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Tessalonica Bizantina (prof.

Antonio Iacobini 6CFU)

Lezione 1 (28 settembre 2021)

Analisi della produzione artistica della città dal IV sec fino al 1430, anno in cui
la città di Tessalonica cade in mano ai Turchi, circa vent’anni prima di
Costantinopoli

Negli anni che precedono la fondazione di Costantinopoli Tessalonica esisteva


già e si trovava al centro della penisola balcanica, è la città più importante della
regione greca della Macedonia, è chiamata anche Salonicco e si affaccia sul
golfo Termarico

Pur non essendo una delle sedi patriarcali (Alessandria d’Egitto, Antiochia,
Gerusalemme e Costantinopoli) è stata uno dei centri più importanti
dell’impero bizantino fin dai primi secoli, considerata una vice capitale

Tessalonica nasce in età ellenistica, al tempo di Alessandro Magno (ritratto di


Alessandro, dettaglio del mosaico che raffigura la battaglia di Isso, contro Dario
III re dei persiani nel 333 a.C.), viene fondata da Cassandro, collaboratore di
Alessandro e re della Macedonia, nel 316-315 a.C. e prende il nome dalla
moglie, che è la sorella di Alessandro Magno

La città ellenistica era più piccola della città attuale, occupava la zona
intermedia fra il mare e la parte più alta (senza però arrivare a una delle due
parti).

Nel 158 a.C. i romani conquistano la Macedonia e nel 146 diventa la capitale
della provincia romana della Macedonia.
Non abbiamo molte notizie sul periodo romano, ma sappiamo che fu meta di
uno dei viaggi apostolici di S. Paolo che risiedette nella città e nel I sec (intorno
al 50 d.C.) scrisse 2 epistole ai Tessalonicesi.
Quando egli era lì vi era una piccola comunità cristiana nuova formata da due
etnie diverse: pagani convertiti ed ebrei convertiti al cristianesimo (le due
ecclesie, ex gentibus/ex circumcisione)
Metà del III sec, primi spostamenti di popolazioni barbariche che cominciano a
superare i confini dell’impero romano. I Goti superano il confine naturale
dell’impero romano segnato dal fiume Danubio a Oriente, 3 tentativi di
invasione:
253-254
262
268
Alla viglia di queste invasioni viene restaurata l’antica cinta muraria di epoca
ellenistica
Nell’anno 268 i Goti vennero sconfitti dall’imperatore Claudio che per questa
ragione assume il nome di Claudio il Gotico

L’epoca della tetrarchia è la più brillante (III-IV sec) l’imperatore Galerio la


sceglie come residenza e vi soggiornerà in due fasi (298-304 e 308-311).
Questa città diventa la capitale tetrarchica e Galerio vi fa costruire un palazzo
imperiale.
In quest’epoca si colloca la prima persecuzione cristiana nella città e nel 303
viene martirizzato S. Demetrio, il quale diviene patrono della città ed uno dei
santi più importanti dell’ortodossia dei balcani

Icona di S. Demetrio: molto piccola, con cornice in argento sbalzato e parte


centrale in micro mosaico di epoca paleologa (inizio XIV sec).
Arriva in Italia mediante il cardinale Bessarione, uno degli intellettuali bizantini
che si trasferirono in Italia alla vigilia della conquista turca. Lui poi la donò al
suo segretario, l’umanista Niccolò Perotti, il quale a sua volta la lasciò alla sua
città, Sassoferrato nelle Marche, in cui si trova ancora conservata nel piccolo
museo civico. Nel 1916 venne rubata e poi restituita, ma durante il furto subì
dei danni. S. Demetrio è rappresentato in una delle iconografie più diffuse,
come santo guerriero che difende la sua città ovvero Tessalonica, con la
corazza, la lancia ed il grande scudo

Costantino aveva progettato di spostare la capitale da Roma ad un altra


località, per breve tempo aveva pensato di trasferirla a Tessalonica, nel 322-
323 fece quindi costruire il nuovo porto che prese il suo nome.
Oggi è interrato, dove vi era il bacino oggi ci sono degli edifici, ma nel IV sec era
uno dei porti più attrezzati d’Europa e metteva in comunicazione tutte le città
della metà orientale del Mediterraneo. Era inoltre la sede della flotta romana
nel mar Egeo
Seconda capitale dell’impero bizantino per 1000 anni e residenza dei vari
imperatori tra cui Teodosio I, colui che con l’editto del 380 dichiarò la religione
cristiana religione ufficiale dell’impero e questo editto fu promulgato proprio a
Tessalonica. Anche la celebrazione dei 10 anni del regno di Teodosio I avvenne
a Tessalonica.
Nello stesso periodo però ci fu il cruento massacro della popolazione che
l’imperatore fece dentro l’Ippodromo, egli voleva punirli per la rappresaglia
contro il magister militum Buterìkos che fu ucciso dalla popolazione perché
aveva aumentato le tasse. L’accaduto obbligherà Teodosio ad affrontare un
pentimento pubblico, voluto dal vescovo di Milano S. Ambrogio che lo
scomunicherà (primo intervento dell’autorità religiosa su autorità imperiale)

Metà V sec, intorno all’anno 440 gli Unni superano il Danubio e conquistano la
città romana di Sirmium, sede della prefettura dell’Illirico (capitale
amministrativa). A quel punto quella sede viene trasferita a Tessalonica.
In questi anni la città viene dotata di una nuova cinta muraria per dare
maggiore sicurezza (dal 441). Nel 447-448 viene stipulato il trattato di pace con
gli Unni. È questo il periodo in cui la città si arricchisce di nuovi monumenti
cristiani

Nel VI sec, sotto Giustiniano, vi è la prima età d’oro dell’impero bizantino e per
le province è un periodo di stabilità, ma dura poco. Dopo la morte di
Giustiniano nel 590 gli Avaro-Slavi penetrano nella penisola balcanica ed
arrivano a minacciare Tessalonica, arrivano fin sotto le mura ed iniziano a
saccheggiare le campagne che la circonda. Gli abitanti del territorio circostante
si trasferiscono dentro le mura (fenomeno di inurbamento, mentre nelle città
dell’occidente vi è invece un calo demografico)

VII sec, periodo di difficoltà sia per le invasioni che per numerosi terremoti e
incendi che danneggiano la città fra il 620-630. Il paesaggio urbano cambia,
vengono abbattuti gli edifici già in rovina di epoca antica.
Vi sono anche attacchi da parte degli Slavi e dei Bulgari, ma l’imperatore
Giustiniano II mette fine a queste minacce con la vittoria definitiva nel 688. La
sua vittoria verrà festeggiata a Tessalonica, egli farà un ingresso trionfale.
Si indebolisce anche sul fronte marittimo: 904 assedio arabo di Tessalonica
(miniatura con navi che giungono da Tripoli ed invadono la città, si trova dentro
il manoscritto della cronaca di Giovanni Stylitzes)
IX sec, epoca dei macedoni. Cirillo e Metodio erano due fratelli nobili di
Tessalonica che partirono per delle missioni di conversione degli Avari e degli
Slavi (863-864). Ci riuscirono inventando un nuovo alfabeto, il cirillico, e
traducendo la Bibbia nella lingua di quei popoli. Essi si convertirono alla
religione ortodossa e quindi da pericolosi nemici divennero alleati dei bizantini,
facendo risultare questa operazione valida sia dal punto di vista culturale che
diplomatico

1185: assalto a Tessalonica da parte dei Normanni, partiti dalla Puglia con
l’intenzione di raggiungere Costantinopoli approfittando di un momento di
debolezza dell’impero. Sbarcarono a Durazzo, durante il viaggio fecero tappa a
Tessalonica e la invasero, ma l’occupazione durò solo pochi mesi ed i bizantini
riuscirono a riprenderne il controllo

Nel 1204 con la quarta crociata e l’occupazione dei latini fino al 1261
Tessalonica venne assegnata come territorio in compenso della conquista a
Bonifacio di Monferrato, uno dei più importanti capi della crociata, che fino al
1224 fu re della città. In quell’anno il despota dell’Epiro riesce a conquistare la
città che venne annessa quindi al Despotato dell’Epiro. Poi entrò a far parte
dell’impero di Nicea, uno dei centri da cui partirà la riconquista di
Costantinopoli e dell’impero da parte dei bizantini

Nell’età dei paleologi diventa un centro di produzione molto importante e


molti artisti e pittori saranno chiamati a lavorare nelle regioni balcaniche,
diffondendo lo stile e le tecniche bizantine.

Periodo di splendore che dura circa 100 anni. Alla metà del secolo però la
situazione politica cambia, l’impero bizantino si è ridotto molto dal punto di
vista territoriale (aveva solo tre territori separati fra loro). I turchi ottomani
trasferiranno poi la capitale in uno di questi (la Tracia) ed essi cercheranno di
conquistare Tessalonica e Costantinopoli
29 marzo 1430 il sultano Murad II conquistò Tessalonica

Basilica di Acheropoietos: la prima ad essere trasformata in moschea, una delle


colonne di marmo del Proconneso riporta un iscrizione in lingua turca con la
data della conquista turca ed il monogramma di Murad II
Inizia così il periodo ottomano di Tessalonica, la quale rimarrà in mano ai turchi
fino al 1912, anno in cui durante la guerra balcanica entrò a far parte del Regno
di Grecia (regno ortodosso).
Per 500 anni è stata piena di moschee, ma dopo il 1912 cambierà totalmente.
Nell’epoca turca la città diviene multiculturale, vi sono turchi (islamici), cristiani
ortodossi e comunità ebraica. Gli ebrei erano sempre stati a Tessalonica, ma
per la maggior parte erano stati accolti lì dopo le fughe dall’Europa: ebrei
Sefarditi (Sefarad, in ebraico vuol dire Spagna), cacciati dalla penisola iberica
alla fine del ‘400, ed ebrei Ashkenaziti, che arrivano nel ‘500 dal nord Europa.
Sappiamo dai documenti che nel 1613 la popolazione della città era ebraica per
il 68%, parte più consistente della popolazione.
Un’altra testimonianza è il racconto di un viaggiatore ebreo spagnolo
Beniamino da Tudela, che nel 1570 durante i suoi viaggi visita Tessalonica ed
afferma che a quell’epoca gli ebrei non erano tantissimi, erano solo 500.

Mustafa Kemal (detto Ataturk, padre dei turchi) sarà il primo presidente del
moderna Repubblica di Turchia fondata nel 1923 (repubblica laica) ed era nato
a Tessalonica

Nel 1917 avviene la più grande catastrofe della storia della città: l’incendio di
Tessalonica. Un incendio accidentale che distrusse tutto a parte alcuni quartieri
nella parte settentrionale e orientale, 2/3 della città vennero distrutti dal
lunghissimo incendio. Si diffuse velocemente perché gli edifici erano di legno.
Dopo questo incendio ci fu una ripartenza e venne chiamato un architetto
francese specializzato in urbanistica per progettare la ricostruzione della città
distrutta

La città antica aveva una struttura urbanistica particolare, ippodamea (da


Ippolito di Mileto che aveva progettato una città con un reticolo di strade
ortogonali, che si incrociano ad angolo retto). Ernest Hebrard inserisce invece
nuovi viali che tagliano diagonalmente la città

La città ha uno strato di sedimentazione molto alto, per via dei crolli avvenuti
durante le catastrofi antiche: la città più antica quindi si trova in profondità e
venne riscoperta solo in epoca recente grazie agli scavi per i lavori della
metropolitana nei primi anni ‘00
Lezione 2 (29 settembre 2021)

Schizzo elaborato dall’archeologo tedesco Vickers nel 1972: la città antica era
basata su un modulo di misure costanti, ogni isolato era di 100x50m salvo in
alcune piazze.
In questo reticolo ortogonale le vie principali erano due strade più grandi che
attraversavano la città da ovest a est, le attuali vie S. Demetrio e via Egnazia
(erano i due decumani della città ellenistica)

La via Egnazia (decumano inferiore) in età romana e bizantina non si chiamava


così.
La via Egnazia era un’altra strada del mondo antico che collegava la città di
Durazzo con Costantinopoli, una via importantissima poiché era anche
collegata al di là del mare con Brindisi, dove arrivava la via Appia da Roma
(collegamento unico dalla vecchia alla nuova Roma).
La via Egnazia passava per Tessalonica, ma passava fuori dalle mura, quindi il
nome attuale della strada è un nome moderno, non quello antico: in epoca
romana il decumano era chiamato via Regia per via della sua grandezza ed in
epoca bizantina era chiamato Leofòros (in greco “viale”).

Il centro della Tessalonica ellenistica, romana e bizantina era costituito


dall’Agorà (dal greco foro, la piazza) collocata al centro della griglia di strade.
L’Agorà romana si sovrapponeva a quella ellenistica.
L’attuale Agorà che oggi si trova fra gli edifici moderni è stata costruita nel II sec
d.C. (in età imperiale) ed è una piazza monumentale sviluppata su due livelli,
una terrazza superiore ed una inferiore, si appoggia al terreno e ne sfrutta il
declivio.

La terrazza superiore era costituita da una piazza rettangolare di cui sono stati
recuperati due lati del portico, nord e est, il lato est ospita l’Odeion, un teatro a
forma semicircolare con una gradinata al centro che ospitava gli spettacoli
antichi.
L’Odeion aveva avuto anche dei restauri nel IV sec, all’epoca di Costantino
Esso è nominato in una fonte storica importante “I Miracoli Di S. Demetrio” che
parla della storia di Tessalonica cristiana. In essa se ne parla facendo
riferimento all’anno 586 e si dice che a quella data si tenevano ancora
spettacoli teatrali. Quindi a Tessalonica si ha una sopravvivenza molto lunga
dell’uso originario di questo tipo di edificio, cosa che nelle altre città antiche si
era interrotta da tempo

Il portico a sud divide la terrazza superiore da quella inferiore ed è a due piani,


quello superiore fatto a colonne e quello inferiore sostenuto da pilastri con
volta a botte. La parte alta era aperta sulla piazza mentre quella bassa era ciò
che i romani chiamavano criptoportico, poiché era seminterrato. Esso
costituiva il punto di passaggio dalla parte alta a quella bassa.
Non era rimasto sempre così, all’epoca di Giustiniano le arcate erano state
tamponate e lo spazio interno era diventato una cisterna riempita d’acqua che
serviva ad alimentare la zona circostante

All’estremità orientale nel VI sec venne creata l’Aghìasma, letteralmente “fonte


sacra cristiana”, una sorta di cappella con una fontana ritenuta miracolosa.
Nella cappella si trovavano delle pitture sulle pareti, oggi frammentate.
L’affresco in origine prevedeva nella parte inferiore due santi ai lati di una
croce, identificati come i S.S. Cosma e Damiano (santi medici legati quindi al
potere miracoloso dell’acqua), mentre nella parte superiore non sappiamo
bene come fosse la composizione, compare una figura in trono al centro e due
personaggi ai lati tagliati quindi impossibili da identificare.
Questa struttura risale ai tempi in cui era in funzione la cisterna, quindi l’acqua
miracolosa proveniva da lì

Anche la terrazza inferiore aveva un portico che si apriva sul decumano


inferiore, oggi questo ingresso non esiste più , ma abbiamo delle testimonianze
come un’incisione dell’800: mostra che c’era una facciata monumentale con
due livelli, il piano inferiore con colonne e capitelli corinzi, un grande architrave
e nella parte superiore dei pilastri con delle Cariatidi.
Esso non esiste più, le colonne e le Cariatidi sono state rimosse, vendute ed
oggi le Cariatidi si trovano al museo del Louvre.
Nel XVII-XVIII sec questo portico era chiamato “Las Incantadas” in riferimento
alle figure femminili delle Cariatidi, il nome spagnolo si spiega con il fatto che in
quella zona abitavano gli ebrei Sefarditi

Nell’angolo sud-ovest della terrazza venne costruita nel 1028 una chiesa, la
Panaghìa Ton Chalkéon (ch si pronuncia k) che vuol dire “la Santa Vergine dei
calderari” cioè dei fonditori di metalli che avevano in questa zona le loro
officine. Infatti il portico su quel lato ha il nome di Chalkéutikes Stoà, “portico
dei fonditori”, perché lì si trovavano proprio le loro botteghe

La parte dell’Agorà rimase sempre uno spazio aperto, mai occupato da edifici
se non per la piccola chiesa sull’angolo. Questa parte infatti era chiamata in
greco Megaloforos, letteralmente “piazza grande”
Un documento del 1420 la definisce ònfalos, letteralmente “ombelico”, quindi
immaginavano la città come un corpo di cui quella parte era il centro

Nel periodo tardo-antico, periodo della tetrarchia, si ha un momento di grande


novità quando sotto l’imperatore Galerio viene costruito un Palazzo Imperiale.
Esso viene costruito in una zona più periferica, nell’angolo sud-orientale, molto
vicino alle mura e verrà ad installarsi su un terreno disabitato che si trovava a
cavallo della via Regia. I lavori iniziarono nel 299

Di quello che c’era in origine si vede abbastanza poco, il palazzo era collegato
ad un grande Ippodromo oggi scomparso sotto gli edifici moderni e a causa
degli incendi, dei terremoti.
Era grandissimo, lungo 400m e largo 125m.
L’accostamento di palazzo ed ippodromo è tipico delle residenze di epoca
tetrarchica e si rifà al modello di Roma, palazzo imperiale sul Palatino che si
affaccia sul Circo Massimo, schema ripreso anche a Costantinopoli.
L’ippodromo nell’antichità non era solo un luogo di giochi, ma anche un luogo
politico poiché era l’unico luogo in cui l’imperatore si manifestava di fronte ai
suoi sudditi e si poteva quindi avere un contatto con lui

Lungo la via Regia si trova l’Arco di Galerio, di cui oggi ne è sopravvissuta solo
una parte, collegato ad una strada che arrivava fino alla Rotonda, edificio che
costituisce la parte più settentrionale del palazzo imperiale.
Esso era un arco a 4 passaggi, faceva da punto di snodo nell’incrocio delle
strade e poi vi era un ultimo tratto di strada, una via processionale porticata
che collegava il Palazzo alla Rotonda

Palazzo Imperiale:

1. La residenza imperiale si sviluppava attorno a un grande peristilio quadrato


costituito da un portico attorno a uno spazio aperto e al di sotto di esso la
pavimentazione presentava dei mosaici geometrici
2. Più vicino all’ippodromo si trovava una Sala di Udienza che aveva una pianta
a navata unica con una grande abside dove si trovava il tribunal, ossia la
piattaforma con il trono dell’imperatore.
Questa aula era attaccata ad un peristilio

3. Sull’altro lato del peristilio si sviluppava il grande complesso termale della


residenza, con tutte le sale previste (calidarium, tepidarum, frigidarium)

4. Grande edificio ottagonale con atrio a forcipe con due nicchie laterali. Sulle
pareti erano scavate 7 nicchie semicircolari di cui quella a nord è più grande
delle altre.
La funzione originale di esso non è chiara, c’è chi pensa che possa essere stata
un’altra sala della residenza o un edificio con finalità di culto.
Il pavimento dell’ottagono, che prima era coperto da una cupola e presenta
una massiccia muratura in laterizi, era in marmo lavorato a opus sectile con
motivi geometrici. Aveva anche un rivestimento di marmo sulle pareti,
elemento costante della decorazione interna degli edifici di questo periodo
Gli archeologi hanno trovato al di sotto del pavimento in marmo le tracce
dell’originario pavimento a mosaico e alcuni studiosi hanno ipotizzato che
l’ottagono potrebbe essere non del tempo di Galerio, ma del tempo di
Teodosio I. Questa teoria non è stata dimostrata con prove certe, inoltre la
muratura a mattoni regolari è identica a quelle delle altre parti del palazzo,
quindi è difficile che risalga a più di 70 anni dopo. Può darsi che si tratti di una
struttura che sia stata realizzata per ultima nel cantiere, ma sempre nello
stesso periodo del resto

5. Davanti all’ottagono c’era un cortile aperto di forma rettangolare che si


sviluppava in direzione della costa marittima.
Gli archeologi nella loro ricostruzione fanno arrivare il portico fino a un certo
punto, ma non è da escludere che il peristilio con altre costruzioni arrivasse a
toccare la sponda del mare oppure che il mare in origine arrivasse più vicino e
non ci fossero spazi di terreno che lo separassero.
Diciamo questo perché osservando il palazzo di Diocleziano a Spalato che sorge
sulla sponda del mare ci accorgiamo che la porta d’ingresso del palazzo ha
anche una sorta di porticciolo che ospitava le barche a servizio del palazzo
stesso
Arco Trionfale di Galerio: in origine aveva una struttura simile a quella dell’Arco
di Giano a Roma, ma aveva una decorazione diversa da esso. 4 grandi pilastri
con copertura a cupola o volta a botte, oggi ne rimangono solo 2. Vediamo
anche un altro pilastro che però appartiene ad una fase successiva, nel V sec
infatti l’arco venne ampliato con l’aggiunta di 2 pilastri a destra e 2 a sinistra,
arrivando ad avere 8 sostegni.
Quindi oggi restano due archi originali e un pilastro dell’ampliamento.
I pilastri che sostengono la parte più antica sono tutti ricoperti di lastre
marmoree decorate a bassorilievo e contengono il racconto storico della
campagna di guerra che Galerio aveva vittoriosamente condotto contro
Persiani e Armeni nel 297-298

La Rotonda di S. Giorgio era quella collegata all’arco con la via processionale


che oggi è andata perduta. A un certo punto l’edificio originalmente laico che
faceva parte del palazzo è stato convertito in chiesa cristiana

Il palazzo venne abitato frequentemente dall’imperatore Teodosio I, che amava


molto Tessalonica e trascorreva lunghi periodi nella città.
Dopo di lui gli imperatori continuarono ad usarlo, ma già nel VI sec dopo la
morte di Giustiniano iniziano ad andarci più di rado.
Nel VII sec i terremoti mettono il palazzo in condizioni di degrado e, non
essendoci i finanziamenti per poterlo restaurare, viene abbandonato.
Nel tardo medioevo dalle fonti sappiamo che questa zona era chiamata
kambos, “zona coltivata”, perciò sappiamo che tutto quanto era crollato e che
la terra aveva coperto tutto permettendo addirittura l’attività agricola

Il centro religioso della città antica con gli edifici pagani era nella zona sud-
ovest, dove si trovava il Tempio di Giove Serafide o Serafèo e altri edifici di cui
oggi abbiamo scarse tracce.
Il tempio era stato costruito già nel 187 a.C. in epoca repubblicana, quando la
Macedonia non era ancora una provincia romana. Poi viene restaurato in
epoca tetrarchica tra il III e il IV sec, forse sotto Galerio

A quanto sappiamo a Tessalonica nessun tempio antico viene trasformato in


chiesa cristiana. Si ha solo un’eccezione, la Rotonda del Palazzo Imperiale, ma
essa non era un edificio pubblico, si trovava in una zona privata
Nel V sec sotto Teodosio I vengono costruite le prime basiliche cristiane di
Tessalonica ed esse vengono collocate negli antichi complessi termali: S. Sofia,
Basilica dell’Acheropoietos (si pronuncia achiropitos), S. Demetrio, chiesa di
Hosios David

Il perché di questo fenomeno si può spiegare sia per ragioni spirituali che
pratiche.
I complessi termali erano adatti perché possedevano già gli impianti idraulici
per la distribuzione dell’acqua utile per il sacramento del battesimo. Inoltre le
terme non erano mai stati edifici sacri, perciò occuparle per il culto cristiano
non urtava la sensibilità della comunità pagana.
Nonostante gli editti e le leggi di Teodosio I che vietavano il culto pagano, esso
non era affatto scomparso, anzi proprio il fatto che l’imperatore dovesse
insistere con questi provvedimenti fa capire di come fosse ancora radicato con
forza. La scomparsa del paganesimo sarà lentissima

Oltre alle basiliche nominate vi è una chiesa antica ottagonale scoperta grazie a
degli scavi archeologici negli anni ‘70. Di questa rimangono oggi solo le
fondazioni, ma sono sufficienti per farci capire che fosse una chiesa di grandi
dimensioni con dei muri poderosi.
Gli archeologi greci hanno ipotizzato che si trattasse del martyrion ossia la
chiesa che conserva le spoglie di S. Nestore, martirizzato assieme a S. Demetrio
durante le persecuzioni di Galerio ai cristiani. L’attribuzione di questa chiesa a
tale santo però è solo un’ipotesi.
Un’altra ipotesi degli archeologi greci riguarda la data della sua costruzione, da
loro individuata intorno al VI sec, ma uno studioso tedesco più recente, Bauer,
nel suo libro su Tessalonica ha ipotizzato che possa invece essere del V sec.
La chiesa era affiancata da due costruzioni più piccole, una di esse era forse un
battistero.
Sul muro largo 7 metri si trovavano le nicchie scavate sui lati dell’ottagono,
forse la copertura era una cupola o una volta a 8 spicchi in muratura.
Attorno alla parte centrale della chiesa vi era un deambulatorio ottagonale
suddiviso in due navate da un colonnato e da qui si staccava l’abside
semicircolare sulla parte orientale.
Nella parte occidentale la facciata era occupata da un portico rettangolare
sorretto da colonne
Basilica di S. Mena: si trovava nella zona del porto di Costantino, non è
dedicata ad un santo di Tessalonica, ma un santo egiziano il cui santuario vicino
ad Alessandria era visitato da moltissimi pellegrini. Probabilmente quella zona
doveva essere occupata dalle comunità straniere che avevano lì le loro
botteghe e Tessalonica aveva molti contatti con l’Egitto per via del commercio
di grano.
Questa chiesa era una grande basilica di cui oggi restano solo alcune parti
perché è stata ricostruita completamente nel 1852.
Della parte originaria resta la grande abside, inoltre nella costruzione moderna
sono riutilizzati capitelli di marmo che in origine decoravano l’interno delle 3
navate che la componevano.
In questa chiesa si trovavano dei fregi scolpiti con figure di animali che
decoravano un architrave, questi frammenti oggi sono esposti nel Museo della
Civiltà Bizantina di Tessalonica e sono stati la ragione per cui in epoca turca la
chiesa era stata ribattezzata “arca”, perché gli ricordava l’arca di Noè piena di
animali.

All’interno si conserva ancora una parte dell’arredo liturgico bizantino tra cui
l’ambone realizzato nel VI sec con un blocco monolitico di marmo verde di
Tessaglia, il calco di gesso conservato nel Museo Bizantino di Atene fa vedere
meglio questa struttura che nella chiesa è incastrata fra le panche di legno: è
diverso dagli amboni diffusi in quel periodo, essi avevano due scale di accesso
una per ogni lato che portavano alla piattaforma superiore in cui il parroco
leggeva le sacre scritture; questo ambone ha invece una sola scala, inoltre la
piattaforma superiore ha 7 lati ed anche questa è una cosa rara (di solito era
ellittica, o poligonale con lati pari).
La parte inferiore presenta nicchie con colonnine e la sommità a conchiglia;
nella parte superiore vi è un parapetto fatto di lastre con inciso un crismon a 6
bracci, separate tutte da una specie di pilastrino. Mentre negli arredi normali
tutti questi elementi sono pezzi singoli che poi vengono montati insieme, qui è
tutto realizzato su un unico pezzo.
Il parapetto delle scale presenta un crismon con 6 bracci e ai lati 4 piccoli
cipressi stilizzati

Tra le prime costruzioni cristiane ce n’è anche un’altra che si trova fuori dalle
mura, nella Necropoli Orientale di Tessalonica.
Subito fuori dalle mura sia ad occidente che ad oriente vi erano le necropoli fin
dall’epoca greco-romana. La legge romana già dall’epoca arcaica (“legge delle
12 tavole”) affermava che i morti dovessero essere sepolti fuori dalle città e lo
stesso valeva per Tessalonica

Pochi decenni fa dagli scavi è emersa una basilica cimiteriale, si tratta della
cosiddetta Basilica della via 3 settembre: non si sa a chi fosse dedicata, gli
archeologi le hanno dato il nome della strada moderna sotto la quale si trova.
Di questa basilica rimangono solo alcune parti delle mura perimetrali, l’abside
e una cappella cruciforme che era vicina alla basilica, probabilmente una
cappella martiriale di un santo molto venerato.
Tutto intorno è pieno delle tombe dei personaggi che hanno voluto farsi
seppellire nel luogo più santo di quell’area.
I greci hanno ipotizzato che la basilica fosse dedicata a un santo della città,
Alessandro di Tessalonica, terzo santo più importante. I personaggi che
avevano più potere si erano fatti seppellire dentro la basilica, sotto il
pavimento, altri intorno al di fuori della cappella.
Era una basilica a 3 navate, rimangono le tracce della recinzione rettangolare
che separava l’altare dal resto, dietro l’abside troviamo un corridoio lievemente
sotterraneo come una cripta che permetteva ai fedeli di entrare da una parte e
uscire dall’altra mediante delle scale: era un modo per avvicinarsi il più
possibile alla sepoltura del santo che doveva essere collocata sotto l’altare.
Questa parte dell’abside presenta quindi il kyiklion, corridoio semicircolare con
un pavimento di marmo decorato e le pareti dipinte.
Sotto l’altare è stata ritrovata dagli archeologi un reliquario di argento che
probabilmente conteneva frammenti del corpo del santo a cui era dedicata,
questo conferma l’uso di questa basilica

In origine a Tessalonica le necropoli erano 2, non erano necropoli cristiane


bensì ellenistiche e romane ed hanno continuato ad essere usate come luogo
di sepoltura fino all’epoca cristiana.
In esse sono state ritrovate tracce di sepolture che hanno delle forme diverse:
- inumazione: corpo messo sottoterra e al di fuori del terreno si vede una
lapide con i nomi delle persone defunte (Lapide di Eufemios e Sabbatis, V-VI
sec)
- sarcofagi: messi ai lati delle vie interne alle necropoli
- tombe a camera semi-interrate: all’esterno del terreno emergevano solo la
volta a botte della copertura e la porta d’ingresso. Con una scala si poteva
scendere nella camera sepolcrale al di sotto del livello del terreno.
Erano le tombe più lussuose e l’interno era sempre dipinto con affreschi che si
sono in gran parte conservati (gli archeologi li hanno staccati dalle pareti e oggi
si trovano nella Sala 3 del Museo della Civiltà Bizantina, in alcuni casi è stata
anche ricostruita la struttura architettonica).
I temi di queste decorazioni sono simili a quelli delle pitture delle catacombe
paleocristiane

Tomba di Susanna e i Vecchioni: prende il nome dal tema iconografico tratto


dall’antico testamento raffigurato sulla parete di fondo. Susanna era una donna
ebrea che era stata ingiustamente accusata di adulterio e gli anziani della
comunità ebraica sono coloro che continuano ad accusarla di averlo commesso
nonostante Susanna si dichiari innocente.
Susanna qui si trova al centro della scena in una posa orante, vestita con una
lunga tunica a maniche larghe, a destra e sinistra ci sono i due anziani.
Questo tema è molto diffuso non solo a Tessalonica ed il suo significato va al di
là della sua narrazione, è simbolico: Susanna rappresenta le persecuzioni
ingiuste che i cristiani hanno ricevuto dai pagani.
Nella parte bassa di questa tomba la decorazione continua con un muretto in
finto marmo con delle pelte che prima erano traforate, esso continua anche
nelle pareti laterali dove in alto abbiamo raffigurazioni di piante e alberi che
compongono un giardino, allusione al giardino dell’Eden.
È quindi sicuramente una tomba cristiana.

Ci sono però anche tombe con rappresentazioni più neutre che rendono
difficile capire se si tratti di una tomba pagana o cristiana come la Tomba di
Flavio e Aurelia Eustorgia dipinta fra il 320 e il 340: come cronologia potrebbe
essere cristiana, ma dal soggetto non si comprende se i committenti fossero
cristiani o pagani.
Ai lati ci sono figure di uccelli con rami di foglie e fiori, la parete di fondo ci
sono i committenti della tomba, padre e madre a destra e sinistra + 2 bambini
di cui non si conosce il nome vestiti con una tunica ai lati di un altare funebre
su cui vi è poggiata un’anfora con un liquido all’interno → il culto dei defunti
nell’antichità prevedeva il rito delle libagioni, cioè versare dei liquidi al di sopra
di un altare all’interno di una tomba. Il figlio più grande infatti tiene in mano
una sorta di bicchiere che doveva contenere anch’esso del liquido, mentre
l’altro tiene fermo il vaso con la mano dal manico.
Potrebbe essere una tomba pagana, ma se si guarda l’iscrizione ci accorgiamo
che essa termina con un crismon, il monogramma del nome di Cristo, quindi
possiamo dire con sicurezza che apparteneva a due aristocratici che si erano
già convertiti al cristianesimo
Seminario 1 (5 ottobre 2021) – prof.ssa Giulia Grassi

I musei bizantini

Storicamente è in Europa che le collezioni paleocristiane e bizantine


cominciano ad essere sistematizzate ed esposte nei grandi musei. Decenni
dopo questo avviene anche negli Stati Uniti, a partire dagli anni ‘20

Ad oggi esistono solo 2 musei monografici dedicati a Bisanzio, il Museo


Bizantino e Cristiano di Atene (1930) ed il Museo della Civiltà Bizantina di
Salonicco (1994); quindi se vogliamo cercare reperti bizantini dobbiamo andare
nei grandi musei e ci rendiamo così conto che tra Europa e Stati Uniti sono
soltanto 5 i musei in cui si ha una sezione specifica dedicata, in cui i manufatti
sono esposti in 2 o 3 sale con una disposizione organica e non frammentata.
Di questi musei 2 sono in Europa, Bode Museum di Berlino ed Hermitage di
San Pietroburgo, gli altri negli USA e in Canada, il Metropolitan di New York ed
il Dumbarton Oaks di Washington

Al di là di questi 5 noi troviamo spesso oggetti bizantini esposti, ma con criteri


non omogenei, li possiamo trovare nelle sezioni dedicate all’antichità insieme
all’arte greco-romana o in quelle dedicate al medioevo; nelle sezioni
denominate “area europea” o “area dell’oriente”; nelle sezioni dedicate alle
arti applicate

Gli oggetti bizantini si trovano anche in due tipi di istituzioni:


- Musei Diocesani e Tesori delle Cattedrali (tipica europea - Italia, Francia,
Germania): in queste collezioni che hanno radici nel medioevo si trovano
piccoli oggetti preziosi spesso di carattere religioso arrivati come donazioni da
Bisanzio o come bottino
Tesoro di S. Marco, Venezia: nasce con la Quarta Crociata del 1204 che ha
avviato l’arrivo di oggetti da Costantinopoli, continuato poi in tutto il periodo
della dominazione latina (primo nucleo di oggetti)
- Musei Universitari (tipica degli USA): raccolte bizantine in cui i gioielli hanno
un ruolo minore rispetto alle terracotte e alla scultura, poiché sono state
formate soprattutto grazie alle campagne di scavo condotte da tali istituzioni
Art Museum di Princeton: collezione bizantina che si è originata alla fine
dell’800 con le prime esplorazioni archeologiche in Siria. Collezione piuttosto
ricca, nel 2020 approfittando delle chiusure per la pandemia è stato avviato un
vasto programma di riorganizzazione che dovrebbe concludersi nel 2024,
perciò l’allestimento precedente non è più visibile

A fine ‘800 si ha un interesse per i manufatti paleocristiani e bizantini perché è


stata riscoperta Bisanzio

Proprio in quel periodo la “bizantinistica” si definisce come disciplina


accademica autonoma, distaccandosi dal settore di studi su antichità e
medioevo. Compaiono due riviste dedicate tra cui la Byzantinische Zeitschrift
(ancora esistente) ed iniziano ad essere pubblicati dei lavori generali sull’arte
bizantina che appaiono soprattutto in Germania, Russia, Francia e Inghilterra,
nazioni in cui tali studi si affermano per primi.

Inoltre si diffonde un’immagine idealizzata di Bisanzio, non reale ma


immaginata, e questa si diffonde fra gli artisti art nouveau, i romanzieri di
teatro. Essi la vedono come una città dalle atmosfere fortemente orientali,
dove dominano intrighi e passioni, sontuosa e decadente al tempo stesso.
Ha contribuito in modo determinante alla formazione di questa visione l’opera
teatrale “Théodora” di Victorien Sardou che ha esordito a Parigi nel 1884, essa
ha creato un mito che si è diffuso anche negli USA (Charles Tiffany nel 1893
realizzò la “Byzantine Chapel” per la Chicago World Fair dopo aver visto
quell’opera a New York)
Questa visione è però antistorica

Ancora oggi il mondo bizantino è visto in modo falsato, si considera una civiltà
orientale, si fa confusione perché a livello geografico la percezione è quella dei
territori dell’impero ottomano, quindi si fatica in una dimensione storica
corretta

Bode Museum, Berlino (nome attuale del Kaiser Friedrich Museum,


ribattezzanto in onore del grande direttore Von Bode cui si deve la fondazione
del museo nel 1904 e la prima valorizzazione delle raccolte bizantine).
In questo museo vi sono 3 sale chiamate Museum Fur Byzantinische Kunst
(=museo per l’arte bizantina) e questo spazio è ancora oggi uguale a come lo
aveva progettato Bode, al primo piano del museo, nonostante le
riorganizzazioni e ampliamenti successivi (in altri musei non è così).
Nicchia con mosaico da Ravenna: donata dal sovrano a cui era intitolato il
museo, è stata questa a sancire l’inamovibilità degli spazi
Nel 1883 Bode era il direttore dei musei imperiali ed in virtù di questa carica
aveva fondato una sezione dedicata alle sculture cristiane nella quale erano
presentati sia marmi che avori e gioielli, materiali che provenivano dalla
Kunstkammern imperiale che era stata chiusa.
Per la prima volta viene valorizzato questo materiale riconoscendone le sue
specificità.
Negli anni successivi Bode aveva arricchito la sua collezione con materiali
provenienti dagli scavi tedeschi in Asia Minore e opere provenienti dall’Egitto.
Tutto questo è stato esposto in quelle 3 sale nel 1904

La raccolta ha carattere specifico, ci sono 3 nuclei fondanti:


- Arte copta (Egitto copto)
- Avori
- Scultura bizantina: collezione quasi più ampia e accurata del museo di
Istanbul, questo perché la Germania è stato uno dei primi centri di studio della
cultura bizantina

Oggi alla raccolta si è aggiunta una quarta sala, è stata riaperta al pubblico
dopo un riallestimento del 2006.
Si è cercato di mantenere l’idea di quelli che sono i nuclei fondanti della
collezione e al tempo stesso di presentare una visione organica e unitaria della
civiltà bizantina

Mentre la sala 113 è dedicata all’Egitto tardoantico e bizantino, le altre sale che
sono in successione sono intitolate “Costantinopoli e l’Impero Bizantino IV-XV
sec”, quindi l’ambito cronologico è quello storico che va dalla fondazione di
Costantinopoli alla conquista ottomana.
Le sale 114 e 115 espongono in particolare la scultura, mentre nella 110 ci
sono le arti minori e molto spazio è riservato agli avori.
Altre classi di manufatti sono più rare da trovare rappresentate in questo
museo, come gli argenti, ma vi sono anche un paio di icone a micromosaico

L’esposizione di questo museo è corretta

Museo Imperiale dell’Hermitage, S. Pietroburgo: nel 1888 quando viene


fondato il Dipartimento del Medioevo e del Rinascimento viene allestito uno
spazio espositivo in cui vi è una sala (13) dedicata alle antichità cristiane dei
primi 8 secoli. In essa confluiscono oggetti dalle collezioni zariste, ma in
particolare arrivano un centinaio di oggetti che avevano fatto parte della
collezione Basilewsky acquistate dallo zar Alessandro a Parigi nel 1884

Molti studiosi russi dicono che questa collezione bizantina sia la più ampia e
organica fra tutte, infatti essa si è molto arricchita durante i decenni successivi,
ma a questo arricchimento non è corrisposta una grande valorizzazione. Fino a
circa il 2010 per vedere gli oggetti bizantini bisognava raggiungere le 2 sale al
secondo piano in cui era esposta solo una parte ridotta di questo ricchissimo
materiale

La sezione che ospita gli oggetti bizantini è quella dell’Arte Orientale, quindi
essi si trovano fra manufatti cinesi, giapponesi, islamici. È una scelta fatta negli
anni ‘30 che ancora si mantiene

A questa situazione di sottoesposizione ha cercato di porre rimedio il nuovo


allestimento. Nel 2010 le sezioni hanno chiuso, vi è stata una riorganizzazione e
nel 2015 ha riaperto al pubblico.
Vi è un miglioramento rispetto al passato, ma tutto sommato è deludente: non
è stato dato maggiore spazio fisico, è rimasto sempre quello, quindi molte
classi di oggetti sono sottorappresentate rispetto al gran numero di manufatti
in possesso del museo
Per accedervi si sale un grande scalone, ad un lato si trova il manifesto che
mostra il titolo della sezione “L’arte di Bisanzio sec IV-XV” (impostazione simile
a Berlino, sempre considerando i limiti storici della civiltà).

Su un lato vi sono delle sculture e delle riproduzioni storiche dei mosaici di


Ravenna, poi si entra nella sala 381. Gli studiosi hanno tentato di lavorare sulle
differenziazioni dei colori, questa sala ha le pareti azzurro tenue, la volta bianca
ed i materiali esposti sono abbastanza indifferenziati, si hanno soprattutto
sculture, ma anche icone, frammenti di affresco, che vogliono dare un’idea
dell’arte che era presente nelle chiese bizantine

Le sale 381 A e 382 sono organizzate invece cronologicamente, nella prima si


ha l’arte tra IV e VIII sec, nell’altra l’arte fra IX e XV sec, anche se la divisione
non è così rigorosa.
In entrambe le pareti sono grigio perlato, stesso colore delle profilature delle
vetrine poste lungo il perimetro, tra le due sale cambia solo il fondo degli
espositori per valorizzare meglio gli oggetti (nella prima bianco, nella seconda
azzurro).
Nella prima sala si è voluta dare importanza al gran numero di argenti di
altissima qualità, mentre nella seconda ci si è concentrati sugli avori (è l’unico
museo che ha 5 cofanetti aburnei nelle collezioni) e sulle icone, categoria
sottorappresentata rispetto all’ampiezza della collezione

Questo allestimento cerca di toccare tutte le classi di oggetti, ma


l’organizzazione lo rende poco efficace. Probabilmente però non vi era
alternativa, il museo in generale tenta di rappresentare tutto, ma in maniera
molto sintetica per via dei limiti spaziali

Museo del Louvre, Parigi: possiede una ricca collezione di oggetti bizantini, i
primi entrarono al museo nel 1793 e si tratta di oggetti preziosi provenienti dai
tesori di S. Denis e Notre Dame.
Nel 1893 viene fondato il Dipartimento degli Oggetti D’Arte, dedicato a oggetti
di piccole dimensioni ed in esso confluiscono anche oggetti bizantini derivante
da acquisti e donazioni da collezioni private

Il problema del Louvre è che questo ricco materiale bizantino non trova una
collocazione fissa negli spazi del museo fino al 1938 e anche lì sempre in
coabitazione con il medioevo (oggetti carolingi o di epoca romanica).
Inoltre il Louvre ha 8 Dipartimenti (Pittura, Scultura ecc...) perciò molti
manufatti bizantini, dato che non esiste un dipartimento specifico, quando
giungono al museo affluiscono nei rispettivi dipartimenti e lì vengono esposti.
Quindi si ha una situazione di dispersione, bisogna cercare gli oggetti passando
da un’ala all’altra e da un piano all’altro

Dal 1981, quando è stato avviato il progetto del “Grand Louvre”, la maggior
parte degli oggetti bizantini è stata esposta al primo piano, nell’ala Richelieu, in
una sala del Dipartimento di Oggetti d’Arte. Molti materiali però, come calici e
pietre dure, seppur afferenti allo stesso dipartimento sono esposti nella
Galleria di Apollo che si trova da tutt’altra parte, nell’ala Denon.
Troviamo dei dipinti nel Dipartimento delle Pitture (sala 734) e troviamo gioielli
e smalti nella sezione delle Antichità Greche, Romane ed Etrusche al primo
piano ed al piano mezzanino.
Per vedere oggetti afferenti al mondo bizantino e copto bisogna invece andare
al mezzanino, nelle sale dedicate alle Antichità Egiziane, sezione delle sculture
(si trovano alcune delle poche sculture su marmo e non su pietra che possiede
il museo) e qualcosa si trova anche nella nuova sezione aperta nel 2012
dedicata all’arte dell’Oriente Mediterraneo dell’Impero Romano

Nel 2011 il direttore Harry Duarette aveva dichiarato la creazione di un


dipartimento specifico dedicato alle Arti dell’Oriente Cristiano a Bisanzio e dei
Popoli Slavi, ma il dipartimento è stato cancellato nel 2015.
Le proteste dei bizantinisti hanno portato il nuovo direttore a dichiarare che
qualcosa potrebbe essere fatto, ma solo dopo il 2024 quando termineranno le
riorganizzazioni in corso

La disposizione all’interno di un museo delle collezioni può rendere


comprensibile o inafferrabile un certo contenuto
Questa disposizione sbagliata nel Louvre è sorprendente anche perché la
Francia si ritiene la patria degli studi su Bisanzio, quindi è una contraddizione
che nel più grande museo della nazione non ne sia valorizzato il materiale.
Inoltre è proprio in Francia che sono state organizzate le più ricche mostre di
arte bizantina a livello internazionale, nel 1931 la prima e poi quella del 1992,
queste mostre sono state l’occasione per rimediare a questo problema

British Museum, Londra: anche questa è una collezione ricca di arte bizantina,
soprattutto per argenti e gioielli dato che sono stati acquistati e donati molti
tesori

Una valorizzazione importante è avvenuta agli inizi del ‘900 quando Dalton è
diventato curatore del Dipartimento del Medioevo ed ha allestito una Christian
Room, ha pubblicato una guida dove descriveva tutti gli oggetti esposti ed
anche un catalogo delle antichità paleocristiane e bizantine (più corposo
poiché non tutto era stato esposto).
Nella Christian Room vi erano due tavoli espositori ed una ventina di vetrine a
parete, quindi gli oggetti esposti erano molti, organizzati con criterio in 3
sezioni e anche se il titolo era generico c’era una valorizzazione significativa che
riuniva per quanto possibile gli oggetti in un solo luogo

Quello che succede oggi però è molto diverso, c’è quasi una “cancellazione di
Bisanzio”.
Anche al British Museum le sale sono state riallestite tra il 2009 e il 2014. Al
primo piano si ha una sala (66) dedicata all’arte copta alla quale però non viene
prestata molta attenzione perché si tratta di un corridoio con delle panchine
che serve più come area di sosta per i visitatori dopo un lungo percorso. Ci
sono poi le sale 40 e 41, la seconda espone gli oggetti più antichi (IV-XII sec),
appartenenti ad una fase di grandi cambiamenti per l’Europa, viene data
grande importanza all’arte delle migrazioni nei secoli medievali. La prima sala
invece è dedicata al medioevo e procede per temi, ogni vetrina è dedicata ad
un tema (monasteri, reliquari ecc…).
In tutte e due le sale l’arte bizantina non ha quindi un’autonomia, la civiltà non
viene presentata come autonoma, ma concorre a creare un quadro d’insieme

La sala 41 ha una forma cruciforme, entrando si trovano a sinistra delle vetrine


dedicate all’impero bizantino dal 330 al 650 e sono speculari a quelle
dell’angolo dedicate all’impero tardoromano. Il problema è che tutte le altre
vetrine riguardano l’arte sassone, vichinga, carolingia (alto medioevo). Il nucleo
tardoromano ha un senso perché è la conclusione di una serie di sale dedicate
alla Britannia romana, mentre la vetrina bizantina rimane un episodio isolato
che apparentemente non ha alcun legame con il prima e con il dopo, gli oggetti
esposti sono molto belli, ma la maggior parte dei visitatori li ignora per
osservare il tesoro che sta al centro della sala.

Nella sala 40 appena si entra vi è una vetrina con pochissimi reperti esposti e
un’icona, poi gli oggetti bizantini vanno cercati fra gli altri.
Vetrina dedicata ai reliquari: ci sono tutti reliquari romanici e gotici di grandi
dimensioni che coprono la piccola croce bizantina in oro e smalto

I bizantinisti sanno che in questo museo gli oggetti bizantini ci sono, ma per i
visitatori comuni questi praticamente non esistono e ciò è strano perché anche
l’Inghilterra è stato un grande centro di studi bizantini. Questo è probabilmente
dovuto alla scelta di presentare il materiale con una suddivisione tematica e
non cronologicamente come negli altri musei (presentazione più omogenea e
chiara soprattutto per chi non conosce bene l’argomento)

Museo Archeologico, Istanbul: vi sono due condizionamenti forti, uno di


carattere storico perché non vi sono oggetti di arte suntuaria (oreficeria) dato
che si trovano tutti nei musei europei e americani – l’unica categoria ben
rappresentata è la scultura grazie alle opere di scavo; uno di carattere
ideologico perché la Turchia fa fatica a considerare come parte del loro
patrimonio condiviso la civiltà bizantina, esso fa parte del patrimonio condiviso
della Grecia e tra le due nazioni vi è rivalità

Al secondo piano di questo museo sono esposti i materiali, l’esposizione è di


carattere topografico, c’è un grande corridoio con divisori trasversali, ognuno di
essi individua un vano in cui i materiali si trovano o perché provengono da una
precisa area della città o da un preciso monumento
Area del Myrelaion: contiene il piede in porfido dei Tetrarchi di Venezia
Zona di S. Polyeuctos
Vi sono poi delle tabelle con fotografie, pianta e piccola descrizione
(impostazione vecchia)

Questa sezione non è stata resa molto accattivante, nonostante la carenza degli
elementi che era possibile esporre e le preclusioni ideologiche poteva essere
resa migliore.
Inoltre essa si intitola “Istanbul attraverso i secoli”, quindi non è specifica del
periodo bizantino, i materiali sono presenti, ma l’allestimento è estremamente
basilare e minimale (spesso i musei che hanno pochi materiali puntano su
soluzioni più scenografiche, qui ci vorrebbe la progettazione di un architetto
museografo e l’investimento in strumenti multimediali che possano ricostruire
il contesto di questi pezzi molto importanti)

Negli Stati Uniti le collezioni museali nascono quasi sempre da collezioni


private, i collezionisti sono uomini d’affari molto ricchi che raccolgono vaste
collezioni come tentativo di nobilitare le proprie ricchezze che hanno origine
venale. Essi vengono soprannominati con nomi che fanno riferimento
all’Europa, ad esempio Pierpont Morgan era definito “un Chigi americano”.
Essi trovano in Europa un mercato degli antiquari desideroso di arricchirsi e tra
fine ‘800 e inizio ‘900 c’è uno spostamento massiccio di opere d’arte di tutti i
tipi dall’Europa agli USA.
Questi collezionisti quando muoiono lasciano nel testamento le collezioni ai
musei

Anche le più importanti collezioni bizantine nascono in questo modo: quella


del Metropolitan Museum è legata a Morgan, quella del Walters Art Museum
di Baltimora è legata all’omonimo collezionista che ha donato la sua collezione
al museo e anche quella del Dumbarton Oaks era la proprietà dei coniugi Bliss
che hanno regalato la loro collezione, biblioteca e casa all’università di Harvard.
Quindi sono collezioni private che diventano pubbliche grazie alle donazioni

Metropolitan Museum, New York: Morgan ha collezionato migliaia di oggetti


che andavano da pittura, arazzi, orologi e tra questi vi erano anche circa 300
manufatti di arte paleocristiana e bizantina, avori e argenti in particolare, non è
interessato invece a icone e a capitelli o rilievi (preferisce oggetti di piccole
dimensioni).
Questi oggetti vengono esposti per la prima volta a New York nel 1914, un
anno dopo la morte di Morgan, è un prestito e una selezione della collezione.
Vengono collocati al primo piano e nella prima sala vengono esposti smalti,
avori.
Possiamo considerare questa esposizione come la prima volta in cui il pubblico
americano vede oggetti bizantini veri

Nel 1917 il figlio di Morgan regala 7.000 oggetti della collezione paterna al
Metropolitan e un anno dopo un’intera ala del museo viene dedicata a Morgan
(“Morgan Wing”). E qui, nella galleria 2, vengono esposti gli oggetti bizantini

La collezione del Met oggi è molto ricca, quella di Morgan è stata solo il punto
di partenza, nei decenni il museo ha fatto una politica di acquisti con la quale
ha cercato di rendere tale collezione meno settoriale e più onnicomprensiva
(acquisti di sculture ecc…).
L’inaugurazione dell’allestimento attuale è stata nel 2008, si compone di 4 sale,
la 302 dedicata all’Egitto bizantino è il nucleo, intorno ci sono due corridoi e
una sala (300,301,303) dove è esposta l’arte bizantina in successione
cronologica.
Le pareti sono chiare, la luce è molto curata, scende dall’alto nelle vetrine per
valorizzare gli argenti e gli avori.
Piatti di Cipro
Lezionario: molto raro da trovare, acquistato dai due coniugi che hanno curato
il riallestimento
Qui si da molta importanza all’Egitto copto e all’arte del periodo delle
migrazioni, a cui sono dedicate diverse vetrine all’inizio del percorso espositivo.
Nell’ultima sala si ricostruisce una iconostasi bizantina con le opere originali e
la forma semicircolare che ricorda una struttura absidale

Didatticamente è molto efficace, gli oggetti esposti sono molti e l’effetto


emotivo è molto più forte rispetto agli altri musei
Dall’inizio del ‘900 gli USA diventano il luogo in cui si apprezza maggiormente
l’arte bizantina, gli americani si appropriano dell’eredità culturale bizantina e si
identificano, infatti i grandi musei meglio sistemati al mondo con oggetti
bizantini all’interno si trovano lì

Walters Art Museum, Baltimora: legato a Harry Walters che alla sua morte ha
donato la sua collezione di 22.000 pezzi ed il suo palazzo alla città e lì è stato
aperto un museo

L’allestimento odierno è stato aperto nel 2010, al terzo piano nella sezione
medioevo vi è un vano centrale ottagonale chiamato “Icons” dove sono esposti
manufatti medio e tardo bizantini assieme a opere d’arte russe ed etiopiche.
Questo perché Walters a differenza di Morgan aveva interesse per la pittura.
Gli oggetti bizantini sono anche nella sala dedicata all’arte paleobizantina, con
un grande spazio dedicato all’Egitto Copto

Ha caratteri positivi e negativi, è un’esposizione molto dinamica e non vi è un


percorso obbligato, ma questo lede alla comprensione dei materiali

Dumbarton Oaks, Washington: i coniugi Bliss hanno degli interessi specifici e


collezionano in particolare arte delle civiltà americane e arte bizantina.
Nel 1940 fanno la donazione alla Harvard e nello stesso anno aprono un
museo, il quale consisteva in una sala all’interno della loro casa

La collezione di arte bizantina nasce in modo preciso, essi volevano fare una
piccola e preziosa raccolta che ricordi i tesori raccolti dai sovrani e nelle
cattedrali, quindi con un’attenzione specifica per gli oggetti rari e di qualità.
Loro non sono interessati alla quantità, non hanno interesse a coprire tutta la
produzione bizantina, ma solo determinate sezioni.
Nel corso degli anni questa posizione è cambiata e la collezione si è arricchita,
colmando alcuni vuoti

Nell’allestimento odierno realizzato entro il 2008 con una rivisitazione della


sala della Courtyard Gallery nel 2017 (che però non ha cambiato la concezione
generale) si è cercato di mantenere un equilibrio fra comprensibilità,
presentare la cose in modo tale che qualunque visitatore si facesse un’idea
della civiltà bizantina, e specificità della collezione.
Un equilibrio difficile da raggiungere che però sono riusciti ad ottenere
mediante un’adeguata presentazione della raffinata collezione

Nella Byzantine Gallery le vetrine sono disposte trasversalmente rispetto allo


spazio, l’organizzazione è per temi e il colore di fondo dei vari espositori aiuta
ad orientarsi
Lezione 3 (6 ottobre 2021)

Mura della città: insieme architettonico che a differenza della città antica si è
conservato per una notevole estensione, i 2/3.
Sono andati perduti la parte inferiore del lato est, vicino al Palazzo Imperiale; le
mura marittime, che sono state distrutte nel 1873 per ragioni igieniche dato
che si pensava che non permettessero un’adeguata circolazione e ricambio
dell’aria

Delle mura ellenistico-romane resta molto poco.


Alle due strade principali corrispondevano 4 porte, la via Regia iniziava in
corrispondenza della Porta D’Oro e finiva alla Porta Cassandreotica, la via di S.
Demetrio partiva dalla porta Litèa e terminava alla Nuova Porta D’Oro. Esse
segnavano gli accessi a Tessalonica nelle varie direzioni

Le mura più antiche non arrivavano fino al mare, la decisione di allargarle fino
a farle arrivare alla costa venne presa nel III sec (253-254) quando la zona
orientale dell’impero venne minacciata dall’invasione dei Goti.
La cinta muraria di questo periodo era più grande di quella antica solo in quel
punto però, per il resto ricalcava esattamente le mura più antiche.
Esistono ancora delle parti di queste mura: esse sono state realizzate con
materiale di reimpiego e nello spessore troviamo ancora interi elementi
sepolcrali che appartenevano alle necropoli

Le mura che vediamo oggi non sono quelle del III sec, sono state interamente
rifatte più tardi, in epoca bizantina tra fine IV e metà V sec.
La tecnica costruttiva di queste mura è la muratura alternata con uso di
mattoni e blocchetti di pietra di colore verde (pietra locale) abbastanza
irregolari, non tagliati perfettamente a parallelepipedo: è una caratteristica
tipica della tecnica edilizia di Tessalonica, ma in generale la muratura alternata
era adoperata nello stesso periodo anche nelle mura di Costantinopoli, anche
se in modo più regolare (blocchi di pietra ben squadrati).
Un’altra differenza tra le mura delle due città è che a Tessalonica lo spessore
interno e la parte esterna appaiono uguali, realizzati con lo stesso tipo di
materiali, mentre a Costantinopoli si hanno dei muri “a sacco”, con le due facce
esterne che presentano mattoni e la parte interna riempita di conglomerato
(malta liquida cementizia che veniva versata)
Le mura di Tessalonica non sono uguali in tutta la loro estensione: nella parte
est della cinta muraria troviamo delle torri quadrate, mentre dalla parte
opposta si hanno degli speroni triangolari. Questa differenza significa non che
le mura siano state realizzate in periodi diversi, ma che siano state realizzate
nello stesso momento da maestranze diverse che lavoravano
contemporaneamente in parti diverse della città. I materiali sono gli stessi e le
torri vengono usate nelle parti in salita delle mura, mentre nelle parti in
pianura vengono usati gli speroni (scelte diverse a seconda delle zone in cui le
mura si trovano)

Lavori delle mura bizantine:

- 1° parte: dalla porta Litéa al Porto di Costantino (parte ovest).


Qui già si trovava il muro di epoca romana, esso non viene eliminato, ma
rinforzato con l’aggiunta di speroni triangolari che vanno ad appoggiarsi al
muro antico e lo allargano.
Anche queste mura utilizzano materiale di reimpiego, la parte bassa in pietra
bianca non contiene dei blocchi fatti apposta, ma elementi che sono stati presi
da un monumento più antico, ovvero i gradini dello Stadio di Tessalonica che
era stato smontato.
Nella parte superiore ci sono archi di scarico inseriti nella muratura per
distribuire il peso, all’interno di essi sono inserite delle croci di mattoni,
elemento decorativo di tipo cristiano inserite come elemento protettivo per
difendere la città dagli attacchi esterni

- 2° parte: parte est (i lavori riprendono nella parte opposta della città).
Troviamo anche qui gli speroni triangolari, mentre le torri rettangolari
compaiono solo nel punto in cui le mura salgono e man mano si avvicinano alla
parte più alta di Teassalonica che è l’Acropoli.
Un’iscrizione ci permette di risalire alla datazione: “Hormìsdas che ha le mani
pulite munì questa grande città di mura inespugnabili”. Egli era probabilmente
il prefetto di Tessalonica negli anni 447-450 (ci permette di datare questa parte
delle mura alla metà del V sec).
Questa iscrizione si comprende bene a parte per l’espressione “ha la mani
pulite” che gli studiosi non sono riusciti ad interpretare. Il norvegese Torp ha
ipotizzato che Hormìsdas non fosse il prefetto di quegli anni, ma un
personaggio più antico dei tempi di Teodosio I quando ci fu la strage
nell’Ippodromo e questa espressione sarebbe la dichiarazione che lui non
c’entra nulla con quella strage. È però strano che un funzionario
dell’imperatore a quei tempi potesse prendere le distanze così da qualcosa che
l’imperatore aveva fatto, la spiegazione quindi deve essere un’altra

- 3° parte: parte nord


Presenta delle torri rettangolari e anche in questo caso si ha la tipica muratura
alternata di Tessalonica, gli archi di scarico e sotto di essi delle croci di mattoni.
Quando si arrivava in città dalla parte alta, venendo quindi dalle zone interne,
ci si trovava di fronte a queste strutture piene di croci e quindi appariva subito
a tutti come una città cristiana

Nello stesso periodo venne costruita l’Acropoli Bizantina, zona fortificata che
serviva a proteggere la cima più alta che si trovava fuori dalle mura. Se questa
parte fosse stata lasciata priva di protezione sarebbe potuta essere una base
pericolosa dalla quale assediare la città.
Questa Acropoli è molto grande e allungata, quella della città antica invece era
molto più piccola e si trovava dentro le mura nella zona più bassa.
Infondo si ha anche una vera e propria fortezza, l’Eptapyrghion (in greco “sette
torri” perché è circondata da 7 grandi torri fortificate). Fino a qualche anno fa
era il carcere di Tessalonica, usato anche in epoca turca. Oggi invece è un luogo
visitabile

- 4° parte: zona marittima (parte sud)

Le mura di Tessalonica sono durate più di 1000 anni ed in parte ancora


esistono, sono state oggetto di una continua manutenzione nel corso dei secoli.
Diverse iscrizioni indicano i punti in cui sono stati fatti dei restauri, in
particolare nel periodo medio bizantino e tardo bizantino

Iscrizione più antica nella zona del porto, sappiamo che qui venne restaurata
una torre al tempo di Marinos il protospatharios imperiale (= governatore
imperiale) nell’anno 6370 che nel calendario bizantino corrisponde all’anno
862 (IX sec – epoca dei Macedoni). L’iscrizione dice che quella torre fu
edificata, in realtà già esisteva e venne restaurata

Iscrizione nell’angolo delle mura tra città alta e Acropoli, nella torre
rettangolare di grandi dimensioni in cui nel 1167 fu fatto un restauro. È
un’iscrizione fatta in mattoni che dice che il restauro venne fatto in quell’anno
dal megas chartoularios (= alto funzionario del fisco) Andronico Lapardàs e dal
suo collaboratore (qui chiamato “servo”, ma non era inteso nel senso di
schiavo) Michele Prosouch. Siamo nel XII sec, epoca dei Comneni.
Nei restauri ci sono degli elementi che si mantengono costanti nei secoli, ad
esempio sopra l’iscrizione vediamo una croce di mattoni dentro una nicchia a
forma di arco

Testimonianza di un intervento di tipo diverso, nel 1355-1356 (età Paleologa)


nella parte più alta del lato est delle mura l’imperatrice Anna Paleologina fece
aprire una grande porta per entrare nell’Acropoli. Su uno dei pilastri vi è
l’iscrizione di tale imperatrice che risiedeva a Tessalonica perché negli anni
1351-1367 fu la governatrice della città. In questa iscrizione si nomina anche
colui che aveva il controllo dell’Acropoli e dell’Eptapyrghion, lo scudiero
Giovanni Chametos

1369-1373 anni in cui il governatore di Tessalonica era Manuele Paleologo,


figlio dell’imperatore che prima di assumere tale carica aveva incrementato la
sua esperienza in questo ruolo. Anche il suo nome compare in un’iscrizione in
mattoni inserita nella parte alta delle mura, tutta questa zona fu
probabilmente oggetto di restauro poco prima dell’arrivo dei turchi

Quando vi erano gli assalti gli abitanti ed i soldati proteggevano la città, ma le


leggende tessalonicesi narrano che a volte sulle mura compariva anche S.
Demetrio vestito da guerriero che gli veniva in aiuto.
Pannello di un reliquario di S. Demetrio, monastero di Vatopedi sul Monte
Athos: mostra il santo che si affaccia dalle mura di Tessalonica con una lancia e
respinge i nemici che tentano di entrare nelle porte della città.
Questo racconto è ripetuto più volte nel “Libro dei Miracoli di S. Demetrio”,
una delle fonti più importanti che racconta le imprese del santo a beneficio
della città e dei suoi abitanti. Non è una fonte storica, ma agiografica che
racconta la vita di un santo

Rotonda: unico edificio sopravvissuto del complesso del Palazzo Imperiale,


questo perché già molto presto era stata trasformata in chiesa, quindi venne
restaurata nel corso del tempo e si preservò da abbandono e crolli.
Non abbiamo iscrizioni e documenti scritti che attestino la data di
trasformazione, essa è stata attribuita dagli studiosi a periodi diversi. Inoltre
non sappiamo nemmeno a chi fosse dedicata, noi la chiamiamo Rotonda di S.
Giorgio, ma tale intitolazione è molto recente (1912)

Alla morte di Galerio probabilmente era ancora incompiuta e la sua


destinazione originaria è molto discussa:
- mausoleo imperiale destinato a contenere le spoglie di Galerio
- tempio dedicato forse a Zeus ed Ercole, due figure mitologiche molto
venerate in epoca tetrarchica. Oppure un tempio dedicato a tutti gli dei come il
Pantheon di Roma (anche per la forma).
Questa è l’ipotesi più probabile perché Galerio è stato seppellito nella città di
Romuliana in Serbia dove egli era nato.
In ogni caso poteva comunque aver inizialmente pensato di farsi seppellire lì
cambiando idea successivamente, quindi neanche la prima idea in realtà si può
escludere completamente.
In anni molto recenti uno studioso serbo-americano sosteneva che la Rotonda
fosse stata costruita in epoca più tarda rispetto a Galerio, nell’epoca di
Costantino, secondo lui era stata fatta costruire da lui come proprio mausoleo
negli anni in cui stava pensando di trasferire la capitale a Tessalonica. Questa è
solo un’ipotesi teorica, non ci sono prove o indizi e a renderla improbabile è il
fatto che è troppo stretto il margine di tempo in cui Costantino pensava di
trasferire lì la capitale, solo pochi mesi, oltretutto la muratura con cui è
costruita nonostante i restauri sembra la stessa usata per il Palazzo Imperiale

L’edificio rotondo è alto circa 30m e il diametro della cupola è 25m, è costruito
tutto in pietra e mattoni con la tipica muratura alternata usata dal tempo di
Galerio al tempo di Teodosio II. Alcune parti sono fatte interamente in laterizi,
le volte e la cupola, per renderle più leggere

Ci sono 2 livelli di copertura, il cerchio più basso ha un tetto circolare che copre
la zona delle nicchie, il tetto più alto copre la cupola centrale

La parte alta della cupola ha i segni di molti restauri, è la parte più fragile in
caso di terremoti (come quelli del VII sec)

La parte più bassa dell’edificio presenta un muro perimetrale scavato da grandi


nicchie rettangolari, sopra di esse si aprono delle grandi finestre a tutto sesto
che illuminano abbondantemente l’interno e sopra di esse inizia la cupola, ma
c’è un secondo ordine di finestre più piccole a lunetta che sono disposte negli
intervalli fra le altre finestre.
La cupola semicircolare all’esterno (estradosso) è ricoperta da un tetto a
spiovente con tegole, il quale copre la parte convessa (a differenza del
Pantheon, in cui è visibile)

Ricostruzione della rotonda ai tempi di Galerio dell’archeologo greco Velenis: al


centro della cupola doveva aprirsi una finestra circolare e le pareti dovevano
essere ricoperte di marmi e statue; inoltre egli ha messo una sola fila di
finestre, forse quelle più piccole sono state inserite successivamente (non si sa
con certezza, ma dati molti restauri è possibile)

Edificio tardo-antico: struttura rotonda, ingresso a sud con collegamento a via


porticata, tutto intorno vi era un cortile aperto ottagonale con un muro di cinta
che la separava dal palazzo imperiale

Trasformazione in chiesa:
- nella nicchia a est viene realizzato un grande bema che termina con un abside
semicircolare aperto da finestre
- viene aperta una porta nel lato occidentale
- le nicchie vengono aperte e diventano archi di passaggio che portano ad un
deambulatorio circolare, l’edificio viene quindi allargato

Non sappiamo con sicurezza quando sia avvenuta questa trasformazione, ma


l’ipotesi più probabile è che sia avvenuta ai tempi di Teodosio I (imperatore che
con l’editto di Tessalonica aveva reso il cristianesimo religione dell’impero,
probabilmente per celebrare questo evento aveva fatto trasformare in chiesa
tale parte del suo palazzo)

Oggi la rotonda ha una differenza, manca il deambulatorio perché negli anni


dei terremoti (VII sec) esso è stato danneggiato, è crollato e non è più stato
ricostruito, le nicchie sono state quindi richiuse

Decorazione interna: testimonianza più antica di mosaici parietali nella zona


orientale del Mediterraneo. I danni dei terremoti ed il passare del tempo
hanno rovinato questa decorazione, la parte alta è andata distrutta a parte
alcuni frammenti, ma si può fare una ricostruzione del programma originario
Secondo il sistema decorativo bizantino la parte interna prevedeva nella zona
inferiore un rivestimento di marmi preziosi colorati, sulle pareti si vedono
ancora i buchi delle graffe in metallo che li fissavano.
I mosaici iniziavano nella parte più alta, sulle volte delle nicchie, delle finestre e
sull’intera cupola

Dal basso verso l’alto:

- volte a botte delle nicchie: mosaici di carattere aniconico con decorazioni


geometriche, fitomorfe e zoomorfe che si ispirano al repertorio dei mosaici
pavimentali e delle stoffe.
mosaico con i cerchi intrecciati: deriva dal modello di un tappetto o drappo, il
mosaicista ha anche infatti riprodotto delle frange

- cupola: la decorazione si sviluppava in tre livelli


1° livello: figura di Cristo in piedi, acclamante, dentro un cerchio sostenuto da 4
angeli in volo
2° livello: 24 figure di cui ci sono ancora i piedi, probabilmente angeli che
guardavano l’apparizione in alto
3° livello: fondali architettonici e all’interno 20 figure maschili tutte in posa
orante

1. Della parte più alta rimane solo un pezzo dell’aureola a fondo dorato, la
mano alzata e la parte più alta della croce tenuta in mano da Cristo. Sappiamo
che era una figura in piedi perché si conserva uno schizzo preparatorio di
colore nero preparato dai mosaicisti che mostra tale figura con un mantello
svolazzante. Era inserita in un cerchio con una cornice divisa in 3 parti,
dall’interno all’esterno: cerchio blu con stelle d’oro, ghirlanda con foglie fiori e
frutti, arcobaleno (fa capire che ci si trova in cielo, nella zona ultraterrena).
I 4 angeli con le braccia alzate e le ali aperte fungevano da cariatidi. Oltre a loro
nella parte esterna del cerchio si ha un uccello con il collo dal colore cangiante,
con un’aureola rossa e raggi luminosi: è la fenice, uccello che secondo la
mitologia antica quando muore risorge dalle sue ceneri e quindi simbolo
dell’eternità (testa messa molto vicina a quella di Cristo, sottolinea la natura
divina). È un tema iconografico di origine pagana, quindi in questo programma
cristiano esso viene riutilizzato e funzionalizzato
2. Quasi completamente perduto, restano parti del prato verde, parte bassa
delle vesti e piedi delle figure. Essi erano muniti di calzari, le figure erano
rappresentate in movimento (posizione sbilanciata da una parte), oltre al prato
si vedono delle ombre grigie proiettate sul terreno e quindi esse erano
rappresentate nello spazio in maniera molto naturalistica

3. Parte meglio conservata, divisa in 8 pannelli ognuno largo 8m e lungo 6m.


Architetture su fondo oro, dentro di esse figure maschili oranti a rappresentate
a gruppi di 2 o di 3.
I pannelli sono incorniciati sia sopra che sotto da cornici molto elaborate: in
alto cornicione con mensole, ovuli e frecce (somiglia a quelli dell’architettura
antica); in basso cornicione con un sistema più complesso di mensole e
cassettoni prospettici.
Le architetture si ispirano alla tradizione classica, si possono avvicinare ad
alcuni famosi esempi dell’architettura antica (filone dell’architettura ellenistica
con forme molto elaborate, probabilmente antefatto delle soluzioni barocche
di molti secoli dopo). I mosaicisti conoscevano queste architetture e
conoscevano anche le pitture antiche del cosiddetto “quarto stile” che
presentavano elementi architettonici del genere. Un altro modello potevano
essere i teatri antichi dove la parete della scena (frons scene=fronte della
scena) presenta architetture a più livelli con dentro statue di divinità (stesso
rapporto figura-spazio)

Chi sono queste figure? Qui si pone uno dei problemi più discussi dei mosaici di
Tessalonica che ancora non è stato risolto in maniera definitiva.
Le figure sono accompagnate da iscrizioni che indicano il nome dei personaggi,
la loro qualifica (soldati o ecclesiastici) e poi si ha l’indicazione di un mese
dell’anno. Potrebbero essere santi dai nomi molto rari ed il mese è quello della
loro ricorrenza, ma sono rappresentati senza aureola e davanti al loro nome
non c’è scritto “santo”

Onesiphoros, soldato, agosto / Porphyrios, ecclesiastico, agosto: si distinguono


per l’abbigliamento, soldato presenta tunica al di sotto e sopra la clamide
(grande mantello che era fermato sulla spalla destra con una fibula d’oro);
l’ecclesiastico è vestito con il phelònion, abito tipico dei religiosi, vestito
circolare con apertura circolare per la testa
Le architetture sono sia su fondo oro che fatte d’oro e tempestate di gemme e
perle preziose (come fosse oreficeria), dentro di esse oltre alle figure abbiamo
molti uccelli (pavoni) e le nicchie sono decorate a code di pavone. Il pavone nel
simbolismo paleocristiano allude all’aldilà, le architetture dorate e gemmate
rientrano in una categoria particolare dell’iconografia: nel libro dell’apocalisse
S. Giovanni descrive una città d’oro con perle e gemme che è la Gerusalemme
Celeste

In generale questo tipo di decorazione della cupola su 3 livelli era molto diffuso
nel V sec → Battistero Neoniano, Ravenna, 458: al centro scena del battesimo,
figure dei 12 apostoli in movimento sul prato, aniconico con troni e altari

La mancanza dell’aureola e della parola “santo” nelle figure hanno fatto


ipotizzare allo studioso americano Klein Bauer che si potesse trattare dei
donatori della decorazione a mosaico, il mese sarebbe quello in cui è stato da
loro pagato il lavoro.
Troviamo figure simili anche nelle pitture murali di una villa romana in
Inghilterra, Villa di Lullingstone: qui rappresentano i proprietari della villa.
Questa ipotesi si può però obiettare dicendo che i santi nel periodo
paleobizantino non sempre sono rappresentati con le aureole (Mosaico di S.
Caterina al Monte Sinai: apostoli senza le aureole con nomi non preceduti dalla
parola “santo”). Inoltre le architetture ci fanno pensare ad una collocazione
ultraterrena, cosa che non è molto coerente con i donatori

Quindi è più convincente l’ipotesi tradizionale, cioè santi nella Gerusalemme


Celeste in una posa di preghiera poiché i santi hanno il ruolo di intercessori tra
i fedeli (che si trovano nella chiesa) e Cristo (nella cupola in alto)

Inoltre S. Paolo nella prima lettera ai tessalonicesi parla della “seconda


parusia” ovvero il ritorno del Messia alla fine dei tempi. Questa cupola
potrebbe rappresentare proprio questo tema

Un’altra questione molto discussa è la cronologia di questi mosaici, mancano


iscrizioni e documenti, sulla base di quello che si vede ci si può orientare, ma il
lasso di tempo è molto ampio. Sono state fatte delle ipotesi che vanno
dall’inizio del IV all’inizio del VI sec (arco cronologico di 200 anni, da Costantino
a Giustiniano)
Per prima è stata sostenuta dagli studiosi quella che afferma si tratti dell’epoca
di Teodosio I (Torp e gli altri pensano che i mosaici siano stati realizzati proprio
nel momento in cui sia stata trasformata in chiesa)

C’è anche però chi sostiene che prima sia stato trasformato in chiesa e più tardi
decorato (ipotesi di Kirtzinger e di coloro che ritengono che la decorazione sia
stata fatta a metà del V sec).
In particolare Kirtzinger suggerisce un confronto stilistico tra le figure oranti e
le statue dei Magistrati di Afrodisia: ci sono elementi di affinità nonostante la
tecnica totalmente differente (queste statue essendo pensate per essere poste
in una nicchia hanno pochissimo spessore e non sono lavorate dietro e di lato).
Entrambe hanno un panneggio molto geometrico, tendenza all’astratto, ma al
tempo stesso i visi mostrano un forte interesse naturalistico per la figura
umana (visi rotondi, capigliature mosse a ricci, sono tutti diversi l’uno dall’altro
e quindi si ricerca individualità in quelli che sono veri e propri ritratti). Sono
state quindi concepite nello stile dualistico tipico dell’età teodosiana che è
un’epoca di passaggio

Un gruppo di studiosi, tra cui vi è il francese Spieser, sostiene che la datazione


sia al tempo di Giustiniano. Egli confronta le figure con quelle di dei dignitari
che accompagnano Giustiniano nel pannello della chiesa di S. Vitale a
Ravenna(547-548): li ritiene molto simili nei volti e nelle capigliature. Hanno
qualcosa in comune, ma guardando meglio ci accorgiamo che i mosaici di S.
Vitale sono molto più schematici, hanno linee di contorno scure più definite e
colori più piatti, mentre a Tessalonica c’è una ricerca di sfumature, chiaroscuro
e dettagli grazie all’uso di tessere più piccole. Confronto valido quindi per
l’iconografia, ma non per la tecnica utilizzata
Seminario 2 (12 ottobre 2021) – prof. Andrea Paribeni

Il relitto di Marzamemi e il commercio dei marmi in età paleobizantina

Il marmo è l’elemento che maggiormente segna la continuità fra l’età romana e


l’età bizantina, per i suoi aspetti estetici e per i suoi modi di produzione e
distribuzione che rimangono costanti.
Tutto il Mediterraneo ha un’alta concentrazione di cave di marmi e pietre
policromi, la zona anatolica (Egitto) e l’alto Tirreno (Francia) sono ricchissime
tanto che lo studioso del commercio dei marmi nel medioevo Michael
Grinadge ha definito il Mediterraneo come un “lago circondato da marmo”.
Tale disponibilità ha favorito lo spostamento anche a lunga distanza di queste
pietre preziose che potevano poi decorare i monumenti civili o religiosi nelle
varie città

Il valore di questi marmi era segnato da alcuni editti come l’Edictum de Pretiis
rerum venalium che stabiliva un calmiere di prezzi per tutti i prodotti
merceologici, tra cui i marmi.
In queste liste troviamo i marmi ordinati a seconda del prezzo: il primo è il
Porfido, il più costoso, era il marmo imperiale però poteva essere anche
venduto (anche i pirati se avevano disponibilità economica potevano
acquistarlo).
Il costo era determinato dalla qualità del marmo, ma anche dalle difficoltà di
approvvigionamento (più il marmo era distante dalle vie di comunicazione
marittime, maggiore era il prezzo)

Il Porfido rosso veniva ricavato dal Mons Porphyrites, nel deserto dell’Egitto, a
20km dal mar Rosso ed era quindi complesso farlo arrivare.
Un marmo più facile da ottenere era invece quello bianco di Thasos, la cui cava
era vicina alle coste.
Vi sono anche altre cave più vicine al mare, ma comunque in zone montagnose
come quella di Karystos dove si estrae quella del marmo chiamato “cipollino”
(cava abbandonata ad un certo punto; marmo usato per il tempio di Antonino
e Faustina a Roma)

I marmi prendono il nome spesso dall’area geografica di provenienza, ma i


nomi convenzionali nati nel mondo medievale dei marmorari che andavano a
raccogliere il marmo dai monumenti abbandonati hanno a che fare con
l’aspetto che tale marmo aveva (“cipollino” perché la sua superficie si sfoglia)

Nonostante gli elementi di continuità fra i due periodi, vi sono alcune


differenze:
nel mondo romano abbiamo spesso una lavorazione in cava ancora grossolana,
in blocchi squadrati o in colonne sbozzate a fascio e poi spedite (erano comodi
da collocare nelle imbarcazioni)
Colonne in “pavonazzetto” (per le venature) semilavorate
Blocco di marmo giunto nel bacino di Portus e lasciato nel deposito, non più
utilizzato

Prima di giungere nei luoghi in cui venivano realizzati i monumenti questi


marmi venivano posti all’interno di depositi, chiamati marmorate
Tempio di Fabri Navales, Ostia: portico antistante il tempio usato nel IV sec
come deposito di marmi in attesa di essere utilizzati, abbiamo anche delle
iscrizioni che indicano il nome del patrizio che gestiva tale deposito per le
committenze di monumenti a Ostia e Roma

I relitti di età romana ci indicano questa spedizione semplificata con blocchi


scavati all’interno e mai decorati all’esterno, la decorazione veniva fatta
quando giungevano a destinazione, a discrezione della committenza
Relitto di Sile (si pronuncia scile), Mar Nero, fine III inizio IV sec
Centro portuale a Cesarea di Palestina

La concentrazione di relitti con carichi marmorei è in punti precisi e questo ci


indica le rotte che seguivano i marmi, legate alla collocazione delle cave,
nonché la presenza di zone rocciose che facevano spesso affondare le navi,
quindi si trovano relitti di varie epoche

I relitti dell’età più antica, V e Vi sec, sono abbastanza pochi rispetto al novero
complessivo, ma comunque significativi. Alcuni sono stati studiati solo
sommariamente, per poco tempo o senza possibilità di scavo
Relitto di Altinkum: si può collocare cronologicamente in questo periodo, ma
l’entità del carico e la sua omogeneità non si può definire
Relitto di Ekinik: molto vicino all’isola di Mugla (si pronuncia magla), quindi la
nave è affondata subito dopo la partenza, abbiamo delle colonne con dei
collarini sulle estremità che erano elementi che poi dovevano essere rifiniti e
che servivano a sollevare meglio le colonne con delle funi
Relitto di Amrit, Libano: nave affondata nel porto da cui sono stati recuperati
una ventina di capitelli e basi completamente rifiniti e non in lavorazione. Ciò
mostra come cambi il sistema di produzione del marmo nel passaggio da età
romana a età bizantina, i marmi partivano con un grado di lavorazione
avanzato o anche ultimato

Relitto di Marzamemi: nella zona vi sono anche altri relitti (il Marzamemi 1 ad
esempio portava marmi di II-III sec).
Esso è stato studiato a fondo e vi sono stati ritrovati materiali di vario tipo
accatastati oggi nella latomìa tra cui colonne, capitelli, basi, lastre per
recinzioni presbiteriali, elementi costitutivi di un ambone

Gerahard Kapitan e Honor Frost sono due pionieri della subacquea, negli anni
‘50 e ‘60 del ‘900 furono molto attivi in Sicilia e dettarono anche tecniche di
scavo archeologico subacqueo piuttosto evoluto, con documentazione grafica e
fotografica di ciò che viene ritrovato.
Kapitan insieme a Pier Nicola Gargallo su indicazione di alcuni pescatori iniziò a
sondare i fondali nella zona di Marzamemi dal 1960 al 1967.
Frost fu un’altra archeologa subacquea importante a cui si devono molti
ritrovamenti tra cui la nave punica di Marsala che partecipò alla battaglia delle
Egadi nell’851 a.C., ora ricomposta

Il primo avvistamento del relitto di Marzamemi risale al 1913, sono stati


ritrovati dei documenti di archivio che dicono che alcuni sommozzatori e
pescatori avevano trovato dei fusti di colonne monolitiche e pare anche alcuni
capitelli. Il soprintendente di Siracusa aveva dichiarato che il trasporto in
superficie di questi materiali sarebbe stato abbastanza facile, ma i costi troppo
elevati sconsigliarono questa operazione.
Ci sono anche altri documenti, nel 1927 alcuni pescatori hanno avvistato
colonne di un imprecisabile metallo e suggeriscono di recuperarle; nel 1934
addirittura si ha l’idea di recuperarle per adornare un luogo di Roma

La prima localizzazione si svolse sulla base delle indicazioni date, senza


coordinate precise. Poi sono stati eseguiti la “quadrettatura del fondo” ed il
pompaggio della sabbia perché si stava a 6m di profondità dove vi era un
banco sabbioso orlato da una parte rocciosa.
I materiali trovati sono stati sollevati attraverso argani, erano compromessi dai
1500 anni di permanenza in mare per la salsedine ed i movimenti delle
correnti, quindi in queste condizioni è difficile dire quanto fosse stata avanzata
la lavorazione

Gli archeologi si sono chiesti se il relitto fosse coevo ai materiali che


trasportava, poteva essere il caso di una nave successiva che portava materiali
del VI sec, come le navi che nel XIII sec hanno portato i marmi di Costantinopoli
a Venezia. Mancava la suppellettile dell’equipaggio, questo perché la nave è
affondata lentamente e l’equipaggio ha avuto il tempo di prendere le sue cose
prima di andare via, ma sono stati ritrovati importanti frammenti ceramici di un
piatto da mensa appartenente all’equipaggio con l’effige di un santo che si
colloca nel VI sec, quindi la nave era coeva

I materiali dal punto di vista della provenienza dei marmi si dividono in due
gruppi:
- elementi strutturali di marmo del Proconneso
- ambone di un altro tipo di marmo

Il marmo del Proconneso proveniva dall’isola del mar di Marmara, vicinissima a


Costantinopoli, ed è la cava che fornì tutti i marmi per l’abbellimento sia dei
monumenti civili e religiosi. Le cave sono concentrate nella parte settentrionale
dell’isola.
Il primo utilizzo di tale marmo è avvenuto nel VI sec a. C., esso è bianco di
grana media con sfumature grigio-azzurro e perciò si presta poco alla statuaria,
viene usato nei sarcofagi della zona nord-ovest dell’Anatolia, nell’Altare di
Pergamo esami scientifici hanno rilevato la presenza di tali marmi, poi viene
usato anche nel Mediterraneo occidentale a Pozzuoli nell’Anfiteatro Flavio e a
Pompei nel tempio di Venere (pezzi non lavorati, spediti per restaurare il
tempio dopo il terremoto del 62, ma non si fece in tempo), arco di Traiano ad
Ancona.
La cava è ancora attiva e vi sono i resti delle lavorazioni antiche. Una studiosa
turca le ha rilevate e ha raccolto in alcuni depositi i numerosi materiali
semilavorati rimasti utilizzati per delle falle nella qualità del marmo.

Capitello completo: non è fatto in marmo del Proconneso, ma in pietra


proveniente da Aquileia. Era un campione spedito da lì per creare capitelli
analoghi in marmo
Vi sono alcune tracce che riconducono ai monumenti di Costantinopoli, quindi
vi erano delle officine che lavoravano in cava e producevano marmi per tali
monumenti.
Colonna dell’arco d’ingresso al Forum Tauri
Capitelli del Forum Tauri nei depositi del mar di Marmara

A Gaza durante i lavori per un supermercato sono stati ritrovati capitelli e


colonne databili agli inizi del V sec, pertinenti forse alla cattedrale di Gaza (è
noto che l’imperatrice Eudocia aveva inviato navi con 32 colonne di marmo
cipollino per questa cattedrale)

Un altro materiale riconoscibile come di età teodosiana è la colonna di Adasi


Harmantas, doveva essere una delle colonne cocliti del Foro di Teodosio
abbandonata per la fessurazione diagonale del marmo. In parte i blocchi sono
stati riutilizzati per le sculture del foro di Teodosio

32m
Lezione 4 (13 ottobre 2021)

Gli studiosi greci che hanno diretto i restauri dei mosaici della rotonda nel
2011, Bakirtis e Mastòra, hanno ritenuto che tali mosaici (e non l’architettura)
potessero essere stati realizzati per la maggior parte al tempo di Costantino.
Solo le nicchie al pian terreno sarebbero state fatte al tempo di Teodosio I
quando la rotonda venne trasformata in chiesa e le nicchie vennero aperte per
creare il deambulatorio

Il programma iconografico originario secondo loro è quindi attinente alla


committenza di Costantino che avrebbe creato e decorato l’edificio per crearvi
il suo mausoleo:
- nella parte centrale alla sommità della cupola sarebbe raffigurato non Cristo,
ma Costantino come dio Sole (Apollo Helios) accompagnato dalla fenice
- al secondo livello le figure di cui vediamo solo i piedi sarebbero interpretate
come figure civili e militari che inneggiano a Costantino rivolgendosi in alto
verso di lui
- le figure oranti del terzo livello secondo loro sarebbero ritratti di personaggi
viventi facenti parte della corte di Costantino

Questa ipotesi è stata formulata in un breve articolo di qualche anno fa, ma


non è una dimostrazione bensì un ipotesi di lavoro, i due studiosi avevano
promesso di scrivere un libro a restauro concluso che però non è ancora uscito

È un’ipotesi però che si giustifica perché al tempo di Costantino esistevano


edifici a pianta centrale con le cupole decorate a mosaico

Mausoleo di Costantina, Roma: oltre al deambulatorio aveva anche una cupola


decorata da mosaici di cui abbiamo testimonianza in disegni di epoca
rinascimentale che ci mostrano le parti di esso che rimanevano.
Vi erano delle scene inserite dentro delle “candelabre” (elementi verticali che
fanno da costoloni alla cupola).
- registro inferiore: scene dell’Antico Testamento
- registro superiore: scene del Nuovo Testamento
- cerchio centrale sommità della cupola: non ci sono testimonianze, si può
ipotizzare che ci fosse una Teofanìa (rappresentazione delle maestà divina)
Mausoleo di Centcelles, Tarragona: si trova in una villa di quell’epoca, è un
edificio rotondo senza deambulatorio con una grande cupola, probabilmente
costruito come mausoleo del figlio Costante I.
La cupola è rovinata, ma per ogni zona è ancora visibile una buona percentuale
di mosaici
- registro esterno: scene di caccia
- registro intermedio: riquadri con scene di Antico e Nuovo Testamento
- registro interno: 8 pannelli, 4 con figure delle stagioni e 4 figure in trono che
sono troppo rovinate per capire chi siano
- cerchio centrale: completamente perduto

L’iconografia di questi edifici però non ha nulla a che vedere con quella di
Tessalonica, l’unico elemento comune è la cupola decorata a mosaico
organizzata a cerchi concentrici

La più recente pubblicazione dedicata a Tessalonica è del 2019, i due volumi di


Hjalmar Torp che per tutta la vita ha studiato i monumenti della città ed in
particolare la Rotonda che ha cominciato a studiare nel 1950. Quest’opera
sintetizza tutte le sue ricerche.
Egli sostiene che la rotonda sia stata costruita da Galerio, trasformata in chiesa
da Teodosio I in coincidenza con l’editto del 380 e poi decorata poco dopo, ma
sempre sotto Teodosio entro la fine del IV sec

La Rotonda quindi costituisce ancora una questione aperta, un caso molto


discusso, sia dal punto di vista del programma iconografico che dal punto di
vista cronologico. Non si è giunti ad una definizione univoca e certa

Tecnica del mosaico parietale in epoca bizantina: per realizzarlo si seguivano


dei procedimenti che però non si trovano scritti o elencati in nessuna fonte.
Quello che sappiamo della tecnica lo sappiamo mediante i restauri ai grandi
monumenti fatti nel ‘900, durante i quali si è osservata la materia prima e la
stratigrafia delle pareti (osservazione diretta)

L’elemento di partenza è la tessera, il cubetto colorato che viene inserito


nell’intonaco fresco per comporre le varie decorazioni.
Le tessere sono prevalentemente di vetro colorato, ma possono essere anche
di altri materiali (pietra con particolare colorazione naturale). In alcuni casi
limitati si hanno delle tessere di mattoni; in generale i mosaicisti sceglievano
materiali diversi a seconda degli effetti che volevano creare a livello ottico (il
vetro riflette la luce, gli altri materiali no).
Le più importanti in quest’epoca erano le tessere metalliche, in oro o argento
(riflettono la luce): non sono cubetti tutti d’oro o d’argento, il mosaico
costerebbe troppo, esse hanno il vetro trasparente in alto e in basso e in mezzo
una sottilissima foglia d’oro o d’argento. Non è però mai inserita a metà, ma
sempre più vicina a una delle due facce, questo perché quando si inserisce
nell’intonaco il mosaicista può decidere di mettere l’oro dalla parte più vicina o
più lontana dal vetro, in modo che rifletta la luce in maniera più o meno
intensa. Nel fondo oro vengono inserite in modo irregolare per evitare un
effetto di piattezza

Le tessere di vetro non venivano lavorate una per una dato che il vetro doveva
essere cotto nella fornace. Venivano cotte delle lastre molto grandi, di solito
rotonde (chiamate lingue o pizze).
S. Marco, Venezia: pizza ritrovata sotto il pavimento
Duomo di Monreale: pizza ritrovata a 30m da terra in una nicchia che poi è
stata coperta con il mosaico.
Queste quindi non venivano divise in tessere singole necessariamente a terra,
il mosaicista con lo scalpello le tagliava qualche volta a seconda della forma
che gli serviva.
La maggior parte però venivano tagliate a terra e venivano frammentate
facendo vari mucchietti di colori diversi, sono stati fatti i conteggi dei colori
(Chiesa di S. Sofia a Kiev, decorata da mosaicisti bizantini: sono state ritrovate
177 sfumature di colore)

Le tessere d’oro e d’argento dato che costavano molto dovevano essere usate
in maniera economica tenendo conto del punto di vista dell’osservatore, i
mosaicisti quindi ragionavano su dove si trovava chi avrebbe guardato il
mosaico per disporle in un certo modo.
Lunetta sopra la porta di S. Sofia: ha un fondo oro che guardato dal basso
sembra un normale fondo oro. Si trova a 11m di altezza, quindi si vede dal
basso in alto e questo il mosaicista lo sapeva per cui le tessere d’oro sono state
poste in file molto larghe e non attaccate fra loro, per risparmiare (una fila si e
una fila no) ed esse inoltre sono inclinate verso il basso per non far accorgere
di nulla sfruttando la metà della superficie

Qual è il procedimento?
Muro dell’edificio → sopra il muro il mosaicista realizza 3 strati prima di inserire
le tessere:
1. Arriccio: calce e paglia triturata (stessa preparazione anche per le pitture
murali + chiodi di metallo che servono a fissare lo strato al muro per evitare
che si stacchi. A volte troviamo questi chiodi arrugginiti dai secoli, la ruggine fa
aumentare il volume delle superfici e questo è il motivo per cui certi mosaici
vengono spinti e si rovinano. Durante i restauri bisogna staccare il mosaico,
togliere i chiodi e sostituirli con quelli di un materiale che non si altera con il
tempo.
La paglia viene messa perché le sue fibre rendono l’intonaco più elastico, meno
rigido
2. stessi materiali, ma più fine
3. calce e polvere di marmi, molto sottile: in questo strato quando è ancora
fresco si mettono le tessere e quando si asciuga vi restano incastrate.
Mentre i primi due vengono messi tutti insieme e coprono subito tutta la
parete, il terzo viene messo a pezzi in cui si mettono le tessere o si dipinge
quando è ancora fresco. Alla fine della giornata di lavoro l’intonaco fresco che
eventualmente non è stato utilizzato viene eliminato. Ogni pezzo si chiama
giornata e osservando un’opera da vicino si possono distinguere i contorni di
essi, stabilendo così in quanto tempo è stata realizzata

Le tessere non sono tutte uguali di dimensione, si basano sul tipo di disegno
che si sta realizzando, inoltre non sono inserite tutte allo stesso modo, hanno
delle inclinazioni diverse a seconda degli effetti luminosi che il mosaicista vuole
ottenere

Quando si fanno i restauri ed i mosaici vengono staccati dalla parete spesso


sulla parete di fondo si possono trovare le sinopie ovvero il disegno
preparatorio realizzato con una terra specifica chiamata proprio sinopia.
Abisde Basilica di S. Apollinare in Classe, Ravenna: durante il restauro del 1970-
1973 il mosaico della cornice fra semi cilindro e catino è stato staccato
rivelando una sinopia completamente diversa dal mosaico che c’è sopra (gli
artisti hanno cambiato idea in corso d’opera). Secondo il progetto originario
doveva esserci cesti con fiori e frutta affiancati da uccelli araldici, invece la
cornice che è stata fatta dopo è una cornice gemmata con elementi di fauna
(molto più semplice, cambiata per concludere il lavoro in tempi più brevi)
Nel cantiere per decorare una parete o una volta i mosaicisti stavano sopra dei
ponteggi. Il mosaico veniva iniziato sempre dall’alto (salvo rarissime eccezioni)
e mano mano che procede la realizzazione si smontano i ponteggi. Facendo il
contrario si danneggerebbe il lavoro fatto con colature di intonaco

Non abbiamo immagini di mosaicisti al lavoro, ma come idea è molto simile a


come lavorano oggi i restauratori: uno a fianco all’altro sui ponteggi

Basilica della Acheropoietos: è la più antica basilica cristiana della città.


Si trova in una posizione molto centrale, tra Agorà e Palazzo Imperiale, subito
sopra la via Regia

È stata costruita sopra un complesso termale antico ed i resti di tale terme


affiorano intorno e sotto la basilica, in particolare gli archeologi hanno lasciato
in vista la stratigrafia sotto la navata settentrionale e ancora oggi si vedono 3
diversi strati di pavimenti di epoca romana, dal basso verso l’alto:
1. mosaico (II sec): pavimento di una sala delle terme
2. lastre di marmo: risalenti al restauro delle terme in cui si scelse di cambiare
il rivestimento dei pavimenti
3. pavimento della prima metà del IV sec, epoca di Costantino, comunque
precedente alla basilica.
Queste terme sono state usate molto a lungo, finché non è stata realizzata la
chiesa

Il nome che gli diamo oggi appartiene all’epoca tardobizantina (intorno al


1320), in origine era probabilmente dedicata alla Teotokos (l’appellativo che era
stato dato alla madre di Dio nel Concilio di Efeso 431, che aveva proclamato la
maternità divina di Maria).
La nuova denominazione significa dal greco “non fatta da mano umana” e
probabilmente fa riferimento alla presenza nella chiesa di un’antica icona
miracolosa di Maria, forse una copia dell’icona dipinta da S. Luca.
Tale icona sarebbe stata trovata a Gerusalemme dalla moglie dell’imperatore
Teodosio II che l’aveva portata a Costantinopoli dove era stata realizzata una
chiesa per custodirla e venerarla

Secondo la leggenda l’evangelista avrebbe dipinto un’icona di Maria con il


bambino, l’Odighitria (=colei che indica la strada). La Madonna è rappresentata
con il bambino in braccio e con l’altra mano indica il bambino come per dire
che è lui la via della salvezza.
Icona del Pantheon, Roma: una delle più antiche testimonianze di Odighitria,
realizzata intorno all’anno 609 quando il tempio pagano è stato trasformato
nella chiesa di S. Maria Ad Martires. È una delle poche icone restanti del
periodo anteriore all’iconoclastia

I turchi quando arrivano a Tessalonica la trasformano per prima in moschea,


infatti la chiamavano Eski Cami (si pronuncia giami) ovvero “moschea vecchia”

I greci la chiamavano invece S. Paraskevì

Gli studiosi la datano concordemente al V sec, ma vi è anche qualche opinione


diversa.
In un’iscrizione alla base di un mosaico, nell’arcata a tre passaggi all’ingresso
della navata centrale c’è scritto “ex voto dell’umile Andrea”, significa che tale
mosaico è stato realizzato da lui come dono votivo. Sull’identità di Andrea sono
state fatte 2 ipotesi:

- nei documenti è riportato il nome di Andrea, sacerdote di Tessalonica che era


presente al Concilio di Calcedonia nel 451.
Lo studioso Bakirtis dice che, data tale coincidenza, la basilica potrebbe essere
stata fatta negli anni successivi al Concilio (metà del V sec)

- lo studioso inglese Robin Cormack sottolinea che vi era anche un altro


Andrea, vescovo della città di Tessalonica, documentato dal 490 al 510.
Siccome era un nome abbastanza diffuso potrebbe essere anche lui, ma questo
sposta la cronologia più avanti dalla fine del V all’inizio del VI sec

La più credibile è la prima poiché combacia con altri elementi di carattere sia
storico artistico che archeologico:
- capitelli e colonne sono tutti uguali, fatti con il marmo di Proconneso e sono
databili intorno al 460-470
- i mattoni con cui è costruita la basilica hanno dei bolli che contengono alcune
lettere dell’alfabeto che significano “primo anno dell’indizione”. L’indizione è
un periodo di 15 anni che si comincia a contare dall’anno 4-3 a.C. e fa parte del
calendario romano. La prima indizione va quindi fino al 15 d.C.
L’indizione che corrisponde all’epoca della basilica è quella che inizia nell’anno
447-448, quindi i mattoni sono stati realizzati in quel periodo e la datazione più
corretta è la prima

All’esterno la basilica ha una muratura alternata con mattoni e blocchetti di


pietra verde irregolari.
L’edificio è molto ampio, 60x30m circa, ed è suddivisa in 3 navate con 12
colonne per parte di marmo del Proconneso.
Sopra le navate laterali ci sono i matronei (gallerie), quindi è un edificio a più
piani.
L’abside è perfettamente semicircolare

Confrontando questa basilica con una di Costantinopoli dello stesso periodo (S.
Giovanni di Studios) ci accorgiamo che le architetture delle due città hanno
caratteri diversi:
- forma dell’abside (T: grandi e semicircolare sia dentro che fuori; C: poligonale
all’esterno e semicircolare all’interno)
- nelle basiliche di Costantinopoli la lunghezza delle navate è quasi uguale alla
larghezza; a Tessalonica si sviluppano in lunghezza in modo molto accentuato
- sistemazione interna dello spazio: a Tessalonica tra la navata centrale e quelle
laterali vi era una recinzione, non comunicavano; a Costantinopoli questa
separazione non esiste

Ci sono alcuni punti dell’edificio in cui sono integrati dei materiali più preziosi: il
Trìbelon, le tre arcate che fanno da ingresso alla navata centrale dal nartece,
l’entrata più importante di tutta la chiesa presenta due colonne di marmo
verde di Tessaglia, marmo molto costoso.
L’architetto della chiesa ed il committente volevano mettere in evidenza questo
ingresso mediante la preziosità del materiale ed il colore

L’edificio è molto luminoso, vi sono due piani di finestre, una fila continua di
finestre al pianterreno e delle finestre a trifora nei matronei che formano quasi
un’apertura unica

Un’altra caratteristica specifica di Tessalonica è che al centro in corrispondenza


della navata centrale non c’è la porta d’ingresso, l’ingresso principale si trova
nel portico sul lato meridionale. È stato collocato lì perché la chiesa era
parallela alla via Regia perciò l’ingresso era orientato verso la via principale e
non su un lato che dava su una via secondaria

Attualmente la basilica ha il tetto più basso perché all’epoca dei terremoti del
VII sec il tetto originario è crollato e anche la fila più alta di finestre che prima
c’era è andata perduta. A quell’epoca non c’erano molte risorse finanziarie per
fare restauri perciò il tetto è stato ricostruito nel punto del crollo, senza
ripristinare la parte mancante della parete.
La stessa cosa è avvenuta nel nartece che prima aveva anch’esso 2 piani.
Anche nella zona dell’abside abbiamo tracce del crollo, vi sono le basi di alcune
colonne, in origine vi era una polifora con 5 archi sostenuti da colonne di
marmo, dopo il terremoto l’abside è stata rifatta in modo diverso con solo 3
finestre sostenute da pilastri in muratura

Attorno alla chiesa vi sono anche delle cappelle laterali annesse:


1. cappella di Santa Paraskevì (VI sec): probabilmente funzionava come
battistero che sfruttava le condutture idrauliche delle terme
2. cappella di S. Irene (aggiunta in un periodo più tardo, XI sec): hanno aperto il
muro terminale della navata sinistra e hanno creato un passaggio

La struttura architettonica interna è omogenea, colonne, capitelli e pulvini


sono stati realizzati tutti insieme, non si è usato materiale di reimpiego, ma
fatto appositamente per la chiesa

Colonne e capitelli sono in marmo del Proconneso.


Costruire una basilica a Tessalonica con questo marmo significa avere a
disposizione molte risorse economiche perché quel marmo prima di arrivare a
Tessalonica fa un lungo viaggio, ed è più prezioso e raffinato di quello
proveniente da cave più vicine

I capitelli sono importanti anche per stabilire la cronologia di un edificio, si


tratta di “capitelli compositi ad acanto finemente dentellato”, in cui le foglie
sono tutte dentellate e lo scultore con il trapano li ha lavorati fino ad ottenere
questi buchi.
Sono quasi uguali a quelli di S. Giovanni di Studios a Costantinopoli, datata a
metà V sec, sono venuti fuori dalla stessa officina dunque anche questo
rafforza la prima ipotesi cronologica che avevamo considerato.
L’unica differenza è che a Tessalonica essi non reggono un’architrave come a
Costantinopoli, ma degli archi perciò è stato aggiunto come elemento di
passaggio un pulvino (un blocco di marmo a tronco di piramide rovesciata,
autonomo rispetto al capitello). Questi pulvini nella faccia principale (verso la
navata centrale) sono decorati con foglie e corone con il crismon, mentre sul
retro (verso le navate laterali) presentano delle croci incise su fondo liscio

Nelle gallerie del primo piano troviamo un materiale diverso, il marmo di


Thàsos, proveniente dalla cava di un’isola vicina alla Macedonia (più vicina a
Tessalonica), è bianco ed ha una colorazione meno bella ed è più economico
non solo perché meno pregiato, ma anche per il minor viaggio che il materiale
doveva fare

Vi è una gerarchia nella distribuzione del marmo all’interno della chiesa, il più
pregiato si trova nella parte più importante della chiesa, mentre negli spazi
secondari si è usato un marmo meno pregiato

Anche la forma dei capitelli cambia tra i due spazi, nei matronei non si ha la
forma ad acanto finemente dentellato (troppo costoso il lavoro per l’intera
chiesa), si hanno capitelli più geometrici “a imposta” (deriva dalla fusione tra
capitello ionico e pulvino che diventano un unico blocco – invenzione della
seconda metà del V sec, ci sono anche a S. Giovanni di Studios). La superficie è
liscia per la maggior parte, lavorata solo al centro e si ha una croce sul pulvino

L’arredo liturgico, smantellato in epoca turca dopo la trasformazione in


moschea, prevedeva anche la presenza di un ambone che oggi è frammentario,
ma si può ricostruire la struttura originaria mediante un disegno.
Anche questo è realizzato di marmo di Thasos e rientra nella tradizione tipica di
Tessalonica perché ha una sola scala, un profilo semicircolare ed è monolitico
(a Costantinopoli si realizzano in più parti perché si rende più agevole il
trasporto dalla cava alla chiesa)
Seminario 3 (prof.ssa Giulia Grassi)

I musei bizantini in Grecia

Entrambi i musei monografici si trovano in Grecia, non esiste un museo


bizantino in Turchia, ma nemmeno in Italia dove le testimonianze bizantine
sono notevoli

Sono musei nazionali che contengono migliaia di oggetti

Museo Bizantino e Cristiano, Atene: è il più antico, fondato nel 1914, però
aperto effettivamente nel 1930 all’interno di una villa di metà ‘800 (Villa Ilissia).
Nel 1999 è stato avviato un progetto di riordino che lo ha cambiato
profondamente ed ha ampliato gli spazi espositivi, concludendosi nel 2010

Ha un patrimonio di circa 30.000 manufatti di cui circa 2.700 esposti


nell’allestimento permanente, il resto è nei depositi (ben organizzati dopo il
riallestimento)

La fondazione è legata a precisi eventi storici e si inserisce in una visione


storiografica che si era definita all’indomani della riconquistata libertà
dall’impero ottomano, quando si era avviato un progetto storiografico volto a
definire nuovamente gli elementi identitari dello Stato greco, un processo che
si era protratto per tutto l’800 e si era concluso agli inizi del ‘900.
Da questa riflessione era venuta un’idea tripartita della storia greca:
1. le radici culturali sono state rintracciate nell’antichità classica, questo è il
patrimonio fondante della Grecia moderna
2. l’eredità bizantina, in un primo momento non contemplata, era stata
assorbita nel patrimonio condiviso
3. allo stesso tempo c’è stata un’attenzione nuova per le tradizioni popolari,
anch’esse provenienti dall’antichità
Si è creato quindi uno schema basato su una sorta di “ellenismo perenne”,
rintracciando appunto nell’ellenismo (antico, bizantino e moderno) il filo
conduttore del patrimonio di questa nazione.
Il secondo direttore del museo, Sotiriou, dichiarerà che il Museo Archeologico
rappresenta l’eredità degli antichi, mentre il Museo Bizantino rappresenta
invece l’eredità dei padri
In Grecia nel periodo fra le due guerre assistiamo alla creazione di molte
collezioni private che però erano solo per gli intenditori, per la borghesia

Museo Canellopoulos: aperto nel 1976, collezione di due coniugi, si trova in


una residenza privata. Si attiene alla visione tripartita poiché hanno
collezionato sia oggetti archeologici, che bizantini e tradizionali popolari
Collezione di Eleni Stathatos: casa-museo, la sua collezione è stata in parte
donata dalla proprietaria, quindi ad oggi è dispersa fra la Biblioteca Gennadios
dell’American School Of Archeology, il Museo Benaki ed il Museo Archeologico
Nazionale (di cui 4 vetrine sono dedicate agli oggetti bizantini)

La doppia intitolazione si ha perché inizialmente il museo era concentrato su


cimeli cristiani, anche perché presto nella raccolta confluiscono gli oggetti della
Società Archeologica Cristiana.
Questa vocazione esclusivamente religiosa è terminata già sotto i primi due
direttori, soprattutto il secondo – Sotiriou - che lo è stato a partire dal 1923, ed
essi pensano che essendo un museo nazionale non sarebbe dovuto essere così
specifico, quindi hanno provveduto all’acquisto di oggetti di altra natura.
Nonostante questo però il nome è rimasto

Allestimento originario: è rimasto così dall’apertura fino alla fine del secolo,
con piccoli mutamenti

Sotiriou voleva rendere il mondo bizantino comprensibile ai greci al di là della


tradizione religiosa, quindi sceglie di esporre gli oggetti in contesti che i greci
potessero riconoscere: al pianterreno vi erano 3 gallerie che ricostruiscono una
chiesa paleocristiana a 3 navate, una chiesa mediobizantina a croce greca
inscritta e una chiesa post-bizantina a navata unica. All’interno di questi spazi
vengono collocati gli oggetti.
Al piano superiore in 2 sale erano esposte le icone e nelle altre 2 tessuti,
ricami, bronzi

Il riordino è stato deciso nel 1999, non è un caso che sia stato deciso 2 anni
dopo l’apertura del museo di Tessalonica, perché a detta del nuovo direttore il
museo di Atene era ancora legato a un’idea museografica vecchia e visitato
solo una volta l’anno dagli studenti delle scuole oppure dagli studiosi del
mondo bizantino. Egli invece voleva che diventasse un punto di riferimento per
tutti i tipi di visitatori e perciò avvia il progetto di ampliamento degli spazi
espositivi, ma anche di cambiamento della filosofia del museo che assume
caratteristiche diverse (non puntare solo sui singoli oggetti, ma anche sulla
contestualizzazione)

Museo della Civiltà Bizantina, Salonicco: fondato nel 1993, sale aperte
progressivamente tra il 1997 e il 2004. Mentre i lavori erano ancora in corso,
nel 1994, è stata allestita la mostra intitolata “Tesori bizantini di Tessalonica: il
viaggio di ritorno” con tutti quei manufatti che fino a quel momento erano
conservati nel museo di Atene, pur appartenendo alla città

Tessalonica nel 1913 era stata la prima città scelta per la creazione del museo
bizantino, ma per ragioni varie è stata poi scelta Atene

Questo museo nasce in maniera diversa rispetto a quello di Atene perché è


diverso il clima culturale. Anche il nome è esplicativo, non si parla di arte o
archeologia, ma c’è solo la parola “civiltà”, quindi l’intento è quello di offrire
una prospettiva molto ampia su tutti gli aspetti che concorrono a delineare una
civiltà nel suo complesso. Vengono considerati aspetti che in altri musei non si
considerano e che non si limitano quindi al dato estetico di un’opera (funzione
dell’oggetto ed inserimento in un contesto generale)

Inoltre questo museo si apre all’Europa, nel 1981 la Grecia era entrata a far
parte della Comunità Europea pochi anni dopo la fine della dittatura.
Questo museo non si considera solo come parte dell’identità nazionale quindi,
ma come parte del patrimonio europeo (vi sono spazi dedicati al mondo post-
bizantino e ai legami con l’Europa).
Questo avrà influenza anche sulla nuova impostazione del museo di Atene

Confronto fra i due musei

- aderiscono entrambi all’idea storiografica secondo la quale si può cominciare


a parlare di mondo bizantino a partire dall’epoca successiva a Giustiniano. I
secoli precedenti sono di formazione, passaggio, trasformazione.
Tra gli episodi significativi di questa cesura ci sono la chiusura della Scuola di
Atene nel 529 e la caduta di molte città in mano agli stranieri nel secolo
successivo.
- sono strutturati entrambi per unità tematiche all’interno di una griglia
cronologica

A: prima sezione dedicata al passaggio dal mondo antico al mondo bizantino


T: distinzione meno evidente, ma i temi trattati nelle prime tre sale sono gli
stessi affrontati nella prima sezione

A: seconda sezione dedicata al mondo bizantino, divisa in vari temi, fino alla
caduta di Costantinopoli
T: questa parte viene svolta nelle sale 4-5-6-7

A: terza e quarta sezione (molto vaste) dedicate al mondo post-bizantino e a


tutte le relazioni con il mondo occidentale (nuova entità dell’Impero
Ottomano)
T: 2 sale dedicate a due collezioni donate al museo e poi la sala 10 dedicata al
mondo post-bizantino

- impostazione simile, ma spazio assegnato alle varie aree nei musei è


differente

- è diversa la modalità di visita


A: c’è una sorta di percorso obbligato, nel vestibolo si ha una piccola
spiegazione e la riproduzione del mosaico di S. Vitale a Ravenna, poi si inizia un
percorso in senso orario su vari piani e si passa da una sala all’altra in
successione cronologica
T: c’è un corridoio che propone un percorso a spirale, ma su di esso si aprono
delle sale non comunicanti fra loro che possono essere visitate i maniera libera.
L’architetto che ha curato l’organizzazione degli spazi ha proprio dichiarato che
la libertà era proprio il suo intento, in modo da coinvolgere emotivamente il
visitatore

La prima sezione ad Atene corrisponde alle 3 sale di Tessalonica perché in


entrambe si è rappresentata questa fase di passaggio mediante 3 temi
fondamentali: l’edificio religioso (nascita dell’architettura cristiana), la vita
quotidiana (città e campagne), relazione con la morte.
Vengono però organizzate in maniera totalmente diversa.
T: prima sala dedicata alla chiesa
A: prima sala dedicata alla vita quotidiana e poi si passa alle chiese
Ad Atene dopo l’ingresso vi è una piccola sala dove sono esposte le sculture
che mostrano il processo di appropriazione di immagini pagane, è
un’introduzione che serve per segnare la trasformazione

Nella seconda unità si analizza la vita quotidiana, ci sono vetrine molto


luminose realizzate da una società italiana, nella parte alta delle pareti vi è la
spiegazione della sezione e poi ci sono foto di sculture e mosaici che
presentano scene che aiutano a contestualizzare gli oggetti nelle vetrine.
Nella stessa sala opere modeste come anfore, giare, pesi di bilancia, oggetti
usati dal popolo convivono con oggetti che mostrano la vita delle classi più
agiate come gioielli, tavolo in marmo bordato con scene di caccia (montato
vicino ad un affresco staccato che riproduce una decorazione in falso marmo,
ricreando un ambiente lussuoso).
Le vetrine permettono una visione totale, senza sbarramenti nella sala, fanno
capire che questi oggetti fanno parte di un contesto unico

In questo museo ci sono molte scale, si scende e si risale più volte durante il
percorso, il dinamismo sta nel poter vedere le cose da più punti di vista, o dal
livello più alto o dal basso.
Nel piano superiore si può sfruttare anche la luce naturale, mentre sotto vi è
solo quella artificiale

A Tessalonica le sale 1,2,3 sono molto estese e hanno i soffitti molto alti
(sfruttamento delle pareti per poster e vetrine incassate). Si vuole ricostruire la
vita di una grande città nei secoli di passaggio, una vita varia fatta da tanti
aspetti.
Il centro della sala 2 è occupato dal grande mosaico pavimentale che rimanda a
una ricca dimora dell’epoca, la cui suggestione è enfatizzata anche dagli
affreschi staccati e collocati sulle pareti riproducenti una decorazione in falso
opus sectile parietale.
C’è molta varietà nella produzione, qui si presta attenzione all’aspetto
economico e commerciale che non viene considerato ad Atene.
Ci sono vetrine con oggetti in ceramica da tavola, ornati personali (gioielli e
tessuti).
Per come è organizzata la sala ci si può muovere liberamente
Ad Atene al filone della chiesa (intesa come edificio a tre navate con
quadriportico a cui sono connesse colonne, capitelli, trabeazione, recinzione) è
dedicata la terza unità.
Si è scelto di ricostruire una chiesa del V sec scavata in un’isola greca nel 1917
da cui proviene il pavimento musivo. Sono state innalzate le colonne e collocati
i capitelli (provenienti da varie chiese) in modo da simulare colonnato e
trabeazione. Sulla parete si ha la grafica della chiesa, non si tratta di una chiesa
di Atene però, ma di S. Vitale a Ravenna, esempio per eccellenza delle
architetture sacre bizantine. Essa viene conclusa da un’ abside con la
recinzione e anche se la chiesa raffigurata nelle foto non è greca si riesce a
contestualizzare e rendere comprensibile anche al visitatore meno specialista il
materiale.
In una vetrina ci sono oggetti liturgici, soprattutto croci e lampade in bronzo

Poi con delle scale si scende e vi è una sezione dedicata alla cristianizzazione
del Partenone, tema significativo per Atene che introduce al tema che si può
ampliare a tutto il mondo antico ovvero la cristianizzazione degli edifici pagani.
È più grafica e descrittiva piuttosto che basata sugli oggetti, anche perché la
chiesa costruita nel Partenone è stata completamente smantellata durante i
restauri (hanno tolto tutte le aggiunte fatte nei secoli successivi al tempio)

La sala equivalente a Tessalonica è la prima, ci sono due accessi e si ha un


grande spazio unitario rettangolare in cui si cerca di ricostruire attraverso le
opere e con il supporto della ricostruzione grafica sulle pareti la situazione
delle chiese della città, in particolare quella di S. Demetrio.
Molte opere sono di Tessalonica (ambone) altre no, la scultura (lastre,
pilastrini, colonne, capitelli) riveste un ruolo molto importante e vi sono anche
affreschi e mosaici staccati, cose che ad Atene non ci sono.
Frammenti di pittura parietale con S.S. Cosma e Damiano, provenienti
dall’Agorà
Frammenti musivi con S. Demetrio in preghiera fra due donatori, proveniente
dall’omonima chiesa
Reliquario in argento con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento

Ad Atene si scende ancora e a destra e a sinistra delle scale due sale


concludono la prima sezione, poi inizia quella del Mondo Bizantino composta
da 9 unità e poi si ha quella del mondo Post-Bizantino
Nella sala a destra c’è un’area dedicata all’Egitto cristiano e all’arte copta che a
Tessalonica non c’è.
A sinistra c’è la sala dedicata al tema della morte, è un’area un po’ nascosta e
può sfuggire all’attenzione anche perché appena si scende l’attenzione è
catturata da una vetrina con oreficerie e argenterie. Per questo tema il museo
non possiede opere eclatanti, perciò non può usare un allestimento
spettacolare.

A Tessalonica invece è l’inverso, quella sala è necessaria: è la sala 3, molto


grande e alta, è l’unica tra le prime che consente una visione a livello degli
occhi e anche dall’alto. Le pareti sono sfruttate per contestualizzare gli oggetti
delle vetrine che provengono dalle necropoli e sono stati acquisiti grazie ad un
programma di ricerca finanziato dall’Unione Europea basato proprio sul
passaggio dall’epoca romana a quella bizantina. Le necropoli di Tessalonica
hanno offerto molto materiale per seguire questo passaggio sintetizzato nel
cambiamento di prospettiva sul regno dell’aldilà pagano e cristiano, questo
passaggio si può seguire mediante gli oggetti proposti, ma anche mediante la
pittura che permette la lettura sia sul piano concettuale che artistico.
Le tombe sono state rimontate per suggerire le dimensioni significative.
Anche l’illuminazione agisce sulle emozioni (luce oscura ci fa pensare all’aldilà),
insieme alla disposizione degli oggetti riesce ad arginare il problema di uno
spazio troppo ampio che potrebbe portare alla dispersione.
Vi è anche un attento sfruttamento della fotografia, le cui riproduzioni di foto
storiche fanno entrare lo spettatore nella giusta dimensione (sfruttamento di
risorse collaudate nelle mostre temporanee)

Nella sezione 4 di Atene si ha una sala con la ricomposizione del complesso


pittorico della chiesa della Dormizione di Euritania (Grecia), oggi non più
esistente perché è stata realizzata una diga e un lago artificiale che ha
sommerso parte dell’area. Gli affreschi sono stati staccati e mediante questo
lavoro si sono identificati tre livelli di pittura: l’ultimo della metà del XIII sec, poi
quello dell’XI sec e poi quello del IX sec. Alcuni di questi affreschi sono stati
esposti anche in varie mostre come quella di New York del 1997

A Tessalonica vi è la sala dedicata all’epoca dei Macedoni e dei Comneni con


una gigantografia di una chiesa tipica bizantina, molte sculture, l’icona della
Vergine Dexiokratusa, un Tetravangelo miniato, una vetrina con oreficerie e tra
di esse ci sono due bracciali in oro e smalto cloisonné
Nel 2000 a Tessalonica è stata aperta la sala del Castello Bizantino. È stata
aperta in una seconda fase e non ha alcun riscontro ad Atene.
Nel pannello introduttivo si legge che VI, IX, X, XIV sec hanno visto una intensa
attività di realizzazione di fortificazioni. Queste formavano una rete di castelli
fra Costantinopoli e Tessalonica lungo la antica via Egnatia.

Tessalonica era la città principale della Macedonia. La Macedonia storica era


divisa tra la Grecia e la Serbia, poi era diventata una repubblica della Iugoslavia
e dopo la divisione di essa era rimasta come ex repubblica Iugoslava che
rivendicava il nome di Macedonia. Ci furono molti problemi con i Greci che non
volevano riconoscerla, una soluzione si è trovata tra il 2018 e il 2019 quando la
Macedonia ha preso il nome di Repubblica della Macedonia del Nord mediante
un accordo tra le due parti.
Nel museo della Civiltà Bizantina si pone l’accento su Tessalonica che viene
presentata come la seconda città dell’impero che ha sempre preservato un
collegamento diretto con Costantinopoli anche mediante queste fortezze. È
una sorta di rivalsa su Atene che ha avuto il primo museo bizantino per
opportunità politica: nel 1913 si voleva scegliere Tessalonica come sede del
primo museo a causa dell’esito positivo della guerra combattuta nei Balcani
contro l’impero ottomano che aveva portato nel 1912 alla liberazione di
Tessalonica, la cui pace è stata firmata nel giorno di S. Demetrio.
Poi però venne scelta Atene perché era la capitale della Grecia e dopo
l’apertura del museo sono stati anche portati ad Atene dei materiali da
Tessalonica, quello divenne il museo centrale e ciò è stato vissuto sempre
come un esproprio, gli archivi di Atene conservano le documentazioni che
attestano le restituzioni di tale materiale avvenuto nel 1994
Lezione 5 (20 ottobre 2021)

Le pareti della basilica dell’Achiropoietos oggi sono imbiancate, non ci sono


tracce della decorazione antica, ma in origine esse dovevano essere rivestite di
mosaici.
Non si sa quando siano stati eliminati:
- forse dai bizantini durante il periodo dell’iconoclastia (730-843)
- in epoca turca per via della trasformazione in moschea

Di questa decorazione musiva restano i sottarchi, la decorazione che occupava


lo spessore degli archi sia al pianterreno che al piano delle gallerie. Ogni
sottarco ha un mosaico, essi al pianterreno sono uguali a due a due e
presentano temi geometrici, floreale, zoomorfo, ma nei tre sottarchi tra il
nartece e la navata, nel 7° intercolumnio all’altezza dell’ingresso della basilica e
negli intercolumni che affiancavano il bema sono presenti sempre le croci al
centro della decorazione (distribuite secondo un principio gerarchico, segnano
i punti più importanti dell’edificio)

Motivi decorativi:

- ottagoni, meandri e intrecci


Primo sottarco: combinazione di ottagoni e meandri, all’interno degli ottagoni
ci sono figure di uccelli ed elementi vegetali.
Motivi che in quel periodo erano adoperati anche nei pavimenti (Basilica di
Delfi)

- a pelte con piume di pavone: tema decorativo molto diffuso a Tessalonica


(nicchie della cupola della Rotonda)

- ghirlande intrecciate: cerchi intrecciati fra loro. Ghirlande abitate (presenza di


animali, uccelli) che vengono fuori da due càntari (vasi con l’acqua) posti alla
base, il tema dell’acqua allude al tema della rinascita (battesimo)

- candelabre vegetali arricchite dal motivo della croce: vaso alla base da cui
escono motivi vegetali che formano il classico motivo della candelabra che
culmina nella croce
- sottarchi del Tribelon: presentano la croce anch’essi, al centro vi è una grande
croce d’oro che emana dei raggi che attraversano una sfera luminosa azzurra, il
cerchio è diviso in 3 fasce di tre sfumature di azzurro (allusione al dogma della
trinità: le 3 persone della trinità sono simboleggiate dalla luce divina). A destra
e a sinistra vi è una candelabra vegetale con foglie e fiori combinate con spighe
con all’interno un uccello (grande fantasia).
I colori sono molto raffinati, vi sono sfumature intermedie ricercate, i colori
usati sono pastello e vanno dal rosso, al turchese e al giallo oro

Questo sottarco al centro del Tribelon è quello nel quale è stata ritrovata alla
base un’iscrizione scritta con tessere d’argento su fondo rosso: oggi non si vede
molto bene perché se nel corso del tempo si stacca la parte di vetro le tessere
d’oro mantengono la colorazione, mentre l’argento si ossida e diventa grigio,
però abbiamo un acquerello che ci mostra com’era (è l’iscrizione in cui si cita il
committente, ovvero “l’umile Andrea”)

I mosaici del Tribelon sono più ricchi degli altri, presentano dei motivi in più:
- libro chiuso: ha a che fare con la parola, quindi il Verbo che è Cristo
- pesce al centro di una sorta di calice: il pesce è un simbolo Cristologico
perché in greco la parola pesce è l’acronimo delle iniziali di “Gesù Cristo Figlio
Di Dio”
Il simbolismo cristiano qui è molto ricco e anche didattico, si vogliono spiegare
i concetti della dottrina cristiana. Avviene proprio in questo punto della chiesa
perché il nartece era il luogo dell’iniziazione cristiana: gli aspiranti cristiani non
ancora battezzati (catecumeni) non potevano assistere alla liturgia dentro la
chiesa, perciò stavano fuori, nello spazio prima dell’ingresso alla navata. Essi si
trovavano nella fase in cui stavano apprendendo i principi e alzando gli occhi
vedevano questi simboli che gli erano indicati dai sacerdoti che li
indottrinavano

Sottarchi della galleria sud, quella verso la via Regia (la galleria nord ha perduto
completamente i mosaici dei sottarchi): non si può dire se i mosaici fossero
accoppiati come al piano sottostante, i motivi sono più semplici e uniformi,
compaiono talvolta croci al centro o stelle a 8 punte, ma i motivi decorativi si
limitano a festoni di fiori e frutta e tralci che escono da cantari o ceste.
Questo tema è diffuso in tutto il Mediterraneo nel V sec (Mausoleo di Galla
Placidia, Ravenna; Sacello di Santa Matrona, S. Prisco – Capua)
Anche i mosaici dell’abside sono andati perduti, quindi non sappiamo quale
tema contenesse

Chiesa di Hosios David: si trova nella parte della città più vicina all’acropoli di
Tessalonica.
È celebre per il suo mosaico absidale che è il più antico che si sia conservato
nella zona orientale.
Il catino absidale presenta un tema iconografico complesso e molto raro che si
può definire una Teofania (apparizione divina) o Maiestas Domini (maestà
divina), due espressioni che si possono considerare sinonime.
Questo mosaico è rimasto sconosciuto fino al 1923 quando venne recuperato
al di sotto dell’intonaco che lo aveva nascosto quando in epoca ottomana la
chiesa era diventata una moschea

L’edificio in cui si trova non è una chiesa vera e propria, ma un oratorio


intitolato oggi a S. David. Questa intitolazione però è moderna e non si sa con
certezza quale fosse quella originale.
Questo oratorio in origine faceva parte del monastero chiamato Tou Làtomu, “il
monastero della cava”, chiamato così perché la parte alta di Tessalonica
presentava delle zone rocciose da cui si ricava la pietra che serviva da materiale
di costruzione

Una fonte a riguardo è la “Narrazione” del monaco Ignazio (IX sec) proveniente
da un monastero diverso, ma sempre di Tessalonica. Egli parla proprio
dell’oratorio e oltre a descrivere la chiesa descrive anche il mosaico. Inoltre
dice che questo oratorio anticamente era dedicato al profeta Zaccaria e che poi
venne intitolato a Cristo Salvatore “del latomo”, probabilmente colui che dava il
nome al monastero.

Egli parla anche delle origini della chiesa e del mosaico in un racconto
leggendario che però ha un fondo di verità.
1° fase, prima dell’iconoclastia: la fondazione del monastero si deve a Teodora,
figlia dell’imperatore pagano Massimiano che si era segretamente convertita al
cristianesimo. Massimiano aveva fatto costruire per la figlia delle terme private
nella parte alta di Tessalonica e lei di nascosto aveva deciso di trasformare una
delle sale in una cappella. Aveva poi ordinato a un mosaicista di realizzare nel
catino della cappella una composizione con al centro la Vergine Maria.
Il mosaicista stava lavorando e l’ultimo giorno quando era andato a dare gli
ultimi ritocchi trovò nel catino una composizione diversa, con la figura di Cristo,
un’immagine miracolosa non fatta da mano umana che aveva sostituito quella
da lui realizzata. La figura di Cristo compariva su una nuvola luminosa con agli
angoli quattro esseri con le ali e con dei libri in mano.
Quando Teodora viene a sapere ciò lo considera un miracolo e allora ha paura
che il mosaico venisse scoperto da qualcuno della corte pagana e distrutto.
Quindi per salvarlo lo fa rivestire di uno strato di cuoio che garantisce la
conservazione, fa poi costruire un muro di mattoni e sopra fa mettere
dell’intonaco. Dopo questa operazione Teodora viene scoperta dal padre come
cristiana e dato che si rifiuta di abiurare viene condannata a morte. L’edificio
delle terme viene incendiato e rimane come una rovina, ma la parete del
mosaico si salva.
2° fase, dopo l’iconoclastia: c’era un monaco in Egitto che aveva ricevuto dal
Signore la promessa di una visione, gli sarebbe apparso però a Tessalonica
perciò questo monaco parte e giunge al monastero del Latomos. Un giorno sta
pregando in una cappella del monastero, quella dove anticamente c’era il
mosaico, e un terremoto fa crollare gli strati che coprivano il mosaico, così
davanti ai suoi occhi durante la violenta scossa si schiude la visione della
Teofania rappresentata ed il monaco muore, perché la visione che gli era stata
promessa ci sarebbe stata poco prima della sua morte.
E proprio nel momento in cui torna alla luce questo mosaico la cappella cambia
intitolazione

La verità in questo mito leggendario sta nel fatto che anche questo edificio
religioso nasce su un complesso termale come era consueto a Tessalonica e
che questo mosaico è molto antico, risalente a prima dell’iconoclastia e
sopravvissuto alle distruzioni di epoca iconoclasta

Attualmente la cappella si conserva per 2/3 della sua estensione perché in


epoca turca la parte ovest della facciata è stata demolita.
In origine aveva una pianta simmetrica a croce inscritta in un quadrato con 4
volte a botte nei bracci, una cupola centrale, 4 cappelle angolari e nella zona
est l’abside che sporgeva all’esterno

Gli scavi archeologici nel sottosuolo della cappella hanno permesso di


ricostruire la pianta originaria mediante le fondamenta ritrovate, inoltre hanno
rivelato la presenza di tombe sotto il pavimento, sepolture privilegiate di
personaggi che avevano deciso di farsi seppellire lì per la santità di questo
luogo

Il mosaico contiene al centro la figura di Cristo rappresentato giovane e senza


barba, è seduto non su un trono, ma su un arcobaleno e lo circonda una
mandorla trasparente. Tiene in mano un cartiglio con dei versetti tratti dal libro
del profeta Isaia e quelle parole sono rivolte ai fedeli: “Guardate il Signore
nostro nel quale abbiamo confidato e ci siamo rallegrati nella nostra salvezza
perché egli darà la pace a questa casa”; Cristo infatti ha la mano alzata in segno
di allocuzione.
Il nimbo è d’oro con una croce gemmata.
Dalla mandorla fuoriescono 4 animali: leone, toro, aquila e uomo, tengono in
mano un libro e le loro ali sono ricoperte di occhi (sono i futuri simboli degli
evangelisti) → elemento iconografico particolare che deriva dalla visione del
profeta Ezechiele che sulle rive del fiume Kobar in Babilonia ha un’apparizione
divina accompagnata da 4 animali le cui ali sono ricoperte di occhi perché il
Signore vede tutto. Questa apparizione avviene sopra un carro tra le lingue di
fuoco

Ai lati della mandorla ci sono due personaggi in un paesaggio roccioso ricco di


vegetazione, essi sono anonimi, quello di sinistra è anziano con capelli e barba
appuntita bianca, è leggermente chinato in avanti in segno di rispetto e le mani
sono alzate con i palmi aperti, come fosse in ascolto della parola divina.
Quello a destra invece ha la barba più tonda, è seduto in atto di riflessione con
la mano appoggiata al mento, iconografia tipica dei filosofi antichi. Tiene un
libro in mano con delle parole che non compaiono in nessun testo biblico:
“questa casa piena di dignità è una fonte che dà vita alle anime dei credenti,
accogliendoli e nutrendoli”.
Nel paesaggio vi sono architetture urbane e una capanna

Alla base del mosaico vi è un corso d’acqua popolato di pesci e un vecchio con
barba e capelli lunghi che nuota realizzato a monocromo azzurro come l’acqua
ed è la personificazione del fiume .
Al centro di questo specchio d’acqua vi è una collinetta da cui vengono fuori 4
sorgenti, sono i 4 fiumi del paradiso

Nella parte inferiore su fondo rosso vi è un’iscrizione a lettere d’argento


conservate integre con il colore delle tessere che riflette la luce e ci permette di
leggere. Gli antichi facevano manoscritti anche su pergamena tinta di porpora
e vi scrivevano con inchiostri dorati o argentati che erano visibili su quel colore
scuro, il mosaicista si è ispirato a questo.
C’è scritto: “Questa casa è una fonte che accoglie e nutre le anime dei credenti.
Poiché ho pregato ho ottenuto e dopo che ho ottenuto ho esaudito il voto di
colei di cui solo Dio conosce il nome”

Si insiste molto sulle parole “casa” (in riferimento alla cappella) e “fonte” (forse
una fonte miracolosa, ma negli scavi non sono state ritrovate condutture
d’acqua.
Il voto è il mosaico e “colei” è la committente, ma non dice il suo nome perché
era considerato un atto di vanità

Per i due personaggi laterali sono state date varie interpretazioni:

- due profeti, Ezechiele a sinistra e Isaia a destra

- Ezechiele e Abacuc a destra → egli viene considerato perché nella sua visione
si dice che Dio appaia in mezzo a due viventi

- Ezechiele e Giovanni evangelista a destra → perché nell’Apocalisse anche lui


parla dell’apparizione e riprende le parole di Ezechiele. Se si trattasse di loro
avremmo anche un personaggio del Vecchio e uno del Nuovo Testamento,
quindi concordanza tra i due Testamenti

Però bisogna considerare due fonti antiche:


1. fonte scritta, narrazione del monaco Ignazio che afferma che queste due
figure siano Ezechiele e Abacuc (egli era più vicino al luogo e all’epoca del
mosaico e forse riporta una tradizione antica a cui hanno fatto riferimento)
2. fonte iconografica, icona molto grande dipinta a Tessalonica nel 1395 per un
monastero della Serbia che rappresenta il miracolo del Làtomos. In essa vi sono
scritti i nomi dei due personaggi che vengono identificati come Ezechiele e
Abacuc. Lo stile è diverso, ma l’iconografia è esattamente la stessa, le icone
bizantine sono molto fedeli al loro archetipo perché per loro più sono
somiglianti più hanno valore religioso

- S. Paolo a sinistra e S. Pietro a destra, ma essi hanno a che fare con altri temi
e non con la Teofania
L’iconografia del mosaico è molto rara, ma si collega a degli affreschi dell’Egitto
bizantino. L’affresco è stato staccato da una cappella del monastero di Apollo a
Bawit ed è del VI-VII sec (successivo rispetto al mosaico).
È diviso in 2 livelli:
- parte inferiore con Vergine in trono con il bambino, gli apostoli e i santi
- Teofania con fondo azzurro

C’è sempre la figura di Cristo al centro, il disco luminoso è semplificato, vi sono


le 3 gradazioni di luce, ma Cristo è seduto sul trono e non tiene in mano un
cartiglio srotolato, ma un libro in cui c’è scritto 3 volte la parola “santo”
(riferimento alla trinità). L’elemento che coincide sono i 4 esseri alati che
sporgono in diagonale (più schematici, ma nella stessa disposizione).
Nell’affresco oltre alle ali ricoperte di occhi troviamo le ruote del carro e le
fiamme, quindi il pittore voleva proprio rappresentare la visione di Ezechiele

Nei medaglioni, uno rosa e uno azzurro, le figure a mezzobusto sono le


personificazioni del sole e della luna sul fondo del cielo stellato che
rappresenta il firmamento

Ai lati ci sono due figure, due angeli rappresentati in una posa di adorazione e
intercessione (pregano per l’umanità)

In Egitto questo tema iconografico va avanti per molti secoli e ciò significa che
doveva essere stato concepito lì per la prima volta, anche perché nell’impero
bizantino c’è solo a Tessalonica. Questo tema che ritroviamo nei monasteri
copti riprendeva un monumento famoso e si trovava ad Alessandria d’Egitto, la
città più importante di quel territorio, un centro importante nella storia del
cristianesimo dove vi erano molte basiliche. Ma l’Egitto è stato invaso presto
dagli Arabi (VI sec), quindi i monumenti cristiani sono spariti. Forse questo
tema era stato creato in una delle chiese che non esistono più e poi riprodotto

Lo stile del mosaico di Tessalonica crea un’atmosfera dalla luce cangiante, è


molto ricco di dettagli paesaggistici dal primo piano fino a quelli in lontananza
(rocce, vegetazione, architetture). L’artista è ancora legato allo stile
naturalistico proveniente dell’arte antica. Guardando i personaggi ci
accorgiamo che utilizza quello che nella pittura antica si chiama “stile
compendiario”: le pennelate o le tessere da lontano si ricompongono nella
retina di chi guarda e i colori si fondono, mentre da vicino le singole tessere
formano dei tocchi di colore staccati senza sfumature intermedie

Per la datazione sono state fatte 3 ipotesi diverse sulla base dello stile:
- seconda metà del V sec
- passaggio tra V e VI sec
- metà del VI sec

L’analisi dello stile non permette di rispondere in maniera sicura, la valutazione


dello stile è soggettiva

L’ipotesi più tarda è stata sostenuta da Spieser, lo storico francese che ha


datato allo stesso periodo anche la cupola della rotonda.
Egli insiste sullo stesso tipo di confronti, cioè i mosaici di S. Vitale a Ravenna:
paragona S. Giovanni Evangelista con uno dei profeti di Tessalonica, ma più che
nello stile le affinità sono nell’iconografia; anche nel confronto tra il profeta e
Abramo emergono divergenze di stile (stile compendiario a Tessalonica, rigidità
e contorni marcati a Ravenna)

Più convincente è il confronto con i mosaici della Panaghia Kanakarià di Cipro


realizzati intorno al 520: due figure di apostoli che hanno la tessitura dei
cubetti di vetro molto disgregata.
Se questo confronto si ritiene valido ci porterebbe a datare il mosaico di
Tessalonica intorno allo stesso periodo, quindi ipotesi intermedia

Basilica di S. Demetrio: si trova in una posizione molto centrale, sopra l’Agorà.


Ha 5 navate.
È stata molto danneggiata dall’incendio del 1917, l’edificio che analizziamo è
frutto del successivo restauro, ne abbiamo solo una parte e anche alcune
opere importanti sono state distrutte e ci pervengono solo mediante
fotografie.
Questo edificio di culto è importantissimo non solo per la città, S. Demetrio è
un santo importante per il cristianesimo ortodosso e tale santuario è tutt’oggi
visitatissimo da persone provenienti da tutte le regioni dei Balcani.
In epoca turca venne trasformata in moschea, ma il culto del santo non si
interruppe perché i turchi lasciarono ai cristiani alcuni spazi per venerarlo
Le vicende di S. Demetrio dal punto di vista agiografico sono molto misteriose,
in generale i testi agiografici contengono molti elementi leggendari.
Secondo l’agiografia egli sarebbe stato martirizzato nel 303 per ordine di
Galerio all’interno di una struttura termale che sarebbe proprio quella che oggi
si trova al di sotto della basilica, la quale viene costruita nell’angolo sud-
orientale delle terme.

Le fonti storiche che ci parlano di S. Demetrio sono però un po’ confuse, quindi
non è sicuro che sia avvenuto tutto ciò, perché secondo alcuni testi egli
sarebbe originario della città di Sirmium, capitale della prefettura dell’Illirico.
Secondo alcuni studiosi il santo ed il suo culto sono stati trasferiti a Tessalonica
nel momento in cui è stato trasferito il titolo di capitale della prefettura a causa
dell’invasione unna della città

Una delle iconografie più diffuse è quella che lo vede vestito da guerriero

Il luogo più antico del culto di S. Demetrio all’interno della basilica non si trova
nella cripta, ma a 2/3 circa della navata centrale dove si trovava un ciborio
esagonale coperta da un tetto piramidale. Sappiamo che esso si trovava
proprio lì perché quando la basilica viene distrutta dall’incendio sotto il
pavimento gli archeologi hanno trovato le fondazioni di questo piccolo edificio

Il documento più antico riguardo il ciborio non è un testo scritto, ma il mosaico


con S. Demetrio e alcuni fedeli che si trova nella contro-facciata all’inizio della
navata sud (V sec), mostra l’aspetto del ciborio a quell’epoca: ha 6 colonne
tortili e nella parte alta le 6 lunette sotto gli archi ci sono delle grate con pelte a
traforo di bronzo dorato; il colore grigio fa capire che era di marmo.
Qui il santo è rappresentato vestito come un aristocratico con la tunica sotto e
la clàmide sopra con la fibula, questa è l’iconografia più antica in cui era un
giovane militare.
Più tardi l’iconografia si trasforma, dall’epoca medio-bizantina (X sec, in cui
Tessalonica era minacciata da Arabi, Bulgari...) diventa un guerriero armato di
lancia e scudo

Il ciborio non è rimasto sempre uguale, l’acquerello che riproduce un mosaico


andato distrutto durante l’incendio rappresentava una devota di S. Demetrio
che porta al santo una neonata per fargliela proteggere (VI-VII sec): lei va
proprio davanti al ciborio che qui ha delle porte aperte con dei bassorilievi. Gli
studiosi affermano che fosse rivestito con lastre di argento all’epoca

Prima del 665 il ciborio viene descritto anche ne “I Miracoli di S. Demetrio”:


l’arcivescovo Giovanni nel secondo libro dice che all’interno del ciborio, al di là
della porta c’era un letto d’argento sul quale giaceva un’immagine del santo
distesa. Non era un sarcofago, vi è un reliquario di S. Demetrio che corrisponde
alla descrizione: risale all’XI sec, è di smalto e sotto il coperchio troviamo uno
sportellino che conteneva le reliquie il quale mostra il santo sotto un arco
disteso sul letto. Quell’arco probabilmente è uno di quelli che sosteneva il
ciborio

Più tardi il ciborio viene rifatto, forse il precedente è andato distrutto, la


basilica contiene i resti di un ciborio marmoreo dell’epoca medio-bizantina

Nel periodo medio-bizantino si comincia a parlare del “Miron”, un olio sacro e


profumato che si pensava venisse fuori dalla tomba di S. Demetrio, emesso dal
suo corpo. Aveva un potere miracoloso.
Quest’olio si trovava anche nella basilica di S. Nicola

Il rituale del Miron si colloca in una sala semicircolare e quadrata che si trova
nell’angolo nord-ovest della basilica, perché nel periodo medio-bizantino si
pensava che fosse la sala delle terme in cui il santo sarebbe stato martirizzato
(infatti non fa parte della basilica). Il culto del santo quindi si sposta dal ciborio
a questa sala, forse qui vi era un sarcofago e attraverso una conduttura veniva
fuori il Miron

In epoca tardo-bizantina, nel XIII-XIV sec, il culto si sposta nuovamente nella


cripta, sotto l’abside, in una zona sotterranea. Non sappiamo bene perché si
sposti lì, ma nella cripta fin dall’antichità c’era una sorgente di acqua sacra forse
una fontana che apparteneva alle terme romane. Questa fontana era stata
evidenziata con un ciborio e vi erano dei plutei in marmo che facevano da
parapetto ad una vasca contenente acqua.
In epoca paleologa la fontana viene collegata al Miron da un elaborato e
fraudolento sistema di condutture nascoste in modo da riempire d’olio la vasca
e portare lì i pellegrini
Nella cornice dell’icona di Sassoferrato vi è un’ampolla contenente il Miron, i
pellegrini che si recavano lì riempivano ampolle di ferro o terracotta d’olio
(oppure lo acquistavano) e lo portavano via nei loro luoghi di origine. È una
tradizione molto antica che parte dai santuari della Palestina, in cui si
acquistavano ampolle con l’olio che ardeva nelle lampade che illuminavano i
luoghi santi

Il culto di S. Demetrio si rifaceva a modelli più antichi

S. Demetrio diventa moschea nel 1493, ma il culto non si interrompe e ritorna


nei due ambienti all’ingresso della basilica perché i cristiani vengono autorizzati
a continuare il loro culto in un luogo secondario, quasi all’esterno della
moschea
Seminario 4 (26 ottobre 2021)

Gli avori mediobizantini di Costantinopoli

Ci sono due epoche in cui vi è una grande produzione di avori: il periodo


paleobizantino e quello mediobizantino, quest’ultimo è successivo
all’iconoclastia e va dalla metà del IX sec alla crociata del 1204

Nel periodo mediobizantino a Costantinopoli l’avorio era usato largamente, vi è


una rinascita di questa arte, tuttavia verso la fine del XI sec comincia a
diventare un materiale piuttosto raro perché le fonti di approvvigionamento
cominciano a diventare più difficili da raggiungere

L’avorio era considerato un materiale di particolare raffinatezza e nella


letteratura bizantina di quel periodo era citato come termine di paragone ed
espressione di un vero e proprio ideale estetico.
Anna Comnena nel poema “Alessìade” (1150) quando deve parlare della
madre, l’imperatrice Irene, paragona le sue dita che compivano gesti pieni di
grazia all’avorio scolpito da artigiani

La lavorazione dell’avorio inizia con la fondazione di Costantinopoli, è nel IV sec


che questa tecnica comincia ad assumere un’importanza particolare e sono di
questo periodo le prime notizie che ci pervengono di questo artigianato di
lusso. Queste notizie si trovano nel Codex Theodosianus, in due leggi viene
nominato:
- 337 un editto assicura agli intagliatori di avorio speciali esenzioni dagli
obblighi civili in modo che loro possano migliorare la loro tecnica e
trasmetterla ai loro figli
- 384 un decreto proibisce l’uso dei dittici di avorio a chi non sia un console
(cerca di contrastare un uso incontrollato di questi materiali, i ricchi si facevano
fare opere in avorio anche se non avevano la posizione sociale necessaria per
averne diritto dato che era una cosa riservata)

Le zanne d’avorio secondo le fonti scritte provenivano dall’India e dall’Africa,


ma questa indicazione non è del tutto attendibile perché gli autori bizantini
tendono a confondere l’India con l’Africa.
Inoltre un autore del VI sec dice che le zanne erano prodotte in grande
quantità in Etiopia (zona del Corno d’Africa) e da questa zona le zanne erano
inviate via mare in India, Persia, Arabia e Impero Bizantino.
In questo periodo l’impero comprendeva anche l’Egitto che è molto vicino al
Corno d’Africa, quindi non si può escludere che da lì giungessero nell’impero
mediante una via fluviale, cioè lungo il Nilo.
Vi era anche un’altra zona di approvvigionamento in quel periodo, ossia l’Africa
settentrionale, dove oggi gli elefanti si sono estinti, mentre all’epoca è noto che
ci fossero: in una notizia del 573 si racconta che la delegazione di una città
africana porta in dono all’imperatore Giustino II delle zanne di elefante come
offerta in segno di alleanza

La confusione fra quelle due zone nei bizantini è confermata da un piatto


d’argento in cui si vede la personificazione di una regione del mondo, ma non si
comprende se si tratti dell’India o dell’Africa.
Questa figura femminile dalla pelle molto scura è seduta su un trono fatto di
zanne, il che alludeva proprio alla produzione di avorio in una di quelle due
zone

Il periodo fra IV e VI sec vede una grande produzione di avorio e la categoria di


manufatti più diffusa sono i dittici consolari.
Nell’anno 541 però l’autorità del console viene assorbita in quella
dell’imperatore, non ne vengono più eletti e quindi la produzione di tali dittici
cessa in quell’anno.
Fino a quel momento, sia a Roma che a Costantinopoli, i dittici venivano
prodotti ogni anno all’elezione di un console. Uno studioso del ‘900 ha fatto un
calcolo approssimativo ed ha contato che per ogni console venivano prodotti
circa 100 dittici di avorio, quindi nel corso di tutto il periodo la produzione
doveva aver raggiunto circa 10.000 pezzi, di cui noi oggi conosciamo solo una
parte molto piccola (alcune decine, nemmeno tutti interi)

I dittici non venivano prodotti solo per la nomina dei consoli, ma anche per la
nomina di funzionari di un certo tipo e per gli imperatori.
Agli imperatori competevano le opere più complesse, come l’Avorio Barberini
(di Giustiniano) che faceva parte dei cosiddetti “avori delle 5 parti”: dittici in cui
ognuno dei due sportelli presentava 5 tavolette incastrate fra loro per renderlo
più grande.
Questo avorio doveva essere originariamente simile al dittico sacro conservato
nel Museo del Duomo di Milano.
Nell’Avorio Barberini la scena inferiore è una scena di offerta di zanne di
elefante, i personaggi vestiti con abiti esotici fanno la donazione e vi è anche
un elefantino che barrisce in modo gioioso verso Giustiniano.

L’avorio inoltre veniva adoperato per altre tipologie di oggetti:


- cofanetti di piccole dimensioni con coperchio scorrevole
- statuette di piccole dimensioni
- contenitori cilindrici cavi all’interno che sfruttavano la forma della zanna,
come le pissidi

Vi erano anche oggetti più complessi in avorio:


- tavolette composte di 5 parti potevano essere anche adoperate come
copertine per i manoscritti di lusso → Vangelo, Biblioteca Nazionale di Parigi
- tavoli e sedili, pezzi di avorio assemblati fino a formare un oggetto di grandi
dimensioni → Cattedra di Massimiano, Ravenna: oggetto più grande in avorio
che conosciamo.
Quelli di questo tipo non erano però oggetti unici, ce n’erano un certo numero.
Ci sono delle notizie, ad esempio sappiamo che il patriarca Cirillo di Alessandria
a metà V sec inviò all’imperatore Teodosio II 8 seggi e 14 cattedre in avorio

Dopo questa grande produzione nei primi secoli abbiamo una drastica
riduzione. Fino al VI sec le reti commerciali permettevano di far arrivare
facilmente questa materia prima, ma nel VII sec con l’invasione araba del
Mediterraneo queste vie si interrompono

Nei secoli VII e VIII si continuano a produrre avori probabilmente solo in Siria,
Palestina ed Egitto. Proprio ad una di queste regioni si può attribuire un gruppo
di avori molto importante, una serie di tavolette facenti parte della Cattedra di
Grado. Era un oggetto di grandi dimensioni di cui noi conosciamo solo alcuni
pezzi e che illustra storie relative a S. Marco evangelista, colui che fondò la
chiesa cristiana di Alessandria e dell’Egitto

La rinascita dell’arte dell’avorio a Costantinopoli si ha a partire dall’anno 867,


quando sale al trono Basilio I.
Dal IX all’ XI secolo si assiste ad una ripresa ed il culmine si ha al tempo di
Costantino VII Porfirogenito.
Successivamente però la produzione inizia progressivamente a declinare e si
interrompe definitivamente dopo la Quarta Crociata.
In epoca tardobizantina non vengono praticamente più prodotte opere in
avorio, conosciamo solo un piccolo oggetto risalente a quest’epoca, ossia una
pisside che venne realizzata per celebrare l’entrata a Tessalonica
dell’imperatore Giovanni VII Paleologo nel 1403-1404. È un oggetto di
dimensioni ridottissime, alto 3cm e diametro di 4cm circa

Nel periodo più antico si ha una pluralità di centri di produzione, l’avorio viene
lavorato a Costantinopoli, Alessandria, Ravenna; nel periodo successivo invece
le botteghe sono concentrate esclusivamente a Costantinopoli. Lì erano attive
soprattutto officine private con un numero ridotto di artigiani, piuttosto che
officine imperiali di grandi dimensioni (per l’avorio non abbiamo nessuna
testimonianza di questo genere)

La testimonianza artistica più antica per questo periodo è un pezzo molto


problematico, sia per la cronologia che per la funzione: è un avorio imperiale, il
soggetto è un’incoronazione.
Gli studiosi hanno dato due interpretazioni diverse:
- è il puntale di uno scettro
- è il manico per il coperchio di un cofanetto che doveva contenere una corona.
Non conosciamo nessun cofanetto del genere, ma Costantino VII Porfirogenito
nel “Libro delle cerimonie” parla di questi cofanetti.
Le iscrizioni a rilievo su archi e architrave nominano un imperatore di nome
Leone, in cui gli studiosi riconoscono Leone VI (regna tra l’886 ed il 912): se si
tratta di lui la datazione si può ricondurre a questi decenni.
I personaggi sono rappresentati a mezzobusto dentro un’architettura con dei
nicchioni, architettura particolare che ricorda la parete orientare di S. Sofia di
Costantinopoli, luogo in cui avvenivano anche le incoronazioni imperiali.
Non vi è armonia proporzionale tra teste e mani dei personaggi, lo stile di
questo avorio non fa parte della corrente classicheggiante che inizia ad
affermarsi in quel periodo. Gli intagliatori d’avorio non si adeguano subito a
questa corrente che poi diventerà dominante

A sinistra è rappresentato Cristo benedicente affiancato da S. Pietro e S. Paolo


dentro una loggia.
A destra abbiamo la Vergine al centro, l’arcangelo Gabriele a destra e a sinistra
l’imperatore Leone vestito in abiti imperiali. La Vergine non sta compiendo un
gesto propriamente di incoronazione, gli studiosi hanno suggerito che è come
se stesse mettendo una gemma sulla corona dell’imperatore: le gemme della
corona nel mondo bizantino erano considerate ognuna il simbolo di una virtù
che l’imperatore doveva avere per governare bene, quindi è come se stesse
aggiungendo un’ulteriore virtù a quelle che già possiede per renderlo in grado
di governare.
La Vergine qui fa da mediatrice: il potere divino dell’imperatore deriva da
Cristo e questo potere non gli giunge direttamente, ma tramite Maria.
Nello spessore ci sono le figure dei santi Cosma e Damiano

Cofanetto con le storie di Davide re d’Israele, Palazzo Venezia, Roma: realizzato


intorno all’anno 900 sempre per Leone VI, sarebbe stato fatto forse in
coincidenza del suo terzo matrimonio con Eudocia (nome molto diffuso, non
aiuta per la cronologia perché ci sono tante omonime)

Sul coperchio troviamo un’iscrizione in rilievo, poi vi è Cristo al centro nell’atto


di benedire una coppia imperiale e nel registro inferiore ci sono due parenti
degli sposi rappresentati con le mani distese in avanti in atteggiamento di
omaggio agli imperatori.
Probabilmente era un dono di nozze ed i due personaggi in basso erano i
donatori

Il resto della decorazione si svolge sul coperchio, sui 4 lati, e poi prosegue su
tutte e 4 le pareti laterali del cofanetto. Il soggetto sono gli eventi della vita di
Davide, come cacciatore, come guerriero, quando viene unto e quando viene
incoronato come re d’Israele. Davide è per i bizantini importante poiché
l’imperatore si ispira proprio a lui.
Le figure sono massicce e riprendono i modelli dell’arte classica, ma ancora
non hanno uno stile raffinato.
Gli studiosi hanno notato che lo stile delle figure ricorda quello delle miniature
del codice con le omelie di Gregorio Nazianzeno realizzato per Basilio I:
struttura della narrazione a registri sovrapposte con figure squadrate

Dal punto di vista tecnico questo artigiano ha lavorato l’avorio con un taglio
obliquo, con un “sottosquadro” molto forte: è riuscito a distaccare le figure dal
piano di fondo. Questa lavorazione è stata resa possibile dal grande spessore
(8cm circa) delle tavolette di avorio, cosa che le rende anche molto preziose
poiché solitamente si lavora su uno spessore molto piccolo e le tavolette sono
usate come copertura di strutture in legno. In questo caso invece la cassettina
è interamente in avorio

Si possono notare anche i resti della colorazione, nei panneggi si vedono tracce
di giallo e le bocche hanno all’interno dei pigmenti rossi

Pannello con la benedizione o incoronazione degli imperatori Romano ed


Eudocia, Cabinet des medailles, Parigi: Romano II era il figlio di Costantino VII.
È stato realizzato verso la metà del X sec, anche se non tutti gli studiosi sono
d’accordo poiché alcuni affermano che Eudocia non sia la moglie di Romano II,
bensì la moglie di Romano IV, perciò la datazione si sposterebbe al 1060.

La figura di Cristo ha un panneggio classicheggiante, proporzioni eleganti,


gestualità molto ampia. La forma del suppedaneo è circolare a più piani, non
rettangolare come di consueto.
Cristo è nell’atto di porre le corone sugli imperatori: questa iconografia in
quell’epoca ebbe una notevole diffusione e venne anche imitata in alcune
opere fatte nello stesso periodo in Europa → Avorio realizzato per gli
imperatori germanici Ottone II e Teofàno: oltre alla similitudine iconografica si
hanno le iscrizioni in greco.
Il forte bizantinismo nell’arte del periodo si spiega con la figura di Teofano, la
quale era una principessa bizantina, nipote di Basilio II, che sposando
l’imperatore germanico aveva portato con sé anche opere d’arte dall’impero
d’oriente che erano state viste dagli artisti occidentali

Avorio con l’incoronazione di Costantino VII: costituisce un vero e proprio


simbolo del potere imperiale bizantino.
Anche questo modello iconografico è stato molto imitato in occidente, in
particolare dai sovrani normanni dell’Italia meridionale che si sono
direttamente ispirati a quest’immagine → Mosaico con l’incoronazione del re
Ruggero II, Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo (XII sec)

2 pannelli di avorio: oggi sono conservati a migliaia di chilometri di distanza


(uno al Dumbarton Oaks di Washington e uno in Germania), ma sono parti di
una stessa opera che è stata smembrata, in quanto misure e decorazioni
coincidono perfettamente.
Gli studiosi fino a pochi anni fa pensavano che in origine facessero parte di un
trittico con un pannello centrale con la figura di Cristo e due pannelli laterali, di
cui sarebbero sopravvissuti solo due pezzi

Questa ricostruzione è stata messa in discussione da Anthony Cutler, il quale ha


suggerito che non fosse un avorio religioso, ma un avorio utilizzato per una
cerimonia ufficiale, ossia il conferimento di un’onorificenza che l’imperatore
faceva quando nominava un certo funzionario. Questo oggetto d’avorio che
l’imperatore gli regalava non era un trittico, ma un dittico, quindi le parti sono
solo quelle che conosciamo, non ce n’era una terza.
Cutler ha avuto questa idea mediante un testo che spiega come avvenivano le
nomine degli ufficiali di questo periodo, il “Klerotològhion” di Filòteo (899): in
esso si dice che l’imperatore al momento della nomina gli dava delle “placche
eburnee decorate”.
Si trattava di un dittico decorato con una croce gemmata con la figura di Cristo
al centro e dall’altra parte la figura dell’imperatore.
Il rovescio non è liscio, ma presenta una cornice con un incasso di circa 2mm
che rende la parte centrale più bassa. Secondo Cutler lì vi era incollata la
pergamena che documentava la nomina del funzionario

Questi erano gli avori profani, imperiali, ma la parte più cospicua della
produzione di avori mediobizantina era costituita dagli avori religiosi, realizzati
per soddisfare le richieste di culto sia per la liturgia pubblica che per il culto
privato (le persone più ricche usavano questi oggetti nella devozione privata,
quindi non si trovavano per forza dentro le chiese alla vista dei fedeli)

Le tipologie di oggetto più diffuse sono le immagini devozionali che potevano


essere icone a singole placche o dittici, ma soprattutto trittici (tipologia più
diffusa)

Trittico di Londra: figura della Madonna Odighitria in piedi sotto un


baldacchino e ai lati negli sportelli figure di angeli e santi dentro medaglioni
circolari

Non vi erano solo trittici con immagini iconiche, essi potevano avere anche
immagini narrative → Trittico conservato al Louvre: sportelli con scene
evangeliche (la natività, l’entrata a Gerusalemme, l’ascensione di Cristo divisa
su due livelli con Maria affiancata da due angeli e in basso gli apostoli)
Tra questi trittici ce ne sono 3 che formano un gruppo omogeneo: i trittici
devozionali. Sono tutti di committenza imperiale e per uso personale, le
dimensioni non sono molto grandi (30cmx25cm, i pannelli di avorio non
potevano superare una certa dimensione a causa della dimensione della
zanna). Sono stati realizzati tra metà e fine X sec. Il più antico di questi è quello
di Palazzo Venezia.

Nella faccia anteriore si ha la scena della deesis: Cristo tra Giovanni Battista e
Maria entrambi nel gesto dell’intercessione. È una “deesis allargata” perché
attorno al nucleo centrale si uniscono tutte le figure di santi che si trovano in
basso e sugli sportelli laterali.
Vi è anche una parte posteriore: qui l’elemento centrale non è un’immagine,
ma una croce su fondo liscio

L’intaglio è profondo, vi è un effetto volumetrico, le figure sono racchiuse in


una scatola spaziale.
Le figure si ispirano a modelli antichi (pieghe dei panneggi), l’intagliatore
probabilmente conosceva sculture dell’epoca paleobizantina

L’iscrizione del trittico di Palazzo Venezia parla di un certo Costantino,


probabilmente Costantino VII Porfirogenito, vi è una lunga preghiera in cui si
chiede protezione divina soprattutto contro le malattie. Sappiamo dalla sua
biografia che nell’ultimo periodo della sua vita egli fu molto malato, quindi
sarebbe stato realizzato in questa fase

Gli autori bizantini non dicono dove e come fossero adoperati o esposti questi
trittici: per le dimensioni e la preziosità intuiamo che si trovassero nelle
cappelle delle residenze private degli aristocratici, ai fini del culto privato.
Questi si potevano anche chiudere e custodire dentro custodie di stoffa
preziosa, per poi trasportarli.
Ad esempio, quando gli imperatori andavano in guerra portavano delle tende
che divenivano vere e proprie cappelle montate sul campo di battaglia con
all’interno un altare, reliquari, oggetti di arredo liturgico

Queste opere non erano quindi viste da lontano, ma da molto vicino: quindi
erano lavorate in una maniera estremamente raffinata e virtuosistica, nei
dettagli
Gli avori erano lavorati su tavolette di un certo spessore che però venivano
svuotate, quindi il fondo arrivava ad essere spesso pochi millimetri.
All’interno di una cappella, circondato dalla luce artificiale delle candele si
creava un effetto di trasparenza che faceva cambiare la percezione dell’opera:
le figure si staccano dal fondo e sembrano quasi a tutto tondo, la scena diventa
più suggestiva

I trittici quando erano aperti potevano essere visti sia dalla parte anteriore che
da quella posteriore poiché erano lavorati perfettamente da entrambi i lati.
Il fatto che il lato posteriore fosse altrettanto importante lo fanno capire i
trittici dei Musei Vaticani e quello di Parigi: nello sportello centrale non vi è una
semplice croce.
Nel primo la croce è fogliata, alla base viene fuori un tralcio e all’interno dei
girali di esso vi sono degli animali; inoltre è una croce gemmata che ha un
valore trionfale, non è lo strumento del supplizio, ed il fatto che vi siano questi
elementi naturali la fanno diventare simbolo di rinascita.
Vi è anche un animale esotico ripetuto più volte: è la fenice cinese (feng
huang), conosciuta a Bisanzio per via dell’arrivo di stoffe di seta, essa era il
simbolo imperiale cinese. La presenza dell’aquila e di 8 fenici cinesi fa pensare
che appartenesse ad un imperatore, anche se non è scritto quale

Trittico Harbaville: prende il nome dalla famiglia di collezionisti che lo


possedeva.
La parte posteriore presenta una grande croce isolata su un fondo liscio fra due
cipressi con la punta piegata verso il centro e nella parte alta un cielo stellato
con l’iscrizione “Gesù Cristo vince”.
Il cielo stellato fa riferimento al Vangelo di Matteo, alla comparsa del segno del
figlio dell’uomo alla fine dei tempi, che è la croce che apparirà nel cielo
preannunciando l’arrivo del Signore.
Nella parte inferiore c’è un paesaggio con spighe, alberi ed una serie di animali
come coniglio e leone, animali domestici e feroci che stanno insieme:
riferimento ad un passo del profeta Isaia nell’Antico Testamento in cui
rappresenta il regno del Messia da lui profetizzato, un’epoca futura pacifica in
cui non ci sarà più la guerra fra gli animali (si intende la guerra fra gli uomini).
Il motivo dei cipressi inclinati è molto diffuso nell’iconografia del tempo e forse
si riferisce ad un testo apocrifo dell’Antico Testamento, ovvero il testamento di
Abramo: egli viene accompagnato dall’arcangelo Michele in paradiso e si
vedono dei cipressi che con il muoversi delle loro chiome parlano e cantano
con voce umana dicendo “santo, santo, santo” in onore di Dio (riferimento
trinitario)

Trittico di Berlino: scena della crocifissione affiancata da figure di santi.


Quando si chiude diventa una sorta di piccolo ciborio con colonnine e cuspide
e sotto vi è la croce come se fosse posta su un altare
Gli altari in quel periodo erano tavole quadrate con sopra il ciborio. Quando i
personaggi notabili viaggiavano si portavano l’altare e non potendo trasportare
il grande ciborio di marmo si portavano questo trittico

Gli avori spesso erano anche adoperati per sistemazioni di una certa
dimensione. Non è sopravvissuto nulla di intero, ma noi conosciamo 4
tavolette con la figura di Cristo, della Vergine (manca S. Giovanni Battista, ma
era presente per completare la deesis), apostoli Pietro e Paolo (sicuramente ce
n’erano altri 10 perché essi costituiscono sempre una serie), l’arcangelo
Gabriele di cui si ha solo un pezzo (vi era sicuramente anche Michele).
Ogni pezzo è alto 28 cm.
Un bizantinista ha ipotizzato che questi avori facessero parte dei beni personali
della principessa Teofano, se li era portati da Costantinopoli e formavano
l’arredo della sua cappella personale.
A quel tempo le iconostasi erano formate da plutei in basso, delle colonnine e
l’architrave con una serie di immagini: quindi questi in origine formavano il
templon di un iconostasi (forse vi erano anche figure di santi ed esse
diventavano 19, ma potevano anche essere di meno).
Si trattava quindi di una micro-architettura di avori intagliati

1h16
Lezione 6 (27 ottobre 2021)

Tra la tarda antichità e l’inizio del medioevo l’avorio era il principale materiale
organico utilizzato a livello artistico nel Mediterraneo

In greco il termine che definisce l’avorio è elephas, il che lo collega


direttamente all’animale da cui proviene

La zanna di elefante da cui viene ricavato mostra delle caratteristiche dovute


alla sua struttura fisiologica ed esse possono essere sfruttate dall’abilità e
dall’esperienza dell’artigiano che lo lavora.
L’avorio in quanto tale è costituito dal materiale bianco della dentina che si
accumula sulla zanna per depositi successivi, mentre la zanna cresce aumenta
di volume. La dentina è perciò costituita da cerchi concentrici

La zanna è divisa in 3 zone:


- la base è quella in cui si trova la cavità conica della polpa, che finisce alla metà
della zanna
- inizia poi il canale del nervo, condotto molto stretto che arriva fino alla punta
- si ha poi la scorza, il rivestimento esterno della zanna, la parte più dura che si
rovina mentre è ancora sul corpo dell’elefante poiché viene usata molto per
tutte le attività che l’animale fa

Un avorio di buona qualità si può ricavare solo dalla parte intermedia della
zanna, si usa solo il 60% di ogni zanna. La parte centrale viene eliminata perché
troppo tenera

Non abbiamo fonti scritte che spiegano come lavoravano l’avorio gli artigiani
dell’antichità; in età medievale abbiamo alcune notizie molto generiche
contenute all’interno dei trattati tecnici di due autori di X e XII sec, Eraclio e
Teofilo.
Le informazioni più approfondite le forniscono gli oggetti stessi, le tecniche
adoperate si comprendono mediante l’analisi delle opere

La zanna doveva passare per un processo di essiccazione naturale dopo la


rimozione dalla testa dell’elefante.
Poi l’artigiano eliminava la scorza esterna rovinata, dopodiché suddivideva in
parti la zanna aiutandosi con seghe e scalpelli
Non tutti gli oggetti si potevano fare con tutte le parti della zanna:
1. parte piena, punta: utilizzata per oggetti più piccoli, oggetti pieni → statuette
di avorio massiccio
2. parte piena, centrale: permetteva di ricavare i pannelli più grandi che
potevano essere alti anche 30cm → tavolette di dittici e trittici
3,4. base, con cavità della polpa, quindi vuota al centro: si ricavavano oggetti
cavi → pissidi

Sulla lavorazione dell’avorio in età bizantina abbiamo una testimonianza


iconografica, miniatura di un manoscritto dell’opera Cinegetica, XI sec: è
un’opera sulla caccia e quando si parla della caccia all’elefante il miniatore ha
rappresentato sia l’animale che un artigiano che lavora la zanna.
È un’immagine molto rara di un intagliatore davanti al suo tavolo di lavoro che
sta per ricavare un oggetto dalla zanna ancora intera. La prima azione che fa è
quella di ripulirla con un’accetta. Dall’altra parte del bancone si vede un
pannello di avorio già tagliato, una tavoletta che è pronta per essere lavorata.
Poi troviamo anche un calco di corna di cervo, questo perché questi artigiani
lavoravano anche l’osso di altri animali (questo serviva per realizzare un arco, il
quale si vede finito sotto il bancone)

La tecnica dell’avorio si è trasmessa nel tempo con le stesse caratteristiche →


foto scattata in Congo circa 30 anni fa

Non conosciamo quali fossero gli strumenti utilizzati, non sono state ritrovate
botteghe che li contenevano durante gli scavi archeologici, però sappiamo che
probabilmente usavano le piccole accette come quella rappresentata nella
miniature e anche dei piccoli arnesi con il manico di legno come seghe, coltelli,
scalpelli, raspe, lime, trapano (stessi strumenti degli intagliatori di legno, ma gli
strumenti dovevano essere più piccoli perché lavoravano su superfici ridotte

Quando si dovevano realizzare rilievi in avorio si partiva dalla tavoletta liscia.


Poi con l’uso del colore o della matita di piombo si realizzavano i contorni della
figura che si doveva intagliare. A quel punto l’artigiano con una punta incideva
una linea e poi cominciava a scavare la tavoletta per realizzare il rilievo

L’intaglio dell’avorio può essere di vari tipi, i tre principali sono:


- l’intaglio ad angolo retto: la tavoletta viene scavata facendo un angolo a 90°
verso l’interno, senza alcuna rotondità
- intaglio ad angolo obliquo: l’artigiano ha scavato per distaccare leggermente
la figura dal fondo, dando l’impressione che sia staccata anche se non è così
- l’intaglio a sottosquadro: l’artigiano ha svuotato la superficie staccando
materialmente alcune parti delle figure dal fondo, si creano vari piani in
profondità

Dopo l’intaglio l’artista procedeva a levigare e lisciare la superficie, anche per


eliminare i segni degli strumenti di lavorazione.
Tavoletta conservata a Washinghton sul retro si hanno i segni della raspa

Gli studiosi non sono concordi nell’affermare che gli avori bizantini venissero
rifiniti con il colore. Su alcune opere però si hanno tracce di colore e doratura

La questione è stata affrontata per la prima volta esaminando un centinaio di


opere dalla studiosa americana Caroline Connor che nel 1998 ha scritto un
libro intitolato “The Color Of Ivory” il quale si basa su osservazioni al
microscopio, foto agli ultravioletti e analisi chimiche dei pigmenti. Lei è arrivata
alla conclusione che fossero colorati con colori di diverso tipo, come rosso,
verde, giallo, blu, nero e oro.
Pannello con le storie di Giosuè: sono state trovate tracce di giallo, rosso, verde
e blu sul fondo (propone una ricostruzione)

Le ipotesi della Connor però sono state sottoposte ad obiezioni: Cutler e


Spieser sostengono che questi pigmenti potrebbero non essere di epoca
bizantina, ma tracce di una colorazione aggiunta in epoca successiva.
Non tutte le tracce però possono essere considerate successive, in alcuni casi
potrebbero essere originali:
Trittico con Esculapio e Igea, V sec: le due tabelle nella parte superiore, fatte
per contenere delle iscrizioni, oggi sono vuote, quindi le iscrizioni non erano
incise, ma dipinte e con il tempo sono andate perdute. E forse anche alla base
delle figure potevano esserci ulteriori iscrizioni dipinte
Dittico Barberini: l’interno dei gioielli appesi alla bardatura del cavallo o alla
corona di Giustiniano prevede l’inserimento di parti colorate (cristalli che
dovevano essere di colori diversi)

Forse anche agli avori bizantini è successo ciò che è accaduto alle sculture in
marmo greche e romane, a volte nel passato durante i restauri sono state
rimosse le parti colorate perché si pensava non appartenessero all’opera
Inoltre l’arte bizantina è molto colorata, non monocromatica, e gli avori non
potevano essere le uniche opere prive di colore

Si può quindi pensare che le opere in avorio presentassero delle rifiniture di


colore solo in alcune parti, la superficie non era integralmente colorata e
probabilmente l’artista lasciava visibile il colore naturale dell’avorio nei punti in
cui era utile ed esteticamente bello

---

L’aspetto attuale della basilica di S. Demetrio è il frutto di numerosi restauri


radicali avvenuti dopo il 1917. I lavori durarono 30 anni, fino al 1948, quando la
chiesa venne riaperta.
L’edificio venne anche modificato con l’aggiunta di parti che in precedenza non
esistevano, come la torre a sinistra della facciata.
L’impianto generale dell’edificio però resta immutato

È una grande basilica a 5 navate con ingressi nella zona ovest, nord e sud.
In corrispondenza della navata centrale non ha una porta, ma una finestra
trifora e questo è un elemento tipico dell’architettura di questa zona.
Sul lato sud si hanno due porte perché davano sul decumano, quindi era
l’ingresso più importante.
Nella zona ovest si apre un nartece alto e stretto, elemento di passaggio tra
esterno della chiesa e navata centrale, è separato dalla navata da un Tribelon.
La presenza di un transetto a due bracci che incrocia le navate davanti
all’abside è un elemento originale.
L’abside è semicircolare ed ha una grande finestra a 5 aperture sostenuta da
colonne di marmo del Proconneso: grazie a questa struttura possiamo capire
anche come fosse l’abside dell’Achiropoietos in origine

L’interno è molto luminoso anche grazie alle file di finestre su 4 ordini, vi è una
fila di finestre alla sommità della navata centrale che qui si è conservata
mentre nell’Achiropoietos no

La navata centrale è molto ampia ed ha un rapporto modulare con le navate


laterali: essa è grande come le due navate insieme
I sostegni sono alternati, non c’è un colonnato continuo, ma 3 colonne ed 1
pilastro/4 colonne ed un pilastro

Le colonne sono per la maggior parte di marmo bianco del Proconneso, ma la


parte centrale della navata centrale prevede la presenza di 4 colonne di marmo
verde di Tessaglia, molto raro e costoso: è stato scelto per mettere in evidenza
il punto in cui si trovava il ciborio, zona particolarmente importante.
Le colonne verdi si trovano anche nel Tribelon.
Ci sono anche 4 colonne di granito rosa all’ingresso del transetto, scelte per
distinguerlo dal resto della basilica

Le pareti risultano spoglie perché l’incendio ha distrutto le rifiniture, ma le foto


precedenti al 1917 ci mostrano che le pareti erano rivestite di marmi colorati
che formavano una decorazione in opus sectile con disegni geometrici.
Le arcate presentavano marmi colorati alternati e nella parte superiore si
avevano motivi geometrici colorati in cui cerchi e quadrati sovrapposti
formavano delle stelle.
Nella parte in cui si separa il primo piano dal matroneo nel marmo era
realizzato un cornicione a mensole prospettiche, una finta prospettiva creata
solo con i marmi colorati

La parete del Tribelon verso la navata presentava una ricca decorazione,


anch’essa quasi totalmente distrutta, ne abbiamo però le foto e anche degli
acquerelli che le riproducono: i marmorari avevano realizzato delle finte
colonne sopra quelle vere che creavano un finto porticato al quale erano
attaccate delle tende aperte (disvelare lo spazio ultraterreno, divino). Accanto
si hanno delle raffigurazioni di porte, una chiusa e una semiaperta: la porta è il
simbolo della soglia dello spazio sacro e quella aperta indica la soglia dell’aldilà.
Materialmente rimane solo uno dei dischi geometrici che oggi è esposto al
museo della civiltà bizantina

I sottarchi però sono sopravvissuti in condizioni migliori, perché le arcate non


sono crollate e conservano ancora il rivestimento in marmi dai colori molto
tenui che creano una decorazione geometrica.
Sottarchi come questi sono molto rari e costosi, di solito presentano mosaici
(come all’Achiropoietos) o stucchi colorati
I capitelli non sono omogenei, ce ne sono di forma diversa e tipi diversi
(all’Achiropoietos erano tutti uguali), però sono disposti simmetricamente.
Un piccolo gruppo risale all’epoca romana, quindi sono di reimpiego.
La maggior parte però sono stati realizzati tra V e VI sec ed essi sono un punto
di riferimento per ricostruire la storia dell’edificio e la sua cronologia

L’archeologo greco Sotiriou ha scritto per primo un libro sulla storia di questo
edificio e ha fatto una ricostruzione basata sia sull’analisi del monumento che
sulle fonti scritte:
1. sappiamo dalla tradizione che sul luogo della morte di S. Demetrio è stata
costruita nel IV sec una cappella commemorativa di cui però non si sa nulla
2. la prima vera fase costruttiva va però collocata all’inizio del V sec: una fonte
afferma che tra il 412 ed il 413 il prefetto Leonzios aveva fondato una grande
basilica per il santo, perché S. Demetrio lo aveva miracolosamente guarito da
una malattia.
Questa basilica dovrebbe corrispondere a quella che vediamo noi oggi
3. dal “Libro dei miracolo di S. Demetrio” sappiamo che la basilica nel VII sec,
tra il 603 ed il 649, sarebbe stata danneggiata da un incendio e poi restaurata:
qui sarebbero stati introdotti i pilastri, prima vi era un colonnato continuo

Questa versione dei fatti è stata in genere sostenuta dagli studiosi, ma vi sono
delle obbiezioni che si possono fare:
- la datazione 412-413 è troppo antica per una basilica così monumentale, non
ci sono ancora a quell’epoca costruzioni di quel genere
- i capitelli sono per la maggior parte successivi, del V e VI sec
- durante i controlli fatti nelle fondazioni sotto i pilastri non è stata confermata
l’ipotesi che in origine ci fosse un colonnato continuo, le tracce trovate sotto
sono identiche a quelle che vediamo oggi

Sulla base di queste obbiezioni alcuni studiosi come Spieser e Brenk negli anni
‘70 e ‘80 hanno proposto un’interpretazione alternativa: la basilica di S.
Demetrio sarebbe stata costruita interamente nella prima metà del VI sec,
prima di quella data se c’era qualcosa non è ciò che vediamo oggi.
Secondo loro l’incendio del VII sec non aveva danneggiato così tanto la chiesa e
l’unico intervento costruttivo che possiamo individuare è quello del secolo
precedente perché non ci sono cambiamenti.
Essi si basano sulla presenza di 4 capitelli polilobati lavorati a traforo, tipici del
VI sec (chiesa di S.S. Sergio e Bacco, Costantinopoli, 527-536)
Anche questa ipotesi però non convince del tutto, perché questi capitelli sono
solo 4, mentre gli altri sono tutti ad acanto finemente dentellato fabbricati
intorno al 450-475.
Per giustificare la loro ipotesi Spieser e Brenk dicono che sono capitelli di
reimpiego, ma sono troppi, avrebbero dovuto smontare un’intera chiesa per
ottenerli; si può ribaltare l’ipotesi dicendo che sono invece i capitelli polilobati
ad essere stati inseriti dopo, forse dopo l’incendio mancava qualche capitello
alle colonne ed è stato necessario metterli

Quindi la basilica attuale dovrebbe risalire al V sec, ma non alla prima metà,
alla seconda

Sono andati quasi tutti perduti anche i mosaici parietali

Non sappiamo cosa ci fosse nell’abside perché non c’era nulla nemmeno prima
del 1917, le pitture su fondo oro attuali sono moderne, degli anni ‘50

I mosaici si trovavano nella parte ovest - nelle navate laterali e nella


controfacciata - sulle tre facce dei pilastri che fanno da snodo tra la navata ed il
transetto, nelle arcate della navata minore nord.
Non abbiamo fotografie della parte sud, ma si potrebbe ipotizzare che ci
fossero anche lì perché le decorazioni sono solitamente simmetriche.
La navata centrale era solamente ricoperta di marmi

Per ricostruire questa decorazione sono molto importanti le fotografie della


basilica, inoltre abbiamo un altro servizio fotografico molto dettagliato
eseguito dall’Istituto Russo di Costantinopoli (1908) e alcune fotografie di un
fotografo tedesco dello stesso periodo, tutte quante in bianco e nero.
Molto importanti sono gli acquerelli a colori fatti dal pittore inglese Walter
George sempre in quegli anni, unica testimonianza dell’aspetto cromatico,
inoltre riproducono una zona in più rispetto alle foto (riscoperti per caso nel
Courtauld Institute di Londra nel 1969 dal bizantinista Cormack, fino a quel
momento tutti gli studiosi si erano basati sulle fotografie in bianco e nero e non
potevano dare un giudizio sui colori. Di questo risentono le ipotesi, anche
quelle relative alla datazione)

I mosaici non raffiguravano un ciclo narrativo con storie di Antico e Nuovo


Testamento, ma esclusivamente scene devozionali con l’immagine di S.
Demetrio e con i devoti che hanno ottenuto miracoli e fanno realizzare quel
pannello (donatori)

Pannello della 7° arcata nord: al centro c’è S. Demetrio nell’iconografia


giovanile, con capelli corti e senza barba, in posa orante vestito secondo
l’iconografia più antica. È in piedi su un suppedaneo quadrato all’interno
un’architettura con colonne ed un frontone siriaco (architrave e arco), dietro la
testa del santo vi è una nicchia a conchiglia. Sopra l’architrave ci sono due
medaglioni con figure di santi e sotto ci sono i 3 donatori con le mani velate in
segno di rispetto che si rivolgono al santo e lo ringraziano. I donatori sono
anonimi, nell’iscrizione compare la stessa formula di modestia che si ha nel
mosaico di Hosios David

Nella navata nord ci sono anche altri gruppi di figure di carattere iconico

3° pennacchio della navata nord: Vergine con il bambino al centro seduta su un


trono con spalliera a lira, ai lati due angeli che reggono un’asta, a sinistra e a
destra due figure di santi con l’aureola vestiti entrambi con tunica e clamide: a
sinistra c’è il santo più importante perché sta presentando alla Vergine un
donatore inginocchiato (è S. Demetrio). Quello a destra ha le mani alzate e la
posa orante, ha una lunga barba appuntita, iconografia tipica di S. Teodoro.
Sopra le arcate su fondo azzurro ed entro una cornice verde erano inseriti 5
medaglioni con figure di santi a mezzobusto.
La Vergine ha la stessa iconografia dell’avorio del museo di Berlino risalente al
VI sec, ma qui si ha una scena più larga quindi è più consono confrontarlo con
una delle icone del Monte Sinai (Madonna con bambino e S.S. Giorgio e
Teodoro).
Il gruppo della Vergine con i due angeli che sporgono in diagonale costituisce
un’iconografia molto diffusa in quell’epoca, che ritroviamo nella Tavola di S.
Maria in Trastevere datata VI-VIII sec

Pannello composto di 4 archi: è stato realizzato tutto insieme ed ha un unico


soggetto. Racconta le vicende di una bambina di nome Maria che viene messa
sotto la protezione di S. Demetrio, Cristo e la Vergine fin da quando è nata.
Nella prima scena infatti la neonata è accompagnata dalla madre e viene
rivolta verso il santo che allunga una mano ed è seduto di fronte al ciborio. La
scena comprende anche due figure che però già all’epoca erano rovinate:
medaglione con figura a mezzobusto che sporge il braccio all’esterno (Cristo
che accorda la sua protezione alla bambina), accanto vi è la figura della Vergine
che compie lo stesso gesto. S. Demetrio fa quindi da intermediario per la
protezione divina

Dopo questo primo episodio vi è una decorazione enigmatica: c’è un sarcofago


sotto un baldacchino con un’architrave, un ciborio con una lampada appesa e
al centro un medaglione con una figura barbuta (anche se non c’è l’iscrizione
dovrebbe trattarsi di S. Giovanni Battista)

Nella scena seguente c’è la Vergine con le mani alzate in gesto di intercessione,
dietro di lei gli stessi personaggi della prima scena (madre con figlia più grande
che è stata nuovamente portata nella basilica), figure di angeli ed un donatore
con le mani velate. La Vergine si rivolge verso un medaglione con un
personaggio con la barba che tiene un libro in mano: non c’è un rapporto con
questa figura perché questa fa parte della zona dei mosaici rifatti dopo
l’incendio del 604-649. La Vergine probabilmente si rivolgeva sempre ad una
figura che però era Cristo e non questo sacerdote con la barba bianca

Nella scena successiva è mostrato S. Demetrio fra due offerenti, il padre e la


madre della bambina, la quale già cammina

Poi si ha una scena più difficile da interpretare: ci sono santi all’interno di


medaglioni e sul fondo un paesaggio con piante e architetture. Non ci sono
iscrizioni che ci dicano i nomi dei santi, ma le figure nei medaglioni inserite
all’interno di una scena narrativa ricordano gli affreschi di Castelseprio
Seminario 5 (2 novembre 2021) – prof. Giovanni Gasbarri

Un manoscritto e le sue miniature

La Biblioteca Nazionale di Atene fino al 2018 si trovava in una sede storica


dell’800 al centro della città, adesso grazie ai fondi degli armatori greci si è
spostata in un edificio moderno in una zona periferica della città.
Il patrimonio librario è molto consistente ed il fondo manoscritti è ricchissimo,
conserva una grande quantità di scritti greci

Codice 211: codice*manoscritto in pergamena.


La pergamena è fatta di pelle di animale lavorata, è molto chiara e di alta
qualità (più è di colore chiaro e sottile più è di qualità).
La rilegatura originaria è andata perduta, in generale è molto raro che si
conservino; la rilegatura di questo manoscritto è moderna e non si sono
trovate informazioni su quando sia stata realizzata, probabilmente risale alla
metà del ‘900

*dal latino codex è la forma libraria più diffusa nel mondo medievale e
bizantino, è l’equivalente dei nostri libri. Si diffonde dall’età tardoantica

Il codice è acefalo: mancano le pagine iniziali, è andato perduto quello che


doveva essere il frontespizio, parte importantissima perché danno informazioni
sulla committenza

È anche privo di colophon: insieme di informazioni che riguardano la


produzione del libro, probabilmente erano raccolte nelle ultime pagine del
manoscritto.
Non è un’invenzione moderna, era presente anche nei manoscritti medievali e
alcuni colophon importanti del mondo bizantino ci sono noti.
Non abbiamo quindi alcuna informazione diretta sul modo di produzione, la
cronologia, la destinazione del codice, su chi l’ha materialmente scritto sulla
pergamena

Di questo codice sono rimasti 314 fogli

Le dimensioni approssimative sono di 24x35 cm, dimensioni medie


Sappiamo con certezza però che il codice doveva essere leggermente più
grande perché aprendolo si nota che i margini di ciascun foglio sono stati
ritagliati.
Poiché i margini tra la colonna di testo ed il bordo del foglio sono comunque
grandi capiamo che le dimensioni non erano di molto maggiori

Questo codice contiene una raccolta (frammentaria) di omelie/sermoni di San


Giovanni Crisostomo

Crisostomo in greco significa “bocca d’oro” ed indica l’eloquenza che lo ha reso


noto.
Era di origine siriana ed era nato ad Antiochia nel 347 da una famiglia cristiana
molto devota e benestante. Aveva ricevuto un’educazione molto raffinata e
fondata sulle tradizione della retorica classica. Ebbe una carriera molto rapida
nei ranghi ecclesiastici; fu vescovo di Antiochia e nel 398 sotto l’imperatore
Arcadio divenne patriarca di Costantinopoli. Entrò quasi subito in conflitto con
l’imperatrice Eudossia che dopo alcuni anni riuscì a deporlo e a farlo esiliare.
Egli morì nel 407 fuori da Costantinopoli e sarà riabilitato solo durante gli anni
di Teodosio II, divenendo poi padre della chiesa durante il Concilio di
Calcedonia del 451

Nel mondo bizantino ebbe molta fortuna, soprattutto in età post-iconoclasta


Mosaici delle lunette di S. Sofia, Costantinopoli
Divenne una figura centrale per la religione in particolare perché molti dei suoi
scritti erano stati utilizzati dalla propaganda iconofila: un patriarca che era
stato esiliato per essersi posto contro l’imperatrice era perfetto perché loro si
stavano ponendo contro il potere imperiale.
Sarà molto rappresentato con la veste tipica dei patriarchi con croci nere su
fondo bianco e con le sue caratteristiche fisiognomiche, fronte alta
leggermente stempiata, barba corta, viso allungato

Era il più prolifico dei padri della chiesa greci: a lui sono attribuiti più di 1500
scritti. Approssimativamente nelle biblioteche di tutto il mondo si conservano
7000 manoscritti con le sue opere

Era particolarmente noto per le sue omelie: testi che vengono scritti per essere
recitati in pubblico in diverse occasioni, non molto lunghi
Ci sono però pochissimi manoscritti bizantini con le omelie di Crisostomo che
conservano anche il programma di illustrazioni librarie, ossia le miniature.
Gli studiosi non sono concordi su quali siano le ragioni di questo anche perché
il genere delle omelie è molto fortunato solitamente per quanto riguarda le
illustrazioni
Manoscritto parigino-greco 110, omelie di Gregorio Nanzianzieno
Manoscritto vaticano-greco 1162, omelie del monaco Giacomo

Anche Crisostomo aveva manoscritti con le sue omelie e anche le illustrazioni,


ma la differenza è che mentre in casi come questi le miniature rappresentano i
contenuti delle omelie nel caso di C ci sono solo suoi ritratti, in genere confinati
nella parte iniziale dei manoscritti dove vi era il frontespizio
Manoscritto 364 del monastero di Santa Caterina al Monte Sinai

Il manoscritto ateniese-greco 211 rappresenta l’unico manoscritto contenente


le omelie di Giovanni Crisostomo in cui le illustrazioni rappresentano il
contenuto delle omelie

Dati paleografici (scrittura): il testo è distribuito in due colonne parallele


piuttosto strette di circa 32 righe ciascuna.
Le colonne sono scritte in minuscola antica, mentre i titoli si differenziano
perché sono scritte in maiuscola ogivale diritta

Non ci sono miniature che occupano tutta la pagina, il manoscritto è quindi


privo di miniature a piena pagina.
In genere in questo caso le miniature tendono a distribuirsi sui margini lasciati
liberi dalle colonne di testo, tanto che vengono definite miniature marginali
Salterio Chludov
Salterio di Teodoro

Il 211 però non ha nemmeno miniature sui margini perché queste si


concentrano solo attorno ai titoli delle omelie, quindi si potrebbe dire che si
tratti di un manoscritto con cornici illustrate.
È un esemplare singolare

Tecnica esecutiva delle miniature: è particolare, sono eseguite a penna con un


inchiostro di colore marrone che è presumibilmente lo stesso usato per la
scrittura delle righe di testo, tanto che è stato sospettato che il miniatore
coincidesse con lo scriba.
Una volta eseguito il disegno a penna esse sono colorate con poche tinte
diluite, infatti sono immagini molto leggere
In genere la tavolozza di colore impiegata è molto ristretta, rosso, blu, verde. I
gialli e gli altri colori sono ricavati diluendo gli inchiostri usati per la scrittura.
Il colore diluito è distribuito con pennellate libere anche al di fuori dei contorni,
questo succede spesso quando si deve suggerire la presenza di vegetazione

Delle miniature del manoscritto se ne sono conservate 41 e circa 30 sono di


tipo aniconico (motivi ornamentali).
Queste presentano varie tipologie e sono tutte diverse fra loro:
- bande rettangolari decorate nella parte alta e bassa delle omelie
Miniatura con motivo a zig zag (crea tridimensionalità mediante le pennellate
verticali)
- motivi a fasce intrecciate: vicinanza con motivi ornamentali che troviamo su
altre tipologie di opere artistiche (pavimenti musivi, plutei scolpiti). È un
motivo tramandato dal periodo tardo-antico che si ritrova all’interno
dell’illustrazione.
Le fasce intrecciate possono anche comporre dei motivi a croce
- motivi fitomorfi e zoomorfi: tralci che fuoriescono da vasi o cantari con
animali, hanno un valore simbolico e sono noti dall’età paleobizantina
- cornici di tipo misto: unione di più tipologie di motivi ornamentali
Foglio 264 retto: cornice in forma di piccolo ciborio con tralci vegetali ed
elementi desunti da altre tipologie artistiche (basamento ricorda opere di
oreficerie; nell’imboccatura dei vasi si vede una sorta di personificazione)

- cornici figurate: sono le più importanti perché sono quelle che illustrano i
contenuti delle omelie. Ne sono rimaste circa 10.
Sono composte da diversi elementi figurativi che vengono distribuiti in modo
molto libero attorno ai titoli. I miniatori non hanno avuto interesse a mostrare
ambienti o piano d’appoggio. A volte i personaggi si accostano agli elementi
visti in precedenza

Esempi:
- Cristo che solleva le mani in preghiera, ha davanti a sé un calice e si trova in
un contesto che le vegetazioni suggeriscono essere l’Orto dei Getsemani
(episodio del Vangelo in cui dice “allontana da me questo calice”)
- due figure seminude, una maschile ed una femminile con in mano una sfera,
al lato c’è un serpente che si arrampica su un albero. Scena del peccato
originale, Eva che porge ad Adamo il pomo

In alcuni casi i titoli delle omelie confermano di quale soggetto tratti la


rappresentazione
Foglio 53 retto: omelia che secondo il titolo farà riferimento all’episodio del
peccato originale

Foglio 226 retto: la cornice è articolata, ciborio popolato con elementi


fitomorfi, a sinistra figura giovanile con in nimbo crucifero (Cristo giovane) a cui
si accosta Giovanni Crisostomo chinato verso di lui ad ascoltarlo. Cristo indica il
gruppo di personaggi dall’altro lato, i quali sono stati grattati via (nella
tradizione bizantina significa che sono negativi).
Il titolo parla dell’episodio di Cristo che sale al tempio per insegnare ed i giudei
che non ne ascoltano il messaggio.
Il titolo è composto come una sorta di albero con i rami che fuoriescono da un
cantaro

A volte però titolo ed immagine non coincidono


Esempio: al foglio 151 verso il titolo dice “sul fatto che l’inferno è eterno”,
mentre la composizione non è facilmente leggibile e vi sono molti dettagli che
non si spiegano con il titolo.
Evidentemente la chiave per interpretare cornici di questo tipo deve essere
ricercata nel testo delle omelie sottostanti

Caso del Myrmekoleon (foglio 31 verso): in greco significa “formica-leone”


Il titolo dell’omelia dice “sul fatto che nessuno può servire due padroni”. Un
lettore colto può capire quale sia l’episodio a cui fa riferimento, ovvero un
passo del vangelo di Matteo nel quale Cristo ammonisce i suoi discepoli
dicendo che non si può essere devoti a Dio e allo stesso tempo dediti a
ricchezza, vizi, facendo l’esempio del servo che vuole servire due padroni.

Anche in questo caso però la cornice non ha nulla a che vedere con questo,
bisogna quindi rivolgersi al testo delle omelie.
Giovanni Crisostomo per parlare di questo episodio fa un altro esempio,
parlando della bestia mitica Myrmekoleon, nata dall’unione innaturale di una
formica ed un leone e morta subito dopo perché non riusciva a nutrirsi a causa
del conflitto fra le sue due nature troppo diverse (una che cerca la carne, una
che cerca i semi)

La cornice è molto rovinata, in particolare nella parte superiore a destra dove


la pergamena è macchiata e corrosa

L’immagine si può dividere in due parti, inferiore e superiore, per


comprenderne gli elementi iconografici

Parte superiore: a sinistra c’è un grande leone che si avventa contro una preda.
Al centro c’è il Myrmekoleon con la formica ed il leone attaccati per la coda, la
formica si sta avvicinando ad un cane ed il leone invece spalanca la bocca di
fronte a dei semi.
A destra è andata perduta la rappresentazione, ma probabilmente doveva
esserci una formica che mangia dei semi.
La miniatura va letta dagli angoli esterni verso il basso, quindi abbiamo i due
genitori ai lati ed al centro la creatura, il leone è naturalmente attratto dalla
carne e la formica dai semi, il miniatore per farci capire che il Myrmekoleon
non può sopravvivere per via delle sue nature opposte inverte di posizione i
cibi in modo che non possa mangiare né l’uno né l’altro animale

Parte inferiore: il Myrmekoleon muore accasciato a terra

Questo manoscritto pone diversi problemi perché manca di elementi e non


presenta informazioni dirette su datazione, luogo, committenza, produzione.
Nello studio dei manoscritti lo studio della miniatura non è sufficiente per
comprendere queste informazioni, per farlo bisogna unire più discipline poiché
i manoscritti sono composti anche dal testo.
Bisogna quindi rivolgersi alla paleografia

Quando e dove è stato prodotto?


I paleografi che lo hanno esaminato hanno osservato che la minuscola con cui
è scritto indica una datazione mediobizantina, tra la seconda metà del IX e
l’inizio del X sec.
Ci sono però elementi che potrebbero circoscrivere la datazione alla fine del IX
sec:
- iconografia → alcune delle immagini delle cornici figurate rimandano alle
immagini di quel periodo (imperatore con la lunga barba in proskìnesis di
fronte a figure di santi, simile alla figura della lunetta della porta di accesso di
S. Sofia in cui l’imperatore è riconosciuto come Basilio I o Leone VI i primi due
imperatori della dinastia macedone)
- coeva produzione libraria → miniatura con Cristo affacciato sulla mensa che
porge il calice di vino a S. Paolo/nel manoscritto parigino-greco 510 nella scena
della presentazione al tempio c’è la Vergine che porge il bambino a Simeone.
In entrambi i casi il panneggio ha un andamento a triangolo
Lo stesso motivo si ritrova in altre scene dei due manoscritti: Giovanni
Crisostomo nella scena di Cristo che predica nel tempio/scena delle storie di
Giobbe con la moglie di Giobbe; è quindi caratteristico di entrambi i
manoscritti
In generale il repertorio di motivi è molto simile, mostrano somiglianze
evidenti le pagine meno note

Questi elementi fanno anche ritenere sia stato prodotto nell’area di


Costantinopoli

Da chi e per chi fu realizzato?


La risposta è complessa, si possono al momento avanzare solo delle ipotesi

È evidente che non fosse un codice pensato per una persona che non sapesse
leggere o che non conoscesse in maniera approfondita le omelie di Giovanni
Crisostomo, dato che le immagini sono quasi tutte illeggibili se non si ricorre
alle omelie o ai titoli. Si doveva anche essere in grado di cogliere gli artifici
retorici, quindi la cultura di chi ne usufruiva doveva essere elevata

Le miniature inoltre forniscono delle sintesi figurate di ciascuna omelia, come


un indice di ciò che l’omelia sta per dire: non è quindi impossibile pensare che
queste servissero da promemoria per chi conosceva il testo, per ricordarlo

È anche molto ricco di materiale scrittorio e le miniature non sono


particolarmente preziose, nonostante siano realizzate con abilità e minuzia:
non abbiamo oro né una gamma cromatica ampia e preziosa.
Siamo di fronte ad un manoscritto che veniva effettivamente usato, non era da
apparato o da esposizione e questo lo indicano il fatto che alcune pagine
fossero rovinate e piene di segni
Non è impossibile pensare che servisse per una comunità monastica o per
personaggi sicuramente di rango ecclesiastico che impiegavano questi testi
nella loro carica quotidiana e li usavano per le proprie omelie e sermoni

Potrebbe anche essere ipotizzabile che potesse appartenere alla biblioteca


patriarcale, cosa che spiegherebbe la ricorrenza di immagini di Crisostomo
all’interno

Non abbiamo però ulteriori dati che ci permettano di fare altre osservazioni

Il fatto che sia un codice molto sofisticato, ma materialmente molto povero, fa


capire quanta fosse la varietà della produzione libraria bizantina
Lezione 7 (3 novembre 2021)

Datazione mosaici S. Demetrio: è molto difficile, inoltre gli studiosi antichi


avevano a disposizione una documentazione molto limitata e bisogna tener
conto che i loro giudizi non sono precisi
- V secolo, contemporaneamente alla costruzione della basilica
- fine VI – inizio VII sec, prima dell’incendio del 603-649 che secondo “I
Miracoli di S. Demetrio” rovinò la decorazione

Esistevano anche dei sottarchi decorati a mosaici nelle navate laterali, gli
acquerelli mostrano la similitudine con le decorazioni della Achiropoietos
databili intorno al 450-460 → in questo caso si potrebbe sostenere la prima
datazione

Questi mosaici però non fanno parte di un unico ciclo, essendo doni votivi di
varie personalità facoltose potrebbero essere stati realizzati anche in momenti
diversi (anche se sempre vicini nel tempo, poiché hanno elementi in comune)

Mosaico nella controfacciata della navata minore nord: occupava l’intera


parete, ne rimane un angolo.
Vi è la figura di S. Demetrio con aureola, tunica e clamide, faccia affilata
giovane con i capelli aderenti alla testa (iconografia tipica). Si intravede una
roccia (sta in un paesaggio all’aperto), in alto c’è un cielo con nuvole bianche
ed un angelo che scende verso il santo. Vi sono tracce di altre ali, quindi
dovevano esserci anche altre figure angeliche.
L’angelo che viene dall’alto sembra che stia suonando una tromba
(interpretazione tradizionale), ma in tempi recenti Bakirtzis nel 2012 ha
affermato che invece stia consegnando al santo una sorta di bastone dai poteri
miracolosi che si vede anche in altre scene evangeliche (avorio con la
resurrezione di Lazzaro). Le fonti scritte però non parlano di questo bastone in
relazione alla vita di S. Demetrio

Mosaico nella controfacciata della navata minore sud: stessa posizione, ma


opposta. Anche qui ne rimane solo una parte, doveva occupare tutta la parete.
Santo in posa orante di fronte al ciborio, si avvicinano a lui due donatori con le
mani velate, dall’altra parte si intravede una terza figura nella stessa posizione.
A destra si vede una porta aperta che dall’interno della basilica si apre sullo
spazio esterno, si intravede una sorta di giardino con rocce, alberi ed un
pilastro con un vaso (tipico della sistemazione dei giardini dell’epoca).
Le figure sono molto rigide, le pose sono schematiche e le pieghe delle vesti
semplificate.
Le mani di S. Demetrio sono d’oro, probabilmente fanno riferimento ad
un’icona del santo che doveva trovarsi all’interno della basilica e doveva essere
l’icona più venerata del santo.
Sappiamo che a quel tempo esistevano delle icone che presentavano mani
dorate per suggerire il potere miracoloso dell’immagine

Icona dell’Odighitria, Pantheon (609)


Icona del Monasterium Tempuli: non ha solo le mani d’oro, ma sopra la figura
hanno applicato anche delle lamine d’oro per accentuare questo aspetto

Dal punto di vista stilistico l’opera che più si può avvicinare a questo mosaico è
l’affresco con i S.S. Cosma e Damiano che si trovava nella Cappella della Fonte
Sacra

I mosaici della parte superiore della parete della navata minore nord sono stati
sicuramente danneggiati dall’incendio del VII sec e sono stati reintegrati, non
solo per quanto riguarda la parte decorativa, sono stati restaurati anche una
parte dei pannelli figurati

Si devono a questa seconda fase tre figure a mezzobusto dentro medaglioni:


quella centrale è S. Demetrio, ai lati ci sono invece due figure di ecclesiastici, a
destra il vescovo che tiene in mano un libro gemmato (omophorion con croci
su entrambe le spalle), a sinistra il diacono (omophorion solo su una spalla)

Perché questi tre clipei sono stati inseriti in questa decorazione precedente che
poco ha a che fare con questi? L’iscrizione sotto afferma che: “al tempo di
Leone puoi vedere rinnovata la chiesa di Demetrio che in precedenza era
bruciata”. Conferma chiaramente il restauro ed i due personaggi sono proprio
coloro a cui si deve tale restauro.

Mosaico sul pilastro sud del transetto dove inizia il bema


Nel lato verso la parete c’è una composizione a tre figure con al centro S.
Demetrio che pone le braccia sulle spalle dei personaggi laterali in segno di
protezione, ma anche di presentazione. A sinistra c’è un vescovo, dall’altra
parte un laico, un funzionario civile che tiene in mano uno scettro e una mappa
(massima autorità civile di quel periodo, governatore della città di Tessalonica).
Ne “I Miracoli di S. Demetrio” si affermava che il governatore della città al
tempo dell’incendio era Leone, quindi sappiamo che egli era il Leone nominato
nell’altra iscrizione.
Non sappiamo il nome del vescovo, ma non c’è dubbio che si tratti dello stesso
vescovo presente nell’altro mosaico

Nel mosaico sul pilastro c’è un’iscrizione, rivolta all’osservatore: “Tu vedi qui i
fondatori della gloriosissima chiesa ai lati del martire Demetrio…”
Quindi il vescovo ed il governatore erano i committenti del restauro dopo
l’incendio

Le figure sono frontali, uno accanto all’altro, dietro vi è un muro con dei merli:
sono le mura di Tessalonica, ma hanno delle stoffe appese, come si usava fare
durante le feste. Le figure sono poste in modo da far coincidere i merli con le
teste del vescovo e del governatore, sfruttando lo sfondo architettonico per
segnalare che i personaggi erano viventi mediante la creazione di un nimbo
rettangolare

La decorazione continua anche sul lato verso l’altare, qui si ha una scena con
due figure in cui S. Demetrio abbraccia un personaggio con la barba bianca, il
quale è il diacono rappresentato nel mosaico precedente

Anche qui c’è un’iscrizione: “Beato martire di Cristo (S. Demetrio), tu che ami la
città prenditi cura dei concittadini e anche degli stranieri” (inteso anche come
pellegrini che giungevano nel santuario di Tessalonica)

Nel lato più visibile ai fedeli che attraversano la chiesa si ha la rappresentazione


di un santo la cui iscrizione ce lo fa identificare con il santo siriano Sergio. È in
piedi, frontalmente, in posa orante, con la clamide ricamata con medaglioni e
palmette. Ha una capigliatura a riccioli abbondanti e presenta la rigida collana
d’oro intorno al collo, tipica della sua iconografia (torques).
Questa iconografia coincide con quella di un’icona molto antica del monastero
di S. Caterina al Monte Sinai con i S.S. Sergio e Bacco
Sul pilastro simmetrico si ripete lo stesso tipo di decorazione

Figura di santo: volto rotondo e sbarbato, capelli ricci, tunica e clamide


ricamata con motivo a losanghe molto elegante, una mano in basso e braccio
alzato.
Ai lati ci sono due bambini che sono da lui protetti.
Non vi è l’iscrizione con il nome, la sua identità è stata molto discussa:
- S. Demetrio, ha a che fare con i bambini che vengono portati da lui per
ottenere protezione, ma questi non mostra alcuna delle caratteristiche costanti
del volto del santo
- S. Bacco, perché è in corrispondenza di S. Sergio e sono quasi sempre
rappresentati insieme, ha anche lui questa capigliatura in genere, ma gli manca
il torques che è un elemento caratteristico ed imprescindibile
- lo studioso americano Henderson ha affermato si tratti di S. Giorgio, poiché
durante un restauro è stata trovata una scritta ad affresco posteriore che porta
il nome di S. Giorgio. Quindi vi era forse una consapevolezza che si era
tramandata nel tempo

Verso l’altare si ha una figura orante: è sicuramente S. Demetrio, ha tutti gli


attributi iconografici ed ha le mani d’oro

Pannello con 3 figure: Cristo a mezzobusto all’interno di un semicerchio che


rappresenta il cielo, allunga le mani verso la Vergine che si trova in basso a
sinistra. Dal semicerchio escono raggi di luce che piovono sulle figure. A sinistra
c’è un santo anonimo (senza iscrizione), ma il viso affilato e la barba a punta ce
lo fanno riconoscere come S. Teodoro.
Le due figure si trovano davanti ad un parapetto di marmo con lastre e
pilastrini decorati, è la recinzione del bema.
Maria è rappresentata di profilo con la mano sinistra sollevata davanti al petto
e la destra che sostiene un cartiglio srotolato verso il basso, con un’iscrizione: il
titolo è “Deesis” (preghiera) e sotto la preghiera pronunciata dalla Vergine
rivolta a Cristo in cui afferma di star pregando per il mondo: è quindi la Vergine
Paràklesis, Vergine dell’intercessione che fa da mediatrice tra l’umanità e Dio,
chiedendo il perdono dei peccati

Tradizionalmente gli studiosi affermano che tutti questi mosaici appartengano


alla fase successiva all’incendio del VII sec, ma questo ultimo mosaico è stato
sempre considerato un po’ problematico in quanto la Vergine Paraklesis in quel
periodo non si conosceva ancora, le immagini si diffondono soprattutto dal XII
sec e in particolare nelle icone (Icona della cattedrale di Spoleto, realizzata a
Costantinopoli e donata da Federico Barbarossa → il cartiglio mostra un vero e
proprio dialogo fra Vergine e Cristo, il quale qui però non è rappresentato, ma
sottinteso in quanto la Vergine comunque sta pregando).
Questo mosaico però potrebbe costituire un primo caso di questa iconografia

Il Cristo a cui questa Vergine si rivolge è il Cristo Antifonìtes, il Cristo che


risponde, quindi questa iconografia si basa sul dialogo

C’è un’icona della Vergine Paràklesis al monastero di Santa Caterina al Monte


Sinai, ridipinta nel XIII sec, ma sotto vi sono le tracce della versione più antica
realizzata con la tecnica dell’encausto, tecnica usata nel periodo anteriore
all’iconoclastia (infatti è stata datata al VI-VII sec).
L’esistenza di questa icona fa capire che questo era un tema iconografico nato
molto presto, nonostante si diffonda poi più tardi

A livello stilistico nel pilastro non ci sono elementi che contrastino con il resto
dei mosaici (cornici, iscrizione, composizione di sfondo e figure, impostazione
astratta e linearistica)

Nel VII sec ci sono altri monumenti nel Mediterraneo che si possono
confrontare a questi mosaici, in particolare un affresco della chiesa di Santa
Maria Antiqua a Roma (la chiesa bizantina della città) che rappresenta S.
Demetrio.
Durante gli scavi avvenuti all'inizio del '900 sono state ritrovate delle pitture,
alcune oggi appaiono molto rovinate, tra cui quella di S. Demetrio il cui stato al
momento della scoperta è attestato da un acquerello: ai lati della figura
compare la scritta in greco che indica il suo nome, l'iconografia è quella di
gioventù senza barba con tunica e la clàmide è ricamata con dei motivi circolari
che ricordano quella di S. Sergio.
Queste somiglianze molto forti sono state sottolineate da Kirtzinger il quale
afferma che nel VII sec sia Roma che Tessalonica dipendevano a livello artistico
direttamente da Costantinopoli e questo è testimoniato dal fatto che in luoghi
così lontani fra loro si ritrovano espressioni artistiche così vicine

Nella navata minore sud vicino all'ingresso si trova un affresco ai lati di una
finestra semicircolare in cui è rappresentata un'unica scena di Adventus
Imperiale cioè l'arrivo di un imperatore nella città di Tessalonica. Si tratta di
una cerimonia che veniva fatta in occasione di un trionfo.
A sinistra vediamo la figura di un imperatore vestito in abito militare a cavallo
di un destriero bianco e secondo la concezione bizantina egli porta l'aureola ad
indicarne la natura divina. Accanto a lui degli scudieri e poi dovevano esserci
altri cavalli e personaggi a formare un corteo.
In alto vi sono architetture che fanno capire che la scena era ambientata
all'interno di una città.
Sulla destra è molto rovinato, ma si vede un edificio a due piani, sopra il piano
superiore che è un porticato vediamo un un tetto di tegole e delle fiamme,
l'edificio sta per essere distrutto da un incendio: è abbastanza verosimile
riconoscere una basilica con i matronei dove vi sono anche delle figure al di là
dei parapetti. L'imperatore sta quindi salvando la città dagli attacchi nemici.
L'ipotesi più condivisa sull'identità di questo imperatore è che si tratti di
Giustiniano II che nel 688 aveva sconfitto gli slavi nella battaglia del fiume
Strimon, celebrandone poi il trionfo a Tessalonica.
Se si tratta di questo risalirebbe alla fine del VII sec e sarebbe quindi stato
realizzato dopo i mosaici sui pilastri

Tuttavia sono state fatte anche altre ipotesi:


- Basilio II che aveva sconfitto i bulgari nel 1018 e aveva liberato tutta la
penisola balcanica e greca
- Leone VI il quale avrebbe aiutato Tessalonica a riprendersi dopo l'attacco
della flotta araba nel 904

Tutte e tre le ipotesi hanno un punto debole, sono state fatte solo in base
all'abbinamento ad un evento storico, non sono state fatte indagini tecniche
sull'affresco né un'analisi attenta dello stile.
La datazione che trova più consensi però è quella più antica, anche in base
all'iconografia che fa riferimento ad elementi dell'epoca paleobizantina

L'inizio del VII sec è un periodo abbastanza critico per Tessalonica, dopo la
morte di Giustiniano le condizioni di pace che lui aveva creato erano venute
meno. A partire dal 590 gli Avari e gli Slavi avevano superato il Danubio e
messo in pericolo i territori della Macedonia e Grecia settentrionale. A causa
dei numerosi saccheggi a cui venivano sottoposte le città di questa zona molti
abitanti delle campagne si erano riversati a Tessalonica.
Inoltre tra 620 e 630 ci sono stati molti terremoti che hanno danneggiato
alcuni monumenti della città.
Nonostante Giustiniano II avesse portato sicurezza nella zona, Tessalonica era
diventata ormai una città di frontiera perché il confine dell'impero non è più al
fiume Danubio, i barbari hanno occupato tutta la zona a sud del fiume e quindi
Tessalonica non era più protetta dal territorio che aveva a nord.
Tra VII e X sec diventa quindi una sorta di base militare.
A questo si aggiunge anche l'instabilità interna, nel 730 inizia l'Iconoclastia che
si conclude nell'843
Dopo la fine dell'Iconoclastia l'evento più importante per la città non sarà
militare, ma religioso, ovvero la missione di Cirillo e Metodio fra le popolazioni
slave che porterà alla loro conversione al cristianesimo ortodosso, tra 863-864.
Cirillo e Metodio sono due fratelli di nobili origini, di Tessalonica, la loro arma
sarà la traduzione delle Sacre Scritture nella lingua di quei popoli inventando
un alfabeto, il Cirillico.
Gli slavi in questo modo non sono più dei nemici, ma entrano a far parte della
sfera religiosa e culturale bizantina

Il monumento più importante di questo periodo è la chiesa di S. Sofia, che è la


cattedrale di Tessalonica: sorge in un terrazzamento abbastanza elevato nella
zona sud-est della città, al di sotto della Leoforos e abbastanza vicina al Palazzo
Imperiale. è anche la sede del vescovo della città

Nei documenti scritti viene ricordata per la prima volta alla fine dell'VIII sec in
una lettera dell'abate di S. Giovanni di Studios a Costantinopoli che era stato
esiliato a Tessalonica.
Non è però stata costruita in quel periodo, ha un'origine molto più antica

Il luogo della chiesa attuale era occupata da una chiesa già anticamente, vi era
l'antica cattedrale di Tessalonica fondata nel IV sec (1), ma di essa non rimane
nessuna traccia, sorgeva tra edifici più antichi e forse andò distrutta a causa di
un terremoto alla fine del IV sec

Si pensò allora di ricostruirla e nel V sec viene costruita una grande basilica a
cinque navate preceduta da un quadriportico, lunga 170m e larga oltre 50m
(2). Gli scavi archeologici nel hanno riportato alla luce diverse tracce, sono
sopravvissute le fondazioni di colonnato e muri perimetrali, il lato ovest del
quadriportico e sotto i palazzi ci sono ancora i resti dell'abside semicircolare,
sia all'esterno che all'interno, però essendo molto grande era rinforzata
all'esterno da contrafforti.
Per le sue dimensioni non si può paragonare alle altre basiliche di Tessalonica,
piuttosto bisogna paragonarla a S. Giovanni in Laterano a Roma, alla basilica
del S. Sepolcro a Gerusalemme o a S. Sofia di Costantinopoli

Il fatto che fosse una cattedrale è confermato dalla presenza sul lato sud di un
battistero che era collegato. Di esso si conservano tracce dei muri perimetrali e
della vasca battesimale. Aveva un perimetro esagonale e negli spigoli dei lati si
aprivano sei nicchie separate fra loro da colonne appoggiate alla parete. La
vasca si trovava al centro e aveva lati dritti alternati a lati concavi per un totale
di 12.
Questa forma particolare si collega a quella di altre chiese della zona e
conferma la datazione al V sec.
Questa basilica sarebbe andata distrutta proprio durante i terremoti dei primi
anni del VII sec

(3) chiesa molto più piccola della (2) costruita dopo i terremoti del VII sec
oppure nell'VIII sec, come ipotizzano alcuni studiosi.
Il nuovo edificio presenta una pianta centrale con cupola impostata su 4 pilastri
che suddividono 4 bracci con volte a botte che formano una struttura a croce.
Intorno a questo spazio cruciforme si sviluppa un deambulatorio a forma di U
formato dalle due navate laterali che si uniscono nel nartece in un corridoio
continuo. Si tratta di un impianto nuovo per l'architettura di Tessalonica, non ci
sono precedenti

All'esterno presenta un blocco cubico quasi quadrato nella pianta con dei lati di
circa 30m, a questo si sovrappone la cupola la quale emerge da un tamburo
rivestito da una lanterna quadrata con finestre.
Da questo blocco emerge anche l'abside centrale poligonale (ispirato a
Costantinopoli) affiancato da due pastofòri e dalle absidi minori semicircolari
La parte della facciata è molto massiccia e quasi non presenta articolazioni, in
origine vi erano 5 ingressi, ma oggi solo 3 sono funzionanti, uno per la navata
centrale e due per le laterali

La muratura adoperata è alternata composta da filari di mattoni rossi e


blocchetti molto regolari di pietra bianca, un tipo diverso da quella tipica di
Tessalonica, si ispira direttamente a Costantinopoli → l’architetto e le
maestranze forse provenivano da lì

Anche l'interno è molto massiccio ed è anche poco illuminato.


Le navate laterali sono separate dalla zona centrale attraverso un sistema
alternato, colonne e pilastri, e lo stesso sistema si ha anche nel piano
superiore.
Il bema è molto profondo con 3 coperture, 2 volte a botte ed il catino absidale.
I pastofòri sono due cappelle quadrate coperte da una cupola, sono collegati
con il bema e le navate laterali, ma questi ingressi sono fuori asse poiché i
pilastri che sostengono la cupola sono talmente grandi da occupare quasi tutto
lo spazio a disposizione
Le navate laterali sono molto larghe

Lo schema architettonico si diffonde nell'architettura bizantina nei secoli VII e


VIII ed ha come lontano punto d'origine S. Sofia di Costantinopoli, quella
realizzata da Isidoro di Mileto e Antemio di Tralle (versione di piccole
dimensioni e semplificata).
Un'altra chiesa di questo tipo è la chiesa della Dormizione di Nicea

Le datazioni proposte sono due:


- secondo gli studiosi greci Teocharidou e Bakirtzis sarebbe stata edificata nel
VII sec, T pensa nella prima metà, B nella seconda
- un gruppo di studiosi anglosassoni, Mango e Cormack, la riportano a un
intervento imperiale di Costantino VII e Irene che la avrebbero fatta costruire
tra il 780 e il 797, il periodo in cui regnano insieme. Sono gli imperatori che
determinano il ritorno temporaneo al culto delle immagini

La prima ipotesi si basa sulla lettura di alcune iscrizioni frammentarie che si


trovano nella cornice del mosaico della cupola. Secondo loro sarebbero un
residuo di un mosaico precedente che occupava la cupola e testimonierebbero
la conclusione del lavoro di costruzione della chiesa.
C'è scritta una data, ma è incompleta, riportano però il nome di un arcivescovo,
Paolo, che sarebbe secondo loro in committente della chiesa. Secondo gli
studiosi egli sarebbe stato il vescovo di Tessalonica intorno all'anno 690.
T ritiene che il mosaico sia stato realizzato un po' dopo la costruzione della
basilica, B pensa invece che sia coevo alla fine dei lavori
La seconda ipotesi invece deriva dal fatto che ci sia un altro arcivescovo a
Tessalonica con questo nome tra l'880 e l'885, per loro dunque queste iscrizioni
non sarebbero le più antiche della chiesa, ce ne sono alcune precedenti.
Per datare la chiesa loro fanno riferimento alle iscrizioni che si trovano nei
mosaici del bema le quali nominano Costantino e Irene. Siccome in queste c'è
un riferimento ad una sorta di dedicazione della chiesa, secondo loro
segnerebbero la fine dei lavori

La scultura in funzione architettonica presenta due tipi di capitelli: ad acanto


finemente dentellata, ad imposta con motivi vegetali realizzati a traforo. Il
primo tipo è tipico della seconda metà del V sec, il secondo si realizza
principalmente all'inizio del VI sec, quindi si tratta di materiale di reimpiego,
forse provengono dall'edificio precedente.
Quindi non ci aiuta per la datazione
Lezione 8 (9 novembre 2021)

S. Sofia in alcuni punti importanti come bema e cupola è ricoperta di mosaici


parietali.

I più antichi sono quelli del bema, basati sul tema iconografico della croce che
in origine dominava tutta la decorazione, abside compreso (quest'ultimo però
è stato poi modificato, oggi troviamo la Vergine)

Parte centrale della volta a botte: grande croce d'oro che si trova su un fondo a
tre dischi azzurri digradanti, consueto simbolo trinitario. Attorno ad essi vi è
una cornice a stelle d'oro e poi una cornice più grande con i colori
dell'arcobaleno. Tutta la composizione è isolata su un fondo oro compatto, la
cui superficie si interrompe alla base e qui sui fianchi della volta troviamo due
zone rettangolari con una decorazione che imita una muratura gemmata a
blocchetti quadrati e dentro ogni blocchetto ci sono motivi decorativi che si
ripetono, ossia piccole croci d'argento alternate a foglie di vite (aniconico).
Alla base di questi pannelli si dispongono iscrizioni secondo uno schema
cruciforme, sono quelle che ci permettono di datare questi mosaici perché
menzionano gli imperatori Costantino VII e Irene. Sono due invocazioni al
Signore da parte degli imperatori che lo pregano di aiutarli, si possono quindi
datare i mosaici al periodo in cui i due imperatori regnavano insieme (780-
797).
Un'altra iscrizione importante non è cruciforme, ma lineare e cita il nome del
vescovo che era in carica negli anni dei due imperatori, è un'invocazione e dice
"oh Cristo aiuta Teofilo, umile vescovo". Di Teofilo sappiamo che era presente
al Secondo Concilio di Nicea nel 787.
In basso infine c'è una cornice fitomorfa a motivi vegetali che fa da bordo e poi
continua risalendo intorno al catino dell'abside: questo elemento decorativo ci
assicura che la decorazione del bema e quella dell'abside siano state realizzate
insieme perché è un elemento comune a tutte e due le parti

Catino absidale: della stesura originaria sopravvivono le cornici e due iscrizioni


a lettere nere su fondo oro, una alla base e una lungo la cornice semicircolare.
Quella alla base riporta una preghiera tratta dalla liturgia di consacrazione delle
chiese, probabilmente significa che questi mosaici sono stati realizzati quando
la chiesa è stata costruita, decorata e poi consacrata (a favore della seconda
ipotesi di datazione, quindi è più convincente)
Questa iscrizione a un certo punto è interrotta dal suppedaneo del trono della
Vergine, questo mostra in maniera chiara che questa figura è una
sovrapposizione successiva.
L'iscrizione lungo il catino invece è una citazione tratta dal Salmo 64, anche in
questo caso ha a che fare con la consacrazione di un tempio, quindi si
conferma maggiormente l'ipotesi

Nella prima fase nel catino c'era una grande croce di cui rimangono delle
tracce, all'altezza delle spalle della Vergine il fondo oro è stato modificato e vi
sono tracce del profilo della croce.
La presenza di questa croce ci conferma che il programma decorativo del bema
fosse aniconico.
La croce originaria si può confrontare con esempi simili del periodo iconoclasta
come la chiesa di S. Irene a Costantinopoli realizzata al tempo di Costantino V
dopo il 740. Anche qui l'iscrizione è ripresa dal Salmo 64

Anche nell'abside della chiesa della Dormizione di Nicea il mosaico è stato


modificato nel periodo iconoclasta/post-iconoclasta, ma qui si hanno 3 fasi di
intervento, mentre a Tessalonica solo 2.
Entrambi i casi comunque testimoniano le modifiche che gli edifici sacri di
questo periodo subirono nel passaggio dall'epoca iconoclasta a quella post-
iconoclasta

Però bisogna notare che questi due imperatori erano coloro che avevano
sancito il periodo di ritorno al culto delle immagini dal 787 all'815, quindi
perché proprio loro che erano iconofili scelgono un programma aniconico?
Due ipotesi di risposta:
- i due imperatori avevano scelto una politica religiosa prudente, non volevano
provocare il partito iconoclasta di Tessalonica, cercarono un compromesso
- questi mosaici siano stati commissionati da loro, ma prima del Concilio di
Nicea del 787, quindi in un periodo in cui nonostante loro siano favorevoli al
culto delle immagini la legge bizantina è ancora contraria poiché gli imperatori
non avevano ancora preso posizione
La seconda ipotesi è più logica

Cupola : scena di ascensione a fondo oro che occupa l'intera superficie della
calotta.
Il nucleo centrale è la parte alta in cui si vede la figura di Cristo dentro una
mandorla luminosa seduto su un arco di cielo. Questa mandorla viene sollevata
da due angeli rappresentati in volo con le gambe superiori sollevate.
Nonostante la staticità della composizione, questa parte centrale da un senso
di improvviso movimento verso l'alto.
Le sfumature cromatiche sono molto leggere, ma raffinate, la veste di Cristo è
realizzata con tessere d'oro e d'argento.

La parte bassa è più gremita di figure, ci sono i testimoni dell'ascensione, tutti


personaggi che fanno parte dell'iconografia canonica bizantina: Vergine orante
affiancata da due angeli che parlano agli apostoli ed indicano con il braccio
alzato la figura di Cristo che viene portata in cielo.
Secondo il racconto del Vangelo si è in cima al Monte degli Ulivi a
Gerusalemme e qui la montagna è indicata da un fondo roccioso con le rocce
frastagliate che sembrano nuvole colorate e da esse si sollevano in alto gli
alberi d'ulivo e questi sono un elemento fondamentale della composizione
perché convergono verso il centro e formano una specie di raggiera. Sono
molto slanciati in verticale e hanno delle chiome circolari che si distinguono
per la colorazione peculiare con le foglie per metà di un verde più scuro e per
metà di un verde argentato e questa doppia tonalità di verde corrisponde
proprio alle foglie d'ulivo, a come sono in natura.

Ai lati della Vergine e degli angeli comincia il corteo degli apostoli posti
tutt'intorno alla cupola, il primo è S. Pietro che sostiene una croce ed ha la
tipica capigliatura corta bianca e la barba bianca, il secondo è S. Paolo un po'
calvo con la barba scura e a punta, tiene in mano un libro che fa riferimento
alle sue epistole. Dietro Pietro si ha S. Giovanni evangelista che è il più giovane
e dietro Paolo c'è S. Andrea con i suoi tipici capelli arricciati.
L'altra metà della cupola presenta le figure atteggiate in modo diverso, non
frontali, ma in movimento con le teste rivolte verso l'alto e alcune sono anche
rappresentate di spalle

La corona di foglie d'ulivo si interrompe all'altezza di un'iscrizione che riporta il


testo degli atti degli apostoli nel racconto dell'ascensione, ovvero le parole che
pronunciano gli angeli durante questo evento miracoloso: "vedete Cristo che
va in cielo e raggiunge suo Padre, ma ritornerà sulla Terra alla fine dei tempi".
Preannunciano quindi la Seconda Parusia. L'ascensione nella chiesa ortodossa
sostituisce quindi l'anticipazione del Giudizio Universale
C'è un movimento centripeto, ma anche un asse verticale centrale costituito
dalle figure di Maria e Cristo ed esso si distingue dal resto mediante il colore,
un blu intenso che sta sulla veste di Maria e sulla mandorla

Il mosaico ha dei colori molto intensi.


Le rocce sono realizzate con spuntoni colorati di una gamma ampia, dal bianco
all'azzurro al verde al rosso, colorazione non di tipo naturalistico, ma astratta.
Le figure sono caratterizzate da occhi molto grandi con pupille dilatate che
permettono di vedere gli sguardi anche da lontano

Cornice alla base della cupola: ghirlanda che fa da bordo a tutta la


composizione, sotto i piedi degli angeli si trovano quelle iscrizioni che
contengono il nome del arcivescovo Paolo e la data incompleta

I mosaici della cupola risalgono alla seconda fase decorativa, per le datazioni
abbiamo due ipotesi vicine fra loro:
- l'arcivescovo Paolo che è citato era a capo della chiesa di Tessalonica intorno
all'885, il committente della cupola è lui ed i mosaici sono stati realizzati quindi
alla fine del IX sec
- altri studiosi però ritengono che le iscrizioni siano i residui di una decorazione
precedente al mosaico, quindi i mosaici si possono datare solo sulla base dello
stile e questo conduce all'inizio del X sec

Si possono fare confronti stilistici, quello più stretto è con l'affresco che ha lo
stesso soggetto e che si trova nell'abside della Rotonda di S. Giorgio: la scena è
adattata allo spazio diverso del catino, in basso abbiamo la figura della Vergine
orante fiancheggiata da angeli ed i gruppi degli apostoli separati fra loro da
alberi molto slanciati. Inoltre nella parte centrale vi è un'iscrizione su 5 righe.
Nella parte più alta si ha la mandorla con Cristo sollevato da due angeli nella
stessa posizione. Sono tutti elementi di somiglianza. S. Pietro ha gli stessi occhi
a mandorla con grandi pupille. I panneggi sono lineari e schematici.
La bottega di mosaicisti non è la stessa, ma il linguaggio è molto simile perciò
questo affresco datato a fine IX sec dovrebbe essere contemporaneo al
mosaico

I mosaici però hanno punti in comune anche con gli affreschi di alcune chiese
della Cappadocia dell'inizio del X sec.
Questo indica però che i mosaicisti avevano modelli comuni, ma non vi era un
rapporto vero e proprio tra queste opere, infatti gli affreschi della Cappadocia
sono molto più lineari.
Anche nella cupola di El Nazar a Goreme vi è l'ascensione quindi si ha la stessa
struttura compositiva

L'iconografia dell'ascensione in ambito bizantino è più diffusa in composizioni


verticali, le testimonianze più antiche mostrano composizioni strutturate su
due livelli

A Gerusalemme c'era una chiesa dedicata all'ascensione sul Monte degli Ulivi
proprio dove si era verificato il miracolo ed il modello di questa iconografia
proviene da lì.
Oggetti di pellegrinaggio provenienti dalla Palestina: a sinistra abbiamo una
cassettina reliquario con il coperchio dipinto che all'interno contiene alcune
pietre prese nei luoghi in cui si erano svolti i miracoli evangelici, la Natività a
Betlemme, il Battesimo sul Giordano, la Crocifissione, l'Ascensione sul Monte
degli Ulivi, il Sepolcro di Cristo.
La scena dell'ascensione qui è quella classica suddivisa in due livelli, in basso la
Vergine con la veste blu e ai lati i gruppi degli apostoli (6 a dx e 6 a sx), in alto
Cristo con la mandorla sollevata da 4 angeli.
A destra abbiamo invece una delle numerose ampolle in piombo o argento
dove i pellegrini raccoglievano l'olio delle lampade che ardevano nei luoghi
della Terrasanta, sono molto piccole e venivano portate appese al collo a
contatto con il collo (avevano valore protettivo).
Anche qui la scena dell'ascensione riprende gli stessi elementi.
è probabile che entrambe siano una riproduzione del mosaico che i pellegrini
vedevano nella chiesa dell'Ascensione a Gerusalemme.

La stessa iconografia è diffusa anche nelle Icone del Monte Sinai(una del VII e
una del IX sec)

La presenza dell'ascensione nella cupola di S. Sofia a questa data, in epoca


post-iconoclasta, costituisce un arcaismo perché ormai nelle chiese di
Costantinopoli si era imposto un nuovo programma iconografico che
prevedeva il Pantokràtor a mezzobusto circondato dai profeti.
Non abbiamo testimonianze di quell'epoca a Costantinopoli, perché chiese
come Costantino Lips e Myrelaion non hanno più le decorazioni, ma sappiamo
che era rappresentato quello.

La terza fase dei mosaici è quella del catino absidale, che è stato modificato.
La Vergine è seduta su un trono basso senza spalliera ed è vestita di blu scuro,
con ricami dorati all'altezza delle spalle. La figura di Cristo è realizzata con
tessere d'oro, quindi contrasta con quelle della veste

La rappresentazione della Vergine nel catino absidale si impone nei programmi


iconografici bizantini dopo la fine dell'iconoclastia, quindi è sicuro che
l'inserimento di questa figura sia avvenuto in epoca post-iconoclasta.
Non sappiamo però se sia avvenuto in una fase immediatamente successiva,
oppure qualche secolo dopo

La figura è molto massiccia, il busto è sproporzionato rispetto al resto del corpo


(più grande), inoltre la figura del bambino sembra sospesa perché solo una
mano della Vergine tocca la sua spalla.
Tutto questo ha fatto sospettare che non sia stata realizzata tutta insieme, ma
in due fasi distinte:

- la Vergine sarebbe stata realizzata tra fine VIII e inizio IX sec, ma restaurata
nell'XI o XII sec

Disegno elaborato dallo studioso greco Velenis che ritiene che la figura sia stata
realizzata in due diverse fasi: secondo lui in origine era in piedi. La parte più
alta risalirebbe a fine VIII-inizio IX sec, mentre nell'XI sec sarebbe stata
trasformata in una Vergine seduta

Confronto tra testa della Vergine del catino e testa della Vergine
dell'ascensione (dovrebbero risalire allo stesso periodo stando a questa teoria):
non ci sono somiglianze tra queste figure, se fosse vero ciò che afferma Velenis
dovrebbero esserci

- alcuni studiosi tra cui Demus e Cormack ritengono che sia stata realizzata in
un'unica fase e senza nessun cambiamento. Questo intervento risalirebbe o
alla prima metà o alla seconda metà dell'XI sec
Quindi la croce del periodo iconoclasta sarebbe qui rimasta più a lungo rispetto
che a Nicea.
Questa ipotesi di datazione si basa su confronti stilistici sul volto di Maria

Secondo Demus la Vergine del catino avrebbe rapporti stretti con quella di S.
Sofia a Kiev il cui mosaico risale al 1037-1046. Gli elementi comuni sarebbero il
contorno ovale del viso, la forma delle labbra, gli occhi con la sottolineatura di
palpebre e sopracciglia, la rotondità quasi geometrica della testa con il velo

Cormack la collega invece con un'opera realizzata più tardi, ma in una zona più
vicina: il mosaico della chiesa del monastero di Vatopedi sul Monte Athos, in
Macedonia, in particolare la Vergine della scena della Deesis risalente al 1070-
1080. In questo caso la posizione è diversa, ma ci sono elementi in comune
nella resa degli occhi, meno nella resa della bocca

Entrambi gli studiosi danno due punti di riferimento importanti, sono i due lati
di un segmento cronologico in cui si inserisce Tessalonica. Una datazione tra la
metà dell'XI sec ed il 1070-1080 sarebbe convincente, ma mancano elementi
per formulare ipotesi più precise, non è stato fatto un esame tecnico
ravvicinato del mosaico, le loro sono osservazioni fatte a distanza

Panaghia Ton Chalkèon: si trova in una zona molto centrale, nell'angolo sud-
ovest dell'Agorà.
Venne costruita all'inizio dell'XI sec e significa "la Vergine dei calderari".
Si può datare con sicurezza grazie ad un'iscrizione sull'architrave della porta: da
informazioni sull'anno di consacrazione della chiesa, 1028, sulla dedica alla
Teotokos (madre di Dio), sui committenti che sono illustri (Cristoforo era un
funzionario della corte di Costantinopoli, forse nato a Tessalonica e fa costruire
questa chiesa nella sua città natale. Era protospatharios e anche catepano del
tema di Langobardia).
L'iscrizione dice anche che quel luogo prima di allora non era mai stato
santificato, probabilmente vi era un edificio sacro ma pagano, infatti sotto il
pavimento sono stati ritrovati dei resti appartenenti a quel tempio.
Solitamente le chiese a Tessalonica venivano costruite sopra edifici termali,
questo è il primo caso sicuro in cui invece è stato eretto sopra un tempio. C'è
da dire però che è stato fatto molto avanti nel tempo
Nella parete nord nella parte centrale sotto la cupola presenta una nicchia
nella parete che sporge anche esternamente, era il luogo dove erano collocati i
sepolcri di Cristoforo e della sua famiglia. Questa chiesa era nata come chiesa
di famiglia e luogo di sepoltura dei committenti, il fondatore aveva uno spazio
di prestigio, gli altri membri probabilmente si trovavano nel nartece, luogo in
cui solitamente sono collocate le sepolture.

Questa chiesa è ciò che rimane di un piccolo complesso monastico urbano


fondato da Cristoforo, quindi non era un edificio isolato

Pianta a croce greca inscritta con cupola sorretta da quattro colonne: struttura
architettonica tipica delle chiese di fine IX inizio X sec a Costantinopoli -->
confronto con la chiesa del Myrelaion costruita a Costantinopoli intorno al 920
da Romano II Lecapeno. A Tessalonica compare per la prima volta con questa
chiesa, ma in Grecia già esisteva dal 950 nella chiesa più antica del monastero
di Hosios Loukas

La facciata presenta un nartece a due piani coperto da due cupolette che si


abbinano alla cupola centrale più alta. Le cupole del nartece hanno un
tamburo con una sola fila di finestre, quella centrale presenta un tamburo con
una doppia fila di finestre: elemento nuovo, anche a Costantinopoli le cupole
hanno tutte una sola fila di finestre

L'esterno è suddiviso in due piani separati fra loro da una lunga cornice
marmorea che avvolge tutto l'edificio, il primo piano presenta delle lesene
semicircolari e profonde strombature con arcate a ghiere concentriche anche
nelle finestre della cupola

Un altro edificio di Costantinopoli che si può confrontare è la chiesa di


Costantino Lips la quale presentava al primo piano 4 cappelle coperte da
cupole, ma le cupole erano anche dal lato dell'abside, mentre a Tessalonica
erano solo in corrispondenza della facciata

In tutti gli edifici citati le absidi sono poligonali, mentre a Tessalonica è


poligonale solo quella centrale, mentre semicircolari quelli laterali --> in questo
caso fa riferimento a S. Sofia di Tessalonica, la chiesa più importante della città
Per Tessalonica è un periodo molto positivo poiché Basilio II nel 1018 sconfigge
definitivamente i Bulgari che avevano attaccato i Balcani. La Macedonia rientra
stabilmente nell'impero e Tessalonica non è più una città di confine, torna ad
essere sicura e si sviluppa. Inoltre aumentano anche i suoi rapporti con
Costantinopoli.
L'Impero bizantino si trova anche nella fase di massima espansione nell'età
medievale, le frontiere vanno dalla Georgia/Armenia fino all'Italia meridionale
(Puglia, Basilicata, Calabria)
Seminario 6 (10 novembre 2021) – dott.ssa Giulia Troncarelli

Isacco Comneno Porfirogenito committente di opere d’arte

Isacco Comneno Porfirogenito è un personaggio del quale abbiamo molte


notizie biografiche, perché abbiamo molte opere da lui commissionate e anche
testi scritti di suo pugno.
Fu un pretendente al trono, un ribelle, un intellettuale, un mecenate della
Costantinopoli del XII sec

Incarna una figura di committente che interviene nella definizione dell'opera

Sesto figlio dell'imperatore Alessio I Comneno nacque il 16 gennaio 1093. Dopo


la morte del padre nel 1118 sostenne il diritto al trono del fratello Giovanni II
che era in competizione con la sorella Anna. Come ricompensa il fratello lo
fornì di un titolo che ufficialmente lo poneva al suo stesso livello, il titolo più
alto che esisteva.
Per alcuni anni i due fratelli furono molto uniti, ma nel 1122 Giovanni nominò il
figlio Alessio co-imperatore.
Isacco deluso tentò di usurpare il trono, ma fallì e dovette lasciare la capitale.
Iniziarono così i lunghi anni in cui vagò fermandosi anche in luoghi come
Iconium cercando sempre di organizzare una rivolta contro il fratello.
Nel 1138 però fu costretto a riconciliarsi con lui, tornò a Costantinopoli e venne
accolto con tutti gli onori. Ma per ragioni non chiare la riappacificazione durò
solo qualche mese, fu quindi arrestato ed esiliato, rimase in esilio fino
all'elezione del nuovo imperatore Manuele I nel 1143.
Poté tornare, ma tentò nuovamente di appropriarsi del potere e fu costretto a
ritirarsi in Tracia dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, non si sa in quali
condizioni. Sappiamo che lì fondò un monastero ed il typicòn, ossia il
documento di fondazione del monastero*, è datato al 1152, l'anno che è
considerato quello della sua morte.
Isacco è anche l'autore di questo typicòn

*nel mondo bizantino i singoli monasteri avevano più autonomia che in


occidente e questi documenti contenevano informazioni in più sulla regola,
sulla vita quotidiana all'interno del monastero, sulle strutture come la chiesa
monastica
Possiamo attribuirgli una serie di opere letterarie, cosa che non è frequente:
trattati filosofici sulle opere neoplatoniche e dei trattati eruditi su Omero i
quali erano complementari ad un'edizione annotata dell'Iliade ed insieme
andavano a comporre la prima edizione critica completa del testo realizzata da
un unico studioso con un piano ben definito (introduzione, testo, commento,
postfazione).
Egli scrisse anche la "Parafrasi della Lettera di Aristèa", un testo che narra e
celebra la traduzione dei "Settanta" in forma epistolare. Isacco tenta di
renderla più chiara ai lettori e l'intento è lo stesso del commento all'Iliade il
quale spiega parti poco chiare del testo di Omero. Questa parafrasi si trova in
apertura del Serraglio Octateuch.
Isacco è anche l'autore del typicòn del monastero da lui fondato, ha quindi una
produzione letteraria ed una cultura molto vasta. Nella famiglia comnena c'era
la possibilità di accedere ad una formazione del livello più alto possibile, dato
che ben 2 figli (anche Anna) avevano tale cultura

La prima commissione che possiamo attribuirgli è il restauro della chiesa di S.


Salvatore In Chora.
Anche questo intervento è testimoniato nel typicon, in cui c'è un passo dove
dispone di trasferire nel monastero gli arredi che aveva predisposto per la sua
tomba che si trovava a Chora. Il fatto che lui potesse trasportare così
agevolmente gli arredi da una chiesa all'altra dimostra che lui fosse l'hortétor
del monastero di Chora, quindi o il fondatore o colui che l'aveva rifondato
(ossia restaurato), titolo ereditato dalla nonna materna che a sua volta aveva
fatto dei lavori nella chiesa di Chora

Il restauro di Isacco è datato tra il 1118 ed il 1122, anni in cui godeva della più
alta posizione possibile a corte.
La chiesa di Chora ha una lunga storia che parte dal VI sec e per l'alzato sono
state individuate 3 fasi che risalgono a XI, XII e XIV sec. Il corpo principale si
deve alla nonna di Isacco, Maria Ducena, e si data tra il 1077 ed il 1081. Questo
edificio aveva perimetro rettangolare e pianta a croce inscritta, la muratura è a
mattone arretrato

L'intervento di Isacco trasformò l'impianto precedente, il lato est fu


completamente rifatto, l'abside è quasi della stessa ampiezza del naos ed i
pastofori ne eccedono la larghezza, oggi però questi sono perduti, abbiamo
quelli del XIV sec che riprendono la forma di tale impianto. Le colonne che
sostenevano la cupola furono sostituite da pilastri in muratura per sorreggere
una nuova cupola molto più grande.
Le ragioni di un rifacimento a così poca distanza cronologica sono strutturali,
dato che la chiesa sorge su un terreno in declivio su cui vi è uno slittamento
naturale e probabilmente era crollata una parte della chiesa.
Ci sono alcuni edifici con impianto simile, tra cui la prima struttura del
monastero del Pantokrator e anche un'altra fondazione di Isacco, ossia la
Teotokos Kosmosoteira, che ne condivide le proporzioni e l'effetto spaziale
monumentale e luminoso. Tali proporzioni sono determinate da un sistema
geometrico preciso basato sul triangolo che ne determina sia la relazione tra
lunghezza e altezza che le misure della cupola e del tamburo. Questa è una
scelta consapevole del committente, i testi su di lui dimostrano un suo grande
interesse per la geometria e per il triangolo in particolare, che viene
considerato la forma indivisibile. Isacco non è un committente che paga
soltanto per avere un'opera, ma partecipa all'esecuzione di essa e la
personalizza in base alla sua cultura.
La parte absidale è in linea con l'architettura di Costantinopoli della sua epoca,
vediamo sia le nicchie che le decorazioni in mattoni che sono una costante di
questa fase

Un altro elemento della fase di Isacco della chiesa di Chora sono le vetrate, non
sono una cosa frequente dell'epoca bizantina, ma qui all'interno di un loculo
durante gli scavi ne sono stati rinvenuti dei frammenti: la gamma di colori è
limitata, presentano delle decorazioni fitomorfe, ma sono state individuate
anche tracce di lettere e parti di volti che hanno fatto ipotizzare una
decorazione comprendente anche delle figure. L'unico esempio risalente a
questo periodo sono le parti di vetrata rinvenute al Pantokrator, in cui
compaiono con sicurezza figure umane. Le vetrate di entrambe le chiese sono
attribuite alla stessa bottega e le analisi chimiche hanno rivelato la tecnica che
in occidente in quest'epoca era stata abbandonata da tempo, mentre in
oriente continua, quindi si è pensato che fossero una tradizione locale di
Costantinopoli. Tuttavia la presenza del piombo le fa distaccare dalle vetrate
bizantine tipiche e le fa accostare all'occidente, per questo si è pensato che
siano opere di artigiani occidentali che hanno però lavorato a Costantinopoli.
Una studiosa italiana ha affermato che proprio durante il regno di Giovanni II,
dato che egli aveva la moglie occidentale, ci fosse un grande scambio tra i due
luoghi e quindi sarebbe stato il momento più propizio per l'arrivo di questi
artigiani. Perciò queste vetrate si datano proprio al periodo dei lavori di Isacco
Tutta la dinastia comnena fa delle chiese dei monasteri un luogo di sepoltura e
anche di esibizione del proprio potere politico, in un contesto di estrema
competizione fra i membri della famiglia. Quindi partono dalle opere dei loro
predecessori o rivali e ne creano altre tentando di superarle in grandezza, per
affermare il loro potere e diritto al trono.
Capiamo così l'intento di Isacco, ossia predisporre la propria sepoltura
monumentale a Chora, mentre Giovanni e sua moglie Irene già dal progetto
originario l'avevano predisposta al Pantokrator

La tomba oggi è perduta, ma doveva dotarsi di un sarcofago esposto di cui


doveva far parte una lastra marmorea con un'iscrizione che è stata vista da uno
studioso agli inizi del '900 nella chiesa della Kosmosoteira e che oggi si trova
nel museo ecclesiastico di Alessandropoli. L'iscrizione si riferisce a un despota,
non sappiamo il nome perché la lastra è frammentaria, ma dai caratteri
epigrafici si data alla metà del XII sec e quasi sicuramente doveva essere quella
di Isacco.
Questa sepoltura si caratterizzava anche dalla presenza dei ritratti, c'erano
quelli dei genitori che fa trasportare a Feres ed il suo ritratto realizzato in
giovinezza che invece dispone che rimanga a Chora. Si suppone che tale ritratto
sia riprodotto nel mosaico di Chora, nel personaggio che l'iscrizione identifica
come "Isacco Porfirogenito figlio del supremo imperatore Alessio Comneno" e
che ha caratteristiche peculiari (naso aquilino, sopracciglia corte, barba di
media lunghezza, capelli mossi lunghi fino alle spalle + indossa una corona
gemmata che aveva un medaglione ed era priva dei pendagli).
La tipologia di tale ritratto si suppone fosse un mosaico e per tale ragione si
fosse scelto di non trasportarlo. Però nel typicon usa anche per questo la
parola "stele", come per quelli che invece ha fatto trasportare, il che fa pensare
che potesse essere una tavola o addirittura una scultura, di cui erroneamente
se ne attribuisce un frammento proveniente sempre da Chora.
Gli ornamenti più preziosi della tomba erano l'icona musiva della Vergine
Kosmosoteira che Isacco racconta di aver rinvenuto anni prima e che aveva
fatto ricoprire da un rivestimento di oro e di argento (o una cornice o un
rivestimento da cui emergevano solo volto e mani) e un'altra icona che
rappresentava Cristo (probabilmente aveva anch'essa un rivestimento, un
poeta di corte ha realizzato un componimento che doveva accompagnare un
rivestimento di questo genere per Isacco Comneno).
Poi vi era una cancellata bronzea che doveva chiudere lo spazio
Un altro manoscritto che è stato attribuito recentemente alla committenza di
Isacco è il Codice che si trova a Oxford: è un tetravangelo ed ha come
caratteristica particolare che gli atti ed alcune epistole sono introdotti da
miniature a piena pagina.
Quella che introduce agli atti mostra Luca nell'atto di scrivere ad un
personaggio identificato come un certo Teofilo, menzionato da Luca come il
destinatario di questa epistola, però Teofilo vuol dire "colui che ama Dio" e
quindi potrebbe non essere un personaggio storico, ma simbolico. Egli è
rappresentato come un porfirogenito, con i calzari e la veste color porpora
(secondo il cerimoniale di corte il colore porpora era riservato agli imperatori o
a coloro che nascevano nella stanza della porpora, quindi i suoi discendenti) ed
ha la stessa corona e fisionomia del ritratto. Quindi è stato recentemente
identificato con un criptoritratto di Isacco.
Questo manoscritto si ipotizza sia stato realizzato al ritorno di Isacco dal primo
esilio, al momento della riconciliazione per affermare nuovamente il suo
prestigio scegliendo di farlo realizzare al maestro più importante della capitale
che aveva anche realizzato un manoscritto per l'imperatore Giovanni II,
Kokkinobaphos

Codice del Serraglio: è introdotto dalla parafrasi delle Lettere di Aristea e poi
dalla lettera stessa, con l'intitolazione sappiamo che la parafrasi è stata scritta
di Isacco Porfirogenito, figlio dell'imperatore Alessio Comneno, il quale ha
ridotto ad una versione più corta e più chiara questo testo. Questo manoscritto
è quindi attribuibile sicuramente alla sua committenza e anch’esso è stato
realizzato da Kokkinobaphos

La Lettera di Aristea è una narrazione epistolare della redazione dei "Settanta":


il re Tolomeo ansioso di avere nella biblioteca di Alessandria il testo più
filologicamente corretto della Bibbia invita 72 sapienti alla sua corte per
redigere altrettante traduzioni dalla lingua ebraica, le quali risultano
miracolosamente tutte uguali

Si tratta di un ottatèuco: tipologia libraria molto particolare che compare in


epoca mediobizantina, è un codice che contiene i primi otto libri della Bibbia.
Ne conosciamo 6 esemplari e sono accompagnate da una ciclo illustrativo
estesissimo (circa 300 miniature) che mostrano notevole somiglianze, quindi
provengono tutte da un modello comune. Il più antico è databile all'XI sec, poi
gli altri si datano al XII sec e l'ultimo al XIII sec.
La causa di diffusione di questa tipologia libraria in ambito bizantino è stata
individuata nello studio privato dell'aristocrazia di corte bizantina, quindi
un'elaborazione di questo modello partendo da modelli più antichi in ambito
imperiale

Rivelatore in questo senso è proprio il ciclo di illustrazioni che accompagna le


Lettere di Aristea:
miniatura dell'Ottateuco del Serraglio/miniatura del vaticano-greco 747:
- scena che condensa due momenti, il re Tolomeo da ordine al cortigiano di
scrivere la lettera al sacerdote che radunerà i 72 sapienti e poi si ha il
bibliotecario che detta il testo ad un amanuense.
In entrambe le miniature il sovrano è vestito come un basileus bizantino, veste
di porpora con la corona gemmata e le scarpe di porpora con le perle, gli altri
personaggi hanno invece un abbigliamento più esotico, con turbanti.
- nel momento finale della pubblica lettura, il re alza il bacile per celebrare i
traduttori

Il materiale testuale nel Codice del Serraglio viene selezionato in modo da


esaltare il re Tolomeo, (il quale non solo è vestito come un imperatore
bizantino, ma segue anche il cerimoniale di corte), invece di dare importanza
alla traduzione e alle figure dei sapienti. Molta importanza viene data alla parte
centrale del racconto, costituita dai banchetti in cui Tolomeo fa domande
filosofiche ai sapienti, quasi tutte incentrate sul tema del buon governo.
Questo ci fa pensare che questa edizione lussuosa fosse stata elaborata a corte
con intento celebrativo ed educativo.
Questa elaborazione imperiale è stata anche messa in relazione con la
presenza ricorrente nelle miniature dell'aquila, simbolo imperiale, che viene
posta sempre in una posizione elevata rispetto agli altri animali ed effigiata in
posizione araldica, con la testa di profilo e le ali spiegate. Si trova anche sul
trono del re Tolomeo, a marcarne la discendenza, egli è un sovrano colto in cui
Isacco si identificava, e si trova anche nella chiesa di Feres in una nicchia nei
muri esterni. L'associazione di Isacco con questo simbolo serve a rimarcare la
sua discendenza imperiale ed il suo diritto al trono

Questi ottateuchi erano manoscritti ricchissimi di immagini (l'immagine quasi


sovrastava il testo quando veniva sfogliato) e probabilmente non erano
destinati a personaggi religiosi, ma erano Bibbie di lusso per personaggi della
corte. La quantità di immagini fa supporre che fossero libri per imparare il
contenuto delle Sacre Scritture destinate ai giovani membri della famiglia
imperiale

Anche la parafrasi di Isacco doveva essere illustrata, queste non vennero mai
fatte, ma ci sono i riquadri lasciati dal copista per il miniatore e dal testo che li
circonda sappiamo che le parti da illustrare dovevano essere le stesse che poi
sono state illustrate nella Lettera. Il testo di Isacco però è incompleto, tale
incompletezza la critica la attribuisce alla sua morte e perciò tale manoscritto
viene datato intorno al 1152

Ci sono però anche miniature parzialmente complete che ci mostrano il


metodo di lavoro dei miniatori: nel foglio 75 vediamo che il paesaggio e le vesti
sono tutte complete, ciò che manca sono volti e mani. Questo ha fatto pensare
o ad una divisione del lavoro tra i pittori o ad una specializzazione interna alle
botteghe che poteva prevedere un maestro più specializzato che si occupava
dei volti e degli aiuti che si occupavano più degli elementi di contorno. Si può
però anche ipotizzare che lo stesso maestro passasse prima tutto un colore e
poi per ultimo si dedicasse agli incarnati che sono la parte più complessa

In base a quello che si sa sulle miniature è più probabile la seconda ipotesi


perché i miniatori quando preparavano i colori sciogliendoli nelle vaschette
dovevano esaurirli affinché non si seccassero, diventando inutilizzabili, quindi
non potevano realizzare un riquadro per volta, dovevano realizzare tutti gli
elementi di tale colore che erano previsti nel manoscritto.
Si può anche capire un'altra cosa del modo di lavorare degli atelier, ossia il
rapporto fra miniatore e copista: il copista terminava il testo lasciando i
riquadri liberi e poi passava il lavoro al miniatore. Qui abbiamo una divisione
per fascicoli, affidati ognuno a un pittore diverso, tranne i primi 6 dove invece
si alternano tutti, questo perché inizialmente andavano di paripasso, poi il
copista ha iniziato a lavorare più velocemente, riuscendo così a lasciargli un
fascicolo intero alla volta

Chiesa della Teotokos Kosmosoteira: datata 1152. Si trova in Tracia, presso la


cittadina di Feres, situata su una collina vicino al fiume Evros.
Dal typicon sappiamo che il monastero era un grande complesso destinato ad
ospitare fino a 50 monaci e 24 servitori, circondato da una duplice cinta
muraria (della più interna rimangono 3 torri e resti di mura), composto di
molteplici edifici per varie funzioni (bagni, refettori, cisterne, ospizio,
acquedotto, archivio, magazzini, stalle, imbarcazioni, terreni). Aveva anche
villaggi alle sue dipendenze

Oggi rimane la chiesa, la cui struttura architettonica è una variazione della


pianta a croce greca inscritta coperta da 5 cupole tipica di Costantinopoli:
presenta uno sdoppiamento di supporti, nel lato ovest si hanno dei pilastri che
quasi si assimilano alle mura, nel lato est ci sono coppie di colonne di
reimpiego.
La cupola centrale ha un diametro di 7m e si erge su un tamburo dodecagonale
traforato da altrettante finestre e presenta anche 12 lesene. Le cupole più
piccole coprono i pastofori ed il lato opposto, poggiano su tamburi ottagonali.
I bracci della croce sono coperti da volte a botte.
La tecnica muraria nella parte più bassa contiene anche della pietra per ragioni
di statica, mentre le parti alte sono realizzate tutte con la tecnica del mattone
arretrato con letti di malta abbastanza spessi.
Presenta 3 absidi sporgenti, in quella centrale si apriva una trifora, ma ci sono
state molte tamponature.
Al di sopra delle finestre vi sono nicchie con decorazioni in mattoni tipiche
dell'architettura di Costantinopoli.
Tutti questi elementi collegano questa fondazione in un luogo isolato e lontano
con la capitale, gli artisti chiamati a lavorare lì sono di altissimo livello ed Isacco
seppur esiliato in questo luogo è riuscito anche grazie alle sue ricchezze ad
avviare un cantiere molto importante.
I finestroni ad arco rialzato, due semiarchi ed un arco che è come se
formassero un'unica grande finestra tripartita, creano un ambiente
luminosissimo assieme alle finestre della cupola

Il typicon parla di un esonartece, il quale doveva essere una struttura voltata


individuabile mediante gli archi tamponati e che era il luogo che ospitava le
sepolture ad arcosolio dei più fedeli collaboratori di Isacco, come il suo
segretario

La cupola centrale è ancora rivestita dall'intonaco ottomano, quindi non


sappiamo cosa ci fosse al di sotto in epoca bizantina
Uno studio sulla luce naturale in questa chiesa ha dimostrato che alcune parti
delle decorazioni pittoriche sono illuminate in specifici momenti dell'anno:
scena dell'annunciazione al di sopra della coppia di colonne è illuminata
durante le più importanti feste mariane.
L'illuminazione contribuisce anche a spiegare uno dei temi fondamentali di
questa chiesa, ossia la collocazione della tomba che è stata spostata qui da
Chora. Nel testo Isacco dice che si trova nel nartece, ma vedendo la pianta non
c'è alcun nartece, abbiamo solo il braccio ovest più allungato rispetto al resto e
suddiviso in campate.
Si è proposto che con la parola "nartece" Isacco intendesse tutta questa parte
occidentale e che il sepolcro si trovasse nella campata nord, dove nel sottarco
si trova la raffigurazione di un tema che nell'epoca mediobizantina è connesso
con le tombe, ossia quello delle Pie Donne al sepolcro. Si distingue la figura
dell'angelo sulla roccia del sepolcro che indica il punto in cui si pensa si
trovasse il sarcofago.
Nelle colonne di tale campata sono stati anche individuati dei fori compatibili
con l'incastro della cancellata bronzea che avrebbe chiuso questo spazio.
Questa parte della chiesa sarebbe illuminata maggiormente nel mese di
gennaio, quando si colloca la nascita di Isacco, ulteriore elemento che
corrobora tale interpretazione.
Isacco avrebbe quindi avuto uno spazio separato, ma aperto sul naos, cosa che
avrebbe permesso un rapporto diretto fra il suo sepolcro e le funzioni religiose
che avvenivano nella chiesa, in tal modo avrebbe beneficiato di tutte le
preghiere. Nel typicon erano anche indicate le specifiche preghiere che i
monaci dovevano fare presso il suo sepolcro

Le colonne ed i capitelli sono di spoglio, ma era stata fatta una ridecorazione in


stucco che avvolgeva i capitelli, ma è stata erroneamente considerata un
rifacimento di epoca ottomana ed in gran parte rimossa

Per quanto riguarda la decorazione interna, il typicon parla solo di marmi e di


un mosaico con la scena della Dormizione che si trovava nella controfacciata,
sopra la porta di ingresso.
Vi sono però anche degli affreschi di grande qualità, ma molto deteriorati (sono
stati anche scalpellati), situati tutti nella parte più alta dell'edificio, dato che
nella parte bassa dovevano trovarsi i marmi.
Pareti nord e sud: ospitavano una decorazione su più registri, parte più alta
busti di gerarchi, tra le finestre figure di profeti, figure di santi militari a
mezzobusto, in basso la processione di vescovi con celebranti rivolta verso il
bema che seguiva il percorso liturgico (nei testi sui rotoli vi sono le preghiere
nell'ordine in cui si collocavano all'interno del rito)

Gli episodi cristologici si trovano nelle parti alte, rispettando il principio


gerarchico mediobizantino, ma ponendo i vari elementi in punti non canonici

I busti dei santi militari sono monumentali, hanno grandissimo rilievo


all'interno della decorazione e costituiscono anche le parti meglio conservate. I
volti sono molto caratterizzati con nasi aquilini, sopracciglia folte, occhi
allungati; ogni santo ha capelli e barbe diverse, sono abbigliati con armature
però hanno anche una corona: elemento tipico dell'epoca comnena,
l'aristocrazia comnena era militare e si identificava in questi santi

S. Mercurio identificato come criptoritratto di Isacco; anche altri santi sono


identificati come membri della famiglia comnena (Alessio I Comneno, Giovanni
II).
Quest'ipotesi non è provata, anche perché Giovanni II non viene menzionato
nel typicon dati i rapporti conflittuali tra i due fratelli, ma la somiglianza è
molto evidente

Questi affreschi sarebbero stati realizzati da artisti di Costantinopoli e lo stile


ancora non linearistico come nell'epoca tardo-comnena permette di datarli
all'incirca al periodo della costruzione e non in un'epoca più tarda
Lezione 9 (16 novembre 2021)

Nella Panaghia Ton Chalkeon il committente riprende un motivo tipico di


Costantinopoli perché era un membro della corte imperiale, viveva nella
capitale nonostante fosse di Tessalonica e voleva sottolineare il legame che lui
e la sua famiglia avevano con la corte

La muratura è molto curata e realizzata con una tecnica particolare: tra una fila
di mattoni e l'altra vi è un letto di malta molto alto, di spessore uguale o di
poco superiore a quello dei mattoni. Nelle parti in cui la malta si è staccata
vediamo che nella parte intermedia sotto di essa ci sono altri mattoni, quindi la
malta in realtà non è così alta, ma copre solo i mattoni che sono stati posti più
indietro. Questi mattoni sono però irregolari e rovinati rispetto a quelli visibili,
si tratta di materiale di reimpiego. Gli architetti hanno inventato questa tecnica
per ragioni economiche --> muratura a mattone arretrato o nascosto.
Questa tecnica qui compare in uno dei primissimi esempi, si diffonderà poi
largamente in tutto l'impero nei secoli successivi

L'esterno era in origine decorato con una tecnica particolare: le murature


erano arricchite con piastrelle di terracotta colorata ed invetriata (ceramica che
si usa anche per creare piatti e vasi).
Sotto la cornice di marmo correva un lungo fregio di cui alcuni frammenti si
sono conservati: presentava una decorazione a caratteri pseudo-cufici, la
scrittura cufica è quella araba, qui è finta e non vi si legge nulla, costituisce solo
un elemento decorativo in linea con la moda esotica che si diffonde tra il X e
l'XI sec nella cultura bizantina

Sotto la cupola ci sono 4 grandi colonne che sostengono la parte centrale


dell'edificio. Queste presentano dei capitelli a imposta "a pannelli": a tronco di
piramide rovesciata con 4 pannelli trapezoidali uguali, ognuno decorato con un
motivo ad annodature (un cerchio centrale e 4 nodi laterali, corrisponde al
numero 5 dei dadi).
Questo tipo di capitelli esisteva già nel VI sec, anche se la lavorazione è diversa
(S. Vitale, Ravenna: tecnica a traforo) qui sono lavorati a bassorilievo, sono più
rigidi.
Il motivo decorativo a cerchi annodati è molto diffuso nel periodo medio-
bizantino e si ritrova frequentemente nei pavimenti. Forse i capitelli si
abbinavano alla decorazione del pavimento originario, oggi perduto. Infine
questo motivo si ritrova anche nelle architravi delle porte

Decorazione pittorica: si vede pochissimo, l'interno della chiesa è molto


rovinato, la chiesa è ancora in funzione ed il fumo delle candele ha reso molto
scura la superficie; inoltre gran parte delle pitture è andata perduta, nelle
pareti bianche non ci sono più gli affreschi originari.
Si può però ricostruire abbastanza bene il programma decorativo originario, un
programma gerarchico che inizia dalla parte alta della cupola e poi si
distribuisce in tutte le superfici delle volte e delle pareti della chiesa

Cupola: scena dell'ascensione di Cristo con la Vergine orante al centro


accompagnata da due angeli e gli apostoli che si dispongono in modo circolare
alla base. A centro Cristo seduto in una mandorla su un arco di cielo sollevato
da due angeli --> deriva dal mosaico di S. Sofia a Tessalonica, riprodotto in
modo molto preciso. Questa iconografia rappresenta quindi un elemento tipico
di Tessalonica, si ispira ad una tradizione locale. Però è un elemento arcaico,
perché nelle cupole dell'XI sec si trova il Pantocràtor circondato dai profeti
Guardando i particolari ci accorgiamo che sono opere di notevole qualità, c'è
molta espressività, i visi sono luminosi e arrotondati, gli occhi sono grandi con
le pupille dilatate

Tamburo della cupola: 16 figure di profeti dell'Antico Testamento collocate tra


le finestre (8 registro alto, 8 registro basso). Sono monumentali, raffigurate in
piedi su fondo azzurro. In basso vi è un prato verde e vediamo le ombre delle
figure che si proiettano, il pittore le voleva inserire in uno spazio naturalistico.
Ogni figura secondo l'iconografia tipica dei profeti è rappresentata in piedi e
tiene in mano un cartiglio srotolato con le parole in greco della profezia,
ognuno di loro secondo il cristianesimo ha previsto l'arrivo del Messia.
I profeti sono un elemento nuovo, normalmente in quel secolo nel tamburo
troviamo proprio loro, distribuiti però in un'unica fila

Pennacchi: figure di serafini, angeli con sei ali, simboli della sapienza. Elemento
nuovo, probabilmente ispirato da S. Sofia di Costantinopoli, dai mosaici figurati
che subentrano al programma aniconico dopo l'iconoclastia

Abside: nel catino si ha la Vergine orante, tema canonico delle chiese medio-
bizantine, rappresenta l'incarnazione di Cristo. è affiancata da due arcangeli
rivolti verso di lei con un gesto di venerazione. Il fondo blu ed il prato verde
sono gli stessi della cupola e creano un piano d'appoggio.
Nel semicilindro absidale tra le finestre ci sono le figure di 4 vescovi, tutti santi
di nome Gregorio (di Armenia, di Nissa, Taumaturgo e di Agrigento). Non
sappiamo quale sia la ragione per cui siano stati selezionati 4 santi omonimi, il
committente forse aveva una particolare devozione per loro.
Sono figure molto eleganti rappresentate in piedi sullo stesso sfondo e tengono
in mano un libro gemmato. Attorno al collo c'è l'omophorion, la stola bianca
con croci nere tipica della carica episcopale.
Anche l'abside presenta più piani di finestre, nella parte più bassa ci sono
medaglioni circolari con figure di santi medici, quelli che nella chiesa bizantina
vengono chiamati santi anargiri: senza denaro, intervenivano miracolosamente
però non ricevevano compensi. Questi forse vengono inseriti per proteggere il
committente e la sua famiglia da eventuali malattie. A poca distanza dalla
chiesa c'era però una fonte miracolosa dedicata ai S.S. Cosma e Damiano,
quindi è probabile che la scelta di questi santi faccia riferimento a quella
cappella che all'epoca esisteva ancora

Lungo i lati del bema vi è un'iscrizione frammentaria: compare la parola


catepano e probabilmente diceva che lui e la moglie avevano fatto erigere
questa chiesa per la remissione dei loro peccati. Nella visione medievale e
bizantina dei committenti chiunque spendesse una grande cifra di denaro per
un monumento aveva sempre questa finalità e questo è un elemento
ricorrente nella formulazione delle iscrizioni

Di fronte al catino absidale ci sono due scene della comunione degli apostoli,
Cristo che elargisce loro l'eucarestia fa riferimento a quello che si svolgeva
realmente sull'altare. In una fa la comunione con il vino, nell'altra con il pane.
Quella con il pane è quella meglio conservata, la scena si svolge sotto un
grande ciborio sorretto da 4 colonne tortili che è sopra l'altare, il quale
rappresenta il fulcro della composizione, ha una forma a parallelepipedo, è
coperto da una tovaglia decorata con una croce e al centro vi è un vaso con il
pane.
Gli apostoli sono 6, 3 da una parte e 3 dall'altra, essendo abbinata a quella del
vino se ne hanno 12 complessivamente, nonostante siano due momenti
temporali distinti. Le figure sono molto espressive.
L'iscrizione che accompagna la scena dice: "guardando all'altare del Signore,
immobili ed in trepidazione"; l'emozione di cui si parla è ben tradotta
visivamente negli sguardi degli apostoli.
Queste scene sono tra le prime rappresentazioni monumentali che conosciamo
riguardo a questo soggetto, prima era rappresentato in altre espressioni
artistiche, invece dall'XI sec si troverà frequentemente nel programma absidale
delle chiese.

Codice Purpureo di Rossano Calabro: tetravangelo greco del V-VI sec, la


comunione degli apostoli occupano 2 pagine che si aprono una accanto
all'altra, quindi le due parti si vedono contemporaneamente. Cristo non è al
centro come nella chiesa, ma all'estremità della scena

Patène di argento ritrovate in Siria: nonostante abbiano nomi diversi sono state
ritrovate nello stesso luogo e facevano parte del tesoro della stessa chiesa. In
tutte e due la comunione è rappresentata con l'altare al centro, sopra vi è un
ciborio, ma le due scene fanno parte di un'unica composizione e la figura di
Cristo è sdoppiata, facendo capire che la scena pur essendo unica è composta
di due momenti distinti

Chiesa S. Sofia, Kiev: realizzata da mosaicisti provenienti da Costantinopoli, vi è


il tipico programma gerarchico con Pantocrator nella cupola circondato da
angeli e profeti, evangelisti nei pennacchi, Vergine orante nell'abside e la
comunione nel semicilindro absidale. Qui vi è un elemento nuovo, oltre a
Cristo ci sono due angeli che tengono in mano un ventaglio che veniva usato
durante la liturgia per tenere gli insetti lontani dall'altare

Come in tutte le chiese del periodo il programma iconografico oltre ad essere


gerarchico, dall'abisde in poi prosegue in senso orario

Braccio sud: natività di Cristo, primo episodio evangelico in ordine di tempo.


Iconografia canonica con la Vergine distesa, il bambino, il bue e l'asino, gli
angeli scesi in terra per annunciare l'evento ai pastori (S. Giuseppe è andato
perduto). Lo stile del pittore è lo stesso della cupola. Rimane anche un
frammento dei tre Re Magi che arrivano a Betlemme per l'adorazione.
Dall'altra parte c'è la scena della presentazione al tempio di Gesù, si svolge
sotto un ciborio e ci sono tutti i personaggi della scena (profeta Simeone,
Vergine...)
Braccio ovest: è vuoto, la narrazione doveva continuare, ma è andato tutto
perduto

Braccio nord: anche questo è quasi vuoto, restano solo alcuni frammenti che
fanno capire che c'erano tre scene, l'entrata in Gerusalemme, la Crocifissione e
l'Anastasis (discesa al limbo). L'ultima è la scena nella quale Cristo libera i
progenitori e tutti i personaggi dell'Antico Testamento dal peccato originale,
tutti i personaggi escono dai sarcofagi e proprio in quel punto era collocata la
tomba di Cristoforo, non è un caso, simboleggia la salvezza dal peccato del
defunto committente

Braccio est: ultima scena in ordine di tempo. Suddivisa in due parti, metà a
destra e metà a sinistra, 6 apostoli da un lato e 6 dall'altro compongono la
scena della Pentecoste, discesa dello Spirito Santo. Si tratta di una
composizione rettangolare, lineare, però in genere nelle chiese bizantine è
collocata in una cupola e quindi ha una composizione circolare.
Chiesa di Hosios Loukas: è collocata nella cupola sopra il bema, gli apostoli
sono seduti in circolo, al centro c'è il trono con lo Spirito Santo e le fiammelle
che discendono sugli apostoli

Nartece: rivestito di affreschi su tutte le pareti. Nelle chiese bizantine questo è


un luogo funerario poiché nelle nicchie delle pareti vi venivano collocati i
sarcofagi dei committenti e delle famiglie di essi.
Vi è una grande rappresentazione del Giudizio Universale, è la prima
rappresentazione completa e canonica in ambito bizantino.

Al centro della parete est vi è Cristo al centro su un trono senza schienale, con
le mani aperte per mostrare le piaghe della passione. Nel fondo ci sono le
schiere degli angeli che tengono in mano lance, ai lati di Cristo la figura della
Vergine e Giovanni Battista che compiono un gesto di intercessione (loro tre
formano la deesis, invocazione del perdono per l'umanità, è particolarmente
importante nel giorno del giudizio). Ci sono poi i Cherubini ed i Serafini. Ai piedi
del trono ci sono Eva (vestita di rosso) e Adamo (vestito di bianco) in
proskinsesis.
Ai lati del trono di Cristo ci sono 6 figure per parte sedute su troni, sono gli
apostoli che insieme a Cristo formano il tribunale celeste che giudica l'umanità
nel giorno del giudizio finale.
Questa iconografia sarà seguita per molto secoli, con molte varianti, ma questi
sono gli elementi fondamentali.
Dal trono di Cristo esce un fiume di fuoco che scende verso il basso e va ad
alimentare lo stagno infernale dove soffrono i dannati. Al centro c'è
un'iscrizione e un angelo che spinge i dannati nel lago di fuoco, l'iscrizione è
una citazione del Vangelo di Matteo in cui il Signore condanna i dannati al
fuoco dell'inferno. I dannati sono collocati alla sinistra di Cristo perché è il lato
dei dannati, alla sua destra vi erano i beati che però sono andati perduti

Nella parete ovest vi è la rappresentazione della porta del paradiso con un


cherubino rosso che tiene in mano una spada infuocata, questa
rappresentazione coincide con la porta d'ingresso, come se il fedele entrando
nella chiesa entrasse nello spazio del paradiso. Vi è anche un angelo che
conduce le anime all'interno del paradiso.
Dall'altra parte vediamo Maria ed un personaggio nudo che tiene in mano una
croce, egli è il "buon ladrone" a cui Cristo perdona i peccati mentre si trovava
sulla croce dicendogli che sarà il primo ad entrare in paradiso.
A destra troviamo un angelo in volo che tiene in mano un lungo cartiglio e sta
arrotolando una pergamena azzurra con delle stelle gialle, sta arrotolando il
firmamento come dicono il profeta Isaia e l'Apocalisse di S. Giovanni.
Alle estremità della parete ci sono le personificazioni della Terra e del Mare,
anche questi sono due elementi canonici poiché il giorno del giudizio la terra
restituisce i corpi dei defunti e lo stesso vale per il mare (escono dai
sepolcri/sarcofagi oppure vengono sputati dagli animali che li avevano divorati)

Si può confrontare con altre rappresentazioni del Giudizio Universale in ambito


bizantino dello stesso periodo (XI sec)

Miniatura del Vangelo greco 74 della Biblioteca Nazionale di Parigi: si trova in


un manoscritto dipinto a Costantinopoli verso il 1050-1075. Qui si può vedere
in una composizione unica tutto ciò che nell'affresco di Tessalonica è
frammentario. Nella parte alta troviamo gli stessi elementi, vi è però un
elemento nuovo ossia il trono vuoto attraverso cui passa il fiume di fuoco, è
l'Etimasìa, il trono del giudizio, che si ritroverà frequentemente nelle altre
rappresentazioni. Qui vediamo anche i beati che a Tessalonica sono perduti,
alla destra di Cristo, sono divisi in 4 gruppi, vescovi, governanti, laici maschi e
laici femmine, i quali rappresentano la società cristiana.
Nell'inferno compare anche la figura dell'inferno personificata, Ade, al di sopra
del mostro infernale Leviatàn.
In basso a sinistra manca il buon ladrone, ma vi è la figura di Abramo che tiene
in braccio dei fanciulli che rappresentano le anime dei giusti. Il paradiso è
rappresentato come un giardino pieno di alberi. Al posto dell'angelo c'è S.
Pietro che con le chiavi in mano conduce i giusti all'interno della porta del
paradiso.
Al centro della scena c'è una rappresentazione fondamentale del giudizio che a
Tessalonica è andata perduta: la psychostasìa, la scena in cui l'arcangelo
Michele pesa le anime. Tiene in mano una bilancia sui cui piatti ci sono le
anime di cui vengono pesate le azioni buone e cattive, se quelle buone sono
più pesanti vanno in paradiso, se lo sono quelle cattive vanno all'inferno. Ci
sono anche dei diavoli neri che tirano i piatti verso di loro per far andare le
anime all'inferno, è quindi una lotta tra bene e male.
L'inferno a Tessalonica era molto rovinato, qui invece vediamo che i dannati
sono disposti in 6 compartimenti secondo il Vangelo di Marco

Controfacciata cattedrale di Torcello, VE: è suddiviso in 4 registri sovrapposti, in


generale l'iconografia coincide con quella canonica. Come nella miniatura
abbiamo il trono del giudizio con i simboli della passione, croce, corona di
spine, lancia e spugna.
Nell'inferno compare Ade, un uomo con la barba tutto nero seduto.
Accanto alla porta del paradiso c'è il buon ladrone come a Tessalonica, però ci
sono sia S. Pietro che l'angelo

Icona del Monte Sinai: vi è l'etimasìa, ma il fiume non la attraversa. Adamo ed


Eva ci sono, ma sono entrambi dallo stesso lato. Di diverso c'è inoltre il fatto
che i beati siano 6 gruppi invece che 4. Per il resto contiene tutti gli elementi
canonici

Gli studiosi discutono sulle origini dell'iconografia del giudizio e non è facile
sapere se si sia originata in ambito bizantino o in Europa, questo perché
l'iconoclastia ha distrutto probabilmente le testimonianze più antiche
dell'iconografia orientale, Tessalonica quindi probabilmente non era la prima
Le più antiche testimonianze del mondo bizantino però le troviamo in Grecia.
affresco della chiesa di S. Stefano a Kastorià (X sec): l'iconografia però non è
ancora canonizzata, gli elementi ci sono però non sono ben ordinati
affreschi della Cappadocia, chiesa dei Serpenti (Goreme) e chiesa di S. Giovanni
(X sec)

Il più antico esempio di questa iconografia però si trova in Europa occidentale


ed è l'affresco della controfacciata della chiesa di S. Giovanni a Mustair, in
Svizzera: il monastero era stato costruito tra VIII e IX sec.
Se facessimo riferimento a questo tale iconografia dovrebbe essere nata in
occidente, ma nello stesso periodo in oriente potevano esserci
rappresentazioni in oriente distrutte dall'iconoclastia, quindi non si ha alcuna
certezza

Lo stile delle pitture della Panaghia Ton Chalkeon è omogeneo in tutte le sue
parti, realizzati da una sola bottega in un unico momento. Le figure sono molto
eleganti, la tecnica pittorica è molto ricca, vi sono sfumature e dettagli resi con
raffinatezza. Lo stile è confrontabile con i mosaici di Hosios Loukas, realizzati
all'incirca nello stesso periodo, entrambi hanno proporzioni massicce, grandi
occhi con pupille dilatate, tuttavia nei mosaici si nota nei panneggi un effetto
molto duro e geometrico, mentre negli affreschi si ha una notevole
morbidezza.
Un altro paragone è quello con gli affreschi della cripta di Hosios Loukas, ci
sono delle somiglianze, ma si possono fare le stesse considerazioni di prima.
Gli studiosi hanno cercato confronti anche nella miniatura che illustra i libri di
Costantinopoli nello stesso periodo.
Menologio di Basilio II: linguaggio simile, ma non si ha un'affinità convincente.
Una studiosa russa ha riscontrato le maggiori concordanze nel manoscritto
della Bibbia di Niceta, realizzato a Costantinopoli intorno all'anno 1000: se
paragoniamo il profeta all'angelo di Tessalonica vediamo come ci siano
morbidezza, chiaroscuro, naturalismo, cose che mancano nelle altre
rappresentazioni
Lezione 10 (17 novembre 2021)

Dopo l'anno 1000 anche S. Sofia di Tessalonica è stata oggetto di alcuni


interventi decorativi nella parte interna. Oltre alle modifiche nel catino
absidale (sostituzione della croce con la Teotokos) vengono realizzate una serie
di pitture murali nel nartece, di cui oggi rimane solo una parte, quelli nello
spessore delle arcate, mentre prima si estendevano anche nelle volte e nelle
pareti.
Rappresentano santi, uomini e donne, santi di diverso tipo, ma soprattutto
monaci e asceti, i quali si distinguono per i tratti del viso severi, per le
proporzioni filiformi, per le barbe molto lunghe. Vestono tutti con l'abito
monastico composto da una mantellina di colore marrone che ha alle spalle un
cappuccio, il tucùllion, che può essere sollevato sulla testa o appoggiato alle
spalle. Mostrano i segni di molti danni, in epoca turca vennero eliminati i loro
occhi, è un intervento ricorrente dei musulmani sulle pitture cristiane.
Hanno uno sfondo color lapislazzuli e le aureole sono giallo oro, quindi la
committenza era molto ricca.
Le iscrizioni in bianco su fondo blu hanno una pennellata molto sciolta, eleganti
come le scritture su manoscritto

Questi affreschi secondo gli studiosi greci dovrebbero essere stati eseguiti
dopo il terremoto del 1036-1038

Quasi tutti gli studiosi li paragonano con gli affreschi della chiesa omonima
nella città di Òcrida in Macedonia, come Tessalonica era una sede vescovile
importante e le due città avevano stretti rapporti perché si trovavano nella
stessa area geografica.
La chiesa di Ocrida nella zona del bema ha una decorazione con figure di
vescovi su fondo blu nella parte bassa della parete, hanno le stesse proporzioni
e le stesse barbe lunghe di quelli di Tessalonica. Gli studiosi pensano che i
pittori di Ocrida venissero da Tessalonica e anche se non si trattasse della
stessa bottega, comunque si tratta della stessa epoca e matrice.
Gli affreschi di Ocrida però furono eseguiti su committenza dell'arcivescovo
Leone che regna tra il 1037 ed il 1056, quindi hanno una cronologia più
precisa.
Allora se davvero la somiglianza tra i due affreschi ci può dare un'indicazione
più precisa sulla datazione, gli affreschi di Tessalonica dovremmo porli
orientativamente nello stesso periodo, non oltre la metà dell'XI sec.
Considerando ciò sembra verosimile che anche l'intervento nel mosaico
absidale sia stato fatto durante la stessa campagna di lavori, non avrebbe senso
pensare ad una seconda campagna di lavori nella chiesa in quegli stessi anni
circa

Nel XII sec è stata realizzata un'altra opera in affresco, è molto rara, perché di
questo periodo c'è pochissimo a Tessalonica: si tratta di una grande figura,
un'icona murale di Hosios Loukas, santo monaco taumaturgo. Qui è
rappresentato in un pilastro della basilica di S. Demetrio che non affaccia sulla
navata centrale, ma sulla navata sud. Ancora oggi vi è appesa una lampada che
testimonia l'uso di questa immagine, essa era un'immagine votiva.
è rappresentato in posa orante con le mani alzate, in posizione frontale ed
indossa il tucullion, ma qui il cappuccio è sulla testa.
L'affresco è abbastanza rovinato, ma si può vedere che la figura è slanciata e le
vesti sono rese in maniera lineare

Affreschi realizzati tra fine XII e inizio XIII sec nella chiesa di Hosios David
(questa chiesa contiene il primo esempio di mosaico absidale nella zona
orientale, databile intorno al 500): si trovano sulle volte a botte e sulle pareti
dell'edificio, nonostante i danni se ne conservano alcune parti.
Nel braccio sud ci sono Natività e Battesimo di Cristo, nel braccio nord rimane
la figura della Madonna, Gesù che prega nell'orto del Getsemani, una parte
dell'entrata di Cristo a Gerusalemme. Questi soggetti quindi componevano un
ciclo cristologico secondo il programma tipico medio-bizantino con le 12 feste
della chiesa ortodossa.

Braccio sud (volta a botte): oltre a Natività e Battesimo dovevano esserci nelle
parti basse delle pareti la Presentazione al Tempio e la Trasfigurazione, è
un'anomalia perché nelle chiese in quella parte erano sempre disposte le
figure dei santi che si trovano così nella parte più vicina ai fedeli ed hanno una
funzione devozionale. Tale scelta è dovuta alle ridotte dimensioni della chiesa
che non hanno permesso l'inserimento di tutti gli elementi

La Natività è molto ampia, presenta vari episodi insieme, in alto si ha la roccia


in cui si apre la grotta dove avviene la scena, una cavità scura dove sono
inserite le figure dei protagonisti. Al di fuori della grotta si intravede il cielo, ma
anche altre figure, gli angeli che annunciano la venuta del Messia e un angelo
che parla con i pastori, uno più giovane ed uno più vecchio. Nella grotta in
primo piano vi è Maria distesa, dietro di lei il bambino in fasce nella mangiatoia
assieme a bue e asino. C'è anche un dettaglio iconografico che non si trova
mai, cioè i Re Magi inseriti all'interno della grotta.
In basso S. Giuseppe medita seduto su una sella dando le spalle alla scena della
natività ed al centro con una dimensione più piccola del resto si ha la scena
della lavanda del bambino con le donne che versano l'acqua nella vasca.
Della Presentazione al Tempio riconosciamo una parte del ciborio dell'altare,
elemento tipico di questa scena.
La qualità pittorica è notevole, la Vergine non è frontale e rigida, si poggia sul
materasso ruotando parti del corpo in maniera morbida. I colori sono pastello,
ci sono lilla, celeste, rosa, ma la veste di una nutrice con il turbante è di un vivo
colore purpureo. Giuseppe è in una posa particolare e la sua figura ci fa
apprezzare l'intensità espressiva data alle figure.
La volta a botte presentava una composizione continua, senza cornici, al centro
è ancora visibile un disco che conteneva una rosetta, elemento che divideva
Natività e Battesimo, nonostante lo strato pittorico non abbia interruzioni

Anche l'iconografia del Battesimo è canonica: al centro Cristo nudo immerso


nelle acque del Giordano, a destra le figure degli angeli che sorreggono le vesti,
mentre sulla sinistra la figura magra tipica di S. Giovanni Battista, il quale
guarda in alto perché durante il battesimo nell'episodio evangelico si sente la
voce di Dio e poi la colomba bianca dello Spirito Santo discende. Dietro il
Battista si intravedono una roccia e un albero che accennano al paesaggio,
anche dietro gli angeli c'è una roccia posta in diagonale che converge al centro
facendo concentrare l'attenzione sulla figura di Cristo. All'interno dell'acqua in
basso a sinistra c'è una personificazione di un vecchio tra le onde dell'acqua,
personificazione del fiume

Queste scene si ispirano a delle composizioni dell'XI sec collocate in Grecia, in


particolare a quella di Hosios Loukas
Nel Battesimo in entrambe c'è un albero con un'ascia appoggiata al tronco:
non è un elemento naturalistico, ma ha un valore simbolico, fa riferimento ad
un passo del Vangelo di Matteo in cui si dice che l'albero che non fruttifica è
destinato ad essere tagliato

Lo stile è caratteristico della fase più tarda della pittura bizantina, stile tardo-
comneno: presenta caratteristiche dinamiche
Si possono fare dei collegamenti anche dal punto di vista stilistico con le pitture
della chiesa di S. Pantelèimon a Nerèzi in Macedonia: nella lavanda del
bambino le nutrici hanno un abbigliamento simile (turbante e mantello sulle
spalle), simile è anche la forma del bacile. I volti dei personaggi, con le rughe
disegnate, il modo di realizzare barbe e capelli è molto simile, tuttavia a
Tessalonica si ha il valore aggiunto dell'espressione dell'interiorità

La figura della Vergine ci fa quasi presagire il nuovo stile della pittura bizantina
che si sviluppa nei primi anni del 1200, quello che Kirtzinger ha definito
"volume style", il quale abbandona il linearismo della pittura precedente

Nella scena del Battesimo l'angelo in primo piano ha un effetto dinamico, le


pieghe del panneggio si arricciano e contorcono --> confronto con affreschi
della chiesa di S. Giorgio a Kurbìnovo, esempio emblematico dello stile
dinamico tardo-comneno. Gli affreschi di Hosios David si possono considerare
tipicamente tardo-comneni? Sotto le pieghe degli apostoli di Tessalonica si
vede bene l'anatomia e la rotondità del corpo, mentre a Kurbinovo prevale
l'effetto schiacciato di spezzatura lineare, anche per quanto riguarda luci e
ombre a Kurbinovo sono disposte in maniera più geometrica. Quindi a
Tessalonica si ha lo stile tardo-comneno, ma c'è anche qualcosa di più che
preannuncia quasi il "volume style" e anche se non ne siamo certi l'epoca deve
essere a cavallo tra i due secoli

Passaggio tra XII e XIII sec:


- assedio e conquista di Tessalonica nel 1185 da parte dei Normanni
provenienti da Durazzo. Essi volevano conquistare l'impero bizantino
approfittando della sua debolezza militare e politica, si diressero verso
Costantinopoli, ma non ci arriveranno mai. La conquista di Tessalonica dura
solo pochi mesi perché il generale bizantino Alessio Drakanas riesce in breve
tempo a cacciarli. Questo evento viene raccontato nel poema "La Presa di
Tessalonica" di Eustazio, l'arcivescovo della città
- conquista di Costantinopoli durante la Quarta Crociata nel 1204: si realizza
nell'impero un'occupazione territoriale che durerà fino al 1261, Costantinopoli
diventa la sede dell'Impero Latino e gli altri territori vengono divisi tra i capi
militari che avevano contribuito alla crociata. A Tessalonica si stabilisce un
Regno Latino, un piccolo stato occidentale a capo del quale c'è il marchese
Bonifacio di Monferrato, il personaggio più importante della crociata posto lì
dal doge di Venezia Enrico Dandolo, il quale per evitare intralci al suo potere ha
preferito che a Costantinopoli ci fosse una figura più debole, ossia Baldovino di
Fiandra. Il Regno Latino di Tessalonica dura pochissimo, fino al 1224, anno in
cui viene conquistata dal despota dell'Epiro: i bizantini dopo la crociata si erano
rifugiati in tre territori, Impero di Nicea, Impero di Trebisonda e Despotato
dell'Epiro, quest'ultimo si trova in Grecia (molto vicino a Tessalonica) ed il
despota Teodoro Angelo aveva delle mire espansionistiche, infatti unirà il
Regno di Tessalonica al suo Despotato facendolo arrivare fino al Mar Egeo. La
capitale verrà trasferita a Tessalonica. Il Despotato in questa forma rimarrà in
piedi fino al 1246, quando il Regno di Tessalonica verrà ricompreso all'interno
dell'Impero di Nicea

A Tessalonica non resta nessuna traccia dell'occupazione dei latini, la prima


testimonianza risalente a questo periodo si trova nella basilica della
Achiropoietos e risale agli anni del despota Teodoro Angelo. Tra il 1224 ed il
1246 viene fatto un restauro e vengono realizzati alcuni affreschi che si
aggiungono ai mosaici più antichi, questi sono collocati al di sopra delle arcate
delle navate minori. Rimane traccia di essi soprattutto nella navata sud,
vennero scalpellati e ricoperti di intonaco nel 1430 quando la chiesa venne
trasformata in moschea.
Non è un ciclo narrativo, ma sono i 40 martiri di Sebaste rappresentati
alternati, in piedi in corrispondenza delle colonne e a mezzobusto dentro
medaglioni in corrispondenza degli archi. Il fondo è blu scuro e i medaglioni si
alternano dal punto di vista cromatico (sfondo rosso/sfondo verde).
All'inizio della navata vediamo che sul fondo della parete sono rappresentati
dei candelabri, che segnano l'inizio e la fine del ciclo. La figure sono
monumentali e non lineari come in epoca tardo-comnena, qui rientrano nella
nuova corrente dello stile volumetrico

Nel 1261 dall'Impero di Nicea partirà un'offesa militare da parte


dell'imperatore Michele VIII Paleologo che condurrà alla riconquista di
Costantinopoli con l'aiuto della Repubblica di Genova che metterà a
disposizione la sua flotta. Avevano interesse nell'aiutarli perché volevano
prendere il posto di Venezia nelle vie commerciali marittime del Mediterraneo
orientale, fino a quel momento monopolio esclusivo della Repubblica di
Venezia.
I bizantini riprendono quindi possesso dei territori occupati e si forma un
nuovo impero che mette insieme i pezzi rimanenti di un territorio che prima
era più vasto: parte ovest dell'Asia Minore, la Tracia (con Costantinopoli) e
tutta la Grecia e le isole del Mediterraneo (Creta e Rodi)

A Tessalonica sotto i Paleologi, in particolare nei primi 100 anni, c'è un periodo
di grande splendore e fioritura artistica che pone la città e le sue maestranze al
centro di un fenomeno di irradiazione: gli artisti di Tessalonica vengono
chiamati a lavorare in territori anche esterni all'impero bizantino (Regno di
Serbia). Diventa il centro artistico più importante dei balcani

Intorno al 1280 a Tessalonica vengono costruite molte chiese e la città vive un


periodo di rinascita. Quelle che ancora esistono sono solo una parte di quelle
realizzate.
Un bizantinista americano, Raltman, ha studiato la committenza di Tessalonica
in quel periodo ed ha delineato le caratteristiche di questo fenomeno di
patronato artistico, il quale è diverso da quello che si aveva a Costantinopoli
nello stesso periodo. Egli fa dei conti e afferma che mentre nella capitale su 27
monasteri costruiti 25 sono da attribuire alla committenza degli imperatori o
dell'aristocrazia (laici, membri della corte imperiale), a Tessalonica invece gli
edifici sono commissionati più da esponenti del clero, mentre i laici aristocratici
della città preferiscono investire le loro risorse a Costantinopoli.
Tra le due città c'è anche un'altra differenza: a Costantinopoli le nuove
costruzioni non sono costruite da zero, sono restauri (o ampliamenti) di edifici
più antichi che già esistevano, ma erano stati abbandonati e avevano bisogno
di essere riparati. A Tessalonica invece sono tutte costruzioni nuove

Uno dei primi monumenti in ordine di tempo è il Parekklesìon di S. Eutimio


nella basilica di S. Demetrio: piccolo edificio aggiunto, viene attaccata al
braccio destro del transetto della chiesa. Ha una forma basilicale, diviso in 3
navate separate da 3 colonne e presenta un'abside. Non ha però un ingresso
indipendente, è comunicante alla basilica.
Venne costruito intorno al 1302-1303 ed è dedicato a questo santo che è il
fondatore del monachesimo palestinese.
Le colonne interne sono tutte di spoglio, prese da edifici più antichi.
L'importanza di questo edificio non è però nell'architettura, ma nel ciclo
pittorico che riveste completamente l'interno. La conservazione è discontinua,
alcune parti hanno risentito degli interventi in epoca turca, ma la qualità è
molto elevata.
Nella navata nord vi è un'iscrizione dedicatoria che ci dice quali fossero i
committenti: Michele Ducas Glabas Tarchaniòtes, il generale a capo della
guarnigione di Tessalonica, e la moglie Maria Ducena, imparentata con la
famiglia imperiale dei Paleologi. La committenza di questa coppia tiene conto
di entrambi i personaggi, anche della donna, e questo è dichiarato
nell'iscrizione

I programmi iconografici sono ricchissimi nonostante il pochissimo spazio a


disposizione, viene sfruttato tutto

Abside: nel catino vi è la Vergine col bambino seduta su un trono, circondata da


due angeli in adorazione. Il trono è circolare e avvolge al figura, si tratta di un
elemento tipico dell'epoca paleologa e infatti si ritrova in alcune delle icone più
importanti dipinte a Costantinopoli alla metà del XIII sec (Madonna Mellon:
prende il nome dal collezionista americano che l'ha acquistata, oggi è
conservata a Washington).
In basso si intravedono le figure dei padri della chiesa vestiti con il
polystadrion: abito bianco ricoperto di croci nere. Assieme a loro ci sono anche
santi vescovi.

Arcata del bema: 6 figure di apostoli sedute in trono da un lato e sei dall'altro,
rappresentano la scena della Pentecoste

Pareti del bema: scena della comunione degli apostoli, si trova nella posizione
tipica, è divisa in due parti e l'iconografia qui è dinamica, ma è circa la stessa: 6
figure di apostoli in corteo si avvicinano all'altare dove sotto al ciborio sta
Cristo che versa il calice/spezza il pane. Dietro gli apostoli c'è la figura di un
angelo, nel periodo mediobizantino è consueto che vengano aggiunti come
fossero assistenti di Cristo nel celebrare l'eucarestia

Accanto all'altare, in corrispondenza dei due pilastri, un tempo si collocava


l'iconòstasi: oggi non abbiamo più quella originale, ma doveva essere come
quella che sta nella chiesa di S. Panteleimon a Nerezi (con plutei di marmo,
colonnine ed architrave con le immagini).
A sinistra e a destra sui pilastri troviamo i santi più importanti, S. Demetrio e S.
Eutimio, titolari di basilica e cappella
Sopra l'abside: scena dell'annunciazione con Maria a destra seduta su un trono
circolare e a sinistra l'angelo. Al centro in un disco di colore bruno abbiamo il
mandylion: impronta del volto di Cristo vivo, il re Abgar di Edessa era molto
malato e aveva sentito parlare dei miracoli di Cristo e quindi voleva essere
guarito, però non poteva andare a Gerusalemme, perciò manda un pittore per
fare il ritratto di Cristo, portarlo ad Edessa e tentare la guarigione. Il pittore
però non riesce a riprodurre le fattezze di Cristo, è scoraggiato, per cui Cristo si
lava il viso, lo asciuga con un asciugamano e su di esso lascia un impronta.
Questo asciugamano viene portato ad Edessa, è un'immagine miracolosa, non
fatta da mani umane, Abgar guarisce ed esso diventa una reliquia. Mandylion
vuol dire asciugamano in greco.
La città ad un certo punto viene invasa dai persiani e gli abitanti per paura che
il mandylion vada distrutto lo mettono in una nicchia sopra una porta della
città e lo murano con dei mattoni per proteggerlo. Quando la città è libera
vanno a recuperarlo e quando rimuovono i mattoni si accorgono che l'impronta
del volto di Cristo si era stampata sui mattoni, nasce così una seconda reliquia,
il keramion (perché era fatto con la terracotta dei mattoni).
Nell'iconografia bizantina questi elementi sono rappresentati frequentemente

Navata centrale: due registri di pitture, rappresentano le 12 feste ortodosse e


la vita pubblica di Cristo

Navate laterali: nella parte bassa un velario, nella parte alta le figure di santi
(come di norma). Più in alto c'è il ciclo agiografico dedicato al santo titolare, S.
Eutimio. Si tratta di un ciclo molto ricco.
Parete con il santo che davanti all'altare, sotto un ciborio, celebra la messa
affiancato da un diacono e alcune persone assistono.
Accanto vi è la scena del santo che guarisce un indemoniato, uno degli episodi
miracolosi della sua vita.
Vi è anche l'episodio della kòimesis, la morte di S. Eutimio, circondato dai
fratelli che lo piangono. Egli è disteso su un tappeto di paglia intrecciata,
materiale povero tipico della vita monastica, presenta una barba molto lunga
che indica la sua vecchiaia e sul petto vediamo appoggiata un'icona di Cristo
Pantokràtor, riprodotta con pennellate monocrome.
L'iconografia della morte dei santi si ispira direttamente a quella della morte di
Maria (Icona di Santa Caterina al Monte Sinai, XII sec: elementi in comune sono
la posizione della figura del santo ed il fatto che è circondato come la Vergine
lo era dagli apostoli)
Sottarchi della navata: altre figure di santi a mezzobusto, figure molto austere e
severe

Questo ciclo si inserisce in un contesto più generale, quello della pitture


bizantina in area macedone.
La cosiddetta "scuola macedone" è legata ad alcune figure di grandi pittori che
lavorano anche in territori molto lontani. I più famosi artisti di questo periodo
erano i Tessalonicesi Michele Astrabàs ed Eutichio, i quali lavoravano insieme
in un'unica bottega e realizzarono decine di chiese a Tessalonica e anche in
Serbia, diventando lì tra gli artisti più richiesti. Astrabàs è un soprannome ed in
greco significa "fulmine", ha a che fare con la velocità con cui egli dipingeva.
Loro realizzarono la chiesa di S. Clemente a Ocrida (1294-1295) e la chiesa di S.
Giorgio sempre in Serbia (1317, firmata a datata). Questi pittori lavorarono
insieme per circa 25 anni.
Un altro pittore tessalonicese molto famoso è Manuele Pansèlinos che lavorò
al Monte Athos intorno al 1300. Di lui però non si hanno tante notizie, mentre i
precedenti hanno lasciato le loro firme in molti affreschi

Le pitture di S. Eutimio sono dunque posteriori a quelle di S. Clemente a


Ocrida, ma confrontando alcune scene vediamo evidenti somiglianze
nell'iconografia e nello stile. Nonostante non troviamo firme, è probabile che
fosse un'opera di Michele Astrabàs ed Eutichio, in uno dei periodi in cui
rientravano in città e lavoravano lì. Hanno probabilmente accolto l'invito di
questi due committenti importanti

Maria Ducena una volta rimasta vedova si ritirò a Costantinopoli, nel


monastero di Santa Maria Pammakàristos, prendendo il nome di Marta
(cambiare nome era una consuetudine degli aristocratici bizantini che si
ritiravano in monasteri, conservavano però l'iniziale del nome). Non viveva
però nelle celle come le altre suore, stava nel suo monastero di famiglia ed
attorno a lei vi era una forte attività culturale, tanto che le iscrizioni del
monastero sono state composte da un famoso poeta di quel periodo. Il
Parekklesìon di questo monastero era la cappella funebre dove era sepolto il
marito
Seminario 7 (23 novembre 2021) – prof. Alessandro Taddei

Mistrà e i suoi monumenti tra il 1261 ed il 1460

Non si tratta di un periodo circoscritto della città, ma della sua intera vita in
epoca bizantina, questo perché Mistrà è una città nuova

Mistrà è un nome che nasce in ambito italiano, il vero nome della città era
Myzitras, che probabilmente deriva dai dialetti interni del Peloponneso in cui
l'elemento slavo ha un forte peso, non è un nome greco classico.
Quello però è il nome con cui la città era conosciuta a livello locale, a livello di
fonti letterarie e documenti ufficiali viene invece chiamata con il nome
dell'antico centro che sorgeva in quella zona, ossia Sparta

Questa città si trovava al centro del Peloponneso e l'evento storico che ne ha


determinato la fondazione è la battaglia di Pelagonia, scontro militare che si
svolge molto più a nord in cui la dinastia paleologa dell'Impero di Nicea
affronta i franchi che dal 1204 avevano occupato tutti i territori della Grecia
centrale e meridionale. A vincere sarà Michele Paleologo, pretendente al trono
di Costantinopoli che in quel momento non esisteva più, ma si stavano creando
le condizioni per cui venisse restaurato. Nel 1261 farà reinsediare l'impero
bizantino nella capitale, mettendo fine all'Impero Latino di Costantinopoli.
Una delle conseguenze della battaglia di Pelagonia è la restituzione da parte di
una dinastia della nobiltà locale di alcune fortezze del Peloponneso ai bizantini,
perché uno dei prigionieri illustri di questa battaglia era Guglielmo II di
Villehardouin, fondatore di una delle fortezze. Michele VIII quando
quest'ultima gli venne restituita, capisce le potenzialità del luogo e decide di
fondare una nuova città: Mistrà.
Si trova in un'area considerabile come provincia dell'impero, caratterizzata
però ancora da un sistema feudale di tipo occidentale che è diffuso nell'intero
Peloponneso. La fondazione di Mistrà serve proprio a riconquistare questo
territorio.
Tale conquista si concretizza in circa un secolo e così si giunge all'inizio del XV
sec alla riunificazione del Peloponneso sotto l'impero bizantino, che rimarrà
tale fino alla conquista dei turchi ottomani del 1460

Mistrà quindi all'inizio è una città provinciale, ma ci sarà una svolta negli anni
successivi al regno di Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1355) ed è legata al fatto
che l'usurpatore, esterno alla dinastia dei Paleologi, quando smette di
governare si ritira proprio a Mistrà, sottraendosi alle probabili vendette della
dinastia legittima.
Egli non sceglie però una città isolata, Mistrà nel frattempo era diventata
piuttosto importante e comanda un territorio significativo all'interno del
Peloponneso. Giovanni poi regalerà la città a suo figlio Manuele, il quale
diventa una sorta di governante semi-autonomo: fino a quel momento Mistrà
aveva avuto solo governatori inviati da Costantinopoli, da quel momento
invece applica una politica autonoma, obbedisce solo formalmente alla
capitale.
Manuele Cantacuzeno infatti attuerà una pacificazione con i territori circostanti
ed una politica di accordi con i signori francesi che ancora occupano gran parte
delle città del Peloponneso. Riconquistare culturalmente quei territori diventa
l'obiettivo primario di questo primo despota

Una seconda figura chiave per la città di Mistrà è quella di Manuele II: tutti lo
conosciamo come imperatore bizantino, ma egli all'inizio della sua lunga
carriera ha passato molti anni nella città di Mistrà per imparare a governare,
collocatovi dal padre per far si che i vecchi despoti Cantacuzeni non avessero
un futuro locale. Con lui nei primi anni del '400 infatti Mistrà rientrerà
nell'influenza della dinastia Paleologa.
Come aveva fatto suo padre in passato, anche Manuele II designerà il suo
secondo figlio Teodoro (quello non destinato a succedergli come imperatore)
despota di Mistrà

L'autorità centrale di Costantinopoli doterà quindi regolarmente Mistrà di un


governatore scelto dall'imperatore in carica e questo da un'idea di quale
importanza avesse questa città

Mistrà si sviluppa su un territorio non pianeggiante, le altre città invece erano


fondate in pianure per poter espandere infinitamente il centro urbano. Questo
accade perché Mistrà era innanzitutto una fortezza e al di sotto di essa
comincia a svilupparsi l'abitato, in due fasi:
- città alta, nasce in collegamento con la fortezza e si sviluppa in un territorio
limitato in cui il fulcro è rappresentato da una sede governativa (8) organizzata
dopo il 1258 (verrà poi chiamato Palazzo dei Despoti). Questa sede si evolverà
notevolmente nei secoli a venire
- città media e bassa, si sviluppano attorno al polo della chiesa episcopale e agli
edifici ad essa pertinenti (2). La vicinanza con il polo ecclesiastico fa si che
questa parte della città venga riempita di istituzioni monastiche di fondazione
aristocratica, di grande prestigio e di tipo fortificato. Quest'ultima è una
caratteristica peculiare, legata al fatto che la città è nata per riconquistare
territori e deve quindi dotarsi di un sistema di autodifesa efficiente in ogni
nucleo, di un approvvigionamento idrico (infatti è piena di cisterne)

Il sistema di mura è semplice, fatto a doppio guscio: cinta muraria completa


nella città alta, con delle porte fortificate; cinta muraria nella città bassa, più
estesa e complessa, che doveva servire a fermare eventuali assalitori che
potevano essere i feudatari francesi ancora presenti o le popolazioni di etnia
slava grecizzate che però ancora vivono in uno stato di disordine e si pongono
contro l’autorità costituita

Fortezza: è l’unico monumento non bizantino di questo insediamento.


Apparteneva a Guglielmo II di Villehardouin che si riscatterà dopo essere stato
rapito durante la battaglia di Pelagonia proprio cedendola.
È un castello molto organizzato e anche imprendibile, essendo costruito su uno
sperone di roccia viva

Dopo la conquista ottomana Mistrà continua ad essere economicamente


importante, solo durante il XIX sec conosce una piccola forma di
spopolamento. E nel 1955 gli abitanti rimasti verranno spostati in maniera non
molto volontaria nella nuova città di Sparta a pochi chilometri, perché Mistrà
deve diventare un sito musealizzato (quello che in Grecia si definisce una serie
di monumenti storici da conservare).
Questo tipo di gestione del territorio ha consentito di salvare non solo gli
edifici principali, ma anche l’edilizia residenziale, con un buono stato di
conservazione. È una cosa molto rara, c’è qualche elemento in più di epoca
tardobizantina rispetto a quelle paleobizantina e mediobizantina, ma in
generale si ha molto poco

A Mistrà sono presenti due tipologie abitative:


- le case dei ricchi: case signorili che si sviluppano su tre piani, pianterreno di
servizio, primo piano destinato alla vita quotidiana, secondo piano di
rappresentanza dedicato ai ricevimenti ufficiali
Casa di Làskaris: era addossata alle pendici della fortezza e questo succede
quasi sempre, così vengono inserite le case nel tessuto urbano. Per ragioni
statiche utilizzano la roccia e sono dotate di ampi passaggi al pianterreno che
sono coperti e favoriscono la viabilità permettendo di spostarsi anche al di
fuori delle poche strade che vi sono nella città (sono passaggi pubblici e questo
concetto deriva dalla cultura occidentale)

Queste case hanno l’aspetto di fortezze perché fino all’arrivo di Manuele


Cantacuzeno la città è circondata dai nemici e anche le case dovettero dotarsi
di elementari sistemi di fortificazione.
Nelle fasi successive questa necessità non vi è più, la politica di pacificazione
porta anche a cambiamenti nell’architettura
Casa di Frangopoulos: residenza del XV sec, molto più semplice, dotata di soli
due piani senza torrette e bastioni difensivi

- le case delle persone del ceto medio

Dalle caratteristiche e dalla disposizione di questi edifici ricaviamo che Mistrà


era una città densamente abitata e non sparsa come vediamo oggi.
Le case si sviluppano in altezza

Palazzo: fino a pochi anni fa era in rovina, ora è stato restaurato mediante un
processo chiamato anassimosi (ripristino e ricostruzione totale dell’edificio), un
metodo che in Italia non si usa, mentre in altri Paesi va per la maggiore e negli
ultimi anni sta sempre più prendendo piede

L’architettura di questo complesso ha un linguaggio non del tutto bizantino, in


parte è europeo, occidentale

Fasi costruttive:

1. edificio unico di matrice gotica, realizzato sicuramente da maestranze


francesi già al tempo di Villehardouin. Si trattava di una dipendenza del castello
che in epoca bizantina viene riconvertita nel nucleo originario del palazzo
governativo dei despoti
2. il nucleo iniziale non basta più, viene aggiunto un edificio che ha
inizialmente funzioni di servizio e mostra un’architettura che è più vicina allo
stile bizantino (arco a tutto sesto).
Committenza dell’imperatore Andronico II (ancora non vi è la figura del
despota), egli tiene molto a Mistrà ed intende potenziarla. Siamo tra fine XIII
ed inizio XIV sec

3. primo intervento despotale, Manuele Cantacuzeno aggiunge un’ulteriore


ala, abbastanza limitata che ha l’aspetto di un palazzetto occidentale

4. l’intervento più grandioso si deve però a Manuele II Paleologo, negli anni di


residenza a Mistrà nel 1391-1394/95 creò un’ala ortogonale rispetto al nucleo
antico. Si tratta di un grande spazio la cui funzione non è ancora oggi chiara, si
ipotizza fosse una piazza d’armi sul modello italiano, ma non si basa su dati
precisi delle fonti.
È un edificio su più piani che erige sulla base di modelli sia italiani che
autoctoni (palazzo di Giovanni III Doukas Valatzes a Nymphalon, Turchia – egli
aveva legami con l’occidente e si era fatto costruire un palazzo con questo stile
un secolo prima circa)

Gli elementi architettonici che usa poco hanno a che fare con il mondo
bizantino: finestre, pareti con grandi aperture ad arco ribassato, oculi che
danno luce alla grandissima sala che doveva colpire chi veniva ricevuto.
Era come se a Mistrà ci fosse una seconda Costantinopoli, tutta questa
grandiosità deve imitare l'idea del palazzo imperiale di Costantinopoli (che in
quegli anni non c'è più), delle residenze imperiali e del palazzo delle Blacherne
che invece esiste ancora, almeno ideologicamente Mistrà diventa una seconda
capitale

Questo vale non solo per il palazzo, per le difese dell'area del palazzo o per
quelli che si possono considerare gli ambienti dipendenti dal palazzo dei
despoti: questo discorso vale anche per gli edifici ecclesiali, che rappresentano
uno dei tratti distintivi più importanti di Mistrà. Sono molti e ben conservati,
ma hanno tratti particolari

Nel 1261 la città diventa sede episcopale, sulla base di una traslazione di poteri
dall'antica sede episcopale della zona, ovvero Sparta
Nonostante non sia più diffuso in quel periodo, a Mistrà viene adottato il tipo
basilicale, scelta inaspettata per una città nuova. Ideologicamente però questa
città non nasce da zero, è la nuova Sparta.
La chiesa episcopale di Sparta, Hosios Nikon (dedicata a S. Nicone, santo
monaco itinerante del X sec) è una chiesa basilicale, tardoantica ed essa viene
presa come modello proprio a causa del trasferimento della sede episcopale
(ideologicamente dovevano trasferire anche l'aspetto di tale sede).
Le tre chiese più importanti di Mistrà, S. Demetrio (chiesa episcopale), Vergine
Odighitria e Vergine Pantanassa, sono delle basiliche. Esse però vengono
adattate, hanno tutte un piano rialzato con una pianta diversa, più simile al
tipo della chiesa a croce greca inscritta, quindi si ha una mescolanza tra le due
architetture. Questo si spiega perché comunque l'impianto basilicale è sentito
fuori moda e la parte superiore viene aggiornata

Chiesa episcopale: dedicata a S. Demetrio, santo scelto da Michele VIII


Paleologo come patrono, dato che era un santo militare come lo stesso
imperatore.
Il cantiere viene iniziato dal primo metropolita Eugenio dopo il 1262 e verrà
completato dal vescovo Teodosio che governerà la sede episcopale dal 1272 al
1283 facendo scelte politiche molto precise, egli è filoccidentale ed è uno degli
uomini che Michele VIII sfrutta a favore della riunificazione delle chiese
occidentale ed orientale. Egli era nella minoranza di coloro che tentavano di
rimediare allo scisma del 1054. Con lui il lavoro è quasi terminato ed egli si fa
anche raffigurare nella decorazione pittorica dell'abside in atto di prostrarsi di
fronte alla Vergine con il bambino.
La sua immagine però sarà cancellata da uno dei suoi successori, Niceforo,
vescovo che la pensa al contrario rispetto a lui, deciso assertore della divisione
fra le chiese e della ereticità della chiesa romana (Michele VIII era morto e la
politica era cambiata, anche quella dei vescovi). Egli fa scialbare l'immagine del
predecessore e all'interno dell'edificio si preoccupa di incidere sulle colonne
una serie di epigrafi che parlano della costruzione dell'edificio, come se
l'avesse fatto fare lui. Dice di essere lui il fondatore, cancellando la memoria di
Teodosio

Nella decorazione la scelta iconografica è tradizionale, non ci sono forme di


innovazione se non in piccoli casi.
Nartece (realizzazione di Teodosio): nella volta a botte si ha la scena della
preparazione della seconda venuta di Cristo, con il trono vuoto, le scritture
chiuse e gli angeli che si dispongono da entrambe le parti. Questa scena si
trova in tantissime altre chiese di epoca mediobizantina.
Le pitture fatte da Niceforo sono quelle delle navate laterali, pannelli, clipei con
immagini di santi che sono frutto di una pittura molto più rapida e di bottega. Il
suo intento era quello di dare l'ultimo tocco all'ambiente, ma non sarà l'ultimo
perché successivamente ci sarà uno stravolgimento: nella basilica a 3 navate
con il tetto di legno probabilmente a capriate (52m...) decide di ricostruire la
porzione superiore come fosse una chiesa a croce greca inscritta. Si crea così
una specie di ibrido che conosciamo con il termine tecnico di "tipo Mistrà".
In realtà non è il primo caso a Mistrà, ce n'è uno più antico e questo dimostra
la volontà di Matteo di aggiornare la chiesa a quella che era una moda locale.
Queste chiese non possono avere un tetto normale, ma devono presentare una
cupola, quindi anche questa viene rifatta completamente nella parte superiore
e dotata di cupola. L'effetto è profondamente incongruo, ma per loro è
qualcosa di obbligato.
Matteo diventa talmente famoso che in una delle tante tradizioni popolari
negli ultimi anni dell'impero bizantino viene messo in relazione all'elezione
dell'ultimo imperatore in assoluto, Costantino XI (senza fondamento però, dato
che tale elezione avviene nel 1448 quando egli era già morto)

Non esistono solo basiliche a Mistrà, ci sono esempi molto rari di edifici di altro
tipo.
Uno degli edifici più antichi della città è il Monastero del Brontòchion: è
fortificato, aveva due chiese, quella più antica e poi quella che la sostituirà.
Edificio molto particolare perché molto legato al territorio, probabilmente
fondata da un certo Daniele (di cui non si sa nulla) insieme a Pacomios, che
sarà anche abate di questo monastero.
Chiesa a pianta centrale basata su un naos quadrato che però andando verso
l'alto ha delle trombe angolari che sorreggono una cupola centrale molto larga
con un pesante tamburo. Queste sperimentazioni architettoniche non sono di
Mistrà, risale a molti anni prima (primi anni dell'XI sec, chiesa del monastero di
Hosios Loukas), ma la chiesa dei S.S. Teodori ne copia uno più vicino e recente
nella città di Monemvasìa (chiesa episcopale, costruita dopo il 1250 con
dedicazione a S. Sofia)

Gli affreschi della chiesa dei S.S. Teodori sono mal conservati, ma abbiamo
delle figure di santi militari (in linea con la dedicazione della chiesa, a grandi
patroni delle forze armate) tra cui Demetrio, Nestore.
Sui due pilastri delle arcate del bema doveva esserci l'annunciazione, ma come
spesso accade in queste chiese, di cui rimane solo l'arcangelo Gabriele

La seconda chiesa di questo monastero viene costruita per soddisfare le


aspirazioni, perché il monastero vuole dotarsi di un edificio rivoluzionario: è
qui e non nella chiesa episcopale infatti che si sperimenta per la prima volta il
Tipo Mistrà.
La chiesa dedicata all'Odighitria è una basilica solo al primo piano e al piano
superiore diventa chiesa a croce greca. Iniziata nel 1309, i lavori durano circa
20 anni e verrà finita da Pacomios (che nel frattempo era arrivato al culmine
della gerarchia ecclesiastica con una carica che sta appena sotto il patriarca,
per poi ritirarsi a Mistrà come monaco). All'interno era rivestita di marmi, cosa
rara per Mistrà, da tutti i punti di vista vuole richiamare Costantinopoli, anche
per le 5 cupole nella parte superiore.
Oggi l'interno è manchevole, tutti i marmi della parte superiore sono stati
saccheggiati.
La citazione non è solo limitata alla dedicazione, ma vi è anche nella scelta dei
temi iconografici: entrando nella navata centrale si trova una scena rara, la
Vergine Zoodochos Pege "fonte di vita" (si pronuncia zòdocos pighì).
L'imperatore Andronico II aveva potenziato a Costantinopoli
contemporaneamente alla costruzione di questa chiesa il culto di questa
Vergine, la quale si trova anche nel monastero di Chora del XIV sec. Questa
Vergine era anche titolare di un importante santuario di Costantinopoli,
fondato e arricchito alla fine dell'VIII sec ed ulteriormente potenziato da
Andronico II. Pacomios cita ciò che avviene nella capitale per avere a Mistrà
una piccola Costantinopoli.
Tutte le nicchie al piano inferiore, contenenti gli affreschi dei dottori della
chiesa, prima avevano anche delle cornici marmoree policrome create con una
tecnica particolare e complessa in modo che avesse rapporti con gli affreschi.
Affresco dell'ascensione sulla volta del bema: non si trova sempre questo
tema, qui si è scelto di rappresentare Cristo nel cerchio di luce nel momento in
cui viene portato in cielo dagli angeli e gli apostoli guardano la scena in uno
spazio che ha il punto di maggiore visibilità di tutto l'edificio, essendo una volta
molto ampia

In questa chiesa, nonostante il precario stato di conservazione, si cominciano a


notare elementi di evoluzione della pittura verso gli elementi tipici del periodo
paleologo, quali la costruzione di grandi scenari naturali.
Natività e Adorazione dei Magi: scena doppia, come spesso accade è costruita
insieme ed è costruita su un paesaggio estremamente mimetico ed
illusionistico, tanto da raffigurare Maria con il bambino in fasce all'interno di
una vera e propria grotta, non strutture bidimensionali.
Trasfigurazione: raffinatezza nella veste del Cristo e scelta attentissima di una
gamma cromatica sobria, diversa dalla chiesa precedente, segno che a Mistrà
stanno iniziando a lavorare botteghe di livello maggiore rispetto a prima e
Pacomios aveva anche contatti con Costantinopoli, quindi forse fa venire anche
maestranze da lì.
Sottarco: queste maestranze riescono a realizzare decorazioni di tipo non
figurale in modo eccelso, con molte sfumature e composizione perfetta.
Le pareti del piano inferiore come da tradizione ospitano i ritratti dei dottori
della chiesa a partire dall'abside e questi si estendono anche sulla navata
centrale in modo da avere più spazio e più figure rappresentate.
Nel nartece si hanno alcuni episodi della vita di Cristo, in particolare i miracoli:
la guarigione del cieco nato, la guarigione dell'emorroissa. Anch'essi sono
impaginati a due episodi per volta, quindi si inizia a ragionare su un tipo di
pittura che è narrativa e che anche in questo caso si avvale di un dettagliato
scenario

In questa chiesa abbiamo anche una serie di cappelle, in cui però lo stato di
conservazione è pessimo.
In una avevamo un ritratto di committente, di Teodoro I, figlio di Manuele II,
monaco finanziatore dell'impresa. Probabilmente era sepolto qui e non si ha
altro a parte questi frammenti, che però sono importantissimi poiché
costituiscono un esempio di ritratto della committenza dell'aristocrazia locale,
del livello più alto che era proprio il despota.
Un'altra cappella era quella delle "crisobolle": si chiama così perché si decide di
affrescarla con un solo soggetto figurato nella volta a crociera (Ascensione di
Cristo), mentre le pareti vengono campite con la restituzione dei 4 privilegi
imperiali che il monastero ricevette nel corso del tempo, fonte della sua
ricchezza e della sua legittimità

Chiesa di S. Sofia: dimensioni piccole, ma si può considerare la cappella del


palazzo despotale. Fu costruita da Manuele Cantacuzeno, il primo despota e
non è una basilica, ma una chiesa a croce greca inscritta con due pilastri e due
colonne che sorreggono la cupola, "tipo a 2 colonne".
La scultura che la decora è di reimpiego, a Mistrà le botteghe di scultori sono
praticamente assenti, quindi si recupera scultura saccheggiando edifici più
antichi abbandonati.
La pavimentazione è invece originale e si inserisce nella lunga tradizione di
pavimenti marmorei molto diffusi nella Grecia centrale, una vera e propria arte
locale che dura dal X sec circa. Generalmente sono organizzati a spazi
geometrici con clipei, realizzato usando frammenti di marmi come porfido,
verde antico, pavonazzetto, giallo antico che erano nella disponibilità dei vari
cantieri

Chiesa della Peribleptos: dedicazione tipica di Costantinopoli, 300 anni dopo


che Romano III ha costruito l'omonima chiesa nella capitale. Questo nome
contiene un’ambivalenza, la Vergine è sia "omniveggente" sia splendida tanto
da essere visibile da ogni parte.
A differenza di quella di Costantinopoli non è una chiesa sopraelevata, ma in
parte scavata nella roccia.
Nonostante sia stato fondato da Manuele Cantacuzeno, è la moglie ad aver
avuto gran parte della responsabilità nel progetto, Isabella, erede di una
dinastia di origine francese che regnava in Armenia e Cipro, perciò dette
all'edificio caratteri occidentali (ci sono elementi gotici). Isabella si firma con il
monogramma greco, come l'aristocratica greca che si sente di essere.
Questa piccola chiesa monastica doveva diventare la chiesa di famiglia e dopo
la morte di Manuele ed Isabella ed il rientro del Despotato di Mistrà nel
dominio della dinastia legittima è stata anche qui cancellata la memoria della
coppia, distruggendo quasi tutti gli stemmi.
In questa chiesa troviamo un ciclo di affreschi con una scena dell'Incredulità di
Tommaso all'interno della navata centrale

Nel 1428 Giovanni Frangopoulos erige un altro monastero dedicato alla


Vergine Sovrana Del Mondo con caratteri diversi dalla tradizione precedente.
Il ciclo di affreschi è il più raffinato di Mistrà, si aggiorna rispetto a
Costantinopoli e che segna ciò che avrebbe potuto essere la rinascenza
culturale della città se non fosse stata conquistata dai turchi 20 anni dopo
Seminario 8 (24 novembre 2021) – prof. Lorenzo Riccardi

Le città tardobizantine in Grecia: Arta

Dopo la Quarta Crociata la corte bizantina trova rifugio disperdendosi sul


territorio dell'ex impero, in particolare a Nicea (poco distante da
Costantinopoli) e nell'area corrispondente all'attuale Albania e Grecia centro-
ovest. Qui si trova il Despotato dell'Epiro, la cui capitale è Arta.
Si tratta di un territorio di frontiera tra Oriente e Occidente, appartiene
all'impero bizantino, ma si trova più vicino all'Italia meridionale e con essa avrà
strette relazioni durante la sua storia, in particolare nella seconda metà del XIII
sec

1204-1240: la famiglia che si impadronisce di quest'area è quella dei Comneno


Doukas Angeli che univano tre dinastie degli imperatori bizantini, anche se poi
negheranno per un lungo periodo il ramo degli Angeli perché l'ultimo
imperatore era appartenuto a tale dinastia ed era crollato sotto i latini.
Il primo membro, Michele I, tentò di riconquistare Costantinopoli. Il loro
obiettivo era quello di partire da quei territori per reimpadronirsi della capitale
prima che lo facessero gli imperatori di Nicea

La conquista di Tessalonica da parte del Despotato dell'Epiro avverrà solo nel


1224 e nel 1227 il despota Teodoro si farà incoronare imperatore.
Monete coniate nel periodo di Teodoro I, tra il 1215 ed il 1230, in particolare a
ridosso delle due date precedenti: sul retto della moneta vi è l'arcangelo
Michele in riferimento a Michele I e sul verso si ha il despota regnante che
tiene nelle mani la città di Tessalonica condividendola con il patrono S.
Demetrio (la città è identificata dall'iscrizione "polis Tessaloniki")

Nel 1230 però Teodoro I viene sconfitto e la città cade definitivamente nel 1246
sotto l'Impero di Nicea.
Se prima il Despotato dell'Epiro cercava di espandersi verso Oriente, dopo
questo evento tenta di consolidare i suoi possedimenti nella Grecia centro-
ovest e centrale.
In questo periodo regna Michele II che nel 1243 si fa raffigurare sempre con
l'arcangelo Michele sul verso, mentre sul retto compare lui stesso con abiti
imperiali, con il globo con la croce ed un'iscrizione che lo compara a un vero e
proprio capo militare di questo stato che progressivamente si rafforza, pur
contraendosi territorialmente. Questi sono gli ultimi decenni in cui sarà molto
importante anche suo figlio Niceforo I

La più importante testimonianza che riguarda la famiglia dei despoti dell'Epiro


è una pittura parietale ritrovata in un contesto archeologico, perciò
estremamente frammentaria, in cui sono rappresentati i membri di tale
famiglia -Niceforo con la moglie Anna (imparentata con gli imperatori
Paleologi) al centro, ai lati dovevano essercene anche altri - in un'iconografia
tipica della rappresentazione del potere dinastico bizantino (come nel Salterio
Barberini, in cui si ha Alessio I Comneno con il figlio Giovanni II). Risale a fine
XIV - inizio XV sec.
L'iscrizione è di particolare importanza perché si esalta la famiglia.
Lo stemma dinastico ci mostra l'importanza dei legami parentali che avevano
sia con l'Oriente che con l'Occidente (alcuni figli di Niceforo I andarono in sposi
a personaggi della corte di Filippo di Taranto, appartenente alla famiglia
Angioina)

Arta è una città che è cambiata molto nel corso dei secoli, soprattutto nel '900:
come gran parte delle città greche è stata molto urbanizzata con una qualità
edilizia spesso piuttosto scarsa.
Ha però una storia antichissima, è stata fondata nel VII sec a.C., conquistata dai
romani nel II sec a.C. e per un periodo era stata la capitale del regno di Pirro.
Presentava delle estese fortificazioni e all'interno di esse vi erano importanti
monumenti. Al di fuori della città stanno venendo alla luce anche estese
necropoli.
Dopo aver avuto grande importanza nel periodo classico, divenne molto meno
importante nel periodo mediobizantino ed i monumenti di tale periodo che
sono noti grazie agli scavi archeologici sono pochi.
Perché allora fu scelta poi come capitale? Tra le città di quell'area era quella
che conservava almeno in parte le sue mura di età classica, quindi era una città
difendibile

Era articolata in due parti:


- zona più ristretta, che era il rifugio degli occupanti
- area più ampia, dove vi sono i resti del palazzo despotale, l'intera città quindi
era di competenza della famiglia despotale
Oltre il fiume si trova il monastero delle Blacherne: in uno dei pochi documenti
che in quel periodo parlano di Arta, datato intorno al 1225, si ricorda la
conversione del monastero da maschile a femminile. In questo atto si dice che
viene convertito per ospitare delle nobili donne di origine costantinopolitana e
questo è il segno che una parte della corte si era realmente trasferita ad Arta,
nonostante poi non se ne abbiano tracce materiali vere e proprie.
Il monastero già esisteva nella fase mediobizantina, ma quando fu convertito
venne creata un'iconostasi nell'abside e poi venne provvisto di un arredo
liturgico molto importante (successivamente smembrato e disperso) che
conserva ancora oggi le tracce della decorazione. Questo testimonia l'elevata
qualità della committenza in questi primi anni del Despotato dell'Epiro ad Arta.
Pochi anni dopo in occasione di alcuni interventi strutturali gli venne aggiunta
una cupola e una nuova decorazione parietale, poi venne destinata alla
sepoltura di alcuni importanti membri della famiglia della moglie di Michele II,
Teodora. Si tratta di un'ipotesi recente, all'epoca per via dell'elevata qualità
delle decorazioni si credeva fosse la chiesa in cui doveva essere sepolto
Michele II stesso.
La tomba presenta una lastra con lo stesso leone che è montato nell'iconostasi,
poi le altre sculture sono montate in modo da comporre due sarcofagi

Teodora (che poi divenne santa) era la moglie del primo despota vero e proprio
e a lei è legato un altro edificio che oggi porta il suo nome, una chiesa che si
trova nell'area storica di Arta (risalente al periodo classico), già esistente in cui
lei decide di insediare un altro monastero femminile. Mentre quello di prima si
trovava fuori dalle mura, questo si trova dentro la città ed è anche quello che
lei preferisce: qui decide di ritirarsi nel 1267-68 quando il marito muore.
Anche in questo caso lo fa completamente trasformare utilizzando materiali di
spoglio, in parte anche rielaborati, provenienti forse da Nicopoli, una città
molto importante nel periodo romano e cristiano. Il primo elemento che la
nuova committente decide di inserire è anche in questo caso un'iconostasi
composta non di strutture a bassorilievo, ma realizzate con la tecnica
"cloisonné" in cui il rilievo è appena pronunciato ed il fondo riempito con
mastice o di colore rosso o nero, più raramente verde (c'era molta varietà di
linguaggi in quegli anni ad Arta).
Teodora probabilmente in previsione della sua morte fa costruire il nartece
esterno
L'edificio più importante è la chiesa della Parigoritissa, uno degli edifici più
rappresentativi dell'architettura tardobizantina. Si può confrontare con un altro
edificio ritrovato dopo un lungo scavo archeologico negli anni '70 del '900, che
ha molte somiglianze e differenze con quello precedente, la Pantanassa ….

La Parigoritissa è molto imponente e movimentata da una ricca decorazione


ottenuta con laterizi montati a formare dei deisegni geometrici o loro stessi
lavorati (motivo romboidale, ghiere multiple). Non hanno funzione strutturale
né costruttiva, ma solo di natura decorativa.
Nelle murature si vede che vi è una discontinuità tra il blocco centrale e le due
addizioni laterali.
Anche all'interno vi sono delle pareti con murature che presentano una loro
decorazione (fregio a denti di sega): se queste fossero state pareti interne non
aveva senso realizzarle, quindi doveva essere la parete esterna dell'edificio.
Allora gli studiosi negli anni '80 del '900 hanno ipotizzato che la prima chiesa
della Parigoritissa fosse priva degli elementi laterali e fosse una chiesa a croce
greca inscritta con cupola poggiante su 4 colonne. Un sondaggio archeologico
mai pubblicato ha permesso il ritrovamento delle fondazioni su cui dovevano
ergersi le colonne

In tal modo sarebbe una chiesa di tipologia nota a Costantinopoli dal periodo
mediobizantino, ma che si può anche confrontare con l'altro edificio di Arta:
togliendo gli ambienti laterali e il nartece che probabilmente doveva esserci
(elementi aggiunti successivamente quando la chiesa era quasi in stato di
crollo) il blocco centrale è praticamente identico.
è come se fossero due fondazioni gemelle, una nel centro di Arta e una a 17km
a nord su una strada molto importante perché collegava Arta alla seconda città
più importante del Despotato dell'Epiro, Janna

La Parigoritissa è sopravvissuta, ma la Pantanassa no, anche se era quella


realizzata con maggiore cura (pavimento in opus sectile, uno dei migliori a
livello qualitativo che si trovano nel XIII sec al di fuori di Costantinopoli).
Questo testimonia una committenza molto elevata e attraverso una fonte è
possibile riferirla a Michele II, così come a lui si potrebbe riferire quella della
prima fase della Parigoritissa.
La conferma di questo si potrebbe avere dal fatto che è stata rivenuta una
tomba (vuota) nella campata sud-ovest del naos, preparata con tutti quanti i
crismi, con una malta traforata che doveva fare da letto per il defunto. Quindi
potrebbe davvero essere stata pensata come una chiesa di sepoltura
privilegiata. Dato che nel monastero delle Blacherne erano sepolti i membri
della sua famiglia, Michele II scelse forse la Pantanassa per la sua sepoltura e
anche come sua chiesa

Con Michele II la Pantanassa aveva avuto la sua configurazione, mentre la


Parigoritissa ancora no: nel momento in cui gli succede il figlio Niceforo I egli si
appropria delle fondazioni del padre e le trasforma imponendo la sua visione
culturale.
Pavimento ed elementi costruttivi rimandano espressamente al mondo
bizantino, tanto che chi ha studiato la Pantanassa ha ipotizzato che architetto e
maestranze fossero giunte dall'Asia Minore, dato che per via delle soluzioni
decorative sembra proprio essere un edificio fuori contesto.
Niceforo invece si apre al mondo occidentale: prende l'edificio che era
costituito solo dal blocco centrale, lo avvolge con un deambulatorio che
termina in due cappelle a est, vi pone delle colonne esterne ed intermedie.
Inoltre fa realizzare portali strombati in pietra e delle volte a crociera
costolonate, entrambi elementi tipici occidentali

Ci sono due ragioni per cui vengono introdotti questi elementi:


- un intervento come il rivestimento esterno, il quale diviene la prima cosa che
si vede dell'edificio, serve ad appropriarsi di esso
- le ragioni potevano essere anche funzionali, ci sono dei rafforzamenti che
fanno intendere un tentativo di prevenire dei problemi strutturali

Questo intervento risale alla fine del XIII sec ed il pannello dinastico che è stato
ritrovato doveva trovarsi all'ingresso allo scopo di siglare tale intervento.
In questo pannello da un lato vi era Niceforo, dall'altro Anna e sotto l'erede al
trono. Nell'iscrizione si ha per la prima volta la professione di fede che
facevano gli imperatori al momento dell'incoronazione

Nel caso della Parigoritissa l'intervento è completamente differente: gli studiosi


non sono convinti che con Michele II l'edificio fosse stato terminato, il cantiere
era andato avanti, ma non era stato completato e anche se fosse stato
concluso sarebbe stato più facile e anche simbolicamente più importante
trasformarla completamente.
Questa chiesa ha una struttura molto complessa:
- ha 5 cupole, più una sesta (quella centrale, quelle sulle campate angolari delle
gallerie e una cupola centrale differente) tutte sostenute in maniera differente
da quelle degli edifici precedenti
- non ha sostegni centrali, ma solo laterali, sono 8 e quindi è una chiesa che
parte da un impianto ottagonale
- anche nelle gallerie in alto i sostegni sono 8, ma si avvicinano quasi a
costituire un unico sostegno
La struttura ei sostegni è quindi: colonna su cui poggia un altra colonna a
gettante e su di essa vi sono i pennacchi che sostengono la cupola
- al livello delle cupole i sostegni sono sempre 8, ma gli spazi compongono una
croce greca
Con questo sistema molto complesso si passa da una chiesa ottagonale al
pianterreno che diventa poi una chiesa a croce greca inscritta al livello più alto:
è un esempio unico di questo tipo di pianta nell'architettura bizantina

Questo avviene ampliando alcune delle paraste laterali che dovevano garantire
supporto maggiore laddove si avevano le colonne binate, ma anche inserendo
delle colonne orizzontalmente le quali fungono da sostegno alle colonne
superiori

Perché è stata scelta tale pianta composita? La ragione risiede nel fatto che
avendo un lato di 9m la cupola sarebbe dovuta avere un diametro di 9m e
questo era complicato da realizzare. Questo sistema serve a ridurre
progressivamente il diametro della cupola, rendendolo più gestibile dal punto
di vista statico. Oggi il diametro della cupola misura 5,8m

La chiesa ha anche delle gallerie non finite, prive di pavimentazione e


rivestimento. Se si osserva la pianta si nota che non ci sono scale nell'edificio
che ponessero in comunicazione i due livelli dell'edificio. Il problema
dell'accesso fa riflettere su quanto in realtà questo spazio fosse stato utilizzato
anche se sicuramente era stato concepito per qualche ragione specifica.
Le chiese con gallerie nel periodo medio e tardo bizantino non sono più diffuse
come lo erano prima. Allora perché nel XIII sec si è deciso di costruirne una?
Nelle chiese bizantine la galleria è uno spazio normalmente frequentato non da
tutti, nelle fonti si parla di una frequentazione da parte di catecumeni e delle
donne in una prima fase, ma da un certo momento in poi soprattutto nella
capitale le gallerie diventano il luogo privilegiato della corte imperiale. Michele
VIII Paleologo infatti come primo intervento a S. Sofia dopo la restaurazione
dell'impero fa decorare a mosaico proprio le gallerie di tale chiesa

Che funzione avevano le cupole?


Le cupole angolari appartengono alla tradizione costruttiva bizantina, la chiesa
a 5 cupole è una tipologia nota.
La paresenza di cupole nella parte orientale dove ci sono anche delle absisi fa
pensare ad una frammentazione dello spazio dovuta alle esigenze della liturgia.
Meno comprensibile è il perché si sia scelto di inserire nella campata centrale,
quella più importante che si vede sia dal naos che dal fronte della chiesa, una
struttura completamente diversa, un "baldacchino" con colonne sagomate.
L'ipotesi più interessante è che esso fosse la concretizzazione in muratura di
quelle strutture che venivano usate dagli imperatori a Costantinopoli per
mostrarsi durante alcune celebrazioni. Andronico II ne aveva fatto erigere uno
nel cortile del palazzo delle Blacherne, a forma circolare con 4 colonne

La chiesa ci rimanda già nella sua costruzione ad un grande impegno


finanziario, oggi appare scarna e con i mattoni a vista, ma si hanno ancora
tracce della decorazione scultorea e musiva

Contrparete: sculture che recano un'iscrizione in cui si esaltano Niceforo, Anna


e Tommaso, quest'ultimo accostato al termine "germoglio dei comneni".
Questa iscrizione esalta lo sforzo da parte deid espoti per la costruzione di
questa chiesa

La campagna musiva per quei tempi è abbastanza estesa e quindi dispendiosa.


La decorazione rientra all'interno del canone bizantino: Cristo Pantocrator nella
cupola, 12 profeti nel tamburo. Compaiono anche elementi che poi
scompaiono dall'iconografia delle cupole, quali Cherubini, Serafini, ruote
infuocate.
Nei pennacchi vi sono gli evangelisti seduti allo scrittoio con aperto il libro con i
versetti dei rispettivi vangeli

Utilizzo delle sculture architettoniche: al di sopra di alcune colonne si


inseriscono delle mensole scolpite che sostituiscono il supporto per delle esili
colonnine che nei pennacchi sostengono degli archi trilobati e in due dei 4
arconi sostengono degli archivolti figurati. Trovare elementi del genere è
un'eccezione per l'Oriente ed è raro anche in Occidente.
Queste colonnine sono pensate appositamente per l'edificio, sono pezzi unici
che possono essere inseriti solo in questo punto, quindi l'ipotesi di alcuni
studiosi che sostengono siano elementi di riuso non è molto convincente

Arcone nord: Natività. Vergine con bambino, bue e asinello ai lati. Tutte le
figure attorno recano delle iscrizioni che le identificano in modo diretto come
personaggi di tale scena evangelica: Re Magi, S. Giuseppe, pastori, angelo. Ci
sono anche i profeti e S. Luca.
Trovare dei profeti all'interno di una scena del Nuovo Testamento è inusuale
poiché essi non erano presenti, quello che è più importante infatti è ciò che
tengono in mano, ovvero dei cartigli in cui vi sono i testi dei profeti che
annunciano la venuta di Cristo. Questi testi venivano anche letti durante le
celebrazioni liturgiche legate a quella festa

Arco con Agnus Dei: l'Agnello di Dio si trova sempre nelle chiese come
immagini di Cristo.
Nel 692 però nel mondo bizantino c'era stato un concilio che aveva vietato la
rappresentazione di Cristo sottoforma di animale, quindi l'iconografia
dell'Agnus Dei tanto diffusa in Occidente lì non si ha.
L'iscrizione sopra l'agnello dice: "l'agnello di Dio che prende su di sé il peccato
del mondo", quindi capiamo che è un riferimento a Cristo crocifisso

Ad Arta gli elementi occidentali vengono recepiti in vario modo, in tutti e tre gli
edifici ci sono elementi occidentali, ma vengono utilizzati in maniera errata nel
verso e nella disposizione.
A livello storico il contatto con l'Occidente avviene mediante il matrimonio tra
la figlia di Niceforo I, Tamara, con il principe Filippo di Taranto, uno dei figli di
Carlo II d'Angiò. Quindi lo scambio culturale avviene principalmente con l'Italia
meridionale
Lezione 11 (30 novembre 2021)

Per quanto riguarda l'architettura del periodo paleologo a Tessalonica non


sono sopravvissute solo chiese (che però sono la maggior parte), ma c'è anche
un altro edificio che costituisce un esempio unico: un edificio profano, un
bagno bizantino costruito tra XIII e XIV sec e recentemente restaurato
nell'ambito di un'iniziativa UNESCO, il Kulè Kafè. Si trova nella città alta, a poca
distanza dalla chiesa di Hosios David.
Questa struttura è rimasta in uso come bagno dal '200 fino al 1940.
L'edificio è suddiviso in 4 navate parallele tra loro, la prima e la seconda navata
sono coperte da volte a botte, la terza in una campata con una volta a crociera
e nell'altra con una cupola (tamburo alto, tipologia simile a quella
dell'architettura religiosa), la quarta con volta a botte.
Come le terme romane è suddiviso in vari ambienti suddivisi per la funzione
(freddi, tiepidi e caldi)

Anche per i bizantini il bagno pubblico aveva una funzione sociale oltre che
igienica: era il punto di conversazione che riguardava maschi e femmine.
Nonostante i medici raccomandassero di farlo più spesso man mano che le
stagioni diventavano più calde, nell'epoca bizantina il bagno non era una cosa
frequentissima, bisognava risparmiare acqua.
Dal punto di vista religioso la pratica del bagno era considerato invece come un
incentivo alla lascivia, pericoloso dal punto di vista morale.
A Costantinopoli comunque i bagni c'erano, sia pubblici che privati e anche
monastici: il numero di queste strutture nelle città bizantine indicava la
prosperità della città.
Quello di Tessalonica è di dimensioni medie, ma presenta tutti gli elementi
tipici

Fino ad un certo punto l'entrata era collocata nella terza navata, ma quella non
era l'entrata originaria, che si trovava invece nel lato sud in corrispondenza
della prima navata. Lì si trovano i primi due ambienti rettangolari che
corrispondono all'apòditon (in greco=spogliatoio) e al frigidarium. Poi vi sono
le due stanze del tepidarium, ampie, comunicanti e separate tra loro da arcate
sostenute da colonne. In questo ambiente si svolgevano i preliminari per i
bagni che poi si svolgevano nelle vasche del calidarium, comunicante anch'esso
con gli ambienti precedenti. In origine le vasche erano disposte nella parte in
corrispondenza delle nicchie nelle pareti
Nella stanza del calidarium hanno fatto dei sondaggi archeologici sotto il
pavimento e sono state trovate tracce del cosiddetto ipocausto, la camera
d'aria vuota, sostenuta da colonnine di mattoni, la quale costituiva
un'intercapedine in cui con le condutture in terracotta veniva portata l'aria
calda e riscaldava da sotto il pavimento.
Questa camera si collega anche con l'ultimo ambiente che contiene la cisterna
dell'acqua e nello spazio più alto la fornace che alimentava il riscaldamento di
acqua e aria nella terma, alimentata a legna o a carbone. L'acqua riscaldata era
distribuita nelle varie vasche con tubature di argilla ed il vapore caldo che si
sviluppava dall'acqua veniva anch'esso incanalato nelle tubature, portato
nell'ipocausto e nello spessore delle pareti

Non sono stati fatti scavi archeologici nella zona circostante quindi non
sappiamo con sicurezza la destinazione originaria del bagno. Le dimensioni non
molto grandi suggeriscono che forse non si trattava di un grande bagno
pubblico, ma del bagno di un monastero

Le grandi terme man mano caddero in rovina, quindi nelle città bizantine
prevalevano questi bagni di medie dimensioni che non avevano settori distinti
per maschi e femmine, ma funzionavano a giorni o ore alterne in base alle
utenze diverse

Dalle fonti scritte sappiamo che i bagni monastici non erano spazi architettonici
vuoti, ma erano decorati sulle pareti. Abbiamo notizie di un bagno del XII sec in
cui sulle pareti erano raffigurati miracoli evangelici che avevano a che fare con
l'acqua (piscine, fonte)

Sempre negli stessi anni si realizza una chiesa, S. Panteleimon: parte orientale
della città, vicino alla Rotonda, nella zona a nord della Leoforos.
Il nome non è bizantino, gli è stato dato nel '900, quindi non siamo sicuri di
come si chiamasse all'epoca. Si ipotizza che questa fosse in origine la chiesa del
monastero della Teotokos Peribleptos, fondata alla fine del '200
dall'arcivescovo di Tessalonica Giacomo.
L'edificio è stato molto rimaneggiato e nemmeno conservato per intero.
Conserva il naos, il nartece, due cappelle laterali, ma ha perduto il
deambulatorio che circondava interamente la parte centrale
Pianta particolare: chiesa a croce inscritta con 4 colonne che sorreggono la
cupola centrale, ma i bracci della croce sono cortissimi e all'interno si crea
l'effetto di uno spazio unico. Si trasforma quindi la tradizionale pianta di epoca
mediobizantina

Intorno al nucleo centrale di naos e nartece si vedono sul terreno le tracce di


un deambulatorio, il quale aveva agli spigoli 4 cupolette che si univano alla
cupola centrale e alla cupola più piccola del nartece, quindi in origine le cupole
erano 6

All'interno della chiesa durante i restauri della metà del '900 sono stati scoperti
degli affreschi, ma la decorazione è molto lacunosa, a parte alcuni frammenti le
mura appaiono spoglie. Restano alcuni frammenti nella cappella sud con la
Vergine orante nel catino ed i padri della chiesa nel semicilindro e poi un
frammento in una delle due cappelle accanto all'abside dove nel catino si ha la
figura di S. Giacomo Maggiore vescovo di Gerusalemme.
Questa figura è una scelta iconografica forse dovuta all'omonimia del vescovo
che ha fondato il monastero e ciò potrebbe confermare l'ipotesi che tale chiesa
fosse proprio quella del monastero commissionata da lui

L'attività edilizia a Tessalonica in questo periodo è molto intensa e in essa


rientra anche la chiesa di S. Caterina, eretta nello stesso periodo (fine XIII-inizio
XIV sec). Nonostante la sua imponenza è uno degli edifici meno conosciuti
perché ci sono molte questioni aperte sulle sue origini e sulla sua storia, dato
che non si hanno fonti scritte a riguardo.
Agli inizi del '900 questo edificio, che era stato trasformato in moschea dai
turchi, venne riconvertito in chiesa ortodossa e solo allora acquisì il nome
attuale, quindi il nome antico è sconosciuto.
Però si ha un'ipotesi che si basa sul testo del pellegrino russo Ignazio di
Smolensk il quale fece un viaggio a Tessalonica nel 1405 e descrive le varie
chiese che visita. Egli dice che aveva visitato un monastero dedicato al Cristo
Pantodynamos che si trovava nella zona nord-ovest della città. Gli studiosi
hanno ipotizzato che potesse essere la chiesa di tale monastero

Questa chiesa appartiene allo stesso tipo della precedente. Intorno al naos si
ha un deambulatorio a forma di U che termina in due cappelle a sinistra e
destra dell'abside. Questo corridoio continua senza interruzione collegandosi
con il nartece. La cupola centrale e le cupolette angolari formano la struttura a
5 cupole, quella maggiore si sviluppa su un tamburo ottagonale e slancia la
costruzione verso l'alto
All'interno predomina un verticalismo (tipico dell'architettura paleologa),
anche qui le colonne sono molto vicine alle mura perimetrali e sono di
reimpiego.
L'abside è unica e semicircolare, mentre le due cappelle laterali presentano
una nicchia in spessore di muro che non emerge esternamente

La muratura è molto curata nei materiali, molto spazio è lasciato alle


decorazioni esterne fatte in mattoni e pannelli di ceramica invetriata con motivi
a croce colorati. I mattoni formano disegni geometrici di diverso genere, ci
sono ricche cornici e nella parte più alta sono presenti ghiere multiple.
La cupola centrale è più elaborata di quelle più piccole, nel tamburo tra le
finestre l'architetto ha inserito delle nicchie concave che creano un effetto
molto movimentato.

L'abside è liscio, elemento arcaico, ma la muratura è molto ricca di decorazioni,


vi sono nicchie con disegni a mattoni e nella zona centrale predomina la
muratura "a cloisonnè" in cui blocchi di pietra bianchi sono circondati da file di
mattoni rossi

Ci sono somiglianze con la chiesa di S. Panteleimon, ma anche differenze come


il fatto che qui si ha solo un nartece, mentre nell'altra vi era un nartece interno
collegato al deambulatorio ed uno esterno

Non sappiamo la data in cui l'edificio venne costruito, le ipotesi di datazione


che gli studiosi hanno avanzato si basano sull'analisi dell'architettura e sui
confronti con altri edifici. C'è però anche il fatto che la chiesa conservi la
travatura originale che passano da un angolo all'altro della struttura: sono state
sottoposte ad un analisi dei campioni di legno che attraverso l'individuazione
della specie ed il conteggio degli anelli ha consentito di individuare l'epoca a
cui appartengono. L'intervallo di tempo individuato coincide con l'analisi
dell'architettura ed è tra il 1280 e il 1315

All'interno della chiesa si conservano tracce della decorazione pittorica che


però è frammentaria:
- pareti nord e sud del naos erano occupate da scene evangeliche dei miracoli
di Cristo
- nartece, al di sotto delle arcate sono rimaste tracce di ciclo agiografico con
figure di santi, di cui gran parte sono santi monaci. Questo potrebbe
confermare il fatto che questa fosse una chiesa monastica

Tale ciclo appare essere di una notevole qualità, però oltre ai danni nel tempo
anche i restauri non hanno contribuito a migliorarne le condizioni. Anche
queste pitture sarebbero attribuibili alla bottega di Michele Astrabas ed
Eutichio

Chiesa dei S.S. Apostoli: costruita tra 1310 e 1314. Importante per la sua
architettura molto elaborata e per la decorazione interna che ha conservato
molte parti e che è duplice, si hanno sia mosaici parietali che affreschi.
Si trova vicina alle mura ovest della città, vicino alla porta Litèa da dove parte il
decumano superiore, via S. Demetrio.
Faceva parte di un monastero che doveva essere molto esteso, a distanza
notevole dalla chiesa troviamo traccia della porta di ingresso e di una grande
cisterna che doveva raccogliere l'acqua che alimentava l'intero complesso

La costruzione della chiesa e del monastero si deve al patriarca di


Costantinopoli Nifone, il quale è in carica nel 1310-1314, quindi l'arco
cronologico dei lavori si può definire con esattezza.
Nel 1314 però venne deposto ed i lavori si interruppero, la decorazione viene
completata qualche anno dopo (nel 1328 viene riabilitato, quindi la sua
fondazione può essere completata) dal discepolo di Nifone, Paolo che divenne
l'abate dei S.S. Apostoli.
Conosciamo la committenza dalle iscrizioni e dai monogrammi ancora
chiaramente visibili all'esterno della chiesa.
- iscrizione all'ingresso che cita il committente
- abaco dei capitelli con monogrammi, ognuno dice una parola e si leggono in
sequenza, dicono "Nifone patriarca fondatore"
- le stesse parole sono scritte anche con monogrammi fatti di mattoni nelle
lunette dell'esterno
Nifone voleva quindi dichiarare a tutti la sua committenza, ostentava il suo
status sociale

La chiesa sembra che sia stata fatta in un'unica fase costruttiva. Pianta a croce
inscritta in un quadrato con cupola centrale sorretta da 4 colonne, modello
classico di Costantinopoli, le colonne sono ben spaziate all'interno ed i bracci
hanno la lunghezza canonica. La cupola centrale ha un tamburo molto
sviluppato in altezza, qui si esprime molto bene il verticalismo di epoca
paleologa.
L'edificio non è molto grande, le pareti misurano circa 20m.
La parte centrale è preceduta dal nartece interno, il quale si collega
direttamente al deambulatorio e alle due cappelle laterali. Si aggiunge poi il
nartece esterno.
Il nartece doppio si trova anche a Costantinopoli, ma l'uso del deambulatorio è
diverso: a Costantinopoli aveva un uso funerario e vi venivano posti i sarcofagi
dei fondatori, a Tessalonica serviva invece alle processioni

La muratura è molto ricca, impiega ampiamente la tecnica "cloisonnè" ed è


ricoperta da molti motivi decorativi:
- decorazioni a intreccio che formano vere e proprie fasce che imitano i motivi
tratti dalle stoffe
- all'interno delle nicchie si hanno motivi decorativi a ruota, a semicerchio,
croci all'interno di rombi e alberi stilizzati (riferimento al motivo simbolico
dell'albero della vita)

L'interno è molto illuminato, i bracci della croce si concludono con ampi


finestroni, tranne che nel lato dove si attacca l'abside

Colonne e capitelli sono di reimpiego, nell'epoca paleologa si usano spesso


strutture più antiche per edifici nuovi. Due colonne sono di marmo verde e due
sono di granito grigio

Decorazione interna: volte a botte, pareti, cupola sono coperte da mosaici, ma


c'è anche una decorazione ad affresco che è stata recuperata durante i restauri
sotto una scialbatura di epoca turca (vi sono i segni dello scalpello usato per far
aderire l'intonaco alle pareti)

La qualità delle pitture è notevole, si ha un'intensa espressività anche


nell'intonazione dei visi

La presenza di entrambe le tecniche non è nuova, nello stesso periodo si trova


anche nella chiesa più importante di Costantinopoli, S. Salvatore in Chora, dove
naos e narteci sono decorati a mosaico, mentre il parekklesion contiene un
ciclo di affreschi a tema funerario. Si tratta però del restauro commissionato da
Teodoro Metochite risalente al 1316-1320 e non della chiesa originaria

I mosaici di Tessaloinca vennero realizzati per primi al tempo del patriarca


Nifone, sono quindi databili con una certa sicurezza agli anni 1310-1314, invece
la datazione degli affreschi è più discussa, ma comunque è sicuro siano stati
fatti al tempo dell'egumeno Paolo, perciò si possono datare dopo il 1328.
Probabilmente il progetto originario prevedeva che tutta la zona più
importante della chiesa, il naos, fosse ricoperto di mosaici, mentre per alcune
parti secondarie si prevedeva l'affresco. Quando Nifone viene destituito però
non era tutto concluso, qualcosa è stato lasciato interrotto e quando i lavori
furono ripresi vennero fatti realizzare affreschi anche nella parte bassa del
naos, non avendo più disponibilità economiche per far realizzare i mosaici

I mosaici oggi sono situati solo nella parte centrale e occupano cupola,
tamburo, pennacchi e 4 bracci della croce.
Seguono il classico programma decorativo gerarchico che parte dalla divinità di
Cristo, passa poi all'umanità di Cristo e infine si ha l'intercessione con i fedeli
(figure dei santi)

Le figure sembrano sospese su uno sfondo a intonaco ocra/marrone: a un


certo punto sono state asportate tutte le tessere d'oro del fondo,
un'operazione intenzionale che aveva come obbiettivo quello di riutilizzare tale
materiale in un altro edificio.
Gli studiosi greci Bakirtzis e Mastòra sostengono che questo fenomeno si può
osservare anche in altre costruzioni e questo intervento non è stato fatto in
epoca turca, ma ancora in epoca bizantina (prima del 1430)

Cupola: Pantokrator benedicente al centro ed intorno 10 profeti vestiti di


bianco/argento, molto dinamiche e non frontali, rappresentati mentre
dialogano tra loro o sollevano il braccio per indicare Cristo. Ognuno secondo
l'iconografia canonica presenta il cartiglio srotolato con la profezia. Sono figure
di estrema qualità, panneggi evidenziano anatomia e movimento delle figure,
quindi i mosaicisti erano molto abili

4 pennacchi: figure dei 4 evangelisti rappresentati nei loro studioli mentre


stanno scrivendo i vangeli o stanno riflettendo, seduti allo scrittoio con davanti
un leggio o un libro. L'ambientazione presenta effetti prospettici nelle
architetture

Arco est sotto la cupola: fra gli evangelisti Matteo e Giovanni vi è il Mandylion

Braccio sud: 2 episodi frammentari, a sinistra Natività e a destra Battesimo


La Natività presenta la figura di Maria di cui rimane solo parte del volto con
l'aureola, mentre il corpo è andato perduto. La rappresentazione si svolge
attorno alla roccia in cui è scavata la grotta di Betlemme, al centro si hanno
Maria, Gesù, la mangiatoia, bue e asino, tutt'intorno si svolgono episodi
collaterali, i Re Magi ancora in viaggio che guardano la stella cometa, i pastori
che guardano in alto dove dovevano esserci gli angeli che gli annunciavano la
nascita di Cristo. Poi si ha S. Giuseppe e la scena della lavanda del bambino,
inserita con maggiore proporzione rispetto a quella di Hosios David.
Sono state usate tessere di dimensione diversa, più piccole per visi e teste in
modo da realizzare il chiaroscuro, e più grande per i fondi.
Il Battesimo presenta Cristo al centro nel Giordano, del Battista rimane solo la
parte inferiore di cui però riconosciamo la magrezza, dall'altra parte gli angeli
sorreggono le vesti. Nelle acque ...(1h13/14)
Sul fondo oro le due scene erano separate da un grande disco decorativo a
cerchi concentrici

Braccio ovest: scena della Trasfigurazione, è stata fatta una scelta monocroma,
il colore è sostituito da una gamma di sfumature del bianco e del grigio. Questa
è la scena in cui si manifesta la divinità di Cristo attraverso la luce e quindi
l'artista si concentra sulla resa dell'effetto luminoso. I raggi che fuoriescono
dalla mandorla hanno una struttura a rombi sovrapposti tipica dell'epoca
paleologa, forse deriva dall'influsso di una corrente religiosa contemporanea,
l'Esicasmo: aveva sede a Tessalonica e considerava la luce un elemento per
entrare in contatto con la dimensione ultraterrena.
Un altro elemento stilistico caratteristico dell'epoca paleologa che avrà poi
sviluppi successivi è la rappresentazione del paesaggio con le rocce appuntite
molto aguzze, su cui si pongono i personaggi.
Scena dell'Entrata a Gerusalemme: affollamento e dinamismo della scena reso
molto bene. Nell'architettura della città, entro le mura, si ha un edificio
circolare coperto da cupola nel quale possiamo riconoscere la Rotonda del
Santo Sepolcro, santuario più importante della città
Braccio nord: molto rovinata la scena della Crocifissione, si vedono solo parte
dei corpi di Gesù e S. Giovanni Battista
Scena dell'Anastasis, Cristo scendendo al Limbo resuscita i progenitori (Adamo
vestito di bianco, Eva di rosso) e tutti personaggi dell'Antico Testamento.
Dall'altra parte si ha il Battista accompagnato da due figure regali, con la
corona, sono re Davide e suo figlio Salomone.
La discesa agli inferi è rappresentata in uno scenario sotterraneo, sotto i piedi
di Cristo ci sono le porte degli inferi ed i chiavistelli che sono stati rotti.
Cristo ha uno slancio dinamico nel prendere per mano i progenitori

Porta di ingresso, parete verticale: resti di un'altra scena canonica


rappresentata sempre in quella posizione, la Koimesis (dormizione) di Maria.
Rimane solo una piccola porzione con figure e architettura.
Si può però completare guardando la coeva scena di S. Salvatore in Chora

Spazi angolari, pareti e arcate: figure di santi rappresentati in piedi o a


mezzobusto all'interno di clipei

Gli studiosi hanno dibattuto sulla provenienza degli artisti, fra le varie ipotesi la
più convincente è quella dello studioso greco Xingopoulos: artisti originari di
Tessalonica, non era necessario chiamare artisti da fuori per realizzare un ciclo
del genere. Ci sono però strettissimi legami con le botteghe di Costantinopoli,
ma in questo periodo si sa che le città erano in stretto contatto, quindi gli artisti
di Tessalonica erano a conoscenza di ciò che avveniva nella capitale, avevano
modelli comuni

Le tessere del mosaico sono per lo più in pasta vitrea, però c'è anche un
notevole uso di marmo bianco per i colori più chiari

Riferimenti che gli studiosi hanno fatto per comprenderne lo stile:


- rapporto con i mosaici precedente nella chiesa della Parigoritissa di Arta, in
Epiro (fine XIII sec): somiglianza generica che però non significa che i mosaicisti
provenissero da lì, bensì il contrario, che ad Arta fossero stati chiamati
mosaicisti da Tessalonica (le due città per un certo periodo hanno fatto parte
del Despotato dell'Epiro)
- confronto con Costantinopoli, nel 1310 venivano eseguiti i mosaici del
parekklesion di Santa Maria Pammakaristos, cappella sepolcrale di Michele
Ducas Glabas ad opera della moglie Maria Ducena: figure di profeti molto
somiglianti. Anche gli elementi decorativi sono comuni
L'ipotesi dello studioso greco è quindi convincente, anche perché il
committente dei S.S. Apostoli era il patriarca di Costantinopoli

Affreschi: coprono deambulatorio e nartece esterno, oltre alle pareti sotto le


volte del naos dove i mosaici si erano fermati al termine della prima fase di
Nifone. Sappiamo che Paolo subentra a Nifone perché in una lunetta della
porta centrale, ai piedi del trono della Vergine si ha il ritratto dell'egumeno
Paolo in proskinesis vestito da monaco e vi è anche un'iscrizione che lo
accompagna: "Paolo monaco e abate di questo monastero e discepolo del
santissimo patriarca ecumenico e fondatore Nifone e secondo fondatore". Il
fatto che Nifone fosse definito come "santissimo patriarca ecumenico" fa
capire che tale iscrizione è successiva alla sua riabilitazione, mentre era
destituito non poteva essere chiamato così

Parte bassa del naos: vanno a completare le decorazioni delle pareti a mosaico
con figure dei santi e padri della chiesa

Nartece esterno: ciclo di infanzia e della vita di Maria --> lunetta con
Annunciazione presso il pozzo: diversa da quella che conosciamo noi, è tratta
dai vangeli apocrifi per cui la prima annunciazione sarebbe avvenuta lì

Il braccio destro del deambulatorio ad un certo punto si interrompe, c'è un


muro che sbarra una cappella in cui si può entrare solamente dal naos. Su
questa parete troviamo una scena nuova dal punto di vista iconografico
nell'arte bizantina: scena dell'albero di Iesse. Egli è uno degli antenati di Cristo
e questa rappresentazione deriva da una profezia del profeta Isaia che scrive:
"un giorno un germoglio spunterà dal tronco di Iesse" si riferisce a Davide, suo
figlio, da cui discenderanno Maria e Gesù. Si ha quindi una rappresentazione
della genealogia di Cristo sottoforma di albero (albero genealogico). Alla base
dell'albero si ha Iesse, all'interno dei rami si hanno tutti gli altri antenati, fino a
giungere a Maria e Gesù nella parte più alta.
Quest'iconografia però non ha origini bizantine, si trova frequentemente a
partire dall'XI sec nell'arte occidentale, poi in epoca paleologa comincia a
diffondersi anche in oriente e si trova più volte negli affreschi dal XIV sec.
Questa parete è probabilmente il caso più antico in oriente
Pilastro esterno del Duomo di Orvieto
Cappella nord del deambulatorio: storie di S. Giovanni Battista.
Sacerdote Zaccaria molto anziano nel tempio riceve l'annuncio che gli nascerà
un figlio, che è il Battista. La sua figura si trova dentro una sorta di bema con
recinzione e ciborio al di sopra dell'altare.
Scena del banchetto di Erode con la danza di Salomè che porta sulla testa il
capo del Battista che è stato appena decapitato

In questi affreschi ci sono anche iconografie molto rare: nella lunetta di


passaggio tra i due narteci si trovano anime dei beati (come neonati in fasce)
nella mano di Dio. L'anima nel mondo medievale è rappresentata
normalmente così

Lo stile si richiama anch'esso allo stile di Costantinopoli, si può confrontare la


scena del sacerdote Zaccaria con quella dei mosaici di S. Salvatore in Chora

Ci sono molte citazioni dello stile classico, elemento più presente a Tessalonica
piuttosto che a Costantinopoli: nel banchetto di Erode alle spalle dei
personaggi si ha un'architettura con due architravi sostenuti da colonne, una
nicchia ad ombrello decorata che ricorda la pittura parietale di epoca romana,
quella di Pompei.
Anche la figura del servitore coincide con il capitello che sostiene l'architrave:
riferimento preciso al modello delle cariatidi di Atene
Seminario 9 (1 dicembre 2021) – dott.ssa Rebecca Amendola

Le icone bizantine a micromosaico

Manufatti artistici particolari che presentano dimensioni molto ridotte, ma di


grande valore storico, artistico, culturale e soprattutto intrinseco, per la
preziosità dei materiali con cui sono stati realizzati.
Nascono come oggetti devozionali

Oggi si conoscono circa 40 esemplari che sono conservati nei principali musei
europei, nei musei di civiltà bizantina (Museo Bizantino e Cristiano di Atene) o
in fondazioni ecclesiastiche orientali e occidentali (monasteri del Monte Athos,
monastero di S. Caterina al Monte Sinai). Alcuni si trovano anche al
Metropolitan di New York o al Dumbarton Oaks di Washinghton. Questa
situazione odierna è dovuta principalmente a due fattori:
- piccole dimensioni che rendeva gli oggetti trasportabili, alcuni hanno fatto
numerosi viaggi e tappe
- la preziosità li rendeva destinati all'alta società bizantina del tempo, ma anche
poi ricercati dai principali esponenti della società di '400 e '500

Il cardinal Bessarione, colui che tentò di salvare l'impero bizantino


dall'avanzata turca sostenendo in tutto l'unione delle due chiese, sappiamo
dalle fonti che donò alla basilica di S. Pietro a Roma 7 icone musive di cui
alcune erano dei micromosaici. Bessarione aveva preso parte al Concilio di
Ferrara-Firenze nel 1438-1439 e anche l'imperatore Giovanni VIII Paleologo
giunse in Italia assieme a numerosi diplomatici, quindi si pensa che proprio in
tale occasione molte icone a micromosaico raggiunsero l'Occidente poiché era
frequente che la corte li portasse come oggetti devozionali privati in quel tipo
di viaggi

Anche Papa Paolo II (Pietro Barbo) possedeva 25 icone musive bizantine e


anche i Medici (Cosimo e Lorenzo) ne avevano circa 11, della collezione di
Lorenzo sappiamo che possedeva un quadro piccolo e uno grande raffiguranti
Cristo realizzati a mosaico e sicuramente uno dei due era a micromosaico

Esistono due gruppi di icone musive portatili:


- micromosaici: larghezza dai 5 ai 20 cm e altezza fra 9 e 27 cm; ma quello che li
contraddistingue sono le dimensioni delle tessere, non sono più grandi di 2mm
e a volte sono anche più piccole di 1mm, si parla quindi di "microtessere"
- icone musive "di grande formato": larghezza da 33 a 58 cm e altezza
compresa fra 42 e 82 cm; tessere di 4-5 mm circa, di poco più piccole rispetto a
quelle impiegate per la decorazione musiva parietale
Questa distinzione è funzionale allo studio di queste icone, esistono infatti dei
casi che esulano da questa catalogazione, casi di "transizione": la
Trasfigurazione del Louvre, il Pantrokrator del Museo del Bargello, l'Odighitria
del monastero di S. Caterina al Monte Sinai, presentano dimensioni che
permettono la catalogazione nelle icone di grande formato, ma sono realizzate
con microtessere.
Un'altra differenza tra le due categorie è la destinazione d'uso (icone di grandi
dimensioni erano per uso pubblico, i micromosaici erano per l'uso privato) e
anche i soggetti raffigurati. Generalmente nelle icone musive di grande formato
si ha un soggetto più semplice, figure isolate rappresentate stanti o a
mezzobusto; il micromosaico predilige scene più complesse

Soggetti che si trovano più di frequente nelle icone musive:


- soggetti agiografici: ci sono 17 icone con santi e profeti a figura intera o a
mezzzobusto (S. Demetrio del monastero del Monte Sinai)
- ritratti di gruppo: padri della chiesa
- scene maggiormente narrative: Martirio dei 40 soldati di Sebaste, icona
conservata al Dumbarton Oaks
- rappresentazioni di Cristo: come Pantokrator (stante o assiso), in due casi si
ha la Pietà e in un caso è raffigurato come "giovane Emmanuele" dalla profezia
del profeta Isaia ("la Vergine partorirà un figlio e lo chiamerà Emmanuele")
- rappresentazioni della Vergine: nel tipo dell'Haghiosoritissa con le mani alzate
in segno di preghiera, con il bambino nel tipo dell'Odighitria o nel tipo
dell'Eleusa, della tenerezza, colei che affianca la sua guancia a quella del
bambino.
In un caso la Vergine è anche raffigurata bambina nelle braccia della madre
(icona del Monastero di Vatopedi)
- scene narrative: episodi cristologici, molto difficili da realizzare per via delle
dimensioni. Si hanno l'Annunciazione, 3 icone della Crocifissione; il Dittico del
Museo dell'Opera del Duomo di Firenze rappresenta l'intero ciclo delle 12
festività liturgiche che si svolgevano durante il corso dell'anno, dodekaòrton
(Annunciazione, Natività, Battesimo, Crocifissione, Anastasis, Koimesis)
Le due categorie analizzate hanno in comune la tecnica che si differenzia da
quella dei mosaici parietali: si ha un supporto ligneo su cui veniva steso uno
strato di cera d'api o mastice e su di esso venivano collocate le tessere in
maniera molto vicina l'una all'altra, in modo da non lasciare alcuno spazio tra
un filare e l'altro.
Le tessere dovevano essere di diversi materiale, pietre dure o tenere, marmi
colorati, pietre semipreziose, metalliche, pasta di smalto o terracotta.
In alcuni casi gli artigiani hanno fatto ricorso all'uso della pittura per aumentare
i valori cromatici o rendere meglio le sfumature. Il colore poteva quindi essere
steso sopra le tessere oppure veniva unito alla cera e in tal caso le tessere
venivano poste in maniera più distanziata per permettere alla cromia
sottostante di emergere

In molte di queste icone è capitato che le tessere, nonostante siano fatte di


materiali non deperibili, siano cadute in maniera consistente perché la cera con
il calore delle candele tenute accese davanti a queste si scioglieva.
Una caduta consistenze di tessere ha reso evidente lo strato di cera indurito
dove veniva tracciato un reticolato geometrico che però appare irregolare:
veniva tracciato con la punta di uno stilo e l'irregolarità può escludere che
servisse come linea guida per il motivo geometrico che faceva da sfondo,
piuttosto poteva servire a migliorare la coesione delle tessere con la cera

Un recente restauro su una di queste icone ha permesso di conoscere un altro


procedimento, impiegato però solo per le opere con soggetti più complessi: si
realizzava un disegno preparatorio su una carta molto spessa su cui poi si
stendeva su un collante idrosolubile a base di glutine, su di esso venivano
posate le tessere a rovescio. A quel punto si completava il disegno, si aspettava
che la colla seccasse ed il tutto veniva ribaltato sul supporto di legno e cera.
Con dell'acqua si procedeva a rimuovere la carta ed i residui di colla, così la
composizione emergeva

Gli studiosi si sono poi interrogati su quale potesse essere l'origine di questi
micromosaici ed inizialmente (all'inizio del '900) Dalton ha proposto che essi
fossero connessi agli "emblemata" della tradizione greca e romana: mosaici
che venivano realizzati su cavalletto e poi posizionati al centro di una
decorazione pavimentale in un secondo momento. I micromosaici hanno in
comune con essi l'impiego di tessere più piccole rispetto al resto della
decorazione musiva ed il fatto che rappresentino scene complesse

Recentemente però gli studiosi sono d'accordo nel ritenere che i mosaici
portatili siano connessi alla decorazione musiva parietale --> immagini dei santi
nelle chiese che poi si evolvono nei "proskinetaria": immagini votive davanti a
cui ci si inchina e si prega, però di grande formato e realizzate a mosaico
parietale o ad affreschi, con stucchi o marmi lavorati che le incorniciano.
Queste spesso affiancavano il "templon" struttura architettonica che separa la
zona sacra del bema dal resto dell'edificio.
L'origine dei micromosaici può quindi essere messa in relazione con
l'evoluzione degli spazi liturgici all'interno degli edifici sacri: le aperture del
templon vengono progressivamente chiuse prima da tendine e poi da icone.
Dopo il 1261 si ha il passaggio dal templon all'iconostasi, strutture con la
medesima funzione, ma realizzate in legno e su di esse venivano appese le
icone.
Le icone musive di grande formato deriverebbero dai proskinetaria, mentre le
icone a micromosaico deriverebbero dalle iconostasi

Le icone musive di grande formato erano destinate alla devozione pubblica,


bisogna tener presente che erano oggetti di culto e davanti ad essi venivano
poste delle candele che facevano brillare i materiali preziosi, venivano anche
bruciati incensi, vi si cantava durante le celebrazioni liturgiche. Le pratiche che
si svolgevano di fronte ad essa erano la proskinesis e la "aspasmòs eikonon", il
bacio dell'icona

Per quanto riguarda i micromosaici, la presenza così numerosa di santi


guerrieri nei soggetti indica che fra i destinatari doveva esserci sicuramente
l'alta aristocrazia. Inoltre dovevano esserci le alte gerarchie ecclesiastiche, i
membri della corte (anche le donne): in un passo di Michele Psello si parla del
rapporto di un'imperatrice con un'icona che "aveva forgiato di sua mano ed
incrostata dei materiali più splendidi". Alcuni studiosi vi hanno riconosciuta
l'icona a micromosaico che aveva realizzato l'imperatrice Zoe.
"L'icona le dava risposta con il trascolorare delle tinte quando le veniva
domandato qualcosa" prosegue "io l'ho vista con i miei occhi abbracciare la
sacra immagine, contemplarla e parlarle come a una persona viva".
Avevano quindi un rapporto molto intimo con queste icone
La maggior parte di queste icone sono databili a XIII e XIV sec, questo perché la
produzione di icone interessa un periodo molto ristretto della storia
dell'impero bizantino. Le prime icone compaiono nell'XI sec, vengono poi
molto apprezzate nel secolo successivo, ma il picco si ha nel periodo
precedentemente detto. Dopodiché si ha una definitiva interruzione per via
dell'avanzata turca, delle pestilenze e delle guerre civili che dovette affrontare
l'impero. Vennero a mancare le condizioni per la produzione di oggetti di lusso

Essendo oggetti di lusso destinate alle alte sfere della società, il principale
centro di produzione doveva essere Costantinopoli. C'è chi ha ipotizzato che ne
detenesse addirittura il monopolio, ma non esistono fonti che possono
confermarlo.
Sono stati individuati altri centri di produzione, ad esempio Nicea, Cipro, Sicilia,
Venezia, Monte Athos e Tessalonica, quest'ultima forse riforniva il Monte
Athos.
Le botteghe che producevano queste icone è probabile che fossero le stesse
che producevano opere di oreficeria e smalto, lo confermerebbe un confronto
dei micromosaici della Trasfigurazione del Louvre e il Pantokrator del Bargello
con l'icona a smalto che raffigura S. Michele Arcangelo del Tesoro della Basilica
di S. Marco: hanno in comune la cornice geometrica che delinea il soggetto
principale

L'icona più antica è il S. Nicola del Monastero di S. Giovanni Teologo a Patmos,


datata all'XI sec.
La leggenda dice che il monaco fondatore di questo monastero nel 1088 abbia
portato con lui dall'Anatolia questa icona, in realtà tale icona essendo di
eccelsa qualità non può essere stata prodotta da nessuna parte se non nella
capitale.
Il micromosaico ha una cornice con rivestimento argenteo decorata da motivi
fitomorfi alternati a clipei. In alto si trova il trono vuoto di Cristo della sua
seconda venuta (etimasìa) affiancato da angeli e poi i busti dei santi. S. Nicola è
in posizione frontale, fa il gesto della benedizione, nell'altra mano teneva il
Vangelo, ma la caduta delle tessere ha eliminato questo dettaglio. Al suo fianco
vi sono Cristo e la Vergine a mezzobusto che gli porgono Vangelo e
omophorion, a sottolineare la provenienza divina dell'investitura episcopale del
santo. I clipei contengono l'iscrizione che lo identifica.
La datazione è stata possibile mediante alcuni confronti con latre opere dell'XI
sec, in particolare i santi del semicilindro absidale della Panaghia Ton Chalkeon
di Tessalonica e di S. Sofia di Ochrida, oppure i martiri delle pagine del
Menologio di Basilio II. Volti scavati e corpi allungati con evidente ieraticità
delle figure poste frontalmente

Sempre a Costantinopoli si può ricondurre un piccolo gruppo di icone a


micromosaico che sarebbero state realizzate all'inizio del XIV sec. Ci assicura la
provenienza dalla capitale il confronto con i principali cantieri dell'epoca
(parekklesion della Teotokos Pammakaristos 1306; chiesa del monastero di
Chora nella versione rifondata da Teodoro Metochite ministro delle finanze
dell'imperatore Andronico II dal 1315 al 1321).
Nelle scene con lo stesso soggetto, quali il Battesimo o l'Annunciazione,
vediamo che hanno in comune una rappresentazione dei corpi ben
proporzionati e del panneggio molto frastagliato

Imago Pietatis di S. Croce in Gerusalemme: oggi si presenta circondata da una


cornice che a sua volta è montata sull'Altarolo di S. Gregorio Magno per via
della leggenda che dice che al santo comparve durante la celebrazione di una
messa il Cristo Dolente e lui volle subito far riprodurre tale immagine.
L'Altarolo è una griglia-reliquario con 211 cellette che contengono ognuna una
reliquia identificata da un cartiglio.
Sul retro dell'icona a micromosaico è stata montata un'icona lignea di S.
Caterina.
Nella cornice sono presenti gli stemmi della famiglia Orsini-Del Balzo, questo
perché tale icona diventò di proprietà di Raimondello Orsini Del Balzo,
nobiluomo condottiero della seconda metà del XIV sec. Egli mentre era di
ritorno dalle crociate intorno al 1380-81 essendo molto devoto a S. Caterina si
fermò a pregare nel monastero del Monte Sinai, in un momento di estasi
staccò il dito della santa con l'anello e lo portò con sé in Puglia dove fondò la
cattedrale dedicata alla santa a Galatina e fece assemblare il reliquario ligneo
dove pose anche la reliquia che aveva portato lui, oltre alle icone. Nel 1385
però si recò a Roma e donò tale reliquario ai monaci certosini del monastero di
S. Croce in Gerusalemme dove si trova ancora oggi

Vi è anche un'altra icona che rappresenta il Cristo in Pietà conservata nel


monastero di Tatarna in Grecia, ma è di qualità inferiore rispetto alla
precedente, mancano i passaggi chiaroscurali, il volto non contiene tutti i
dettagli. Questa icona è stata perciò attribuita dagli studiosi a maestranze
locali, quindi è chiaro che esistevano anche altri centri di produzione
Micromosaico di S. Giovanni Teologo, monastero principale del Monte Athos
(Grande Lavra): qualità eccezionale, sia nella grande espressività del volto che
nella scelta dei colori, cromia delicata. Sicuramente è da ricondurre a un
grande artista e Sotiriou ha ipotizzato si trattasse di Manuele Panselinos, il
pittore che sarebbe stato a capo della bottega che ha realizzato la decorazione
della chiesa principale del Monte Athos (confronto tra le due decorazioni con
lo stesso soggetto). Di Manuele Panselinos ci parla anche una fonte tarda, di un
monaco del XVIII sec

Tessalonica era un centro di produzione di rivestimenti in argento e oro, lo


sappiamo da fonti certe come un'iscrizione presente sul rivestimento dell'icona
con la Vergine Hagiosoritissa di Frisinga: dice che l'icona è stata donata da
Manuele Disypatos, metropolita di Tessalonica.
Anche un'altra icona del monastero di Vatopedi che raffigura i S.S. Pietro e
Paolo è stata donata a tale monastero da Andronico Paleologo, despota di
Tessalonica

Icona di S. Demetrio, Museo Civico di Sassoferrato: il micromosaico raffigura il


santo in posizione frontale con una lancia nella mano destra e nella sinistra uno
scudo con leone rampante su fondo blu. L'iscrizione lo identifica.
Ancora non si è certi della sua provenienza (Costantinopoli o Tessalonica).
L'icona è stata donata al monastero di S. Chiara a Sassoferrato da Niccolò
Perotti, amico e segretario del cardinal Bessarione - forse fu proprio lui a
donargli tale icona - era un umanista e grazie al cardinale diventerà
arcivescovo.
L'icona rimase nel monastero fino agli inizi dell'800, quando verranno
soppressi sotto Napoleone gli enti ecclesiastici. Da lì sarà trasferito in municipio
e quando si trovava lì venne trafugata nel 1894, perché sulla cornice erano
incastonati 10 rubini e anche il pacco che chiudeva l'ampolla era di zaffiro,
tutte queste pietre preziose dopo il ritrovamento avvenuto un anno dopo
erano scomparse (sappiamo tutto questo da una fotografia precedente al
furto). Per tutto quel tempo l'icona è stata sotterrata e questo l'ha gravemente
danneggiata, parte del rivestimento ed il cammeo con S. Demetrio che si
trovava al centro nella parte inferiore della cornice.
Vediamo dalla foto ottocentesca che la cornice prima chiudeva tutto e copriva
anche l'ampolla, con il restauro odierno invece è stato necessario fermarla con
dei fermagli altrimenti cadrebbe. Nella zona che copriva l'ampolla si trovava la
scritta "il sacro olio"; sull'ampolla da un lato era raffigurato S. Demetrio,
dall'altro S. Teodora, entrambi santi "mirobliti": santi molto venerati a
Tessalonica dalla cui sepoltura fuoriusciva l'olio sacro che veniva poi raccolto in
ampolle e portato via dai pellegrini

Lungo i bordi laterali della cornice si hanno due iscrizioni con le lettere disposte
a losanghe, quella di sinistra tradotta dice: "questa ampolla contiene il sacro
balsamo che viene dal pozzo in cui il corpo del divino Demetrio, battezzato con
un unguento fragrante, giace lasciandolo sgorgare e facendo miracoli per tutto
l'universo e per i fedeli", quindi è un chiaro riferimento al culto e alla
venerazione del santo e del suo olio sacro.
A destra l'altra iscrizione dice: "oh grande martire Demetrio intercedi presso
Dio affinché egli aiuti me, tuo fedele servo, sulla Terra imperatore dei romani
Giustiniano, per confondere i miei nemici e porli sotto i miei piedi".
La critica ha ipotizzato si possa trattare di Giustiniano II, il quale difese
Tessalonica dall'avanzata degli slavi nel 688.
Entrambe le iscrizioni rimandano a Tessalonica

Ai lati dell'ampolla vi sono le lettere che formano le parole "Gesù Cristo


vittorioso", vi è il tetrabasileion, ossia le 4 volte B che stanno a significare la
dominazione degli imperatori bizantini nelle 4 parti del mondo.
Nella parte bassa abbiamo le parole "santo santo" e poi si ha l'aquila bicefala,
simbolo degli imperatori paleologi.
Il Tetrabasileion unito all'aquila bicefala è stato adottato come stemma da un
preciso ramo dei paleologi, quello dei Monferrat, e Tessalonica ha avuto un
despota dal 1322 al 1328 che era figlio di Andronico II Paleologo e Yolanda di
Monferrat, di nome Demetrio Paleologo, quindi un grande devoto di S.
Demetrio. Si può quindi supporre che egli fosse stato il committente o il
destinatario di questa icona

Il fatto che Tessalonica fosse un altro centro di produzione di icone musive è


confermato dal confronto con l'icona di S. Nicola che si trova al Monte Athos
con uno dei profeti del tamburo della cupola della chiesa dei S.S. Apostoli
Lezione 12 (7 dicembre 2021)

Durante i cento anni di splendore degli ultimi secoli, Tessalonica è stata anche
un centro di produzione di arti suntuarie, le arti di lusso che comprendono
oreficerie, codici miniati e tessuti

Nella produzione dei manoscritti spicca il nome di uno scriba, Teodoro


Hagiopetrìtes, attivo tra il 1277 ed il 1307. Non è un miniatore, ma un copista
che si occupava soprattutto di libri sacri. Assieme alla sua bottega ha firmato 17
manoscritti, inoltre altri 5 gli sono stati attribuiti successivamente. Essendo uno
scriba molto famoso produceva libri di lusso per committenti molto facoltosi.
Era anche il coordinatore della bottega e per le miniature si rivolgeva a pittori
esterni, assemblando poi le singole parti fino alla produzione definitiva del
manoscritto.
Nel suo lavoro era coadiuvato anche da sua figlia, Irene, copista come lui.
I pittori esterni appartenevano alla cerchia di coloro che lavoravano anche alle
decorazioni in affresco, tra questi vi erano Michele Astrabas ed Eutichio

Figura di evangelista, manoscritto del Monte Athos realizzato da Teodoro


Hagiopetrites nel 1300/01: paragone con mosaici dei S.S. Apostoli mostra una
grande affinità nello stile delle figure e nella composizione del fondale
architettonico

Anche nel settore delle stoffe, in particolare nel ricamo, vi è un'opera


importantissima --> velo liturgico: 2m x 72cm, molto grande, usato durante lo
svolgimento del rito. Tessuto con la seta e ricamato con fili di diversi colori, di
seta colorata, metallici di argento e oro. Oggi è conservato al Museo della
Civiltà Bizantina di Tessalonica.
Questo velo nella chiesa ortodossa prende il nome di epitaphios (=sulla
tomba), presenta infatti al centro la figura del Cristo morto nel sepolcro
assistito da figure di angeli

Era chiamato in questo modo nel XIII sec, ma già nel XII sec esistevano oggetti
simili che però avevano un nome diverso, ossia grande aèr (=grande velo).
Questi veli erano usati nella processione della cosiddetta "grande entrata",
quella durante la quale il calice con il vino e la patèna con il pane venivano
portati dalla pròthesis (cappella sinistra del bema) attraverso la chiesa, fra i
fedeli, per poi tornare nel bema per lo svolgimento del rito. Questa
processione è molto particolare perché coinvolge tutti fedeli, sia dal punto di
vista visivo che acustico (mediante i canti). Il calice e la paténa erano ricoperti
da veli quando venivano presi dai sacerdoti e poi dopo il giro della chiesa
venivano ricoperti con l'epitaphios, talmente grande da riuscire a coprire tutti e
due gli oggetti e anche l'altare. L'immagine rappresentata al di sopra alludeva
al sacrificio dell'eucarestia che veniva celebrato durante la messa.
A un certo punto l'epitaphios anzichè essere adoperato durante la liturgia
quotidiana, viene riservato solo alla liturgia del Venerdì Santo

Epitaphios di Tessalonica: uno degli esempi più antichi di questa tipologia.


Presenta una decorazione divisa in 3 parti, c'è una grande cornice perimetrale
realizzata con il motivo dei cerchi annodati grandi e piccoli e i cerchi più grandi
sono decorati con delle croci.
Nella sezione centrale si ha il Cristo morto disteso sopra la "pietra dell'unzione"
dove secondo il Vangelo di Giovanni venne deposto per essere preparato alla
sepoltura spalmando sul corpo varie sostanze (tra cui la Mirra), come si usava a
quel tempo.
In primo piano vediamo alcune figure di Cherubini, Serafini e poi ci sono ruote
ricoperte di occhi, con 4 ali sempre ricoperte di occhi (riferimento ai Cherubini
della visione di Ezechiele).
Nei 4 angoli ci sono i simboli degli evangelisti, ciascuno con in mano un libro.
Nel piano più arretrato ci sono 4 angeli con le iscrizioni che li definiscono "gli
angeli del Signore". I primi due sono rappresentati con in mano il flabello,
ventaglio liturgico utilizzato durante la messa, e questo significa che si sta
celebrando l'eucarestia. Gli altri due angeli sono invece rappresentati in un
atteggiamento diverso, stanno guardando la scena della morte di Cristo e
reagiscono piangendo.
Nei due pannelli laterali ci sono le scene della comunione con il pane ed il vino,
divise in due parti come accade nella decorazione delle chiese (è tipico che
questa iconografia appaia nel bema). Le iscrizioni che accompagnano le scene
dicono "bevete, questo è il mio sangue", "mangiate, questo è il mio corpo" e
sono le parole che recita il sacerdote quando celebra l'eucarestia. Cristo è al
centro fiancheggiato da due angeli con i flabelli e davanti all'altare ci sono i
gruppi con gli apostoli, 6 da una parte e 6 dall'altra. Sopra la figura di Cristo
vediamo un timpano triangolare che allude al ciborio dell'altare

Questi due soggetti venivano spesso utilizzati per il piccolo aèr, il velo più
piccolo che veniva utilizzato per coprire calice e patena quando venivano
trasportati durante la processione. Ognuno copriva o il calice o la patena e per
questo le due scene della comunione del vino e del pane erano rappresentate
separatamente, coprendo rispettivamente uno dei due oggetti

Per lo stile l'epitaphios di Tessalonica è accostabile alle pitture della città


intorno al 1300* e per questa ragione l'opera è stata attribuita ad una grande
bottega, il disegno doveva essere stato fatto da un grande pittore e poi passato
ad una mano d'opera specializzata nel ricamo. In tali maestranze specializzate
predominavano le donne e le grandi ricamatrici nell'epoca medievale spesso
erano religiose che lavoravano in monasteri

Le figure si distinguono per la forte espressività, sono realizzate in maniera


virtuosistica (angeli piangenti vestiti di bianco hanno una loro luminosità,
molto efficace il gesto di coprirsi la bocca per il dolore)

*confronto con la scena della Comunione del vino nel Parekklesion di S.


Eutimio
affinità nelle architetture sul fondo con le pitture di S. Caterina

Ricamo del museo Benaki di Atene: realizzato in un periodo coevo


all'epitaphios di Tessalonica, la tecnica e lo stile sono simili, ma la funzione è
diversa perché questo è un piccolo aer

I veli liturgici di cui abbiamo parlato venivano visti dai fedeli per via del
percorso che faceva tale processione, così come i calici d'oro ricoperti di
gemme e le patene d'argento. Erano elementi centrali di questo rito molto
scenografico, riflettevano la luce naturale e quella delle candele, non erano
semplici oggetti d'uso.
Il tutto veniva arricchito con l'incenso che quindi coinvolgeva il fedele anche
dal punto di vista olfattivo.
Inoltre i sacerdoti che svolgevano tale rito indossavano anch'essi vesti ricamate
--> veste liturgica, tesoro della basilica di S. Pietro a Roma, realizzata nel XIV
sec: scena di Maestà da un lato, comunione con pane e vino sulle maniche,
dall'altra parte scena della Trasfigurazione.
All'interno di questo rito tali vesti ricoperte di scene religiose diventavano delle
"icone incarnate" (come dice lo studioso americano Warren Woodfin), quando
il sacerdote si muoveva nella chiesa erano come delle icone in movimento che
tutti potevano vedere
Chiesa di S. Nicola Orfano: molto piccola, era in origine la chiesa di un piccolo
monastero risalente a inizio XIV sec, collocato nella zona est della città alta.
Assieme al quartiere tutt'intorno è sopravvissuta all'incendio del 1917, infatti è
l'unica zona che conserva ancora le strade tortuose di epoca bizantina

L'intitolazione non è molto sicura e non è di epoca bizantina. I primi documenti


che parlano della chiesa con questo nome sono del XVII e XVIII sec:
- nel 1640 la chiesa è definita "Hagios Nicolaos Orphanòs"
- nel 1754 l'edificio è citato invece come "Hagios Nicolaos Ton Orphanòn" (= S.
Nicola degli Orfani), questa intitolazione fa pensare ad un monastero che
poteva avere come scopo principale quello della cura degli orfani, S. Nicola
infatti è comunemente ritenuto il protettore degli orfani e delle vedove. Perciò
si è più propensi a pensare che questo fosse il nome originale, non quello che
utilizziamo oggi.

Lo studioso greco Xingopoulos ha ipotizzato anche che la denominazione


originaria potesse essere "Hagios Nicolaos Tou Orphanou" (= S. Nicola di
Orfano) in cui Orfano sarebbe il fondatore della chiesa.
Questa ipotesi però non è molto convincente

Un'altra particolarità è che non è mai stata trasformata in una moschea


durante l'epoca turca, è rimasta sempre una chiesa ortodossa (forse per le sue
dimensioni molto ristrette) e dipendeva dal monastero patriarcale di Ton
Blatadòn, la sede del patriarca ortodosso di Tessalonica

Del monastero non rimangono molti resti

La chiesa attualmente ha un naos con bema, abside e due nicchie laterali,


circondato da un ampio corridoio che forma una struttura a U. Il lato ovest del
deambulatorio coincide con il nartece.
Il tetto è di legno, "a capanna" nella parte centrale e con due spioventi nella
zona del deambulatorio. Manca la cupola, elemento canonico delle chiese di
questo periodo

Analizzando le strutture si capisce che in origine doveva essere diversa,


probabilmente a 3 navate corte precedute dal nartece. A un certo punto però è
stata trasformata perché la parete che divideva le navate laterali dal nartece è
stata abbattuta ed è stato unificato lo spazio formando il deambulatorio

La chiesa conserva testimonianze della decorazione interna, soprattutto


pittura, ma anche scultura in funzione architettonica (capitelli e iconostasi
marmorea).
I due capitelli corinzi delle arcate laterali sono molto antichi, del V sec,
riutilizzati e dipinti per unificarli con la decorazione ad affresco che ricopre le
pareti.
La decorazione scultorea della recinzione presbiteriale è sopravvissuta e si
trova ancora nel sito originario, ci sono i pilastrini quadrati nella parte inferiore
ed ottagonali nella parte superiore che sostengono l'architrave decorato con
un motivo vegetale. A centro dovevano esserci i battenti delle "porte regali"
che chiudevano il bema e negli spazi laterali oggi vuoti doveva esserci una
chiusura, anche se però non ci sono gli incastri per le lastre di marmo: gli
studiosi hanno ipotizzato che potessero essere chiuse con tavole di legno,
icone

Il ciclo pittorico si può datare intorno al 1320, in base allo stile. Copre tutte le
superfici disponibili e costituisce uno dei cicli meglio conservati di Tessalonica
poiché non essendo mai diventata moschea esso non è mai stato ricoperto di
calce o alterato.
Vi sono moltissime scene narrative, ma tutte di piccolissime dimensioni e
questo è tipico del periodo paleologo.
Sono disposte su 4 registri:
4. figure dei santi, più in basso figure intere di santi militari, vescovi e monaci,
sopra figure a mezzobusto
1,2,3 scene narrative --> 1. e 2. feste della chiesa (Trasfigurazione,
Crocofissione, Resurrezione di Lazzaro, Entrata in Gerusalemme). Nel timpano
ovest si ha l'Ascensione
3. ciclo della passione
Sull'altare, al centro del ciclo narrativo, sopra il catino absidale compare il
Mandylion

Catino absidale: Vergine orante in piedi su un suppedaneo, rappresentata fra


due angeli adoranti.
L'iscrizione che la accompagna dice che si tratta della "Madonna
Achiropoietos", quindi poteva essere una riproduzione dell'icona conservata
nell'omonima basilica

La qualità di queste pitture è elevatissima, il fondo blu è realizzato in


lapislazzuli e cosparso di stelle in foglia d'oro. La foglia d'oro rifinisce anche i
dettagli più importanti, cioè le aureole, gli abiti e sul vestito della vergine crea
una "crisografia" una decorazione estremamente preziosa.
In questo periodo è molto raro avere rifiniture del genere e questo ci rivela che
il committente di questa decorazione fosse un personaggio di alto livello. Non
sappiamo chi fosse, ma è stato ipotizzato che potesse essere il Re di Serbia
(però non è provata)

Semicilindro inferiore: rappresentazione della divina liturgia, il cosiddetto


"melismòs". Sopra l'altare dipinto vi è la patena con il corpo di Cristo, si tratta
del "Cristo agnello", e questo indica che il corpo di Cristo viene santificato
durante la messa nell'eucarestia.
La più antica rappresentazione di questa iconografia si trova nella chiesa di S.
Giorgio a Kurbinovo del 1191

Nelle due scene in alto ai lati del catino sono presenti i due episodi della
comunione, i quali sottolineano quale sia la liturgia che si svolge in quel punto
della chiesa.
Tra queste due quella meglio conservata è quella della Comunione del vino:
Cristo è sotto il ciborio dietro un altare con un velo purpureo decorato d'oro,
alle sue spalle ci sono due angeli che sventolano i flabelli. Cristo è
rappresentato come sacerdote, perché sta celebrando il rito ed è vestito con il
"saccos" la veste liturgica che abbiamo visto prima, qui però non ci sono scene
figurate ed è decorato solo con delle croci

Parete ovest: sopra la porta si trova una scena della Koimesis, è molto grande
rispetto alle altre

I 4 evangelisti solitamente sono posti nei pennacchi sotto la cupola, ma questa


chiesa non ce l’ha perciò vengono messi al di sotto dei 4 archi che separano le
navate minori

Si sono conservati anche gli affreschi delle pareti del deambulatorio.


Parete est del nartece: nella parte alta c'è un ciclo agiografico con le storie di S.
Nicola. Questo documenta un fatto importante, ossia che fin dalle origini era
dedicata a questo santo, perciò costituisce l'unico esempio a Tessalonica in cui
la denominazione non è stata cambiata successivamente e ci è perciò nota.
Nella parte bassa ci sono alcuni santi a destra e a sinistra la Vergine con il
bambino accompagnata da S. Pietro.

S. Nicola è uno dei grandi santi della chiesa ortodossa, inoltre è anche un santo
che divenne proprio della cultura occidentale poiché nel 1081 vennero
trafugate le sue reliquie dalla città di Mira e trasportate a Bari

1. scena della nascita del santo, rappresentata con la stessa iconografia della
nascita di Maria
2. S. Nicola va a scuola, con un libro in mano, accompagnato davanti al maestro
seduto in cattedra. Affinità con un'altra iconografia del Vangelo, quella di Gesù
da piccolo che discute fra i dottori
3. viene nominato diacono e poi vescovo
4,5,6 uno dei grandi miracoli di S Nicola, uno dei più rappresentati, ossia la
storia di tre generali che vengono accusati ingiustamente, imprigionati e
condannati a morte al tempo dell'imperatore Costantino. S. Nicola interviene a
difenderli:
- scena 4: appare in sogno al governatore e dice che deve liberarli
- scena 5: compare in sogno anche all'imperatore Costantino
- scena 6: interviene in prima persona, i generali stanno per essere decapitati
ed il santo blocca con la mano la spada del boia

- altro miracolo di S. Nicola che interviene a salvare alcuni pellegrini in una


nave. Un gruppo di pellegrini era partito per visitare il santuario a lui dedicato a
Mira, dove egli era sepolto. Si tratta quindi di un miracolo che realizza dopo la
sua morte, non come il precedente in cui era ancora vivo. Ai pellegrini si
presenta una donna molto anziana con una giara piena di olio che chiede ai
pellegrini di portarla al santuario per alimentare le lampade, dato che lei non
può per l'età troppo avanzata. Loro la portano e durante il viaggio in mare
scoppia una tempesta, il mare è agitatissimo e loro stanno per morire. S. Nicola
interviene e li salva, prende la giara, la getta dentro l'acqua ed il mare si calma.
Si scopre che quella giara era un dono del demonio che si era travestito da
anziana, l'olio era quindi demoniaco e scatena la furia degli elementi, infatti
quando cade in acqua prende fuoco ed emana un odore molto sgradevole
- morte del santo, riprende l'iconografia delle esequie di S. Eutimio nel
parekklesion a lui dedicato

Gli affreschi continuano anche sulle altre pareti con moltissimi miracoli di
Cristo:
- samaritana al pozzo, donna preziosamente abbigliata in verde e porpora con
rifiniture in oro nelle vesti e nella brocca appoggiata al pozzo
- nozze di Cana, rappresentata come un evento contemporaneo, con abiti,
mobilio e stoviglie di epoca paleologa

Le figure nonostante siano piccole sono monumentali e ben proporzionate, c'è


una grande finezza di stile. Gli artisti curano molto la rappresentazione degli
spazi architettonici. Testimonianza di altissimo livello realizzata da una bottega
di Tessalonica agli inizi del XIV sec

I pittori non hanno lasciato firme: forse perché siamo a Tessalonica, luogo in cui
probabilmente la loro identità era conosciuta ed era più facile attribuire a loro
pitture di questo tipo. La firma con il nome si spiega più in terre straniere, in
Serbia ad esempio

Siamo nel periodo di diffusione della pittura di Tessalonica in molte parti


dell'impero e nel periodo in cui lavora la bottega di Michele Astrabas ed
Eutichio (1294-1317). Essi realizzano molti monumenti, il più vicino alla data
della chiesa di S. Nicola Orfano è la chiesa di S. Giorgio in Macedonia, realizzata
nel 1317, quindi è lì che bisogna cercare eventuali affinità per capire se ci sono
dei rapporti tra gli affreschi della chiesa di Tessalonica e gli altri che sono
firmati dai due

Entrambi hanno scene molto numerose, piccole di dimensione che coprono


interamente le pareti.
Dalle figure ci accorgiamo che anche lo stile è sovrapponibile: figure di santi
militari nella stessa posizione della figura di S. Giorgio, potrebbero fare parte
dello tesso ciclo pittorico.
Non si sbaglia ad attribuire le pitture di S. Nicola Orfano alla bottega di Michele
Astrabas ed Eutichio

Sotto i Paleologi a Tessalonica vi è una fioritura, si può parlare di una vera e


propria rinascenza artistica. Questa è sostenuta da committenti molto
facoltosi, i più importanti sono i religiosi, gli esponenti del clero (patriarchi e
abati). A Costantinopoli invece predomina la committenza aristocratica

Vi è però un monumento che fa eccezione, la chiesa del Profeta Elia: molto


grande, situata nella parte alta della città. Non sappiamo esattamente chi sia
stato il fondatore di questa che è l'unica chiesa veramente grande realizzata in
questo periodo a Tessalonica, ma l'ipotesi più verosimile è che sia il risultato di
una committenza imperiale, precisamente quella di Anna Paleologina, moglie
di Andronico III, la quale diventò governatrice della città e risiedette lì tra il
1351 e il 1366.
Sappiamo che lei in questa stessa zona aveva fatto realizzare alcuni interventi
architettonici, come la nuova porta nella cinta muraria dell'acropoli

La chiesa ha una pianta molto particolare, "a triconco" con una cupola centrale
appoggiata su 4 grandi arcate e 4 colonne angolari.
Davanti alla chiesa vera e propria si ha un nartece molto profondo a 9 campate,
un corpo quasi a se stante.
Questo tipo di architettura è nuovo per Tessalonica ed in generale è molto raro
nell'architettura bizantina. Viene usato però nelle chiese monastiche del Monte
Athos, luogo vicino a Tessalonica

La muratura esterna è caratterizzata da nicchie decorate con mattoni a spina di


pesce, decorazione ad intreccio nella parte più alta, cornici a dente di sega,
mensole, quel tipo di tecnica muraria molto decorativa tipica del periodo
paleologo

Uno studioso greco ha ipotizzato che la chiesa, il cui nome moderno è Profeta
Elia, sostiene che si possa identificare con la chiesa del monastero di Tou
Akapnìo che fu ricostruito proprio in quel periodo su committenza imperiale

Gli ultimi anni del XIV sec sono i più vicini alla conquista di Tessalonica, in
questo periodo gli ottomani hanno occupato tutta l'Asia Minore e i Balcani,
trasferendo la capitale a Edirne, una città situata in un punto strategico a poca
distanza da Tessalonica e Costantinopoli, le ultime città rimaste in mano ai
bizantini, come due isole che nemmeno comunicano più tra loro.
I turchi quindi minacciano queste due ultime città ed in breve tempo
riusciranno a conquistarle entrambe.
La prima a cadere sarà Tessalonica, il 29 marzo del 1430, conquistata dal
sultano Murad II, padre di Maometto II che nel 1453 conquisterà
Costantinopoli

Dal 1430 al 1912 Tessalonica è stata una città turca, in cui sono state costruite
moltissime moschee che oggi non esistono più. Però è stata anche una città
multiculturale dove convivevano comunità ortodosse, ebraiche, islamiche

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