
oculatam ente, perché gli schemi possono violentare la storia. U na parola
come αιών non passa da un significato all’altro seguendo gli schemi lineari
che fioriscono nella m ente del filologo, m a seguendo una sua linea spez
zata, dove tutto non è — e sem bra — regolare e logico: linea che è in
fondo, la linea spezzata ed oscillante propria dell’uomo e della sua storia
Sotto il m utare di significato di u n a parola, c’è sempre la concorrenza e
la spinta di m olti fattori: che si riassumono nel m utare stesso dell’uomo
delle sue concezioni e delle sue credenze. E quando si tratta dell’uomo
io credo che chi voglia fare della scienza, nei lim iti in cui può essere fatta
deve porsi da tutti i punti di vista e servirsi di tu tti i metodi.
** *
(1) T u tte le opere ch e nel corso d ella tra tta zio n e v en g o n o citate sommar'2
sono riportate per esteso nella Bibliografia.
P a r t e P r im a
O M E R O ED ESIO D O
it) Così vorrebbe il B enveniste, BSL X X X V III , 103ss., cui spetta peraltro il merito
<li avere messo definitivam ente in luce questo valore di αιών in O m ero, valore che m olti
dizionari continuano ad ignorare (LSJ, C u rtiu s, Boisaq, F risk, ecc.) ; anche il L a c k e it
(Aion, 9) am metteva che 1’αίών omerico valeva «Lebenskraft» piuttosto ch e «Lebens
zeit». Notiam o qui che gli scoli omerici si m antennero generalm ente sul piano di una
dere che αιών è in Omero soprattutto la «forza vitale» e che, in tale si
gnificato, αιών è tipicamente omerico (2).
«Vita», dunque; ma non come durata, bensì come vitalità, forza vi
tale. Il vocabolo esprime chiaramente una nozione di attività, soprattutto
nei passi in cui acquista un particolare rilievo come soggetto della frase:
li indica appunto una forza attiva interna all’uomo, il principio vitale
che rende possibile la vita e senza cui c’è la morte. Ed è appunto per que
sto che esso viene usato, come giustamente notava il Lackeit (3), «nur in
Beziehung auf das Lebensende, den Tod», cosa che notoriamente si veri
fica per ψυχή (Nilsson, Gesch. d. griech. R e i., I, 179), ma non per ζωή e βίος.
A tal riguardo, è opportuno qui notare che una vera e propria conver
genza semantica fra αιών e βίος, si verificherà solo in epoca postomerica:
ma sempre entro certi limiti, contrariamente a quanto mostrava di pen
sare il Wilamowitz (l.c .). A parte il fatto che αιών ha una Vieldeutigkeit
infinitamente più varia e ricca di quella di βίος, onde la suddetta con
vergenza si verifica solo quando esso indica genericamente la «vita», va ag
giunto che αιών rimane sempre sostanzialmente una parola «poetica»,
mentre βίος è il termine del linguaggio comune e della lingua di tutti i
giorni. Era vocabolo diffussissimo e prosastico: serviva spesso ad esprimere
certe sfumature di significato che noi rendiamo con «professione», «averi»,
«costumi», «cibo» e via dicendo (4).
(10) L ’espressione βίον λείπειν, άπολείπειν è frequente: cf. Pind. fr. 282, Soph. El. 1444,
Phify.i 158, Ε ν. Hel. 226, Or. 948, P l a t . Legg. 872a, A ntiph. I, 21, ecc. U n αιώνα λείπειν
presuppone una «sostanzializzazione» del significato di αιών, onde la «vita», nella com
plessità del suo contenuto, viene intesa quasi com e una cosa che si può lasciare da parte
o un «luogo» verso cui ci si dirige: cosa che si riscontra appunto in epoca postomerica:
cf. Pind. Isthm. V II, 42 (ίπειμι ές τον μόρσιμον αιώνα), Εν. Med. 646 (δυσπέρατον αιώνα),
Iph. Aul. 1508 (έτερον αιώνα καί μοίραν οίκήσομεν).
(11) Così in latino abbiamo ulta, che — com e contrapposto di mors — equivale
a uis uitalis, ed aeuum {aetas) che ha invece — com e il postomerico αιών che esso riflette
— solo un valore di durata: e mentre è possibile trovare l’espressione ulta ( = uires) me
deficit (cf. Enn. 35, 4 Vahl. : uires uitaque corpus meum nunc deserit orme), non è invece
possibile trovare aeuum me deficit. È chiaro che in aeuum c’è stato l’influsso di αιών:
nel tempo in cui la letteratura greca fecondò la nascente letteratura latina, con questo
vocabolo furono rese m olte delle tarde sfumature semantiche che αιών aveva acqui
stato. Nel senso di «generazione», «mondo», la parola greca agl pure su saeculum (cf.
S ta d tm ü lle r, Saeculum II, 152ss.; D ie h l, R hM L X X X III, 255ss.).
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
22
(12) Sud. αιών- δ νωτιαίος μυελός ή χρόνος άίδιος; H esy ch . αιών... δ έν παντί τώ
σώματι μυελός; cf. pure Etym. Μ . 41, 22; Etym. Gud. 24, 27; E r o t . Gloss. Hippocr.
p. 49 Klein; B ekker, Anecd. Gr. 357, 18; scholl. D, T ad T27; Lex. Περί πολυσήμαντων
λέξεων, cod. Ambros. C. 222 inf., fol. 210 (R e itz e n s te in , Gesch. d. griech. Etymologika,
Leipzig 1897, 337, 0).
(13) Λ236: έτορε ζωστήρα; N onn. Dion. V , 26: σπλάγχνα... τετορημένα χαλκω (cf XIII,
493, ecc.). Il L a c k e it (o.c., 10s.), seguendo il L u d w ic h (Homerischer Hymnenbau, Leipzig
1908, 96), sostiene che qui si tratta di una metaforica «poetische Ausdruckweise»; ed
anche il W ilam o w itz ( o . c . , 364) pensava che in questi due passi si trattasse della «Le
benszeit» della tartaruga e dei buoi (cf pure N e s tle , Griech. Studien, 141, 30). Giusta
mente il R a d e rm a c h e r, Der homerische Hermeshymnus, Wien und Leipzig 1931, intende
invece «Lebensmark» nel primo caso e spiega: «das Fleisch der Schildkröte ist in der
Schale eingeschlossen wie Mark im Knochen; so muss die Ideenverbindung des Dichters
sein» (p. 69). Nel secondo caso egli intende αιώνες = «Halswirben» (p. 94).
(14) Il L a c k e it, l.c., nega assolutamente che αιών abbia potuto assumere un tale
valore, basandosi sul fragile argomento che, negli altri passi di I p p o c r a t e , il vocabolo
vale «vita» (cf. Cam. 19: αιών τοϋ άνθρώπου έπαήμερος, A h . 86, Acut. 7, D e fract. 11); e le
vane glosse degli antichi sarebbero un errore degli stessi, dovuto al fatto che effettivamente
1 v i r ,T<!n^ e Cra U SCde ddla forza vitale· N °n « capisce peraltro come egli spieghi
p. VII, 122. Va peraltro ricordato che, in tale passo, αιώνα è dato da una minoranza
CAP. i : OMERO ED ESIODO
23
di codici; gli altri danno κενεώνα, e questa lezione è stata accettata dagli editori di Ippo-
c r a t e anteriori al L i t t r é (1839-1861). Così il Foesius (Hippocr. Opera, Genevae 1662)
intendeva: «quidam ad lateris inanitatem tabefactus, septimo die mortuus est»; ma ri
conosceva egli stesso che κενεώνα poteva essere facile errore di trascrizione e che αΙώνα,
attestato dalle «membranae regiae reconditiores», poteva senz’altro essere la lezione esat
ta, soprattutto se si teneva conto della precisa testimonianza di E ro tia n o e del fatto che
la φίΗσις νωτιάς ο μυελού φθίσις era malattia spesso ricordata da Ip p o c ra te (p. 1242).
Infatti E r o tia n o , Gloss. Hippocr. p. 49 Klein, dopo aver definito αιών come νωτιαίος
μυελός, cita due passi di Ip p o c r a te : ήν σφακελίση τόν αιώνα e τόν αιώνα νοσήσας τις έβδο-
μαΐος άπέθανε. Il primo, di cui E r o tia n o non dice la provenienza, pare vada riferito a
De Fract. 11: καί ίτω κίνδυνος σφακελίσαι τό όξέον τό τής πτέρνης. Καί τοι ήν σφακελίση
τόν αιώνα πάντα Ικανόν άντισχεΐν τό νόσημα, «quod si contingat cane affici, morbo tota
vita perdurat»: si tratta evidentemente di un errore, nel quale era facile cadere leg
gendo frettolosamente il passo (cf. Thes. Gr. Linguae, I, 1126). Il secondo passo, però,
ripetuto da E sichio e dagli Etimologici Magno e Gudiano, sembra vada senz’altro riferito
ad Ep. VII, 122, nonostante qualche piccola variante e nonostante E ro tia n o lo attribui
sca al non pervenuto περί βελών καί τραυμάτων. In ogni caso, esso attesta indiscutibil
mente che presso i medici della Ionia αίών assunse il significato di «midollo
spinale».
(15) Non sappiamo se tale significato fosse più o meno antico. Io non escluderei
che esso potesse risalire alle origini e fare tutt’uno con quello di «forza vitale». A tal
riguardo, non è fuori luogo mettere in guardia contro la facile ipotesi di considerare il
senso di «midollo spinale» originario perché più «concreto». Infatti per il primitivo
«tout ce qui est psychique est physique, tout ce qui est physique est psychique, et l’un
et l’autre sont concrete» (V an d e r L eeuw , L'homme primitif, 29).
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
ed organi del corpo umano (16) ; e, per quanto riguarda la forza vitale,
la sua sede veniva appunto intuitivamente immaginata nel midollo spi
nale, nel μυελός, la parte più intima e delicata del corpo. Lì era appunto
radicata la vita (17) : il che spiega come — con processo inverso — il ter
mine specifico μυελός potesse assumere valori astratti come «forza», «vi
goria» e simili (18) ; e perciò appunto gli eroi omerici, per crescere vigo
rosi si nutrivano del midollo delle fiere (X 501 ; cfr. Philostr. H er. p. 197
Kays.).
Un significato atemporale αιών presenta pure in Ω 725, dove Andro
maca dice ad Ettore: άνερ, απ’ αίώνος νέος ώλεο. κάδ δέ με χήρην | λείπεις έν
μεγάροισι. «C’est bien parce que αιών est la source de toute vigueur et non
pas seulement de la durée de l’existence, qu’on dira d’un ètre jeune, tué
en pieine force, άπ’ αίώνος νέος ώλεο ..., mais on ne parlerà pas de 1’αίών
d’un homme àgé» osserva il Benveniste (19), commentando il passo ed acco
standolo a Δ 478 ( = P 302): μινυνθάδιος δέ οί αιών | έπλεθ·’ ΰπό Αΐαντος...
δαμέντι. Tale affermazione non è però sufficientemente documentata: se
è vero che Omero non parla mai dell’αιών di un vecchio, è altrettanto
vero che solo in Ω 725 esso è accostato ad un’idea di giovinezza. Sembra
invece evidente che in Δ 478 il termine abbia un indiscutibile valore di
durata; e così pure in I 415: ώλετό μοι κλέος έσθλόν, επί δηρόν δέ μοι αιών
I έσσεται, ουδέ κέ μ’ ώκα τέλος θανάτοιο κιχείη, quantunque nel primo
(16) R ohde, Psiche, I, 46; Schick, o. c., 231; S ch rad er-N eh rin g, Lexikon der indog.
Altertumskunde, Berlin 1929, I, 640. Così φρένες, sede degli affetti, indicava gli organi attor
niami il diaframma (cf. W undt, Völkerpsychologie, IV, 92) ; esso assunse ben presto va
lori sempre più astratti (cf. φρονεϊν), ma il Corpus Hippocraticum lo usa ancora nel senso
di διάφραγμα. Altrettanto si può dire per πραπίδες, che Esichio spiega: φρένες ή ó τόπος
όπου al φρένες; e per χολή, «ira» e «fiele» (Π203), per σπλάγχνα e via dicendo.
(17) Cf. D emocr. B1 : της ψυχής οί περί τόν μυελόν... δεσμοί κατερριζώμενοι; P lat.
Tim. 73b ss.; ecc. Si pensi al (ίαχίζειν, tipico nei sacrifici (H esych. ραχίζειν παίειν τό
Ιερεΐον).
(18) Cf. β290, Υ108: άλείατα, μυελόν άνδρών; Aesch. Ag. 76, Εν. Hipp. 255, Theocr.
X X V III, 18, ecc.
(19) O.c., 108. Il Benveniste vorrebbe intrawedere in questo passo il senso di
«àge» come «età di pienezza vitale», mentre il F estugière (PP X I, 173 e 188, 2) note
rebbe qui in αιών «la nuance aussi de ‘temps de vie normal’ mesuré à un homme» e raf
fronta άπ’ αίώνος con l’espressione πρό τής ειμαρμένης (A ntiph . I, 21). Esatta non mi
pare neppure l’interpretazione del Passow, Handwb. griech. Spr. s.v. αιών, che intende νέος
άπ’ αίώνος con «jung an Alter»: una tale costruzione di νέος con άπό non è attestata. ’Απ’
αίώνος va inteso «strappato dalla vita» (cf. LSJ, sv. άπό, I). Secondo il L ackeit (p. 11),
vi sarebbe tmesi fra απ’ ed ώλεο e αίώνος άπόλλυσ&αι varrebbe «sein Leben verlie
ren»: ma tmesi non c è, perché άπόλλυμι, nel senso di «perdere», è sempre attivo e co
struito con l’accusativo (α354 p46; cf. Σ82, Ω44, μ350, ecc.).
CAP. i: OMERO ED ESIODO 25
***
(20) Cf. X54: μινυνθαδιώτερον άλγος | ϊσσεται, ήν μή καί σύ Οάνης Άχιληΐ δαμασθείς:
cf. ο494. Il Benveniste fa un lungo esame di 1415 (o.c., 108; così pure LfrE, c. 402),
per dimostrare che αιών vale «forza vitale», ma gli argomenti non possono essere decisivi ;
ed il Festugière (o.c., 188s.) fa un’analisi non meno laboriosa per dimostrare il contrario.
(21) Benveniste, l.c. Però si potrebbe obiettare che κατείβεσθαι, da O mero sempre
riferito all’acqua o alle lacrime, sembra accordarsi malamente con un’idea di tempo,
sia pure relativo. Di tale espressione omerica c’è un riecheggiamento in un frammento
conservatoci dal VEt. Magn. 182, 1: της όλοφυρομένης άμφ’άχνύι είβεται αιών.
(22) I w . 603-612 della Teogonia furono espunti dallo S chwarz, seguito dal J acoby,
Hesiodi Carmina, I, Berolini 1930, che così giustifica l’espunzione: «non extremae partis,
sed totius narrationis vim omnino frangunt. Sermo obscurissimus» (p. 172). In realtà
il passo è perfettamente comprensibile (cf. M azon, o.c., 53ss.) e, dal punto di vista conte
nutistico, quadra perfettamente coi versi precedenti e con lo stesso carattere generale
della poesia esiodea, tanto densa di misoginismo. Dal punto di vista stilistico, poi, si pos
sono trovare buoni elementi contro la tesi dell’interpolazione: il vezzo stilistico ώ δ’.,.τω
δέ τ’ dei w . 607-609, è tipicamente esiodeo (cf. Op. 239, 284, 297).
2 6
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
φ δ’ αδτε γάμου μετά μοίρα γένηται, | κεδνήν δ’ εσχεν & o m v άρηρυΐαν πρα-
πίδεσσι, | τώ δέ τ ’ άπ’ αίώνος κακόν έσθλώ άντιφερίζει | έμμεναι, cioè: «et celui,
e n revanche, qui dans son lot trouve le m an ag e,, p e n t ren co n trer sans doute
u n e bonne épouse de sain jug em en t; mais, m ém e alors, il voit to u te sa
vie le m al compenser le bien» (M azon, H é sio d e , Paris 1951, 54). Q uesta
è la lezione dei codici, orm ai unanim em ente accettata (23) m a n on certo
■del tutto chiara: e fa difficoltà soprattutto quell’oscuro ed insolito απ αίώνος.
In fatti tale locuzione si incontra solo in epoca tardo-ellenistica e cristia
n a (24), quando il term ine ha già assunto dei valori sem antici assoluta-
m ente estranei all’αιών preplatonico; fin d al suo ap p arire n el prim o
secolo d. Cr. — άπ’ αίώνος significava in fatti «sin d all inizio dei tem pi», «sin
dall’eternità» (25) : ed è sorprendente che tu tti i m igliori lessici (Passow,
. Bailly, LSJ, Bauer, Dimitracos, ecc.) continuino concordem ente a regi
strare il passo esiodeo sotto αιών = «lungo spazio di tem po, eternità» ed
a citarlo — collegandolo naturalm ente con dei passi evangelici — come
prim o esempio di significati quali «von U rzeiten», « o f old», «depuis le
com m encem ent des àges», «seit ewigen Zeiten», «von jeh er» , «solange es
M enschen gibt» e via dicendo: significati, oltre tu tto , che n o n si possono
assolutam ente adattare al passo esiodeo. N el quale si p a rla di u n uomo
e nel quale αιών non p o trà che indicarne la vita. C he qui, d ’a ltra parte,
la locuzione potesse valere «sin d a ll’inizio della vita», com e verrebbe da
supporre, è smentito dallo stesso contesto: chi si sposa, dice Esiodo, può
avere la fortuna di trovare u n a moglie p er bene, «m a anche p e r lui άπ’ αίώ
νος il male άντιτάττεται καί έξισοϋται (sch o l .) al bene». D a l che risu lta chia
ram ente che il significato atteso ed unicam ente am m issibile di άπ’ αίώνος
doveva essere «nel corso della vita», «toute sa vie», com e intese appunto
il M azon. M a è ben difficile am m ettere che tale locuzione potesse espri-
(23) Il passo non è molto chiaro: fa difficoltà άντιφερίζει seguito dall’infinito ϊμ-
μεναι: costruzione non attestata, tanto che il W opkens, seguito dal R z a c h e da vari altri,
emendò quest’ultimo in έμμενές. Per il valore di άντιφερίζει, cf. schol. ad L: άντιτάττεται ή
έξισοϋται (cf. pure H esych., s.v.). I w . 600-609 sono tramandati anche da S to b e o , Flor.
4, 22, 88: ma sulla importanza pressoché nulla delle testimonianze indirette posteriori
a l terzo secolo a. Cr., cf. M azon, o.c., X X IV .
(24) O wen , JThS X X X V II, 274ss., 297; G. Björk , Eranos X L V I, 72s.
(25) Ά π ’ αίώνος si trova per la prima volta nel De Subì. 34, 4: τούς άπ’ αίώνος ρή
τορας, «gli oratori che ci furono fin dall’inizio dei tempi» ; poi si incontra sempre più di
frequente, come equivalente di έξ αίώνος, anche nelle iscrizioni (cf. IG, X IV , 737, ecc.)
e soprattutto nel gergo ecclesiastico, dove si specializza nel senso di «from eternity, from
the beginning» (O wen , 274). Su tutto ciò, cf. anche M oulton -M illigan , The Vocab.
o f the Gr. Testament, London-New York-Toronto 1914, I, 16.
CAP. i: OMERO ED ESIODO
27
mere un valore del genere (26) e sembra giustificato un emendamento.
Quando in epoca imperiale si costituì quell’unico manoscritto da cui di
pendono tutti i codici esiodei (cf. Mazon, o.c., XVIIss.), άπ’ αίώνος — allora
molto diffuso si potè facilmente sostituire alla lezione originaria, che
doveva essere una locuzione rara e non più compresa: penserei quindi ad
επ’ αίώνος, vecchia e screditata congettura di Heyne (27), il cui passaggio
ad άπ’ αίώνος sarebbe spiegabilissimo anche dal punto di vista paleografico,
nel caso che si volesse pensare ad una corruzione puramente meccanica (28).
Έ π’ αίώνος, «nel corso della vita», non è attestato, ma è ben attestato fin
da Omero il valore di έπί col genitivo «zur Angabe der Zeit, in oder
während etwas geschieht» (Kühner-Gerth, I, 496s., cf. E 637, I 403 ecc.).
Esempi come έπί νεότητος (Ar. Ach. 211), έφ’ ήβης (Ar. E q. 524) e special-
mente come έπί βίου (Eup. 154 Kock, Plat. Phaedr. 242a), tolgono ogni
dubbio sulla possibilità di una forma έπ’ αίώνος.
Sembra chiaro, in ogni caso, che in tale passo αιών doveva senz’altro
avere un valore temporale, quale è quello implicito nell’aggettivo ίσαίων,
«dalla vita eguale», che costituisce un’interessante hapax (fr. A 8 M e r -
KELBACh ) : ούδ’ [ά]ρα ίσαίωνε[c] όυ[ώς μακάρεσσι θεοϊσιν] | άνέρες ήδέ
γυναίκες έ[σαν (cf. D ie H esiodfr. a u f Papyrus, Leipzig 1957). Altrettanto si
riscontra in un frammento della M elam podia pseudoesiodea (Tzetzes, ad
Lycophr. 682 = fr. 161 Rzach3), nel quale si legge: Ζεΰ πάτερ, εΐθε μ οι
ήσσον’ έχειν αιώνα βίοιο | ώφελλες δούναι (ν. 1) e poco dopo (ν. 4) : δς
μακρόν γέ μ’ Ιθηκας εχειν αιώνα βίοιο | έπτά τ’ επί ζώειν γενεάς. L’espressio
ne αιώνα βίοιο implica la distinzione tra la «vita» in senso dinamistico e
la «vita» come durata: e quest’ultima nozione è espressa da αιών (29),
che qui non è più la vita come contrapposto di θάνατος, ma il lasso di
tempo durante il quale uno vive, la sua durata; e non se ne parla più
solo in relazione alla morte come in Omero.
Si aggiunga, per completare l’indagine sull’epos arcaico, che αιών si
incontra infine n cW In n o a d E festo (v. 6), che è peraltro piuttosto tardo
ed appartiene forse al quinto secolo (Humbert, H om ére-H ym nes, Paris 1936,
214) : (ίηϊδίως αιώνα τελεσφόρον είς ένιαυτόν | εΰκηλοι 8’ άγουσιν, ed in Hes.
Sc. 331 : γλυκερής αίώνος άμέρσας. Nel primo caso si ha un evidente senso
temporale, nel secondo invece uno schietto omerismo (cf. X 58).
(29) È difficile decidere del preciso valore dei due termini in questa rara iunciura,
m a pare evidente che l’uno valga «forza vitale» e l’altro «vita» com e continuità di questa
forza. Secondo la P hilippson, RSF IV , 82ss., un’espressione come αιώνα βίοιο permet
terebbe di affermare che αίών aveva sin dall’origine il senso di «tempo». Il che non è
vero: il greco, per dire «tempo, corso della vita», ama talora servirsi di un pleonasmo
formato da due parole che significano normalmente «vita»: βίου ζωή (P lat. Tim. 44c),
βίος ζωής (P lat . Epitt. 892a), ζωας βιοτά (Εν. Her. f . 664), ecc. N el vedico ayur jivase
(dove jivase è dativo finale della parola indicante «vita», mentre ayur è il parallelo di
αιώνα) abbiam o un’espressione consimile, benché il legame fra i due termini vedici sia
più stretto di quello fra i due greci (ibid., 82).
C a p . II
LA «G R U N D B ED E U TU N G » D I ΑΙΩΝ
(30) Già il Brugm ann, IF X V III, 425, vedeva in αίέν un locativo di αιών, «Lebens
raum»; cf. C h a n t R aine, Formation, 166.
(31) Anche nell’ai. ci sono tracce di una forma nasale nello strum, äyunä e nel loc.
«jww, che sono direttamente da collevare con le forme greche αιών ed αίέν (M eillet ,
MSL IX, 368).
PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA
dal genitivo vedico àyusah: e ne restano delle ben evidenti tracce anche
in greco, riconoscibili nell’accusativo αίώ (Aesch. Ch. 350) e negli avverbi
αίές, άές ed αίεί (32). Su questa forma ♦αί/ώς si sono fatte varie ipotesi;
alcuni hanno pensato, come s’è visto, che fosse di genere femminile, altri
che designasse, più propriamente di αιών, la forza attiva (33). Ma si tratta
di pure supposizioni non suffragate da alcuna attestazione. Comunque,
questi due gruppi nasale e sigmatico sono allargamenti di un tema in.
-u, conservatosi puro solo nell’indoiranico e, forse, nell’eolico e nelfarca-
dico (34). La ricostruita radice indoeuropea *aiw è dunque alla base
degli esiti che si riscontrano nelle varie lingue.
(32) Αίώ presuppone una forma *aif<öaa; l’avverbio dorico αίές è forma locativale
di αίώς così come αίέν lo è di αιών. Anche αίεί deriva da un precedente *αι5εσι (pare or
mai scaduta l’ipotesi del B ru g m an n , Grundriss, II2, 2, 708 e del K u r y lo w ic z , BSL X X X V ,
32, secondo la quale si tratterebbe del locativo in -et di un tema in -o-, benché essa ri
compaia nel L frE , c. 280), con vocalismo diverso rispetto ad αίώς. Per l’accentuazione
-ei in luogo di -et, cf. S t r e i t b e r g , IF V I, 340 (atticismo), per il passaggio da αίεί ad
άεί, cf. S c h w y z e r , I, 266; L e je u n e , Phonet. grecque, 216. Per quanto riguarda la pro
blematica formula υΡαις ζαν del bronzo di Edalione — dove u f è la forma cipriota di
έπί ( S c h w y z e r, I, 631, 2; II, 517) — si sono fatte varie congetture, ma essa non pub
gettare alcuna luce sul valore originario di αιών e di atei. Per I’H o ffm a n n (D ie griech. D ia
lekte, I, Göttingen 1891, 71ss.), l’espressione equivale ad έπί άεί; per il P o k o r n y , IE W b ,
I, 17 a διά βίου; E. F r a e n k e l , IF L X , 142ss., sostiene invece che ύ5αϊς ζαν sarebbe «ein
uraltes formelhaftes Asyndeton zweier bedeutungsverwandten Wörter» (e cioè «E w ig
keit» e «Leben») e significherebbe «auf Ewigkeit (Lebenszeit) und bis zum Lebens (Ende)».
Altrettanto poco convincente la spiegazione dello H am p, CPh X L V III, 240, il quale
ravviserebbe nell’espressione cipriota un valore «in saecula saeculorum», che è certo il
risonanza più biblica che greca. Ricordo infine la recente interpretazione del L e je u n e ,
BSL L, 75ss., il quale, leggendo ύ αίς γαν, intende «en jouissance perpétuelle»(cf. γηθέω,
γαίων). In ogni caso, abbiamo in αϊς un equivalente di άεί: del quale avverbio esistono
molte varianti dialettali (cf. Boisaq., sv. αίεί; B uck, The Greek Dialects, Chicago 1955, 105).
(33) C h a n t r a i n e , Formation, 423; cf. W a ld e - P o k o r n y , W IS , I, 6. Anche per que- '
sta ipotesi ci si appoggia ad ήώς.
(3.4) Cf. eoi. αϊι(ν), άι(ν), da *aifi (S c h w y z e r, II, 619, 6; F ris k , G E W b , s.v. αίεί)
È su una forma avverbiale come *a iw i che si appoggiano i derivati latini aetas (da aeuitas)
ed aetemus, che altrimenti è difficile spiegare (cf. E r n o u t - M e i l l e t , D E L , s.v. aeuus;
F ris k , l.c.·, F r a e n k e l , IF L X , 142ss.); su aetemus, si veda però anche S ü t t e r l i n , IF
X L IV , 307s. ( *aiwoterenos); su aetas, S t a b i l e , CN V II, lOlss. ed H e r b ig , Phil L X X IV ,
450. U na tema in -o-, ravvisabile nel gotico aiw s e nel latino aeuus, è probabilmente pre
sente nello strum, tarant. αίη, oltre che in δηναιός ed in αίόλος, come vedremo. U n tema in
-i- è invece presente nel gotico a iw (* a iw i), nell’aisl. oéfi, oevi «tempo, epoca»; uno in -a-,
infine, nell antico ated. éwa, TLwìdo, ew ig (cf. P o k o r n y , l.c., W a ld e -H o fm a n n , L E W ,
I, 21; F e is t, Vergi. W b. d. got. Sprache, Leiden 1939, 30 e 42; F. S p e c h t, D er Ursprung
der indog. Deklination, Göttingen, 1944, 88ss.). Per la divisione di questi diversi temi nel
l’ambito indoeuropeo, cf. S p e c h t, o . c . , 539.
CAP. π: LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 3r
(35) Il Benveniste, o .c., 108, pensa che aeuus sia la forma originaria latina, mentre
aeuum sarebbe formazione secondaria dovuta all’influsso di tempus; ma giustamente PEr-
n o u t-M e ille t, s.v. aeuus, osserva che anche la forma neutra è ben attestata già presso-
gli scrittori arcaici.
(36) E rnout-M eillet, l.c.·, E rnout, REL 1925, 107s.
(37) L ackeit, Atari, 6s.; Benveniste, o . c., 105; F eist, o. c., 30ss. Invece per la Phi-
lippson, o.c., 87, tali concordanze dimostrerebbero che tutti questi significati erano po
tenzialmente racchiusi già in *aiw: ché, secondo lei, «quello che Poriginario pensiero
linguistico racchiude come in un germe, si sviluppa» in virtù del «linguaggio creatore,
che offre al pensiero linguistico la sua forma» (ibid. 88).
(38) Cf. A.J. V an W indekens, Morphologie comparée du Tokharien, Louvain 1944,
35; cf. pure REG L X IX , 283s. e P okorny, l.c. («Geist, Leben»).
(39) Per àyùh, cf. H. G rassmann, Worterb. zum Rig-Veda, Leipzig 1873, 183 («6'e-
nius der Lebensfrische, Genius der Lebenskraft») ; per ayuh, cf. G rassmann, ibid. («Rüstigkeit,
Lebenskraft, Lebensdauer»), K. Geldner, Der Rigveda in Auswahl, Stuttgart 1927, I, 23
(«Leben, Lebenskraft, Gesundheit, Lebensdauer»)·, cf. pure C. Cappeller, Sanskrit-Wörter-
buch, Strassburg 1886 (comprende anche il vedico), 43. Il G rassmann aggiunge: «beson
ders häufig da, wo der Wunsch oder die Bitte um lange Lebensdauer ausgesprochen
•wird»: cf. Hes. fr. 161.
(40) Geldner, l.c., Cappeller , l.c., G rassmann, 182.
32 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA
Spesso infatti l’aggettivo viene usato come epiteto di tale divinità: cosa
significativa, se si tiene conto del posto predominante che occupa Agni,
il Fuoco vivificatore di tutte le cose (41), nell’ambito della religione ve-
dica. Il vedico dunque presenta la stessa alternanza semantica riscontra
bile in greco: àyuh indica la «vita» sia come «forza vitale» che come «du
rata», come si può constatare in una ricca gamma di esempi rigvediani (42).
Il termine indica la vitalità e la vigoria come principio individuale (R V
I, 89, 9) o universale (dyur vìgvàyruh: X, 17, 4), ma talora anche la vita
stessa nella sua totalità (I, 66, 1), come pure nella sua durata (devàhitam
ayuh: I, 89, 8). Talora il termine si presenta staccato da riferimenti con
la vita umana e non di rado viene riferito all’acqua, che nella tradizione
vedica è fonte di vita per eccellenza (43). Il senso di durata appare anche
nell’aggettivo dirghàyu-dirghàyuh (da dirghd, «lungo») e nei suoi derivati
(cf. Grassmann, 612). Con questi dati offerti dal Rigveda concordano
perfettamente quelli delle U pan isad: infatti, anche nel sanscrito vero e
proprio, il vocabolo Ayuh — e con esso i suoi numerosi derivati e com
posti — può esprimere sia la nozione temporale di «logevità», «durata
della vita», che quella atemporale di «salute», «energia» (44).
Invece nell’iranico, e precisamente nel gatico — che rappresenta
una fase meno arcaica (Benveniste, 106) — il vocabolo mostra di essersi
consolidato, come αιών nell’epoca postomerica, in un esclusivo senso di
durata (Bartholomae, A ir. W b . 333) : sia il neutro äyü che il maschile y u s
(41) Il G eldner, Le., spiega àyù come «dunkles Beiwort des Agni und Soma, viel
leicht Leben gebend, belebend»: ma se si tiene presente il valore di ayu- e l’importanza
di Agni, tale interpretazione appare sicura (cf. S pecht, KZ L X V III, 196). Su Agni, come
«lebenskraftegebendes Element», cf. T roje, A fR w X X II, lOlss.; V an der L eeuw, La
religion, 54. «La forza che vive nelle acque è Agni, nelle piante è Agni, nelle bestie e nel
l’uomo è Agni» {RV I, 70, 2). Il T roje, che si sofferma a lungo ad illustrare Agni come
«Herr der Kraft», cost conclude: «nicht umsonst wird daher mit Agni das alte Wort
für Leben, Lebenskraft, dyu- in Beziehung gesetzt» (101s.). Si noti che uno dei soprannomi
di Agni è appunto "Äyusmat, «pieno di forza vitale». Per la questione del fuoco nelle lin
gue indoeuropee e relativa bibliografia, cf. M astrelli, -AGI L III, lss. Anche dai Greci
il fuoco fu talora visto come una «cosa vivente» che garantiva la lunga vita e l’immor
talità (cf. S chuhl, La pensée grecque, 114).
(42) I più antichi testi vedici non sono più antichi dei testi omerici (M eillet, A-
perfu, 9s.). N ell’articolo del Benveniste ed in quello della P hilippson sono riportati vari
passi del Rigveda: l’uno tende a far apparire il valore temporale come secondario e po
steriore, l’altra mostra invece di ignorare quasi completamente il senso di «forza vitale».
(43) Cf. E liade, Storia delle religioni, 193ss.
(44) Cf. S tchoupak-N itti-R enou, Dictionnaire Sanskrìt-Franfais (è escluso il vedico),
Paris 1932, 121.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 33
valgono «durata della vita». «Il lungo dyù dell’infelicità e della tenebra»
(1 astia, XXXI, 20): il vocabolo presenta inoltre anche il valore di «età»,
«età della vita», come αιών ed aeuum (45). Frequente è poi il composto
dardyàyu (da d a n y a , «lungo»), che trova dei paralleli, oltre che nel scr.
dirghdyu, nel lat. lotigaeuus, nell’aisl. langoer e forse nel gr. δηναιός — come
vedremo oltre che in μακραίων. È poi significativo il fatto che l’avestico
conosca — come il greco — delle forme apparentate che significano
«sempre»: così il dativo avverbiale y a v ö i e lo strumentale y a v d (cf. tar.
αίή) (46) : dal primo è poi derivato l’astratto ya v a é td t, perpetuitas. Da
notare infine vispdyu, «duraturo, continuo».
***
in -en di *aiw (il latino aeuum sarebbe formazione secondaria); il greco, in effetti, non
ha un equivalente di iuuenis. A tal proposito ricordo qui la tesi del D umézil, BSL X X X IX ,
193, secondo cui il greco avrebbe formato questo genere di derivato dal tema *aiw, an
ziché da *yu: quindi *aiw-n-ko (e non *yu-w-n-ko, da cui iuuencus, etc.), donde Αιακός (cf.
già il Brugmann, IF IX , 293).
(49) O.c., 110. Questa dimostrazione della originaria parentela dei due temi è ge
neralmente accettata: cf. E rn o u t-M eillet, sv. aeuus, Pokorny, l.c. La rifiuta invece il
J u r e t (Diet, étymol. grec et latin, Limoges 1942, 93), sulla base però di argomenti cui non
si può dar peso: «comme 1’αΙών agit toute la vie, on ne peut rapprocher ce mot de iu-
venis». Per altri esempi da cui risulta evidente l’affinità e, quasi la complementarietà fra
valori come «energia» e «vita», cf. Van Windekens, KZ LX X , 239ss .
(50) Come ha dimostrato il Parmentier, RBPhH I, 417ss. Anche Eustazio (1681,
3) glossava αίόλος con ποικίλος.
(51) Benveniste, o. c. , 107. Αίόλος deriverebbe da un tema di nome o aggettivo in
-ο-, *αιΕος. Già il Danielsson, IF X IV , 386 aveva ammesso un legame con *atw ed
aveva collegato αίών con αίόλος. Questa spiegazione è generalmente accettata (Boisaq,
Hofmann, ecc.). La rifiuta E. F raenk el, Gnomon X X II, 239, che propone come base
* ( f )αι (Ε)όλος, connettendolo con *wel, «wälzen, drehen, wenden» (cf. είλεϊν, *Εελνε), sul
l’esempio di δαίδαλος-δαιδάλλειν, παιπάλη-παιπάλλειν. Per altre interpretazioni, cf. Frisk,
sv.; LfrE, s.v.
(52) V entris-C hadwick, Documents in Micenean Greek, Cambridge 1956, 104. Cf.
C arnoy, Dictiom., 13: R oscher, Myth. I, 115; Schwering IF X X X , 220. L’etimologia
CAP. Ii: LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ
35
Potremmo continuare con vari altri accostamenti che sono stati fatti:
ma in realtà essi sembrano tutt’altro che sicuri ; e questo, in verità, è un
campo molto delicato dove la prudenza non è mai troppa, poiché si può
cadere facilmente nel mito. Il Danielsson, ad esempio, ha cercato di ac
costare ad * a iw , «impeto, vitalità», il verbo άίσσω, «slanciarsi» (cf. άΐκή),
sulla base di un prototipo *aiflx-j&> (IF XIV, 386); ma sembra peraltro
preferibile pensare ad una forma *fai-fix-jw (cf. εϊκω: Boisaq, Hofmann,
Frisk, ecc.). Più ardito ancora, forse, il tentativo dello Specht di far deri
vare da * a iw anche il tema * a ig -, «quercia», (cf. αιγίλωψ; ted. Eiche, ecc.):
albero che, «unvergänglich und ewig», doveva essere simbolo di «Kraft»,
«Stärke» e di «Beständigkeit» (53). Del tutto ipotetici sono poi da consi
derare gli accostamenti con "Αιδης (*aifiS-), αΐετός e via dicendo (54).
* * *
con αία fu sostenuta dal F ick, KZ X L II, 7 e poi dal BlUmel IF X L III, 272ss., dal
Kretschmer, Gioita X X X III, 12ss. e quindi dal R isch, Wortbildung der hom. Sprache,
23ss. ed ora dal F risk, sv., e dal LfrE, sv. (se ne veda la critica di B. M arzullo, Philol
CI, 189, 1). Ma già il Brugmann, IF X V , 91ss. aveva visto che αία viene da *afta (cf.
auia) e non da *aifa (così il S olmsen, IF X X V I, II, che collegava ala con *A lfa;) ed
aveva anche avuto l’intuizione di collegare αιών con Αίας (IF X I, 293).
(53) Specht, KZ L X V III, 194ss., 198. Cf. robur-robustus; Hesych. δροόν Ισχυρόν; lit.
drùtas «forte», ecc.; V erg. Georg. II, 291 ed E liade, Storia delle religioni, 275ss. L’infìsso
-g- si trova nel gotico «in qjuk-dùps» (είς τόν αΙώνα) e nell’angl. ece «eterno». Il Benve-
niste, O.C., 105, avanza anche l’ipotesi che pure l’aggettivo iugis «qui coule toujours» (del
l’acqua), derivi da *aiw (cf. invece E r n o u t-M e ille t, s.v. iugum).
(54) D anielsson, IF X IV , 384ss.; Boisaq, Dici., sv. αίόλος. "Αιδης invece viene da
*σαιΕ- (cf. lat. saevus). Di qualche altro accostamento si parlerà in seguito.
36 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA
(55) Già il Reynaud, RPh XIX , 280, sosteneva, con poca chiarezza, che «la no
tion de temps derive bien... de celle de vigueur, vie»; ad una anteriorità di «Lebens
kraft» pensarono pure I’Eisler, W uH , 101; il Lackeit, Aion, 6, il Troje, AfRw XXII,
89 ed altri; vi accennano pure I’Hofmann, GEW, sv. αιών, I’E rnou t-M eillet, DEL,
s.v. aeuus, il Juret, Dici., 93, e, come vedremo, il LfrE.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 37
«Puisque 1’αΐών est le principe interne qui maintient l’homme vivant, c’est
la persistence de 1’αίών qui mesurera la durée de la vie; aussi longtemps
1’αίών d’un homme demeurera intact, aussi longtemps vivra cet homme.
Celui dont 1’αίών subsiste pendant une période étendue, sera dit δην-αίός
(‘qui vit longtemps’, cf. sk. dïrghsyu)» (56): così il Benveniste spiega il
passaggio da «forza vitale» a «durata della vita». Ed è spiegazione con
divisa, più o meno esplicitamente, da tutti coloro che tennero in consi
derazione il significato non temporale del termine, per la facile convin
zione che un valore «astratto» non poteva che essere secondario rispetto
ad uno così «concret et humain» come quello di «forza vitale». Mentre,
peraltro, in genere si concluse che il detto passaggio semantico si doveva
essere verificato prim a di Omero (così, ad esempio, i citati Eisler e Lackeit),
invece secondo il Benveniste il valore temporale del vocabolo sarebbe
esclusivamente postomerico: si presenta così il problema di spiegare il
rapporto fra αιών ed il già omerico αίεί. Il Benveniste lo risolve ammet
tendo che di fronte al maschile αιών, indicante la «forza vitale», una forma
neutra avrebbe indicato lo spazio di tempo in cui dura detta forza vitale.
Da tale forma si sarebbero sviluppati gli avverbi significanti «sempre»,
tra i quali ed αιών vi sarebbe dunque stata convergenza solo quando il
termine si svuotò — dopo Omero — del suo valore vitalistico e «con
creto», affievolendosi in «durée de la vie» (p. 109). Senonché, di questa
ipotetica forma neutra (57) non rimane traccia alcuna; esiste, è vero, un
neutro in altre lingue indoeuropee: ma postulare su questa base una forma
non attestata per obbedire al postulato secondo il quale la «forza vitale»
dovrebbe essere espressa da un maschile o un femminile, mentre la «du
rata della vita» da un neutro, non pare giustificabile (58).
(56) Benveniste , 109. Δηναιός viene generalm ente collegato con αΐών e p ro v erreb b e
d a u n an tico te m a in -o-, te m a che secondo il Benveniste si sarebbe tro v ato an ch e in
u n aggettivo la tin o *aiuos, d a cui sarebbe deriv ato aeuitas (s’è visto p erò che aeuitas si
può spiegare m eglio, sulla base d i form e attestate) (ibid., 107) : lo stesso tem a è co m u n
q ue a tte sta to in greco in αΐή e, com e s’è visto, m olto pro b ab ilm en te an ch e in αίόλος. Il
collegam ento d i δηναιός con αιών, am m esso d a l Boisaq e d a ll’HoFMANN, è rifiu tato d a l
F risk , G E W , sv. δηναιός, secondo il quale il term in e d eriv a d irettam en te d a δήν (acc.
d i *SFà, *SoFà ‘d u r a ta ’; cf. duro, dudum): cf. παλαιός, άρχαϊος.
(57) D i un neutro *αΙΓος parla anche il Be c h t e l , Griech. Dialekte, II, 360.
(58) Il B e n v e n i s t e attribuisce grande importanza al genere: una differenza di genere-
corrisponde infallibilmente, secondo lui, ad una differenza di concezione. Il m aschile
(ed il fem minile) significherebbe l’attività, onde aeuus doveva essere il «tem po» consi
derato com e forza anim ata; una forma neutra invece avrebbe espresso il «tem po» ob
biettivam ente inteso com e «durata», com e «spazio di tempo» (cf. pure E r n o u t , R E L
1 9 2 5 ,107s.). Sta peraltro di fatto che i testi non seguono m ai tali schemi: aeuus ed aeuum
PARTE ι: ΑΙΩΝ NELLA poesia
non si differenziano affatto per il significato ed aeuus esprime sempre — nei non molti
passi dove è attestato — l’obbiettiva durata, mentre aeuum assume spesso il valore di
forza cosmica che determina gli eventi (Lvcr. V, 58, 306, 379, ecc.). Non si vuole con
ciò affermare che la nota distinzione fra genere animato ed inanimato, che viene dai
linguisti postulata per lo stadio primitivo delle lingue (cf. Meillet, Linguistique kisto-
rique et linguistique générale, Paris 1948, 219; La catégorie du genre et les conceptions indeuro-
péennes, Paris 1948, 211ss.; Aperfu, 44s.; MSL X X I, 249ss.; cf. L. Hielmsley, Animi et
inanimi, personnel et non-personnel, Paris 1956, 155ss.), non abbia avuto — entro certi li
miti — il suo valore; anche se si può constatare che tali distinzioni sono contraddette
di continuo: così il maschile avesticoyus ed il neutro dyù valgono entrambi «durata della
vita», mentre anche il neutro vedico àyuh vale «forza vitale» come αιών. Quello che in
vece ci pare sia da rivedere, è la presunta contrapposizione fra genere animato, come
proprio della sfera religiosa, e quello inanimato come proprio di quella materialistica
(cf. Pisani, RAL IX, 103ss.); poiché quello che per noi è inanimato non è detto che
fosse tale anche per i primitivi, per i quali l’ambito della sacralità aveva un’estensione
molto più vasta. Dire, in altri termini, che la «forza vitale» corrispondeva al genere ani
mato e la durata di detta forza al genere inanimato, non ha senso che per una lingua
ed ima coscienza che abbia laicizzato e separato queste nozioni, quale è appunto la no
stra: ma per il primitivo esse erano la stessa cosa e si trattava di una nozione sacra e
quindi dinamica. Il neutro poteva indicare, semmai, una forza anonima ed impersonale,
ma pur sempre una forza come il maschile ed il femminile: come possono indicare, nel
nostro caso, gli esempi di àyuh e di aeuum. Una distinzione fra le funzioni dei generi par
rebbe invece possibile sul piano della personificazione, anziché sulla base delle categorie
di «animato» ed «inanimato»: se detta forza viene personificata, allora il maschile (o
femminile), si contrappone al neutro. Ecco il maschile àyuh «genio della forza vitale»,
che non potrebbe essere un neutro: e ciò è provato dagli indigitamenta, che contengono
in sè sempre un principio di personificazione e sono tutti ma«-hili e femminili (cf. RE
IX , 2, 1339ss. ; Van der Leeuw, La religion, 147ss.).
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 39
unione col verbo είναι (cf. θεοί αίέν έόντες). In realtà la nozione di du
rata è ben attestata già nell Ilia d e e nulla autorizza a pensare che essa
sia secondaria (59) ; e, del resto, queste argomentazioni sono tu tt’altro
che convincenti. Non convince affatto che un valore nettamente tempo
rale come quello contenuto in αίεί possa derivare da uno atemporale;
anche rifugiandoci nei vari « au fs neue, w ied er» ed in una nozione di ripe
tizione, si e sempre costretti ad ammettere un senso di continuità e, quindi,
di durata, sia pure saltuaria. Del che si rendeva conto lo stesso Seiler, il
quale cade in evidente contraddizione quando, dopo aver osservato che
fra le varie manifestazioni della forza vitale c’è quella di «scorrere», «pas
sare», come risulta da ε 152, osservava che questa «Weiterentwicklung»
dell’αιών che «verfliesst», «muss...., zum mindesten für die andern Bil
dungen von selben Stamm (vgl. αί(ί)ές, αί(/)εί, a i(f )έν, usw.), schon
vorhomerisch eingesetzt haben» (c. 402).
***
Non ci si è mai chiesti se questi due significati, che alla nostra ra
zionalistica m entalità — la quale ha imparato a dividere e disimparato
ad unificare — appaiono affatto inconciliabili, fossero tali anche per la
mentalità dei prim i greci, la quale, molto più «primitiva» della nostra,
ignorava le sottigliezze e le distinzioni del nostro intelletto (60). In quella
lingua e in quella mentalità non potevano questi due concetti — anzi:
nozioni — coincidere ed essere una cosa sola? Come nel greco arcaico,
(59) Lo stesso Benveniste, che pure aveva pensato alla forma neutra, affermava che
«ce ‘toujours’ indique ce qui est perpétuellement récommencé, avant d ’étre un ‘toujours*
permanent et im m obile» (Le.): e contrapponeva il senso di ripetizione di A 52: alti 8è
πυραί νεκύων καίοντο θαμειαί a quello di immobilità di A290 : θεοί αίέν έόντες, dove avrem
m o uno sviluppo sem antico seriore. Che il primo significato sia il più genuino ed il più an
tico, è affermazione da discutere: non si potrebbe forse sostenere il contrario? Che cioè
a h i, inserito in un contesto ove si parla di cose che «diventano» e non di cose che
«sono», possa assumere anche il senso di ripetizione? In realtà αίεί indica, in ogni caso,
continuità: ed è proprio il contesto a determinare, di volta in volta il valore dell’avver
bio (cf. M ondolfo , L ’infinito, 102). Il presunto valore secondario si trova ben attestato
col verbo είναι sia nell’Iliade (A290, 494; Φ518; Ω99: m a il S eiler, c. 287, afferma che
tali passi sono... pochi, per poter smentire la secondarietà del senso di durata) che nel-
ΓOdissea (a263, 379; β143; γ147; 8582; ε7; θ306, 365; μ371, 377; ν144) ed è pure evi
dente in άενάοντα, «immer fliessend», com e am mette lo stesso S eiler, c. 177.
(60) «U ne grande partie de la culture grecque est ‘primitive’... la ‘prim itivité’ est
une structure de l ’ésprit» (V an der L eeuw , L ’homme primitif, 139).
40 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA
così anche nella fase più arcaica dell’indoiranico i testi confermano questa
ipotesi: «forza vitale», «vigoria», «salute» e «durata della vita» (61) sono
compresenti e non si escludono affatto. E nulla in effetti ci autorizza a
pensare ad una anteriorità del significato atemporale: la «durata» non
è affatto un concetto filosofico, né un’astrazione. Questi primi poeti non
erano dei filosofi e non potevano avere che il senso concreto della «du
rata» bergsoniana: il senso del tempo vissuto e non ancora omogeneizzato,
quale si presenta alla coscienza del primitivo, il quale vive in una sfera
mitica che ignora le astrazioni (62). La forza vitale, all’esperienza, non
si rivela che nella durata: e l’una e l’altra erano la stessa cosa. Il che, anche
se a noi può sembrare un po’ forzato, non è detto che tale dovesse essere pu
re per i primi Greci e per gli indoeuropei. L’analisi disperde in elementi se
parati quello che era unitario per la coscienza che l’ha concepito : ma nel
pensiero di questi popoli, e così nella lingua che ad esso corrispondeva, le
varie nozioni di «mobilità», «gagliardia», «salute», «durata», «giovinezza»
e simili — che a noi appaiono ben distinte — erano tanto strettamente col
legate fra di loro che l’una presupponeva necessariamente le altre: erano
anzi fuse in un’unica intuizione ed espresse da un’unica parola. Di tale
unità, dissoltasi col progressivo razionalizzarsi del pensiero e della lingua,
sussistono peraltro alcune vestigia: degli elementi inafferrabili per la lin
guistica, nei quali l’unitaria concezione di quei popoli ci appare ancora
in atto e che sono stati ben messi in luce dal Dumézil in un suo studio
dedicato a problemi di mitologia indoeuropea (AHES X, 289ss.). * A iw
e *yuw en, egli sottolinea (p. 290), esprimevano delle nozioni magico-reli-
giose e prima di divenire materia di speculazione «elles ont été vécues,
elles ont représenté un bien, à acquérir ou à conserver..., elles ont soutenu
des rites efficaces et orienté, animé les mythes garants de ces rites». Ed
è appunto attraverso l’esame di alcuni di tali miti, che noi possiamo an
cora vedere sul vivo — e non ricostruire solo astrattamente — il dina
mismo antico di queste nozioni: il che è ancora possibile, almeno nel do
minio italo-celtico.
Vediamo a Roma, il mito di Iuuentas. Tale dea era una delle vecchie
divinità della terra romana ed il ripristino che si fece in epoca imperiale
(63) Ad esempio: le teste sotterrate hanno nella tradizione celtica un posto impor
tante, come palladio della città; e palladio di Roma era appunto — insieme con Ter-
42 PARTE i : ΑΙΩΝ NELLA POESIA
può essere ribadita anche dalla funzione che ebbe *aiw presso le anti·
chissime società segrete (Gandharva, Κένταυροι, Lupercales) e dal nome ar-
meno dell’alba (.Ayg), che era la garante della lunga vita (64).
* * *
Αιών era dunque la «forza vitale», ma non disgiunta dalla sua durata:
il che può spiegare come un avverbio tratto da tale vocabolo potesse va
lere «sempre». È peraltro necessario mettere in rilievo un altro fatto, fi
nora non rilevato. Risolta sul piano temporale, la nozione di «forza vi
tale» che, come giustamente mise in luce il Benveniste, indica qualcosa
che è costantemente alla sua άκμή, non poteva che tradursi in «durata
della vita». Αιών, infatti, indica il «tempo» della vita visto nella sua con
tinuità, non nella sua puntualità: è la totalità della vita, nei due limiti
del principio e della fine. Questo fondamentale senso di holòtes e di con
tinuità temporale non verrà mai meno nel termine ed è chiaramente com
provato dalle definizioni βλος ό βίος, δλος ό παρών βίος che molto spesso
ne furono date (65) : la stessa definizione aristotelica di αιών come τό τέλος
τό περιέχον τον της ζωής χρόνον né è un’ulteriore esplicita conferma. Si
minus e Iuuentas — quel capo umano che venne alla luce durante gli scavi di sistema
zione del colle (cf. p. 295).
(64) Ayg, come già vide il P a tr u b à n y ( a p . D um ézil, o . c . , 299, 1; 299, 2), va con
nesso con *aiw : accostamento che però venne molto spesso rifiutato per il senso, poiché
si vedeva in *aiw il solo valore temporale. Ma *aiw non è il «tempo» astratto» : esso è —
se proprio vogliamo esprimerci in questi termini — il «tempo di vitalità massima», il
«tempo giovane»: e l’alba, che nelle concezioni mitiche armene aveva un posto di primo
piano (il sorgere del sole, apportatore di vita, è ancor oggi caricato di sensi religiosi e
d i riti presso il popolo armeno), era appunto il tempo giovane (anche in R V , I, 113, 1,
l ’aurora è detta yuvati) e vivificatore per eccellenza (pp. 299s.). «’A κμήdujour, garante
de la longue vie, la vierge Ayg des croyances et des rituels populaires de l’Arménie, mé
n te bien del prolonger la force vitale, *aiw , indeuropéenne» (p. 300). Sulle società se
grete indoeuropee, i cui affiliati rimanevano a lungo giovani usufruendo di un prolun
gamento di *aiw , cf. pp. 295ss. Lo stesso D um ézil (BSL X X X IX , 193) collega con *aiw
il nome del leggendario re di Egina Αιακός, come s’è visto: Αιακός, che conta fra i suoi
discendenti i guerrieri (*yuiven) Achille ed Aiace, è, come M ac Oc, «l’un des gardiens de
1 autre Monde, de la vie étemelle (cf. αιών), à coté de deux personnages égéens». Sulla
natura bellica della gioventù indoeuropea, cf. ibid. 185ss., 188ss.: il valore militare (cf.
*yeudh, «combattere») era «la manifestation essentielle de la ‘force vitale’ à son période
(άκμή)».
(65) Cf. O w en, o . c . , 265ss. e passim.
CAP. π : LA «GRUNDBEDEUTUNG» DI ΑΙΩΝ 43
■capisce allora come 1 antico locativo αίέν-αίεί abbia potuto assumere il
valore che esso presenta già in Omero (6 6 ) : basti pensare alla locuzione
■δι’ αίώνος, sulla quale torneremo, che potè ben presto passare al valore
di «sempre», «continuamente», cosa che non si verificò affatto per διά
βίου, il cui significato di «durante la vita», «nel corso della vita», si man
tenne sempre immune da «allargamenti». Ciò non sarebbe stato possibile,
se αίων avesse indicato semplicemente il «tempo» della vita, senza il suac
cennato senso di holòtes: il quale dà ragione anche delle sfumature fata
listiche che αίων molto spesso assunse ed in particolare dell’identificazione
αιών = μοίρα che incontreremo in Pindaro (67).
I L IR IC I E PIN D A R O
(68) Sulla progressiva riduzione sem antica d ei vocaboli om erici, cf. S nell , Cultu
ra greca, 21ss.; 25ss.
(69) Per i lirici seguo il D iehl , Anthal, lyricei»; per Pindaro il T u ry n , Oxonii* 1952.
46 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
vita «senza lacrime» che si trascorre nell’aldilà (70) : άλλά παρά μέν τι-
μίοις I θεών, οΐτινες έχαιρον εύορκίαις άδακρυν νέμονται | αιώνα · τοί δ’
άπροσόρατον δκχέοντι πόνον. Il valore temporale appare con particolare
evidenza in Pyth. V, 7. ω θεόμορ Αρκεσίλα, | σύ τοί νιν κλυτας | αΐώνος
άκραν βαθμιδών άπο | σύν ευδοξία μεταινίσεαι | έκατι χρυσαρμάτου Κάστορος,
ove la vita di Arcesilao è rappresentata, per così dire, mediante l’im
magine di una scala i cui gradini ne contrassegnano le brillanti tappe.
Le osservazioni finora fatte si possono estendere anche a Pyth. I li, 86:
αιών δ’ άσφαλής | ούκ έγεντ’ οδτ’ Αίακίδα παρά Πηλεΐ, a Pyth. IV, 186:
μη τινα λειπόμενον | ταν ακίνδυνον παρά ματρί μένειν αιώνα πέσσοντ’, nonché
al fr. 129, 5: μηδ αμαυρου τέρψιν έν βίω* πολύ τοι | φέριστόν άνδρί
τερπνός αιών.
Ma in Pindaro αιών ha anche altri valori. Nel fr. 184 si legge: ίσοδένδρου
τέκμαρ αίώνος θεόφραστον λαχοΐσαι: si accenna qui ad una durata di vita
equivalente a quella di un albero. Τέκμαρ αίώνος λαχοΐσαι ci fa sentire che
αιών è qualcosa che l’uomo ottiene in sorte: e in realtà, in Pindaro, αίών
viene spesso sentito come qualcosa di fisso e di predeterminato che l’uomo
non può assolutamente mutare con le sue forze. Ciascuno ottiene la sua
parte, il suo lotto di vita, il suo conchiuso e limitato periodo di tempo:
ed il vocabolo passa facilmente ad indicare la vita in uno col suo pre
fissato contenuto di gioie e dolori, assumendo così lo stesso valore di μοίρα.
Come s’è già osservato, questo nuovo significato è strettamente legato col
fondamentale senso di kolòtes che è tipico del vocabolo: né ζωή né βίος
poterono infatti assumere queste sfumature fatalistiche, appunto perché
solo αιών aveva il pregnante valore di όλος ó βίος. Va peraltro precisato
fin da ora che se questo αίών = μοίρα si incontra poi anche in Sofocle ed
in Euripide, tuttavia — come vedremo — in Pindaro tale identificazione
ha un’ampiezza ed una vitalità incomparabilmente più ricche, in quanto
essa viene ad essere espressione di un atteggiamento tipicamente pindarico.
In questa sezione di tempo che l’uomo ottiene in sorte, il Fato (Μοίρα,
Πότμος) che per Pindaro è la suprema norma che regola l’esistenza (71)} sj
attua nelle sue inesorabili leggi a cui nessuno può sottrarsi. E .come Òmero
chiamava μόρσιμον ήμαρ (72) un giorno nel quale, in qualche decisivo even
to, si esplicava il volere del destino, così Pindaro esprime con μόρσιμος αιών
il realizzarsi del destino nella vita di qualcuno: μόρσιμος αιών è la vita in 1
quanto fissata e determinata dal fato. Questo legame μοϊρα-αΐών (7 3 ) lo"
si intraw ede appena in N em . X, 89: έπεί | τούτον, ή πάμπαν θεός έμμεναι
οίκεΐν τ’ ούρανώ, | είλετ’ αιώνα φθιμένου Πολυδεύκης Κάστορος εν πολέμω,
m a esso appare, in forma ben più evidente, in Isth m . V II, 42 : δ τι τερπνόν
έφάμερον διώκων, | έκαλος έπειμι γήρας ές τε τον μόρσιμον | αιώνα, dove
questo μόρσιμος αιών verso cui ci si dirige (cf. fr. 46,87 : έπί γήρας ΐξέμεν
βίου; Eu. Iph . A u l. 1508: έτερον αιώνα καί μοίραν οίκήσομεν), va inteso come
«il destino della mia vita», «l’àge que me fixe mon destin» (74) o qual
cosa di simile. Ma già in Omero la μοίρα non era solo la «sorte» di qual
cuno, obbiettivamente intesa: il termine era epifanico e rimandava al
«divino», poteva talora indicare il «Destino» che nel suo svolgersi
determina gli eventi della vita (75). Ed anche 1’ αιών pindarico, che as
sume tutti i significati di μοίρα, si può caricare anche di questo carat
teristico dinamismo. U na perfetta equazione, in questo senso, fra μοίρα
ed αιών si incontra in O l. IX , 64:
μείχθη Μαιναλίαισιν έν δειραΐς καί ένεικεν
Λοκρώ, μή καθέλοι νιν αιών πότμον έφάψαις
ορφανόν γενεάς,
(71) Pyth. XII, 30; Nem. IV, 42; XI, 43, ecc. Sulla μοίρα pindarica, cf. G reene,
Moira, Fate, Good, 68ss.; H. S troh m , Tyche, Stuttgart 1944, 46ss.
(72) F r e n k e l , ZfAe XXV, 102; per μόρσιμος e di vari altri aggettivi tratti da μοίρα,
cf. B ianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 43ss.; 196. Anche P in d a ro dice talora μοιρίδιον αμαρ (Pyth.
IV, 255), nello stesso senso. Sul μόρσιμος αιών, cf. Strohm , o.c., 52; H. G u n d ert, Pindar
und sein Dichterberuf, Frankfurt am Main 1935, 105.
(73) Sulla «fatalisticità» dell’aicóv pindarico: cf. S c h m id -S te h lin , Griech. Litgsch.
I, 1, 578ss.; L a c k e it, o.c., 13. In A n a c r e o n te , fr. 196, si trova per la prima volta μοίρα
αίώνος: ma qui μοίρα vale semplicemente «parte», senza sfumature escatologiche. Per il
valore temporale che può essere assunto da μοίρα, cf. B ianchi, o.c., 13; 19ss.; E. L eitzk e,
Moira und Gottheit im alten griech. Epos, Diss. Göttingen 1930, 32.
(74) A. P u ech , Pindare IV, Paris 1923, 70. II B oeck h traduce: «Gaudium in diem
praesens, quod sectans tranquillus accedo senectam atque ad fatale aevum» (A.B., Pin
dari Opera, II, 2, Lipsiae 1821, 97).
(75) Va peraltro precisato che in O m ero il destino è ancora il destino personale
del personaggio, quasi sempre indipendente dall’idea postomerica di un ordine generale
o cosmico: μοίρα è quindi ancora il «destino» come «esperienza attuale constatata c pa"
tita dal singolo» (B ianchi, o.c., p. 25; cf. anche 26 e 198).
CAP. Ili: I LIRICI E PINDARO
49
dove si racconta che 1 Olimpo rapì e resa incinta la figlia di Opurite, por
tandola poi al re Locro, «affinché αιών non cogliesse costui e gli appor
tasse un destino privo di prole»: è chiaro che qui αιών è la «morte» e con
temporaneamente il «destino», attivamente intesi (76). Il valore mistico
ed epifanico di cui il termine s’è caricato può dunque conferire ad esso
una singolare ambivalenza, onde proprio il vocabolo che normalmente
indica la «vita» può anche connotare la «morte».
L’espressione μόρσιμος αιών si trova pure nell’orfica 01. II, 11: καμόντες
ol πολλά θυμω | Ιερόν έσχον οίκημα ποταμού, Σικελίας τ’ Ισαν | όφθαλμός,
αιών 8 ’ έφεπε μόρσιμος, πλοϋτόν τε καί χάριν άγων | γνησίαις έπ’ άρεταϊς,
«e seguiva il tempo segnato dal destino, adducendo ricchezze e grazia
in aggiunta alle virtù avite» (76bis). Qui αιών è apportatore di gioia e di
ricchezza ed ha anche in tale passo un valore attivo: altrettanto si deve
dire per JVem. II, 8 : όφείλει 8 ’ ίτι, πατρίαν | εϊπερ καθ’ ό8 όν νιν εύθυπομπός
I αιών ταϊς μεγάλαις δέδωκε κόσμον Άθάναις, cioè «oportet vero etiam,
paterna siquidem in via ipsum recta deducens aevum magnis dedit or
namentum Athenis» (77).
In Pindaro, dunque, αιών non indica solo il lasso di tempo o la sorte
come «cosa» oggettiva ed inerte: spesso il vocabolo si carica di quell’«ener
getischer Charakter», che il Fränkel riconosceva nel χρόνος pindarico (78).
In questi casi αιών non è più la vita di qualcuno, bensì una forza trascen
dente ed esterna all’uomo che agisce su tutto il genere umano, determi
nandone le gioie ed i dolori. Così in Isthm. Ili, 18: αιών 8 è κυλινδομέναις
άμέραις άλλ’ άλλοτ’ έξάλλαξεν άτρωτοι γε μάν παϊδες θεών (79). Qui αιών è
al di fuori da ogni relazione con qualcuno, è usato in senso assoluto: è un
(76) Cf. βΙΟΟ: εις δτε κέν μιν μοΐρ’ όλοή καθέλησι. Cf. pure τ145, γ238, ecc.; Soph.
Aj. 517: μοίρα τόν φύσαντά τε καΦείλεν, Ant. 275, Oed. C. 1690: Aesch. Ag. 398, ecc.
Una reminiscenza di questo passo pindarico si può cogliere in A ntifilo (Ani. Pian. 4,
33) : aàv o(m κϋδος 6 πας αιών κα&ελεΐ.
(76bis) D e l Grande, o . c., 79. «Fate» traduceva il Fennel (P in d a r : T h e N e m a n and
Isthmian Odes, Cambridge 1899, 21).
(77) Boeckh, o. c., 74. II Puech (Pindare, III, Paris 1923, 32) intende «destin pro-
pice». Cf. Fernandez-Galiano, P. Olimpicas, Madrid 1954, 44; 116ss.
(78) O.c., 108. «Chronos — egli aggiunge — ist das Verwirklichende: aus Hoffnun
gen und Gefahren, aus Möglichkeiten und Fähigkeiten, macht er Wirklichkeit». Anche
il G undert (oc., 63) insiste sul fatto che il χρόνος pindarico non è tanto «der zufällige
Raum, in dem etwas geschieht», ma una vera e propria «Kraft».
(79) Questo verso richiama l’ode saffica a Roma di M elinno (v. 13) : πάντα δì σφάλ-
λων ó μέγιστος αιών, καί μεταπλάσσων βίον άλλοτ’ άλλον, dove αίων è analogamente sen
tito come equivalente a χρόνος. Cosi pure nell’epigramma adespoto dell Ant. Pai. V II,
225, dove — senza differenza di significato — si trovano assieme χρόνος ed αίων.
αιών senza dimensioni che, per così dire, πάντα αιώνα περιέχει: è sentito
come holon, è «tutto il tempo»: e, come χρόνος, comprende e ingloba in
sè la mia come le altre vite particolari. Traduceva il Boeckh: «sed tem
pus volventibus diebus alia alias immutat» (80) ; e «tempo» tradussero
anche molti altri. È lecito ed esatto tradurre così? La questione è oziosa:
che si traduca in un modo o nell’altro, «vita» o «tempo», non cambia
assolutamente nulla. Bisogna evitare il pericolo di fossilizzarsi sui termini
che di volta in volta si adoperano per tradurre: basta, del resto, guardare
al greco per capire quanto 1’αίών pindarico sia diverso da quello omerico
ed esiodeo. Quello che im porta notare è che il termine si carica, in que
sto come in altri contesti pindarici, di un senso infinito di durata: o, più
esattamente, diventa principio cosmico e, come tale, acquista la trascen
denza del «divino». Q uando viene sentito nel suo inesorabile incombere
sulla fragile esistenza um ana, αιών si rivela appunto nella sua puntuale
trascendenza di tempo perìechon. Così in Isth m . V ili, 14 dove Pindaro —
svolgendo un motivo accennato anche in N e m . I l i , 78: έλα δέ καί τέσσαρας
άρετάς | ό θνατός αιών, φρονεΐν δ’ ένέπει το παρκείμενον — invita a consi
derare sempre il presente:
τό δέ πρό ποδός
άρειον άεί σκοπεΐν
χρήμα παν δόλιος γάρ αιών έπ’ άνδράσι κρέμαται,
έλίσσων βίου πόρον.
(80) O . C . , 92. Ed il P uech (Pindare, IV, 43) : «mais tandis que les jours se dérou-
lent, le temps amène bien des vicissitudes«.
(81) Per έλίσσων, cf. Εν. H e r ./. 669. Traduceva il Boeckh: «quod vero praesens est,
id praestat semper spectari. Dolosum enim aevum viris impendet volvens vitae cursum»
(o.c., 98), ed il Puech, o . c . , 77: «perfide est le temps qui plane sur nous et deroule le
cours de notre vie». Così pure lo H eyne (Pindari carmina, Londini 1823, 528): «urget,
instat, έπίκειται hominibus Tempus insidiose volvendo vitae cursum» e spiegava: «αιών
tamquam de persona, de Tempore». Sulla significativa unione di αίών con έπί (cf. anche
0 1 . II, 11, Pyth. V i l i , 96) ha richiamato ottimamente l’attenzione il F ilen k el, W u F
25, che la mette giustamente in relazione con l’aggettivo έπάμερος-έφήμερος, nel quale
«έπί besagt, dass der Tag ‘auf’ uns ist».
CAP. m : I LIRICI E PINDARO Öl
(82) I mss danno άγώνα (confermato anche dallo scoliasta, che oscuramente intende:
μεταμόρφωσιν), che però è impossibile per il senso, benché sia accettato dal M urray e
nonostante i tentativi del R ose (A Commentary on the Surviving Plays of Aeschylus, II, Amster
dam 1958, 81). ΑΙώνα si legge in margine al Mediceo ed E. F raenkel, (Agam. I, 160s.;
II, 1148s.) sostiene γλυκύν τ’ αιώνα : in tal modo però diventa difficile spiegare 1’άγώνα dei
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
peraltro l’accento batte più sul contenuto della vita che sul suo aspetto
temporale, si riscontra in Choeph. 442: μορον κτισαι μωμένα | άφερτον αίώνι
σω e 350: λιπών άν εύκλειαν έν δόμοισιν | τέκνων τ ’ έν κελεύθοις | έπι-
στρεπτόν αίώ | κτίσσας πολύχωστον άν είχες τάφον (83), nonché in A g . 715,
dove di Troia si dice: πολύθρηνον μέγα που στένει κικλήσκουσ’ | "Απαριν
τόν αίνόλεκτρον, | παμπορθη πολύθρηνον | αιών’ άμφί πολιτάν | μέλεον αΐμ’
άνατλάσα.
In Sofocle αιών vale sempre «vita»: così in O ed. C . 1736: αύθις ώδ’
έρημος άπορος | αιώνα τλάμον’ έζω ed in T ra cti. 2. ουκ άν αιών εκμάθοις
βροτών, πριν άν | θάνη τις, nonché in A j. 645, dove si allude ad una scia
gura che si abbatté una volta sugli Eacidi: άταν, άν οΰπω τις έθρεψεν |
αιών Αίακιδάν άτερθε τοϋδε e dove αιών assume singolarmente il concreto
valore di «vivente». In E l. 1086 si parla di una vita «tutta lacrime»:
ώς καί σύ πάγκλαυτόν αΐ |ώνα κοινόν είλου, di una vita «immune da mali»
in A n i. 582: εύδαίμονες οΐσι κακών άγευστος αιών e di una «mediocre» in
P h il. 178 : ώ δύστανα γένη βροτών, | οϊς μή μέτριος αιών. U na pittoresca
personificazione poetica di αιών si incontra in P h il. 1348: ώ στυγνός αιών,
τί με, τί δήτ’ έχεις άνω | βλέποντα, κούκ άφήκας εις "Αιδου μολεϊν;
Analogo discorso si può fare anche per moltissimi passi euripidei.
Uno spiccato senso temporale è presente in A le . 337 : οϊσω δέ πένθος ούκ
έτήσιον τό σόν, | άλλ’ έ'στ’ άν αιών ούμός άντέχη, «je porterai ton deuil, non
pas une année, mais aussi longtemps que dureront mes jours, 6 femme»
(Méridier, E u ripide, I, Paris 1925, 70). Identico significato in M e d . 646:
ώ πατρίς, ώ δώματα, μή δήτ’ άπολις γενοίμαν | τον άμηχανίας έχουσα |
δυσπέρατον αιώνα e 429: μακρός δ’αίών έχει | πολλά μέν άμετέραν άνδρών
τε μοίραν είπεΐν dove il μακρός αιών ha appunto il valore di «lunga vita»
(84) come conferma il fr. 575: δστις δέ θνατών βούλεται δυσώνυμον | εις γή
ρας έλθεϊν, ού λογίζεται καλώς* | μακρός γάρ αιών μυρίους τίκτει πόνους.
codici. Pare dunque preferibile la lezione del M azon che, seguendo I’Emperius, vi vede
un’aplografìa di άγειν αιώνα. In Ag. 246 i mss. danno αΙώνα, m a la lezione va senz’altro
corretta in παιάνα, come conferma il τριτόσπονδον che precede.
(83) Αίώ è sicura correzione (G. H erm ann, A h ren s) dell’alciva dei mss. (cf. Bekker,
Anecd. gr. 363, 17: αίώ τόν αιώνα κατ’ άποκοπήν Αισχύλος). Il M u r r a y , seguendo il
M ü lle r , legge αίώ anche in Ag. 229, ma non è necessario.
(84) Normalmente si intende «tempo» (cf. M é r id ie r , o . c . , 139; D e l G rand e, Filo
logia minore, 185), ma l’espressione non equivale a μακρός χρόνος, bensì a μακρός βίος (cf·
A esch. Pr. 449, Soph. Aj. 473, ecc.). Μακρός αιών si trova per la prima volta in Pind.
Nem. I li, 78 come v.l. di θνατός αιών, che è peraltro da preferirsi perché confermato da
Aristarco. Un verso attribuito a M e n a n d r o (Mortosi. 351) contiene la stessa espressio
ne: μακρός γάρ αίών συμφοράς πολλάς έχει.
CAP. IV : I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
55
Altrettanto va detto per Phoen. 1484: λεύσσειν |... πτώματα νεκρών
σκοτίαν αιώνα λαχόντων, dove — indiscutibilmente comprovato dallo scolio
ricompare il genere femminile. In Suppl. 1084 il poeta anassagoreo la
menta l’irreversibilità del tempo della vita (cf. Her. f. 655) : άλλ’ έν δόμοις
μέν ήν τι μή καλώς έχη, | γνώμαισιν ύστέραισιν έξορθούμεθα, | αιώνα 8’ ούκ
έξεστιν, mentre il βραχύς αίων di Bacc. 397 va confrontato con il frequente
e prosastico βραχύς βίος (Hipp. Aph. I; Her. VII, 46, 2, 3, etc.). In Ion
625 si trova 1 espressione αιώνα τείνει come variante del più frequente
τεινειν βίον (Aesch. Prom. 537 ; Eu. M ed. 670, ecc.) ; spiccato senso tempo
rale in Phoen. 1520: μοναδ αί | ώνα διάξουσα τόν άεί χρόνον έν λειβομέ-
νοισι δάκρυσι ed in H ipp. 1109: άλλα γάρ άλλοθεν άμείβεται, | μετά δ’
ϊσταται άνδράσι αιών, come pure in M ed. 243: κάν μέν τάδ’ ήμϊν έκπονου-
μέναισιν εδ | ποσις ξυνοικη μή βία φέρων ζυγόν, | ζηλωτός αιών. In altri
contesti invece, αιών esprime l’esteriore apparenza della vita, più che la
sua durata o il suo contenuto: sfumatura che possiamo rendere con «ge
nere di vita», «modo di vivere». Così chiaramente in Andr. 1215: τίν’
αιώνα ές τό λοιπόν έξεις; e in Phoen. 1533: δεΐξον, | Οίδιπόδα, σόν αιώνα
μελέων, δς... |... έλκεις μακρόπνουν ζοάν, come pure in Hec. 755: τΐ χρήμα
μαστεύουσα; μών έλεύθερον | αιώνα θέσθαι; e 757: ού δήτα· τούς κακούς
δέ τιμορουμένη | αιώνα τόν σύμπαντα δουλεύειν, nonché nel fr. 239: ήδύς
αιών ή κακή τ’ ανανδρία | οδτ’ οίκον οΰτε πόλιν άνορθώσειεν άν.
Tutto ciò che s’è finora detto sull’aìcóv euripideo vale anche per quel
dibattuto passo dell'Eracle (v. 671), la cui interpretazione è molto contro
versa: νϋν δ’ ούδείς δρος έκ θεών | χρηστοΐς ούδέ κακοϊς σαφής, | άλλ’
είλισσόμενός τις αί |ών πλούτον μόνον αυξει. «Ora però non c’è nessun chia
ro segno di distinzione fra buoni e malvagi, mandato dagli dèi: ma un
αιών qualsiasi, nel suo svolgersi, non esalta che la ricchezza»: anche qui
αιών equivale a βίος (85). Un analogo significato, per concludere, si ri
scontra pure in Or. 981 : βροτών δ’ ó πας άστάθμητος αιών, nel fr. 813 :
δ γάρ πας άσθενής αιών βροτοϊς ed in Suppi. 1005: ές Αιδαν καταλυσουσ’
(85) Cf. WiLAMOWiTZ, Herakles, 364; Festugière, PP XI, 174. Sembra che a ge
nerare varie incertezze nell’interpretazione sia stato il τις, da molti riferito al parti
cipio ad αίών: είλισσόμενός τις αιών dovrebbe quindi avere il valore di «la
vita, che si svolge in un modo o nell’altro», cioè quella del buono e del malvagio:
«homines, sine discrimine et pravi et probi divitias sibi acquirunt» (Matthiae). Quan
to ad αίών, di solito si intende «il tempo» o qualcosa del genere: così il Parmentier {Eu
ripide, IH, Paris 1950, 46) traduce: «le cours changeant qui empörte le monde». IILac-
keit (Aion, 85), che pure intende giustamente il passo: «Reichtum allein ist das Ziel
des kreisenden Lebens», vede anche qui una «Augenblickspersonifikation» di αίων come
«menschliches Dasein», cosa smentita dallo stesso τις.
56 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
έμμοχθον | βίοτον αίώνός τε πόνους, «per porre fine nell’Ade alla mia
dolorosa vita ed alle pene della mia esistenza». Questa equivalenza fra αΙών
e βίος spiega anche come Euripide nel F ilottete abbia potuto usare un’e
spressione eccezionale come άπέπνευσεν αιώνα (fr. 801) : Esichio (sv. αιών),
che conserva il frammento, credeva che qui αιών fosse stato usato nel
senso di ψυχή, ma in realtà basta pensare ad espressioni frequenti come
βίον έκπνεΐν (Or. 496, H el. 142, Ion 1600, H er. f . 980, Aesch. A g . 1493,
1517) e βίον άποψύχειν (Soph. A j. 1031) (8 6 ).
Come equivalente di βίος, αιών entrò anche nella prosa. Pressoché
ignorato dall’austero e scientifico linguaggio di Tucidide, che lo usa solo
una volta ed in una formula abituale (I, 70, 25) : καί ταϋτα μετά πόνων
πάντα καί κυνδύνων δι’ όλου τοϋ αίώνος μοχθ-οΰσιν, esso trova più favore
nella poetica prosa erodotea: tre volte si incontra la formula τελευτάν
αιώνα (I, 32, 5; IX , 17, 4; IX , 27, 3), come variante del normale τελευτάν
βίον.Διαφέρειν αιώνα, traducere uitam , si incontra in III, 40, 2; mentre in
VI, 46, 4, compare la singolare espressione γλυκύν γεϋσαι τον αιώνα, «far
gustare la dolcezza della vitii». Anche Senofonte impiegò più volte αιών
nella Ciropedia: 3tà παντός τοϋ αίώνος βιοτεύειν (II, 1, 19), τον αιώνα διάξετε
(III, 3, 3) ,τοϊς δέ κακοϊς....αβίωτος ό αιών άνακείσεται (III, 3, 52), οΰτω
δέ τοϋ αίώνος προκεχωρηκότος (V III, 7, 1 ), έμοί δέ οΐόνπερ αιώνα δεδώκατε,
τοιαύιην καί τελευτήν δούναι (V III, 7, 3). Anche nell ’Agesilao si trova due
volte αιών, in X, 4: άφικόμενος δέ έπί το μήκιστον άν-9-ρωπίνου αίώνος
άναμάρτητος έτελεύτησε ed in X I, 15: τίς μέν γάρ τοΐς έχθ-ροΐς άκμάζων
οΰτω φοβηρός ήν ώς ’Αγησίλαος τό μήκιστον τοϋ αίώνος έχων;
Si può dunque notare un crescente diffondersi dell’impiego di αιών
nella prosa. Inoltre, le espressioni αβίωτος αιών, δι’ αίώνος βιοτεύειν, e, del
resto, la stessa frequente alteranza fra αιών e βίος, mostrano la pressoché
completa equazione fra i due termini. Si direbbe, anzi, che in quest’epoca
l’uso di αιών si fosse tanto esteso e generalizzato da far perdere al voca
bolo la sua stessa patina poetica: sappiamo infatti che accanto al nome
Εύβίων era in voga, nel quinto secolo, anche Εύαίων, che compare anche
in alcune iscrizioni vascolari databili intorno al 500-450 (87). Parrebbe
(86) Il L ack eit, o .c ., 19, cita questi esempi e ricorda pure espressioni latine come
uitam efflare (S il. I t . X V II, 556; C lavd . In Eutr. II, 444), uitam exalare (V erg . Aen. II,
562) e uitam fondere [ibid. II, 532). Egli peraltro pensa ad una sopravvivenza del valore
omerico di αιών.
(87) D ie te r ic h , RE V I, 836; K irch n er, Prosopographia Attica, I, Berolini 1901,
344. Εύαίων si chiamava anche un figlio di E sch ilo (cf. SEG X V , 594; Sud. s.v. Εύαίων);
e un tale nome ha un personaggio aristofaneo beffeggiato per la sua miserabile povertà
(Eccl. 408).
cap. rv: i lirici , i comici e la prosa
57
***
(88) È chiaro che anche qui αίών ha il significato di «vita» e non di «age, long space
of time», come vorrebbe il LSJ. Alle varie inesattezze già segnalate, si aggiunga qui che
il Lessico, per l’accezione «one’s life, destiny, lot», cita solo Sofocle ed Euripide e trascura
del tutto P in da ro . Il valore «for ever» in Aesch. Ag. 554 non è sicuro. Inoltre έπ’ ai. di
LXX, Ex. 15.18 è έπ’ αίωνα e non έπ’ αίώνος, come parrebbe dagli esempi che precedono.
(89) Qui αίών non vale «tempo», come voleva il Tournier (cit. dal Festugière,
°-c; 174, 2). Secondo il Lackeit, l.c., un senso fatalistico sarebbe ravvisabile, oltre che
in Ev. Phoen. 1520, anche in Aesch. Ag. 715.
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
(92) L’interpretazione del passo è molto controversa e si sono proposti vari emen-
•damenti (πειθοϊ H iller, άλκά Schütz, ecc.). Secondo i mss il M urray: πειθώ, μολπάν
άλκάν, σύμφυτος αΙών, ma la sua interpretazione «a diis anima nostrae cognata eam sua
delam inspirat quae potestatem canendi habet» è poco convincente, soprattutto per l’in
solito valore dato ad αιών. Il W ilamowitz, come il D indorf, leggeva πειθώ μολπάν άλκ$,
ma il senso è tutt’altro che chiaro; il L awson (Aeschyli Ag., Cambrigde 1932, llOss.) so-
-Steneva θεός έγκαταπνεύει | πειθώ, μολπάν τ* άλκά, σ. αιών, mentre D enniston e Page (Ae
schylus, Ag., Oxford 1957, 78), leggendo ίτι γάρ θεόθεν καταπνείει | πειθώ, μολπφ δ’ άλκάν,
•a. α., pensano che il periodo vada spezzato in due frasi: soggetto della prima e cioè di
καταπνείει (sull’opportunità di respingere, nonostante il W ilamowitz, il καταπνεύει dei
■codici, cf. anche E. F ilenxel, Ag., II, 62ss.) sarebbe πειθώ (su Πειθώ, cf. A esch.
Eum. 885s., 970s.) ed il verbo avrebbe un valore assoluto (come in P lat. Com. 173, 14
Kock: μή σοι νέμεσις θεόθεν καταπνεύση). La seconda frase andrebbe quindi intesa: «and
my time o f life is naturally adapted to (per σύμφυτος, cf. Plat. Legg. 844b., A rist. De Anim.
420a4) a song o f valorous deeds (cf. P ind. Mem. V II, 12; Bacchil. X I, 126; Evr . Rh. 933)».
L’interpretazione, benché igegnosa, lascia van dubbi e sembra preferibile attenersi ai
codici, come sostiene il F raenkel nel suo acuto esame del passo (pp. 62-65) e come fa
pure il Mazon, che intende: «les dieux laissent encore une force à notre àge, la foi qu
inspirent ses chants» (o.c., 14). Pare peraltro difficile che μολπάν άλκάν sia opposizione di
πειθώ ed intenderei μολπάν <τ’> άλκάν. Il σύμφυτος αίών, poi, non può significare «inbred
vitality» (cosi il Pearson citato dal F raenkel, 63, 1 ; un valore atemporale «kraftvolles
■Leben» vorrebbe anche il L ackeit, 15), perché qui αίών non può avere che un valore
6o PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
temporale («lifetime», secondo il F r a e n k e l, 62; cf. anche W ila m o w itz , Aìsch. Interpre
tationen, Berlin 1914, 170, 3) e l’espressione va raffrontata con i συγγενείς μήνες di Soph.
Oed. R. 1082 e con il χρόνος ξυνών μακρός di Oed. C. 7 (per cui cf. D ia n o , Edipo, 17s.)
Σύμφυτος αίών sarebbe dunque propriamente «la vita nata con me», «la mia vita»; ma,
in tale contesto, αίών indica più precisamente l’«età» dei vecchi che compongono il coro,
come ben intese il M a zo n e come conferma Io scolio: ό γάρ σύμφυτός μοι αιών, 6 έστι
γήρας...καταπνεΐ. Quindi: «ancora infatti, per volontà divina, la mia età ispira persua
sione e forza di canti».
(93) Osserva giustamente il L a c k e it, o.c ., 14, che in questo passo «die Spanne der
Lebenszeit, die Zahl der Jahre, nicht deren Inhalt, nicht die Ereignisse der Lebensjahre,
deren Summe ja auch αίών hiess, durch αίών zum Ausdruck kommt». Anche χρόνος puù
assumere talora un tale valore: cf. Pind. Ol. IV, 30; A esch . Sept. 11, Soph. Oed. C. 875;
Evr. Ion 1042; fr. 42, ecc.
(94) Così intende anche il L a c k e it, o.c., 25: «das menschenreiche Zeitalter des Oe-
CAP. IV : I LIRICI, I COMICI E LA PROSA 6l
Questo generico valore di «epoca, «era», «età», appare comunque
con estrema chiarezza in un noto frammento di Moschione (fr. 6 , 1 ):
ήν γάρ ποτ’ αιών κείνος, ήν ποθ’, ήνίκα | θερσίν δίαιτας εΐχον έμφερεϊς
βροτοί, « c era infatti una volta un’epoca, nella quale gli uomini
conducevano una vita simile alle bestie». Abbiamo qui la precisa
allusione ad un’«era» passata in cui non c’era ancora la civiltà. C’è stato
in effetti una specie di «allargamento» semantico: questo αιών, di cui
parla Moschione, indica uno spazio di tempo ben più generico e più am
pio di quello che corrisponde ad una vita umana. Si tratta di un seg
mento generico di tempo dai limiti piuttosto fluidi, che può abbracciare
anche parecchie generazioni. Il concetto di «Zeitalter», come giustamente
notava il Lackeit (A ion, 24), era effettivamente piuttosto elastico: una volta
che αιών si fu consolidato in questo valore, venne facilmente impiegato
per contrassegnare periodi di tempo anche più vasti di quello corrispon
dente ad una generazione. Però i limiti di un tale ampliamento stanno
appunto nel fatto che si tratta pur sempre di un segmento di tempo, sia
pur generico. Anche quando, nel quarto e nel terzo secolo, questo nuovo
significato si generalizza e lo si incontra sempre più di frequente, il vo
cabolo ha fondamentalmente sempre questo valore. Cosi in un frammen
to, che il Nauck attribuisce a Sofocle (fr. 1027), ma che di Sofocle certo
non è ed appartiene ad epoca un po’ più tarda (95), si parla, come in
Moschione, di un’epoca — questa volta futura — dell’umanità:
έσται γάρ έσται κείνος αίώνος χρόνος,
βταν πυράς γέμοντα θησαυρόν σχάση
χρυσωπός αιθήρ.
dipus, die Summe von αΙωνες der Menschen, die zur Zeit des Oedipus lebten». Tutti i
codici danno πολύβοτός τ’ αιών, ma la glossa dello scoliasta (ό ύπό πολλών έμβατευόμενος
ή 6 έπΐ πολύ έκτεινόμενος) non poteva riferirsi ad una tale espressione : si è così pensato a
πολύβατος (cf. Pino. fr. 91, 3: πολύβατον... άστεος όμφαλόν) ed il W eil, seguito dal Blom-
Hed, dal W eck lein e da vari altri, lesse πολύβατός τ’ άγών, «la folta assemblea», «1 agora
populeuse» (M azon). Anche il R ose (o.c., I, 1957, 227) è di questo avviso e l'Index Ae
schyleus dell’lTAUE registra il passo sotto άγών. Il M u rra y ed il W ilam owttz difendono
Invece la lezione dei codici, e quest’ultimo spiega l’espressione con Nonn. Jfoh. 9, 154:
«Ιών πάντροφος, aggiungendo che αΙών vale βίος. Data la natura del linguaggio eschileo si
può senza altro escludere che la lezione esatta potesse essere πολύβατός τ αΙων ?
(95) Il frammento, tramandato da G iustino (De Monarch. 3, 136) e da C lem ente
Alessandrino (Strom. 1 ,107, 5), è dal primo attribuito a S o fo c le , ma in realtà contiene il
motivo άεΐΐ’έκπύρωιπς stoica. Se si vuole avanzare un’ipotesi per un attribuzione, è ragio
nevole pensare a Cleante (cf. Jebb-Pearson, The Fragments of Sophocles, III, Cambridge
*917, 176). Per l’espressione, cf. V ero. Am. I, 283.
PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
62
(96) O.c., 363. Per sostenere che αιών «ist gar nicht für sich», il W ila m o w itz ag
giunge: «Jeder einzelne Mensch hat seinen, aber auch ein Volk, und so kann er eine
‘Weltperiode’, eine ‘Kulturentwickelung’ sein» (p. 364). Invece il L a c k e it insiste suUa
«Inhaltlichkeit» di αΙών rispetto a χρόνος: «χρόνος heisst n u r die Zeit schlechthin, es
dabei nur das rein zeitliche Moment betont, während αΙών, obwohl ja auch zeitlich,
doch gemäss seiner Grundbedeutung auch noch ein inhaltliches Moment in sich schließt
Ebenso, wie αΙων nicht nur Lebenszeit, sondern auch Lebensinhalt bedeutete, so ist *
auch in der vorliegenden Bedeutung das Zeitalter in Rücksicht auf die Ereignisse, c
in ihm stattfinden» {o.c., 25).
(97) L’espressione è di B. M a r z u l l o , Studi di poesia eolica, Firenze 1958, 41,
la impiega per ώρα a proposito del discusso Sapph. fr. 94 D ie h l. Anche ώρα mdl<* .
ssuta continuità di tempo ben qualifica («giovinezza», «stagione») e non <<tem, κρα>
senso astratto ed assoluto (pp. 35s.) : e se in tale senso χρόνος può sostituirsi talora ad
appare impossibile l’inverso. In ώρα si riscontrano i caratteri della concezione arcai
del tempo (p . 43; cf. C a m a , I, I70ss., 177ss.).
CAP. IV. I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
63
sarà invece mai possibile per αιών. S’intende, peraltro, che tali definizioni
di αιών come «tempo qualificato» e di χρόνος come «tempo quantificato
o astratto» hanno come tutte le definizioni — un valore relativo e
vanno prese come formule-limite, senza che ci si illuda di trovarle sem
pre rispettate. Poiché, se αιών non assume mai il valore astratto di χρόνος,
quest’ultimo può invece assumere quello di αιών: così quando ha il si
gnificato di «durata della vita» (98) e quando indica un tempo circo-
scritto e limitato, nel qual caso può anch’esso avere un suo contenuto
che lo qualifica. Così in Crizia, B25, 1 Diels: ήν χρόνος, δτ’ ήν άτακτος
ανίΐροιττων βιος e nell orfico fr. 292, 1 Kern : 9jv χρόνος, ήνίκα φώτες απ’ άλ-
λήλων βίον εΐχον | σαρκοδαπη, si può notare che il termine assume lo
stesso significato che αιών presenta nell’analogo passo di Moschione:
αιών e χρόνος si equivalgono perfettamente. È questione di contesto; ed
è specialmente quando i due vocaboli sono opposti l’uno all’altro che si
può cogliere nettamente la suddetta distinzione.
È dunque chiaro che tali allargamenti semantici di αιών non sono,
in fondo, che delle sfumature diverse dello stesso fondamentale valore
(99). Ad ogni modo, si pensa normalmente che un significato «lungo
spazio di tempo», «tempo infinito» sia stato l’intermediario fra i due
valori opposti, che αιών presenta da Platone in poi, «vita» ed «eter
nità»; e questo significato — che in realtà compare piuttosto tardi,
quando il valore platonico si diffuse anche fuori del campo filosofico e
religioso in cui esso nacque — lo si cerca soprattutto nella locuzione
(98) Cf. n. 93 e F rankel , ZfAe X X V , 114 e 117. È significativo che talora nei
codici si fece confusione fra χρόνος e βίος (Ar. Plut. 50; A esch. Prom. 449, ecc.).
(99) Di questo avviso non era il Lackeit, di cui esponiamo qui in sintesi la già.
accennata teoria. Il significato «eternità» non è che la risultante di una serie di «Erweite
rungen» semantiche, onde αίών passa dal valore di «Leben» a quello di «Zeitalter», «Welt
alter», «Epoche», «Kulturstufe», «die grösste Zeiteinheit»; in quest’ultimo significato,
αίών sarebbe poi passato nel linguaggio filosofico divenendovi abituale. Il concetto d i
«Zeitalter» era infatti «ungeheuer dehnbar» e cosi «konnte man ebenso wie man die
Summe von αιώνες = ‘Menschenleben’ αίών nannte, mit demselben Rechte und demselben
Verfahren auch eine Summe dieser αίώνες = ‘Zeitalter’ αίών nennen. Dieses Anwachsen
von einer kleinen Zeiteinheit ( = vita) zu einer grösseren {aetas) bis daraus die längste
{tempus, tempus longissimum) und grösste, unendliche {aeternitas) wird, scheint auf diese
Weise durchaus verständlich» (p. 26). A questo meccanico processo di ampliamenti se
mantici si sottraggono però alcuni passi, nei quali si presentano le cosiddette «poetische
Personifikationen» di αίών; come in P ind. Isthm. V i l i , 14, Evr . Her. f . 671 e via dicendo.
Si tratta di «Augenblickspersonifikationen», per le quali «kein reelles Vorbild, keine bestimm
ten Vorlagen existierten; sie hat sich in Geiste des Dichters in Nu gebildet und wurde
ebenso schnell auch wieder verschwinden, wenn nicht das geschriebene Wort dem Au
genblick Dauer verliehe» (pp. 82s.). Su tutto ciò ritorneremo a suo tempo.
64 PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA
δι’ αίώνος, nella quale sarebbe ravvisabile una notevole estensione dei
significato normale (100). La realtà è diversa: δι’ αίώνος valeva propria,
mente «da un capo all’altro della vita» e quindi «per tutta la vita»· e
non è difficile capire come la locuzione, diffondendosi e generalizzan
dosi, si sia potuta ben presto fossilizzare in un avverbiale «continua-
mente», «sempre» e sia venuta così a coincidere con άεί, tanto che su di
essa potè ben presto essere coniato διαιών.ος (101). Il significato originario
di δι’ αίώνος è chiaro in Aesch. Suppl. 582: γείνατο παϊδ’ άμεμφή, δι’ αίώνος
μακροΰ πάνολβον: è Epafo, che fu felicissimo nella sua lunga vita; ed
anche al v. 574: δι’ αίώνος κρέων άπαύστου | Ζεύς: trattandosi di Zeus,
il suo αιών sarà appunto άπαυστος, «senza fine». È chiaro che non vi
sarebbe bisogno di άπαυστος e di μακρός, se in αιών vi fosse un senso di
verso da quello di «durata» della vita (102). Analogamente in Ag. 554 si
legge: τίς δε πλήν θεών | άπαντ’ άπήμων τον δι’ αίώνος χρόνον; e
l’espressione indica che αιών è la vita di questo «chi?». E così in Soph.
El. 1024: άσκει τοιαύτη γοΰν δι’ αίώνος μένειν, «cerca, dunque, di rimaner
tale per tutta la vita», e in Eu. Ale. 475: τό γάρ | έν βιότω σπάνιον μέρος·
ή γάρ αν | εμοιγ’ άλυπος δι’ αίώνος αν ξυνείη : l’avere una buona moglie, si
dice, è una rara fortuna: «certo ella vivrebbe con me senza dolori per tutta
la durata della vita». Lo stesso significato è pure da vedere in Hipp. 1426:
κόραι γάρ άζυγες γάμων πάρος | κόμας κεροϋνταί σοι, δι’ αίώνος μακροΰ
I πένθη μέγιστα δακρύων καρπουμένω (103). Un valore «sempre, di con-
(100) Cf. O w en, o . c . , 265; quest’ipotesi è del resto normale nei lessici. Vi si oppone
il F e stu g iè re , o.c., 175, che, come il L a c k e it (cf. p. 14 e 37), pensa che Si’ αίώνος
non si stacchi affatto — o molto tardi — dal valore di «per tutta la vita». Il valore di
«sempre, continuamente» (cf. H esych. atei- άεί διαπαντός συνεχώς- ϊστι δέ καί δι’ αίώνος)
si potè invece sviluppare ben presto per il senso di holòtes proprio di αιών (cf. analoga
mente διά τέλους).
(101) Questo aggettivo compare per la prima volta con P latone (Tim. 38b), per
fettamente equivalente ad αιώνιος (cf. poi i tardi διαωνίζειν e αίωνίζειν), che pure si pre
senta per la prima volta con P latone . Che esso possa essere sorto prima di αιώνιος, non
direi: anche prima di assumere il tecnico valore di «eterno», διαιώνιος — come pure
αιώνιος — doveva naturalmente significare «che dura tutta la vita» e quindi «duraturo,
continuo», per il senso stesso di αιών. Cf. la n. 149.
(102) In questi due passi I’I t a u e , Index Aeschyleus, sv. αιών, ravvisa appunto una
estensione del valore di «durata della vita»; mentre il D indorf , Lexicon Aeschyleum, s^·
αιών, intendeva addirittura «aevum, tempus aeternum» (e così pure in Ag. 554, Ch. »
Eum. 563). Si noti che P la to n e , parlando dell’anima cosmica dotata di un incessa
vita, usa l’espressione άπαυστος βίος {Tim. 36e4). . .
(103) «A travers le àges» il M éridier , Euripide, II, Paris 1927, 84. Ma
lude alla lunga vita che Ippolito trascorrerà nell’aldilà, durante la quale, gì* Pr
CAP. I V . I LIRICI, I COMICI E LA PROSA
65
tìnuo» si può invece notare in Aesch. C h . 26: δι’ αίώνος δ’ ίυγμοϊσι βό-
σκεται κέαρ : «e sem pre il cuore si pasce di lamenti», dice il coro alludendo
alle presenti dolorose circostanze; e così pure in P ers. 1007: πεπλήγμεθ’ ota
δι’ αίώνος τύχα «da quale continua sciagura siamo colpiti», dove ap
punto la contingenza della situazione mostra che la locuzione si è tecni
cizzata. Forse altrettanto si può dire per E u m . 563: 81 αίώνος δέ τόν πριν
όλβον I έρματι προσβαλών δίκας | ώλετο άκλαυστος, dove si parla della
sorte misera che attende il trasgressore di Dike. È comunque chiaro che
anche tale nuovo valore della locuzione, sviluppatosi dal fondamentale
significato di αιών (cf. αίεί), non presuppone affatto un αιών = «lungo
spazio di tempo, tem po infinito».
Da tutto ciò che finora s’è detto risulta che il rapporto fra αιών e
χρόνος è, nel quinto secolo, quello di u n a parte con il tutto: non è allora
difficile capire il significato della genealogia euripidea Αιών....Χρόνου παΐς
degli E ra c lid i, spesso non rettam ente interpretata. Non si capisce, ad esem
pio, cosa con precisione significhi «la Durée, fille du Temps» nell’inter
pretazione del M éridier (E u rip id e , I, Paris 1925, 229); né, tanto meno,
come lo Stadtm üller (Saeculum II, 315) possa sostenere che qui Aion
è «Personifikation der ewigen Zeit»: perché, anche volendo ammettere
la possibilità di un influsso orfico (questione su cui ritorneremo) è chiaro,
che una ragione di tale rapporto genealogico vi deve pur essere stata in
ogni caso. E la spiegazione risulterà chiara, specie se si pensa che Chronos
— come dice lo stesso Euripide (S u p p l. 787) — è Γ «antico padre dei
giorni», παλαιός πατήρ άμερδν: anche Aion, dunque, non potrà che esserne
il figlio. Come i giorni non sono che piccole porzioni di tempo che si in
seriscono nell’infinita d u rata del tempo, così pure sarà degli αιώνες che
il χρόνος contiene e riassorbe in sè (104). Questa genealogia euripidea è,
per così dire, una plastica e poetica raffigurazione dei rapporti che in
tercedono fra αιών e χρόνος in questo periodo: durante il quale αιών, mal
grado le varie «Erw eiterungen», che altro in effetti non sono se non delle
Artemide, gli sarà tributato un grande cordoglio nel mondo. Che poi questa nuova vita
sia anche infinitamente lunga, questo è del tutto estraneo al puro valore semantico del
termine.
(104) Anche il L ackeit, 84, notava che nel passo euripideo «αιών ist im Ausschnitt
aus der grossen unteilbaren Zeitmasse, dem χρόνος» (il termine «unteilbar», da quanto
*u· V*S*°’ non ^ però molto appropriato per χρόνος). Π F e s t u g i è r e , PP X I, 181, pensa di
lanre meglio U passo confrontandolo con Ar. Phys. 221a28: άνάγκη παντα τά èv χρόνψ
^ ‘έχεσθαι ύτώ χρόνου. I dizionari si astengono dall’interpretare questo passo, salvo
“ P^tTRACos, Λέξ., s.v. αΙών, che intende — inspiegabilmente — Αιών = ó άτελεύτητος
Χρόνος.
(105) Che φέρει possa significare «porta», com e vuole il W ilam ow itz e come po
trebbe confermare Sapph. 120 D ie h l, pare probabile, benché il «fert» della traduzione
virgiliana (Eel. IX , 51 : omnia fert aetas, animum quoque) valga «porta via». Ad ogni
modo, ciò è indifferente per quanto segue, che si adatta ad entrambi i casi facilmente.
L ’interpretazione wilamowitziana è condivisa dal F e stu o ièr e, l . c . , e dal L ackeit, 86,
U quale aggiunge che si tratta appunto dell’alciv, «der ja zunächst nur das menschliche
Leben begrenzt und durch den und in dem das M enschenleben nur möglich ist».
P a rte Seconda
I PR E S O C R A T IC I
D al cam po della poesia, αιών passò ben presto in quello della filosofìa
e con Platone divenne voce specifica per indicare l’eternità. Giustamente
osservava il Lackeit che «hätte es keine Dichterphilosophen gegeben, so
wäre unsres W ort auch nie zu dieser hohen Bedeutung a u f dem Gebiete
der Philosophie gelangt. D enn wer anders als ein Dichter hätte ein hoch
poetisches W ort wie αιών.seinen Zwecken dienstbar gemacht?» (A io n , 53).
Non ci si deve infatti stupire se αιών potè diventare un termine filosofico:
alle sue origini, infatti, la filosofia greca, imbevuta com’era di intuizioni
religiose, non poteva esprimersi che attraverso le immagini e la lingua
della poesia; ed il R einhardt ha del resto chiaramente dimostrato che il
gergo eleatico sull’essere si formò appunto su quello poetico relativo agli
dèi (106).
M a m entre Platone parla esplicitamente di αιών, nei presocratici in
vece la precarietà della nostra documentazione rende quanto mai ardua
ed incerta l’interpretazione dei pochi fram m enti nei quali il vocabolo com
pare: non è possibile accertare con sicurezza se anche prim a di Platone
esso avesse avuto quel significato, che nel T im eo appare già tecnico, e co
munque in quali precise accezioni potesse venire usato. Proprio questa
insufficienza ed oscurità dei testi ha spesso incoraggiato le ipotesi più fan
tasiose, quando ci si occupò dell’aìcov presocratico (107) : soprattutto, ci
forza vitale, im plicando riform azione incessante del p rin cip io ch e la n u tre , suggerisce
al pensiero rim m ag in e «la plus instante» di ciò che si m a n tie n e senza fine n ella freschezza
del sem pre nuovo: di q u i l’idea dell’etern o ritorno, «engendrée... p a r u n e véritable fa-
ta lité linguistique» (!). In fatti, egli spiega, «les notions d ’altóv et d e κύκλος se tien n en t si
étroitem ente q ue la seconde n ’est q u e la projection sensible d e la prem ière» (p. 112):
e p e r afferm are ciò egli cita Anaximandr. A IO: έξ άπειρου αίώνος άνακυκλομένων πάντων
αύτών (sono gli άπειροι κόσμοι), u n passo che invece n o n p u ò p ro v are n u lla ap p u n to p er
ché dossografico (P lv t. Strom. 2). A nche I’E isler, W uH , 423, e la Philippson, o .c ., 82, Io
considerarono invece fondam entale.
(108) Anaximen. A6 (P lv t. Strom. 3 ): Ά . φησι... τήν γε κίνησιν έξ αίώνος ΰπάρχειν,
Anaximandr. AIO: Ά . φησι... τούς άπαντας άπειρους δντας κόσμους... τήν φθοράν γίγνεσθαι
καί πολύ πρότερον τήν γένεσιν έξ άπειρου αίώνος άνακυκλομένων πάντων αύτών, P h ilo l. Β21
(Stob. Eel. I, 20) e B23 (Iambl. In Nicom. p. 10, 22), Democr. A49 (G al. De ehm. see.
Hipp. I, 2) e A56 (C ic. De Fin. I, 6, 17), Hipparch. 68C7 (Stob. IV , 44, 81), H e ra c l.
A l (Diog. IX , 8). Su F ilo la o ed Ipparco, cf. le n o te 136 e 152. D i tu tte le testim onian
ze, l ’unica che p o treb b e essere u tile a lla n o stra in d ag in e è q u ella che ci tra m a n d a an
che il fr. B50 d i E r a c lito (Hippol. Ref. IX , 9) : cf. p p . 74s.
(109) C f Lackeit, o.c., 32ss., 37ss., 63ss. I n ta li espressioni (specialm ente in έξ
αίώνος εις αιώνα) è c ertam en te ravvisabile u n « E in d rin g en des sem itischen E lem ents in
die griechische L ite ra tu r» (p. 63). P er q u este ta rd e espressioni, c f Owen, o .c ., 272ss.,
274, 179; H atch-R edpath, Concordance to the Septuagint, sv. αιών; per i rapporti fra αιών
e 1 ebraico, c f E isler, W uF, 212 e 468; S ta d tm ü ller , S ae c u lu m I I , 317ss.; Sasse, Reali.
f.A.u. Chr., I, 200ss.; R . M acht, Der Zaddik in Talmund und Midrasch, L eid en 1957, 195ss.;
.“ BILLERBECK’ Kommentar zum Neuen Test, aus Talmund und Midrasch, IV , M ü n ch en
1928, 799ss.; Löwe, Kosmos u. Aion, passim.
CAP. V: I PRESOCRATICI
71
fare un indagine il piu possibile unitaria su ogni singolo autore. Gli dèi
sono chiam ati da Em pedocle δολιχαίωνες (B21, 12; B23, 12), poiché hanno
ottenuto in sorte una vita di lunga durata, μακραίωνος λελάχασι βίοιο (B115,
5). Questo significato di αιών è evidentissimo anche nel fr. B154· oiov
βίου λαχόντες αιώνα (110), nonché nel Si’ αίώνος di B110, 3: d γάρ κέν
σφ’ αδικησι υπό πραπίδεσσιν έρείσας | εύμενέως καθαρήσιν έποπτεύσης μελέ-
τησιν, | ταϋτά τέ σοι μάλα πάντα δι’ αίώνος παρέσονται.
Il significato già notato in Aesch. S ept. 744 si trova invece in B129,
6, dove si parla di colui che «vedeva ad una ad una tutte le cose che sono
per trenta generazioni um ane»: ρεϊ’ 6 γε τών οντων πάντων λεύσσεσκεν
έκαστον | καί τε δέκ’ άνθρώπων καί τ ’ εϊκοσιν αίώνεσσιν. In Bl 7, 11 si tratta
degli elementi che «divengono» e non hanno quindi una vita stabile
(111): τη μέν γίγνονταί τε καί ου σφισιν εμπεδος αίών.
È chiaro che in tutti questi passi il termine non ha affatto un valore
filosofico; non si può invece escludere che 1’άσπετος αίών di B16 potesse
connotare una nozione di una certa importanza nell’ambito della cosmo
logia empedoclea:
fi γάρ καί πάρος εσκε, καί εσσεται, ούδέ ποτ’, οιω,
τούτων άμφοτέρων κενεώσεται άσπετος αίών.
L ’αίών di tale fram m ento (112) ha dato luogo a diverse inteipreta-
zioni: basti pensare che le ultim e edizioni dei Fragm ente der Vorsokratiker
(110) G ià s’è accennato all’om erism o di B158 (όλβιου αίώνος άμερθείς: cf. X 58), che
va aggiunto agli altri citati dal T raglia , Studi sulla lingua di Empedocle, Bari, 1952, lis e .
N el fr. 44 di A ntifonte (δει αύτόν τόν αιώνα πάντα φυλάττεσθαι), l ’espressione τόν αιώνα
πάντα vale «per tutta la vita» : cf. H ippocr . D e Fract. 11 : τόν αιώνα πάντα Ικανόν άντι-
οχεϊν τό νόσημα.
(111) Cf. W . J eaeger , The Theology o f the Early Greek Philosopher, Oxford 1947, 235,
36; M ondolfo , L ’infinito, 82. Per γίγνονταί, cf. B26, 4. Il frammento continua: ή δέ διαλ-
λάσσοντα διαμπερές ούδαμά λήγει, | ταύτη δ’ αίέν ίασιν άκίνητοι κατα κύκλον, cioè: siccome
■essi non sm ettono m ai questa loro eterna vicenda, così rimangono im mobili nel ciclo,
vale a dire nel tem po (κύκλος = χρόνος: cf. B l 7, 27 - B26, 1). N on si capisce 1 afferma
zione del F estugière, P P X I , 174: «on noterà ici Popposition γίγνονταί - έμπεδος αίών,
ce dem ier étant explicité par αίέν έασιν com m e plus tard chez Aristote». Per la diffi
coltà presentata d a ll’alternarsi di verbi al singolare ed al plurale (γίγνονταί, λήγει, έασιν)
— la stessa di B26, 1-2 — cf. il fr. B6: gli elem enti da E mpedocle sono intesi com e di
g n ità (cf. 1’αίέν έασιν: αίέν είναι è tipico degli d èi), oltre che com e cose (ταϋτα: B26, 3;
Bl7> 6); e βιζώματα viene sentito sostanzialm ente com e equivalente di θεοί: il che
«Piega anche l ’inattesa alternanza διαλλάσσοντα... άκίνητοι. Per tutto ciò, cf. anche J aeger ,
J· Z afiropulos, Empedocle d ’Agrigente, Paris 1953, 241· Per έμπεδος, cf. in >
22 (ίμπεδος χρόνος) ; Parm . B8, 13.
(112) T utto il fram m ento è stato ritoccato: I ppolito (Eef. V II, 29) ava me i
R eam ente im possibile άσβεστος, corretto in άσπετος dal M iller . Correzione c e enc
72 PARTE π : ΑΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA
non sia chiaro com e άσπετος si sia potuto corrompere in άσβεστος — appare insosti
tuibile. N el verso precedente Ippolito dava ήν καί: ήν δ’ ως N auck , ήν τε καί S chnei-
DEWiN, έσκε, καί D iels .
(113) O.c., 177ss. Partendo dalla definizione aristotelico-wilamowitziana, il Festu
gière riduce tutti i valori di αιών all’unico significato di «durée de la vie individuelle».
Infatti anche Ι’αΙών = eternità «est encore, au vrai, la durée d ’une vie individuelle; mais
il s’agit, cette fois, d ’un individu qui dure indéfinim ent» (p. 178). Questo individuo dap
prima doveva essere 1’άπειρον περιέχον di A nassimandro, poi lo sfero di E mpedocle, indi
l’aria di D iogene ed infine 1’άίδιον ζώον di P latone : di qui il passaggio al valore «eternità»,
prodotto esclusivamente da una «réflexion philosophique» (pp. 177s.). L’esame dei testi,
specialmente poetici (pp. 173s.), è peraltro condotto in m odo alquanto sbrigativo e par
ziale: tutti i passi pindarici ed eschilei, che abbiam o riconosciuti com e particolarmente
significativi nella storia semantica d el vocabolo, non vengono affatto presi in considera
zione. A nche il fr. 52 di E raclito viene deliberatam ente tralasciato, «car le sens en de
metire incertain» (p. 176, 1).
(114) Cf. H 558: άσπετος αιθήρ; ξ96: ζωή άσπετος (ζωή = «consistenza patrimonia
le) ; Κ523: άσπετος κύδοιμος, ecc. È senz’altro da escludere che τούτων άμφοτέρων si riferisca
ad αιών, poiché in tal caso κενεώσεται acquisterebbe un valore pregnante che è certo ^
escludere per E mpedocle («esser privo della propria sostanza», «vanificarsi, svuotarsi»
è valore che κενοϋσθαι ha solo nella tarda cristianità). Il F estugière ammette anche a.
possibilità che si tratti dell’aÌtiiv degli elem enti, anziché dello Sfero; mentre invece
Bollar, Phil 1957, 48, pensa che 1’άσπετος αιών, «die unsäglich lange Zeit», sia soggetto
anche dei primi due verbi: al che si oppone — oltre all’où8é disgiuntivo — ü testo
Ippolito, che dice espressamente trattarsi dei due principi άγένητα ed άθανατα.
CAP. V: I PRESOCRATICI
73
te si identifica. Certo, volere in ogni caso intendere αιών come «vita»
è frutto dell’arbitrario presupposto wilamowitziano, chiaramente smentì’
to — oltre che dai vari passi poetici che abbiamo esaminati - anche
dal fram m ento eracliteo di cui fra poco ci occuperemo; ma non si
può d ’altro canto escludere recisamente che qui Empedocle potesse allu
dere alla vita dello Sfero. U n frammento orfico di epoca incerta (Proci.
in P la t. T im . 21d = fr. 95 K ern) dice: καί φύσεως κλυτά έργα μένει καί
άπείριτος αιών: qui αιών è appunto la vita della natura, che non può mai
perire, ed e quindi caratterizzato dall’aggettivo άπείριτος, «infinito»: così
come Eschilo chiam ava άσπετος 1’αίών di Zeus (Suppl. 574). Abbiamo
in ogni caso un senso di eternità in questo άσπετος αιών: un’eternità però
che non riposa nell «e», m a che è ciclica e si esplica in un divenire inces
sante. E non furono certo dei passi come questo che suggerirono a Pla
tone l’impiego di αιών come term ine specifico per indicare quella forma
di tempo che competeva all’U no: 1’αίών platonico non è un tempo «indi
cibilmente grande», m a è l’eternità extratem porale; un punto, che è del
tutto estraneo al tempo. Si noti inoltre come la sfumatura ravvisabile nel
frammento empedocleo sia del tutto assente in αιών e tutta sostenuta da
άσπετος.
Ben più istruttivo per la nostra indagine è invece il dibattutissimo
fr. 52 di Eraclito:
l’Abbagnano {L o nozione del tempo secondo A risto tele, Lanciano 1933, 14)}
mentre il M azzantini, nel tentativo di una maggiore precisione, afferma
che qui αιών è «la vita che perpetuamente si rinnova nel tempo», in quan
to il fanciullo sarebbe appunto «la freschezza del perenne rinnovamento,
che in qualche modo imita l’eternità» (115). Molti altri invece intesero
«tempo infinito, eternità» (Kafka, Vorländer, Eisler, Tannery, Schuster,
ecc.), altri ancora «tempo», «evo» (Diès, Bodrero, Joel, Nestle, Macchioro,
Walzer, M ainarich, ecc.) e lo Zeller «Weltlauf», sostenendo che qui αιών
era la divinità ordinatrice del cosmo {P h ilos. d. Griechen, I®, 2, 642). Vi
fu invece chi credette di cogliere nel termine uno spiccato richiamo al
destino dell’uomo e del mondo: così il Brieger, che intendeva «Zufall»
(Neue Jahrb. f. Alt. X III, 690, 1) e la Philippson, secondo la quale αιών
rappresenterebbe «la potenza del destino, apparentemente confusa..., l’e
terna durata che mediante la sua propria durata eonica... compie il suo gio
co eterno con le vite dei singoli» {o. c., 83s.) : e si potrebbe continuare con
varie altre interpretazioni diverse (116). M a va piuttosto esaminato da vicino
il fatto che spesso si è cercato di chiarire questo ambiguo valore di αιών
mediante il confronto con un passo di Ippolito, che pare possa effettiva
mente contenere in sè qualcosa di eracliteo {R ef. IX , 9): 'Ηράκλειτος μέν
οδν <εν> φησι είναι το παν διαιρητόν άδιαίρητον, γενητόν άγένητον, θνητόν
αθάνατον, λόγον αιώνα, πατέρα υιόν, θεόν δίκαιον* "ούκ έμοΰ, άλλά τοΰ
λόγου άκούσαντες όμολογεΐν σοφόν εστι εν πάντα είναι” (fr. Β50) ό ‘Ηρά
κλειτός φησι. Non si può certo escludere che in questa serie di termini an
titetici (cf. AGI XL, 116) possa essere rimasta più di qualche espressione
di Eraclito. Ed il Mondolfo, parlando dell’eternità ciclica eraclitea,
afferma che essa è «legge fatale e ragione divina, ingenerata ma coinci
dente con l’incessante generazione ; immortale, ma identica coll’ininterrotta
vicenda dei mortali; ragione (λόγος) eterna, ma combaciànèé cóT^tem-
po (αιών) mutevole e fluente» { L infinito, 80s.). Invece secondo il Levi αιών
è il «tempo finito» che si contrappone all’eternità del λόγος; e quindi — a
(115) C. M azzantini, Eraclito, Torino 1945, 227; 98. Il fr. 52 viene collegato con
B6, ove si dice che «il sole è nuovo ogni giorno». Che questo sole sia poi un simbolo del
tem po (cf. D iano , Il concetto, 266) può anche darsi; m a tutta l’interpretazione rimane
irrim ediabilm ente incerta.
(116) Il L a c k e i t , 82, intende «Zeitenlauf»; il F r a j n k e l , W uF , 2 6 4 s . , «Dasein». Per
altre interpretazioni, cf. L e v i , R F N X I, 272, 4 ; M a c c h i o r o , Zagreus, 392; Z e l l e r -
N e s t l e , Phil. d. Griechen, I», 808; O. G i g o n , Untersuchungen zu Heraklit, Leipzig 1935,
74ss., 122; N e s t l e , Phil L X IV , 373ss.; G i l b e r t , NJ X X I I I , 172ss. Si veda anche Cas
s i r e r , II, 170ss. Per un esame critico delle fonti, che purtroppo non possono aiutarci
m olto nell’interpretazione del frammento, cf. R. W a l z e r , Eraclito, Firenze 1939, 89ss.
CAP. V: I PRESOCRATICI 75
p a rte il fatto che detta eternità e un tempo infinito e non un eterno pre
sente (cf. B30) 1 intuizione eraclitea andrebbe addirittura considerata
u n ’anticipazione della dottrina platonica (RFN X I, 263, 1; 272; 276).
In realtà non pare si possa tener conto della testimonianza di Ippolito,
tutt altro che chiara e coerente : si noti che l’ordine antitetico, che inizia
con διαιρητον-αδιαίρητον, viene bruscamente a capovolgersi con λόγον-αΐώνα
(ammesso che λόγος = «ragione eterna») e manca negli ultimi due ter
mini. E che significa θ-εόν-δίκαιον ? Pare ben giustificato il sospetto che
il passo debba contenere, inoltre, e proprio in λόγον ed αιώνα, dei ter
mini gnostico-cristiani (117).
***
(117) Cf. l’apparato di D ie ls-K r a n z , Vorsokratiker8. Ippolito voleva con la sua opera
■criticare l’eresia noetiana, che affermava l ’identificazione del Padre e del Figlio, cercando
-di dimostrare che tale eresia non derivava dalla parola di Cristo m a dalla dottrina di
Eraclito. N on è d a escludere che anche λόγος ed αιών siano termini del linguaggio ippo-
liteo e non eracliteo; e che — secondo la terminologia di quel tempo — indicassero
il rapporto Figlio-Padre (cf. O w en , o . c. , 272; 280ss.; L eisegang, La Gnose, Paris 1951,
28ss.). U n influsso gnostico am m ette senz’altro il K irk , Heraclitus, 65ss.
(118) Cf. G .S. K irk , Heraclitus. The Cosmic Fragments, Cambridge 1954. Egli preferisce
rinunciare ad una traduzione del termine: «Aion is a child at play, playing draughts;
the kingship is a child’s» e spiega: «the word is most likely to refer to hum an lifetime,
perhaps with the special connotation o f the destiny which is worked out by the individual
•during his lifetim e... It is unlikely to m ean ‘tim e’, absolutely, w hite fa te , in general
is an impossible m eaning and one, furthermore, w hich would give the fragment a signi
ficance contrary to the general trend o f Heraclitus ‘thought’, with its emphasis (as will
be seen) on m easure»; e conclude che il fr. 52, «alm ost certainly belongs to what I have
•called the ‘anthropocentric’, and n ot the ‘cosm ic’, class o f fragments» (p. X iii). Sostan
zialmente il K irk , che cerca d i distinguere i frammenti «cosmici» da quelli «antropocen-
PARTE li: ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA
trici», pone dunque il fr. 52 fra questi ultimi; ed anche W. B r ö c k e r , Gnomon 1958, 433,
è dello stesso avviso : «αιών meint nicht die Weltzeit, sondern die individuelle Lebenszeit».
Ma in αιών individuale e cosmico sono indissolubilmente congiunti : ed è appunto in que
sto costante riferimento al vissuto ed all’individuale (che impedisce al vocabolo di di
venire, come più tardi χρόνος, una pura astrazione), che consiste quell’alone epifanico,
onde αίων passa facilmente ad indicare il Perìechon, ponendosi, quindi, su un piano cosmico.
( 1 1 9 ) Cf. D i a n o , Fenom., 2ss.; Il concetto, 252ss.
Cap. VI
PL A TO N E E A R IST O T E L E
(120) R iceven d o la ψυχή, il cosm o intelligibile diventa un «vivente (cf. Soph. 248a,
249d; Ttm. 30b) : l ’«essere assolutam ente perfetto» (τό παντελώς δν) diventa il «vivente
perfetto» (ζώον τέλειον), ch e — com e gli dèi — è eterno (αίδιον). Per tutto ciò, cf. D iano ,
Λ concetto, 339ss.
78 PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA
'Ως δέ κινηθέν αυτό καί ζών ένόησεν των άιδίων θεών γεγονός άγαλμα
ό γεννήσας πατήρ, ήγάσθη τε καί εύφρανθείς £τι δή μάλλον δμοιον πρός τό
παράδειγμα άπενόησεν άπεργάσασθαι. Καθάπερ οδν αυτό τυγχάνει ζώον άίδιον
6ν, καί τόδε το παν ουτω εις δύναμιν έπεχείρησε τοιοϋτον άποτελεΐν. 'Η μέν
οδν τοϋ ζώου φύσις έτύγχανεν οδσα αιώνιος, καί τοϋτο μέν δή τώ γεννητώ
παντελώς προσάπτειν ούκ ήν δυνατόν είκώ δ’ έπενόει κινητόν τινα αΐώνος
ποιήσαι, καί διακοσμών άμα ουρανόν ποιεί μένοντος αΐώνος έν ένί κατ’ αριθμόν
ΐοϋσαν εικόνα, τούτον £ν δή χρόνον ώνομάκαμεν. 'Ημέρας γάρ καί νύκτας καί.
μήνας καί ένιαυτούς, ούκ δντας πριν ούρανόν γενέσθαι, τότε άμα έκείνω συνι-
σταμένω τήν γένεσιν αυτών μηχανάται · ταΰτα δέ πάντα μέρη χρόνου, καί τό-
τ’ ήν τό τ’ έσται χρόνου γεγονότα είδη, ά δή φέροντες λανθάνομεν επί τήν
άίδιον ουσίαν ούκ όρθώς. Λέγομεν γάρ δή ώς ήν έστιν τε καί Ισται, τή δέ τό-
έστιν μόνον κατά τόν άληθή λόγον προσήκει, τό δέ ήν τό τ ’ Ισται περί τήν έν
χρόνω γένεσιν ΐοϋσαν πρέπει λέγεσθαι — κινήσεις γάρ έστον, τό δέ άεί κατά,
ταΰτα £χον άκινήτως ούτε πρεσβύτερον ούτε νεώτερον προσήκει γίγνεσθαι διά
χρόνου ούδέ γενέθαι ποτέ ουδέ γεγονέναι νϋν ούδ’ εις αδθις έσεσθαι, τό πα-
ράπαν τε ούδέν δσα γένεσις τοΐς έν αΐσθήσει φερομένοις προσήψεν, άλλά χρό
νου ταΰτα αιώνα μιμουμένου καί κατ’ άριθμόν κυκλουμένου γέγονεν εΐδη —
καί πρός τούτοις £τι τά τοιάδε, τό τε γεγονός είναι γεγονός καί τό γιγνόμενον·
είναι γιγνόμενον, ϊ τ ι τε τό γενησόμενον είναι γενησόμενον καί τό μή δν μή
δν είναι, ών ούδέν άκριβές λέγομεν. Περί μέν οδν τούτων τάχ’ αν ούκ είη καιρός
πρέπων έν τώ παρόντι διακριβολογεΐσθαι. Χρόνος δ’ οδν μετ’ ούρανοΰ γέγονεν,.
£να άμα γεννηθέντες άμα καί λυθώσιν, άν ποτέ λύσις τις αυτών γίγνηται, καί.
κατά τό παράδειγμα τής διαιωνίας φύσεως, £ν’ ώς ομοιότατος αύτω κατά
δύναμιν ή· τό μέν γάρ δή παράδειγμα πάντα αΐώνά έστιν Óv, ό δ’ αδ διά τέλους
τόν άπαντα χρόνον γεγονώς τε καί ών καί έσόμενος. Έ ξ οδν λόγου καί διανοίας
θεοΰ τοιαύτης πρός χρόνου γένεσιν, £να γεννηθη χρόνος, ήλιος καί σελήνη καί
πέντε άλλα άστρα, έπίκλην έχοντα πλανητά, εις διορισμόν καί φυλακήν άριθμών·
χρόνου γέγονεν. ( T im . 3 7 d*3 8 c).
«Ma come il padre che l’aveva generato (se. il Dem iurgo , m o to re del cosmo}
vide muoversi e vivere questo mondo, fatto ad immagine degli eterni dèi,,
se ne compiacque e, tutto lieto, pensò di renderlo ancor più simile al mo
dello. E come questo è un eterno vivente, così anche questo universo egli
cercò — per quanto era possibile — di renderlo tale. Orbene, è proprio-
la natura di questo vivente che era eterna e tale proprietà non era possi-
bile conferirla in tutto e per tutto a ciò che aveva avuto origine: ed egli
allora pensò di fare un’immagine mobile deU’eternità e, ordinando con
temporaneamente il cielo, crea della eternità, che rimane nell’uno, una.
immagine eternale procedente secondo il numero, quella appunto che
noi chiamiamo tempo. Ed i giorni e le notti, e i mesi e gli anni, che non
CAP. V: I PRESOCRATICI
79
esistevano affatto prima che il cielo nascesse, fece in modo che nascessero
contemporaneamente alla formazione di quello: tutte queste parti sono
parti di tempo e sia 1 era che il sarà sono forme generate di tempo, forme
che noi — senza accorgercene e non correttamente — riferiamo alla
eterna essenza. Diciamo infatti che essa era, è e sarà, ma in realtà solo è
le si addice veramente, e l’era e il sarà si devono dire di ciò che si genera
e procede nel tempo — ché sono due movimenti, mentre a ciò che si
trova sempre immobile nelle identiche condizioni non spetta di divenire
col tempo né più vecchio né più giovane, né di essere divenuto una volta
né di divenire ora, né in seguito: insomma, non comporta affatto tutti
gli accidenti che il divenire implica per ciò che si muove sul piano della
sensazione, ma questi sono aspetti del tempo che imita l’eterno e si svolge
in circolo secondo il numero — e oltre a ciò noi diciamo espressioni di
tal genere: il divenuto è divenuto, il divenente è divenente; e ancora: il
futuro è futuro e ciò che non è non è: espressioni, queste, di cui nessuna
è esatta. Ma forse non è questo il luogo di indagare tutte queste questioni
con la dovuta acutezza. Il tempo, dunque, nacque col cielo, affinché, ge
nerati assieme, pure assieme si dissolvano, se mai debba verificarsi una
loro dissoluzione; e fu creato secondo il modello dell’eterna natura, in
modo che sia il più possibile somigliante ad esso modello: infatti il para
digma è per tutta l’eternità, mentre l’altro (121), dal canto suo, è esistito,
ratu ro » (perenne) ed il «caduco» (tem porale), com e spesso si intende (così A. G uzzo,
Aion e Chronos nell'arte e nella vita spirituale in genere: L a v ita dello spirito ed il problema
dell’arte X X , M ilano 1942, 97ss.).
(122) L ’espressione è di C. Diano: è il tem p o d el «tòde ti» (Il concetto, 296ss.).
(123) Infatti il cerchio, nel quale ogni p u n to è co n tem poraneam ente principio e
fine, è la figura m atem atica p iù p erfetta, l’u n ica che possa in c e r to m odo simboleggiare
il p u n to dell’alcóv. È chiaro però che si tr a tta d i im a ciclicità sconsacrata e quindi .propria
d i un tem po lineare e n u m erab ile; n o n è la ciclicità tem p o rale vissuta nel sesto secolo,
quella che è p ro p ria del pensiero m istico (cf. Diano, ibid., 250ss. e D e lta IX , 60ss.;
E liade, L’ét. retour, passim e Images et symboles, 92).
(124) Se αΙώνιος equivale ad άίδιος, com e indiscutibilm ente m ostra il loro indiffe
ren te alternarsi com e a ttrib u ti d ella m edesim a sostanza (ζώον άίδιον... φύσις αιώνιος... αίδιον
ούσίαν, ecc.; e rra ta la distinzione del T a y lo r , A Commentary on Plato's Timaeus, 186s.),
j com e m ai questo aggettivo viene a ttrib u ito an ch e all’elx<i>v (cioè a χρόνος), che pure è stata
j c re a ta ? T ale difficoltà fu av v ertita d a ta lu n i ed h a d a to luogo a divergenti interpreta
zioni, intese a chiarire in che cosa consistesse q u esta « etern ità» del tem po : se si limitas-
C A P . V i : P L A T O N E E A RISTO T EL E 8l
alla perenne vicenda ciclica oppure se si dovesse intenderla nel senso che il tem po è in
finito, senza principio e senza fine; cosa ch e è sm entita, innanzitutto, dalla narrazione
stessa del Timeo. G ià fra gli antichi, se A r i s t o t e l e intese rettam ente P la to n e (Phys.
2 5 1 b l7 ; cf. De Coel. 283b26) e lo criticò {ibid. 280a), com e probabilm ente fece anche Epicu
r o (B arig azzi, in Epicurea in memoriam H . Bignone, G enova 1959, 35ss., 58), ci furono anche
dei tardi interpreti ( P l v t . D e anim. procr. 5, ecc.) che pensarono alla creazione del Timeo
come ad una «veste m itica, traducente in inizio cronologico il principio logico della d i
pendenza da una causa intellegibile» (M o n d o lfo , L ’infinito, 108) ; e a questa tesi aderi
rono lo Z e l l e r , il L ev i, il F r a c c a r o l i ed altri. Invece il D iano [Il concetto, 297ss.) ha
di recente dim ostrato ch e l’unica causa del m ondo creato dal D em iurgo anim a che
opera secondo il bene — consiste appunto in un atto di volontà e d i arbitrio. L a crea
zione del Timeo non è quindi un m ito com e quello d i Er o com e 1 im m agine della ca
verna; non si d eve quindi cercare in questo αιώνιος un significato per il quale P la to n e ,
uscendo im provvisam ente d a questa sua presunta narrazione m itica, rivelerebbe il suo
«vero» pensiero. G ià il C o v o tti (A P X I I , 162, 1) notava che la desinenza -ιος,^ nella
form azione di aggettivi, «esprim e la p iù generale attinenza con l’idea del sostantivo da
cui deriva... e solo p iù tardi assum e, co l p iù largo uso, un legam e p iù stretto. Il signifi
cato originario appare nei gentilizi, ch e si possono usare anche sostantivam ente». N u lla
infatti im pediva a P l a t o n e d i usare αΙώνιος nel senso d i άίδιος in 37d e d i im piegarlo in
vece in un significato p iù generico n el nostro passo, per indicare la sem plice attinenza
con αΙών. In tal senso, dun qu e, intenderem o «eternale» (term ine suggeritom i dallo stesso
Diano), che ci pare più adeguato ch e non il «dell’eternità» del C o v o tti, il quale troppo
rigidamente equipara εΐκών αιώνιος ad είκών αίώνος. L a natura del suffisso può essere chia
rita con alcuni esem pi com e βώμιος, «ch e si trova sull’altare», θέμιος «conform e al the-
έλευθέριος (cf. invece έλεύθερος), «proprio di un uom o libero», «liberale», «libe
ratore» (Zeus), δέσμιος, ch e indica la sem plice attinenza con δεσμός, tanto ch e può valere
*ia «legato» ch e «legante» (A esch. Eum. 332); cf. inoltre Λύδιος, Πελοποννήσιος ed i
dèi dell’Iliade (125) sono pure forme antropomorfe, a cui sono estranee
le idee di nascita e di morte, e sono di necessità αΐειγενέται ed άθάνατοι
La divinità olimpica non può morire, perché è l’essere: avvolti nell’αίγλη
— la luce della forma — vivono in un’atmosfera immobile e serena, non
scossa dai venti né bagnata dalla pioggia, questi dèi «che sempre sono»
(αίέν έόντες ) : è il «sempre» dell’essere che è fuori del tempo, il «sem
pre» delle forme: forme che si muovono ed agiscono e quindi sono_
appunto nel loro movimento e nella loro azione — contraddittorie, per
ché, per ora, esse sono solo intuite e contemplate nell’arte. Ma Parme
nide ne scoprirà la logica, gettando le basi della scienza.
Se nella puntualità aoristica del suo νυν, 1’αίών platonico si riaggancia
all’essere di Parmenide (126), esso non è tutto qui. Nella contrapposizione
fra αιών e χρόνος, il Timeo distingue il «semper» del Perìechon ed il tempo
profano di tutti i giorni. Αιών è stato scelto da Platone appunto per con
trassegnare il tempo trascendente e divino, mentre χρόνος rappresenta
invece il tempo puramente umano del «questo», il tempo «relié au nom-
bre et arithmétisé^ 127) che si divide in sezioni e si risolve nel numero e
patronimici tipo Τελαμώνιος. Non sono poi d’accordo col M o n d olfo neppure quando af
ferma che in P la to n e «l’eterna presenzialità tende a convertirsi in perenne durata, che
implica in sè un tacito riferimento alla successione temporale (o.c., 102ss.). Ciò appari
rebbe, secondo il M on d olfo, dalla «posizione ambigua dell“è’, che oscilla fra l’extratem-
poralità e la appartenenza al tempo quale sua specie», dalle stesse espressioni usate da
P atone (così αεί, che può applicarsi sia al divenire che all’essere; così αιών «che pro
babilmente E r a c lito aveva usato nel senso di tempo»; e così pure l’espressione πάντα
αίώνά έστιν βν di Tim. 38b, poiché con essa l’eternità «viene così ad essere convertita in
somma infinita di diversi momenti di esistenza immutabile») e infine dalla collocazione
del Bene fra le eterne perfezioni dell’essere: poiché è quel Bene che determina l’attività
creativa e quindi «l’eterno permanere di converte in eterno processo di creazione» (l.c.).
Non è questo il luogo per discutere l’interpretazione che di P la to n e ha dato il Mondolfo
e premetto che io seguo quella del D iano, al cui studio rimando soprattutto per questa
ultima obbiezione (spec. 340ss.). M i limiterò qui a ripetere che 1’«è» platonico è fuori
del tempo, come chiaramente afferma lo stesso P la to n e ; ed è l’«è» della forma e del-
Ι’έξαίφνης, non quell’«è» ambiguo del divenire che in fondo esiste solo nel nostro imper
fetto linguaggio: come esplicitamente dice ancora lo stesso P la to n e . Non si vede poi come
il fatto puramente linguistico che άεί possa anche venir riferito al divenire debba ge
nerare ambiguità nell’interpretazione del nostro passo; e per quanto concerne αιών, s è
visto come esso non abbia assolutamente alcuna estensione e sia un punto. Per παντα
αιώνα, cf. la n. 121.
(125) D iano, FE, 52ss. A ragione Callimaco nell’/nno a Zeus i'rv- 8s·) c a c a v a i
Cretesi che facevano Zeus mortale.
(126) Cf. P hilippson, Mito greco, 22ss. ; sul νϋν parmenideo, cf. anche Levi, RFN
X I, 374s.
(127) L’espressione è di J. D e la H arpe , L idie du temps, 130.
C A P . V II P L A T O N E E ARISTO TELE
83
che è proprio della tecnica e della scienza. In Platone, per la prima volta,
la distinzione fra questi due tipi di tempo diviene concettualmente cosciente
e semanticamente esplicita ; ed anche il tempo periechon acquista definiti
vamente un suo proprio nome: αιών. Infatti la scala metafisica — e non
fisica, — su cui sono collocate quelle che per Platone sono le varie forme
di realtà, ha nel suo punto più alto l’assoluta Esistenza, l’estità dell’Uno,
ovvero del Bene: il punto «’ve s’appunta ogni dove ed ogni quando»,
Γ«ubique et semper», l’estremo Periechon che di tutto è il periechon e di nulla
il periechomenon (128). La forma di tempo che gli compete è appunto 1’αίών,
il tempo epifanico dell’evento, il punto senza dimensioni che tutto ab
braccia: al di sotto incontriamo il tempo del mondo, χρόνος: il tempo
numerabile ed ordinato dei cieli, che nel suo continuo ritorno circolare
dall’«era» al «sarà», costituisce la mobile immagine del tempo divino (129).
Il Timeo segnò una tappa fondamentale nella speculazione che gli
antichi fecero sul tempo. Questo dialogo, che in seguito divenne un vero
e proprio testo sacro, fu un costante centro di riferimento per tutti coloro
che, dopo Platone, si occuparono del problema del tempo, come Aristo
tele, Plotino, Proclo e via dicendo. «Eternità» è infatti il valore costante
ed abituale di αιών per la filosofia post-platonica; e la proposizione pla
tonica del tempo come «immagine mobile dell’eternità» diede origine ad
una ricchissima serie di figurazioni mitiche nell’ambito del neoplatonismo.
Tutte al Timeo si riagganciano le meditazioni di Plotino, che nel settimo
capitolo della terza Enneade esamina molto a fondo il problema dell’eter
nità. Per lui αιών è l’insieme delle essenze intelligibili, riunite in un tutto
grazie ad una vita trascendente che circola fra di loro: ed è oggetto di
una specie di visione intuitiva dell’anima, la quale ora scivola verso il
tempo, ora si aderge verso l’eternità, smaniosa di annullarvisi (130). Fu
appunto Proclo, il quale — interpretando dal punto di vista neoplatonico
la narrazione del Timeo — affermò che αΐών...έστι τοϋ χρόνου πατήρ (in
Plat. Remp. 17, lOKroll), a capovolgere letteramente la genealogia euri
pidea degli Eraclidi. Il larvato rapporto di mimesi che in Platone tem
pera l’irriducibile separazione fra αιών e χρόνος, si risolve qui in un chiaro
rapporto di discendenza, onde αιών non è che un’opaca emanazione del-
***
(131) Aion, 59s. Egli peraltro non fa citazioni; o, p iù precisam ente, cita solo l’inizio
del secondo libro de D e Caelo, dal quale risulta tutt’altra cosa. Cf. Phys. 221a27, De Coti.
275b3 (dove ό άπας χ., sostituisce αιών), ecc.
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
85
movimento {D e gen. 337a23). L’eternità dunque spetterebbe di diritto
solo a Dio, all’Atto Puro: all’oùoia άίδιος καί ακίνητος (Metaph . 1073a3),
che, sempre immobile ed identica a se stessa, agisce solo come causa finale
{ibid. 1072b 35). Ma in realtà Aristotele conosce anche un’altra eternità,
quella del cielo, che è εις, άίδιος, άφθαρτος ed άγένητος {De Cael.
277b27ss.) : esso è mobile, a differenza di Dio, ma è anch’esso άθάνατος
καί θείος fra le cose che sono dotate di movimento {ibid. 284a4s.) ; è il
πέρας των περιεχόντων e la sua κυκλοφορία, τέλειος οδσα, περιέχει τάς άτελεϊς
καί τάς έχούσας πέρας καί παύλαν, αύτή μέν ούδεμίαν οδτ’ άρχήν έχουσαν
οδτε τελευτήν, αλλ’ άπαυστος οδσα τόν άπειρον χρόνον, των δ’ άλλων των μέν
αιτία της αρχής, των δέ δεχομένη τήν παύλαν {ibid. 284a7-12; cf. Phys.
265a25-bl6). Tutto il primo libro del D e Caelo è un inno all’àdavaaia
ed all’à^ió-n^ del cielo (270a-13ss.) che appare come la più alta divinità
trascendente, che άναλλοίωτα καί άπαθή την άρίστην έχοντα ζωήν καί αύ-
ταρκεστάτην διατελεϊ τόν άπαντα αιώνα (279a20ss.). È proprio a questo
punto che Aristotele sente la necessità di dare una definizione di αιών,
cercando di dar ragione del suo contradditorio e duplice valore semantico.
Καί γάρ τοϋτο τοδνομα — egli spiega — θείως έφθεγκται παρά των άρχαίων.
TÒ γάρ τέλος τό περιέχον τόν της έκάστου ζωής χρόνον, οδ μηδέν έξω κατά
φύσιν, αιών έκάστου κέκληται. Κατά τόν αύτόν δέ λόγον καί το τοϋ παντός
ούρανοϋ τέλος καί τό τόν πάντα χρόνον καί τήν άπειρίαν περιέχον τέλος, αιών
έστι, άπό τοϋ αΐεί είναι εΐληφώς τήν έπωνυμίαν, αθάνατος καί θείος (279a
22-28). Cioè: «ed infatti questo nome di aión è stato pronunciato per
ispirazione divina da parte degli antichi. Infatti la forma compiuta e
perfetta (τέλος) che abbraccia il tempo della vita di ciascuno, id di fuori
della quale nulla esiste secondo natura, si chiama aión di ciascuno; ana
logicamente anche la forma perfetta e compiuta di tutto il cielo e quella
che abbraccia tutto il tempo e l’infinità è aión (ha ricevuto il nome dal
fatto che è sempre) immortale e divino». Questo αιών che abbraccia l’in
finità ed è άθάνατος καί θείος, può sembrare identico all’aitàv platonico;
senonché Aristotele mette in relazione il valore «eternità» coll’altro cor
rente ed abituale di «durata della vita»: come αιών è il télos che abbraccia
il tempo della vita di ognuno, analogamente si chiama aión anche il télos
che abbraccia tutto il tempo e l’infinità. E proprio il termine τέλος, che
— usato in riferimento alla vita umana — ha un chiaro valore tempo
rale, induce a pensare che anche 1’αίών άθάνατος sia qui concepito come
infinita temporalità e non come eternità extratemporale. Così è in effetti:
in Aristotele αιών viene ad assumere, da solo, quel valore che aveva 1 άσπε-
τ°ζ αιών di Empedocle: un tempo incommensurabilmente grande, ma che
è pur sempre tempo e non qualcosa di assolutamente estraneo al tempo,
PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA
(132) AfRw X X V , 128. Giustamente metteva in luce questo fatto anche Sim
plicio,p. 367, 27 H eiberg : e a torto il L ackeit, 61, polemizza con lui.
(133) Cf. W einreichj^oc., 177ss., Zepf, o . c. , 227.
(134) Significativo è ρυκΤάπειρον αιώνα del fr. 40, 1481a39: καί ταϋθ’ ούτως
παλαιά διατελεϊ νενομισμένα παρ’ ήμΐν, ώστε τό παράπαν ούδείς οίδεν ούτε τοϋ χρόνου τήν
άρχήν ούτε τόν θέντα πρώτον, άλλά τόν άπειρον αιώνα τυγχάνουσι διά τέλους οΰτω νενομικό
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
87
τες.. Per Rhet. 1374a33: ύπολείποι γάρ Sv δ αΙών διαρι&μοΰντα, cf. Isocr. I, 11: έπιλίποι Sv
ήμας δ χρόνος, Dem. 18, 296: έπιλείψει με λέγον-9·’ ή ήμέρα (cf. T heogn. 1131).
(135) Phys. 222a27ss., 251bl0ss, 263al5ss., Meteor. 353al5ss.; De Lin. ins. 969a29,
ecc. La distinzione αίών-χρόνος si offusca di fronte a passi come questi: άναγκη πάντα τά
έν χράνω περιέχεσ&αι ύπδ χρόνου {Phys. 221a27) oppure δ όξπας χρόνος ουκ έχει τέλος, τδ
δέ κεκινημένον έχει {De Cael. 275b3-4).
(136) O . C . , 59s. Egli peraltro riconosce che «der αιών ist weit grösser als der χρόνος,
obwohl auch der χρόνος unendlich ist: denn der αΙών ist eben die ideelle Unendlichkeit, wie
χρόνος die empirische» {ibid., 62) : m a il motivo è ben diverso e le cose non stanno esatta
mente così. Cf. supra. Per quanto riguarda lo pseudo-aristotelico De Mundo, il L ackeit,
62, osserva che la sua apocrificità è comprovata anche dalle formule έξ αίώνος ές έτερον
αιώνα (397al0; 401al6) e δι’ αίώνος (391bl9; 397a31, b7), che appartengono ad epoca
più tarda; ed altrettanto va detto per i frr. B21 e B23 di F ilo la o , dove compare la locu
zione έξ αίώνος είς αιώνα. Sono infatti formule tipiche della lingua dei Settanta (cf.
H a tch -R ed p ath , Concordance to the Septuagint, s.v. αίών): ma tutto ciò non vale, come
s è visto, per δι’ αίώνος.
(137) L’analisi del tempo, sotto l’aspetto quantitativo, è molto ampliato da A risto
tele rispetto a P latone, benché egli si impigli in contraddizioni insanabili (J. de la H ar
pe , o.c., 130ss.; L evi, Ath X X V I, 4ss.).
88 PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA
###
(138) WuH, 695. Questa etimologia doveva certo essere stata sentita anche da Pla
tone, poiché il valore che αΙών ha nel Tim o rendeva certo immediatamente vitale quel
legame fra αιών ed àet che la cristallizzazione del termine nel valore «vita» doveva
avere quasi del tutto cancellato. Noto qui che I’E is le r parla anche di un presunto col-
legamento di αιών col verbo omerico άίω «fühlen, wahmehmen», e lo spiega come fe
nomeno di etimologia popolare (ibid., 707, 5; 446, 2): ma egli non cita alcun passo da
cui risulti che i Greci operarono il suddetto collegamento.
(139) O.c., 184. Sull’atóv plutarcheo e sul suo costante riferimento a quello plato
nico ed aristotelico, cf. L eiseg an g , Die Begriffe der Zeit u. Ewigkeit, 6ss.; L ack eit, 6 2 ss.
(140) ΑΙών viene spesso così definito: χρόνος άΐδιος (Sud. s.v.) oppure χρόνος άγέννητος
(Tm. L ock. 97D) : cf. O wen , o.c., 265, 271ss. Si noti che αΙών rimane sempre il tempo
non misurabile, mentre χρόνος è invece il tempo mobile e misurabile: ché il senso comune
avvertiva nel primo termine il senso di άεί e connetteva invece il secondo con χορ*
(P rocl. in Tim. p. 9.12-15 D iehl ). Talora, con gioco di parole, si definisce χρόνος come
ϊγχρονος αΙών e αΙών come αΙώνιος χρόνος(ΟννΕΝ, 266). Fuori strada è quindi IE blkb,
secondo il quale, dopo P roclo, αίών rappresenta «die bewegende und messbare
in dem unbeweglichen und unendlichen χρόνος» (WuH, 408, 3) e così pure U ßAU*®ISTE^
Denkmäler d. klass. Altertums, I, 32, secondo il quale ΑΙών, dopo Eurip®®» «wird. ^ ^
der bewegenden und messbaren Kraft in dem unbeweglichen und unendlichen
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
89
culto in diverse zone del mondo ellenistico e romano (141). Non è diffi
cile capire come αιών, tempo periechon in Platone ed attributo sommo della
divinità in Aristotele, abbia potuto ben presto divenire un dio. Molto
significativo è, a tal riguardo, un passo delle Enneadi, dove Plotino —
dopo aver poco prima ribadito che αιών... άπό τοϋ άεΐ δντος (III, 7, 4) —
osserva: σεμνόν ο αιών, καί τακτόν τώ θεω η έννοια λέγει, καί καλώς αν
λέγοιτο è αιών θεός έμφαίων καί προφαίνων έαυτόν οΐός έστι (III, 7, 5).
Ma questa deificazione si era già verificata prima di Plotino: così in
una iscrizione eleusina (S IG s, 1125), che sicuramente risale ad epoca au-
gustea e che è certo strettamente legata alla speculazione platonico-ari
stotelica su αιών:
Κόϊντος Πομπήϊος Αδλου υ[ίός]
έποίει καί άνέθηκε
σύν άδελφοΐς Αΰλωι καί Σέξτωι
Αιώνα
εις κράτος 'Ρώμης καί διαμονήν
μυστηρίων
Αιών δ αυτός έν τοϊς αύτοΐς αΐεί
φύσει θείαι μένων κόσμος τε εϊς
κατά τά αυτά, όποιος έστι καί ήν
καί έσται, άρχήν μεσότητα τέλος
ούκ έχων, μεταβολής άμέτοχος,
θείας φύσεως έργάτης αιωνίου πάντα.
È stata più volte affermata la diretta derivazione dal Timeo — ormai
divenuto un testo di meditazione religiosa — di questa iscrizione (142).
nos». ΑΙών non è mai un tempo misurabile: molto istruttiva, a questo riguardo, la de
finizione di Giovanni D amasceno, I, 153C: αΙών ού χρόνος, ούδέ χρόνου τι μέρος, ήλιου
9°Ρ? καί δρόμω μετρούμενον..., άλλά τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς άιδίοις... δπερ γάρ τοϊς ύπδ
χρόνον ό χρόνος, τοϋτο τοϊς άιδίοις έστι αίών, nonché queUa di Gregorio N azianzeno, Or.
38, 8: αίών... ούτε χρόνος οϋτε χρόνου τι μέρος, ούδέ γάρ μετρητόν- άλλ’ δπερ ήμΐν ό χρό-
νος, ήλιου φορ$ μετρούμενος, τοϋτο τοϊς άιδίοις αίών, τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς ούσιν,
e quella di M assimo C onfessore, Ambig. p. 162: αίών... έστι 6 χρόνος όταν στη της κινή-
σεως, καί χρόνος έστιν ό αίών δταν μετρήται κινήσει.
(141) Cf. K och, Gymnasium V, 137ss.; Sasse, RealUx, f.A.u.Chr. I, 197ss.; H a r t k e
J«F, 31ss., 33ss., 49ss.; W einreich, o .c ., 186ss.
(142) Cf. W. K r o ll, RE V III, 817 (e anche J. K r o ll, DU Lehren des H. Trisme-
gistos, Münster 1914, 69, 1); K ern, Hermes X LV I, 432, 3; Troje, AfRw X X II, 88ss.;
Nilsson Gr. Rei. II, 331ss., 478; K och, o.c., 137s. Il fatto che qui Αίών appaia ima di
vinità del tutto greca, non autorizza affatto ad escludere che esso abbia potuto — in
seguito o magari anche prima — essere un puro nome per divinità non greche (cf. K och,
442). L’iscrizione è senz’altro di epoca augustea (Nilsson, II, 331, 11).
9° PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA
***
Vediamo ora quali conseguenze ebbe il nuovo valore di αιών sul pia
no puramente semantico e al di fuori del campo strettamente filosofico-
religioso dove esso si maturò. Dice il Lackeit che in epoca ellenistica il
concetto di eternità divenne abituale alla lingua greca ed αιών finì ben pre
sto per divenire un «Allgemeingut der Alltagssprache» (146). Senonché
nella lingua di tutti i giorni non esiste un tale concetto ed in realtà αιών =
= eternità rimase — in senso proprio — un termine specifico del lin
guaggio mistico-filosofico anche durante l’ellenismo. Ma la κοινή, come
disgregò le unità dialettali, così contribuì anche, nell’ambito di una stessa
lingua, ad infrangere le barriere fra gergo specifico e tecnico e quello co
mune di tutti i giorni: nel mondo ellenistico non vi sono compartimenti
stagni e i piani del sapere — sebbene non in forma feconda e discipli
nata — vengono a contatto e sconfinano facilmente l’uno nell’altro. Quan
do però il concetto di «eternità» esce dalla sfera filosofica e religiosa, che
è ad esso propria, non può farlo se non risolvendosi in un’iperbole: ecco
(143) O.c., 184; cf. 174ss., 177ss., 179ss.; Zepf, o .c. , 228.
(144) Iran. Erlös., 211; Zepf, 227ss.
(145) Su questo Αιών, cf. W. S cott, Hermetka, Oxford 1924, III, 185ss.; Festu-
cière , Hermis Trismégiste, 157s.
(146) RE, Suppi. I l i , 64; cf. Aion, 32.
CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE
91
(147) Cf. T h e o d . M ops, in Cal. I, 4: αιών... έστιν... διάστημα χρόνου είτε μικρόν
είτε μέγα- μικρόν μέν... δταν τήν... ζωήν οΰτως καλή, κτλ. È appunto questa duplicità di
valori che h a dato luogo a serie divergenze sull’interpretazione delle sacre scritture (cf.
O w en , o.c., 268s.). Nelle num erose definizioni che furono d ate di αιών, non m anca mai
— accanto ai vari «mondo», «spazio di mille anni», ecc. — il valore di όλος ó βίος, ή
ζωή ήμών, όλος ό παρών βίος, ecc. (O w e n , 266ss.).
(148) L a stessa definizione aristotelica nasce senz’altro d all’a w e n u ta acquisizione
dei due valori opposti «vita» ed «eternità». U no scoliasta di O m e ro (X58) sembra quasi
pensare a due parole diverse: αίών δέ παρά τό άεί, ή τόν υπόλοιπον τής ζωής χρόνον.
(149) In senso strettam ente filosofico, αιώνιος indica propriam ente ciò che non ha
ne inizio né fine: άνώλε9·ρον δέ δν γενόμενον, άλλ’ ούκ αιώνιον (Legg. 904a) ed equivale ad
άίδιος. Riferito a ciò che è nel tem po, invece, esso indicherà qualcosa che è dotato di una
incessante d u rata, «continuo», « duraturo»: così il medico A r e t e o parla di una νοΰσος...
οϋ χρονίη, άλλά... αίωνίη (CA, 1,5), contrapponendo a χρόνιος, «tem poraneo, passeggero»,
αιώνιος nel senso di «duraturo, inguaribile» (ciò che noi esprimiamo col nostro «cronico»).
Analogamente l’avverbio αΙωνίως v arrà «eternam ente» in cam po filosofico ( P r o c l . Inst.
172; Simpl. in Epict. p. 77D.), m entre fuori d i tale cam po h a un valore generico «sem
pre» che equivale ad un «per tu tta la vita» (Schol. Eur. Ale. 338: αίωνίως μισεΐν). Della
Μ$η αίώνιος di Resp. 363d si tra tte rà in seguito; su αίώνιος = saecularis, cf. L a c k e it, Aioa,
35ss. e spec. S t a d t m ü l l e r , Saeculum I I , 152ss. P er quanto riguarda άίδιος (da άεί col
suffisso — ίδιος: C h a n t r a i n e , Formation, 39), che dopo Platone è sempre usato in rife
rimento all’eterno, il F e s t u g i è r e te n ta d i m ettere in luce — nel suo sviluppo semantico
preplatonico — un progressivo «enrichem ent», onde l’aggettivo, d a u n valore originai-
PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA
τινα μακραίωνα βίον (E p iti . 892a), «una vita dalla lunga durata»
(150).
* * *
L’ORFISM O
(153) Cf. Bibliografia. Per altre indicazioni, cf. A.B. C o o k , Zeus< Cambridge 1940,
ΙΠ , 913ss. e 1203; S asse , Reallex., I, 204; H a r t k e , JuF, 32; S t a d t m ü l l e r , Saeculum
II, 320.7
di critica semantica, Messina-Firenze 1953, 107) si manifesta in «questa vitalità, che per
la mentalità arcaica ha un fondamento magico e, in senso largo, religioso»; nel che,
continua il Pagliaro, non si verifica altro che un aspetto del mana, la forza magica che
ha tanta parte nelle credenze dei primitivi. Cf. anche K o h l b r u g g e , Mnemosyne X, 54ss.
Sulle «forze» in O m e r o e sul loro valore magico e «concreto», cf. S n e l l , Cultura greca, 46s
c a p . v i i : l ’o rfism o
99
Molti hanno dato spesso per scontato che αιών abbia avuto sicura
mente una parte notevole nella speculazione mistica del sesto secolo, ed
in particolare nell orfismo. In realta si è sempre trattato di supposizioni
non sufficientemente fondate, nate in base ad un ragionamento che ad
altri è spesso sembrato discutibile : siccome nella cosmogonia orfica ar
caica risulta avesse una notevole importanza la dottrina di Chronos come
sommo principio cosmico e sostanza creatrice, cosi si è pensato che anche
Aion dovesse aver avuto una parte di prim’ ordine in ambito orfico. È
stato però osservato che nell’orfismo Aion compare solo in imo di quei
tardi inni (I, 28: Αίώνος μέγ’ ύπείροχον ίσχύν | καί Χρόνον άέναον), i
quali, come oggi si tende generalmente a riconoscere, esprimevano
credenze molto lontane dall’antica dottrina (156). Difatti, se tale presunta
orficità di αιών non può trovare riscontro che in passi di poeti e filosofi,
dei quali si sa che solo conobbero l’orfismo e ne rimasero suggestionati,
essa può sembrare piuttosto equivoca ed evanescente e rischia di risol
versi in un mito. Si pensa normalmente, ad ogni modo, che influssi
orfico-pitagorci siano da ravvisare ηεΙΓαίών pindarico (Schmid-Stählin, I,
1, 582) e così pure nella genealogia euripidea degli E ra e lid i (157). Che
in Αιών Χρόνου παΐς Euripide ripetesse una tradizionale formula orfica
può anche darsi, ma non c’è assolutamente nulla che lo possa provare;
come pure non si può affatto provare che Eraclito, parlando dell’ αιών
παΐς πεσσεύων, stesse esponendo il mito orfico di Zagreus, malgrado le
sottili argomentazioni del Macchioro (158).
tutte le figurazioni del tem po, che i poeti greci hanno fatto, presuppor
rebbero necessariam ente delle intuizioni orfiche (159), e queste a loro
volta, dipenderebbero in ogni caso d a llO rie n te (pp. 392ss.). L ’Eisler fa
ceva poi continuo ricorso alla complessa ed oscura teoria dello isopsefismo
teoria che egli derivava dalle recenti scoperte del suo amico W. Schulz.
I l quale, nella sua Altionische Mystik — altra opera che risente in pieno
di quella m ania orientalista che costituì il vezzo ed il vizio della filologia
di quel tem po: ovvero d i quella tendenza a cercare a tutti i costi le sor
genti del pensiero greco nell O riente, basandosi spesso su collegamenti
ed addentellati evanescenti (160) — aveva tentato il collegamento fra
le dottrine degli Ionici con la mistica greca (che secondo lui andava ri
condotta a fonti orientali e specialm ente babilonesi), mediante un’inter
pretazione nuova dei fram m enti e delle testimonianze dei presocratici,
ottenuta grazie alla «Zahlensymbolische Onomatomantik». Tale teoria
presupponeva come certa l’esistenza, già all’epoca dei primi pitagorici, di
una complicata simbologia di num eri e di sillabe, onde le lettere e le sil
labe di certe parole rappresentavano un determinato numero magico:
le lettere dell’alfabeto, secondo lo Schulz, avevano ciascuna un preciso
valore numerico ( A = l , B = 2 , Ω = 2 4 ), mentre le sillabe esprimevano i
numeri (A A = 25, A B = 2 6 , ecc.). Che tale forma di scrittura fosse anti
chissima (sarebbe derivata dall’Oriente, ché faceva parte dell’astronomia
ed astrologia babilonese), sarebbe comprovato anche dalla numerazione
dei canti dei poemi omerici, che invece gli altri studiosi — giustamente
— attribuivano ed attribuiscono ai grammatici alessandrini (161). L’Eisler
avvertì questa difficoltà e cercò di apportare nuovi elementi per dimo
strare l’antichità di tale sistema di scrittura; ma, in realtà, la mistica dei
(159) O .C ., 386. Il L e v i, RFN X I, 48ss., sostiene invece che tali figurazioni pote
vano anche presentarsi spontaneamente alla fantasia di un poeta che riflettesse all azione
del tempo: e credo anch’io che il simonideo χρόνος όξύς όδόντας (fr. 75) non richiami
affatto necessariamente la raffigurazione mitraica del drago leontocefalo (E isler , 387) ;
e tanto meno la richiama il simonideo-bacchilideo πανδαμάτωρ χρόνος (Sim. 5, 5; Bacch.
XIII, 206: cf. E is le r , l.c.). Mi sembra peraltro sia difficile negare che la frequente
rappresentazione pindarica del tempo come περιέχον non sia da collegare con 1 orfismo,
che ne era il divulgatore: ed anche il L e v i ammette che si possa fare un’accezione per
il pindarico χρόνος πάντων πατήρ (p. 49, 1). . .
(160) Tendenza romantica, che sorse già in Grecia nel periodo ellenistico (c . e
stu g ière , La révélation d ’Hermes Trismégiste», 6ss.; 14ss.). L’opera di W. S c h u lz b: Al
tionische Mystik, Leipzig-Wien 1905-1907, i cui principi egli ribadì qualche anno dopo
in Die pytagor. Symbole in Rätsel aus dem hell. Kulturkreise, Leipzig 1909.
(161) Essa risale, in ogni caso, a non prima del terzo secolo a.C. (c . r z u llo ,
R problema omerico, Firenze 1952, ls.).
102 PARTE IU I ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
I’Eìsler osserva che lo stretto legame che c’è fra αιών e λόγος, è provato dal fatto che la
somma dei due numeri corrispondenti ai due termini è 109, numero corrispondente ad
άπτόμενον (pp. 699, 7) !
(164) Pp. 423ss.; 650ss., 675ss., 714ss. «Gewiss kein doxographischer Zusatz!»
sembra il suo motto (p. 699, 7). Questo difetto fu spesso imputato all’EisLER anche dal
Lackeit, 5 5 s ., 1.
P. 4 0 8 , 2 . Su questa espressione I ’E i s l e r ritorna anche in altre occasioni e
(1 6 5 )
talora la pareggia allo πνεϋμα δρακοντοειδής della cosmologia epicurea (p. 676, 1).
(166) Cf. K e r n , Orpheus, Berlin 1920, 56; L a c k e i t , Aion, 54 e RE Suppi. I li , 64ss.
Cf. anche la nota 158. Sui rapporti fra αΙών e l’orfismo, cf. pure G ruppe , Griech. Myth.
Π> 1064, 1; 1480, 2.
(167) L a c k e i t , Aion, 83 e 54; cf. pure N il s s o n , Griech. Rei., II, 478. Questa presunta
«Einfachheit» di αΙών è l’idea fissa del L a c k e it : in realtà, ben poche parole possono
«sere meno «semplici» di αιών.
104 PARTE in : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
dire senz’altro che una parola come αιών — quale l’abbiamo delineata
attraverso l’esame dei testi — si prestava benissimo ad entrare a far parte
del linguaggio di una corrente religiosa; e nulla vieta di pensare che essa
abbia potuto appartenere al gergo mistico del sesto secolo. D’altra parte,
se la cosmologia orfica faceva di Chronos il sommo principio e se questo
senso del tempo come Periechon poteva essere espresso in Pindaro da αιών,
oltre che da χρόνος, non pare si possa escludere a priori la possibilità che
anche il μόρσιμος αιών sia da collegare con l’orfismo.
***
(168) Fr. 247, 4 ( = 245, 5): φίλης αίώνος άμέρση; fr. 142, 2: άθάνατον αιώνα λαχεΐν;
fr. 223, 2 ( = P r o c i ,, in Plat. Retnp. 339, 1 7 Kroll): λίπη δέ μιν Ιερός αιών. Qui αίων è
la «forza vitale» che abbandona l’uomo — l’altra reminiscenza omerica — ed è carat
terizzato dalla sua natura epifanica da Ιερός. Del fr. 95 ( P r o c l . in Plat. Tim. 21d) : καί
φύσεως κλυτά έργα μένει καί άπείριτος αιών, s’è già detto.
(169) Pare che ad una tale ipotesi pensino sia il F r a s s i n e t t i , o.c., 2, che il M a r
m o r a l e , L’ultimo Catullo, 182s., 1. Sull’iscrizione ostiense, cf. anche B e c a t t i , RPAA
X X I, 123ss.; G u a r d u c c i , ibid., 143ss.
c a p . v i i : l ’o r f is m o
105
αύτης βίον καί τήν μερικήν περίοδον. Pare del resto probabile che αιών po
tesse e dovesse venire preferito a βίος — parola troppo comune e pro
sastica per indicare la beata vita sotterranea che anche agli iniziati
delTorfismo era riservata dopo la morte (170). E Pindaro, proprio nel-
l’orficissima seconda Olimpica — nella quale, si noti, si parla anche di
μορσιμος αιών (v. 1 1 ) dice che nel mondo dell’aldilà si trascorre un
άδακρυν αιώνα; mentre ad Ippolito, iniziato ai misteri orfici (Eu. H ip p .
952ss.), Artemide predice che potrà cogliere Si’ αίώνος μακροϋ, cioè durante
la sua nuova lunga vita, un tributo di lacrime da parte di giovani ver
gini; e aggiunge: αει δε μουσοποιός ές σε παρθένων | εσται μέριμνα (νν.
1426ss.). È vero che passi di questo genere — dove, come si è già osser
vato, dal punto di vista strettamente semantico αιών equivale a βίος —
non autorizzano a supporre che il termine si fosse già specializzato nel
detto valore escatologico; ma c’è un luogo di Platone che può, a mio avviso,
confermare tale ipotesi. Si legge nel secondo libro della Repubblica (363c-d) :
Μουσαίος δέ τούτων νεανικώτερα τάγαθά καί ό ύός αύτοϋ παρά θεών
διδόασιν τοΐς δικαίοις· εις "Αιδου γάρ άγαγόντες τώ λόγω καί κατακλίναντες
καί συμπόσιον των οσίων κατασκευάσαντες έστεφανωμένους ποιοϋσιν τον
άπαντα χρόνον ήδη διάγειν μεθύοντας, ήγησάμενοι κάλλιστον άρετης μισθόν
μέθην αιώνιον.
Il passo, di contenuto schiettamente orfico ( = fr. 4 Kem), presenta
la singolare espressione μέθην αιώνιον, che indica appunto 1’«eterna eb
brezza», dagli orfici ritenuta la migliore ricompensa per la virtù. Qui
forse compare per la prima volta l’aggettivo αιώνιος (171) che, come s’è
visto, doveva originalmente significare «che dura tutta la vita», secondo
il senso fondamentale di αιών: ma qui si tratta evidentemente di un αιών
che dura τόν άπαντα χρόνον e, quindi, di una «vita eterna». Se quindi, come
pare probabile, μέθη αιώνιος è un’espressione orfica (tale la ritiene anche
il Kem), avremmo qui la conferma che αιών si era presso gli orfici tecni
cizzato per indicare la vita dell’aldilà: si era caricato di tinte mistico-
escatologiche, assumendo il senso di una vita senza fine.
Questo è quanto mi pare si possa dire circa i rapporti di αιών col
misticismo del sesto e del quinto secolo: ed è in verità piuttosto poco. Ma
(170) Si può anche osservare che αιών poteva venire usato in riferimento alla vita
divina, che era naturalmente άσπετος ed άπαυστος, più facilmente di βίος: lo potrebbe
confermare anche il fatto che gli dei sono detti μακραίωνες ο δολιχαίωνες (Soph. Ant.
987, Oed. T. 1098, Ap. Rhod. II, 509, ecc.; Emped. B21, 12; B23, 12) e non μακρόβιοι.
(171) Sulla peraltro non sicura cronologia dei vari libri della Repubblica, cf. R E
XX, 2, 2450s., 2506ss.
ιο6 PARTE Πΐ: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
può costituire una conferma della facile tendenza del vocabolo a mettersi
in rapporto con la sfera sacrale anche qualora esso non venga inteso come
Perìechon. Che poi il μόρσιμος αιών che έπ’ άνδράσι κρέμαται fosse tipico
delPorfismo, non è affatto da escludere, ma non è sicuro.
Ca p . V i l i
LORIENTE
gico, che è affatto estraneo al vero Mazdeismo (178). Ad ogni modo Zer
van, che nel Mazdeismo ortodosso è ancora una creatura di Ahoura Maz
da, diventa nello Zervanismo il πρώτον καί ύστατον, principio e fine di
ogni cosa. Lo Zervanismo è conosciuto solo in una fase piuttosto tarda·
e cioè quale esso fu nell’epoca sassanide, quando — non più setta eretica
e com battuta — si affermò e si diffuse attraverso i misteri di M itra (179).
Il Mitraicismo, infatti, sembra derivare dallo Zervanismo dei Magi del-
(180) Per una dettagliata descrizione ed interpretazione dei vari attributi della
figura, cf. P e tta z z o n i, ACI XVIII, 266s. Sono molte ed innegabili le affinità col Chro-
nos delle teogonie orfiche (cf. L evi, o . c . , 120ss.).
(181) Cf. Bidez-Cum ont, I, 70ss. Per il fondamentale 'Ulema i IsIàm, cf. B lo c h e t,
R HR X X X V II, 22ss.
(182) C’è un senso di predeterminazione e di determinismo assoluto: i Greci tra
dussero Zervan con Tyche ed Eznik col siriano Bayt, «sorte»; cf. Bidez-Cumont, II,
89, 2.
(183) Cumont, I, 294; II, 108. Per l’importanza del fuoco presso i mazdeisti, cf.
I, 140.
(184) Z a eh n er, Zuroan, 232; Sasse, Reallex., I, 194. Così è pure per l’&rcipov πε-
Ρ^χον di Anassimandro: nell’esperienza dell’evento, infatti, tempo e spazio fanno uno
(Diano, Il concetto, 252). Ciò dà ragione della connessione di spazio e tempo che si ri
scontra in parecchie cosmogonie: cf. K. N um azaw a, Die Weltanfänge in der japanischen
Mythologie, Zürich-N. York 1950, 44ss.; A. Jerem ias, Die Weltanschauung der Sumerer, Leip-
ZIS 1929, 12; Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 181.
PARTE H i: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
(185) Si vedano le ottime osservazioni del C a s s ir e r , II, 168; per maggiori parti
colari circa questa corrispondenza, cf. L e v i, o . c . , 122ss.
(186) Il P e t t a z z o n i, La religione di Zaratustra, 83, tende a farlo molto più recente,
ma non scende neppure lui oltre il settimo secolo. Per una recente ripresa del problema,
cf. W it h e y , Numen 1957, 214ss.
(187) Cf. B id ez-C u m o n t, II, 69, 15. E u dem o dichiarava che una setta di Magi
chiamava dio unico Χρόνος (D a m a sc. 125bis R u e l l e : cf. B id e z-C u m o n t I, 63): Μάγοι...
καί παν τό άρειον γένος, ώς καί τοϋτο γράφει ό Εΰδημος, ο! μέν Τόπον, οΐ δέ Χρόνον κα-
λοϋσι τό νοητόν άπαν καί τό ήνώμενον, έξ ου διακριθήναι ή θεόν άγαθόν καί δαίμονα κακόν
ή φως καί σκότος πρό τούτων, ώς ένίους λέγειν. Secondo il B ia n c h i {ίζαπιαη, 102, 113ss.),
D am ascio sarebbe un’interpretazione neoplatonica del testo di E u dem o, il quale diceva
insieme Spazio e Tempo, cioè poneva un parallelismo fra le nozioni d tempo e di luogo.
Si trattava quindi del «tempo ambiente», non del tempo personificato; di un aspetto
impersonale del tempo: e quindi tale testimonianza non autorizzerebbe a pensare a
una religione del Tempo come non può far concludere ad una dello Spazio. La stessa
alternativa con cui vengono presentate queste due nozioni, sarebbe di per sè sufficiente
a mostrare il loro valore essenzialmente «ambientale». Il B ia n c h i troverebbe una con
ferma di ciò nel confronto con P l u t a r c o , De Inde, 46ss., il quale cercava invece sistemi
dualistici (pp. Il3ss., così pure D u c h e s n e - G u ille m in , Zoroastre, 101; S c r e d e r , ZD
XCV, 273; cf. contrai B e n v e n is te , J A II, 289ss.; M O XXVI-XXVH, 170ss.; The Persm
Religion, 9ss.).
(188) C u m o n t, I, 279ss., 303ss. Dello stesso avviso è il L e v i, U , ed altri da lui
citati ( M e y e r , S p ie g e l, ecc.).
C A P . V i l i : l ’o r i e n t e
II3
(189) Bidez-C um ont, I, 63, 2. Così pensa anche il L evi, 1 2 3 ss . , sia pur con qualche
riserva. Cf. pure J u n k e r , o .c ., 125ss.; G e r n e t-B o u la n g e r , o .c ., 458; E isle r , o .c ., 4 4 1 s s . ,
449, 742ss., per il quale tutto il misticismo e la filosofia ionica dipendono in gran parte
dall’Iran (p. 392).
(190) Cf. R a d e t, La Lydie et le monde grec au temps des Mermnades, Paris, 1892, 303ss.
La lingua in cui il verbo zervanista si sarebbe diffuso avrebbe dovuto essere l’aramaico,
secondo il C o w le y (cit. da E is le r , 644; cf. H e r . II, 109). Sui rapporti greco-acheme-
nidei-iranici, cf. anche A. A ym ard, La civilisation iranienne, Paris 1952, 48ss.
(191) Notizie di viaggi fatti da questi filosofi o di vari contatti che ebbero col mondo
■orientale sono non di rado fomiti da fonte indiretta; ma più spesso troviamo nelle loro
stesse opere delle singolari coincidenze con motivi orientali. Per le relazioni fra P ita -
o o r a e lo Zoroastrismo, cf. B idez-C um ont, I, 33ss. ; P r z y lu sk i, RUB 1932, 290ss. Per
quelle di E r a c lit o , cf. L. S t e l l a , RAL 1927, 580ss. Per quelle di E m p ed ocle, cf. Bidez-
Cumont, I, 238ss. Per P la t o n e , cf. R. R e itz e n ste in , Plato und Zarathoustra, Berlin 1927;
J· Bidez, Platon, Eudoxe de Cnide et I'Orient, Paris 1933; J. K e r sc h e n ste in e r , Platon und
Orient, Stuttgart 1945; J. B idez, Eos ou Platon et VOrient, Bruxelles 1945; W. K o s te r ,
mythe de Platon, de et des Chaldées, Leiden 1951.
(192) Per la «difficoltà cronologica» che gli ellenisti imputano agli orientalisti, cf.
R o s t e r , o .c ., 3 4 , 1. Il M o n d o lfo , appunto perché pensa sia difficile che lo Zervanismo
abbia potuto influire sulla Grecia del sesto secolo, ritiene che l’influsso caldeo sia stato
diretto, senza la mediazione zervanista ( Z e lle r - M o n d o lf o , o .c ., 87).
(193) G e rn e t- B o u la n g e r, Le gènte grec, 147. Questa ipotesi si era già affacciata
nerla con argomenti senza dubbio ingegnosi. A titolo di pura ipotesi, vor-
rei anzi (jui aggiungere che anche ammettendo che 1 influsso zerva-
nista ci sia stato — il concetto espresso dalla parola iranica probabil
mente non sarebbe stato reso con αιών, ma con χρόνος. Anche se poteva
indicare il Perìechon, αιών era tuttavia normalmente il tempo qualificato
implicava uno spiccato ed ineliminabile riferimento al vissuto : χρόνος era
invece il tempo indeterminato, aveva un senso più generico e connotava
abitualmente il tempo perìechon: così negli orfici, così in Ferecide e così
in Pindaro. Era χρόνος che avrebbe tradotto quindi perfettamente il senso
di zervan akarana : ed era necessario che esso si laicizzasse, prima che αιών
potesse stabilmente prendere il suo posto. Quando ciò si sarà verificato
ed Aion diventerà P«Ewigkeits-und Schicksalsgott», allora sarà possibile
una perfetta e continua corrispondenza con Zervan (Stadtmüller, Sae
culum II, 316).
Ed in Platone potè influire Zervan? La «difficoltà cronologica», cui
gli ellenisti si appellano per respingere l’ipotesi di una penetrazione ira
nica nel sesto secolo, non può certo avere lo stesso peso per l’epoca plato
nica; d’altronde, che Platone abbia avuto rapporti con l’Oriente, cono
scesse la teologia iranica e che in parecchi passi delle sue opere si avver
tano dei motivi zervanistici, è una cosa che ormai non si può più negare.
Certo, che egli fosse addirittura un adepto delle religioni iranica e babi
lonese e che quasi tutto il suo pensiero sia improntato all’Oriente, sono
le solite esagerazioni degli iranisti (cf. Reitzenstein, o.c., 36ss.) ; ma anche
gli ellenisti ammettono oggi che nella mitologia platonica siano presenti
degli influssi orientali (cf. Festugière, RPhl 1947, 5ss.). Date queste pre
messe e dato che il valore che αιών assume nel Timeo sembra non avere
dei precedenti nella storia semantica del vocabolo, si è cercato di vedere
in esso una trasposizione dell’idea persiana. Ed il Sasse (194) sostiene che
nel secolo scorso ed era stata ripetutamente sostenuta dal C r e u z e r , dallo S chleier*
u a c h e r , e specialmente dal G la d is h , Heraklitos und Zoroastre, Progr. d. Gymn. zu Kro-
toschin 1859, 86ss., 89ss. (cf. pure C h ia p p e lli, Atri della R . Acc. di Se. mor. e poi. di
Napoli, X X II, 105ss.), poiché si pensava che per E r a c l i t o il tempo si identificasse col fuoc-
o: e tale identità — sostenuta anche dal L e v i, o . c . , 274-277, dal N e s t l e , Griech. Studien, 141.
e da altri, ma non aifatto sicura — richiamava immediatamente la dottrina zervanista.
(194) Reallex. I, 193ss.; Theol. W b. z. Neuen Test., I, 197ss. Nell’iscrizione fatta al
tempo di Antioco di Commagene (69-34 a.C.) : Ιερόν νόμον, δν θέμις άνΟρώπου γενεά«
άπάντων, οδς άν χρόνος άπειρος είς διαδοχήν χώρας ταύτην ιδία βίου μοίρα καταστήση, τηρεί'1'
«συλον... είς τόν αίωνα (Ditt. Or. 383, 44), si è pensato che αίών corrisponda &zervan aka
rana e χρόνος a zervan darego-chwadata ( J u n k e r , Iran. Qu., 152; S asse, Reallex. I. 1®^’
Bia n ch i , Zaman, 104 respinge tale interpretazione, mentre altri pensano che zervan
CAP. Vili: l ’o rien te
"5
nel rapporto platonico αίών-χρόνος c’è con ogni probabilità un riflesso ed
un calco della contrapposizione mazdeana di zervan akarana, «die unbe
grenzte, unendliche Zeit, Ewigkeit» e di zervan daregff-chwadäta, «die lange,
eigener Bestimmung unterstehende Zeit, d.h. Weltdauer». Già l’Avesta
distingueva infatti queste due forme di tempo: il tempo senza limiti di una
parte, quello limitato dall altra. Quest’ultimo contrassegna la storia del
mondo, poiché e stato fissato da Ahoura Mazda quale periodo di tempo
durante il quale egli combatterà lo Spirito delle tenebre; e quando, con
la sua vittoria, la lotta sarà finita, il tempo del mondo si risolverà nell’in
finità di zervan akarana (195). È possibile che Platone, quando distinse
αιών e χρόνος avesse sotto gli occhi questa distinzione persiana e ne abbia
subito l’influsso? Quelli che lo hanno sostenuto (196) si sono sottoposti
agli strali della critica ellenista: e si tratta, forse, di una di quelle que
stioni che non si potrebbero risolvere in modo decisivo neppure con l’au
silio di una documentazione più ricca. Ad ogni modo, appare senz’altro
insufficiente e troppo sbrigativa l’obbiezione della Kerschensteiner, la quale
afferma che un calco platonico come quello sostenuto dal Sasse sarebbe
senz’altro «in Gegensatz zum griechischen Sprachgebrauch» (197), dato
che αιών già in Empedocle ed Eraclito avrebbe raggiunto il valore di
«unendliche Zeit». In realtà, anche se 1’αΐών platonico ha naturalmente e
necessariamente degli antecedenti, è tuttavia solo con Platone che il ter
mine assume stabilmente il significato di «eternità» e resta in ogni caso
sostanzialmente vera la affermazione che il Timeo è «das Werk, das den
αιών als Begriff der Ewigkeit in die griechische Philosophie wenn nicht
eingeführt, so doch in ihr heimatberechtigt gemacht hat» (198). In se
condo luogo non si può certo provare che la contrapposizione fra αιών e
χρόνος — che in tal caso è quella che maggiormente interessa — avesse
degli addentellati con la speculazione preplatonica.
rana si possa riconoscere invece in Χρόνος άπειρος, dato il legame che c’è in questo passo
fra χρόνος e l’idea di sorte (S c ile d e r, o . c . , 140; Bidez-Cumont, I, 67, 3).
(195) Sono i due tipi di tempo che Z aehner chiama rispettivamente «infinite Time»
e «finite Time» o «Zurvan o f the long dominion» (z^urvan, 57 ; 106). U n ottimo esame
ne fa il C assirer, II, 148ss.
(196) Oltre al Sasse, cf. S ta d tm ü lle r , o . c . , 316ss.; H. L eisegang, Denkformen, Ber
lin und Leipzig 1928, 362s. H a r t k e , JuF, 14; Bidez, E o s , 91.
(197) O . C . , 80s., 3. Riprova che l’equazione αιών = zervan akarana non poteva
essersi verificata che in epoca più tarda, sarebbe anche il fatto che Eudemo traduce an
cora Zervan con χρόνος e non con αΙών; ma quella di Eudemo non è una vera e propria
traduzione, bensì una semplice esposizione divulgativa del pensiero iranico: ed egli si
serve del vocabolo più corrente.
(198) W einreich , ARw X IX , 176; cf. Sasse, Reallex. I, 194.
ιι6 PARTE m : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
È invece per altra via che si può mettere in discussione l’ipotesi del
Sasse. Innanzitutto: la contrapposizione fra i due termini iranici è pro
prio equivalente — o almeno affine — a quella fra i due termini greci?
Ovvero, il valore reciproco che in Platone lega ed oppone fra di loro χρόνος
ed αιών è lo stesso che intercede fra zervan daregß-chwadäta e zervan akaranaì
Già da quanto s’è finora detto risulta che il rapporto era ben diverso.
Fra αιών e χρόνος esiste una fondamentale irrelatività, onde sono nettissi
mamente distinti l’uno dall’altro; e χρόνος non è una parte di αιών, né,
tanto meno, finirà per risolversi in esso: 1’αίών platonico porta in sè la
esperienza parmenidea dell’essere ed il suo νυν non può scendere a com
promessi con il divenire. E χρόνος, d’altro canto, non è affatto pareggiabile
a zervan daregß-chwadäta, poiché esso è il tempo strutturato, il tempo che,
filtrato attraverso l’esperienza della forma, si è risolto nel numero ed af
fatto laicizzato. Invece il «tempo del mondo» iranico non è affatto una
astrazione, né un tempo profano e sconsacrato: esso non è mai «das, was
die Zeit für die theoretische, insbesondere für die mathematische Erkennt
nis ist..., sondern... die Grundmacht des Werdens selber, die mit göttli
chen und dämonischen, mit schöpferischen und zerstörenden Kräften be
gabt ist» (Cassirer, II, 148s.).
Si aggiunga inoltre che se Platone per primo pone la netta distinzione
fra un tempo divino ed un tempo contingente, ciò deriva quasi automa
ticamente dalla stessa logica interna della sua dottrina: posto il mondo
delle idee, miticamente ipostatizzato, lo sdoppiamento del tempo in due
concetti — divino e profano — ne deriva per necessaria conseguenza.
Con ciò non si vuole escludere in modo assoluto la possibilità di un in
flusso iranico. Può darsi che esso ci sia stato e che Platone ne sia rimasto
suggestionato; ma queste suggestioni non dovettero, in ogni caso, essere
decisive : riuscirono, semmai, a rafforzare ed a chiarire meglio ciò che era
già nel suo pensiero.
C ap. IX
Χ ΡΟ Ν Ο Σ ED ΑΙΩΝ
(199) Cf. T r eu , Von Homer zur Lyrik, 123. L’opera del F r a n k e l è naturalmente l’ar
ticolo pubblicato in ZfAe X X V , 95ss. ed ora riportato in WuF, lss.
(200) Per un acuto esame di queste espressioni da cui risulta la concezione ogget*
tiva che O mero ha del tem po, cf. T r e u , 125ss.
ιι8 PARTE III: AIEN NELLA RELIGIONE
(201) Cf. pp . 223ss. (E o u c i), 276ss. (Esiodo), 302 ss. (Sim onide); cf. pure pp- 233»
C A P . IX : ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ
n 9
(202) Cf. L ev i, o . c . , 51; cf. N e s tle , Griech. Stud. 140s. D ell’orfìsmo antico si sa po
chissimo e nulla di sicuro ci è stato tram andato di quei primi testi orfici, che si anda
vano diffondendo nella seconda m età del sesto secolo (Sud. s.v. Ορφεύς; C lem . A l. Strom.
I, 21; Pavs. I, 22, 7, ecc.). L ’orfismo si può conoscere solo attraverso le diverse e tarde
teogonie, che però m olto probabilm ente conservano, almeno in parte, la cosmologia
primitiva. La teogonia rapsodica, la più diffusa e per noi la più nota, faceva del tempo
il sommo principio da cui derivano Etere e Caos; e gli studiosi, nel tentativo di attri
buire una data precisa a tale teogonia, sono incerti fra date che oscillano fra il sesto ed
il secondo secolo a.C. (cf. R o s c h e r , Myth. I l l , 1140; D a re m b e rg -S a g lio , IV , 249),
ma pare che le parti fondam entali di essa siano m olto antiche. Anche la teogonia ella-
nico-ieronimiana assegna a Χρόνος una parte importante nella sua cosmologia, rappre
sentandolo sotto forma di un dragone mostruoso (Χρόνος άγήραος). Il primo sicuro esem
pio in cui appare il tem po com e «Urpotenz» è fornito da F e re c id e e, più tardi, dai poeti
(cf. su tutto ciò anche W a s e r , R E III, 2, 2481s.).
(203) A r is t. Phys. 218a33; 218M ; S to b . I, 8, 40; Simpl. In Phys. p. 700, 19-20;
cf. pure Doxogr. Gr. p. 318a, 2-3, 619, 13; L evi, o . c . , 57s. Aristotele spiegava razionali
sticamente il fatto dicendo che tutto ciò che è nel tempo è anche nella sfera del mondo
(Phys. 218b5-7).g
(204) Cf. Sud. s.v. Φ ερ.; C ic. Tuse. I, 38, ecc. F e re c id e è un’oscura figura di mito
logo e di cosmologo che si m uove sull’oscuro fondo del sesto secolo. N ell ambito delle
teogonie di ques’epoca egli occupa una posizione autonoma, anche se si sono accertati
i legami evidenti fra la sua cosm ologia e quella sia orfica che pitagorica (cf. E is le r ,
WuH, 534ss., L é v y , Recherches sur les sources de la légende de Pythagore, Paris 1926, 3). Or-
fismo e Pitagorismo erano del resto strettamente connessi fra di loro, benché differen
tissimi per taluni aspetti (cf. B o u la n g e r , Orphée, Paris 1925, 18; D a re m b e rg -S a g lio ,
IV , 241ss.) : principale differenza era che gli uni adoravano Apollo e gli altri Dioniso
(W ilam ow itz, Glaube d. Hellenen, I I , 192).
(205) Cf. Z e l l e r -N estle , Phil. d. Griechen, I», 545, 3; Z eller -M ondolfo , I, 186ss.
L evi, 52ss.; G r u p p e , Griech. Myth. I, 431, 608, 1064; Bidez -C umont, II, 67; E isler ,
330ss. Il L evi ed il G r u p p e pensano che Χρόνος qui indichi la sfera cava dell estremo
cielo delle stelle fisse, com e principio della m utazione c del movimento.
120 PARTE III: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
(206) Philos. d. Griechen, I , 103s.; 545, 3; III, 342s., 6; La filos, dei Greci, I, 186s.
Questa interpretazione è condivisa dal M ondolfo , L ’Infinito, 57, 2.
(207) Così il D echarme , Critique des traditions religieuses chez Ics Grecs, Paris 1904,
28ss., ed il G reen e , Moira, Fate, Good, 55, 76.
(208) Cf. D eussen, Allg. Gesch. der Philos., Leipzig 1 8 9 4 ,1, 1, 210ss. ; cf. L ev i , 61ss., 67.
(209) È appunto il F r e n k e l , W uF , 19s., che vorrebbe leggere Κρόνος. Tutti gli
altri Χρόνος, seguendo D iogene e Dam ascio. Incerto il M o n d o lf o , L’infinito, 57, 2.
(210) Ps. A ris t. De Mundo, 401al5; P l v t . De Is. 32, ecc.; cf. P o h le n z , o . c . , 1986ss.;
E is le r , W uH , 385; G ru p p e , Griech. M yth. I, 427; R iv a u d , Le problème du devénir, 75,
171; 225; R o s c h e r, Myth., I, 899, II, 1496; P f is te r , Die Religion d. Griechen und Römern,
Leipzig 1930, 132; E. P e te r ic h , Die Theologie der Hellenen, Leipzig 1938, 203s. Invece
C. A u tr a n , Homere et les origines sacerdotales de Vepopée grecque, Paris 1938, 151, pensava
che già in O m ero Κρόνος fosse identico a Χρόνος com e proverebbe il suo attributo άγκυ-
λομήτης, che conterrebbe appunto un riferimento alla ciclicità temporale. M a άγκυλομή-
της, «dalla metis ricurva», cioè «attorta», «sagace», è uno di quegli aggettivi (ποικιλο-
μή"0 )?» πολυμήτης, πολυμήχανος, ecc.) che contrassegnano divinità o eroi omerici che
appartengono alla sfera dell’evento e la cui spiegazione è ben diversa (cf. D ian o , FE,
69ss.). Per la controversa etimologia di Κρόνος, cf. R E X I , 1982s.; C a rn o y , Diet., s.v.
Cronos; V a n W indekens, BzN 1958, 167ss.
(211) In alam i frammenti orfici attribuiti a L in o sono espresse concezioni simili
a quelle di F e re c id e : secondo D iog. L a e r t . Pr. 4 la cosmologia di Lino diceva che ήν
ποτέ τοι Χρόνος οδτος, | έν φ άμα πάντ’ έκπεφύκει. Sembra però trattarsi di frammenti
tardi, almeno stando a Pavs. V i l i , 18, 1; sulla questione, cf. però L evi, o . c . , 59.
C A P . i x : Χ ΡΟΝΟΣ E D ΑΙΩΝ I2 I
carica di valori mistici : la prim a mitica intuizione del tempo come «Holon»
e come «Periechon». «U nd noch spät — osserva il Cassirer (II, 157) —
noch auf einzelnen Höhepunkten griechischer Spekulation, fühlt man den
Nachklang derartiger mythischer Grundgedanken und Grundbestimmun
gen» : di qui il Chronos orfico, che è nella teogonia orfica la πρώτη πάντων
αιτία come lo e Zervan akarana in quella zervanista e lo sarà Aion nella
speculazione ermetica (Corp. Herrn. X I). E le più significative attestazioni
di questo Χρόνος orfico ce le può offrire la poesia, e particolarmente Pin
daro, che chiamava Orfeo εύαίνητος {Pyth. IV, 177) e χρυσάορος (fr. 217, 9) :
χρόνος vi appare come la forza divina che domina sugli uomini e sulle cose
e che, realizzando gli immutabili disegni della Moira (212), innalza o
avvilisce l’uomo {Pyth. I, 46, X II, 30; Ol. X II, 13, V I, 97, ecc.), doma
la tracotanza dei superbi {Pyth. V ili, 15) ed è «il miglior salvatore degli
uomini giusti (fr. 255), la divinità suprema (fr. 24), il «padre di tutte le
cose» {Ol. II, 19). Χρόνος è qui pienamente immerso nella sfera dell’evento
e delle potenze, non è il tempo lineare e strutturato, ma il tempo periechon.
Anche in altri poeti appaiono con ogni probabilità delle espressioni
orfiche relative al tempo (213): e può darsi che anche Euripide si rifa
cesse alla tradizione orfica, quando diceva di χρόνος che era ούδενός εκφύς
(fr. 303) o quando lo definiva παλαιός πατήρ άμεραν {Suppi. 787) ο altrove;
ma va notato che in Euripide troviamo ormai un senso tutt’affatto di
verso del tempo e il suo χρόνος non è orfico ma anassagoreo. Ed è appunto
questa fondamentale diversità fra il χρόνος del sesto e quello del quinto
secolo che secondo noi permise quel capovolgimento semantico, che ab
biamo osservato nei rapporti fra αιών e χρόνος e che appare in chiara luce
per la prim a volta con Platone.
La cultura attica della seconda metà del quinto secolo e dominata
— come è stato di recente messo in luce (214) — dal pensiero di Anas
sagora, il padre di ogni umanesimo, per il quale il mondo, visto sotto
l’aspetto dell’essere, esclude rigorosamente ogni trascendenza. Il mondo
(212) Ol. X , 55, Nem. IV , 43, Ol. II, 19s. Questa solidarietà fra Moira e Chronos
costituisce appunto quel «mythischer Urgrund» che lega i concetti di «tempo» e di «de
stino» nella concezione m itica eprimitiva del tempo (C assirer , I I , 149ss., 161).
(213) Cf. W aser , RE, I I I , 2481ss.; M ondolfo , L'Infinito, 57ss.; W ilamow itz , He
rakles, 173ss. Naturalmente si è spesso esagerato nel cercare questi motivi orfici; lo stesso
W ilamowitz (p. 174) vorrebbe, ad esempio, trovare una rappresentazione orfica in Her.
f · 777: Χρόνου γάρ οΰτις ^όπαλον είσοραν έτλα, ove si parlerebbe della «Keule» del T em
po. M a egli corregge senza necessità il τό πάλιν (cf. P ino . Ol. X , 87 : νεότατος τό πάλιν)
dei codici.
(214) D iano , Edipo, 15ss.; Il concetto, 275ss.; Syngraphi, 234ss.; FE, 73.
122 PARTE III: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE
degli dèi e dei miti che l’ingenua fede di Pindaro e la profondissima reli
giosità di Eschilo avevano sorretto e vivificato, si discioglie sotto il razio
nalismo anassagoreo, risolvendosi in un complesso di vuoti nomi. Tale
razionalismo, sul cui sfondo si muove e si illumina l’Atene di Pericle, la
politica espansionistica ateniese e la Storia tucididea, fu il punto di arrivo
di quel lento processo di scoperta delle forme e di laicizzazione del sapere,
che ebbe i suoi incerti inizi con la speculazione dei physiologi ionici e che
trovò per la prima volta un’espressione coerente ed integrale appunto
nelle dottrine di Anassagora, che, costruendo il suo cosmo sulle equazioni
di Parmenide, negò gli dèi e mise al loro posto la tyche. Egli venne ad A-
tene nel 462, accompagnato dalla fama di ateo; e come ateo fu condan
nato più tardi. Insegnò che gli astri non erano che «pietre infuocate» ed
eliminò del tutto la Divinità dal suo universo: ed è da lui che dipende
tutto il vasto movimento illuministico, ond’è impregnata la letteratura e
la vita ateniese del quinto secolo; ed è a lui appunto che risale quella teo
ria del progresso umano, che è conosciuta anche prima di Anassagora ma
che — nella sua forma più coerente e feconda — è totalmente sua. In
quelli che lo precedettero, infatti, l’evoluzione ha il presupposto del τό
θειον e la ciclicità temporale assicura la perenne identità della legge di
tale pseudo-progresso: invece con Anassagora «il divenire ha inizio in un
punto qualunque del tempo e dello spazio e si svolge secondo la linea
retta: l’eterno degrada a tempo, ogni concetto di divino è sbandito e la
ειμαρμένη cede il luogo alla necessità meccanica ed alla τύχη» (Diano,
Edipo , 19). Tale teoria insegnava che l’uomo, all’inizio, era indifeso ed
inerme, inferiore persino alle bestie; ma poi, con la γνώμη, 1’έμπειρία e la
μνήμη, egli arrivò un po’ alla volta alla σοφία ed alla τέχνη. In un mondo
sconsacrato e libero dal dominio delle potenze, l’uomo, δεινός e περιφραδής,
viene ad occupare la parte centrale: ecco dischiudersi ima nuova visione
della vita, che trova nel tempo (χρόνος ) un alleato per le future conquiste
del νους. Nessuna potenza divina, infatti, condiziona e limita il progresso del
l’uomo, il φρωνιμώτατος fra tutti gli animali (Anax. A 102), il quale passa
di conquista in conquista portando gradualmente la luce là dove c’è l’om
bra : gradualmente, ovvero κατά μικρόν, «a poco a poco», perché ogni tappa
di tale progresso è necessariamente figlia del tempo (215). Ed ecco che
(215) Κατά μικρόν è appunto espressione tecnica che indica il lento svolgersi del
tempo, nel quale l’uomo attua il suo progresso (Edipo, 18); cf. Ev. fr. 222 e commento
di D iano, ibid. 17. La teoria compare anche in Platone, che la rifiuta (Legg. 889d): l’at
tuale mondo è un prodotto del progresso del tempo (προϊόντος....... τοϋ χρόνου) e si è
ealizzato non tutto di un colpo (έξαίφνης), ma κατά σμικρόν..., èv παμπόλλψ τινι χρόνψ.
CAP. ix : ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ
123
luppatosi d a m odesti principi, a p oco a poco» (p. 55; cf. g ià R ohde , Psyche, II , 125, 3)r
è appunto la teoria anassagorea del progresso. Χρόνος σοφός si incontra an ch e in altri,
tragici: cf. N auck, T G F *, 810. Sul valore di σοφός in quest’epoca, cf. D egani, M a ia
1960, 214.
CONCLUSIONE
Sulla base dei testi e facendo ricorso ai vari sussidi linguistici e storici
di cui era di volta in volta possibile servirsi, si è dunque messa in luce
l’impossibilità di fissare per αιών un preciso «significato fondamentale»
ed il manifesto kysteron-proteron di quanti sostengono una Grundbedeutung
fondata su uno dei significati che il termine presenta nel periodo classico.
In origine, la parola esprimeva un complesso di nozioni normalmente
comprese nella sfera sacrale ed accentrava in sè — in un’unità poi dis
soltasi col razionalizzarsi del pensiero e della lingua — dei valori diversi
che possono sommariamente essere fissati con le nozioni di «vigore», «for
za vitale», «giovinezza», «durata»: una varietà ed un’unità che possono
sembrare contraddittorie alla nostra non più primitiva mentalità, abi
tuata a concettualizzare e quindi a separare, ma che tali non erano nella
fluida e sacrale atmosfera preomerica. Come ci si allontana da tale at
mosfera, questa molteplicità di sensi si riduce. In Omero αιών è quasi sem
pre la «forza vitale», suscettibile di identificarsi con la vita stessa e con
la sua durata: ed il valore atem porale, dopo Omero, lo si incontra piut
tosto di rado, specialmente in costrutti schiettamente omerici e nella sin
golare accezione di «midollo spinale». Il significato temporale rappre
senta invece il valore «normale» del vocabolo e rimase ben vivo fino alla
tarda cristianità: è una cristallizzazione, nella storia semantica di αιών,
che fa del termine — entro certi limiti — un sinonimo di βίος. Entro
certi limiti: e proprio quando il suo uso si estende e generalizza, αιών co
mincia ad assumere valori come «età», «epoca», «evo» e via dicendo;
ad indicare, cioè, delle porzioni di tempo sempre più vaste e generiche.
Pur rimanendo sempre — e per dirla euripidianamente — un figlio di
Χρόνος.
Però, accanto e di contro a questi valori poetici ma profani, αιών
mantiene vive tutte le connessioni che esso aveva con la sfera sacrale, fino
a divenire, con Platone, voce specifica per indicare l’eternità. E mentre
C O N C LU SIO N E
(1) Il tem po, egli osserva, è espresso d a altre parole in 1415, Δ478 P302 (p. 200).
da discutere sarebbe la sua non docum entata affermazione che είναι vale spesso in
O mero «to live, survive». Egli intende Ω725 «you perished young from your α ν»
(’bid.).
132 A P P E N D IC E
le lacrime e col sudore (1), era appunto 1’αίών. Inoltre, il fatto che di tale
liquido fluente dagli occhi si parli solo nei tre passi citati, nei quasi si
tratta sempre di un uomo e di una donna (Calipso ed Odisseo o Penelope,
πόσιος ποθ-έουσα φίλοιο), e non, ad esempio, quando Laerte piange Odisseo
e Penelope il figlio, indica — secondo l’O nians — che Ι’α’.ών è caratte
ristico del rapporto sessuale (p. 204). In fatti l’am ore sarebbe dai Greci
ripetutam ente descritto come u n processo di «liquefying, melting», come
attesta il fatto che esso è spesso caratterizzato dall’aggettivo υγρός e come
confermerebbe la stessa etimologia di έράω (2). T u tto ciò permetterebbe
l’interpretazione esatta di un passo finora non inteso e precisamente di
Hes. T h eog. 609: «for him from his α?.ών evil contends with good for exi
stence» (p. 204), dove « f o r existence» traduce έμμεναι. In realtà non è af
fatto chiaro come αιών possa in tale passo avere il significato di «fluido
cerebro-spinale»; e lo stesso O nians, che evita qui una appropriata tra
duzione di άπ’αΐώνος, suggerisce in u na nota u n ’altra interpretazione: «from
h is f a te » oppure « fro m h is gen iu s », che non si vede assolutamente come si
possano inserire in un contesto del genere. Ad ogni modo, αιών sarebbe
stato dunque il «procreative life-fluid» identificabile con la vita stessa
(p. 108ss.), il liquido seminale posseduto dall’uomo come da tutto ciò
che vive e dà vita: anche i fiumi, detti da Eschilo πολύτεκνοι ossia «ferti
lizzanti» (S u p p l. 1028), hanno evidentem ente il loro αιών (p. 230 e n. 8).
Uno scolio euripideo (P hoen . 347) ne darebbe conferm a: περιρραίνεσθαι...
συμβολικώς παιδοποιίαν εύχόμενοι έπεί ζωοποιόν το ύδωρ κα'ι γόνιμον: «ι. e.
αιών», conclude l’O nians (p. 230), che altrove trova modo di mettere in
relazione αιών anche con l’O ceano (pp. 247-253). Questo originario rife
rim ento di αιών ad un liquido, trasparirebbe anche dal verbo αίονάω, «I
moisten, foment, apply liquid to the flesh» (e dai suoi derivati e com
posti έπαιονάω καταιονάω, αίόνησις, αίόνημα ecc.), che sarebbe collegato
ad αιών come δαίμων a δαιμονάω (pp. 209, 221s., 230) (3).*10
(1) Pp. 202ss.; per il sudore, cf. 191ss. Il sudore del morente, come in genere i
sudore, è αΙών che lascia il corpo (p. 254); benché non sia necessario pensare che esso
10 lasci completamente con la morte, aggiunge l’Onians.
(2) Veramente sorprendente l’etimologia suggerita dall’Onians: «‘I pour out (h
quid)’ related to Ιρση» (p. 202, 5; cf. 177s., 9), mentre Ι ρ α μ α ι sarebbe stato «I pour out
myself, emit liquid», «I am poured out». Se έράω si è specializzato nel senso di «amare»,
11 valore primitivo si sarebbe conservato nei composti έξεράω «vomito, emetto», κατεραω
«verso», ecc. I dizionari etimologici distinguono due verbi diversi: ma mentre por
secondo si possono stabilire dei confronti soddisfacenti (lat. ros, ai. ràsah, cf. άρσγ1 ’
per il primo l’etimologia rimane incerta.
(3) Altrove (pp. 221s.), l’Onians parla di αίόνησις come di «infusion of αίων»· °8
A P P E N D IC E
*33
Questo fluido doveva essere concentrato nel capo e connesso col mi-
dolio spinale: di q u i il significato di μυελός assunto talora da αίών sul quale
l’O nians disquisce p e r varie pagine (pp. 250ss.), m ettendo bene in rilievo
il valore sacrale d ella spina dorsale sia presso i Greci che presso altri po
poli (p· 208, 2 e 3) e la stretta connessione fra anim a (ψυχή ) e midollo
(p. 206). S o p rattu tto egli insiste sul fatto che sembra attestata, presso i
Greci, la credenza nella trasform azione del midollo spinale in serpente dopo
la morte (1). Si passa q u in d i a considerare i successivi significati assunti
da αίών: no n è difficile capire come la parola indicante il fluido vitale,
spiega lO n ia n s, potesse indicare anche la «vita» che da tale fluido è rap
presentata e q u in d i anche il «tem po della vita» che ne dipende (pp. 208s.
213ss.). L a progressiva dim inuzione di αίών è infatti indissolubilmente le
gata al progredire del tem po, così come la sabbia della clessidra si riduce
continuam ente col passare delle ore (p. 215). «The dead were for the
Greeks pre-em inently ‘d ry ’» (p. 254), come risulterebbe pure da frasi
quali τά νεκρούμενα ξηραίνεται (cf. Simpl. P h y s . 23, 21) : e la concezione del
la vita come progressiva dim inuzione di liquido vitale sarebbe provata anche
dall’espressione αύαίνειν βίον (Soph. E l . 819; cf. P h il. 952) (2). Peraltro,
questo passaggio sem antico avvenne in epoca postomerica: ancora in
Pindaro, infatti αίών vale spesso «fife-fluid» sia in riferimento all’uomo
che alle piante, come l’O nians pretende di rilevare nel fr. 184 (p. 219),
dove invece si presenta, com e s’è visto, u n indiscutibile valore temporale.
In Pindaro, però, αίών non è solo il fluido vitale, bensì anche «a compel
ling destiny, a δαίμων controlling fife» (p. 405s.) : questo basta all’Onians
per riconoscere, nell’aicóv di Is th m . V i l i , 14, l’alato δαίμων che volteggia
sull’uomo con u n a ταινία in alcune pitture vascolari (pp. 406, 402s., 431s.).*lo
liquido, già d i p er sè , d o veva essere u n balsam o; e certo anche αίών, benché i testi non
lo dicano, d ov ev a essere d iven tato, ad u n certo m om ento, una specie di unguendo o di
«salutary liq u id» d a introdursi n el corpo (pp. 209ss.). Si pensi a T27 : senza αίων, il corpo
si corrom pe, se u n d io n on si affretta a sostituirlo con un altro liquido im m ortale nelle
cavità cerebro-spinali (p. 205) !
(1) Cf. A el . N a t. An. I, 51; O vid . Metam. X V , 389; P lin . N at. Η. X , 66, 188. Per la
Ψυχή> cf. N ilsson, The minoan-mycenaean Religion, 273s. ; per tutto ciò, cf. O nians, p. 206.
(2) Q u esta op p osizion e ξηρότης-ύγρότης (cf. p p. 214ss.), sostenuta com e si vede
con degli elem en ti tu tt’altro ch e con vin cen ti, risulterebbe evidente anche d all agget
tivo διερός, ch e varreb b e sia «viv en te» ch e «u m id o»: cf. δ. βροτός, ζ201; ζωός βροτός,
ψ187 ; H es. Op. 460. A nche q ui I’O n ia n s riconduce alla m edesim a radice due parole ch e
sii etim ologisti riten gon o d iverse e cita a sostegno della sua tesi alcune oscure glosse d i
Esichio: χλωρόν- ύγρόν, χλωρόν καί βλέποντα’ άντί τοϋ ζώντα; cf. A esch. Ag. 677: ζωντα
*<*ί βλέποντα (ρ. 2 55).
APPENDICE
134
(1) Sono state proposte due spiegazioni: il F ick, Gött. gel. Anz. 1894, 229, lo colle
gava col vedico e sanscrito isyämi drapsäm «lascio cader la goccia», mentre il Bezzemberger
(B.-Prellwitz, Beiträge zur Kunde der indog. Sprachen, Göttingen 1887-1906, 27.144) col
lit. sj/vai (da *aaifoväjto).
(2) In ε152 la metafora (cf. H esych. κατείβετο· διεφθείρετο) è suggerita dal δακρυο-
φιν che precede e dall’èSupopévcp che segue il κατείβετο... γλυκύς αίών: Odisseo piange
a p p e n d ic e
Γ35
com porta affatto che q u i «fàv d e b b a essere esso
al presunto significato di «sperm a», che e ra SS° “ n ii(*uido· Q u an to
non v’è assolutam ente nessun elem ento chp SOS,t enuto d a W E is le r ,
supporre p ro b a b ile (1). ° ren d a sicuro o Io faccia
L acke i t , C ., Aion: Zeit und Ewigkeit in Sprache und Religion der Griechen, Diss. K ö
nigsberg 1916. Q u est’opera d i 111 p agine esam ina, dal punto d i vista esclusivam ente
linguistico, l’evoluzione sem antica di αΙών da O m ero alla Cristianità. I vari punti
dove sono in accordo o m en o con il Lackeit — e questo valga anche per tutti gli
altri autori — sono am piam en te discussi nelle note. D egne d i rilievo sono le re
censioni fatte a quest’opera dal Sasse, BnJ 1921, 462 e dal M e l t z e r , BPhW 1917,
137ss. L a seconda parte d i quest’opera (Religion) non fu m ai pubblicata; esiste
però — dello stesso L a c k e it — l’articolo Aion nella RE, Suppl. I l i , 64ss.
B enveniste E ., Expressions indoeuropéennes de Vétemité, BSL X X X V I I I (1937), 103ss.
D um ézil G ., Jeunesse, étemité, aube: linguistique et mythologie comparée indoeuropéennes, A H E S
X (1938), 289ss.
F e stu g iè re A .J ., Le sens philosophique du mot Α ΙΩ Ν , PP X I (1949), 173ss.
P hilippson P ., II concetto greco di tempo nelle parole αιών, χρόνος, καιρός, ένιαυτός, R SF IV
(1949), 81ss.
* * *
b) Altre opere:
c) Sussidi vari
Varie altre opere, alle quali ho fatto meno spesso ricorso, sono citate nel corso del
lavoro. Non mi è stato possibile consultare L. P ep in , Le dieu alexandrin Aion, tesi di laurea
dell’Università di Louvain (cf. RBPhH X X IV , 1945).
INDICI
INDICE DEI LUOGHI CITATI
IO N GHIVS NONNVS
Fr. 1,15: 46 Dion. V,26: 22,13
X III,493: 22,13
INSCRIPTIONES X X IV ,267: 134
Ditt. Or. 383,44: 114,194 Par. Eu. Joh. 9,159: 61,94
Kaib. Ep. gr. 742: 29
IG X IV ,737: 26,25 OLYMPIODORVS
Iscr. ostiense (RPAA XXI,123s.): 104 In Ar. Meteor, p. 146, 16 Stüve: 92,149;
SEG X V ,594: 56,87 104s.
SIG® 1125: 89s.
ORPHICA (Kern)
ISOCRATES
Fr. 4: 105
1,11: 87,134 68: 120
95: 73; 104,168
IVSTINVS 142,2: 104,168
De Mon. 3,136: 61,95 223,2: 18,2; 21; 104,168
INDICE DEI LUOGHI CITATI
[SOPHOCLES] XENOPHON
Fr. 1027 N .2: 61s. Ages. X ,4: 56
X I,15: 56
STOBAEVS Cyr. 11,1,19: 56
Ecl. 1,8,40: 119,203 111,3,3: 56
1,8,43: 66 111,3,52: 56
IV ,44,81: 92,152 V III,7,1: 56
Flor. IV,22,88: 26,23 V III,7,3: 56
IN D IC E D E G L I A U T O R I M O D ERN I
Introduzione ................................................................................................ »
INDICI
Indice dei luoghi citati .................................................................................. Ä 145
Indice degli Autori moderni........................................................................... * 455
PAG. 22, n. 13 : Alcuni codici al v. 119 recano δι’ αΐώνος, che viene accettato
da alcuni editori (A lle n ), benché si presenti come un’evidente
normalizzazione del «difficilior» St’ αιώνας. Sui vari emenda
menti proposti per i w . 41ss. e 119 e per le varie interpreta
zioni di αιών che furono date nei secoli scorsi (si giunse ad
intenderlo persino «Fleisch»), cf. A. G em oll, Die hom. Hymnen,
Leipzig 1886, 200; 214.
PAG. 54, n. 83 : Αιών si incontra anche in due frustuli eschilei, nei quali però
è impossibile valutare il senso del vocabolo: Pap. Oxyr. 2254,10:
]ησδ’ αίων.[ e fr. 323a,12 M e tte : ] v αιώνα., τ . [. Pare che il
termine ricorra anche nel fr. 20B,24 di B acchilide, ma non è
sicuro (αίώ]νος). È ad ogni modo inaccettabile la proposta dello
S n e ll, Bacchyl. 89, di leggere Stai σ[υχνόν χρόνον | αίώ]νος ed
è del tutto fuori luogo il rimando ad Aesch. Ag. 55: tòv St’
αΕώνος χρόνον.
finito di stampare il 31 gennaio ig6i
con caratteri serie baskerville per monotype presso l’istituto tipografico editoriale
s. nicolò - lido (Venezia) - tei. 60.295