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3. Questo rapido giro d’orizzonte sulle versioni bibliche fa intuire quale varietà di posizioni
teologiche ed etiche abbia ospitato il cristianesimo di area siriaca, soprattutto in zona edessena.
L’encratismo non è solo tratto caratteristico di Taziano, ma pervade anche tutta la letteratura legata
al nome dell’apostolo Tommaso (Vangelo e Atti), conservata in copto, greco e siriaco, collocabile in
Osroene pur senza prove decisive, dove una protologia in cui l’essere umano è presentato come
unitario e non sessualmente differenziato, costituisce anche il paradigma escatologico; Tommaso
costituisce l’esempio del vero credente, gemello di Gesù il vivente, e quest’ultimo assume in alcuni
casi i tratti tipici della cristologia docetica.
Una cristologia anch’essa alta, centrata su un Cristo rivelatore e salvatore cui l’intimità del
credente desidera conformarsi, espressa in un linguaggio immaginifico ispirato ai Salmi, è illustrata
nelle Odi di Salomone, uno degli insiemi testuali di più difficile datazione e collocazione
ideologica: lo dimostra il fatto che le Odi sono utilizzate da intellettuali distanti come Lattanzio e
l’autore gnostico della Pistis Sophia, e che in siriaco sono trasmesse nell’ambito di manoscritti di
contenuto biblico. Non stupisce che in epoca moderna siano state classificate variamente tra i due
poli estremi del giudeo-cristianesimo e dello gnosticismo.
Una sensibilità spiccata verso l’elaborazione filosofica greca caratterizza Bardesane (154-
222), caposcuola di una corrente intellettuale cristiana fiorita a Edessa tra II e III secolo, connessa
alla corte e destinata nel IV sec. ad essere marginalizzata. A lui o all’autore delle Odi di Salomone è
attribuibile l’iniziativa di comporre versi poetici in lingua siriaca. La sua personalità sfugge a una
classificazione nei termini delle correnti cristiane dell’epoca. Certamente il suo sistema e la sua
etica non sono vicini a quelli prevalente nella Grande Chiesa (Ireneo, Origene), ma nemmeno
contigui allo gnosticismo classico, né all’encratismo della letteratura legata a Tommaso, anzi è tutto
percorso da una polemica contro il marcionismo condotta sulla base di una teologia del logos
coniugata con speculazioni sull’eternità della materia, la quale rifiuta l’opposizione marcionita tra il
Dio dell’Antico Testamento e il Dio “straniero” padre di Gesù Cristo.
L’atteggiamento di polemica esplicita o implicita contro Marcione è stato riconosciuto non
solo negli scritti di Bardesane, ma anche in alcune Odi di Salomone, nella leggenda di Abgar,
nonché nei più tardi autori del IV secolo, Efrem e Liber graduum. Non vi possono essere dubbi sul
fatto che, mentre le sette gnostiche hanno condotto una vita appartata in ambiente siriaco, il
marcionismo abbia costituito una reale sfida agli altri movimenti cristiani.
Dalla parte opposta del ventaglio delle opzioni teologiche si colloca il giudeo-cristianesimo,
rappresentato sia in Osroene, sia nelle Mesopotamia orientale e meridionale. Qui i gruppi di
giudeocristiani battisti fin dal II sec. hanno costituito comunità significative, ispirate al profeta
Elchasai (“la potenza del nascosto”), cui reagiranno dialetticamente i movimenti più tardi come il
mandeismo e il manicheismo.
Il manicheimo è un elemento fondamentale di questo quadro, quello che probabilmente ha
contribuito al rafforzamento dell’identità della Grande Chiesa in tutta l’area, proprio per la
radicalità con cui ha posto il problema del dualismo, del male, delle nature, dell’etica, della chiesa.
Esso nasce nella Mesopotamia sasanide, ma Mani (216-276), secondo la capitale testimonianza
della sua biografia conservata nel Codice manicheo di Colonia, indirizza una lettera anche ai
credenti di Edessa, dove evidentemente intende acquisire proseliti, per convertirli alla religione dei
due principi, la luce e la tenebra.
2. Nonostante una tradizione risalente all’inizio del III sec. d.C. attribuisca la prima
evangelizzazione a Marco evangelista, le origini del cristianesimo in Alessandria rimangono avvolte
nell’oscurità. La nuova religione appare con i suoi rappresentanti storicamente documentati solo
dopo la rivolta giudaica del 115-117 d.C. Nonostante le fonti ci rendano edotti circa l’esistenza di
una pluralità di gruppi dall’orientamento religioso molto diverso, bisogna constatare che i primi
nomi registrati sono quelli di famosi maestri gnostici, come Basilide e Valentino, che avranno largo
seguito in Egitto. Questo non deve portare alla conclusione che nel II sec. non sia esistita una
gerarchia ecclesiale di altro orientamento, come in altre parti del Mediterraneo. Bisogna piuttosto
pensare che tale gerarchia è esistita, ma ha avuto scarso peso culturale, e non ha lasciato traccia di
sé nelle fonti. Personaggi in vista dal punto di vista sociale si erano avvicinati al cristianesimo nella
sua forma gnostica o platonica, strutturata in circoli di intellettuali. Persino un pensatore non
gnostico come Clemente Alessandrino non dà peso alla gerarchia ecclesiastica (pur menzionata nei
suoi tre gradi di diacono, presbitero, vescovo), mentre la sua attenzione è attratta dal rapporto che
egli avverte come centrale, quello tra maestro e discepolo. Nonostante questo, Eusebio di Cesarea e
una pletora di fonti egiziane e orientali ci hanno lasciato una lista di vescovi di Alessandria a partire
da Marco: in essa il dato storico, forse non inconsistente, ma difficilmente verificabile, ha lo scopo
ideologico di creare una linea di successione episcopale continua, che risalga fino all’età apostolica.
È dunque un prodotto piuttosto tardo, la cui prima elaborazione è collocabile nel III sec., con
ritocchi nel IV e nel V.
3. All’inizio del III sec. d.C. si osservano i segni di una reazione a questa struttura
evanescente della comunità cristiana e al suo orientamento religioso. L’iniziativa è attribuibile a
Demetrio, primo vescovo di Alessandria (189-232) storicamente verificabile, che decise di sfruttare
l’enorme potenziale intellettuale del maestro Origene e la sua capacità di reagire intellettualmente
allo gnosticismo. Certamente è con l’assenso di questo vescovo che Origene operò all’interno di
una nuova struttura, la scuola catechetica (didascaleion), nella quale egli, in un secondo momento,
aprì anche un livello superiore di istruzione. A differenza dei maestri gnostici o di Clemente,
Origene esercitava il suo ruolo di maestro sotto il controllo del vescovo. La sua opera educatrice
permise a Demetrio di fare della comunità di Alessandria una chiesa a un tempo non gnostica e
gerarchicamente strutturata, caratterizzata dalla pluralità dei livelli sociali e culturali, aperta alla
cultura e all’élite sociale. Questo non significa che non vi siano state tensioni tra episcopato e
scuola, come dimostra la sofferta vicenda di Origene, che a un certo punto della sua carriera dovette
trasferirsi in Palestina.
Dopo Demetrio fu vescovo Eracla (232-247), amico di Origene, che in seguito alla partenza
di quest’ultimo, era stato promosso alla guida della scuola. A Eracla succedette Dionigi (248-264),
uno dei personaggi più in vista di Alessandria, in precedenza direttore della scuola: questi passaggi
tra scuola ed episcopato dimostrano come la scuola si fosse ormai completamente integrata nella
struttura della Chiesa. Ma questo comportò anche dei dissensi: un gruppo di fedeli alessandrini
protestò presso la sede di Roma contro il vescovo Dionigi, criticando la sua dottrina trinitaria; lo
scontro di Dionigi con il millenarismo presente in alcune regioni egiziane (tra le quali il Fayyum), è
prova delle difficoltà incontrate dalla politica culturale della scuola integrata nell’episcopato. Questi
dissensi non provenivano solo da cristiani di scarsa preparazione o levatura sociale, perché solo da
persone di una certa preparazione poteva provenire l’accusa alla scuola di essere troppo sensibile
alla filosofia greca.
D’altra parte, è evidente che con Demetrio si sta affermando anche ad Alessandria, con un
certo ritardo, la forma dell’episcopato monarchico. Possiamo ipotizzare che esso subentri ad una
struttura presbiterale, forse attiva ai vertici della chiesa di Alessandria nel II secolo. Tale struttura,
di forte impronta giudaica, ha lasciato le sue tracce nel sistema di elezione e ordinazione del
vescovo di Alessandria, che in una prima fase prevedeva che fossero i presbiteri della metropoli a
scegliere e consacrare come vescovo un loro membro. Demetrio diffonde il modello dell’episcopato
monarchico anche all’esterno della metropoli, nella Valle del Nilo, portando così alla formazione
delle prime diocesi. Con il rescritto dell’imperatore Gallieno (261-262) inizia un periodo di pace
che sarà interrotto soltanto dalla persecuzione di Diocleziano (303): è il periodo in cui la Chiesa si
diffonde per tutto l’Egitto, anche nelle oasi, dando luogo, al tempo del vescovo Pietro I (300-311), a
quella rete di cento vescovi che con aggiunte marginali rimarrà stabile fino alla dominazione araba.
La scuola catechetica, nonostante le lacune della nostra documentazione, sopravvive, anche se il suo
rapporto con l’episcopato è meno organico che alle origini.
I nuovi vescovi, tutti dipendenti da quello di Alessandria, dopo il 250 intendono far sentire
la loro voce nella scelta del loro primate, che dunque viene eletto non più soltanto tra i presbiteri
alessandrini, ma nell’ambito più largo del clero d’Egitto. A tale scelta partecipano anche i vescovi
che, con Alessandro (312-328), ottengono la sanzione liturgica di questo nuovo stato di cose,
consistente nella loro partecipazione all’ordinazione del vescovo scelto.
4. La nascita delle diocesi, attestate dai papiri documentari già nella seconda metà del III
sec. (i più noti sono quelli relativi a Sotas di Ossirinco), è significativa per la popolazione della
Valle del Nilo, soprattutto per quella di etnia egiziana: essa vede la chiesa della metropoli farsi
prossima alle sue esigenze religiose, fatto che si riflette nella presenza sempre più fitta di cristiani
egiziani nelle fonti del III sec.
Va osservato che lo sviluppo della rete delle diocesi non permette il prevalere di alcuna città
sulle altre, né nella Valle del Nilo, né in Libia, né in Cirenaica: Alessandria rimane il perno del
sistema. Non si dà dunque alcuna premessa per la formazione di una struttura metropolitana, come
invece accade in altre parti del Mediterraneo (ad esempio la vicina Antiochia di Siria), ragione per
cui in Egitto (come in Italia meridionale, in rapporto a Roma), non esistono metropoliti e tutti i
vescovi dipendono da quello della capitale. Tale fenomeno affonda le sue radici nella storia sociale
e amministrativa dell’Egitto, nella quale solo tardi (IIII sec. d.C.) i capoluoghi dei nomoi egiziani
hanno attenuto lo status municipale, in altri termini sono stati considerati delle poleis con la loro
élite municipale.
Il periodo che va da Demetrio a Dionigi è significativo anche per la storia linguistica delle
comunità egiziane. La chiesa comunica in greco, ma, a partire dalla seconda metà del III secolo, uno
spazio è lasciato anche ad una forma specifica di egiziano, sebbene limitatamente ad alcuni ambiti
della produzione scrittoria: proprio in questa fase il copto comincia ad affermarsi. Si deve tener
conto del fatto che ancora nei primi secoli dell’Impero la produzione di testi egiziani e la loro
copiatura avveniva nei vari alfabeti noti in Egitto, la cui difficoltà ne facevano un appannaggio di
un’élite ristretta, legata ai templi. La progressiva decadenza di tali alfabeti a livello epistolare,
amministrativo, e più tardi anche legislativo, portò inevitabilmente ad una situazione nella quale il
greco avrebbe potuto divenire l’unico veicolo della comunicazione scritta anche presso gli egiziani.
Tuttavia ci fu una reazione a questo: proprio all’interno dell’élite dell’etnia egiziana, durante il III
secolo, avvenne la creazione di un lingua letteraria, il copto, con un suo alfabeto di semplice
utilizzazione e apprendimento, in gran parte preso a prestito da quello greco. Le prime attestazioni
vedono una prevalenza di testi che possiamo definire latamente cristiani, in particolare traduzioni
dal greco di testi biblici, gnostici e cristiani ortodossi, ma tradiscono altresì la presenza significativa
di materiale magico legato alle religioni tradizionali, per cui è difficile prendere una posizione sulle
origini confessionali di questa lingua letteraria. Solo a partire dal secondo quarto del IV sec. il copto
è usato nella corrispondenza privata, ma limitato ad ambienti monastici o ascetici. Il copto è una
lingua letteraria che, nel far riferimento alla lingua egiziana, la modernizza, prendendo atto dei
cambiamenti intervenuti in una società che è divenuta progressivamente bilingue. Un ceto nuovo,
economicamente in crescita, ormai ellenizzato e conscio dell’irreversibilità del processo che nei
secoli precedenti aveva portato alla decadenza della civiltà del passato, sente il bisogno di
evidenziare il proprio prestigio mediante la formulazione di una lingua letteraria, la quale, se pur
deriva dalla secolare evoluzione linguistica egiziana, è anche totalmente aperta all’influsso
lessicale, sintattico e naturalmente concettuale della cultura greca dell’epoca.
All’interno di questa élite dotata di una sua lingua letteraria si riproducono le tensioni
culturali che sono presenti nei testi greci. La diffusione della Chiesa gerarchica, la sua presenza più
capillare e più organizzata sul territorio, favorisce il processo di marginalizzazione dello
gnosticismo, la cui eredità letteraria continua tuttavia a essere copiata e tradotta. In questo contesto
si svolge la propaganda manichea a partire dal 270, che va incontro a pagani, cristiani cattolici e
gnostici. A una Chiesa che esprime testi copti “ortodossi” si contrappongono ambienti che
traducono, copiano e interpolano più o meno profondamente testi gnostici e testi manichei. Ma
nell’ambito stesso della produzione ortodossa, si riscontrano testi di aperta tendenza antiorigenista e
testi maggiormente aperti all’influsso della tradizione origeniana. 4453/4671
Nel contesto di questa diffusione sempre più capillare della chiesa episcopale e nel quadro di
questa vita culturale molto ricca dobbiamo collocare anche le origini del monachesimo, destinato ad
incidere profondamente nella chiesa egiziana e del Mediterraneo. Il periodo delle origini è
caratterizzato da una pluralità non solo di motivazioni, ma anche di forme, nonché da un’identità a
volte incerta, anche nei confronti di altre forme di ascetismo cristiano, spesso legato alla vita di città
o di villaggio, con cui i monaci intrattengono rapporti di cooperazione o di concorrenza.
3. Tale dialettica ha lasciato le sue tracce anche nella cultura letteraria. Questa deve il suo
sviluppo a quello che la storiografia armena ritiene essere un evento capitale per la sua letteratura,
cioè l’invenzione dell’alfabeto armeno da parte di Mesrop Maštoz († 439), avvenuta con il sostegno
convinto del catholicos d’Armenia Sahak († 438), vicenda su cui ci informa la Vita di Mesrop
Maštoc scritta Koriun poco dopo la morte del suo eroe. Prima di allora la Bibbia doveva venir
tradotta all’impronta e oralmente da lettori in grado di comprendere o il siriaco o il greco.
L’invenzione dell’alfabeto, avvenuta a Edessa e perfezionata a Samosata, secondo il racconto di
Koriun, stimolò anche l’avvio di una vasta opera di traduzione che Mesrop non poté certo realizzare
da solo, ma con l’aiuto di generazioni di traduttori, che appresero le lingue e le tecniche in tutti i
centri più importanti della cristianità bizantina. Il risultato fu una serie di traduzioni a partire da testi
siriaci e greci, che portò a una mescolanza interessante di tradizioni teologiche e spirituali. Per
quanto riguarda la Bibbia una prima traduzione parziale condotta sul siriaco operata da Mesrop fu
seguita da una seconda, sulla base del testo greco, per opera di Eznik. Quindi si tradussero opere
storiografiche, nonché gli scritti di impegno teologico ed esegetico, anche quelli appartenenti alla
tradizione antiochena, e la letteratura canonica. Solo a questo punto cominciò una produzione
originale in lingua armena.
3. La Georgia ha conosciuto diverse forme statali, alcune di notevole rilievo come quella
sorta fin dal IV sec. a.C. L’Iberia divenne protettorato romano nel 65 a.C. Se la parte orientale ebbe
relazioni soprattutto con la zona persiana, più orientata verso l’Impero romano fu la parte
occidentale (Colchide). Il documento più importante circa la cristianizzazione e la conversione della
Georgia al cristianesimo è il racconto riportato da Rufino (h.e. I,10-11) sull’apostolato di santa
Nino, una “prigioniera”, risalente a qualche decennio prima, tratto dal resoconto orale di un
membro della famiglia reale dell’Iberia in rapporto con lo storico. L’avvenimento si sarebbe
verificato al tempo di Costantino, durante il regno di Mirian (†342). Ovviamente numerose
tradizioni, relativamente all’apostolato di Andrea o al ritrovamento della tunica di Cristo, tentano di
connettere la chiesa del IV secolo con il periodo delle origini apostoliche, ma non illuminano in
alcun modo i fenomeni di cristianizzazione prenicena che certamente dovettero verificarsi. Le zone
costiere dovevano già avere rapporti con la Chiesa a occidente, se è vera la notizia della
partecipazione del vescovo di Pityonta al concilio di Nicea. D’altra parte è probabile che il
cristianesimo sia penetrato anche dall’Armenia e della Siria, come la circolazione di testi prodotti in
quelle zone farebbe supporre. Il primo vescovo georgiano sarebbe Giovanni (Ioane, 335-363 ca.),
ordinato, secondo Rufino, da Alessandro di Costantinopoli. Nonostante questa notizia, è attestato
ampiamente il fatto che i catholokoi dell’Iberia furono ordinati per qualche secolo in Antiochia, che
dunque rimase la città di riferimento.
Il racconto della Conversione della Kartli accenna anche alla costruzione di una chiesa nella
capitale, con la sovvenzione del re. Quindi la cronaca accenna ai vescovi e infine alla fondazione
del catholicosato, forma di autonomia della chiesa georgiana dalle chiese occidentali. Non è chiaro
se l’alfabeto georgiano sia nato in connessione con quello armeno. Le prime traduzioni di testi
biblici dall’armeno furono immediatamente riviste su modelli greci. Le altre traduzioni furono fatte
in Terra Santa, dove i georgiani furono presenti fin dal V sec.
### 4. L’Etiopia
1. Il regno di Axum aveva il suo centro nell’altopiano abissino, nel Tigray, ad una notevole
distanza dalle zone più meridionali dell’Egitto; nello stesso tempo esercitava la sua influenza
politica al di là del Mar Rosso, nella penisola arabica sudoccidentale (Yemen), con la quale
condivideva alcuni elementi culturali e linguistici. Le iscrizioni reali, redatte sia in ge’ez, la lingua
etiopica classica, in un alfabeto che ricorda quello sabeo, sia in greco, attestano la penetrazione
dell’ellenismo anche in questa zona così remota.
La Storia della Chiesa di Rufino è importante anche per inquadrare le notizie e le
testimonianze numismatiche e epigrafiche circa la diffusione del cristianesimo in Etiopia (che qui
chiameremo Axum), una delle avventure più straordinarie del cristianesimo antico. L’altro
documento capitale è la lettera, citata da Atanasio nell’Apologia a Costanzo 31, nella quale
l’imperatore Costanzo, dopo il 337, esorta i re di Axum ‛Ezana e Sazana a inviare ad Alessandria,
presso il vescovo Giorgio che ne è a capo (dopo la cacciata di Atanasio nel 356), il vescovo
Frumenzio, affinché ne verifichino la fede, dato che la sua ordinazione è stata effettuata da
Atanasio, uomo riprovevole secondo l’imperatore, e duque probabilmente in contrasto con le leggi
vigenti della chiesa. La lettera di Costanzo non ci dà la data di questa prima ordinazione.
Attualmente c’è un certo consenso critico sui primi anni Cinquanta del IV sec.1.
Rufino colloca il primo arrivo del cristianesimo (h.e. I, 9-10) «al tempo di Costantino».
Secondo lo storico, due giovani di provenienza siriaca, Frumenzio ed Edesio, a seguito
dell’assassino del loro maestro con cui viaggiavano sulle coste dell’«India ulterior» (cioè l’Etiopia,
probabilmente dalle parti di Adulis, sul Mar Rosso), furono ridotti in schiavitù e consegnati al re di
Axum. Essi seppero acquistare la fiducia del re al punto che, alla sua morte, Frumenzio divenne
primo ministro della regina reggente. Si adoperò dunque per reperire dei cristiani tra i commercianti
romani nel regno di Axum e diede loro facoltà di costruire chiese e di celebrare i riti. Più tardi
Edesio ritornò a Tiro. Frumenzio, invece, si recò ad Alessandria da Atanasio per informarlo degli
avvenimenti di cui era stato testimone; da lui fu ordinato vescovo per il paese. Tale ordinazione,
1
come abbiamo visto, è confermata dalla lettera di Costanzo, che la considera illegale. Non risulta
chiaro il motivo per cui Frumenzio andò a presentarsi ad Alessandria anziché ad Antiochia. Forse le
ragioni vanno ricercate in legami preesistenti tra alcuni nuclei cristiani etiopici e sedi episcopali
egiziane nel sud. Con questo atto la nascente chiesa etiopica si pone sotto la tutela di quella
egiziana, dalla quale dipenderà formalmente fino al XX secolo.
Questo racconto e la lettera di Costanzo sembrerebbero trovare riscontro riscontro nella
numismatica e nell’epigrafia. Sulle monete attribuibili alla metà del IV sec. comincia a comparire la
croce, al posto della tradizionale simbologia religiosa, e nelle epigrafi sia greche che ge’ez
l’adesione al cristianesimo è resa esplicita.
2. Ben presto, dopo la conversione della casa regnante, dovettero iniziare le traduzioni dal
greco in etiopico. Risulta molto problematico capire quali testi far risalire a questa fase.
Attualmente vi è un certo consenso che il corpus aksumita possa comprendere la Bibbia, tradotta
gradualmente tra IV e VI sec., apocrifi come il Libro di Enoch o l’ Ascensione di Isaia, il Pastore di
Erma, nonché testi patristici più tradizionali come il Fisiologo, l’Ancorato di Epifanio, la raccolta
dogmatica denominata Qērellos (da “Cirillo”, ovviamente quello di Alessandria), la raccolta di testi
canonici e storiografici denominata Collezione Aksumita, e infine testi agiografici e monastici. Non
si esclude per questo periodo la composizione di testi originali in ge’ez di carattere agiografico o
omiletico. Questa fase dell’attività di traduzione deve essere tenuta ben distinta da quella
medievale, che sarà rivolta soprattutto ai testi cristiani circolanti in lingua araba.[[[11920]]]
Indicazioni bibliografiche