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La conquista musulmana dell’isola avviene nell’anno 827 con a capo della

spedizione Asad Ibn al-Furat, anziano giurisperita di origini persiane. La


spedizione è voluta dal governatore Ziyadat Allah e parte da Susa, Tunisia.
Ha due propositi: diffondere la parola di Dio e acquisire nuovi saperi e
conoscenze. Lo sbarco avviene a Mazara e vengono poi conquistate Palermo
(831), Castrogiovanni e Siracusa (878), la capitale bizantina della Sicilia.
-Nel primo periodo della conquista, all’epoca dei governatori aghlabiti, la
politica musulmana è tesa a consolidare il potere politico in Sicilia e nelle
regioni italiane vicine . Già in questo periodo si sviluppano importanti
attività economiche e culturali tese ad affermare la nuova collocazione
dell’isola all’interno della Dar al-Islam: vengono costruite moschee e centri
per lo studio, vengono riorganizzate le principali città (ad es. Palermo) e le
campagne (testimoniato dalla toponomastica o dagli arabismi legati
all’agricoltura). Si va affermando una società composita, con un buon livello
di amalgamazione (perfino matrimoni misti), dove si trovano arabi, berberi,
andalusi, orientali, neri, saqalibah (schiavi slavi), ebrei, siciliani convertiti e
siciliani cristiani. I cristiani continuano a pagare la dhimma.
-Il periodo più florido dal punto di vista sociale, culturale e militare si ha in
epoca fatimida, nei primi decenni del 900. Il califfato fatimida in Nordafrica
è stato riconosciuto ufficialmente in opposizione a quello di Baghdad nel
909. Anche in Sicilia vi è una rivolta antifatimida, guidata da Ibn Qurhub tra
il 913 e il 917, ma non ha successo e il potere fatimida si afferma, grazie
anche all’invio nell’isola di nuove forze musulmane a loro sostegno (i più
importanti I berberi Kutama), alla fondazione di una nuova città sul mare, al-
Khalisah (l’eletta), oggi il quartiere della Kalsa, e all’arrivo a Palermo degli
emiri kalbiti, governatori fatimidi. Con questa nuova stabilità si ha uno
sviluppo economico non indifferente e si inizia ad estendere il sistema Islam
anche sotto gli aspetti della cultura. A Mazara nasce un centro di studio del
diritto islamico dove si forma l’imam al-Mazari, importante faqih; vi sono
numerosi dottori di diritto musulmano, linguisti e letterati arabi, anche gli
stessi governatori sono poeti.
-Dopo che Creta è stata presa dai bizantini (seconda metà del 900) il valore
strategico della Sicilia è accentuato. Coi bizantini si alleano gli Umayyadi di
Spagna. Ma I tentativi di conquista dei binzantini sono contrastati
efficacemente dai fatimidi kalbiti di Palermo, che li sconfiggono a Reggio
nel 950 e poi a Taormina nel 962.
-Nel 1061 inizia la conquista normanna e già nel 1072 cade Palermo, dopo
una tenace resistenza dei musulmani. Con la conquista normanna l’isola
riprende la propria funzione mediatrice. Si ha una amalgama armonioso. Si
hanno relazioni positive anche con le dinastie musulmane del Mediterraneo,
e le numerose comunità musulmane rimaste in sicilia sono tollerate, anche se
guardate con superiorità. Si trovano principalmente in Sicilia occidentale,
come è raccontato dal normanno Ruggero II, che visitando la Sicilia guarda
con ammirazione alla cultura, arte, politica e costumi islamici (rappresentato
nella Cappella Palatina). In questo periodo si trova a Palermo lo sharif al-
Idrisi, che compie un’importante opera di geografia e cartografia. L’arte
romanica, musulmana e greco-bizantina si miscelano (es. San Giovanni degli
Eremiti, Capp. Palatina). Latino, greco e arabo sono le lingue ufficiali.
-Le cose cambiano alla morte del re Rugg. II. Scoppiano moti anti-
musulmani (1161), durante il nuovo sovrano Guglielmo I, e inizia un periodo
di antitesi tra islam e cristianità; I musulmani sono costretti a scegliere fra
l’esilio e l’umiliazione. Con Federico II di Svevia si chiude il periodo
musulmano in Sicilia: egli è infatti simpatizzante per la cultura islamica (lui
stesso aveva l’arabo tra le lingue madre ed era stato cresciuto da precettori
arabi), ma quando vede che I saraceni di Ibn Abbad iniziano a ribellarsi al
suo governo (1222-23) li deporta a Lucera (Puglia).

La Sicilia musulmana fu thaghr, terra di frontiera ma anche di apertura e


passaggio. Per Al-Maqdisi (geografo) la Sicilia è “magnifica, superiore e
quindi degna di venerazione, l’isola più grande in mano ai musulmani”. Al-
Idrisi: “paese veramente unico, gemma del tempo per pregi e bellezze,
splendore della natura”.

Nel 1902 lo shaykh Muhammad ‘Abduh (Cairo) compie un viaggio verso il


Maghrib e la Francia e si ferma in Sicilia; la ritiene ancora terra di frontiera e
di amalgama felice che “un arabo dovrebbe prefiggersi di visitare”. Qualche
anno dopo l’intellettuale damasceno Muhammad Kurd ‘Ali conia
l’espressione “hamzatu li’l-wasl”, anello di congiunzione.

Nell’800 sbarca in Sicilia l’emiro Abd-el-Kader, fondamentale nella


resistenza algerina contro I francesi, e vi rimane per un breve periodo,
affascinato dalle meraviglie dell’isola.

Nel 1902 visita la Sicilia lo shayk Muhammad ‘Abduh, uno dei principali
esponenti del movimento riformatore musulmano. Dopo aver visitato Tunisi,
Algeri, ed essersi fermato in Francia si è diretto verso Alessandria e lungo la
strada si ferma a Messina, scalo marittimo importante tra Europa e Medio
Oriente. Di questo viaggio parla la rivista cairina al-Manar. Lo sceicco vuole
ampliare la sua conoscenza del passato arabo della Sicilia e si reca alla
Biblioteca Nazionale e all’Archivio di Stato per consultare opere al riguardo
in arabo. Riflette sul ruolo dell’Islam nel configurarsi della Sicilia nel
Mediterraneo, sul rapporto tra le religioni monoteiste, sul rapporto tra potere
non musulmano e musulmani dopo la riconquista. Visita molte opere di
influenza islamica: Palazzo Reale (qasr), chiesa di S. G. degli Eremiti, la
Zisa (qasr al-Aziz), ma la parte più lunga del soggiorno è riservata al
Convento dei Cappuccini e all’annessa scuola di arabo per I missionari che
avrebbero predicato il Vangelo nei Paesi arabi. Le lezioni erano tenute dal
monaco Gabra’il Maria di Aleppo in italiano, la competenza passiva è
abbastanza alta anche se non quella attiva. Questo fa riflettere lo sceicco su
quanto sarebbe importante riappropriarsi della lingua araba, studiandola in
maniera simile per comprendere I suoi segreti e tramandarla ai figli.

Nell’800 vi è un ampio dibattito sul problema della rilettura storica


dell’Islam in Sicilia, che anima orientalisti, intellettuali e storici
occidentalisti. (La storiografia e il suo metodo inziano ad essere perfezionati
a partire dal XVI secolo). Anche in Sicilia vi è un’ampia produzione
storiografica al riguardo. Sono tutti concordi che la presenza musulmana ha
concorso alla formazione di una specificità siciliana. La riflessione su questo
tema costituisce una tendenza originale rispetto a quelle storiografiche
dominanti nell’Europa del tempo. In linea generale gli approcci al tema
elaborati in questo periodo sono validi tuttora (ad esempi quello di Amari),
ciononostante è necessaria comunque una rilettura delle fonti di Amari, che
ampli il campo d’indagine e I materiali utilizzati. Infatti queste fonti sono
principalmente storici musulmani maghrebini vissuti in epoca posteriore ai
fatti narrati e molti dei loro giudizi storico-politici sono oggetto di polemiche
tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800. Cambiano le carte in tavola le recenti
scoperte archeologiche (zona Trapani e Palermo) e le fonti sciite e fatimide
da poco ritrovate. La lettura degli arabisti di fine ‘700-inizio ‘800 tende a
vedere il passato islamico della Sicilia come un “grande momento”, un
evento positivo la cui fine segnò l’inizio della decadenza dell’Islam. Saverio
Scrofani ad esempio (m. 1835) afferma che gli arabi promossero e fecero
rifiorire gli studi e la cultura, effettuarono una efficiente divisione
territoriale, effettuarono un censimento delle terre andando a correggere
contratti ingiusti o scorretti. Governo e ordinamento giudiziario vengono
generalmente considerati in questo periodo fattori essenziali. Gioacchino Di
Marzo riconosce agli arabi oltre che meriti culturali-economici-politici, una
civiltà e una correttezza unica nel Medioevo, che invece andranno a sparire
con l’avvento dei normanni e degli svevi. Niccolò Palmeri (m. 1837)
afferma: “la storia si annovera tra le scienze, ma tale non può dirsi, finché è
ristretta negli angusti confini della nuda narrazione degli avvenimenti. Come
il pittore degli uomini, lo storico deve ritrarre I popoli”. Questo stesso
proposito anima Carmelo Martorana (m. 1870), prefetto di Palermo, poi
procuratore di Messina, autore di “Notizie storiche dei Saraceni siciliani”, la
prima storia organicamente concepita e dedicata da un non arabista alla
Sicilia musulmana. Ne sono giunti due volumi, che descrivono eventi storici
e ordinamenti politici e giudiziari: relazioni tra governanti e governati, leggi
e relazioni tra le diverse comunità (principalmente musulmani e siciliani).
Quest’opera non è perfettamente precisa dal punto di vista dei dati e delle
notizie nè libera del tutto da giudizi e pregiudizi, ma ha comunque un valore
fondamentale nella filosofia storica.

Da prendere in considerazione anche le analisi di storici e intelletuali


siciliani della prima metà dell’Ottocento: importantissimo il contibuto di
Tommaso Fazello (1498-1570), “padre della storia siciliana”, che considera
la storia “lux veritatis”, seppur in presenza di ovvie inesattezze e tradizionali
giudizi negativi; poi quelli di Giambattista Caruso, Antonio Mongitore. Con
la comparsa dell’Illuminismo anche gli studiosi siciliani sono stimolati a
rompere con la tradizione puntando ad un approccio più analitico, in cui si
da non solo una immagine dei fatti ma un’idea e un’interpretazione.

Il dibattito storiografico in Sicilia nel XIX secolo e agli inizi del XX pone al
centro il problema storico-politico e culturale dell’incidenza dei fattori
esterni nella formazione di una specificità regionale, pur essendo la presenza
musulmana molto più breve che quella in Spagna, in Bosnia o in Albania, fu
significativa.

PAOLO EMILIANO GIUDICI

Paolo Emiliano Giudici, arabista, nasce a Mussomeli (Sicilia) nel 1887 e


muore a Palermo nel 1964; si dedica allo studio dell’Islam nei primi del
‘900, quando compie dei viaggi nell’Asia araba. Nel 1912 pubblica “La vita
di Maometto secondo le leggende e gli scrittori arabi”. Era un periodo
significativo per un’Italia neonata che tentava di affermarsi come potenza
imperialista, invadendo nel 1911 la Libia ottomana. In questo clima non è
indifferente la produzione orientalistica, anche se inizialmente animata da
curiosità e avventurosità più che scopi coloniali: questo è chiaro in opere
come le memorie di viaggio di De Amicis in Marocco o di Romolo Gessi,
che anzi è anche schierato contro lo schiavismo. Dalla conquista della Libia
in poi invece la produzione orientalistica va a sostegno della politica
imperialista italiana (da ricordare anche la conquista dell’Etiopia e la
fondazione dell”Ente Agricolo” per il popolamento italiano delle colonie).
Ha un ruolo fondamentale anche la diffusione della “moda” del senso
dell’esotico che si diffonde nella borghesia europea. Giudici (come anche il
collega Guido Gozzano) sembra privilegiare una prospettiva “estetizzante”
nei suoi viaggi, cercando principalemente di trarre ispirazione letteraria
dall’ambiente “esotico” circostante, con una vena fantastica e l’amore per
l’Oriente arabo-musulmano. Avrebbe inoltre compiuto un pellegrinaggio alla
Mecca partendo dalla Giordania nel 1910 sotto il nome di ‘Abd al-Qadir,
fingendosi maghrebino; non ne parla però nei suoi diari. Sono racconti
pittoreschi e personali, ricchi di parole trascritte dall’arabo familiare e pieni
di emozione, farciti di citazioni di poeti arabi, secondo un cliché seguito da
molti viaggiatori (come Giammartino Arconati Visconti); ripropone il clima
da “Mille e una notte”. Prova comunque a fare qualche annotazione di
carattere storico politico su ciò che vede o sulla storia dell’Islam più in
generale ma senza risultati significativi. Molte annotazioni sono generiche e
possibilmente tratte da notizie di altri studiosi e viaggiatori. Più realiste le
descrizioni di Medina e della Mecca, anche se cade in luoghi comuni circa le
donne “meretrici” e sfuggenti (si nascondono dietro il velo in maniera
seduttiva) e l’idea dell’harem.

SHAFIQ GABRI
Viaggia nel 1934 da Beirut a Marsiglia via Sicilia. Ha la sensazione (verbo:
sha’ara) di aver attraversato la linea di confine tra Oriente e Occidente
passando dalla pace dell’animo al suo turbamento. Sente di vivere un lungo
assopimento e poi assistere ad una pronta ripresa di coscienza. Altre
definizioni: luogo di apprensione, terra di frontiera, ovvero terra di
passaggio, nonostante il mare che la circonda.
Taqi’l-Din ‘Arif al-Duri (iracheno) ritiene che sia fondamentale lo studio
delle dinastie musulmane e che abbiano influenzato la storia della Sicilia, si
concentra sulle relazioni tra I musulmani di Sicilia e il resto del mondo
dell’Islam, in particolare Maghrib, Andalusia, Egitto, Siria. Questa tendenza
è opposta a quella generale di storici cristiani e/o bizantini medievali, che
vedono inoltre I musulman come “empia genia”, “figli di Agar”, “barbari”.
Lancia di Brolo la vede come un a punizione per chi non ha accettato la
verità cristiana (pagani etc). Gli studiosi cristiani non distinguono tra
nordafrica e africa e non tengono conto delle peculiarità del sistema
fatimide. Fazello li chiama “Saraceni di Cartagine”, “Saraceni d’Africa e di
Sicilia”, “sovrani d’Africa”.
Nel diwan di Ibn Hani al-Azdi al-Andalusi, massimo esponente maghribino
della poesia ismailita, stile e linguaggio concorrono a rappresentare sia
l’adesione al particolare esoterismo fatimide sia il sostegno consapevole del
poeta al califfo-imam al-Mu’izz li-Din Allah, celebrato come luce di Dio.
Descrive lo scontro tra fatimidi e bizantini; compie giochi di parole tra
Siqyillia e la radice s.q.l. che indica lucentezza. Per I Musulmani la Sicilia è
l’isola al centro del Mediterraneo, thaghr, limite separante (hadd fasil), ma
anche passaggio e strada battuta.

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