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COLLANA DI TESTI E STUDI STORICI

«MARE NOSTRUM. POLITICA, ECONOMIA, SOCIETÀ E CULTURA»


Diretta da Luciano Catalioto

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2
LUCIANO CATALIOTO – ELISA COSTA – FERDINANDO ZAMBLERA

«GLI OCCHI DELLO STORICO»


STRUTTURE E TEMI
DEL MEDITERRANEO MEDIEVALE

A cura di
LUCIANO CATALIOTO

3
In copertina: Veduta di Messina (Min. anon. del XVI sec. dal Rhegina di Angelo
Callimaco, Roma, Bibl. Naz.)

Retro di copertina: «Calendario Catalano» (dall’Atlante Catalano di Abraham


e Jehuda Cresques, 1375)

Revisione testi, impaginazione e copertina


a cura dello Staff della Leonida Edizioni.

Proprietà letteraria riservata.


© Casa Editrice “Leonida”
Reggio Calabria – Italia

Stampato in Italia nel mese di maggio 2011

Via S. Nicola Strozzi n. 47 – 89135 Reggio Calabria


www.editrice-leonida.com
e-mail: leonidaedizioni@libero.it

ISBN: 978-88-95880-74-7

4
PREFAZIONE

Il titolo del presente volume, affatto casuale, evoca evidentemente


la visione che della storia si ebbe nella convulsa temperie culturale del
Cinquecento, per l’intuito di grandi pensatori come il cartografo
Abraham Ortelius ed il filosofo-giurista Jean Bodin, secondo la quale
l’avvicendamento degli eventi e la loro corretta collocazione nello
spazio avrebbero dovuto costituire l’irrinunciabile prospettiva bifocale
per ogni ricerca storiografica, gli occhi dello storico, appunto. La Cro-
nologia e la Geografia, fondamentali ausili della Storia per generazioni
di storici e genealogisti, risulterebbero tuttavia prive di prospettive sto-
riografiche laddove non fossero disciplinate dal metodo, al pari di tutti
gli altri settori del sapere che da secoli ormai dialogano, proficuamente
e con pari dignità, con la storia istituzionale e politica.
In questo testo sono raccolti, per autore e secondo un criterio cro-
nologico, sette studi dedicati ad altrettanti temi, già oggetto di ricerca
per chi scrive, che nel recente panorama storiografico hanno alimen-
tato vivaci dibattiti e sollecitato nuovi approfondimenti. Un comune
referente può essere agevolmente individuato in quel “lago mediter-
raneo” che la nouvelle histoire non ha esitato a definire struttura lon-
geva e persistente, in grado di comprendere ed intrecciare fatti politici
e flussi economici, fenomeni demici ed espressioni della cultura. Se
nel Mediterraneo è possibile collocare l’epicentro delle singole tema-
tiche affrontate, sempre nel condiviso ossequio alle fonti documentarie
e cronistiche, più arduo risulta trovare identità nell’approccio critico
e nella scelta stilistica, necessariamente personali e, per certi versi, di-
stintivi. Sono dissonanze apparenti, tuttavia, giacché sul piano formale
non snaturano l’essenza del saggio e perché rispondono ad impliciti
intenti didattici, proponendo differenti scelte metodologiche per
l’analisi delle singole strutture e nella lettura delle testimonianze.

–I–
Luciano Catalioto

Nel saggio Messina nei mille anni del Medioevo, con cui si apre
la miscellanea, le vicende del centro dello Stretto si snodano lungo i
secoli che la tradizionale periodizzazione assegna all’arco medievale,
dalla caduta dell’impero romano d’Occidente alla fine del Quattro-
cento. Una prospettiva di lunga durata, pertanto, che nelle intenzioni
è scevra da preconcette cesure o sintesi improprie, ma che inevitabil-
mente tiene conto di tratti peculiari, che i diversi dominatori dell’isola
hanno impresso tanto nelle logiche politiche quanto nel sostrato so-
ciale e negli schemi mentali. Quell’humus culturale di antica sedimen-
tazione, fortemente permeato di forme classiche e sperimentazioni re-
ligiose, venne nei secoli rivitalizzato ed arricchito da innesti di culture
diverse, che la fluidità demica del territorio peloritano consentì di re-
gistrare con particolare continuità, sebbene raramente appaiano suf-
ficientemente documentate. Per l’età barbarica (476-535) si può ipo-
tizzare un periodo di stasi, con il ristagno delle attività economiche
ed una forte recessione demica, una fase oscura che la rarefazione
delle testimonianze non aiuta a chiarire. Ma non meno occasionali e
frammentarie sono pure le fonti documentarie e gli avanzi che si pos-
sono registrare in riferimento al periodo bizantino (535-843) ed
all’età degli emiri (843-1060), se si escludono alcuni resoconti d’Ol-
tremare e vari passi di cronache musulmane, perlopiù trasposti dalla
nostra appassionata letteratura storica di fine Ottocento. La vicenda
propriamente medievale di Messina, in un certo senso, ha inizio con
l’arrivo degli Altavilla (1061), giacché solo con il progressivo inqua-
dramento entro gli schemi della società feudale e della Chiesa romana
la Sicilia sarebbe rientrata nell’alveo politico e culturale dell’Europa
cattolica. Le vicende si articolano nella successiva età sveva (1194-
1266) e durante la breve parentesi angioina (1266-1282), dove com-
plesse dinamiche sociali produssero a Messina il consolidamento
del ceto mediano e generarono particolari fenomeni di osmosi cultu-
rale. E infine lungo i due secoli del dominio aragonese (1282-1479),
quando all’immagine di una città florida sotto il profilo urbanistico
e demico corrispose, ai vertici amministrativi ed economici, il progres-
sivo consolidamento del cosiddetto patriziato urbano ed un com-
plessivo processo di rafforzamento strutturale della società messinese.

– II –
PREFAZIONE

Tratti distintivi – ovvero costanti “non logorate dal tempo” – dell’ar-


ticolata vicenda medievale di Messina appaiono quindi alcune strut-
ture di lunga durata, riconducibili ad esempio alla posizione geogra-
fica della città ed alla particolare conformazione fisica del suo porto.
Ma anche il serrato nesso commerciale e demico con le prospicienti
terre calabresi, che avrebbe favorito, nell’area dello Stretto, la crescita
di un’economia integrata e la lenta evoluzione di ceti sociali e com-
pagini urbane, si mostra una chiave di lettura feconda per meglio com-
prendere la civitas medievale.
L’articolo relativo all’età degli Altavilla (1061-1194) affronta, in
senso lato, il tema della religione nell’evoluzione culturale europea
e, nello specifico, l’incontro/scontro nel territorio del Valdemone tra
la cultura greca e quella latina, dove quest’ultima si innesta su un per-
sistente sostrato bizantino, rinvigorito dalla rinascita dell’ellenismo
e dall’orientamento scientifico che la vita di corte mantenne vivo per
tutta l’età normanna. Venne inizialmente attuata, in sostanza, la sal-
vaguardia di un importante settore culturale che, peraltro, avrebbe
contribuito ad affidare gran parte del patrimonio classico all’Umane-
simo, tuttavia l’identità di vedute tra il Granconte ed il papa della
prima crociata e la sempre più cospicua immissione nell’isola di ele-
menti latino-cattolici avrebbero prodotto nel medio termine l’inevi-
tabile tracollo della cultura e della stessa etnia greca.
Durante la prima età normanna, e quindi nelle delicate fasi della
conquista dell’isola condotta da Ruggero I nella Sicilia orientale, si
colloca cronologicamente lo scritto dedicato all’immagine del potere
ed alla propaganda anti-musulmana che avrebbe condizionato l’im-
maginario collettivo ed eretto nuove strutture mentali e culturali. La
diffusione di clichés letterari attraverso la cronistica di ambiente mo-
nastico e la produzione documentaria di diverse sedi episcopali ed ab-
baziali, favorì la tradizione di modelli ideologici destinati a condizio-
nare la mentalità e la cultura popolare dell’isola, ma anche ad offrire
nuovi esiti linguistici nel passaggio dal mediolatino al volgare sici-
liano. Acquista in questo senso risalto, soprattutto, la cronaca dal be-
nedettino Goffredo Malaterra, dove temi religiosi ed ecclesiologici si
legano alla politica con una sorprendente flessibilità di modelli, vei-

– III –
Luciano Catalioto

colando la cultura ufficiale nelle forme più esaltanti e recepibili della


narrazione delle res gestae.
Se le fonti narrative sono state tenute in massimo conto nella
stesura degli studi prima citati, quelle documentarie hanno costituito
strumento privilegiato per l’indagine che Elisa Costa dedica alla vi-
cenda degli Ordini monastico-cavallereschi nel Regnum Siciliae dalla
metà del Duecento agli anni del Vespro, un trentennio emblematico per
la storia complessiva dei Cavalieri del Tempio. Dopo aver accumulato
un ingente patrimonio fondiario sotto gli Altavilla ed avere, in seguito,
subito un drastico ridimensionamento per azione di Federico II, i
Templari, infatti, beneficiarono di un clima di pacificazione che, av-
viato negli anni di Manfredi e favorito sotto il dominio di Carlo d’An-
giò, venne mantenuto in vita anche dai primi aragonesi. L’analisi nel
breve periodo, soprattutto, ha consentito di tracciare uno spaccato della
società siciliana del XIII secolo, lasciando emergere eventi ed attori dal
fitto sfondo di intrecci politici e grandi trasformazioni culturali.
Nell’intervento con cui Elisa Costa tratta la diffusione e le conse-
guenze della Peste Nera a Messina, vengono seguite le tappe fonda-
mentali del percorso compiuto dalla “malvasia epithimia”, iniziato
nella penisola di Crimea nel 1343 circa e diffuso rapidamente in tutta
Europa, seguendo le rotte commerciali dei mercanti genovesi, che nel-
l’autunno del 1347 approdarono a Messina. Incidendo profondamente
su strutture demografiche, politico-sociali, religiose e culturali della
vita cittadina, la peste fu fattore di dissoluzione dei rapporti sociali e
familiari, come rileva la cronaca di Michele da Piazza. Ma allo stesso
tempo, secondo Stephan Epstein, la destrutturazione delle gerarchie
ed il ricambio ai vertici del potere avrebbero innescato nell’isola una
proficua fase di specializzazione produttiva e di integrazione commer-
ciale e manifatturiera. Infine, non sono trascurati gli esiti della morte
nera sul piano culturale e nell’immaginario collettivo, attraverso
un’attenta lettura che introduce il tema iconografico del Trionfo della
morte e quello, più tardo, della danza macabra.
Ferdinando Zamblera, nell’articolo sulla gelsicoltura siciliana tra
XII e XVI secolo, attraverso una duplice indagine condotta sulla gel-
sicoltura e sulla bachicoltura nel Mezzogiorno d’Italia, documenta le

– IV –
PREFAZIONE

fasi dell’introduzione e della produzione serica nella Sicilia medie-


vale, chiarendo un tema per certi versi trascurato dalla storiografia del-
l’ultimo trentennio. La coltura del gelso comparve al tempo della do-
minazione islamica in Sicilia e alla fine dell’XI secolo si diffuse nel
territorio peloritano, dove la presenza di telai attesta una fiorente in-
dustria tessile e l’esistenza di rapporti commerciali che legavano al-
l’isola impero bizantino, thema di Calabria e Spagna almoravide.
Come segnala l’Autore, l’impulso più consistente alla gelsicoltura
venne impresso dai Normanni che, estendendo la pratica all’intero
Valdemone, posero le basi della successiva espansione registrata in età
moderna. Infatti, dopo una fase di regresso tra Due e Trecento, che in-
teressò soprattutto la Sicilia occidentale, dalla metà del XV secolo e
fino allo scorcio del Seicento Messina si propose come sede privile-
giata della produzione serica, contribuendo a quella sorprendente
fase di specializzazione economica rilevata da gran parte della storio-
grafia francese ed anglosassone (Aymard, Bresc, Abulafia, Epstein)
e riferita al settore tessile, indubbiamente «la più importante industria
medievale» (Von Falkenhausen). Ma l’argomento offre anche spunto
per una ricerca che, dall’indagine sul territorio attenta alla struttura
agraria dell’isola, si sposta verso l’analisi del più ampio quadro po-
litico e delle articolate connessioni con l’economia e la società, in un
universo in cui costosi arazzi decoravano chiese e ricche dimore, men-
tre «di sete pregiate vestivano sovrani, dame, ricchi mercanti ed
esponenti di clero e nobiltà».
Nel suo studio dedicato alla battaglia di Lepanto attraverso la
“lettura” del monumento di Don Giovanni d’Austria, Zamblera os-
serva che «la riflessione storiografica si è impegnata a riconoscere la
crescente importanza delle testimonianze visive ed a valorizzare la tra-
dizione iconica quale documento storico». E proprio lo scontro navale
del 7 ottobre 1571 tra la flotta della Lega Santa e quella musulmana
di Mehmet Alì Pascià, evento militare che secondo Braudel ebbe la
massima risonanza nel Mediterraneo del XVI secolo, fu un evento de-
stinato ad essere ampiamente evocato attraverso la raffigurazione pit-
torica ed il linguaggio iconografico. A partire dall’opera di Ignazio
Danti a quella di Paolo Veronese, dai sei arazzi di Lazzaro Calvi e

–V–
Luciano Catalioto

Luca Cambiaso conservati a Genova nel Palazzo del Principe Doria,


al monumento di Don Giovanni d’Austria, che il Senato di Messina
commissionò – probabilmente a fini politici – ad Andrea Calamech,
arricchito peraltro da quattro pannelli le cui iscrizioni sono attribuite
a Francesco Maurolico.
Anche quest’ultimo contributo, come i precedenti studi che com-
pongono la miscellanea, tratta un aspetto specifico del millenario per-
corso del Mezzogiorno d’Italia nell’Età di mezzo. Singole tematiche,
che tuttavia si propongono come efficaci strumenti per indagare
strutture più ampie (il centro dello Stretto nel lungo periodo, l’inci-
denza del potere politico nell’economia, le fasi evolutive della società
e della cultura) e realizzare quadri d’insieme meglio articolati, ricor-
rendo ad osservatori dotati di prospettive poliedriche che dello storico
devono essere gli occhi.

– VI –
1

LUCIANO CATALIOTO

MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Tracciare una parabola omogenea e sufficientemente documentata


della vicenda storica di Messina nei mille anni del Medioevo ha da
sempre rappresentato un compito particolarmente impegnativo, non
solo per la perdita materiale di fondamentali testimonianze, come me-
glio si vedrà, ma anche per via della difficile lettura di un’ampia let-
teratura storica che, almeno sino agli anni Cinquanta del Novecento,
risulta permeata da una fuorviante tendenza celebrativa. Una prospet-
tiva storiografica municipalistica, alimentata dal confronto tardome-
dievale fra Messina e Palermo per il predominio nell’isola, che ha se-
dotto anche annalisti e storici acuti come Caio Domenico Gallo e
Piero Pieri, il primo «accecato dal suo smisurato orgoglio cittadino»1,
l’altro propenso ad accomunare impropriamente Messina alle più po-
tenti città marinare che operavano nel Mediterraneo e in Oriente tra
XII e XIV secolo2. La questione, peraltro, si complica per l’analisi sto-
rica dei secoli altomedievali, dal momento che quasi del tutto inesi-
stenti sono le fonti utili alla ricostruzione dei quadri politici, demici,
e socioeconomici del centro dello Stretto negli anni cosiddetti “bar-
barici”, compresi tra la caduta formale dell’Impero d’Occidente nel
476 d.C. e la riconquista giustinianea della Sicilia avviata da Belisario

1
E. PISPISA, Stratificazione sociale e potere politico a Messina nel Medioevo, in ID.,
Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, p. 378.
2
C.D. GALLO, Gli Annali della città di Messina. Nuova edizione con correzioni, note
ed appendici del Sac. A. Vayola, 2 vol., Messina 1877 (1a ed.: 1758), I, p. 17; P. PIERI,
La storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale, Messina 1939, p. 5.

–1–
Luciano Catalioto

nel 535, epoca di cui sopravvivono anche tracce rare e assai frammen-
tarie dell’attività artistica e monumentale3.
Tuttavia, la realtà medievale di Messina è, nel complesso, carat-
terizzata da alcuni tratti distintivi che si possono leggere come strut-
ture di lunga durata, cioè come concetti e dinamiche che, per usare
un’espressione braudeliana, il tempo stenta a logorare e che, pertanto,
esercitarono nei secoli di mezzo un’azione costante e determinante
nelle vicende politiche, economiche e sociali. La felice posizione geo-
grafica e la particolare conformazione fisica del porto, ad esempio; il
collegamento serrato e quasi sempre ininterrotto con le piazze com-
merciali della Calabria costiera e con le sue terre, che produsse la rea-
lizzazione nell’area dello Stretto di una sorta di economia integrata;
la genesi, infine, e la lenta affermazione di un’élite urbana dotata di
tratti distintivi propri, frutto di una gestazione cui non erano state
estranee sollecitazioni esterne e il condizionamento di dinamiche
sociali particolari, talvolta caotiche. Sicché, da un certo punto di
vista, la storia medievale di Messina dovrebbe avere inizio il 10 ot-
tobre 1060, quando cioè la conquista normanna avrebbe «reinserito
l’isola nel milieu politico e culturale dell’Europa cristiana»4 e nel mo-
mento in cui prendeva avvio la costituzione di una società, presto forte
di 20-25.000 componenti, nel cui ambito sarebbe sorta e si sarebbe
espressa un’élite sempre più definita e consapevole. Eppure, per me-
glio comprendere la complessiva vicenda di un’area di cui per molti
aspetti, siano stati essi di natura economica come di ordine strategico-
militare, è risaltata la centralità, occorre risalire indietro nel tempo, pur
nella desolante rarefazione delle testimonianze.

L’età barbarica (476-535)

Informazioni molto generiche su Messina sotto la dominazione


vandalica e gota (476-535) possiamo trarre dal Bellum Gothicum di
3
B. PACE, Arte e civiltà della Sicilia antica, vol. IV, Roma 1949, passim.
4
E. PISPISA, Aspetti della storia di Messina in età normanna, in ID., Medioevo Fri-
dericiano e altri scritti, Messina 1999, p. 221.

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MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Procopio di Cesarea5, che tuttavia riferisce solo come la città fosse


retta da un comes civitatis, il quale, analogamente a quanto avveniva
a Palermo e a Lilibeo, era posto alle dipendenze del comes Syracu-
sanae civitatis, che ricopriva anche la funzione di comes provinciae
Siciliae. La funzione del comes civitatis, evidentemente, era stretta-
mente collegata alla difesa, dal momento che sin dai tempi di Teodo-
rico l’amministrazione finanziaria era gestita da defensores eletti
dalla popolazione e da curatores di nomina regia, ai quali erano sot-
toposti i curiales, incaricati tra l’altro dell’esazione delle imposte.
Dalla stessa fonte ricaviamo che la Sicilia, al tempo di Totila, attra-
versò un periodo di rinascita economica e sociale dovuto alla relativa
smilitarizzazione del territorio e all’incentivazione di nuovi insedia-
menti rurali, cui fu conseguente l’incremento delle attività agrarie. Ac-
canto ai patrimonia della Chiesa e ai latifundia imperiali, cresce il nu-
mero delle massae, territori concessi a conductores che ne curavano
la messa a frutto sotto il controllo di actores delegati dal potere cen-
trale. Delle massae, avviate in età imperiale e rinvigorite durante
quella gotica e poi bizantina, rimane memoria storica nella topono-
mastica del territorio di Messina, che all’epoca fu sede di una consi-
stente schiera di burocrati regi e ospitò, accanto ai piccoli commer-
cianti e artigiani vincolati alla propria condizione, un gruppo
collocabile al grado medio della scala sociale cui si attinse per la com-
posizione di curiales, vindices e susceptores6.
La desolante lacuna documentaria sulla vicenda di Messina bar-
barica e bizantina e la labile sussistenza di testimonianze archeologi-
che relative ai circa quattro secoli che vanno dalla caduta dell’Impero
romano d’Occidente allo sbarco arabo dell’827 7, non ha mai consen-
tito alcuna ricerca di rilievo, come già lamentato un trentennio fa da

5
PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, trad. it.: La Guerra gotica, Milano 2005,
ad indicem e gli studi di S. LA ROCCA, Le incursioni vandaliche in Sicilia, Girgenti 1917;
F. GIUNTA, Genserico e la Sicilia, Palermo 1958.
6
F. GIUNTA, Sicilia barbarica, Vicenza 1962, pp. 47-81.
7
A parte un sarcofago di probabile fattura bizantina, conservato presso il Museo re-
gionale di Messina insieme ad alcuni frammenti lapidei e marmorei.

–3–
Luciano Catalioto

André Guillou8. Le sue sconfortate parole fanno eco ai pesanti giudizi


espressi da Michele Amari e, in età a noi più vicina, da studiosi del
territorio e storici dell’arte quali Biagio Pace, Giuseppe Agnello e, con
espresso riferimento al centro dello Stretto e alla colpevole indiffe-
renza verso probabili reperti d’età bizantina, da Paolo Orsi9.
Negli anni dei cosiddetti “regni latino-germanici”, in definitiva, la
struttura fisica della Città dello Stretto non pare subisse trasformazioni
sostanziali rispetto alla urbs romana, quando l’abitato intra moenia si
estendeva tra i due torrenti principali, il Portalegni e il Boccetta, e aveva
come epicentro la zona dell’attuale Duomo10, probabilmente sede della
vita sociale e di prestigiose residenze forse simili alla ricca casa di Eius
Mamertinus ricordata da Cicerone11 quando Messina era uno dei 68 op-
pida civium romanorum e tra le 8 sedi «libere ed immuni»12.

I Bizantini a Messina (535-843)

La posizione strategica di Messina, presidio irrinunciabile e base


ideale di raccolta e smistamento delle truppe destinate alla guerra con-
dotta da Belisario in terraferma, decretò la sua scelta come principale
presidio militare sin dalle prime fasi della Guerra greco-gotica, quando
il generale bizantino potenziò la guarnigione presente in città e, vero-
similmente, anche le fortificazioni murarie13. Lo stratega bizantino sa-
rebbe poi tornato a Messina per riorganizzare l’esercito nel 54714, un
anno prima dell’ultimo assedio della città ad opera dei Goti, quello con-
dotto da Totila, che alla testa di un esercito disorganico non riuscì ad

8
A. GUILLOU, La Sicilia bizantina; un rilancio delle ricerche attuali, in «Archivio
Storico Siracusano», n.s. IV (1975-76), pp. 45 sgg.
9
P. ORSI, Messana, la necropoli romana di S.Placido, in «Mal», Roma 1916, pp. 81
sgg.
10
A. IOLI GIGANTE, Messina, Roma-Bari, 1980, pp. 8 sgg.
11
MARCO TULLIO CICERONE, Verrine, II, IV, 1-3.
12
PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, III, 88.
13
PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, cit., I, 8.
14
Ivi, VII, 27.

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MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

avere ragione della difesa della città, organizzata dal comandante bi-
zantino Domnenziolo, e si limitò a saccheggiare il territorio peloritano
prima di essere ricacciato definitivamente oltre lo Stretto dalle nuove
schiere di oplites sopraggiunte da Costantinopoli15.
Sebbene la pacificazione e il ritorno nell’alveo della romanitas
comportasse per l’isola la costituzione di una nuova stratificazione so-
ciale, una notevole autonomia giuridica e un incremento delle attività
agricole (soprattutto granarie) e commerciali, Messina era destinata
a svolgere un ruolo primario di presidio militare fortificato, per via
della propria posizione cruciale a guardia dei due mari e per la con-
genita carenza di un adeguato retroterra terriero che favorisse l’im-
pianto di strutture produttive e il consolidamento di gruppi mercantili
all’interno della società urbana. Questa, infatti, ancora per qualche se-
colo sarebbe stata fortemente plasmata dalla preponderanza entro le
mura di militari e burocrati greci che avevano il controllo del porto
e, sebbene sia ancora prematuro parlare di classe, sicuramente com-
posero una compagine largamente incidente sull’assetto della società
urbana. L’amministrazione politica della Sicilia venne demandata
ad un pretore, direttamente dipendente dal questore costantinopoli-
tano; la gestione finanziaria fu affidata al comes italicae patrimonii
residente a Costantinopoli; il comando militare venne esercitato da un
dux che svolgeva anche le funzioni di giudice; nelle maggiori città,
tra cui già Plinio aveva contemplato Messina, amministravano la
cosa pubblica in maniera non sempre limpida funzionari imperiali di
medio e piccolo spessore16. In ogni caso, la posizione dello scalo mes-
sinese, proiettato insieme a quello aretuseo verso l’Oriente e punto di
transito obbligato nelle rotte commerciali che univano le due parti del
Mediterraneo, favorì sicuramente la sopravvivenza di un’attività
commerciale stabile, che assicurava alla società urbana un certo di-
namismo economico, demografico e culturale17.

15
GIUNTA, Sicilia barbarica, cit., pp. 14 sgg.
16
A. HOLM, Storia della Sicilia nell’antichità, Torino 1896 (rist. an.: Bologna 1965),
pp. 529 sgg.
17
Ancora lo storico di Cesarea suggerisce, indirettamente, tale immagine della vita

–5–
Luciano Catalioto

Allo scorcio del VI secolo, l’immigrazione monastica basiliana ac-


celerata dalla spinta longobarda e il forte impegno profuso da Grego-
rio Magno nel recupero dell’isola al Patrimonium Petri, fecero regi-
strare per Messina una ripresa del livello socioeconomico, grazie ad
un’efficiente organizzazione delle attività umane, eminentemente
agricole, inquadrate entro gli schemi della burocrazia gregoriana
(actores, actionari e defensores cittadini, dipendenti da un rettore in-
sediato a Siracusa), ma anche attraverso l’acquisizione e il consoli-
damento di una cultura e una sensibilità artistica e religiosa “orientale”
di cui purtroppo sono giunte a noi tracce molto labili. Tale sensibilità
si espresse, ad esempio, nella presenza a Messina di botteghe artigiane
dirette da maestranze qualificate, che si specializzarono precocemente
nella lavorazione di tessuti e manufatti preziosi, come le due palma-
tianae che nel 591 il vescovo Felice inviò (forse con navi proprie) a
Gregorio Magno18. Le relazioni che allora intercorrevano tra la sede
peloritana e la curia papale furono sicuramente improntate ad un rap-
porto disteso e cooperativo, se un anno dopo Gregorio si rivolgeva a
Felice, in qualità di rettore del monastero di San Teodoro da poco
eretto e consacrato, per chiedere di concedere asilo ai profughi del Sud
Italia, sia cattolici che ortodossi19. Pertanto, già alla metà del VI se-
colo, con il vescovo Eucarpo, e poi nel corso del VII, dopo gli epi-
scopati di Felice e Dono (591-595), i presuli messinesi, dotati di au-
torità e privilegi da parte del papa e posti a capo di grandi domini
terrieri, affiancarono gli igumeni greci e acquisirono risalto nel pano-
rama politico e amministrativo, soppiantando in certa misura i defen-
sores, che divennero semplici judices cittadini e furono peraltro esau-
torati da competenze fiscali, demandate a funzionari imperiali20.

civica messinese, attraverso la descrizione del rigoglio umano nel centro di Siracusa
dopo la conquista bizantina (PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, cit., pp. 7 sgg.).
18
GUILLOU, La Sicilia bizantina, cit., pp. 51 e 72 sgg. e Gregorii I papae Registrum
epistolarum, ed. P. EWALD – L.M. HARTMANN, in Monumenta Germaniae Historica, Epi-
stolae, 1887-1891 (libri I-VII) e 1892-1899 (libri VIII-XV), nuova ed.: München 1978,
I, p. 64.
19
Ivi, II, 51.
20
HOLM, Storia della Sicilia, cit., p. 531 e Gregorii I papae Registrum, cit., ad in-
dicem.

–6–
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

In quegli anni, quindi, nel centro messinese come in numerose aree


del Valdemone, si realizzò un proficuo clima di convivenza tra clero
latino e monachesimo greco, ma nella seconda metà del VII secolo è
documentato un deciso processo di ellenizzazione delle comunità mo-
nastiche che si innestò sopra il persistente sostrato culturale bizantino
rafforzato e alimentato grazie al flusso costante di monaci provenienti
da Bisanzio21. Il fenomeno è da collegare, senza dubbio, al trasferi-
mento nel 663 della corte di Costante II a Siracusa22 e al vasto movi-
mento migratorio greco che, dalla prima metà di quel secolo, dalla Si-
ria e dall’Egitto si era riversato pure nell’isola, alimentato sia da
monaci iconoduli in fuga dalle persecuzioni degli imperatori icono-
clasti, sia da profughi melchiti dispersi dopo il 614 dai persiani sas-
sanidi di Cosroe II e, in seguito, dallo stesso imperatore bizantino Era-
clio. Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo, pertanto, il latinismo
favorito da Gregorio Magno a Messina e nel suo territorio si era stem-
perato in una progressiva ellenizzazione23, dissolvendosi significati-
vamente dopo il pontificato di Gregorio II (715-731), quando la
Chiesa di Roma prendeva posizione contro l’iconoclastia imposta nel

21
Un quadro chiaro e documentato del fenomeno monastico nel Mezzogiorno bizan-
tino è in A. CILENTO, Potere e monachesimo. Ceti dirigenti e mondo monastico nella
Calabria Bizantina (secolo IX-XI), Firenze 2000, corredato da una ricca bibliografia. Si
veda, inoltre, L. CATALIOTO, Il Vescovato di Lipari-Patti in età normanna (1088-1194).
Politica, economia, società in una sede monastico-episcopale della Sicilia, Messina
2007, capp. I e II.
22
È una tesi, d’altra parte, a suo tempo sostenuta da D.G. LANCIA DI BROLO (Storia
della chiesa in Sicilia nei dieci primi secoli del cristianesimo, vol. II, Palermo 1884, p.
21) e sostanzialmente confermata da L.T. WHITE JR., Latin Monasticism in Norman Si-
cily, Cambridge, Mass., 1938 (trad. it.: Il monachesimo latino nella Sicilia normanna,
Catania 1984, da cui si cita), pp. 44 sgg. e da M. SCADUTO, Il monachesimo basiliano
nella Sicilia medievale: rinascita e decadenza, sec. 11.-14., Roma 1982 (rist. an. dell’ed.
del 1947, con aggiunte e correzioni), p. XVIII, che peraltro rileva come l’apporto con-
siderevole di questi rifugiati orientali in Sicilia sia provato innanzi tutto dalla tradizione
manoscritta del Nuovo Testamento e si esprimesse pure nel settore giuridico e, natural-
mente, nella liturgia e nelle arti.
23
A questo riguardo è significativo il fatto che papa Martino I, nel 653, venisse de-
tenuto per un anno a Messina prima di essere inviato a Bisanzio per essere giustiziato
(S. BORSARI, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell’Italia meridionale prenor-
manne, Napoli 1963, ad indicem).

–7–
Luciano Catalioto

726 da Leone III Isaurico (716-741) e si assicurava l’appoggio dei


Franchi, accelerando in Sicilia l’affermazione della giurisdizione bi-
zantina su quella romana e il passaggio dell’episcopato latino nell’or-
bita del patriarca di Costantinopoli24. La scissione della Chiesa sici-
liana dalla sede di Roma, avvenuta a quanto pare nel 737 25, la
ricondusse alle dipendenze del patriarcato di Costantinopoli, che
elevò il presule siracusano al rango di metropolita nominandone suf-
fraganeo quello di Messina. Sicché, nella città zanklea e lungo le
strette valli ubicate nelle sue immediate vicinanze, si rafforzarono al-
cuni cenobi di rito greco (San Nicandro o Nicario, forse San Nicolò
all’Arcivescovado, San Pantaleone, San Tommaso Apostolo, Santa
Maria di Bordonaro) la cui attività agricola, sostanzialmente intensiva,
garantì alla città un flusso continuo di derrate alimentari e una pur mo-
desta circolazione di merci, oltre che di idee e modelli di vita26.
Prima che la rivolta dell’ammiraglio Eufemio, nell’827, aprisse le
porte dell’isola ai musulmani, Messina, da sempre interlocutrice pri-
vilegiata di Costantinopoli, partecipò attivamente alla vita amministra-
tiva e religiosa, opponendosi all’iconoclasmo e intervenendo con i
propri episkopoi (Gaudioso, Gregorio, ecc.) alle dispute dottrinarie che
divisero le due Chiese. Questa indubbia vitalità urbana di Messina, tut-
tavia, era destinata a spegnersi rapidamente sotto l’avanzata delle
truppe islamiche, che nell’843, varcate le mura della città, comincia-
rono a scrivere un nuovo lungo capitolo della sua vicenda.

24
Sull’avvicinamento della Chiesa di Roma ai Franchi, formalizzato nel 755, e sugli
effetti dell’iconoclasmo nell’isola, si vedano WHITE, Il monachesimo latino, cit., p. 48
e SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit., pp. XXV e XXVII sg.
25
J.S. ASSEMANI, Italicae historiae scriptores, de rebus Neapolitanis et Siculis ab
anno 500 ad annum 1200, vol. III, Romae 1751, III, p. 475.
26
BORSARI, Il monachesimo bizantino, cit., pp. 18 sgg.; CATALIOTO, Il Vescovato di
Lipari-Patti, cit., pp. 2 sg; SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit.

–8–
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Messina musulmana (843-1060)

Nelle edizioni ottocentesche di Caruso e Gregorio della Cronica


di Cambridge, in cui si cita erroneamente Messina al posto di Mineo,
si racconta della conquista della città ad opera del musulmano Asbag
e dell’uccisione del comandante bizantino Teodoto sotto le sue mura
verso la fine dell’830, quando però gli arabi si trovavano al di là del
Salso. La lettura di Amari, confermata dai testi greci della Cronica 27,
corregge tale svista e ci consegna un corretto inquadramento crono-
logico delle fasi belliche28. La conquista del centro peloritano, in ef-
fetti, ebbe luogo tra il 10 ottobre 842 e il 29 settembre 843, quando i
napoletani, che secondo Giovanni Diacono avevano stretto un patto
di alleanza con gli emiri già nell’836 29, sostennero fattivamente i mu-
sulmani guidati da al-Fadl Ibn Gafar. Amari, basandosi su quanto af-
fermato da Ibn al-Atir30, descrive le fasi dell’assedio e l’eroica resi-
stenza dei messinesi, sopraffatti alla fine dalla strategia del condottiero
islamico, che attirò le forze assediate lungo le mura prospicienti lo
Stretto con una parte delle proprie truppe, mentre «l’altra schiera ir-
rompeva in città dall’alto, feriva alle spalle i difenditori, li scompi-
gliava e Messina era presa»31.
Dopo la conquista araba dell’843, il nome di “Messina” e del “Mar
del Faro” ricorre nelle cronache musulmane solo verso l’886, quando
le forze dell’emirato approfittarono del rientro in patria dello stratega
Niceforo Foca, richiamato sul fronte dell’Asia Minore in seguito alla

27
Riportati in G. COZZA-LUZI, La cronaca siculo-saracena di Cambridge con doppio
testo greco scoperto in codici contemporanei delle biblioteche vaticana e parigina con
accompagnamento del testo arabico per Bartolomeo Lagumina, Palermo 1890, pp. 24
e 99.
28
M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, ed. con note di C.A. NALLINO, 3 voll.,
Catania 1986 (rist. an. dell’ediz. del 1933), vol. I, pp. 420 sgg.
29
GIOVANNI DIACONO, Chronicon Episcoporum, in Rerum Italicarum scriptores, vol.
I, col. 314.
30
IBN AL-ATIR, Histoire de l’Afrique et de la Sicile, in M. AMARI, Biblioteca arabo-
sicula, 2 voll., Torino-Roma 1880, vol. II, p. 188.
31
Non pare tuttavia che al-Fadl abbia sparso molto sangue (AMARI, Storia dei Mu-
sulmani, cit., vol. I, p. 448).

–9–
Luciano Catalioto

morte di Basilio il Macedone, per organizzare l’armata di conquista


contro la Calabria e, nel settembre 888, sostennero una cruenta batta-
glia navale nelle acque di Milazzo contro la flotta bizantina frettolo-
samente accorsa da Costantinopoli32. Erchemperto33 colloca lo scontro
navale nello Stretto di Messina, mentre Ibn al-Abbar torna a parlare
della battaglia di Milazzo, nelle cui acque la flotta araba sarebbe stata
guidata dall’emiro Iakoub, figlio di Ahmed e predecessore di Aaroun
el Khams nel governo di Messina34. Dopo la battaglia di Milazzo, le
forze musulmane, capitanate da Mugbar Ibn Ibrahim Ibn Sufyan, raf-
forzarono la propria posizione a Messina, che soprattutto a partire
dall’877 assolveva la funzione di base militare, nella campagna contro
la vicina roccaforte di Rometta, «terra limitata dal sito a mediocre pro-
sperità [ma] forte asilo in tempo di guerra»35, e nel contado circostante.
Per tutto il corso del X secolo le vicende del centro peloritano riman-
gono avvolte nel più fitto mistero, non se ne fa menzione nelle cronache
in lingua araba, dove piuttosto si dà ampio spazio a Rometta e alle vi-
cende belliche che la interessarono sino alla sua caduta, nel 965 36. In
questi anni, i cittadini messinesi si trovarono coinvolti attivamente nel
conflitto tra le truppe aglabite e l’ultima roccaforte cristiana, che si sup-
pone «divenisse l’Acropoli della antica patria», mentre la Città del Faro,
spopolata, pare «rimanesse come porto ed emporio», di proporzioni pe-
raltro modeste37, oltre che base militare per la difficile conquista del Val-
demone e le frequenti scorrerie in territorio calabrese.
Sappiamo comunque che Ibrahim Ibn Ahmad, il quale aveva con-
quistato con ferocia Taormina nell’agosto del 902, il mese successivo

32
Il cronista arabo Al-Bayan (in AMARI, Biblioteca, cit., II, p. 362) parla della “tre-
menda battaglia” che costò la vita a migliaia di bizantini (forse 5.000 o 7.000) e della pre-
cipitosa fuga di cristiani dalle terre vicine, soprattutto da Reggio.
33
Cronica di Cambridge, in R. GREGORIO, Rerum Arabicarum, quae ad Historiam
Siculam spectant, ampla collectio, Panormi 1790, p. 43.
34
Si veda il ms. di Ibn al-Abbar in M.J. MÜLLER, Beiträge zur Geschichte des we-
stlichen Araber, München 1866-1878, pp. 274 sgg.
35
AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. I, pp. 569 sgg.
36
Ivi, vol. II, pp. 303-13.
37
AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 125 e 216.

– 10 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

alla testa di una nutrita schiera diretta in Calabria marciò su Messina,


dove si fermò per due giorni prima di attraversare lo Stretto38. Durante
la seconda metà del X secolo la Città del Faro, aspramente contesa tra
musulmani e bizantini, accentuava il proprio carattere militare e as-
solveva una mera funzione di presidio dal momento in cui, con la ca-
duta di Rometta, la linea del fronte si spostava nello Stretto e teatro
di più significativi eventi bellici diventava la Calabria, tenacemente
controllata dalle truppe inviate da Bisanzio. La forte contrazione de-
mografica di Messina negli anni dell’emirato è pure registrata dal geo-
grafo arabo Yaqut, nei cui scritti la definizione assegnata a Messina,
riferita verosimilmente ad un periodo di lunga durata, oscilla tra la di-
gnitosa madinah (città) e quella più riduttiva di bulayad (villaggio)39.
Alla metà di luglio del 950, ad esempio, il condottiero musulmano al-
Hasan, diretto con un poderoso esercito e una nutrita flotta a fronteg-
giare in Calabria i bizantini sbarcati all’inizio dell’estate a Otranto e
Bari, stazionò per breve tempo senza alcuna apprensione nella Città
del Faro, dove peraltro avrebbe fatto ritorno in autunno per lasciare
la flotta a svernare nel suo porto40.
Nel 964, quando l’imperatore bizantino Niceforo riprendeva l’of-
fensiva contro i musulmani dell’isola, sicuro della propria forza offen-
siva e sostenuto dalla profezia del vescovo siciliano Ippolito41, l’eser-
cito islamico, rinforzato da una flotta e da una folta schiera di berberi
condotti dall’Africa da al-Hasan, si accampò tra Rometta e Messina,
mentre i bizantini, il 13 ottobre di quell’anno, occupavano la Città del
Faro e ne rafforzavano le difese murarie. Manuele Foca e il protospa-
tarius Niceta, però, inviando i messinesi contro le truppe di al-Hasan,
commisero l’errore di lasciare sguarnita la città, nuovamente assediata
dalla flotta di Ahmad, che si attestò nel suo porto «per cavar la voglia
d’un novello sbarco ai Bizantini che s’eran messi in salvo a Reggio»42.

38
Si veda IBN AL-ATIR, Histoire de l’Afrique, cit., pp. 188 e 475.
39
Per la descrizione di Yaqut si veda AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, p.
496.
40
Cfr. Cronica di Cambridge, cit., pp. 49 sgg.
41
AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp. 301 sgg.
42
Ivi, p. 311.

– 11 –
Luciano Catalioto

Ripreso il controllo delle terre circostanti sino alla caduta definitiva di


Rometta nel 965, «nel mese poi di luglio furono poste in fuga le che-
landie dei Cristiani a Reggio»43 e le truppe islamiche fecero quindi di
Messina il caposaldo del loro dominio nelle acque dello Stretto e la
base logistica delle loro incursioni continue nel territorio di Reggio, che
rimase presidiata dai bizantini di Niceforo Foca.
Dopo l’uccisione di Niceforo, avvenuta nel dicembre 969, e l’ascesa
al trono d’Oriente di Zimisce, che siglava un accordo di pace con l’im-
pero di Ottone e si alleava con i pisani, i bizantini lanciarono una nuova
offensiva contro i musulmani e occuparono momentaneamente la Città
del Faro, che però da lì a poco (maggio 976) venne riconquistata da Abu
al-Qasim, alla testa di un esercito composto da siciliani e, come sostiene
il cronista arabo Ibn al-Atir, da una «gran compagnia di dotti e virtuosi
cittadini» di Messina44. A quanto pare Abu al-Qasim, memore dei repen-
tini capovolgimenti di fronte presso la Città dello Stretto, avrebbe in que-
sta occasione rinforzato preventivamente la rocca di Rometta.45
Messina rimase in mano ai musulmani sino al 1038, quando il ge-
nerale Giorgio Maniace e il patrizio Michele Doceano attraversarono
lo Stretto alla testa di un esercito bizantino radunato a Reggio e com-
posto, peraltro, da una nutrita e agguerrita schiera di mercenari nor-
manni condotti da Guglielmo d’Altavilla, detto Bracciodiferro. Come
sostengono le cronache di parte normanna, soprattutto quelle mala-
terriana e di Amato di Montecassino, per la conquista di Messina fu
determinante l’intervento degli uomini di Guglielmo, i quali «ont com-
batu à la cité et ont vainchut lo chastel de li Sarrazin»46, il che

43
Cronica di Cambridge, cit., pp. 46 e 78.
44
AMARI, Biblioteca, cit., vol. II, p. 268 e ID., Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp.
367 e 369.
45
GREGORIO, Rerum arabicarum, cit., p. 19.
46
AMATO DI MONTECASSINO, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese –
Ystoire de li Normant –, a cura di V. DE BARTHOLOMAEIS, Fonti per la Storia d’Italia pub-
blicate dall’Istituto Storico Italiano, Roma 1935; GOFFREDO MALATERRA, De rebus gestis
Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, a cura di E.
PONTIERI, in RIS, I-V, 1, Bologna 1927.

– 12 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

peraltro suggerisce come il controllo della Città dello Stretto da parte


dei musulmani, concentrati piuttosto nella difesa della rocca di Ro-
metta, fosse occasionale e molto blando. Ma il dominio di Messina
non pare sia stato più duraturo ed efficace sotto il protospatario
Κεκαυµένος (Catacalone detto Arsiccius), che riuscì ad esercitarlo sino
ai primi mesi del 1042, quando il centro dello Stretto rimase l’unica
roccaforte della resistenza bizantina ultra Pharum, caratterizzandosi
più come presidio di retroguardia che come testa di ponte per un’im-
probabile riconquista dell’isola.
L’armata preposta al controllo di Messina, costituita da trecento ca-
valieri e cinquecento pedoni del tema d’Armenia, aveva in effetti con-
sistenza di presidio, a difesa di una società cui le fonti non dedicano al-
cuno spazio, ma che era senz’altro fortemente contratta sotto il profilo
demografico ed economico. Messina riuscì a respingere l’attacco dell’ar-
mata musulmana, a quanto pare condotta sotto le sue mura dal principe
kalbita as-Samsam, e Catacalone, dopo avere saccheggiato l’accampa-
mento nemico nel marzo 1042, rientrò trionfante in città alla testa di una
schiera di bizantini e messinesi, che però non sarebbero stati in grado,
meno di un ventennio dopo, di resistere all’avanzata di nuove truppe, co-
stituite principalmente da normanni e da cosiddetti “lombardi”47.

L’età normanna (1061-1194)

Un’immagine largamente diffusa di Messina nelle fasi immedia-


tamente successive alla conquista normanna è quella tramandata da
Amato di Montecassino, secondo cui il Guiscardo, constatato «que la
cité estoit vacante des homes liquel i habitoient avant», avrebbe
dato inizio emblematicamente al suo ripopolamento dotandola «de ses
chevaliers»48. La tesi del desolante stato di abbandono e immobilismo

47
AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp. 453 sgg.
48
AMATO DI MONTECASSINO, Storia de’ Normanni, cit., vol. V, cap. XIX.

– 13 –
Luciano Catalioto

socioeconomico, che avrebbe denotato Messina già negli ultimi de-


cenni dell’emirato, ha suscitato qualche perplessità in studiosi che,
evidentemente, non hanno tenuto pienamente conto della tendenza ce-
lebrativa insita nella cronaca del monaco cassinese, della propensione
all’esagerazione di Goffredo Malaterra e della conclamata inattendi-
bilità della Breve istoria della liberazione di Messina, chiaramente
falsa, che nel celebrare il sentito patriottismo dei tre nobili cittadini
(Ansaldo de Pactis, Niccolò Mamulio e Giacomo Saccano) per tra-
dizione fautori della congiura antimusulmana, rimanderebbe all’esi-
stenza tra le mura di una compagine cristiana numericamente modesta
ma dotata di carisma politico e consapevolezza49.
In effetti non abbiamo nessuna indicazione in grado di suggerire
ipotesi circa la demografia e la costituzione del tessuto sociale mes-
sinese prima della conquista normanna, né è rimasta traccia dell’im-
pianto urbano, sicuramente stravolto già dal violento sisma che si ab-
batté sulla Sicilia orientale nel 1169, quando «apud Messanam etiam
maximus et manifestus terre motus fuit»50, e definitivamente cancellato
dai catastrofici eventi del 1783, del 1908 e dell’ultimo conflitto mon-
diale51. Certo è che gli Altavilla, stimando Messina «quasi clavem Si-
ciliae»52, le assegnarono un ruolo ben più ampio della riduttiva fun-
zione di avamposto fortificato o porto-rifugio di frontiera svolto sino
ad allora. Sicché il Granconte nel 1081, «undecumque terrarum ar-
tificiosis caementariis conductis»53, diede subito avvio ad un organico

49
AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. III, pp. 58-63 sgg.
50
UGO FALCANDO, La Historia o Liber de Regno Sicilie, a cura di G.B. SIRAGUSA,
Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano, Roma 1897, p. 144.
51
Sulle vicende di Messina in età normanna si vedano, in particolare: S. TRAMON-
TANA, Messina normanna, in «Nuovi annali della Facoltà di Magistero dell’Università di
Messina», 1, 1983, pp. 629-40; PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., pp. 221-38;
ID., Messina medievale. Uno sguardo d’insieme, in ID., Medioevo Fridericiano, cit., pp.
195-220; ID., Messina medievale, Galatina 1996.
52
Ovvero, caposaldo necessario per il controllo dell’isola: GOFFREDO MALATERRA,
De rebus gestis, cit., vol. III, p. 77.
53
Ivi, p. 78.

– 14 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

programma edilizio diretto, innanzi tutto, al rafforzamento delle strut-


ture difensive della città, a cominciare da quelle murarie, che l’ano-
nimo autore della Epistola ad Petrum definiva «ambitum densis tur-
ribus circumseptum»54. Ruggero I proseguì, dopo il 1086, con la
realizzazione del tarsianatum e del palatium, che sicuramente è il
«propugnaculum immensae altitudinis» citato da Malaterra ed esem-
plato da Pietro da Eboli55, cioè il palazzo comitale e poi regio che sor-
geva, «bianco come un colomba»56, di fronte al porto, anch’esso am-
piamente ristrutturato negli anni della contea. Probabilmente nel
1096 veniva edificata, «cum turribus et diversis possessionibus»57, la
prima cattedrale di Messina, dedicata a San Nicolò e ubicata a poche
centinaia di metri dall’attuale duomo sorto alla metà del XII secolo58,
cioè in quel nucleo urbano, delimitato dall’arsenale, dal quartiere detto
Amalfitania e dalla loggia dei genovesi, attorno al quale si andava coa-
gulando la vita sociale ed economica della nova urbs Messane59.
Le prime fasi dell’insediamento normanno nella Città del Faro
sono scandite da una massiccia immigrazione, costituita principal-

54
UGO FALCANDO, La Historia, cit., pp. 184 sg.; Epistola ad Petrum Panormitane
Ecclesie Thesaurarium de calamitate Sicilie, in S. TRAMONTANA, Lettera a un tesoriere
di Palermo sulla conquista sveva di Sicilia, Palermo 1988, pp. 122-43.
55
GOFFREDO MALATERRA, De rebus gestis, cit., III, p. 77; PETRUS DE EBULO, Liber
ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus der
Burgerbibliothek Bern, a cura di T. KÖLZER e M. STÄHLI, Sigmaringen 1994, tav. XXVI.
56
Secondo la descrizione di Ibn Giubayr, in AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 144 sgg.
57
GOFFREDO MALATERRA, De rebus gestis, cit., vol. III, p. 77.
58
G. DI STEFANO, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1979, pp. 56 sgg.
Dopo la consacrazione della cattedrale di Santa Maria, l’antico duomo decadde progres-
sivamente sino al suo radicale restauro ad opera dell’arcivescovo Pietro Bellorado nel
1506, risanato solo in parte nel 1333 grazie alle cento onze testate dall’arcivescovo Gui-
dotto de Abbiate pro tecto operiendo de plumbo. Si vedano al riguardo GALLO, Gli an-
nali, cit., vol. II, pp. 10 e 247; I diplomi della Cattedrale di Messina raccolti da Antonino
Amico pubblicati da un codice della Biblioteca Comunale di Palermo ed illustrati, a
cura di R. STARRABBA, Palermo 1888, p. 256; E. PISPISA, La cattedrale di S. Maria e la
città di Messina nel Medioevo, in ID., Medioevo fridericiano, cit., p. 267.
59
L.R. MÉNAGER, Les actes latins de S. Maria di Messina: 1103-1250, Palermo 1963,
pp. 116 e 135.

– 15 –
Luciano Catalioto

mente da intellettuali e milites bizantini fuoriusciti negli ultimi anni


dell’emirato, che avrebbero concorso alla formazione della nuova
classe dirigente (non a caso avrebbero esercitato per tutto il XII
secolo un vero e proprio monopolio della carica stratigoziale e di altri
incarichi amministrativi), e da una folta schiera di artigiani e contadini
provenienti anch’essi dalle terre calabresi, cioè i cosiddetti populares
destinati, insieme alla plebs, a comporre il tessuto connettivo urbano60.
E Messina, soprattutto in età normanna, rimase proiettata verso la Ca-
labria, i cui mercati entrarono tra le mire degli operatori locali e le cui
terre costituirono, almeno sino al Vespro, il naturale sfogo di possi-
denti e piccoli feudatari peloritani, penalizzati dall’assenza di un re-
troterra nell’isola in grado di assicurare agiatezza economica e pre-
stigio sociale61. Questa particolare condizione impedì che la Città del
Faro subisse l’egemonia dei milites, protesi piuttosto, attraverso l’ac-
culturazione e l’acquisizione di competenze giuridiche, verso la con-
quista di quelle cariche burocratiche che rappresentarono anche
l’obiettivo del ceto mercantile e di quei gruppi di burgenses, definiti
meliores, con i quali gli stessi milites avrebbero realizzato una duratura
collaborazione pienamente realizzata nell’ultima età sveva62.
Del tutto estranei alla gestione politica locale, ma fortemente in-
teressati alle nuove prospettive commerciali (soprattutto quelle offerte
dal traffico del grano)63, furono i mercanti forestieri, innanzi tutto
amalfitani (ma in seguito anche catalani, genovesi, provenzali, toscani
e veneziani), richiamati da agevolazioni fiscali e commerciali entro
le mura della città, dove fondarono logge e fondaci e costituirono i

60
PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., pp. 222 sgg.
61
G. ROMANO, Messina nel Vespro siciliano e nelle relazioni siculo-angioine de’ se-
coli XIII e XIV fino all’anno 1372, in «Atti della Regia Accademia Peloritana», XV,
1899-1900, pp. 227 sgg.
62
E. PISPISA, Messina nel Trecento, Messina, Intilla, 1980; ID., Il regno di Manfredi.
Proposte di interpretazione, Messina 1991; ID., Coscienza familiare ed egemonia ur-
bana. Milites, meliores e populares a Messina fra XII e XIV secolo, in ID., Medioevo
Fridericiano, cit., pp. 239-50.
63
Significativo il fatto che GOFFREDO MALATERRA (De rebus gestis, cit., vol. V, tomo
I, p. 29) sostenesse come il centro peloritano «a messe vocabulum trahens, Messana vo-
cata est».

– 16 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

propri quartieri in prossimità del porto64. Gli amalfitani, presenti nel-


l’isola sin dall’813, si insediarono in un quartiere, l’Amalfitania, che
si sviluppò attorno alla ruga Amalfitanorum, ma il loro rilievo decadde
alla fine del XII secolo, quando emersero più attivi operatori penin-
sulari, cioè genovesi, pisani e veneziani, tutti insediati più o meno sta-
bilmente nella Città del Faro con logge e fondaci e fortemente inte-
ressati alle rotte orientali65. I genovesi, che a Messina ebbero un
console già nel 1169 66 e istituirono un flusso continuo bilaterale con
l’isola dalla metà del XII secolo, avrebbero consolidato le proprie po-
sizioni commerciali soprattutto in epoca sveva67, come pure gli ope-
ratori pisani, i cui rapporti con i liguri furono sempre caratterizzati da
una forte rivalità68. Anche i mercanti veneziani, seppure frequentatori
meno assidui dello scalo peloritano, ebbero un fondaco in tarsianatu
veteris civitatis nella seconda metà del XII secolo e fruirono di signi-
ficative agevolazioni commerciali, soprattutto sotto il regno di Gu-
glielmo II69, quando non a caso è segnalata la presenza di qualche traf-
ficante messinese nella repubblica lagunare e Pagano di Messina era
il nocchiero di una nave veneziana che nel 1169 salpava alla volta di
Costantinopoli70. Di altri operatori forestieri, infine, abbiamo sporadi-

64
PISPISA, Stratificazione sociale e potere politico, cit., pp. 377-96. Si veda, inoltre,
R. SABATINO LOPEZ, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna 1938, pp.
163 sgg.
65
D. ABULAFIA, Le due Italie: relazioni economiche fra il Regno normanno di Sicilia
e i Comuni settentrionali, Napoli 1991 (1a ed.: Cambridge 1977); PISPISA, Messina nel
Trecento, cit., ad indicem; D. CICCARELLI, Il tabulario di S. Maria di Malfinò (1093-
1337), 2 voll., Messina 1986-1987, vol. I, passim.
66
S. CUSA, I diplomi greci e arabi di Sicilia pubblicati nel testo originale, tradotti
ed illustrati, vol. I, Palermo 1868, p. 359.
67
PISPISA, Messina nel Trecento, cit., pp. 137 e 295 sgg.; J.L.A. HUILLARD-BRÉHOL-
LES, Historia diplomatica Friderici secundi, vol. I, tomo 1, Parigi 1852, pp. 64-7.
68
Annali Genovesi di Caffaro e de’suoi continuatori, dal MXCIX al MCCXCIII, vol.
I, a cura di L.T. BELGRANO, Roma 1890, p. 24; Annales Pisani di Bernardo Maragone,
in «MGH», XIX, p. 259; G. CASAPOLLO, Insediamenti pisani in Sicilia (ricerche su do-
cumenti inediti del sec. XIII), in «Helikon», XI-XII, 1971-72, pp. 524-43.
69
G.B. SIRAGUSA, Il regno di Guglielmo I in Sicilia, Palermo 1929, pp. 377 sgg.; E. PON-
TIERI, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel secolo XIII, Napoli 1950, p. 255.
70
R. MOROZZO DELLA ROCCA – A. LOMBARDO, Documenti del commercio veneziano
nei secoli XI-XIII, 2 voll., Torino 1940, ad indicem.

– 17 –
Luciano Catalioto

che indicazioni e della loro presenza entro le mura di Messina pos-


siamo ricavare solo qualche notizia indiretta, come nel caso degli in-
glesi, la cui incidenza commerciale in età normanna può essere desunta
esclusivamente dalla attestazione in quella sveva della ruga Anglico-
rum71, giacché coloro venuti al seguito di Riccardo Cuor di Leone nel
1190 erano crociati e pellegrini in transito per la Terrasanta.
La presenza di questi operatori forestieri, pertanto, contribuì ad as-
segnare a Messina una fisionomia particolare, la connotò cioè come
una vera e propria megalopolis «per il continuo andirivieni di viag-
giatori» – annota il geografo di Ruggero II –, per la presenza di un ar-
senale particolarmente attivo e di un porto oltremodo vivace, «un’au-
tentica meraviglia» dove «si raccolgono le grande navi nonché i
viaggiatori e i mercanti dei più svariati paesi latini e musulmani»72.
E analoga immagine emerge dalle descrizioni di Ibn Giubayr e dello
pseudo Ugo Falcaldo, i quali, in riferimento agli ultimi anni della do-
minazione normanna, insistono sul cosmopolitismo e sul carattere
mercantile di Messina, «meta de’ legni che solcano il mare venendo
da tutte le regioni»73, dove «il sudiciume ed il fetore sono la diretta
conseguenza di transazioni economiche continue e dell’ammassarsi
di commercianti venuti da ogni dove»74.
Per questi decenni, comunque, nel Mediterraneo e negli scali di Le-
vante è segnalata una pur modesta attività di mercanti peloritani75, so-
stenuti dai favorevoli orientamenti della politica doganale attuata da
Guglielmo I e proseguita nei primi anni dell’età sveva76, mentre i rap-
porti commerciali con l’entroterra siciliano vennero tenuti in vita dalle

71
CICCARELLI, Il tabulario, cit., pp. 37-39.
72
IDRISI, Il libro di Ruggero, tradotto e annotato da U. RIZZITANO, Palermo 1966,
pp. 41 sgg.
73
UGO FALCANDO, La Historia, cit., pp. 138, 144, 147 sgg. e 155. Si veda, inoltre,
AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 144 sgg.
74
PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., p. 227.
75
M. ALIBRANDI, Messinesi in Levante nel Medioevo, in «Archivio Storico Sici-
liano», III s., XXI-XXII, 1971, pp. 97-110.
76
Capitoli e privilegi di Messina, a cura di C. GIARDINA, Palermo 1937, docc. V, IX
e XI, pp. 15 sg., 25 sg. e 32-34.

– 18 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

attività intraprese dall’episcopato messinese (ufficialmente sede me-


tropolitica sotto il pontificato di Alessandro III), che tra il 1131 e il
1166 allargò il proprio distretto sino a comprendere le sedi di Catania,
Cefalù e Lipari-Patti77, e dalla capillare penetrazione, soprattutto nel
Valdemone, delle sedi basiliane, espressione peraltro di una chiara
egemonia culturale di tradizione greca78.
In definitiva, se con i privilegi concessi da Ruggero II e Guglielmo
I si affermava a Messina il potere politico di una élite prevalentemente
greca composta da milites e maiores civitatis, il saldo dominio di tali
gruppi venne sostenuto dalla Chiesa locale che assunse un ruolo eco-
nomico di spicco nell’entroterra siciliano e esercitò in città un predo-
minio commerciale a fianco dei mercanti peninsulari, grazie ai privilegi
ottenuti da priorie benedettine (Santa Maria Maddalena de Valle Iosa-
phat, Santa Maria dei Latini), ma anche sociale e culturale, attraverso
l’attività del monastero basiliano di San Salvatore in Lingua Phari e
di altri centri di rito greco presenti nel territorio peloritano79. Messina
pertanto, crocevia di intensi scambi di merci e di idee negli ultimi de-
cenni del dominio normanno, conquistò una posizione centrale all’in-
terno dello scacchiere politico mediterraneo divenendo «l’arengo
dove si consumarono esperienze di politica internazionale»80, culmi-
nate nelle vicende che portarono alla cacciata dall’isola di Stefano di
Perche tra il 1167 e il 1168 e, soprattutto, nei drammatici avvenimenti
che, nel 1190, determinarono il drastico abbattimento dell’egemonia
greca nella Città dello Stretto ad opera di Riccardo Cuor di Leone81 e
aprirono un nuovo capitolo della vicenda storica messinese.

77
PIERI, La storia di Messina, cit., p. 32; STARRABBA, I diplomi della Cattedrale,
cit., docc. I-III, VIII, XIV e XV, pp. 1-4, 11 sgg., 20 sgg. e 21-23; CATALIOTO, Il vescovato
di Lipari-Patti, cit., ad indicem.
78
Si vedano, soprattutto, SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit.; C.A. GARUFI,
Per la storia dei monasteri di Sicilia nel tempo normanno, in «Archivio Storico Sici-
liano», VI, 1940.
79
WHITE, Il monachesimo latino, cit.
80
PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., p. 237.
81
A.R. LEVI, Riccardo Cuor di Leone e la sua dimora in Messina, in «Atti della R.
Accademia Peloritana», XV, 1899-1900, pp. 297-311; E. ROTA, Il soggiorno di Riccardo
Cuor di Leone in Messina e la sua alleanza con re Tancredi, in «Archivio Storico per la

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Luciano Catalioto

La dominazione sveva (1194-1266)

Gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo sono segnati dal passaggio
della corona del Regnum Siciliae dagli Altavilla agli Hohenstaufen, un
avvicendamento la cui drammaticità emerge emblematicamente nella
Epistola ad Petrum e che a Messina, teatro in quegli anni di avvenimenti
tumultuosi, avrebbe avuto esiti molto significativi e duraturi all’interno
della struttura demica e avrebbe inciso profondamente sulle trasforma-
zioni della società e dei suoi orientamenti politici82. Dopo la radicale de-
capitazione della classe dirigente di etnia greca, prodotta dall’azione di
Riccardo Cuor di Leone, si generò infatti un processo di “latinizzazione
del potere” che stravolse nell’immediato l’assetto della macchina bu-
rocratica e la composizione dei suoi quadri, ma i cui effetti più marcati
si sarebbero mostrati nel rafforzamento di un nuovo ceto di maiores ci-
vium, composto da uomini di cultura e di denaro, dal quale furono tenuti
lontani gli aristocratici e consistenti gruppi di mercatores.
Tuttavia, come opportunamente rilevato da Enrico Pispisa83, le
esperienze maturate dalla Città del Faro durante l’età sveva risentirono
della sostanziale differenziazione degli atteggiamenti assunti di volta
in volta dagli Hohenstaufen (Enrico VI, Federico II, Corrado IV e
Manfredi), sebbene non venisse mai meno in seno alla società mes-
sinese la volontà di perpetrare orientamenti tracciati nei precedenti de-
cenni e consolidare conquiste acquisite sino all’epoca di Guglielmo
il Buono, quali la costituzione di un solido ceto amministrativo e la
proiezione commerciale del proprio porto nel Mediterraneo e verso
Levante. D’altra parte, che Messina, clavis Siciliae della cronaca
malaterriana, in età sveva continuasse a gravitare più verso la Calabria
e i mercati mediterranei e orientali, piuttosto che nell’entroterra sici-

Sicilia orientale», III, 1906, pp. 276-83. Un quadro complessivo irrinunciabile è tracciato
da S. TRAMONTANA, La monarchia normanna e sveva, Torino 1986.
82
Epistola ad Petrum, cit.; TRAMONTANA, La monarchia, cit., pp. 212 sgg.
83
PISPISA, Messina in età sveva, in ID., Medioevo meridionale, cit., pp. 397-411; ID.,
Messina e Catania. Relazioni e rapporti con il mondo mediterraneo e l’Europa conti-
nentale nelle età normanna e sveva, in ivi, pp. 323-75.

– 20 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

liano, è suggerito dalla reiterata e rafforzata definizione di «clavis et


custodia totius Siciliae»84 espressa da Saba Malaspina allo scorcio del-
l’età sveva, quando cioè la sede messinese, «quasi in centro positam»
richiamava mercanti e visitatori «a diversis mundi partibus»85.
Come si è accennato, una struttura di lunga durata che caratterizzò
Messina nei secoli centrali del Medioevo è senz’altro individuabile
nel progressivo consolidamento di un ceto di burocrati e grandi mer-
canti immigrati (soprattutto pisani e genovesi), i quali non ebbero po-
tere politico, ma le cui attività generarono una diffusa ricchezza in
seno a gruppi di artigiani e piccoli mercanti, che si sostenevano prin-
cipalmente grazie al mercato calabrese. Le classi produttive e i piccoli
feudatari si proiettarono verso la Calabria, mentre nel territorio pelo-
ritano la modesta disponibilità di feudi e del connesso prestigio limitò
il potere dei milites, che nell’impossibilità di competere con i meliores
finirono per dare corpo con loro ad un’élite alquanto singolare, frutto
di una convergenza che non avrebbe prodotto conquiste autonomisti-
che né significativi episodi che possano indicare concreti tentativi di
scalata al potere politico.
Ma tornando alle delicate fasi dell’affermazione sveva nella Città
dello Stretto, Enrico VI, che in essa aveva trovato un solido sostegno
alla sua azione politica, mostrò di avere «particolarmente a cuore i ceti
dirigenti ed i mercanti di Messina, i quali potevano offrire un aiuto de-
cisivo»86. Attraverso una serie di provvedimenti normativi, adottati tra
il 1194 e il 1197, lo Svevo riordinò le competenze dello stratigoto e
dei giudici, le cui cariche vennero escluse dal meccanismo dell’ap-
palto per divenire prerogativa regia, e intraprese un’opera di raziona-
lizzazione amministrativa che tendeva a risaltare la centralità del ceto
burocratico nella gestione urbana, consentendo ai gruppi amministra-

84
SABA MALASPINA, Rerum sicularum historia: 1250-1285, in Cronisti e scrittori
sincroni napoletani, a cura di G. DEL RE, vol. II, Napoli 1868, p. 341.
85
I Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. FILANGIERI con la collabo-
razione degli archivisti napoletani, VIII (1271-1272), Napoli 1957, p. 135 (d’ora innanzi:
R.A. seguito dal numero del volume e della pagina).
86
PISPISA, Messina in età sveva, cit., p. 399.

– 21 –
Luciano Catalioto

tivi della città di assumere consistente autonomia commerciale e di


emergere anche sotto il profilo economico87. Questa felice stagione dei
nuovi emergenti, tuttavia, fu di breve durata, interrotta dagli indirizzi
normativi, fortemente restrittivi delle libertates mercantili e delle au-
tonomie urbane, che Federico II aveva assunto con le assise di Capua
del 1220 e avrebbe ribadito con più vigore nelle Constitutiones mel-
fitane del 1231 88. Messina, in definitiva, nel giro di un decennio vide
frammentato e svuotato di contenuti il proprio apparato burocratico,
svilita la capacità d’azione della sua curia stratigoziale sottoposta al ri-
gido controllo regio; ma, soprattutto, si ritrovò privata di consistenti
prerogative commerciali, che negli anni precedenti avevano garantito
un benessere esteso anche ai gruppi inferiori della cittadinanza.
Nel malcontento che tali misure alimentarono presso ampi strati
della società, soprattutto in seno al ceto mercantile, sono da ricercare
le cause della rivolta che nel 1232 esplose a Messina, estendendosi
presto in molti centri della Sicilia Orientale, e che fu orchestrata, oltre
che dal ceto mercantile, anche dagli ambienti feudali. La rivolta
venne soffocata nel sangue dalla durissima reazione dello Staufer, che
fece giustiziare il capo del moto messinese, Martino Mallone (Bel-
lone), insieme a molti altri, ma che non si rivolse contro il ceto buro-
cratico, per il quale si aprivano nuove prospettive di ascesa grazie al
drastico incremento degli uffici e delle attività ad essi connesse. Co-
minciò così ad emergere un ceto di maiores civium composto da “uo-
mini di cultura” e “uomini di denaro”, un gruppo alquanto omogeneo
di funzionari-amministratori che comprendeva anche judices, magi-
stri, notai, secreti, portolani e, almeno a partire dal 1230, «delegati
preposti alla vigilanza annonaria, stretti da giuramento alla retta ese-
cuzione della delicata funzione, e detti perciò giurati»89.

87
Capitoli e privilegi di Messina, cit., pp. 21-30; I Privilegi di Messina e di Trapani
(1160-1355) con un’appendice sui consolati trapanesi nel sec. XV, a cura di C. TRAS-
SELLI, Messina 1992 (1a ed.: Palermo 1949), pp. 28 sgg.
88
Gli effetti dell’azione fridericiana sul nuovo assetto della società messinese sono
estesamente esaminati da TRAMONTANA, La monarchia, cit., pp. 244-57.
89
PIERI, La storia di Messina, cit., p. 78.

– 22 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

In questo senso, nell’ultimo quindicennio dell’età sveva il ceto bu-


rocratico ampliò le proprie competenze e si rafforzò, dal momento che
l’assenza di controllo centrale negli anni di Manfredi e la politica lar-
gheggiante di Corrado IV in materia mercantile avevano fatto sì che
i centri urbani si impadronissero «della sfera amministrativa a loro de-
legata dai conti e dai maggiori baroni, i quali dominavano saldamente
ogni parte del Regnum, strumentalizzando a proprio vantaggio gli uf-
fici regi»90. Il baronaggio, infatti, ebbe agio di emergere solo dopo la
scomparsa di Federico II, sotto il cui dominio le forze nobiliari non
erano state messe in condizione di esprimere le proprie velleità ege-
moniche, e Messina, per un breve periodo (1251-1255), fu in mano
al feudatario calabrese Pietro Ruffo che, in opposizione a Manfredi
e in ossequio al papato, assunse il vicariato in Sicilia e Calabria91. Il
contrasto tra il conte di Catanzaro e Manfredi consentì momentanea-
mente al ceto dei populares di emergere, sotto la guida del messinese
Leonardo Aldigerio, e di tentare una singolare esperienza comunale
«more civitatum Lombardiae et Tusciae»92, la costituzione cioè di
«una federazione di città subordinata al fascino cupo della Chiesa ed
alla spirale della sua logica politica, e che Bartolomeo da Neocastro,
con felice espressione, chiamò repubblica di vanità»93. Soffocata sul
nascere dall’azione di Manfredi e avversata dalle forze feudali legate
al sovrano, tale sperimentazione autonomistica si mostrò ambigua e
disorganica, in ultima analisi effimera e sostanzialmente diversa dal
fenomeno, apparentemente analogo, che all’indomani del Vespro
avrebbe portato Messina alla costituzione di una Communitas Sicilie,
la quale non fu espressione dei ceti mediani e subalterni, ma venne
orchestrata in modo strumentale da un compatto gruppo di milites e

90
PISPISA, Il regno di Manfredi, cit., p. 402.
91
Sull’azione di Pietro Ruffo si veda PONTIERI, Ricerche sulla crisi, cit., pp. 5-128.
92
NICCOLÒ DI JAMSILLA, Historia, in Rerum Italicarum scriptores, vol. VIII, col.
579; si veda anche E. PISPISA, Nicolò di Jamsilla. Un intellettuale alla corte di Manfredi,
Soveria Mannelli 1984.
93
S. TRAMONTANA, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061-1282),
in AA.VV., Storia della Sicilia, 10 voll., Napoli 1980, vol. III, p. 279.

– 23 –
Luciano Catalioto

grandi feudatari, i quali avrebbero aperto le porte della città a Pietro


III d’Aragona94.
Nell’età di Manfredi, pertanto, le redini del potere economico fu-
rono nelle mani dei ceti burocratici e dei milites, ai quali è possibile
accomunare proprietari terrieri e uomini di denaro impegnati in spre-
giudicate transazioni immobiliari, ma soprattutto una folta schiera di
cives che al potere politico aggiungevano il prestigio culturale e la cui
rinomanza si sarebbe estesa ben oltre l’ambito locale, grazie all’atti-
vità del cosiddetto “laboratorio messinese”. Questo si collegò alla
“Scuola poetica siciliana” in modo originale, perché espressione
delle esperienze culturali della classe burocratica e non di un vivaio
di corte omologato e impersonale, ma anche perché il ceto dirigente
peloritano, attraverso l’impegno di questi funzionari-poeti, si accostò
«ad un patrimonio letterario che si estende alla letteratura in lingua
d’oïl e ad altri apporti»95. Meritano di essere quantomeno segnalati,
in questo milieu di burocrati-scrittori messinesi, Ruggero d’Amici,
Guido e Odo delle Colonne, Rosso di Messina, i fratelli Stefano, Bar-
tolomeo e Jacopo Mostacci, Stefano di Protonotaro, Mazzeo di Riccio,
Bartolomeo e Tommaso de Sasso, il filosofo Teodoro96. E a questo
proposito, occorre rilevare come la felice stagione culturale attraver-
sata da Messina nel XIII secolo lasciasse un’impronta profonda anche
grazie all’azione della Chiesa, anch’essa espressione dei ceti emer-
genti, nei cui scriptoria operarono traduttori dal greco e dall’arabo di
grande spessore culturale, come Bartolomeo e Stefano da Messina, e
la cui produzione figurativa attinse risultati di rilievo nel panorama
artistico europeo97.

94
Cfr. E. PISPISA, Il problema storico del Vespro, in «Archivio Storico Messinese»,
XXXVIII, 1980, pp. 57-82; E. DUPRÉ THESEIDER, Alcuni aspetti della questione del Vespro,
Messina 1954 e L. GENUARDI, Il comune nel Medioevo in Sicilia: contributo alla storia del
diritto amministrativo, Palermo 1921, pp. 120 sgg.
95
Si veda G. LIPARI, Per una storia della cultura letteraria a Messina dagli Svevi
alla rivolta antispagnola del 1674-78, in «Archivio Storico Messinese», XL, 1982, pp.
68-79.
96
PISPISA, Messina in età sveva, cit., pp. 404 e 409 sgg.
97
P. SANTUCCI, La produzione figurativa in Sicilia dalla fine del XII secolo alla metà
del XIV, in AA.VV., Storia della Sicilia, cit., vol. V, pp. 143 sgg.

– 24 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

In definitiva, possiamo affermare che, nel corso dell’età sveva,


Messina maturò una serie di esperienze attraverso i rapporti di volta
in volta instaurati con il potere regio, passando dalla breve stagione
di Enrico VI, caratterizzata dal rafforzamento della curia stratigoziale
e da una maggiore liberalizzazione delle attività mercantili, ai lunghi
anni della politica fridericiana, che svilì il governo della città con un
rigido controllo burocratico degli uffici e un drastico ridimensiona-
mento di qualsiasi forma di autonomia amministrativa e commerciale,
sia urbana che feudale. Sotto il dominio di Corrado IV e Manfredi, e
nelle episodiche espressioni di forme di governo alternative, la società
messinese si evolse attorno a tre poli ben definiti, cioè la Chiesa, i mer-
canti stranieri e il ceto burocratico, attorno al quale si muovevano gli
interessi dei milites e di alcuni proprietari terrieri. L’incontro di
queste forze, che produsse nell’immediato l’affermazione di un
gruppo rinnovato e ancora alquanto indistinto di maiores civitatis,
avrebbe dato frutti più maturi nel lungo termine e, pertanto, in questa
prospettiva possiamo affermare che Messina visse in epoca sveva
«una serie di decisive esperienze che prepararono quel profilo di cen-
tro dominato da amministratori-affaristi, che la città avrebbe piena-
mente assunto nel secolo seguente»98.

Messina angioina (1266-1282)

Durante il primo decennio del governo angioino, il «passaggio del-


l’amministrazione cittadina dalle mani degli officiali regii a quelle di
organi elettivi»99 segnò un’importante tappa in campo istituzionale e
legislativo, comportando profonde trasformazioni in ambito econo-
mico e sociale, e fu soprattutto la universitas Messanae ad acquisire
competenze amministrative e diritti elettivi, privilegi commerciali e

98
PISPISA, Messina in età sveva, cit., p. 201.
99
F. CALASSO, La legislazione statutaria nell’Italia meridionale. Le basi storiche. Le
libertà cittadine dalla fondazione del regno all’epoca degli statuti, Roma 1929 (rist. an.:
Roma 1971), pp. 175 sgg.

– 25 –
Luciano Catalioto

vantaggi fiscali di varia natura e insolita rilevanza100. Con il trasferi-


mento di una parte della gestione amministrativa alle rappresentanze
locali lo spirito del governo era profondamente mutato e il nuovo
orientamento politico della monarchia finiva per agire, soprattutto,
sulla coscienza collettiva, sollecitando dinamiche di classe molto
forti e producendo la formazione di nuovi equilibri sociali. Tali
istanze, che avevano portato all’aperta ribellione della città all’autorità
di Federico II nel 1232, suggerendo come «l’intera vicenda possa spie-
garsi con il rifiuto, da parte di universitates grandi e piccole, del nuovo
testo legislativo, del quale si temevano le forti valenze accentratrici
e limitatrici di pretese libertà»101, avrebbero anche determinato nel
1266 la pronta adesione di Messina agli Angioini, dai quali si era certi
di ottenere ampi spazi di autonomia amministrativa.
Carlo I d’Angiò, oltre ad accordare a Messina la facoltà di eleg-
gere judices e magistri iurati e ai cittadini quella di intervenire nella
nomina dei comites tramite referenze scritte (licterae testimonia-
les)102, delegò atti che prevedevano un concorso elettivo della univer-
sitas civium, come quelli pertinenti la ripartizione delle collette or-
dinarie (subventiones) e la custodia di uno dei registri da parte di un
proboviro (fidelis vir) eletto col concorso «communis universitatis ip-
sius»103, della distribuzione della nuova moneta (novi denarii) della

100
Una visione complessiva della vicenda siciliana in età angioina è in L. CATALIOTO,
Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina 1995. Si vedano,
inoltre, G. FASOLI, Tre secoli di vita cittadina catanese, in «Archivio Storico per la Sicilia
orientale», s. 4, VII, 1954, p. 128; S. TRAMONTANA, Gli anni del Vespro. L’immaginario,
la cronaca, la storia, Bari 1989, pp. 32 sgg.
101
F. MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput». Istituzioni municipali e gestione
del potere in un emporio del Mediterraneo, in AA.VV., Messina. Il ritorno della memoria,
Palermo 1994, p. 346.
102
G. DEL GIUDICE, Codice Diplomatico del Regno di Carlo I e II d’Angiò (1265-
1309), 3 voll., Napoli 1863-1902, vol. I, p. 147 e R. TRIFONE, La Legislazione angioina.
Edizione critica, Napoli 1921, p. 60, n. XLVII.
103
L. CADIER, Essai sur l’administration du royaume de Sicile sous Charles Ier et
Charles II d’Anjou, Paris 1891 (trad. it.: L’amministrazione della Sicilia angioina, a cura
di F. GIUNTA, Palermo 1974), pp. 46 sgg.; C. MINIERI-RICCIO, Saggio di codice diploma-
tico formato sulle antiche scritture dell’Archivio di Stato di Napoli, 2 voll., Napoli 1878-
1883, I, p. 128.

– 26 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

gestione di incarichi doganali, servizi di guardia, manutenzione di


strutture difensive, e così via104.
Non è un caso che Messina rimanesse sostanzialmente schierata
con gli Angiò durante la rivolta del 1267-1268105, sebbene un atto del
1269 informi che nel centro peloritano, nel corso della rivolta, si erano
manifestate aperte ribellioni da parte di baroni, milites e burgenses –
dai livelli sociali più alti, quindi, a quelli più bassi –, «nec non et ter-
rarum et bonorum suorum»106. In effetti i facinorosi furono perdonati
da Carlo107 e per i cittadini messinesi si aprì una felice stagione di pri-
vilegi doganali, provisiones relative al possesso di beni immobili e al-
tri vantaggi108. Nel febbraio 1272, ad esempio, una norma interdiva
a Messina l’importazione di vino, determinando il rincaro del prodotto
locale e prospettando un’allettante speculazione per gli operatori del
settore109; con lo stesso atto l’Angioino, reputando i cittadini di Mes-
sina sinceramente devoti e fedeli, «liberaliter eis – reddit – ad bene-
ficia et ad gratias liberales», concedendo il prestigioso privilegio della
“Galea Rossa”110. Infine, il commercio locale venne tutelato pure dalla
concessione regia all’adozione del rotolo comune (33 onze e 1/3),
«quod in cunctis Regni partibus observatur», in sostituzione di quello
tradizionalmente usato nel territorio messinese (30 onze) e che, in base
a quanto esposto dagli ambaxatores, determinava un «preiudicium
dicte civitatis»111. Il prestigio di Messina e il benessere diffuso dei suoi
habitatores, come peraltro suggerisce la vicenda delle leggi suntuarie
di cui si dirà in seguito, crebbe rapidamente negli anni Settanta e una
spia chiara di tale crescita emerge dalle ripartizioni degli oneri pre-
disposti dal vicario dell’isola per l’armamento della flotta, dove Mes-
sina, il 16 marzo 1276, venne chiamata a partecipare con un contributo

104
R.A. VIII, p. 96; X, p. 60; XIV, p. 60.
105
TRAMONTANA, Gli anni del Vespro, cit., p. 17.
106
R.A. II, p. 93.
107
Ivi, pp. 149 e 163.
108
R.A. VI, p. 151; VIII, p. 149.
109
R.A. IX, p. 287 e I Privilegi di Messina e di Trapani, cit., p. 36.
110
R.A. VI, p. 318.
111
R.A. VIII, pp. 136 e 264; X, p. 66.

– 27 –
Luciano Catalioto

ben più alto rispetto a quello imposto alle altre sedi siciliane (7 galee
di fronte a 4 per Palermo con Termini, 1 sola per Catania con Augusta,
e così via)112. L’attività dei cantieri messinesi si intensificò, sia per ga-
rantire all’Angioino un serrato collegamento con le coste africane e
i centri tirrenici, sia per fornire le imbarcazioni necessarie alla difesa
delle rotte nel settore orientale del Mediterraneo, mentre Messina bru-
licava di ogni sorta di visitatores non sempre graditi, ma testimoni co-
munque di un dinamismo commerciale diffuso presso tutti gli strati
della società113.
Fra il Duecento e il Trecento, quindi, le dinamiche sociali produs-
sero a Messina il consolidamento del ceto mediano e la promozione
di una casta di burgenses-giuristi professionalmente legati ai meliores
e ad essi vicini culturalmente114. Grazie agli ampi margini di autonomia
concessi da Carlo d’Angiò alle comunità urbane del Regnum Siciliae,
a Messina si andò costituendo una potente e inconsueta élite locale,
cioè un’oligarchia urbana guidata da intraprendenti mercanti-burocrati
legati a famiglie rapidamente arricchitesi attraverso i commerci e la ge-
stione in gabella di molti uffici, che era adesso protesa alla conquista
del cingolo militare perché fosse sanzionato anche il prestigio sociale.
Ma, nel lungo termine, la fortuna della compagine mediana sarebbe di-
pesa in larga misura dal ruolo esclusivo di detentori della cultura dei
suoi esponenti e l’esercizio dell’attività giuridica si mostrò sicura via
di ascesa sociale soprattutto a Messina, in questo senso il centro più
prestigioso del regno dopo Napoli, presso la cui scuola, «l’unica sede
frequentata dai siciliani dal 1224 al 1282»115, si erano sicuramente for-

112
R.A. XIII, p. 105. Nel luglio 1274 lo stratigoto peloritano era impegnato nell’ar-
mamento di tre galeoni e due galee per vigilare la zona del Faro (R.A. XI, p. 236).
113
Nel corso del 1271 l’Angioino ordinava ai suoi ufficiali provinciali «ne ambaxia-
tores civitatis Messane molestentur pro homicidiis clandestinis, propter multitudinem
advenarum, qui a diversis mundis partibus in eandem civitatem, quasi in centro positam,
confluunt» R.A. VIII, 135.
114
Sulla politica urbana di Carlo d’Angiò e, in particolare, sull’esempio messinese,
si veda CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., pp. 179-249.
115
A. ROMANO, “Legum doctores” e cultura giuridica nella Sicilia aragonese, Mi-
lano 1984, pp. 9, 28 e 46.

– 28 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

mati molti giuristi che operarono a Messina in qualità di judices o di


advocati, quali Natale e Pietro Ansalone, Donadeo Bove, Grifaldo Ca-
muglia, Giaimo Capello, Alemanno Cepulla, Nicolò Chicaro, Ferrerio
Cisterna, Guido delle Colonne, Cataldo Grifo, Rinaldo de Limogiis,
Francesco Longobardo, Giovanni Maniscalco, Peregrino de Maraldo,
Giovanni Rizzari, Giovanni de Rubeo, Santoro de Salvo, Nicolò Sa-
porito, Giovanni della Scaletta e molti altri116.
Fra le attività cui si dedicarono i membri del ceto dirigente urbano,
iter e strumento della loro promozione sociale, vi furono quindi quelle
connesse all’appalto ad cabellam di uffici pubblici (arsenale, dogana,
fondaci, macelli, officium rationum, portolanato, secrezia, zecca), e
quelle connesse all’esercizio di incarichi giuridici e notarili, per il cui
espletamento era d’obbligo disporre di una consolidata conoscenza del
diritto. Questa dinamica sociale allarmò Carlo d’Angiò, che alla fine de-
gli anni Settanta infittì il controllo del potere centrale sull’attività dei
porti siciliani e il 22 luglio 1278 sancì che nello scalo di Messina non
vi fossero più di tre portolani, uno dei quali eletto dalla curia e di origine
transalpina, i restanti nominati rispettivamente da parte del vicario
regio e dei magistri procuratores117. E come ulteriore contrappeso alla
presenza di famiglie egemoni locali, Carlo d’Angiò avrebbe quindi in-
coraggiato nel centro peloritano l’attività di un nutrito gruppo di affaristi
e mercanti stranieri, non solo marsigliesi e nizzardi, ma pure amalfitani,
fiorentini, pisani, pugliesi, senesi, sorrentini, veneti e, dopo gli accordi
di pace raggiunti con Genova, anche liguri, i quali ottennero beni im-
mobili – case, fondaci, logge, franchigie, immunità – e tassi assai con-
venienti sui diritti doganali delle merci esportate ( jus exiturae)118.

116
R.A. I, pp. 55, 58; VI, pp. 4, 119, 330, 331; X, p. 231; XIII, p. 139; GALLO, Gli
annali, cit., vol. II, pp. 94, 98, 100, 110, 113. Cfr. anche G. DEL GIUDICE, Bartolomeo
da Neocastro, Francesco Longobardo, Rinaldo de Limogiis giudici in Messina, in «Ar-
chivio Storico per le Province Napoletane», 12, 1887, p. 273.
117
R.A. XIX, p. 63.
118
R.A. II, p. 30; III, p. 62; V, pp. 92, 119 e 120; VI, pp. 171, 193 e 213; VIII, pp.
64, 66, 67, 70; X, p. 93; XI, p. 132; XIII, pp. 16, 30, 131 e 193; XIII, p. 72; XV, p. 44;
XV, p. 26; XVIII, p. 3.

– 29 –
Luciano Catalioto

Sarebbe interessante offrire una lettura più approfondita delle vi-


cende relative alle famiglie immigrate dal regnum peninsulare nelle fasi
del consolidamento monarchico e pienamente integrate nel tessuto so-
ciale di Messina, tra le cui maglie si espressero negli anni Settanta bu-
rocrati-mercanti e giurisperiti protesi verso la nobilitazione. Ma basti
qui citare, tra i più rappresentativi appaltatori di uffici, alcuni membri
di famiglie originarie di Aversa, Ravello, Scala, Telese e di molti centri
della Puglia, quali Bartolomeo e Leone Acconzagioco; Madio, Orso e
Stefano d’Afflitto; Pietro e Tancredi d’Alessio; Andrea e Rinaldo de Bo-
nito; Bisanzio e Goffredo Bucchinarro; Costanzo Cadirola; Bartolomeo,
Bonaventura e Giovanni Cataldo; Aldoino e Tommaso Caziolo; Fede-
rico e Riccardo de Falcone (Virgiliis); Giovanni Laconia; Guglielmo e
Leone de Pando; Bartolomeo e Giacomo Sasso; Costantino, Francesco
e Palio Spina; Matteo e Pescarolo da Trani; Nicolò Trara119. Un discorso
a parte, in effetti, andrebbe fatto per alcuni casati che espressero tra i
propri componenti affaristi, judices, notarii e terrerii, inseriti a tutti i li-
velli della struttura burocratica, come le famiglie d’Alessio, de Bello,
de Falcone o Virgiliis, de Maraldo, de Riso, Rogadeo e Rufolo120.
Un’attenzione particolare merita la casta dei iurisperiti, la cui pre-
senza appariva indispensabile all’economia di un’amministrazione
spiccatamente burocratica come quella peloritana, avviata verso una
rapida ascesa sociale che, dopo gli stravolgimenti del Vespro,
l’avrebbe portata all’identificazione con i milites attraverso una fase
di ricerca antagonistica di supremazia politica. Le figure più rappre-
sentative del nuovo ceto di giuristi si formarono tecnicamente presso
la sede messinese, dove furono attivi in età angioina diversi judices

119
R.A. II, pp. 136, 226; IV, pp. 99, 111, 153, 173; V, pp. 73, 89, 200, 233; VI, pp.
85, 116, 166, 192, 255, 328; VII, pp. 12, 22, 99, 197, 234; X, p. 17; XIII, pp. 59, 72; XIV,
pp. 20, 36, 39, 71, 111, 115; XV, p. 20; XVI, p. 146; XIX, pp. 21, 117, 223; XX, pp. 222,
249, 265; XXI, pp. 14, 24, 171, 180, 226, 240, 258, 263, 271, 275, 279, 281, 282, 284,
291, 292, 294, 295, 296, 299, 303, 313; XXII, pp. 89, 93, 115, 127,157, 158, 164, 169;
XXIII, pp. 126, 265, 298, 303; XXIV, pp. 29, 106; XXV, pp. 17, 80, 105, 189.
120
R.A. XIV, p. 36; XXII, p. 123. In un atto del 1278, ma che si riferisce a certi beni
occupati illecitamente nel corso dei primi anni Settanta da Nicolò e Matteo de Riso, è
menzionato Bartolomeo Rogadeo come ex titolare di un patrimonio feudale (R.A. XXI,
p. 260).

– 30 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

locali che, formati nell’ultima età sveva, ottennero dal sovrano an-
gioino la licentia exercendi advocationis121. Il già noto Guido delle
Colonne, ad esempio, judex Messanae nel 1266, nel comprensorio pe-
loritano avrebbe esercitato l’avvocatura all’inizio del 1270 prima di
entrare a far parte della corte stratigoziale nel 1272, e percorsi ana-
loghi seguirono le carriere dei giudici Simone de Burgundo, Francesco
Longobardo e Bartolomeo da Neocastro122.
In strettissima relazione con le pratiche commerciali della città si
svolse l’attività dei notarii, i cui atti rivestono un’enorme importanza
per un’obiettiva e attendibile ricostruzione della società, rappresen-
tando il termometro dei livelli di sviluppo economico dei ceti produt-
tivi e chiarendo i termini del singolare rapporto notaio-mercante in-
staurato nella sede messinese. La sua attività si svolgeva talvolta nella
pubblica piazza, come stipulatore di transazioni private123, oppure, con

121
CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., pp. 122 sgg.
122
R.A. I, p. 58 e VI, p. 330; GALLO, Gli annali, cit., pp. 105, 110 e 191. Nella con-
duzione della vita urbana siciliana emersero diversi altri cittadini peloritani, quali Or-
lando de Amicis, Natale Ansalone iunior, Pietro, Rinaldo e Ruggero Bonifacio, Bernardo
Coppola, Pietro Francisci, Costantino de Gramatico, Giovanni Guercio, Bartolomeo e
Pasquale de Marino, Ruggero Mastrangelo, Baldovino Mussone, Pulcherio Pisano, Fran-
cesco e Riccardo de Pulcaro, Giacomo Saladino, Bartolomeo Salimpipi, Giordano de
Saraceno, Nicolò Tallavia. Si veda R.A. II, p. 90; III, p. 258; V, p. 89; VI, pp. 42, 192,
202, 254, 255; VII, pp. 22, 209, 226; VIII, p. 167; X, pp. 23, 53, 60; XIV, pp. 36, 71; XV,
p. 25; XIX, p. 200; XX, pp. 226, 256; XXI, pp. 172, 179, 191, 275, 281, 300, 311, 327;
XXII, pp. 123, 127, 169; XXIII, p. 292; XXIV, pp. 29, 155; XXV, pp. 17, 189; GALLO,
Gli annali, cit., vol. II, p. 113. Figlio dell’omonimo messinese, Natale Ansalone fu zec-
chiere nella Città dello Stretto fra il 1278 ed il 1279, insieme al concittadino Baldo de
Riso, al palermitano Giacomo Sasso ed allo scalense Orso d’Afflitto, succedendo al pa-
lermitano Nicolò de Ebdemonia e ai peloritani Rinaldo de Bonito e Matteo de Riso (R.A.
XXI, pp. 271, 292, 294, 295 e XXIII, p. 303). Di notevole interesse è un documento che
contiene l’ordine di battere novi denarii diretto agli zecchieri di Messina il 23 giugno
1279: in esso compaiono dettagliate istruzioni sulla tenuta dei nuovi carlini ed è possibile
trarre un’utile tabella di cambio che ci consenta di rapportarne il valore a quello dei mar-
chi veneti e migliaresi, delle sterline d’argento, dei tornesi di Angiò, di Clarenza, di Poi-
tiers, provenzali e toscani (R.A. XXI, p. 18 e, in francese, p. 226).
123
«Fino a tutto il secolo decimoquarto i notai usavano stipulare all’aperto. In genere
si preferiva la piazza maggiore, dove si teneva il mercato e dove si davano abitualmente
convegno i commercianti» (A. LEONE, Il notaio nella società del Quattrocento meridio-
nale, Salerno 1979, p. 8).

– 31 –
Luciano Catalioto

la qualifica di funzionario regio, all’interno dei fondaci, dei macelli,


dei portolanati e delle secrezie, degli uffici doganali e di quelli ratio-
num. I rogatori di atti pubblici, che svolgevano mansioni di segreteria
o di cancelleria, oltre ad avere l’obbligo di rispondere a precisi requi-
siti ed essere sempre idonei all’incarico, incorruptibiles e fideles124,
dovevano essere dotati di una solida preparazione in campo giuridico
e legislativo, simile a quella dei judices, per la cui preparazione
tecnica il centro dello Stretto si presentava come il più prestigioso
dopo quello partenopeo. Non sorprende, pertanto, il fatto che larga
parte dei pubblici attuari impegnati in tutte le attività dei centri isolani
fosse di origine messinese o, comunque, da lunga data insediata nella
Città dello Stretto, presso la quale aveva avuto modo di formarsi e poi
di ricoprire incarichi regi presso la dogana o il fondaco, come Gu-
glielmo Fabro di Radario, il salernitano Matteo Manganario, Gu-
glielmo di Piacenza, Guiduccio Tarabotta e altri125.
Fra le figure emergenti della compagine notarile locale, impegnate
nella prima metà degli anni Settanta presso le strutture amministra-
tive e finanziarie di Messina, alcune avrebbero successivamente ot-
tenuto la concessione di beni feudali nello stesso distretto in cui eser-
citavano l’ufficio, altre beneficiarono di prestigiosi incarichi in altri
giustizierati, come nel caso dei membri delle famiglie Calvaroso, de
Magistro, Marcabei, de Marino, Ruffo126. Di molti altri notai siciliani
abbiamo notizia attraverso gli atti della cancelleria angioina, basti os-
servare che nel territorio peloritano, durante il solo biennio 1270-

124
A questo riguardo si veda TRIFONE, La legislazione, cit., p. IL.
125
R.A. II, 86; VI, p. 327; VIII, pp. 68, 71, 74; IX, p. 42.
126
Bartolomeo de Marino, insediato il 20 febbraio 1270 come notaio regio presso la
corte stratigoziale di Messina, cinque anni dopo avrebbe svolto le stesse mansioni presso
il giustiziere di Terra di Lavoro e Contea di Molise (R.A. III, p. 258; XII, p. 61); Pasquale
de Marino nel 1270 era notaio in sicla Messane e nel 1276 avrebbe ottenuto un feudo
nella Piana di Milazzo (R.A. VI, p. 254 e XIII, p. 38). E poi ancora i cives Messane Gu-
glielmo de Assinchio, Costantino di Cumia, Stefano di Messina, Giovanni de Nicoloso,
Stefano de Tacca (R.A. I, p. 43; V, p. 255; VI, pp. 169, 170, 327; VII, p. 211; VIII, pp.
64, 75, 135; XIII, p. 20; XV, p. 50; XIX, p. 175).

– 32 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

1272, ottennero l’autorizzazione all’esercizio della professione circa


cinquanta rogatori127.
Su alcuni rappresentativi membri della casta notarile siciliana sa-
rebbe necessario soffermarsi con maggiore riguardo, vista l’enorme
incidenza che le rispettive famiglie esercitarono sulle dinamiche so-
ciali in rapida evoluzione presso la Città del Faro. È a tal riguardo
indicativo il fatto che alcune di queste congreghe familiari, sebbene
in età aragonese il ruolo esclusivo di detentori della cultura giuridica
entrasse in crisi con l’allargarsi della cultura stessa e il diffondersi
dei juris doctores, continuarono ad esercitare un concreto potere po-
litico sin oltre il tramonto della monarchia angioina, anche quando
la funzione dei notai «lentamente viene meno, sino a limitarsi a
quella di estensori dell’atto giuridico e garanti della sua forma e au-
tenticità»128. La fortuna dei de Riso, de Maraldo e de Bello, dotati
all’origine della loro ascesa sociale di ingenti disponibilità finanzia-
rie accantonate attraverso una pratica accorta della mercatura, pog-
giò sulla loro presenza diffusa in tutti i centri del potere, tanto ai ver-
tici della pubblica amministrazione che in seno all’apparato
giuridico129. In questo senso, quello dei de Riso appare il gruppo fa-
miliare più idoneo a rappresentare, con una certa completezza di sfu-
mature, la facies sociale e le tendenze del ceto mediano messinese
in età angioina, soprattutto attraverso l’azione del miles Matteo, che
si affacciò alla vita amministrativa della città falcata nel settembre
1269, con l’incarico di nauclerius (protontino), e scalò rapidamente
i vertici della milizia e quelli dell’apparato burocratico, sino alla ca-
rica di maestro portolano e procuratore, cavalcando con spregiudi-

127
R.A. V, p. 141.
128
ROMANO, “Legum doctores”, cit., p. 45.
129
Pellegrino de Maraldo fu iudex Messane, vicesecreto, maestro procuratore e por-
tolano (R.A. VIII, p. 73; X, p. 23); della famiglia de Bello, la cui attività venne svolta
quasi esclusivamente nell’ambito della città di Messina, Bellonio fu actorum notarius
(R.A. IV, p. 109; VII, pp. 22 e 192; XII, pp. 16, 202), Aliprando e Donadeo notarii campi
Messanae (R.A. IV, p. 164), e, attestando l’esercizio di un vero e proprio monopolio,
Giovannino fu notarii buczetti (R.A. VII, p. 211 e VIII, p. 66) e successivamente appal-
tava la carica di secretus Siciliae (R.A. IX, p. 42).

– 33 –
Luciano Catalioto

catezza contingenti necessità belliche e obblighi diplomatico-com-


merciali della monarchia130.
Al tragico epilogo della famiglia de Riso, sopravvenuto nel corso
della rivolta del 1282, corrisponde la diversa sorte di molte altre figure
emergenti del centro messinese, le quali, adattandosi alla nuova realtà
e aderendo agli Aragonesi, continuarono ad esercitare la propria
carica e ad occupare un posto di primo piano in seno alla nuova so-
cietà cittadina, accanto a quegli elementi del ceto nobiliare-urbano che
adesso potevano rivendicare un ruolo dirigenziale e consolidare il pro-
prio potere. Ma l’esclusione dalla gestione del potere del forte casato
messinese, attuata attraverso l’eliminazione fisica dei suoi componenti
(Matteo, Giacomo e Baldo de Riso) o il loro esilio, denuncia innanzi
tutto la presenza di forti tensioni all’interno della compagine mediana
del centro peloritano e l’esistenza di una lotta sotterranea. Questo con-
fronto, tuttavia, non avrebbe causato un azzeramento dei ceti dirigenti,
né un radicale rovesciamento dei rapporti di potere interni alla uni-
versitas, ma avrebbe lasciato emergere, accanto ai gruppi consolidati
di mercanti-burocrati e uomini di legge, un’agguerrita schiera di
grandi e piccoli feudatari, dai quali sarebbe emersa una singolare no-
biltà che sarebbe più appropriato definire “patriziato urbano”131.
Il gruppo dei milites, infatti, non sarebbe riuscito a conquistare uno
spazio rilevante ai vertici della società peloritana prima del Vespro,
momento che avrebbe siglato la loro concreta rivalsa sui ceti mediani
dietro la spinta di Alaimo da Lentini, sebbene la casta feudale, cui non
conveniva rinunciare alla cultura tecnico-giuridica propria dei melio-
res, mirasse piuttosto ad un’alleanza con l’apparato burocratico e si
mostrasse pure disposta ad accettare un’osmosi fra le due compa-
gini132. Tanto più che i meliores civium, che avevano il diritto di
eleggere gli acatapani, potenziarono le proprie attribuzioni a partire
dalla metà degli anni Settanta del Duecento, quando si arrogarono gra-

130
R.A. V, pp. 102, 106, 132.
131
Si veda PISPISA, Messina medievale. Uno sguardo, cit., p. 204 e ID., Messina nel
Trecento, cit., passim.
132
Ivi, p. 28.

– 34 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

dualmente anche il privilegio di nominare i membri della iuratia, le


cui funzioni si sarebbero sovrapposte a quelle dei primi, tanto da in-
durre Federico III, nel 1311, a vietare ai giurati di assumere, sicut ac-
tenus, l’ufficio di acatapano133. D’altra parte, sino a tutto il XIII
secolo, nel processo formativo della nuova élite e nell’azione politica
condotta dalla universitas Messanae, il ruolo di gruppi cittadini situati
nei più bassi gradini della scala sociale, i populares, fu decisamente
marginale, mentre la conferma da parte del sovrano di alcuni statuti
suntuari e la loro successiva revoca testimonierebbe l’incontro-
scontro fra burgenses e nobili, i quali si sarebbero alternati nella guida
dell’amministrazione locale e avrebbero proiettato nei successivi de-
cenni precisi «modelli comportamentali a fini politici»134.

L’età aragonese (1282-1479)

A partire dal 1282 Messina fu quasi ininterrottamente dominata da


grandi baroni135. Ai vertici si pose dapprima Alaimo da Lentini, che
larga parte aveva avuto nelle vicende del Vespro, poi, fino al 1354, do-
minarono i Palizzi, quindi Enrico Rosso controllò il centro peloritano

133
Utile al riguardo GENUARDI, Il comune, cit., pp. 186 e 200 sgg., il quale osserva
come in quasi tutte le città siciliane, durante il regno aragonese, fosse attivo l’ufficio
della acatapania, retto dagli acatapani o maestri di piazza che derivavano dai giurati
preposti ai mercati nell’età di Federico II.
134
MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 347. Il testo relativo alle leggi
suntuarie emanate per Messina il 16 giugno 1272 è integralmente riportato in R.A. VIII,
p. 185 e IX, p. 290; l’applicazione di uno statuto suntuario super moderandis dotibus et
cohercendo mulierum ornata venne confermata, dietro richiesta di alcuni cittadini mes-
sinesi presentatisi alla curia in qualità di ambaxatores e syndaci, allo stratigoto del centro
peloritano il 30 aprile 1273 (R.A. X, p. 63). Si veda, inoltre, G. DEL GIUDICE, Una legge
suntuaria inedita del 1290, Napoli 1887, p. 162.
135
Cfr. E. PISPISA, Il baronaggio siciliano nel Trecento: uno sguardo d’insieme, in
ID., Medioevo meridionale, cit., pp. 243-61; S. TRAMONTANA, Michele da Piazza e il po-
tere baronale in Sicilia, Messina-Firenze 1963; E. MAZZARESE FARDELLA, L’aristocrazia
siciliana nel secolo XIV e i suoi rapporti con le città demaniali: alla ricerca del potere,
in Aristocrazia cittadina e ceti popolari nel tardo Medioevo in Italia e in Germania, a
cura di R. ELZE – G. FASOLI, Bologna 1984, pp. 177-93.

– 35 –
Luciano Catalioto

ad intervalli irregolari fino al 1375 e, infine, esercitarono la loro in-


fluenza per tutti gli anni Ottanta gli Alagona. I milites, da parte loro,
oltre lo sfruttamento di modeste proprietà in città e nel territorio cir-
costante, curarono principalmente insieme ai meliores la gestione de-
gli uffici e operazioni speculative, come l’appalto di gabelle, attività
di cambio e di prestito, vari generi di traffici. Questo gruppo compo-
sito, prima di realizzare una piena osmosi, avrebbe raggiunto un
certo equilibrio di potere, giacché, se è vero che i milites, forti della
loro competenza tecnico-giuridica acquisita già nel periodo angioino,
ebbero la preminenza all’interno della curia stratigoziale, è molto pro-
babile che, da parte loro, i meliores finissero per esercitare un vero e
proprio monopolio nell’ambito della giurazia. Inoltre, occorre osser-
vare che anche i milites privi di consistenti beni terrieri acquistarono
prestigio, in virtù della loro cultura giuridica, e la compagine dirigente
vide così il prevalere al suo interno dei cavalieri; ma d’altra parte, ai
burgenses fu possibile l’accesso al cavalierato, quando adeguatamente
sostenuti dalle proprie disponibilità finanziarie e muniti anche loro
della necessaria preparazione culturale136.
Nella vita economica messinese erano presenti altri gruppi sociali
che comprendevano magistri, medici ed agricoltori137, ma soprattutto
piccoli trafficanti incalzati dalla vivace espansione degli appetiti di mi-
lites e meliores, e artigiani che seppero approfittare della notevole cir-
colazione di denaro per assumere importanti commesse138. Tutto ciò
comportò una diversa distribuzione della ricchezza e, di conseguenza,
un accentuato dinamismo delle proprietà immobiliari e terriere a Mes-
sina e nel suo distretto. Questi cambiamenti danno la misura del-
l’evoluzione economica e sociale del centro peloritano, mostrando una

136
Si vedano le osservazioni di Federico Martino a proposito della composizione
degli iudices a Messina tra il Vespro ed i primi anni del Trecento, dove risulta che quattro
famiglie attingono la militia tramite l’esercizio di cariche amministrative: MARTINO,
«Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 355.
137
CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. I, n. 106, pp. 232-35; vol. II, n. 180, pp. 152-
58; n. 192, pp. 191-93; n. 197, pp. 209-14; n. 221, pp. 292-96; n. 222, pp. 296-300; n.
231, pp. 325-30; nn. 254-55, pp. 406-13.
138
Ivi, pp. 120 sgg.

– 36 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

società in movimento nella quale, accanto ad influenti benestanti, vi-


vevano piccoli proprietari molto attivi nel tenimento peloritano, la cui
fisionomia aveva assunto forma durante la breve stagione angioina, ca-
ratterizzata dalla messa a coltura di terrae vacuae e da una massiccia
ridistribuzione di beni confiscati ai proditores regni139. Appaiono signi-
ficative, per delineare l’andamento dell’economia e della dialettica so-
ciale a Messina nel corso del Trecento, le testimonianze relative alle
fiumare e alle altre terre del tenimento peloritano, come quelle di Af-
tilia, Camaro e Cataratti, San Filippo il Grande, le contrade di Cumia,
Mili, Salice, San Giacomo, Santa Maria Annunziata e Santa Maria de
Scalis140. Interessante osservatorio è costituito, in particolare, dal Ter-
ritorio del Faro, dove molti documenti tratti dal tabulario di Santa Ma-
ria di Malfinò, oltre ad attestare la presenza del notaio Nicolò de Gre-
gorio, del milite Bonfiglio Longobardo, dei Palizzi e di Nicoloso de
Riso, rivelano pure la presenza di altri personaggi, come il mercante
Ruggero Aceto, sicché si può osservare che l’accaparramento di beni
terrieri interessò anche i commercianti, oltre che i nobili e i burocrati141.
In questo senso, la rapida ascesa di milites e burocrati, sostenuti
dalla politica di Pietro III, Giacomo II e Federico III142, prospetta
l’impetuoso incremento delle proprietà di nobili, amministratori, finan-
zieri e altri personaggi di cui non è possibile definire le attività, ma che
probabilmente erano in gran parte affaristi e mercanti143. Significativa
appare, ad esempio, la presenza del milite Grassotto Grasso insieme
al fratello Bonino in un notevole giro finanziario di 450 fiorini, con-
dotto nel 1308 con i Peruzzi e certi mercanti marsigliesi144, come
anche il fatto che gli judices fossero regolarmente coinvolti nelle tran-

139
CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., cap. II. e passim.
140
CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. II, nn. 233 e 244, pp. 335-40 e 374-78.
141
Ivi, vol. II, nn. 146, 154, 191,193-96, 201, 202, 206-8, 210, 212, 213, 215, 225,
227, 228, pp. 43-46, 76-79, 188-91, 194-208, 223-28, 237-51, 254-57, 260-67, 272-75,
307-9, 312-19.
142
PISPISA, Messina nel Trecento, cit., pp. 5 sgg.
143
CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. I, n. 110, pp. 242-46; vol. II, n. 173, pp. 132-
4; n. 176, pp. 140-42; n. 184, pp. 165-68; n. 187, pp. 174-77; n. 204, pp. 231-34; n. 249,
pp. 393-96.
144
Ivi, n. 145, pp. 40-43.

– 37 –
Luciano Catalioto

sazioni145, i meliores, oltre a collaborare con i milites nel commercio,


finanziassero altri trafficanti146 e i notarii si dedicassero pure al finan-
ziamento degli artigiani147. Tra gli intraprendenti uomini d’affari emer-
genti a partire dagli anni di Federico III, figurarono i fratelli Nicolò e
Filippo de Adam, Bartolomeo de Arcudio, il milite Nicoloso de Bri-
gnali, il notaio Giacomo Marchesano, Simone de Pachi, Perrone Pi-
stelli, Bentivegna di San Bartolomeo e altri148. Ma, dopo la successione
di Pietro II, le cose sarebbero cambiate e la lunga guerra tra le parzialità
baronali avrebbe sottratto a Messina gran parte del suo dominio sul
mercato regionale, conducendo ad una grave crisi i medi e piccoli mer-
canti. I nobili-burocrati, con l’appoggio del re e dei Palizzi sino al 1354,
avrebbero comunque continuato a prosperare grazie alla monocoltura
granaria impiantata nei loro feudi ubicati in Val di Noto e all’amplia-
mento dei propri beni terrieri presso Messina, che avrebbero consentito
loro di controllare stabilmente il mercato alimentare cittadino149.
In definitiva, dall’età di Federico III fino all’arrivo dei Martini i ver-
tici amministrativi della città furono occupati dapprima da un gruppo
egemone poco omogeneo, distinto al suo interno in virtù del prestigio
sociale determinato dal cingolo militare, che comprendeva milites, ma-
iores e meliores. Ma nei decenni successivi la fusione dei vari gruppi
posti ai vertici amministrativi ed economici avrebbe dato vita a quel
particolare ceto che, come si è detto, appare corretto definire patriziato
urbano150. Questo ceto dirigente si costruì lentamente un patrimonio

145
È il caso, tra gli altri, di Bartolomeo Peregrino: CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol.
I, n. 186, pp. 172-74 e n. 219, pp. 287-88.
146
Ivi, n. 203, pp. 229-31.
147
Ivi, n. 141, pp. 28-32.
148
Ivi, vol. I, nn. 116 sgg., 117, 121, 124-126, 128, 132, pp. 260-63, 264-69, 279-81,
289-304, 308-11, 324-27; II, nn. 137, 144, 147, 149, 163, 170, 172,188, 217, 247 e 248,
pp. 17-20, 37-40, 47-50, 56-61, 105-10, 120-23, 127-31, 178-82, 278-82, 386-93.
149
E. PISPISA, Economia e società a Messina nell’età di Federico III, in ID., Medioevo
fridericiano, cit., pp. 251-64. M.G. MILITI – C.M. RUGOLO, Per una storia del patriziato
cittadino in Messina (problemi e ricerche sul secolo XV), in «Archivio Storico Messi-
nese», XXIII-XXV, 1972-1974, p. 119.
150
Si veda C. SALVO, Una realtà urbana nella Sicilia medievale. La società messi-
nese dal Vespro ai Martini, Roma 1997, passim.

– 38 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

terriero nella Sicilia del grano e si dedicò al commercio, soprattutto –


sostiene Stephan Epstein151 – a quello regionale, lungo le sponde ca-
labresi sino alla perdita del suo controllo nel 1350, quindi indirizzato
verso la stessa Sicilia. La costituzione del patriziato urbano nella Città
dello Stretto può essere considerata un fenomeno di lungo termine, dal
momento che, come ha osservato Enrico Pispisa, il patriziato stesso «si
formò, dopo l’incubazione di un secolo, tra la fine del Trecento e l’ini-
zio del Quattrocento e dominò, con alterne vicende, Messina fino al-
l’inizio del Cinquecento, quando i populares entrarono stabilmente nel
ceto dirigente»152. In effetti un momento fondante è costituito dalla de-
cisione di Federico III di escludere dagli uffici civili la nobiltà feudale,
offrendo così ai meliores civium il potere di scegliere i funzionari cit-
tadini e la possibilità di sottrarre autorità allo stratigoto e alla sua curia.
I sei giurati eletti ogni anno dai meliores, in sostanza, finirono per con-
trollare tutti gli aspetti amministrativi, relativi alle finanze e ai com-
merci, mentre le questioni militari e di amministrazione della giustizia
costituirono le competenze specifiche dello stratigoto.
Tuttavia, l’osmosi tra milites e meliores si realizzò anche grazie
all’opera di mediazione dei Palizzi, che durante la loro lunga egemo-
nia (esercitata sino al 1354 da Matteo, Nicolò, Damiano senior, Da-
miano junior e Vinciguerra), controllarono l’economia locale con l’ap-
poggio non sempre limpido di grossi mercanti genovesi, come i
Doria e, successivamente, i Lercaro153. Il potere dei Palizzi resistette
ai tentativi di ristabilire il controllo centrale effettuati dal duca Gio-
vanni di Randazzo, e uscì indenne dalla rivolta messinese del 1342,
ma non dalla peste nera che si abbatté pesantemente su Messina. Negli
anni successivi, il potere di un altro feudatario emergente, Enrico
Rosso, venne arginato dall’élite peloritana che operò in accordo con

151
S.R. EPSTEIN, An Island for itself. Economic development and social change in
late medieval Sicily, Cambridge 1992, pp. 250 sgg. (trad. it.: Potere e mercati in Sicilia.
Secoli XIII-XVI, Torino 1996, da cui si cita).
152
PISPISA, Messina medievale. Uno sguardo, cit. p. 204.
153
ID., Messina nel Trecento, cit., pp. 5-37 e passim; ID., Stratificazione sociale, cit.,
pp. 388 sgg.; TRAMONTANA, Michele da Piazza, cit., pp. 256 sgg.; C. TRASSELLI, Note per
la storia dei banchi in Sicilia nel XIV secolo, Palermo 1958, pp. 63 sgg.

– 39 –
Luciano Catalioto

grossi mercanti stranieri, causando così un notevole danno finanziario


agli operatori locali e generando uno stato di tensione in seno ai ceti
inferiori della società. Questi attriti, comunque, incisero molto poco
sugli assetti del potere cittadino, i cui detentori sfruttarono il debole
controllo degli Aragonesi, impegnati nella lunga ed estenuante Guerra
del Vespro, e approfittarono dei torbidi feudali tra parzialità latina e
catalana, che nel 1377 giunsero al compromesso del vicariato a
quattro (Alagona, Chiaramonte, Peralta e Ventimiglia), per rafforzare
le proprie prerogative154.
Durante il regno dei due Martini (1391-1410) e la breve reggenza
di Bianca di Navarra (1410-1412), Messina, insieme a Palermo e a Ca-
tania, giocò un ruolo fondamentale nella strategia della conquista ara-
gonese e nelle delicate fasi del suo assestamento155. La nobiltà civica
peloritana, però, ebbe margini di autonomia maggiori rispetto alle altre
due sedi dell’isola, perché più svincolata dalla pressione baronale, e
poté quindi sostenere il progresso economico della città, di cui si av-
vantaggiarono principalmente i ceti mercantili, e alimentare le ambi-
zioni municipalistiche che d’ora innanzi avrebbero fatto da sfondo alle
vicende urbane dell’isola. Per collocare adeguatamente le istanze dei
ceti messinesi all’interno del processo sociale della universitas, è ne-
cessario esaminare, oltre ai testi delle “antiche consuetudini”156, i con-

154
Un quadro esaustivo delle vicende politiche, economiche e sociali dell’isola fra
il Trecento e il Quattrocento è offerto, tra gli altri, da F. GIUNTA, La Sicilia angioino-ara-
gonese, Vicenza 1961; ID., Aragonesi e catalani nel Mediterraneo, vol. I, Palermo 1953;
V. D’ALESSANDRO, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963; I. PERI, La
Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne (1282/1376), Roma-Bari 1982; ID., Re-
staurazione e pacifico stato in Sicilia (1377-1501), Roma-Bari 1988; H. BRESC, Un
monde méditerranéen. Economie et société en Sicile 1300-1450, Palermo 1986; P. COR-
RAO, Governare un regno, Napoli 1991; S. FODALE, Scisma ecclesiastico e potere regio
in Sicilia, I, Il duca di Montblanc e l’episcopato tra Roma e Avignone (1392-1396), Pa-
lermo 1979; ID., Il clero siciliano tra ribellione e fedeltà ai Martini (1392-1398), Pa-
lermo 1983.
155
Sull’età martiniana in Sicilia si vedano: R. MOSCATI, Per una storia della Sicilia
nell’età dei Martini, Messina 1954; PIERI, La storia di Messina, cit., A. BOSCOLO, La po-
litica italiana di Martino il Vecchio re d’Aragona, Padova 1962.
156
V. LA MANTIA, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, Prefazione di A. RO-
MANO, Messina 1993, pp. 1-55.

– 40 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

tenuti dei capitoli presentati dalla cittadinanza ai nuovi sovrani tra il


1392 e il 1396 per l’approvazione di privilegi che furono prevalente-
mente di natura economica157. E in questo senso assumono rilievo le
istanze contenute in un documento del 1396, edito recentemente da En-
rico Pispisa, che danno la misura del potere contrattuale esercitato dai
ceti dirigenti peloritani, ma soprattutto lasciano emergere come i rap-
porti dialettici e le intese di collaborazione tra Messina e la Corona fos-
sero determinati dallo stato di necessità attraversata da quest’ultima nel
corso del proprio consolidamento e, pertanto, «acquistino più il sapore
di un ricatto che di semplici richieste»158.
Le richieste formulate nei paragrafi dei capitoli miravano, soprat-
tutto, alla tutela dell’economia urbana e al potenziamento del potere
mercantile di un ceto che traeva maggiori benefici dalle transazioni
commerciali che dagli investimenti terrieri e immobiliari. Sicché, tra
gli altri, venne sollevato il problema della pirateria, che appare di ma-
trice catalana più che saracena; si perseguì, inoltre, l’ampliamento del
distretto e la possibilità di controllare il territorio con funzionari cit-
tadini; altri capitoli, infine, miravano al riconoscimento dell’egemonia
di Messina sulle altre città dell’isola e ad allentare il controllo regio
sul governo urbano, come quelli relativi alla conferma dello stratigoto
e alla regolamentazione degli uffici di acathapani, iudici, iurati e no-
tarij actorum, che si chiedeva fossero «annali et chitadini di Mis-
sina»159. La città, in effetti, ebbe buon gioco quando si trattò di richie-
ste relative allo sviluppo economico e alla tutela commerciale, anche
nei casi in cui, allacciando collegamenti diretti con i mercanti vene-
ziani, dovette aggirare le resistenze di Martino, che sosteneva gli ope-
ratori catalani pur garantendo una certa continuità nei commerci con
la Serenissima160. Però, problemi sostanziali tra l’Università peloritana

157
Capitoli e privilegi di Messina, cit., p. 147.
158
E. PISPISA, Messina e i Martini, in ID., Medioevo meridionale, cit., p. 416; il do-
cumento è pubblicato alle pp. 429-35.
159
Capitoli e privilegi di Messina, cit., p. 147.
160
R. CESSI, Venezia e i regni di Napoli e Sicilia nell’ultimo trentennio del sec. XIV,
in «Archivio Storico per la Sicilia orientale», 8, 1911, pp. 321 sgg.

– 41 –
Luciano Catalioto

e i Martini si presentarono quando Messina chiese la reintegrazione al


proprio demanio delle terre usurpate dai baroni, sia catalani sia latini,
del cui sostegno la corona non poteva fare a meno161. Tale circostanza
lascia emergere delle questioni di fondo, che potremmo individuare
nell’inarrestabile crescita del potere baronale, nella lenta involuzione
del potere esercitato dai ceti cittadini emergenti e, soprattutto, in una
politica regia incline alle concessioni per necessità: Martino il Vecchio,
di fatto, nel momento in cui la corona apparve rafforzata da favorevoli
esiti in campo internazionale e da un consenso più diffuso nell’isola,
non esitò a ritornare sui propri passi e riprese il controllo della Città
del Faro tramite una fitta maglia burocratica e l’avvicinamento alle
istanze baronali. Alla morte di Martino II, nel 1410, e dopo il declas-
samento della Sicilia al rango di viceregno ad opera del nuovo sovrano
Ferdinando I, Messina sarebbe stata tagliata fuori dall’agone politico
che infiammò l’isola nei torbidi anni della successione e in quelli del-
l’assestamento viceregio. Tuttavia, sebbene la fine del regno indipen-
dente vanificasse le aspirazioni politiche del patriziato urbano messi-
nese, «si schiudeva per l’isola e per la città del Faro una nuova epoca
particolarmente prodiga nei confronti di Messina, che avrebbe rag-
giunto posizioni economiche mai attinte prima»162.
Le testimonianze relative allo sviluppo urbanistico di Messina
nell’età aragonese, offrono l’immagine di una città in piena espansione
demica (forse 30.000 abitanti), popolata da famiglie emergenti e nu-
merosi artigiani e commercianti che diedero nome a rugae e quartieri
(argentieri, bottai, calzolai, orefici, setaioli, ecc.) e sotto i Martini frui-
rono della fiera, potenziata e regolamentata nel Quattrocento. La
città vecchia, compresa tra i torrenti Boccetta e Portalegni e accessi-
bile dalle porte Sant’Antonio e Reale, si era ampliata extra moenia già
nell’ultima età sveva con la costruzione della chiesa di San Francesco

161
Esemplare, al riguardo, il fallimento delle ambascerie condotte dai messinesi Ja-
copo Castello e Tutio Umano nel corso del 1399: Capitoli e privilegi di Messina, cit., pp.
153 sgg. e MOSCATI, Per una storia, cit., pp. 95 sgg.
162
PISPISA, Stratificazione sociale, cit., p. 394. Si veda, per un’indagine più estesa,
ID., Messina nel Trecento, cit., pp. 335-40.

– 42 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

d’Assisi, ma la sua crescita disordinata fra XIV e XV secolo, lungo la


magistra ruga – il Dromo ad essa parallelo, le poche piazze che si mo-
stravano piuttosto come spazi non edificati e, soprattutto, il porto –, at-
testa un’espansione alquanto caotica, connotata da un’edilizia di
scarso pregio, che puntava sulla funzionalità dell’aggregazione umana
e, al di là di pochi esempi di dimora nobiliare, riproponeva una tipo-
logia polinucleata attorno ad uno spazio comune che «per la Sicilia
è stata anche di derivazione islamica»163.
Un fenomeno molto importante nel Quattrocento messinese, in ef-
fetti, è quello della crescita economica, particolarmente vivace e dif-
fusa presso tutti i ceti, sostenuta peraltro dall’esercizio di nuove pra-
tiche mercantili, come il commercio della seta e dei cannameli, le
quali comportarono il flusso continuo di mercanti stranieri di passag-
gio lungo la rotta di Levante o delle Fiandre e, soprattutto, l’apertura
dei traffici anche agli operatori locali di estrazione popolare. Tale dif-
fuso benessere economico, in sostanza, attenuò i contrasti di classe e
produsse un bipolarismo tra due gruppi dominanti, il patriziato e il po-
polo, i cui contrasti sono riconducibili esclusivamente alla spartizione
del potere, senza che ne venisse posto in discussione il sistema. Che
la natura dello scontro tra gruppi sociali non debba identificarsi con
una lotta di classe è dimostrato da un recente studio, in cui viene pro-
posta come chiave interpretativa delle dinamiche sociali nella Messina
del XV secolo un’indagine sulle professioni e sui mestieri (notai, ma-
gistrati, giuristi)164. In questa prospettiva è da inquadrare il lungo con-
trasto che oppose nobiles, honorabiles e magistri in un confronto, cul-
minato nella rivolta di Giovanni Mallono del 1462, che si sarebbe
stemperato nel secolo successivo165.

163
M.G. MILITI, Vicende urbane e uso dello spazio a Messina nel secolo XV, in
«Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», I, 1983, p 67.
164
E. PISPISA, Ceti sociali professioni e mestieri a Messina nel Quattrocento, in ID.,
Medioevo meridionale, cit., p. 440.
165
Si veda a questo proposito C.M. RUGOLO, Ceti sociali e lotta per il potere a Mes-
sina nel secolo XV. Il processo a Giovanni Mallono, Messina 1990 e C. TRASSELLI, La
«Questione sociale» in Sicilia e la rivolta di Messina del 1464, Palermo 1955.

– 43 –
Luciano Catalioto

Per capire la dinamica dei ceti urbani a Messina appare esemplare,


peraltro, la vicenda della famiglia Mirulla giacché emblematicamente
mostra il percorso seguito dagli honorabiles per accedere alle élites166.
Ma ancora più densa di significati appare la vicenda di Antonello da
Messina, chiarita recentemente da Salvatore Tramontana, il quale ha
tracciato un incisivo affresco della società peloritana sensibile ai quadri
mentali e alla vita materiale, prendendo spunto dall’esperienza di vita
e dall’attività artistica del pittore messinese, ma anche attraverso una
lettura attenta del suo testamento167. Che Antonello abbia tratto ispira-
zione dall’impianto urbano della città, oltre che dall’identità fisica dei
suoi abitanti, emerge con evidenza dai suoi dipinti, ma dalle sue ultime
volontà è possibile cogliere informazioni su molteplici aspetti della
Messina dell’epoca, della sua vita sociale e religiosa168, dei suoi nessi
economici e dei suoi complessi intrecci politici. L’atto di ripartizione
dell’eredità di Antonello e la definizione dotaria per la figlia Catarinella,
ad esempio, suggeriscono un’agiatezza senz’altro dignitosa, sebbene
non equiparabile ai livelli di benessere evidenziati dagli inventari del
medico Giacomo di Consolo o dell’argentiere Giovanni d’Urso. Ma gli
spunti più interessanti sono offerti in relazione ad una vicenda molto
importante e ancora poco approfondita, che vide coinvolte, a partire
dalla metà del Quattrocento, le due frange dei conventuali e degli os-
servanti sorte dalla scissione dell’Ordine francescano169.

166
PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 443 sgg.
167
S. TRAMONTANA, Antonello e la sua città, Palermo 1991. Preziose indicazioni
sono contenute in un recente intervento non ancora edito dello storico messinese, dal ti-
tolo Antonello da Messina: i luoghi, il lavoro, la mentalità, in occasione di una giornata
di studio su “Antonello da Messina e l’attività di Cesare Brandi in Sicilia” svoltasi a
Messina il 26 settembre 2006 nell’ambito del “Progetto Città di Antonello” promosso
dall’Università degli Studi di Messina. Si veda, inoltre, E. PISPISA, Il messinese Anto-
nello, in ID., Medioevo meridionale, cit., pp. 315-20.
168
La crescita di una forte sensibilità religiosa della città nei confronti del culto della
Madonna ed i serrati rapporti tra il Duomo e tutte le forze politiche e sociali di Messina
sono temi documentati da STARRABBA, I diplomi della Cattadrale, cit., passim ed ampia-
mente illustrati da PISPISA, La cattedrale di S. Maria, cit., pp. 265-84.
169
Per la cortesia con la quale mi ha fornito a questo riguardo suggerimenti ed utili
informazioni ringrazio Salvatore Tramontana, che nelle pagine seguenti si intende im-
plicitamente citato.

– 44 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Nell’esplicita volontà di Antonello di essere sepolto con l’abito dei


francescani osservanti e di impedire la partecipazione alle esequie del
clero della cattedrale e soprattutto dei frati conventuali, si percepisce
la pesante atmosfera politica, religiosa e culturale che in città era alla
base dello scontro interno all’ordine e delle fratture tra forze eccle-
siastiche, ma nello stesso tempo è possibile cogliere la consapevolezza
di un indirizzo sociale di quanti lottavano contro gli intrecci col
potere dei conventuali e affinché i ceti meno elevati acquistassero una
nuova dignità. Lo stesso sentimento di risoluta opposizione echeggia
peraltro nelle ultime volontà di Esmeralda Calafato, più nota come S.
Eustochia, confermando un atteggiamento di chiusura nei confronti
dei conventuali diffuso in larghi strati della società e particolarmente
sentito da quanti tentavano di colmare il divario fra le aspirazioni e
la realtà. D’altra parte, il monastero di Santa Maria del Gesù, fondato
a Messina dal Beato Matteo d’Agrigento intorno al 1425, non a caso
fu il primo convento dei Francescani dell’Osservanza sorto in Sicilia
e costituì per tutto il XV secolo un punto di riferimento spirituale per
l’intera cittadinanza, come mostra la larghissima diffusione del culto
dell’Annunziata. Ma, soprattutto, rappresentò un concreto referente
per «la comuni genti constituta in grandi paupertati – la quale – cum
grandissima fatica si sustenta, a causa soprattutto di la usura chi esti
contra di la Santi Matri Ecclesia»170. La stessa funzione sociale, in so-
stanza, che allo scorcio del secolo avrebbe assunto a Messina il
primo Monte di pietà istituito nell’isola, fondato il 9 marzo 1490 da
Andrea da Faenza con il precipuo scopo di provvedere, come si
legge nella Prefazione agli Statuti ratificati alla presenza dei giurati,
dello stratigoto e del viceré, «ad subventioni di li poviri cittadini»171.
Al culto della Vergine, nei cui riguardi la città peloritana fu partico-
larmente sensibile a partire dall’età medievale172, sono da collegare

170
Queste le parole di Alfonso il Magnanimo in un documento del 1440: si veda
TRAMONTANA, Antonello da Messina: i luoghi, cit., ad indicem.
171
MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 363.
172
PISPISA, La cattedrale di S.Maria, cit., pp. 265-84.

– 45 –
Luciano Catalioto

una serie di leggende di grande impatto nell’immaginario collettivo


dell’epoca – ma ancora ai giorni nostri radicate nella più genuina tra-
dizione popolare del centro peloritano –, testimonianza del forte ri-
sveglio devozionale che scosse le coscienze dei messinesi negli anni
difficili della guerra del Vespro, nelle fasi più acute delle crisi econo-
miche e sociali del Trecento, ma, soprattutto, durante il travagliato per-
corso spirituale alle soglie dell’età moderna. Alla venerazione della
Madonna, che con il “prodigio della Caperrina” assolve la cittadinanza
salvandola dalla peste e dalla carestia nel corso del Trecento173, ide-
almente si collega la celebrazione dell’eroismo femminile e il trionfo
della pietà muliebre, esemplati dal cronista trecentesco Matteo Villani
e dallo storiografo di fine Duecento Bartolomeo da Neocastro, il
primo con il richiamo al fattivo impegno delle donne messinesi e al
sacrificio di Dina e Clarenza durante l’attacco angioino a Messina l’8
agosto 1282174, l’altro con la tradizione, carica di forti valenze salvi-
fiche, dell’apparizione della “Dama Bianca” sulle mura della città as-
sediata175. Ma a tali diffuse credenze si aggiungono pure altri sugge-
stivi eventi mitici, diffusi allo scorcio dell’età di mezzo e durante i
primi decenni di quella moderna, riferiti cronologicamente alle fasi
della conquista normanna della città (“Mata e Grifone”), allo sbarco
del Granconte presso la Città del Faro (“Fata Morgana”) e agli anni
fridericiani (“Colapesce”)176.

173
Si veda PISPISA, Messina nel Trecento, cit., passim.
174
Suggestivi i versi del cronista fiorentino: «Deh com’egli è gran pietate / Delle
donne di Messina / Veggendole scapigliate / Portando pietra e calcina. / Iddio gli dea
briga e travaglia / A chi Messina vuol guastare». MATTEO VILLANI, Cronica. Con la con-
tinuazione di Filippo Villani, a cura di G. PORTA, 2 voll., Fondazione “Pietro Bembo”,
Parma 1995, II, p. 141.
175
BARTOLOMEO DA NEOCASTRO, Historia Sicula (aa. 1250-1293), a cura di G. PA-
LADINO, Bologna 1921-1922, (RIS, XIII, III), pp. 67 sgg. e passim.
176
Si vedano: G. PITRÈ, Studi di leggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leg-
gende siciliane, in «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», vol. XXII, Torino
1904, ad indicem; B. CROCE, Storie e leggende napoletane, Bari 1976; R.M. RUGGIERI,
La Fata Morgana in Italia: un personaggio e un miraggio, in «Cultura neolatina»,
XXXI, 1971, pp, 118 sgg.; G. CAVARRA, La leggenda di Colapesce, Messina 1995.

– 46 –
MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Spunti ulteriori di riflessione emergono se si considerano i signi-


ficati sociali ed economici dell’attività mercantile e se si osserva come
tra gli operatori messinesi attivi all’estero, dagli scali di Fiandra a
quelli levantini, vi fossero nobiles, honorabiles e discreti, ma anche
artigiani facoltosi, soprattutto setaioli, orefici e argentieri177. Una
serie significativa di esempi, offerti in questo senso da recenti inda-
gini178, mostra che il volume di affari dei nobili era più ampio, ma che
spesso anche gli honorabiles si impegnavano in grossi traffici e, in-
sieme agli artigiani, concorrevano alla conquista delle magistrature
cittadine. I tre gruppi urbani, pertanto, interagirono tra di loro con ac-
cordi e rapporti commerciali e finanziari, come avvenne tra Bernardo
Cofino de Calafato (padre di Esmeralda) e i nobili Spatafora, oppure
nel caso dell’honorabilis Nicola Perrono, che mantenne serrati contatti
con nobili, notai e mercanti.
Un altro aspetto fondamentale della vicenda sociale di Messina in
età aragonese, come si è già accennato, è quello relativo all’attività di
advocati, iurisperiti e notarii, per la cui preparazione professionale ope-
ravano in città qualificate scuole di diritto, frequentate dai messinesi in
alternativa ai centri universitari della penisola. Però, se si esclude la
scuola umanistica di Costantino Lascaris, il rilievo culturale di Messina
fu nel XV secolo assai modesto179, sebbene si possa attestare una certa
circolazione di testi classici e i ceti dirigenti fossero intellettualmente
aperti, abbastanza da concepire e realizzare all’occorrenza la stesura di
privilegi falsi, la redazione di cronache apocrife e la traduzione in
lingua volgare della protesta cittadina del 1478, oltre ad una serie di in-

177
Si veda G. LA CORTE CAILLER, Orefici e argentieri in Sicilia nel secolo XV (da do-
cumenti inediti), in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, a cura di G. CANTELLA,
Roma 1981, pp. 134 sgg.
178
PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 445 sgg.; C. TRASSELLI, I messinesi tra Quattro e
Cinquecento, in «Annali della Facoltà di Economia e Commercio di Messina», X, 1972,
passim; ID., Messina dal Quattrocento al Seicento, in E. PISPISA – C. TRASSELLI, Messina
nei secoli d’oro. Storia di una città dal Trecento al Seicento, Messina 1988, pp. 415-45.
179
Si veda G. FERRAÙ, La vicenda culturale, in La cultura in Sicilia nel Quattrocento,
Roma 1982, pp. 17-36.

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Luciano Catalioto

terventi autocelebrativi che attingono alla cultura classica e alla tradi-


zione di un Regnum Siciliae ormai perduto180. Sebbene nella seconda
metà del Quattrocento il numero degli uomini di legge appaia infla-
zionato, il prestigio e il potere degli iuris doctores non ne risentì, ed
essi si mostrarono come un organismo tutto sommato omogeneo, per-
ché fu sempre vivo il conflitto per la spartizione del potere ma gli
obiettivi da perseguire rimasero comuni181. Non costituiscono una
compagine propriamente compatta neppure i professionisti, che pe-
raltro ebbero uno scarso rilievo politico, al contrario della classe
mercantile e degli emergenti banchieri, i quali raggiunsero il potere
politico attraverso quello economico.
In seno al gruppo degli artigiani, ad esempio, i pittori occuparono
un posto privilegiato e costituirono un ceto di piccoli benestanti in-
sieme a setaioli, orefici, argentieri e cartografi, seguiti da altri artisti
e operai, mentre dall’altro lato della scala si situarono gli immigrati
dalla Calabria182. A proposito della dinamica sociale degli artigiani,
particolare rilievo assume il loro tentativo di dare vita, nella seconda
metà del secolo, ad una vera e propria corporazione, dotata di mae-
stranze e regolata da statuti. Da queste istanze ha origine un lungo pe-
riodo di lotte sociali che avrebbero portato alla rivolta di Giovanni
Mallono, cui prima si è fatto cenno, e alla lenta ma inarrestabile ascesa
dei ceti medi e dei popolani verso la conquista del potere politico.
D’altra parte, come ha dimostrato Lucia Sorrenti, anche i membri di
questo ceto entrarono in possesso di proprietà fondiarie talvolta di ri-
levante spessore183, sebbene tale conquista risultasse in fin dei conti

180
E. PISPISA, “Regnum Siciliae”. La polemica sulla intitolazione, Palermo 1988,
passim.
181
A. ROMANO, Società e cultura giuridica nella Sicilia del Quattrocento, in Istitu-
zioni, diritto e società in Sicilia, a cura di A. ROMANO, Messina 1988, pp. 7 sgg.
182
M.G. MILITI, Artisti, committenza e aggregazione sociale a Messina alla fine del
Medioevo, in «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», II,
1983, pp. 560 e 559 sgg.; MILITI – RUGOLO, Per una storia, cit., p. 123; C. TRASSELLI,
Sulla economia siciliana del Quattrocento, in «Archivio Storico Messinese», s. 3a,
XXXIII, 1982, p. 28; TRAMONTANA, Antonello, cit., pp. 59-75; PISPISA, Messina nel Tre-
cento, cit., pp. 310 sgg.
183
L. SORRENTI, Il patrimonio fondiario in Sicilia, Milano 1984, p. 153.

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MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

alla portata di molti operatori spregiudicati, sicuramente un iter mag-


giormente praticabile rispetto all’accidentato cursus che conduceva
alla nobilitazione.
Come si è osservato, il percorso seguito dal patriziato urbano verso
la feudalizzazione si fondò principalmente su tre basi, carica pubblica,
commercio e feudo, passando dai traffici e dalle speculazioni finanzia-
rie, dal controllo di estesi possedimenti fondiari e beni immobili, fino
al controllo degli uffici attraverso l’appalto delle relative gabelle. Ma
è in fondo lo stesso itinerario seguito dagli honorabiles, che riuscirono
ad acquisire baronie e relativo prestigio grazie alla propria disponibilità
economica e alla loro acculturazione tecnico-giuridica, come avvenne
emblematicamente in seno alle famiglie Ansalone, Balsamo, Campolo,
Crisafi, La Rocca, Porcu, Romano, Saccano e tante altre184. Anche le
più importanti cariche ecclesiastiche vennero occupate dai rappresen-
tanti di questo gruppo, i quali assunsero così il controllo di chiese e mo-
nasteri dotati di estesi patrimoni e collegati ai centri nevralgici del po-
tere politico. Queste dinamiche sono l’espressione di «un concetto
fondamentale: che il potere politico è per i patrizi condizione necessaria
alla loro affermazione»185; ma consentono anche di capire alcuni mec-
canismi che regolarono l’evoluzione del ceto medio, composto da in-
tellettuali di varia caratura, magistri e medici, e di quello degli artigiani,
entrambi profondamente diversificati al loro interno.
In definitiva, se volessimo individuare una struttura nella quale in-
scrivere la vicenda messinese durante il dominio aragonese, do-
vremmo senz’altro fare riferimento alle élites, cioè, nel caso specifico,
alla formazione di un ceto dirigente dotato di nuovi caratteri, frutto
di un’evoluzione dei gruppi egemoni dell’età precedente, quando
non era stato possibile realizzare una compagine unitaria perché i mo-
delli sociali non erano coincidenti. Nei primi decenni del regno ara-
gonese, in effetti, non si sarebbe coagulato un ceto propriamente omo-
geneo ai vertici della società messinese, perché l’obiettivo dell’ascesa
venne individuato nella conquista dello status feudale da parte di tutti

184
PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 449 sgg.
185
Ivi, p. 451.

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Luciano Catalioto

i gruppi emergenti, che comprendevano sia grandi casati nobiliari,


come quello dei Palizzi o dei Rosso, sia possidenti di medio spessore
e semplici milites non dotati di prestigiosi beni terrieri, pertanto guar-
dati con distacco dai feudatari e con diffidenza dai burgenses (costi-
tuiti da maiores e meliores)186. Ma nel corso del secolo successivo sa-
rebbero sopraggiunte nuove sostanziali trasformazioni all’interno
della società peloritana, dal momento che le forze cittadine emergenti,
dotate di una grande mobilità sociale, avrebbero instaurato rapporti
più intensi con gli altri gruppi, riuscendo a partecipare alla gestione
amministrativa della città in virtù della loro ascesa finanziaria. In
fondo, già da alcuni decenni l’ingresso dei popolani nelle élites, em-
blematicamente sancito dalla loro partecipazione alla giurazia e alle
altre magistrature locali, aveva aperto per Messina un’epoca nuova,
che l’avrebbe vista proiettata «verso itinerari non più riconducibili
all’unità di svolgimento dei secoli XI-XV»187, sebbene qualche strut-
tura, come il “patriziato urbano”, avrebbe costituito per l’Evo mo-
derno un’eredità pienamente medievale.

186
Come segnalato da PISPISA (Economia e società a Messina, cit., p. 251), il Fondo
Messina nell’archivio della Casa Ducale Medinaceli di Siviglia e le 952 pergamene che
compongono il tabulario di Santa Maria di Malfinò (CICCARELLI, Il tabulario, cit.) co-
stituiscono una fonte fondamentale per ricostruire le vicende patrimoniali di molti enti
ecclesiastici messinesi, ma anche per far luce sulla gestione politica e sugli eventi eco-
nomici e culturali della società urbana, dal momento che offre uno spaccato dove risal-
tano le azioni e gli orientamenti di molti esponenti dei ceti emergenti messinesi tra
Duecento e Trecento. Per un disegno della complessiva traiettoria medievale di Messina:
PISPISA, Messina medievale, cit. e ID., Messina nel Trecento, cit. Hanno affrontato tema-
tiche economiche e socio-istituzionali EPSTEIN, Potere e mercati in Sicilia, cit. (special-
mente pp. 246 sgg.) e MARTINO, «Messana Nobilis Siciliae Caput», cit., passim.
187
PISPISA, Messina medievale. Uno sguardo, cit., p. 210.

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