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Medioevo pdf - riiassunti storia dei paesi islamici

Storia contemporanea dei paesi arabi a (Sapienza - Università di Roma)

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Medioevo Arabo. Una storia dell’islam medievale VII – XV secolo
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Leonardo Capezzone

Non è stata trovata alcuna voce d'indice.MEDIOEVO ARABO – Una storia dell’islam medievale (VII-XV
secolo)
Introduzione: Fra il VIII e IX secolo l’Europa inizia a formare un nucleo di idee sugli arabi, o meglio, sui
saraceni, fondato su una sostanziale e assoluta conoscenza dell’oggetto di questo interesse. I saraceni sono
pagani e idolatri.
Dal X al XI secolo però il discorso sull’identità cristiana che in quell’epoca va costruendosi trova nell’islam e
nei musulmani un punto essenziale su cui fondare la propria idea militante di cristianità. Da allora la
strategia narrativa occidentale assumerà toni sempre più ostili che continueranno ad alzare il livello del
pregiudizio.

CAPITOLO 1 - FONDAZIONE.
I fattori fondamentali della nascita e dell’espansione dell’Islam possono essere pienamente compresi solo
se osservati in una prospettiva di storia mondiale.
Penisola arabica – zona d’interesse strategico e geopolitico per i grandi imperi dell’antichità e tarda
antichità, almeno dal VI° secolo quando il re babilonese Nabonedo si era spinto fino a Yathrib, futura
Medina.
Questo territorio apparentemente isolato è definibile con il concetto di “periferia anomala”: “periferia”
per via della sua natura inospitale, essendo quasi totalmente deserta; “anomala” per via della sua
posizione geografica, tra il Mar Rosso, l’Oceano Indiano, il Mar Mediterraneo e l’Africa Settentrionale, la
Siria, la Mesopotamia e la Persia.
Prova del plurinteressamento riguardante questo territorio ci viene testimoniato dai testi ritrovati
precedenti l’avvento dell’islam, i quali sono stati scritti da autori greci e latino come Plinio e Tolemeo,
narranti migrazioni e campagne militari in una realtà eterogenea.
Non meno importante nel rapporto tra i grandi imperi e questo territorio così ostile ma anche così centrale
è il tratto religioso. Il concilio di Calcedonia nel 451 aveva fissato la linea ortodossa della cristologia
definendo i caratteri della duplice natura, divina ed umana, del Cristo. → questa definizione crea una
divisione radicale con i monofisiti che professavano una sola natura ed erano diffusi in Siria, Egitto,
Armenia.
Nel 431 D.C. i nestoriani di Efeso, sebben duofisiti, accusati dai Bizantini di porre troppa importanza
sull’umanità del Cristo, vennero ben accolti nell’Iran sasanide, con chiare intenzioni antibizantine.
= Ogni pretesto religioso, che scaturisse da una diversa visione del Cristo, monofisita o duofisita, poteva
diventare una potenziale scintilla per smuovere la situazione ai vertici del potere. Ampiezza e vivacità del
clima settario da cui emerge anche il comportamento antigiudaico condotto dai cristiani, in particolare
evidenziando le conversioni forzate condotte da Teodosio nel 438, rispecchiando così la scena di un
controllo politico che va ad opprimere qualsiasi diversità religiosa. Opprimono: chiese armene, egiziane e
siriache favorendo la diffusione dell’ascetismo.
Il paesaggio religioso nella penisola araba si presenta in modo altamente eterogeneo: si parla di Ebrei di
lingua araba (Yemen ed oasi nord-ovest), pluralità di Cristianesimo che diffondono un proselitismo fra
gruppi nomadi, Nazorei (ovvero giudeo-cristiani che riconoscono la figura del Messia in Cristo ma seguono
alcune regole giudaiche, come il divieto di mangiare la carne di maiale), il Profetismo o Manichismo
(tramite il quale più persone si “spacciano” per profeti attirando su di se il favore delle masse convinte).
Tuttavia, il controllo della penisola, soprattutto da parte dell’imperi sasanide e bizantino, non è mai
diretto, ma è costellato da una ragnatela di alleanze con tribù più piccole e spesso basato sulla affinità
religiosa. L’Iran, presente con un governatore sasanide, può fare affidamento sul clan dei Nasridi, cristiani
nestoriani che governano sul basso Iraq, mentre i bizantini, residenti in Turchia, possono fare affidamento
sul clan dei Jafridi, cristiani monofisiti occupanti la zona del lago Tiberiade, attuale Israele.

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Di fatto l’interesse per la penisola, per la sua posizione e quindi per le rotte sulla quale essa ha il comando,
è molto alto, perciò l’alleato bizantino presente in Etiopia, il regno di Axum. Proprio questo regno guidato
dal re Ella Asbeha nel 523, sotto pressione del re bizantino Giustino, punterà verso lo Yemen, invadendo il
territorio, usando come casus belli un attacco ebraico contro delle popolazioni cristiane presenti in quei
territori. In breve tempo questo regno cristiano diventa indipendente da Axum arrivando anche ad
assediare Mecca per poi separarsi dal regno centrale etiope.
Successivamente però, nel 570, il sasanide Cosroe II riesce ad occupare lo Yemen – provincia
amministrativa - e portarlo sotto il controllo sasanide dell’Iran dal VI secolo D.C.
Quindi, il regno Sasanide controllerà l’Iran e il Sud e l’Est della penisola, mentre il regno Bizantino
controllerà la parte Nord e la parte Occidentale della penisola.
In quest’ottica geografica l’Hijaz, regione che si estende sulla costa Ovest della penisola e che si affaccia sul
Mar Rosso, ci interessa perché al suo interno si estendono Mecca e Yathrib (Medina).
Mecca - vive grazie al commercio, per quanto non ricchissimo, con l’Africa, lo Yemen e l’India, ed è inoltre
meta di pellegrinaggio visto che accoglie un tempio dedicato a tutti i culti presenti nella penisola;
Medina - è composta da 12 clan ebraici che si estendono intorno ad un’oasi e ad altri due pagani, il clan dei
‘Awz e dei Khazraj, i quali si combattono a vicenda per il controllo della città, lotta che finirà per tirare in
mezzo anche i clan ebraici.
Le Origini Dell’Islam E Il Problema Delle Fonti
Non si possiedono fonti islamiche contemporanee agli eventi accaduti narranti i momenti fondativi
dell’Islam, tra cui il profeta Muhammad, la sua biografia, la formazione e fissazione del Corano.
Di fatto le fonti che sono state prese più volte in considerazione sono state redatte molto dopo i fatti
accaduti, quasi un secolo e mezzo dopo, incorporando un ovvio processo di elaborazione di un’immagine
storica, come per creare una giustificazione e legittimare ciò che si era in quel momento nel quale si
scriveva la propria storia.
Una disposizione critica dei materiali narrativi sulle origini dell’islam aveva caratterizzato sin dagli esordi
della storiografia islamica, fra il VIII e IX secolo, un’ansia di verità.
Di fatto l’interpretazione, soprattutto negli ultimi 30 anni, che si può avere di tutta la vicenda storia di
fondazione può essere varia:
scia negazionista / revisionista - tende a formulare ipotesi radicali e a volte clamorose, tendendo a
negare la narrazione tradizionale che colloca la nascita dell’islam nel VII secolo nella pensiola araba,
vedendo un processo formativo sviluppatosi nei secoli successivi e in ambiente siro-iracheno piuttosto
che una “nascita”. Gli assunti principali di questi studi sono stati smussati e riformulati dagli autori.
Ciò però ha avuto anche dei rispecchi positivi poiché ha portato una nuova attitudine critica nei confronti
delle fonti prese in considerazione, portando a negare l’idea, tanto cara alla prima tradizione islamica, che
collocava la nascita dell’Islam in un clima di isolamento nel deserto arabo, e legandola a rapporto
dell’emersione dell’islam con la complessità della tarda antichità. Ha inoltre portato a prendere in
considerazione anche altri tipi di fonti, provenienti da terre vicine e da ritrovamenti archeologici di altro
tipo, come i documenti amministrativi del VII-VIII secolo redatti su papiro, creando così un legame
interdisciplinare tra gli studi; nonché di comparare testimonianze provenienti da popoli diversi, non
sempre coinvolti in prima persona nella causa. Rilettura fonti non islamiche.
Sarà Fred Donner, uno dei massimi studiosi dell’origine dell’Islam, a mostrare che la memoria storica si
fonda su una pluralità di testimoni viventi che la storiografia islamica dell’VIII-IX secolo accoglie come
fonti, ciascuno portatore di un’opzione ideologica che orienta la propria osservazione e narrazione degli
eventi passati. La pluralità di testimonianze ha portato Donner a parlare di Ortodossie Multiple, ovvero più
vie esatte, le quali non sempre e non per forza si contraddicono tra di loro.

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Inoltre va considerato l’ambiente religioso dell’epoca: infatti l’Islam si doveva inserire in un ambiente
composto in maggioranza da monoteismi, condiviso dal cristianesimo e dall’ebraismo, ma come lo stesso
Corano ci insegna, esso riesce a inserirsi nel contesto monoteista in maniera ottima. Il Corano è visto come
un testo che prende parte in maniera assertiva ad un dialogo interreligioso il cui terreno comune è quello
di una storia sacra unificata nella discendenza di Abramo, primo monoteista.
La tradizione islamica assumeva come punto di partenza dello sviluppo religioso la proclamazione
dell’assoluta unicità di Dio in opposizione all’idolatria e al paganesimo politeista che definiva l’orizzonte
religioso dell’Arabia. Il Corano ammette in maniera esplicita di essere l’ultima espressione di un flusso di
storia religiosa, la storia dell’ahl al-kitab, la Gente del Libro: per la prima volta un testo sacro conia una
categoria storico-religiosa.
Cronaca di Sebeos, vescovo armeno, VII secolo.
Di fatto la spiegazione del complesso riguardante le origini dell’islam ci viene spiegato in modo molto
oggettivo da parte delle fonti non islamiche: movimento di conquista proveniente dall’Arabia, di fede
fortemente monoteista, che ha come luogo di culto principale un tempio risalente ad Abramo, la Ka’ba,
verso il quale vengono rivolte le preghiere e nella quale si trova una pietra oggetto di devozioni; tale
movimento è guidato da un ex-mercante, Muhammad, “guida” e “legislatore”, le cui leggi e tradizioni
vengono osservate ossequiosamente (come il non mangiare carni morte, non bere vino, non dichiarare il
falso e non fornicare). Gerusalemme viene tenuta da conto mentre vi è un’ostilità nei confronti della croce
cristiana, poiché Gesù non viene riconosciuto come figlio di Dio.
Circa intorno al 640 (8 anni dopo la morte di Muhammad) diversi autori fra l’Armenia e la Siria segnalano
l’irruzione di un movimento di arabi che si sta espandendo tra Egitto e Iraq. Questi arabi chiamano sé stessi
magaritai: la prima documentazione ricorre in greco dal 642 in poi. Risalta una connessione nel Nuovo
Testamento “nell’anno 993 dei greci, cioè 63 dei magaritai, i figli di Ismaele figlio di Agar figlio di Abramo”.
Questi arabi datano gli eventi secondo una nuova era.
È solo grazie alle fonti islamiche che possiamo riconoscere nella denominazione MUHAJIRUN un epiteto
che definisce coloro che hanno fatto la hijra, ovvero la migrazione da Mecca a Medina -evento fondante-
condotta nel 622 da Muhammad e atri adepti, i quali formano la prima generazione di Muhajirun,
denominazione usata senza una spiegazione nei testi non islamici e che invece viene esplicata dalle fonti
islamiche, come coloro che hanno preso parte all’Hijra – egira- ; tale denominazione verrà usata anche per
le generazioni successive, facendo riferimento all’Hijra anche come migrazione dei militari dalla città natale
alle città-guarnigioni conquistate.
Muhammad A Mecca.
Il Corano e la letteratura esegetica possono essere considerati le principali fonti della nascita dell’islam.
Per quanto il Corano viene considerato ormai da tutti un testo storico, di fatto le tracce più antiche
pervenute risalgono alla metà dell’VII secolo. Inoltre, le 114 sure che lo compongono sono state
cronologicamente ordinate grazie all’esegesi, la quale ha utilizzato antichi materiali – le ragioni delle
rivelazioni - sulla vita del profeta per creare un filo cronologico.
Di fatto il Corano, redatto per ordine di lunghezza delle sure, dalla più lunga alla più corta, tramite questa
divisione cronologica viene diviso principalmente in due momenti fondamentali della vita del profeta: la
prima con quelle rivelate a Mecca, dove egli comincia la sua predicazione con svolgimento che lo
costringeranno a fuggire, e quelle ricevute a Medina, dove egli fonda la prima comunità di credenti.
Oltre al Corano altre fonti che possono raccontarci molto riguardo la biografia del profeta sono raccolte
nella letteratura Sira, cioè biografica, la quale vede le fonti più antiche redatte nella metà VIII secolo,
ovvero tra il II e il III secolo dell’egira. La biografia più antica, Vita dell’Inviato di Dio, datata 767 è andata
perduta, anche se in parte fu d’ispirazione per le versioni successive di altri autori.
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Altra raccolta di testi che descrivono la figura del profeta islamico è la letteratura Maghazi, riguardante
principalmente le campagne militari e le prime conquiste arabe.
Infine, si hanno gli Hadith, gli insegnamenti del profeta, passati, dopo la sua morte, alla funzione di detti,
assunti a livello normativo dall’intera cultura.
Gli stessi arabi già nel Medioevo, studiarono in modo critico la propria cultura, non accettandola così
com’era, ma dandole una spiegazione. Atteggiamento storicistico; a partire dalla spiegazione dell’umanità
del profeta. L’unico miracolo è quello della rivelazione, l’onore di essere l’eletto (al-mustafa) per assistere
all’unico miracolo avvenuto, ovvero quello della rivelazione.
Muhammad (Ahmad = il lodato) nasce a Mecca nel 570, da madre, Amina, e da padre, ‘Abdallah mercante,
il quale appartiene alla tribù dei Quaraysh, esponente di spicco dell’aristocrazia mercantile meccana, i quali
membri sono i custodi della Ka’ba, che fa di Mecca un punto centrale dell’Arabia, insieme al mercato.
Il santuario della Ka’ba fu costruito da Abramo con l’aiuto del figlio Ismaele, lì dove si narra sgorgava la
fonte miracolosa di Zamzam, che un angelo creò per salvare la concubina di Abramo e suo figlio.
→ luogo di culti panarabo, raccogliendo tutte le figure religiose venerate nell’antica Arabia, compreso
quello cristiano.
Il profeta rimane orfano, prima di padre e poi di madre, in età molto giovane, entrando così in uno stato
sociale molto difficile in una società che si basava sui legami di sangue. Dunque, il profeta verrà protetto
nei limiti del possibile dallo Zio Abu Talib, padre di ‘Ali, personaggi che sarà molto vicino nella predicazione
a Muhammad. All’età di 25 anni, quindi nel 595, il giovane ragazzo si sposa con la ricca vedova Khadija,
proprietaria di una delle principali carovane di Mecca dove egli lavorerà come agente di commercio. Il
matrimonio durerà in regime di monogamia per altri 25 anni, fino alla morte di lei nel 620. Ma già da prima
della fine del suo matrimonio con Khadija, quando egli aveva intorno ai 40 anni, comincia a manifestarsi in
lui un disturbo spirituale molto diffuso in Arabia, soprattutto in coloro che non erano né Ebrei e né
Cristiani, definiti hanif. Predisposti verso l’idea di un monoteismo e frequentatori assidui di ritiri spirituali,
di un’esperienza mistica che lo porterà all’incontro con l’arcangelo Gabriele, portatore dell’annunciazioni.
Khadija sarà la prima alla quale Muhammad racconterà l’accaduto e lei sarà la prima a credergli e a
convertirsi. I contenuti di questo primo flusso proclamano l’idea di un unico Dio, negando la trinità
cristiana, ma affermando l’avvicinarsi della fine dei tempi, e durante quest’attesa bisognerebbe volgersi
alla fede in Dio e vivere nella rettitudine.
Proprio il messaggio di salvezza, portato da Mosè nell’antico testamento e successivamente da Gesù nel
nuovo, viene da lui rinnovato e riattualizzato per ricordare l’immensa misericordia del Dio unico.
Muhammad proclama un Dio fatto di giustizia e di perdono, conoscitore delle sue creature e dei loro limiti
al quale non dà un compito per loro impossibile. Così è la stessa predicazione del profeta, la predicazione
di un messaggio egalitario, basato sulla carità e la pietà, dove vengono accusate le ingiustizie e dove la
ricchezza economica, se pura, può e deve essere usata per porre un argine all’ingiustizie e per farne un uso
benefico nei confronti di dell’aristocrazia meccana, tuttavia essi si esporranno dapprima all’indifferenza di
molti concittadini vedove e orfani. Tale rettitudine morale viene accolta da molti donne di Mecca e anche
da molti esponenti, che poi diventerà sospetto e derisione per terminare nella persecuzione.
Nel 620, dopo la morte della moglie Khadija e dello zio protettore Abu Talib, Muhammad compie un
gesto molto forte per l’epoca, la separazione totale e la rottura e il rifiuto di ogni legame di sangue,
rendendosi inerme difronte ad ogni eventuale aggressione fisica. Sfociando nell’atto plateale dell’Hijra,
ovvero la migrazione da Mecca verso Medina, compiuta insieme ad altri militanti, i quali a loro volta
ruppero tutti i legami di sangue e i precedenti vincoli sociali, i Muhajirun, i quali costituiranno un nucleo
fondamentale della prima generazione di convertiti.

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Muhammad A Medina
Dopo una lunga migrazione durata due anni, nel 622 Muhammad giunge a Yathrib, anno 0 per la comunità
islamica. In pellegrinaggio a Mecca, il profeta era entrato in contatto con alcune notabili di Yathrib, i quali
riconobbero in lui una certa autorevolezza, capace di placare i conflitti tra clan presenti a Medina. Dopo un
accordo segreto, Muhammad e i suoi 75 seguaci decidono di fuggire in quella direzione. Qui il messaggio
del nuovo arrivato viene ben colto, anche per la presenza in maggioranza ebraica incline al monoteismo,
così ai Muhajirun, si aggiungono il secondo gruppo di convertiti, gli Ansar, gli ausiliari di Medina, i quali
tutti insieme formeranno la prima generazione di compagni del profeta, i Sahaba.
Tuttavia, il fenomeno dei Muhajirun proseguirà nel tempo, tanto che Yathrib diverrà per antonomasia “la
città del profeta”. In questa nuova società non vigono i legami di sangue, ma si instaura sin da subito una
fratellanza spirituale, e nella cerimonia di rifondazione della città, Muhammad sceglie come suo fratello il
cugino ‘Ali ibn Abi Talib. Si crea una società esemplare, basata sull’idea di misericordia e rigore morale, che
si esplica nel comportamento dei cittadini ma anche in gesti concreti, i 5 Arkan, pilastri, dell’identità
collettiva islamica:
1. la professione di fede in un Dio unico (Shahada)
2. la preghiera (Salat)
3. il digiuno dall’alba al tramonto nel mese sacro del ramadan (Sawm)
4. il pellegrinaggio al tempio sacro della Ka’ba (Hajj)
5. la tassa versata in ottica di ridistribuzione delle ricchezze a sfondo solidale (Zakat), anche detta Sadaqa.
Tale ultima tassa viene intesa come uno sforzo solidale appunto, che può mostrarsi sotto il punto di vista
fisico ma anche sotto il punto di vista economico, esemplare fu l’impegno di Khadija, che quando ancora in
vita aiutò i credenti a Mecca, difendendoli dalle persecuzioni e pagando i riscatti degli schiavi. Tale sforzo,
che sia economico o fisico in prima persona, viene chiamato Jihad.
Oltre a questi pilastri si instaurano delle regole morali non scritte accettate da tutta la comunità: non
viene più usata la carne di suino, non si beve vino, vietato l’adulterio e la fissazione al numero massimo di
mogli lecite a quattro, per quanto venga scoraggiata la poligamia, per quanto la poligamia serva anche per
risolvere il problema dato dall’alto numero di vedove. Lo stesso Muhammad adotterà la poligamia solo
dopo la morte di Khadija, sua prima moglie tanto amata, tanto da provocare la gelosia di ’A’isha, una delle
sue future mogli. Adottò la poligamia per ufficializzare le alleanze strette con altri clan ma anche per
aiutare le donne rimaste vedove in seguito agli scontri tra medinesi e meccani. Di fatto 6 dei 7 figli che
Muhammad ebbe nacquero dal matrimonio con Khadija, ed inoltre tutte le mogli che ebbe, fatta eccezione
per ‘A’isha, erano donne già in età avanzata al momento del matrimonio, riducendo quindi l’idea di un
profeta incline alla lussuria.
La comunità di Medina si presenta aperta a tutte le religioni, a patto che si rispettino le leggi del Corano
- vengono spesso usate le parole Mu’min, per definire un credente generale, e Muslim, per definire il
mussulmano, anche se secondo le tesi di Donner questo termine venne instaurato successivamente,
quando, in seguito alle conquiste e all’allargamento dei territori e della popolazione, gli islamici di fede
islamica abbiano voluto con questo termine evidenziare la loro appartenenza. Tuttavia, questo termine
viene spesso usato ambiguamente anche nel Corano, sia con significato “monoteista” sia come “gente del
libro”, o comunque sia con il senso più ampio di “Dio unico”, quel Dio, appunto, a cui fa riferimento
Muhammad.
Abramo nel testo coranico viene definito “hanif muslim” = “monotesita” + “seguace dell’islam”.
Prima di essere elevate al rango di scrittura sacra islamica per eccellenza le rivelazioni del Corano erano
recitate da Muhammad → codice espressivo che veicolava una forma possente di identità culturale: la
poesia. (Il Profeta veniva scambiato per un poeta)

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La Costituzione Di Medina, o carta di Medina venne scritta poco prima o immediatamente dopo l’arrivo
del profeta nel 622 a Yathrib. La sua storicità è ormai assicurata, anche se la versione più antica a noi
pervenuta risale al I/II anno dell’egira, ovvero al 700/800. Sin dall’inizio il principale problema
interpretativo è la distinzione fra credenti (Mu’minun) e musulmani (Muslimun). Inoltre, si stabilisce anche
la nuova regola legale del pagamento di un indennizzo per gli omicidi commessi fra membri della comunità,
soprattutto per i Quraysh.
Poi, viene esplicato il rapporto con i clan ebraici, giudicando loro come i mussulmani, lasciandogli libertà
di culto ma comprendendoli anche nelle spese e nello sforzo, anche e soprattutto militare, riguardante il
nuovo stato medinese. Anche ai pagani viene lasciata una certa libertà sotto questo punto di vista, anche
se li obbliga all’alleanza alla città di Medina, quindi anche loro devo porre resistenza e ostilità a qualsiasi
nemico, soprattutto se proveniente da Mecca.
In questo primo momento la preghiera dei mussulmani si rivolge verso Gerusalemme, città mai
pronunciata nel testo sacro ma che rimane fulcro centrale.
La questione delle relazioni religiose si complica molto presto, quando Muhammad entra in conflitto con 3
clan ebraici, che non appaiono nella costituzione, molto probabilmente perché non aderirono. Di fatto i
rabbini di questi tre clan ebraici smontavano la profezia predicata da Muhammad. Tale conflitto,
inizialmente orale, passerà successivamente ai fatti, con l’espulsione dei clan Banu Nadir e Banu Quaynuqa
e il massacro del clan Banu Qurayza. Il contesto in cui avvengono questi scontri interni va disegnato in
quelli che saranno gli scontri con i meccani, che raggiungono il loro apice nel 624, nella battaglia di Badr,
vinta dai medinesi; nel 625, nella battaglia di Uhud, vinta dai meccani; e la battaglia del fossato, vinta dai
medinesi grazie ad un fossato strategico nel 627. Ma tutto ciò, tornando a parlare dei conflitti interni e
secondo un’ipotesi di Fred Donner, potrebbe essere stato inventato a priori per giustificare meglio la figura
profetica di Muhammad, secondo la dinamica che un profeta debba avere un avversario che confermi la
sua figura.
Al termine di questi scontri i medinesi proposero un patto ai meccani, volto a permetter loro di compiere il
famoso pellegrinaggio al tempio della Ka’ba. Tale patto prende il nome del Patto di Hudaybiyya, nel quale
si firma la fine delle ostilità tra le due città, la possibilità di compiere il già detto pellegrinaggio già dall’anno
successivo e il ritorno a Mecca di tutti coloro che l’avevano lasciata per trasferirsi a Medina senza il
permesso dei loro protettori.
Durante questa tregua, Muhammad preparerà l’offensiva strategica contro Khaybar, oasi che si sviluppava
a nord di Medina, in una posizione geograficamente e territorialmente monto vantaggiosa.
La pace con i meccani durò solamente due anni, permettendo i pellegrinaggi dovuti; ma fu l’uccisione, da
parte di un clan alleato ai meccani, di alcuni membri di un clan filo-medinese a rompere l’incantesimo.
Rottura che si risolse nel 630 con la definitiva conquista di Mecca da parte del popolo di Yathrib.
Ne seguì una conversione di massa, tra le quali si registrano quelle dei due maggiori strateghi militari di
Mecca e il profeta tornò quasi subito a Medina, preferendola come città di residenza, anche se Mecca era
divenuta ormai la città centrale per il monoteismo coranico e avendo ripulito la Ka’ba dai simboli pagani.
Nel viaggio di ritorno, o il pellegrinaggio d’addio del profeta a Mecca, nel 632, sul monte Arafat,
Muhammad pronuncerà un sermone nel quale si trattano punti riguardanti le relazioni tra i vari clan e i
rapporti all’interno della famiglia; ma di maggior importanza sarà la frase che pronuncerà presso lo stagno
di Ghadir Khumm: “coloro che hanno trovato in me un patrono avranno ‘Ali per patrono”, frase che
prenderà un valore inestimabile per la tradizione sciita, che appunto vede nel cugino e genero, in quanto
marito della sua figlia prediletta Fatima, di Muhammad il suo successore.
Tre mesi dopo a queste parole del 632, Muhammad muore a Medina, città che lo aveva accolto e dove
giace. Ormai la penisola è unita, sempre attraverso alleanze e mai con un dominio diretto, sotto il potere di
Medina e il simbolico versamento della Sadaqa, tassa che veniva versata già dai primi abitanti di Medina, in
quanto uno dei 5 pilastri.

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Comunità e Militanza
Jihad: coinvolgimento reale e fisico nella causa comune, nel soccorso e nell’aiuto, o che si limiti al piano
finanziario - investimento di propri beni per il bene comune, che sia rivolto verso le vedove, orfani o
schiavi, sull’esempio di Khadija a Mecca “operare il bene e proibire il male”.
Tuttavia, non si può negare che nel grande concetto che può ricoprire la parola sforzo, non ci sia anche un
impegno nella lotta alla miscredenza. Di fatto questo concetto è condiviso da tutti i monoteismi, che sia
quello islamico come quello ebraico e cristiano; legittimato nei vari casi nelle Scritture e volto a giustificare,
secondo la lettura che si vuole enfatizzare le loro politiche espansionistiche e di aggressione.
Tale concetto si riversa nella figura di Muhammad, che veste i panni centrali di profeta, ma allo stesso
tempo si rivela essere anche uno stratega e uno statista. Di fatto la sua figura storica per le generazioni
successive alla sua è simile a quella che possiamo prelevare dalla figura di Mosè, dove la funzione religiosa
e la funzione politica sono perfettamente fuse.
Dunque, spesso si trovano accenni violenti nelle parole del Corano come per esempio nella Sura della
conversione, dove viene detto di sterminare chiunque non si voglia sottomettere al pagamento della
Decima, convertire e pregare il Dio “indulgente e clemente”:
Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro
agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore,
misericordioso. (Cor. IX, 5)

oppure, in modo più esplicito e crudele nel libro di Giosuè, quando si narra la conquista di Gerico, città
nemica per antonomasia, dove “passarono a fil di spada” persino “pecore e asini”. Tuttavia, il versetto della
Sura della conversazione preso in considerazione si completa nel verso successivo quando narra:

E se qualche idolatra (Mushrikun) ti chiede asilo, concediglielo affinché possa ascoltare la Parola di Allah, e poi rimandalo in
sicurezza. Ciò in quanto è gente che non conosce! (Cor. IX,6)

dove con il termine Mushrikun si intendono i miscredenti pagani di Mecca, mai i Cristiani o gli Ebrei, i quali
condividono l’idea di un monoteismo “corretto”.
Nel reale tale predisposizione alla guerra santa, alla guerra in nome della causa di Dio, non era accettata
all’unanimità: nella stessa comunità medinese possiamo trovare persone disposte ad andare in guerra per
il proprio Dio, mentre possiamo trovarne di altre meno disposte a fare ciò ma allo stesso tempo pronte a
brandire le armi se per motivi esclusivamente difensivi, con una visione più moderata. Questa visione
bilaterale viene convalidata da un famoso detto del profeta, che narra:
Ogni profeta inviato da Dio ad una nazione prima di me ha avuto discepoli che seguivano il suo esempio e obbedivano ai suoi
comandi. Ma dopo di loro vennero altri che predicavano ciò che essi stessi non facevano, e facevano ciò che essi stessi non
predicavano. Chiunque lotti (Jahada) contro costoro con la mano è un credente; chiunque lotti contro costoro con la lingua è un
credente; chiunque lotti contro costoro col cuore è un credente.

Inoltre tale idealizzazione bifronte viene mantenuta nella stesura del Corano, dove, come abbiamo potuto
vedere nei versetti 5 e 6 della Sura IX, ad ogni verso radicale ne segue uno più pacato.
Una via di fuga per gli altri monoteismi rimane: il pagamento del tributo. La negoziazione sarà infatti una
condizione basilare, anche nelle future conquiste, e si concilia perfettamente con il verso 256 della Sura II,
dove si usano le parole “non vi sia costrizione nella fede”.

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Medioevo Arabo. Una storia dell’islam medievale VII – XV secolo
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Leonardo Capezzone

CAPITOLO 2. ESPANSIONE
Le Fonti Sulle Conquiste Arabe. L’espansione araba, attraverso numerose conquiste militari, viene spesso
descritta e raccontata proiettandoci problematiche e conflitti sorti in un secondo momento. Le fonti
tendono a fornire una descrizione fortemente idealizzata, come, per esempio l’enfatizzazione del
ruolo di Medina a cui viene conferita la massima importanza. ABU BAKR
Tra il II e il III secolo dell’egira, la più antica storiografia araba ha costruito un’immagine potente
ed esemplare delle origini – base documentaria su cui fondare una ricostruzione degli eventi. Ma
‘UMAR IBN
proprio dall’epoca delle conquiste, si aggiungono altre tipologie di fonti: documenti di carattere AL-
amministrativo, proveniente soprattutto dalla zona dell’Egitto. Da questo insieme di KHATTAB
documentazione emerge una visione plurale degli eventi che hanno accompagnato l’arrivo degli
arabi.
Alla morte del Profeta nel 632, di fronte alla questione di successione alla guida politica - ‘UTHMAN
Muhammad non aveva lasciato alcuna indicazione – la coesione della comunità mostra i primi IBN ‘AFFAN
segni di sfaldamento.
Non avendo egli lasciato alcuna investitura ufficiale, viene deciso di eleggere il successore attraverso una
giuria di saggi. Da questa elezione viene estratto il nome di ABU BAKR, compagno del profeta sin dall’inizio
→ dissensi soprattutto da parti di ‘Ali, cugino e genero del profeta, personaggio che si era convertito
subito alla sua idea.
Proprio ‘Ali fonderà, basandosi sulle parole narrate allo stagno di Ghadir Khumm che vede la pubblica
investitura di ‘Ali da parte del profeta, una fazione ostile ad Abu Bakr, tanto che si dice che egli non gli
abbia prestato giuramento.
ABU BAKR verrà definito, dalla tradizione islamica, come il primo dei califfi ben guidati (al-khulafa’ al-
rashidun [Khalifa = vicario), titolo che successivamente prenderà un’altra nomina con Amir al- mu’minin,
con il primo termine che accentua il comando militare e il secondo quello religioso.
Sotto ABU BAKR scoppia la ribellione di alcune tribù volte a non pagare più la Sadaqa, con il desiderio di
tornare al vecchio regime di anarchia beduina. Egli risolve la situazione, per poi portare l’esercito alla
conquista verso i confini dell’impero bizantino e sasanide.
Abu Bakr organizzerà la prima vera campagna militare poco prima di morire, e viene portata avanti dai suoi
successori, eletti sempre attraverso la prassi dell’elezione: ‘Umar ibn al-Khattab (m. 644) e ‘Uthman ibn
‘Affan (m. 656).
Le Conquiste, spesso percepite come fulminee si protraggono per un secolo circa, interrotte due volte per
due guerre civili.
Le fasi della conquista araba, dirette secondo due grandi assi – nord-est e nord-ovest – :
636 (‘UMAR IBN AL-KHATTAB) l’esercito arabo sconfigge definitivamente le armate bizantine nella battaglia
di Yarmuk, concludendo la conquista della Siria.
636 – 640 (‘UMAR IBN AL-KHATTAB) procede con conquista della Mesopotamia persiana e dell’Armenia
sud-orientale; la battaglia decisiva è quella di Qadisiyya del 638.
Nel 652 termina la campagna in Iran, con la sua presa totale;
639 – 642 (‘UMAR IBN AL-KHATTAB) viene intrapresa e vinta la campagna d’Egitto, con una doppia
invasione da Nord e da Sud;
660 – 711 viene raggiunta la penisola iberica e il Maghreb, dopo l’interruzione della prima guerra civile
scoppiata nel 656.
Le conquiste si dirigono verso la Palestina e la Siria, seguendo il personale interesse da parte di
Muhammad per quella regione + zone importanti economicamente. Tale campagna viene descritta,
secondo fonti cristiane, come brutale e sanguinosa. Al contrario le fonti islamiche, che si raggruppano

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intorno alla letteratura Futuh “aperture”, mettono in evidenza il confronto militare, enfatizzando, in caso di
vincita, la resa nemica e il patteggiamento.
Tuttavia, nel modello narrativo arabo delle conquiste è la separazione fra dimensione epica della battaglia
e la dimensione del negoziato, in cui la concezione dei diritti del vinto si esprime attraverso una scelta: la
conversione o il pagamento di un tributo e dunque il mantenimento delle proprie leggi e della propria
cultura. Non che venga tralasciata tutta la narrazione riguardante la conquista e la devastazione nemica →
l’indagine archeologica ha constatato ben poche tracce di incendi o distruzione. (le chiese di culto cristiano
hanno continuato ad essere edificate anche dopo la conquista araba.
L’idea di conquista attuata con la volontà di imporre la religione islamica non è attendibile nemmeno per
motivi sociologici ed economici. Nelle regioni governate dall’impero Bizantino la composizione
confessionale del cristianesimo orientale era in contrasto con l’ortodossia bizantina, e la politica di
repressione religiosa di Costantinopoli in Egitto e Siria passava attraverso la fiscalità.
Alle comunità cristiane raccolte intorno alle singole chiese – monofisita, giacobita, nestoriana, copta –
viene riconosciuto uno statuto di autonomia giuridica, affidato ai vescovi.
In Iraq ed Iran il confronto con lo zoroastrismo (nella società iranica è la religione di stato e garantisce
solidarietà tra la classe dei sacerdoti e quella dei guerrieri-latifondisti, sancita dal sovrano al vertice) è
meno documentato. Qui gli interlocutori dei conquistatori sono i grandi proprietari terrieri, anche i primi a
convertirsi, per vedersi confermare i propri previlegi. Mentre all’interno dell’Iran montuoso, nella società
contadina e agricola, il cambiamento, fu quasi inesistente.
La Conquista nelle fonti non Islamiche – raccontano l’avanzata araba verso territori per lo più
appartenenti all’impero romano, i documenti provengono dalla Siria, dall’Iraq e dall’Egitto, ma sono nella
quasi totalità cristiane, anche se non mancano quelle di parte ebraica e persiana.
Tale avanzata viene molto spesso vista come una punizione da parte di Dio per i peccati, chi è fillo-
bizantino vede la punizione abbattersi contro lo stato generale di corruzione che vige negli strati più alti
della società; chi è antibizantino, contro il clero di rito calcedoniano imposto da Bisanzio (in Egitto) ritiene
che sia la connivenza tra i nativi e la chiesa straniera ad averlo causato.
Ambivalenza fonti cristiane: lamento violenza subito e ammissione comportamenti inaspettatamente
liberali.
Di fatto le tasse imposte erano due: la prima, la Kharaj, destinata a tutti i non mussulmani; la seconda era
una tassa pro capite ed era destinata agli ebrei e i cristiani per mantenere la loro libertà di culto, la Jizya.
Questa tassa è il fondamento della dhimma, il patto che regolava lo statuto giuridico dei non musulmani in
territorio islamico. Tuttavia, non mancano i casi di conversioni volontarie (per guadagno). Monasteri e
chiese, in seguito al consolidamento del dominio arabo iniziarono a godere dell’esenzione dalle tasse - non
mancano tra i documenti dei falsi retrodatati. Infatti, si usava spesso creare dei permessi, mai accettati al
momento della negoziazione, retrodatandoli, soprattutto ai tempi di ‘UMAR IBN AL-KHATTAB, famoso per la
sua bontà e pietà religiosa, ottenendo così delle libertà mai concesse. (Il primo musulmano ad entrare nella
Città Santa di Gerusalemme da conquistatore, ma nelle vesti di un pacificatore.)
Trattato di ‘Umar con il patriarca di Gerusalemme: clausola antigiudaica voluta dai cristiani ma non
esaudita dagli arabi. Agli ebrei dopo la conquista di Gerusalemme nel 637 è consentito vivere e praticare i
loro culti nella città. Invece l’impero bizantino, fra il V e il VI secolo, aveva mostrato nei confronti delle
comunità ebraiche una crescente ostilità, culminata nell’Editto di Eraclio, emanato dall’imperatore
bizantino Eraclio che imponeva agli ebrei la conversione forzata.
Monaco nestoriano Giovanni bar Penkaye, Mesopotamia del Nord. Egli evidenzia la tolleranza religiosa
araba nei confronti dei cristiani, basata sula pagamento della tassa, anche se diventa polemico quando

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parla dell’uguaglianza che viene data ai cristiani ed ebrei, uguaglianza intrinseca nello statuto della
Dhimma. Tale statuto, nel quale si sottolinea soprattutto il pagamento della celebre tassa, va inteso come
un patto bilaterale. Infatti, i conquistati si impegnavano a pagare la tassa dovuta, tuttavia i conquistatori si
impegnavano a mantenere la libertà religiosa e a badare alla difesa del territorio. Lo statuto della dhimma
verrà nel tempo modificato e perfezionato e costituirà il fulcro delle dinastie omayyade e abbaside.
La Conquista Del Nord Africa E Della Penisola Iberica. Le più antiche fonti islamiche che forniscono info
sulle prime spedizioni arabe al di là dei confini egiziani le si possono datare al IX secolo, 200 anni dopo gli
eventi. In questa storiografia i principali protagonisti sono i berberi, agenti fondamentali
dell’islamizzazione nel Maghreb accanto all’élite araba. Aderirono all’islam.
Maghreb: sono poche le fonti provenienti dai popoli conquistati. Sembra però certo che le conquiste siano
state guidate verso Ovest con un margine di autonomia gestionale nei confronti di Medina. Il centro
decisionale per la campagna nel Maghreb era diventato Fustat, oggi sobborgo del Cairo, da dove l’esercito
fu inviato dal califfo ‘Umar verso l’esarcato bizantino in Africa dove il governatore bizantino Gregorio aveva
dichiarato la propria indipendenza dall’impero.
Nel 647 viene prese la Tripolitania e viene sconfitto Gregorio, e il suo successore, Gennadio ottiene il ritiro
dei militari arabi in cambio del tributo. Questa prima fase in Nord Africa si fermerà con l’arrivo della prima
guerra civile nel 656.
La campagna ripartirà nel 661, quando la nuova dinastia omayyade con il califfo Mu’awiya farà di Fustat,
la capitale della provincia araba d’Egitto, in un centro di potere subordinato da cui parte la seconda ondata
di conquiste verso Ovest.
Le conquiste arriveranno nel 664 nella regione di Kabul, in Afghanistan.
Nel 670 l’esercito arriverà in Tunisia, e sull’area della guarnigione militare araba in Nord Africa si sviluppa
la prima città islamica del Maghreb, destinata a diventare la capitale della provincia e il maggior centro
intellettuale ed economico fino al X secolo → controllo delle principali vie commerciali (Sahara – regioni
sub-sahariane) lungo le quali passano due fattori decisivi della prosperità economica di tutto il
Mediterraneo medievale: oro e schiavi. (+ribellioni berbere)
Fra il 682 – 692 Seconda guerra civile: da Medina alla Siria e a parte dell’Iraq sconvolge le vicende politiche
del giovane stato omayyade e arresta la seconda ondata di invasioni.
Dopo una serie di sconfitte inferte da un’alleanza berbero-bizantina a cui si affianca un contingente
visigoto dalla Spagna, che avevano fatto indietreggiare gli arabi, le armate musulmane guadagnano di
nuovo terrene dal 698 e riescono ad affermare il loro dominio fino all’Atlantico.
Tuttavia, non va oscurata la figura di Giuliano, forse ultimo esarca bizantino in aperta ribellione con il
monarca visigoto. L’estensione delle conquiste verso la penisola iberica è una diretta conseguenza della
politica di alleanza con Giuliano che vede una garanzia per sé stesso. La popolazione del potentato di
Giuliano era composta in buona parte da profughi della Spagna (ebrei e cristiani ariani) che fuggivano dalle
persecuzioni e dalla politica di conversione forzata al cristianesimo calcedoniano scatenata dall’avvento
della monarchia visigota. Una coalizione di forze in terra spagnola si stringe contro Roderico ed è disposta a
collaborare con chi permette la libertà di culto come gli arabi.
Finalmente nel 711 sbarcano a Gibilterra con un esercito arabo-berbero e da lì inizia la conquista della
penisola iberica. Sconfitto l’esercito di Roderico, le città cadono rapidamente: Cordova, Ecija, Malaga,
Siviglia, fino a Toledo. Va sottolineato che anche i metodi di negoziazione rimangono simili a quelli condotti
nella penisola araba verso nord ed est, ma con qualche differenza che ha segnato il declino della religione
cristiana in nord Africa, senza tuttavia estinguerla del tutto.

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CAPITOLO 3. IMPERO
L’Impatto Delle Conquiste Arabe. Gli effetti dell’avanzata araba sono statI spesso concepite in due modi
differenti: il primo vedeva la cultura islamica come la combinazione di prestiti, influenze (impero sasanide,
greco-romano, ellenismo) – minimizzandone così l’originalità. Il secondo, invece, vedeva in questa nuova
civiltà un prodotto autoctono. Alla base di questa complessa interazione culturale formata da un’identità
plurale, che investe la natura dell’espansione araba e i processi che essa ha determinato, sottostà
un’osservazione empirica che aiuta a comprendere le dinamiche: le idee si diffondono se sono congruenti
con i modelli di pensiero della cultura che le riceve.
Le conquiste arabe sono spesso viste come una rottura tra antichità e medioevo ma in realtà il fenomeno
delle conversioni caratterizza il passaggio graduale da un’antichità ad un medioevo.
I fattori del cambiamento sono spesso i conflitti sociali, le innovazioni tecnologiche ed economiche, le
istituzioni politiche.
L’espansione araba a lungo termine, ha anche ricostruito l’unità dei territori coperti dalla diffusione
dell’ellenismo = processo di assimilazione, da parte araba, della sintesi operata nei secoli precedenti fra
l’elemento iranico, semitico e greco.
La svolta più imponente che avviene con la conquista araba è la nascita di una prima globalizzazione:
l’unificazione di un territorio così vasto ma così omogeneo, riesce a creare una rete di contatti impensabile
in quell’epoca, rispecchiandosi anche in rotte commerciali fino ad allora separate. Il concetto di centro e
periferia viene sconvolto, ciò che era stato creato da Bisanzio e dalla Persia, le quali basavano il loro
controllo su alleanze con tribù periferiche minori, viene scardinato, insieme al concetto di potere
assolutista e il supporto che ad esso giungeva dal credo ufficiale (cristianesimi/zoroastrismo) espressione di
lealismo verso lo stato.
Questa globalizzazione procede attraverso due processi che si affermano secondo tempi e modalità
diverse.

• Il più rapido, l’arabizzazione - riguarda la diffusione della lingua e quindi della cultura letteraria araba in
tutti i territori conquistati (tale processo verrà istituzionalizzato in un secondo momento).
• Il secondo, ben più lento, poiché non forzato, e ma favorito dal primo, è l’islamizzazione, ovvero la
conversione alla religione islamica, che in un primo momento sarebbe meglio chiamare adesione;
Inoltre, venne studiato un terzo motore, fortemente dipendente da quello dell’islamizzazione, la
semitizzazione, ovvero la diffusione delle pratiche legate alla cultura religiosa islamica, che siano
alimentazione “sacra” o le pratiche religiose, in luoghi in cui si era sviluppata la cultura semitiche.
L’espansione araba realizza territorialmente e amministrativamente un impero prima ancora che esso si
concretizzi ufficialmente con l’istaurazione del potere dinastico. Ma il dominio arabo non ha di fatto il
completo monopolio del potere: condivisione del potere nelle regioni e la delegazione alle élite locali. → in
questo caso, il ruolo delle élite cristiane delegate alla gestione fiscale diventa motivo di tensione sociale,
specialmente in Egitto durante il VIII secolo, dove la popolazione copta si ribella non al governo islamico
ma ai funzionari correligionari che impongono arbitrariamente le tasse.
Quindi una molteplicità di sistemi giudiziari coesistevano e definivano in maniera differenziata le modalità
legali della vita di ciascuna comunità religiosa.
La Prima Guerra Civile e l’avvento degli Omayyadi
3° successore del profeta, ‘UTHMAN IBN ‘AFFAN – è sua la volontà di un primo tentativo di rilegatura del
testo sacro. Sarà, infatti, proprio lui a comandare la raccolta di tutti i versi che potevano far parte del
Corano, creando così un testo ufficiale.

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Contro la sua condotta di governo si sollevano da molti fronti proteste e dissensi che sfoceranno nella
PRIMA GUERRA CIVILE, 656 – 661, e quindi nella rottura tra sunnismo e sciismo.
Il governo di ‘Uthman, che porta avanti una politica che vede favorire la propria famiglia dei Banu
Umayya, non viene riconosciuto legittimo da ‘Ali, che dalla sua roccaforte di Kufa organizza politicamente
e militarmente una dissidenza raccolta in una fazione shi’at’Ali, in cui le fonti successive indiduano il primo
embrione del movimento sciita.

Nel 656 ‘Uthman viene assassinato e ‘ALI riuscirà a farsi eleggere a capo della comunità. I suoi governatori
non verranno però riconosciuti da quello che era diventato, a discapito di Medina, il centro politico e
militare della conquista – la Siria, governata con spregiudicatezza dal cugino di ‘Uthman, Mu’awiya.
Inoltre, si era andato producendo un concentramento di grandi proprietà terriere, esenti dal pagamento
delle tasse perché possedute da musulmani, nelle mani di notabili qurayshiti che avevano accumulato
enormi ricchezze a danno della comunità di credenti. Or dunque il movimento dissidente si fa portatore di
un movimento etico-morale insurrezionale, che molto spesso verrà preso come pretesto.
La politica di ‘Ali invece sarà molto più aperta, soprattutto con i non arabi, tanto da creare uno statuto,
Mawali, ovvero cliente con un clan arabo. Tutto ciò è visto negativamente da parte di Mu’awiya e dalla
famiglia Banu Umayya, nonché da un terzo fronte, anti-omayyade, guidato dalla vedova del profeta
‘A’isha, ostile anche ad ‘Ali. → ‘A’isha delega a due notabili di Mecca il compito di organizzare una rivolta
culminata nella celebre Battaglia del Cammello, combattuta nel 656 vicino Basra, in Iraq, così chiamata
perché la donna ne seguiva le fasi da una postazione protetta assisa su un cammello. La battaglia ha un
esito negativo per ‘A’isha, che viene ricondotta a Medina con tutti gli onori dovuti al suo rango ma
costretta a ritirarsi dalla scena politica.
Il conflitto tra ‘Ali e Mu’awaiya, il quale dalla Siria aveva dalla sua la maggior parte delle forze militari, si
radicalizza nel 657. Mu’awiya accusa ‘Ali di non aver perseguitato gli assassini di ‘Uthman, accusandolo così
indirettamente dell’assassinio. Infittendosi, lo scontro scaturisce nella battaglia di Siffin, durante la quale il
fronte siriano di Mu’awiya sembra essere più debole e quindi si ritrova obbligato a chiedere una tregua,
con il gesto eclatante di porre delle pagine del Corano sulla punta delle lance, segno che richiamava al
giudizio della parola di Dio.
‘Ali accetta di sottostare all’arbitrato di una commissione interpellata per il giudizio = non avrebbe agito in
difformità con lo spirito etico del testo sacro.
Di fatto tra le fila di ‘Ali, che troppo tardi si rende contro dell’errore commesso, alcuni si erano fermamente
opposti a questo stratagemma, affermando che il giudizio di Dio si sarebbe mostrato nell’esito della
battaglia. 1° dissenso settario, costituendo così una corrente che prende il nome di Kharigiti (al-khawariji
“quelli che escono”).
Da questo momento in poi la carriera politica di ‘Ali va tutta in discesa, reprime questa dissidenza nel
sangue e sarà per mano di un sicario kharigita che troverà la morte nel 661.
Mu’awiya riesce astutamente a riprendere il potere, facendo diventare la Siria, con la sua capitale
Damasco, il centro di tutto, scatenando però una dissidenza da parte di Mecca e Medina, che percepiscono
fortemente questo spostamento di poteri.
La seconda guerra civile e l’affermazione dello stato Omayyade
Dal 661, anno in cui Mu’awiya stabilisce un principio di eredità dinastica del potere all’interno della
famiglia omayyade. Le conquiste riprendono verso il Nord Africa e, a oriente, verso il Sistan (regione di
confine in Iran e Afghanistan Sud-occidentale) tentando per due volte l’assedio di Costantinopoli nel 669 e
fra il 674-677, con esito fallimentare.

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La nuova ondata di conquiste lanciata dopo la prima guerra civile (665-661) presenta un carattere diverso,
riflesso dell’istituzionalizzazione di alcune modalità con cui si incorporano e governano i nuovi territori.
Cambiamenti: guarnigioni militari – amşār -; le postazioni che costituiscono la base logica delle forze di
occupazione, che con la nuova dinastia acquistano una fisionomia permanente sulla quale poi si baseranno
le prime città di fondazione islamica: Kufa e Basra in Iraq, Fustat in Egitto, Qayrawan in Ifriqiya (Provincia
Africa).
Nella prima fase delle conquiste il contatto con le popolazioni era pressoché minimo, nella seconda fase si
verifica un processo di insediamento dove i conquistatori portano con sé famiglie oppure sposano donne
delle regioni conquistate. → seconda generazione.
Gli arabi non si stanziano mai nelle campagne.
L’amministrazione fiscale in Siria, Egitto è ancora affidata ai cristiani e in Iraq agli zoroastriani. Apertura
interconfessionale: i cristiani partecipano ad operazioni militari omayyadi. Tuttavia, con la seconda guerra
civile, questa apertura interreligiosa verrà messa in discussione dalla stessa dinastia omayyade, la quale
decide di marcare le differenze religiose.
Alla morte di Mu’awiya e la successione di Yazid si riaccendono i dissapori riguardo la successione per
sangue:
MU’AWIYA
• A Mecca, l’opposizione fu sconfitta nella battaglia del cammello e si riaccende, guidata dal
figlio del suo leader, ‘Abdallah ibn al-Zubayr.
• A Medina un figlio di ‘Ali, Husayn, rifiuta di giurare fedeltà a Yazid. YAZID IBN
MU’AWIYA
• A Kufa i sostenitori della causa alide organizzano una rivolta e propongono a Husayn la
leadership = imama (imamato, autorità che trascende i confini dell’esercizio politico “stare
avanti”). MU’AWIYA
• Anche il primo gruppo secessionista dell’islam, i kharigiti, contesta la successione (principio II
egalitario di accesso al potere).
Husayn è un tragico protagonista della Seconda Guerra Civile che accoglie la chiamata dei ribelli
MARWAN
di Kufa e nel 680 si mette in viaggio per raggiungerli. (Accetta di lottare contro il tiranno anche
sapendo che è senza speranza) – Un contingente dell’esercito omayyade intercetta la carovana
di Husayn in prossimità dell’Iraq meridionale = massacro, la strage di Karbala. → ‘ABD AL-
Dall’Iraq fra i ribelli nasce il movimento dei Penitenti, coloro che non erano riusciti a raggiungere MALIK
Husayn o hanno rinunciato; marciano in processione fino alla Karbala dando inizio alla pratica
ancora oggi osservata dagli sciiti delle celebrazioni di ‘Ashura.
Yazid cerca inutilmente l’appoggio dei Medinesi. La propaganda di ‘Abdallah ibn al-Zubayr raggiunge tutti
coloro che odiano gli omayyadi per essersi arricchiti con l’esproprio di terre medinesi. Dopo l’espulsione
del governatore omayyade da Medina nel 683 si arriva allo scontro armato. I medinesi perdono contro
l’esercito siriano, nelle cui fila ci sono anche soldati cristiani dei Banu Kalb. L’armata omayyade poi marcia
verso Mecca ma viene raggiunta dalla notizia della morte improvvisa di Yazid e si ritira lasciando che
‘Abdallah ibn al-Zubayr si proclami Amir al- mu’minin.
Un leader sciita di Kufa, il liberto Mukhtar ibn Ziyad, espulso dalla città del governatore omayyade si reca a
Mecca per stringere un accordo con ‘Abdallah ibn al-Zubayr ma viene allontanato → inizia ad organizzare
una rivolta contro l’aristocrazia terriera predicando ai mawali e agli schiavi, arricchendola con un forte
elemento religioso e messianico. Vedono in Mukhtar il mahdi, il messia giunto per ristabilire la giustizia.
Mukhtar e i suoi compagni riescono a controllare Kufa, da dove i filoomayyadi vengono scacciati, arrivando
fino all’Iraq settentrionale.

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L’insurrezione tiene sotto sacco tanto gli omayyadi quanto i fedeli ad ‘Abdallah ibn al-Zubayr, e saranno
quest’ultimi che nel 687 riusciranno a reprimere nel sangue la rivolta e mettere fine al contropotere
meccano di Mukhtar ibn Ziyad.
La seconda guerra civile mette in luce le fratture intorno alla questione dell’imamato che sembravano
essere ricomposte. Per quanto riguarda la legittimità del potere: si rafforza e radicalizza l’opzione sunnita,
che include gli Omayyadi e la scelta filoalide si tramuta in un movimento settario con tendenze
messianiche sempre più accentuate ma aperte ai non arabi.
Con la conclusione della seconda guerra civile, la cultura politica omayyade che accompagna il tramonto
del ruolo di Mecca e Medina inizia a creare le basi di una visione storiografica entro la quale la memoria
storica riabilita entrambi i contendenti di ‘Ali (incluso in una celebrazione delle origini dove le sorti della
comunità sono affidate a 4 vicari “khalifa” ben guidati) e Mu’awaiya (prima dinastia musulmana). Califfo è
un termine Coranico.
Inoltre, viene posto accento sull’identità mussulmana della conquista; facendo mutare la figura dei
Muhajirun, coloro che avevano appoggiato sin dà subito l’idea del profeta, nella figura dei Muslimun.
Il Secolo Omayyade
Nel 661 Mu’awiya fonda il primo califfato ereditario. La scelta di eleggere Damasco come capitale è
dettata da ragioni politico/amministrative. La Siria è in questo momento la regione che più di ogni altra
fornisce il consenso militare e la rete di alleanza economica su cui maggiormente la famiglia aveva potuto
costruire la propria fortuna. + ragione simbolica: visibilità del potere e dell’autorità califfali, che estende i
suoi effetti a partire dalla provincia più antica del mondo, in aperto confronto con i bizantini e il
cristianesimo che marcano il territorio siriano.
Caratteristica della dinastia omayyade: consapevolezza del proprio potere e della propria capacità di
presentarsi all’altra grande potenza, Bisanzio, all’altezza di un’ideologia del potere sovrano. Con gli
omayyadi lo stato persegue una politica di espansione anche per finanziare istituzioni e gruppi sociali.
Con i 4 capi che avevano guidato Medina, le prime ondate di conquista, si erano fondato un diwan al-jund
– registro dell’esercito – che con gli omayyadi si perfeziona diventando un vero e proprio dipartimento. Su
questo modello nascono il dicastero della cancelleria, l’apparato burocratico destinato alla gestione
economica del paese (diwan al-kharaj), quello della giustizia (diwan al-qudat) e quello destinato alle
comunicazioni via posta (diwan al-barid) che tiene in piedi tutta questa macchina burocratica che con
l’avanzare del secolo omayyade diventa gigantesca.
Il potere dell’amir al-mu’minin con ‘Abd Al-Malik e i suoi eredi, continua a rappresentare l’unità politica
della nuova entità statale, coordina le attività militari concedendo minore autonomia ai generali. Con
Walid I e con Sulayman (regna 715-717) le conquiste realizzano il loro ultimo slancio, in oriente
stabilizzandosi in Transoxiana, e a occidente inoltrandosi nella penisola iberica dove nel 732 lo scontro con
i franchi a Poitiers segna il limite.
Con Sulayman si tenta una nuova presa di Costantinopoli tra il 717 e il 718, fallimentare.
La fase dell’espansione tende ad arrestarsi mentre prosegue un’opera di centralizzazione amministrativa.
‘Adb al-Malik, regna 685 – 705, è da molti ritenuto il vero fondatore della statalità omayyade. Con lui
l’islam edifica il primo grande monumento, sintesi della memoria artistica delle terre conquistate e la
Cupola delle Rocce a Gerusalemme, lì dove la tradizione localizza il sacrificio di Isacco da parte di Abramo e
dove si dice che Muhammad abbia effettuato il suo viaggio mistico nell’aldilà (mi’raj). Sulla cupola sono
iscritti versetti coranici in cui si insiste sulla natura umana di Gesù figlio di Maria – prime esplicite
affermazioni di un islam assunto a religione egemone dello stato omayyade. Vi è sempre una più netta
distinzione fra i muslimun e i monoteisti cristiani ed ebrei appartenenti all’ahl-al-kitab, la profezia.

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È in questo momento del VII secolo che si enfatizza il ruolo profetico del fondatore dell’islam. Il nome di
Muhammad inizia a comparire nei documenti ufficiali.
Sotto il califfato di ‘Abd al-Malik si varano due riforme epocali: separano il processo di islamizzazione da
quello dell’arabizzazione.
1. L’impero omayyade dimostra consapevolezza della propria autonomia finanziaria – dà inizio ad un
proprio sistema monetario a base bimetallica, il dinar d’oro e il dirham d’argento, imponendolo sui
mercati mondiali.
2. La lingua araba viene dichiarata lingua ufficiale dello Stato.
Le ribellioni esistono ma lo stato dimostra giudizio equanime e prova ad introdurre modifiche continue ad
un primo regime fiscale basato su una tassa fondiaria (kharaj) e pro capite (jizya), inizialmente fuse in
un’unica imposta.
Punti deboli della dinastia omayyade: l’incapacità di affievolire le disparità sociali, basate sul quadro etnico.
Tale sarà, nel 750, il punto di forza di una protesta sociale guidata a proprio vantaggio dalla famiglia dei
Banu ‘Abbas, altro potente clan qurayshita, che prenderà il potere fondando la dinastia degli Abbasidi.
Gli Omayyadi di Al-Andalus (756 -1031)
Primi anni 700 i contingenti arabo-berberi raggiungono i territori bagnati dall’Atlantico, sconfiggendo
l’ultimo re visigoto di Spagna. = Nuova fase di espansione islamica.
La nuova e più lontana provincia omayyade sarebbe diventata in pochi decenni la prima entità statale
indipendente dell’ecumene islamica, separata dal controllo dell’autorità centrale in seguito alla presa di
potere da parte degli Abbasidi. Il territorio, definito Al-Andalus, diventa il rifugio dell’omayyade ‘Abd al-
Rahman ibn Mu’awiya, nipote del califfo Hisham, sopravvissuto al massacro del 750 con il quale avviene il
passaggio tra una dinastia regnante e la nuova. Qui poteva contare sulla fedeltà dell’élite siriana che
governa in Andalusia e sui vincoli di alleanza che lo legano ai berberi.
In Andalusia, Abd al-Rahman ibn Mu’awiya preferisce affermare un emirato, non avendo intenzione di
sfidare i califfi di Baghdad – è l’amir al-muslim e questo gli consente di non entrare in competizione con
l’ideale unità della umma. La capitale dell’emirato è Cordova, centro politico, economico e culturale
dell’Andalusia e la più grande e prospera città europea.
Particolarità: assenza di amsar, guarnigioni militari come basi operative.
Il primo secolo di governo omayyade nella penisola iberica è segnato da rivolte (870 – 880) causate da
tensioni fra arabi e berberi. Questo statuto cessa con ‘Abd al-Rahman III, nel 929, che adotta il titolo di
califfo – decisione sollecitata dall’imperatore bizantino Teofilo che lo voleva come alleato ma anche per via
del confronto con i vicini Fatimidi, orientati a reclamare l’unicità. → costruzione di Madinat al-Zahra, città
imperiale fuori Cordova.
Sotto il regno di ‘Abd al-Rahman III e suo figlio al-Hakam II si realizzano la potenza e lo splendore culturale
su cui si è costruito il mito storiografico di Al-Andalus.
Nel 976 nella corte di al-Hakam II il ciambellano al-Mansur concentra nelle sue mani e in quelle degli
alleati il controllo militare e politico fino ad arrogarsi il diritto di fondare una nuova dinastica. Nel 1006 la
situazione precipita: guerra civile = fine dominio omayyade andaluso. La disintegrazione del califfato è
sancita nel 1031 quando il reggente di Cordova, Ibn Jawhar, constata, dopo che l’ultimo califfo Hisham II fu
assassinato nel 1016, l’impossibilità di trovare un successore. L’Andalusia è divisa in una miriade di poteri
locali.

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Il mito storiografico Andaluso


La presenza araba in Andalusia permase per quasi otto secoli e ha visto un’esperienza di tolleranza
religiosa in cui convivevano 3 religioni. La vera eccezione andalusa consiste nell’essere stato teatro fra il XII
e XIII secolo dell’unico programma politico di persecuzione e di conversione forzata degli ebrei condotto
da una leadership musulmana, quella degli Almohadi.
L’esempio andaluso è stato l’unico verificatosi in territorio europeo.
Per quello che riguarda gli ebrei, l’inclusione della loro comunità come soggetto giuridico protetto dallo
statuto della dhimma in un quadro di egemonia islamica, in Andalusia aveva creato e consentito una
molteplicità di livelli di interazione imparagonabile alla situazione dell’ebraismo nel resto dell’Europa –
questa inclusione della comunità sefardita ha poi permesso alle grandi traiettorie della diaspora di
sopravvivere e di restare all’interno della rete con le altre comunità in Nord Africa e Vicino Oriente.
C’è chi ritiene che quest’età d’oro sefardita sia una rilettura operata dalla cultura europea ebraica del XIX
secolo di fronte alle condizioni sempre più tragiche.
Musta’rab (arabizzato) – deriva il termine “mozarabo” con cui le fonti della Reconquista indicano i cristiani
ispano-gotici (o dell’Europa continentale) che vivevano sotto il dominio islamico senza essersi convertiti
all’Islam – discendenti berberi o arabi che dall’islam erano passati al cristianesimo.
Mozarabi – caso particolare di assimilazione della lingua e cultura araba da parte di non musulmani,
perdurata anche dopo la fine del dominio islamico in Andalusia.
I mozarabi si distinguono dai mudéjar e moriscos che si convertirono gradualmente al cristianesimo tra il XII
e XVII secolo. Erano inoltre ben stimanti anche all’esterno dei confini andalusi e in terre europee, poiché
conoscitori di una vasta cultura quale quella islamica e provenienti da uno stile di vita superiore rispetto a
quello che poteva essere quello medievale europeo.
L’avvento della dinastia Abbaside
Al movimento di protesta che porta al crollo della dinastia omayyade partecipano pressoché tutti gli
schieramenti. I Banu ‘Abbas, potente famiglia discendente da ‘Abbas ibn ‘Abd al-Muttalib, zio del profeta,
riesce a riunire intorno al proprio controllo le diverse espressioni di dissenso con il progetto di riportare
l’imamato all’interno della famiglia del profeta.
La cospirazione lanciata a Kufa dall’abbaside Muhammad ibn ‘Ali durante il califfato di Umar II declinava la
questione della legittimità costruendo il proprio discorso sulla necessità di un ritorno dell’autorità nel
nucleo familiare originario = assensi. Espandono la propria rete fra Kufa e Khorasan (Iran nord-
occidentale) con l’appoggio della popolazione, organizzando un imponente esercito di etnia mista turco-
iranica. Una prima uscita allo scoperto avviene sotto il califfo Marwan II – rivolta guidata nel 747
dall’abbaside Ibrahim che fallisce.
Lo sciismo non poteva che essere interessato a questo progetto: atto a restituire la leadership ad un
membro dell’asse che legava il profeta ad ‘Ali. In effetti, mentre la cospirazione si allarga dal Khorasan alla
Mesopotamia, un membro dell’ala talibita (discendente da Abu Talib, zio del profeta/padre di ‘Ali),
‘Abdallah ibn Mu’awiya lancia fra il 744 – 746 una campagna parallela che incita alla rivolta nei territori
iracheni e iranici. Questa impresa si scontra, perendo, con la gigantesca insurrezione guidata dal capo degli
emissari della propaganda abbaside dopo la morte di Ibrahim. In questo momento il movimento abbaside
esce allo scoperto e dalla città di Marw inizia le ostilità con una serie di battaglie vs. omayyadi →
“rivoluzione abbaside” nel 750 entra trionfante a Kufa: ‘Abdallah, fratello di Ibrahim, è proclamato califfo
con il nome di Abu’l-‘Abbas al-Saffah, mentre l’ultimo califfo omayyade, Marwan II fugge in Egitto dove
sarà assassinato insieme agli altri membri della famiglia salvo ‘Abd al-Rahman che trova rifugio in
Andalusia.
Nuovo scenario per il califfo che ha costruito e manipolato le informazioni.

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Dopo aver creato un paesaggio soldale completamente esposta ad est, protesa verso Iraq e Iran, l’arabismo
degli Abbasidi si fonda su una risonanza religiosa e non più etica.
ABUL-ABBAS
Dopo la morte di al-Saffah nel 754 → trasferimento capitale nella regione che ora è il centro
AL-SAFFAH
dell’equilibrio imperiali islamico, l’Iraq, Baghdad – fondata nel 762 dal secondo califfo abbaside
al-Mansur, bagnata dal Tigri e con un ricco entroterra, non lontano dalla capitale dei Sasandi.
Il califfo crea anche un apparato statale fortemente centralizzato, messa a punto nelle sue linee AL-MANSUR
teoriche dal persiano Ibn al-Muqaffa – è lui che insegna ai vari califfi quanto sia importante la
memoria storica dei popoli sottomessi e l’artefice della nascita delle guardie pretoriane
khorasaniane. Nasce inoltre l’autorità statale istituzionalmente consegnata nelle mani di un HARUN AL-
plenipotenziario, wazir, di norma un non-arabo, un iranico che governa sulla burocrazia in cui i RASHID
non arabi spesso ricoprono ruoli di funzionari, anche di alto livello, cercando di porre le basi per
una cultura arabo-islamica profana.
Nel IX secolo l’istituzione visirale raggiunge il suo culmine sotto il 5° califfo abbaside Harun al-Rashid, con
l’avvento della famiglia iranica dei Barmecidi che creano un potere parallelo di immensa portata.
L’Età Abbaside
Baghdad – diventa modello per lo sviluppo delle altre metropoli e per la prima formazione di un ideale
urbano su cui l’islam medievale si fonda. Ogni città però ha la sua genesi, sul suo sviluppo incidono diversi
fattori come il clima, l’accesso all’acqua e alle rotte commerciali.
Recentemente il concetto di città islamica è stato messo in discussione ponendo in luce una serie di dati
urbanistici che relativizzano l’incidenza religiosa sull’idea di spazio urbano dell’islam mostrando un
paragone con le città medievali latine = no dipendenza centri religiosi.
Dopo la fase originaria delle città-guarnigione di Kufa, Basra, Fustat e Qayrawan, il cui modello vedeva la
centralità della residenza del governatore e della moschea, le città si sviluppano secondo una separazione
sempre più marcata fra i luoghi del potere e il resto della città.
A Baghdad si devono riconoscere alcuni primati: alla fine del VIII secolo qui l’islam fonda ed elabora la sua
cultura religiosa, giuridica, teologica e storiografica.
Importanza delle frontiere – su cui si concentrano le finalità difensive della jihad (espressione
giuridicamente controllata e limitata della guerra lecita con la quale il califfo si impegna a difendere le
comunità non islamiche poste sotto la tutela della dhimma.
Definizione giuridica territoriale dei domini islamici: visione fondata alternanza tempo della pace/ tempo
della guerra. I territori posti al di là dei confini dell’impero islamico, in cui era lecito condurre una guerra
erano i dar al-harb (dimora della guerra). Vi era anche una via di mezzo, la dar al-sulh, dimora della tregua
– spazi politici in cui era possibile stabilire un patto.
Baghdad dal VIII secolo in poi = fenomeni epocali che in un secondo momento si propagheranno:

• Detribalizzazione (processo che modifica profondamente la base di ciò che regolamentava l’identità
collettiva nomadica. Si istaurano nuovi rapporti di lealismo, forza che la realtà urbana impone.
• Demilitarizzazione (l’egemonia degli arabi in età abbaside deve procedere attraverso una politica di
integrazione reciproca dell’elemento non arabo e non più attraverso l’occupazione e controllo
militare). La famiglia califfale abbaside si circonda di un esercito personale di pretoriani di origine turco-
iranica. – la presenza sempre più massiccia di mercenarie dalle provincie orientali determina la nascita
di una società civile che si difende con l’aiuto di un corpo militare estraneo.
• Professionalizzazione dei mestieri (=affermazione corpi sociali definiti in base al gruppo lavorativo)
• Intellettualizzazione della popolazione (condizioni allargate di accesso al sapere)
• Globalizzazione delle innovazioni e innovazioni culturali e tecnologiche (agricoltura, tecnologie
idrauliche + estensione rete idrica sotterranea sasanide in Mesopotamia con esportazione)
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Dal IX secolo vengo alla luce scritti sul lavoro e la divisione del lavoro → varietà di approcci intellettuali.
Il problema della povertà occupa un grande spazio e investe ampi strati della popolazione. L’accostamento
mistico al Corano che dal IX-X secolo in poi ha generato il fenomeno del sufismo ha sviluppato una
riflessione sulla povertà come scelta di vita, una risposta di enorme impatto sulla visione etica del lavoro,
trasformando la povertà in un’ideale di vita.
La Baghdad dell’età abbaside, l’Iraq ha visto nascere altre espressioni del rifiuto del lavoro: un modo di
protesta politica e sociale. Tali movimenti scaturiranno spesso nella violenza, creando a tratti delle vere e
proprie guerriglie urbane, mosse soprattutto da uomini di bassa condizione sociale e disoccupati contro
l’amministrazione cittadina, tali movimenti prenderanno il nome di Futuwwa, e verranno assorbite nel
sufismo creando delle confraternite.
Oltre tutto lo stesso impero lo si può intendere come, sì, ricchissimo e quasi sconfinato, ma di fatto è anche
altrettanto fragile: le risorse primarie sono poche e molti sono i territori dove l’acqua è poca, mettendo
così in crisi l’agricoltura, ma anche le foreste, da cui derivarne il legno, non sono troppe.
Falsi miti: eccessiva ingerenza statale a scapito dell’impresa privata o la difficoltà a creare un utile da
destinare al mercato estero.
Oltretutto va sottolineata la quasi parità dei sessi in materia di ereditarietà e quindi di spirito
imprenditoriale. Le donne ereditavano come gli uomini anche se in percentuale minore, incentivando così
anche lo sforzo femminile nella via imprenditoriale; ma basta ricordare la prima moglie del profeta,
Khadija.
È dall’inizio dell’età abbaside che si verifica un processo di esclusione delle donne dalla sfera politica e
pubblica. La figura femminile dominante è la califfa madre, una delle mogli del califfo la quale riesce a far
succedere suo figlio al trono, condizionandolo spesso nelle scelte, esercitando il proprio potere in modo
indiretto.
Lo sviluppo politico e religioso dello Sciismo
Il fronte filoalide: 687, durante la seconda guerra civile, con la morte di Mukhtar per mano del fronte
meccano guidato da ‘Abdallah, dopo la strage di Karbala dove morì il secondo genito di ‘Ali, Hussayn. Dal
quel momento in poi lo sciismo si raduna attorno la figura di Muhammad ibn al-Hanafiyya, terzo figlio
‘Ali ma non figlio di Fatima.
Lo sciismo resterà profondamente deluso dall’esito della rivoluzione abbaside: la propaganda che vedeva il
ritorno del potere alla famiglia del profeta assume una piaga inaspettata - la figura dello zio Abbas vale
tanto quanto lo zio Abu Talib.
Dopo la vittoria abbaside, quando il leader, l’imam Ja’far al-Sadiq impone una svolta drammatica –
rinuncia platealmente al potere politico invocando un’autorità spirituale. Il potere spirituale dell’imam
nella visione sciita è fondato sulla trasmissione di una particella di luce che da Adamo è giunta fino al
Profeta e si trasfonde nella sua discendenza da ‘Ali e Fatima = nascita cultura settaria che all’interno
sperimenta divisioni e frammentazioni come la prima grande frattura con l’ala ismailita.
Questa nuova impostazione dello sciismo che attribuisce un valore eversivo all’interpretazione simbolica
del Corano e alla conoscenza della parola esegetica dell’imam, fornisce un linguaggio religioso a molte
espressioni della ribellione che scoppia fra l’Iraq e l’Iran fra il VIII e il IX secolo.
Nella famiglia alide non tutti condividono questa scelta: l’ala zaydita (fratello del padre di Ja’far al-Sadiq)
continua nel tempo una tradizione che porta alla creazione di un imamato indipendente nello Yemen, il
diritto al potere può appartenere a chiunque della casata alide

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Ja’far al-Sadiq sarà un personaggio molto carismatico, troppo temibile Successione dell’imamto:
per gli abbasidi, l’ultimo a cui sarà permesso di vivere a Medina. Dopo
1. ʿAlī ibn Abī Tālib, detto al-
di lui, i suoi successori verranno obbligati, seppure on molto onore, a
Murtaḍā (m. 661)
trasferirsi a Baghdad, per essere meglio controllati. Musa al-Kazim, i 7° 2. al-Hasan ibn ʿAlī ibn Abī
imam, sarà il primo a provare questa nuova esperienza di oppressione a Tālib (m. 669)
Baghdad, anche se ciò rivelerà positivo per lo sciismo che conoscerà in 3. al-Husayn ibn ʿAlī ibn Abī
questo modo un’espansione geografica e sociale, facendo entrare Tālib (m. 680)
personaggi sciiti nella corte abbaside. 4. ʿAlī ibn al-Husayn, detto
Zayn al-ʿAbīdīn (m. 712)
Sotto il potere dell’8°imam Harun al-Rashid, si verifica un evento
5. Muhammad ibn ʿAlī, detto al-
eccezionale: ricongiungere l’autorità politica califfale e l’autorità Bāqir (m. 731)
spirituale restituendo la guida al discendente del profeta. Nell’816 6. Jaʿfar ibn Muhammad, detto
invita l’imam ‘Ali al-Rida nell’Iran occidentale e l’imam muore in viaggio al-Sādiq (m. 765)
accompagnando il califfo. Tanto che gli sciiti vedono nell’esercito 7. Mūsā ibn Jaʿfar, detto al-
accompagnatore i mandanti dell’assassinio. Successore di ‘Ali al-Rida Kāzim (m. 799)
8. ʿAlī ibn Mūsā, detto al-Riḍā
sarà Muhammad al-Jawad, il quale morirà precocemente ma nominerà
(m. 818)
‘Ali al-Hadi come suo erede - costretto a legare il suo destino alla 9. Muhammad ibn ʿAlī, detto al-
famiglia abbaside, tanto da doversi trasferire a Samarra quando il califfo Taqī o al-Jawād (m. 835)
al-Mutawakkil deciderà di lasciare Baghdad. Quest’ultimo califfo sarà 10. ʿAlī ibn Muhammad, detto al-
odiato dagli sciiti anche per il gesto di distruzione della tomba di Husayn Naqīʿ o al-Hādī (m. 868)
a Karbala, con lo scopo di evitare il ripetersi di tumulti scoppiati durante 11. al-Hasan ibn ʿAlī, detto al-
dei pellegrinaggi. ʿAskarī (m. 874)
12. Muhammad b, al-Ḥasan, detto
L’erede di ‘Ali al-Hadi, Hasan al-‘Askari morirà a Samarra tra il 873 e il
al-Mahdī ("occultatosi"
874 senza lasciare figli, o seconda una versione più mistica, lasciando un nell'874)
figlio, Muhammad, che però crescerà nella clandestinità per fuggire dal
controllo degli Abbasidi. Tante saranno le tensioni interne allo sciismo nel IX secolo, che sarà necessaria la
sparizione della linea degli imam.
Attorno alla sparizione dell’ultimo discendente si sono create varie opinioni e leggende: vi è chi crede
all’idea che l’imam non sia morto ma che si sia entrato in occultamento, Ghayba, celato in una dimensione
messianica dalla quale i fedeli attendono il ritorno o che sia entrato nella Ghayba nei locali sotterranei
della grande moschea di Samarra nell’874.
Si crea così un periodo di attesa, Ghayba minore, nel corso della quale la dottrina messianica del ritorno
procrastinato alla fine dei tempi si elabora nel dogma della Ghayba maggiore, che la tradizione sciita data
al 914. Nasce, in questo modo, una linea sciita che si autodefinisce imamita duodecimana, sottolineando la
fine della genealogia carismatica degli imam. Essi si separeranno da tutte le altre linee più estermiste,
facendo orgoglio della propria minoranza e basandosi su un’ortodossia, nonché dichiarandosi non ostile al
governo abbaside. Essi si differenzieranno dalla maggioranza sunnita perché si definiscono essere uno dei
molteplici indirizzi giuridici dell’islam, raccolto sotto l’insegnamento di Ja’far al-Sadiq.

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CAPITOLO 4: LE MODALITÀ DELL’ORTODOSSIA


La Costruzione Dell’Idea Di Ortodossia
Il medioevo latino non ha mai conosciuto il pensiero dottrinale musulmano; l’Occidente cristiano basava
la sua polemica antiislamica sull’idea che l’Islam fosse un insieme disordinato di credenze, fondato
“semplicemente” su una legge predicata dal suo profeta e racchiusa nel Corano – privo di un apparato
interpretativo → giudizio espresso sulla base di una pessima conoscenza dei testi prodotti dal pensiero
religioso musulmano.
La storia dottrinale del Corano ha dato maggiore spazio teorico alla conoscibilità di Dio focalizzata sulla
sua parola e sulla sua volontà, il Corano, piuttosto che sulla sua entità. La ragione umana (‘aql) può
aspirare a conoscere Dio attraverso la Rivelazione, il modo in cui Egli ha voluto manifestarsi all’umanità.
La Rivelazione è Legge (interpretato già dal VII e VIII secolo entro le categorie della giurisprudenza). La
volontà divina riserva alla sua creatura migliore, l’essere umano - insan, un destino di salvezza da compiersi
entro una società regolata da una Legge. A questa relazione fra Dio e l’umanità è posta la funzione della
profezia che traduce il piano di salvezza divino in un progetto di natura sociale e politica che il profeta
realizza e che la comunità di credenti perpetua fondandosi sull’esempio offerto da Muhammad a coloro
che lo hanno seguito da Mecca a Medina – i muhajirun – e a coloro che a Medina lo hanno accolto –
ansar, vivendo un momento unico nella storia della comunità islamica – umma. Sono coloro che formano
la prima generazione di compagni del profeta – sahaba – che ricevono l’esempio contenuto nei suoi
pronunciamenti e nei suoi comportamenti – hadith: questa è la Sunna del profeta, il modo in cui
Mohammad stabiliva una prassi normativa della comunità di Medina, come in una sorta di esegesi vivente
della rivelazione. I sahaba trasmettono questa prassi ai compagni della seconda generazione – tabi’un,
generando così una dinamica di trasmissione su cui è fondata la tradizione del sapere religioso. →
Rifermento normativo, morale, sociale e legale della comunità di Medina che stava assumendo le
dimensioni e la fisionomia di uno Stato.
La morte del profeta e il trauma della prima guerra civile spezzano l’unità e la coralità della trasmissione
in una varietà di opinioni, dissensi e settarismi. Superata la crisi della guerra civile la comunità islamica
persegue una politica di conciliazione che di fronte allo stato delle divisioni interne stabilisce le condizioni
di convivenza della pluralità di opinioni. Il disaccordo viene istituzionalizzato e trasformato in un valore
religiosa legittimato da due pronunciamenti attribuiti a Muhammad: la divergenza di opinioni nella sua
comunità è un segno della benevolenza divina; la sua comunità non sarà mai concorde su un errore.
L’ijma, il consenso, non acquisirà mai la fisionomia organizzativa formalmente definita; si sviluppa invece
una dialettica fra consenso e divergenza di opinione – KHILAF, lungo la quale si articola la costruzione
dell’idea di ortodossia nell’islam.
Dalla Tradizione vivente al corpus scritturale della Sunna
Fra il II e III secolo dell’egira (722-822) emerge una classi di dotti, i MUHADDITHUN (poi uniti nella
qualifica generica di ‘ULAMA, studiosi degli hadith, che riflette la forte essenza sociale che innerva la
costruzione dell’ortodossia: inizio di un processo che durerà nei secoli e che conferirà al potere religioso
un potere indipendente. La successione dei trasmettitori – ISNAD - degli HADITH di generazione in
generazione diventa oggetto di una scienza specifica che condurrà ad un enorme lavoro critico di
autenticazione, o di rigetto.
Altro fondamentale processo, sollecitato dal passaggio di una comunità di credenti ad uno stato islamico, è
– all’interno della classe dei dotti – la specializzazione orientata verso la comprensione giuridica delle
fonti scritturali, che guardano al Corano e alla Sunna come fonti del diritto. Nel caso della Sunna che non è
parola rivelata ma testimonianza degli insegnamenti personali di Muhammad; la volontà di fissare per
iscritto procede con la necessità di stabilirne l’autenticità (costruzione a posteriori dei trasmettitori).

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La Sunna in quanto fonte delle pratiche religiose, politiche e sociali, era invocata a legittimare ogni
rivendicazione politica che ne orientava a proprio favore l’interpretazione.
Primo corpus di hadith: Il governatore omayyade dell’Egitto ‘Abd al-Aziz ibn Marwan e in seguito suo figlio
incaricarono una commissione di esperti per recensire gli hadith circolanti e di ordinarli in un corpus
definito sahifa. Un secondo passo nella formazione di un corpus scritto delle tradizioni è la sistemazione
tematica degli hadith. Poi dalla fine del VIII secolo si afferma la fase dei musnad, raccolte incentrate sugli
ISNAD cioè sui trasmettitori.
Lo sciismo, accanto alla Sunna del profeta ha raccolto anche la Sunna degli Imam. Quando lo sciismo
imamita o duodedecimano, a partire dal X-XI secolo, prende le distanze dai fronti sciiti più estremi, comincia
un’opera di revisione critica delle più antiche tradizione bollando come deboli i trasmettitori sul cui nome
poggiava la circolazione di testi dottrinali ritenuti devianti e attribuiti da quei trasmettitori alla parola degli
imam. Dichiarano inaffidabili quei trasmettitori lo sciismo imamita negava l’autenticità di taluni testi.
Fra Ortodossia e Dissenso: 4 modalità della comprensione religiosa
Il sufismo, dimensione mistica dell’islam che ha costruito una delle forme di libertà ed emancipazione più
importanti. Il sufismo si separa nettamente dalla filosofia e dalla teologia per il suo approccio. Esso non
concepisce la conoscenza religiosa come un qualcosa riservato a pochi, dove il mistero della rivelazione è
un qualcosa riservato a pochi iniziati. Il sufismo emerge nell’VIII secolo come fenomeno individuale di pietà
religiosa che contempla lo spiritualismo ma non vede necessario il ritiro dalla società. Il Dio che il sufismo
concepisce è un Dio d’amore.
Il sufismo ha spesso costituito anche uno spazio protettivo per molte espressioni del pensiero dissidente
dell’islam medievale.
La tensione primaria che innerva la conflittualità delle tendenze e degli schieramenti settari è quella
fondata su due fondamentali orientamenti epistemologici: ‘aql e naql, ragione razionale e tradizionista.
Da questo punto di vista la certezza del sapere scaturito dalla rivelazione è quella vantata dall’ahl al-hadith,
coloro che riconoscono nel Corano e nella tradizione la fonte di ogni possibile speculazione intellettuale su
Dio, da cui consegue che la razionalità della rivelazione non può essere in contraddizione con la ragione
umana.
Le origini del pensiero teologico islamico
Teologia = scienza del kalam, specifica tecnica nella costruzione del discorso teoretico fondato sul
ragionamento dialettico, kalam, e divenuto metodo per eccellenza della speculazione intellettuale su Dio
e del discorso elogiativo in difesa di determinate dottrine religiose. Il kalam è uno stile di pensiero. La
teologia musulmana viene alla luce in un ambiente straordinariamente eterogeneo dal punto di vista
religioso; l’Islam è la religione di una minoranza al potere che si deve confrontare con la pluralità delle
lingue e delle culture con cui viene a contatto. Molte rivolte in territorio iranico (lo zoroastrismo è
predominante in Iraq e Iran) adottano il linguaggio e il messianismo della lettura sciita del Corano per
sostenere la propria emancipazione.
Tra l’VIII e il IX secolo si forma una teologia razionalista che interpreta il Corano alla luce di nuove
categorie di pensiero provenienti dall’aristotelismo.
I conflitti politici e religiosi scaturiti dalla presa del potere della dinastia omayyade (considerata
usurpatrice) si radicalizzano intorno alla questione del libero arbitrio che suonava a favore della dinastia,
della predestinazione divina degli atti umani. La prima corrente di pensiero teologico a favore del libero
arbitrio è la qadariyya (destino) che argomenta a favore della libertà della volontà umana. All’estremo
opposto – jabriyya che vede la predestinazione come una conseguenza dell’assoluta unità fra essenza e
attributi di Dio.

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L’evoluzione della teologia razionale. L’arabo è una lingua che unifica entro categorie intellettuali comuni i
tre monoteismi.
Mutazilismo – Basra VIII secolo e massimo splendore IX – XI secolo con una posizione di potere senza
precedenti sotto il califfato abbaside di al-Ma’mun r. 813-33. Da Baghdad si diffonde nelle province
orientali dell’impero.
Concezione dell’unicità di Dio che può essere compresa pienamente soltanto dalle risorse della ragione,
e pone al centro della sua riflessione il tema della giustizia di Dio, da cui dipende la sua strenua
argomentazione a favore del libero arbitrio. L’originalità di questa nuova corrente risiede nel nuovo
ordine che essa stabilisce tra teologia e filosofia naturale.
I mutaziliti godettero del favore dei califfi abbasidi, soprattutto con la proclamazione, nell’827, della
dottrina del Corano creato voluta dal califfo al-Ma’mun. Separando la parola di Dio dall’eternità di Dio e
inserendola nella temporalità storica i teologi mutaziliti stabilivano una base teorica alla soluzione del
problema dell’interpretazione del Corano in rapporto al tempo. Questa dottrina fu imposta come un
dogma dal 833 al 851 e si istituì un organo di controllo mihna che doveva testare la fedeltà degli apparati
di governo all’autorità califfale (tipo inquisizione).
Il movimento sciita e quello khargita, portatori di un messaggio dissidente, hanno sviluppato una propria
teologia sostanzialmente in dialogo e con punti di contatto e di condivisione, specialmente nello sciismo
con il razionalismo mutazilita.
La teologia dell’ash’arismo ha costituito una sorta di compromesso fra il radicalismo dei mutaziliti e la
cultura tradizionalista, divenendo la scuola maggioritaria sunnita. Esemplare nella loro politica
conciliatrice tra le due fazioni è l’idea riguardante il libero arbitrio, ovvero la dottrina dell’acquisizione
(iktisab) fondata su due agenti, dove Dio crea gli atti che l’essere umano acquisisce.
Alternativamente si muove il flusso maturidita, altra corrente in grande voga tra i sunniti e che nasce nel X
secolo a Samarcanda per via di al-Maturidi. La principale differenza con gli ash’araiti sta nella maggiore
importanza data alla volontà umana da parte dei maturiditi: al-Maturidi accetta la teoria dell’acquisizione,
ma afferma che sta all’uomo quali atti acquisire, mantenendo così una sua propria libertà.
Il khalam raggiungerà il suo apogeo nel XII secolo, quando raggiungerà uno statuto autonomo di scienza
dei principi della religione, usul al-din, contrapposto alla giurisprudenza, che diventa una vera e propria
filosofia del diritto.
La controversia, la dialettica e la disputa sono gli strumenti operativi tramite cui nasce, si sviluppa e si
diffonde la scolastica islamica e su cui appoggia l’ipotesi della sua comparazione con la scolastica latina.
La nascita delle scuole giuridiche
Fino alla metà del 700 il pensiero giuridico islamico era in fase di assimilazione dai dati provenienti dalle
varie località incluse dalla conquista islamica e dall’elaborazione dei quadri legali e morali forniti
dall’indicazione coranica e dagli hadith che costituiscono la Sunna del profeta. La fissazione scritta e la
canonizzazione di un corpus scritturale verrà portato a termine nella seconda metà del IX secolo. I più
importanti centri dello sviluppo giuridico erano Basra, Medina e Kufa dove era iniziata la raccolta degli
hadith a carattere legale.
Ciascuna scuola si cominciò a racchiudere intorno ad un singolo maestro, come i celebri Abu Hanifa, Malik
ibn Anas ed Ibn Hanbal. Di fatto nel sunnismo rimarranno solamente 4 correnti, visto il grande
accorpamento che si attuò, mentre nello sciismo, il quale produce una propria scuola giuridica, basata sulla
centralità del sesto imam Ja’far al-Sadiq. Questo ruolo centrale di tali personalità si ripercuote
successivamente nel sociale → élite che prenderà il nome di ‘ulama e intorno alla dialettica tra ijma’ e
khilaf, ovvero consenso e disaccordo (il principio di consenso non doveva assolutamente entrare in
contrasto con le sacre scritture, Corano e Sunna).
IX e il X secolo: genere storico-letterario delle tabaqat al-fuqaha, “classi dei giuristi”, viene testimoniata

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una vera e propria successione di maestri e discepoli con cui si attesta una coerente sistematicità del
sapere trasmesso - ciascuna corrente diventa una vera e propria scuola. Ovviamente ruolo cardine e di
rilievo viene tenuto per il fondatore, il quale ricopre il ruolo di anello di congiunzione tra la tradizione
rimontante al profeta e quella promossa dai nuovi maestri.
Dalla pratica giuridica alla teologia giuridica
Sul piano sociale l’alleanza fra il califfato e gli intellettuali della corrente razionalista ‘aql crea una frattura
di lunga durata fra il potere politico e le masse. Le masse danno il loro appoggio agli studiosi della
tradizione religiosa e della sua interpretazione giuridica, che meglio rappresenta gli strati medi e bassi della
borghesia mercantile.

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CAPITOLO 5: DINASTIE, TERRITORI, POTENTATI (X – XV SECOLO)


La crisi del potere Califfale: Con l’avvento della dinastia abbaside nel 750 la macchina giuridica
califfale aveva lavorato alla ricerca di una definizione di legittimità che potesse essere attiva sia sul piano
teorico che pragmatico. La concezione di un’autorità centrale, incarnazione dell’unità della umma conferita
per delega della comunità al califfo era stata la base del potere abbaside per due secoli. I califfi
demandavano ai governatori delle province un’autorità plenipotenziaria da cui essi traevano la propria
legittimità. Dal X secolo la centralità del potere abbaside entra in crisi, insieme alle dinamiche di
legittimazione dei poteri regionali.
Esercizio di potere indipendente: Egitto e Nord Africa.
- In Egitto l’ufficiale turco Ahmad ibn Tulun aveva istaurato un potere autonomo con un proprio esercito,
una propria moneta e capitale al-Qata’i (sobborgo del Cairo) dove si realizza un programma architettonico
ispirato al modello di Samarra (Baghdad). Il pagamento di un tributo insufficiente fornì al potere centrale di
Baghdad il pretesto per intervenire con la forza ma Ibn Tulun riuscì a sconfiggere il contingente abbaside e
occupò anche parte della Siria nell’887. Il suo governo promosse una politica agraria e mercantile
illuminata = floridezza economica. Due successori: Khumarawayh e Shayban fantocci nelle mani delle
guardie di palazzo → decadenza rapida. Nel 905 l’Egitto torna sotto controllo abbaside.
- Sempre in Egitto il generale turco Muhammad ibn Tughj al-Ikhskid, nominato da Baghdad, si dichiara
vassallo del califfo abbaside e fonda una brevissima dinastia che dura dal 935-969, quando i Fatimidi
giungono in Egitto e l’annientano. La dinastia ikhshidide riesce comunque a creare una corte prestigiosa.
- In Nord Africa il giuramento di fedeltà al califfo viene spesso sentito come un atto formale, ma nella
pratica regolarmente infranto. Qui infatti si consuma uno dei casi esemplari di policentrismo, poiché la
divisione regionale delle zone d’influenza scaturisce spesso in una perdita di controllo dei processi
innovativi che sfuggono al controllo del califfo. È il caso della dinastia degli Aghlabidi sorta nell’800 in
seguito alla nomina a governatore per conto degli Abbasidi di Ibrahim ibn al-Aghlab. Per mettere a tacere il
malcontento del proprio esercito si lancia alla conquista della Sicilia 827, togliendola di fatto dalle mani
del commercio italico-bizantino.
- Più a est, dove la distanza dal centro iracheno offre rifugio ai ribelli, due dinastie riescono ad
impiantarsi e a creare spazi di potere poggiati sul consenso delle tribù berbere. Nel Maghreb centrale,
attuale Algeria, la città di Tahert diventa la capitale dell’emirato dei Rustamidi, fondato nel 761 dai
discendenti dei profughi kharigiti provenienti dall’Iraq in seguito alla repressione del movimento attuata
dal movimento di ‘Ali. Posto al bivio con i traffici transahariani dell’oro, dell’avorio e degli schiavi;
governata dai discendenti del governatore persiano ‘Abd al-Rahman ibn Rustam, è un luogo di accoglienza
per le minoranze dei cristiani ed ebrei, e di diffusione del dissenso kharigita fra i berberi. Vedrà il proprio
annientamento, sempre per mano dei Fatimidi, nel 909.
- L’altra dinastia da cui l’odierno Marocco traccia le sue origini è quella degli Idisridi, fondata nel 789 da
Idris, discendente di Hasan ibn ‘Ali (vanta parentela diretta con il profeta). Riparato in Maghreb per
sfuggire alle persecuzioni antialidi subito dopo la presa del potere abbasidie, Idris ottiene il consenso della
potente tribù degli Awraba. Suo figlio Idris II fonda la città di Fes – capitale del suo piccolo regno e
importante centro intellettuale e religioso. Dopo di lui il territorio si ritrova schiacciato fra gli Omayyadi di
Andalusia e i Fatimidi. L’ultimo idriside morirà prigioniero a Cordova nel 985.
- In Siria e nell’Iraq settentrionale la nomina a governatore di Mardin (Anatolia Sud-Orientale) di Hamdan
ibn Hamdun nel 890, diede vita ad una dinastia sciita degli Hamdanidi divisa in due gruppi: Mosul e
Aleppo. La posizione geografica dei territori portò la dinastia a scontrarsi con Bisanzio; questa posizione
nello scacchiere politico del tempo, fra islam e impero bizantino fece entrare la dinastia hamdanide
nell’orbita dei Fatimidi di cui fu vassalla nel suo ultimo periodo di vita, fino al 1003 quando i califfi
scismatici del Cairo deposero l’ultimo hamdanide di Aleppo.

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La cessione di terre da parte del califfo ai suoi più alti ufficiali in cambio di favori è il primo passo verso la
creazione di potentati che dichiarano una subordinazione formale all’autorità centrale ma di fatto
esercitano un potere sempre più indipendente. Questa cessione, chiamata iqta =porzione, il privilegio non
consisteva nella proprietà delle terre ma nel diritto di riscuotere i proventi del lavoro agricolo e le tasse
degli abitanti. Su quelle terre l’emiro nominato pagava il kharaj, l’imposta fondiaria, e dalla differenza fra
rendite e imposta ricavava il suo vantaggio. Con la prima formulazione dell’iqta era esclusa l’eredità del
privilegio del emiro – questo principio fu superato: la gestione delle terre cominciò ad essere trasmessa
all’interno della famiglia. Sorgno così fra il IX e X secolo i primi potentati iranici dei Saffaridi, dei
Samanidi, dei Tahiridi.

La questione della legittimità


La teoria della legittimità del potere per delega è valida fin quando il califfo esercita l’effettivo controllo
sul suo apparato politico e militare. Lo spostamento della capitale da Baghdad, troppo turolenta, a
Samarra nell’836 aveva anche la funzione di controllare l’esercito personale della famiglia abbaside
composta prevalentemente da reggimenti provenienti dall’Iran, dall’Asia Centrale e dal Maghreb – esercito
essenzialmente mercenario composto da soldati in origine schiavi. Il trasferimento a Samarra si rivelò
fallimentare perché la gestione politica delle successione al trono era di fatto nelle mani dei generali.
L’investitura del califfo diventa dal IX al X secolo la conferma di uno status quo dettato dagli accodi fra élite
e militari mercenarie e membri dell’apparato di stato. Emergono nuove realtà politiche (come nel caso
della breve ma importante dinastia dei visir-emiri buyidi) soprattutto nelle regioni più lonane: Asia
Centrale – preludio alla presenza musulmana in India, come i Ghaznavidi e nel Maghreb, l’avvento della
dinastia scismatica dei Fatimidi spezzerà il dualismo califfo-governatore portando alla proclamazione di
un secondo califfo in antagonismo con Baghdad/ Samarra. Non è un caso che proprio in questo periodo
compare il primo testo specificamente giuridico sulla condizione politica dello Stato, “Norme del potere”
– giurista shafi’ita al-Mawardi di origine curda ma nato a Basra – sancirà le norme della divisione fra
poteri delle forze militari e l’autorità che può vantare legami col Profeta del califfo ridotto a simulacro del
potere spirituale. I nuovi signori che stanno per arrivare dall’Asia Centrale, i Selgiuchidi, sono di fatto
signori della guerra e impongono con la forza persuasiva delle armi nuove modalità di negoziazione.
La teoria iranica del potere aveva fatto la sua prima comparsa nella metà del VIII secolo quando Ibn al-
Muqaffa, mediatore di cultura iranica, traduce dal pahlavi (medio-persiano) alcuni testi di etichetta regale.
Secondo questa teoria il sovrano è scelto da Dio e agisce come suo vicario negli affari terreni → il
sovrano può essere deposto solo da Dio. Questo sistema di valori trasmesso dall’antica teoria iranica è
sviluppato e controllato dall’attività dei giuristi che avevano sperimentato tutte le forme di reazione
all’ingiustizia, rispondendo all’interrogativo “Che cos’è la giustiza?” - è equità, è uguaglianza, è condivisione
egalitaria delle risorse naturali e produttive di una società. L’ammissione proveniente da fronti giuridici
prima e dopo al-Mawardi lascia trasparire la consapevolezza che l’ideale di shari’a non inglobasse di per
sé il concetto di giustiza politica. Sarà al-Ghazali, esempio supremo di realpolitik, l’artefice del punto di
contatto tra l’assolutismo della teoria iranica e il garantismo della legge fondata sul principio trascendente
della rivelazione. Nuovo modello di conferimento della legittimità dei nuovi signori da parte del califfo su
cui si fondano le politiche indipendenti di tutte le entità politico-territoriali che dal X secolo sconvolgono
l’unità dell’impero universale abbaside. Eccezione mongoli. Nuova configurazione del potere illusatrata
dagli storiografi con il carisma (valore ereditario). La fedeltà e il lealismo: dimensione economica e
municipale del “benefattore” verso la città.
XI-XII secolo: modello turco portato sulla scena politica. I Selgiuchidi costituiscono una confederazione di
famiglie nelle quali al principe a capo di ciascuna viene assegnata una porzione territoriale autonoma, il
cui governo procede in linea ereditaria. Ogni principe dimostra lealtà al sultano che regna tra Iraq e Iran.

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Il principe più importante però è il fratello o zio del leader (anche gli abbasidi passaggio da fratello a
fratello).

I Buyidi (945 – 1048)


La dinastia di emiri Buyidi, o Buwayhidi, con quasi un secolo di potere esercitato in Iraq e Iran, costituì
l’intermezzo iranico. Essi infatti regnarono in Iran fra il dominio abbaside e l’arrivo dei Selgiuchidi. I
fondatori della dinastia vengono da un passato di mercenari di alto rango per i signorotti locali iranici e fu
proprio tale alleanza con i maggiori proprietari latifondisti che permise loro di formare un propria milizia.
Iniziano ad affermare il proprio potere sotto ‘Ali ibn Buyah che conquista la regione iranic del Fars nel 934
ed elegge Shiraz a capitale del suo potentato. L’appoggio dei fratelli portò all’allargamento del potere:
Hasan ibn Buyah alla fine degli anni trenta del secolo conquista la regione Nord-Occidentale del Jibal,
prendendo Rayy come residenza; grazie ad Ahmad ibn Buyah arrivò la mossa decisiva: nel 945 egli riuscì
ad occupare momentaneamente Baghdad. I tre buyidi sono i primi nella storia politica dell’islam
medievale a ricevere l’onoreficenza di rispetto da parte del califfo, con una concessione di autorità
politica su un territorio, denominandoli rispettivamente ‘Imad al-Dawla, Rukn al-Dawla e Mu’izz al-Dawla,
ovvero “Sostegno, Colonna e Orgoglio dello Stato”. Dawla con gli abbasidi indicava originariamente il
concetto politico di dinastia, ma nel tempo assumen il significato di potere statale.
I Buyidi non vantano alcun potere religioso che legittimi il loro potere e mettono in evidenza, con la loro
titolatura, una sorta di protezione verso il califfo e nella sostanza un suo atto di vasallaggio.
I Buyidi instaurarono una confederazione ripartita, sotto il controllo dei rami familiari, in tre principati: il
Fars (capitale Shiraz), il Jibal (capitale Rayy) e l’Iraq (capitale Baghdad). Le tre capitali conoscono un
periodo di straordinario splendore economico e intellettuale. Il loro concreto esercizio del potere è
espresso dal termine “amir” – comandante e principe. I signori buyidi che continuano la dinastia fondono
in un figura ciò che ricorda i signori del Rinascimento italiano il genio militare e la generosità del mecenate.
Tra i più brillanti emiri dobbiamo ricordare ‘Adud al-Dawla (morto nel 983), il quale, oltre a coltivare
interessi di cultura filosofica e scientifica, fondò un ospedale a Baghdad, una diga che riusciva a rifornire
d’acqua oltre 300 villaggi e a una biblioteca semipubblica a Shiraz. → doppia fisionomia tipica dei sovrani
buyidi.
L’appoggio della dinastia allo sciismo non fu mai nascosto. Lo sciismo imamita beneficierà sotto del favore
manifestato da loro. Non si arrivò però mai a pensare di deporre il califfo sunnita a favore di uno sciita ma
fu promossa una visibilità sciita imamita nel contesto sociale e intellettuale. Sotto il potere di Mu’izz al-
Dawla nacque il niqaba, sindacato a difesa degli Alidi, un’istituzione che tutelava gli interessi dei
discendenti di ‘Ali.
Dalla metà del XI secolo l’autorità dei Buyidi iniziò ad essere oscurata dal potere nascente dei Ghaznavidi e
dei Selgiuchidi. Nel 1092 di fronte ad un insurrezione del reparto dalaymita del suo esercito, Majd al-
Dawla, si trovò obbligato a chiedere aiuto al principe turco dei Ghaznavidi, Mahmud, che intervenne ma
per eliminarlo ed estendere il potere sull’Iran. Il ramo iracheno dei Buyidi venne definitivamente
eliminato nel 1055, con l’ingresso del selgiuchide Tughril Beg.

I Fatimidi (909 - 1171)


Avevamo lasciato la storia sciitta alla proclamazione dell’occulatamento del dodicesimo imam, Muhammad
ibn al-Ḥasan al-Mahdi, non riconosciuto dal fronte ismailita. In seguito a questa risolutiva decisione in Iraq
e Iran si forma una sorta di élite che elabora una strategia di minoranza e prende le distanze dalle
espressioni più estreme dello sciismo (contro l’ismailismo che dalla fine del IX secolo ha iniziato a
rappresentare un elemento di disturbo per la politica di negoziato che è alla base della nascita dello
sciismo imamita o duodecimano).

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La corrente ismailita nata dall’opposizione alla nomina del figlio di Ja’far al-Sadiq, Musa al-Kazim come
settimo imam, e convita che l’imamato fosse passato al figlio Isma’il e poi al figlio Muhammad, aveva
continuato a predicare l’occultamento di quest’ultimo.
Di fatto tale fronte nasce dalla scissione con la corrente sciita per via della successione a Ja’far al-Sadiq,
primo imam sotto il califfato abbaside. Se, come abbiamo visto la corrente sciita vede in Musa al-Kazim la
successione al padre Ja’far, al contrario la corrente ismailita vede succedere il ruolo di imam nel
personaggio di Isma’il, secondo figlio di Ja’far, il quale però occupò un ruolo di rilievo nel palazzo dell’imam
durante le lunghe assenze del padre, e successivamente in Muhammad ibn Isma’il, occultatosi come da
tradizione.
Dopo l’apparizione del movimento carmata l’ismailismo continua altrove la sua attività di predicazione,
proclamando l’avvenuto ritorno dell’imam nella persona del quarto maestro dell’ordine, ‘Ubaydallah
(futuro califfo fatimide). Il movimento si spacca: i Carmati rifiutano questa linea e la base siriana di
Salamiyya orienta verso Nord-Africa la sua predicazione da’wa, concependo questo movimento come una
hijra con a capo Abu ‘Abdallah al-Shi’i. Nel Maghreb quest’ultimo riesce ad ottenere l’appoggio dei berberi
della tribù di Kutama. Nel 909 conquistano Qayrawan. Tutto è pronto per l’arrivo di ‘Ubaydallah che si
proclama mahdi e instaura una dinastia la cui legittimità deriva dalla duplice discendenza dal profeta per
parte di ‘Ali e di Fatima. → attesa messianica dell’ismailismo conclusa.
Primi dissensi: dai più stretti collaboratori, Abu ‘Abdallah al-Shai’i (artefice successo ismailita in Nord
Africa) che viene eliminato nel 911.
Vengono aboliti gli aspetti più estremi della predicazione ismailita che si trasforma in una forma elitaria di
movimento religioso. Da questa nuova gerarchia provengono i quadri del nuovo stato fatimide in
contrasto con il califfato di Baghdad.
La sovrapposizione fra apparato dottrinario e apparato statale è sempre più marcata. Lo sciismo dei
Fatimidi non richiederà mai la conversione di masse, che in Nord Africa rimarranno sempre sunnite, e
dimostrerà grande tolleranza nei confronti di ebrei e cristiani.
Per circa 50 anni i Fatimidi regnarono in Nord Africa, risiedendo dapprima a Mahdiyya (costa tunisina)
fondata dal primo califfo nel 917, e poi a Mansuriyya (vicino Qayrawan). Nel 969 viene completata la
conquista dell’Egitto (guidato dal generale Jawhar al-Siqilli, schiavo siciliano che prepara anche il piano di
fondazione della nuova capitale – Cairo). Nel 973 il califfo al-Mu’izz trasferisce la corte al Cairo
scegliendola come sede della nuova hijra ismailita.
Al consolidamento del potere fatimide corrisponde un arresto delle istanze rivoluzionare.
L’ismailismo conosce una fondamentale elaborazione dottrinale che indugerà come suo tratto distintivo;
sul piano politico diventa una teocrazia iniziatica a cui partecipa solo la classe dirigente (incluse le donne).
I Fatimidi, dal nuovo centro di potere, esercitano la loro egemonia sui commerci su scala intercontinentale,
possiedono il monopolio delle vie marittime e i caratteri di una grande potenza mediterranea per tutto l’XI
secolo → dovuto alla liberalità esercitata.
XII secolo: crisi economica e politica investe i Fatimidi.
Il controllo delle vie carovaniarei transahariane viene sottratto ai Fatimidi prima delle rivendicazioni di
autonomia dei governatori nordafricani nominati dal Cairo- gli Ziridi che si ribellano all’inizio del XI secolo
provocando l’invasione nomade dei Banu Hilal, scagliati per rappresaglia dai Fatimidi- poi dall’affermazione
delle dinastie berbere degli Almoravidi e degli Almohadi.
Declino economico dalla seconda metà dell’XI secolo e i conflitti interni all’apparato militare sono le
cause principali della decadenza; + delega del potere ad esterni alle strutture di stato = demolizione
compiuta da Saladino nel 1170.

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La forza militare dei Fatimidi dapprima basata sui soli contingenti berberi dal X secolo adotta un sistema di
reclutamento di schiavi che vengono adottati dagli ufficiali → mamluk e panorama etnico eterogeneo.
All’interno della dinastia fra il XI e il XII secolo si producono due scismi, entrambi motivati col rifiuto di
riconoscere la successione al trono di due imam. Il primo (dopo la misteriosa sparizione del califfo pazzo al-
Hakim) diede origine ad una setta eretica nata intorno alla concezione divina dell’imam; la setta trovò
rifugio nelle montagne del Libano e da essa discendono i Drusi. Il secondo, fu il risultato del dissenso
interno all’ismailismo che vedeva nel potere fatimide un potere non diverso da quello che il movimento
combatteva in origine.

I Selgiuchidi (1038-1194)
Dal XI secolo i turchi diventano i protagonisti della storia islamica. La presenza turca si nota sin dalle
prime conquiste arabe in Asia Centrale quando fra il 709 e 711 arrivarono a Samarcanda e Bukhara
(Uzbekistan) dando inizio all’islamizzazione del popolo nomade turco. Durante il XI secolo intere
popolazioni turche si spostarono da est verso ovest, dalle steppe dell’Asia Centrale al Caucaso, Azerbaijan,
Anatolia, per via del clima poco piovoso – sconvolgendo le frontiere e gli equilibri delle società urbane. Il
veicolo linguistico di questo fenomeno migratorio è, non più l’arabo, ma il persiano. Gli obiettivi di queste
moltitudini raccolte in gruppi tribali sono diversi e spesso confliggono; prevarrà una tendenza alla
sedentarizzazione che investirà tutte le tribù nomadi successive e che si imporrà con i Selgiuchidi.
1035 ca.: guidati dai capi della tribù dei Saljuq, migliaia di cavalieri di etnia oghuz premono verso le grandi
città del Khorasan (parte orientale Iran). Tra il 1037 e il 1038 Tughril Beg conquista Merv, Herat e Nishapur
e invia nel 1040 un’ambasciata al califfo di Baghdad per annunciare la sua vittoria. Di fronte alla minaccia
dei Fatimidi che controllano gran parte della Siria e si spingono fino in Iraq, il califfo al-Qa’im vede nei
nuovi negoziatori la forza che potrebbe contrastare l’ingerenza degli emiri buyidi e l’antagonismo dei
Fatimidi.
Tughril Beg arriva a Baghdad nel 1055 e riceve dal califfo una legittimazione con cui si insatura una nuova
modalità di esercizio del potere: viene nominato sultan, termine che esprime il senso di una facoltà
autosufficiente di regnare. Al califfo viene accordata un’autorità rappresentativa della comunità islamica
in grado di conferire legittimità; in cambio il sultano si proclama difensore dell’istituzione che legittima il
proprio potere. Il titolo di sultano da allora si affianca a quello di “Re dell’Oriente e dell’Occidente”,
portato avanti anche dal primo successore di Tughri Beg, Alp Arslan. Capitale a Rayy, in Iran.
La penetrazione turca in Anatolia è alla base del successo selgiuchide, e continua dopo la presa di Baghdad.
Le incursioni dopo le ondate migratorie vengono viste come un problema difficile da gestire per i
Selgiuchidi. Dopo una prima vittoria dell’esercito bizantino a Manzikert nel 1054, nel 1064 la ribellione
all’autorità centrale di Qutulmish (generale della confederazione selgiuchide) avrebbe costretto Alp Arslan
ad intervenire, invadendo l’Anatolia per contenere il disordine. La sconfitta bizantina è definitiva nel 1071.
Le migrazioni dei nomadi turchi si inseriscono, sottraendo al controllo bizantino un paesaggio da tempo
abbandonato dalla popolazione greca.
Funzione selgiuchide di protettori del sunnismo contro lo sciismo fatimide e buyide.
La politica culturale promossa dai selgiuchidi ha avuto un impatto immenso su tutte le società islamiche
medievali: nel 1067 Nizam al-Mulk fonda a Baghdad la prima madrasa, istituzione che presenta forti
affinità con le università che sorgeranno nel medioevo latino. Sorta nell’Iran nord-occidentale la madrasa,
forte strumento di valore identitario, viene portata in una delle capitali maggiori dell’Islam e da lì si irradia
ovunque.
Prova, però, dell’apertura religiosa dei Selgiuchidi, portatori di una politica laica, è l’opera di ‘Abd al-Jalil
Qazwini Razi Kitab al-naqd, “Libro della refutazione” redatto in persiano fra il 1160-1170 da uno sciita
imamita. In questa opera lo scrittore confuta le voci relative ad una politica antisciita dei Selgiuchidi, anzi
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mostra come essi investano tanto nel mondo sunnita quanto nei territori sciiti; i selgiuchidi combattono
solo contro lo sciismo ismailita dei Fatimidi e di Alamut; nello sciismo imamita invece capiscono di trovare
un prezioso alleato.
Altra innovazione prodotta durante l’epoca selgiuchide è l’affermazione del sufismo. Esso diventò una
forma di aggregazione sociale, abbandonò le sue inclinazioni violente e venne introdotto nelle madrase.
Le ambizioni imperiali dei Selgiuchidi vengono messe in crisi dalla sopravvivenza di concezioni del potere di
origine nomade. Sebbene ci fosse la presenza di un fattore di unità nel sultano la struttura deve comunque
rispondere a vincoli di natura tribale che legano numerosi membri della famiglia regnante ai clan. Si
mantiene l’istituzione del atabeg, tutore-precettore del principe.
L’unità dell’impero resiste fino alla morte di Malik Shah; dopo il 1092 i suoi figli si spartiscono le province
fondando dinastie indipendenti in Iraq, Anatolia, Mesopotamia, Azerbaijan, Siria e nelle regioni iraniche. La
frammentarietà di questi domini porta all’incapacità di fronteggiare la nuova ondata di migrazioni nomadi,
mongole, che finiranno per annientare la potenza selgiuchide; preannuncio dell’arrivo catastrofico nel XIII
secolo delle orde di Changiz Khan.

Gli Ismailiti Di Alamut (1094 – 1265)


Tra le ipotesi e le forme di libertà concepite nel medioevo islamico quelle scaturite dall’ismailismo, durante
i quattro secoli di regno, sono quelle meno conosciute e più diffamate. Con il persiano Hasan al-Sabbah ha
inizio la nuova propaganda lanciata dalla sua setta scissionista. Questa setta si stacca dall’ismailismo
fatimide all’elezione a califfo di al-Musta’li nel 1094, e proclama l’entrata in occultamento del vero imam
della linea fatimide, il fratello Nizar. La nuova propaganda ottiene consenso al di fuori dei territori fatimidi,
come in Iran da parte delle popolazioni rurali. Hasan al-Sabbah riuscì a conquistare la fortezza di Alamut
(Sud mar Caspio), dalla quale si riuscirà a diffondere questa fazione di ismailismo nizarita, la quale portava
avanti una politica fortemente egualitaria, con un miglioramento particolare nel campo agricolo. Sul
fronte politico divennero l’incubo dei selgiuchidi.
La tattica di guerra del fronte ismailita di Alamut puntava all’assassinio politico mirato delle autorità che
avevano più importanza, pratica antica. Tale omicidio avveniva però in modo plateale e per mano di un
corpo speciale, i fida’iyyun. Tra le vittime più illustri: sultani e ministri selgiuchidi ma anche i califfi al-
Mustarshid e al-Rashid. Non possiamo negare che le vittime portate dalle offensive selgiuchidi nei
confronti del fronte scissionista degl’ismailiti erano molto maggiori.
Dal XII la da’wa nizarita si espande fino in Siria, grazie anche l’accondiscendenza dell’emiro selgiuchide di
Damasco, il quale vedeva in quest’ultimi un altro alleato in funzione anti-crociata. In questo territorio,
comprendente la zona da Hama alla costa del mediterraneo, creano un apparato parastatale simile a
quello iranico. In questa posizione gli ismailiti nizariti giocheranno a favore di uno o dell’altro fronte, a
volte a favore dei crociati o dei selgiuchidi, altre volte a favore dei franchi nelle persecuzioni sunnite.
In Siria il gran maestro dell’ordine sarà Rashid al-Din, mentre l’antagonista più famoso, Saladino, il quale si
salvò da due attentati. Saladino tentò un’offensiva nel 1176 contro la città di Masyaf, ismailita, fallendo e
fu obbligato a riconoscere l’indipendenza del fronte ismailita, il quale a sua volta si stava staccando anche
dalla capitale, Alamut. Un clamoroso successo del gran maestro fu anche l’assassinio del re di
Gerusalemme Corrado di Monferrato nel 1192.
La leggenda nera di origine crociata vede negli Ismailiti di Alamut un manipolo di fanatici che riducono in
stato di asservimento totale i seguaci grazie all’uso delle droghe (da cui il nome di Hashshashiyyun,
assassini) per portare a segno omicidi mirati a colpire la classe dirigente sunnita. Il pensiero ismailita
caricherà il senso di salvezza di una portata politica, trasformando un ideale elitario, come poteva essere
quello di salvezza, alla portata delle masse.

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La decadenza dello stato ismailita nizarita inizia nell’agosto del 1164 (il 17 ramadan dell’anno 559),
quando il gran maestro di Alamut annuncia la fine del mondo, dunque si diffonde la credenza tutta
ismailita, che solo le persone appartenenti a questo stato si sono rigenerate, sono risorte, mentre tutti
coloro che non ne fanno parte vanno allontanati. Si crea così una politica indipendentista e isolazionista,
che terminerà nel 1210, constatando l’invivibilità di tale politica, ristabilendo la Legge.
La caduta finale arriverà nel 1265, con il passaggio dei Mongoli, diretti verso Baghdad. Essi troveranno una
trattazione che seguentemente porterà alla distruzione totale della città, tra cui la biblioteca. Qualche
scritto verrà salvato dal persiano storiografo della spedizione mongola Ata Malik Juwayni, il quale narrerà a
fondo l’avanzata mongola, raccontando la prima cronaca degli Ismailiti di Alamut nel suo scritto Ta’rikh-i
Jahan-gusha, ovvero “Storia del conquistatore del mondo”, interamente dedicato a Changiz Khan. Dal XIII
secolo anche la metà siriana comincerà la sua decadenza, che divenne per un periodo tributaria
dell’ordine dei Templari. Sarà qui, infatti, che il sultano mamelucco Baybars, fra il 1271 e 1273 dopo aver
arrestato l’avanzata mongola in Siria, si impadronirà delle rocche ismailite nel territorio.

I mulūk al- ţawā’if Andalusi (1031 – 1086)


“Signori delle province”(reino de taifas), definizione coniata con disprezzo dallo storico Ibn Hayyan con cui
si designa la nuova realtà politica andalusa dopo la caduta Omayyade.
La lotta per l’egemonia, dopo il 1040 si scatena fra i signori delle città; il più deciso ad espandere il suo
potere è il signore di Siviglia al-Mu’tadid ibn ‘Abbad – favorito dalla politica di espansione inaugurata dal
padre e giunta alla conquista di Cordova nel 1069 ma arrestata dai signori berberi di Granada, gli Ziridi,
alleati del minuscolo e pretenzioso califfato di Malaga. Mentre l’Andalusia è divisa fra guerre intestine al
Nord le Taifas di Toledo e Saragozza orientano a nord le proprie strategie militari (ormai di carattere
difensivo).
Nella generazione successiva il fasto delle corti dei regni di taifas contrastano con lo squilibrio sociale e
politico presente. I mozarabi, soprattutto al nord, cominciano a diventare l’elemento debole. Il
movimento militare suscitato da Papa Alessandro II, che culmina con il massacro compiuto dalle forze
alleate cristiane della città di Barbastro nel 1064 è un anticipo delle Crociate in Oriente.
Sovente sarà l’impiego di mercenari cristiani per alimentare questa guerra santa, che non chiama per
niente in causa le forza mussulmane.
I taifas si trovano sempre maggiormente indebitate dal peso dei tributi imposti dalle forze cristiane,
soprattutto quella di Alfonso VI di Castiglia. Sarà proprio Alfonso VI a risolvere la situazione nel 1085,
conquistando Toledo e destabilizzando l’intero territorio arabo, che si ritroverà obbligato a chiedere aiuto
alle forze islamiche provenienti dal Nord Africa.

Gli Almoravidi (1056 – 1147)


Risorgenza nomade a ovest nell’XI secolo: gli Almoravidi, coloro che risiedono in un ribat (postazione di
confine che ospita una guarnigione militare a difesa della frontiera). Queste postazioni si sviluppano in
precedenza lungo il limes bizantino, dove nel IX e X secolo si era formata una particolare cultura della
guerra in cui pietà, devozione e pratiche agricole e militari si fondevano in uno stile di vita contemplativo in
cui il jihad costituiva il riferimento religioso.
Gli Almoravidi nascono intorno al 1039 come movimento religioso che si ispira a quella tradizione, in
Oriente caduta ormai in disuso.
Fondatore: Abdallah ibn Yasin, giurista malikita ispirato da principi di riforma che tenta di diffondere fra le
popolazioni sahariane. Dopo che fu nominato come spirituale dalla tribù dei Gudala (fra Algeria e
Mauritania) una rivolta lo costringe a ritirarsi e fonda con i suoi seguaci un ribat sull’isola di Tindra.
Messaggio riformatore improntato su una lettura rigorosa e moralista del Corano. Il movimento arriva a
controllare gli importanti nodi commerciali in Marocco e Maghreb.

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Dopo la morte del fondatore il potere passa ad Abu Bakr ibn ‘Umar che fonda la capitale del suo regno,
Marrakesh nel 1062 e concentra le proprie forze nella conquista ed islamizzazione del Ghana e della
Mauritania. Il suo successore, Yusuf ibn Tashfin regna da Marrakesh con il titolo di amir al-muslimun, e
sottomettendosi al califfo abbaside di Baghdad in funzione antifatimide.
I giuristi consiglieranno di accogliere la richiesta di soccorso proveniente dai taifas andalusi, dopo la
conquista delle armate castigliane di Alfonso VI di Toledo. Dopo la vittoria del 1086 della battaglia di
Zallaqa, uno dopo l’altro i signori andalusi si sottomettono al suo controllo, annettendo i loro territori al
suo impero, dunque al comando di Marrakesh, che insieme a Fes diventano due città molto importanti a
livello culturale.
Il declino di questa popolazione, che si era espansa dai confini sahariani al Ghana e successivamente dal
Marocco fino all’Andalusia, accusa i primi problemi sotto il potere di ‘Ali ibn Yusuf e di suo figlio Tashgin ibn
‘Ali per via dell’avanzata degli Aragonesi, che già dal 1118, con la conquista di Saragozza e con la
conseguente ribellione, nel 1121, a Cordova avevano mostrato il loro potere. Nel 1147 Marrakesh cadrà
sotto il controllo degli Almohadi e l’Andalusia, smossa dalle nuove correnti rivoltose che non creano altro
che un’incertezza e instabilità, cadrà piano piano sotto i colpi dei cristiani provenienti da Nord e dal
Portogallo.

Gli Almohadi (1130 – 1269) e le ultime dinastie andaluse (1492)


L’impero degli Almohadi ha profondamente segnato la storia dell’Occidente islamico. L’ampiezza dei
territori riuniti sotto il dominio di questa seconda dinastia berbera, sorta dalla confederazione dei
Masmuda dell’Alto Atlante, si estendeva dalla Tripolitania all’Atlantico e fino all’Andalusia.
Tutto inizia con la predicazione di Ibn Tumart, studioso di scienze religiosi di umili origini, nato nel sud del
Marocco, che in seguito ad un viaggio in Oriente viene a contatto con la riforma religiosa promossa da al-
Ghazali [5.5], con la teoria ash’arita e con il pensiero giuridico letteralista degli zahiriti.
Il suo pensiero dottrinale è fondato su un rigido concetto unitario della divinità che nega l’esistenza degli
attributi divini in quanto incompatibili con l’assoluta unità di Dio; predica un ritorno alle fonti originarie del
Corano e della Sunna, negando lo strumento interpretativo delle scritture l’ijmā’ dei giuristi.
La politica dell’unità darà il nome ai suoi seguaci, gli al-muwahhidun, gli “unitaristi”.
Grazie a questo appoggio dottrinale, Ibn Tumart avanzerà una ribellione al fronte almoravide e contro i
giuristi malikiti, all’insegna di un messianismo che circonda la figura centrale che prenderà l’appellativo
di Mahdi. Con l’appoggio delle tribù berbere di Masmūda, Ibn Tūmar mobilita una comunità di fedeli
basata su una rigida organizzazione gerarchica. A succedergli sarà ‘Abd al-Mu’min, stratega e artefice della
vittoria sugli Almoravidi.
Dopo la caduta nel 1147 di Marrakesh, gli Almohadi si spingeranno verso l’Ifriqiya (Provincia Africa:
Tunisia +Algeria e Cirenaica), dove mettono fine al regno normanno d’Africa, e verso l’Andalusia, dove
copriranno la funzione di antagonisti della Reconquista, contrastando l’avanzata di Alfonso VIII di Castiglia
con una prima vittoria nel 1195 ad Alarcos.
Gli Almohadi su proclamano califfi e rifiutano di riconoscere l’autorità formale del califfo di Baghdad. Gli
scambi con l’Occidente cristiano sono continui → sviluppo programma di urbanizzazione. Nella capitale
dell’impero, Marrakesh, come a Siviglia, si edificano nuove cittadelle califfali; ‘Abd al-Mu’min fonda Rabat e
i suoi successori intensificano una politica di insediamento urbano e di fortificazione che testimonia
l’importanza delle città come centro della vita economica.
La prima grande sconfitta in terreno iberica arriva con la battaglia di Las Navas de Tolosa nel 1212 dove
l’esercito del califfo al-Nāsir combatte contro la coalizione cristiana di Alfonso VIII di Castiglia + Navarra,
Aragona e Portogallo → la vittoria della Coalizione apre la strada all’avanzata cristiana in Andalusia; gli
Almohadi cominciano la ritirata. Nel 1228 un fratello del califfo al-‘Adril a Siviglia si autonomina erede e

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paga a caro prezzo la tregua con Ferdinando III di Castiglia. Nel frattempo, i governatori almohadi delle
città andaluse vengono deposti e sostituiti da signorotti locali. Uno di questi, murciano e discendente dai
Banū Hūd, sovrani della taifa di Saragoza, diventa il principale leader di una ribellione che spinge verso il
centro dell’Andalusia le guarnigioni almohadi. Nel 1229 abbandona Siviglia sancendo la fine di un’epoca.
Il periodo almohade in Andalusia è segnato da una grande ricchezza mercantile e da un grande splendore
urbano e culturale che raggiunge i suoi vertici con il cordovano Averroè; lo studio filosofico è incluso nel
programma riformista almohade e lascia un’impronta che ancora si trasmette alla corte di Alfonso il Savio.
Le tensioni fra le forze politiche e i continui scontri tra differenti tendenze religiose sono altissime: esilio
di Averroè, repressioni forzate.
Hanno portato avanti l’unica politica antiebraica di persecuzione nella storia dell’islam. Intere comunità
ebraiche andaluse si spingeranno nel più tollerante Egitto di Saladino e nei territori cristiani. Di fatto gli
ebrei potranno fare ritorno in Andalusia solo dopo la definitiva caduta di ‘Abd al-‘Ala Idris al-Ma’mun.
Partito l’ultimo almohade da Siviglia, Ibn Hūd coglie l’occasione per inviare un’ambasciata a Baghdad con la
quale riconosce l’autorità abbaside, ma rimangono comunque con forze insufficienti per contrastare le
armate cristiane. Siviglia è conquistata nel 1248. Viene richiesto l’intervento almohade dalle ultime città
ancora in piedi ma da Marrakesh non avranno risposta poiché la dinastia in Nord Africa è indebolita e
divisa in potentati minori in Maghreb e ‘Ifriqiya fino al XV-XVI secolo.
Ultima espressione governo islamico in Andalusia: dinastia nasride, fondata nel 1232 da Muhammad ibn
Yūsuf ibn Nasir ibn al-Ahmar. Dal 1237 Granada è la capitale di questo modesto regno. Gli emiri nasridi
riescono a mantenere l’indipendenza di questa enclave musulmana (di cui resta l’Alhambra) fino al 1492
quando i re cattolici Ferdinando II diAragona e Isabella di Castiglia ne prendono il possesso. Dall’Alhambra
il 31 marzo 1492 i re cattolici promulgano l’editto che stabilisce l’espulsione dal territorio reconquistado di
tutti gli ebrei e musulmani.

Gli Ayyubidi (1169 – 1250)


La dinastia degli Ayyubidi fu fondata da Saldino, membro di un’importante famiglia di militari di origine
curda al servizio dei governanti turchi di Iraq e di Siria. La sua azione politica e figura carismatica hanno
determinato i destini dei suoi successori che, dalla centralità del Cairo, hanno continuato a mantenere
Egitto e Siria, unificati dal fondatore. Il padre e lo zio di Saladino si erano distinti per la loro fedeltà ai
potentati dipendenti dai Selgiuchidi di Baghdad, di Mosul e Aleppo.
Saladino: partecipò al movimento di reazione militare anticrociato che dalla seconda metà del 1100 si era
focalizzato sulla riconquista di Gerusalemme. Riuscì ad inserirsi nella politica dei Fatimidi ottenendo la
nomina di visir e contribuendo al crollo della dinastia scismatica del Cairo nel 1171. Preso il potere in Egitto
stabilì un governo dinastico indipendente dalla sudditanza ai principi turchi d’Iraq e Siria (fedeltà ai califfi
abbasidi e primato del sunnismo nella regione). Dopo aver ottenuto il controllo politico dell’Egitto e della
Siria, dal 1183 lancia una campagna strategica contro i crociati: la principale campagna vide il suo esercito
scontrarsi con l’esercito congiunto di Gerusalemme nella battaglia di Hattin il 4 luglio 1187 → sconfitta
crociata e riconquista della Città Santa da parte musulmana.
Saladino fece un saggio uso del compromesso politico che lo portò ad alternare imprese militari a
diplomazia. All’arrivo della 3° Crociata, lanciata dopo la perdita cristiana di Gerusalemme, Saladino preferì
che Acri venisse consegnata ai franchi, che la elessero dal 1191 a nuova capitale del regno crociato,
accordando a Riccardo Cuor di Leone una celebre guerra che gli permise di mantenere il controllo della
Città Santa.
Saladino preferì non creare uno stato centralizzato, divise i suoi domini (Aleppo, Damasco e il Cairo) fra i
tre figli. Alla sua morte i suoi eredi fronteggiarono la presenza latina preferendo quando possibile la
diplomazia.
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Sarà il fratello, al-‘Adil ad assumere il titolo di sultano e trasmetterlo all’interno della sua discendenza. La
dinastia ayyubide governerà per poco più di un secolo in un periodo difficile per la presenza latina e
l’incombente calata dalla Transoxiana di un’orda di mercenari mongoli, i Khwarazmiani, di recente
islamizzazione, sopravvissuti all’onda dei mongoli di Changiz Khān nel 1218.
Dapprima gli ayyubidi seppero contenere la 5° Crociata ma al termine dell’ennesimo scontro con i franchi
l’unità familiare si frammentò: uno dei figli di al-‘Adil, al-Mu’azzam, che governava Damasco, chiamò i
mercenari contro il fratello al-Kamil a capo dei domini egiziani, questo si alleò con Federico II in risposta
intimando il fratello a cedere a Federico II Gerusalemme – da questa rivalità l’intervento federiciano nel
tessuto della 5 Crociata. Quando il fratello morì al-Kamil si impadronì della Città Santa e rispettò il patto
stretto con Federico II: il 18 febbraio 1229 firmarono la pace di Jaffa con la quale si cedevano Betlemme e
Gerusalemme al regno latino. Federico II fu incoronato nella città santa e poi abbandonò i territori per
tornare in patria.
Il figlio di al-Kamil, al-Salih Najm al-Din, fu l’ultimo sultano della dinastia a regnare in Egitto (regno
segnato da rivalità con i fratelli e da un’alleanza con i mercenari khwarazmiani, i quali nel 1244
saccheggiarono Gerusalemme. Nello stesso anno la battaglia di Harbiyya (battaglia di La Fourbie), tra il
fronte egiziano con i mercenari khwarazmiani che vinsero contro il fronte siriano e quello crociato guidato
da al-Nasir, figlio di al-Mu’azzam.
Nel 1249, il re francese Luigi IX guidò una crociata, la 7°, in Egitto. La difesa, iniziata da al-Salih e condotta
dal suo successore Turanshah, vide cadere prima Damietta e successivamente il sud del paese. Fu, tuttavia,
un atto di insubordinazione di alcuni generali dell’esercito egiziano a respingere l’offensiva francese, nella
battaglia di al-Mansura, e addirittura a catturare Luigi IX. Dopo l’eliminazione di Turanshah, nel 1250 da un
gruppo di suoi soldati, arrivo la presa di potere da parte dei Mamelucchi.
La storia della dinastia ayyubide riassume bene i fattori che portarono alle molteplici cadute delle dinastie
di quell’epoca in luogo arabo: eccessiva concorrenza e rivalità fra i centri del potere, che facilitò la
penetrazione crociata. La politica di Saladino circolava intorno alla convergenza e al coordinamento di
diversi popoli all’insegna dell’ideologia del jihad nella riconquista di Gerusalemme e nella sua difesa contro
i crociati e nella lotta alla fazione scismatica dei Fatimidi.
Di fatto Saladino era riuscito a riunire i consensi nella sua figura, sostituendo la figura del califfo abbaside,
che ormai non aveva più potere e che era sopravvissuto come mera figura spirituale, piena di significato
ma senza potere effettivo. Furono, infatti, proprio le tensioni interne tra il Cairo e Damasco a dar inizio alla
caduta della dinastia, poiché essi avevano propriamente perso il punto centrale che teneva unito il tutto.
L’Egitto venne favorito, dalle strategie dinastica, come centro politico ed economico, tanto da diventare
quasi più importante di Gerusalemme nella conquista franca.
Saladino aveva mantenuto intatto il modello fatimide di politica economica ma la negazione di oltre due
secoli di potere sciita esercitato dai Fatimidi fu assoluta. I difensori del sunnismo erano gli ayyubidi:
diffusione dell’architettura sunnita, favorendo la diffusione del sufismo, e della costruzione di diverse
madrase a partire dal XIII secolo, che ricordiamo la loro provenienza dai Selgiuchidi, sempre giudicati
infondatamente antisciiti.
Tale promozione del sunnismo si tradusse ad un’adesione al progetto del califfo abbaside al-Nasir che
stava favorendo un’alleanza politico-religiosa fra i diversi indirizzi del sunnismo.
Altro fattore fatale per la dinastia degli Ayyubidi fu l’impiego eccessivo dei mamluk, soldati
originariamente schiavi di etnia turca, circassa e caucasica, tra le fronde dell’esercito. Essi divennero
fondamentali per questa dinastia che si basava totalmente sulle proprie forze militari, favorendo l’ascesa
mamelucca che dall’interno che annientò il potere ayyubide.

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I Mongoli e la dinastia ilkhanide (1256 – 1335)


Nella prima metà del XIII secolo il mondo islamico viene investito dalla violenza delle orde mongole di
Changiz Khan e dei suoi discendenti. Alcuni territori islamici dell’Asia Centrale (l’impero turco di
khwarazmshah Iran settentrionale e Caucaso) caddero già fra il 1219 – 1224. Nel 1237 l’impero mongolo
includeva l’Afghanistan, Iran Settentrionale e meridionale, Azerbaijan, Armenia e Georgia. Nel 1243
occuparono l’Anatolia dove il sultano selgiuchide di Rum e il regno di Trebisonda diventano vassalli. Il
nipote di Changiz Khan, Hulagu completa la missione dell’Iran, mettendo fino agli ismailiti di Alamut e la
estende fino all’Iraq, giungendo alle porte di Damasco.
La conquista mongola viene narrata come una vera e propria catastrofe senza simili. Un vero e proprio
genocidio, migrazioni di intere popolazioni, da deportazioni di massa ordinate dai mongoli per ripopolare
aree disabitate e una devastazione delle infrastrutture.
La devastazione fisica fu enorme: acquedotti sotterranei, che portavano l’acqua dall’altopiano iranico in
tutto l’Iraq vengono distrutte, le economie urbane cadono del tutto, un numero incalcolabile di scritti viene
perso, come racconta la leggenda che vide il Tigri colorarsi di color rosso, per il sangue versato, e
successivamente di nero, per l’inchiostro dei libri gettatevi.
La distruzione di Baghdad, rasa al suolo nel 1258, con la conseguente caduta della dinastia abbaside, avrà
una rilevanza storica unica, simbolo di distruzione culturale. Questa catastrofe sarà unica nel suo genere,
se la perdita dell’Andalusia verrà narrata e si tramuterà in una certa corrente letterario romantica,
l’invasione mongola non sarà possibile narrarla, si accusa una vera e propria insufficienza di risorse
letterarie degne di raccontare questi fatti.
Esemplare è il testo di Ibn al-Athir, il quale scrive agli arbori della conquista mongola, quando essi ancora
non erano giunti a Baghdad.
Gli unici a trarre benefici dall’arrivo dei mongoli furono gli sciiti imamiti della città e dei centri circostanti.
Indifferenti di fronte alla religione, i mongoli si ritrovarono caricati di un ruolo messianico da parte imamita
che vedeva in loro il compimento di una condanna contro la tirannia e l’usurpazione consumata dagli
Abbasidi. I mongoli dimostreranno loro uno straordinario favore condiviso dai cristiani nestoriani.
Di fatto la lotta tra arabi e mongoli, soprattutto in quel di Baghdad, si traduce in una lotta tra sunniti contro
sciiti e mongoli. I sunniti infatti accusarono il tradimento sciita a Baghdad, principalmente nella figura del
visir imamita dell’ultimo califfo abbaside, al-Musta’sim bi-‘llah, il quale avrebbe aperto le porte ai mongoli.
La dinastia del nipote del Khan, Hulagu, vive sempre subordinata a quella del fratello Mongke, il quale
ricopre il ruolo di gran Khan dei mongoli. Di fatto Hulagu viene rivestito del ruolo politico asiatico di il-khan,
ovvero “khan minore”. Con i suoi successori in Iran, la sua dinastia prenderà il nome degli Ilkhanidi, le
capitali saranno situate tutte nell’Azerbaijan persiano, Maragha, Tabriz, e Sultaniyya.
Il persiano viene stabilito come lingua veicolare e la cultura araba viene assimilata. Da Maragha partirà
l’ennesima spedizione di Hulago, verso la Siria, grazie alla quale riuscirà ad entrare in contatto con il mondo
latino nello scacchiere delle crociate, mentre prendeva forma la nona crociata del 1271. Di fatto le forze
latine si alleeranno con i mongoli contro la presenza mamelucca in quel territorio, tuttavia proprio i
mamelucchi saranno in grado di portare una sconfitta storica all’esercito mongolo, giudicato invincibile,
nella battaglia di ‘Ayn Jalut in Palestina nel 1260. A questa battaglia ne seguirono altre nel XIV e XV secolo,
con lo stesso esito, guidate dal nuovo leader mongolo Tamerlano. La breve permanenza mongola in Siria
viene arrestata.
La conversione dei sovrani ilkhanidi all’islam è tarda: né Hulagu, né il successore Abaqa hanno mai preso in
considerazione questo aspetto. Questo ha permesso ai Mamelucchi di fornire una forte base ideologica alle
guerre contro i mongoli. Ciò viene messo in discussione dal figlio di Hulagu che si converte.

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La conversione sunnita di Ghazan Khan, grande uomo di cultura, seguita da quella di Oljaitu, il quale
prenderà la strada sciita, tuttavia non convincerà molto → rimaneva in vigore il codice giuridico mongolo,
promulgato da Chagiz Khan, la yasa.
Il principale portavoce del dissenso intellettuale che si spingerà fortemente contro i mongoli, chiamando
quasi ad uno sforzo di jihad in Siria, sarà quella del giurista hanbalita Ibn Taymiyya. Egli baserà tutta la sua
avversione alla conversone islamica dei due Ilkhanidi, proprio sul fatto della loro aderenza alla yasa,
nonché denunciando l’alleanza con i crociati cristiani in funzione anti-mamalucca.
Il crollo della dinastia arriverà nel XIV secolo. Caduti ad ovest sotto i colpi dei Mamelucchi, ad est la
caduta arriverà nel 1330, quando il controllo passa alla dinastia minore dei Jalayridi che regneranno
sull’Iraq e sull’Iran occidentale fino al 1432. L’unità della dinastia viene meno, le correnti interne
cominciano a scontrarsi: nel 1375 una confederazione di tribù turcomanne sciite vassalle dei Jalayridi, tali
Qara Qoyunlu, si ribella alla dinastia ilkhanide, prendendo il controllo dei territori armeni, dell’Azerbaijan e
dell’Iran e Iraq settentrionale, arrivando per una breve periodo anche al golfo persico, ciò fino al 1468 ed
entrando in contrasto con la confederazione rivale sunnita filomongola dei Aq Qoyunlu, alleati dei mongoli,
guidata da Tamerlano.
Questa situazione storica, scaturita dallo destabilizzamento mongolo di questi territori, in precedenza sotto
il controllo abbaside e successivamente dei governatorati minori, verrà assorbita in parte dall’impero
ottomano nel XIV, con la sua politica espansionistica verso ovest, mentre verso est, dai territori dei Qara
Qoyunlu e Aq Qoyunlu, nascerà la dinastia safavide, la quale trasformerà l’Iran nella forma embrionale di
primo vero e proprio stato Nazionale premoderno del mondo islamico, stabilendo una politica religiosa
differente a quella dell’antagonista ottomano, e adottando quasi totalmente uno sciismo duodecimano.

I Mamelucchi (1250 – 1579)


Il fattore costitutivo del potere mamelucco era la schiavitù militare, dalla quale venivano scelti i soldati
migliori da destinare ad una carriera di fedeltà ai loro protettori. Questa pratica non era del pensiero
religioso islamico, si era perpetuata con gli Ayyubidi.
I mamluk che già sotto gli eredi di Saladino vengono destinati ai vertici dell’esercito sono generalmente di
etnia kipčak, armena o georgiana. Dall’epoca ayyubide la schiavitù militare assume un’importanza decisiva
e un prestigio senza pari che porta al paradosso di modello di autorità sultanale esercitata da sovrani un
tempo schivi. Con l’avvento dei Mamelucchi (prendono il nome della loro condizione servile di mamluk) si
verifica una grande innovazione: l’esercito non è più il supporto militare dello stato ma è lo stato. Questa
perfetta identità stato/politica/esercito si mantiene per meno di tre secoli.
Presentandosi come il legittimo liberatore, benché straniero, riesce ad ottenere il consenso delle masse
arabe. Lo stato mamelucco si stabilisce dopo aver sconfitto gli Ayyubidi, in Egitto nel 1250 e il loro dominio
si estende in Siria. Nel 1260 i mongoli vengono sconfitti dai mamelucchi. Nello stesso anno al-Malik al-Zahir
Baybars, distintosi nella vittoria sulla crociata di Luigi IX, è il primo sultano mamelucco. Le sue alleanze con
Bisanzio, i Selgiuchidi di Rum e i mongoli dell’Orda d’Oro, in funzione anti-ilkhanide gli consentono di
estendere il controllo su quasi tutta la Siria fino all’Eufrate.
Nel 1258 i mongoli di Huglau mettono fine al califfato uccidendo l’ultimo abbaside, Baybars offre ospitalità
ai discendenti rinnovando l’atto formale della sottomissione. Baybars ottenne anche la custodia dei luoghi
sacri a Mecca e Medina.
La lotta con i mongoli si perpetuerà per altri sessant’anni, mentre si intraprenderà una lotta contro i franchi
nel litorale siriano. Il successore di Baybars, Qalawun, stabilirà il primo principio dinastico di successione,
stabilendo ben 14 discendenti. Nel 1291 si assisterà alla cacciata dei crociati dal continente asiatico, grazie
alla presa di Acri, Beirut e Tiro per mano di al-Malik al-Nasir Muhammad, che regnerà a lungo ma in modo
discontinuo.
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Il Cairo tornerà a splendere nella sua importanza mondiale, facendo godere di una buona fama diplomatica
il regno mamelucco, nonché di una buona economia, che aprirà un lungo periodo di pace. Nel 1323 viene
firmato un accordo commerciare con gli Ilkhanidi, che aprirà la frontiera commerciale con l’Iran e quindi ai
mercati della Cina e dell’India, che si tradurrà in un intensificarsi di contatti con le maggiori famiglie di
commercianti europee.
Alla morte di Muhammad, 1341, comincia un periodo di instabilità al potere, dodici sultani in
cinquant’anni. A ciò si aggiungerà la peste che colpì i mercati europei ma anche quelli islamici alla metà del
XIV secolo. In questo momento il potere cambierà dinastia: se finora il potere era stato nelle mani del ramo
di origine turca dei bahri, dal 1382 il potere passerà all’ala burji, di etnia circassa, ovvero caucasica. Il primo
sovrano di questo ramo sarà Barquq, il quale assisterà alla decadenza dell’impero mamelucco, sia perché
gli europei riuscirono a imporre i propri interessi mercantili a discapito delle regioni mussulmane, sia per le
continue carestie che colpirono l’agricoltura. Approfittando di questo momento di calo dei mamelucchi, il
re mongolo sunnita filomongolo Tamerlano, nel 1400, conquistò la Siria, saccheggiando Damasco e Aleppo
e deportando nella propria capitale gli artigiani. Alla morte di Tamerlano 1405 i mamelucchi riescono a
recuperare il territorio siriano.
Ultimi sovrani degni di nota in campo mamelucco saranno Barsbay, il quale riuscirà a stabilire il monopolio
di Stato sulle spezie e sullo zucchero, risanando in tal modo parte del bilancio economico; e Qaytbay, il
quale, pur se governando in un periodo difficile, nella seconda metà del XV secolo, riuscirà a dare
un’estetica di magnificenza al Cairo, anche se la sua popolazione verrà attaccata da una peste che decimo
la popolazione.
Penultimo della sua stirpe sarà nel 1501 Qansu al-Ghawri, famoso per la sua tassazione e politica
mecenatica nei confronti di artisti e letterari.
Di fatto la decadenza mamelucca, vede l’avvento ad ovest, dei Portoghesi, giunti in India nel 1498 per altre
vie, riescono quindi a metter da parte le rotte mamelucche riguardanti quel mercato; mentre a est il potere
ottomano diventa sempre meno governabile, di fatto sarà proprio l’impero ottomano, nel 1517, a
rovesciare l’ultimo sultano Tuman II, prendendo il potere dell’Egitto e della Siria non come sultani ma
come governatori e confermano l’élite militare mamelucca nella classe dirigente.
Lo stato mamelucco si caratterizzò per una forte movenza culturale: furono scritti molteplici trattati
storiografici nonché un’infinità di opere letterarie, soprattutto di genere epico-romanzesco, poco amato
perché troppo popolare secondo i critici, tra cui la famosa opera delle Mille e Una Notte, in cui vengono
presentati i bassifondi del Cairo, da cui si può trarre una critica sociale e una satira contro i centri del
potere. Anche il mecenatismo architettonico e monumentale fu molto evoluto, come fu per i Selgiuchidi.
L’Egitto in particolare vide l’apice della sua bellezza sotto il loro potere, dovuto anche dalle loro abilità
commerciali nell’imporre i loro prodotti di grande qualità, quali il vetro, le stoffe e le ceramiche nel
mercato europeo. Ma sarà proprio il mercato europeo che, nel momento di maggior difficoltà dello stato
mamelucco, si rivolterà e imporrà i propri prodotti, di qualità minore in confronto a quelli orientali, ma
disponibili in quantità maggiore e quindi anche a prezzo minore, soffocando così qualsiasi concorrenza
proveniente da est.

Gli Ottomani (1281 - …)


Come per il periodo delle conquiste arabe anche con gli ottomani si torna a parlare in termini mondiali. Il
territorio che essi dominavano nel momento di massimo splendore fra il XV e XVI secolo è il più vasto posto
sotto impero islamica. La dinastia al potere arrivò fino al 1924.
Nella sua espansione l’impero ottomano ha assorbito la funzione prestigiosa e simbolica del califfato, da
quando l’ultimo califfo abbaside nel 1517 scompare insieme alla dinastia egiziana. Mettono fine all’impero
bizantino con l’assedio di Costantinopoli nel 1453 che da allora diventa Istanbul, capitale della Sublime
Porta.

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Le origini della dinastia si rintracciano in tribù turche di etnia oghuz che nella seconda metà del XIII secolo
si aggregano intorno a ‘Uthman che sceglie di evitare uno scontro con i vicini turchi a est, guardando
invece a oriente e ai bizantini.
In Bitinia ‘Uthman crea un principato minuscolo che giurerà dipendenza al sultanato selgiuchide di Rum. Il
territorio accoglierà i flussi migratori provenienti dalle invasioni mongole, rinforzando la propria truppa
militare. Ciò gli permetterà di chiedere l’indipendenza ai Selgiuchidi, nel 1299, e di espandersi lungo
l’Anatolia, stringendo alleanze, anche matrimoniali, con alcuni signorotti Bizantini. Sarà proprio la caduta
del regno di Rum a dare il via all’espansione ottomana.
Di fatto nel 1302 ‘Uthman vince una battaglia vicino a Nicea e stabilisce delle città sempre più vicine al
confine bizantino, in Anatolia, tuttavia queste città saranno sempre più stanziali, attuando financo una
politica di conversione della popolazione attraverso l’istaurazione di dotti e letterati mussulmani.
Durante la fine del governo di ‘Uthaman, vero padre fondatore di questa nuova realtà politica, avverrà la
presa di Efeso e verrà comandata la presa di Bursa, effettuata dal suo successore e figlio Orhan, nel 1324,
ampliando così i propri sbocchi sul mediterraneo orientale, nonché limitando il potere bizantino nella
regione.
Dunque, l’espansione si lancia oltre mare e nel 1387 viene presa Tessalonica, strappata dalle mani
veneziane; successivamente arriva lo scontro con i serbi, 1389; mentre verso l’interno arriva lo scontro
diretto con il lungo assedio di Costantinopoli, 1395. L’imperatore bizantino Manuele II Paleologo verrà
soccorso dal re di Ungheria nonché dal futuro sacro romano imperatore Sigismondo, tuttavia la caduta sarà
inevitabile. Nel 1396, con la battaglia di Nicopolis non si riesce a rallentare l’avanzata ottomana. Il sultano
Bayazid I governa, dopo solo 90 anni di regno, un territorio vastissimo che ricopre l’intera Anatolia fino ad
arrivane nella penisola balcanica con i territori di Serbia, Macedonia, Tracia e Bulgaria.
Un momento di tregua nell’assedio a Costantinopoli verrà dato grazie all’intervento di Tamerlano ad est.
Egli invade da est l’Anatolia e nella battaglia di Ankara del 1402 riuscirà a catturare il sultano Buyazid I e a
farlo prigioniero a Samarcanda = vuoto di potere → periodo di incertezza che sfocia in una guerra civile
durata fino al 1413, tra i figli di Bayazid in lotta fra loro emerge Mehmet I che riesce a stabilire l’ordine.
Durante questa guerra civile vengono perse temporaneamente Tessalonica, Macedonia e Kosovo, ma
verranno riconquistate dal suo successore Murad II.
Contro Murad II nel quadro delle lunghe guerre ottomano-ungheresi (concluse nel 1526) viene lanciata la
Crociata di Varna 1443-1444, instaurata da papa Eugenio IV, per tenere fede agli impegni presi con
Giovanni VIII Paleologo al concilio di Ferrara e Firenze 1438-39. Dopo la perdita di Belgrado, l’Ungheria è
seriamente messa in pericolo dall’arrivo turco. Si forma una coalizione antiturca guidata dal voivoda Vlad
II di Valacchia, suo figlio Mircea e Giovanni Hunyadi (Ioan de Hunedoara), nonché il despota serbo Giorgio
Brankovich e il re di Polonia e Ungheria Ladislao III. La Crociata finì in disfatta per i cristiani, facilmente
sotto i colpi dell’esercito di Murad II, nel 1444, che però trovò molte difficoltà soprattutto per via della
resistenza albanese d Iskandar Beg, ovvero Giorgio Castriota.
La seconda metà del XV secolo si aprirà con la caduta di Costantinopoli, il 29 maggio 1453. Mehmet II il
Conquistatore entra a Costantinopoli, conferma l’autorità del patriarca ortodosso, dunque tiene fede alle
cerimonie cristiane della città, mostrando grande rispetto nel vinto. Molte tradizioni bizantine vennero
mantenute ed incorporate, portando avanti una politica di prestigio per quei mille anni di dominio
bizantino. Nasce una realta multietnica e multireligiosa, dove vengono chiamati mercanti di tutti i territori
per ridare quello sfarzo economico che aveva conosciuto la città in precedenza, così il Bosforo viene
ripopolato; viene accettato lo status del patriarca armeno al quale vengono affidate tutte le chiese non
ortodosse dell’impero, avanzando un dialogo con i leader ebrei, portando favore al nuovo conquistatore.

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Solo dopo la conquista di Costantinopoli l’impero si rilancerà verso est, con la presa della Sira e dell’Egitto
nel 1517, ovvero settant’anni dopo la presa della città. Così vennero presi i potentati del Nord Africa,
eccetto l’attuale Marocco. Alla dinastia giunge il prestigio di gestire Mecca e Medina. Tuttavia, anche
quest’apertura culturale, etnica e religiosa, porterà a loro favore correnti di etnie chiamate a scappare dai
loro territori, come sarà per gli Ebrei che fuggiranno dai territori di Spagna, Portogallo e Italia. Parte della
loro vittoria verrà data proprio dalla loro grande politica di integrazione e inclusione, grazie alla quale
Costantinopoli tornerà a contare 400.000 abitanti e un’economia commerciale invidiabile.
Costantinopoli dopo il 1453 mostrerà un meccanicismo perfetto, formato da uno stato centrale nel quale si
potevano trovare funzionari provenienti da qualsiasi località ma per lo più bizantini, confermando, dunque,
un buon legame tra le periferie multilingue e il centro di gestione.
I tre pilasti del loro potere saranno: legittimità, controllo dell’élite e delle risorse economiche e il
mantenimento della diversità religiosa ed etnica.
Sarà di fatto proprio questo il compito principale dei successori di Mehmet II, essi dovranno sempre tenere
sott’occhio la diversità delle periferie, farle tutte partecipare alle logiche della capitale. La politica
ottomana sarà di far evolvere i propri punti deboli per farli diventare centrali, imparando così dai propri
errori. Di fatto essi non fanno che riattuare la politica di tolleranza che aveva caratterizzato il primordiale
stato islamico, dove non venivano imposte religioni o culture, ma veniva offerta protezione a tutti
indistintamente, allontanandosi totalmente dai moderni concetti di multiculturalismo ed eguaglianza. È
una politica di assimilazione e incorporazione.
Nello stato ottomano i sudditi non musulmani non devono essere perseguitati; le minoranze religiose
stringono con lo stato un patto di lealtà, tutela e protezione (non presente in altre realtà medievali).
Lo stesso statuto della dhimma, che verrà ben istituzionalizzato in maniera più complessa, fa dei non
musulmani dei sudditi di seconda categoria → ambiguità e ambivalenza: da un lato tolleranza come forma
di controllo religiose ed etnica e dall’altro subordinazione si mostra in due casi: alto numero di nobili
cristiani nell’apparato governativo e la pratica del devshirme adottata dopo il 1453, la leva per coscrizione
di giovani cristiani (cercava di riprodurre un concetto di periodicità che era simile a quello dei mamluk). I
bambini venivano sottratti e portati a Istanbul, convertiti, educati e avviati ad una delle 4 funzioni poste
sotto il controllo imperiale: burocrazia, corte e politica, religione, esercito. Tale pratica vede che al suo
culmine nella seconda metà del XV e XVI secolo, su un conteggio di 47 gran visir (carica più alta dopo il
sultano) solo 5 fossero di origine turca, mentre il restante verrà da tutti gli angoli del regno e avviati
tramite la pratica del devshirme.
Con l’avanzare degli anni e il perfezionarsi della macchina tollerante quale quella ottomana, verrà
istituzionalizzata l’autonomia giuridica delle minoranze religiose tramite il sistema delle millet (esempio di
pluralismo religioso premoderno). La prima millet, corte di giustizia separata presente in ciascuna provincia,
verrà concessa ai greci ortodossi → decentramento del potere giurisdizionale, cercando in tal modo di
favorire una fedeltà al potere centrale ma anche di snellire la burocrazia centrale, che sicuramente
cominciava ad accusare le troppe pratiche provenienti da tutto l’impero. Tale progetto venne esteso agli
armeni e agli ebrei. Tale sistema venne tramandato anche dopo la sua caduta nel 1924 nelle varie
spartizioni che si attuarono, compresa quella di Israele.

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CAPITOLO 6: LO SPAZIO CULTURALE


La Rivoluzione Strutturale Della Carta
L’invenzione della carta, preceduta solamente dall’uso di papiri e pergamene, ha rappresentato una
rivoluzione, ha potuto concedere molte cose, che precedentemente erano riservate ad un uso elitario, ad
un uso di massa. L’invenzione della carta viene datata nel I secolo d.C. in Cina, tuttavia è la civiltà arabo-
islamica a trasformare un’innovazione a diffusione regionale in uno strumento in grado di mutare le
condizioni materiali e sociali della comunicazione. Le vicende di un gruppo di fabbricanti cinesi di carta,
caduti prigionieri degli arabi durante la battaglia di Talas nel 751 sembrano frutto di una leggenda. Ad ogni
modo la produzione industriale del supporto cartaceo, più economico del papiro/pergamena, ha fatto
dell’islam medievale la prima vera cultura mondiale del libro → nuova concezione uso sociale e
alfabetizzazione (lettura dimensione privata, questioni notarili, atti burocratici e commercio).
Le attività mercantili si basavano in gran parte sulla carta e sulla sua fruibilità nell’essere mezzo per tenere
relazioni molto lontane, basti pensare alla Genizah, ovvero la struttura mercantile tipo che vi era al Cairo
come in altri centri urbani commerciali. La carta aiuterà la diffusione del sapere, una produzione allargata
di copie dello stesso libro (nel mondo latino gli amanuensi creavano una sola copia, il mondo arabo, invece
produce in serie). Da qui derivano le biblioteche e le madrase (equivalente dell’università) →
divulgheranno opere facendo girare la cultura e affermandola. Sono parte integrante dello spazio urbano.
Le madrase, nate in Iran per mano dei Selgiuchidi che poi le imposero a Baghdad e oltre, sono una risposta
premoderna al problema politico della formazione di fedeli servitori dello stato = è quindi concepita come
luogo di omologazione culturale dei funzionari e degli intellettuali dello Stato.

Geografia del Sapere


Il medioevo arabo-islamico appare unificato da un canone storico-culturale pienamente condiviso dagli
intellettuali (unità sancita dalla lingua araba). Questa unità si compone in una geografia del sapere
compatta e omogenea capace di raccogliere tutti i dati di un quadro di relazioni fra centro/periferia e
correnti di pensiero. (Figura del maestro stabile e degli studenti itineranti: mobilità di idee e conoscenze)
A livello culturale del sapere abbiamo visto come la cultura araba sia stata sempre aperta a formulazioni
provenienti da fuori, come esemplare fu il caso delle teorie di Aristotele, accettate ma sempre con un
occhio critico, come per i mutaziliti. L’inclinazione della cultura araba tende a classificare il sapere “alieno”,
proveniente da fuori, come poteva essere quello greco-ellenistico. Vengono instaurate 2 categorie: le
scienze degli arabi, o le scienze della tradizione, e le scienze razionali, o degli Antichi.
Con le prime ci si basa sulla rivelazione, che vede come mezzo la lingua, che emana il diritto: la giusta
comprensione del mezzo stabilisce la giusta comprensione della rivelazione. Di fatto le scienze religiose,
giurisprudenziali, poetiche e del linguaggio sono strettamente correlate alla lingua.
Al contrario alle scienze razionali appartengono: la medicina, la filosofia, la matematica, l’astronomia e
altre. Esse vengono definite appunto razionali, perché non si basano sul linguaggio, bensì sulla ragione,
contrapponendosi anche alla tradizione.
Conseguenzialmente a questa carenza di legittimità della ragione nascerà un apparato di ricerca, tra il IX e
X secolo, sotto il controllo califfale fino a rivoluzionare il sapere e giungere ad una sua riclassificazione,
rivalutando così i legami fra forme di sapere, nonché ad una visione più enciclopedica e olistica delle varie
discipline, stabilendo così un’idea di relazione tra discipline anche molto lontane. Esempio di tale
unificazione delle discipline: formazione dei padri fondatori delle scuole giuridiche, dove nell’uso della
logica - scienza “straniera”, trovano un sostegno formale. Simile sarà l’uso dell’analisi combinatoria in
materia linguistica, usata dal padre della lessicografia araba, al-Khalil ibn Ahmad per progettare il più
antico dizionario di lingua araba, il Kitab al’ayn.

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Maestri e Libri
Un contatto delle masse con il sapere, nell’ambiente islamico, è stato sempre pubblicizzato come un
qualcosa di aperto, una virtù religiosa (insegnare è un dovere) come si può dedurre dalla disponibilità delle
biblioteche aperte a tutta la popolazione.
I vincoli sociali erano più restrittivi e vi è sempre una figura che viene reputata centrale nel quadro della
formazione culturale e dell’insegnamento, quale il maestro. Esso, come ci viene riportato da molteplici
rappresentazioni iconografiche, viene sempre posto al centro. Di fatto il maestro si presenta, anche, come
un’autorità centrale nella trasmissione del sapere.
Di fatto la trasmissione di uno specifico testo, come veniva spiegato l’episodio del damasceno al-Nawawi,
studioso della giuridica shafiita, avviene tramite la dettatura e la spiegazione del testo secondo un certo
punto di vista, per esempio la prima volta vengono semplicemente memorizzati. Successivamente, però, il
testo non viene dato per compreso, ma lo si riprende e lo si ristudia sotto un’altra luce, tornando
all’esempio, al-Nawawi, come racconterà anche il celebre Avicenna, studierà il solito testo sia sotto il
profilo esegetico ma anche sotto quello filologico, concludendo sempre con un’approvazione da parte del
maestro tramite la formula qara’a ‘ala, ovvero “letto al cospetto di”, che dava legittimità.
Quindi inserirsi in una traiettoria che unisce maestri a testi e ad allievi, significava inserirsi in una cerchia di
spessore. Il maestro dava prestigio all’opera, tuttavia questa dialettica entra in crisi con l’arrivo di forme di
sapere straniere, provenienti dall’estero o da culture conquistate. Se nella cultura araba il testo acquisiva
prestigio grazie ad un maestro, queste altre opere procedono al contrario, da un testo originario nascono
le scuole di pensiero. Anche qui però si ripete la pratica della dettatura ai discepoli, però il maestro assume
il compito di commentare e spiegare, diventa un interprete. Fondamentale diventa quindi la traduzione di
questi nuovi testi.

L’epoca delle Traduzioni


Per avere una minima idea delle lingue che vennero tradotte nell’epoca araba del X secolo basta consultare
l’elenco di Ibn al-Nadim, eccelso libraio, il quale scrisse il Fihrist al-‘ulum, il “catalogo delle scienze”. Qui
troviamo tutte le lingue con cui la cultura araba unita è entrata in contatto attraverso lo scontro, più o
meno violento, con le rispettive culture. Gli alfabeti qui presenti sono: il cinese, greco e l’arabo. Intorno al
rapporto con queste culture dal IX secolo si cristallizza la pratica della traduzione autoritativa.
La costruzione dell’accademia delle scienze Bayt al-hikma (Dimora delle scienze) (830-832) voluta dal 7
califfo abbaside al-Ma’mun costituisce un momento cruciale per le dinamiche storiche che hanno
determinato lo sviluppo della filosofia e della ricerca scientifica nel medioevo arabo – fu eletta come unico
centro propulsivo delle traduzioni. Tale accademia vedeva il medico cristiano nestoriano Hunayn ibn Ishaq
come traduttore ufficiale e si indirizzava soprattutto alla ricerca e traduzione di opere greche.
L’accademia deve il suo nome a degli archivi omonimi presenti già in età omayyade, in cui era
particolarmente indirizzata alla filosofia, mentre nel IX secolo essa prende un’inclinazione più aperta a
tutte le scienze. Così come le attività di traduzione risalgono già al governo del padre di al-Ma’mun, Harun
al-Rashid della famiglia visirale dei Barmecidi nel VIII secolo. Tuttavia, sarà la salita al potere del califfo al-
Ma’mun a dare il via ad un’apertura delle biblioteche a tutti gli studiosi, nonché a dar vita ad un commercio
più sistematico di manuali greci con i vicini Bizantini.
Altro quesito centrale è il come venivano procurati tali manuali: il mercato, soprattutto con il mercato
Bizantino che aveva ricoperto il ruolo di barriera culturale e aveva bloccato in tale territorio la cultura
ellenistica-greca; altro mezzo era la guerra, reperti giunti in territorio arabo non erano altro che veri e
propri bottini di guerra, tutelati da leggi che ne vietavano la distruzione; similmente i libri e la loro cessione
rientrava spesso nelle condizioni di pace, nelle famose trattative che attestavano la sottomissione di un

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popolo al potere califfale, soprattutto appunto dalla frontiera bizantina; per ultimo essi potevano anche
essere delle forme di donazione nel corso di ambascerie, visto e provato che possedevano un certo valore.
Bayt al-hikma assume con il tempo anche il ruolo di simposio, tanto che lo stesso Hunayn ibn Ishaq
chiamerà con tale nome tutti quei luoghi dove avvengono tali dispute intellettuali; esso era il centro di un
più vasto elenco di luoghi, come circoli privati interconfessionali, dove avvenivano discussioni sui più vari
argomenti → diventa un luogo di incontro e di unificazione della cultura araba. Qui infatti vengono accolti
intellettuali di varie materie e di varie religioni, e potevano trovarvisi musulmani ma anche non musulmani.
Qui avviene dunque una convergenza del pensiero, in piccolo avviene una omologazione e unificazione tra
culture diverse unificate dalla conquista califfale omayyade e abbaside. In tal modo si può anche parlare di
istituzionalizzazione del sapere.
Il processo epocale di mediazione culturale, che ha il suo simile solo nell’analogo processo di traduzione
avvenuto dal XIII secolo in poi nel medioevo cristiano dall’arabo al latino.
Primo flusso di traduzione in arabo: dal siriaco, persiano, sanscrito e dal greco; inizia alla fine del VIII
secolo e si consolida nel successivo; centri principali sono la scuola di medicina di Jundishapur in Iran,
l’enclave pagana di Harran e l’accademia di al-Ma’mun.
Secondo flusso di traduzione in arabo: X secolo, da questo momento il lavoro della traduzione si fonda su
una tradizione testuale che si considera ben stabilita e definita. Si procede d’ora in poi ad un lavoro di
revisione, di rettifica che rende ogni nuova edizione più critica (una volta che si conosce la differenziazione
fra un sistema linguistico e l’altro). perfettamente dando inizio ad un’azione di revisione dei testi, che
diviene quasi una critica. Ciò venne accompagnato da una nascita di nuovi centri del sapere finanziati da
forme di mecenatismo locale.
I risultati di questi due flussi saranno eccezionali (gli intellettuali musulmani, cristiani ed ebrei che scrivono
in arabo hanno a disposizione una quantità impressionante di materiali): dal X secolo saranno reperibili in
arabo tutte le opere di Aristotele, tranne la politica, con i commenti di Temistio e di Simplicio, mentre
meno completo sarà il corpus relativo a Platone, spesso frammentario.

L’universo del libro: trasmissione, composizione, circolazione


Altri centri di produzione del sapere, nell’VIII – IX secolo, saranno le moschee, la madrasa e la corte. Nel
corso degli anni seguiranno l’evoluzione delle biblioteche come modello unificante di luogo di sapere, con
l’aggiunta dal X secolo di nuovi poli come la madrasa, l’ospedale, l'osservatorio astronomico.
La moschea, che dal IX secolo sarà dotata di una biblioteca, è luogo di elaborazione del sapere fondato sul
criterio autoritativo della tradizione dotta: insegnamento del Corano e del corpus della religione,
giurisprudenza, sapere teologico ed esegetico (interpretativo), grammatica, lessicografia, filologia. Dal XI
secolo tutte queste discipline si trasferiranno nello spazio della madrasa.
La corte, oltre ad essere il luogo principale di affermazione di poeti e poesia, promuove la redazione di
opere originali. In diretta comunicazione con la corte, la cancelleria dà vita alla classe di funzionari e
segretari dell’amministrazione pubblica (kuttab) grazie ai quali c’è un’integrazione fra le scienze arabe e
quelle straniere, e la formulazione in arabo del genere letterario dell’epistolografia.
Per quanto riguarda però la circolazione dei testi rimane centrale il ruolo del mercato, ovvero dai copisti,
quindi dalla carta. Sarà grazie al lavoro di accumulazione e sistemazione, che avveniva nelle moschee, nelle
corti e nelle cancellerie, che si è potuti arrivare, intorno al XIII, alla completa assimilazione dei testi
stranieri, la cui unica legittimità era la loro antichità, nella cultura araba, tanto che non vennero più
classificati come “scienze antiche/degli Antichi”, ma acquisirono la denominazione di “scienze filosofiche”.
La riproduzione mimetica delle condizioni di trasmissione di un testo (isnad) ovvero le catene di
trasmissione, e attraverso il quale il testo è giunto al redattore che ne fa un libro (apertura testo) è una
dichiarazione delle fonti su cui si fonda il testo.
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Fra i VIII e il IX secolo nascono delle grandi opere, musannaf, sistematizzazione dei saperi: raccolte con
tematiche religiose, del diritto e della grammatica. Qui risalta il ruolo del maestro-autore, il quale deve
designare tale itinerario prendendo in considerazione l’accesso al sapere e le condizioni che rendono tale
accesso possibile. Spesso loro compito è anche quello di riattualizzare un pensiero antico, che sennò non
avrebbe più senso oggi. Il vero compito del maestro-autore è quello di creare un’opera che sia
chiarificatrice ma anche critica, nonché commento, dell’opera presa da lui in considerazione.
Libro originale, compendio e commento sono molteplici facce di una stessa pratica di accesso al testo che
si pone in parallelo allo studio in presenza del maestro. Lo spazio letterario è occupato anche da: discorso,
memoria, ricapitolazione, rettifica, questione, collezione.
Solo due generi si separarono totalmente dal compito propedeutico, ovvero disciplinare, per diventare dei
libri autonomi a sé stanti, ovvero: l’epistola e l’introduzione.
L’epistola, l’evocazione di un lettore, reale o immaginario, sostituisce totalmente il colloquio orale, viene
spesso usata nella pratica della corrispondenza tra maestri e allievi, o tra colleghi.
L’introduzione, l’avviamento, la quale si impone come preambolo, spiegazione iniziale, che giustifica i
motivi dell’impresa dell’autore e illustra i principi metodologici usati, per un’opera ben più ampia.
Nel piano del sapere il ruolo dei maestri, e quindi dei libri, è fondamentale, tanto nella trasmissione,
quanto nella spiegazione dei testi antichi, soprattutto esteri.

Le classificazioni del sapere


Scienze degli arabi: le scienze fondate sull’arabo come lingua e autoctone, dunque la grammatica, l’arte
della cancelleria, la teologia dialettica (kalam), la poesia e le tradizioni storiche.
Scienze non arabe: la filosofia, la logica, la medicina e la matematica con tutte le scienze delle macchine.
Non esiste una classificazione specificatamente islamica del sapere. Una comunità scientifico-filosofica
irachena del X secolo, influenzata dal neoplatonismo e dalla tradizione matematica pitagorica, espone una
ripartizione fra “arti intellettuali” e una visione della conoscenza per scienze propedeutiche (lettura e
scrittura, grammatica, aritmetica…), per scienze religiose e per scienze filosofiche.
La classificazione che mantiene più saldo il legame con le pratiche sociali della conoscenza (scritta
dall’artefice delle politiche culturali dell’età selgiuchide con intente riformatore che si realizza nella
madrasa) è quella di al-Ghazali. Il teologo espone ne ‘La rivivificazione delle scienze religiose’ la visione di
una conoscenza con a capo la mistica, isolata dalle altre discipline. Le scienze del linguaggio sono
considerate propedeutiche / preparatorie a tutte le altre → su questa classificazione si basa il progetto
sociale della madrasa (la madrasa è fondata sullo studio del diritto).
Questa classificazione si irradia al di là dell’Oriente musulmano del XII secolo e si ritrova in Andalusia.
Diversamente si sviluppa la classificazione di altri intellettuali, che si distaccano da questa classificazione
funzionale, per procedere verso una classificazione pedagogica. Esemplare è la classificazione di al-Farabi
del X secolo, che giungerà ad una concezione della filosofia come scienza universale al cui interno si
dispongono le relazioni fra i saperi. Sono cinque le materie alla base di tutto, dalle quali si sviluppano le
successive materie: scienza della lingua, scienza della logica, scienze matematiche, scienza della fisica o
della natura e della metafisica, chiamata scienza divina da al-Farabi, e, infine, le scienze politiche. In
questa classificazione sembra si voglia superare la dualità fra scienze degli arabi e straniere. Egli categorizza
le scienze religiose per scienze politiche, perché la conoscenza della verità della rivelazione ha una finalità
politica → schema aristotelico di gerarchia del sapere che culmina con le scienze politiche (matematica al
centro).
Breve ma influente è la classificazione di Avicenna. Qui è dominante la filosofia, teorica e pratica, che
innerva la comprensione di ogni conoscenza con una decisa attenzione dei confronti del sapere scientifico.

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Una visione storiografica del Sapere – sulla figura del maestro converge una tendenza idealistica e
idealizzata a pensare il sapere come ad una forma maestosa di memoria vivificata da una generazione
all’altra. I maestri sono i garanti vivi di un’eredità storica.
Sapere e comunità scientifiche – la catena di trasmissione da maestro a maestro, e quindi anche
l’autorevolezza che guadagnava un allievo nel seguire un certo maestro anziché un altro, dona legittimità
ad una tesi o ad un pensiero che viene portato avanti. Di fatto i casi di intellettuali indipendenti, solitari,
furono rari e in quell’epoca sono testimonianza di alcuni disagi intellettuali. I dotti si muovono intorno ad
una comunità. L’appartenenza si manifestava secondo due parole: ahl “gente”, il cui significato era di
raggruppare persone, oppure discipline, e ashab, il quale significa “compagni” e che rimanda ad una sorta
di alleanza orizzontale tra allievi e verticale verso il maestro.
Non bisogna però pensare che una scuola fosse come un’altra, ogni scuola oltre a procedere secondo un
proprio credo e un proprio metodo, non erano rari i casi di dissociazione tra diverse scuole, che dunque
portavano essere in conflitto. La pratica più antica giunge fra il VIII e IX secolo dal diritto e gli studi
linguistici (parlare di Basra e di Kufa, le prime due città islamiche fondate in Iraq nel VII secolo, nel contesto
della storia del pensiero grammaticale significa riferirsi ai seguaci delle due grandi correnti del pensiero
linguistico in arabo).
La disputa: munazara, le scuole e i loro metodi si confrontavano e confutavano a vicenda.
Scienza e sapienza: l’umanesimo dell’Adab – Il nesso fra città e sapere è un dato che informa il vivere
civile, e incarna un ideale di municipalità, qui il sapere si misura anche attraverso le pratiche sociali.
Tra la fine del VII e il VIII secolo nasce l’esigenza di un apparato burocratico capace di controllare la
complessità amministrativa dell’impero omayyade. Nasce quindi una nuova classe: kuttab – segretari delle
cancellerie (p.43).
Tramite la creazione delle cancellerie promossa dal califfo ‘Abd al-Malik, istituzioni pubbliche dirette a
gestire la burocrazia dello stato, nelle quali, grazie proprio ad una delle sue riforme, si impone l’arabo
come lingua dello stato, dando così un segnale di unità statale che successivamente si trasformerà in un
vero e proprio processo di arabizzazione. La nascita della prosa araba è il primo risultato del nuovo clima
culturale.
In queste cancellerie, avverranno le prime traduzioni delle tradizioni di gestione politica ellenistiche e
iraniche. Sono i funzionari di origine siriaca, persiana e copta a preparare i quadri dell’amministrazione,
grazie a loro si impone l’arabizzazione del patrimonio ellenistico e iranico di letteratura filosofico-politica
su cui si fonda la cultura profana, umanistica dell’adab.
Lunghe discussioni si svilupparono riguardo l’esistenza o meno di un umanesimo arabo, ponendo tale
corrente come essenzialmente occidentale. Tuttavia, al centro della conoscenza araba vi si possono
collocare due termini: ‘ilm e hikma, traducibili con i termini latini di scientia e sapientia, nascondendo però
una più profonda differenza epistemologica del sapere. Con ‘ilm si preferiva indicare in un primo
momento, il sapere religioso, successivamente, si indicò anche quel sapere originario della tradizione, la
quale donava autenticità e legittimità; con hikma quel sapere retto dall’arbitrio umano e dalla sua ragione,
comprendo di conseguenza il sapere di provenienza straniera, eredità greca.
Secondo questo doppio filo, la filosofia viene introdotta in una visione storiografica del sapere, nell’hikma
che finirà per indicare per antonomasia il sapere filosofico. Nel IX secolo al-Kindi, riconosce alla filosofia e
alle conoscenze fondate sulla ragione un carattere universale, allargando i confini del ‘ilm.
Adab. Civile, insieme di virtù che definiscono l’uomo che sa essere al contempo colto e saggio. La parola
con cui gli storici traducono adab è umanesimo. La prima concezione di adab, VIII secolo, dal persiano Ibn
al-Muqaffa’, il quale definisce l’adab come un ideale etico che plasma il carattere umano (solamente l’‘ilm),
mentre già tra il IX e il X secolo il concetto si espanderà a designare un’attitudine del sapere.

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Come definire un Umanista?


Con la caduta del potere califfale omayyade, nel 750, e la salita del potere della famiglia dei Banu ‘Abbas, il
potere si sposta a Baghdad e in un secondo momento si decentra in quel di Samarra. Successivamente, nel
XI secolo, nascono i principati regionali indipendenti, fino ad arrivare, nel XII secolo, alle invasioni dei nuovi
dominatori, come i Selgiuchidi, che però attestano sempre un certo rispetto nei confronti del potere
califfale, anche se ormai privato del suo primordiale potere e usato meramente come mezzo di
propaganda per le masse musulmane. Tutto questo lungo processo qui brevemente riprodotto, porta ad
un evolversi dei centri di pensiero. Se, dunque, all’inizio la capitale omayyade Damasco era il vero e proprio
polo culturale dell’impero, con la salita al potere degli Abbasidi essa diventa Baghdad, con la successiva
Samarra e la sua corte nobile, fino a diffondersi nelle future regioni autonome dall’Andalusia all’Asia
centrale. Il mito culturale dell’adab si diffonde a macchia d’olio, fino a diventare ancor più comune con
l’istituzione della madrasa.
Certezza della fonte e conoscenza irradiata: due modalità di sapere, garantite l’una dalla tradizione dotta,
l’altra dalla comprensione razionale.
Nelle pratiche sociali del sapere convivono il sapere religioso, ‘ilm, e sapere razionale, hikma,
giurisprudenza e la medicina - i due capisaldi della formazione di chiunque avesse accesso all’istruzione
superiore. Sono le discipline su cui si fonderà dal XII secolo l’istituzione della madrasa stessa.
Inoltre, il vero adab, ovvero colui che vuole padroneggiare una conoscenza enciclopedica, dovrà
ovviamente fare sue materie quali la matematica, l’alchimia e l’astronomia.
Esemplare è la biografia di al-Tanukhi, giudice di professione e fine letterato, redatta dal biografo Yaqut. Di
tale uomo, infatti, egli racconta la sua storia da allievo, nella scuola di giurisprudenza di Abu Hanifa, nella scuola di
lessicografia e grammatica di Kufa, oltre a narrare le sue abilità mnemoniche in materia di poesia, antica e moderna,
ma anche in materia storiografica, oltre ad essere maestro dell’arte della disputa. Possiamo dunque distinguere la
definizione di ‘ulama, ovvero “dottore della legge” di una singola, da quella di udaba, colui che segue i
precetti dell’adab e che invece di scendere in profondità in una sola disciplina, sceglie il meglio di ogni
cosa, appropriandosene.
Il senso del passato: Filologia, Poesia, Storia
Lo studio del corano e la sua esegesi hanno promosso fin dalle origini un approccio linguistico al testo sacro
che portò alla costituzione di alcuni canoni: linguistico e del testo letterario.
La creazione del canone della poesia coincide con due eventi della storia culturale arabo-islamica: segna la
nascita dell’antologia poetica con la raccolta delle migliori odi preislamiche commissionata dal califfo
abbaside al-Mansur e allo stesso tempo crea un solco tra il passato e il presente. Anche nell’islam
medievale nasce dunque una querelle fra antichi e moderni.
La dinastia abbaside era molto sensibile alle sollecitazioni di ordine culturale a cui rispondeva la riscoperta
del passato preislamico. Filologia, archeologia e gestione del passato sono peculiari di un’ideologia
culturale che, in epoca omayyade, conferiscono al rapporto sovrano/archivio un carattere elitario.
La costruzione ideologica e storiografia concorre a legittimare la presenza di determinate discipline.
Questo modello di legittimazione sociale del passato riflette un conflitto fra concezioni diverse della
filologia che opponeva gli studiosi delle tradizioni religiose agli storiografi (quest’ultimi argomentavano la
mancanza di prove atte a legittimare la tesi che ne veniva fuori dagli scritti di narrazione storici).
Fra il IX–X secolo, si sviluppa a Baghdad, a corte e poi si allarga agli spazi urbani, il genere romanzesco e
d’ambientazione storica, genere sempre criticato dai dotti letterati, ma che troverà un gran pubblico tra le
donne e che si trasformerà anche in prova del tempo del quale parla. Proprio il ruolo della storia ricoprirà
un posto d’eccellenza nella cultura dell’adab, vista come luogo di esperienze ed esempi.

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Nella visione dotta delle scienze, il ruolo della storia è piuttosto ambiguo. Da un lato si riconosce una
funzione altamente formativa, pedagogica dall’altro, la storia non possiede i caratteri di una scienza certa e
autonoma. Solo nel XIV secolo si arriva alla concezione di una scienza della storiografia, parte di un sapere
enciclopedico ma non compare nelle classificazioni dei filosofi. La storia non esiste come una scienza a sé
stante.
Quando le classificazioni includono la storia il termine che la definisce è akhbar narrazione a carattere
storico (novella, plurale di khabar – informazione).
L’annalistica esprime in maniera grandiosa la concezione di un disegno divino che consegna all’umainità
una Legge annunciata dai profeti biblici, rifiutata o ignorata dai popoli del mondo circostante, e
perfezionata dalla rivelazione ricevuta da Muhammad. I generi minori invece esprimono la presenza
centrale della condizione umana nella storia che diventa tema di interesse storiografico.
L’adab è un tessuto connetivo che mette in comunicazione l’esperienza intellettuale degli uomini al di qua
delle discipline specialistiche, ponendo le condizioni d’accesso al sapere al di sopra dei conflitti ideologici.
Nel X secolo si scriveranno le prime enciclopedie, le quali sicuramente non potranno contenere tutto il
sapere nella sua profondità. Similmente sarà per l’antologia poetica, la quale vede nella poesia il fulcro
attorno al quale girano presentazioni storiografiche.
Gli inconvenienti del dover sapere
L’adab è materia di studio nelle madrase, e il maestro in questa materia è solitamente il bibliotecario della
biblioteca interna alla madrasa stessa. Di fatto essa si presenta come la disciplina che unisce tutte le
scienze, unendo saperi interni ed esterni alla madrasa.
L’umanesimo diffuso e prodotto dalle madrase, è ben diverso da quello non istituzionalizzato, che nasceva
dalle corti e circoli privati e che tendeva a disperdersi, nascerà un’esigenza di commentare, sistematizzare
e ricomporre le opere passate, dando vita a quella mole di opere monumentali che spesso sostituiranno le
stesse biblioteche, come dicevamo in precedenza.
Il risultato della madrasa è la creazione di una classe di dotti, che affondano le proprie radici nelle materie
primarie, quali la giurisprudenza, la medicina e le scienze religiose, e che si dilettano discutendo di molto
altro.
Ibn Khaldun denuncia anche le abbreviazioni, i commenti e gli epitomi (riassunti), risultati della madrasa,
perché esse, facendo un concentrato del concetto, rendono il risultato incomprensibile per il principiante,
appoggiando così il suo concetto “meno l’autore ripete, meno il lettore conserva”.

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CAPITOLO 7: LO SPAZIO DELLA SCIENZA


Storia Della Scienza E Storia Dell’Antisemitismo
Per lo scienziato europeo, vista la mancanza di una conoscenza oggettiva, scientifica della produzione
intellettuale del periodo classico arabo-islamico, dovuta alla scarsità delle fonti circolanti e a disposizione,
si sviluppa una sorta di “antisemitismo scientifico”. Ma nel periodo in cui l’accademia europea formulava lo
pseudo-problema della compatibilità fra islam e scienza, in realtà, si sarebbe potuta rintracciare una
disposizione a guardare e comprendere la natura, in quanto sistema di segni che Dio mostrava agli esseri
umani, che informa il Corano.
Come abbiamo potuto vedere le trattazioni scientifiche, più o meno metodologicamente corrette, sono
state molto diffuse all’interno del mondo islamico. Di fatto abbiamo potuto vedere quanta varietà di scuole
e quindi di metodi vi erano, come l’inclinazione critica nei confronti di un sapere antico mettesse tutto in
discussione dando nulla troppo per scontato. Tuttavia, questo non arrivò del tutto in Occidente. Già è stato
più volte ricordato che il mondo arabo deve far fronte spesso a dei pregiudizi che lo vedono come un
mondo fortemente guidato dalla religione islamica e meno incline alla scienza, detta in senso stretto.
Tale pregiudizio andrebbe smentito tramite l’opera del filosofo e medico Ibn Tufayl “Epistola di Hayy ibn
Yaqzan”. In questo testo infatti possiamo rintracciare una delle primordiali idee di ragione, come qualità
propria dell’essere umano, narrando la storia di un bambino selvaggio, il quale però riuscirà a fare
esperienza della natura, a comprendere il mondo fisico, fino ad arrivare all’idea di Dio, tramite la ragione.
Questo testo, molto commentato nel contesto islamico, ispirò grandi pensatori occidentali come Locke e
venne riletto da vari altri filosofi come Pico della Mirandola e Baruch Spinoza, rende visibile ai nostri occhi
quanto la cultura araba non fosse atea alla scienza, anzi, dimostra come essa possedesse una certa
mentalità incline a certi ragionamenti razionali - come dimostrano anche i diversi approcci critici nei
confronti del sapere antico e dell’attualizzazione tra antico e, loro, contemporaneo.
La scienza medievale nella storiografia del Novecento
Nel Novecento il dibattito storiografico sulle origini della scienza moderna e i suoi legami con la scienza
medievale ha visto due tendenze: 1) Pierre Duhem, sostenitore della continuità della scienza fra medioevo
ed età moderna, rintraccia i primi passi vero la scienza moderna nella filosofica naturale e nelle teorie
cosmologiche sorte in seguito alla critica ad Aristotele; riconosceva nella teologia un fattore propulsivo.
2) Alexandre Koyré sostiene che la scienza moderna sia frutto di una radicale frattura fra fisica medievale e
le scienze dopo Cartesio e Galileo; vedeva nel distacco dalla fisica aristotelica e dai suoi paradigmi l’unica
condizione possibile per uno sviluppo della moderna fisica matematica.
Nelle due posizioni si fa spazio l’interrogativo perché la frattura/continuità si fosse prodotta in Occidente.
In tale dibattito va collocata la storia araba, la quale ha avuto funzione, secondo i primi, di mediazione
dell’eredità greca attraverso i suoi processi di standardizzazione, come fu quello della tecnologia idraulica,
diffusa in una città e ampliata in tutto il territorio, e di globalizzazione, per esempio la carta, ovvero
appropriandosi di una provenienza esterna per farla propria e diffonderla in tutto il territorio. Sia la
componente strutturale che culturale araba non venivano mai individuate come parte dell’indagine storica.
Ruolo di spessore negativo in questa mancata riconoscenza per il contributo dato in materia di scienza dal
mondo islamico, viene svolto dagli studi orientalistici - non altro che un ampliamento dell’espressione
accademica di visione coloniale. Promotore di una disordinata ma potente idea romantica di Oriente
interamente rivolto allo spirito, contrapposto all’Occidente materialista, l’orientalismo del IXI/XX secolo
impone la propria lettura storica sui popoli colonizzati tanto da quasi rinnegare la propria memoria storica
o almeno non concepirla più come precedentemente e quindi non comprenderla nella sua maestosità che
celava→ ricostruzione identitaria. Gli orientalisti dovevano, in argomento di contributo arabo, difendere
pubblicizzando maggiormente le fonti e i documenti che avrebbero difeso la fama araba e il loro contributo

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La rimozione della componente araba da un’idea moderna della scienza cominciò nel medioevo latino,
quando si radica un anti-arabismo di matrice religiosa. Proseguì nel rinascimento, con lo scavalcamento
degli arabi ed il ritorno diretto alle fonti originali greche, rigettando i commentari islamici. Infatti,
l’occidente cristiano, rifiuta l’intrusione del mondo arabo nell’ideologia greca, della quale egli si sente
l’unico erede contro l’antagonista saraceno.
Oggi questa corrente anti-arabista viene rimessa in discussione, rivalutando con sistematicità le fonti arabe
riportate al vaglio dalle discipline orientalistiche, riformulando così la relazione tra medioevo arabo e
latino, non basandosi più solamente sulle fonti latine.
Nel quadro del VIII-XV secolo si sviluppano processi compatibili sia nel mondo islamico che cristiano,
entrambi hanno elaborato una relazione con la Grecia classica, espressa in termini di eredità storica e
recupero del sapere perduto (iniziata con le traduzioni del sapere filosofico e scientifico greco dal greco
all’arabo e dall’arabo al latino). Contrario invece è il momento in cui accade ciò, se nel medioevo arabo
assistiamo al recupero delle fonti greche in un momento di grande prosperità delle città, al contrario nel
medioevo latino ciò avviene mentre le città sono in profonda crisi e si assiste ad un allontanamento da
quest’ultime.
La critica del cosmo aristotelico
Tre fattori che hanno determinato la nascita di un nuovo modo di concepire e fare scienza: a) la
traduzione dal greco b) le università e c) il superamento del metodo aristotelico attraverso il confronto tra
filosofia naturale e teologia.
Questi tre fattori non ci sono per niente nuovi nel quadro storico dell’impero arabo (VIII-XII), mentre nel
medioevo latino verranno alla luce solamente dal XII-XIII secolo.
Il fattore universitario ha aperto un serrato dibattito sull’esistenza di un fenomeno, nel medesimo arabo,
paragonabile alle università in Europa. Ma è un dato acquisito che la madrasa, sorta nella seconda metà del
XII secolo, sia stata il punto culminante di una visione municipale del sapere e della sua
istituzionalizzazione. Il suo ambito di studi che privilegia il diritto, la teologia e le scienze religiose accanto a
quello letterarie mantiene un rapporto ambiguo con le scienze ma dal XIII secolo è attestato
l’insegnamento della medicina e dell’astronomia.
L’importanza delle biblioteche e delle accademie e il forte mecenatismo rendono il medioevo arabo più
simile al Rinascimento europeo.
L’Aristotelismo è l’unico macrosistema intellettuale dello spazio mediterraneo, e il pensiero teologico e
scientifico islamico accolgono la concezione aristotelica con un’attitudine critica. In questo scenario di
dibattito i luoghi della scienza sono la filosofia naturale e le sue questioni, che si distinguono da quello
latino per la presenza di un pluralismo confessionale: dispute interreligiose. La muazara, la disputa, era il
metodo con cui si disciplinava un fecondo confronto fra teologie.
Di fatto sarà proprio dalla criticità nei confronti dell’aristotelismo che nascerà quello che si può realmente
definire il pensiero teologico-scientifico arabo-islamico, indirizzato a provare l’assoluta potenza creatrice di
Dio secondo l’unico principio di non contraddizione, e guidato per lo più da Avicenna, Avempace e Abu’l-
Barakt al-Baghdadi.
Le scienze matematiche nelle classificazioni del sapere
Le classificazioni del sapere prodotte nel medioevo arabo includono nell’orizzonte culturale e sociale quelle
scienze e le loro traduzioni che giungono dalla classicità greca, ma riformulano radicalmente la rete di
connessioni e di subordinazioni fra gli ambiti della conoscenza, stringendo nuovi legami e relazioni tra
scienze pratiche e teoriche, e attribuendo a quelle discipline che oggi chiamiamo “scientifiche” una nuova
portata epistemologica e sociale.

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Gli esordi di questa riformulazione avvengono nella seconda metà del IX secolo, nell’opera di al-Kindi,
autore di numerose opere filosofiche e scientifiche e finanziatore di traduzioni dal greco all’arabo. Egli
poneva alla base dello studio filosofico materie quali l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica.
Al-Kindi vide la nascita dell’algebra, la quale unificherà l’aritmetica e la geometria, risolvendo i problemi fin
troppo astratti di quest’ultima.
Si può dire che al-Kindi, all’interno di un quadro aristotelico e neoplatinico, è il testimone consapevole
dell’inizio di una progressiva matematizzazione dello spazio fisico e delle scienze.
Ulteriore fondamentale passaggio compiuto nel X secolo avviene tramite al-Farabi, che stabilisce
l’autonomia scientifica e teoretica delle scienze pratiche (tecniche) rispetto alla concezione classica
aristotelica. La sua opera vede la divisione su 5 scienze “madri” (pagina 42): seguendo un andamento
verticale abbiamo uno schema aristotelico di gerarchia del sapere che culmina con le scienze politiche, se
in orizzontale al centro ci sono le scienze matematiche (anche la tecnologia).
Nell’opera di Avicenna la filosofia è definita “arte teorica” ed è divisa in una parte astratta (fisica
matematica e metafisica) e una pratica (condotta individuale, domestica e sociale). Aggiunge la logica.
Possiamo dunque affermare che dal IX-X secolo avviene un procedimento di avvicinamento delle scienze al
mondo pratico, pur mantenendo la propria teoricità.
I linguaggi della scienza
I linguaggi specialistici, due voci distanti quattro secoli espongono il problema dell’accumulo e
diversificazione delle conoscenze: al-Khwarizmi (X secolo) e Ibn Khaldun (XIV secolo). Entrambi affermano
che il linguaggio specialistico crea barriere alla comprensione invece di favorirla spingendo i campi del
sapere a chiudersi in una specializzazione settoriale. La tendenza di ciascuna disciplina a forgiare i propri
concetti e le proprie categorie entro spazi circoscritti del linguaggio si afferma con il fenomeno delle
traduzioni. I traduttori ebbero un ruolo essenziale nei processi di formazione del lessico filosofico e
scientifico – ebbero il difficile compito di plasmare l’arabo per rendere concetti pensati nelle categorie di
un’altra lingua. (Neologismi, trasposizioni metaforiche, calchi etimologici, prestiti semantici).
L’insoddisfazione del committente può anche portare a cambiare radicalmente la traduzione, come per
esempio fecero per il califfo abbaside Mahdi, il quale preferiva la versione in siriaco dei Topici di Aristotele
a quella più arcaica della chiesa nestoriana persiana, in modo da favorire i rapporti con la chiesa cristiana.
L’Alchimia e la condivisione dei paradigmi scientifici
Questa disciplina estremizza i termini abituali dei processi di comunicazione della conoscenza, impone un
criterio di condivisione che riesce a far leggere la sua natura sociale di comunità scientifica in termini di
iniziazione ed esoterismo. Ma il linguaggio alchemico era compreso anche dagli artigiani che ne traevano
dati tecnici. La critica ai paradigmi su cui l’alchimia fondava la propria visione della materia nel medioevo
arabo farà di questa disciplina il bersaglio nella distinzione tra scienza e pseudo scienza.
al-Kindi: ammette la realtà di un’arte della manipolazione delle sostanze.
al-Farbi: crede nella possibilità della trasmutazione e vede nell’alchimia la conseguenza pratica di un
ragionamento logico.
Anche nella corte buyide, l’alchimia diffonde un certo interesse.
Nel X secolo l’alchimia trova la sua massima centralità, nonché la massima curiosità da parte dei dotti, che
spesso la praticano in gran segreto perché giudicata in modo negativo anche perché attraverso questa
pratica, soprattutto nel campo dei metalli si poteva passare per falsari, dunque creare o spacciare per oro
metalli meno preziosi che venivano manipolati. Di fatto proprio il campo della metallurgia è il più accusato
e criticato. L’ultima critica sarà quella di Avicenna, che circolerà in Europa tra il XII-XIII secolo come parte
delle Meteorologiche di Aristotele. Egli criticherà il fondamento dell’alchimia giudicandolo errato, ovvero
negando che tutti i metalli siano costituiti da zolfo e mercurio, spostando il problema della scienza o
pseudo-scienza sull’autenticità della disciplina stessa.
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La rifondazione delle scienze fisiche: Ibn al-Haytham


Ibn al-Haytam è fra i più importanti esponenti dello studio su Tolomeo e fra i primi a formalizzare la critica
all’astronomia tolemaica. Seguace della teologia ash’arita, la quale criticava un’eccessiva speculazione
intellettuale su Dio e sui fenomeni divini ma incentivava lo studio dei fatti naturali in quanto opera del
divino - tipico nell’islam medievale che separare il razionale dal teologico.
Ibn al-Haytham nasce a Basra, Iraq, verso la fine del primo millennio e si trasferisce alla corte del califfo
fatimide egiziano al-Hakim, dove, in seguito ad un progetto fallito, dovrà instaurare una vita clandestina,
ma non priva di opere, per esempio il Kitab al-manazir, “libro degli aspetti” o “delle visioni”, nel quale egli
dimostra tutta una sua teoria che vede come soggetto centrale la luce, intesa come oggetto fisico
produttore di fenomeni fisici, come la propagazione e la visione, soggetti a leggi che vanno indagate con
l’osservazione e ricondotte ad un modello che risponde al rigore matematico.
Ibn Haytham si domanda infatti come possa avvenire la visione dell’occhio seguendo una doppia linea:
come spiegare le caratteristiche e le condizioni della visione dell’intelletto sulla base della visione sensibile,
considerata incapace di produrre conoscenza certa; come attribuire dignità di conoscenza alla visione
sensibile. La sua opera si riallaccia alla corrente filosofica araba che si domandava a riguardo dei rapporti
esistenti tra anima e intelletto, e fra anima e le sue funzioni sensibili e organiche, allacciandosi alle nozioni
mediche conosciute riguardo la struttura dell’occhio e il suo funzionamento. Egli quindi si immerge nelle
scienze naturali invertendo il procedimento dalla teoria alla pratica, cercando di giustificare la conoscenza
sensibile. Da notare come in tutto questo studio la matematica viaggi a fianco della fisica, che
anteriormente era fortemente separata. Questo nuovo metodo di pensare la scienza e l’esperimento, nel
preciso, verrà in futuro considerato il primo seme che ha portato alla futura nascita della scienza
sperimentale, riconosciuto anche dal medioevo cristiano.
La tecnologia
L’ingegneria meccanica araba non fu da meno in confronto a quella medioevale latina. A lungo tempo è
sopravvissuta l’idea di una esclusiva dimensione ludica della tecnologia sulla base di una tradizione di studi
e manoscritti dedicati agli automi. Di fatto le opere che vengono testate da questi territori, da ricordare i
tre fratelli Mūsa alla corte del califfo abbaside nel IX secolo, ideatori di grandi macchine belliche, e la
grande mente idraulica di al-Jazari, che arrivò a realizzare addirittura un orologio ad acqua.
Tuttavia, queste opere vengono sempre presentate come opere di diletto, di gioco, e non come delle
macchine della morte.
Altra spinta ingegneristica era la ricerca del moto perpetuo, ricercato anche nel medioevo latino in seguito.
In questo campo va ricordata un’opera ideata sempre da al-Jazari e che si ritroverà nel 1440 in un taccuino
di Mariano di Jacopo Taccola, dimostrando che il sapere arabo si era diffuso notevolmente, anche in
questo campo, in Europa.
Anche il ruolo dell’ingegnere prende un doppio valore: se nel mondo latino, l’ingeniator è un costruttore
di ingenia, ovvero macchine da guerra, uno stratega; nel mondo arabo-islamico il muhandis viene connesso
al calcolo matematico, ricoprendo dunque un ruolo di mediatore tra la teoria scientifica e la realizzazione
pratica rivolta maggiormente verso la città e il lavoro. Ciò ovviamente viene tratto dalle opere che sono
arrivate ai giorni d’oggi, bisogna però considerare che, al contrario delle fonti medievali occidentali le quali
sono in numero maggiore, nel mondo arabo la mancanza di un dossier completo per via di una tendenza
emetica nei confronti di determinati segreti professionali.
Le tradizioni della matematica e la nascita dell’astronomia matematica
L’aritmetica veniva definita un’arte scientifica, mettendo così in contatto due aree della classificazione del
sapere, nonché facente parte di quel complesso di competenze che definiscono la formazione dell’adab e
dei funzionari amministrativi, rispondendo ad una esigenza di calcolo e di linguaggio descrittivo. La teoria
del calcolo e dei numeri assume uno statuto disciplinare autonomo quando anche la matematica viene
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inclusa nel mito culturale greco. Dall’Aritmetica di Diofanto trae grande ispirazione Muhammad ibn Musa
al-Khwarizmi, scrittore di un’opera da cui trarrà il nome l’algebra. Sarà però proprio dall’opera di Diofanto,
la quale permetteva di risolvere equazioni di primo e secondo e grado tramite procedimenti molto
elementari, che si svilupperà una vera e propria tradizione matematica-algebrica, in primis con i personaggi
Abu Kamil e al-Kharaji, vissuti nel X secolo. Il primo, di origine egiziana, fu il primo matematico a risolvere
equazioni non lineari a tre variabili incognite, nonché ad usare i numeri irrazionali come soluzioni in forma
di radice quadrate, cubiche o all’ennesima potenza. Proprio dalle loro opere si svilupperà il pensiero
occidentale e di Fibonacci, noto matematico Europeo.
Con l’evolversi e lo svilupparsi della teoria algebrica, da Diofanto ad al-Kharaji, si evolsero anche i problemi
che ci si poteva porre, cadendo dunque in una filosofia della matematica, ovvero nel trovare dei confini.
Tutto ciò, necessitava, anche di un linguaggio specializzato degno di descrivere la materia e di esporla in
maniera coerente. In questo caso si fece ricorso al metalinguaggio, sulla falsa strada dell’alchimia e della
scuola giabiriana di Jabir ibn Hayyan, che con una parola voleva descrivere tutto. Questo metalinguaggio,
necessario per descrivere una certa materia, rende la disciplina stessa elitaria, chiusa a conoscitori esterni,
limitando così la divulgazione alle sole persone che comprendono tale metalinguaggio. Tuttavia, questo
scopo necessario non verrà mai raggiunto dalla matematica araba, di fatto le trattazioni vengono sì
schematizzate in tabelle, tavole e diagrammi ma non avviene mai una trascrizione simbolica, come oggi.
La scuola di Maragha e la preistoria della rivoluzione copernicana
Dopo le crociate e dopo l’invasione mongola, l’unità economica e culturale del mondo islamico si
interrompe; appaiono nuovi intermediari, i franchi, e si delineano nuovi percorsi di comunicazione che
trasferiscono segmenti del sistema di sapere scientifico arabo in Occidente. Il nuovo assetto pone ostacoli
oggettivi alla circolazione del sapere scientifico.
È esemplare il caso dell’astronomia. Dal XIII secolo la comunicazione fra scienziati che lavorano ad
un’opera di revisione sistematica, fondata sull’osservazione e sul calcolo, delle grandi concezioni
cosmologiche sembra bloccarsi. È impressionante una dimostrazione sperimentale della rotazione della
Terra e ancor di più l’esistenza di un programma di ricerche che testimonia nel mondo islamico occidentale
e orientale del XII e XIII secolo un lavoro di revisione del sistema planetario tolemaico. Questo programma
si sviluppa autonomamente a ovest, nella penisola iberica dove è incentrato allo studio dell’astronomia
fisica ed a est, in territorio persiano dove presta più attenzione alla posizione dei pianeti conducendo
un’indagine astronomico-matematica.
Un patrimonio scientifico che da Maragha è stato trasmesso, tramite mediazione bizantina attiva tra il
XIV e XV secolo, fino in Italia. Uno dei maestri di Maragha si avvale della dimostrazione di un teorema che
stabilisce lo sviluppo del moto rettilineo a partire da due moti circolari – usato poi da Copernico.

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CAPITOLO 8. L’IMPATTO DELLE CROCIATE


Il nemico comune. La polemica antiislamica fondata su scarse e confuse conoscenze, fino all’anno Le
crociate vengono 1000, rimaneva ai margini del pensiero teologico cristiano. Solo quando il potere latino-
cristiano comincia ad espandersi verso la penisola iberica e la Sicilia, sotto dominio musulmano, la
polemica nei confronti dell’islam comincia a svolgere una funzione ideologica più centrale. Negli stessi
decenni emergono le parole di papa Alessandro II secondo cui è “giusto combattere contro i saraceni che
perseguitano i cristiani e li cacciano dalle loro città”.
Le Crociate furono un conveniente antidoto alla guerra civile fra cristiani. Questa tecnica di spostare i
conflitti interni all’esterno, secondo la teoria “intus pax, foris terrores”, venne perfezionata con il
susseguirsi delle crociate e anche il coinvolgimento ideologico, giustificando in modo sempre migliore
queste mosse militari.
Lo scenario bizantino-turco
Il motivo scatenate della prima Crociata fu l’invasione selgiuchide dell’Anatolia in pieno XI secolo che
strappò ampi territori all’impero bizantino che spinse l’imperatore Constatino a rivolgersi a Occidente per
chiedere aiuto. I Selgiuchidi erano concentrati sull’Iraq e la Siria poiché l’obiettivo era da un lato controllare
il califfato di Baghdad e dall’altro di sconfiggere la potenza anti-califfale fatimide estesa fino in Siria. La
strategia selgiuchide era stata disturbata da razzie su ampia scala compiute in territorio bizantino da
nomadi turcomanni sfuggiti al controllo selgiuchide. È contro i turcomanni che Bisanzio chiede aiuto.
I selgiuchidi intervengono per contenere queste forze. Dopo la vittoria sulle armate bizantine a Manzikert
nel 1071 si assiste alla fissazione di alcuni principati turchi fedeli al sultano selgiuchide Alp Arslan. Nello
stesso anno l’emiro turco di Damasco, Aziz conquista Gerusalemme sottraendo l’intera Palestina ai Fatimidi
del Cairo.
Con questa chiave di lettura, sommandola a quella necessità dell’occidente di rigettare fuori tutti i dissensi
interni, il significato delle Crociate cambia radicalmente. Esse, infatti, non vengono più intese come un vero
e proprio conflitto tra religioni, ma acquisiscono un significato altamente politico, formato da alleanze e
strategie. Di fatto i popoli cristiani e islamici avevano già collaborato in più campi, uno tra tutti quello
mercantile, con grandi successi.
Inoltre, come suddetto, la convivenza multi-religiosa era stata sempre un punto centrale per la nascita
dell’impero arabo, protetta dallo statuto della dhimma, come per altro i pellegrinaggi erano stati sempre
assicurati, senza rendere mai necessario l’intervento militare.
Lo scenario tra Bisanzio e i Selgiuchidi non si chiuderà di fatto in una controversia, ma anzi, a più riprese i
primi cercheranno di creare delle alleanze con i secondi, Alessio I Comneno del 1100 e della figlia Anna
Comnena che data il tutto dieci anni dopo. Quest’alleanza non si stipulerà mai, anche se i contatti e i
rapporti di reciproco soccorso tra Bizantini e Selgiuchidi contro i Crociati e i nomadi turcomanni saranno
sempre ottimi.
Sarà proprio il confronto tra due sfere del mondo, ovvero quella europea e quella medio orientale, che
sarà sbagliato: gli europei non riuscivano a comprendere questa convivenza allargata degli islamici-
bizantini, a livello politico ma anche a livello confessionale; tanto da poter dire che lo scontro non avvenne
tra due fazioni religiose, ma tra due modi completamente diversi di concepire i rapporti fra impero e
differenza religiosa.
Siria e Palestina alla vigilia della prima Crociata
La follia del califfo al-Hakim è tema caratterizzante i resoconti del suo regno. Affetto da sindrome
paranoica e periodiche ostilità contro i cristiani e repentini pentimenti nel 1009 ordina la demolizione della
basilica di Santo Stefano, la chiesa del Santo Sepolcro, a Gerusalemme – in Occidente viene registrato in
modo distorto. Ricostruita nel 1048 grazie al contributo di Costantino IX Monomaco.

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Questo atto di intolleranza causò un periodo di tensione nelle relazioni interne fra musulmani e cristiani.
Tuttavia, la questione sembra risolta già a metà dell’XI secolo, come ci testimonia Nasir-i Khusraw,
presentando Gerusalemme come meta di pellegrinaggio cristiano, ebreo e anche musulmano, per coloro
che non potevano giungere a Mecca. Certo non mancheranno i racconti di eventi di ostilità nei confronti
degli europei, giustificati da autori arabi come casi di ricerca di un qualche casus belli, in modo da
giustificare l’invasione crociata.
Il fenomeno delle crociate nella memoria storica araba medievale
Se in occidente l’avvento e lo sviluppo delle Crociate darà vita ad un vero e proprio genere letterario a sé
stante, composto da racconti epici, al contrario nella letteratura araba questo momento storico non
ricoprirà un aspetto fondamentale, anzi, esse verranno narrate all’interno dei classici annali, come nelle
storie delle singole città o nelle storie di uomini illustri, senza però mai far parlare di sé in modo speciale.
La mole di informazioni da parte araba della riconquista di Gerusalemme nel 1187 proviene
essenzialmente dalle biografie di Saladino.
Tale curiosità trova giustificazione se si allarga la visuale sulla situazione araba di quel periodo storico. Di
fatto la società arabo-islamica subisce il colpo proveniente da Occidente, però ben peggiore sarà l’avvento
da est dei Mongoli - essi avanzano con una forza incontrastabile portando terrore, morte e distruzione.
L’impatto che le Crociate portarono sono di altro tipo: genere della storiografia locale dedicata ai pregi
della città – incremento dei testi che celebrano Gerusalemme. Da un lato tradizione poetica che la
propaganda politica anticrociato sollecita come strumento di persuasione morale e religiosa, dall’altro
ripresa della letteratura epica.
Le masse arabe portarono avanti un comportamento passivo, che in qualche modo rallentò notevolmente
quel sentimento di rivolta contro l’intruso europeo. Di fatto i testi narranti il periodo contemporaneo
all’occupazione franca di Siria e Palestina sono pochissimi, solo in due sono giunti a noi nel loro formato
completo. Sarà proprio da questi testi che si svilupperà un sentimento anti-crociato, anche se con una
tempistica lenta, e che le fonti seguenti a queste prime approfondiranno.
Se l’invasione non venne colta in modo univoco in tutto il territorio arabo, anzi nei territori del Maghreb o
dell’Iran l’avanzata crociata non è stata colta perché troppo lontani, è segno della mancanza di
comprensione da parte del medioevo islamico delle Crociate come fenomeno globale. Ad avvalere questo
pensiero è l’appellativo che viene usato per chiamare gli invasori, Ifranhj, ovvero “franchi”. Essi non
vengono mai definiti “cristiani” poiché non si percepiva la natura religiosa di quell’aggressione.
Ibn al-Athir, nel XIII secolo, dopo i primi passi crociati, scrive che probabilmente furono proprio i Fatimidi,
sciiti ismailiti, a chiedere aiuto ai Franchi, in funzione difensiva contro l’avanzata Selgiuchide che era
arrivata nel frattempo a Gaza, Siria. In quest’altra tesi risalta il sentimento antislamico attribuito dallo
scrittore sunnita alla fazione Fatimide ismailita, considerati dai sunniti al di fuori della comunità islamica.

La disunità del mondo arabo di fronte alle Crociate


Alla vigila dell’invasione crociata, il mondo islamico era segnato dalla rivalità che divideva il califfato
abbaside di Baghdad dall’anticaliffato fatimide del Cairo. Nel conflitto, in cui l’antagonismo politico ed
economico veniva affrontato e perseguitato attraverso il potere discorso dell’inimicizia fra sunnismo e
sciismo, si inseriscono i Selgiuchidi che nella prima metà del XI secolo rispondono all’appello abbaside di al-
Qa’im e riescono a liberarlo dalla subordinazione a cui la dinastia degli emiri buyidi filosciiti aveva piegato il
califfo. Arrivati come paladini del sunnismo a Baghdad i Selgiuchidi esercitano una nuova, più articolata
forma di controllo sul califfo che comprende una nuova strategia di confronto con i Fatimiti. I Selgiuchidi
non costituiscono un’entità statale ma si dividono la gestione politica ed economica dei territori fra l’Iran e
l’Iraq, e la Siria e l’Anatolia strappata ai bizantini. In Siria ogni città ha il suo governante selgiuchide (sia
sciiti che sunniti).
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Gerusalemme, obiettivo della Crociata nel 1070 era stata tolta ai Fatimidi dal generale selgiuchide Atsiz per
tornare poi nel 1096 sotto il controllo fatimide.
In questo quadro la divisione tra sciiti e sunniti ricopre un ruolo centrale, così come anche le lotte
intestine → si crea una forte debolezza che impedisce di contrastare i franchi.
- Il califfo abbaside riteneva più urgente concentrare gli sforzi contro la minaccia del califfato scismatico
fatimide che dall’Egitto si era spinto fino in Siria piuttosto che contrastare l’invasione cristiana.
- I Selgiuchidi avevano come obiettivo la ribellione proclamata dagli Ismailiti di Alamut.
Questo atteggiamento durerà fino all’annientamento dei Fatimidi ad opera di Saladino nel 1171. Solo da
allora le forze musulmane inizieranno a compattarsi contro l’invasore, con una tardiva presa di coscienza
del fenomeno crociato come guerra religiosa di fronte alla quale si lancerà la strategia del jihād.
Una costante da parte islamica è la scelta della diplomazia rispetto al confronto con le armi – esitazione a
muovere il proprio esercito in nome del jihād. Tale esitazione era data anche da un elemento critico: la
presenza di comunità cristiane nel mondo arabo-islamico.
Un esempio è dato dal fronte Fatimide: intorno al 1074 la crisi economica e politica che consumava la
dinastia fatimide e la sua politica religiosa dissidente aveva raggiunto il culmine e ciò indusse il califfo al-
Mustanşir a concedere pieni poteri al suo ministro, il generale armeno convertito all’islam Baadr al-Jamali.
Alcuni storici ritenevano fosse sunnita e ciò spiegherebbe il contenimento della politica religiosa ismailita ai
danni della dinastia regnante. Al-Jamali riforma la composizione etnica dell’esercito sostituendo le frange
più turbolenti (berberi e turchi) con un forte contingente armeno per lo più cristiano (diaspora armena X-XI
secolo dall’Anatolia all’Egitto). Alla sua morte nel 1094 il potere passa al figlio al-Afdal. Di fronte alla
perdita di Gerusalemme e della Palestina sottratte al governo Fatimide dai Selgiuchidi Afdal compie uno
dei tanti errori di valutazione dei franchi: questi, reduci della battaglia di Nicea nel 1097, attraverso
un’ambasceria mentono dicendosi diretti a Gerusalemme come pellegrini. Al-afdal vede nei franchi un
possibile alleato – esita a lanciare contro di loro il jihād temendo di incrinare i rapporti interni all’esercito.
Auspicando una divisione negoziata della Palestina arriva nel 1099 ad Ascalona senza alcuna intenzione
bellica. I franchi mandano una falsa risposta e attaccano a sorpresa → al-Afdal tenta di stringere negoziati
ottenendo una tregua in cambio di un tributo → dopo l’estate del 1100 i franchi rompono la tregua e solo
allora cessa la politica di conciliazione.
Dopo la caduta di Gerusalemme nel 1099 una delegazione di musulmani partita da Damasco si recò a
Baghdad per chiedere aiuto, così anche nel 1110 da Tripoli → il califfo al-Mustazhir si limita ad esprimere
vicinanza e riferisce al sultano selgiuchide che non ha contingenti militari. La spedizione lanciata dal
sultano selgiuchide nel 1111 “portò devastazione e rovina, superando l’operato dei franchi”. Questa
affermazione riflette una realtà storica intessuta di divisioni linguistiche, settarie, etniche e sociali.
I franchi si ritrovano compatti e solidali perché spinti da una comune ideologia religiosa. I musulmani del
tempo non hanno mai considerato i crociati come radicalmente diversi dalle altre guerre infatti usano la
parola “harb” e non jihad per descrivere l’aggressione.
Bisognerà dunque attendere la seconda metà del XII secolo per vedere una vera e propria offensiva anti-
crociati, guidata per lo più dai governanti turchi di Mosul e Aleppo, Zanji e Nur al-Din.

Crociata e Jihad
Per più di una 50ina d’anni nel XII secolo si riscontra una profonda difficoltà a cogliere la portata della
Crociata in un adeguato quadro di comprensione. Il sentimento di jihad manca totalmente nella
popolazione che subisce l’arrivo crociato. Soltanto ad ovest l’ideologia del jihad persiste negli animi degli
Almoravidi e degli Almohadi che si confrontano con i regni cristiani di Spagna in un’ottica reciproca di
guerre sante. Le Crociate iniziano nella penisola iberica: l’Occidente cristiano proviene da una lunga
riflessione intellettuale che si tramette alle masse sulla base di uno sdoppiamento fra la figura di Cristo e

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quella del soldato di Cristo che prende corpo nella figura del santo guerriero (fondata sulla leggenda di San
Giorgio).
La differenza cruciale sta tra il jihād che non ha mai avuto una formulazione teorica al di fuori della
dimensione giuridico-legale, e la guerra santa cristiana, definita all’interno di una riflessione teologica. La
legittimità della guerra santa come parte integrante della vocazione cristiana ha il suo centro nell’abbazia
di Cluny (Borgogna), affacciata sulla frontiera fra mondo cristiano e musulmano. Non a caso proprio da
Cluny proviene papa Urbano II, il papa che nel 1096 proclamò la prima crociata. Proprio da Cluny proverrà
anche Pietro il Venerabile, il quale tradurrà per la prima volta il Corano in latino, senza alcun intento
diplomatico, ma con il mero intento di infamare il nemico islamico anche dal punto di vista dottrinale
teologico.
Tre ordini cavallereschi nascono con le crociate: i Templari, i Cavalieri di San Giovanni e i Cavalieri Teutonici
Le Crociate possono essere intese come il primo tentativo di penetrazione occidentale in territorio
islamico, giustificandola con un’apparenza religiosa, senza un fondamento profondo, e smuovendo gli
equilibri interni delle società islamiche. Fattore intrinseco di debolezza: la pluralità confessionale.
La differenza religiosa su cui i crociati fanno leva non riguarda l’ebraismo – minoranza assoluto e silenziosa,
tacitamente solidale con il sentimento anticrociato islamico. Una fonte islamica però ci rivela che durante il
saccheggio di Gerusalemme, gli ebrei rifugiati nella sinagoga vennero arsi vivi.
Conseguenze della Crociata: diffusione di un forte sentimento di sfiducia nei confronti dei cristiani.
La vera differenza tra guerra santa cristiana e il jihād islamico risiede nel loro rispettivo carattere: se la
prima detiene un carattere sacrale e divino, nel secondo invece si accentua il carattere legale del dovere
del singolo di difendere la comunità in pericolo.
La macchina difensiva del jihād necessita di molto tempo per avviarsi e cominciare ad operare in modo
fruttuoso. Questo sentimento di jihād verrà più diffusamente realizzato in modo non bellicoso,
preferendo, una via diplomatica, per esempio la propaganda.
Questa preferenza diplomatica alla violenza viene giustificata attraverso due insegnamenti del profeta,
diffuso per inaugurare una disposizione non violenta condivisa dai sufi: il primo nell’ VIII secolo da Hasan
al-Basri “L’inchiostro di uno studioso è più santo del sangue di un martire”; il secondo è un falso detto del
profeta di cui si hanno le tracce a partire dal X-XI secolo, narra “Eravamo partiti per il jihād minore, adesso
torniamo al jihād maggiore”, inteso il primo come l’impegno militare e il secondo come un disciplina
morale nella lotta contro le proprie passioni.
Fino al XI secolo c’è una mancanza di letteratura militare che compare come un genere della letteratura
tecnica a partire dal XII secolo ma si affermerà solo in età mamelucca tra il XIV e XV secolo. due di questi
trattati sono giunti a noi: “Istruzioni” scritta fra il 1187 e 1192 da Murdā al-Tarsūsi per Saladino e il secondo
fra il 1192-1215 dedicato al sultano ayyubide al-Malik al-Zahir Ghazi il cui autore visse a Costantinopoli
come spia nei panni di un sufi errante. Non compare ancora la parola jihād.
Va sottolineato che gli stessi eserciti, quello fatimide per esempio ma anche gli altri, erano formati per la
maggior parte da mercenari provenienti da altre terre, turchi, armeni o centro asiatici.
L’assenza di belligeranza da parte della popolazione civile araba, che produsse una mentalità incline a stili
di vita pacifica e una prosperità in tutti i settori, viene denunciata come un segno di decadenza morale e
spirituale da coloro che invocano la reazione di fronte ai crociati. Questa denuncia è inaugurata dal lungo
inascoltato “Libro del jihād” del giurista damasceno Abū Tāhir al-Sulami.
Il movimento che ha portato faticosamente alla creazione di un fronte d’opinione compatto contro i
franchi è stato essenzialmente un’operazione dall’alto verso il basso, dalle élite turche alle masse.

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CAPITOLO 9. LA RICEZIONE DEL MEDIOEVO ARABO NEL MEDIOEVO LATINO


Pellegrinaggi e ignoranza
Il non interesse, da parte degli intellettuali mussulmani, nei confronti dell’occidente latino, non è
assolutamente fondato. Anzi, come ci mostra la letteratura pre-crociate, gli incontri tra le due culture sono
soventi anche se in parte libresca - tuttavia a oriente si è consapevoli di occupare un ruolo superiore
rispetto agli occidentali, riproducendo un rapporto di civiltà contro barbarie, confermato dalle Crociate.
Lo stesso arrivo delle crociate non fa che avvalorare quell’idea che si erano fatti gli arabi riguardo alcuni
stereotipi, legati all’igiene, all’insufficiente conoscenza medica e all’eccessiva libertà dei costumi sessuali.
Il dato di conoscenza dell’altro che stabiliva una differenza radicale riguardava la religione. Il cristianesimo
era assolutamente noto ai musulmani. Dall’avvio delle Crociate i resoconti dei pellegrini in Terra Santa si
fanno sempre più lamentosi, si sentono perseguitati dai saraceni e protestano per le tasse imposte.
Ricordiamoci che nel 1009 il califfo fatimide al-Hakim fece distruggere la basilica di Santo Stefano per poi
liberalizzare nuovamente il pellegrinaggio dopo essersi pentito.
La propaganda antislamica propone un’immagine percepita e narrata come un’impostura di Muhammad,
descrivendolo come un abile adulatore che inventa una nuova scrittura con l’aiuto di eretici ed ebrei,
capace di arruolare persone fingendosi un messia per giungere ad un compimento del proprio volere di
conquista. È un’interpretatio christiana della biografia del profeta che si prestava a dare corpo all’immagine
dell’Anticristo.
Lo stesso Corano viene diffamato e fatto passare per un testo non sacro e assurdo, di cui la traduzione in
latino da parte di Pietro il Venerabile, seppure mantenga sempre un linguaggio oggettivo cerca di smontare
la fede islamica attraverso incipit e figure poste ad inizio lettura → Emerge la figura di Muhammad e dei
musulmani come lussuriosi che professano una religione in cui si mescolano elementi pagani, ebraici e
cristiani che diventerà lo stereotipo per l’occidente.
Così anche il rito del culto viene colpito, descrivendo i Saraceni come popolo che venera una statua di
Muhammad posta all’interno della Cupola delle Rocce, falsità che tuttavia prenderà piede nella lontana
Europa cristiana
Queste teorie vennero ampliate da resoconti di viaggio, che solitamente mostrava un paesaggio tranquillo
e rispettoso, ma che avvolti da uno sguardo superficiale rivelavano una descrizione stereotipata della
religione come incomprensibile e ai limiti della lussuria, come per esempio il resoconto di Thietmar, che
visita la Palestina e Gerusalemme nel 1217, il quale assistendo al mese del digiuno del ramadan, pur se
affascinato, però giudicherà eccessivo e peccaminoso il clima di festa con cui si mangia al tramonto,
quando il pasto è consentito.
L’unico grande testo che lavorò controcorrente, quindi in modo oggettivo, è quello riportato dal
domenicano Riccoldi di Monte Croce. Oltre a conoscere perfettamente l’arabo, egli passerà molto tempo a
Baghdad, immergendosi completamente nella vita arabo-islamica e studiando a fondo i loro precetti scritti
nel Corano. Il suo scritto, pubblicato nel 1500 a Siviglia e poi tradotti da Lutero nel 1542, ci mostrano una
popolazione molto devota al rispetto religioso, lontana dallo scritto del Corano ma non per questo barbara,
anzi.
Arabi filosofi e saraceni infedeli
Il passaggio dei territori nella penisola iberica e in Sicilia da un governo islamico ad un governo, spesso
monarchico, latino viene oggi definito come “un laboratorio della monarchia” europea medievale.
In Spagna la Reconquista genera una forte ondata di immigrazione da parte di mozarabi andalusi e
maghrebini, i quali, proprio per la loro doppia identità di appartenenza, venivano sempre visti con un
occhio di sfiducia. In Sicilia i Normanni cercarono di instaurare una politica centrale sul modello di quella
arabo-bizantina. Il progetto non si realizzerà perfettamente, tanto che agli occhi dei Fatimidi, loro fonte di

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ispirazione, apparvero inadeguati nella loro politica, soprattutto nella forma di emulazione della figura del
sovrano. Nel regno normanno rimarrà una forte apertura culturale nei confronti dei mussulmani, tanto che
essi insieme ai cristiani formeranno l’apparato amministrativo.
Questo duplice passaggio, in Spagna e in Sicilia, segna una transazione dall’arabo al latino, dalla modernità
araba di quei tempi alla mentalità occidentale, creando una scissione tra arabi, maestri di cultura e di
sapere convertiti all’occidentalismo, e saraceni, barbari orientali da convertire e rieducare al cristianesimo,
secondo il quadro salvifico universalista di Raimondo Lullo del XIV secolo, oppure da estinguere con la
violenza.
Proprio questo passaggio viene visto come un ritorno della cultura classica ellenistica nelle mani dei suoi
padroni occidentali, senza dunque riconoscere alcun ruolo se non quello di “custode”, agli arabi. Questa è
un’idea apparentemente innocua che cela un’impostazione dichiaratamente antisemita che nega agli
islamici una capacità di astrazione peculiare invece della mentalità indoeuropea. La rinascita dell’antichità
greco-latina celebrata dall’umanesimo ha reso “inutile, fastidiosa, tutta la cultura araba”.
Una delle poche tesi controcorrente sarà quella di Alexandre Koyré, vissuto tra il XIX-XX secolo, la quale
dirà che il medioevo cristiano dovette attingere dalle fonti arabe, traducendole, sia per riacquistare i testi
greci, ma anche per riacquisire quella facoltà, che non avevano più allenato, di filosofare. Dunque, i testi e i
commentari arabi assumono una funzione educatrice agli stessi latini. Ciò per la filosofia ma anche per la
scienza e per i metodi da essa adottati.
Questo lavoro di traduzione e mediazione tra culture, per comprendere i testi in arabo, venne svolto anche
da grandi mediatori mozarabi ed ebrei, ma anche da innumerevoli cantanti e musicisti, che, dopo la caduta
degli imperi arabi in Andalusia e in Sicilia, vennero smossi come veri e propri bottini di guerra nelle corti
cristiane. Di fatto essi lavoravano all’interno di un quadro totalmente accademico, fortemente separata da
quella percezione delle masse del fenomeno islamico. Ciò ovviamente non si fermerà nella mediazione
delle fonti scritte, ma tale fenomeno si allargherà anche nei contesti di formazione della cultura, lasciando
segni innegabili nel medioevo latino e nell’era premoderna, di cui possiamo trovare le tracce molti anni
prima negli imperi arabi.
Tuttavia proprio parte di questi mediatori, spesso di fede islamica, nel loro lavoro di riformulare concetti
filosofici, entreranno in contrasto con la propria fede e con la propria identità, tanto che lo stesso Dante,
nella sua Commedia, li descriverà come spiriti magni del limbo, dove egli intravede anche Saladino, mentre
il profeta Maometto verrà collocato senza alcun dubbio tra gli eretici e i se minatori di scandalo e scisma.
Tutto ciò porta ad un divario sempre più grande tra gli Arabes occidentali e i Saraceni, colpiti da una
macchina denigratoria che ha come punto di riferimento il loro profeta impostore, promotore di un libro
che ammette come lecita ogni sorta di abominio morale e di pratica sessuale.
Proprio questa macchina avrà funzione centrale nella propaganda latina anti-islamica. Questa politica anti-
saracena non farà che rinforzare la figura della cristianità. Viene presa di mira l’eccessiva carnalità in
materia sessuale dell’islam, già nella prima traduzione del Corano da parte di Pietro il Venerabile nel 1142.
Essi vengono infatti accusati di sviluppare un amore eccessivamente profano, governato dalla lussuria, ma
non per questo assente di sentimento. Questo amore della carne entra in contrasto con il sacro amore per
Dio, perseguito dai cristiani, tanto da far valutare la stessa uccisione dei mussulmani durante le Crociate
come un atto d’amore.
Le traduzioni dall’arabo al latino
Nell’alto medioevo l’occidente cristiano vede le città decadere, le accademie e i centri di studi dissolversi o
concentrarsi nello spazio dei monasteri e delle chiese. Il rapporto con il sapere e con la tradizione è
improntato alla conservazione favorita dalla riforma degli studi promossa da Carlomagno, tratto peculiare
della cultura monastica.

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In questo quadro di conservazione, si mantiene la ripartizione classica delle conoscenze nelle sette arti
liberali, suddivise tra arti del linguaggio (trivium: grammatica, retorica e dialettica) e arti matematiche
(quadrivium: aritmetica, musica, geometria e astronomia) propedeutiche allo studio della filosofia. Di fatto
nell’alto medioevo latino, come viene riportato da Sant’Agostino, vi è ancora una predilezione della teoria
alla pratica e quindi della percezione sensibile. Ciò che l’occidente latino acquisirà in modo decisivo dagli
insegnamenti arabi, avvenuti nei monasteri sui Pirenei, al confine con la Spagna musulmana, in Sicilia con i
Normanni e con la presa di Toledo nel 1085, sarà l’inclinazione ad una riflessione più profonda sulle arti
meccaniche, e sul loro ruolo nella società.
Sarà proprio Gerberto d’Aurillac, futuro papa Silvestro II, ad acquisire i primi insegnamenti riguardanti il
calcolo, diffondendo così una mentalità matematica aritmetica.
Altro fattore di trasmissione di sapere di rilievo verrà svolto dalle biblioteche, che, in Sicilia e in Andalusia
in coincidenza di sovrani di spessore come Alfonso il Savio, Ruggero II e Federico II, che tramanderanno le
chiavi delle relazioni islamiche e i segreti della superiorità che ne derivava.
La riscoperta di Aristotele nel medioevo latino avverrà attraverso due vie alternate: da una parte dalle
fonti greche dei testi aristotelici, conservate dai Saraceni, dall’altra dai commentari, arabeschi tradotti in
latino, neoplatonici e non, che raggiungono i loro apici con le figure di Avicenna e successivamente di
Averroè, a cui si darà più importanza.
Tramite questi testi si arriverà ad una rivoluzione totale della mentalità occidentale universalistica. Di fatto
vengono introdotti dei concetti della filosofia naturale, ancora non definibile scienza, che vedono unire il
microcosmo e il macrocosmo, i movimenti delle sfere celesti, astronomia, e i processi di generazione e
corruzione, medicina. Questa unione, tutta nuova nel contesto latino, viene affiancata da altri concetti
quali l’atomismo, la corruttibilità dei corpi celesti e l’infinità del cosmo, che inevitabilmente entreranno in
contrasto con la teologia cristiana, diventando aspro soprattutto a Parigi tra la facoltà di teologia e quella
delle arti, dove tali aspetti vengono studiati secondo i criteri delle sette arti precedentemente viste.
L’ingresso della visione scientifica araba nello spazio culturale latino del XII secolo
Prima del XII secolo le classificazioni del sapere nel medioevo latino rispecchiano la tradizione classica.
Rappresentativo del primo cambiamento è il De eodem et diverso di Adelardo di Bath che si rivela uno dei
primi entusiasti divulgatori del razionalismo della cultura filosofico-scientifica araba.
Degno di nota nel quadro, è il nome di Domenico Gundisalvi. Riformula il quadro dell’organizzazione dei
saperi (e inaugura un mutamento di mentalità dei grandi traduttori dall’arabo a parafrasare opere
precedenti tradotte in latino e poi attribuire a sé stessi la paternità): De divisione philosophiae, attraverso
la quale viene introdotta nel mondo latino la scientia de ingeniis, ovvero la scienza dei congegni, ben
presente nella cultura arabo-islamica. Tale scienza, sviluppata dagli scritti al-Farabi, fungerà da prima passo
verso una nuova sistematicità delle visioni del sapere, riformulando tutte le connessioni tra filosofia,
scienza e tecnica.
Il primo impatto delle traduzioni dall’arabo al latino
Tradurre è stato e continua ad essere l’unico, autentico agente di mediazione culturale, grazie al quale le
culture sono entrate in reciproco contatto. Tradurre consente di leggere la pluralità dei testi che una
società produce e attraverso la quale ha espresso primariamente a sé stessa la molteplicità delle forme e
dei generi della propria cultura. L’occidente latino non ha conosciuto la complessità della cultura con cui si
confrontava così come l’oriente musulmano non ha conosciuto la complessità greca.
Le prime traduzioni dall’arabo al latino appaiono casuali e incerte. Alla fine del XI secolo ed alcuni testi
medici venivano tradotti da Costantino l’Africano. L’importanza di questi personaggi, mediatori tra le due
culture, viene segnata da un’opera enciclopedica sulle autorità tradizionali di Guglielmo di Conches. In
questa opera, intitolata Philosophia mundi.

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Altra figura di rilievo, nella traduzione scientifica delle fonti arabe, è Ermanno di Carinzia, interpellato da
Pietro il Venerabile abate di Cluny, per la prima traduzione del Corano.
Queste prime opere di questi due autori, Guglielmo di Conches e Ermanno di Carinzia, aprono una zona di
frontiera fra saperi che il mondo latino aveva sempre immaginato, tramite l’uso della filosofia speculativa,
separati tra di loro. Ora invece viene spiegata l’unicità che vi è tra i differenti saperi, un’unione di fondo, un
tessuto connettivo quale è la philosophia naturalis, che abbiamo visto aprire conflitti fecondissimi.
Razionalità araba e reazioni cristiane: Adelardo di Bath
Con il moltiplicarsi delle fonti il rapporto si infittisce tendendo ad una complessità sempre maggiore. Di
fatto si incomincia nel XII secolo con fonti riguardanti temi scientifici che metteranno a dura prova i confini
delle sette arti, rendendole quasi insufficienti.
Adelardo di Bath, nel Quaestiones naturales, attribuisce la piena autorità agli arabi definendoli padroni e
maestri dell’arte della ragione. Egli infatti dona una centralità alla ragione, soprattutto in questo testo
formalizzato in forma di dialogo tra lui e un suo nipote. Quest’opera venne da lui scritta prima che si
lanciasse in traduzione di tipo astronomico, di fatto mostra ancora una lentezza, comune a tutto il suo
secolo, di apertura alla nuova concezione che viene raccontata. Anche lui avvertirà una certa limitazione
posta dall’orizzonte del trivium e del quadrivium.
Ragione araba, eresia saracena: Pietro il Venerabile e Ruggero Bacone
Pietro il Venerabile, prima del 1150, prima di morire, affermerà, in una delle due opere di confutazione
della fede eretica islamica, una certa stima nei confronti dei dotti saraceni, capaci di creare biblioteche in
cui si possono trovare libri che i dotti occidentali ricercano.
Di fatto nel XII secolo non vi è ancora, tra i dotti Occidentali, un si è ancora posti il problema della
conoscenza dell’islam come religione.
È importante infatti datare la traduzione del Corano in lingua latina, commissionata da Pietro il Venerabile
appunto, al 1143, non investendo dunque quel grande interesse che si era svolto per le fonti scientifiche,
prima, e filosofiche, dopo, di cui abbiamo parlato. Tale traduzione viene propriamente voluta dall’abate di
Cluny, il quale sperava di trovare in questa opera il segreto della potenza araba - su tale opera si baserà la
sua critica eretica nei confronti della religione orientale.
Va inoltre detto che le traduzioni, quasi sempre finanziate da mecenati di corte, papi o re, venivano
indirizzate dal finanziatore verso un proprio interesse.
Non a caso i campi di maggior interesse saranno quelli della medicina e dell’alchimia, ma anche di testi di
strategia politica: si ha una pluralità di traduzioni di un testo, il Sirr al’asrar o Secretum secretorum. In
questo testo, che ha la forma di una lettera risalente al IX – X secolo e attribuita ad Aristotele ed indirizzata
ad Alessandro, lanciato nelle sue grandi conquiste, sembrava si potesse trovare l’elisir di lunga sovranità,
con un potere che si basasse sulla filosofia e sulla scienza.
Ruggero Bacone sarà ossessionato da questo testo, analizzandolo all’infinito e traendo da questo una
rifondazione della scienza cristiana, basandola esplicitamente sul modello islamico. Di fatto il frate
francescano, al contrario di Pietro il Venerabile che vedeva il segreto del potere islamico nel Corano, vede il
segreto del loro potere proprio nella scienza e cercherà di proporre tale rifondazione dei saperi cristiani sul
modello islamico persino a papa Clemente IV, senza alcun successo ovviamente.
La fortuna di Ibn Al-Haytham in Occidente
Una situazione simile a quella riportata da Gundisalvi con le traduzioni e la scoperta della scientia de
ingeniis la si avrà con il successo di Ibn al-Haytham, e la sua concezione del problema della visione e della
conoscenza sensibile già iniziata da al-Kindi (cap.7). Di fatto la problematica di cui si discute nelle opere di
al-Haytham, ovvero la luce, la sua percezione, dunque il mondo sensibile, la funzionalità dei sensi e per
ultimo l’anima, si va a scontrare con un pensiero, quale quello occidentale, disposto in maniera totalmente
diversa. La luce viene qui concepita, non come un fenomeno fisico, ma come oggetto di contemplazione
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Medioevo Arabo. Una storia dell’islam medievale VII – XV secolo
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Leonardo Capezzone

metafisica, teologia e gnoseologica. Dunque, le ragioni per cui questo testo sconvolge gli ambienti in cui
viene studiato, riconsiderando i rapporti tra filosofia e scienze naturali, sono da ritrovarsi nei metodi
matematici, fisici e geometrici entro cui tale argomento viene trattato. Sta proprio qui il successo che al-
Haytham riporterà in occidente, tanto che verrà approfondito nella corte papale di Viterbo e porterà una
fecondissima ricaduta tecnica nelle teorie della visione della pittura del XV secolo, in personaggi quali
Brunelleschi, Piero della Francesca e altri. Tali pittori affronteranno i temi della prospettiva e
dell’illuminazione in modo scientifico, basandosi sulla tradizione di studi nata, in occidente, nel XIII secolo
dalla ricezione dell’opera di al-Kindi e di Ibn al-Haytham.
Va detto che la comprensione non sarà sempre totale, ma anche confusionaria e incerta. Altro fattore che
farà sì che la comprensione dell’opera di al-Haytham non sia scontata è la concezione, che l’autore e il
mondo arabo già possedeva, di divisione dei campi della conoscenza, dove non vi sono interferenze fra le
indagini sullo spirito e quelle sulla materia; al contrario in occidente questa profonda separazione non vi è,
perciò è qui che il lavoro di comprensione e di elaborazione guidato da personaggi come Bacone, Witelo e
Peckham cadrà in fallo, perché proprio quest’ultimi modificheranno la teoria dell’evidenza sensibile
avvertendo la necessità di spiritualizzarla, ricollegandola ad una gerarchizzazione della conoscenza che
sottoponeva il sensibile all’intelligibile.
La scienza araba a Oxford
Se, come riportano le fonti storiografiche europee, Parigi era il centro per gli studiosi e traduttori della
filosofia e della teologia, Oxford, come tutto il Regno Unito, lo sarà per le scienze. Non a caso qui si
svilupperanno delle ricerche più ampie, e proprio a proposito di questa tesi, non sarà un caso, che proprio
la riformulazione delle scienze di Roberto Grossatesta, prima di diventare vescovo di Lincoln, in Regno
Unito, verrà qui ideata. Ciò probabilmente per una maggiore libertà di pensiero meno influenzata dalla
corrente religiosa cristiana, ma Grossatesta era un grande lettore di testi di al-Kindi, fisico, e Avicenna,
medico.
Proprio a Oxford verrà stesa la sintesi di quella che diventerà la scienza della perspectiva da parte di
Bacone, analizzando in modo sintetico i quasi due secoli di ricerca di autori arabi quali al-Kindi, al-Haytham
e Avicenna. Il perspectiva si pone alle basi di quella che sarà la scienza ottica, che coprirà un ruolo di
spessore nelle scienze naturali, ricercando il perché dei principi della natura e dimostrandoli, mentre il
filosofo naturale rimane lì ad indagare speculativamente.
Bacone è probabilmente l’uomo che mostra il maggior impatto della scienza araba nel medioevo latino.
Egli penserà fino in fondo che il segreto del potere arabo risiede nel suo concepimento della scienza, tanto
da proporre una rifondazione delle scienze a papa Clemente IV.
Inoltre, Bacone va ricordato anche per sua spiccata genialità già nel solo pensare, tramite la sua cultura nel
campo scientifico, a macchine che potessero volare o scandagliare i fondali marini, gli odierni sottomarini,
riformulando completamente il confronto con gli infedeli; anche se va detto che la sua era solo
un’idealizzazione e non una vera ed effettiva capacità creativa di certe macchine. Proprio per questa sua
idea di una scienza potente che risollevi la cristianità dalla profonda crisi che egli denuncia, egli dovrà
scontare anni di pena, soprattutto dopo la morte di papa Clemente IV, il quale in maniera inufficiale per via
del suo ruolo, aveva sempre appoggiato la sua speculazione scientifica. Egli cercherà dunque di modificare
radicalmente l’idea di Crociata e dei mezzi con cui questa Crociata doveva realizzarsi, ma proprio per
questo eccessivo suo essere fuori tempo venne guardato con indignazione, accusato di stregoneria e come
promotore degli insegnamenti degli infedeli Saraceni, non a caso venne liberato dalla sua prigionia clericale
grazie un intervento di alcuni nobili inglesi.

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