ATTI
DEL 4 CONGRESSO
STORICO CALABRESE
NAPOLI
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LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA
nelle terre del mondo cristiano, con lo scopo di farvi rapine, saccheggi, razzie di uomini da ridurre in servit.
Sono i secoli in cui sovrasta e dilaga la violenza: fra le immagini pi patetiche ricorre alla mente la schiera nuda delle
giovani donne sassoni, tratte prigioniere dagli Ungari, annodate
l'una all'altra con le trecce di capelli biondi (per crines veluti
loris connexae ), con le mammelle trafitte ( nudae et mammillis
perforatae ); orrori, come gli stupri nefandi consumati da 'Abd
Allah sull'altare di una chiesa presso Salerno, dov'era giunto
risalendo dalla Calabria (871-872), o le sanctimoniales turpi
stupro dehonestatae del monastero di S. Maria a Rocca d'Asino in
quel di Squillace, per opera delle schiere di Ibn 'Abba.cl (il
Benarvet del Malaterra), reduci dal saccheggio di Nicotera, in
una notte di un settembre imprecisato. Profanazioni e devastazioni:
sono i tempi della grande paura , come li han chiamati, che
impegnarono si pu dire totalmente i popoli d'Europa nella difesa
e nella ricerca della sicurezza. Non potendo ottenerla colpendo i
nemici incursori nelle stesse basi da cui muovevano, essi fecero
ricorso alla sola difesa passiva: si difesero, dunque, non in bello,
non in campo aperto, come si esprimono gli Annales Vedastini,
sed munitiones construentes . Entro questi anni tutte le terre
d'Europa si coprono sulle alture di torri e di castelli, creando
l'aspetto consueto e il paesaggio tipico che richiama alla mente
nella communis opinio la leggenda nera di un Medio Evo fatto
di sangue e di violenza.
Prima di restringersi e diventare il centro e il simbolo della
giurisdizione signorile, il castru1n era in origine soltanto un centro
collettore apprestato a rifugio e a difesa, in una vasta area recintata
e munita, in cui i rustici cercavano riparo con i loro poveri beni,
al momento delle incursioni.
Molte di quelle torri erano soltanto semaforiche e di avvistamento: quando la scaraguaita dava con particolari fumate
l'allarme, le genti cercavano scampo disperdendosi fra le montagne
dell'interno. Ce ne informa espressamente anche una cronaca locale
calabrese, la Cronica Trium Tabernarum et de civitate Catanzarii
quomodo fuit aedificata: Calabri eorum civitates et oppida relinquentes, silvas montesque petiebant, alii in foveis et petrarum
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di emiri, alcur dei quali (come Sawdan, 857-871) ben noti non
solo per le tristi opere che vi compirono, ma anche per la loro
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IX sec., racconta che un 24 luglio il santo protettore della citt apparve fra turbini e folgori per affondare una nave musulmana, che
si era presentata per far razzia sulla spiaggia di Seminara.
Il momento della pi larga e temibile penetrazione in Calabria
dei Musulmani di Sicilia si ebbe fra 1'839 e 1'840, sulla base delle
concordi testimonianze delle fonti latine e di quelle arabe, quali
Andrea da Bergamo e il Chronicon Salernitanum da un lato e gli
annali arabici in Ibn al-Atlr e Ibn Ijaldin dall'altro: il primo di
questi autori arabi ci attesta che fu proprio I' emiro di Sicilia
Al-'Abbils ibn al Farli che stabil alcune colonie permanenti in Calabria nei capisaldi di Tropea, Santa Severina e Amantea, mentre i
Greci si tenevano nelle riposte valli della Sila settentrionale e nel
territorio di Roosano.
Ma assai pi compromessa era la situazione nella Campania e
in Puglia per l'azione sistematica e sconvolgente che vi condusse
dall'857 all'871 il terzo emiro di Bari, Sawdan, un uomo indubbiamente di avveduta e spregiudicata abilit politica, che per le
fonti latine, per la sua efferatezza, chiamano pestifer >. Gli esponenti pi responsabili delle signorie meridionali, fra cui anche gli
abati cassinese e vulturnese ricorsero per aiuto all'Impero occidentale, sollecitando gli interventi dell'imperatore franco Ludovico II, il quale fu attratto in tal maniera dalla possibilit di risolvere
a suo vantaggio la questione meridionale .
Nella terza e pi decisiva spedizione di costui, fra gli anni
866-871, che si concluse con la liberazione di Bari, anche merc la
collaborazione dell'Impero d'Oriente e il concorso delle due flotte
inviate da Basilio I il Macedone, l'una nell'Adriatico al comando di
Niceta Orifa, l'altro nel Tirreno al comando dello stratega Giorgio, accadde un episodio assai significativo (tramandatoci da Andrea da Bergamo, che fu il cronista ufficiale di Ludovico II), atto
a chiarire la situazione calabrese in questo periodo.
Qualche anno prima dell'assalto definitivo a Bari, verso 1'870,
un'ambasceria raggiunse Ludovico II sotto le mura della citt: riferiva un caloroso e pressante messaggio dei cristiani di Calabria,
che chiedevano il suo intervento: Domine imperator, vestri esse
volumus et per vestram defensionem salvi fore confidimus. Gens
Sarracinorum venerunt, terra nostra dissipaverunt, civitates
desolaverunt, ecclesias suffuderunt. Non per cupidlgia di domi217
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do, i quali accrebbero le loro file con volontari delle terre calabresi che attraversarono. Sorpresero i Saraceni in V al di Crati,
che con gli schiavi cristiani da essi catturati se ne stavano tranquillamente mietendo dove certo non avevano seminato: i cristiani
furono liberati e i saraCeni trucidati. A vendicarli accorse l'emiro
di Amantea, un tal Cincimo; ma anche a lui and male e, inseguito,
si asserragli nella sua fortezza.
noto che il successo della campagna di Ludovico II rimase
frustrato e si risolse in Calabria e in Puglia a tutto vantaggio dei
Bizantini, che proseguirono la lotta con maggiore costanza e continuit.
In Campania l'iniziativa della politica an.timusulmana fu presa
e diretta da un grande pontefice, Giovanni VIII, il quale pi di ogni
altro contribui, con la sua parola e la sua opera, a una presa di coscienza da parte del mondo cristiano del pericolo islamico: la sua
opera fa~l nei risultati per le empie alleanze che gli stati campani strinsero con i Saraceni pro turpis lucri commodo , per ,
interesse e guadagno, secondo l'accorata denuncia del pontefice;
si giunse al punto che non solo Amalfi e i signori longobardi, ma
persino il duca vescovo di Napoli, Atanasio, era loro alleato e Napoli stessa !acta videbatur esse Panormus vel Africa.
Liberata Taranto nell'SSO, Basilio I il Macedone, si propose la
liberazione della Calabria: dopo gli insuccessi dello stratega Ste-
fano lVIassenzio, sotto le mura di Amantea e di Santa Severina,
subentr nel comando (verso 1'885) un valente condottiero, Niceforo Foca, avo del grande imperatore omonimo. In qualche anno,
cadute le grandi sedi islamiche di Santa. Severina, di Amantea, di
Tropea, i Saraceni non dispongono pi in Calabria di una sola fortezza per rifugiarsi. La difesa della Calabria riconquistata cost,
tuttavia, qualche anno dopo un grave insuccesso alla flotta bizantina, che guardava a difesa lo stretto di Messina: nel settembre
dell'888 essa fu distrutta dai Musulmani nella grande battaglia di
Milazzo; a Reggio e nelle citt vicine riprese il panico e le popolazioni si rifugiarono nell'interno, fin quando il disastro non fu riparato dall'ammiraglio Michele, al quale riuscl di catturare il capo
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Ftimiti agli Aglabiti, e governata la Sicilia per conto di essi dagli emiri Kalbiti (sotto i quali l'isola raggiunse il massimo della sua
prosperit); distrutto in Campania il formidabile covo dei Saraceni
al Garigliano in virt di una grande lega di stati campani organizzata da papa Giovanni X, anche con il concorso dei Bizantini, non
si ebbero in Calabria da parte islamica azioni di rilievo accompagnate da propositi di conquista, se non nella zona pi esposta di
Reggio,
Non mancarono certo le scorrerie che furono per cos dire endemiche e ricorrenti quasi ad ogni stagione. Ma esse furono di iniziativa prevalentemente personale, come quella del condottiero ~
bir, che del resto era un rinnegato di stirpe slava e che fra il 929
e il 930 corse tutta l'Italia meridionale taglieggiandola, e trasse
dalla sola Calabria ben dodicimila prigionieri, da vender come
schiavi, se credibile la cifra della Cronaca di Cambridge.
Di fughe, di devastazioni, di corse trepide per rifugiarsi con
gli armenti e le cose entro fortezze talvolta improvisate, son piene
le pagine ,degli agiografi contemporanei, come le vite > di s.
Elia Speleota e di s. Leone Luca di Armento; anche i monaci del
Mercourion si rifugiavano nel vicino :x:ao"~.1..ov e s. Saba fond un suo monastero presso un Castrum, proteggendone gli accessi con un npo'CELXLcr.a, con un bastione.
Quel che potrebbe sorprenderci che questi monaci spesso
scendessero in campo a difendersi con spirito battagliero; ma la
necessit della difesa si imponeva a tutti. In alcuni monasteri di
Francia, secondo la documentazione offerta dal Lemarignier, c'erano dei contingenti armati sempre pronti alla difesa. Nell'Italia meridionale pi spesso, erano gli stessi monaci, greci o latini che fossero, ad armarsi: certamente la potenza taumaturgica di alcuni
di essi, era sorretta dallo spirito bellicoso di chi li accompagnava.
Valga per tutte una testimonianza preziosa, coeva agli assalti dei
Saraceni nella seconda met del IX secolo, e che si riferisce alla
dipendenza vulturnese di S. Martino del monte Massico. Qui
lo stesso santo tutelare del monastero che appare ai suoi monaci
e li esorta ad armarsi ed a combattere: Ite et armate corpora vestra loricis, galeis, clipeis, hensis et lanceis; equos ascen.dite et
sine dubio pugnate, quia ego antecedo vobis . E fu cosi che 300
monaci armati uccisero ben 1909 ( ! ?) Agareni e i coloni dei pre220
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mento cio, imponendo al solito dei contributi straordinari. I Rossanesi si amn1utinarono e bruciarono i chelandria in allestimento
nei cantieri, uccidendone i protocarebi; solo l'intervento di S. Nilo
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chiuso alle citt marinare del sud, che in tal modo fecero affluire
anche nei mercati del settentrione merci che vendevano sotto costo rispetto a quelle che vi irnportavano i Veneziani. Nelle Honorantie civitatis Papie attestato che il mercato di quella citt era
meta di mercanti salernitani, gaetani e amalfitani: solebant ve-
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D'altro canto i rapporti ufficiali e personali con il mondo islamico in un tentativo assai ante litteram di coesistenza pacifica, possono apparire persino cordiali. In questo spirito va letta la lettera
diretta dal patriarca Nicola il Mistico all'assai illustre e onorevole
e- amato emiro dell'isola di Creta, in cui fra l'altro detto che i
due poteri dell'intero universo, la potenza dei r Saraceni e quella
dei Romani, si distinguono e brillano come astri del firrr1ame11to .
Per questa sola ragione - egli continua - noi dobbiamo vivere
in comune come dei fratelli, sebbene differiamo per costumi, usan~
ze e religio11-e .
Per l'Islam, in conclusione, la Calabria fu solo un terreno particolarmente fertile per la tratta degli schiavi, di cui c'era gran richiesta sui mercati meditarrenei per incrementare le forze del lavoro coatto.
Nell' Itinerario del monaco Bernardo, che con i suoi due
compagni, il monaco spagnolo Stefano e il inonaco Teodemondo
di S. Vincenzo al Volturno, va pellegrino in Terra Santa giusto nel1'870, quando Bari era ancora nelle mani di SawdB.n, si narra che
il monaco ottenne da costui una specie di passaporto ( noticianl. vultus nostri vel itineris ) per navigare fino ad Alessandria e che si
imbarc a Taranto dove trov sei navi in cui c'erano novemila
prigionieri de Beneventanis Christianis e che questi furono
sbarcati parte a Tripoli e parte ad Alessandria. Raize di uomini
e di altro: la tratta era cominciata un secolo prima, quando, persino
a Roma, com' detto nella vita di papa Zaccaria, si recavano plures Veneticorum n.egotiatores a cornprarv i svl1iavi d'ambo i sessi
quos in Africam ad paganam gentem nitebantur deducere . Nel
corso dell'800 poi, nel trattato di pace fra Sicardo principe di Benevento con il duca di Napoli Andrea, tra le condizioni posto
ut Langobardum nullatenus comparetis nec super mare venundetis ; come pure nella vita del s. vescovo di Napoli, Atanasio,
ricordata la sua commovente opera di riscatto degli innumeTevoli prigionieri che la insatiabilis efferitas dei Saraceni exulabat . Il mondo islamico vive un intenso periodo di slancio cornme-rm
ciale e produttivo che ricl1iede un continuo incremento delle forze del
lavoro. Ci risulta che a Cordova c'erano pi di quindicimila schiavi e che da una pare di essi fu innalzata la celebre moschea. Sem. .
bra certo che la domanda musulmana di schiavi abbia provo-
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cato, malgrado la pirateria, un intensificarsi dell'attivit economica, per amara e brutale che fosse questa condizione della economia del tempo fondata esclusivamente sull'opera manuale.
Ed a farla accettare contribui anche, in misura considerevole 1
il moralismo del monachesimo, sia latino che greco, che nelle incursioni dei Saraceni additava il gladius Dominicae indignationis ,
la spada con cui Dio rivolge il suo monito severo ai malvagi e ne
procura l'emendazione e l'espiazione.
Lasciate assai spesso in balia delle proprie risorse, le popo-
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loro vasto impero mediterraneo, nella gran terra dei Rtlm , come
essi genericame~te la chiamavano; per quest~ ragione le fonti arabe
ne danno assai raramente notizia.
Eppure rimase presso di essi un qualche ricordo epico e compiaciuto delle loro imprese e dallo slancio mistico con cui combatterono il gihd, la coranica guerra santa, sul continente. Cos Ibn
lj:aldun ricorda che in quel tempo i popoli cristiani si limitavano
a navigare sulle coste settentrionali e orientali del Mediterraneo,
oltre le quali i Musulmani si avventavano su di loro e li sbranavano
come il leone fa della preda .
Pi patetica e accorata di rimpianti si fa la rievocazione delle
spedizioni in terra di Calabria nel poeta arabo-siracusano 'Abd alabb&r ibn Mul,lammad ibn I:Iamdls, il quale costretto a lasciare la
terra natale al momento dell'invasione normanna, ne serb sempre nostalgico ricordo.
In una ispirata qa~ldah del suo Divan, egli rievoca i fasti
guerrieri dell'Islam siciliano, le galere arabe cariche di combattenti
per la ,fede, che approdano in terraferma e disertano Reggio, le cavalcate delle arabe gualdane per la Calabria, che mettono in fuga
e tagliano a pezzi conti e patrizi - Si, egli dice, percotemmo i ne~
miei della Fede entro i lor focolari; piomb un flagello sulle costiere dei Rtlm; navi piene di leoni solcano il mare, armate la poppa d'archi e di dardi, lancianti nafta che galleggia e brucia come la
pece della gehenna. A che valser quei guerrieri in luccicanti maglie di ferro? Noi li rimandammo con le armature squarciate.
Oltre al ricordo delle infauste gualdane, nessuna luce, nessuna
traccia (neppure forse nella toponomastica, i cui dati sono estremamente esigui e non possono inserirsi con sicurezza nelle necessarie coordinate cronologiche), nessun segno della pur nobile civilt araba rimasto in Calabria: nel travaglio bisecolare che essa
soffr, l'unico aspetta. positivo che vi si espresse fu la presenza
costruttiva dei Bizantini, che vi lasciarono i segni della loro raffinatissima civilt, e che seppero tenerla e difenderla con impegno.
Essi a nord fermarono e rigettarono i Longobardi, che nella loro
iniziale e pi avanzata penetrazione vi avevano costituiti i gastaldati di Cosenza, Cassano e Laino e che poi attraverso il principato
salernitano entrarono nella loro clientela. A sud rintuzzarono e
fermarono la minaccia islamica, facendo di questo sperone della
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qualcosa che non avevano trovato nei libri: Aliquid amplius invenies in silvis quam in libris . E qui anche dalla nativa Germania venne a fermarsi, accolto dal conte Ruggero, s. Bruno, il
e fu forse il primo -
con sensibilit moderna il fascino del paesaggio calabrese, con il suo aspetto tormentato e
suoi toni imprevisti e variati, severi e rasserenanti a un tempo.
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