In latino i verbi regolari appartengono a quattro coniugazioni: -āre (amāre, “amare”), -ēre (monēre, “ammonire”), -ĕre (legĕre, “raccogliere, leggere”), -īre (audīre, “sentire”). Nel passaggio all’italiano alcuni verbi in -ēre hanno mantenuto l’accento sulla stessa sillaba (persuadē´re > persuadére, dolē´re > dolére); in altri casi ci sono stati scambi tra la seconda e la terza coniugazione (ridē´re> rìdere, movē´re > muòvere, cádĕre > cadére). I modi finiti latini sono tre, perché manca il condizionale. Come in italiano, l’indicativo indica la realtà e l’oggettività; tra i suoi tempi, il perfetto corrisponde, a seconda del contesto, al passato prossimo, al passato remoto e al trapassato remoto italiani; il piuccheperfetto è il nostro trapassato prossimo. Il modo imperativo, coniugato solo alla seconda persona singolare e plurale, possiede presente e futuro: scomparso in italiano, l’imperativo futuro esprime un comando la cui esecuzione è abituale o sarà soddisfatta in un futuro indefinito, per esempio una legge o un decreto (In oppido ne sepelito, “Non seppellire/seppellirai in città”, XII Tavole). Il congiuntivo è il modo dell’incertezza, delle supposizioni e del desiderio (Utinam venias!, “Magari tu venissi!”); il tempo presente serve anche a integrare le persone di cui è privo l’imperativo ed esprime un comando (Argumenta dicat, “Esponga le prove!”, Plauto), un’esortazione (Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, “Viviamo, mia Lesbia, e amiamo”, Catullo); l’uso del congiuntivo esortativo sopravvive nell’italiano, solitamente nelle forme di cortesia (Si sieda, la prego). I modi indefiniti latini sono cinque, ma solo per l’infinito vi è corrispondenza con l’italiano. Il participio è un aggettivo verbale declinabile (conditque natantia lumina somnus, “e il sonno chiude gli occhi vacillanti/che vacillano”, Virgilio). Il gerundio è un sostantivo verbale che costituisce la declinazione dell’infinito presente (Homines bellandi cupidi, “Uomini desiderosi del/di combattere”, Cesare) . Il supino, assente in italiano, è un sostantivo verbale dal cui tema si forma il participio perfetto (Non facile est inventum, “Non è facile da trovare”, Cicerone). Anche il gerundivo non esiste in italiano: si tratta di un aggettivo verbale con valore passivo che indica dovere o necessità (puella laudanda, “una fanciulla da lodare, che deve essere lodata”). In italiano manteniamo il termine agenda, gerundivo neutro plurale di ăgere, “fare”, letteralmente “cose da farsi”.