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DIPARTIMENTO DI LETTERE E BENI CULTURALI

SEMINARI DI GRECO E DI LATINO

Presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali, Il 17 aprile 2018, il prof. Giovanni Polara
dell’Università di Napoli Federico II, ha tenuto un seminario su Cassiodoro e gli autori greci. A
moderare l’incontro il prof. Claudio Buongiovanni, che introduce l’incontro con una premessa sul
Tardo Antico, una tappa della storia europea occidentale fondamentale e trascurati dagli storici fino
a Polara. Si parla, a questo proposito, di ‘’elefantesi del Tardo Antico’’ per dare la giusta attenzione
a questo periodo. Cassiodoro è una figura di modernità e di apertura insieme ad Isidoro di Siviglia.
Le sue opere, tra cui le Variae, il De Ortographia e le Istitutiones, sono state un punto di riferimento
per le generazioni successive. La ricopiatura dei manoscritti è un’ attività che Cassiodoro definisce
come contraria alle “tentazioni proibite del demonio’’.

Prendendo parola il prof. Polara, egli inizia descrivendo l’importanza di Cassiodoro, il quale
rappresenta una divisione tra mondo greco e latino, ma si figura anche come canone della grecità
che il mondo deve conservare. Gli autori sono espressi con traduzioni latine e ciò è una
latinizzazione linguistica e ideologica. Nel mondo romano tra il IV e la metà VI secolo vi è una
separazione in “Pars Occidentis” e “Pars Orientalis”. Le due parti, in cui era diviso il mondo
romano, erano entrambe autonome e con minori contatti culturali. Con una forte autonomizzazione
della pars orientalis, il latino a poco a poco scompare dal mondo bizantino, poiché si parla il greco.
Il prof. Polara prosegue dicendo che Cassiodoro, con il suo motto ‘’E’ merito dei goti aver salvato
la civiltà’’ cerca di mediare tra mondo dei romani e dei germani che si erano inseriti per preservare
la civilitas, cioè l’insieme di norme sociali secondo cui vivere.

Il greco non ha una grande diffusione perché molti dei romani, ai fini della loro carriera, decidono
di dedicarsi allo studio del tedesco. Boezio e Cassiodoro a Roma, in questo distacco istituzionale,
saranno i protagonisti del salvataggio della cultura antica e soprattutto Cassiodoro si servirà del
lavoro di Boezio, a cui seguirà anche nel ruolo di magister officiorum di Teodorico, in seguito alla
sua deposizione per gravi accuse.

Possibile è caratterizzare Cassiodoro in due periodi, più un intermezzo che rimane ancora un
mistero e momento delicato per i rapporti con la cultura greca. Nella primo periodo Cassiodoro
assume un ruolo di grande importanza a livello culturale, divenendo retore del re. Il progetto di
Cassiodoro è quello di dar vita a un’ unità culturale che faccia sentire il popolo italico slegato dall’
Impero. A Ravenna, nel ruolo di magister officiorum, redige un modello di lettere che prevedevano
una parte iniziale in cui erano spiegati i motivi, l’ultima parte un dispositivo e una parte centrale più
lunga, una sorta di excursus in cui si risale all’origine del problema.
Queste erano redatte prendendo appunti di quanto il re ordinava li e sviluppava in lettere da
inviare a nome del re medesimo: una scelta di queste corrispondenze andò a costituire i primi tre
libri delle Variae. La conoscenza del greco, in questa prima fase, è limitata a poche opere, autori
e informazioni.
Dopo il 544, nel secondo periodo, dopo il ritorno da Costantinopoli, Cassiodoro fonda il
convento del Vivarium a Squillace, in Calabria, all’interno del quale costituì una biblioteca, che
divenne un luogo di conservazione della letteratura classica greca e latina. Sarà qui che
Cassiodoro scriverà le Istitutiones divinarum et saecularium litterarium e il De ortographia.

Il 23 aprile 2018 il prof. Mauro Tulli dell’ Università di Pisa ha tenuto un seminario di greco dal
titolo ‘’Tempo e comunicazione del sapere in Epicuro’’. Il tema affrontato è stato il greco di
Epicuro, uno degli stili più ardui della prosa greca, e le forme per la comunicazione del sapere che
Epicuro individua, auspica e pratica con la sua scrittura.
Il professore dell’ Università di Pisa entra nel merito della poetica di Epicuro . La forma del testo
nell’autore greco nasce da convinzioni assolute che egli ha ed esprime in diversi passi delle sue
opere, soprattutto quelli riguardanti la ‘’Lettera a Erodoto’’, la terza delle tre che Epicuro indirizza
al suo amico, nella sezione iniziale e conclusiva, fornita agli studenti nel corso del seminario.

Diogene Laerzio scrive, in età imperiale, un’ opera che lo studioso Marcello Gigante ha definito
‘’Biografia e dossografia’’ cioè testi che intrecciano elementi di biografia e di dossografia che
narrano la vita dei singoli autori e riassumono il loro pensiero. Questi testi sono organizzati da
Diogene Laerzio in dieci libri, dedicando il terzo libro a Platone, l’ultimo a Epicuro. Nel decimo
libro inserisce le tre lettere : La lettera ad Erodoto, la lettera a Pitocle e la lettera a Meneceo. La
prima lettera spiega i problemi della fisica, come anche la seconda ma in relazione ai “meteora”,
cioè dei fenomeni del cielo. La terza lettera presenta i problemi di etica. Diogene Laerzio, alla fine
del libro, introduce una serie di quaranta massime di Epicuro, dette ‘’massime capitali’’.
In seguito il prof. Tulli tratteggia un’ opposizione tra Platone ed Epicuro nel campo della
comunicazione del sapere. Platone pratica un genere in particolare, cioè il dialogo ed è possibile
trovare, nel suo corpus di lettere, scritti autentici e spuri. Platone è convinto che il sapere consista in
un processo di ricerca continuo, non preveda un semplice imparare a memoria. Per questo motivo
vuole servirsi del dialogo, forma che discende dalla tragedia e dalla commedia, per esortare a
seguire il processo di apprendimento del sapere e del suo interno in modo attivo. Dopo lettura del
dialogo i destinatari percepiranno il sapere. A questo proposito nel primo testo, tratto dal
dodicesimo libro di Diogene Laerzio, compare il verbo ‘’imparare a memoria’’, lontano da Platone.
Lo scopo del sapere per Epicuro è l’eudemonia, la facoltà dell’uomo di spegnere le passioni.
Secondo Epicuro è fondamentale per la memoria creare il tiupos, cioè l’impronta sulla memoria
che favorisce l’epitome, forma contrapposta a quella di Platone, che consiste in una giusta
riflessione dal quale nasce l’eudemonia. La lettera a Erodoto 35-37 (un’epitome) è un sapere sulla
fisica poiché studiarla aiutava a eliminare tante fonti di turbamento, come il timore degli dei.
Inoltre il filosofo di Samo afferma che chi non ha tempo o capacità per studiare in modo
sistematico le sue opere, la soluzione è proprio l’epitome, una sorta di sintesi del sapere contenuta
nel grande trattato, per la conquista dell’ eudemonia. In questa prima zona della lettera a Erodoto,
Epicuro parla anche ai neofisti, coloro che avevano un rapporto leggero con la sua scuola.
L’ epitome offre principi da imparare a memoria, utili in qualsiasi situazione. Oltre ai neofisti,
Epicuro dimostra per coloro i quali hanno compiuto buona parte del cammino nella sua scuola,
come questo tipo sia utile. Chi possiede il sapere trova giovamento nel leggere l’epitome perché
nella vita quotidiana è importante afferrare tutti insieme i fenomeni della natura.

Per garantirsi l’atarassia, interviene un problema, cioè il tempo, a cui è necessario trovare una
soluzione, rappresentata dal testo da imparare a memoria. Dal testo letto dal prof. Tulli, Epicuro
afferma che persino per chi ha raggiunto la perfezione è fondamentale usare l’intuizione e riferirla
agli elementi semplici e alle dottrine.
C’è anche una successione di tipo cronologico scandita in ricerca, epitome e massima, che
culmina nel punto. Un altro beneficio che l’epitome fornisce a coloro che posseggono una
padronanza del sapere è il fatto di riuscire a rendere tutto fruibile nelle varie situazioni, perché il
tiupos garantisce questa condizione. Se dopo aver spiegato i singoli fenomeni della natura non si
riesce a raggiungere l’eudemonia, che passa per l’atarassia, tutto sarà stato inutile.
C’è, in Epicuro, un’ idea del sapere che si può definire ‘’catechistica’’, in quanto egli
raccomanda il dominio di alcuni principi fondamentali, un sistema che permette di raggiungere
la serenità.

Durante il terzo incontro di questo ciclo di seminari, il prof. A. Tessier dell’ Università di Trieste
ha fatto riferimento alla metrica nella filologia greca. Tessier, formato a Padova presso l’Istituto
greco, ha compiuto studi di traduzioni orientali in greco e ha pubblicato la traduzione ebraica del
De Generatione et Corruptione. Da veneziano si è occupato di traduzioni armene e del sapere
metrico dalle origini ai giorni nostri, approfondendo la trasmissione del sapere metrico antico
dell’Ellenismo nel volume ‘’La tradizione metrica di Tindaro’’, del Medioevo ed infine del
Rinascimento.

Nel corso del suo intervento, il prof. A. Tessier illustra la metrica classica, un argomento molto
tecnico e severo, mostrando in che modo la filologia classica può comportare ad una serie di errori
mentali, nonostante la sua austerità e precisione . Per questo Tessier esorta a non essere mai
passivi nella continua ricerca.
Spesso, nello studio della metrica, ci si focalizza sull’analisi delle vocali lunghe e brevi, ma
Tessier porta l’attenzione sulle sillabe, dicendo che i valori metrici, tradizionalmente elaborati su
un’ opposizione binaria tra breve e lunga, non possono essere in realtà così costruiti, in quanto è
consentito alla metrica stessa di variare nel corso dell’ esecuzione. L’odierno schema binario in
brevi e lunghe era esercitato da Demetrio Triclinio.

Nel quarto e ultimo incontro, la prof. Alice Bonandini dell’ Università di Trento ha presentato
un argomento inerente la lingua latina dal titolo ‘’I romani, il deserto e la luna. Quando il
latino diventa slogan. ‘’. Gli interessi della prof. Bonandini si sono focalizzati sul teatro
latino, con riferimento alla tragedia senecana e al mito di Tieste, la tradizione satirica e
menippea (in particolar modo l’ Apocolocyntosis), Ovidio nell’ ambito della poesia di età
augustea e la permanenza del classico nella cultura contemporanea.

Il suo intervento si concentra sulla ripresa, l’uso e la ricezione in contesti non solo antichi, ma
anche moderni e contemporanei, delle singole frasi e versi dell’ antichità sia latina che greca,
riutilizzati con scopi e finalità che spesso sono differenti dal contesto originario di appartenenza e
che talvolta finiscono per stravolgere e assumere un significato totalmente diverso.
La sopravvivenza e la ricezione di tali contenuti è un fenomeno molto ampio e complesso che si
inserisce tra due poli : un uso artistico e culturale e un uso finalizzato ad altri impieghi, come quello
orientato a un discorso commerciale, teso a utilizzare frasi e versi dell’ antichità come brand, che
vuole sollecitare consumi per un gusto antico . A metà di questi poli è possibile collocare elementi
della tradizione classica che sono estrapolati per altri fini e trasformati in parole che hanno un
significato proprio, trasformando di conseguenza quello originario.
Come testimonianza di ciò, Alice Bonandin riprende e analizza una famosa massima di Tacito in
latino ‘’UBI SOLITUDINEM FACIUNT PACEM APPELLANT’’ (‘’Laddove fanno il deserto lo
chiamano pace’’) tratta dagli Agricola. L’autore la fa pronunciare al generale calèdone Calgaco,
nel convincere i propri uomini ad attaccare i romani ed è quindi collocata in un contesto di
polemica contro la loro politica imperialistica. Questa citazione ha avuto un grande successo con
una circolazione propria, nonostante essa all’origine non fosse isolata, ma collocata in un periodo
preciso .
Dal 1800 al 2000 la frase ha subito una ripresa costante, come in numerosi contesti in Italia ,
come dal Petrini , Jena, papa Paolo VI e Bobbini. La frase non tende a perdere la forma latina.

Il filone di ripresa più fortuna nato è quello letterario:


- Con Byron, nel contesto di un poema eroico del 1813 ;
- Con il francese Pierre Depuy nella parte finale delle ‘’Hespagnols’’ è citato Tacito, in
riferimento all’imperialismo spagnolo nemico nel 1600 ;
- Con Spinoza, nel Tractatus Politicus de monarchia ;
- In Rousseau, ne ‘’Il discorso sulla disuguaglianza’’ in cui rimescola frasi dell’
Agricola con le Historiae;
- In J. Swith in cui la citazione latina è cambiata a tratti, ma comunque ripresa ;
- In W. Scott nelle Ballate scozzesi del 1803 .
La fortuna di questa massima non si è verificata solo in ambito letterario, ma anche in tantissimi
altri contesti e adattata a società più varie, ad esempio nei film ‘’Washington’’
o in ‘’ The great debaters’’ (2008) . E’ divenuto uno slogan e il primo modello risale
alla Prima Guerra Mondiale, quando un volantino di produzione inglese viene lanciato
sui territori occupati dai nazisti e che si intitola ‘’GESTAPOLEN’’ con sottotitolo la
traduzione tedesca della famosa massima di Tacito. Ancora è ripresa nel film di
propaganda motivazionale delle truppe ‘’This land is mine’’ (1943)

In Italia la citazione diventa nel 1967 a Firenze l’emblema dell’opposizione alla guerra del
Vietnam, nel corso della prima manifestazione studentesca che sarà la prima cellula dei movimenti
studenteschi che si renderanno protagonisti nel famoso Sessantotto. Gli studenti universitari si
prendono possesso così di questa massima adattandola ad un contesto diverso.
Robert F. Kennedy, candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America e critico nei confronti
della guerra del Vietnam, tiene un discorso alla Kansas University,uno dei più celebri del 1968,
in cui viene ripreso Tacito, divenendo, questa massima, slogan pacifista non più contro
l’imperialismo romano, ma americano .
Altri contesti in cui la massima è stata ripresa fu la manifestazione dei commercianti a Torino, la
marcia di pace a Roma nel 2003 e ancora, fu ripresa dal segretario di stato americano John
Kerry, a Bruxelles nel 2016.
L’ uso che si è fatto in politica estera vede tutti gli scenari da Napoleone al 1945
in poi, con le guerre di occupazione in Sud Africa, Asia, Libia, Afghanistan. La
massima è stata ripresa anche in ambito musicale, in cui ha subito una trasformazione
anche linguistica .
In base a ciò, conclude Alice Bonandini, il testo vive nella risposta che ne da ogni cultura.

ANTONIO GAGLIARDI
A25001518

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