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Analisi della produzione artistica della città dal IV sec fino al 1430, anno in cui
la città di Tessalonica cade in mano ai Turchi, circa vent’anni prima di
Costantinopoli
Pur non essendo una delle sedi patriarcali (Alessandria d’Egitto, Antiochia,
Gerusalemme e Costantinopoli) è stata uno dei centri più importanti
dell’impero bizantino fin dai primi secoli, considerata una vice capitale
La città ellenistica era più piccola della città attuale, occupava la zona
intermedia fra il mare e la parte più alta (senza però arrivare a una delle due
parti).
Nel 158 a.C. i romani conquistano la Macedonia e nel 146 diventa la capitale
della provincia romana della Macedonia.
Non abbiamo molte notizie sul periodo romano, ma sappiamo che fu meta di
uno dei viaggi apostolici di S. Paolo che risiedette nella città e nel I sec (intorno
al 50 d.C.) scrisse 2 epistole ai Tessalonicesi.
Quando egli era lì vi era una piccola comunità cristiana nuova formata da due
etnie diverse: pagani convertiti ed ebrei convertiti al cristianesimo (le due
ecclesie, ex gentibus/ex circumcisione)
Metà del III sec, primi spostamenti di popolazioni barbariche che cominciano a
superare i confini dell’impero romano. I Goti superano il confine naturale
dell’impero romano segnato dal fiume Danubio a Oriente, 3 tentativi di
invasione:
253-254
262
268
Alla viglia di queste invasioni viene restaurata l’antica cinta muraria di epoca
ellenistica
Nell’anno 268 i Goti vennero sconfitti dall’imperatore Claudio che per questa
ragione assume il nome di Claudio il Gotico
Metà V sec, intorno all’anno 440 gli Unni superano il Danubio e conquistano la
città romana di Sirmium, sede della prefettura dell’Illirico (capitale
amministrativa). A quel punto quella sede viene trasferita a Tessalonica.
In questi anni la città viene dotata di una nuova cinta muraria per dare
maggiore sicurezza (dal 441). Nel 447-448 viene stipulato il trattato di pace con
gli Unni. È questo il periodo in cui la città si arricchisce di nuovi monumenti
cristiani
Nel VI sec, sotto Giustiniano, vi è la prima età d’oro dell’impero bizantino e per
le province è un periodo di stabilità, ma dura poco. Dopo la morte di
Giustiniano nel 590 gli Avaro-Slavi penetrano nella penisola balcanica ed
arrivano a minacciare Tessalonica, arrivano fin sotto le mura ed iniziano a
saccheggiare le campagne che la circonda. Gli abitanti del territorio circostante
si trasferiscono dentro le mura (fenomeno di inurbamento, mentre nelle città
dell’occidente vi è invece un calo demografico)
VII sec, periodo di difficoltà sia per le invasioni che per numerosi terremoti e
incendi che danneggiano la città fra il 620-630. Il paesaggio urbano cambia,
vengono abbattuti gli edifici già in rovina di epoca antica.
Vi sono anche attacchi da parte degli Slavi e dei Bulgari, ma l’imperatore
Giustiniano II mette fine a queste minacce con la vittoria definitiva nel 688. La
sua vittoria verrà festeggiata a Tessalonica, egli farà un ingresso trionfale.
Si indebolisce anche sul fronte marittimo: 904 assedio arabo di Tessalonica
(miniatura con navi che giungono da Tripoli ed invadono la città, si trova dentro
il manoscritto della cronaca di Giovanni Stylitzes)
IX sec, epoca dei macedoni. Cirillo e Metodio erano due fratelli nobili di
Tessalonica che partirono per delle missioni di conversione degli Avari e degli
Slavi (863-864). Ci riuscirono inventando un nuovo alfabeto, il cirillico, e
traducendo la Bibbia nella lingua di quei popoli. Essi si convertirono alla
religione ortodossa e quindi da pericolosi nemici divennero alleati dei bizantini,
facendo risultare questa operazione valida sia dal punto di vista culturale che
diplomatico
1185: assalto a Tessalonica da parte dei Normanni, partiti dalla Puglia con
l’intenzione di raggiungere Costantinopoli approfittando di un momento di
debolezza dell’impero. Sbarcarono a Durazzo, durante il viaggio fecero tappa a
Tessalonica e la invasero, ma l’occupazione durò solo pochi mesi ed i bizantini
riuscirono a riprenderne il controllo
Nel 1204 con la quarta crociata e l’occupazione dei latini fino al 1261
Tessalonica venne assegnata come territorio in compenso della conquista a
Bonifacio di Monferrato, uno dei più importanti capi della crociata, che fino al
1224 fu re della città. In quell’anno il despota dell’Epiro riesce a conquistare la
città che venne annessa quindi al Despotato dell’Epiro. Poi entrò a far parte
dell’impero di Nicea, uno dei centri da cui partirà la riconquista di
Costantinopoli e dell’impero da parte dei bizantini
Periodo di splendore che dura circa 100 anni. Alla metà del secolo però la
situazione politica cambia, l’impero bizantino si è ridotto molto dal punto di
vista territoriale (aveva solo tre territori separati fra loro). I turchi ottomani
trasferiranno poi la capitale in uno di questi (la Tracia) ed essi cercheranno di
conquistare Tessalonica e Costantinopoli
29 marzo 1430 il sultano Murad II conquistò Tessalonica
Mustafa Kemal (detto Ataturk, padre dei turchi) sarà il primo presidente del
moderna Repubblica di Turchia fondata nel 1923 (repubblica laica) ed era nato
a Tessalonica
Nel 1917 avviene la più grande catastrofe della storia della città: l’incendio di
Tessalonica. Un incendio accidentale che distrusse tutto a parte alcuni quartieri
nella parte settentrionale e orientale, 2/3 della città vennero distrutti dal
lunghissimo incendio. Si diffuse velocemente perché gli edifici erano di legno.
Dopo questo incendio ci fu una ripartenza e venne chiamato un architetto
francese specializzato in urbanistica per progettare la ricostruzione della città
distrutta
La città ha uno strato di sedimentazione molto alto, per via dei crolli avvenuti
durante le catastrofi antiche: la città più antica quindi si trova in profondità e
venne riscoperta solo in epoca recente grazie agli scavi per i lavori della
metropolitana nei primi anni ‘00
Lezione 2 (29 settembre 2021)
Schizzo elaborato dall’archeologo tedesco Vickers nel 1972: la città antica era
basata su un modulo di misure costanti, ogni isolato era di 100x50m salvo in
alcune piazze.
In questo reticolo ortogonale le vie principali erano due strade più grandi che
attraversavano la città da ovest a est, le attuali vie S. Demetrio e via Egnazia
(erano i due decumani della città ellenistica)
La terrazza superiore era costituita da una piazza rettangolare di cui sono stati
recuperati due lati del portico, nord e est, il lato est ospita l’Odeion, un teatro a
forma semicircolare con una gradinata al centro che ospitava gli spettacoli
antichi.
L’Odeion aveva avuto anche dei restauri nel IV sec, all’epoca di Costantino
Esso è nominato in una fonte storica importante “I Miracoli Di S. Demetrio” che
parla della storia di Tessalonica cristiana. In essa se ne parla facendo
riferimento all’anno 586 e si dice che a quella data si tenevano ancora
spettacoli teatrali. Quindi a Tessalonica si ha una sopravvivenza molto lunga
dell’uso originario di questo tipo di edificio, cosa che nelle altre città antiche si
era interrotta da tempo
Nell’angolo sud-ovest della terrazza venne costruita nel 1028 una chiesa, la
Panaghìa Ton Chalkéon (ch si pronuncia k) che vuol dire “la Santa Vergine dei
calderari” cioè dei fonditori di metalli che avevano in questa zona le loro
officine. Infatti il portico su quel lato ha il nome di Chalkéutikes Stoà, “portico
dei fonditori”, perché lì si trovavano proprio le loro botteghe
La parte dell’Agorà rimase sempre uno spazio aperto, mai occupato da edifici
se non per la piccola chiesa sull’angolo. Questa parte infatti era chiamata in
greco Megaloforos, letteralmente “piazza grande”
Un documento del 1420 la definisce ònfalos, letteralmente “ombelico”, quindi
immaginavano la città come un corpo di cui quella parte era il centro
Di quello che c’era in origine si vede abbastanza poco, il palazzo era collegato
ad un grande Ippodromo oggi scomparso sotto gli edifici moderni e a causa
degli incendi, dei terremoti.
Era grandissimo, lungo 400m e largo 125m.
L’accostamento di palazzo ed ippodromo è tipico delle residenze di epoca
tetrarchica e si rifà al modello di Roma, palazzo imperiale sul Palatino che si
affaccia sul Circo Massimo, schema ripreso anche a Costantinopoli.
L’ippodromo nell’antichità non era solo un luogo di giochi, ma anche un luogo
politico poiché era l’unico luogo in cui l’imperatore si manifestava di fronte ai
suoi sudditi e si poteva quindi avere un contatto con lui
Lungo la via Regia si trova l’Arco di Galerio, di cui oggi ne è sopravvissuta solo
una parte, collegato ad una strada che arrivava fino alla Rotonda, edificio che
costituisce la parte più settentrionale del palazzo imperiale.
Esso era un arco a 4 passaggi, faceva da punto di snodo nell’incrocio delle
strade e poi vi era un ultimo tratto di strada, una via processionale porticata
che collegava il Palazzo alla Rotonda
Palazzo Imperiale:
4. Grande edificio ottagonale con atrio a forcipe con due nicchie laterali. Sulle
pareti erano scavate 7 nicchie semicircolari di cui quella a nord è più grande
delle altre.
La funzione originale di esso non è chiara, c’è chi pensa che possa essere stata
un’altra sala della residenza o un edificio con finalità di culto.
Il pavimento dell’ottagono, che prima era coperto da una cupola e presenta
una massiccia muratura in laterizi, era in marmo lavorato a opus sectile con
motivi geometrici. Aveva anche un rivestimento di marmo sulle pareti,
elemento costante della decorazione interna degli edifici di questo periodo
Gli archeologi hanno trovato al di sotto del pavimento in marmo le tracce
dell’originario pavimento a mosaico e alcuni studiosi hanno ipotizzato che
l’ottagono potrebbe essere non del tempo di Galerio, ma del tempo di
Teodosio I. Questa teoria non è stata dimostrata con prove certe, inoltre la
muratura a mattoni regolari è identica a quelle delle altre parti del palazzo,
quindi è difficile che risalga a più di 70 anni dopo. Può darsi che si tratti di una
struttura che sia stata realizzata per ultima nel cantiere, ma sempre nello
stesso periodo del resto
Il centro religioso della città antica con gli edifici pagani era nella zona sud-
ovest, dove si trovava il Tempio di Giove Serafide o Serafèo e altri edifici di cui
oggi abbiamo scarse tracce.
Il tempio era stato costruito già nel 187 a.C. in epoca repubblicana, quando la
Macedonia non era ancora una provincia romana. Poi viene restaurato in
epoca tetrarchica tra il III e il IV sec, forse sotto Galerio
Il perché di questo fenomeno si può spiegare sia per ragioni spirituali che
pratiche.
I complessi termali erano adatti perché possedevano già gli impianti idraulici
per la distribuzione dell’acqua utile per il sacramento del battesimo. Inoltre le
terme non erano mai stati edifici sacri, perciò occuparle per il culto cristiano
non urtava la sensibilità della comunità pagana.
Nonostante gli editti e le leggi di Teodosio I che vietavano il culto pagano, esso
non era affatto scomparso, anzi proprio il fatto che l’imperatore dovesse
insistere con questi provvedimenti fa capire di come fosse ancora radicato con
forza. La scomparsa del paganesimo sarà lentissima
Oltre alle basiliche nominate vi è una chiesa antica ottagonale scoperta grazie a
degli scavi archeologici negli anni ‘70. Di questa rimangono oggi solo le
fondazioni, ma sono sufficienti per farci capire che fosse una chiesa di grandi
dimensioni con dei muri poderosi.
Gli archeologi greci hanno ipotizzato che si trattasse del martyrion ossia la
chiesa che conserva le spoglie di S. Nestore, martirizzato assieme a S. Demetrio
durante le persecuzioni di Galerio ai cristiani. L’attribuzione di questa chiesa a
tale santo però è solo un’ipotesi.
Un’altra ipotesi degli archeologi greci riguarda la data della sua costruzione, da
loro individuata intorno al VI sec, ma uno studioso tedesco più recente, Bauer,
nel suo libro su Tessalonica ha ipotizzato che possa invece essere del V sec.
La chiesa era affiancata da due costruzioni più piccole, una di esse era forse un
battistero.
Sul muro largo 7 metri si trovavano le nicchie scavate sui lati dell’ottagono,
forse la copertura era una cupola o una volta a 8 spicchi in muratura.
Attorno alla parte centrale della chiesa vi era un deambulatorio ottagonale
suddiviso in due navate da un colonnato e da qui si staccava l’abside
semicircolare sulla parte orientale.
Nella parte occidentale la facciata era occupata da un portico rettangolare
sorretto da colonne
Basilica di S. Mena: si trovava nella zona del porto di Costantino, non è
dedicata ad un santo di Tessalonica, ma un santo egiziano il cui santuario vicino
ad Alessandria era visitato da moltissimi pellegrini. Probabilmente quella zona
doveva essere occupata dalle comunità straniere che avevano lì le loro
botteghe e Tessalonica aveva molti contatti con l’Egitto per via del commercio
di grano.
Questa chiesa era una grande basilica di cui oggi restano solo alcune parti
perché è stata ricostruita completamente nel 1852.
Della parte originaria resta la grande abside, inoltre nella costruzione moderna
sono riutilizzati capitelli di marmo che in origine decoravano l’interno delle 3
navate che la componevano.
In questa chiesa si trovavano dei fregi scolpiti con figure di animali che
decoravano un architrave, questi frammenti oggi sono esposti nel Museo della
Civiltà Bizantina di Tessalonica e sono stati la ragione per cui in epoca turca la
chiesa era stata ribattezzata “arca”, perché gli ricordava l’arca di Noè piena di
animali.
All’interno si conserva ancora una parte dell’arredo liturgico bizantino tra cui
l’ambone realizzato nel VI sec con un blocco monolitico di marmo verde di
Tessaglia, il calco di gesso conservato nel Museo Bizantino di Atene fa vedere
meglio questa struttura che nella chiesa è incastrata fra le panche di legno: è
diverso dagli amboni diffusi in quel periodo, essi avevano due scale di accesso
una per ogni lato che portavano alla piattaforma superiore in cui il parroco
leggeva le sacre scritture; questo ambone ha invece una sola scala, inoltre la
piattaforma superiore ha 7 lati ed anche questa è una cosa rara (di solito era
ellittica, o poligonale con lati pari).
La parte inferiore presenta nicchie con colonnine e la sommità a conchiglia;
nella parte superiore vi è un parapetto fatto di lastre con inciso un crismon a 6
bracci, separate tutte da una specie di pilastrino. Mentre negli arredi normali
tutti questi elementi sono pezzi singoli che poi vengono montati insieme, qui è
tutto realizzato su un unico pezzo.
Il parapetto delle scale presenta un crismon con 6 bracci e ai lati 4 piccoli
cipressi stilizzati
Tra le prime costruzioni cristiane ce n’è anche un’altra che si trova fuori dalle
mura, nella Necropoli Orientale di Tessalonica.
Subito fuori dalle mura sia ad occidente che ad oriente vi erano le necropoli fin
dall’epoca greco-romana. La legge romana già dall’epoca arcaica (“legge delle
12 tavole”) affermava che i morti dovessero essere sepolti fuori dalle città e lo
stesso valeva per Tessalonica
Pochi decenni fa dagli scavi è emersa una basilica cimiteriale, si tratta della
cosiddetta Basilica della via 3 settembre: non si sa a chi fosse dedicata, gli
archeologi le hanno dato il nome della strada moderna sotto la quale si trova.
Di questa basilica rimangono solo alcune parti delle mura perimetrali, l’abside
e una cappella cruciforme che era vicina alla basilica, probabilmente una
cappella martiriale di un santo molto venerato.
Tutto intorno è pieno delle tombe dei personaggi che hanno voluto farsi
seppellire nel luogo più santo di quell’area.
I greci hanno ipotizzato che la basilica fosse dedicata a un santo della città,
Alessandro di Tessalonica, terzo santo più importante. I personaggi che
avevano più potere si erano fatti seppellire dentro la basilica, sotto il
pavimento, altri intorno al di fuori della cappella.
Era una basilica a 3 navate, rimangono le tracce della recinzione rettangolare
che separava l’altare dal resto, dietro l’abside troviamo un corridoio lievemente
sotterraneo come una cripta che permetteva ai fedeli di entrare da una parte e
uscire dall’altra mediante delle scale: era un modo per avvicinarsi il più
possibile alla sepoltura del santo che doveva essere collocata sotto l’altare.
Questa parte dell’abside presenta quindi il kyiklion, corridoio semicircolare con
un pavimento di marmo decorato e le pareti dipinte.
Sotto l’altare è stata ritrovata dagli archeologi un reliquario di argento che
probabilmente conteneva frammenti del corpo del santo a cui era dedicata,
questo conferma l’uso di questa basilica
Ci sono però anche tombe con rappresentazioni più neutre che rendono
difficile capire se si tratti di una tomba pagana o cristiana come la Tomba di
Flavio e Aurelia Eustorgia dipinta fra il 320 e il 340: come cronologia potrebbe
essere cristiana, ma dal soggetto non si comprende se i committenti fossero
cristiani o pagani.
Ai lati ci sono figure di uccelli con rami di foglie e fiori, la parete di fondo ci
sono i committenti della tomba, padre e madre a destra e sinistra + 2 bambini
di cui non si conosce il nome vestiti con una tunica ai lati di un altare funebre
su cui vi è poggiata un’anfora con un liquido all’interno → il culto dei defunti
nell’antichità prevedeva il rito delle libagioni, cioè versare dei liquidi al di sopra
di un altare all’interno di una tomba. Il figlio più grande infatti tiene in mano
una sorta di bicchiere che doveva contenere anch’esso del liquido, mentre
l’altro tiene fermo il vaso con la mano dal manico.
Potrebbe essere una tomba pagana, ma se si guarda l’iscrizione ci accorgiamo
che essa termina con un crismon, il monogramma del nome di Cristo, quindi
possiamo dire con sicurezza che apparteneva a due aristocratici che si erano
già convertiti al cristianesimo
Seminario 1 (5 ottobre 2021) – prof.ssa Giulia Grassi
I musei bizantini
Ancora oggi il mondo bizantino è visto in modo falsato, si considera una civiltà
orientale, si fa confusione perché a livello geografico la percezione è quella dei
territori dell’impero ottomano, quindi si fatica in una dimensione storica
corretta
Oggi alla raccolta si è aggiunta una quarta sala, è stata riaperta al pubblico
dopo un riallestimento del 2006.
Si è cercato di mantenere l’idea di quelli che sono i nuclei fondanti della
collezione e al tempo stesso di presentare una visione organica e unitaria della
civiltà bizantina
Mentre la sala 113 è dedicata all’Egitto tardoantico e bizantino, le altre sale che
sono in successione sono intitolate “Costantinopoli e l’Impero Bizantino IV-XV
sec”, quindi l’ambito cronologico è quello storico che va dalla fondazione di
Costantinopoli alla conquista ottomana.
Le sale 114 e 115 espongono in particolare la scultura, mentre nella 110 ci
sono le arti minori e molto spazio è riservato agli avori.
Altre classi di manufatti sono più rare da trovare rappresentate in questo
museo, come gli argenti, ma vi sono anche un paio di icone a micromosaico
Molti studiosi russi dicono che questa collezione bizantina sia la più ampia e
organica fra tutte, infatti essa si è molto arricchita durante i decenni successivi,
ma a questo arricchimento non è corrisposta una grande valorizzazione. Fino a
circa il 2010 per vedere gli oggetti bizantini bisognava raggiungere le 2 sale al
secondo piano in cui era esposta solo una parte ridotta di questo ricchissimo
materiale
La sezione che ospita gli oggetti bizantini è quella dell’Arte Orientale, quindi
essi si trovano fra manufatti cinesi, giapponesi, islamici. È una scelta fatta negli
anni ‘30 che ancora si mantiene
Museo del Louvre, Parigi: possiede una ricca collezione di oggetti bizantini, i
primi entrarono al museo nel 1793 e si tratta di oggetti preziosi provenienti dai
tesori di S. Denis e Notre Dame.
Nel 1893 viene fondato il Dipartimento degli Oggetti D’Arte, dedicato a oggetti
di piccole dimensioni ed in esso confluiscono anche oggetti bizantini derivante
da acquisti e donazioni da collezioni private
Il problema del Louvre è che questo ricco materiale bizantino non trova una
collocazione fissa negli spazi del museo fino al 1938 e anche lì sempre in
coabitazione con il medioevo (oggetti carolingi o di epoca romanica).
Inoltre il Louvre ha 8 Dipartimenti (Pittura, Scultura ecc...) perciò molti
manufatti bizantini, dato che non esiste un dipartimento specifico, quando
giungono al museo affluiscono nei rispettivi dipartimenti e lì vengono esposti.
Quindi si ha una situazione di dispersione, bisogna cercare gli oggetti passando
da un’ala all’altra e da un piano all’altro
Dal 1981, quando è stato avviato il progetto del “Grand Louvre”, la maggior
parte degli oggetti bizantini è stata esposta al primo piano, nell’ala Richelieu, in
una sala del Dipartimento di Oggetti d’Arte. Molti materiali però, come calici e
pietre dure, seppur afferenti allo stesso dipartimento sono esposti nella
Galleria di Apollo che si trova da tutt’altra parte, nell’ala Denon.
Troviamo dei dipinti nel Dipartimento delle Pitture (sala 734) e troviamo gioielli
e smalti nella sezione delle Antichità Greche, Romane ed Etrusche al primo
piano ed al piano mezzanino.
Per vedere oggetti afferenti al mondo bizantino e copto bisogna invece andare
al mezzanino, nelle sale dedicate alle Antichità Egiziane, sezione delle sculture
(si trovano alcune delle poche sculture su marmo e non su pietra che possiede
il museo) e qualcosa si trova anche nella nuova sezione aperta nel 2012
dedicata all’arte dell’Oriente Mediterraneo dell’Impero Romano
British Museum, Londra: anche questa è una collezione ricca di arte bizantina,
soprattutto per argenti e gioielli dato che sono stati acquistati e donati molti
tesori
Una valorizzazione importante è avvenuta agli inizi del ‘900 quando Dalton è
diventato curatore del Dipartimento del Medioevo ed ha allestito una Christian
Room, ha pubblicato una guida dove descriveva tutti gli oggetti esposti ed
anche un catalogo delle antichità paleocristiane e bizantine (più corposo
poiché non tutto era stato esposto).
Nella Christian Room vi erano due tavoli espositori ed una ventina di vetrine a
parete, quindi gli oggetti esposti erano molti, organizzati con criterio in 3
sezioni e anche se il titolo era generico c’era una valorizzazione significativa che
riuniva per quanto possibile gli oggetti in un solo luogo
Quello che succede oggi però è molto diverso, c’è quasi una “cancellazione di
Bisanzio”.
Anche al British Museum le sale sono state riallestite tra il 2009 e il 2014. Al
primo piano si ha una sala (66) dedicata all’arte copta alla quale però non viene
prestata molta attenzione perché si tratta di un corridoio con delle panchine
che serve più come area di sosta per i visitatori dopo un lungo percorso. Ci
sono poi le sale 40 e 41, la seconda espone gli oggetti più antichi (IV-XII sec),
appartenenti ad una fase di grandi cambiamenti per l’Europa, viene data
grande importanza all’arte delle migrazioni nei secoli medievali. La prima sala
invece è dedicata al medioevo e procede per temi, ogni vetrina è dedicata ad
un tema (monasteri, reliquari ecc…).
In tutte e due le sale l’arte bizantina non ha quindi un’autonomia, la civiltà non
viene presentata come autonoma, ma concorre a creare un quadro d’insieme
Nella sala 40 appena si entra vi è una vetrina con pochissimi reperti esposti e
un’icona, poi gli oggetti bizantini vanno cercati fra gli altri.
Vetrina dedicata ai reliquari: ci sono tutti reliquari romanici e gotici di grandi
dimensioni che coprono la piccola croce bizantina in oro e smalto
I bizantinisti sanno che in questo museo gli oggetti bizantini ci sono, ma per i
visitatori comuni questi praticamente non esistono e ciò è strano perché anche
l’Inghilterra è stato un grande centro di studi bizantini. Questo è probabilmente
dovuto alla scelta di presentare il materiale con una suddivisione tematica e
non cronologicamente come negli altri musei (presentazione più omogenea e
chiara soprattutto per chi non conosce bene l’argomento)
Questa sezione non è stata resa molto accattivante, nonostante la carenza degli
elementi che era possibile esporre e le preclusioni ideologiche poteva essere
resa migliore.
Inoltre essa si intitola “Istanbul attraverso i secoli”, quindi non è specifica del
periodo bizantino, i materiali sono presenti, ma l’allestimento è estremamente
basilare e minimale (spesso i musei che hanno pochi materiali puntano su
soluzioni più scenografiche, qui ci vorrebbe la progettazione di un architetto
museografo e l’investimento in strumenti multimediali che possano ricostruire
il contesto di questi pezzi molto importanti)
Nel 1917 il figlio di Morgan regala 7.000 oggetti della collezione paterna al
Metropolitan e un anno dopo un’intera ala del museo viene dedicata a Morgan
(“Morgan Wing”). E qui, nella galleria 2, vengono esposti gli oggetti bizantini
La collezione del Met oggi è molto ricca, quella di Morgan è stata solo il punto
di partenza, nei decenni il museo ha fatto una politica di acquisti con la quale
ha cercato di rendere tale collezione meno settoriale e più onnicomprensiva
(acquisti di sculture ecc…).
L’inaugurazione dell’allestimento attuale è stata nel 2008, si compone di 4 sale,
la 302 dedicata all’Egitto bizantino è il nucleo, intorno ci sono due corridoi e
una sala (300,301,303) dove è esposta l’arte bizantina in successione
cronologica.
Le pareti sono chiare, la luce è molto curata, scende dall’alto nelle vetrine per
valorizzare gli argenti e gli avori.
Piatti di Cipro
Lezionario: molto raro da trovare, acquistato dai due coniugi che hanno curato
il riallestimento
Qui si da molta importanza all’Egitto copto e all’arte del periodo delle
migrazioni, a cui sono dedicate diverse vetrine all’inizio del percorso espositivo.
Nell’ultima sala si ricostruisce una iconostasi bizantina con le opere originali e
la forma semicircolare che ricorda una struttura absidale
Walters Art Museum, Baltimora: legato a Harry Walters che alla sua morte ha
donato la sua collezione di 22.000 pezzi ed il suo palazzo alla città e lì è stato
aperto un museo
L’allestimento odierno è stato aperto nel 2010, al terzo piano nella sezione
medioevo vi è un vano centrale ottagonale chiamato “Icons” dove sono esposti
manufatti medio e tardo bizantini assieme a opere d’arte russe ed etiopiche.
Questo perché Walters a differenza di Morgan aveva interesse per la pittura.
Gli oggetti bizantini sono anche nella sala dedicata all’arte paleobizantina, con
un grande spazio dedicato all’Egitto Copto
La collezione di arte bizantina nasce in modo preciso, essi volevano fare una
piccola e preziosa raccolta che ricordi i tesori raccolti dai sovrani e nelle
cattedrali, quindi con un’attenzione specifica per gli oggetti rari e di qualità.
Loro non sono interessati alla quantità, non hanno interesse a coprire tutta la
produzione bizantina, ma solo determinate sezioni.
Nel corso degli anni questa posizione è cambiata e la collezione si è arricchita,
colmando alcuni vuoti
Mura della città: insieme architettonico che a differenza della città antica si è
conservato per una notevole estensione, i 2/3.
Sono andati perduti la parte inferiore del lato est, vicino al Palazzo Imperiale; le
mura marittime, che sono state distrutte nel 1873 per ragioni igieniche dato
che si pensava che non permettessero un’adeguata circolazione e ricambio
dell’aria
Le mura più antiche non arrivavano fino al mare, la decisione di allargarle fino
a farle arrivare alla costa venne presa nel III sec (253-254) quando la zona
orientale dell’impero venne minacciata dall’invasione dei Goti.
La cinta muraria di questo periodo era più grande di quella antica solo in quel
punto però, per il resto ricalcava esattamente le mura più antiche.
Esistono ancora delle parti di queste mura: esse sono state realizzate con
materiale di reimpiego e nello spessore troviamo ancora interi elementi
sepolcrali che appartenevano alle necropoli
Le mura che vediamo oggi non sono quelle del III sec, sono state interamente
rifatte più tardi, in epoca bizantina tra fine IV e metà V sec.
La tecnica costruttiva di queste mura è la muratura alternata con uso di
mattoni e blocchetti di pietra di colore verde (pietra locale) abbastanza
irregolari, non tagliati perfettamente a parallelepipedo: è una caratteristica
tipica della tecnica edilizia di Tessalonica, ma in generale la muratura alternata
era adoperata nello stesso periodo anche nelle mura di Costantinopoli, anche
se in modo più regolare (blocchi di pietra ben squadrati).
Un’altra differenza tra le mura delle due città è che a Tessalonica lo spessore
interno e la parte esterna appaiono uguali, realizzati con lo stesso tipo di
materiali, mentre a Costantinopoli si hanno dei muri “a sacco”, con le due facce
esterne che presentano mattoni e la parte interna riempita di conglomerato
(malta liquida cementizia che veniva versata)
Le mura di Tessalonica non sono uguali in tutta la loro estensione: nella parte
est della cinta muraria troviamo delle torri quadrate, mentre dalla parte
opposta si hanno degli speroni triangolari. Questa differenza significa non che
le mura siano state realizzate in periodi diversi, ma che siano state realizzate
nello stesso momento da maestranze diverse che lavoravano
contemporaneamente in parti diverse della città. I materiali sono gli stessi e le
torri vengono usate nelle parti in salita delle mura, mentre nelle parti in
pianura vengono usati gli speroni (scelte diverse a seconda delle zone in cui le
mura si trovano)
- 2° parte: parte est (i lavori riprendono nella parte opposta della città).
Troviamo anche qui gli speroni triangolari, mentre le torri rettangolari
compaiono solo nel punto in cui le mura salgono e man mano si avvicinano alla
parte più alta di Teassalonica che è l’Acropoli.
Un’iscrizione ci permette di risalire alla datazione: “Hormìsdas che ha le mani
pulite munì questa grande città di mura inespugnabili”. Egli era probabilmente
il prefetto di Tessalonica negli anni 447-450 (ci permette di datare questa parte
delle mura alla metà del V sec).
Questa iscrizione si comprende bene a parte per l’espressione “ha la mani
pulite” che gli studiosi non sono riusciti ad interpretare. Il norvegese Torp ha
ipotizzato che Hormìsdas non fosse il prefetto di quegli anni, ma un
personaggio più antico dei tempi di Teodosio I quando ci fu la strage
nell’Ippodromo e questa espressione sarebbe la dichiarazione che lui non
c’entra nulla con quella strage. È però strano che un funzionario
dell’imperatore a quei tempi potesse prendere le distanze così da qualcosa che
l’imperatore aveva fatto, la spiegazione quindi deve essere un’altra
Nello stesso periodo venne costruita l’Acropoli Bizantina, zona fortificata che
serviva a proteggere la cima più alta che si trovava fuori dalle mura. Se questa
parte fosse stata lasciata priva di protezione sarebbe potuta essere una base
pericolosa dalla quale assediare la città.
Questa Acropoli è molto grande e allungata, quella della città antica invece era
molto più piccola e si trovava dentro le mura nella zona più bassa.
Infondo si ha anche una vera e propria fortezza, l’Eptapyrghion (in greco “sette
torri” perché è circondata da 7 grandi torri fortificate). Fino a qualche anno fa
era il carcere di Tessalonica, usato anche in epoca turca. Oggi invece è un luogo
visitabile
Iscrizione più antica nella zona del porto, sappiamo che qui venne restaurata
una torre al tempo di Marinos il protospatharios imperiale (= governatore
imperiale) nell’anno 6370 che nel calendario bizantino corrisponde all’anno
862 (IX sec – epoca dei Macedoni). L’iscrizione dice che quella torre fu
edificata, in realtà già esisteva e venne restaurata
Iscrizione nell’angolo delle mura tra città alta e Acropoli, nella torre
rettangolare di grandi dimensioni in cui nel 1167 fu fatto un restauro. È
un’iscrizione fatta in mattoni che dice che il restauro venne fatto in quell’anno
dal megas chartoularios (= alto funzionario del fisco) Andronico Lapardàs e dal
suo collaboratore (qui chiamato “servo”, ma non era inteso nel senso di
schiavo) Michele Prosouch. Siamo nel XII sec, epoca dei Comneni.
Nei restauri ci sono degli elementi che si mantengono costanti nei secoli, ad
esempio sopra l’iscrizione vediamo una croce di mattoni dentro una nicchia a
forma di arco
L’edificio rotondo è alto circa 30m e il diametro della cupola è 25m, è costruito
tutto in pietra e mattoni con la tipica muratura alternata usata dal tempo di
Galerio al tempo di Teodosio II. Alcune parti sono fatte interamente in laterizi,
le volte e la cupola, per renderle più leggere
Ci sono 2 livelli di copertura, il cerchio più basso ha un tetto circolare che copre
la zona delle nicchie, il tetto più alto copre la cupola centrale
La parte alta della cupola ha i segni di molti restauri, è la parte più fragile in
caso di terremoti (come quelli del VII sec)
Trasformazione in chiesa:
- nella nicchia a est viene realizzato un grande bema che termina con un abside
semicircolare aperto da finestre
- viene aperta una porta nel lato occidentale
- le nicchie vengono aperte e diventano archi di passaggio che portano ad un
deambulatorio circolare, l’edificio viene quindi allargato
1. Della parte più alta rimane solo un pezzo dell’aureola a fondo dorato, la
mano alzata e la parte più alta della croce tenuta in mano da Cristo. Sappiamo
che era una figura in piedi perché si conserva uno schizzo preparatorio di
colore nero preparato dai mosaicisti che mostra tale figura con un mantello
svolazzante. Era inserita in un cerchio con una cornice divisa in 3 parti,
dall’interno all’esterno: cerchio blu con stelle d’oro, ghirlanda con foglie fiori e
frutti, arcobaleno (fa capire che ci si trova in cielo, nella zona ultraterrena).
I 4 angeli con le braccia alzate e le ali aperte fungevano da cariatidi. Oltre a loro
nella parte esterna del cerchio si ha un uccello con il collo dal colore cangiante,
con un’aureola rossa e raggi luminosi: è la fenice, uccello che secondo la
mitologia antica quando muore risorge dalle sue ceneri e quindi simbolo
dell’eternità (testa messa molto vicina a quella di Cristo, sottolinea la natura
divina). È un tema iconografico di origine pagana, quindi in questo programma
cristiano esso viene riutilizzato e funzionalizzato
2. Quasi completamente perduto, restano parti del prato verde, parte bassa
delle vesti e piedi delle figure. Essi erano muniti di calzari, le figure erano
rappresentate in movimento (posizione sbilanciata da una parte), oltre al prato
si vedono delle ombre grigie proiettate sul terreno e quindi esse erano
rappresentate nello spazio in maniera molto naturalistica
Chi sono queste figure? Qui si pone uno dei problemi più discussi dei mosaici di
Tessalonica che ancora non è stato risolto in maniera definitiva.
Le figure sono accompagnate da iscrizioni che indicano il nome dei personaggi,
la loro qualifica (soldati o ecclesiastici) e poi si ha l’indicazione di un mese
dell’anno. Potrebbero essere santi dai nomi molto rari ed il mese è quello della
loro ricorrenza, ma sono rappresentati senza aureola e davanti al loro nome
non c’è scritto “santo”
In generale questo tipo di decorazione della cupola su 3 livelli era molto diffuso
nel V sec → Battistero Neoniano, Ravenna, 458: al centro scena del battesimo,
figure dei 12 apostoli in movimento sul prato, aniconico con troni e altari
C’è anche però chi sostiene che prima sia stato trasformato in chiesa e più tardi
decorato (ipotesi di Kirtzinger e di coloro che ritengono che la decorazione sia
stata fatta a metà del V sec).
In particolare Kirtzinger suggerisce un confronto stilistico tra le figure oranti e
le statue dei Magistrati di Afrodisia: ci sono elementi di affinità nonostante la
tecnica totalmente differente (queste statue essendo pensate per essere poste
in una nicchia hanno pochissimo spessore e non sono lavorate dietro e di lato).
Entrambe hanno un panneggio molto geometrico, tendenza all’astratto, ma al
tempo stesso i visi mostrano un forte interesse naturalistico per la figura
umana (visi rotondi, capigliature mosse a ricci, sono tutti diversi l’uno dall’altro
e quindi si ricerca individualità in quelli che sono veri e propri ritratti). Sono
state quindi concepite nello stile dualistico tipico dell’età teodosiana che è
un’epoca di passaggio
Il valore di questi marmi era segnato da alcuni editti come l’Edictum de Pretiis
rerum venalium che stabiliva un calmiere di prezzi per tutti i prodotti
merceologici, tra cui i marmi.
In queste liste troviamo i marmi ordinati a seconda del prezzo: il primo è il
Porfido, il più costoso, era il marmo imperiale però poteva essere anche
venduto (anche i pirati se avevano disponibilità economica potevano
acquistarlo).
Il costo era determinato dalla qualità del marmo, ma anche dalle difficoltà di
approvvigionamento (più il marmo era distante dalle vie di comunicazione
marittime, maggiore era il prezzo)
Il Porfido rosso veniva ricavato dal Mons Porphyrites, nel deserto dell’Egitto, a
20km dal mar Rosso ed era quindi complesso farlo arrivare.
Un marmo più facile da ottenere era invece quello bianco di Thasos, la cui cava
era vicina alle coste.
Vi sono anche altre cave più vicine al mare, ma comunque in zone montagnose
come quella di Karystos dove si estrae quella del marmo chiamato “cipollino”
(cava abbandonata ad un certo punto; marmo usato per il tempio di Antonino
e Faustina a Roma)
I relitti dell’età più antica, V e Vi sec, sono abbastanza pochi rispetto al novero
complessivo, ma comunque significativi. Alcuni sono stati studiati solo
sommariamente, per poco tempo o senza possibilità di scavo
Relitto di Altinkum: si può collocare cronologicamente in questo periodo, ma
l’entità del carico e la sua omogeneità non si può definire
Relitto di Ekinik: molto vicino all’isola di Mugla (si pronuncia magla), quindi la
nave è affondata subito dopo la partenza, abbiamo delle colonne con dei
collarini sulle estremità che erano elementi che poi dovevano essere rifiniti e
che servivano a sollevare meglio le colonne con delle funi
Relitto di Amrit, Libano: nave affondata nel porto da cui sono stati recuperati
una ventina di capitelli e basi completamente rifiniti e non in lavorazione. Ciò
mostra come cambi il sistema di produzione del marmo nel passaggio da età
romana a età bizantina, i marmi partivano con un grado di lavorazione
avanzato o anche ultimato
Relitto di Marzamemi: nella zona vi sono anche altri relitti (il Marzamemi 1 ad
esempio portava marmi di II-III sec).
Esso è stato studiato a fondo e vi sono stati ritrovati materiali di vario tipo
accatastati oggi nella latomìa tra cui colonne, capitelli, basi, lastre per
recinzioni presbiteriali, elementi costitutivi di un ambone
Gerahard Kapitan e Honor Frost sono due pionieri della subacquea, negli anni
‘50 e ‘60 del ‘900 furono molto attivi in Sicilia e dettarono anche tecniche di
scavo archeologico subacqueo piuttosto evoluto, con documentazione grafica e
fotografica di ciò che viene ritrovato.
Kapitan insieme a Pier Nicola Gargallo su indicazione di alcuni pescatori iniziò a
sondare i fondali nella zona di Marzamemi dal 1960 al 1967.
Frost fu un’altra archeologa subacquea importante a cui si devono molti
ritrovamenti tra cui la nave punica di Marsala che partecipò alla battaglia delle
Egadi nell’851 a.C., ora ricomposta
I materiali dal punto di vista della provenienza dei marmi si dividono in due
gruppi:
- elementi strutturali di marmo del Proconneso
- ambone di un altro tipo di marmo
32m
Lezione 4 (13 ottobre 2021)
Gli studiosi greci che hanno diretto i restauri dei mosaici della rotonda nel
2011, Bakirtis e Mastòra, hanno ritenuto che tali mosaici (e non l’architettura)
potessero essere stati realizzati per la maggior parte al tempo di Costantino.
Solo le nicchie al pian terreno sarebbero state fatte al tempo di Teodosio I
quando la rotonda venne trasformata in chiesa e le nicchie vennero aperte per
creare il deambulatorio
L’iconografia di questi edifici però non ha nulla a che vedere con quella di
Tessalonica, l’unico elemento comune è la cupola decorata a mosaico
organizzata a cerchi concentrici
Le tessere di vetro non venivano lavorate una per una dato che il vetro doveva
essere cotto nella fornace. Venivano cotte delle lastre molto grandi, di solito
rotonde (chiamate lingue o pizze).
S. Marco, Venezia: pizza ritrovata sotto il pavimento
Duomo di Monreale: pizza ritrovata a 30m da terra in una nicchia che poi è
stata coperta con il mosaico.
Queste quindi non venivano divise in tessere singole necessariamente a terra,
il mosaicista con lo scalpello le tagliava qualche volta a seconda della forma
che gli serviva.
La maggior parte però venivano tagliate a terra e venivano frammentate
facendo vari mucchietti di colori diversi, sono stati fatti i conteggi dei colori
(Chiesa di S. Sofia a Kiev, decorata da mosaicisti bizantini: sono state ritrovate
177 sfumature di colore)
Le tessere d’oro e d’argento dato che costavano molto dovevano essere usate
in maniera economica tenendo conto del punto di vista dell’osservatore, i
mosaicisti quindi ragionavano su dove si trovava chi avrebbe guardato il
mosaico per disporle in un certo modo.
Lunetta sopra la porta di S. Sofia: ha un fondo oro che guardato dal basso
sembra un normale fondo oro. Si trova a 11m di altezza, quindi si vede dal
basso in alto e questo il mosaicista lo sapeva per cui le tessere d’oro sono state
poste in file molto larghe e non attaccate fra loro, per risparmiare (una fila si e
una fila no) ed esse inoltre sono inclinate verso il basso per non far accorgere
di nulla sfruttando la metà della superficie
Qual è il procedimento?
Muro dell’edificio → sopra il muro il mosaicista realizza 3 strati prima di inserire
le tessere:
1. Arriccio: calce e paglia triturata (stessa preparazione anche per le pitture
murali + chiodi di metallo che servono a fissare lo strato al muro per evitare
che si stacchi. A volte troviamo questi chiodi arrugginiti dai secoli, la ruggine fa
aumentare il volume delle superfici e questo è il motivo per cui certi mosaici
vengono spinti e si rovinano. Durante i restauri bisogna staccare il mosaico,
togliere i chiodi e sostituirli con quelli di un materiale che non si altera con il
tempo.
La paglia viene messa perché le sue fibre rendono l’intonaco più elastico, meno
rigido
2. stessi materiali, ma più fine
3. calce e polvere di marmi, molto sottile: in questo strato quando è ancora
fresco si mettono le tessere e quando si asciuga vi restano incastrate.
Mentre i primi due vengono messi tutti insieme e coprono subito tutta la
parete, il terzo viene messo a pezzi in cui si mettono le tessere o si dipinge
quando è ancora fresco. Alla fine della giornata di lavoro l’intonaco fresco che
eventualmente non è stato utilizzato viene eliminato. Ogni pezzo si chiama
giornata e osservando un’opera da vicino si possono distinguere i contorni di
essi, stabilendo così in quanto tempo è stata realizzata
Le tessere non sono tutte uguali di dimensione, si basano sul tipo di disegno
che si sta realizzando, inoltre non sono inserite tutte allo stesso modo, hanno
delle inclinazioni diverse a seconda degli effetti luminosi che il mosaicista vuole
ottenere
La più credibile è la prima poiché combacia con altri elementi di carattere sia
storico artistico che archeologico:
- capitelli e colonne sono tutti uguali, fatti con il marmo di Proconneso e sono
databili intorno al 460-470
- i mattoni con cui è costruita la basilica hanno dei bolli che contengono alcune
lettere dell’alfabeto che significano “primo anno dell’indizione”. L’indizione è
un periodo di 15 anni che si comincia a contare dall’anno 4-3 a.C. e fa parte del
calendario romano. La prima indizione va quindi fino al 15 d.C.
L’indizione che corrisponde all’epoca della basilica è quella che inizia nell’anno
447-448, quindi i mattoni sono stati realizzati in quel periodo e la datazione più
corretta è la prima
Confrontando questa basilica con una di Costantinopoli dello stesso periodo (S.
Giovanni di Studios) ci accorgiamo che le architetture delle due città hanno
caratteri diversi:
- forma dell’abside (T: grandi e semicircolare sia dentro che fuori; C: poligonale
all’esterno e semicircolare all’interno)
- nelle basiliche di Costantinopoli la lunghezza delle navate è quasi uguale alla
larghezza; a Tessalonica si sviluppano in lunghezza in modo molto accentuato
- sistemazione interna dello spazio: a Tessalonica tra la navata centrale e quelle
laterali vi era una recinzione, non comunicavano; a Costantinopoli questa
separazione non esiste
Ci sono alcuni punti dell’edificio in cui sono integrati dei materiali più preziosi: il
Trìbelon, le tre arcate che fanno da ingresso alla navata centrale dal nartece,
l’entrata più importante di tutta la chiesa presenta due colonne di marmo
verde di Tessaglia, marmo molto costoso.
L’architetto della chiesa ed il committente volevano mettere in evidenza questo
ingresso mediante la preziosità del materiale ed il colore
L’edificio è molto luminoso, vi sono due piani di finestre, una fila continua di
finestre al pianterreno e delle finestre a trifora nei matronei che formano quasi
un’apertura unica
Attualmente la basilica ha il tetto più basso perché all’epoca dei terremoti del
VII sec il tetto originario è crollato e anche la fila più alta di finestre che prima
c’era è andata perduta. A quell’epoca non c’erano molte risorse finanziarie per
fare restauri perciò il tetto è stato ricostruito nel punto del crollo, senza
ripristinare la parte mancante della parete.
La stessa cosa è avvenuta nel nartece che prima aveva anch’esso 2 piani.
Anche nella zona dell’abside abbiamo tracce del crollo, vi sono le basi di alcune
colonne, in origine vi era una polifora con 5 archi sostenuti da colonne di
marmo, dopo il terremoto l’abside è stata rifatta in modo diverso con solo 3
finestre sostenute da pilastri in muratura
Vi è una gerarchia nella distribuzione del marmo all’interno della chiesa, il più
pregiato si trova nella parte più importante della chiesa, mentre negli spazi
secondari si è usato un marmo meno pregiato
Anche la forma dei capitelli cambia tra i due spazi, nei matronei non si ha la
forma ad acanto finemente dentellato (troppo costoso il lavoro per l’intera
chiesa), si hanno capitelli più geometrici “a imposta” (deriva dalla fusione tra
capitello ionico e pulvino che diventano un unico blocco – invenzione della
seconda metà del V sec, ci sono anche a S. Giovanni di Studios). La superficie è
liscia per la maggior parte, lavorata solo al centro e si ha una croce sul pulvino
Museo Bizantino e Cristiano, Atene: è il più antico, fondato nel 1914, però
aperto effettivamente nel 1930 all’interno di una villa di metà ‘800 (Villa Ilissia).
Nel 1999 è stato avviato un progetto di riordino che lo ha cambiato
profondamente ed ha ampliato gli spazi espositivi, concludendosi nel 2010
Allestimento originario: è rimasto così dall’apertura fino alla fine del secolo,
con piccoli mutamenti
Il riordino è stato deciso nel 1999, non è un caso che sia stato deciso 2 anni
dopo l’apertura del museo di Tessalonica, perché a detta del nuovo direttore il
museo di Atene era ancora legato a un’idea museografica vecchia e visitato
solo una volta l’anno dagli studenti delle scuole oppure dagli studiosi del
mondo bizantino. Egli invece voleva che diventasse un punto di riferimento per
tutti i tipi di visitatori e perciò avvia il progetto di ampliamento degli spazi
espositivi, ma anche di cambiamento della filosofia del museo che assume
caratteristiche diverse (non puntare solo sui singoli oggetti, ma anche sulla
contestualizzazione)
Museo della Civiltà Bizantina, Salonicco: fondato nel 1993, sale aperte
progressivamente tra il 1997 e il 2004. Mentre i lavori erano ancora in corso,
nel 1994, è stata allestita la mostra intitolata “Tesori bizantini di Tessalonica: il
viaggio di ritorno” con tutti quei manufatti che fino a quel momento erano
conservati nel museo di Atene, pur appartenendo alla città
Tessalonica nel 1913 era stata la prima città scelta per la creazione del museo
bizantino, ma per ragioni varie è stata poi scelta Atene
Inoltre questo museo si apre all’Europa, nel 1981 la Grecia era entrata a far
parte della Comunità Europea pochi anni dopo la fine della dittatura.
Questo museo non si considera solo come parte dell’identità nazionale quindi,
ma come parte del patrimonio europeo (vi sono spazi dedicati al mondo post-
bizantino e ai legami con l’Europa).
Questo avrà influenza anche sulla nuova impostazione del museo di Atene
A: seconda sezione dedicata al mondo bizantino, divisa in vari temi, fino alla
caduta di Costantinopoli
T: questa parte viene svolta nelle sale 4-5-6-7
In questo museo ci sono molte scale, si scende e si risale più volte durante il
percorso, il dinamismo sta nel poter vedere le cose da più punti di vista, o dal
livello più alto o dal basso.
Nel piano superiore si può sfruttare anche la luce naturale, mentre sotto vi è
solo quella artificiale
A Tessalonica le sale 1,2,3 sono molto estese e hanno i soffitti molto alti
(sfruttamento delle pareti per poster e vetrine incassate). Si vuole ricostruire la
vita di una grande città nei secoli di passaggio, una vita varia fatta da tanti
aspetti.
Il centro della sala 2 è occupato dal grande mosaico pavimentale che rimanda a
una ricca dimora dell’epoca, la cui suggestione è enfatizzata anche dagli
affreschi staccati e collocati sulle pareti riproducenti una decorazione in falso
opus sectile parietale.
C’è molta varietà nella produzione, qui si presta attenzione all’aspetto
economico e commerciale che non viene considerato ad Atene.
Ci sono vetrine con oggetti in ceramica da tavola, ornati personali (gioielli e
tessuti).
Per come è organizzata la sala ci si può muovere liberamente
Ad Atene al filone della chiesa (intesa come edificio a tre navate con
quadriportico a cui sono connesse colonne, capitelli, trabeazione, recinzione) è
dedicata la terza unità.
Si è scelto di ricostruire una chiesa del V sec scavata in un’isola greca nel 1917
da cui proviene il pavimento musivo. Sono state innalzate le colonne e collocati
i capitelli (provenienti da varie chiese) in modo da simulare colonnato e
trabeazione. Sulla parete si ha la grafica della chiesa, non si tratta di una chiesa
di Atene però, ma di S. Vitale a Ravenna, esempio per eccellenza delle
architetture sacre bizantine. Essa viene conclusa da un’ abside con la
recinzione e anche se la chiesa raffigurata nelle foto non è greca si riesce a
contestualizzare e rendere comprensibile anche al visitatore meno specialista il
materiale.
In una vetrina ci sono oggetti liturgici, soprattutto croci e lampade in bronzo
Poi con delle scale si scende e vi è una sezione dedicata alla cristianizzazione
del Partenone, tema significativo per Atene che introduce al tema che si può
ampliare a tutto il mondo antico ovvero la cristianizzazione degli edifici pagani.
È più grafica e descrittiva piuttosto che basata sugli oggetti, anche perché la
chiesa costruita nel Partenone è stata completamente smantellata durante i
restauri (hanno tolto tutte le aggiunte fatte nei secoli successivi al tempio)
Motivi decorativi:
- candelabre vegetali arricchite dal motivo della croce: vaso alla base da cui
escono motivi vegetali che formano il classico motivo della candelabra che
culmina nella croce
- sottarchi del Tribelon: presentano la croce anch’essi, al centro vi è una grande
croce d’oro che emana dei raggi che attraversano una sfera luminosa azzurra, il
cerchio è diviso in 3 fasce di tre sfumature di azzurro (allusione al dogma della
trinità: le 3 persone della trinità sono simboleggiate dalla luce divina). A destra
e a sinistra vi è una candelabra vegetale con foglie e fiori combinate con spighe
con all’interno un uccello (grande fantasia).
I colori sono molto raffinati, vi sono sfumature intermedie ricercate, i colori
usati sono pastello e vanno dal rosso, al turchese e al giallo oro
Questo sottarco al centro del Tribelon è quello nel quale è stata ritrovata alla
base un’iscrizione scritta con tessere d’argento su fondo rosso: oggi non si vede
molto bene perché se nel corso del tempo si stacca la parte di vetro le tessere
d’oro mantengono la colorazione, mentre l’argento si ossida e diventa grigio,
però abbiamo un acquerello che ci mostra com’era (è l’iscrizione in cui si cita il
committente, ovvero “l’umile Andrea”)
I mosaici del Tribelon sono più ricchi degli altri, presentano dei motivi in più:
- libro chiuso: ha a che fare con la parola, quindi il Verbo che è Cristo
- pesce al centro di una sorta di calice: il pesce è un simbolo Cristologico
perché in greco la parola pesce è l’acronimo delle iniziali di “Gesù Cristo Figlio
Di Dio”
Il simbolismo cristiano qui è molto ricco e anche didattico, si vogliono spiegare
i concetti della dottrina cristiana. Avviene proprio in questo punto della chiesa
perché il nartece era il luogo dell’iniziazione cristiana: gli aspiranti cristiani non
ancora battezzati (catecumeni) non potevano assistere alla liturgia dentro la
chiesa, perciò stavano fuori, nello spazio prima dell’ingresso alla navata. Essi si
trovavano nella fase in cui stavano apprendendo i principi e alzando gli occhi
vedevano questi simboli che gli erano indicati dai sacerdoti che li
indottrinavano
Sottarchi della galleria sud, quella verso la via Regia (la galleria nord ha perduto
completamente i mosaici dei sottarchi): non si può dire se i mosaici fossero
accoppiati come al piano sottostante, i motivi sono più semplici e uniformi,
compaiono talvolta croci al centro o stelle a 8 punte, ma i motivi decorativi si
limitano a festoni di fiori e frutta e tralci che escono da cantari o ceste.
Questo tema è diffuso in tutto il Mediterraneo nel V sec (Mausoleo di Galla
Placidia, Ravenna; Sacello di Santa Matrona, S. Prisco – Capua)
Anche i mosaici dell’abside sono andati perduti, quindi non sappiamo quale
tema contenesse
Chiesa di Hosios David: si trova nella parte della città più vicina all’acropoli di
Tessalonica.
È celebre per il suo mosaico absidale che è il più antico che si sia conservato
nella zona orientale.
Il catino absidale presenta un tema iconografico complesso e molto raro che si
può definire una Teofania (apparizione divina) o Maiestas Domini (maestà
divina), due espressioni che si possono considerare sinonime.
Questo mosaico è rimasto sconosciuto fino al 1923 quando venne recuperato
al di sotto dell’intonaco che lo aveva nascosto quando in epoca ottomana la
chiesa era diventata una moschea
Una fonte a riguardo è la “Narrazione” del monaco Ignazio (IX sec) proveniente
da un monastero diverso, ma sempre di Tessalonica. Egli parla proprio
dell’oratorio e oltre a descrivere la chiesa descrive anche il mosaico. Inoltre
dice che questo oratorio anticamente era dedicato al profeta Zaccaria e che poi
venne intitolato a Cristo Salvatore “del latomo”, probabilmente colui che dava il
nome al monastero.
Egli parla anche delle origini della chiesa e del mosaico in un racconto
leggendario che però ha un fondo di verità.
1° fase, prima dell’iconoclastia: la fondazione del monastero si deve a Teodora,
figlia dell’imperatore pagano Massimiano che si era segretamente convertita al
cristianesimo. Massimiano aveva fatto costruire per la figlia delle terme private
nella parte alta di Tessalonica e lei di nascosto aveva deciso di trasformare una
delle sale in una cappella. Aveva poi ordinato a un mosaicista di realizzare nel
catino della cappella una composizione con al centro la Vergine Maria.
Il mosaicista stava lavorando e l’ultimo giorno quando era andato a dare gli
ultimi ritocchi trovò nel catino una composizione diversa, con la figura di Cristo,
un’immagine miracolosa non fatta da mano umana che aveva sostituito quella
da lui realizzata. La figura di Cristo compariva su una nuvola luminosa con agli
angoli quattro esseri con le ali e con dei libri in mano.
Quando Teodora viene a sapere ciò lo considera un miracolo e allora ha paura
che il mosaico venisse scoperto da qualcuno della corte pagana e distrutto.
Quindi per salvarlo lo fa rivestire di uno strato di cuoio che garantisce la
conservazione, fa poi costruire un muro di mattoni e sopra fa mettere
dell’intonaco. Dopo questa operazione Teodora viene scoperta dal padre come
cristiana e dato che si rifiuta di abiurare viene condannata a morte. L’edificio
delle terme viene incendiato e rimane come una rovina, ma la parete del
mosaico si salva.
2° fase, dopo l’iconoclastia: c’era un monaco in Egitto che aveva ricevuto dal
Signore la promessa di una visione, gli sarebbe apparso però a Tessalonica
perciò questo monaco parte e giunge al monastero del Latomos. Un giorno sta
pregando in una cappella del monastero, quella dove anticamente c’era il
mosaico, e un terremoto fa crollare gli strati che coprivano il mosaico, così
davanti ai suoi occhi durante la violenta scossa si schiude la visione della
Teofania rappresentata ed il monaco muore, perché la visione che gli era stata
promessa ci sarebbe stata poco prima della sua morte.
E proprio nel momento in cui torna alla luce questo mosaico la cappella cambia
intitolazione
La verità in questo mito leggendario sta nel fatto che anche questo edificio
religioso nasce su un complesso termale come era consueto a Tessalonica e
che questo mosaico è molto antico, risalente a prima dell’iconoclastia e
sopravvissuto alle distruzioni di epoca iconoclasta
Alla base del mosaico vi è un corso d’acqua popolato di pesci e un vecchio con
barba e capelli lunghi che nuota realizzato a monocromo azzurro come l’acqua
ed è la personificazione del fiume .
Al centro di questo specchio d’acqua vi è una collinetta da cui vengono fuori 4
sorgenti, sono i 4 fiumi del paradiso
Si insiste molto sulle parole “casa” (in riferimento alla cappella) e “fonte” (forse
una fonte miracolosa, ma negli scavi non sono state ritrovate condutture
d’acqua.
Il voto è il mosaico e “colei” è la committente, ma non dice il suo nome perché
era considerato un atto di vanità
- Ezechiele e Abacuc a destra → egli viene considerato perché nella sua visione
si dice che Dio appaia in mezzo a due viventi
- S. Paolo a sinistra e S. Pietro a destra, ma essi hanno a che fare con altri temi
e non con la Teofania
L’iconografia del mosaico è molto rara, ma si collega a degli affreschi dell’Egitto
bizantino. L’affresco è stato staccato da una cappella del monastero di Apollo a
Bawit ed è del VI-VII sec (successivo rispetto al mosaico).
È diviso in 2 livelli:
- parte inferiore con Vergine in trono con il bambino, gli apostoli e i santi
- Teofania con fondo azzurro
Ai lati ci sono due figure, due angeli rappresentati in una posa di adorazione e
intercessione (pregano per l’umanità)
In Egitto questo tema iconografico va avanti per molti secoli e ciò significa che
doveva essere stato concepito lì per la prima volta, anche perché nell’impero
bizantino c’è solo a Tessalonica. Questo tema che ritroviamo nei monasteri
copti riprendeva un monumento famoso e si trovava ad Alessandria d’Egitto, la
città più importante di quel territorio, un centro importante nella storia del
cristianesimo dove vi erano molte basiliche. Ma l’Egitto è stato invaso presto
dagli Arabi (VI sec), quindi i monumenti cristiani sono spariti. Forse questo
tema era stato creato in una delle chiese che non esistono più e poi riprodotto
Per la datazione sono state fatte 3 ipotesi diverse sulla base dello stile:
- seconda metà del V sec
- passaggio tra V e VI sec
- metà del VI sec
Le fonti storiche che ci parlano di S. Demetrio sono però un po’ confuse, quindi
non è sicuro che sia avvenuto tutto ciò, perché secondo alcuni testi egli
sarebbe originario della città di Sirmium, capitale della prefettura dell’Illirico.
Secondo alcuni studiosi il santo ed il suo culto sono stati trasferiti a Tessalonica
nel momento in cui è stato trasferito il titolo di capitale della prefettura a causa
dell’invasione unna della città
Una delle iconografie più diffuse è quella che lo vede vestito da guerriero
Il luogo più antico del culto di S. Demetrio all’interno della basilica non si trova
nella cripta, ma a 2/3 circa della navata centrale dove si trovava un ciborio
esagonale coperta da un tetto piramidale. Sappiamo che esso si trovava
proprio lì perché quando la basilica viene distrutta dall’incendio sotto il
pavimento gli archeologi hanno trovato le fondazioni di questo piccolo edificio
Il rituale del Miron si colloca in una sala semicircolare e quadrata che si trova
nell’angolo nord-ovest della basilica, perché nel periodo medio-bizantino si
pensava che fosse la sala delle terme in cui il santo sarebbe stato martirizzato
(infatti non fa parte della basilica). Il culto del santo quindi si sposta dal ciborio
a questa sala, forse qui vi era un sarcofago e attraverso una conduttura veniva
fuori il Miron
I dittici non venivano prodotti solo per la nomina dei consoli, ma anche per la
nomina di funzionari di un certo tipo e per gli imperatori.
Agli imperatori competevano le opere più complesse, come l’Avorio Barberini
(di Giustiniano) che faceva parte dei cosiddetti “avori delle 5 parti”: dittici in cui
ognuno dei due sportelli presentava 5 tavolette incastrate fra loro per renderlo
più grande.
Questo avorio doveva essere originariamente simile al dittico sacro conservato
nel Museo del Duomo di Milano.
Nell’Avorio Barberini la scena inferiore è una scena di offerta di zanne di
elefante, i personaggi vestiti con abiti esotici fanno la donazione e vi è anche
un elefantino che barrisce in modo gioioso verso Giustiniano.
Dopo questa grande produzione nei primi secoli abbiamo una drastica
riduzione. Fino al VI sec le reti commerciali permettevano di far arrivare
facilmente questa materia prima, ma nel VII sec con l’invasione araba del
Mediterraneo queste vie si interrompono
Nei secoli VII e VIII si continuano a produrre avori probabilmente solo in Siria,
Palestina ed Egitto. Proprio ad una di queste regioni si può attribuire un gruppo
di avori molto importante, una serie di tavolette facenti parte della Cattedra di
Grado. Era un oggetto di grandi dimensioni di cui noi conosciamo solo alcuni
pezzi e che illustra storie relative a S. Marco evangelista, colui che fondò la
chiesa cristiana di Alessandria e dell’Egitto
Nel periodo più antico si ha una pluralità di centri di produzione, l’avorio viene
lavorato a Costantinopoli, Alessandria, Ravenna; nel periodo successivo invece
le botteghe sono concentrate esclusivamente a Costantinopoli. Lì erano attive
soprattutto officine private con un numero ridotto di artigiani, piuttosto che
officine imperiali di grandi dimensioni (per l’avorio non abbiamo nessuna
testimonianza di questo genere)
Il resto della decorazione si svolge sul coperchio, sui 4 lati, e poi prosegue su
tutte e 4 le pareti laterali del cofanetto. Il soggetto sono gli eventi della vita di
Davide, come cacciatore, come guerriero, quando viene unto e quando viene
incoronato come re d’Israele. Davide è per i bizantini importante poiché
l’imperatore si ispira proprio a lui.
Le figure sono massicce e riprendono i modelli dell’arte classica, ma ancora
non hanno uno stile raffinato.
Gli studiosi hanno notato che lo stile delle figure ricorda quello delle miniature
del codice con le omelie di Gregorio Nazianzeno realizzato per Basilio I:
struttura della narrazione a registri sovrapposte con figure squadrate
Dal punto di vista tecnico questo artigiano ha lavorato l’avorio con un taglio
obliquo, con un “sottosquadro” molto forte: è riuscito a distaccare le figure dal
piano di fondo. Questa lavorazione è stata resa possibile dal grande spessore
(8cm circa) delle tavolette di avorio, cosa che le rende anche molto preziose
poiché solitamente si lavora su uno spessore molto piccolo e le tavolette sono
usate come copertura di strutture in legno. In questo caso invece la cassettina
è interamente in avorio
Si possono notare anche i resti della colorazione, nei panneggi si vedono tracce
di giallo e le bocche hanno all’interno dei pigmenti rossi
Questi erano gli avori profani, imperiali, ma la parte più cospicua della
produzione di avori mediobizantina era costituita dagli avori religiosi, realizzati
per soddisfare le richieste di culto sia per la liturgia pubblica che per il culto
privato (le persone più ricche usavano questi oggetti nella devozione privata,
quindi non si trovavano per forza dentro le chiese alla vista dei fedeli)
Non vi erano solo trittici con immagini iconiche, essi potevano avere anche
immagini narrative → Trittico conservato al Louvre: sportelli con scene
evangeliche (la natività, l’entrata a Gerusalemme, l’ascensione di Cristo divisa
su due livelli con Maria affiancata da due angeli e in basso gli apostoli)
Tra questi trittici ce ne sono 3 che formano un gruppo omogeneo: i trittici
devozionali. Sono tutti di committenza imperiale e per uso personale, le
dimensioni non sono molto grandi (30cmx25cm, i pannelli di avorio non
potevano superare una certa dimensione a causa della dimensione della
zanna). Sono stati realizzati tra metà e fine X sec. Il più antico di questi è quello
di Palazzo Venezia.
Nella faccia anteriore si ha la scena della deesis: Cristo tra Giovanni Battista e
Maria entrambi nel gesto dell’intercessione. È una “deesis allargata” perché
attorno al nucleo centrale si uniscono tutte le figure di santi che si trovano in
basso e sugli sportelli laterali.
Vi è anche una parte posteriore: qui l’elemento centrale non è un’immagine,
ma una croce su fondo liscio
Gli autori bizantini non dicono dove e come fossero adoperati o esposti questi
trittici: per le dimensioni e la preziosità intuiamo che si trovassero nelle
cappelle delle residenze private degli aristocratici, ai fini del culto privato.
Questi si potevano anche chiudere e custodire dentro custodie di stoffa
preziosa, per poi trasportarli.
Ad esempio, quando gli imperatori andavano in guerra portavano delle tende
che divenivano vere e proprie cappelle montate sul campo di battaglia con
all’interno un altare, reliquari, oggetti di arredo liturgico
Queste opere non erano quindi viste da lontano, ma da molto vicino: quindi
erano lavorate in una maniera estremamente raffinata e virtuosistica, nei
dettagli
Gli avori erano lavorati su tavolette di un certo spessore che però venivano
svuotate, quindi il fondo arrivava ad essere spesso pochi millimetri.
All’interno di una cappella, circondato dalla luce artificiale delle candele si
creava un effetto di trasparenza che faceva cambiare la percezione dell’opera:
le figure si staccano dal fondo e sembrano quasi a tutto tondo, la scena diventa
più suggestiva
I trittici quando erano aperti potevano essere visti sia dalla parte anteriore che
da quella posteriore poiché erano lavorati perfettamente da entrambi i lati.
Il fatto che il lato posteriore fosse altrettanto importante lo fanno capire i
trittici dei Musei Vaticani e quello di Parigi: nello sportello centrale non vi è una
semplice croce.
Nel primo la croce è fogliata, alla base viene fuori un tralcio e all’interno dei
girali di esso vi sono degli animali; inoltre è una croce gemmata che ha un
valore trionfale, non è lo strumento del supplizio, ed il fatto che vi siano questi
elementi naturali la fanno diventare simbolo di rinascita.
Vi è anche un animale esotico ripetuto più volte: è la fenice cinese (feng
huang), conosciuta a Bisanzio per via dell’arrivo di stoffe di seta, essa era il
simbolo imperiale cinese. La presenza dell’aquila e di 8 fenici cinesi fa pensare
che appartenesse ad un imperatore, anche se non è scritto quale
Gli avori spesso erano anche adoperati per sistemazioni di una certa
dimensione. Non è sopravvissuto nulla di intero, ma noi conosciamo 4
tavolette con la figura di Cristo, della Vergine (manca S. Giovanni Battista, ma
era presente per completare la deesis), apostoli Pietro e Paolo (sicuramente ce
n’erano altri 10 perché essi costituiscono sempre una serie), l’arcangelo
Gabriele di cui si ha solo un pezzo (vi era sicuramente anche Michele).
Ogni pezzo è alto 28 cm.
Un bizantinista ha ipotizzato che questi avori facessero parte dei beni personali
della principessa Teofano, se li era portati da Costantinopoli e formavano
l’arredo della sua cappella personale.
A quel tempo le iconostasi erano formate da plutei in basso, delle colonnine e
l’architrave con una serie di immagini: quindi questi in origine formavano il
templon di un iconostasi (forse vi erano anche figure di santi ed esse
diventavano 19, ma potevano anche essere di meno).
Si trattava quindi di una micro-architettura di avori intagliati
1h16
Lezione 6 (27 ottobre 2021)
Tra la tarda antichità e l’inizio del medioevo l’avorio era il principale materiale
organico utilizzato a livello artistico nel Mediterraneo
Un avorio di buona qualità si può ricavare solo dalla parte intermedia della
zanna, si usa solo il 60% di ogni zanna. La parte centrale viene eliminata perché
troppo tenera
Non abbiamo fonti scritte che spiegano come lavoravano l’avorio gli artigiani
dell’antichità; in età medievale abbiamo alcune notizie molto generiche
contenute all’interno dei trattati tecnici di due autori di X e XII sec, Eraclio e
Teofilo.
Le informazioni più approfondite le forniscono gli oggetti stessi, le tecniche
adoperate si comprendono mediante l’analisi delle opere
Non conosciamo quali fossero gli strumenti utilizzati, non sono state ritrovate
botteghe che li contenevano durante gli scavi archeologici, però sappiamo che
probabilmente usavano le piccole accette come quella rappresentata nella
miniature e anche dei piccoli arnesi con il manico di legno come seghe, coltelli,
scalpelli, raspe, lime, trapano (stessi strumenti degli intagliatori di legno, ma gli
strumenti dovevano essere più piccoli perché lavoravano su superfici ridotte
Gli studiosi non sono concordi nell’affermare che gli avori bizantini venissero
rifiniti con il colore. Su alcune opere però si hanno tracce di colore e doratura
Forse anche agli avori bizantini è successo ciò che è accaduto alle sculture in
marmo greche e romane, a volte nel passato durante i restauri sono state
rimosse le parti colorate perché si pensava non appartenessero all’opera
Inoltre l’arte bizantina è molto colorata, non monocromatica, e gli avori non
potevano essere le uniche opere prive di colore
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È una grande basilica a 5 navate con ingressi nella zona ovest, nord e sud.
In corrispondenza della navata centrale non ha una porta, ma una finestra
trifora e questo è un elemento tipico dell’architettura di questa zona.
Sul lato sud si hanno due porte perché davano sul decumano, quindi era
l’ingresso più importante.
Nella zona ovest si apre un nartece alto e stretto, elemento di passaggio tra
esterno della chiesa e navata centrale, è separato dalla navata da un Tribelon.
La presenza di un transetto a due bracci che incrocia le navate davanti
all’abside è un elemento originale.
L’abside è semicircolare ed ha una grande finestra a 5 aperture sostenuta da
colonne di marmo del Proconneso: grazie a questa struttura possiamo capire
anche come fosse l’abside dell’Achiropoietos in origine
L’interno è molto luminoso anche grazie alle file di finestre su 4 ordini, vi è una
fila di finestre alla sommità della navata centrale che qui si è conservata
mentre nell’Achiropoietos no
L’archeologo greco Sotiriou ha scritto per primo un libro sulla storia di questo
edificio e ha fatto una ricostruzione basata sia sull’analisi del monumento che
sulle fonti scritte:
1. sappiamo dalla tradizione che sul luogo della morte di S. Demetrio è stata
costruita nel IV sec una cappella commemorativa di cui però non si sa nulla
2. la prima vera fase costruttiva va però collocata all’inizio del V sec: una fonte
afferma che tra il 412 ed il 413 il prefetto Leonzios aveva fondato una grande
basilica per il santo, perché S. Demetrio lo aveva miracolosamente guarito da
una malattia.
Questa basilica dovrebbe corrispondere a quella che vediamo noi oggi
3. dal “Libro dei miracolo di S. Demetrio” sappiamo che la basilica nel VII sec,
tra il 603 ed il 649, sarebbe stata danneggiata da un incendio e poi restaurata:
qui sarebbero stati introdotti i pilastri, prima vi era un colonnato continuo
Questa versione dei fatti è stata in genere sostenuta dagli studiosi, ma vi sono
delle obbiezioni che si possono fare:
- la datazione 412-413 è troppo antica per una basilica così monumentale, non
ci sono ancora a quell’epoca costruzioni di quel genere
- i capitelli sono per la maggior parte successivi, del V e VI sec
- durante i controlli fatti nelle fondazioni sotto i pilastri non è stata confermata
l’ipotesi che in origine ci fosse un colonnato continuo, le tracce trovate sotto
sono identiche a quelle che vediamo oggi
Sulla base di queste obbiezioni alcuni studiosi come Spieser e Brenk negli anni
‘70 e ‘80 hanno proposto un’interpretazione alternativa: la basilica di S.
Demetrio sarebbe stata costruita interamente nella prima metà del VI sec,
prima di quella data se c’era qualcosa non è ciò che vediamo oggi.
Secondo loro l’incendio del VII sec non aveva danneggiato così tanto la chiesa e
l’unico intervento costruttivo che possiamo individuare è quello del secolo
precedente perché non ci sono cambiamenti.
Essi si basano sulla presenza di 4 capitelli polilobati lavorati a traforo, tipici del
VI sec (chiesa di S.S. Sergio e Bacco, Costantinopoli, 527-536)
Anche questa ipotesi però non convince del tutto, perché questi capitelli sono
solo 4, mentre gli altri sono tutti ad acanto finemente dentellato fabbricati
intorno al 450-475.
Per giustificare la loro ipotesi Spieser e Brenk dicono che sono capitelli di
reimpiego, ma sono troppi, avrebbero dovuto smontare un’intera chiesa per
ottenerli; si può ribaltare l’ipotesi dicendo che sono invece i capitelli polilobati
ad essere stati inseriti dopo, forse dopo l’incendio mancava qualche capitello
alle colonne ed è stato necessario metterli
Quindi la basilica attuale dovrebbe risalire al V sec, ma non alla prima metà,
alla seconda
Non sappiamo cosa ci fosse nell’abside perché non c’era nulla nemmeno prima
del 1917, le pitture su fondo oro attuali sono moderne, degli anni ‘50
Nella navata nord ci sono anche altri gruppi di figure di carattere iconico
Nella scena seguente c’è la Vergine con le mani alzate in gesto di intercessione,
dietro di lei gli stessi personaggi della prima scena (madre con figlia più grande
che è stata nuovamente portata nella basilica), figure di angeli ed un donatore
con le mani velate. La Vergine si rivolge verso un medaglione con un
personaggio con la barba che tiene un libro in mano: non c’è un rapporto con
questa figura perché questa fa parte della zona dei mosaici rifatti dopo
l’incendio del 604-649. La Vergine probabilmente si rivolgeva sempre ad una
figura che però era Cristo e non questo sacerdote con la barba bianca
*dal latino codex è la forma libraria più diffusa nel mondo medievale e
bizantino, è l’equivalente dei nostri libri. Si diffonde dall’età tardoantica
Era il più prolifico dei padri della chiesa greci: a lui sono attribuiti più di 1500
scritti. Approssimativamente nelle biblioteche di tutto il mondo si conservano
7000 manoscritti con le sue opere
Era particolarmente noto per le sue omelie: testi che vengono scritti per essere
recitati in pubblico in diverse occasioni, non molto lunghi
Ci sono però pochissimi manoscritti bizantini con le omelie di Crisostomo che
conservano anche il programma di illustrazioni librarie, ossia le miniature.
Gli studiosi non sono concordi su quali siano le ragioni di questo anche perché
il genere delle omelie è molto fortunato solitamente per quanto riguarda le
illustrazioni
Manoscritto parigino-greco 110, omelie di Gregorio Nanzianzieno
Manoscritto vaticano-greco 1162, omelie del monaco Giacomo
- cornici figurate: sono le più importanti perché sono quelle che illustrano i
contenuti delle omelie. Ne sono rimaste circa 10.
Sono composte da diversi elementi figurativi che vengono distribuiti in modo
molto libero attorno ai titoli. I miniatori non hanno avuto interesse a mostrare
ambienti o piano d’appoggio. A volte i personaggi si accostano agli elementi
visti in precedenza
Esempi:
- Cristo che solleva le mani in preghiera, ha davanti a sé un calice e si trova in
un contesto che le vegetazioni suggeriscono essere l’Orto dei Getsemani
(episodio del Vangelo in cui dice “allontana da me questo calice”)
- due figure seminude, una maschile ed una femminile con in mano una sfera,
al lato c’è un serpente che si arrampica su un albero. Scena del peccato
originale, Eva che porge ad Adamo il pomo
Anche in questo caso però la cornice non ha nulla a che vedere con questo,
bisogna quindi rivolgersi al testo delle omelie.
Giovanni Crisostomo per parlare di questo episodio fa un altro esempio,
parlando della bestia mitica Myrmekoleon, nata dall’unione innaturale di una
formica ed un leone e morta subito dopo perché non riusciva a nutrirsi a causa
del conflitto fra le sue due nature troppo diverse (una che cerca la carne, una
che cerca i semi)
Parte superiore: a sinistra c’è un grande leone che si avventa contro una preda.
Al centro c’è il Myrmekoleon con la formica ed il leone attaccati per la coda, la
formica si sta avvicinando ad un cane ed il leone invece spalanca la bocca di
fronte a dei semi.
A destra è andata perduta la rappresentazione, ma probabilmente doveva
esserci una formica che mangia dei semi.
La miniatura va letta dagli angoli esterni verso il basso, quindi abbiamo i due
genitori ai lati ed al centro la creatura, il leone è naturalmente attratto dalla
carne e la formica dai semi, il miniatore per farci capire che il Myrmekoleon
non può sopravvivere per via delle sue nature opposte inverte di posizione i
cibi in modo che non possa mangiare né l’uno né l’altro animale
È evidente che non fosse un codice pensato per una persona che non sapesse
leggere o che non conoscesse in maniera approfondita le omelie di Giovanni
Crisostomo, dato che le immagini sono quasi tutte illeggibili se non si ricorre
alle omelie o ai titoli. Si doveva anche essere in grado di cogliere gli artifici
retorici, quindi la cultura di chi ne usufruiva doveva essere elevata
Non abbiamo però ulteriori dati che ci permettano di fare altre osservazioni
Esistevano anche dei sottarchi decorati a mosaici nelle navate laterali, gli
acquerelli mostrano la similitudine con le decorazioni della Achiropoietos
databili intorno al 450-460 → in questo caso si potrebbe sostenere la prima
datazione
Questi mosaici però non fanno parte di un unico ciclo, essendo doni votivi di
varie personalità facoltose potrebbero essere stati realizzati anche in momenti
diversi (anche se sempre vicini nel tempo, poiché hanno elementi in comune)
Dal punto di vista stilistico l’opera che più si può avvicinare a questo mosaico è
l’affresco con i S.S. Cosma e Damiano che si trovava nella Cappella della Fonte
Sacra
I mosaici della parte superiore della parete della navata minore nord sono stati
sicuramente danneggiati dall’incendio del VII sec e sono stati reintegrati, non
solo per quanto riguarda la parte decorativa, sono stati restaurati anche una
parte dei pannelli figurati
Perché questi tre clipei sono stati inseriti in questa decorazione precedente che
poco ha a che fare con questi? L’iscrizione sotto afferma che: “al tempo di
Leone puoi vedere rinnovata la chiesa di Demetrio che in precedenza era
bruciata”. Conferma chiaramente il restauro ed i due personaggi sono proprio
coloro a cui si deve tale restauro.
Nel mosaico sul pilastro c’è un’iscrizione, rivolta all’osservatore: “Tu vedi qui i
fondatori della gloriosissima chiesa ai lati del martire Demetrio…”
Quindi il vescovo ed il governatore erano i committenti del restauro dopo
l’incendio
Le figure sono frontali, uno accanto all’altro, dietro vi è un muro con dei merli:
sono le mura di Tessalonica, ma hanno delle stoffe appese, come si usava fare
durante le feste. Le figure sono poste in modo da far coincidere i merli con le
teste del vescovo e del governatore, sfruttando lo sfondo architettonico per
segnalare che i personaggi erano viventi mediante la creazione di un nimbo
rettangolare
La decorazione continua anche sul lato verso l’altare, qui si ha una scena con
due figure in cui S. Demetrio abbraccia un personaggio con la barba bianca, il
quale è il diacono rappresentato nel mosaico precedente
Anche qui c’è un’iscrizione: “Beato martire di Cristo (S. Demetrio), tu che ami la
città prenditi cura dei concittadini e anche degli stranieri” (inteso anche come
pellegrini che giungevano nel santuario di Tessalonica)
A livello stilistico nel pilastro non ci sono elementi che contrastino con il resto
dei mosaici (cornici, iscrizione, composizione di sfondo e figure, impostazione
astratta e linearistica)
Nel VII sec ci sono altri monumenti nel Mediterraneo che si possono
confrontare a questi mosaici, in particolare un affresco della chiesa di Santa
Maria Antiqua a Roma (la chiesa bizantina della città) che rappresenta S.
Demetrio.
Durante gli scavi avvenuti all'inizio del '900 sono state ritrovate delle pitture,
alcune oggi appaiono molto rovinate, tra cui quella di S. Demetrio il cui stato al
momento della scoperta è attestato da un acquerello: ai lati della figura
compare la scritta in greco che indica il suo nome, l'iconografia è quella di
gioventù senza barba con tunica e la clàmide è ricamata con dei motivi circolari
che ricordano quella di S. Sergio.
Queste somiglianze molto forti sono state sottolineate da Kirtzinger il quale
afferma che nel VII sec sia Roma che Tessalonica dipendevano a livello artistico
direttamente da Costantinopoli e questo è testimoniato dal fatto che in luoghi
così lontani fra loro si ritrovano espressioni artistiche così vicine
Nella navata minore sud vicino all'ingresso si trova un affresco ai lati di una
finestra semicircolare in cui è rappresentata un'unica scena di Adventus
Imperiale cioè l'arrivo di un imperatore nella città di Tessalonica. Si tratta di
una cerimonia che veniva fatta in occasione di un trionfo.
A sinistra vediamo la figura di un imperatore vestito in abito militare a cavallo
di un destriero bianco e secondo la concezione bizantina egli porta l'aureola ad
indicarne la natura divina. Accanto a lui degli scudieri e poi dovevano esserci
altri cavalli e personaggi a formare un corteo.
In alto vi sono architetture che fanno capire che la scena era ambientata
all'interno di una città.
Sulla destra è molto rovinato, ma si vede un edificio a due piani, sopra il piano
superiore che è un porticato vediamo un un tetto di tegole e delle fiamme,
l'edificio sta per essere distrutto da un incendio: è abbastanza verosimile
riconoscere una basilica con i matronei dove vi sono anche delle figure al di là
dei parapetti. L'imperatore sta quindi salvando la città dagli attacchi nemici.
L'ipotesi più condivisa sull'identità di questo imperatore è che si tratti di
Giustiniano II che nel 688 aveva sconfitto gli slavi nella battaglia del fiume
Strimon, celebrandone poi il trionfo a Tessalonica.
Se si tratta di questo risalirebbe alla fine del VII sec e sarebbe quindi stato
realizzato dopo i mosaici sui pilastri
Tutte e tre le ipotesi hanno un punto debole, sono state fatte solo in base
all'abbinamento ad un evento storico, non sono state fatte indagini tecniche
sull'affresco né un'analisi attenta dello stile.
La datazione che trova più consensi però è quella più antica, anche in base
all'iconografia che fa riferimento ad elementi dell'epoca paleobizantina
L'inizio del VII sec è un periodo abbastanza critico per Tessalonica, dopo la
morte di Giustiniano le condizioni di pace che lui aveva creato erano venute
meno. A partire dal 590 gli Avari e gli Slavi avevano superato il Danubio e
messo in pericolo i territori della Macedonia e Grecia settentrionale. A causa
dei numerosi saccheggi a cui venivano sottoposte le città di questa zona molti
abitanti delle campagne si erano riversati a Tessalonica.
Inoltre tra 620 e 630 ci sono stati molti terremoti che hanno danneggiato
alcuni monumenti della città.
Nonostante Giustiniano II avesse portato sicurezza nella zona, Tessalonica era
diventata ormai una città di frontiera perché il confine dell'impero non è più al
fiume Danubio, i barbari hanno occupato tutta la zona a sud del fiume e quindi
Tessalonica non era più protetta dal territorio che aveva a nord.
Tra VII e X sec diventa quindi una sorta di base militare.
A questo si aggiunge anche l'instabilità interna, nel 730 inizia l'Iconoclastia che
si conclude nell'843
Dopo la fine dell'Iconoclastia l'evento più importante per la città non sarà
militare, ma religioso, ovvero la missione di Cirillo e Metodio fra le popolazioni
slave che porterà alla loro conversione al cristianesimo ortodosso, tra 863-864.
Cirillo e Metodio sono due fratelli di nobili origini, di Tessalonica, la loro arma
sarà la traduzione delle Sacre Scritture nella lingua di quei popoli inventando
un alfabeto, il Cirillico.
Gli slavi in questo modo non sono più dei nemici, ma entrano a far parte della
sfera religiosa e culturale bizantina
Nei documenti scritti viene ricordata per la prima volta alla fine dell'VIII sec in
una lettera dell'abate di S. Giovanni di Studios a Costantinopoli che era stato
esiliato a Tessalonica.
Non è però stata costruita in quel periodo, ha un'origine molto più antica
Il luogo della chiesa attuale era occupata da una chiesa già anticamente, vi era
l'antica cattedrale di Tessalonica fondata nel IV sec (1), ma di essa non rimane
nessuna traccia, sorgeva tra edifici più antichi e forse andò distrutta a causa di
un terremoto alla fine del IV sec
Si pensò allora di ricostruirla e nel V sec viene costruita una grande basilica a
cinque navate preceduta da un quadriportico, lunga 170m e larga oltre 50m
(2). Gli scavi archeologici nel hanno riportato alla luce diverse tracce, sono
sopravvissute le fondazioni di colonnato e muri perimetrali, il lato ovest del
quadriportico e sotto i palazzi ci sono ancora i resti dell'abside semicircolare,
sia all'esterno che all'interno, però essendo molto grande era rinforzata
all'esterno da contrafforti.
Per le sue dimensioni non si può paragonare alle altre basiliche di Tessalonica,
piuttosto bisogna paragonarla a S. Giovanni in Laterano a Roma, alla basilica
del S. Sepolcro a Gerusalemme o a S. Sofia di Costantinopoli
Il fatto che fosse una cattedrale è confermato dalla presenza sul lato sud di un
battistero che era collegato. Di esso si conservano tracce dei muri perimetrali e
della vasca battesimale. Aveva un perimetro esagonale e negli spigoli dei lati si
aprivano sei nicchie separate fra loro da colonne appoggiate alla parete. La
vasca si trovava al centro e aveva lati dritti alternati a lati concavi per un totale
di 12.
Questa forma particolare si collega a quella di altre chiese della zona e
conferma la datazione al V sec.
Questa basilica sarebbe andata distrutta proprio durante i terremoti dei primi
anni del VII sec
(3) chiesa molto più piccola della (2) costruita dopo i terremoti del VII sec
oppure nell'VIII sec, come ipotizzano alcuni studiosi.
Il nuovo edificio presenta una pianta centrale con cupola impostata su 4 pilastri
che suddividono 4 bracci con volte a botte che formano una struttura a croce.
Intorno a questo spazio cruciforme si sviluppa un deambulatorio a forma di U
formato dalle due navate laterali che si uniscono nel nartece in un corridoio
continuo. Si tratta di un impianto nuovo per l'architettura di Tessalonica, non ci
sono precedenti
All'esterno presenta un blocco cubico quasi quadrato nella pianta con dei lati di
circa 30m, a questo si sovrappone la cupola la quale emerge da un tamburo
rivestito da una lanterna quadrata con finestre.
Da questo blocco emerge anche l'abside centrale poligonale (ispirato a
Costantinopoli) affiancato da due pastofòri e dalle absidi minori semicircolari
La parte della facciata è molto massiccia e quasi non presenta articolazioni, in
origine vi erano 5 ingressi, ma oggi solo 3 sono funzionanti, uno per la navata
centrale e due per le laterali
I più antichi sono quelli del bema, basati sul tema iconografico della croce che
in origine dominava tutta la decorazione, abside compreso (quest'ultimo però
è stato poi modificato, oggi troviamo la Vergine)
Parte centrale della volta a botte: grande croce d'oro che si trova su un fondo a
tre dischi azzurri digradanti, consueto simbolo trinitario. Attorno ad essi vi è
una cornice a stelle d'oro e poi una cornice più grande con i colori
dell'arcobaleno. Tutta la composizione è isolata su un fondo oro compatto, la
cui superficie si interrompe alla base e qui sui fianchi della volta troviamo due
zone rettangolari con una decorazione che imita una muratura gemmata a
blocchetti quadrati e dentro ogni blocchetto ci sono motivi decorativi che si
ripetono, ossia piccole croci d'argento alternate a foglie di vite (aniconico).
Alla base di questi pannelli si dispongono iscrizioni secondo uno schema
cruciforme, sono quelle che ci permettono di datare questi mosaici perché
menzionano gli imperatori Costantino VII e Irene. Sono due invocazioni al
Signore da parte degli imperatori che lo pregano di aiutarli, si possono quindi
datare i mosaici al periodo in cui i due imperatori regnavano insieme (780-
797).
Un'altra iscrizione importante non è cruciforme, ma lineare e cita il nome del
vescovo che era in carica negli anni dei due imperatori, è un'invocazione e dice
"oh Cristo aiuta Teofilo, umile vescovo". Di Teofilo sappiamo che era presente
al Secondo Concilio di Nicea nel 787.
In basso infine c'è una cornice fitomorfa a motivi vegetali che fa da bordo e poi
continua risalendo intorno al catino dell'abside: questo elemento decorativo ci
assicura che la decorazione del bema e quella dell'abside siano state realizzate
insieme perché è un elemento comune a tutte e due le parti
Nella prima fase nel catino c'era una grande croce di cui rimangono delle
tracce, all'altezza delle spalle della Vergine il fondo oro è stato modificato e vi
sono tracce del profilo della croce.
La presenza di questa croce ci conferma che il programma decorativo del bema
fosse aniconico.
La croce originaria si può confrontare con esempi simili del periodo iconoclasta
come la chiesa di S. Irene a Costantinopoli realizzata al tempo di Costantino V
dopo il 740. Anche qui l'iscrizione è ripresa dal Salmo 64
Però bisogna notare che questi due imperatori erano coloro che avevano
sancito il periodo di ritorno al culto delle immagini dal 787 all'815, quindi
perché proprio loro che erano iconofili scelgono un programma aniconico?
Due ipotesi di risposta:
- i due imperatori avevano scelto una politica religiosa prudente, non volevano
provocare il partito iconoclasta di Tessalonica, cercarono un compromesso
- questi mosaici siano stati commissionati da loro, ma prima del Concilio di
Nicea del 787, quindi in un periodo in cui nonostante loro siano favorevoli al
culto delle immagini la legge bizantina è ancora contraria poiché gli imperatori
non avevano ancora preso posizione
La seconda ipotesi è più logica
Cupola : scena di ascensione a fondo oro che occupa l'intera superficie della
calotta.
Il nucleo centrale è la parte alta in cui si vede la figura di Cristo dentro una
mandorla luminosa seduto su un arco di cielo. Questa mandorla viene sollevata
da due angeli rappresentati in volo con le gambe superiori sollevate.
Nonostante la staticità della composizione, questa parte centrale da un senso
di improvviso movimento verso l'alto.
Le sfumature cromatiche sono molto leggere, ma raffinate, la veste di Cristo è
realizzata con tessere d'oro e d'argento.
Ai lati della Vergine e degli angeli comincia il corteo degli apostoli posti
tutt'intorno alla cupola, il primo è S. Pietro che sostiene una croce ed ha la
tipica capigliatura corta bianca e la barba bianca, il secondo è S. Paolo un po'
calvo con la barba scura e a punta, tiene in mano un libro che fa riferimento
alle sue epistole. Dietro Pietro si ha S. Giovanni evangelista che è il più giovane
e dietro Paolo c'è S. Andrea con i suoi tipici capelli arricciati.
L'altra metà della cupola presenta le figure atteggiate in modo diverso, non
frontali, ma in movimento con le teste rivolte verso l'alto e alcune sono anche
rappresentate di spalle
I mosaici della cupola risalgono alla seconda fase decorativa, per le datazioni
abbiamo due ipotesi vicine fra loro:
- l'arcivescovo Paolo che è citato era a capo della chiesa di Tessalonica intorno
all'885, il committente della cupola è lui ed i mosaici sono stati realizzati quindi
alla fine del IX sec
- altri studiosi però ritengono che le iscrizioni siano i residui di una decorazione
precedente al mosaico, quindi i mosaici si possono datare solo sulla base dello
stile e questo conduce all'inizio del X sec
Si possono fare confronti stilistici, quello più stretto è con l'affresco che ha lo
stesso soggetto e che si trova nell'abside della Rotonda di S. Giorgio: la scena è
adattata allo spazio diverso del catino, in basso abbiamo la figura della Vergine
orante fiancheggiata da angeli ed i gruppi degli apostoli separati fra loro da
alberi molto slanciati. Inoltre nella parte centrale vi è un'iscrizione su 5 righe.
Nella parte più alta si ha la mandorla con Cristo sollevato da due angeli nella
stessa posizione. Sono tutti elementi di somiglianza. S. Pietro ha gli stessi occhi
a mandorla con grandi pupille. I panneggi sono lineari e schematici.
La bottega di mosaicisti non è la stessa, ma il linguaggio è molto simile perciò
questo affresco datato a fine IX sec dovrebbe essere contemporaneo al
mosaico
I mosaici però hanno punti in comune anche con gli affreschi di alcune chiese
della Cappadocia dell'inizio del X sec.
Questo indica però che i mosaicisti avevano modelli comuni, ma non vi era un
rapporto vero e proprio tra queste opere, infatti gli affreschi della Cappadocia
sono molto più lineari.
Anche nella cupola di El Nazar a Goreme vi è l'ascensione quindi si ha la stessa
struttura compositiva
A Gerusalemme c'era una chiesa dedicata all'ascensione sul Monte degli Ulivi
proprio dove si era verificato il miracolo ed il modello di questa iconografia
proviene da lì.
Oggetti di pellegrinaggio provenienti dalla Palestina: a sinistra abbiamo una
cassettina reliquario con il coperchio dipinto che all'interno contiene alcune
pietre prese nei luoghi in cui si erano svolti i miracoli evangelici, la Natività a
Betlemme, il Battesimo sul Giordano, la Crocifissione, l'Ascensione sul Monte
degli Ulivi, il Sepolcro di Cristo.
La scena dell'ascensione qui è quella classica suddivisa in due livelli, in basso la
Vergine con la veste blu e ai lati i gruppi degli apostoli (6 a dx e 6 a sx), in alto
Cristo con la mandorla sollevata da 4 angeli.
A destra abbiamo invece una delle numerose ampolle in piombo o argento
dove i pellegrini raccoglievano l'olio delle lampade che ardevano nei luoghi
della Terrasanta, sono molto piccole e venivano portate appese al collo a
contatto con il collo (avevano valore protettivo).
Anche qui la scena dell'ascensione riprende gli stessi elementi.
è probabile che entrambe siano una riproduzione del mosaico che i pellegrini
vedevano nella chiesa dell'Ascensione a Gerusalemme.
La stessa iconografia è diffusa anche nelle Icone del Monte Sinai(una del VII e
una del IX sec)
La terza fase dei mosaici è quella del catino absidale, che è stato modificato.
La Vergine è seduta su un trono basso senza spalliera ed è vestita di blu scuro,
con ricami dorati all'altezza delle spalle. La figura di Cristo è realizzata con
tessere d'oro, quindi contrasta con quelle della veste
- la Vergine sarebbe stata realizzata tra fine VIII e inizio IX sec, ma restaurata
nell'XI o XII sec
Disegno elaborato dallo studioso greco Velenis che ritiene che la figura sia stata
realizzata in due diverse fasi: secondo lui in origine era in piedi. La parte più
alta risalirebbe a fine VIII-inizio IX sec, mentre nell'XI sec sarebbe stata
trasformata in una Vergine seduta
Confronto tra testa della Vergine del catino e testa della Vergine
dell'ascensione (dovrebbero risalire allo stesso periodo stando a questa teoria):
non ci sono somiglianze tra queste figure, se fosse vero ciò che afferma Velenis
dovrebbero esserci
- alcuni studiosi tra cui Demus e Cormack ritengono che sia stata realizzata in
un'unica fase e senza nessun cambiamento. Questo intervento risalirebbe o
alla prima metà o alla seconda metà dell'XI sec
Quindi la croce del periodo iconoclasta sarebbe qui rimasta più a lungo rispetto
che a Nicea.
Questa ipotesi di datazione si basa su confronti stilistici sul volto di Maria
Secondo Demus la Vergine del catino avrebbe rapporti stretti con quella di S.
Sofia a Kiev il cui mosaico risale al 1037-1046. Gli elementi comuni sarebbero il
contorno ovale del viso, la forma delle labbra, gli occhi con la sottolineatura di
palpebre e sopracciglia, la rotondità quasi geometrica della testa con il velo
Cormack la collega invece con un'opera realizzata più tardi, ma in una zona più
vicina: il mosaico della chiesa del monastero di Vatopedi sul Monte Athos, in
Macedonia, in particolare la Vergine della scena della Deesis risalente al 1070-
1080. In questo caso la posizione è diversa, ma ci sono elementi in comune
nella resa degli occhi, meno nella resa della bocca
Entrambi gli studiosi danno due punti di riferimento importanti, sono i due lati
di un segmento cronologico in cui si inserisce Tessalonica. Una datazione tra la
metà dell'XI sec ed il 1070-1080 sarebbe convincente, ma mancano elementi
per formulare ipotesi più precise, non è stato fatto un esame tecnico
ravvicinato del mosaico, le loro sono osservazioni fatte a distanza
Panaghia Ton Chalkèon: si trova in una zona molto centrale, nell'angolo sud-
ovest dell'Agorà.
Venne costruita all'inizio dell'XI sec e significa "la Vergine dei calderari".
Si può datare con sicurezza grazie ad un'iscrizione sull'architrave della porta: da
informazioni sull'anno di consacrazione della chiesa, 1028, sulla dedica alla
Teotokos (madre di Dio), sui committenti che sono illustri (Cristoforo era un
funzionario della corte di Costantinopoli, forse nato a Tessalonica e fa costruire
questa chiesa nella sua città natale. Era protospatharios e anche catepano del
tema di Langobardia).
L'iscrizione dice anche che quel luogo prima di allora non era mai stato
santificato, probabilmente vi era un edificio sacro ma pagano, infatti sotto il
pavimento sono stati ritrovati dei resti appartenenti a quel tempio.
Solitamente le chiese a Tessalonica venivano costruite sopra edifici termali,
questo è il primo caso sicuro in cui invece è stato eretto sopra un tempio. C'è
da dire però che è stato fatto molto avanti nel tempo
Nella parete nord nella parte centrale sotto la cupola presenta una nicchia
nella parete che sporge anche esternamente, era il luogo dove erano collocati i
sepolcri di Cristoforo e della sua famiglia. Questa chiesa era nata come chiesa
di famiglia e luogo di sepoltura dei committenti, il fondatore aveva uno spazio
di prestigio, gli altri membri probabilmente si trovavano nel nartece, luogo in
cui solitamente sono collocate le sepolture.
Pianta a croce greca inscritta con cupola sorretta da quattro colonne: struttura
architettonica tipica delle chiese di fine IX inizio X sec a Costantinopoli -->
confronto con la chiesa del Myrelaion costruita a Costantinopoli intorno al 920
da Romano II Lecapeno. A Tessalonica compare per la prima volta con questa
chiesa, ma in Grecia già esisteva dal 950 nella chiesa più antica del monastero
di Hosios Loukas
L'esterno è suddiviso in due piani separati fra loro da una lunga cornice
marmorea che avvolge tutto l'edificio, il primo piano presenta delle lesene
semicircolari e profonde strombature con arcate a ghiere concentriche anche
nelle finestre della cupola
Il restauro di Isacco è datato tra il 1118 ed il 1122, anni in cui godeva della più
alta posizione possibile a corte.
La chiesa di Chora ha una lunga storia che parte dal VI sec e per l'alzato sono
state individuate 3 fasi che risalgono a XI, XII e XIV sec. Il corpo principale si
deve alla nonna di Isacco, Maria Ducena, e si data tra il 1077 ed il 1081. Questo
edificio aveva perimetro rettangolare e pianta a croce inscritta, la muratura è a
mattone arretrato
Un altro elemento della fase di Isacco della chiesa di Chora sono le vetrate, non
sono una cosa frequente dell'epoca bizantina, ma qui all'interno di un loculo
durante gli scavi ne sono stati rinvenuti dei frammenti: la gamma di colori è
limitata, presentano delle decorazioni fitomorfe, ma sono state individuate
anche tracce di lettere e parti di volti che hanno fatto ipotizzare una
decorazione comprendente anche delle figure. L'unico esempio risalente a
questo periodo sono le parti di vetrata rinvenute al Pantokrator, in cui
compaiono con sicurezza figure umane. Le vetrate di entrambe le chiese sono
attribuite alla stessa bottega e le analisi chimiche hanno rivelato la tecnica che
in occidente in quest'epoca era stata abbandonata da tempo, mentre in
oriente continua, quindi si è pensato che fossero una tradizione locale di
Costantinopoli. Tuttavia la presenza del piombo le fa distaccare dalle vetrate
bizantine tipiche e le fa accostare all'occidente, per questo si è pensato che
siano opere di artigiani occidentali che hanno però lavorato a Costantinopoli.
Una studiosa italiana ha affermato che proprio durante il regno di Giovanni II,
dato che egli aveva la moglie occidentale, ci fosse un grande scambio tra i due
luoghi e quindi sarebbe stato il momento più propizio per l'arrivo di questi
artigiani. Perciò queste vetrate si datano proprio al periodo dei lavori di Isacco
Tutta la dinastia comnena fa delle chiese dei monasteri un luogo di sepoltura e
anche di esibizione del proprio potere politico, in un contesto di estrema
competizione fra i membri della famiglia. Quindi partono dalle opere dei loro
predecessori o rivali e ne creano altre tentando di superarle in grandezza, per
affermare il loro potere e diritto al trono.
Capiamo così l'intento di Isacco, ossia predisporre la propria sepoltura
monumentale a Chora, mentre Giovanni e sua moglie Irene già dal progetto
originario l'avevano predisposta al Pantokrator
Codice del Serraglio: è introdotto dalla parafrasi delle Lettere di Aristea e poi
dalla lettera stessa, con l'intitolazione sappiamo che la parafrasi è stata scritta
di Isacco Porfirogenito, figlio dell'imperatore Alessio Comneno, il quale ha
ridotto ad una versione più corta e più chiara questo testo. Questo manoscritto
è quindi attribuibile sicuramente alla sua committenza e anch’esso è stato
realizzato da Kokkinobaphos
Anche la parafrasi di Isacco doveva essere illustrata, queste non vennero mai
fatte, ma ci sono i riquadri lasciati dal copista per il miniatore e dal testo che li
circonda sappiamo che le parti da illustrare dovevano essere le stesse che poi
sono state illustrate nella Lettera. Il testo di Isacco però è incompleto, tale
incompletezza la critica la attribuisce alla sua morte e perciò tale manoscritto
viene datato intorno al 1152
La muratura è molto curata e realizzata con una tecnica particolare: tra una fila
di mattoni e l'altra vi è un letto di malta molto alto, di spessore uguale o di
poco superiore a quello dei mattoni. Nelle parti in cui la malta si è staccata
vediamo che nella parte intermedia sotto di essa ci sono altri mattoni, quindi la
malta in realtà non è così alta, ma copre solo i mattoni che sono stati posti più
indietro. Questi mattoni sono però irregolari e rovinati rispetto a quelli visibili,
si tratta di materiale di reimpiego. Gli architetti hanno inventato questa tecnica
per ragioni economiche --> muratura a mattone arretrato o nascosto.
Questa tecnica qui compare in uno dei primissimi esempi, si diffonderà poi
largamente in tutto l'impero nei secoli successivi
Pennacchi: figure di serafini, angeli con sei ali, simboli della sapienza. Elemento
nuovo, probabilmente ispirato da S. Sofia di Costantinopoli, dai mosaici figurati
che subentrano al programma aniconico dopo l'iconoclastia
Abside: nel catino si ha la Vergine orante, tema canonico delle chiese medio-
bizantine, rappresenta l'incarnazione di Cristo. è affiancata da due arcangeli
rivolti verso di lei con un gesto di venerazione. Il fondo blu ed il prato verde
sono gli stessi della cupola e creano un piano d'appoggio.
Nel semicilindro absidale tra le finestre ci sono le figure di 4 vescovi, tutti santi
di nome Gregorio (di Armenia, di Nissa, Taumaturgo e di Agrigento). Non
sappiamo quale sia la ragione per cui siano stati selezionati 4 santi omonimi, il
committente forse aveva una particolare devozione per loro.
Sono figure molto eleganti rappresentate in piedi sullo stesso sfondo e tengono
in mano un libro gemmato. Attorno al collo c'è l'omophorion, la stola bianca
con croci nere tipica della carica episcopale.
Anche l'abside presenta più piani di finestre, nella parte più bassa ci sono
medaglioni circolari con figure di santi medici, quelli che nella chiesa bizantina
vengono chiamati santi anargiri: senza denaro, intervenivano miracolosamente
però non ricevevano compensi. Questi forse vengono inseriti per proteggere il
committente e la sua famiglia da eventuali malattie. A poca distanza dalla
chiesa c'era però una fonte miracolosa dedicata ai S.S. Cosma e Damiano,
quindi è probabile che la scelta di questi santi faccia riferimento a quella
cappella che all'epoca esisteva ancora
Di fronte al catino absidale ci sono due scene della comunione degli apostoli,
Cristo che elargisce loro l'eucarestia fa riferimento a quello che si svolgeva
realmente sull'altare. In una fa la comunione con il vino, nell'altra con il pane.
Quella con il pane è quella meglio conservata, la scena si svolge sotto un
grande ciborio sorretto da 4 colonne tortili che è sopra l'altare, il quale
rappresenta il fulcro della composizione, ha una forma a parallelepipedo, è
coperto da una tovaglia decorata con una croce e al centro vi è un vaso con il
pane.
Gli apostoli sono 6, 3 da una parte e 3 dall'altra, essendo abbinata a quella del
vino se ne hanno 12 complessivamente, nonostante siano due momenti
temporali distinti. Le figure sono molto espressive.
L'iscrizione che accompagna la scena dice: "guardando all'altare del Signore,
immobili ed in trepidazione"; l'emozione di cui si parla è ben tradotta
visivamente negli sguardi degli apostoli.
Queste scene sono tra le prime rappresentazioni monumentali che conosciamo
riguardo a questo soggetto, prima era rappresentato in altre espressioni
artistiche, invece dall'XI sec si troverà frequentemente nel programma absidale
delle chiese.
Patène di argento ritrovate in Siria: nonostante abbiano nomi diversi sono state
ritrovate nello stesso luogo e facevano parte del tesoro della stessa chiesa. In
tutte e due la comunione è rappresentata con l'altare al centro, sopra vi è un
ciborio, ma le due scene fanno parte di un'unica composizione e la figura di
Cristo è sdoppiata, facendo capire che la scena pur essendo unica è composta
di due momenti distinti
Braccio nord: anche questo è quasi vuoto, restano solo alcuni frammenti che
fanno capire che c'erano tre scene, l'entrata in Gerusalemme, la Crocifissione e
l'Anastasis (discesa al limbo). L'ultima è la scena nella quale Cristo libera i
progenitori e tutti i personaggi dell'Antico Testamento dal peccato originale,
tutti i personaggi escono dai sarcofagi e proprio in quel punto era collocata la
tomba di Cristoforo, non è un caso, simboleggia la salvezza dal peccato del
defunto committente
Braccio est: ultima scena in ordine di tempo. Suddivisa in due parti, metà a
destra e metà a sinistra, 6 apostoli da un lato e 6 dall'altro compongono la
scena della Pentecoste, discesa dello Spirito Santo. Si tratta di una
composizione rettangolare, lineare, però in genere nelle chiese bizantine è
collocata in una cupola e quindi ha una composizione circolare.
Chiesa di Hosios Loukas: è collocata nella cupola sopra il bema, gli apostoli
sono seduti in circolo, al centro c'è il trono con lo Spirito Santo e le fiammelle
che discendono sugli apostoli
Al centro della parete est vi è Cristo al centro su un trono senza schienale, con
le mani aperte per mostrare le piaghe della passione. Nel fondo ci sono le
schiere degli angeli che tengono in mano lance, ai lati di Cristo la figura della
Vergine e Giovanni Battista che compiono un gesto di intercessione (loro tre
formano la deesis, invocazione del perdono per l'umanità, è particolarmente
importante nel giorno del giudizio). Ci sono poi i Cherubini ed i Serafini. Ai piedi
del trono ci sono Eva (vestita di rosso) e Adamo (vestito di bianco) in
proskinsesis.
Ai lati del trono di Cristo ci sono 6 figure per parte sedute su troni, sono gli
apostoli che insieme a Cristo formano il tribunale celeste che giudica l'umanità
nel giorno del giudizio finale.
Questa iconografia sarà seguita per molto secoli, con molte varianti, ma questi
sono gli elementi fondamentali.
Dal trono di Cristo esce un fiume di fuoco che scende verso il basso e va ad
alimentare lo stagno infernale dove soffrono i dannati. Al centro c'è
un'iscrizione e un angelo che spinge i dannati nel lago di fuoco, l'iscrizione è
una citazione del Vangelo di Matteo in cui il Signore condanna i dannati al
fuoco dell'inferno. I dannati sono collocati alla sinistra di Cristo perché è il lato
dei dannati, alla sua destra vi erano i beati che però sono andati perduti
Gli studiosi discutono sulle origini dell'iconografia del giudizio e non è facile
sapere se si sia originata in ambito bizantino o in Europa, questo perché
l'iconoclastia ha distrutto probabilmente le testimonianze più antiche
dell'iconografia orientale, Tessalonica quindi probabilmente non era la prima
Le più antiche testimonianze del mondo bizantino però le troviamo in Grecia.
affresco della chiesa di S. Stefano a Kastorià (X sec): l'iconografia però non è
ancora canonizzata, gli elementi ci sono però non sono ben ordinati
affreschi della Cappadocia, chiesa dei Serpenti (Goreme) e chiesa di S. Giovanni
(X sec)
Lo stile delle pitture della Panaghia Ton Chalkeon è omogeneo in tutte le sue
parti, realizzati da una sola bottega in un unico momento. Le figure sono molto
eleganti, la tecnica pittorica è molto ricca, vi sono sfumature e dettagli resi con
raffinatezza. Lo stile è confrontabile con i mosaici di Hosios Loukas, realizzati
all'incirca nello stesso periodo, entrambi hanno proporzioni massicce, grandi
occhi con pupille dilatate, tuttavia nei mosaici si nota nei panneggi un effetto
molto duro e geometrico, mentre negli affreschi si ha una notevole
morbidezza.
Un altro paragone è quello con gli affreschi della cripta di Hosios Loukas, ci
sono delle somiglianze, ma si possono fare le stesse considerazioni di prima.
Gli studiosi hanno cercato confronti anche nella miniatura che illustra i libri di
Costantinopoli nello stesso periodo.
Menologio di Basilio II: linguaggio simile, ma non si ha un'affinità convincente.
Una studiosa russa ha riscontrato le maggiori concordanze nel manoscritto
della Bibbia di Niceta, realizzato a Costantinopoli intorno all'anno 1000: se
paragoniamo il profeta all'angelo di Tessalonica vediamo come ci siano
morbidezza, chiaroscuro, naturalismo, cose che mancano nelle altre
rappresentazioni
Lezione 10 (17 novembre 2021)
Questi affreschi secondo gli studiosi greci dovrebbero essere stati eseguiti
dopo il terremoto del 1036-1038
Quasi tutti gli studiosi li paragonano con gli affreschi della chiesa omonima
nella città di Òcrida in Macedonia, come Tessalonica era una sede vescovile
importante e le due città avevano stretti rapporti perché si trovavano nella
stessa area geografica.
La chiesa di Ocrida nella zona del bema ha una decorazione con figure di
vescovi su fondo blu nella parte bassa della parete, hanno le stesse proporzioni
e le stesse barbe lunghe di quelli di Tessalonica. Gli studiosi pensano che i
pittori di Ocrida venissero da Tessalonica e anche se non si trattasse della
stessa bottega, comunque si tratta della stessa epoca e matrice.
Gli affreschi di Ocrida però furono eseguiti su committenza dell'arcivescovo
Leone che regna tra il 1037 ed il 1056, quindi hanno una cronologia più
precisa.
Allora se davvero la somiglianza tra i due affreschi ci può dare un'indicazione
più precisa sulla datazione, gli affreschi di Tessalonica dovremmo porli
orientativamente nello stesso periodo, non oltre la metà dell'XI sec.
Considerando ciò sembra verosimile che anche l'intervento nel mosaico
absidale sia stato fatto durante la stessa campagna di lavori, non avrebbe senso
pensare ad una seconda campagna di lavori nella chiesa in quegli stessi anni
circa
Nel XII sec è stata realizzata un'altra opera in affresco, è molto rara, perché di
questo periodo c'è pochissimo a Tessalonica: si tratta di una grande figura,
un'icona murale di Hosios Loukas, santo monaco taumaturgo. Qui è
rappresentato in un pilastro della basilica di S. Demetrio che non affaccia sulla
navata centrale, ma sulla navata sud. Ancora oggi vi è appesa una lampada che
testimonia l'uso di questa immagine, essa era un'immagine votiva.
è rappresentato in posa orante con le mani alzate, in posizione frontale ed
indossa il tucullion, ma qui il cappuccio è sulla testa.
L'affresco è abbastanza rovinato, ma si può vedere che la figura è slanciata e le
vesti sono rese in maniera lineare
Affreschi realizzati tra fine XII e inizio XIII sec nella chiesa di Hosios David
(questa chiesa contiene il primo esempio di mosaico absidale nella zona
orientale, databile intorno al 500): si trovano sulle volte a botte e sulle pareti
dell'edificio, nonostante i danni se ne conservano alcune parti.
Nel braccio sud ci sono Natività e Battesimo di Cristo, nel braccio nord rimane
la figura della Madonna, Gesù che prega nell'orto del Getsemani, una parte
dell'entrata di Cristo a Gerusalemme. Questi soggetti quindi componevano un
ciclo cristologico secondo il programma tipico medio-bizantino con le 12 feste
della chiesa ortodossa.
Braccio sud (volta a botte): oltre a Natività e Battesimo dovevano esserci nelle
parti basse delle pareti la Presentazione al Tempio e la Trasfigurazione, è
un'anomalia perché nelle chiese in quella parte erano sempre disposte le
figure dei santi che si trovano così nella parte più vicina ai fedeli ed hanno una
funzione devozionale. Tale scelta è dovuta alle ridotte dimensioni della chiesa
che non hanno permesso l'inserimento di tutti gli elementi
Lo stile è caratteristico della fase più tarda della pittura bizantina, stile tardo-
comneno: presenta caratteristiche dinamiche
Si possono fare dei collegamenti anche dal punto di vista stilistico con le pitture
della chiesa di S. Pantelèimon a Nerèzi in Macedonia: nella lavanda del
bambino le nutrici hanno un abbigliamento simile (turbante e mantello sulle
spalle), simile è anche la forma del bacile. I volti dei personaggi, con le rughe
disegnate, il modo di realizzare barbe e capelli è molto simile, tuttavia a
Tessalonica si ha il valore aggiunto dell'espressione dell'interiorità
La figura della Vergine ci fa quasi presagire il nuovo stile della pittura bizantina
che si sviluppa nei primi anni del 1200, quello che Kirtzinger ha definito
"volume style", il quale abbandona il linearismo della pittura precedente
A Tessalonica sotto i Paleologi, in particolare nei primi 100 anni, c'è un periodo
di grande splendore e fioritura artistica che pone la città e le sue maestranze al
centro di un fenomeno di irradiazione: gli artisti di Tessalonica vengono
chiamati a lavorare in territori anche esterni all'impero bizantino (Regno di
Serbia). Diventa il centro artistico più importante dei balcani
Arcata del bema: 6 figure di apostoli sedute in trono da un lato e sei dall'altro,
rappresentano la scena della Pentecoste
Pareti del bema: scena della comunione degli apostoli, si trova nella posizione
tipica, è divisa in due parti e l'iconografia qui è dinamica, ma è circa la stessa: 6
figure di apostoli in corteo si avvicinano all'altare dove sotto al ciborio sta
Cristo che versa il calice/spezza il pane. Dietro gli apostoli c'è la figura di un
angelo, nel periodo mediobizantino è consueto che vengano aggiunti come
fossero assistenti di Cristo nel celebrare l'eucarestia
Navate laterali: nella parte bassa un velario, nella parte alta le figure di santi
(come di norma). Più in alto c'è il ciclo agiografico dedicato al santo titolare, S.
Eutimio. Si tratta di un ciclo molto ricco.
Parete con il santo che davanti all'altare, sotto un ciborio, celebra la messa
affiancato da un diacono e alcune persone assistono.
Accanto vi è la scena del santo che guarisce un indemoniato, uno degli episodi
miracolosi della sua vita.
Vi è anche l'episodio della kòimesis, la morte di S. Eutimio, circondato dai
fratelli che lo piangono. Egli è disteso su un tappeto di paglia intrecciata,
materiale povero tipico della vita monastica, presenta una barba molto lunga
che indica la sua vecchiaia e sul petto vediamo appoggiata un'icona di Cristo
Pantokràtor, riprodotta con pennellate monocrome.
L'iconografia della morte dei santi si ispira direttamente a quella della morte di
Maria (Icona di Santa Caterina al Monte Sinai, XII sec: elementi in comune sono
la posizione della figura del santo ed il fatto che è circondato come la Vergine
lo era dagli apostoli)
Sottarchi della navata: altre figure di santi a mezzobusto, figure molto austere e
severe
Non si tratta di un periodo circoscritto della città, ma della sua intera vita in
epoca bizantina, questo perché Mistrà è una città nuova
Mistrà è un nome che nasce in ambito italiano, il vero nome della città era
Myzitras, che probabilmente deriva dai dialetti interni del Peloponneso in cui
l'elemento slavo ha un forte peso, non è un nome greco classico.
Quello però è il nome con cui la città era conosciuta a livello locale, a livello di
fonti letterarie e documenti ufficiali viene invece chiamata con il nome
dell'antico centro che sorgeva in quella zona, ossia Sparta
Mistrà quindi all'inizio è una città provinciale, ma ci sarà una svolta negli anni
successivi al regno di Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1355) ed è legata al fatto
che l'usurpatore, esterno alla dinastia dei Paleologi, quando smette di
governare si ritira proprio a Mistrà, sottraendosi alle probabili vendette della
dinastia legittima.
Egli non sceglie però una città isolata, Mistrà nel frattempo era diventata
piuttosto importante e comanda un territorio significativo all'interno del
Peloponneso. Giovanni poi regalerà la città a suo figlio Manuele, il quale
diventa una sorta di governante semi-autonomo: fino a quel momento Mistrà
aveva avuto solo governatori inviati da Costantinopoli, da quel momento
invece applica una politica autonoma, obbedisce solo formalmente alla
capitale.
Manuele Cantacuzeno infatti attuerà una pacificazione con i territori circostanti
ed una politica di accordi con i signori francesi che ancora occupano gran parte
delle città del Peloponneso. Riconquistare culturalmente quei territori diventa
l'obiettivo primario di questo primo despota
Una seconda figura chiave per la città di Mistrà è quella di Manuele II: tutti lo
conosciamo come imperatore bizantino, ma egli all'inizio della sua lunga
carriera ha passato molti anni nella città di Mistrà per imparare a governare,
collocatovi dal padre per far si che i vecchi despoti Cantacuzeni non avessero
un futuro locale. Con lui nei primi anni del '400 infatti Mistrà rientrerà
nell'influenza della dinastia Paleologa.
Come aveva fatto suo padre in passato, anche Manuele II designerà il suo
secondo figlio Teodoro (quello non destinato a succedergli come imperatore)
despota di Mistrà
Palazzo: fino a pochi anni fa era in rovina, ora è stato restaurato mediante un
processo chiamato anassimosi (ripristino e ricostruzione totale dell’edificio), un
metodo che in Italia non si usa, mentre in altri Paesi va per la maggiore e negli
ultimi anni sta sempre più prendendo piede
Fasi costruttive:
Gli elementi architettonici che usa poco hanno a che fare con il mondo
bizantino: finestre, pareti con grandi aperture ad arco ribassato, oculi che
danno luce alla grandissima sala che doveva colpire chi veniva ricevuto.
Era come se a Mistrà ci fosse una seconda Costantinopoli, tutta questa
grandiosità deve imitare l'idea del palazzo imperiale di Costantinopoli (che in
quegli anni non c'è più), delle residenze imperiali e del palazzo delle Blacherne
che invece esiste ancora, almeno ideologicamente Mistrà diventa una seconda
capitale
Questo vale non solo per il palazzo, per le difese dell'area del palazzo o per
quelli che si possono considerare gli ambienti dipendenti dal palazzo dei
despoti: questo discorso vale anche per gli edifici ecclesiali, che rappresentano
uno dei tratti distintivi più importanti di Mistrà. Sono molti e ben conservati,
ma hanno tratti particolari
Nel 1261 la città diventa sede episcopale, sulla base di una traslazione di poteri
dall'antica sede episcopale della zona, ovvero Sparta
Nonostante non sia più diffuso in quel periodo, a Mistrà viene adottato il tipo
basilicale, scelta inaspettata per una città nuova. Ideologicamente però questa
città non nasce da zero, è la nuova Sparta.
La chiesa episcopale di Sparta, Hosios Nikon (dedicata a S. Nicone, santo
monaco itinerante del X sec) è una chiesa basilicale, tardoantica ed essa viene
presa come modello proprio a causa del trasferimento della sede episcopale
(ideologicamente dovevano trasferire anche l'aspetto di tale sede).
Le tre chiese più importanti di Mistrà, S. Demetrio (chiesa episcopale), Vergine
Odighitria e Vergine Pantanassa, sono delle basiliche. Esse però vengono
adattate, hanno tutte un piano rialzato con una pianta diversa, più simile al
tipo della chiesa a croce greca inscritta, quindi si ha una mescolanza tra le due
architetture. Questo si spiega perché comunque l'impianto basilicale è sentito
fuori moda e la parte superiore viene aggiornata
Non esistono solo basiliche a Mistrà, ci sono esempi molto rari di edifici di altro
tipo.
Uno degli edifici più antichi della città è il Monastero del Brontòchion: è
fortificato, aveva due chiese, quella più antica e poi quella che la sostituirà.
Edificio molto particolare perché molto legato al territorio, probabilmente
fondata da un certo Daniele (di cui non si sa nulla) insieme a Pacomios, che
sarà anche abate di questo monastero.
Chiesa a pianta centrale basata su un naos quadrato che però andando verso
l'alto ha delle trombe angolari che sorreggono una cupola centrale molto larga
con un pesante tamburo. Queste sperimentazioni architettoniche non sono di
Mistrà, risale a molti anni prima (primi anni dell'XI sec, chiesa del monastero di
Hosios Loukas), ma la chiesa dei S.S. Teodori ne copia uno più vicino e recente
nella città di Monemvasìa (chiesa episcopale, costruita dopo il 1250 con
dedicazione a S. Sofia)
Gli affreschi della chiesa dei S.S. Teodori sono mal conservati, ma abbiamo
delle figure di santi militari (in linea con la dedicazione della chiesa, a grandi
patroni delle forze armate) tra cui Demetrio, Nestore.
Sui due pilastri delle arcate del bema doveva esserci l'annunciazione, ma come
spesso accade in queste chiese, di cui rimane solo l'arcangelo Gabriele
In questa chiesa abbiamo anche una serie di cappelle, in cui però lo stato di
conservazione è pessimo.
In una avevamo un ritratto di committente, di Teodoro I, figlio di Manuele II,
monaco finanziatore dell'impresa. Probabilmente era sepolto qui e non si ha
altro a parte questi frammenti, che però sono importantissimi poiché
costituiscono un esempio di ritratto della committenza dell'aristocrazia locale,
del livello più alto che era proprio il despota.
Un'altra cappella era quella delle "crisobolle": si chiama così perché si decide di
affrescarla con un solo soggetto figurato nella volta a crociera (Ascensione di
Cristo), mentre le pareti vengono campite con la restituzione dei 4 privilegi
imperiali che il monastero ricevette nel corso del tempo, fonte della sua
ricchezza e della sua legittimità
Nel 1230 però Teodoro I viene sconfitto e la città cade definitivamente nel 1246
sotto l'Impero di Nicea.
Se prima il Despotato dell'Epiro cercava di espandersi verso Oriente, dopo
questo evento tenta di consolidare i suoi possedimenti nella Grecia centro-
ovest e centrale.
In questo periodo regna Michele II che nel 1243 si fa raffigurare sempre con
l'arcangelo Michele sul verso, mentre sul retto compare lui stesso con abiti
imperiali, con il globo con la croce ed un'iscrizione che lo compara a un vero e
proprio capo militare di questo stato che progressivamente si rafforza, pur
contraendosi territorialmente. Questi sono gli ultimi decenni in cui sarà molto
importante anche suo figlio Niceforo I
Arta è una città che è cambiata molto nel corso dei secoli, soprattutto nel '900:
come gran parte delle città greche è stata molto urbanizzata con una qualità
edilizia spesso piuttosto scarsa.
Ha però una storia antichissima, è stata fondata nel VII sec a.C., conquistata dai
romani nel II sec a.C. e per un periodo era stata la capitale del regno di Pirro.
Presentava delle estese fortificazioni e all'interno di esse vi erano importanti
monumenti. Al di fuori della città stanno venendo alla luce anche estese
necropoli.
Dopo aver avuto grande importanza nel periodo classico, divenne molto meno
importante nel periodo mediobizantino ed i monumenti di tale periodo che
sono noti grazie agli scavi archeologici sono pochi.
Perché allora fu scelta poi come capitale? Tra le città di quell'area era quella
che conservava almeno in parte le sue mura di età classica, quindi era una città
difendibile
Teodora (che poi divenne santa) era la moglie del primo despota vero e proprio
e a lei è legato un altro edificio che oggi porta il suo nome, una chiesa che si
trova nell'area storica di Arta (risalente al periodo classico), già esistente in cui
lei decide di insediare un altro monastero femminile. Mentre quello di prima si
trovava fuori dalle mura, questo si trova dentro la città ed è anche quello che
lei preferisce: qui decide di ritirarsi nel 1267-68 quando il marito muore.
Anche in questo caso lo fa completamente trasformare utilizzando materiali di
spoglio, in parte anche rielaborati, provenienti forse da Nicopoli, una città
molto importante nel periodo romano e cristiano. Il primo elemento che la
nuova committente decide di inserire è anche in questo caso un'iconostasi
composta non di strutture a bassorilievo, ma realizzate con la tecnica
"cloisonné" in cui il rilievo è appena pronunciato ed il fondo riempito con
mastice o di colore rosso o nero, più raramente verde (c'era molta varietà di
linguaggi in quegli anni ad Arta).
Teodora probabilmente in previsione della sua morte fa costruire il nartece
esterno
L'edificio più importante è la chiesa della Parigoritissa, uno degli edifici più
rappresentativi dell'architettura tardobizantina. Si può confrontare con un altro
edificio ritrovato dopo un lungo scavo archeologico negli anni '70 del '900, che
ha molte somiglianze e differenze con quello precedente, la Pantanassa ….
In tal modo sarebbe una chiesa di tipologia nota a Costantinopoli dal periodo
mediobizantino, ma che si può anche confrontare con l'altro edificio di Arta:
togliendo gli ambienti laterali e il nartece che probabilmente doveva esserci
(elementi aggiunti successivamente quando la chiesa era quasi in stato di
crollo) il blocco centrale è praticamente identico.
è come se fossero due fondazioni gemelle, una nel centro di Arta e una a 17km
a nord su una strada molto importante perché collegava Arta alla seconda città
più importante del Despotato dell'Epiro, Janna
Questo intervento risale alla fine del XIII sec ed il pannello dinastico che è stato
ritrovato doveva trovarsi all'ingresso allo scopo di siglare tale intervento.
In questo pannello da un lato vi era Niceforo, dall'altro Anna e sotto l'erede al
trono. Nell'iscrizione si ha per la prima volta la professione di fede che
facevano gli imperatori al momento dell'incoronazione
Questo avviene ampliando alcune delle paraste laterali che dovevano garantire
supporto maggiore laddove si avevano le colonne binate, ma anche inserendo
delle colonne orizzontalmente le quali fungono da sostegno alle colonne
superiori
Perché è stata scelta tale pianta composita? La ragione risiede nel fatto che
avendo un lato di 9m la cupola sarebbe dovuta avere un diametro di 9m e
questo era complicato da realizzare. Questo sistema serve a ridurre
progressivamente il diametro della cupola, rendendolo più gestibile dal punto
di vista statico. Oggi il diametro della cupola misura 5,8m
Arcone nord: Natività. Vergine con bambino, bue e asinello ai lati. Tutte le
figure attorno recano delle iscrizioni che le identificano in modo diretto come
personaggi di tale scena evangelica: Re Magi, S. Giuseppe, pastori, angelo. Ci
sono anche i profeti e S. Luca.
Trovare dei profeti all'interno di una scena del Nuovo Testamento è inusuale
poiché essi non erano presenti, quello che è più importante infatti è ciò che
tengono in mano, ovvero dei cartigli in cui vi sono i testi dei profeti che
annunciano la venuta di Cristo. Questi testi venivano anche letti durante le
celebrazioni liturgiche legate a quella festa
Arco con Agnus Dei: l'Agnello di Dio si trova sempre nelle chiese come
immagini di Cristo.
Nel 692 però nel mondo bizantino c'era stato un concilio che aveva vietato la
rappresentazione di Cristo sottoforma di animale, quindi l'iconografia
dell'Agnus Dei tanto diffusa in Occidente lì non si ha.
L'iscrizione sopra l'agnello dice: "l'agnello di Dio che prende su di sé il peccato
del mondo", quindi capiamo che è un riferimento a Cristo crocifisso
Ad Arta gli elementi occidentali vengono recepiti in vario modo, in tutti e tre gli
edifici ci sono elementi occidentali, ma vengono utilizzati in maniera errata nel
verso e nella disposizione.
A livello storico il contatto con l'Occidente avviene mediante il matrimonio tra
la figlia di Niceforo I, Tamara, con il principe Filippo di Taranto, uno dei figli di
Carlo II d'Angiò. Quindi lo scambio culturale avviene principalmente con l'Italia
meridionale
Lezione 11 (30 novembre 2021)
Anche per i bizantini il bagno pubblico aveva una funzione sociale oltre che
igienica: era il punto di conversazione che riguardava maschi e femmine.
Nonostante i medici raccomandassero di farlo più spesso man mano che le
stagioni diventavano più calde, nell'epoca bizantina il bagno non era una cosa
frequentissima, bisognava risparmiare acqua.
Dal punto di vista religioso la pratica del bagno era considerato invece come un
incentivo alla lascivia, pericoloso dal punto di vista morale.
A Costantinopoli comunque i bagni c'erano, sia pubblici che privati e anche
monastici: il numero di queste strutture nelle città bizantine indicava la
prosperità della città.
Quello di Tessalonica è di dimensioni medie, ma presenta tutti gli elementi
tipici
Fino ad un certo punto l'entrata era collocata nella terza navata, ma quella non
era l'entrata originaria, che si trovava invece nel lato sud in corrispondenza
della prima navata. Lì si trovano i primi due ambienti rettangolari che
corrispondono all'apòditon (in greco=spogliatoio) e al frigidarium. Poi vi sono
le due stanze del tepidarium, ampie, comunicanti e separate tra loro da arcate
sostenute da colonne. In questo ambiente si svolgevano i preliminari per i
bagni che poi si svolgevano nelle vasche del calidarium, comunicante anch'esso
con gli ambienti precedenti. In origine le vasche erano disposte nella parte in
corrispondenza delle nicchie nelle pareti
Nella stanza del calidarium hanno fatto dei sondaggi archeologici sotto il
pavimento e sono state trovate tracce del cosiddetto ipocausto, la camera
d'aria vuota, sostenuta da colonnine di mattoni, la quale costituiva
un'intercapedine in cui con le condutture in terracotta veniva portata l'aria
calda e riscaldava da sotto il pavimento.
Questa camera si collega anche con l'ultimo ambiente che contiene la cisterna
dell'acqua e nello spazio più alto la fornace che alimentava il riscaldamento di
acqua e aria nella terma, alimentata a legna o a carbone. L'acqua riscaldata era
distribuita nelle varie vasche con tubature di argilla ed il vapore caldo che si
sviluppava dall'acqua veniva anch'esso incanalato nelle tubature, portato
nell'ipocausto e nello spessore delle pareti
Non sono stati fatti scavi archeologici nella zona circostante quindi non
sappiamo con sicurezza la destinazione originaria del bagno. Le dimensioni non
molto grandi suggeriscono che forse non si trattava di un grande bagno
pubblico, ma del bagno di un monastero
Le grandi terme man mano caddero in rovina, quindi nelle città bizantine
prevalevano questi bagni di medie dimensioni che non avevano settori distinti
per maschi e femmine, ma funzionavano a giorni o ore alterne in base alle
utenze diverse
Dalle fonti scritte sappiamo che i bagni monastici non erano spazi architettonici
vuoti, ma erano decorati sulle pareti. Abbiamo notizie di un bagno del XII sec in
cui sulle pareti erano raffigurati miracoli evangelici che avevano a che fare con
l'acqua (piscine, fonte)
Sempre negli stessi anni si realizza una chiesa, S. Panteleimon: parte orientale
della città, vicino alla Rotonda, nella zona a nord della Leoforos.
Il nome non è bizantino, gli è stato dato nel '900, quindi non siamo sicuri di
come si chiamasse all'epoca. Si ipotizza che questa fosse in origine la chiesa del
monastero della Teotokos Peribleptos, fondata alla fine del '200
dall'arcivescovo di Tessalonica Giacomo.
L'edificio è stato molto rimaneggiato e nemmeno conservato per intero.
Conserva il naos, il nartece, due cappelle laterali, ma ha perduto il
deambulatorio che circondava interamente la parte centrale
Pianta particolare: chiesa a croce inscritta con 4 colonne che sorreggono la
cupola centrale, ma i bracci della croce sono cortissimi e all'interno si crea
l'effetto di uno spazio unico. Si trasforma quindi la tradizionale pianta di epoca
mediobizantina
All'interno della chiesa durante i restauri della metà del '900 sono stati scoperti
degli affreschi, ma la decorazione è molto lacunosa, a parte alcuni frammenti le
mura appaiono spoglie. Restano alcuni frammenti nella cappella sud con la
Vergine orante nel catino ed i padri della chiesa nel semicilindro e poi un
frammento in una delle due cappelle accanto all'abside dove nel catino si ha la
figura di S. Giacomo Maggiore vescovo di Gerusalemme.
Questa figura è una scelta iconografica forse dovuta all'omonimia del vescovo
che ha fondato il monastero e ciò potrebbe confermare l'ipotesi che tale chiesa
fosse proprio quella del monastero commissionata da lui
Questa chiesa appartiene allo stesso tipo della precedente. Intorno al naos si
ha un deambulatorio a forma di U che termina in due cappelle a sinistra e
destra dell'abside. Questo corridoio continua senza interruzione collegandosi
con il nartece. La cupola centrale e le cupolette angolari formano la struttura a
5 cupole, quella maggiore si sviluppa su un tamburo ottagonale e slancia la
costruzione verso l'alto
All'interno predomina un verticalismo (tipico dell'architettura paleologa),
anche qui le colonne sono molto vicine alle mura perimetrali e sono di
reimpiego.
L'abside è unica e semicircolare, mentre le due cappelle laterali presentano
una nicchia in spessore di muro che non emerge esternamente
Tale ciclo appare essere di una notevole qualità, però oltre ai danni nel tempo
anche i restauri non hanno contribuito a migliorarne le condizioni. Anche
queste pitture sarebbero attribuibili alla bottega di Michele Astrabas ed
Eutichio
Chiesa dei S.S. Apostoli: costruita tra 1310 e 1314. Importante per la sua
architettura molto elaborata e per la decorazione interna che ha conservato
molte parti e che è duplice, si hanno sia mosaici parietali che affreschi.
Si trova vicina alle mura ovest della città, vicino alla porta Litèa da dove parte il
decumano superiore, via S. Demetrio.
Faceva parte di un monastero che doveva essere molto esteso, a distanza
notevole dalla chiesa troviamo traccia della porta di ingresso e di una grande
cisterna che doveva raccogliere l'acqua che alimentava l'intero complesso
La chiesa sembra che sia stata fatta in un'unica fase costruttiva. Pianta a croce
inscritta in un quadrato con cupola centrale sorretta da 4 colonne, modello
classico di Costantinopoli, le colonne sono ben spaziate all'interno ed i bracci
hanno la lunghezza canonica. La cupola centrale ha un tamburo molto
sviluppato in altezza, qui si esprime molto bene il verticalismo di epoca
paleologa.
L'edificio non è molto grande, le pareti misurano circa 20m.
La parte centrale è preceduta dal nartece interno, il quale si collega
direttamente al deambulatorio e alle due cappelle laterali. Si aggiunge poi il
nartece esterno.
Il nartece doppio si trova anche a Costantinopoli, ma l'uso del deambulatorio è
diverso: a Costantinopoli aveva un uso funerario e vi venivano posti i sarcofagi
dei fondatori, a Tessalonica serviva invece alle processioni
I mosaici oggi sono situati solo nella parte centrale e occupano cupola,
tamburo, pennacchi e 4 bracci della croce.
Seguono il classico programma decorativo gerarchico che parte dalla divinità di
Cristo, passa poi all'umanità di Cristo e infine si ha l'intercessione con i fedeli
(figure dei santi)
Arco est sotto la cupola: fra gli evangelisti Matteo e Giovanni vi è il Mandylion
Braccio ovest: scena della Trasfigurazione, è stata fatta una scelta monocroma,
il colore è sostituito da una gamma di sfumature del bianco e del grigio. Questa
è la scena in cui si manifesta la divinità di Cristo attraverso la luce e quindi
l'artista si concentra sulla resa dell'effetto luminoso. I raggi che fuoriescono
dalla mandorla hanno una struttura a rombi sovrapposti tipica dell'epoca
paleologa, forse deriva dall'influsso di una corrente religiosa contemporanea,
l'Esicasmo: aveva sede a Tessalonica e considerava la luce un elemento per
entrare in contatto con la dimensione ultraterrena.
Un altro elemento stilistico caratteristico dell'epoca paleologa che avrà poi
sviluppi successivi è la rappresentazione del paesaggio con le rocce appuntite
molto aguzze, su cui si pongono i personaggi.
Scena dell'Entrata a Gerusalemme: affollamento e dinamismo della scena reso
molto bene. Nell'architettura della città, entro le mura, si ha un edificio
circolare coperto da cupola nel quale possiamo riconoscere la Rotonda del
Santo Sepolcro, santuario più importante della città
Braccio nord: molto rovinata la scena della Crocifissione, si vedono solo parte
dei corpi di Gesù e S. Giovanni Battista
Scena dell'Anastasis, Cristo scendendo al Limbo resuscita i progenitori (Adamo
vestito di bianco, Eva di rosso) e tutti personaggi dell'Antico Testamento.
Dall'altra parte si ha il Battista accompagnato da due figure regali, con la
corona, sono re Davide e suo figlio Salomone.
La discesa agli inferi è rappresentata in uno scenario sotterraneo, sotto i piedi
di Cristo ci sono le porte degli inferi ed i chiavistelli che sono stati rotti.
Cristo ha uno slancio dinamico nel prendere per mano i progenitori
Gli studiosi hanno dibattuto sulla provenienza degli artisti, fra le varie ipotesi la
più convincente è quella dello studioso greco Xingopoulos: artisti originari di
Tessalonica, non era necessario chiamare artisti da fuori per realizzare un ciclo
del genere. Ci sono però strettissimi legami con le botteghe di Costantinopoli,
ma in questo periodo si sa che le città erano in stretto contatto, quindi gli artisti
di Tessalonica erano a conoscenza di ciò che avveniva nella capitale, avevano
modelli comuni
Le tessere del mosaico sono per lo più in pasta vitrea, però c'è anche un
notevole uso di marmo bianco per i colori più chiari
Parte bassa del naos: vanno a completare le decorazioni delle pareti a mosaico
con figure dei santi e padri della chiesa
Nartece esterno: ciclo di infanzia e della vita di Maria --> lunetta con
Annunciazione presso il pozzo: diversa da quella che conosciamo noi, è tratta
dai vangeli apocrifi per cui la prima annunciazione sarebbe avvenuta lì
Ci sono molte citazioni dello stile classico, elemento più presente a Tessalonica
piuttosto che a Costantinopoli: nel banchetto di Erode alle spalle dei
personaggi si ha un'architettura con due architravi sostenuti da colonne, una
nicchia ad ombrello decorata che ricorda la pittura parietale di epoca romana,
quella di Pompei.
Anche la figura del servitore coincide con il capitello che sostiene l'architrave:
riferimento preciso al modello delle cariatidi di Atene
Seminario 9 (1 dicembre 2021) – dott.ssa Rebecca Amendola
Oggi si conoscono circa 40 esemplari che sono conservati nei principali musei
europei, nei musei di civiltà bizantina (Museo Bizantino e Cristiano di Atene) o
in fondazioni ecclesiastiche orientali e occidentali (monasteri del Monte Athos,
monastero di S. Caterina al Monte Sinai). Alcuni si trovano anche al
Metropolitan di New York o al Dumbarton Oaks di Washinghton. Questa
situazione odierna è dovuta principalmente a due fattori:
- piccole dimensioni che rendeva gli oggetti trasportabili, alcuni hanno fatto
numerosi viaggi e tappe
- la preziosità li rendeva destinati all'alta società bizantina del tempo, ma anche
poi ricercati dai principali esponenti della società di '400 e '500
Gli studiosi si sono poi interrogati su quale potesse essere l'origine di questi
micromosaici ed inizialmente (all'inizio del '900) Dalton ha proposto che essi
fossero connessi agli "emblemata" della tradizione greca e romana: mosaici
che venivano realizzati su cavalletto e poi posizionati al centro di una
decorazione pavimentale in un secondo momento. I micromosaici hanno in
comune con essi l'impiego di tessere più piccole rispetto al resto della
decorazione musiva ed il fatto che rappresentino scene complesse
Recentemente però gli studiosi sono d'accordo nel ritenere che i mosaici
portatili siano connessi alla decorazione musiva parietale --> immagini dei santi
nelle chiese che poi si evolvono nei "proskinetaria": immagini votive davanti a
cui ci si inchina e si prega, però di grande formato e realizzate a mosaico
parietale o ad affreschi, con stucchi o marmi lavorati che le incorniciano.
Queste spesso affiancavano il "templon" struttura architettonica che separa la
zona sacra del bema dal resto dell'edificio.
L'origine dei micromosaici può quindi essere messa in relazione con
l'evoluzione degli spazi liturgici all'interno degli edifici sacri: le aperture del
templon vengono progressivamente chiuse prima da tendine e poi da icone.
Dopo il 1261 si ha il passaggio dal templon all'iconostasi, strutture con la
medesima funzione, ma realizzate in legno e su di esse venivano appese le
icone.
Le icone musive di grande formato deriverebbero dai proskinetaria, mentre le
icone a micromosaico deriverebbero dalle iconostasi
Essendo oggetti di lusso destinate alle alte sfere della società, il principale
centro di produzione doveva essere Costantinopoli. C'è chi ha ipotizzato che ne
detenesse addirittura il monopolio, ma non esistono fonti che possono
confermarlo.
Sono stati individuati altri centri di produzione, ad esempio Nicea, Cipro, Sicilia,
Venezia, Monte Athos e Tessalonica, quest'ultima forse riforniva il Monte
Athos.
Le botteghe che producevano queste icone è probabile che fossero le stesse
che producevano opere di oreficeria e smalto, lo confermerebbe un confronto
dei micromosaici della Trasfigurazione del Louvre e il Pantokrator del Bargello
con l'icona a smalto che raffigura S. Michele Arcangelo del Tesoro della Basilica
di S. Marco: hanno in comune la cornice geometrica che delinea il soggetto
principale
Lungo i bordi laterali della cornice si hanno due iscrizioni con le lettere disposte
a losanghe, quella di sinistra tradotta dice: "questa ampolla contiene il sacro
balsamo che viene dal pozzo in cui il corpo del divino Demetrio, battezzato con
un unguento fragrante, giace lasciandolo sgorgare e facendo miracoli per tutto
l'universo e per i fedeli", quindi è un chiaro riferimento al culto e alla
venerazione del santo e del suo olio sacro.
A destra l'altra iscrizione dice: "oh grande martire Demetrio intercedi presso
Dio affinché egli aiuti me, tuo fedele servo, sulla Terra imperatore dei romani
Giustiniano, per confondere i miei nemici e porli sotto i miei piedi".
La critica ha ipotizzato si possa trattare di Giustiniano II, il quale difese
Tessalonica dall'avanzata degli slavi nel 688.
Entrambe le iscrizioni rimandano a Tessalonica
Durante i cento anni di splendore degli ultimi secoli, Tessalonica è stata anche
un centro di produzione di arti suntuarie, le arti di lusso che comprendono
oreficerie, codici miniati e tessuti
Era chiamato in questo modo nel XIII sec, ma già nel XII sec esistevano oggetti
simili che però avevano un nome diverso, ossia grande aèr (=grande velo).
Questi veli erano usati nella processione della cosiddetta "grande entrata",
quella durante la quale il calice con il vino e la patèna con il pane venivano
portati dalla pròthesis (cappella sinistra del bema) attraverso la chiesa, fra i
fedeli, per poi tornare nel bema per lo svolgimento del rito. Questa
processione è molto particolare perché coinvolge tutti fedeli, sia dal punto di
vista visivo che acustico (mediante i canti). Il calice e la paténa erano ricoperti
da veli quando venivano presi dai sacerdoti e poi dopo il giro della chiesa
venivano ricoperti con l'epitaphios, talmente grande da riuscire a coprire tutti e
due gli oggetti e anche l'altare. L'immagine rappresentata al di sopra alludeva
al sacrificio dell'eucarestia che veniva celebrato durante la messa.
A un certo punto l'epitaphios anzichè essere adoperato durante la liturgia
quotidiana, viene riservato solo alla liturgia del Venerdì Santo
Questi due soggetti venivano spesso utilizzati per il piccolo aèr, il velo più
piccolo che veniva utilizzato per coprire calice e patena quando venivano
trasportati durante la processione. Ognuno copriva o il calice o la patena e per
questo le due scene della comunione del vino e del pane erano rappresentate
separatamente, coprendo rispettivamente uno dei due oggetti
I veli liturgici di cui abbiamo parlato venivano visti dai fedeli per via del
percorso che faceva tale processione, così come i calici d'oro ricoperti di
gemme e le patene d'argento. Erano elementi centrali di questo rito molto
scenografico, riflettevano la luce naturale e quella delle candele, non erano
semplici oggetti d'uso.
Il tutto veniva arricchito con l'incenso che quindi coinvolgeva il fedele anche
dal punto di vista olfattivo.
Inoltre i sacerdoti che svolgevano tale rito indossavano anch'essi vesti ricamate
--> veste liturgica, tesoro della basilica di S. Pietro a Roma, realizzata nel XIV
sec: scena di Maestà da un lato, comunione con pane e vino sulle maniche,
dall'altra parte scena della Trasfigurazione.
All'interno di questo rito tali vesti ricoperte di scene religiose diventavano delle
"icone incarnate" (come dice lo studioso americano Warren Woodfin), quando
il sacerdote si muoveva nella chiesa erano come delle icone in movimento che
tutti potevano vedere
Chiesa di S. Nicola Orfano: molto piccola, era in origine la chiesa di un piccolo
monastero risalente a inizio XIV sec, collocato nella zona est della città alta.
Assieme al quartiere tutt'intorno è sopravvissuta all'incendio del 1917, infatti è
l'unica zona che conserva ancora le strade tortuose di epoca bizantina
Il ciclo pittorico si può datare intorno al 1320, in base allo stile. Copre tutte le
superfici disponibili e costituisce uno dei cicli meglio conservati di Tessalonica
poiché non essendo mai diventata moschea esso non è mai stato ricoperto di
calce o alterato.
Vi sono moltissime scene narrative, ma tutte di piccolissime dimensioni e
questo è tipico del periodo paleologo.
Sono disposte su 4 registri:
4. figure dei santi, più in basso figure intere di santi militari, vescovi e monaci,
sopra figure a mezzobusto
1,2,3 scene narrative --> 1. e 2. feste della chiesa (Trasfigurazione,
Crocofissione, Resurrezione di Lazzaro, Entrata in Gerusalemme). Nel timpano
ovest si ha l'Ascensione
3. ciclo della passione
Sull'altare, al centro del ciclo narrativo, sopra il catino absidale compare il
Mandylion
Nelle due scene in alto ai lati del catino sono presenti i due episodi della
comunione, i quali sottolineano quale sia la liturgia che si svolge in quel punto
della chiesa.
Tra queste due quella meglio conservata è quella della Comunione del vino:
Cristo è sotto il ciborio dietro un altare con un velo purpureo decorato d'oro,
alle sue spalle ci sono due angeli che sventolano i flabelli. Cristo è
rappresentato come sacerdote, perché sta celebrando il rito ed è vestito con il
"saccos" la veste liturgica che abbiamo visto prima, qui però non ci sono scene
figurate ed è decorato solo con delle croci
Parete ovest: sopra la porta si trova una scena della Koimesis, è molto grande
rispetto alle altre
S. Nicola è uno dei grandi santi della chiesa ortodossa, inoltre è anche un santo
che divenne proprio della cultura occidentale poiché nel 1081 vennero
trafugate le sue reliquie dalla città di Mira e trasportate a Bari
1. scena della nascita del santo, rappresentata con la stessa iconografia della
nascita di Maria
2. S. Nicola va a scuola, con un libro in mano, accompagnato davanti al maestro
seduto in cattedra. Affinità con un'altra iconografia del Vangelo, quella di Gesù
da piccolo che discute fra i dottori
3. viene nominato diacono e poi vescovo
4,5,6 uno dei grandi miracoli di S Nicola, uno dei più rappresentati, ossia la
storia di tre generali che vengono accusati ingiustamente, imprigionati e
condannati a morte al tempo dell'imperatore Costantino. S. Nicola interviene a
difenderli:
- scena 4: appare in sogno al governatore e dice che deve liberarli
- scena 5: compare in sogno anche all'imperatore Costantino
- scena 6: interviene in prima persona, i generali stanno per essere decapitati
ed il santo blocca con la mano la spada del boia
Gli affreschi continuano anche sulle altre pareti con moltissimi miracoli di
Cristo:
- samaritana al pozzo, donna preziosamente abbigliata in verde e porpora con
rifiniture in oro nelle vesti e nella brocca appoggiata al pozzo
- nozze di Cana, rappresentata come un evento contemporaneo, con abiti,
mobilio e stoviglie di epoca paleologa
I pittori non hanno lasciato firme: forse perché siamo a Tessalonica, luogo in cui
probabilmente la loro identità era conosciuta ed era più facile attribuire a loro
pitture di questo tipo. La firma con il nome si spiega più in terre straniere, in
Serbia ad esempio
La chiesa ha una pianta molto particolare, "a triconco" con una cupola centrale
appoggiata su 4 grandi arcate e 4 colonne angolari.
Davanti alla chiesa vera e propria si ha un nartece molto profondo a 9 campate,
un corpo quasi a se stante.
Questo tipo di architettura è nuovo per Tessalonica ed in generale è molto raro
nell'architettura bizantina. Viene usato però nelle chiese monastiche del Monte
Athos, luogo vicino a Tessalonica
Uno studioso greco ha ipotizzato che la chiesa, il cui nome moderno è Profeta
Elia, sostiene che si possa identificare con la chiesa del monastero di Tou
Akapnìo che fu ricostruito proprio in quel periodo su committenza imperiale
Gli ultimi anni del XIV sec sono i più vicini alla conquista di Tessalonica, in
questo periodo gli ottomani hanno occupato tutta l'Asia Minore e i Balcani,
trasferendo la capitale a Edirne, una città situata in un punto strategico a poca
distanza da Tessalonica e Costantinopoli, le ultime città rimaste in mano ai
bizantini, come due isole che nemmeno comunicano più tra loro.
I turchi quindi minacciano queste due ultime città ed in breve tempo
riusciranno a conquistarle entrambe.
La prima a cadere sarà Tessalonica, il 29 marzo del 1430, conquistata dal
sultano Murad II, padre di Maometto II che nel 1453 conquisterà
Costantinopoli
Dal 1430 al 1912 Tessalonica è stata una città turca, in cui sono state costruite
moltissime moschee che oggi non esistono più. Però è stata anche una città
multiculturale dove convivevano comunità ortodosse, ebraiche, islamiche