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Appunti di Letteratura Spagnola

dalle lezioni della Professoressa Alessia Cassani


Letteratura Spagnola 14/02/2022

Tratteremo letteratura medievale, rinascimentale e barocca. Il medioevo e il “siglo de oro”.


Il nome ci fa capire che è una letteratura di altissimo livello e che segna una delle vette della
letteratura spagnola. La letteratura dei primi del ‘900 viene chiamata “edad de plata” (secolo
d’argento) nonostante la sua importanza, per non “togliere il primato” al siglo de oro.
Il medioevo spagnolo è un’epoca affascinante.
Il concetto di medioevo nasce nel rinascimento, con connotazione negativa. Per descrivere
questo periodo tra l’antichità classica e la modernità si conia questa definizione di “edad media”.
È considerata un’epoca di immaturità della cultura occidentale, spesso si parla di “secoli bui”.
Sicuramente dopo la caduta dell’Impero Romano la civiltà occidentale ha avuto momenti di
regressione, ma si tratta comunque di un pregiudizio. Il periodo medievale è stato fonte di
ispirazione come nell’epoca romantica, i romantici hanno attinto al medioevo per ispirarsi nella
loro letteratura. Sia come ispirazione che come nozioni, hanno spesso recuperato la storia e la
letteratura del medioevo. Gli stessi romantici che esaltavano questo periodo lo esaltavano per le
stesse ragioni per cui i rinascimentali lo deploravano, infatti lo consideravano un periodo
irrazionale, barbaro, con una cultura meno artefatta.
Ferma restando la decadenza culturale, il medioevo è comunque l’epoca di sant’Agostino e
molti altri, un periodo molto lungo, complesso e con grandi vette culturali.
Quello spagnolo ha anche delle caratteristiche che lo rendono unico rispetto al contesto
europeo.
Per convenzione si parla di medioevo come dell’epoca che va dall’arrivo delle prime popolazioni
germaniche nell’Impero Romano (V sec. d.C.) fino alla fine del secolo XV.
Qual è la particolarità del medioevo spagnolo?
La “Spagna delle tre culture”, che è un po’ un mito. È una realtà però che nella Spagna
medievale convivessero queste culture. La cultura e religione cristiana, ebraica e araba.
Gli ebrei arrivano in Spagna intorno al I sec. d.C., gli arabi nel 711 con l’invasione dal
Mediterraneo, nel sud della Spagna. Il cristianesimo era già presente.
Questo ci fa capire come il medioevo ispanico sia un’epoca molto caratterizzata rispetto alle
altre nazioni europee.
Gli arabi arrivano dal Mediterraneo, arrivano in una zona che viene chiamata “Al Andaluz” (che
diede il nome poi all’Andalucia).
Gli arabi iniziarono a conquistare territori schiacciando i cristiani al nord.
Quella che viene chiamata “conquista araba” inizia nel 711 ma viene organizzata anche la
“reconquista”, con cui i cristiani si organizzano per respingere gli arabi.
Con l’invasione araba si crea un grande regno arabo nel sud della Spagna.
Ci sono nel sud della Spagna monumenti che testimoniano la grandezza del popolo arabo.
Era una civiltà molto avanzata culturalmente e dal punto di vista bellico, e portarono con sé una
cultura medio orientale che non penetra nel resto d’Europa.
Intorno al XII secolo, quando gli arabi stanno regredendo, arriva una seconda ondata di arabi
che li aiutano a riconquistare terre. Il grande califfato si divide in piccoli regni e inizia la sua
decadenza.
Anche la sua potenza bellica scema, tanto che intorno al XIII secolo cadono in mano cristiana
molte città e rimane Granada come roccaforte araba. Nel 1492 c’è la presa di Granada, che fa
sì che la Spagna si unifichi sotto un’unica fede e si espanda in sud America.
Letteratura Spagnola 16/02/2022

Oltre alle caratteristiche comuni al resto d’Europa, abbiamo visto come il medioevo sia un’epoca
che ha delle caratterizzazioni specifiche. Questa commistione di culture orientali, come quella
ebraica in cui c’è una forte presenza in Spagna e quella araba a partire dal 1711, fanno sì che la
Spagna sia un crogiolo di culture, tutto il medioevo lo è. La Spagna ha questa caratteristica in
particolare. L’invasione degli arabi ha fatto creare un califfato per vari secoli in Spagna. I regni
del nord si erano organizzati per riconquistare i territori (la reconquista). Questi eventi hanno
dato vita a molte feste popolari in Spagna, soprattutto nelle zone del centro.
Poco a poco con la reconquista ad opera dei regni del nord, soprattutto Castiglia e Aragona,
riconquistano il territorio fino a lasciare nel 1212 solo Granada come roccaforte araba, che verrà
poi conquistata dalla regina Isabella di Castiglia nel 1492, anno fondamentale per la storia
spagnola.

Questa frontiera che si sposta in continuazione, che sale quando gli arabi conquistano i territori
e scende quando li vincono i cristiani, fa sì che le zone del centro nord siano interessate da
occupazioni e conquiste alterne.
Questo fa sì che nascano identità molto specifiche della cultura spagnola: mozarabi, muladí,
mudejar e moriscos.
Un Mozarabe è un cristiano che vive in territorio arabo conservando la sua lingua, cultura e
religione.
Il Muladí è il cristiano che trovandosi in territorio arabo decide di convertirsi all’islam, per poter
accedere alle carriere più importanti della società araba.
Un Mudejar è un musulmano al quale si permette di mantenere la propria religione in territorio
cristiano, pagando un tributo.
I Moriscos, quando la regina Isabella di Castiglia conquista Granada, sono quelli che decidono
di convertirsi al cristianesimo e quindi possono rimanere in Spagna. La conquista di Granada da
parte dei cristiani suppone la conversione di tutti gli arabi di Granada, oppure la loro uscita dal
paese.
Succede lo stesso per gli ebrei, nel 1492 c’è un editto di espulsione per cui agli ebrei è imposto
di convertirsi o uscire dal paese.
Nel 1492 c’è un’unificazione da parte dei due regni principali, Castiglia e Aragona, grazie al
matrimonio dei due eredi al trono, Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, che insieme
attuano una poltiica di unificazoine naizonale, culturarale e religiosa, espellendo i non cattolici.
Queste quattro identità che convivono in Spagna hanno dato vita a qualcosa di particolare.

La letteratura medievale

La letteratura medievale è in gran parte orale, la maggior parte delle persone nel medioevo era
analfabeta, non c’era una vera circolazione di cultura su supporto cartaceo.
I testi che circolano sono manoscritti, c’erano quindi pochissime copie con una scarsa
diffusione. Prima della diffusione della stampa i libri circolavano poco e in determinati luoghi
come i monasteri, centri con biblioteche dove si copiavano i testi, che erano veri centri di
cultura. Anche nelle università, dal sec. XIV, c’erano biblioteche e si diffondeva la cultura.
Dal XV sec. la corte, le corti reali dei signori, dove spesso i re, i principi e i nobili fungevano da
mecenati finanziando scrittori, poeti, giullari che diffondessero cultura all’interno della corte.
La letteratura medievale è soprattutto orale, la maggior parte delle persone era analfabeta
quindi i testi si imparavano a memoria, spesso cambiando le parti per dimenticanza o per
adattare il testo. Il concetto del diritto d’autore è moderno, all’epoca non esisteva. Il testo
originale subiva diverse trasformazioni e si perdeva.
C’era la figura del giullare (juglar, juglares), che aveva un raggio d’azione più ampio rispetto ai
centri di cultura. I giullari interpretavano e diffondevano poemi epici e poesie. La poesia è più
adatta all'oralità, ha delle rime, è più facile da ricordare e cantare, accompagnandosi con uno
strumento musicale. Il primo genere a diffondersi è la poesia, la prosa era limitata a delle
cronache, cronache storiche, scritti didattici e religiosi, vite dei santi, aveva più a che vedere con
le questioni morali. Il genere che si diffonde di più è la poesia.

Scuola dei traduttori di Toledo

Nel 1085 Toledo cade in mano cristiana, inizia un periodo di relativa tolleranza, nella città di
Toledo e in generale in Castiglia nasce quello che poi si definirà il mito “de las tres Españas”, le
tre culture che convivono pacificamente e danno vita a una cultura stupefacente e unica.
È un mito perché la convivenza nel medioevo non era pacifica, ma c’era comunque una
convivenza. Nonostante qualche turbolenza o intolleranza, c’è una convivenza di queste tre
culture, che darà vita alla particolarità della scuola di traduttori di Toledo.
Gli arabi, soprattutto la prima ondata, hanno una cultura altissima, che ha fondato delle città,
molto avanzata dal punto di vista scientifico (matematica, algebra, astronomia), sono più avanti
rispetto agli europei su queste materie. È una cultura che arriva in Spagna con una grande
forza militare, però anche con una cultura molto ricca e molto sviluppata; portano quindi in
Spagna anche dei testi di quelle materie. Sono testi scritti in arabo, che difficilmente in Europa
si sarebbero potuti leggere, in Spagna però sì grazie ai mozarabi, che traducono i testi portati
dagli arabi, di solito in castigliano, che è una lingua che stava nascendo dal latino volgare. I
chierici colti traducono dal castigliano al latino e così, grazie a questa Spagna multiculturale,
penetrano nel continente degli scritti orientali che non si sarebbero mai potuti leggere altrimenti.
Si chiama “scuola di traduttori” tradizionalmente, era un centro di traduzione, dove arrivano
queste opere scritte in arabo, talvolta sono opere indiane tradotte dagli arabi. In Spagna alcuni
mozarabi e alcuni ebrei traducono in castigliano, i chierici traducono dal castigliano al latino e
quindi i testi fondamentali della cultura orientale vengono diffusi in tutta Europa.
Questa particolarità della situazione spagnola fa sì che penetri in Spagna una cultura che
altrimenti non sarebbe arrivata.

Le jarchas

La prima manifestazione letteraria in una lingua romanza è la jarcha, la jarcha mozarabe -


ebraica.
Si tratta di composizioni probabilmente dell’XI sec. in ambiente mozarabe.
Sono dei ritornelli scritti in caratteri arabi. La moaxaja è una composizione colta ebraica o araba
scritta in caratteri arabi e in lingua araba. Traslitterando le ultime strofe in caratteri latini si è
scoperto che sono la prima manifestazione di una lingua romanza.

¿Qué faré, mamma?


Meu al-habib est ad yana

¿Qué haré, madre?


Mi amado está en la puerta

Queste composizioni particolari, con parti in castigliano nascente, parti in latino e parti in arabo
sono le jarchas, scritte in alfabeto arabo.
Si tratta di strofette d’amore, quasi tutte femminili, è una sorta di poesia d’amore femminile.
Sono canzoncine d’amore che chiudono la moaxaja, che è invece la poesia colta in arabo.
La caratteristica di questi versi finali (jarcha significa chiusura, uscita) è di essere scritte in
questa lingua che riporta alla commistione di culture della Spagna dell’epoca.

Poema de mio Cid

La prima grande opera letteraria spagnola è il “Poema de mio Cid”.


Si tratta di un poema epico, che rientra nel genere del cantar de gesta, un canto delle gesta di
un eroe. È poesia narrativa, non lirica, racconta una storia, c’è un protagonista, ci sono dei
personaggi e delle vicende che si susseguono. Nasce per fini informativi, parte da una base
storica in cui si inseriscono elementi inventati.
Il cantare di gesta esalta i valori di una collettività, l’eroe è portatore dei valori di una comunità,
esaltati da questo poema.
Normalmente venivano cantati con uno strumento a corde dai giullari, che si presentavano nelle
corti cantando questi poemi epici, che le persone apprendevano grazie a loro.
Si tratta di poesie orali, per questo è molto raro il caso in cui si trovi una versione scritta,
sicuramente posteriore. C’erano molti poemi epici all’epoca, che ormai si sono persi, essendo
passati di bocca in bocca, fino a non essere stati più tramandati. Nel momento in cui non sono
stati trascritti non sono più stati tramandati. Sappiamo che ce ne sono tanti perché le cronache
dell’epoca a volte riportano dei brani che si cantavano all’epoca.
È giunto a noi il testo di soltanto tre di essi, tutti incompleti. Il più importante è il “Cantar de mio
Cid”, che è giunto fino a noi grazie a una copia del XIV sec. di una manoscritto del 1207 di Per
Abbat.
Per Abbat copia un testo del 1207, a sua volta qualcuno copia quel manoscritto intorno al XIV
sec. e quindi abbiamo il testo quasi completo del Cid.
Per Abbat sicuramente era un copista, che decise di scriverlo sentendolo cantare, e potrebbe
avere un ruolo anche autoriale, inventando cose che non ricordava. Spesso i giullari
inventavano, se non ricordavano. Il ruolo dell’autore era diverso nel medioevo rispetto ad
adesso.
Di cosa tratta il poema? Il poema ha come base le vicende di Rodrigo Díaz de Vivar, un nobile
castigliano della città di Burgos, vissuto nella seconda metà del sec. XI. Fu famoso perché
conquistò la città di Valencia strappandola ai mori nel 1094 e morì nel 1099. Queste sono
vicende storiche realmente accadute. Il protagonista era impegnato in una delle tantissime
battaglie contro i mori, conquista la città di Valencia e poi muore nel 1099.
Da qui si sviluppa la parte narrativa, inventata. Il cantare o poema si divide in tre parti.
Nella prima parte c’è la partenza dell’eroe dalla Castiglia. Rodrigo Díaz de Vivar pur essendo un
eroe viene esiliato dal suo re Alfonso VI perché ha dei dissidi. Si dice che raccogliesse i tributi
dei vari principi arabi e cristiani che dovevano pagare al re un tributo per le proprie terre, e i suoi
nemici dicono al re che lui aveva preso parte di questi tributi. C’è una calunnia alla quale il re
crede, cacciandolo da Burgos. Inizia così il poema, con una situazione difficile per l’eroe.
Nella seconda parte c’è la conquista di Valencia. Va in esilio ma continua le proprie battaglie
con i propri uomini. Conquista quindi Valencia, si riconcilia con il re e concede la mano delle sue
figlie Elvira e Sol a due nobili di Leon, conti del Carrión.
La prima parte parla dell’esilio, la seconda della conquista di Valencia, la riconciliazione umana
con il re e del fatto che dà in sposa le proprie figlie a due nobili leonesi, i conti del Carrión. C’è
quindi un grande successo militare, umano e di lignaggio. Nella terza parte i generi leonesi, i
conti di Carrión, che avevano accettato le spose solo per la dote, abbandonano le mogli nel
bosco e scappano, quindi ritorna una situazione difficile per l’eroe. Un fedele del Cid le salva e
le riporta dal padre, il Cid fa ricorso al re.
Il re organizza un torneo durante il quale il Cid e i suoi uomini hanno la meglio sugli avversari.
I matrimoni vengono annullati, le figlie riacquistano quindi il proprio onore, e vengono date in
moglie a dei principi di Navarra e di Aragona, ancora più importanti. L’eroe parte da una
situazione di grave difficoltà come l’esilio, attraversa varie peripezie e finisce imparentato con
dei principi di rango reale. Questa è la parabola del Cid a livello di contenuto. Cid è una parola
che deriva dall’arabo, che significa “signore”, era un appellativo di rispetto che veniva dato ai
cavalieri importanti.
È un poema realistico, senza elementi magici ed esagerazioni marcate, come in altri poemi.
È un poema in cui il realismo è marcato, questa è la prima caratteristica. Il Cid è il vassallo
ideale: non si oppone all’esilio del re, nonostante sappia di essere nel giusto.
La società medievale è molto gerarchica, i buoni vassalli accettano le decisioni dall’alto senza
ribellarsi. Era un grave affronto da subire l’abbandono delle figlie da parte dei generi, tuttavia
non si vendica con le proprie mani, ma va dal re.
È un buon vassallo e un buon padre di famiglia. Questi poemi sono portatori dei sentimenti della
collettività, per esempio la fedeltà al re e l’affetto per la propria famiglia. Non è un eroe dai poteri
soprannaturali, ma un eroe in cui il popolo può identificarsi. Inoltre è descritto con dettagli
psicologici, si parla della sua sofferenza dopo l’esilio o dopo l’abbandono delle figlie.
Queste caratteristiche e questo dettaglio psicologico fanno sì che l’ascoltatore si possa
identificare. Non è inarrivabile, è una persona portatore di valori nei quali anche il popolo crede,
per cui l’ascolto di questo poema che i giullari cantavano fa sì che la gente si possa identificare
in lui e rafforzare i propri valori e sentimenti.

Quali sono le caratteristiche formali?

La ripetizione di frasi, parole e concetti. Si ripetono spessissimo le stesse parole, concetti e


frasi. Questo facilitava la memorizzazione da parte del giullare e la comprensione da parte del
pubblico, era un linguaggio fatto di ripetizioni. Ci sono inoltre diversi richiami all'attenzione del
pubblico, il giullare canta e in alcuni versi richiama l’attenzione. Ci sono diversi richiami oltre alla
storia che il giullare fa al proprio pubblico. Essendo una letteratura orale è fugace.
A volte vengono fatti riassunti di quanto successo e anticipazioni di quanto accadrà, per rendere
la fruizione del poema più semplice per un pubblico che la doveva ascoltare.
La versificazione è irregolare, è diviso in “lasse”, in spagnolo “tiradas”, che sono le strofe delle
poesie medievali. Le rime sono assonanti e i versi sono tagliati in due da una forte cesura, il
verso è diviso in due emistichi, l’emistichio è una delle due parti in cui può essere diviso un
verso, tagliato dalla cesura.
È diviso in tiradas, sono rime ripetitive e assonanti. I versi sono chiaramente divisi in due dal
punto di vista della prosodia, in due emistichi, a volte c’è la virgola a separarli.
I versi sono di 14, 15, 16 sillabe, con una versificazione irregolare, si dà maggiore importanza al
contenuto. Non c’è una precisione nella lunghezza dei versi come nella poesia scritta, si
predilige la musicalità a scapito della precisione dei versi.

Cantar Primero

Prima lassa
In questo cantar primero il Cid piange la sua sventura. Era un uomo di fiducia di Alfonso VI,
doveva riscuotere i tributi dai mori. Alcuni invidiosi dicono al re che lui ha rubato parte dei tributi
e il re lo esilia.
È una lingua particolare, che è stata dal punto di vista della grafia adattata per renderla più
comprensibile a un lettore moderno, ma non dal punto di vista della sintassi e della morfologia,
è quindi la lingua medievale.
Il Cid è anche descritto dal punto di vista psicologico, e qui si dice che sta piangendo.
Già dal primo verso vediamo che è un eroe che esprime i propri sentimenti.
“Vio puertas abiertas e uços sin cañados", è un verso con ripetizioni, ripete il concetto.
È una poesia molto evocativa, la ripetizione di “sin” dà senso di vuoto.
Il Cid sospira, si mostra umano, questo aumenta l’identificazione del pubblico col personaggio.
Il Cid parla “bien e tan mesurado”, si sottolinea l’importanza della prudenza.
È un eroe che rappresenta l’ideale del vassallo, sa essere misurato, comunicando valori di
giustizia. Ringrazia dio, invece di maledirlo, sapendo di essere ingiustamente accusato.

Seconda lassa
I suoi prodi pensano di spronare i cavalli e andarsene, quindi sciolgono le redini.
All’uscita di Vivar hanno una cornacchia a destra, ed entrando a Burgos l’avevano a sinistra.
Secondo l’interpretazione medievale avere la cornacchia a destra era di buon auspicio, averla a
sinistra era di cattivo auspicio. Il Cid scuote le spalle e scrolla la testa, esortando Álvar Fáñez,
(personaggio storico realmente esistito, prode del Cid) ad andare, dicendogli che sono esiliati
dalla loro terra.
Ci sono quindi riferimenti storici e l’accettazione del proprio destino.

Terza lassa
“Mio Cid Ruy Díaz por Burgos entró”, il Cid entrò a Burgos con la sua masnada, con sessanta
uomini. Uscirono a vederlo donne e uomini, stando alla finestra.
Ci sono spesso variazioni nelle parole, come in “llorando/plorando”, non essendoci ancora una
grammatica della lingua. Gli abitanti piangono dalle finestre, aumentando la partecipazione a
questo dolore. “De la sus bocas todos dizìan una razón”, tutti dicevano qualcosa, tutti
ragionavano allo stesso modo, come se il paese parlasse.
“Dios, qué buen vassallo, si oviesse buen señor!”, sono tutti dalla parte del Cid, sottolineando
come lui sia un vassallo perfetto con un cattivo sovrano. Tutto il paese ha capito che il re ha
sbagliato.

Quarta lassa
“Conbidarle ien de grado”, le persone che lo guardano andare verso l’esilio lo inviterebbero
volentieri, “mas ninguno non osava”, ma nessuno osava.
“El rey Alfonso tanto avié grand saña”, il re aveva tanto odio verso di lui che la sera prima a
Burgos entrò una sua lettera, con un ordine perentorio e fortemente sigillata.
Gli aggettivi usati per il re danno il senso di una decisione ferma, “gran, fuertemente”.
La decisione era che nessuno desse accoglienza al Cid. Colui che gliel’avesse data, avrebbe
perso i suoi averi e gli occhi della testa, oltre al corpo e all’anima.
“Grande duelo avién las yentes cristianas”, erano cristiani gli abitanti, ed erano dotati quindi di
pietà cristiana, che vorrebbe l’accoglienza di chi non ha la casa, e cristiani sono anche gli
ascoltatori, quindi i valori si tramandano attraverso il poema epico. Le persone però si
nascondono perché hanno paura della vendetta del re e perché vorrebbero aiutare il Cid ma
non possono dire niente.
“El Campeador adelinó a su posada”, “campeador” è un epiteto, gli epiteti vengono spesso usati
nei poemi epici. Un epiteto è una descrizione molto breve e ripetitiva che identifica l’eroe con le
proprie caratteristiche. Il Cid ne ha diversi, uno di questi è “el campeador”, cioè colui che
combatte le battaglie sul campo.
Il Cid si reca verso la sua casa, ma come arriva alla porta la trova ben chiusa, per paura del re
Alfonso. Gli uomini del Cid chiamano ad alta voce, quelli dentro non rispondono. Il Cid sprona il
cavallo e arriva alla porta, toglie il piede dalla staffa e dà un colpo, la porta non si apre.
Fino a questo momento si sono visti i personaggi del Cid, i suoi uomini e il popolo. Interviene un
altro personaggio, una bambina di nove di anni. Tutti gli adulti hanno paura di parlare, invece la
bambina parla.
“En buen ora cinxiestes espada” (alla buon’ora cinse la spada) è un altro epiteto. La bambina gli
dice che la sera prima c’era stato un ordine del re che impediva di ospitarlo.
L’unica consolazione, ribadita anche dalla bambina, sono i grandi meriti del Cid, che Dio
conosce.
Il Cid vede che il re non poteva concedergli nessuna grazia, se ne va quindi dalla porta di
Burgos e arriva a Santa Maria. Questi sono tutti luoghi reali, non fantastici.
Lì si inginocchia, rimanendo devoto nonostante le sventure, e prega.
Attraversa quindi un fiume, fermandosi nella ghiaia e piantando le tende insieme ai suoi uomini.
Si accampa come in montagna e non può comprare a Burgos né una casa né del cibo,
nemmeno quello meno costoso.
Letteratura Spagnola 21/02/2022

Il Cantar de mio Cid è il cantar de gesta più significativo della storia spagnola. Conosciamo il
testo grazie a una trascrizione del sec. XIV, ma si tratta di un testo composto probabilmente da
uno o più giullari.
I giullari erano quei personaggi che avevano un raggio d’azione più ampio dei centri di cultura.
Questo testo rientra nel “mester de juglaría", il lavoro dei giullari. Veniva recitato o cantato con
l’accompagnamento di strumenti a corda, ha una musicalità evidente. Veniva cantato nelle
piazze, nelle corti, nelle strade, dove poteva riunirsi un pubblico. Questo fa sì che il testo abbia
molte ripetizioni, sia dal punto di vista contenutistico che formale. Ci sono riassunti di quanto già
detto e anticipazioni di quello che avverrà. La figura della bambina fa un piccolo riassunto, è
quindi un escamotage che l’autore ha utilizzato per poter ricordare quanto già detto.
Ci sono poi richiami all’attenzione del pubblico, sono tutti elementi che ci fanno capire come si
trattasse di una poesia recitata. Ha una base storica, abbiamo visto personaggi storici
realmente esistiti, tra cui lo stesso Cid. Vengono poi nominati per nome i compagni del Cid e i
luoghi delle ambientazioni, sono tutti elementi storici reali. Ha un carattere narrativo e storico,
nel quale si inseriscono elementi di fantasia. Ci dà informazioni sulle usanze e abitudini
dell’epoca, tra cui l’esilio, conosciamo questa usanza anche grazie a quest’opera. C’è il senso
della vendetta e della guerra, si parla poi delle battaglie e di come venivano svolte,
dell’organizzazione familiare, delle classi sociali, del senso dell’onore. Il Cid era un ottimo
vassallo, servitore del proprio re. Aveva un senso dell’onore, come dimostra quando va a
chiedere soddisfazione per le proprie figlie disonorate dai conti del Carrión. Non va a cercare
vendetta da solo, ma si rivolge al proprio re per riceverla. C’è il rapporto col divino e la religione,
il Cid ringrazia Dio nonostante la sventura. Anche la bambina lo benedice, richiama su di lui
tutte le benedizioni di Dio. È un’opera che comunica valori condivisi dalla società. Naturalmente
tutta questa caratterizzazione storica viene intervallata da elementi immaginari, su una base
storica si inseriscono dei fatti che passando di bocca in bocca tra i vari giullari vengono
aggiornati. La base è chiaramente storica, ma con elementi inventati. L’autore del testo
evidentemente parteggia per il Cid, c’è quindi partecipazione emotiva. “Che buon vassallo, se
avesse un buon re”, chiaramente c’è una partecipazione emotiva, anche da parte di tutto
Burgos che vorrebbe aiutarlo ma non può.
Sono mezzi che fanno sì che ci si identifichi con l’eroe. In quanto alla struttura dell’opera,
avevamo detto che è tripartita, si svolge in tre punti principali. Questa struttura è ricorrente nei
poemi epici, le parti vengono chiamate exposición, nudo e desenlace. La exposición è il punto
di partenza, la storia inizia in medias res, ma da qui in poi ha inizio il racconto. Il “nudo” (nodo) è
il punto cruciale della vicenda. Il “desenlace” è la conclusione, che può essere positiva o tragica.
I poemi epici hanno spesso un protagonista e un antagonista. Il protagonista in questo caso è
chiaramente il Cid, gli antagonisti sono vari: ci sono i mori contro cui combatte, ci sono i conti
del Carrión, ma il re è il vero antagonista: è l’umiliazione che il re infligge al Cid che fa sì che
tutta la vicenda abbia luogo.
Il testo che abbiamo letto è segnato da diversi sentimenti, iniziando dalla tristezza e
rassegnazione del Cid e di chi lo accompagna.
Ci sono poi la devozione e la fede, essendo il Cid un uomo religioso. C’è la paura, soprattutto
degli abitanti del paese dopo la minaccia del re, per cui nessuno osa rivolgere la parola al Cid.
C’è poi l’amore per le figlie, è un buon padre di famiglia ed esprime sentimenti nobili.
C’è anche un sentimento di tenerezza, come la bambina che, nella sua ingenuità, è l’unica che
gli rivolge la parola. Per contrasto questo fa apparire ancora più duro l’ordine del re, ed è anche
un contrasto con tutti gli elementi di guerra. I personaggi sono ben caratterizzati, vengono
descritti bene i sentimenti di ogni personaggio.
C’è un personaggio collettivo, il popolo di Burgos, che partecipa sentimentalmente alla vicenda
e soffre in silenzio, aumentando l’identificazione che il pubblico può sentire.
L’opera ha un carattere realistico. Sia dal punto di vista dell’azione, ma anche dal punto di vista
del sentimento, i personaggi vengono descritti in modo concreto. Si citano luoghi geografici reali
e determinati. C’è la presenza di personaggi storici (Re Alfonso, il Cid). La narrazione è
verosimile, senza elementi magici ed esagerazioni. L’epica spagnola ha la caratteristica di
essere concreta e verosimile. Bisogna notare anche gli epiteti, ci sono diversi epiteti che
accomunano il Cid ad altre epiche, anche a quella latina.
Il Cid è “el campeador” o “colui che estrasse la spada”. Anche nell’epoca classica ci sono questi
epiteti.

Mester traigo fermoso, non es de joglaría


mester es sin pecado, ca es de clerezía
fablar curso rimado por la cuaderna vía
a sílabas cuntadas, ca es grant maestría

Il poema del Cid si inserisce nel “mester de juglaría”, qui introduciamo un altro “mester”, ovvero
il “mester de clerecía”, ossia l’attività dei chierici. I chierici sono per antonomasia le persone in
grado di leggere e scrivere, principalmente gente di chiesa, ma anche notai e giuristi.
Erano capaci di scrivere “senza peccato”, perché si trattava di temi elevati, e non miravano a
intrattenere il volgo. La poesia orale popolare come il Cid è essenzialmente di intrattenimento,
doveva intrattenere persone che per la maggior parte non sapevano leggere. Questo mester de
clerecía è fondato su metriche precise, come la cuaderna vía. Questa stessa quartina è una
cuaderna vía, è una quartina monorimata di 14 sillabe contate. Il poema del Cid è scritto in versi
con numero di sillabe variabili, la forma metrica passa in secondo piano rispetto al contenuto.
La poesia colta invece deve avere una metrica perfetta. In questo caso la cuaderna vía è la
metrica preferita della corrente della poesia medievale spagnola, e si tratta di 14 sillabe contate.
Questa quartina è tratta dal Libro de Alexandre, opera in versi del 1240, che narra con ampio
uso di elementi fantastici la vita di Alessandro Magno. Per questo i versi di 14 sillabe contate
vengono detti “alessandrini”. Si inserisce nel mester de clerecía, scritta in cuaderna vía, e la
vedremo perché è la strofa tipica di questa corrente letteraria. Le opere principali di questo
mester de clerecía sono il Libro de Alexandre, il Libro de Apolonio e il Poema de Fernán
González, scritti a metà del 1200. Gli autori principali del mester de clerecía sono Gonzalo de
Berceo e Juan Ruiz, el Arcipreste de Hita. Gonzalo de Berceo è un autore importante perché è
il primo autore di lingua castigliana di cui si conosce il nome. Finora si era parlato di opere
anonime, essendo orali. La letteratura medievale non conosce il diritto d’autore, invece Gonzalo
de Berceo teneva a firmare le proprie opere, e iniziò con lui la poesia d’autore spagnola. Nasce
a Berceo, nella Rioja, e muore nel monastero di San Millàn de la Cogolla intorno al 1264.
Questo monastero contiene nella biblioteca l’opera “Glosas Emilianenses”.
Sono glosse (note, annotazioni) di San Millàn. Si sono ritrovati in questo monastero dei libri in
latino con queste annotazioni, che sono la traduzione in castigliano antico delle parole che non
si capivano più. Questo ci dà l’idea di come in quest’epoca il latino non fosse già più
appannaggio di tutti. Gli stessi monaci dovevano talvolta annotare nel testo la traduzione in
castigliano.
Questo monastero è conosciuto grazie alle Glosas, che rappresentano la nascita della lingua
castigliana. Gonzalo de Berceo muore nel monastero, lui era un chierico secolare, non era un
monaco, collaborava con il monastero nella biblioteca. Aveva accesso alla biblioteca, era uno
dei privilegiati che sapevano leggere e scrivere. Scrisse opere agiografiche (che narrano la vita
dei santi), degli inni alla Madonna, Los milagros de Nuestra Señora, in cui parla dei miracoli
della Madonna, e opere dottrinali. Era uno scrittore soprattutto di opere religiose.
Scrive la Vida de santo Domingo de Silos, un altro monastero.

Quiero fer una prosa en romàn paladino


En qual suele el pueblo fablar con so vecino

“Voglio fare una prosa in lingua romanza del palazzo, con la quale il popolo parla con il proprio
vicino”. È una sorta di dichiarazione poetica, perché vuole parlare a tutti, con l’ambizione di
poter arrivare non solo ai colti. Sono i primi tentativi di popolarizzare la letteratura, Gonzalo de
Berceo se lo pone come scopo.
Nel XIV secolo il mester de clerecía si evolve. Gonzalo de Berceo aveva scritto essenzialmente
letteratura religiosa, a partire dal XIV secolo entrano anche temi profani, quindi una letteratura
più di ampio respiro, con il metro che si fa più irregolare. Non si usa più solo la cuaderna vía, ci
sono altre metriche, compaiono anche versi ottosillabi, che sono i versi tipici della poesia
popolare spagnola. La letteratura in lingua spagnola comincia ad ampliare il proprio spettro. In
questo contesto compare El libro de buen amor, di Juan Ruiz, El Arcipreste de Hita. Hita è un
paese nella provincia di Guadalajara. Di questo Libro de buen amor esistono tre manoscritti,
tutti redatti intorno al 1330, e sono abbastanza difformi tra loro. Anche in questo caso
conosciamo il nome perché è l’autore stesso che dichiara il nome e la professione nel testo, ma
non ci sono altri dati su di lui. Uno dei manoscritti dice che è stato scritto mentre era in prigione,
lo scrive dal carcere per volere del vescovo di Toledo, il cardinale Albornoz. Era particolarmente
severo con i preti concubinari (preti che prendevano una compagna). Si è ricostruito che Juan
Ruiz probabilmente è realmente esistito, era realmente un arciprete ed era stato vittima di
questa severità del vescovo di Toledo, che infliggeva il carcere ai preti concubinari. Tutto
depone diverse costruzioni a favore della storicità di questo autore. Il Libro de buen amor è
frammentario, molto complesso, senza una vera trama. Inizia con due prologhi, uno in prosa,
nel quale l’autore spiega il suo intento, cioè quello di illustrare nell’opera i vari tipi di amore. C’è
il buon amore che è l’amore divino, l’amore per dio. Questo amore viene messo in evidenza al
rovescio, contrapponendogli esempi sciagurati di amore umano, che lui chiama loco amor:
l’amore per le donne, per il cibo, per il denaro, per il potere. Sembra seguire la linea della
letteratura didattica medievale.
Però è in realtà un’opera molto ambigua, perché anche nel prosieguo del prologo l’autore dice
che l’amore vero è l’amore per dio, ma che tuttavia chi vuole peccare trova molti esempi su
come farlo. Evidentemente elenca una serie di amori sbagliati, e lo fa in apparenza per
condannarli a scopo didattico, ma in pratica il libro è un susseguirsi di esempi negativi.
Non si sa se realmente fosse un’opera didattica, o se l’avesse impostata in questo modo per
sfuggire all’Inquisizione parlando di erotismo, volgarità, amori terreni. Quest’ambiguità è giocata
in ogni passaggio del testo, ed è ciò che la rende intrigante. Quello che è evidente è il tono
giocoso dell’arciprete, ironico, caricaturale. Rilegge con umorismo e ironia la propria società.
È un testo frammentario, perché si alternano testi di vario genere: satirici, comici, allegorie di
tipo medievale, storielle licenziose, parodie goliardiche, favole. Le favole orientali iniziano a
circolare in Spagna, portate dagli arabi. Dal punto di vista metrico è ugualmente variegato, si
passa dalla cuaderna vía alla canzonetta, all’ottonario: è un’opera frammentaria, varia dal punto
di vista metrico e dell’ispirazione. Anche il tono cambia spesso: talvolta abbiamo un tono più
colto, altre un tono più colloquiale, con l’uso del dialogo, con cui fa parlare personaggi di strati
sociali diversi, permettendosi di utilizzare un linguaggio popolare, volgare.
L’unico elemento di unità è che è scritto in forma autobiografica, e apre molte parentesi
inserendo storielle e dialoghi tra altri personaggi, ma si pone come una sorta di sua
confessione.
Dal punto di vista letterario è un’opera varia e ricca, anche di figure retoriche. Parodia e satira
sono i punti di forza del testo. La satira lo rende ancora più ambiguo, e non si capisce se
l’autore è sincero, parlando in prima persona.
È lui stesso ad invitare il lettore a non fermarsi alla prima interpretazione. Questo è un aspetto
molto innovativo per l’epoca, che lo rende piuttosto moderno.
Letteratura Spagnola 23/02/2022

Abbiamo parlato del mester de clerecía, che abbiamo nominato in contrasto con el mester de
juglaría.
Da una parte c’è la poesia giullaresca, una poesia orale e narrativa, non perfetta dal punto di
vista formale (anche il Cantar de mio Cid ha versi irregolari); dall’altra c’è la poesia del mester
de clerecía, dei clerici, che all’epoca erano tra le poche categorie che studiavano e che quindi
conoscevano il latino e non erano analfabeti.
Il mester de juglaría era per persone che non sapevano leggere. Il mester de clerecía,
soprattutto all’inizio, si scrive in cuaderna vía, formata da versi alessandrini di 14 sillabe
monorimate, che derivano dal Libro de Alexandre (su Alessandro Magno, una delle figure più
cantate nell’epica medievale). Abbiamo citato Gonzalo De Berceo, che è un autore religioso,
non prolifico ma importante per alcune opere di carattere didattico, e perché è il primo autore
riconosciuto.
Su Juan Ruiz, el Arcipreste de Hita abbiamo notizie più vaghe sulla sua biografia, ma tutto
depone a favore della sua esistenza, e probabilmente era effettivamente un arciprete.
La sua importanza risiede nel fatto di aver cambiato un po’ la cuaderna vía, il mester de clerecía
inizia a includere anche tematiche non religiose. El libro de buen amor è un testo frammentario,
che contiene un po’ di tutto: da storielle divertenti a storie più educative, metafore medievali,
allegorie, commenti goliardici. Anche dal punto di vista della forma è molto variegato, c’è
alternanza tra linguaggio popolare e colto. È un’opera che si presenta come autobiografica ma
in cui l’autore fa parlare tanti altri personaggi, avendo modo di poter utilizzare diversi registri
linguistici. C’è la comparsa del dialogo per la prima volta nella letteratura spagnola.
È un’opera realistica, anche questo è un elemento importante, ed è un’opera piena di ironia e
umorismo.
I punti di forza di questo autore sono la parodia e la satira, questo aumenta l’ambiguità del
testo, non si capisce fino in fondo la sincerità dell’autore. È l’autore stesso che invita il lettore a
non fermarsi alla prima interpretazione, questo ci fa pensare che alcune storie, soprattutto
quelle didattiche, siano ironiche. Paco Ibañez è un cantautore, che ha vissuto l’esilio durante la
dittatura di Franco e che ha anche interpretato diverse poesie antiche.

“Enjiemplo de la propriedad que el dinero ha”

Sono quartine monorimate, versi alessandrini con una cesura a metà, si vede visivamente con
le “y”. È una cuarderna vía, il testo alterna versi diversi, tra cui la cuaderna vía che è la forma
più aulica di questa poesia del mester de clerecía.
“Mucho haz el dinero, y mucho es de amar”, "molto fa il denaro e molto bisogna amarlo".
“Al torpe hace bueno y hombre de prestar”, "il rozzo lo rende buono, e uomo da rispettare".
Quindi grazie ai soldi anche una persona rozza diventa subito rispettabile. “Hace correr al cojo y
al mudo hablar”, "fa correre lo zoppo e parlare il muto". “El que no tiene manos, dineros quiere
tomar”, "anche chi non ha mani vuole prendere il denaro". Evidentemente dalla prima quartina il
denaro si presenta come qualcosa che compie meraviglie, in modo amaramente ironico.
“Sea un hombre necio y rudo labrador”, "che un uomo sia stolto e rude contadino, i soldi lo
rendono un hidalgo (è un arabismo semantico, termine che deriva da un’espressione araba, lett.
“hijo de algo, figlio di qualcosa”, colui che ha dei beni, fa parte della piccola nobiltà) e un
saggio";
i termini sono messi quasi in posizione chiastica.
“Cuanto más algo tiene, tanto es más de valor, el que no ha dineros, no es de sì señor”, "quanto
più qualcosa ha la persona, tanto più è di valore, chi non ha soldi non è degno di rispetto".
È molto amaro, non ha più valore neanche la nobiltà, neanche la sapienza, bastano i soldi.
Dalla terza strofa inizia una satira contro la Chiesa. L’autore era un membro della Chiesa, il
medioevo è un secolo molto contraddittorio per quanto riguarda la Chiesa, che ha uno
strapotere in tutti gli strati della società, quindi ci sono anche molti contrasti interni. Il medioevo
è anche un’epoca attraversata da scandali, membri della chiesa che non si comportano come
dovrebbero. L’autore, essendo un arciprete, condanna qualcosa che conosce bene.
“Si tuvieres dineros habrás consolación”, "se hai i soldi ha la consolazione". Al contrario di ciò
che dice il Vangelo, la Chiesa, che la consolazione viene da dio, questa cosa qui viene
smentita. Dice che “con i soldi avrai piaceri, allegria e il beneficio ecclesiastico del Papa;
comprerai il paradiso, guadagnerai la salvezza, dove ci sono molti soldi c’è molta benedizione”.
Sono riferimenti alle pratiche del medioevo della vendita dei beni ecclesiastici e delle
assoluzioni, bastava pagare e diventavi degno di salvezza e benedizione. “Yo vi en corte de
Roma, do es la santidad”, “ho visto nella corte di Roma (in Vaticano) che tutti al denaro fanno
grandi reverenze, si umiliano davanti ai soldi, grandi onori gli facevano con grande serenità.
Tutti a lui si prostrano come alla maestà”. Più che al Papa, tutti rendono onore ai soldi. C’è
quindi una durezza mitigata dall’ironia, che è quasi un sarcasmo che rende ancora più cruda la
critica. “Rendeva molti priori, vescovi, abati”, c’è un’enumerazione di tutti i poteri della Chiesa.
Tutti questi ruoli importanti della Chiesa erano ricoperti da chi aveva denaro. “A molti uomini
della Chiesa stolti dava dignità, faceva di verità menzogna e di menzogna verità”. Anche qua c’è
una forma di chiasmo, ovvero l’inversione di due elementi: verità-bugia, bugia-verità, come a
dire che sono intercambiabili.
C’è un’enumerazione di tutti gli elementi del campo semantico clericale, intendendo che sono
tutti coinvolti. “Hacía muchos clérigos y muchos ordenados (colui che viene ordinato
sacerdote)”, "rendeva molte persone chierici e ordinati sacerdoti, rendeva molte monache e
monaci dei santi". Erano semplici uomini di chiesa, ma portando beni materiali al monastero
diventavano subito dei santi nelle loro istituzioni. “El dinero los daba por bien examinados, a los
pobres decían que no eran letrados”. Qui si tratta dell’ordinazione religiosa, nel medioevo
diventare un sacerdote o monaco significava avere una rendita che non tutti potevano avere,
era un posto ambito. I ricchi passavano gli esami per diventare monaci, erano ben esaminati,
bastava pagare per entrare in queste istituzioni religiose, ai poveri dicevano che non erano
abbastanza colti. Il denaro compra anche l’ordinazione sacerdotale.
“Daba muchos juicios, mucha mala sentencia”, qui si passa all’ambito della giustizia: "il denaro
dava molti giudizi e molte cattive sentenze, per molti avvocati era il mezzo per vivere". Il denaro
corrompe i giudici per favorire i ricchi nei processi. Anche la giustizia, così come gli altri ambiti,
è appannaggio di chi ha più denaro e può essere comprata.
“Il denaro rompe le prigioni dure”, se uno è in prigione ma ha i soldi viene liberato.
“A chi non ha soldi mettono le manette, per tutto il mondo [il denaro] fa cose meravigliose”.
C’è un tono sarcastico. “Rende cavalieri i rozzi paesani”. Abbiamo visto la Chiesa e la giustizia,
qui parla invece di nobiltà. Rende conti e gentiluomini alcuni contadini. “Tutti coloro che stanno
al mondo baciano oggi le mani del denaro”, c’è una personificazione del denaro, addirittura si
arriva a baciargli le mani, quasi un’allegoria. Sembra ancora di più un’entità che controlla il
mondo.
“Ho visto avere al denaro le migliori dimore, alte, belle e dipinte”. “Il denaro” non è più neanche
il nobile o il ricco, è il denaro stesso a possedere tutto. C’è un’aggettivazione molto ricca, la
lingua dell’Arcipreste de Hita è molto varia, con molti sinonimi. C’è un’enumerazione di beni che
è anche un’accumulazione. La figura retorica dell’enumerazione ci dà il senso
dell’accumulazione delle ricchezze. “Mangiava molte prelibatezze di diversa natura, vestiva
nobili panni, portava gioielli preziosi nei vizi e nelle baldorie”. L'autore descrive bene l’ambiente
di certe corti e certi palazzi dove c’erano feste sfrenate, ricchezza, cibo prelibato. In questa
quartina tutto descrive ricchezza, in contrasto con la povertà dell’epoca. Col denaro si compra di
tutto, anche le donne: “ogni donna del mondo di alto rango è avida di denaro e dalla molta
ricchezza. Non ho mai visto una bella donna che desiderasse la povertà, dove c’è molto denaro
c’è molta nobiltà”.
Le rime in -eza coinvolgono i concetti principali di questa satira: l’altezza (alto rango), la
ricchezza (materiale), la povertà (per contrasto) e la nobiltà (sociale e d’animo).
All’interno del Libro de buen amor questa è una satira in cui il protagonista del libro dà la parola
a Don Amor, che dice che amore e denaro sono strettamente collegati, spiegando questa
poesia.
Benché sia un testo del ‘300, comunica anche adesso molte suggestioni.

La prosa

Durante il califfato di Abderramán (Abd al-Rahman) III (912-961), della dinastia più importante
durante la dominazione araba, la Spagna araba ha il maggior splendore.
Gli Abderramanes sono coloro che instaurano il primo califfato a Cordoba.
Durante questi regni ebbero grande impulso la scienza e l’arte. La dominazione araba fu di una
popolazione estremamente avanzata, quindi fu una conquista militare, ma ci fu anche un
notevole apporto culturale. Si calcola che nel vocabolario castigliano ci siano seimila termini
derivati dall’arabo, e sono termini che afferiscono a molti campi, ad esempio nell’agricoltura.
Il concetto di “zero” arriva con gli arabi. Gli arabi hanno introdotto innovazioni in tutti i campi in
Spagna e nel resto d’Europa. Dal punto di vista culturale i califfi possedevano una biblioteca
con testi tradotti dal greco, dal persiano e altre lingue orientali. Era una biblioteca con trattati
che favorì l’interesse per la scienza. Cordoba divenne un importante centro culturale, ma lo
divennero anche altre città come Toledo e Siviglia. La prosa letteraria castigliana nasce intorno
alla Scuola di Traduttori di Toledo, che raduna intorno a sé intellettuali e studiosi, facendo di
Toledo un centro di cultura. Toledo, essendo centrale in Spagna, è di volta in volta in mano
araba o cristiana, questo fa sì che queste due culture siano molto presenti in Spagna. C’è
anche una forte presenza ebraica.
Nasce quindi il “mito delle tre Spagne”. C’è comunque una convivenza di queste tre culture che
fa sì che in Spagna e in Europa penetrino queste opere che gli arabi avevano tradotto e portato
in Spagna. Normalmente il cardine lo fanno gli ebrei. Con gli ebrei in Spagna, anche in virtù
della radice semitica in comune con gli arabi, spesso c’è una convivenza più pacifica e gli ebrei
imparano l’arabo, facendo da ponte per questa letteratura. Gli ebrei traducono dall’arabo al
castigliano e i chierici dal castigliano al latino, così anche in Europa penetrano opere indiane,
greche e persiane, che non sarebbero state altrimenti comprensibili. Il testo più antico di prosa
castigliana è la Fazienda de Ultra Mar, che è una guida per i pellegrini che vogliono
intraprendere un viaggio in terra santa. Si ricorda questo titolo perché è il più antico testo di
prosa castigliana, ma i testi più frequenti sono le cronache e i racconti. L'interazione tra ebrei,
musulmani e cristiani propizia la circolazione di racconti delle tre tradizioni. Il racconto è una
tradizione tipica della cultura orientale, di quella indiana, greca e araba. Il libro di racconti più
famoso è Calila e Dimna, che è stato tradotto in arabo nel sec. VIII, ma è in realtà un libro
indiano scritto in sanscrito nel sec. VI.
Ha una diffusione molto forte con traduzioni in diverse lingue, fu un’opera fondamentale in
epoca rinascimentale. Si tratta di favole indiane, Calila e Dimna sono due sciacalli, due animali
(le favole hanno come protagonisti gli animali), ed è interessante la struttura. Si tratta di un
dialogo tra un re e un filosofo, al quale il sovrano chiede dei consigli. Il sovrano chiama a sé un
filosofo della sua corte e gli chiede consigli su come affrontare vari problemi della vita. Il filosofo
gli risponde attraverso racconti, i cui protagonisti sono spesso animali. La struttura è questa: il
sovrano chiama il filosofo, vuole risolvere varie problematiche di diverso aspetto, il filosofo per
rispondere gli racconta delle storie, delle parabole. Anche Gesù parlava per parabole, è una
cosa diffusa in oriente. Il filosofo gli offre queste spiegazioni, e il fatto che siano diversi racconti
fa sì che ci sia una diversità di tecniche narrative, ma tutto dentro una struttura portante: il re e il
filosofo, che racconta con una varietà di tecniche narrative ma una struttura fissa.
Un altro genere sono invece le cronache. Il manoscritto del Cid è incompleto, spesso i poemi
epici vengono ricostruiti e sappiamo della loro esistenza perché nelle cronache se ne faceva
cenno. I poemi epici hanno una base storica e quindi si incrociano con le cronache. Le
cronache sono precorritrici dei trattati storici. L’accuratezza storica che abbiamo ora è diversa,
ma le cronache hanno l’ambizione di raccontare la storia. In quest’epoca i fatti storici si
mischiano ancora alle leggende, è ancora un genere letterario, ma anticipa i trattati storici. Una
delle cronache più importanti è la Estoria de España o Primera Crónica General. Queste sono
le due cronache più importanti, a partire da queste ci sarà un vero proliferare di questo genere.
Come il Calila e Dimna fa sì che proliferino i racconti, così la Estoria de España o Primera
Crónica General introducono il genere della cronaca storica, che diventa molto diffuso nel
medioevo.
La prosa medievale si basa su questo. La prosa in castigliano è fatta di racconti e cronache
storiche.
Durante il regno di Alfonso X “El Sabio”, specialmente nella sua corte, c’è una grande fioritura
letteraria, lui stesso scrisse le famose Cantigas de Santa Maria, poesie religiose scritte in
galaico-portoghese, che è la lingua della lirica per eccellenza a quel tempo. Sta nascendo il
castigliano, e il gallego (o galiziano) nasce dallo stesso tronco del portoghese. In Portogallo
diventa lingua nazionale, in Spagna diventa lingua regionale. Anche il provenzale non diventerà
il francese ufficiale, ma era considerato molto adatto alla lirica. In epoca molto successiva,
perfino García Lorca si cimenta in alcuni sonetti scritti in gallego, considerata tuttora una lingua
molto adatta alla poesia. Alfonso X fu un grande mecenate rispetto alla letteratura, ebbe una
grande importanza nell’affermarsi della lingua castigliana, grazie alle traduzioni che erano
presenti nella propria biblioteca e grazie all’impegno nel produrre letteratura. Nonostante fu un
grande propulsore della lingua castigliana, lui stesso scriveva poesie in gallego-portoghese.
Non si era ancora formata una lingua unitaria. Anche in quest’epoca cominciano a scriversi
romanzi cavallereschi.

“El conde Lucanor” - Don Juan Manuel (1282 - 1348)

Don Juan Manuel è lo scrittore di prosa più importante dell’epoca medievale. È un autore colto,
consapevole del suo ruolo di scrittore, con lui viene totalmente superato l’anonimato, teneva
molto ai propri manoscritti. Ha un’idea del concetto d’autore che si avvicina a quello moderno.
Era un nobile di stirpe reale, fece vari matrimoni molto vantaggiosi per salire in società,
soprattutto con la figlia del primogenito di Alfonso X, motivo per cui divenne il tutore di Alfonso
XI.
Essendo Alfonso XI il futuro re, questo naturalmente gli dava un’influenza anche politica
all’interno della corte di Castiglia. Scrive molte opere, non tutte giunte fino a noi, si tratta di
opere di carattere didattico, scritte in lingua romanza per la nobiltà della quale faceva parte. Si
tratta di opere scritte per essere lette, non solo ascoltate, a differenza di quanto accadeva in
precedenza, dunque ecco spiegata la sua attenzione alla sua posizione di autore. L’opera più
conosciuta è El conde Lucanor. Il conte Lucanor è un giovane aristocratico che chiede consigli
morali e di comportamento sociale a un vecchio istitutore, l’aio, servitore che ha il compito
dell’educazione a corte. Patronio (l’aio) gli risponde di volta in volta con un racconto, alla
maniera orientale, è la stessa struttura di Calila e Dimna. L’opera si struttura in due prologhi e
cinque parti, la prima composta da 51 racconti che hanno sempre un insegnamento morale alla
fine. Compare anche lo stesso autore, come mediatore fra realtà e finzione. Alla fine di ogni
racconto condensa in poche righe la morale. Don Juan Manuel non era un innovatore,
nemmeno a livello contenutistico, la favolistica aveva una grande diffusione. La sua novità
consiste nel dare alla forma la stessa importanza del contenuto. Utilizza una forma colta,
misurata, meditata, a differenza del Arcipreste de Hita che alternava la forma colta ad altre più
popolari, Don Juan Manuel utilizza sempre una lingua raffinata.
È un’opera importante per l’autore, per la modalità in cui è scritta, per la raffinatezza che
esprime, per le nozioni che ci dà dell’epoca medievale. È animato però da un didatticismo che
lo rende ancora abbastanza medievale, poco moderno, cosa che invece Boccaccio seppe
superare. El conde Lucanor è molto legato all’epoca in cui è scritto, con un didatticismo che lo
lega all’epoca medievale.
Letteratura Spagnola 28/02/2022

Il Romancero

La letteratura spagnola del periodo si divide tra letteratura popolare e letteratura colta, il
Romancero rappresenta la poesia popolare, mentre il Cancionero è la poesia colta.
Il Romancero è l’insieme dei romances. Il romance è una composizione poetica di tipo narrativo,
normalmente scritta con versi di otto sillabe (l’ottonario è il metro tipico della letteratura popolare
spagnola). Sono opere narrative, non è poesia lirica, sono scritte in ottonari di rime assonanti in
cui rimano solo i versi pari. Un’altra delle caratteristiche è che di ogni romance esistono molte
varianti, una storia può subire diverse varianti, essendo poesia orale. Passa di bocca in bocca e
cambia a seconda del contesto in cui viene cantata o recitata. Se è un contesto ebraico la
protagonista è una donna ebrea, se è un contesto cristiano sarà una donna cristiana. Si
diffonde in tutta la Spagna delle tre culture e anche in America latina, quindi di uno stesso
romance può esistere una versione di un contesto iberico ad alta presenza araba, di un
contesto cristiano, ma anche ambientate in Perù o in Messico. Racconta diverse vicende, che
possono essere adattate alla comunità che le utilizza. Normalmente si parla di Romancero viejo
e Romancero nuevo. Il Romancero viejo è l’insieme dei romances scritti nel medioevo fino al
‘400, prima dell’invenzione della stampa. Il Romancero viejo ha avuto una diffusione
eminentemente orale, quindi ne è stata tramandata solo una parte, molti si sono persi. È una
produzione di tipo popolare. Solo a partire dal 1400 anche i poeti colti iniziano a interessarsi di
questo genere, e quindi iniziano ad essere scritti e apprezzati anche nelle corti come canzoni.
Una composizione che nasce come popolare, che ha un tipo di diffusione orale, fino al 1400
rimane di questo tipo. Dal 1400 in poi anche i poeti colti iniziano a interessarsene e a scriverne.
In contesti come le corti, in cui i nobili fungevano da mecenati per le arti, iniziano ad essere
apprezzati.
Con l’invenzione della stampa c’è un’auge dei romances, che vengono stampati. Vengono
stampati in pliegos sueltos (fascicoli) o libri. Quelli pubblicati in pliegos sueltos non avevano
tutto il libro intorno e sono andati quasi tutti persi, essendo un supporto molto fragile. Quelli
pubblicati nei libri hanno avuto una vita più lunga. Verso la fine del 1500 cala l’interesse per
questo genere, che non si scrive più. Non si scrive più in questo metro caratteristico della lingua
spagnola fino al romanticismo. Ha una diffusione piuttosto lunga fino alla fine del 1500, dopo
cade in disuso come metrica. Ramón Menéndez Pidal (1869-1968) è stato un filologo molto
noto e importante di età contemporanea grazie al quale oggi abbiamo un gran numero di
romances. Grazie al suo lavoro di raccolta conosciamo ora tanti romances e tante varianti. In
quanto alle tematiche, il romance può essere storico o novelesco. Quello storico a sua volta può
essere epico o noticiero (o fronterizo). Il tema epico è quello che contempla protagonisti che
sono personaggi molto noti (come il Cid, al quale vengono dedicati molti romances). Il romance
storico di tipo noticiero serviva ai sovrani per raccontare ai sudditi quanto avveniva nel regno o
fuori dai suoi confini (da qui fronterizo). All’epoca c’era una grande mescolanza tra verità e
leggenda, però era un modo per far circolare notizie delle guerre o di quanto avveniva nei regni.
Il romance novelesco tratta di temi universali come l’amore infedele, la donna che si veste da
uomo ecc., Calvino riprendeva tanti di questi temi molto ingenui ma affascinanti. In diversi
contesti ci fanno vedere diverse protagoniste: in contesto cristiano la donna era rapita dai mori,
in contesto ebraico la donna veniva rapita dai cristiani. Non trattavano di avvenimenti storici, ma
di queste vicende.
Romance de Abenámar

Il ritmo è molto regolare, si tratta di otto sillabe in ogni verso. È una strofa regolare in questo
caso, dove rimano solo i versi pari.
Questo ha fatto sì che nascessero illazioni sulle origini del romance, qualcuno ha ipotizzato che
si potesse trattare in realtà di poemi epici. Il poema epico ha intorno alle sedici sillabe e tutti i
versi rimano, quindi è come se fossero due emistichi di uno stesso verso più lungo.
Solamente i versi pari rimano, gli altri sono liberi. Si tratta di un romance fronterizo, di tipo
storico, che narra vicende storiche di guerra. Ci sono molti elementi poetici ma in realtà,
nonostante questo, l’argomento sotto le metafore è guerresco. Parla il re Juan II, padre di
Isabella di Castiglia, che si sposerà con Ferdinando d’Aragona. Siamo nel contesto della guerra
contro i mori, quindi della reconquista di Spagna. Il re Juan II vorrebbe conquistare Granada ma
non ci riesce. Granada fu l’ultimo baluardo arabo rimasto nella penisola, e venne conquistato
poi da Isabella di Castiglia. Juan II parla con questo moro di nome Abenámar. Il romance, come
il poema epico, inizia in medias res. Il re gli dice:

-¡Abenámar, Abenámar,
moro de la morería,
el día que tu naciste
grandes señales había!

C’è l’allitterazione “moro de la morería”, che è un’allitterazione ma è comunque un suono molto


dolce. Si rivolge a uno che è suo nemico, ma con un certo garbo. Non era sempre così, ci sono
dei romances che esprimono disprezzo nei confronti dell’”infedele arabo”. In questo caso c’è
una composizione molto rispettosa del nemico. “Il giorno in cui nascesti c’erano grandi segnali.
C’era il mare calmo e la luna era piena. Il moro che nasce sotto tali segnali non deve dire
bugie”. C’è un rapporto di fiducia del re che interroga questo moro e gli dice che è un uomo
retto, che non dice bugie. È una relazione insolitamente cordiale tra i due contendenti.
“E qui risponde il moro, sentirete quello che dice”, l’autore si rivolge direttamente al pubblico.
Come nei poemi epici si attira l’attenzione del pubblico.

—Yo te la diré, señor,


aunque me cueste la vida
porque soy hijo de un moro
y una cristiana cautiva;

“Te lo dirò signore, anche se mi costasse la vita”, quindi è un uomo coraggioso, “perché sono
figlio di un moro e di una cristiana prigioniera”. C’è una delle tematiche ricorrenti dei romances,
quella del rapimento della cristiana portata in mezzo ai mori. Probabilmente è per questo che è
così nobile Abenámar, perché è originariamente figlio di una cristiana. In ogni caso, l’autore ha
voluto inserire anche questo dato.

siendo yo niño y muchacho


mi madre me lo decía:
que mentira no dijese,
que era grande villanía;
“Quando ero un ragazzo, mia madre mi diceva di non dire bugie perché era di grande
maleducazione”, conferma con le sue parole la rettitudine di questo personaggio.
por tanto pregunta, rey,
que la verdad te diría.

“Quindi re, chiedimi quello che vuoi che io ti dirò la verità”.

—Yo te agradezco, Abenámar


aquesa tu cortesía.

C’è uno scambio di cortesia incredibile tra questi nemici, “ti ringrazio Abenámar per questa tua
cortesia”. Inizia quindi a interrogarlo.

¿Qué castillos son aquéllos?


¡Altos son y relucían!

“Che castelli sono quelli? Sono alti e brillano”. Qui c’è una passato, i tempi verbali non sono
concordanti, vengono modificati per fare la rima, l’importante è il significato, essendo una
poesia orale. Abenámar inizia ad enumerare le bellezze architettoniche di Granada, che sono
opera dei musulmani. Granada ebbe un grande splendore sotto il dominio musulmano.

—El Alhambra era, señor,


y la otra la mezquita;

È la Alhambra questo palazzo, e l’altra la moschea.

los otros los Alixares,

Il palazzo de los Alixares è un altro palazzo arabo di Granada. Sta elencando tutte le bellezze
architettoniche arabe.

labrados a maravilla.

“Intagliati a meraviglia”. L’arte araba fa largo uso di intagli, ghirigori, decorazioni molto ricche,
anche per la proibizione che hanno di rappresentare i volti umani e la divinità. Hanno sviluppato
la decorazione in modo molto intenso.

El moro que los labraba


cien doblas ganaba al día,

“Il moro che li ha scolpiti guadagnava al giorno una cifra molto alta”, per dire che erano di un
valore incommensurabile.

y el día que no los labra


otras tantas se perdía.

“Il giorno che non lavorava si perdeva una grande quantità di denaro”, ripete il concetto. C’è
un’altra versione di questo romance dove si diceva che venisse ucciso dopo aver finito l’opera,
per renderla unica.
El otro es Generalife,
huerta que par no tenía;

“L’altro è Generalife (altro palazzo arabo molto famoso), un giardino che non ha pari”.

el otro Torres Bermejas,


castillo de gran valía.—

“Torres Bermejas, castello di grande valore”. Usa molte parole per indicare la bellezza di queste
strutture. Con dovizia di particolari e aggettivi racconta che Granada è una bellissima città.

Allí habló el rey don Juan,


bien oiréis lo que decía:

Torna la parola al re, e si ripete la stessa struttura. C’è una somiglianza con il poema epico per
l’uso della ripetizione. “Parlò il re don Juan”:

—Si tú quisieses, Granada,


contigo me casaría;

C’è la personificazione della città, il re parla alla città come se fosse una donna. “Se tu volessi,
Granada, mi sposerei con te”. Vuole incorporarla al suo regno cristiano. È un romance
fronterizo, narra la guerra tra mori e cristiani, ma lo fa attraverso queste immagini poetiche e
amorose. Don Juan vuole conquistare Granada, nella metafora parla con una città personificata
chiedendole di sposarlo.

daréte en arras y dote


a Córdoba y a Sevilla.

“Ti darò come beni e come dote Cordoba e Siviglia”, città che aveva già conquistato.
Granada risponde:

—Casada soy, rey don Juan,


casada soy, que no viuda;
el moro que a mí me tiene
muy grande bien me quería.

“Sono sposata, re Don Juan, e non vedova (gli arabi sono ancora qui). Il moro che mi possiede
mi ama molto”. È quindi un romance noticiero ma con elementi lirici, riconducibili a un
linguaggio più amoroso che guerresco.
Il secolo XV

Dal punto di vista politico il sec. XIV era stato segnato da lotte interne tra il re e la nobiltà, a
causa della debolezza della casa reale la nobiltà aveva acquisito sempre più potere e
importanza politica. La nobiltà costituiva circa il 10% della popolazione, ma possedeva metà
delle ricchezze di tutto il regno. Era una classe sociale estremamente influente, il cui peso
politico era debordante. Ci furono molte ribellioni di contadini che vivevano in povertà, oppressi
dai signori. La corona di Castiglia era molto debole, in balìa dei nobili. Non riusciva a togliere
potere a questi grandi nobili che riducevano in povertà le classi più basse, perché la nobiltà
aveva un potere notevole. La situazione cambia quando viene nominata al trono di Castiglia
Isabella. Isabella si sposa nel 1469 con l’erede di Aragona, Ferdinando. I due regni cristiani più
importanti del nord sono quello di Castiglia e quello di Aragona. I due eredi a questi due troni si
sposano. Di fatto questo matrimonio è una sorta di prima unificazione della Spagna, anche se i
loro regni rimasero divisi. Avevano ognuno la propria moneta, ognuno il proprio esercito, si
dovevano pagare delle tasse doganali, avevano i propri tribunali: erano regni formalmente divisi.
Il matrimonio dei due sovrani fa sì che ci sia un’unificazione, nella pratica è quello che accadde.
Lo scudo dei re cattolici è diviso in quattro, il simbolo di Castiglia è una torretta, il simbolo di
Aragona è un leone rampante. Nel quarto più in alto c’è una torretta, in quello di fianco un leone
e nei quarti sotto sono invertiti. Questo per mantenere un equilibrio, per dire che nessuno dei
due è più importante dell’altro. Il loro motto infatti è “tanto monta”, ovvero “non c’è nessuno che
va più in alto dell’altro”. La Castiglia avrà però un’influenza maggiore. Verranno chiamati dal
papa Alessandro VI “i re cattolici”, un titolo che resterà ai sovrani di spagna fino al 1931, fino
alla proclamazione della repubblica. Inizia con loro quello che potremmo chiamare lo stato
moderno, lo stato autoritario. Costituiscono organismi di governo come il Consejo Real
(Consiglio Reale), che consentono di aumentare il potere reale a discapito di quello dei nobili, di
accentrare il potere su di sé. Il Consiglio Reale è il consiglio che assiste, che aiuta i re nel
prendere decisioni, e al suo interno viene molto diminuita la presenza dei nobili. Fondano la
figura dei corregidores, funzionari nominati dai re per amministrare la giustizia e l’ordine
pubblico. I corregidores sono funzionari reali, dislocati in varie città per amministrarle dal punto
di vista giuridico. Anche questi fanno capo direttamente ai re. I nobili che spadroneggiavano nei
territori hanno una figura che fa capo al re che li contrasta dal punto di vista dell’ordine pubblico.
La Santa Hermandad è una forza armata che assicura la pace nelle città e nelle strade, una
sorta di forza di polizia, che protegge chi viaggia da una città all’altra, e anche all’interno delle
città. Cercano di controllare il territorio. È un concetto piuttosto moderno accentrare il potere e
controllare il territorio dal punto di vista giuridico, legislativo e della protezione delle persone.
Affinché lo stato sia realmente unitario, la loro politica si basa su questi tre concetti:

- Potere reale, che deve prendere più importanza di quello nobiliare;


- Unità dinastica: se i loro regni non saranno realmente uniti, dopo di loro i loro eredi
faranno sì che i regni si unifichino;
- Unità religiosa, avviene nel 1492 con la presa di Granada. La presenza araba ha una
fine in Spagna, una presenza che era iniziata nel 711 d.C.; nel 1492 formalmente finisce
la pratica della religione musulmana e avviene l’espulsione degli ebrei. Gli ebrei erano
presenti nel territorio dal I sec. d.C., vengono espulsi nel 1492 con l’opzione di
convertirsi e restare o andarsene.

Nel 1492 c’è anche la conquista dell’America da parte della Castiglia.


La lingua dell’Aragona era il catalano, mentre la lingua che viene portata in America latina è il
castigliano. C’è poi la pubblicazione della prima grammatica della lingua castigliana, del
linguista Antonio de Nebrija. È quindi un anno molto importante per l’unità territoriale, per la
nascita di uno stato e l’espansione di questo stato verso l’America. Lo è anche per la
grammatica, con l’inizio di un riconoscimento anche linguistico di una cultura che sta nascendo.
Molto controversa è una frase nell’introduzione della grammatica, scritta da Antonio de Nebrija,
che dice “la lingua, che è compagna dell’impero”. Si dibatte ancora sul significato, ma è stato
interpretato come “bisogna conquistare l’America anche imponendo la lingua castigliana”, ed è
quello che poi è successo.
La Spagna araba, dopo un primo lungo periodo di splendore, stava attraversando un'epoca di
decadenza, anche dal punto di vista culturale. Dal grande califfato di Cordoba si formano tanti
piccoli regni chiamati “taifas”. Le comunità ebraiche non avevano mai smesso di essere creatrici
di grandi espressioni culturali, soprattutto nel campo della letteratura e della teologia,
nonostante le persecuzioni che ciclicamente hanno dovuto subire e che culmineranno
nell’espulsione nel 1492. Oltre alle espressioni in lingua araba, ebraica e castigliana bisogna
segnalare anche le lettere in lingua catalana. Si cita sempre il poeta valenciano Ausias March
(1397-1459) e i suoi imitatori. Siamo intorno al ‘400 quando iniziano a sentirsi venti nuovi
dall’Italia, tendenze nuove. Ausias March lo si ricorda, per quanto scrivesse in catalano, come
uno dei primi ad aprirsi alle nuove tendenze europee, soprattutto italiane. I nobili, per quanto
ridimensionati dal punto di vista delle aspirazioni politiche e del potere, continuano a coltivare le
arti. Fanno da mecenati a scrittori e artisti in genere, accedendo anche loro alla letteratura.
In questo periodo c’è una grande passione per la letteratura sia nell’alta che nella bassa nobiltà,
a volte sollevata anche da certi impegni. Visto che i re avevano accentrato su di sé il controllo
del territorio si dedicano quindi all’arte, e nascono generi letterari che la nobiltà coltiva.
Letteratura Spagnola 02/03/2022

Abbiamo visto la poesia del romancero e siamo passati al sec. XV. Il fatto storico fondamentale
è il matrimonio nel 1469 tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, ponendo le basi per
l’unificazione della Spagna. Abbiamo parlato delle istituzioni che i re fondarono per mantenere
saldo il loro potere. Si passa da un’epoca con molte lotte interne, con una nobiltà molto potente,
a una in cui i sovrani concentrano tutto su di sé. L’anno del 1492 è fondamentale perché c’è la
presa di Granada, con la fine della Spagna araba. I pochi arabi rimasti devono decidere se
convertirsi al cristianesimo o uscire dal paese. Lo stesso avviene con gli ebrei, devono scegliere
se convertirsi o abbandonare il paese. Viene emanato un editto pubblicato a marzo 1492, ma
effettivo a giugno, perché i re decidono di dare alcuni mesi agli ebrei in cui sperano in una
conversione di massa; infatti si intensificano le predicazioni. La politica reale fino a quel
momento era stata molto favorevole agli ebrei. C’è poi la scoperta e conquista dell’America,
altra impresa della corona di Castiglia. Il 1492 è anche l’anno della prima grammatica
castigliana. Vediamo una letteratura che si esprime in uno spagnolo arcaico, la prima volta che
si cerca di fissare le regole è il 1492. Antonio de Nebrija è un linguista, uno dei primi umanisti
spagnoli, che scrive la grammatica.
Oltre alla letteratura araba, ebraica e castigliana c’è anche una letteratura in lingua catalana.
Citiamo solamente Ausias March perché lui e i suoi imitatori (che scrivevano sia in castigliano
che in catalano) iniziano a percepire i venti di novità dall’Italia. Si inizia a percepire qualche
novità, soprattutto dall’Italia, non solo nelle lettere castigliane ma anche in quelle catalane.
Coltivare la letteratura è un’occupazione sempre più diffusa tra i nobili anche perché i re,
accentrando su di sé il potere, hanno tolto loro alcune prerogative della loro casta. Si dedicano
quindi con più tempo alla letteratura, che diventa l’occupazione preferita dell’alta e della bassa
nobiltà; Don Juan Manuel era uno di questi. Il secolo XV si caratterizza per la fioritura di tre
generi:

- La poesia cancioneril;
- I libri di cavalleria;
- La prosa sentimentale (ispirata alla Fiammetta di Boccaccio).

Il Cancionero

Abbiamo parlato del romancero, che è la raccolta delle poesie popolari. La poesia di
quest’epoca si divide in poesia popolare, il romancero, e quella colta, il cancionero.
Si tratta quindi di una poesia di tipo colto, che viene diffusa attraverso raccolte di canzoni, che
possono essere collettive o personali. Personali significa che potevano essere antologie di un
solo poeta, particolarmente apprezzato, e che dunque pubblicava a proprio nome. La poesia
cancioneril si diffonde però soprattutto attraverso cancioneros collettivi, con le prime antologie di
scrittori dell’epoca. Il primo è il Cancionero de Baena, raccolto da Juan Alfonso de Baena per il
re Juan II, nel quale si possono distinguere due tipologie di poesie: il decir e la canción.
Il decir ha contenuti di tipo dottrinale, narrativo, satirico ed è scritto generalmente in arte mayor.
“Arte mayor” significa versi lunghi di 12 sillabe, in contrapposizione all’ottonario, “arte menor”,
tipico soprattutto della metrica popolare.
Nel cancionero si distinguono queste due tipologie: il decir, scritto soprattutto in arte mayor, e la
canción. La canción è di tipo lirico, normalmente di tema amoroso e più breve, pensata per
essere cantata, da qui “canción”. Molto importante è il Cancionero General di Hernando del
Castillo, pubblicato nel 1511 e ripubblicato più volte, a riprova della popolarità di questo genere.
Uno dei poeti più importanti del ‘400 è Inigo Lopez de Mendoza, conosciuto come marqués de
Santillana (1398-1458). Lo ricordiamo per la ricerca di modelli nella cultura italiana. In ambito
castigliano è conosciuto grazie all’opera Sonetos fechos al itálico modo.
“Sonetti fatti alla maniera italiana”, l’ispirazione è indicata nel titolo. Sono i primi sonetti che
vengono pubblicati in spagnolo. L’importanza del marqués de Santillana è questa, aver dato
un’ulteriore spinta all’influenza italiana, che sarà una rivoluzione per le lettere spagnole.
Juan de Mena (1411-1456) era uno dei poeti più famosi all’epoca. Jorge Manrique (1440-1479)
è famoso soprattutto per l’opera “Coplas por la muerte de su padre”, è un’elegia funebre per la
morte del padre, ed è uno dei vertici del medioevo spagnolo.

Jorge Manrique (1440-1479) - “Coplas por la muerte de su padre”

Jorge Manrique era appartenente a una famiglia nobile, e come tale partecipò anche alle guerre
che caratterizzano quest’epoca politicamente incerta, fino al regno dei cattolici. In una di esse
perse la vita. C’è questo connubio tra letteratura e armi, che sarà poi tipico del rinascimento.
Il mondo in cui è vissuto è quello medievale delle armi, della guerra, ma anche il mondo fastoso
della corte, essendo un nobile. C’è questa doppia anima: uomo di guerra e uomo di corte e di
lettere. Fu autore soprattutto di poesie amorose, ma per queste non sarebbe probabilmente
passato alla storia. L’opera che lo consacra sono queste Coplas por la muerte de su padre, che
è un’elegia scritta per il padre Rodrigo Manrique. Quest’opera è piena di topici letterari. Alcuni
dei topoi più ricorrenti sono:

- Il disprezzo del mondo (contemptu mundi):


Normalmente i topici letterari si riferiscono alla poesia greca e latina, e hanno quasi
sempre un nome riconoscibile in latino (vanitas vanitatis). Tutto è vanità, il disprezzo del
mondo, vederlo come qualcosa di caduco, che invecchia e poi scompare, dunque tutto è
vanità e non bisogna amare troppo le cose del mondo, perché sono destinate a finire.

- Il tempo che scorre inesorabile (tempus fugit):


Un topico collegato al tempus fugit è quello del carpe diem, di cogliere l’attimo: dato che
tutto scorre e il tempo fugge, bisogna cogliere i momenti della vita.

- Il concetto di fortuna:
È un concetto che nasce nel medioevo e si sviluppa nel rinascimento, di come la fortuna
sia mutabile. Bisogna accettarla perché non dipende da noi, è spesso esemplificata da
una ruota, può portare bene e male.

- L’uomo come viaggiatore (homo viator):


Anche Dante è un homo viator, fa un percorso verso Dio. L’esempio dell’uomo che
viaggia e affronta la vita per arrivare alla fine.

- La morte come livellatrice (omnia mors aequat):


È molto importante per la mentalità medievale, la morte rimette tutto a posto. Tutti alla
fine muoiono, è la grande livellatrice. La società medievale è molto gerarchica, ha molta
importanza la nobiltà, ma davanti alla morte questo non ha valore. È anche una società
molto cristiana quindi, anche se esistono ricchezze e gerarchie, tutto si azzera e le cose
importanti non sono quelle, tutto è visto in chiave religiosa.
- La vita come un fiume che scorre verso il mare (vita flumen):
Viene anche questo dall’ecclesiaste. C’è sempre questo concetto dello scorrere, della
vita che scorre.

- Ubi sunt?
Lett. “dove sono?”, è quando nella poesia classica si fa riferimento agli uomini illustri del
passato. È una sorta di domanda retorica, che mette in contrasto la miseria del presente
con lo splendore del passato.

- Tre tipi di vita: quella terrena, quella della fama e quella eterna
La vita terrena è quella che ognuno di noi vive, la vita della fama è il ricordo che si ha di
una persona perché ha commesso atti degni di nota ed è come se non morisse,
perdurando nel ricordo della gente. La vita eterna in un contesto cristiano è quella più
importante, quella che ognuno di noi deve conquistare dopo la morte.

Tutti questi topoi sono trattati in modo molto originale, nonostante siano temi ricorrenti.
In questo poema l’autore è capace di dare senso a tutti questi topici.
Vedremo nella poesia elementi della vita medievale militare, dei castelli, del lusso. È tuttavia
estremamente poetica e lirica. Appartiene al genere dell’elegia funeraria e dipinge una morte
accettata con cristiana rassegnazione dal padre Rodrigo.
La struttura si compone di 40 strofe di 12 versi ottosillabi con “pie quebrado”.
Il “pie quebrado” è un verso che misura la metà degli altri. Sono versi ottosillabi, uno di essi ne
ha quattro, è il pie quebrado, “piede rotto”. A livello tematico è un’elegia molto lunga, che si può
dividere il tre fasi: la prima parla della morte in generale, la seconda della morte dei personaggi
storici, la terza della morte del padre. Arriva a piangere la morte del padre attraverso un
percorso che parte dal generale e arriva al particolare.
Sulla morte, contrariamente a quanto accade nelle “Danze della morte” (una sorta di
raffigurazione tardo medievale per ricordare come la morte ci tenga per mano anche in vita),
questa elegia non indugia su particolari macabri. Non indugia su elementi fisici della morte, ma
fa leva soprattutto sul fatto che la vita continui dopo la morte, e che il defunto non sarà
dimenticato grazie alle opere del poema, oltre alla fama in quanto uomo che l’ha meritata.
Si tratta di un testo originale, adattato a una grafia moderna dello spagnolo attuale per renderlo
più comprensibile. Ogni strofa ha 12 versi, e ci sono sempre due ottonari e un pie quebrado.
C’è un verso più corto ogni due più lunghi, è un ritmo abbastanza incalzante.

Recuerde el alma dormida,


avive el seso y despierte
contemplando
cómo se pasa la vida,
cómo se viene la muerte
tan callando;
cuán presto se va el placer;
cómo después de acordado
da dolor;
cómo a nuestro parecer
cualquiera tiempo pasado
fue mejor.
“Si risvegli l’anima addormentata”. “Ricordare” nello spagnolo moderno ha un altro significato,
all’epoca si utilizzava come “ridestarsi”. “Si ravvivi il senno e si scuota”, è un invito a svegliarsi e
prestare attenzione contemplando come la vita passa, come viene la morte silenziosamente.
“Quanto presto se ne va il piacere, come dopo averlo ricordato dà dolore. E come, secondo la
nostra opinione, ogni tempo passato fu meglio di quello di adesso”. Quest’opera si gioca su
diverse opposizioni: c’è l'opposizione dormire-svegliarsi, poi c’è il contrasto tra vita e morte, tra
dolore e piacere, passato e presente. È una prima strofa costruita in modo molto razionale,
inizia con un’introduzione, con un’anafora con “como”, come se fosse un ragionamento
razionale per arrivare alla conclusione “cualquiera tiempo pasado fue mejor”. È subito un invito
a vedere come la vita sia passeggera.

II

Pues si vemos lo presente


cómo en un punto se es ido
y acabado,
si juzgamos sabiamente,
daremos lo no venido
por pasado.
No se engañe nadie, no,
pensando que ha de durar
lo que espera
más que duró lo que vio,
pues que todo ha de pasar
por tal manera.

In questa seconda strofa insiste sul concetto che tutto passa, tempus fugit. “Se vediamo il
presente, come un punto se n’è andato, se giudichiamo saggiamente daremo ciò che non è
ancora venuto per passato”. Il tempo scorre talmente rapido che il futuro è quasi passato. “Che
nessuno si inganni pensando possa durare [il futuro] più di ciò che durò il passato, perché tutto
deve passare nello stesso modo”. Il concetto è che il tempo passa molto rapidamente e passerà
anche in futuro, nonostante possiamo pensare che lo faremo durare di più.

III

Nuestras vidas son los ríos


que van a dar en la mar,
que es el morir:
allí van los señoríos,
derechos a se acabar
y consumir;
allí los ríos caudales,
allí los otros medianos
y más chicos;
y llegados, son iguales
los que viven por sus manos
y los ricos.
Qui c’è il topico della “vita flumen”. È un’immagine biblica molto feconda a partire dal medioevo.
È un’idea occidentale e orientale quest’idea che la vita sia un fiume che arriva al mare. Lo
scopo finale della vita è morire. “Ci vanno i potenti, dritti a terminare e consumarsi”, anche i
potenti finiranno in questo modo. “I fiumi principali e quelli medi”, c’è una gerarchia persino nei
fiumi. Come nella società fatta di gerarchie, quando cita i fiumi li cita in ordine gerarchico.
Quando arrivano al mare i fiumi sono uguali. “Coloro che vivono delle proprie mani e i ricchi”, la
metafora del fiume si spiega nell’ultimo verso: la nostra vita è un fiume che arriva al mare, in cui
siamo tutti uguali. Qui vediamo quindi due topici, quello della vita flumen e quello di omnia mors
aequat, la morte livellatrice. Un altro topico è “memento mori”, “ricordati che devi morire”, che è
una frase con cui si salutavano i monaci francescani. Bisogna ricordarlo perché significa dare
più valore alla vita. In molti quadri si vede accanto ai santi un teschio, quello è il memento mori.
Non è una cosa macabra, ma un invito a dare valore alla vita. È pieno di topici medievali, ma
con una morte meno macabra, con un invito a vivere.

IV

Dejo las invocaciones


de los famosos poetas
y oradores;
no curo de sus ficciones,
que traen yerbas secretas
sus sabores.
A Aquel sólo me encomiendo,
Aquel sólo invoco yo
de verdad,
que, en este mundo viviendo,
el mundo no conoció
su deidad.

Sarà un’usanza rinascimentale invocare i grandi poeti del passato, come a mettersi al riparo
della loro grandezza. Era una moda già in voga in quest’epoca, e l’autore dice: “lascio perdere
le invocazioni dei famosi poeti ed oratori, non mi curo delle loro finzioni perché portano veleni”.
“Invoco solamente quello che in questo mondo vivendo, il mondo non lo riconobbe, e non ne
riconobbe l’essenza divina”, ovvero Cristo. È un riferimento al prologo del Vangelo di Giovanni,
dove si dice che venne nel mondo ma il mondo non lo riconobbe.
Si pone come poeta cristiano, non vuole essere un poeta pagano. L’unico che vuole invocare è
Cristo, lo spirito cristiano pervade quest’opera.
V

Este mundo es el camino


para el otro, que es morada
sin pesar;
mas cumple tener buen tino
para andar esta jornada
sin errar.
Partimos cuando nacemos,
andamos mientras vivimos,
y llegamos
al tiempo que fenecemos;
así que, cuando morimos,
descansamos.

“Nosotros”, “noi”, il poeta coinvolge anche il lettore, sta dicendo dei concetti universali che tutti
possiamo percepire, e viene aumentata la partecipazione emotiva del lettore con questo “noi”.
“Questo mondo è il cammino”, homo viator, un altro dei topici che abbiamo visto, l’uomo come
essere in cammino. “Questo mondo è il cammino che va verso l’altro”, la preparazione per la
vita dopo la morte. “È una dimora senza affanno”. Il verbo “camminare” è scelto per dare anche
un’idea di affanno, ed è in contrasto con l’altro mondo, senza affanno.
“Ma bisogna essere saggi per andare nel mondo terreno senza errare”. Qui c’è probabilmente il
doppio significato di “errare”, sia “camminare senza meta” che “sbagliare”. “Partiamo quando
nasciamo”, la vita come viaggio che contempla nascita, vita e morte. “Arriviamo quando è finito
il cammino, così che quando moriamo riposiamo”: la morte è la fine di un viaggio faticoso e
quindi è riposo, è consolazione, non fa paura. L’ultimo verso è costituito da una sola parola, ed
è alla fine della strofa, quindi ha un grande valore. Anche leggendolo “riposiamo” la voce su
questo verso.

La strofa VI parla del figlio di Dio, si riferisce a elementi religiosi.

Nella strofa VII si parla della bellezza spirituale e materiale, messe in contrasto: la bellezza
spirituale come quella delle cose eterne, e quella materiale delle cose caduche.
Di nuovo una strofa che gioca sul contrasto tra l’eternità e la caducità del mondo terreno.

VIII

Ved de cuán poco valor


son las cosas tras que andamos
y corremos,
que, en este mundo traidor
aun primero que miramos
las perdemos:
de ellas deshace la edad,
de ellas casos desastrados
que acaecen,
de ellas, por su calidad,
en los más altos estados
desfallecen.
“Vedete di che poco valore sono le cose dietro cui corriamo”. C’è ancora questa metafora di
camminare e correre, ancora una volta la vita vista come un cammino. C’è il disprezzo del
mondo. Questa è un’opera che ha ancora un carattere morale, vuole insegnare come si
debbano seguire le cose spirituali eterne, a differenza di quelle che non hanno valore, come
quelle del mondo. Il mondo è “traditore”, perché non è vero quello che vediamo del mondo, ci
tradisce. Prima ancora di vedere queste cose le abbiamo già perse. “Di queste cose si disfa
l’età”, scorre il tempo, invecchiamo. “Gli eventi disastrati”, le cose che sono del mondo sono
sempre legate a un’aggettivazione negativa. “Per la loro qualità, anche nello stato più alto si
sfaldano”, è tutta una strofa che si gioca sul contemptu mundi.

La strofa X si rifà al sangue dei goti, i goti sono la nobiltà per eccellenza, il primo regno ispanico
era quello dei visigoti. I romani chiamarono i visigoti per sconfiggere i barbari, i quali si
latinizzarono e divennero il primo regno ispanico. Comincia a rifarsi alla nobiltà e parla dei re
goti.

La strofa XIX parla della bellezza, che con l’avanzare dell’età scompare.

XI

Los estados y riqueza,


que nos dejen a deshora
¿quién lo duda?
No les pidamos firmeza,
pues que son de una señora
que se muda,
que bienes son de Fortuna,
que revuelven con su rueda
presurosa,
la cual no puede ser una,
ni ser estable ni queda
en una cosa.

“Gli stati e la ricchezza”, lo stato del benessere, “che ci lascino subito, chi ne dubita? Noi non gli
chiediamo fermezza, perché sono di una signora che è mutevole”. Tutti gli stati della vita sono di
una signora mutevole: la fortuna. I beni sono della fortuna (topico della fortuna mutabile),
“girano con la sua ruota veloce, la quale non può essere né stabile né fissa in una cosa”. È un
concetto, quello della fortuna, che nel medioevo è molto presente. La fortuna è come una ruota
che gira, e non possiamo chiederle di darci per sempre i suoi beni, perché ci tocca il momento
in cui lei ci designa come ricchi e fortunati.
XIII

Los placeres y dulzores


de esta vida trabajada
que tenemos,
no son sino corredores,
y la muerte, la celada
en que caemos:
No mirando a nuestro daño,
corremos a rienda suelta
sin parar;
des que vemos el engaño
y queremos dar la vuelta,
no hay lugar.

“I piaceri e le dolcezze di questa vita tribolata”, c’è un’antitesi in questi versi, dolcezza-tribolata.
I piaceri e le bellezze non sono altro che corridori, cavalli che corrono. C’è la similitudine tra la
vita dell’uomo e un cavallo che corre. “Tutti i piaceri della nostra vita sono come un cavallo che
corre, e la morte è l’imboscata nella quale cadiamo”. Se la vita è la corsa, l’imboscata è la
morte. L’imboscata è qualcosa che non ci aspettiamo e che capita senza preavviso. “Non
conoscendo il danno che avremo, corriamo a briglie sciolte senza fermarci”, nessuno pensa che
la vita possa fermarsi, sarebbe assurdo vivere pensando che moriremo, pur sapendo che può
sempre succedere non ci pensiamo. “Quando vediamo l’inganno e vogliamo girarci, non c’è più
spazio”. Tutto può capitare da un momento all’altro: la morte di un padre, la morte di un
compagno di battaglia, la fine della nostra stessa vita, e quando ce ne accorgiamo è troppo
tardi.

XIV

Estos reyes poderosos


que vemos por escrituras
ya pasadas,
con casos tristes, llorosos,
fueron sus buenas venturas
trastornadas.
Así que no hay cosa fuerte,
que a Papas y Emperadores
y Prelados,
así los trata la Muerte
como a los pobres pastores
de ganados.

“Questi re potenti che vediamo nelle scritture passate, di cui leggiamo le cronache, le loro
buone fortune furono rovesciate”. Ancora una volta c’è la fortuna che rovescia la sorte. “Non c’è
cosa forte poiché a papi, imperatori e prelati così li tratta la morte come ai poveri pastori di
bestiame”, la morte come livellatrice. Abbiamo letto storie dei grandi re e delle loro fortune,
ebbene spesso queste furono rovesciate da un avvenimento incontrollabile. Così come a papi,
imperatori e prelati, li tratta la morte come poveri pastori di bestiame. Fa nuovamente
un’enumerazione gerarchica.

La strofa XV fa riferimento ai classici.

XVI

¿Qué se hizo el rey don Juan?


Los infantes de Aragón
¿qué se hicieron?
¿Qué fue de tanto galán,
qué fue de tanta invención
como trujeron?
Las justas y los torneos,
paramentos, bordaduras,
y cimeras,
¿fueron sino devaneos?
¿Qué fueron sino verduras
de las eras?

“Ubi sunt?”, domande retoriche su personaggi importanti che ci hanno preceduto. “Che è stato
del re don Juan?”, questa è una ripresa del topico dell’ubi sunt, contestualizzato nel re di
Castiglia don Juan. “Degli infanti di Aragona?”, anche la parola “infante” è un arabismo
semantico. Gli infanti sono i figli del re che non erediteranno il trono, sono comunque membri
della famiglia reale. “Che è stato di tanta cortesia?”, cos’è stato di tutta la bellezza della vita di
corte? “Cos’è stato di loro e delle loro imprese? Sono state solo smanie vane”. “Sono state solo
dei fili d’erba sulle zolle”. Cita una serie di oggetti medievali: i tornei, i paramenti, i ricami, i
pennacchi.
“Cos’è stato di tutte quelle cose con cui abbiamo adornato la nostra vita di corte?”. La risposta
la sappiamo, è qualcosa che è svanito.

XXIV

Las huestes innumerables,


los pendones y estandartes,
y banderas,
los castillos impugnables,
los muros y baluartes
y barreras,
la cava honda chapada,
o cualquier otro reparo,
¿qué aprovecha?
cuando tú vienes airada
todo lo pasas de claro
con tu flecha.

Grazie a queste opere conosciamo anche le usanze medievali, qui c’è una terminologia legata
ai castelli medievali. “Gli eserciti innumerevoli, i vessilli, gli stendardi, le bandiere, i castelli
inespugnabili, i muri, i baluardi, le barriere, il fossato profondo e armato, qualunque altra
protezione, a che serve? Quando tu vieni furibonda, tutto trapassi con la tua freccia”. Basta una
freccia della morte per superare tutto.

XXV

Aquél de buenos abrigo,


amado por virtuoso
de la gente,
el Maestre don Rodrigo
Manrique, tanto famoso
y tan valiente,
sus grandes hechos y claros
no cumple que los alabe,
pues los vieron,
ni los quiero hacer caros,
pues que el mundo todo sabe
cuáles fueron.

Finalmente parla del padre. Inizia con riflessioni sulla morte, parla dei grandi del passato e poi
del defunto, suo padre. È una lode delle virtù di suo padre. “Colui che era dei buoni scudo”,
dalla parte giusta, “amato dalla gente, il Maestro don Rodrigo (era maestro dell’Ordine di
Santiago, un ordine cavalleresco medievale), così famoso e coraggioso. Le sue gesta grandi e
famose, nobili. Non c’è bisogno che io le lodi, perché le avete viste. Né le voglio rendere care a
voi, perché il mondo intero sa quali furono”. Dice che il padre ha già ottenuto la fama coi suoi
atti.

Nella strofa successiva c’è un’ode molto enfatica delle gesta del padre. È una cosa tipica
dell’elegia funeraria passare in rassegna tutte le azioni e le virtù del defunto.
Lo paragona poi ai grandi del passato, mette in relazione suo padre con i grandi condottieri.
Lo pone quasi come una continuazione di questi grandi uomini del passato.

XXIX

No dejó grandes tesoros,


ni alcanzó muchas riquezas,
ni vajillas,
mas hizo guerra a los moros,
ganando sus fortalezas
y sus villas.
Y en las lides que venció,
muchos moros y caballos
se perdieron,
y en este oficio ganó
las rentas y los vasallos
que le dieron.

Qui capiamo perché è degno di essere ricordato nei grandi condottieri del passato.
“Non fece questo.. ma…”. “Non lasciò grandi tesori, i beni terreni non sono importanti, non
raggiunse molte ricchezze o gioielli, ma fece la guerra ai mori. Non è importante ciò che riuscì
ad accumulare, ma il fatto che abbia difeso la cristianità dai mori, guadagnando le loro fortezze
e le loro terre”. Siamo nel contesto della conquista e della reconquista. “Negli scontri che vinse
quanti mori e cavalli si persero”. Il suo bottino non fu di ricchezze, ma di morti degli avversari.
“In questo impegno guadagnò le rendite e i vassalli che gli diedero”. Guadagnò tutto grazie alla
battaglia.

XXXIII

Después de puesta la vida


tantas veces por su ley
al tablero;
después de tan bien servida
la corona de su rey
verdadero;
después de tanta hazaña
a que no puede bastar
cuenta cierta,
en la su villa de Ocaña
vino la Muerte a llamar
a su puerta

“Dopo aver messo in gioco la propria vita così tante volte per la propria fede”. ll fatto di giocarsi
la propria vita con la morte è un tema ricorrente. “E dopo aver così bene servito la corona del
proprio re”, qui si vede l’obbedienza alla sua fede e al re, era un uomo obbediente. “Dopo così
tante imprese che non può bastare un racconto, nel suo paese di Ocaña venne la morte a
bussare alla sua porta”. La morte non è un fatto che porta terrore né una caricatura burlesca,
ma docilmente bussa alla porta di don Rodrigo, il quale l’accoglie, accettando cristianamente di
morire. L’anafora di “después” ci dà l’idea di un ragionamento logico. La morte che giunge
sembra la conclusione logica di una vita gloriosa, dopo aver difeso la propria fede e il proprio re;
è quasi un premio, non una punizione. È la conclusione gloriosa di una vita spesa nella nobiltà
d’animo e nella fede.
Letteratura Spagnola 07/03/2022

“Coplas por la muerte de su padre”

Manrique illustra tre tipi di vita: quella terrena, quella della fama e quella eterna. La vita terrena
risponde a una serie di topici letterari tra cui il contemptu mundi e il vanitas vanitatis: il disprezzo
del mondo e la vanità del mondo.
La vita della fama è una via di mezzo: quando un uomo viene ricordato per le sue gesta, in
qualche modo vive anche attraverso il ricordo.

La strofa XXXIII parla di come Rodrigo Manrique abbia messo in gioco la propria vita per la
religione e per il proprio re, quindi religione e poltiica.
Eravamo arrivati al punto in cui la morte bussa alla sua porta. La morte bussa gentilmente alla
sua porta, è la conclusione di una vita gloriosa, ben spesa.

XXXIV

diciendo: «Buen caballero,


dejad el mundo engañoso
y su halago;
vuestro corazón de acero
muestre su esfuerzo famoso
en este trago;
y pues de vida y salud
hicisteis tan poca cuenta
por la fama,
esfuércese la virtud
por sufrir esta afrenta
que os llama.

La morte parla e gli dà un insegnamento: “buon cavaliere, lasciate il mondo ingannevole”.


Era stato definito “traidor” poche righe più su perché non è la verità, che è solamente
appannaggio della vita eterna. “Lasciate questo mondo ingannevole e le sue lusinghe, il vostro
cuore di acciaio, forte, mostri il suo famoso sforzo in questo momento importante. E poiché
avete tenuto in poco conto sia la vita che la salute per la fama, adesso potete vivere anche
questo ultimo affronto della morte che vi chiama. Siete stato così forte che pur di raggiungere la
fama avete messo in pericolo la vostra vita, adesso siate pronto ad affrontare la morte”.
XXXV

No se os haga tan amarga


la batalla temerosa
que esperáis,
pues otra vida más larga
de fama tan gloriosa
acá dejáis.
Aunque esta vida de honor
tampoco no es eternal,
ni verdadera,
mas, con todo, es muy mejor
que la vida terrenal,
perecedera.

“Che non sia per voi così amara la battaglia terribile che vi aspetta perché un’altra vita, più
lunga della fama gloriosa, qua lasciate”. Gli sta dicendo “lasciate nel mondo la vostra fama che
avete meritato, anche se questa non è la vita vera”. È comunque meglio dell’altra vita
temporale, che perisce, ma non è ancora la vera vita eterna. Sta illustrando le tre vite.

XXXVI

El vivir que es perdurable,


no se gana con estados
mundanales,
ni con vida deleitable,
en que moran los pecados
infernales,
mas los buenos religiosos,
ganánlo con oraciones
y con lloros,
los caballeros famosos
con trabajos y aflicciones
contra moros.

Adesso spiega cos’è la vita eterna: la vita durevole, la vita eterna non si guadagna vivendo nel
mondo, né con la vita peccaminosa. È sempre un ragionamento logico quello che fa il poeta,
per bocca della stessa morte.
“I buoni religiosi guadagnano la vita eterna con preghiere e pentimenti, e i cavalieri famosi
lavorando e impegnandosi contro i mori”.
È la sintesi dell’etica cavalleresca medievale spagnola: i cavalieri famosi che combattono contro
i mori per la propria fede.
XXXVII

Y pues vos, claro varón,


tanta sangre derramasteis
de paganos,
esperad el galardón
que en este mundo ganasteis
por las manos.
Y con esta confianza
y con la fe tan entera
que tenéis,
partid con buena esperanza,
que esta otra vida tercera,
ganaréis.»

“E dunque voi, nobile uomo, tanto sangue avete sparso dei pagani (dei mori), quindi aspettatevi
la ricompensa che in questo mondo avete guadagnato con le vostre mani. Con questa fiducia e
con la fede così integra che avete, partite con la buona speranza che quest’altra vita terza (la
vita eterna) guadagnerete”. Adesso che avete compiuto tutto, partite con la fiducia che avete
guadagnato anche la terza vita. È molto amichevole, rassicurante, non gli si presenta come
qualcosa di terribile, ma come la giusta ricompensa per una vita ben spesa.

XXXVIII

«No tengamos tiempo ya


en esta vida mezquina
por tal modo,
que mi voluntad está
conforme con la divina
para todo.
Y consiento en mi morir
con voluntad placentera,
clara y pura,
que querer hombre vivir
cuando Dios quiere que muera,
es locura.»

Risponde il Maestro (Rodrigo): “Non perdiamo più tempo in questa vita meschina (disprezzo del
mondo in confronto alla vita eterna), in tal modo che la mia volontà è conforme con quella divina
in tutto”. È l’accettazione cristiana della volontà di Dio. “Acconsento di morire con volontà
compiacente, chiara e pura, poiché (qui c’è un hyperbaton, la struttura non segue la sintassi)
che l’uomo voglia vivere quando Dio vuole che muoia è follia”. Quindi non accettare la volontà di
Dio è follia. Dante dice che Ulisse fa un folle volo nell’attraversare le Colonne d’Ercole. Ulisse,
volendo andare oltre, fa un folle volo e la sua barca viene distrutta. È follia in questo senso, la
follia intesa come disobbedienza alla volontà divina.
XL (Fin)

Así, con tal entender,


todos sentidos humanos
conservados,
cercado de su mujer,
Y de sus hijos y hermanos
y criados,
dio el alma a quien se la dio,
el cual la ponga en el cielo
y en su gloria,
y aunque la vida perdió,
dejónos harto consuelo
su memoria.

Il finale più umano, qui si parla della quotidianità, della familiarità. “Con questa convinzione, tutti
i sensi umani conservati (lucido, nel pieno delle sue facoltà), circondato da sua moglie, dai suoi
figli, dai fratelli e dai servitori (ancora un ordine gerarchico) restituì l’anima a chi gliel’aveva
data.” “Dio” (verbo) apre e chiude il verso, come in una sorta di circolarità. Non era sua la vita,
gli era stata da Dio e lui la restituisce. C’è anche l’ineluttabilità della morte. “Il quale la diede in
cielo alla sua gloria”, Dio riceve l’anima da Don Rodrigo e la consegna al paradiso.
“Poiché, anche se la vita perse, ci ha lasciato abbondante consolazione la sua memoria”: la
consolazione nella memoria per il poeta e per la sua famiglia. Qui vediamo la morte di un padre
e un figlio che fa sì che il ricordo del padre sia conservato. Questa è una consolazione per sé e
per i suoi cari, questa è una cosa più personale, meno stereotipata.

Questo è forse il punto più alto del medioevo spagnolo, un’opera molto attuale nonostante tutti i
topici che la mantengono in una struttura tipicamente medievale. È capace di esprimere
sentimenti così universali da riuscire ad essere attuale ancora adesso.

“La Celestina” - Fernando Rojas

Questa è un’opera fondamentale, tanto che se non ci fosse stato il Don Chisciotte questa
sarebbe l’opera più importante del periodo. È il primo romanzo spagnolo, ce n’è una versione
del 1499 che si chiama “Comedia de Calisto y Melibea”, ma la versione che si legge oggi è
quella del 1502, che si chiama “Celestina”, frutto di diverse rielaborazioni dell’autore.
Quella definitiva è quindi del 1502 e fu un successo immediato già all’epoca. Furono fatte molte
riedizioni e traduzioni in italiano, francese, inglese, tedesco, latino ed ebraico. La prima fu la
traduzione in italiano, ed è proprio l’edizione italiana che esce con il titolo “Celestina”, che
rimase quello con cui si conosce l’opera. “Celestina” è diventata una parola di uso comune in
spagnolo ed è il sinonimo di “mezzana”, quel personaggio che organizza incontri amorosi tra
due persone, con qualche sotterfugio. Era la persona con la quale ci si accordava per
concordare incontri amorosi clandestini. Sono figure della letteratura con un ruolo così definito
che diventano parole nella lingua, come nel caso di Perpetua in italiano. L’autore è Fernando de
Rojas, studente di diritto a Salamanca, veniva dalla provincia di Toledo. Era un uomo colto, di
cultura, non tutti potevano seguire un’università all’epoca. Questo avrà un’importanza all’interno
dell’opera. Si tratta di una storia d’amore appassionato. Il protagonista maschile è Calisto, la
sua innamorata è Melibea. Calisto, consigliato dal suo servo Sempronio, per ottenere l’amore
della sua amata si rivolge a Celestina.
Celestina è una vecchia mezzana, ex prostituta, che pratica la stregoneria. È una sorta di
reincarnazione del diavolo, racchiude in sé tutti i mali: il peccato, la stregoneria. E ha successo,
perché ottiene che Melibea si innamori di Calisto e gli dia libero accesso alla propria camera.
Quindi l’intervento di Celestina fa sì che Melibea si innamori di Calisto e lo lasci entrare per
incontri amorosi a casa sua. Sempronio e Pármeno, servi di Calisto, iniziano una relazione con
due prostitute protette da Celestina, Elicia e Areúsa. Celestina è un personaggio che spicca
rispetto alle coppie, è un ruolo unico. Nel frattempo l’amore tra Calisto e Melibea continua,
senza più bisogno di intercessioni, e Calisto visita la sua amata arrampicandosi su una scala
passando per l’orto. Quindi può avere accesso alla stanza di Melibea passando dall’orto e
salendo sulla scala. I due servi, personaggi spregevoli, corrotti e avidi, litigano con Celestina e
la uccidono. Verranno poi giustiziati in modo sommario. Sono stati tratti dall’opera diversi film,
alcuni sconci, dato che è un’opera piuttosto torbida. Rispetto all’opera di Manrique in cui tutto è
regolato dalla morale cristiana, qui sembra tutto immorale.
Celestina muore uccisa dai servi Sempronio e Pármeno dopo un litigio. I due vengono giustiziati
e le due prostitute vogliono vendicarsi della morte degli amanti; una serie di avvenimenti
portano Calisto a morire cadendo dalla scala.
Melibea, dal dolore, si butta dal punto più alto della sua casa, suicidandosi. Prima di farlo spiega
ai genitori il motivo del suo suicidio. Chiude il romanzo il monologo di Pleberio, che piange la
morte della figlia. È una trama estremamente intricata, ci sono una serie di sottotrame molto
complesse. Come genere è a metà tra un’opera drammatica e un romanzo. È scritta totalmente
in dialoghi. L’autore non interviene mai con descrizioni o altro. Questo ha fatto pensare che
fosse un’opera teatrale, però sarebbe impossibile da mettere in scena totalmente.
L’autore non interviene mai per spiegare come dovrebbe essere messa in scena l’opera, si
definisce quindi “romanzo dialogato”. La Celestina ha stretti legami con la tradizione dell’amore
cortese. C’è una prosa sentimentale medievale ispirata alla Fiammetta di Boccaccio.
Ha delle similitudini con questa prosa medievale dell’amore cortese, e Calisto ha tutte le
caratteristiche dell'innamorato. L’innamorato si eleva spiritualmente, l’amore diventa quasi una
fede religiosa. Queste caratteristiche si trovano anche in Calisto, che confonde l’amore per la
dama con la fede religiosa. Ci rendiamo conto che Calisto si è formato leggendo il Cancionero,
tutte le poesie d’amore di cui abbiamo parlato. A causa dell’intervento di Celestina finirà per
cadere nella lussuria, e quindi anche nel soddisfare fisicamente il proprio amore con Melibea,
cosa che non può avvenire nell’amore cortese, che è platonico. Calisto, grazie all’intervento di
Celestina, visita Melibea nella sostanza ed è quindi un amore peccaminoso, non puro. Prende
spunto dalla prosa sentimentale medievale ma ne è la parodia: Calisto si ispira nei modi e nel
parlare all’amore cortese, ma cerca una soddisfazione fisica. Questa cosa dell’amore cortese
all’inizio del ‘500 si sta esaurendo e quindi la “Celestina” ne è una copia parodistica.
Calisto non ha un amore puro e platonico, ma assomiglia più a un culto pagano. Lui dice “non
sono cristiano, sono melibeo, adoro così tanto Melibea che è lei la mia divinità”. Il cristianesimo
vede l’amore per la dama come elevazione spirituale. Melibea inoltre non è propriamente la
dama angelicata medievale, perché comunque si concede. Pármeno e Sempronio sono servi
corrotti che tradiscono il proprio padrone, non hanno morale, sono persone spregevoli, siamo
molto distanti dalla nobiltà cortese. Celestina è l’espressione della malvagità, fa tutto per il
proprio tornaconto economico e troverà la morte per questa eccessiva avidità. L’opera descrive
un mondo dominato da passioni, istinti, avidità, denaro. Ha una forma della prosa romantica e
della poesia cortese, i personaggi si esprimono utilizzando quegli stilemi tipici, però lo sviluppo
dell'opera travolge questo stile e ci si allontana in modo irrimediabile. Quando abbiamo parlato
del Cid abbiamo detto che è un cavaliere che incarna i valori del popolo, qui siamo lontani da
quella letteratura, questi personaggi sono esempi negativi.
I personaggi fanno uso frequente di citazioni di personaggi in voga all’epoca. Melibea, prima di
suicidarsi, rievoca personaggi che in passato si sono suicidati o hanno provocato la morte di un
familiare.
Melibea fa un discorso molto colto e informato di tutti i personaggi dell'antichità.
Suo padre Pleberio ricorda i personaggi del passato vittime dell’amore. Si vede che l’autore è
colto. Ci sono momenti in cui Celestina discute con Melibea citando Petrarca, quindi anche
personaggi di bassa levatura si esprimono con citazioni colte. È evidente che l’autore fosse
colto e che si è ispirato ai libri che ha letto, tutta la sua opera è un capolavoro di erudizione e
riferimenti colti. Ci sono però anche volgarità e oscenità, i personaggi più bassi si esprimono
con un linguaggio crudo, volgare. Si tratta spesso di situazioni scabrose. C’è una commistione
di grande cultura e raffinatezza ed elementi volgari, osceni. Si adatta il linguaggio al
personaggio e alla situazione. Ci sono quindi una pluralità di registri (comico, drammatico) a
seconda della situazione. Naturalmente i dialoghi sono l’elemento chiave per costruire l’opera, è
un’opera interamente dialogata. Quest’alternanza di registri e di stili è tipica di tutta l’opera,
perché tutta l’opera è costruita sui dialoghi.
Letteratura Spagnola 09/03/2022

“La Celestina” - Fernando Rojas

Siamo passati da un classico della letteratura all’altro, dopo le “Coplas por la muerte de su
padre” passiamo alla “Celestina”, una delle più importanti opere della letteratura spagnola.
È un periodo successivo, e questo si nota nell’ispirazione del testo.
È il primo romanzo spagnolo, è un romanzo dialogato, costruito interamente sui dialoghi.
Si è avuto un po’ di difficoltà a collocarlo letterariamente. Poteva sembrare un’opera teatrale,
essendo costruita sui dialoghi, ma non lo è, è stata scritta per essere letta e lo si vede per la
difficoltà della lingua, per la lunghezza e per il fatto di avere intrighi molto complicati.
L’autore non mette indicazioni sceniche (cosa che gli autori teatrali fanno), è un romanzo anche
se costituito solo da dialoghi. Ha avuto molte trasposizioni teatrali, televisive e cinematografiche
proprio per questa storia così intricata. È uscita come “Comedia de Calisto y Melibea” e con la
traduzione in italiano si è coniato il titolo di “Celestina”, con cui si conosce tuttora.
Ci sono molti personaggi, quasi tutti a “coppie”. Celestina è l’unica che non fa coppia con
nessuno, sottolineando la sua unicità. Si tratta di un romanzo che prende spunto dalla prosa
sentimentale medievale, ma se ne discosta. C’è un’imitazione degli stilemi e ispirazioni della
prosa sentimentale, dell’amore cortese che eleva l’amato nella sua ricerca dell’amata, che ha le
caratteristiche di una donna angelicata, un amore platonico e spirituale. In realtà Calisto cerca
soddisfazione fisica in questo amore, discostandosi dall’amore cortese. Fa inoltre ricorso a
Celestina, una strega, di conseguenza non è più un amore spirituale ma ha caratteristiche
diverse, più torbide. È una sorta di parodia di questo amore. Descrive un mondo dominato dal
denaro, dal desiderio di possesso, dall’amore per le cose terrene. Dal punto di vista della lingua
l’autore era uno studente di diritto a Salamanca, e quindi era un uomo molto colto. Questo si
ritrova nella sua opera: nella Celestina ci sono molte citazioni colte, una lingua molto raffinata e
varia a testimonianza anche delle tante letture dell’autore, che fa anche citazioni da Petrarca.
Coi venti di novità dall’Italia le opere italiane stanno penetrando poco a poco nella letteratura
spagnola. La lingua è molto colta, aulica, alta. Perfino Celestina, donna di umili origini, parla
citando Petrarca, molti personaggi fanno citazioni colte. Parmeno fa un lamento finale citando
personaggi della classicità che hanno provocato la morte dei loro cari. Tutto questo non toglie
che ci siano anche parti con elementi di volgarità, con un linguaggio crudo, adatto alle situazioni
scabrose che si presentano nel racconto, oltre a una pluralità di registri a seconda della
situazione. È un’opera linguisticamente importante, la prima in cui compaiono i dialoghi, in cui
c’è questa affiliazione colta con inserti del linguaggio popolare. Concetti importanti sono quelli
dell’amore, della fortuna e della morte, molto collegati tra loro. Il destino dei personaggi è
regolato da questi tre elementi. L’amore è ciò che muove tutta l’opera, tutto nasce dall’amore di
Calisto per Melibea e dalla volontà di conquistarla. La fortuna è ancora intesa in senso
medievale, quella forza ineluttabile che regola il destino dell’uomo. La morte, perché di fatto
muoiono tutti i personaggi, tutti i protagonisti. Muore Celestina, uccisa dalla propria avidità,
avendo avuto una discussione coi servi per il denaro. I servi sono giustiziati in modo sommario.
Calisto cade arrampicandosi sulla scala a causa di avvenimenti relativi a litigi con le prostitute e
Melibea si suicida. La morte regola quest’opera, insieme all’amore e alla fortuna.
C’è un quadro di Picasso del 1904 che rappresenta la Celestina. È un personaggio torvo, poco
rassicurante. La Celestina è una sorta di personificazione del diavolo, perché in lei agiscono
forze che contraddicono la morale dell’epoca. Ci sono evidenti elementi medievali, però anche
rinascimentali. Si dice che la “Celestina” si trova tra medioevo e Rinascimento. Ci sono elementi
del medioevo, ma anche qualcosa che anticipa i tempi a venire. Quali sono gli elementi
medievali? Il didatticismo, la volontà di dare un insegnamento morale.
Per esempio tutti quelli che hanno peccato muoiono, già questo è un elemento medievale.
C’è poi la presenza della magia, delle arti magiche, nelle quali si credeva molto nel medioevo.
Poi la credenza di un “male d’amore”: si credeva che gli astri, le stelle, potessero in qualche
modo condizionare a tal punto gli uomini da far provare loro questa malattia d’amore.
In Romeo e Giulietta, una delle prime opere rinascimentali, Romeo e Giulietta vengono descritti
come amanti con le stelle contro, una congiuntura astrale sfavorevole. Calisto non ha del tutto
colpa del suo amore per Melibea, perché sono gli astri ad averlo condizionato. La colpa di
Calisto non è quella di essersi innamorato di Melibea ma di aver fatto ricorso a Celestina,
all’arte magica. Questi elementi sono quelli più evidenti di ascendenza medievale. Tuttavia si
notano diversi elementi che anticipano il Rinascimento, tra cui l’ansia dei personaggi di vivere e
godere la vita. Nel medioevo la vita è qualcosa che rientra nel grande meccanismo divino del
quale l’uomo è un ingranaggio. Invece i personaggi della Celestina vogliono prendere in mano
la propria vita, senza essere un ingranaggio regolato dalla volontà divina. Calisto sbaglia,
secondo la morale medievale, a fare ricorso all’arte magica, però vuole raggiungere un risultato,
vuole prendere in mano la propria vita.
C’è poi il paganesimo del comportamento del protagonista. L’amore cortese presuppone che
l’amante abbia un’elevazione spirituale nell’amore. L’amore è visto come qualcosa che eleva
l’amante proprio perché l’amata è qualcosa di irraggiungibile, angelicato. Calisto porta questa
tendenza a qualcosa di parodistico, diventa quasi un culto per lui, dirà “non sono cristiano, sono
melibeo”. Esagera la tendenza spirituale dell’amore facendone un culto pagano. Questo va
contro la morale medievale e ricorda il Rinascimento, dove c’è sempre un riferimento ai classici,
che sono sempre pagani. Sarà frequente nel Rinascimento rifarsi a una cultura classica
pagana. Calisto anticipa questo sostituendo al suo amore angelicato un principio pagano.
Il suicidio di Melibea è un elemento rinascimentale perché anche lei prende in mano la propria
vita. Nel medioevo la morte è qualcosa che arriva alla fine della vita come ricompensa, è il
riposo da una vita tribolata. Invece Melibea non accetta cristianamente la propria cattiva sorte:
muore il suo amato e lei non può più vivere. Prende in mano la propria vita e decide lei, non
lascia decidere al grande meccanismo del destino umano. Il suicidio può essere visto come un
atto volontaristico. Il medioevo non contemplava l’idea del suicidio: la vita è sacra, data da Dio.
Un altro elemento è dato dalla disperazione del padre, la morte non è il ricongiungersi con
l’origine della vita (come Rodrigo Manrique, che restituisce l’anima a chi gliel’ha data), c’è la
disperazione di non avere più la figlia. È molto meno rassegnato, la morte non si riceve più con
rassegnazione ma si lotta per evitarla. C’è l’importanza della vita dell’individuo, il medioevo
vedeva la vita come qualcosa in cui ogni uomo era inserito, regolato da una forza superiore.
Qui invece l’individuo agisce per sé stesso. Si parte dall’uomo, non dall’ordine celeste, su cui si
basa il medioevo. Quella medievale è una mentalità teocentrica, Dio è al centro di tutto, l’uomo
fa parte della costellazione. Qui invece comincia ad essere importante l’individuo.
Ovviamente tutti questi elementi sono arrivati in Spagna grazie alla diffusione dell’umanesimo.
L’umanesimo è una dottrina filosofica che anticipa il Rinascimento, mettendo al centro l’uomo
come misura, la conoscenza delle cose. Non più il teocentrismo medievale ma l’uomo al centro
delle cose. È un passaggio verso il Rinascimento. In quanto alla struttura dell’opera è anche
varia dal punto di vista dell’ispirazione. È un’opera con una grande dose di realismo però non
ha spazio e tempo precisamente definiti, come dovrebbe essere un’opera realistica.
Ha elementi di entrambe le epoche, del medioevo e del Rinascimento.
La Celestina
I. (Del primer auto)

“Auto” è la forma arcaica per dire “atto”. Per questo può sembrare un’opera teatrale, si rifà alla
struttura teatrale.

Inizia con un dialogo tra Calisto e Melibea.

CALISTO.- En esto, veo, Melibea ,la grandeza de Dios.

Utilizza gli stilemi dell’amore cortese, parla del suo amore e dice “in questo io vedo la
grandezza di Dio”.

MELIBEA .- ¿En qué, Calisto?

“In cosa, Calisto?”, gli chiede lei.

CALISTO.- En dar poder a natura que de tan perfecta hermosura te dotase, y hacer
a mí, inmérito, tanta merced que verte alcanzase, y en tan conveniente lugar, que
mi secreto dolor manifestarte pudiese.

La lingua è complessa, parla in modo molto colto. C’è quasi sempre la tendenza a mettere il
verbo alla fine, è una costruzione complessa, anche per questo difficilmente si poteva recitare
un’opera del genere. “Nel fatto che dio abbia dato il potere alla natura di dotarti di una così
perfetta bellezza, e io immeritatamente poter raggiungere una così grande grazia”. “E in un
posto in cui il mio segreto dolore io possa manifestarti”. “Poter essere qui con te a manifestarti il
dolore di non poterti amare”.

Sin duda, incomparablemente es mayor tal galardón que el servicio, sacrificio, devoción y obras
pías que por este lugar alcanzar yo tengo a Dios ofrecido, ni otro poder mi voluntad humana
puede cumplir.

Lui ha pregato Dio per avere la possibilità di parlare con Melibea. In una delle ultime strofe di
Manrique si dice che il padre avrà la ricompensa per le sue opere, che è la vita eterna.
Qui invece la ricompensa è poter vedere Melibea. In un’opera così medievale come le Coplas la
più alta ricompensa non può che essere la vita eterna, qui invece è Melibea. Utilizza questa
tecnica medievale, ma per raggiungere qualcos’altro, l’amore umano. La ricompensa è stata più
grande di servizi, sacrifici, devozioni e opere pie. È tutta terminologia religiosa che si riferisce
alla sfera della religione, sono cose che lui ha offerto a Dio. Normalmente le persone religiose
fanno queste cose per ottenere una grazia, lui le fa per vedere Melibea.
C’è questo accostamento dell’amore profano e dell’amore religioso. Non è una cosa così
inusuale, John Donne parlava dell’altare dell’amore, dell’unione amorosa con la sua donna.

¿Quién vió en esta vida cuerpo glorificado de ningún hombre como ahora el mío?

“Chi ha mai visto in questa vita un corpo glorificato come adesso è il mio?”. Sta dicendo che il
suo corpo è glorificato, come se fosse un santo. Ancora una volta usa terminologia religiosa per
dire che è felice di vederla.
Por cierto, los gloriosos santos que se deleitan
en la visión divina no gozan más que yo ahora en el acatamiento tuyo.

“Certamente i gloriosi santi che si dilettano della visione divina non godono più di me adesso
nella tua vicinanza”. La dottrina cattolica contempla la comunione cattolica. Alcune persone,
prima della fine del mondo, possono andare al cospetto di Dio e vederlo. Chi è santo è
ammesso alla visione di Dio, e Calisto dice “sicuramente i santi, che si dilettano della visione
divina, non godono più di me”. Ancora una volta fa un paragone religioso per descrivere il suo
amore umano. Utilizza tutta la terminologia e il linguaggio religioso.

Mas, ¡oh triste!, que en esto diferimos, que ellos puramente se glorifi -
can sin temor de caer de tal bienaventurança y yo, misto, me alegro con
recelo del esquivo tormento que tu absencia me ha de causar.

“Ma tristemente io e i santi siamo diversi, loro si glorificano senza timore di cadere da tale
beatitudine, io misto (non un santo, a metà tra un uomo di carne e ossa e uno di spirito) mi
rallegro, ma con paura del tormento che la tua assenza deve causarmi”. Dice che vedendola si
sente come un santo al cospetto di Dio, ma allo stesso tempo teme di non vederla più e di
cadere nel tormento (parola che richiama l’inferno).

MELIBEA.— ¿Por gran premio tienes este, Calisto?

“Ti sembra un così gran premio questo, Calisto?”.

CALISTO.— Téngolo por tanto, en verdad, que si Dios me diesse en el cielo


la silla sobre sus santos, no lo tendría por tanta felicidad.

Ancora un paragone coi santi, “è per me un così grande premio che se Dio mi desse una sedia
in mezzo ai santi non sarebbe abbastanza, preferisco vederti”.

MELIBEA.— Pues aun más igual galardón te daré yo si perseveras.

“Se perseveri ti darò una ricompensa ancora maggiore”.

CALISTO.— ¡Oh bienaventuradas orejas mías, que indignamente tan gran


palabra habéis oído!

Lui si sente sempre non meritevole della presenza di Melibea, questa è una dinamica
dell’amore cortese, l’amante che si sente sempre inferiore all’amata. “Beate le mie orecchie che
hanno sentito una parola così bella”.

MELIBEA.— Más desventuradas de que me acabes de oír, porque la paga


será tan fiera cual merece tu loco atrevimiento

“Sono sventurate le tue orecchie, perché ciò che io ti darò sarà così dura così come la merita la
tua folle audacia”. “Folle” in epoca medievale è qualcosa che va contro il volere di Dio, contro la
morale.
y el intento de tus palabras, Calisto, ha seído de hombre de tal ingenio como tú, mas no para se
perder en la virtud de tal mujer como yo.

“Mi stai tentando, ma io sono una donna retta, non cederò alle tue lusinghe”.

¡Vete, vete de ahí, torpe!

“Vattene da qui, infame!”. “Torpe” nello spagnolo moderno ha un significato meno duro, “goffo”.

que no puede mi paciencia tolerar que haya subido en coraçón humano


conmigo en ilícito amor communicar su deleite.

“La mia pazienza non può più tollerare che il cuore umano mi voglia comunicare il suo illecito
amore”. L’amore di Calisto è illecito, impossibile, non si può consumare secondo la mentalità
corrente.

CALISTO.— Iré como aquel contra quien solamente la adversa fortuna po-
ne su estudio con odio cruel.

Nel medioevo fa tutto parte del disegno di Dio, comprese le decisioni umane, l’avversa fortuna
decide in questo modo.

II. (Del primer auto)

SEMPRONIO.— ¿Tú no eres cristiano?


CALISTO.— ¿Yo? Melibeo soy, y a Melibea adoro y en Melibea creo y a Melibea amo.

Sempronio gli chiede se non sia cristiano, Calisto dice di essere “Melibeo”.
C’è questo parallelismo, la ripetizione della stessa struttura sintattica. Sembra che stia recitando
un credo, una preghiera nella quale afferma la propria fede. Qui si capisce come la costruzione
dell’amore cortese sia stata travisata da Calisto, non è più lui elevato dall’amore, ma l’amore
che diventa la sua religione. Qui sta la parodia dell’amore cortese nella Celestina.

SEMPRONIO.— Tú te lo dirás. Como Melibea es grande, no cabe en el


corazón de mi amo, que por la boca le sale a borbollones.

Sempronio parla in modo più semplice. “Lo dirai tu. Siccome Melibea è grande non ci sta nel
cuore del mio padrone e gli esce a ondate dalla bocca”.

No es más menester, bien sé de qué pie cojeas; yo te sanaré.

“Non c’è problema, so da quale piede zoppichi (so cos’hai tu) e ti guarirò”. Qui c’è un riferimento
alla malattia d’amore. Andrà infatti da Celestina a fare in modo che la sua amata si innamori di
lui.

CALISTO.— Increíble cosa prometes.

“Prometti cose incredibili”.


SEMPRONIO.— Antes fácil, que el comienzo de la salud es conocer hombre
la dolencia del enfermo.

“L’inizio della salute è sapere di cosa si soffre”. Calisto è quindi un malato d’amore.

III. (Del sexto auto)

CALISTO.— ¿Qué dices, señora y madre mía?

“Signora e madre mia”, la chiama così perché lei gli sta dando un aiuto importante.

CELESTINA.— ¡Oh mi señor Calisto! ¿Y aquí estás? ¡Oh mi nuevo amador


de la muy fermosa Melibea, y con mucha razón! ¿Con que pagarás a la
vieja, que hoy ha puesto su vida al tablero por tu servicio?

Qua iniziano a discutere per il denaro. “Mio nuovo amante della bella Melibea”, il suo servigio
ha avuto buon esito. “Con cosa pagherai la vecchia che oggi ha messo in gioco la sua vita per
servirti?”.

Il Rinascimento

Celestina anticipa il Rinascimento. Avevamo parlato dei re cattolici e di come, grazie alla loro
politica, si unifica la Spagna e diventa una grande potenza.
La loro corona passa al nipote Carlo V. Carlo I di Spagna e V dell’Impero Romano-Germanico.
È figlio della loro figlia Juana la Loca. Juana la Loca, una delle figlie dei re cattolici, si sposa con
Felipe el Hermoso. Fu poi inibita dal marito e le fu tolta la possibilità di regnare, fu rinchiusa.
Il figlio di Juana e Felipe el Hermoso, Carlo V, unifica definitivamente i regni perché li eredita.
Da parte dei nonni paterni eredita tutta la zona dell’Impero Germanico, le Fiandre ecc. Da parte
di madre, da parte di Juana la Loca eredita tutta la Spagna e le terre che aveva conquistato
come il Milanesado, ma anche il sud Italia e l’America. Si ritrova per eredità ad avere un regno
infinito. Quel regno nel quale, come avrà a dire suo figlio Filippo II, non tramonta mai il sole.
La Spagna diventa un impero. Carlo V eredita tutte queste terre ma le difende anche, è un
sovrano combattente, un soldato. Un re che eredita molte terre ma le difende anche. Una delle
famose battaglie sarà contro la Francia, che stava diventando una potenza. Nel 1556 abdica e
divide i suoi possedimenti. Abdica in favore del figlio Filippo II e lascia a lui la Spagna e
l’America. Divide i possedimenti in due parti: lascia a Filippo II le zone della Spagna, i
possedimenti della madre; e lascia l’Impero Germanico al fratello Ferdinando. La Spagna
mantiene un territorio immenso, ma più centrato sulla Spagna. Mentre Carlo V era un sovrano
imperatore e regnava su tutte le zone, Filippo II è un sovrano spagnolo. Regna fino al 1598,
vince la famosa battaglia di Lepanto contro i turchi ed è un sovrano più legato alle questioni
locali, non è un combattente.
Se Carlo V viene descritto come un soldato, i ritratti di Filippo II lo vedono seduto con un rosario
in mano. Con Filippo II nasce l’idea della Spagna arretrata e religiosa. Siamo in un periodo di
grande espansione territoriale. Se c’è una grande espansione politica e militare, c’è anche una
grande fioritura culturale. C’è il recupero dei classici greci e latini dell’età dell’oro (Cicerone,
Orazio) e l’importanza di un’educazione classica, quindi anche lo studio della filosofia e della
storia. La rivalutazione dell’uomo e dell’individualismo, più che il suo essere all’interno di un
disegno divino. Umanesimo, erasmismo e neoplatonismo sono ispirazioni fondamentali per
quest’epoca.
L’Umanesimo

L’umanesimo nasce nel XIV secolo in Italia e propone lo studio di classici greci e latini, della
storia, della filologia: fondamentalmente il recupero dei classici. In Spagna questa corrente è
recepita innanzitutto da Antonio de Nebrija, autore della prima grammatica castigliana.
È un autore che inizia a capire l’importanza del testo vivo; i testi dei classici non è che non
fossero letti, erano interpretati dai chierici e dalla mentalità della Chiesa, rivisitati in questo
modo. Nel Rinascimento nasce l’esigenza di leggere direttamente i testi classici, quindi il
dizionario e la grammatica latina sono fondamentali. Nebrija parla della lingua spagnola come
“compagna dell’Impero”, e questo è stato interpretato come “portare la lingua anche in
America”.
Siamo in un periodo di grande espansione e grande attenzione al testo vivo.
Un altro umanista importante fu il cardinale Francisco Jiménez de Cisneros, fondatore
dell’università di Alcalá de Henares, alle porte di Madrid. È, ancora adesso, una delle più
antiche e prestigiose università spagnole. Lui fu anche uno dei propulsori della Biblia Políglota
Complutense (complutense = di Alcalá de Henares, dal nome latino della città).
È una Bibbia poliglotta pubblicata da Alcalá de Henares, in tre lingue diverse. Ci sono tre
colonne dove l’intera Bibbia è in ebraico, in latino e in greco. Si possono confrontare l’originale e
le varie traduzioni. È uno strumento di studio molto importante per poter conoscere il testo
biblico, che prima era diffuso fondamentalmente attraverso la vulgata, la traduzione latina, non
si leggeva il testo ebraico. Per i rinascimentali l’uomo è il centro di tutte le cose. L’uomo deve
conoscere sé stesso e perfezionarsi grazie alla conoscenza, soprattutto grazie a quella
letteraria e delle lingue classiche, per avere accesso ai testi originali dei grandi autori classici. Il
fatto di andare a leggere in lingua originale i testi classici fa sì che si possa attingere al loro vero
spirito, non reinterpretato in chiave cattolica, come avveniva nel medioevo.
Se ne imitava l’equilibrio e lo spirito. Altri autori da citare della letteratura italiana sono
Baldassarre Castiglione con Il Cortigiano, tradotto da Boscán, uno dei primi poeti rinascimentali,
che ha il merito di aver tradotto in spagnolo gli scritti italiani.
Baldassarre Castiglione presenta un nuovo modello umano, come deve essere il cortigiano:
uomo di lettere e uomo di armi. La presenza degli italiani è fondamentale, oltre a quella dei
latini.

L’amore

La dama deve essere bella e di buona cultura, ma senza ostentarla. Deve essere istruita ma
umile. Una delle grande virtù delle dame è quella di essere poco appariscenti. Dovevano avere
nobiltà di spirito, non solo la bellezza. L’amore è il godimento del bello: Dialoghi d’amore di
Leone Ebreo (1535) e Gli Asolani di Pietro Bembo. [CHIESTO SPESSO ALL’ESAME]
Sono due opere che contengono la concezione dell’amore, sono rielaborazioni da Platone.
Si parla in modo improprio di “amore platonico” perché lo si legge in queste opere, che
rielaborano le teorie platoniche e parlano di cosa deve essere l’amore dal piano fisico (la
bellezza) e da quello intellettuale (a livello spirituale). Leone Ebreo era uno dei sefarditi, uno
degli ebrei spagnoli espulsi nel 1492, figlio di un grande rabbino che emigra in Italia a Napoli, ed
è un importante intellettuale dell’epoca. L’amore è spesso un desiderio insoddisfatto, fonte di
tristezza. È una tensione verso il bello ma la mancata realizzazione, la mancata possibilità di
vivere questo amore, dà questa malinconia che si ritrova spesso nelle opere amorose
rinascimentali. Tra i vari elementi di importanza di Erasmo da Rotterdam c’è quello della lettura
della Bibbia in lingua volgare, la lettura personale della Bibbia. Sono tutte influenze che portano
nella direzione di acquisire una conoscenza intima e personale anche della religione.
Non era permesso di tradurre la Bibbia in lingua volgare, erano i chierici che dovevano
interpretarla.
Si considerava che le persone comuni non fossero pronte a capire la Bibbia, che andasse
spiegata e interpretata. Erasmo fa parte di quella corrente che ritiene che vada tradotta in
volgare per far sì che tutti possano leggerla e avere un rapporto intimo con la religione.
Questo sarà d’ispirazione anche per i protestanti, che hanno una concezione più intima e
personale della religione. Un rapporto intimo con la religione, con la spiritualità, che sarà un
terreno molto fertile per la mistica. La mistica è una corrente letteraria spagnola che sarà di
grande importanza nel Rinascimento.

L’influenza italiana

L’ambasciatore veneziano Andrea Navagero nel 1526 invita il poeta Juan Boscán a provare a
scrivere poesie in castigliano imitando gli italiani, adattandosi agli endecasillabi.
Tutta la poesia che abbiamo visto era in ottonari, in alessandrini. Il metro tipico del
Rinascimento italiano è l’endecasillabo. L’ambasciatore Andrea Navagero invita Boscán a fare
questa cosa, e questo avvenimento viene citato come inizio del Rinascimento spagnolo. Lo
invita ad adattarsi all’endecasillabo, al sonetto, all’ode, la metrica che in Italia va per la
maggiore in quel momento. Lo invita a imitare sia metricamente ma anche spiritualmente la
poesia italiana, con quell’attenzione al sentimento lirico del poeta, in contrasto con la poesia del
Cancionero che è molto musicale, ma anche molto estetizzante, con sentimenti un po’
stereotipati.
La grande novità del Rinascimento italiano è quella di esprimere l’interiorità del poeta.
Protagonisti di questa nuova lirica sono la dama e l’io poetico. Il tema normalmente è il ricordo
di un momento di felicità perduta, cosa che conduce al lamento dell’amante. Già qualcuno
aveva scritto sonetti in Spagna, il Marchese de Santillana, che aveva scritto l’opera Sonetos
Fechos al Itálico Modo.
La sua però era una sorta di imitazione, non era mai stato in Italia, non era veramente entrato
nella sensibilità poetica italiana. I poeti di quest’epoca vanno in Italia, vivono nelle corti italiane
per alcuni periodi anche grazie alla politica di Carlo V, che viaggerà spesso con parte della sua
corte in Italia. Molti dei poeti erano cortigiani, partecipavano anche alle campagne militari.
Boscán ha il merito di aver introdotto la nuova poesia in Spagna, ma il grande merito di aver
introdotto la poesia italianizzante di grande successo sarà di Garcilaso de la Vega, suo grande
amico.
Il verso per eccellenza è l’endecasillabo e le strofe più frequenti sono il sonetto, l’ottava reale, la
lira, la canzone, le odi, le elegie e le epistole. I temi più frequenti, oltre all’amore, sono la natura
e i miti classici.

La natura

Spesso i dialoghi d’amore, le lamentazioni per l’assenza dell’amata, si svolgono tra pastori, con
la lirica pastorale. Sono pastori che in realtà sono coltissimi (quindi un’ambientazione artefatta)
e si muovono in un locus amoenus, un luogo ameno, piacevole, un luogo pastorale bucolico,
con una natura idealizzata. Spesso avrà sempre le stesse caratteristiche: una natura dolce, con
una brezza gradevole e uccellini che cinguettano, con la presenza di un ruscelletto mormorante,
un’ambientazione molto placida, in contrasto con i sentimenti del poeta. Il poeta angosciato per
il proprio amore non soddisfatto si ritrova in questo luogo ameno che fa da contrasto alla propria
interiorità tormentata. Il locus amoenus si trova anche in autori italiani: Ovidio, Orazio, Virgilio e
Sannazaro. Il poeta italiano Sannazaro sarà un’influenza da questo punto di vista, per le sue
ambientazioni pastorali bucoliche. In quanto allo stile, deve essere uno stile colto e ricercato ma
apparire naturale. I classici sono quelli che danno un’idea di naturalezza, di equilibrio, la famosa
aurea mediocritas (mediocrità aurea) dei classici, lo stare nel mezzo, non avere eccessi.
C’è anche il famoso labor limae (lavoro di lima), il lavoro dello scrittore deve essere teso
all’equilibrio.

Garcilaso de la Vega

Ha scritto 38 sonetti, 4 canzoni in stile petrarchesco, un’ode (nota anche come Canzone
Quinta), due elegie, un’epistola e tre egloghe, oltre a otto coplas di ottonari.
Le coplas sono una forma metrica tipica della letteratura spagnola, tutte le altre sono imitazioni
italiane. Diciamo imitazioni perché imita lo stile italiano. Era un uomo di una famiglia importante
al servizio dell’Imperatore Carlo V. Quando Carlo V si sposa con la figlia del re di Portogallo,
arriva a Madrid la corte di questa principessa che diventerà regina e moglie di Carlo V.
Nell’entourage della sposa c’è anche Isabel Freyre, una dama della quale Garcilaso si
innamorerà. La ricordiamo perché le dedica tutte le sue poesie amorose.
È al servizio dell’Imperatore Carlo V, grazie a Carlo V ha la possibilità di vivere la vita del
soldato ma anche di viaggiare e andare in Italia. Dal punto di vista biografico amoroso si
innamora di questa Isabel Freyre. Garcilaso era già sposato, quindi era un amore impossibile, e
quando anche lei si sposa il poeta soffrirà una crisi. Nel Rinascimento l’amore che viene cantato
non è solo un amore stereotipato, una ripresa di temi di altri scrittori, estetizzante, come era
spesso la poesia cancioneril, qui c’è la vera sofferenza dell’autore che ha questo amore
insoddisfatto per la sua innamorata, tanto da soffrire una vera e propria crisi.
Seguirà l’imperatore a Napoli, dove risiederà per un po’, e lì prenderà contatto diretto con la
letteratura italiana. Questo è fondamentale per distinguere la prima poesia di imitazione di ciò
che arrivava dall’Italia dall’esperienza di vivere in Italia e iniziare a scrivere a contatto con la
letteratura locale. È l’esempio perfetto di cortigiano: è un guerriero, è un poeta raffinato, grande
conoscitore della letteratura classica e protagonista di una vita amorosa intensa.
Vita amorosa, vita guerresca, grandissima cultura. Questo è l’esempio del perfetto cortigiano.
Aveva un’ispirazione sentimentale sincera, non era un imitatore dal punto di vista dello stile o
dell’estetica. Vedremo un sonetto di Garcilaso.
Letteratura Spagnola - Pre parziale

Medioevo: V - XV sec. d.C.

La Spagna delle tre culture: araba, cristiana ed ebrea. Gli arabi arrivarono nel 711 d.C., gli
ebrei intorno al I sec. d.C.

Conquista e reconquista: La conquista araba inizia nel 711 d.C., ma viene subito organizzata
la reconquista cristiana. Si crea un grande regno arabo nel sud della Spagna. Nel XII sec. il
grande califfato si divide in piccoli regni. Nel 1492 c’è la presa di Granada, che sancisce la fine
della presenza araba in Spagna. La frontiera che si sposta continuamente fa sì che le zone del
centro nord siano interessate da occupazioni e conquiste alterne.

Identità della cultura spagnola medievale:

Mozarabe: cristiano che vive in territorio arabo, conservando la sua lingua, cultura e religione;
Muladì: cristiano che in territorio arabo si converte all’Islam per accedere alle carriere più
importanti della società araba;
Mudejar: musulmano al quale si consente di conservare la propria religione in territorio cristiano,
pagando un tributo;
Morisco: quando la regina Isabella di Castiglia conquista Granada, sono coloro che decidono di
convertirsi al cristianesimo e possono rimanere in Spagna.

Scuola dei traduttori di Toledo:

Nel 1085 Toledo cade in mano cristiana, inizia un periodo di tolleranza. Era un centro di
traduzione in cui arrivavano scritti arabi, tradotti in castigliano dai mozarabi e poi in latino dai
chierici. Da lì si diffondevano in tutta Europa.

Le jarchas:

È la prima manifestazione letteraria in una lingua romanza, la jarcha mozarabe - ebraica.


Sono composizioni dell’XI sec. in ambiente mozarabe. Sono ritornelli scritti in caratteri arabi. La
moaxaja è una composizione colta ebraica o araba scritta in caratteri arabi e lingua araba.
Traslitterando le ultime strofe in caratteri latini si è scoperto che sono la prima manifestazione di
una lingua romanza. Sono strofette d’amore, quasi tutte femminili. Chiudono la moaxaja, che è
la poesia colta araba.

“Poema de mio Cid”:

È un poema epico, un cantar de gesta. È una poesia narrativa, non lirica. Parte da una base
storica in cui si inseriscono elementi inventati. L’eroe è portatore dei valori di una comunità.
Venivano cantati accompagnati con uno strumento dai giullari. Abbiamo rinvenuto un
manoscritto del 1207 di Per Abbat. Il poema narra le vicende di Rodrigo Dìaz de Vivar, un nobile
castigliano della città di Burgos, vissuto nella seconda metà del XI secolo. Conquistò Valencia
nel 1094 e morì nel 1099. È diviso in tre parti: l’esilio, la battaglia e il matrimonio delle figlie, la
vendetta nei confronti dei generi fraudolenti. È un poema realistico, senza elementi magici.
La forma del testo presenta ripetizioni e richiami all’attenzione del pubblico. La versificazione è
irregolare, è diviso in lasse, “tiradas”, le rime sono ripetitive e assonanti. Il verso è diviso in due
emistichi.

Struttura dei poemi epici: exposiciòn, nudo e desenlace.

Mester de clerecìa: Il mester de clerecìa (mestiere dei chierici) si contrappone al mester de


juglarìa (mestiere dei giullari). I chierici erano gente di chiesa, ma anche notai e giuristi.
Scrivevano “senza peccato” perché non miravano a intrattenere il volgo. Il mester de clerecìa è
fondato su metriche precise, come la cuaderna vìa (quartina monorimata di quattordici sillabe
contate). Questa quartina è tratta dal Libro de Alexandre, opera in versi del 1240, che narra la
vita di Alessandro Magno.

Opere principali:

- Libro de Alexandre
- Libro de Apolonio
- Poema de Fernàn

Autori principali:

- Gonzalo de Berceo
- Juan Ruiz, el Arcipreste de Hita

Gonzalo de Berceo:

Gonzalo de Berceo fu il primo a firmare le proprie opere. Nasce a Berceo e muore nel
monastero di San Millàn de la Cogolla intorno al 1264. Questo monastero contiene le Glosas
Emilianenses, annotazioni in castigliano su parole latine che non si capivano più. Le glosas
rappresentano la nascita della lingua castigliana. Gonzalo de Berceo scrisse opere agiografiche
(vite dei santi), inni alla Madonna, Los milagros de Nuestra Senora in cui parla dei suoi miracoli
e opere dottrinali. Gonzalo de Berceo vuole popolarizzare la letteratura.

Juan Ruiz, el Arcipreste de Hita:

Scrive El libro de buen amor. Uno dei tre manoscritti di quest’opera dice che questo libro è stato
scritto mentre era in prigione per volere del cardinale Albornoz, che era molto severo coi preti
concubinari. Il Libro de buen amor è frammentario, senza una vera trama. Inizia con due
prologhi in cui spiega i tipi di amore, quello buono, per Dio, e quello sciagurato, umano. Sembra
seguire la linea della didattica medievale. Non si sa però se fosse effettivamente didattica,
perché c’è un tono sempre giocoso, ironico. Si alternano testi di vario genere: satirici, comici,
allegorie, storielle, favole. È variegato anche dal punto di vista metrico e del tono. È scritto in
forma autobiografica e apre molte parentesi inserendo storielle e dialoghi tra i personaggi.

“Enjiemplo de la propriedad que el dinero ha”:

È un estratto dal Libro de buen amor, scritto in cuaderna vìa. In questo testo critica la società e
la Chiesa, sempre più attaccati al denaro.
La prosa:

Durante il califfato di Abdérraman III (912-961), la Spagna ha il maggior splendore.


Gli Abderramanes sono coloro che instaurano il primo califfato a Cordoba. Con la conquista
araba ci fu un notevole apporto culturale. I califfi possedevano una biblioteca con testi tradotti
dal greco, dal persiano e altre lingue orientali. Cordoba divenne un centro culturale, così come
Toledo e Siviglia. Il testo più antico in prosa è la Fazienda de Ultra Mar, una guida per i
pellegrini che vogliono viaggiare in Terra Santa. I testi più frequenti sono le cronache e i
racconti. Il racconto è tipico della tradizione orientale, indiana, greca e araba. Il libro di racconti
più famoso è Calila e Dimna. Sono favole indiane, Calila e Dimna sono sciacalli. È un dialogo
tra un re e un filosofo, a cui il re chiede consigli di vita; il filoso risponde con dei racconti, i cui
protagonisti sono spesso animali. Le cronache sono le precorritrici dei trattati storici. Una delle
cronache più importanti è Estoria de España o Primera Crònica General. Queste sono le
cronache più importanti, a partire da queste ci sarà un proliferare di questo genere.

Alfonso X “El Sabio”:

Durante il regno di Alfonso X, specialmente alla sua corte, c’è una grande fioritura letteraria.
Scrisse le Cantigas de Santa Maria, poesie religiose scritte in galaico-portoghese, lingua della
lirica per eccellenza al tempo. Alfonso X fu un grande mecenate della letteratura. Ebbe grande
importanza nell’affermarsi della lingua castigliana, grazie alle traduzioni nella sua biblioteca e
all’impegno nel produrre letteratura.

“El Conde Lucanor” - Don Juan Manuel (1282 - 1348)

Don Juan Manuel è lo scrittore di prosa più importante dell’epoca medievale. È un autore colto,
consapevole del suo ruolo di scrittore. Era un nobile di stirpe reale, fece una serie di matrimoni
vantaggiosi per salire in società. Divenne il tutore di Alfonso XI, futuro re. Questo gli diede una
grande influenza a corte. Scrive opere di carattere didattico scritte in lingua romanza per la
nobiltà. La sua opera più conosciuta è El Conde Lucanor. Lucanor è un giovane aristocratico
che chiede consigli al suo aio (istruttore) Patronio. Patronio gli risponde coin con un racconto,
alla maniera orientale. È la stessa struttura di Calila e Dimna. L’opera è composta da due
prologhi e cinque parti, la prima composta da 51 racconti che hanno sempre un insegnamento
morale. L’autore condensa la morale alla fine del racconto. Utilizza una forma colta e misurata,
sempre raffinata. Ha un didatticismo tipico dell’epoca medievale.

Il Romancero

Il Romancero rappresenta la poesia popolare, mentre il Cancionero quella colta. Il Romancero è


l’insieme dei romances. Il romance è una composizione poetica di tipo narrativo, normalmente
scritta in versi di otto sillabe (ottonario). Sono ottonari di rime assonanti in cui rimano solo i versi
pari. Di ogni romance esistono diverse varianti a seconda del contesto. Si parla di Romancero
viejo e Romancero nuevo. Il Romancero viejo è quello scritto dal medioevo al ‘400, prima
dell’invenzione della stampa. A partire dal 1400 anche i poeti colti si interessano di questo tipo
di composizione, che vengono scritte e apprezzate nelle corti come canzoni. Con l’invenzione
della stampa c’è un’auge dei romances, che vengono stampati come pliegos sueltos (fascicoli)
o libri. Quelli in pliegos sueltos sono andati quasi tutti persi. Il Romance può essere storico o
novelesco. Quello storico può essere a sua volta epico o noticiero (o fronterizo). Il tema epico è
quello che contempla personaggi molto noti, come il Cid. Il Romance storico fronterizo serviva
per raccontare ai sudditi quello che accadeva nel regno o ai suoi confini. Il Romance novelesco
tratta di temi universali come l’amore infedele ecc.

“Romance de Abenàmar”:

Il ritmo è regolare, sono otto sillabe per ogni verso e rimano solo i versi pari. È un romance
storico fronterizo, narra vicende storiche di guerra. Ci sono molti elementi poetici ma in realtà
l’argomento sotto le metafore è guerresco. Parla il re Juan II, padre di Isabella di Castiglia.
Siamo nel contesto della reconquista, il re vorrebbe conquistare Granada ma non ci riesce.
Juan II parla con il moro Abenàmar.

Il Secolo XV:

Il secolo XV è stato segnato da lotte interne tra il re e la nobiltà. La nobiltà aveva acquisito
sempre più potere e importanza politica. Era una classa estremamente ricca e influente.
La corona di Castiglia era in balìa dei nobili. La situazione cambia con l’ascesa al trono di
Isabella. Isabella si sposa nel 1469 con Fernando, l’erede di Aragona. Il regno di Castiglia e
quello di Aragona sono i regni cristiani più importanti del nord. Da questo matrimonio nasce una
sorta di prima unificazione della Spagna, anche se i regni rimangono divisi. Il loro motto era
“tanto monta”, i due regni avevano lo stesso peso. Verranno chiamati dal Papa Alessandro VI
“i re cattolici”, titolo che rimarrà ai sovrani di Spagna fino alla repubblica nel 1931. Con loro
inizia lo stato moderno, autoritario. Costituiscono organismi di governo come il Consejo Real
(Consiglio Reale), che gli consente di ridurre la presenza e il potere dei nobili. Fondano la figura
dei corregidores, funzionari nominati dal re per amministrare la giustizia e l’ordine pubblico.
Questi fanno capo direttamente al re e contrastano il potere dei nobili sul territorio. La Santa
Hermandad è una forza armata che assicura la pace nelle città e nei collegamenti tra esse.
La loro politica si basa su questi concetti:

- Potere reale maggiore di quello nobiliare;


- Unità dinastica: se i loro regni non saranno uniti, verranno uniti dai loro eredi;
- Unità religiosa, avviene nel 1492 con la presa di Granada. La presenza araba ha fine in
Spagna. Nel 1492 finisce formalmente la pratica della religione musulmana e avviene
l’espulsione degli ebrei.

Sempre nel 1492 c’è la scoperta e conquista dell’America. La lingua di Aragona era il catalano,
ma in America viene esportata la lingua castigliana. Nel 1492 c’è la pubblicazione della prima
grammatica castigliana a cura di Antonio de Nebrija, un linguista e uno dei primi umanisti
spagnoli. La Spagna araba attraversa un’epoca di decadenza, anche dal punto di vista
culturale. Dal grande califfato di Cordoba si formano tanti piccoli regni chiamati “taifas”.

Ausias March:

Ausias March era un poeta valenciano (1397 - 1459). Siamo intorno al ‘400 quando si iniziano a
sentire venti nuovi dall’Italia. Ausias March è ricordato, nonostante scrivesse in catalano, per
essere uno dei primi ad aprirsi alle nuove tendenze europee.
Nobiltà e letteratura:

I nobili, sollevati da molti dei loro poteri, continuano a coltivare le arti. Fanno da mecenati ad
artisti e scrittori, accedendo anche loro alla letteratura. In questo periodo c’è una grande
passione per la letteratura sia nell’alta che nella bassa nobiltà. Don Juan Manuel era uno di
questi.

Il secolo XV si caratterizza per la fioritura di tre generi:

- La poesia cancioneril
- I libri di cavalleria
- La prosa sentimentale (ispirata alla Fiammetta di Boccaccio)

Il Cancionero:

La poesia di quest’epoca si divide in poesia popolare, il romancero, e quella colta, il cancionero.


È quindi una poesia di tipo colto, che viene diffusa attraverso raccolte di canzoni, che possono
essere collettive o personali. La poesia cancioneril si diffonde soprattutto attraverso cancioneros
collettivi, con le prime antologie di scrittori dell'epoca. Il primo è il Cancionero de Baena,
raccolto da Juan Alfonso de Baena per il re Juan II.
Nel cancionero si possono distinguere due tipologie di poesie:

- Il decir, che ha contenuti di tipo dottrinale, narrativo, satirico, ed è scritto generalmente in


arte mayor (versi di dodici sillabe, contrapposta all’arte menor, l’ottonario);
- La canciòn, che è di tipo lirico, normalmente di tema amoroso e più breve, pensata per
essere cantata, da qui “canciòn”.

Molto importante è il Cancionero General di Hernando del Castillo, pubblicato nel 1511 e
ripubblicato più volte per la sua popolarità.

Inigo Lopez de Mendoza (Marqués de Santillana) (1398 - 1458):

Lo ricordiamo per la ricerca di modelli nella cultura italiana. In ambito castigliano è conosciuto
per l’opera Sonetos fechos al itàlico modo (sonetti fatti alla maniera italiana). Sono i primi
sonetti che vengono pubblicati in spagnolo. La sua importanza è stata quella di aver dato
un’ulteriore spinta all’influenza italiana.

Juan de Mena (1411 - 1456):

Juan de Mena era uno dei poeti più famosi dell’epoca.

Jorge Manrique (1440 - 1479)

Jorge Manrique era appartenente a una famiglia nobile, e come tale partecipò anche alle guerre
del periodo, in cui perse la vita. C’è un connubio tra letteratura e armi che sarà poi tipico del
rinascimento. C’è la doppia anima dell’uomo d’armi e dell’uomo di lettere. Fu autore soprattutto
di poesie amorose, ma per queste non sarebbe probabilmente stato ricordato. L’opera che lo
consacra è Coplas por la muerte de su padre, un’elegia funebre per il padre Rodrigo Manrique.
“Coplas por la muerte de su padre”:

Quest’opera contiene molti topici letterari, alcuni dei più ricorrenti sono:

- Il disprezzo del mondo (contemptu mundi):


Normalmente i topici letterari si riferiscono alla poesia greca e latina, e hanno quasi
sempre un nome riconoscibile in latino (vanitas vanitatis). Tutto è vanità, il disprezzo del
mondo, vederlo come qualcosa di caduco, che invecchia e poi scompare, dunque tutto è
vanità e non bisogna amare troppo le cose del mondo, perché sono destinate a finire.

- Il tempo che scorre inesorabile (tempus fugit):


Un topico collegato al tempus fugit è quello del carpe diem, di cogliere l’attimo: dato che
tutto scorre e il tempo fugge, bisogna cogliere i momenti della vita.

- Il concetto di fortuna:
È un concetto che nasce nel medioevo e si sviluppa nel rinascimento, di come la fortuna
sia mutabile. Bisogna accettarla perché non dipende da noi, è spesso esemplificata da
una ruota, può portare bene e male.

- L’uomo come viaggiatore (homo viator):


Anche Dante è un homo viator, fa un percorso verso Dio. L’esempio dell’uomo che
viaggia e affronta la vita per arrivare alla fine.

- La morte come livellatrice (omnia mors aequat):


È molto importante per la mentalità medievale, la morte rimette tutto a posto. Tutti alla
fine muoiono, è la grande livellatrice. La società medievale è molto gerarchica, ha molta
importanza la nobiltà, ma davanti alla morte questo non ha valore. È anche una società
molto cristiana quindi, anche se esistono ricchezze e gerarchie, tutto si azzera e le cose
importanti non sono quelle, tutto è visto in chiave religiosa.

- La vita come un fiume che scorre verso il mare (vita flumen):


Viene anche questo dall’ecclesiaste. C’è sempre questo concetto dello scorrere, della
vita che scorre.

- Ubi sunt?
Lett. “dove sono?”, è quando nella poesia classica si fa riferimento agli uomini illustri del
passato. È una sorta di domanda retorica, che mette in contrasto la miseria del presente
con lo splendore del passato.

- Tre tipi di vita: quella terrena, quella della fama e quella eterna
La vita terrena è quella che ognuno di noi vive, la vita della fama è il ricordo che si ha di
una persona perché ha commesso atti degni di nota ed è come se non morisse,
perdurando nel ricordo della gente. La vita eterna in un contesto cristiano è quella più
importante, quella che ognuno di noi deve conquistare dopo la morte.
I topoi sono trattati in modo molto originale nonostante siano temi ricorrenti.
Si vedono nell’opera riferimenti alla vita del tempo. La struttura si compone di 40 strofe di 12
versi ottosillabi con “pie quebrado” (verso lungo la metà degli altri). Si può dividere in tre fasi: la
prima in cui parla della morte in generale, la seconda in cui parla della morte dei personaggi
storici e la terza della morte del padre. Arriva a piangere il padre partendo dal generale e
arrivando al particolare. Parla molto della vita eterna e non parla della morte in modo macabro,
ma sereno.

Fernando de Rojas (1465 - 1541) - “La Celestina”:

La Celestina è il primo romanzo spagnolo. Ce n’è una versione del 1499 che si chiama
“Comedia de Calisto y Melibea”, ma la versione conosciuta oggi è quella del 1502, rinominata
La Celestina, dal nome della traduzione italiana. Fu un successo già all’epoca. “Celestina” è
diventata una parola comune in spagnolo col significato di “mezzana”. È il personaggio che
organizza incontri amorosi clandestini. Ferdinando de Rojas era uno studente di diritto a
Salamanca, veniva dalla provincia di Toledo. Era un uomo molto colto e questo avrà importanza
all’interno dell’opera. È una storia d’amore appassionata. Il protagonista, Calisto, si innamora di
Melibea e su consiglio del servo Sempronio si rivolge a Celestina perché lo aiuti a farla
innamorare di lui. Celestina è una mezzana, ex prostituta. Calisto ottiene l’amore di Melibea e
l’accesso alla sua camera. Sempronio e Parmeno iniziano una relazione con due prostitute
sotto la protezione di Celestina, Elicia e Areùsa. I due servi corrotti litigano con Celestina e la
uccidono, venendo a loro volta giustiziati sommariamente. Le due prostitute vogliono vendicarsi
della morte degli amanti e una serie di eventi fa sì che Calisto muoia cadendo da una scala.
Melibea, non potendo sopportare la morte del suo amato, si suicida. Chiude il romanzo
Pleberio, piangendo la morte della figlia. È un’opera scritta totalmente in dialoghi, di genere tra
l’opera drammatica e il romanzo. C’è una sorta di parodia dell’amore cortese, vengono ripresi
molti di quegli stilemi, ma in un modo che si distanzia da quelli originali. I personaggi fanno
citazioni di personaggi in voga all’epoca e di citazioni di cultura, è evidente che l’autore avesse
letto molto. Ci sono però anche volgarità e oscenità, i personaggi più bassi si esprimono in
questo modo.
Sono concetti importanti quelli dell’amore, della fortuna e della morte. L’amore è ciò che muove
l’opera, tutto comincia dall’amore di Calisto per Melibea. La fortuna è intesa in senso medievale,
è la forza ineluttabile che regola il destino dell’uomo. La morte perché muoiono tutti i personaggi
protagonisti. Si dice che la Celestina sia tra medioevo e rinascimento. Gli elementi medievali
sono il didatticismo, c’è la volontà di dare un insegnamento morale. C’è poi la presenza della
magia e del “male d’amore”. Ci sono anche elementi rinascimentali, come l’ansia dei personaggi
di vivere e godere la vita. C’è poi il paganesimo nel comportamento del protagonista, che eleva
l’amata a religione. Il suicidio di Melibea è un elemento rinascimentale, perché non accetta la
cattiva sorte con rassegnazione, ma prende in mano la sua vita. Un’altro elemento ancora è la
disperazione del padre di Melibea, la morte non è vista come il ricongiungersi con l’origine della
vita (come in Manrique), c’è la disperazione di non avere più la figlia. L’umanesimo è una
dottrina filosofica che anticipa il Rinascimento, mettendo l’uomo al centro. È un’opera con una
grande dose di realismo, ma non ha spazio e tempo definiti.
Letteratura Spagnola 14/03/2022

Garcilaso de la Vega

Abbiamo parlato della sua vita e delle sue opere, anche del fatto che fosse un perfetto
cortigiano, uomo di lettere e di armi.
La sua caratteristica principale consiste nell’essere imbevuto nella cultura italiana.
Finora gli autori che si erano cimentati nella versificazione allo stile italiano l’avevano fatto
sempre come un’imitazione. Garcilaso, anche per il fatto che vive per un tempo a Napoli al
seguito di Carlo V, ha una conoscenza diretta della cultura italiana, ha uno scambio con gli
autori italiani e risulta più naturale e credibile.

Soneto XXIII

En tanto que de rosa y azucena


Se muestra la color en vuestro gesto,
Y que vuestro mirar ardiente, honesto,
Enciende al corazón y lo refrena;

Y en tanto que el cabello, que en la vena


Del oro se escogió, con vuelo presto,
Por el hermoso cuello blanco, enhiesto,
El viento mueve, esparce y desordena:

Coged de vuestra alegre primavera


El dulce fruto, antes que el tiempo airado
Cubra de nieve la hermosa cumbre;

Marchitará la rosa el viento helado.


Todo lo mudará la edad ligera
Por no hacer mudanza en su costumbre.

“Finché di rosa e di giglio si mostra il colore sul vostro viso e [finché] il vostro sguardo ardente
onesto accende il cuore e lo frena. Finché i capelli che nella vena dell’oro sono stati scelti con
volo rapido, per il bel collo bianco dritto il vento muove, scompiglia e disordina.
Finché tutto questo succede cogliete della vostra gioiosa primavera il dolce frutto, prima che il
tempo adirato copra di neve la bella cima. Farà appassire la rosa il vento freddo (hyperbaton).
L’età leggera tutto muterà per non aver mutato la sua abitudine”.
Cambia tutto ma non il fatto che l’età fa passare gli anni.

Sono due terzine e due quartine, con endecasillabi quasi perfetti.


Garcilaso adatta al metro italiano anche la lingua spagnola. Maneggia perfettamente la poesia
italiana. Qual è il tema di questa poesia? “Carpe diem”, il godimento della vita.
Un tema rinascimentale e pagano. Abbiamo visto il valore sacrale della vita nella letteratura
medievale, qui è un godere della bellezza della vita. C’è una sorta di vitalismo tipico del
rinascimento, che si sviluppa nell’oraziano “carpe diem”. C’è un altro topico letterario, le prime
quartine parlano della bellezza della donna: parla del volto, del collo, dei capelli.
È un topico letterario che si chiama “descriptio puellae”. Passare in rassegna gli elementi fisici
della dama, elementi idealizzati: sempre bionda, sempre bella ed elegante. Questo topico è
tipico di tutta la poesia rinascimentale. Nelle terzine c’è il tema del carpe diem e del
“collige, virgo, rosa” ed è appunto “cogli, o vergine, la rosa”.
Di fatto viene a coincidere con il carpe diem, si tratta di cogliere l’attimo, con un’accezione più
legata alla natura: la rosa che è la bellezza e la natura.
Abbiamo due fiori e due colori; la rosa e il giglio, il rosso e il bianco. C’è già un piccolo
contrasto.
Il viso della dama può essere rosso ma anche bianco. Da una parte il rosso che
tendenzialmente fa riferimento all’amore, alla passione, al sentimento, e dall’altra parte il giglio
bianco, simbolo della purezza. La dama suscita l’amore dell’amato ma è casta e pura.
“Finché il volto sarà in questo modo e il vostro sguardo ardente (ricollegabile alla rosa) e
onesto”. Ancora una volta c’è questo piccolo contrasto nel volto della donna, che accende il
cuore ma lo frena. Nella donna è visibile questo sentimento che suscita l’amore del poeta, ma
allo stesso tempo lo frena, è una donna casta, un giglio. Il suo sguardo è onesto, puro, casto.
Queste parole sono a fine verso, e sappiamo quanto siano rilevanti le parole a fine verso.
Questo equilibrio classico non è un’assenza di sentimento, ma nemmeno un sentimento
sfrenato. È un sentimento tenuto a freno dalla purezza della dama, anche grazie a questa
contrapposizione di aggettivi e di verbi. Notiamo anche questo “vuestro”, si rivolge all’amata.
C’è una ripetizione di “finché”, che dà l’idea del tempo che passa e della precarietà dello stato
umano. Questa metafora mineraria introduce il paragone dei capelli con l’oro, biondi.
L’enjambement (encabalgamiento) è un’introduzione di quest’epoca, ce ne sono molti.
Il collo è bianco, dritto. C’è il vento che muove, scompiglia, disordina.
C’è una gradazione dinamica ascendente che gioca tutto sui contrasti, che danno un senso di
equilibrio. Il collo è dritto, i capelli scompigliati. C’è una fissità della dama che dà un’idea del suo
essere onesta e casta. Normalmente nella descrizione si parte dal capo per scendere e passare
in rassegna le bellezze della donna, la bellezza della dama, la bellezza della gioventù. Finché
siete bella, cogliete la primavera, che è la primavera della vita.
“Cogliete della vostra gioiosa primavera il dolce frutto”. La parola “frutto” è centrale nel verso e
come significato. È evidentemente una metafora della vita. Il frutto è la vita per eccellenza, è
succoso, si mangia. È un riferimento anche alla sensualità, bisogna goderne.
È un aspetto molto rinascimentale: la vita non è solo da onorare, bisogna anche goderla nei
suoi aspetti più carnali. Questa cesura dà una forte attenzione alla parola “frutto”.
Questo raccogliere la primavera ci ricorda molto la letteratura italiana.
“Amiamo adesso che possiamo essere riamati, ora che siamo giovani e che siamo in questo
gioco amoroso che la gioventù presuppone”. Amare adesso che possiamo, nella stagione della
vita adeguata. Cogliere il frutto prima che il tempo, adirato (antitesi tra i due elementi), copra di
neve la bella cima. La “bella cima” è la primavera e comincia a nevicare, arriva l’inverno e
finisce la gioventù. Si copre di bianco la bella cima, è un riferimento anche all’imbiancarsi dei
capelli.
La neve dà anche una sensazione di freddo, in contrasto con la bellezza e il caldo della
primavera. Invita a godere della primavera perché arriverà l’inverno.
Il vento gelato, freddo, dopo che la neve ha introdotto la sensazione di freddo qui si rincara la
dose, in opposizione con la primavera. Il vento gelato farà appassire la rosa.
Garcilaso insiste sul verbo “mutare”, tutto cambia, ma non cambia l’abitudine di far passare gli
anni e far invecchiare le persone. Notiamo gli elementi naturali: il frutto, la rosa, il giglio, il vento,
la neve, in paragone alla donna e alla vita. Un sonetto in perfetto stile petrarchesco, sia come
tematica che come forma, ma sicuramente non di imitazione, un sonetto nel quale traspare
anche il sentimento del poeta. La differenza in Petrarca era nella presenza di un io lirico, cosa
che si vede anche in Garcilaso.

Fray Luis de León (1527-1591)

È l’altro colosso della poesia rinascimentale spagnola. È un frate, lo dice il suo titolo stesso.
Garcilaso muore nel 1536, è quasi contemporaneo. Si laurea in teologia all’università di
Salamanca, una delle più prestigiose e antiche della Spagna, viene ordinato monaco
agostiniano. Sant’Agostino è il padre della Chiesa più votato alla spiritualità. Lui è un monaco
agostiniano ed è il poeta che più degli altri ha saputo armonizzare la cultura classica, la cultura
italiana e la tradizione biblica. Soprattutto la poesia biblica, quindi il Cantico dei Cantici e i salmi,
con la cultura classica e la letteratura italiana, che sono i grandi must di quest’epoca.
È il classico uomo del Rinascimento, un grande erudito, come Garcilaso è un grande uomo
rinascimentale, senza essere però un soldato. Esperto di pittura, arte, musica, come i grandi
uomini del Rinascimento. È professore all’università di Salamanca, sostituisce la vita di corte
con quella accademica. Era un uomo molto combattivo, partecipava a tutte le polemiche
dell’epoca, era un uomo dalla grande propensione polemica. All’interno degli ordini religiosi
difendeva la regola più stretta. Nascono correnti religiose che chiedono regole monastiche più
rigorose.
Fu processato dall’Inquisizione a causa della traduzione in spagnolo del Cantico dei Cantici.
All’epoca si considerava pericolosa la lettura della Bibbia in lingua volgare, senza
l’intermediazione della Chiesa. Lui traduce il Cantico dei Cantici in castigliano, questo gli
procura un processo dall’Inquisizione. Viene accusato di privilegiare il testo ebraico rispetto al
testo latino. Nel medioevo la Bibbia circolava nell’edizione in latino. Fray de León parte invece
dal testo ebraico e questa cosa è malvista, è come scavalcare l’autorità della Chiesa.
Rimane in prigione per cinque anni a Valladolid e, trascorsi questi anni, verrà assolto.
Sotto questa condanna c’è la rivalità tra agostiniani e domenicani. È un mondo che non c’è più,
ma c’era una grande rivalità tra ordini monastici. Il suo atteggiamento polemico, la sua volontà
di andare alla radice dei testi sacri, gli creano una serie di inimicizie che portano alle sue
vicende processuali.
Pare che dopo cinque anni di prigione, quando fu assolto, uscì dal carcere e la sua prima frase
fu “dicevamo ieri…”. Probabilmente non è vero, ma è simbolico di come volesse tornare subito
alla sua missione di insegnante.
Ha scritto diverse opere in prosa in latino e in castigliano, le più famose sono:

- La perfecta casada, un trattato di teologia ascetica che descrive con varie citazioni sacre
e profane come doveva essere la vita di una donna sposata. È un trattato estremamente
colto nel quale descrive questa cosa;
- De los nombres de Cristo, è un dialogo platonico sull’origine e sul significato dei vari
appellativi che si danno a Cristo nelle sacre scritture.

Fray Luis de León fu un grande difensore della lingua castigliana, tradusse in castigliano parti
delle sacre scritture, poeti classici come Virgilio e Orazio, ma anche Petrarca.
Così facendo eleva la lingua castigliana a lingua di cultura, alla pari delle lingue di prestigio.
È un grande propulsore dell’uso colto della lingua castigliana. La sua opera poetica è una sorta
di continuazione delle sue riflessioni filosofiche. Vi troveremo una serie di costanti, ad esempio
la lode della “aurea mediocritas”, l’equilibrio classico, il “giusto mezzo” di cui parlano i latini.
È un’opera piena di riferimenti classici e biblici, la sua erudizione traspare dai suoi versi.
Predilige la forma dell’ode, in tutto scrive trenta poesie.
Le sue poesie circolano soprattutto come manoscritti finché, nel 1630, il poeta Francisco de
Quevedo, affascinato dalla sua opera, raccoglie le sue poesie e le pubblica in una prima
edizione.
I temi principali della sua opera sono il disprezzo del mondo, il rifiuto dei beni materiali, l’ozio
contemplativo, la ricerca della tranquillità e della virtù lontano dal mondo e dall’ambizione, dal
desiderio di ricchezza. Lontano dal mondo accademico, dalle diatribe tra religiosi.
Pur essendo un uomo consacrato evidentemente era all’interno di molte polemiche e molte
possibilità di vivere in senso mondano. Troveremo la ricerca di un locus amoenus, il contemptu
mundi, il beatus ille.
Ha scritto trenta odi, le tre da ricordare sono:

- Qué descansada vida “Canciòn de la vita solitaria” “De la vida retirada”;


- Oda a Francisco Salinas, ode dedicata a Francisco Salinas, professore di musica non
vedente dell’università di Salamanca. Si parla della musica che fa ricordare all’anima la
propria origine divina;
- Noche serena, racconta una sorta di contemplazione in una notte serena che fa elevare
l’anima verso Dio.
Letteratura Spagnola 16/03/2022

Avevamo introdotto l’autore Fray Luis de León, monaco agostiniano. Sant’Agostino aveva
privilegiato la dimensione più intima della religiosità, “risiedi nella mia memoria”, una ricerca di
Dio interiore. Questo porta gli agostiniani ad essere guardati con sospetto, perché la Chiesa in
quell'epoca riteneva di dover mediare il rapporto di Dio con gli uomini. Ebbe esperienze nefaste,
fu in carcere per 5 anni sia per discordie tra domenicani e agostiniani, ma anche per aver
tradotto il Cantico dei Cantici dall’ebraico. La Bibbia che doveva essere utilizzata era la vulgata
in latino di San Geronimo. Il fatto che privilegiasse il testo ebraico fa di lui un uomo del
Rinascimento. Nasce anche la filologia in quest’epoca. Aveva in qualche modo non rispettato
questo dettame della Chiesa.
Era un uomo del Rinascimento, non era ovviamente un soldato però era un uomo di cultura, era
interessato alla pittura, alla medicina, all’astronomia, alla musica.
Coniugava la cultura classica, la letteratura italiana e la tradizione biblica. La Bibbia è una fonte
di ispirazione della sua poesia.
Delle opere in prosa abbiamo citato La perfecta casada e De los nombres de Cristo.
Abbiamo poi parlato dei temi della sua poesia, che leggiamo.
Vediamo qui la prima ode, la Canción de la vida retirada.

Oda I - Canción de la vida retirada - Fray Luis de León

La poesia di Fray Luis è circolata in manoscritti fino a che il poeta barocco Francisco de
Quevedo ha deciso di farne un’edizione critica e raccogliere tutti i manoscritti. Dal punto di vista
metrico è una lira. Sono tre settenari e due endecasillabi. Ci sono due versi più lunghi e tre più
brevi. È una forma metrica introdotta da Bernardo Tasso, utilizzandola per una poesia di tipo
bucolico. Fray Luis de León usa molto spesso questa forma metrica. È una forma metrica
italiana ed era già stata usata da Garcilaso de la Vega. È una poesia che coniuga la letteratura
italiana ma anche il gusto classico, perché il tema fondamentale è il beatus ille. Si tratta di una
tematica che prende spunto da una poesia di Orazio, nella quale il poeta latino cantava la
beatitudine di ritirarsi dal mondo, dalla vita attiva, per vivere una vita tranquilla in campagna.
Beatus ille, beato colui che si ritira e gode della tranquillità. Per quale ragione?
Per dedicarsi all’ozio letterario, dedicarsi senza occupazioni mondane allo studio, alla
letteratura, alla contemplazione. Una poesia di ispirazione classica in questo senso, riprende
questo tema molto frequentato nell’antichità del beatus ille, con la forma metrica della lira.
I primi due versi sono tra i versi più famosi della letteratura spagnola.

Qué descansada vida


la del que huye del mundanal ruïdo,
y sigue la escondida
senda, por donde han ido
los pocos sabios que en el mundo han sido;

“Come è riposata la vita di colui che fugge dal rumore del mondo”. Il rumore del mondo sono
tutte quelle occupazioni che distolgono l’uomo da quelle più auliche, il mondo terreno.
Fray Luis era un uomo di chiesa, di convento. Ci potremmo aspettare una vita appartata, ma
era un professore. Viveva molte invidie e la competitività dell’ambiente universitario. Tra gli
ordini religiosi la vita non era così tranquilla, abbiamo visto le diatribe teologiche che gli hanno
causato anche il carcere. “E segue il nascosto sentiero per il quale hanno camminato i pochi
saggi che nel mondo sono stati”.
C’è subito una contrapposizione: il rumore del mondo e la vita nascosta, che sono in contrasto.
Da una parte il rumore del mondo e dall'altra chi si nasconde, i saggi. Coloro che inseguono la
cultura, la virtù. Questa fuga fa sì che l’uomo possa seguire i sentieri della saggezza.

Que no le enturbia el pecho


de los soberbios grandes el estado,
ni del dorado techo
se admira, fabricado
del sabio Moro, en jaspe sustentado!

“Colui al quale non viene disturbato il petto dai grandi superbi il ricco stato”. Tutto ciò che si
riferisce al mondo ha una scelta lessicale negativa, che dà una sensazione di inquietudine.
“Né il dorato tetto si ammira fabbricato dal saggio moro, sostenuto da pietre preziose”.
Nella Spagna dell’epoca i mori sono appena stati cacciati, ma la cultura architettonica che
hanno lasciato è ancora ammirata. Beato quindi colui che non ammira le pietre preziose.
Sta dicendo tutte le cose di cui l’uomo non si deve curare.

No cura si la fama
canta con voz su nombre pregonera,
ni cura si encarama
la lengua lisonjera
lo que condena la verdad sincera.

“Non si cura del fatto che venga elogiato il suo nome dalla fama”, beato l’uomo che non si cura
della fama. “Né si cura se la lingua adulatrice loda quello che la verità sincera condanna”.
C’è un’opposizione tra ciò che è da rifiutare, le lusinghe che sono in contrasto con la verità
sincera.

¿Qué presta a mi contento


si soy del vano dedo señalado;
si, en busca deste viento,
ando desalentado
con ansias vivas, con mortal cuidado?

“Perché dovrei essere contento se mi indicano col dito? Perché dovrei essere felice di essere
indicato come una persona famosa?”. È un dito vano quello che mi riconosce la fama, è legato
a un mondo che perisce. Le interrogazioni ed esclamazioni retoriche danno enfasi al testo.
Questo “vano” richiama l’ecclesiaste, l’ispirazione biblica è sempre presente, anche se quello
della vanità è un topico. “Se in cerca del mendace vento vado senza fiato, con ansie vive e
mortali preoccupazioni?”. La fama è un vento che scorre e non rimane, e lo lascia con ansie
vive e mortale preoccupazione.
¡Oh monte, oh fuente, oh río,!
¡Oh secreto seguro, deleitoso!
Roto casi el navío,
a vuestro almo reposo
huyo de aqueste mar tempestuoso.

Questo è Petrarca citato quasi letteralmente. Tutti questi topici letterari o riferimenti dotti
vengono declinati nella sua esperienza umana. Il fiume è probabilmente quello che passa da
Salamanca e che lui conosce bene. In molti punti c’è un paesaggio reale, non solo il locus
amoenus e una realtà codificata e sempre uguale, ma descrive luoghi che conosce.
Comincia con una esclamazione che porta in un ambiente più piacevole: i monti, l’acqua e il
fiume. C’è sempre un riferimento a una natura dilettevole.
“Rotta quasi la nave”, la nave è la vita, che può incontrare pericoli e ostacoli ma viene
trasportata dalla corrente. La nave è anche sinonimo di ricchezza, perché trasporta dei beni.
“Rotta quasi la nave al vostro riposo, fugge da questo mare tempestoso”. È in rima antitetica
con “reposo” del verso superiore.

Un no rompido sueño,
un día puro, alegre, libre quiero;
no quiero ver el ceño
vanamente severo
de a quien la sangre ensalza o el dinero.

Qui inizia una serie di desideri: “la nave è quasi rotta, ma io voglio un sogno che non sia rotto.
Un giorno puro, allegro, libero voglio. Non voglio l’espressione vanamente severa di chi da
censo o casta è infatuato”, di chi vuole i soldi. C’è il riferimento alla nave come portatrice di
denaro.

Despiértenme las aves


con su cantar sabroso no aprendido;
no los cuidados graves
de que es siempre seguido
el que al ajeno arbitrio está atenido.

“Mi sveglino gli uccelli col loro canto saporito non conosciuto”, c’è questo velo di mistero, gli
uccelli parlano una lingua sconosciuta. “Senza preoccupazioni gravi che inseguono colui che è
succube dall’arbitrio altrui”. Qui possiamo pensare alla vita accademica e conventuale, le
preoccupazioni che possono dare le altrui esigenze.

Vivir quiero conmigo,


gozar quiero del bien que debo al cielo,
a solas, sin testigo,
libre de amor, de celo,
de odio, de esperanzas, de recelo.

“Voglio vivere con me stesso, voglio vivere del bene che voglio al cielo”.
Possiamo interpretarlo come solitudine per l’ozio letterario, ma anche come silenzio religioso.
“Da solo, senza testimone”, insiste sul concetto. “Libero dall’amore, dalla gelosia, dall’odio, dalle
speranze, dai timori”.
Dà l’idea della solitudine e di poter contare su sé stesso, senza l’influenza nefasta di altre
persone. Libero da tutto, anche dalle cose positive, ogni sentimento ci condiziona, la libertà è
anche dai sentimenti positivi.

Del monte en la ladera,


por mi mano plantado tengo un huerto,
que con la primavera
de bella flor cubierto
ya muestra en esperanza el fruto cierto.

Poi c’è l’ode della vita campestre, dice “sul lato del monte con le mie mani ho fatto un orto”.
Si richiama colui che si ritira dalla vita del mondo per dedicarsi alla campagna e coltivare la
terra.
“Con le mie mani ho piantato un orto che con la primavera, di fiori coperto, mostra già la
speranza del frutto certo”.
La speranza in questo caso è l’aspettativa, quello che ci sarà, del frutto che arriverà.
Il frutto certo che è il frutto della terra, fatto con le mie mani.

Y como codiciosa
por ver y acrecentar su hermosura,
desde la cumbre airosa
una fontana pura
hasta llegar corriendo se apresura.

“E desiderosa di vedere e accrescere la propria bellezza, dalla cima arieggiata una fontana pura
fino ad arrivare correndo si appresta”. È il locus amoenus perfetto: c’è l’orto che è la
coltivazione e dalla cima della collina arriva anche una fonte, un corso d’acqua che è puro.
Viene umanizzato, gli viene attribuito da Fray Luis il desiderio di arrivare correndo.
È la descrizione di un locus amoenus, tuttavia è stata vista in questi versi una descrizione di
una tenuta di campagna dove Fray Luis era solito passare parte del suo tempo. Questa tenuta
si chiama “La Flecha” (la freccia) ed è una tenuta campestre dei frati agostiniani, dove passava
molto tempo. Quindi c’è il topico letterario ma anche il vissuto dell’autore. Ha scelto questa
tenuta in parte perché probabilmente gli era cara e perché ricorda anche il topico letterario del
locus amoenus.

Y luego, sosegada,
el paso entre los árboles torciendo,
el suelo de pasada
de verdura vistiendo
y con diversas flores va esparciendo.

“Quindi rasserenata, il corso in mezzo agli alberi torcendo, la terra attraversata, di verdura
vestendo, di fiori variopinti va spargendo”.
Continua a parlare della fonte d’acqua con la personificazione: prima correva giù a valle.
È più riposata e si apre il cammino, si apre il passo curvando e passando si veste di verdura
(nel senso di elementi della natura) e sparge fiori variopinti. Questo fiume, questo ruscello
passa anche in mezzo alla natura e grazie alla sua acqua tutto il bosco si riempie di fiori, irrigato
da quest’acqua. È un’acqua che dà la vita, che fa sì che questo luogo sia così ameno.
Sono tutti gerundi: torciendo, vistiendo, esparciendo. Il gerundio è un tempo verbale che dà il
senso dell’azione che si svolge e ci dà anche un’idea di movimento.
Ci sono questi gerundi che danno l’idea della vita che scorre.

El aire del huerto orea


y ofrece mil olores al sentido;
los árboles menea
con un manso ruïdo
que del oro y del cetro pone olvido.

L’aria dell’orto spira e offre mille profumi ai sensi. Altra caratteristica del locus amoenus: è un
luogo pieno di vegetazione e quindi anche di suggestioni olfattive. È un luogo non arido, grazie
a questo fiumiciattolo che feconda la terra ci sono tanti fiori e l’aria profuma, offre mille odori ai
sensi. “L’aria gli alberi scuote con un dolce rumore”. Questo “ruido” che nel secondo verso
andava fuggito dall’uomo, qui invece è il dolce suono dell’aria profumata che muove le foglie.
“Manso ruido” è anche un’espressione già utilizzata da Garcilaso: Fray Luis dimostra di
conoscere, oltre alla poesia classica, anche i suoi contemporanei.
“Che fa dimenticare l’oro e lo scettro”, la ricchezza e il potere. Alcuni critici hanno ipotizzato che
quest’ode potesse riferirsi a Carlo V. Carlo V abdica in favore di suo figlio Filippo II e di suo
fratello Fernando VII. Si ritira poi in un monastero in Extremadura a Yuste per concludere la sua
vita. Un uomo che ha passato tutta la sua vita tra le battaglie si ritira negli ultimi anni in un
monastero. Sembra che Fray de Luis si riferisse a lui, anche perché in uno dei manoscritti c’è
un’epigrafe a Carlo V.

Téngase su tesoro
los que de un falso leño se confían;
no es mío ver el lloro
de los que desconfían
cuando el cierzo y el ábrego porfían.

“Che si tengano il loro tesoro coloro che si affidano al falso legno”. “Legno” è un cultismo
semantico che si riferisce alla barca. È la metafora della ricchezza: coloro che si affidano a una
falsa ricchezza, che si tengano il loro tesoro. “Non è mio il pianto di quelli che non si fidano
quando soffiano i venti”. Dice di non aver mai fatto affidamento a tutto ciò, quindi non ha le
incertezze di coloro che vi si affidano.

La combatida antena
cruje, y en ciega noche el claro día
se torna, al cielo suena
confusa vocería,
y la mar enriquecen a porfía.

“Il palo della nave dibattuto dai venti scricchiola e il giorno si trasforma in una cieca notte.
Inizia ad impazzare la tempesta e anche il giorno finisce per diventare notte.
Al cielo suona un confuso vociare”. Il legno del palo inizia a scricchiolare e c’è un confuso
vociare. C’è la tempesta e inizia questo vociare. “La nave arricchisce il mare”.
È una metafora per dire che la nave naufraga, e quindi arricchisce il mare. Quando ci si affida
alla ricchezza, ai beni materiali, un naufragio può far finire la nostra felicità.
A mí una pobrecilla
mesa de amable paz bien abastada
me basta, y la vajilla,
de fino oro labrada
sea de quien la mar no teme airada.

“Una povera tavola di un’amabile pace viene fornita e a me basta.


I piatti e le cose messe sulla tavola, di fine oro lavorate, siano di chi non teme il mare irato”.
A me basta un tavolo umile, se qualcuno vuole i piatti decorati d’oro sono quelli che non temono
il mare irato. Rifiuta la ricchezza anche nel simbolo del piatto elegante. Gli basta un povero
tavolo, purché sia ben fornito.

Y mientras miserable-
mente se están los otros abrasando
con sed insacïable
del peligroso mando,
tendido yo a la sombra esté cantando.

“E mentre miserabilmente gli altri stanno bruciando con una sete insaziabile del pericoloso
comando, io steso all’ombra me ne sto cantando”. L’antitesi è fortissima. La sete di ricchezza
non si calma mai, io li lascio a queste preoccupazioni e sto all’ombra a cantare.
Il canto è la poesia, la letteratura.

A la sombra tendido,
de hiedra y lauro eterno coronado,
puesto el atento oído
al son dulce, acordado,
del plectro sabiamente meneado.

“Sto all’ombra con edera e alloro eterno incoronato”, la fama data dalla letteratura.
Accetta di essere incoronato, ma con l’alloro. “Con edera e alloro eterno incoronato, posto
l’attento udito al suono dolce del plettro saggiamente utilizzato”.
Dopo quest’ambientazione anche violenta di coloro che cercano la ricchezza, il suono che lui
vuole è dolce, accordato, che richiama i suoni della natura. Aveva usato questi aggettivi per
descrivere il suo luogo ameno. Dolci come il suono degli uccelli, della brezza negli alberi,
dell’acqua che scende e rende fertile la terra. Allo stesso modo il suo canto, la sua attività, il suo
attento udito sente il suono dolce della natura e della propria poesia.
Un’immagine classica, abbiamo riconosciuto diversi elementi della classicità, ma che si riferisce
anche all’io lirico del poeta.

Petrarca è citato in vari modi, è citato quasi letteralmente nel verso 21-22.
Ovviamente è citato come ispirazione generale: l’idea di ritirarsi, di essere in un ambiente di
natura così leggiadra, bella e pacifica.
La mistica

Ci occupiamo di altri due religiosi, che sono Santa Teresa de Jesús e San Juan de la Cruz
(Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce). Sono santi della Chiesa cattolica, ma anche
grandi poeti. C’è una corrente spirituale e letteraria in Spagna che è la corrente mistica, per lo
più mistica carmelitana. Sono entrambi carmelitani, entrambi accomunati dall’aver sperimentato
un’esperienza di misticismo. C’è una differenza tra esperienza ascetica e mistica.
Abbiamo visto come Fray Luis predicasse l’abbandono delle cose terrene per ritirarsi ad una
vita più semplice. Questa è una tendenza che si può definire “ascetismo”.
La volontà di purificarsi, distaccarsi dal mondo per migliorare sé stessi. Lasciare tutto ciò che è
caduco e frivolo per migliorare la propria vita spirituale.
Questa è una definizione più o meno precisa di ascetismo. Il misticismo parte da questa
tendenza ad abbandonare i beni terreni per ricongiungersi a Dio, per arrivare a uno stadio in cui
i mistici arrivano a una conoscenza diretta con Dio.
La mistica classicamente si può dividere in queste tre vie: la via purgativa, la via illuminativa e la
via unitiva. La via purgativa è quella che assomiglia di più all’ascetismo, in cui ci si purifica
attraverso delle pratiche, dei rituali; è la via più umana, esteriore. Purificarsi, abbandonare tutto
ciò che è terreno. La via illuminativa è quella in cui, una volta purificatisi, si procede nel
cammino di imitazione di Gesù. La via illuminativa è quella in cui, una volta purificati
(presupposto essenziale) si inizia nell’imitazione di Gesù. La via unitiva è quella in cui avviene
l’unione amorosa dell’anima con Dio. Si parla di mistica sponsale, c’è una sorta di parallelismo
tra i due sposi e l’anima e Dio: l’anima si vuole unire a Dio come lo sposo si vuole unire alla
sposa per diventare una cosa sola (per questo unitiva). Si usa spesso la terminologia amorosa
per parlare di esperienza mistica. Degli stadi così alti di coscienza che arrivano all’unione con
Dio sono qualcosa che si può descrivere attraverso le metafore, non attraverso una descrizione
realistica.
Si parla infatti di poesia “a lo divino”, cioè una poesia che utilizza gli stilemi e le figure retoriche
della poesia amorosa, ma li declina sul piano divino. A una prima lettura può sembrare una
poesia amorosa, in realtà parla di un’esperienza d’amore, ma nell’unione dell’anima con Dio.
Questi non sono gli unici autori mistici dell’epoca, anche se i più conosciuti, sono entrambi santi
della Chiesa Cattolica. Parliamo di vette dal punto di vista letterario, oltre che spirituali.

Santa Teresa de Jesús (Santa Teresa d’Avila)

Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (Avila 1515 - Alba de Tormes 1582) venne
santificata nel 1622.
La grandezza di questo personaggio è stata riconosciuta in tempi abbastanza brevi.
Passa un’infanzia molto allegra in cui legge moltissimo. Questa è già una novità, le donne
spesso non erano neanche alfabetizzate. Lei invece, grazie a un padre che insegna a leggere a
tutti i figli comprese le femmine e che possiede una grande biblioteca, ha la possibilità di
leggere molto. Legge soprattutto romanzi di cavalleria, una letteratura profana, laica. Entra
nell’ordine carmelitano nel 1536 nonostante l’opposizione del padre, che era laico. Lei decide di
entrare comunque nell’ordine carmelitano. Era una famiglia di origine converso, nei loro antenati
c’erano ebrei convertiti al cattolicesimo.
Dal 1560 intraprende una riforma dell’ordine molto profonda. Comincia a viaggiare per tutta la
Spagna e fondare nuovi conventi, ne fonda 15. L’importante sarà la sua opera di riforma.
Negli ordini religiosi c’è spesso in quest’epoca un’opposizione tra chi predilige una regola molto
rigida, basata sulla povertà e sul vivere di elemosina o lavoro proprio, e chi invece propugna
una regola più lassista in cui si accettano anche ricche donazioni e si vive in modo più agiato.
Santa Teresa sarà per la regola più rigida e nasceranno i “carmelitani scalzi” dalla sua riforma.
Si passerà a due ordini carmelitani, carmelitani scalzi e carmelitani calzati, che rimangono nella
vecchia regola.
Quelli che aderiscono alla nuova regola di Santa Teresa sono i carmelitani scalzi.
A Toledo incontra anche San Giovanni della Croce, di vent’anni più giovane di lei, ma che sarà
entusiasta e la segue nella riforma aiutandola a riformare l’ordine maschile. Anche Fray Luis de
León dirà di essere ispirato da Santa Teresa, sia dal punto di vista letterario che religioso.
I carmelitani scalzi si formeranno anche nell’ordine maschile. Propugnano una vita più austera,
fatta di raccoglimento e preghiera, vivendo di elemosina e del loro lavoro. Santa Teresa muore
nel 1582 e sarà presto santificata. Scrive su suggerimento dei suoi confessori. Si rivolge spesso
ai propri confessori (come fanno spesso le donne religiose dell’epoca) per capire se quello che
stava vivendo era corretto o meno e loro, vista anche l’eccezionalità della sua vita, le
consigliano di scrivere le sue esperienze. Scrive perlopiù opere in prosa di carattere didattico,
per dare una linea da seguire alle proprie monache. Sono capisaldi della letteratura spirituale
occidentale, quello che era nato come libro didattico interno al convento diventa un libro
spirituale di grande diffusione. Scrive molte lettere e molte poesie. Le opere più importanti sono
il Libro de la vida, il Libro de las fundaciones, il Camino de perfección e El castillo interior o Las
moradas.
Normalmente sono scritti in una prosa semplice, diretta, emotiva, perché è una donna d’azione.
Non dobbiamo pensare ai mistici come a personaggi immersi nella propria vita spirituale e
staccati dal mondo.
Santa Teresa passa le giornate in viaggio, a incontrare persone, a riscrivere le regole.
Qualche critico sostiene che lo stile così semplice derivi dal fatto che scrivesse di fretta, erano
opere scritte di getto, per una questione di tempo. Non sappiamo se sia per questo o perché
non aveva uno scopo letterario ma didattico, quindi non aveva intenzione di fare letteratura.
Il Libro de la vida parla della propria vita e di come sia giunta a diventare monaca carmelitana.
Il Libro de las fundaciones parla della sua azione riformatrice. Il Camino de perfección e El
castillo interior sono opere più prettamente spirituali. Soprattutto El castillo interior o Las
moradas (le dimore) è il culmine del pensiero religioso e pensiero mistico di Santa Teresa.
In quest’opera dice che attraverso l'orazione si entra in un castello che ha sette dimore.
Ognuna di queste dimore rappresenta uno stadio più alto verso il ricongiungimento con Dio,
secondo la mitica che comprende le tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva. Secondo questo
schema l’anima passa attraverso sette dimore, ognuna delle quali rappresenta uno stadio
sempre più alto dell’anima, fino a raggiungere l'unione con Dio. È uno stile molto vigoroso, con
una capacità espressiva grandiosa. Uno stile spontaneo, di getto, che non è sciatto, ma crea
una grande identificazione con chi legge, essendo uno stile molto umano e ricco di riferimenti
quotidiani. Crea un’identificazione con chi legge che fa sì che si possa provare a sentire
l’esperienza spirituale che lei descrive. Inoltre fa sempre riferimento al fatto di essere una
donna, quasi chiedendo scusa. Esprime spesso concetti di altissimo livello dottrinale per poi
scusarsi, dicendo di essere donna e di non avere formazione. Questo ha un significato doppio:
da una parte può permettersi di dire quello che vuole, dall’altra si mette al riparo
dall’Inquisizione. L’Inquisizione da un teologo non avrebbe accettato certe cose, invece con
questo discorso sull’essere donna Santa Teresa fa in modo che non le venga dato troppo peso.
Ha una grande capacità di saper comunicare quello che voleva, evitando le cesoie
dell’Inquisizione.
Letteratura Spagnola 21/03/2022

Santa Teresa de Jesús (Santa Teresa d’Avila)

Santa Teresa d’Avila riforma l’ordine carmelitano femminile, mentre la riforma del ramo maschile
dei sarà portata a termine grazie a San Giovanni della Croce. Questi due personaggi sono
legati, oltre al tipo di letteratura mistica nel quale si muovono, anche nell’essere riformatori del
proprio ordine monastico. Santa Teresa scrive su suggerimento dei suoi confessori, che
ritengono che la sua vita abbia un’originalità tale da essere scritta. Le sue opere sono perlopiù
di tipo didattico, rivolte alle sue monache, alle quali scrive e dedica questi libri per educarle nella
fede e nell’esperienza religiosa. Abbiamo anche detto che sono opere diventate classici della
spiritualità occidentale. Hanno un valore spirituale al di là dell’epoca in cui sono stati scritti e
della finalità educativa per le monache.
Abbiamo citato quattro dei suoi trattati, oltre ai quali ha scritto molte lettere, diari, spesso rivolti
alle sue monache. Ha una prosa semplice, diretta, emotiva e si riferisce spesso al fatto di
essere donna. Questa cosa ha una certa importanza, perché le concede una libertà che gli
autori uomini non avevano, sia dal punto di vista dottrinale che poetico. Questo perché si
schermisce con questa frase “sono solo una donna, quindi non ho la cultura sufficiente” per
poter dire quello che vuole. Introduce concetti teologici importanti senza paura di un vaglio da
parte dell'Inquisizione che potrebbe causarle situazioni spiacevoli. Il fatto di non avere
formazione la mette al riparo dal dire qualcosa che vada contro la dottrina ecclesiale.
Non avendo una formazione accademica come altri scrittori o una formazione classica, sente la
libertà di poter scrivere anche dal punto di vista formale senza dover seguire tutti gli schemi
della poesia tradizionale o colta. Nel Barocco la forma ha un’importanza fondamentale e per
una rima imperfetta gli scrittori verranno criticati o derisi. Dato che lei si dichiara ignorante,
nessuno pretenderà che lei rispetti le metriche in modo perfetto, ha quindi una libertà in più.
Per le questioni teologiche è una delle poche donne a essere stata dichiarata “Dottore della
Chiesa”, quindi diceva cose giuste. I Dottori della Chiesa sono teologi i cui scritti aggiungono
qualcosa alla dottrina della Chiesa. Il fatto che gli scritti di Santa Teresa siano considerati tali da
renderla Dottore della Chiesa ci dà un’idea della profondità del suo pensiero, nonostante fosse
una donna. Era anche una donna con grande senso dell’umorismo, e questo continuare a dire
di essere ignorante è una forma sorniona per aggirare i dettami dell'Inquisizione.
Le donne non solo erano di solito ignoranti, ma le donne che non lo erano erano guardate con
sospetto dall’Inquisizione. I suoi antenati ebrei erano stati perseguitati, bruciati, proprio perché
dichiarati di dottrina sospetta. Una donna, se aveva molte conoscenze, era ancor più
sospettata. Scrive non con la volontà di fare letteratura, ma cercando di spiegare in modo
semplice la sua esperienza spirituale. Con grande capacità espressiva e con molta ironia, in
una lettera che scrive alle sue consorelle durante i suoi viaggi nei monasteri per riformarli,
scrive cosa è riuscita a ottenere. Quando ottiene che San Giovanni della Croce la aiuti a
riformare l’ordine maschile scrive “sappiate, figlie mie, che ho già un frate e mezzo che mi
aiuterà per la nuova riforma”.
San Giovanni della Croce era molto piccolino e pare che avesse coinvolto per questa riforma
anche il priore del suo convento, che era invece un omone. San Giovanni verrà poi incarcerato
e si cala dalla finestra con le lenzuola, quindi era molto leggero. Santa Teresa lo descrive quindi
come mezzo frate alle sue consorelle. Viaggiando in carrozza da una parte all’altra della
Spagna le succede di tutto, era molto pericoloso, in una preghiera che scrive dice “ho paura di
come tratti i nemici, se così tratti gli amici”. Quest’opera di Bernini, che si trova nella chiesa di
Santa Maria della Vittoria a Roma e si chiama “L’estasi di Santa Teresa”, ritrae la santa nel
momento dell’estasi. Bernini si basa su uno scritto che dice:
“Ho visto un angelo apparire in forma corporea vicino al mio lato sinistro. Non era grande, ma
piccolo, ed estremamente bello. La sua faccia era in fiamme, così tanto che sembrava essere
uno dei più alti gradi di angeli, quelli che chiamiamo Serafini o Cherubini. I loro nomi angeli non
mi dicono mai, ma sono ben consapevole che in cielo ci sono differenze tra i diversi tipi di
angeli.”

“Aveva in mano un dardo che sembrava qualcosa di fuoco, un dardo d’oro, lungo, lo metteva
nel mio cuore più volte fino ad arrivare nelle mie interiora. Tirandolo fuori mi lasciava tutta di
fuoco per l’amore grande di Dio, non è un dolore corporale ma spirituale, sebbene anche il
corpo partecipi a questo”. Lei descrive questi momenti di estasi come momenti quasi dolorosi, in
cui sente quest’unione con Dio. Li descrive in modo anche sensuale, nel senso che partecipano
i sensi, sente un dolore fisico e anche spirituale.
Ci sarà nell’opera di San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila questo tentativo di
descrivere le estasi (che significa “uscire fuori”, ex stasis, uscire fuori dal corpo), sono i momenti
in cui per intervento divino la santa si sente trasportata nelle sfere più alte, sentendosi unita a
Dio. Essendo un’esperienza difficile da capire per chi non l’ha provata, si descrive attraverso
metafore, figure. I suoi momenti di elevazione spirituale fino all’unione con Dio sono il tema
della sua poesia.
Vivo sin vivir en mí

Questo testo è l’unico che leggeremo di Santa Teresa, ed è un testo in cui cerca di descrivere
l’esperienza mistica come unione degli opposti, che è un procedimento tipico della poesia
mistica. Parla di quello che lei chiama “arrobamiento”, che potremmo descrivere come una
perdita dei sensi, di fatto l’estasi. È una struttura perfetta, è costruita in modo molto rigido. È
una forma poetica che si chiama villancico, che consiste in un ritornello con l’ultimo verso che si
ripete alla fine di ogni strofa. È una metrica popolare, che si utilizza molto anche per le canzoni
natalizie. La rima è ABB AAB, e l’ultima finisce sempre in -ero, che fa rima con muero.

Vivo sin vivir en mí,


y tan alta vida espero,
que muero porque no muero.

“Vivo senza vivere in me, vivo ma non vivo in me. E una così alta vita aspetto che muoio perché
non muoio”. È tutto giocato su vivere e morire, ripete molto queste radici. “Aspetto una vita così
alta, la vita eterna, che in realtà io muoio perché non sto morendo, muoio dal desiderio di
morire”. È un paradosso, lei non desiderava morire, è una sorta di spiegazione per paradosso
della sua esperienza mistica. L’esperienza mistica ricorda la morte perché è una perdita dei
sensi. Anelare alla morte significa anelare all’unione con Dio. Già nel ritornello si ritrova tutto il
significato della poesia: vivere, morire, aspettare. Questa è probabilmente una canzoncina
popolare che lei ha preso e reinterpretato a lo divino, cioè in chiave divina. Queste poesie si
rifanno alla poesia amorosa come topici, come figure retoriche, come stilemi: tutto ricorda una
poesia amorosa, ma interpretata a lo divino, in chiave divina. L’amato e l’amata non sono altro
che l’anima e Dio che cercano un ricongiungimento. Per questo abbiamo parlato di “mistica
amorosa” o di “mistica sponsale”, reinterpretano le tematiche della poesia dell’epoca, ma a lo
divino. Sia Santa Teresa, sia Fray Luis, e anche San Juan de la Cruz hanno tradotto il Cantico
dei Cantici. Il Cantico dei Cantici è quel libro della Bibbia che parla di un amato e di un’amata;
è un libro molto poetico, in cui si parla dell’amore dal punto di vista spesso anche erotico, fisico.
È stato inserito nei libri canonici della Bibbia proprio perché è stato interpretato a lo divino.
Viene interpretato come il rapporto tra la Chiesa e Gesù, e per questo viene incluso nel canone
biblico. Il fatto che siano molto legati a questo libro sia Santa Teresa che San Juan de la Cruz
che Fray Luis ci spiega un modus operandi, conoscevano già questa tipologia di scrittura
d'amore per intendere un’esperienza mistica. Questo ritornello molto probabilmente è di una
canzoncina popolare che in realtà diceva “vivo sin vivir en mi, y del tal manera espero que
muero porque no muero” (“in questo modo aspetto che muoio perché non muoio”).
Era probabilmente una poesia d’amore di un amato che aspetta l’amante. Santa Teresa la
reinterpreta come la descrizione dell’attesa della vita eterna.

Vivo ya fuera de mí,


después que muero de amor;
porque vivo en el Señor,
que me quiso para sí:
cuando el corazón le di
puso en él este letrero,
que muero porque no muero.

È tutta basata sugli opposti, morire e vivere. Viene chiamata la “mistica del tutto-nulla”, tutto è
giocato sugli opposti. “Vivo già fuori di me dopo che muoio d'amore, perché vivo nel Signore”.
“Vivo fuori di me, ma in realtà vivo nel Signore perché vivo d’amore”. È l’amore di Dio quello di
cui sta parlando. “Che mi ha voluto per sé quando il cuore gli ho dato”. Sono tutte frasi tipiche
della poesia amorosa. Sono due elementi di questa relazione, Dio e l’anima. Quando gli ha dato
il cuore lui ha messo questa scritta, “muoio perché non muoio”. L’idea è quella dell’amato che
mette un sigillo sul cuore dell’amata.

Esta divina prisión,


del amor en que yo vivo,
ha hecho a Dios mi cautivo,
y libre mi corazón;
y causa en mí tal pasión
ver a Dios mi prisionero,
que muero porque no muero.

“Questa divina prigione”; l’unione è così forte da non lasciarla libera. Questa è un’immagine
molto classica. “Questa divina prigione ha reso Dio mio prigioniero e libero il mio cuore”.
C’è un contrasto tra libertà e prigionia. Sono l’una il prigioniero dell’altro e questo rende libero il
cuore. “E causa in me una tale passione vedere Dio mio prigioniero che muoio perché non
muoio”, anela alla morte che sarà l’unione con lui. La prigionia di Dio rende l’uomo libero.

¡Ay, qué larga es esta vida!


¡Qué duros estos destierros,
esta cárcel, estos hierros
en que el alma está metida!
Sólo esperar la salida
me causa dolor tan fiero,
que muero porque no muero.

“Com’è lunga questa vita, e com’è lungo questo esilio”. La vita è un esilio, perché la patria è
Dio. Essere vivi significa essere in esilio, perché la nostra patria è Dio. “Che duri questi esili,
questo carcere, queste catene nelle quali l’anima è prigioniera”. Prima il prigioniero era Dio, ora
è la poetessa chiusa in queste catene. Prima il carcere era divino, ora è doloroso. Come
nell’estasi è un dolore, ma che eleva spiritualmente. “Solo aspettare l’uscita da questo carcere
mi causa un dolore così forte che muoio perché non muoio”. Essere prigionieri del Signore
significa in realtà felicità, solamente l’idea di non essere più suoi prigionieri causa dolore.

¡Ay, qué vida tan amarga


do no se goza el Señor!
Porque si es dulce el amor,
no lo es la esperanza larga:
quíteme Dios esta carga,
más pesada que el acero,
que muero porque no muero.

“Com’è amara la vita nella quale non c’è godimento del Signore, perché se è dolce l’amore non
lo è la lunga attesa”. “Che Dio mi tolga questo peso”, il peso è la vita. La vita è amara, l’attesa è
lunga e quindi è un peso la vita. “Che Dio mi tolga questo peso più pesante dell’acciaio, perché
io muoio perché non muoio”. La vita intesa come una valle di lacrime, per cui vivere significa
anche dolore e quindi la morte è l’unificazione con Dio.
Qui sta cercando di spiegare anche un’esperienza di unione con Dio che lei ha già provato, e
avendola già provata vuole provarla ancora.

Sólo con la confianza


vivo de que he de morir,
porque muriendo el vivir
me asegura mi esperanza;
muerte do el vivir se alcanza,
no te tardes, que te espero,
que muero porque no muero.

“Vivo con la fiducia del fatto che devo morire”. Questa è una strofa interamente giocata sui
campi semantici di vita e morte. “Morendo il vivere mi assicura la mia speranza, morte dove il
vivere non si raggiunge non far tardi che ti aspetto”. Vivere, morire e aspettare sono i temi
principali della poesia racchiusi nel ritornello, e qui ritornano tutti. Messi in antitesi tra loro ma
anche in un paradosso, perché vive con la speranza di morire. Ma è perché sta morendo che il
vivere le assicura una speranza. Con queste immagini contrastanti cerca di descrivere
un’esperienza che altrimenti sarebbe impossibile descrivere in modo realistico.

Mira que el amor es fuerte;


vida, no me seas molesta,
mira que sólo me resta,
para ganarte perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porque no muero.

“L’amore è forte; vita, non essermi di troppo, che solo mi resta per guadagnarti perderti”.
Per poter guadagnare bisogna perdere. Per poter avere tutto bisogna non avere nulla.
La dialettica del “tutto-nulla”. San Giovanni dirà che per poter avere tutto, cioè Dio, non devo
avere niente, mi devo liberare di ogni disturbo terreno. “Per poter guadagnare la vera vita devo
perdere la mia vita terrena”. “Che venga la dolce morte”. “Dulce” lo aveva utilizzato nell’altra
strofa per l’amore. Sono collegati nel loro essere dolci l’amore e la morte, proprio perché la
morte è ricongiungimento d’amore.
“Che il morire venga lieve, che muoio perché non muoio”.

Aquella vida de arriba,


que es la vida verdadera,
hasta que esta vida muera,
no se goza estando viva:
muerte, no me seas esquiva;
viva muriendo primero,
que muero porque no muero.

Qui invece c’è il concetto di vita superiore e vita inferiore, è ancora “morte-vita”.
“Quella vita di su, eterna, che è la vita vera, finché questa vita morirà, non si gode rimanendo
viva”. “Morte, non mi essere schiva (non evitarmi); prima muoio, prima sarò viva e muoio perché
non muoio”.
Vida, ¿qué puedo yo darle
a mi Dios que vive en mí,
si no es el perderte a ti,
para merecer ganarle?
Quiero muriendo alcanzarle,
pues tanto a mi Amado quiero,
que muero porque no muero.

“Vita, che cosa posso io dare al mio Dio che vive dentro di me, se non perdere te (vita) per
meritare di guadagnare lui?”. Ancora, perdere per guadagnare. “Voglio morendo raggiungerlo,
poiché così tanto il mio amato amo, che muoio perché non muoio”.
Già dalla prima strofa si parlava d’amore e si vedevano due protagonisti, il mi e il si, l’anima e
Dio, in questo caso parla proprio di “Amato”, che è Dio.

Si chiama “mistica sponsale” perché è una mistica che si configura dal punto di vista letterario
come una poesia d’amore, che in realtà nasconde un significato spirituale.
È una sorta di modo per cercare di spiegare le contraddizioni che si sentono nel momento
dell’estasi. Santa Teresa non ricercava la morte veramente, è un’esperienza che assomiglia a
quella della morte quella del liberarsi dal corpo ed elevarsi spiritualmente uscendo da sé stessi.
Anche San Giovanni si cimenterà su questa stessa poesiola, che avrà diverse varianti, proprio
perché è una poesia popolare che si sentiva all’epoca e che loro hanno trasformato per dare il
loro significato.
Letteratura Spagnola 23/03/2022

San Juan de la Cruz (San Giovanni della Croce)

Stiamo affrontando la mistica carmelitana, i mistici di cui parliamo sono dell’ordine carmelitano.
Questi mistici hanno contribuito a rinnovare l’ordine con la loro opera di riforma, iniziata con
Santa Teresa D'Avila e continuata da San Giovanni della Croce nel ramo maschile.
Ci sono diversi grandi mistici nella cultura spagnola, qui parleremo di San Giovanni della Croce.
Il suo nome è Juan de Yepes Álvarez, ma lo cambierà in San Giovanni della Croce quando
diventerà monaco. È nato quasi trent’anni dopo Santa Teresa. Ne rimane affascinato nei loro
incontri e deciderà di seguirla nella sua opera riformatrice. Sarà per un certo periodo suo
confessore. Nasce in un villaggio vicino ad Avila. Il padre è un nobile, membro della piccola
nobiltà, diseredato dalla famiglia perché ha sposato un’umile tessitrice. Ha origini nobili ma non
fa quindi parte di una famiglia benestante, dato che il padre è stato diseredato.
Rimane orfano giovane e deve seguire la madre nelle località in cui si sposta per lavorare.
Una madre che deve lavorare per vivere e che non gli dà stabilità, radici in un posto perché
deve viaggiare per lavorare. Riceve un’educazione scolastica e anche un’educazione da
artigiano, perché provenendo da una classe sociale non abbiente deve essere preparato per il
lavoro.
In realtà entra nel Carmelo nel 1563 con il nome di Giovanni di San Mattia.
Entra nel Carmelo e ha quindi la possibilità di studiare filosofia e teologia all’Università di
Salamanca. Si unisce a Santa Teresa nella riforma dell’ordine ed è rapito nel 1577 dai
confratelli, che non vogliono accettare la riforma del Carmelo, non vogliono che l’ordine venga
riformato. Abbiamo visto come Fray Luis de León fosse finito in galera per questioni di dibattiti
teologici, San Juan de la Cruz fu addirittura rapito a causa della riforma.
Santa Teresa lo descriveva come “un mezzo monaco” perché era molto piccolino, lui racconta
nei suoi racconti autobiografici di essere fuggito dalla finestra annodando delle lenzuola, quindi
una vita anche rocambolesca. I mistici non sono avulsi dalla realtà, vi sono immersi tanto da
viverne le asprezze. Vive in diversi conventi, per lo più dell’Andalusia, e muore piuttosto giovane
nel 1591. La sua opera è costituita da alcune lettere, aforismi, e soprattutto poesie da lui stesso
commentate e spiegate in lunghi e dotti trattati teologici in prosa.
Il nucleo fondamentale della sua opera sono le poesie, dalle quali egli ricava trattati teologici.
Partendo dalla poesia la spiega parola per parola, e da lì innalza la poesia fino a un vero e
proprio trattato teologico. I suoi trattati principali sono Subida del monte Carmelo, Noche Oscura
e Cántico Espiritual. Anche nella poesia ogni parola è scelta non solo per il valore semantico e
fonetico, ma anche per il suo significato teologico. Ogni parola ha un significato dottrinale,
religioso, e disegna un itinerarium mentis in deum. È un’espressione che deriva da un libro di
San Bonaventura del 1200, ma che si usa per indicare queste opere che tendono
all’unificazione con Dio. In Italia si usa per parlare della Commedia, che è un itinerario in Dio.
Dante raggiunge Dio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, è un itinerario della mente a
Dio.
Anche le opere di San Giovanni lo sono. La grandezza di San Giovanni della Croce è quella
che, da un impianto teologico così approfondito, riesca a ricavare una poesia altissima. Alcuni
poeti spagnoli pensano che sia il più grande poeta spagnolo di tutti i tempi. San Giovanni della
Croce lascia un segno anche nei poeti contemporanei. I poeti successivi si ritengono debitori
della poesia di San Giovanni della Croce.
La poesia riprende gli stilemi bucolici e neoplatonici che abbiamo già incontrato in Garcilaso e
Fray Luis. Ci sono elementi bucolici e dell’amore neoplatonico. Parte da questi stilemi ma dà
loro un afflato religioso. È in qualche modo una poesia più ermetica, più misteriosa, questi
elementi rimandano a un significato che affonda nella spiritualità.
È una poesia carica di mistero, di rimandi mistici, una poesia d’amore a lo divino. Tutti gli stilemi
della poesia rinascimentale rivisitati in chiave religiosa, mistica.
Le sue fonti di ispirazione sono la poesia bucolica rinascimentale, la poesia popolare, anche la
Bibbia. I suoi poemi principali sono il Cántico espiritual, la Noche oscura e Llama de amor viva.
Il Cántico espiritual è il più lungo (200 versi). Il Cantico dei Cantici è di grande ispirazione per i
poeti dell’epoca, è un libro di alta poesia che parla d’amore. Il Cántico espiritual parla dell’anima
che è la sposa che ricerca il proprio sposo, l’anima che ricerca Dio. Sotto alla metafora di una
sposa che vuole ricongiungersi col proprio sposo c’è l’immagine dell'anima che si congiunge a
Dio. La Noche Oscura è una sorta di condizione iniziale dell'uomo che può coincidere con un
momento di aridità spirituale: la notte è quando i sensi perdono la loro efficacia. La notte dei
sensi è la notte dello spirito, in cui si sente un’aridità spirituale. È una condizione essenziale per
il poeta, perché è il punto di partenza per poter rinunciare a tutto e partire alla ricerca di Dio.
La mistica è divisa in queste tre vie: la via purgativa, la via illuminativa e la via unitiva.
La notte oscura è quando con fatica ci si libera da tutto ciò che è terreno, per poi passare alle
seconde fasi. È una fase un po’ arida e difficile, ma necessaria. Questo è l’argomento della
Noche Oscura: la notte oscura che porta però a una fiamma di vivo amore. La “fiamma di vivo
amore” è la fiamma di Dio, che coinvolge in sé anche l’uomo. C’è un'illustrazione tratta dal libro
Subida del monte Carmelo. Il monte Carmelo si trova in terra santa e dà origine al nome dei
carmelitani. È un itinerario, sono strade che portano tutte verso l’alto, dove ci sono il divino
silenzio, la divina sapienza e la caritas. Dante dice “mi ha fatto la divina potestà, la somma
sapienza, il primo amore”, è la scritta sulla porta dell’Inferno. È la trinità, normalmente il padre
definito come la divina potestà, il divino silenzio, la sapienza è il figlio, e la caritas è lo Spirito
Santo. Per giungere a Dio ci sono diverse strade, ogni uomo deve trovare la strada per
giungere a Dio. Le strade sono costellate anche da sensazioni, da umori. “I beni del cielo, i beni
della terra” sono il sapere, le consolazioni, il godimento, la gloria ma anche il riposo, la scienza,
l’onore, la libertà, il gusto. Andando verso Dio si ottengono tanti beni: beni terreni, beni del cielo,
anche prendendo le strade più contorte. Ogni uomo può raggiungere Dio attraverso la sua
strada e ne ricaverà dei grandi doni, dei beni. La strada che va diretta a Dio è quella del “nulla”.
Per ottenere tutto bisogna diventare nulla, liberarsi di tutto, essere niente e allora si otterrà tutto.
San Juan de la Cruz - “Versillos del monte de Perfección”

Per poterti gustare tutto non devi voler gusto in niente, per sapere tutto non devi voler sapere
niente. Questa negazione di sé è l’unico modo per avere il tutto di Dio. È tutto un gioco su
questa dialettica tutto-nulla e finisce dicendo “non c’è più neanche un cammino, perché per il
giusto non esiste una legge”. È un'identificazione totale tra l’uomo e Dio e quindi anche la legge
di Dio. Questa è la dialettica del “tutto-niente” esemplificata in questi versetti.

La prima immagine è un disegno fatto da San Giovanni della Croce, che si trova nel Convento
de la Encarnación di Avila. È un piccolo disegno, fatto dallo stesso Juan de la Cruz a
carboncino. Questo disegno ha molto colpito un pittore del ‘900, Salvador Dalì, che ha dipinto
questo quadro molto famoso, il “Cristo di San Giovanni della Croce”, proprio perché si era
ispirato a questa immagine molto suggestiva del santo. È una prospettiva insolita dalla quale si
dipinge la crocifissione, non vista di fronte ma presa di sbieco, come se il centro fosse il collo
reclinato di Gesù. Fa una rivisitazione moderna, spostando la prospettiva, e il Cristo appare
quasi appeso nel cielo, sotto di lui c’è tutta la Terra. Perfino nella pittura ha avuto influenza, è un
personaggio così importante per la cultura spagnola che delle reminiscenze si trovano anche in
pittura.

San Juan de la Cruz - “Noche oscura del alma”

Di questa poesia le edizioni antiche dicono che sono canzoni dell’anima che gode dell’essere
arrivata all’alto stato di perfezione, cioè l’unione con Dio. È una poesia scritta in prima persona
al femminile perché parla l’anima, identificata con l’amata che descrive intensamente e
brevemente la sua fuga verso l’amato-Cristo.
Si è prodotta questa notte che è la negazione dei sensi. In questa poesia si succedono le tre vie
della mistica, è una sorta di compendio delle tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva.
L’amore profano è riletto in chiave spirituale, c’è una trasmutazione dal piano umano a quello
mistico. Si tratta di una lira come forma metrica, la stessa della Canción de la vida solitaria di
Fray Luis. Questa è una forma colta.
1. En una noche oscura,
con ansias, en amores inflamada,
¡oh dichosa ventura!,
salí sin ser notada
estando ya mi casa sosegada.

“La notte è oscura, con ansia infiammata d’amore”. È un amore forte, passionale. Parla di ansia
e parla di fiamma, di fuoco. “Uscii senza essere notata mentre la mia casa era già pacificata”.
C’è quest’idea di segretezza oscura, “senza essere notata”, e la casa è già pacificata, sta
domendo. Sono immagini di segretezza, di oscurità, di solitudine. Il primo stadio è stato
superato, la via purgativa, pacificare i sensi, liberarsi dalle ansie mondane, da tutto ciò che crea
preoccupazione. Questa casa che sta dormendo da cui lei esce è il corpo pacificato, che ha già
affrontato la via purgativa. Questa allitterazione della “s” dà l’idea di un sussurro, di un silenzio.
Contribuisce all’idea di segretezza e nascondimento che questa strofa ci comunica.
La via purgativa con quest’idea di amore infiammante, oscurità silenziosa e nascondimento, ma
con la sensazione di essere felice, felice sorte.

2. A oscuras y segura,
por la secreta escala, disfrazada,
¡oh dichosa ventura!,
a oscuras y en celada,
estando ya mi casa sosegada.

Nella seconda strofa ripete questi concetti, “al buio è sicura”, attraverso la segreta scala
travestita. “Oh sorte fortunata, nell’oscurità e in segreto celata”. Ripete l’idea di essere
nascosta, parla al femminile perché è l’anima che parla, la sposa. È ancora nell’oscurità e si
sente sicura di questa. Questi termini ricordano il nascondimento. Gode di questo stato, ritiene
che la sua sorte sia fortunata e la sua casa, il suo corpo, è pacificato. È fondamentale l’idea
della solitudine e del nascondimento perché l'esperienza spirituale è individuale. Santa Teresa
diceva che c’è una preghiera esteriore, e poi c'è l'orazione mentale. È qualcosa che non si può
fare con gli altri, è qualcosa di intimo che sollecita l'anima nel profondo e si ottiene solo
liberandosi da ciò che è esteriore. Nelle dottrine orientali si parla di meditazione, ed è la stessa
cosa dell'orazione mentale. Personaggi come Santa Teresa d’Avila e San Giovanni sono
paragonabili ai mistici orientali, anche per questo questo continuare a insistere sul senso di
nascondimento e solitudine.

3. En la noche dichosa,
en secreto, que nadie me veía,
ni yo miraba cosa,
sin otra luz y guía
sino la que en el corazón ardía.

Nella notte gioiosa, “dicha” è la felicità. “Nella notte gioiosa, in segreto che nessuno mi vedeva”.
È una poesia misteriosa, che parla di stadi della mente o dello spirito che sono nascosti, solo
chi li prova può sentirli. “Nel segreto che nessuno mi vedeva e nemmeno io vedevo”. “È così
oscura che nemmeno io vedo nulla”. “Senza nessun’altra luce o guida se non quella del cuore
che ardeva”. Tutti i sensi sono oscurati, siamo nel buio più totale. C’è un'antica dottrina dei
sensi spirituali che parla di come si debbano annullare tutti i sensi fisici affinché i sensi spirituali
siano attivati. Tutti i sensi fisici devono essere annullati affinché si attivi la vista spirituale.
C’è una teoria antica che dice come si debbano annullare tutti i sensi relativi al mondo terrestre
affinché i sensi spirituali si possano attivare. Ancora una volta bisogna annullare tutto per avere
tutto sul piano spirituale. C’è sempre la metafora del fuoco, del cuore che arde, tipica della
poesia religiosa. Le prime tre strofe descrivono questa situazione che possiamo ricondurre alla
via purgativa.

4. Aquésta me guiaba
más cierto que la luz de mediodía,
adonde me esperaba
quien yo bien me sabía,
en parte donde nadie parecía.

Nella quarta strofa inizia la via illuminativa. “Questa (luce del cuore che arde) mi guidava più
sicuro di quella di mezzogiorno”. “Laddove mi aspirava chi io ben sapevo”. Non dice chi la
aspetta.”In un luogo dove non c’era nessuno”. La via unitiva, quella di andare a cercare Cristo.
Colui che la aspetta è Dio, Cristo. L’anima esce da questa casa, dal corpo, e va da una segreta
scala. C’è quest’idea di un moto ascensionale, verso l’alto.
Il castello interiore di Santa Teresa era il passare di stanza in stanza andando sempre più in
alto. Sale su questa scala e sa che deve andare in un posto in cui la luce la fa salire in un luogo
in cui la aspetta una persona che lei sa. Quest’idea di nascondimento, di segreto, è qualcosa
che solo l’anima che prova può conoscere, non ci deve essere nessun testimone di
quest’esperienza.
È una luce interna, non esterna. Si tratta di uscire dalla dimensione terrestre per raggiungerne
un’altra, spirituale.

5. ¡Oh noche que guiaste!


¡oh noche amable más que el alborada!
¡oh noche que juntaste
Amado con amada,
amada en el Amado transformada!

La notte prima era oscura, poi diventa “dichosa” e qui è “che guida”. È un simbolismo che
cambia. La notte cambia di significato in base alle strofe. Inizialmente la notte è oscura, priva di
sensi. Poi è gioiosa, perché si aspetta l’incontro con Dio. Poi diventa una notte che guida,
perché è solo grazie a questo buio totale che il fuoco può essere visible. E poi notte “amabile”,
una notte che riunifica. Siamo nella via unitiva. “Notte che hai guidato, notte amabile”.
In struttura chiastica ci sono “amado” e “amada”. È circolare la struttura, questo ci dice come
siano intercambiabili amato e amata, l’uno è trasformato nell’altra. La via unitiva nella quale
l’anima raggiunge l’unificazione col suo Dio.

6. En mi pecho florido,
que entero para él solo se guardaba,
allí quedó dormido,
y yo le regalaba,
y el ventalle de cedros aire daba.

“Nel mio petto fiorito che io conservavo integro solo per lui, lui si addormentò”.
L’amato si addormentò sul petto dell’amata. Faceva tutto il possibile per farlo stare bene, dava
tutto di sé stessa. Il ventaglio dei cedri dava aria. Qui abbiamo un locus amoenus, sono
l’amante e l’amato sdraiati insieme, lui appoggia il suo capo sul petto di lei, lei fa di tutto per
farlo stare bene c’è un’aria che soffia dai cedri. È un’immagine che ricorda da una parte
l’iconografia classica del locus amoenus, da un’altra elementi biblici come il cedro, che compare
nella Bibbia e nel Cantico dei Cantici, che sappiamo essere una poesia amorosa che descrive
l’unione dell’anima con Dio. Questi riferimenti come “il petto fiorito”, nel Cantico dei Cantici la
donna è sempre descritta come bella, ci sono descrizioni anche fisiche di questa donna
bellissima che produce l’amore nell’amato; i due hanno un’unificazione amorosa che ricorda
quella di questa strofa. Quest’unificazione dell’anima con dio è descritta con grande dolcezza, è
un rapporto amoroso. È come se fosse l’unione di due sposi che si compenetrano e vivono l’uno
per l’altra.
Il petto che lei conservava solo per lui, questo rapporto esclusivo. Il “petto fiorito” che ricorda un
amore fisico, c’è sempre questo richiamo ad un amore ardente, forte.

7. El aire de la almena,
cuando yo sus cabellos esparcía,
con su mano serena
en mi cuello hería
y todos mis sentidos suspendía.

“La brezza delle alte cime, quando io i suoi capelli spargevo, con la sua mano serena il mio
collo feriva e tutti miei sensi sospendeva”. Ci sono riferimenti anche petrarcheschi dalla lirica
amorosa. C’è il riferimento alla brezza, riferimento tipico nella lirica amorosa, e il riferimento al
locus amoenus. Santa Teresa parlava di una ferita. Il momento dell’estasi lei lo aveva
immaginato come un cherubino che con una freccia le trafiggeva il cuore. C’è un elemento
doloroso anche nell’estasi. L’amato, Dio, in qualche modo ferisce, e c’è la sospensione dei
sensi, l’estasi. L’idea di sospensione, di essere in una dimensione più alta rispetto a quella
terrestre. Santa Teresa parlava di arrobamiento, un rapimento mistico.

8. Quedéme y olvidéme,
el rostro recliné sobre el Amado,
cesó todo y dejéme,
dejando mi cuidado
entre las azucenas olvidado.

Sono suoni di una dolcezza totale. Questo è il momento dell’unione, dell’estasi.


“Restai e mi dimenticai, il volto reclinai sull’amato”, ricambia questo gesto di tenerezza.
“Cessò tutto e mi lasciai andare, lasciando ogni preoccupazione tra i gigli dimenticata”.
Qui ci sono più verbi che in tutto il poema. Che tipi di verbi sono? Non sono verbi di movimento,
ma danno l’idea di pace e immobilità. L’estasi è mancanza totale di movimento.
Lasciare il corpo immobile, proprio perché non ha più movimento o sensazione, l’anima invece
si unisce a Dio. Si reclina sull’amato e tutto quanto cessa, diventa un tutt’uno con lui.
L’azucena, nella poesia profana, è simbolo di purezza. Qui anche, i simboli della poesia
amorosa profana non vengono trasformati, vengono utilizzati e reinterpretati in chiave divina.
Quindi la purezza di Dio che diventa accoglimento per l’uomo. Troviamo in questa poesia
l’armonia che avevamo trovato in Garcilaso. Troviamo probabilmente anche la Notte interiore di
Fray Luis de León, che interpretava gli stessi simboli nel tentativo di liberarsi dal mondo per
raggiungere la tranquillità. Qui c’è tutta la poesia rinascimentale ma con un elemento religioso
nel quale spicca l’amore ardente, che è l’amore di Dio.
È un poeta che, anche per queste segrete corrispondenze che analizzando si trovano in grande
numero, ha molto influenzato i poeti con una poesia più ermetica, con più riferimenti non del
tutto immediati.

La Picaresca

Passiamo a un altro elemento importante, fondamentale del siglo de oro spagnolo, la picaresca.
La picaresca è un genere letterario in prosa che narra in prima persona le vicende di un
“pícaro”.
Si usa molto anche nello spagnolo contemporaneo, “pícaro” inteso come “monello”.
In realtà viene da questo genere letterario. Il pícaro è un piccolo furfante che vive di espedienti
ingannando il prossimo, approfittando della generosità altrui facendo l’elemosina o piccole
truffe. Un personaggio ingegnoso, deve ingegnarsi per sbarcare il lunario.
Dalla seconda metà del sedicesimo secolo sarà abbastanza ricorrente, lo troveremo spesso
nella letteratura spagnola.
Le caratteristiche del genere sono:

- Narrazione in prima persona. Vengono narrate come memorie del pícaro stesso;
- La bassa estrazione sociale del protagonista che è un uomo comune, un antieroe.
Anche un eroe negativo, perché inganna;
- Quasi sempre a causa della povertà deve abbandonare la casa del padre e vivere in
questo modo. C’è questo incipit dei genitori che non possono occuparsi di lui, esce di
casa e inizia a viaggiare. Una cosa tipica della picaresca è che il protagonista passa da
un luogo all’altro servendo diversi padroni, viaggiando spesso con loro.
Sono opere episodiche;
- Usa l’ingegno per rubare e ingannare, giustificandosi con la debolezza della condizione
umana. Adduce delle scuse per la sua condotta perché partirà svantaggiato per la sua
posizione sociale, e perché dirà che la condizione umana è debole e deve comportarsi
in questo modo;
- C’è sempre un momento in cui sembra aver ottenuto stabilità, ma poi accade qualcosa
di nuovo che lo fa ripiombare nella sua povertà;
- È una narrazione realistica. È una narrazione efficace che parla della società.
Alcuni padroni fanno parte della Chiesa, altri della nobilità, altri sono semplici cittadini.
La narrativa picaresca rispecchia la società dell’epoca e ne dà un ritratto impietoso ma
realistico;
- L’intento è moralizzante, di mostrare questa realtà corrotta, questo personaggio che vive
di espedienti, per dare degli insegnamenti a chi legge, per dare una morale, ma anche
per prendersi gioco con la satira della realtà che descrive.

La prima opera di cui parliamo è il Lazarillo de Tormes. È stato scritto intorno al 1550, al culmine
del rinascimento spagnolo, ma pubblicato nel 1554. La prima edizione compare nel 1554 ed è
l’opera che inizia il genere picaresco. Il racconto narra la storia di Lazaro, in prima persona.
Lazaro racconta la propria storia dall’infanzia, da quando deve abbandonare la casa di suo
padre per sopravvivere. Diventa il servo di vari padroni, perlopiù personaggi squallidi.
Si divide in sette “tratados”, ogni capitolo corrisponde a un episodio della vita di Lazaro.
Parla dei vari padroni che lui si trova a servire. Il primo è un cieco tirchio e miserabile, che non
gli vuole dar da mangiare. Lui lo deve ingannare per mangiare le poche cose che il cieco
raccoglie con la sua elemosina. C’è poi un prete, anche lui avaro, che non gli vuol dare da
mangiare; poi uno scudiero che si rifiuta di lavorare perché nobile e costringe Lazaro a lavorare
per lui.
È l’unico che lo tratta bene, Lazaro avrà dell’affetto per questo personaggio, incapace di
lavorare per le proprie nobili origini, ma gli vuole bene. Poi ci sarà un frate, un ecclesiastico che
vende le assoluzioni.
Poi un pittore, un cappellano, il governatore di una città. Infine raggiunge il rango di banditore
reale e sposa per convenienza la serva di un arciprete, che è probabilmente la sua amante. Per
coprire la relazione con l’arciprete, la donna sposa Lazaro.
Lazaro è contento di avere una tranquillità economica. Ottiene tranquillità rinunciando all’onore,
perché tutti sanno che ha sposato l’amante del prete, ma raggiunge il suo scopo: non deve
spostarsi da un padrone all’altro ingannandolo. Non si sa chi sia l’autore, ma probabilmente si
tratta di un credente critico del clero. Abbiamo visto vari strali contro il clero. Non è un caso che
la maggior parte dei padroni che Lazaro serve siano membri della Chiesa. L’autore mette in luce
anche l’ipocrisia, l’accanimento verso il denaro che hanno i clerici. L’Arcipreste de Hita aveva
sottolineato la cupidigia del clero. La satira dell’autore mette in luce i mali della Chiesa e quindi
anche la necessità di una sua riforma. Il libro verrà messo all’indice dalla Chiesa cattolica, ma
siccome fu un’opera molto popolare ne viene riscritta una versione edulcorata, epurata da tutte
queste accuse fatte alla Chiesa cattolica.
L’autore doveva essere un cristiano riformista di grande cultura. Il suo stile è molto popolare,
perché doveva essere scritto in prima persona, non può essere scritto con una lingua troppo
colta. Per la sua bravura nel riprodurre la lingua popolare, sicuramente è un autore di grande
cultura e capacità letterarie. Non c’è sarcasmo, non c’è giudizio contro Lazaro. È un’opera
moralizzante, ma gli strali dell’autore sono rivolti ai padroni che lo sfruttano, non al ragazzino.
L’autore è influenzato dalle correnti dell’umanesimo e dell’erasmismo, che stavano circolando
all’epoca. L’attenzione per il singolo, per l’individuo, tipica del Rinascimento, ma anche l'ideale
di carità cristiana e riforma ecclesiale tipica del pensiero di Erasmo da Rotterdam.
È un’opera assolutamente rinascimentale in quanto ha attenzione per il singolo, è un’opera
erasmista per quanto riguarda l’ideale d'amore e di riforma della Chiesa. È un'opera satirica ma
agguerrita nei confronti dei potenti, in particolar modo del clero, e più bonaria per quanto
riguarda il personaggio principale Lazaro, che ne è protagonista. Un autore sicuramente colto e
cristiano, si vede dall’amore cristiano che riversa sul protagonista e certi altri personaggi, ma
avverso alla situazione ecclesiastica dell’epoca. Non firma l’opera anche per non cadere nelle
maglie dell'Inquisizione. Ci furono molte continuazioni del Lazarillo de Tormes di autori anonimi.
Quando un'opera diventa popolare iniziano a comparire continuazioni apocrife, altri autori
decidono di continuare la storia. Questo perché la gente che la legge ha fame di sapere come
continua la storia. Nascono vere e proprie saghe in cui l’opera principale è di valore alto, le altre
no. La storia iniziale ha poi tutta una serie di continuazioni, che ci danno la misura di quanto
fosse popolare l’opera e il personaggio, ma sono di livello decisamente inferiore.
Letteratura Spagnola 28/03/2022

Avevamo descritto il genere picaresco con le sue caratteristiche, sia dal punto di vista formale
che da quello del contenuto. La storia è divisa in “tratados”, che sarebbero i capitoli.
Su Aulaweb è disponibile il riassunto della trama, che va letto. Ci furono diverse continuazioni
del Lazarillo, che è tipico di queste opere. Quando un’opera ha molto successo si producono
delle continuazioni ad opera di scrittori anonimi, per continuare un filone fortunato scrivono dei
testi per continuare la storia del libro in questione. Le continuazioni che vengono scritte sono di
livello letterario abbastanza basso, ma è indice del grande successo di questo genere di opere.

Mateo Alemán (1547 - 1614) - “Vida del pícaro Guzmán de Alfarache”

C’è un’opera che invece ha sicuramente un valore letterario e rimane nel genere della
picaresca, ma si sposta avanti nel tempo. È “Vida del pícaro Guzmán de Alfarache”, il cui autore
è Mateo Alemán (1547 - 1614). È l’opera di Mateo Alemán, anch’essa scritta in forma
autobiografica, come tutta la picaresca. Per la prima volta il protagonista si attribuisce il
qualificativo di “picaro”. “Picaro” nasce come termine con il Guzmán, anche se il genere era
nato con il Lazarillo de Tormes. La prima volta che lo stesso protagonista che si auto attribuisce
questo termine è nel Guzmán. È un romanzo piuttosto lungo che narra di un viaggio. Un viaggio
di andata e ritorno da Siviglia a Genova, facendo diverse tappe tra Spagna e Italia. Il viaggio è
una costante della picaresca, perché Lazarillo non ha viaggiato così tanto, non ha cambiato
Paese, ma passava da un padrone all’altro, i quali erano spesso itineranti. La picaresca, anche
nelle influenze che avrà nelle opere successive, avrà sempre questo elemento del viaggio. In
questo caso un viaggio abbastanza lungo, da Siviglia a Genova e ritorno. Il protagonista parte
come un giovane innocente e ingenuo e durante il viaggio si trasformerà anche a causa delle
vicende che gli toccherà vivere; diventerà un ladro e un vagabondo, fino alla conversione finale.
L’autore vuole mostrare come anche il peggior peccatore, se si converte alla fine della propria
vita, ha diritto alla redenzione. È un’opera abbastanza diversa come visione del mondo dal
Lazarillo de Tormes perché la visione di Lazarillo era allegra, vivace. Lazarillo si accontenta
della sua vita non certo gloriosa, ma ne è tutto sommato felice perché ha una stabilità
economica. Guzmán comunica una visione molto più amara. La vita è una lotta che viene
combattuta da individui che per loro natura tendono al male. La conversione è necessaria per
redimersi da questo male. C’è una dimensione molto più moralizzante, l’uomo tende al male e
dunque è necessaria una conversione religiosa per poter riacquisire una personalità. Siamo
verso il barocco, questo ottimismo rinascimentale inizia a scivolare e la visione del mondo è più
amara, anche nello scopo, c’è meno satira ma più ricerca della moralità. Anche una visione
religiosa di altro tipo. Però è testimonianza della fortuna di quest’opera, che tornerà anche in
altri autori che vedremo e si cimenteranno in un'opera picaresca.

Il Romanzo pastorale e il Romanzo morisco

Altri generi sono il romanzo pastorale e il romanzo morisco. Il romanzo pastorale ha origine
dagli scritti italiani di ambientazione bucolica (come Ninfale fiesolano di Boccaccio, Carmen
Bucolicum di Petrarca) e sono storie d’amore leggere, d’ambientazione bucolica, i cui
protagonisti sono dei pastori. Sono contadini, gente che vive in campagna in un’ambientazione
idilliaca e che si cimenta in discussioni d'amore, discussioni neoplatoniche. Sono pastori per
modo di dire, sono in realtà personaggi colti presentati come pastori o contadini per inserirli in
questa ambientazione bucolica che è tipica di questo filone letterario. Vedremo autori importanti
come Cervantes e Lope de Vega che si cimenteranno nel romanzo pastorale.
Nel romanzo morisco la figura del moro, che abbiamo visto nei romances o nel Cid nella
contrapposizione tra arabi e cristiani, diventa protagonista di questo filone letterario. Assomiglia
al romanzo pastorale, ma al posto del pastore c’è il moro. Anche in questo caso, come la figura
del pastore era idealizzata anche il moro è idealizzato, diventa una sorta di prototipo
dell’amante. Sono romanzi che mischiano finzione e storia, perché prendono spunto da
elementi storici come le figure stesse dei mori. Si ispirano ai romances nei quali si parlava della
figura di questi mori, ma per creare romanzi di tipo sentimentale che hanno il moro come
protagonista, ma come prototipo dell’amante. È una letteratura d’evasione, di intrattenimento,
ma che si diffonde molto in quest'epoca ed è giusto darne notizia.

Miguel de Cervantes (1547 - 1616)

Si trova nel periodo che si colloca tra Rinascimento e Barocco ed è il più grande classico della
letteratura spagnola. Le date di nascita e morte fanno di Cervantes un contemporaneo di
Shakespeare, di Montaigne, di Galileo, di Bacone. Nasce pochi mesi dopo la Battaglia di
Mühlberg che è la battaglia vittoriosa con cui l’imperatore Carlo V si illuse di aver sgominato per
sempre l’eresia protestante. È una battaglia tra cattolici e protestanti, vinta dai cattolici,
dall’imperatore Carlo V. Da lì in poi ci sarà una lenta decadenza dell’impero spagnolo che sarà
inesorabile. Dopo Carlo V, eredita il territorio spagnolo suo figlio Filippo II che rappresenterà
comunque un periodo di grande splendore per la Spagna ma inizierà una decadenza. Nasce ad
Alcalá de Henares, in piena Castiglia mudejar, da un chirurgo, un cirujano. Non bisogna
pensare a un vero chirurgo, a un medico, è una specie di dottore senza una laurea, che aveva
imparato con la pratica l’arte di guarire e quindi la esercita, ma non è un dottore vero. Viaggia
per la Spagna per esercitare questa professione con la moglie e i sette figli. È un’origine non di
estrazione alta. Intorno ai vent’anni viene condannato per aver ferito di spada un uomo e,
ricercato dalla polizia, fugge in Italia. In italia riesce ad andare al servizio del cardinale
Acquaviva a Roma. Lui lo ricorderà come unico periodo felice della sua vita. Il contatto con
l’Italia aveva una grande importanza dal punto di vista culturale nel periodo rinascimentale. Due
anni dopo si arruola volontario nella Lega Santa contro i turchi, formata dalla Repubblica di
Venezia e dalla Spagna di Filippo II. Combatte nella battaglia di Lepanto. I turchi si stavano
iniziando ad affacciare, a essere una potenza nel Mediterraneo. Saranno protagoniste anche le
guerre contro i turchi di questo periodo. Nella battaglia di Lepanto riporta delle ferite al petto e a
una mano, ne perde l’uso in quella battaglia. È anche un soldato oltre che uno scrittore. Nel
1575, mentre fa ritorno in Spagna per dedicarsi alla carriera militare, viene fatto prigioniero dai
pirati barbareschi. I pirati lo tengono prigioniero come schiavo per cinque anni. Rimane in
prigione utilizzato come schiavo per cinque anni finché la famiglia riesce a riscattarlo, con
immani sacrifici.
Nel 1580, dopo cinque anni, viene finalmente liberato dalla famiglia. È una vita abbastanza
difficile. Si sposa a Esquivias con un’umile contadina in questo piccolo paese. È una contadina
molto più giovane di lui. Lui aveva già avuto una figlia illegittima con un'attrice. Decide di
sposarsi con questa giovane contadina, ma è un matrimonio molto sfortunato. Non si sa molto
della sua vita e del perché avesse deciso di sposarsi. Il matrimonio finì molto presto. Inoltre
ebbe molti guai anche con la giustizia e la Chiesa. Ha ricevuto diverse scomuniche ed è finito in
prigione a Siviglia per questioni di debiti. A Siviglia inizia a scrivere il Chisciotte. Vivrà in diverse
città: a Esquivias, ma anche a Valladolid e a Madrid. Non si sa di cosa vivesse, perché i
proventi letterari non erano tali da garantirgli una rendita adatta. Non si sa molto sul suo
mantenimento, come quelli che abbiamo visto di cui conosciamo la vita perché erano chierici o
uomini di corte. Di Cervantes non si sa bene come si mantenesse. L’unica opera veramente già
famosa in vita dell’autore fu il Don Chisciotte, ma circolava in manoscritti illegali, non era riuscito
a ricevere i diritti d'autore nonostante il grandissimo successo che ebbe anche in vita.
Finisce poi di nuovo in prigione, ha una vita rocambolesca. Continuò sempre a scrivere, la
vocazione di Cervantes per la letteratura è totale, scrive poesie, romanzi, trattati, per il teatro.
Con pochissima fortuna, ma questo non lo fece mai desistere dalla propria vocazione.
Conosciamo soprattutto il Don Chisciotte, che oscura il resto della sua opera, perché è un'opera
talmente importante che si ricorda solo quella. È in realtà un autore molto prolifico e anche di
altissimo livello, ci sono opere di grandissimo valore, anche al di là del Chisciotte.
Vediamo alcune delle sue opere principali.
La Galatea: è un romanzo pastorale, ed è un romanzo molto caro a Cervantes.
Per tutta la vita cullerà il desiderio di scriverne una seconda parte, senza mai riuscirci.
È un'opera che nasce dal mito molto in voga nel Rinascimento dell'età dell'oro.
L’età dell'oro, su ispirazione dei poeti classici, soprattutto di Virgilio e delle sue bucoliche.
È un'età mitica, mitologica, nella quale l'umanità può lasciare da parte le guerre, i problemi, e
dedicarsi solamente a coltivare lo spirito, l’amore, la poesia, la bellezza. Un’età inesistente,
un’età in cui non c’è bisogno di leggi, perché tutto è regolato dalla letteratura, dalla bellezza
della poesia. Come nell’Aminta di Tasso: “se una cosa piace, è lecita”. Questa è l’unica legge, la
legge della bellezza e del piacere, in quest’età mitologica. L’Aminta cita direttamente l’età
dell’oro. Qualche critico ha anche fatto notare come forse cercasse anche rifugio in una vita
senza problemi, anche se solamente letteraria, dalle sfortune della vita reale. Anche Garcilaso
si era cimentato in ambientazioni pastorali, e anche lui era un soldato. Forse il fatto di vivere
anche combattendo ed essendo un soldato a questi autori può aver fatto piacere evocare un
mondo libero da guerre e da violenza, forse per questo la amava così tanto . Nel 1605 scrive la
prima parte del Chisciotte. Nel 1613 scrive le Novelas Ejemplares. Sono novelle in senso
italiano, solo più tardi il termine “novela” diventerà una traduzione di “romanzo”. In quest’epoca
“novela” era un racconto breve, come le “novelle in italiano. Prende spunto da questo genere
italiano. “Ejemplares” perché ognuna di esse raccoglie una morale. Leggendole si capisce come
lo scopo dell’autore sia quello di divertire, come sia uno scopo più dilettevole che morale.
C’è sempre una sorta di morale alla fine di esse. Sono dodici racconti brevi, che in alcuni casi
idealizzano la realtà e in altri la raccontano in modo più realistico. Si è soliti dividere le Novelas
Ejemplares in un gruppo più fantastico e un altro di stile più realistico. Questi sono alcuni dei
titoli delle Novelas Ejemplares, forse le tre più famose. Rinconete y Cortadillo è la storia di due
ragazzi che vivono di piccoli inganni e si uniscono a una banda di malviventi, ha quindi qualcosa
di picaresco. El licenciado Vidriera parla di uno studente che vive come soldato in Italia, poi
torna, si laurea a Salamanca e impazzisce credendosi di vetro. Crede di essere di vetro e nella
sua follia dà delle spiegazioni e delle risposte veramente sagaci alle questioni che la gente gli
pone. È la classica figura del folle geniale. È la figura del pazzo che in realtà, grazie anche alla
sua follia, ha la libertà di dire delle grandi verità che gli altri non osano dire. El coloquio de los
perros tratta di due cani a Valladolid. I due cani acquisiscono la capacità di parlare solo per una
notte e raccontano gli inganni commessi dai padroni.
Viaje del parnaso (1614). Il Parnaso è la montagna al centro della Grecia a Delfi, venerata
perché consacrata al culto di Apollo e delle muse. Il Parnaso metaforicamente significa i poeti di
una certa tradizione. È un’opera in versi in cui Cervantes passa in rassegna i poeti suoi
contemporanei e li giudica. Li elogia o li critica a seconda del proprio giudizio, con un po’ di
satira. Passa in rassegna poeti che conosce e li giudica. Dal punto di vista della poesia
Cervantes partecipa alla rivitalizzazione del romance. Avevamo parlato di romancero viejo e
romancero nuevo. Il romancero viejo è quello originale, scritto nel medioevo. Poi, dopo il 1580
c’è una rivitalizzazione di questo genere, anche i poeti colti iniziano a scrivere romances e
questo si chiama romancero nuevo. Il romancero viejo era poesia medievale anonima; quello
nuevo comprende grandi scrittori che si cimentano in questa forma medievale, che verrà
utilizzata molto spesso in Spagna, anche durante la guerra civile.
La cosa caratteristica della poesia di Cervantes era che era molto autocritico rispetto alla
propria poesia. Rispetto alle sue opere in prosa che sistemava e ripubblicava, con le sue poesie
aveva un senso autocritico estremo. Questo fa sì che molte si siano perse: non avendo cura
delle proprie edizioni alcune poesie si suppone che siano andate perdute. Con Ocho comedias
y ocho entremeses si parla di teatro. Cervantes fu molto prolifico come scrittore teatrale, non
ebbe grande successo in questo genere, ma inizia la sua carriera teatrale quando sta nascendo
una grande richiesta di teatro. Il teatro sarà il genere principe del barocco spagnolo, quello più
importante. Lope de Rueda è un autore che, imitando i commedianti italiani della commedia
dell'arte, fa una tournée in Spagna e fonda una propria compagnia. Cervantes vede le
rappresentazioni di Lope de Rueda e si appassiona di teatro, riceve l’impulso di scrivere anche
lui. Scrive delle commedie e degli entremeses. Gli entremeses sono una sorta di intermezzo tra
una scena e l’altra, che poi diventano un genere. Sono scene comiche tra un atto e l’altro delle
grandi commedie (nel senso di opera teatrale). C’è una grande fioritura di teatro in quest'epoca
a imitazione italiana e soggetto alle famose unità aristoteliche o supposte tali. Unità d’azione, di
luogo e di tempo. Le opere teatrali dovevano avere un’unica azione, quella che vivono i
protagonisti, un unico luogo e tutto doveva svolgersi in un giorno come massimo, unità di
tempo. Però in realtà ci fu un successo clamoroso, che è quello di Lope de Vega in Spagna, che
spazza via gli altri autori, compreso Cervantes, che volevano imporre la propria opera.
In qualche modo le sue Ocho comedias non si rappresentano, perché non c’è richiesta, c’è
richiesta di un teatro diverso, quello di Lope. Gli entremeses di Cervantes sono molto riusciti, fu
soprattutto grande nell’arte della entremés. Cervantes aveva una vena comica molto riuscita.
Gli entremeses, essendo più brevi e di natura più comica, gli riescono meglio. Gli entremés non
erano soggetti a tutte quelle regole alle quali dovevano sottostare le commedie, non erano
soggetti alle unità aristoteliche. Potevano anche essere scritti in prosa, mentre tutto il teatro era
scritto in versi. Potevano usare un linguaggio più colloquiale, mentre la commedia doveva avere
un linguaggio colto. L'entremes fa sì che l'autore possa esprimersi in modo più libero.
Non essendo soggetto a tutte queste regole piuttosto strette, anche Cervantes può esprimere il
suo genio in modo più evidente. Il Chisciotte - seconda parte e Persiles y Sigismunda, che
viene pubblicata postuma. Lui muore nel 1616, nel 1617 viene pubblicata quest’opera, che è un
romanzo bizantino. Era molto in voga all’epoca. Si tratta di un romanzo a imitazione degli autori
greci, in cui si narra la peripezia di due giovani amanti e di tutti gli ostacoli, le peregrinazioni, i
pericoli. Tutto ciò che il loro amore deve vivere attraverso vari paesi e terre, anche immaginari,
e che finisce con il ricongiungimento degli amanti. Persiles y Sigismunda inizia nel nord,
continua in Portogallo, poi arrivano in Spagna e finisce felicemente a Roma. Il tema del viaggio
perché il viaggio è come una sorta di viaggio spirituale dell’uomo. È un romanzo avventuroso e
amoroso, ma metaforicamente rappresenta anche le vicissitudini che ogni uomo deve
attraversare nella propria vita. Questo per poi potersi riposare alla fine del viaggio, come i
protagonisti che si possono riunire ed essere felici a Roma.
Letteratura Spagnola 04/04/2022

Cervantes ha una produzione molto ampia e molto varia.

“Don Quijote de la Mancha”

Questo è il capolavoro di Cervantes, che ha un po’ offuscato gli altri scritti. È il grande
capolavoro della letteratura spagnola. Cerchiamo di affrontarlo senza togliere troppo alla sua
complessità ma cercando di sintetizzare la sua grandezza.

Antecedenti - I libri di cavalleria:

- Libro del caballero Zifar (fine del XIII secolo)


- Tirant Lo Blanch (1490)
- Amadís de Gaula (1508), Garci Rodríguez de Montalvo (Las sergas de Esplandián), +
12 libri
- Palmerín, Florambel, Valerián, Cristalián, Carián, Floriseo, Claribalte, Olivante,
Polindo…

Gli antecedenti sono i libri di cavalleria. Il Libro del caballero Zifar (fine XIII secolo) è il più antico
di questo genere. Tra il XV e il XVI secolo questo genere si diffonde enormemente, fino a
diventare una vera e propria moda. Tirant Lo Blanch (1490) è scritto in catalano. Palmerín,
Florambel, Valerián, Cristalián sono nomi esotici, per giustificare la loro origine fantasiosa. Sono
eroi che diventano più importanti dell’autore stesso. Alcuni autori ne scrivono delle
continuazioni. Il tema è medievale, ma la forma è nuova. Si tratta di lunghi romanzi in prosa. Ha
come ambientazione il medioevo. È scritto in prosa e pieno di avventure e prodigi. Per
omaggiare la propria dama il cavaliere deve combattere e intraprendere avventure, compiendo
peregrinazioni in terre reali o fantastiche. Si fa molto ricorso alla fantasia, si parla di terre
fantastiche popolate da draghi e giganti. È una letteratura di intrattenimento. Nell’epoca nella
quale il diritto d’autore non è ancora stato codificato chiunque può prendersi la briga di scrivere
una continuazione di queste storie.
Viene sempre citato il Caballero Zifar come vero antecedente, poi Tirant Lo Blanch scritto in
valenzano e Amadís de Gaula, l’eroe più conosciuto e amato, “Amadigi di Gallia”. La Gallia era
un posto straniero, lontano. È protagonista di numerosissimi libri, la prima edizione è del 1508 e
consta di quattro libri, ispirato a delle storie medievali rielaborate da Garci Rodríguez de
Montalvo. I primi quattro libri sono storie medievali che Garci Rodríguez de Montalvo rielabora,
il quinto sarà da lui totalmente inventato. Il quinto libro della serie è Las sergas de Esplandiàn,
al quale seguiranno altri dodici libri. Ciò che può fare un eroe dopo un po’ si esaurisce, allora le
serie successive hanno come protagonista il figlio o un parente, che devono compiere imprese
sempre più grandi e avventurose per dimostrare di essere all'altezza della loro stirpe.
È un genere che diventa sempre più inverosimile e appesantito come trama. È una sorta di
“telenovela” che si complica sempre di più. All’epoca quello che teneva i lettori col fiato sospeso
era proprio questo. Il Chisciotte parla di un cavaliere, quindi naturalmente Cervantes aveva
presente questi romanzi e ne scrive una sorta di parodia.
Altre influenze del Chisciotte sono il romanzo pastorale, la picaresca e la novellistica italiana. Il
romanzo pastorale si rivolge a un pubblico più colto rispetto ai romanzi di cavalleria. Aveva
come modello le opere di Petrarca e Boccaccio o l’Arcadia di San Nazaro. In alcune parti del
Chisciotte ci sono diverse scene pastorali. Sono cortigiani “travestiti” da pastori che in uno
scenario bucolico fanno discussioni sull’amore, divagazioni liriche. Questi personaggi si
muovono nel locus amoenus. Sono scene piuttosto statiche. A differenza del romanzo
cavalleresco, queste sono scene più statiche, quasi idilliache, in cui i personaggi disquisiscono
di questioni liriche e filosofiche. Cervantes amava molto la Galatea, il suo primo romanzo
pastorale. Ha coltivato per tutta la vita il desiderio di scriverne una seconda parte. Gli stessi
personaggi del Chisciotte dimostrano di aver letto la Galatea. Addirittura fa dire ai suoi
personaggi che sperano che l’autore ne scriva una continuazione. Gli elementi picareschi nel
Chisciotte sono diversi: innanzitutto la visione della realtà contemporanea. Il picaro viaggia e
passa da un padrone all’altro. L’autore del Lazarillo descrive in modo molto realistico questi
personaggi. Il realismo con cui viene trattata nella picaresca la realtà contemporanea la
troviamo anche nel Chisciotte. Troviamo l’ironia, si fa dell’ironia sui personaggi, è un elemento
fondamentale del Chisciotte. Anche l’elemento del viaggio. Nella picaresca i personaggi
viaggiano, ha una struttura in qualche modo episodica. Il Chisciotte ha in parte questa struttura.
Si parla di “uscite” (salidas) in cui esce a compiere le sue avventure. Ha una sorta di struttura
simile a quella della letteratura picaresca. Un’altra cosa che avevamo visto è che nel Lazarillo
de Tormes c’è un antecedente del Chisciotte, che è lo scudiero. Lo scudiero è un nobile
decaduto, che non vuole lavorare perché il suo lignaggio non prevedeva che si lavorasse, e
manda Lazaro a lavorare per lui. Lo tratta però bene, è una persona di alti principi, Lazaro prova
pena per lui.
La pena sarà uno dei sentimenti principali che verrà provato per il Chisciotte. La novellistica
italiana rappresenta un’altra influenza dell’opera. Il racconto breve italiano è fonte di storie.
Anche Shakespeare si è tanto ispirato alla novellistica italiana. Il Chisciotte è ricchissimo, c’è
l’avventura di avvenimenti, l’avventura di Don Chisciotte che parte, ma ci sono decine di
sottotrame. Tante di queste storie vengono ispirate a Cervantes dalla novellistica italiana.

Il Chisciotte

Cervantes nacque e si educò nel rinascimento, ma pubblicò il Chisciotte all’inizio dell’epoca


barocca, nel 1605. Dopo l’enorme espansione e apertura del regno di Carlo V la Spagna
raggiunse il massimo dello splendore. Anche dal punto di vista culturale il rinascimento è
un’epoca di grande valore e fiducia nell’uomo. Inizia poi un periodo di decadenza politica,
militare e culturale. Con il suo successore Filippo II siamo ancora nel siglo de oro, ma appare
una nuova mentalità, mutuata dalla controriforma. Vengono proibite le opere di Erasmo da
Rotterdam, una delle maggiori influenze dell’umanesimo. Nel Chisciotte ci saranno diversi echi
di Erasmo, come l’elogio della follia. Sarà proibito studiare all’estero. La Spagna aveva una
residenza di studenti a Bologna, dove c’è una delle prime e più prestigiose università europee
dove diversi studiosi si recavano. È un periodo che inizia ad essere problematico e chiuso.
Cervantes si trova tra queste due epoche. Da una parte anche gli ideali di semplicità ed
equilibrio tipici del rinascimento e dall’altra una complessità nuova, con la disillusione. Questo si
riflette nella sua opera, nella satira, nella parodia, nel desiderio di fuga dal mondo che vedremo
nel Chisciotte.
È una sintesi di queste due sensibilità che rende l’opera interessante. La problematica barocca
si riferisce a un mondo pieno di inganni e delusioni, con meno ottimismo rispetto al
rinascimento, anche rispetto al Lazarillo, il mondo è più difficile, più amaro. Il libro viene
pubblicato in due volumi, il primo nel 1605 e il secondo nel 1615, quindi dieci anni dopo.
Don Chisciotte aveva avuto un grande successo fin da subito. Questo non significa che avesse
dato a Cervantes tranquillità economica, perché c’erano molte copie contraffatte. Dopo la
pubblicazione del primo volume viene scritta una continuazione da Alonso Fernández de
Avellaneda. Gli eroi diventano così importanti che diversi autori scrivono continuazioni delle loro
storie. Questo scrittore scrive una seconda parte del Chisciotte. Cervantes, indignato da questa
cosa, si affretta a completare la seconda parte e nel 1615, un anno prima della morte
dell’autore, esce la seconda parte. Questa continuazione non ufficiale viene chiamata
“Chisciotte di Avellaneda". Nel secondo volume i personaggi ne parlano male. Il Chisciotte è
anche pieno di giudizi letterari sull’epoca. [Su aulaweb c’è un pdf con la trama in italiano]
Il protagonista è Alonso Quijano (Cervantes lo chiamerà in vari modi). È un membro della
piccola nobiltà decaduta (un hidalgo) che impazzisce dopo aver letto un numero spropositato di
libri di cavalleria. Questa è la prima critica che Cervantes fa ai libri di cavalleria, dice che sono di
una qualità talmente bassa che prendono così tanto la mente da fare impazzire. Questo è il
primo elemento che lo distanzia dai romanzi di cavalleria e ci fa capire che è una parodia.
Alonso Quijano impazzisce e decide di prendere il suo cavallo e partire, animato da buoni
propositi e dalla volontà di agire per la sua dama, che non esiste ma che lui chiama Dulcinea
del Toboso. Dulcinea viene da un paesino, non è un nome altisonante, qui si vede l’ironia.
Prende uno scudiero dal nome Sancho Panza. Il suo cavallo si chiama Rocinante. “Rocín” vuol
dire “ronzino”, quindi è un ronzino a cui dà un nome altisonante, non è un animale prestigioso.
Nella sua follia crederà realtà cose che sono solo nella sua mente. Quando parte per il suo
viaggio dice “prima di partire devo essere nominato cavaliere”. Dice di voler chiedere al re di un
castello di essere nominato cavaliere, ma il “castello” è una locanda. L’oste stando al gioco lo fa
cavaliere. Ci sono poi i mulini a vento che lui crede essere giganti. Tutte queste imprese sono
fallimentari e finiscono quasi sempre con sonore botte che lui prende insieme a Sancho.
C’è quasi sempre il risultato finale di essere picchiati. La prima parte del romanzo si conclude
con il ritorno a casa del cavaliere che Sancho riesce a ottenere con l’aiuto di alcune persone: il
curato, il barbiere e la nipote di Don Chisciotte. Sono tre persone che si coalizzano per cercare
di fargli tornare il senno e riescono a ricondurlo a casa. Dopo un breve periodo di riposo e
riacquistata la fiducia dei suoi amici, Sancho Panza e Don Chisciotte ripartono per nuove
avventure. I due giungono in un castello in cui un duca e la sua sposa, dopo aver appreso le
loro comiche gesta, ne approfittano per sbeffeggiarli. Il duca promette a Sancho che gli darà il
governo di un’isola se lui compirà queste gesta. Sancho sarà quindi sempre più convinto di
queste avventure. L’avventura finale avviene a Barcellona, dove incontrano il Cavaliere della
Bianca Luna, che è in realtà un amico del Don Chisciotte che è intenzionato a riportarlo a casa.
Lo sfida a duello, vince, e come penitenza gli impone di tornare a casa. Chisciotte torna a casa
e si ammala, per la stanchezza e la delusione di aver perso la battaglia. Passa sei giorni di
febbre a letto e dopo questo rinsavisce, rinnega tutti gli ideali cavallereschi che lo avevano
animato, fa testamento, riprende il suo nome di Alonso Quijano e muore. Questo è il riassunto
di una trama molto complicata. È evidente il contrasto tra la realtà e ciò che Don Chisciotte vede
attraverso lo specchio deformante della sua follia. Questo è fonte di comicità, perché crea
queste situazioni inverosimili. Sia gli altri personaggi che il lettore sanno quale sia la verità.
C’è una sorta di coalizione tra il lettore e i personaggi, che ridono del protagonista . Mano a
mano che si procede nella lettura si capisce come questo scontro tra realtà e ideale sia in verità
una riflessione sullo scontro tra realtà e ideale. È sì una parodia, ma una parodia che porta con
sé una riflessione piuttosto profonda: l’ideale è il mondo in cui si muove il protagonista, e il
protagonista è sé stesso solo nel mondo ideale, tanto che quando riacquista la ragione muore.
Molti critici successivi hanno interpretato questa follia come la vera forma di nobiltà. Ci sono
state tantissime interpretazioni di quest’opera. I contemporanei lo vedevano come un libro
divertente, poi è stato analizzato in modo più approfondito e si è visto questo scontro tra realtà e
ideale, che è anche uno scontro tra rinascimento e barocco. È uno scontro tra la nobiltà e un
mondo che non la capisce. L’unico che è veramente nobile e giusto è Don Chisciotte in un
mondo che non è capace di capirlo. Forse è lui l’unico sano, animato da forti ideali in un mondo
che non ne ha più. La follia si oppone a un mondo duro, corrotto. È una sorta di rifugio la follia
da quest’ingiustizia, da questo mondo che non comprende le persone animate da questi alti
ideali. Sancho Panza è stato tradizionalmente descritto come il contraltare di Don Chisciotte.
Don Chisciotte è alto, allampanato, magro, un po’ spiritato. Sancho Panza è basso, grasso,
rozzo. Da una parte la nobiltà, dall’altra l’uomo semplice. È un contadino buono ma molto
rudimentale nei suoi pensieri e ideali. È il contraltare realistico alle avventure di Don Chisciotte,
che vede queste grandi avventure perché ha sete di esse, oltre che di giustizia e nobiltà.
Dall’altra parte Sancho Panza che lo tiene con i piedi per terra. Nel secondo volume si nota una
sorta di cambiamento, Chisciotte sembra molto più cosciente di quale sia la realtà, mentre
Sancho lo convince del contrario. C’è a un certo punto una scena in cui arriva una contadinotta
e Sancho la annuncia come la sua signora Dulcinea del Toboso. Chisciotte gli dice però di
vedere solo una rozza contadina. Sancho, ormai abituato al modo di pensare di Don Chisciotte
gli fa vedere cose che non ci sono. E Chisciotte, che ha questi sprazzi di razionalità, si oppone
in qualche modo. Quindi in questo caso Sancho gli dice che la donna è vittima di un
incantesimo, al che Don Chisciotte parte per liberarla. C’è una sorta di sdoppiamento tra i due
personaggi in cui è Sancho quello che vuole riportare il piano su quello della fantasia, mentre
Don Chisciotte ha qualche ripensamento dal punto di vista della visione della realtà.
Quest’antitesi ragionevole di Don Chisciotte non è sempre così nel romanzo. Il loro rapporto è
intercambiabile in diversi punti. È sicuramente un contrappunto di Don Chisciotte, comunque in
generale cerca di imporre un po’ di prudenza. Si vede anche da come parla, usa parole più
semplici, preferisce scappare invece che affrontare i pericoli, ma non è così semplice il loro
rapporto. L’intento dell’autore è quello, dichiarato, di scrivere una parodia dei romanzi di
cavalleria. Uno stratagemma tipico dei romanzi di cavalleria è quello di attribuire la storia a un
autore diverso e Cervantes lo usa, a modo suo, per mettere in pratica questo talento narrativo.
Nella seconda parte del romanzo dirà che la storia non è sua ma di un tal Cide Hamete
Benengeli, che sarebbe uno storico moro che la scrive in arabo. Utilizza il famoso stratagemma
in letteratura di aver trovato un manoscritto.
Il manoscritto però è in arabo, quindi assolda al mercato di Toledo un traduttore morisco, si fa
tradurre la storia. Il traduttore però ogni tanto interviene, vuole commentare, e alla fine
Cervantes rielabora tutto per scrivere il Don Chisciotte. Quindi secondo questo stratagemma
retorico ci sarebbero tre autori. L’autore principale che sarebbe Cide Hamete Benengeli, che ha
riportato la storia; il traduttore morisco, nemmeno tanto bravo (Cervantes ogni tanto nel libro lo
prende in giro); in più lui, che rielabora il tutto. Questo crea piani narrativi che distanziano
l’autore dal personaggio, lo stesso Cervantes può in qualche modo prendere in giro Don
Chisciotte, perché non è la sua creazione, è la creazione di Cide Hamete Benengeli, quindi lo
stesso Cervantes interviene ogni tanto dicendo qualcosa. Attua un distanziamento dai
personaggi e dalle storie che gli permette di ironizzarci su. Lui si chiama “patrigno” e non
“padre” di Don Chisciotte.
Si costruisce un gioco tra vita e creazione che fa essere lo stesso autore un complice dei lettori,
perché l’autore è lui stesso un lettore. Tutto questo a spese dei personaggi e a spese dell’autore
cosiddetto “reale”. Lo stesso Cervantes fa oggetto di derisione i personaggi, l’autore, il
traduttore e si allea con i lettori. Ci sono tanti piani sovrapposti e una grande complessità di
lettura.
Può essere letta come un’opera divertente e satirica, ma c’è una maggiore complessità.
Letteratura Spagnola 11/04/2022

Cesare Segre - Saggio su Don Chisciotte

Il primo concetto che spiega Cesare Segre è che Don Chisciotte è un romanzo-saggio.
In Don Chisciotte c’è un po’ di tutto: c’è il romanzo pastorale, c’è il romanzo di avventura, c’è la
poesia, c’è il romanzo di cavalleria e anche il saggio. Si pone innanzitutto come critica dei
romanzi di cavalleria e in alcuni punti il pensiero di Cervantes emerge con molta chiarezza.
Cesare Segre ne identifica soprattutto due: il primo è l’inventario della biblioteca. Il curato e il
barbiere di Don Chisciotte, resisi conto della sua follia e chiamati dalla nipote per fare qualcosa,
fanno un inventario della biblioteca di Don Chisciotte. Prendono ogni libro, lo citano e ne
parlano tra loro, dimostrando di averli letti tutti. Questo è un saggio letterario. Dicono la loro
opinione, che è quella di Cervantes, che critica queste opere talmente assurde da far impazzire
Don Chisciotte. Questo inventario finisce con un rogo, perché questi libri sono la causa della
follia del loro amico Alonso Quijano. Ci sarà una conversazione tra il canonico e il curato che
riaccompagnano a casa Don Chisciotte dopo una battaglia finita male, in cui finisce dentro una
gabbia. Lo riaccompagnano a casa e discutono di libri. Quando diciamo che Don Chisciotte
nasce come critica di questi libri non è solo un’impostazione ma è proprio una critica puntuale,
che dimostra la grande cultura di Cervantes e la conoscenza delle opere a lui contemporanee.
Il secondo elemento che Cesare Segre mette in luce è la presenza degli inserti. Esiste una
storia che immaginiamo su una linea, su questa linea si inseriscono molte altre microstorie,
personaggi le cui storie si esauriscono in un episodio. Questi inserti sono quasi tutti sentimentali
o pastorali o di avventura. Innanzitutto servono per dare un contraltare agreste, di locus
amoenus al racconto. E soprattutto servono per rappresentare la realtà, come contraltare alla
finzione del falso cavaliere, del falso scudiero che partono per queste false avventure.
Cervantes inizia col voler criticare i libri di cavalleria, perché sono troppo distanti dalla realtà, e
anche i suoi personaggi lo sono, però tutti questi inserti ci riportano in una dimensione di
realismo. C’è un influsso anche della picaresca, che ha molto a che vedere col realismo, e
descrive la società. Tutte le persone che Don Chisciotte incontra e che fanno parte di vari ceti
sociali sono descritti in modo realistico. Questa struttura viene detta “struttura a schidionata”,
cioè una struttura fatta come uno spiedino. Lo “spiedo” è la storia di Don Chisciotte e Sancho
Panza, tutti i pezzettini infilati dentro sono gli inserti, che lì si esauriscono ma completano
l’opera. Un altro concetto interessante del saggio è quello che riguarda l’ambientazione. Si tratta
di un romanzo tra rinascimento e barocco. Cesare Segre dice che questo bilico tra una
sensibilità e l’altra si vede anche nel paesaggio, che ricorda spesso il locus amoenus, tranne
quando interviene il Don Chisciotte. Quando interviene Don Chisciotte è tutto molto più scuro,
spesso buio, spesso l’ambientazione è notturna, è più offuscata e meno chiara. L’ambientazione
perfetta del locus amoenus riporta al rinascimento, la confusione e l’ansia riportano al barocco e
sono date dalla follia di Don Chisciotte. Mentre l’equilibrio classico, che è la formazione di
Cervantes, è comunicata dall’ambientazione che assomiglia a quella del locus amoenus e il
barocchismo del romanzo è un prodotto della follia di Don Chisciotte. Un’ultima considerazione
che si può fare è che Cervantes vuole mettere alla berlina i romanzi di cavalleria perché troppo
distanti dalla realtà e finisce per respingere il concetto stesso di realtà. Abbiamo la realtà e la
finzione, i sogni di Don Chisciotte, l’elemento più nobile è il secondo, la realtà è descritta come
qualcosa di poco nobile. Nell'episodio dei conti ci sono questi conti, marito e moglie, che non
fanno altro che burlarsi di Don Chisciotte e di Sancho Panza. Risulta evidente come il vero
nobile sia il falso nobile, Don Chisciotte. Chi possiede la nobiltà di casta come il duca in realtà è
una persona tutt’altro che nobile. C’è questo contrasto che scade nel grottesco, questo hidalgo
che è più nobile dei veri aristocratici.
Interpretazioni e letture successive

Don Chisciotte è stato interpretato e rivisto molte volte, a partire da subito, dal 17esimo secolo.
Per i suoi contemporanei era un libro comico, divertente. Rivedevano la loro quotidianità
reinterpretata in modo ironico. Subito dopo sono iniziate interpretazioni di diverso tipo. Ci sono
diversi autori che hanno scritto di Don Chisciotte, è un personaggio che si è innalzato
dall’essere un personaggio ed è diventato un prototipo umano, è stato usato per esprimere in
modo simbolico spesso le questioni più disparate. L’interpretazione più comune è quella
dell’uomo nobile che si scontra con la realtà volgare. Miguel de Unamuno, uno dei più grandi
scrittori spagnoli del XX sec. ne ha fatto un simbolo della Spagna. Un primo articolo che lui
scrisse alla fine dell’800 si intitolava “che muoia Don Chisciotte". Don Chisciotte era per lui
diventato il simbolo di una Spagna arretrata, immobile, piena di ingiustizie sociali. Quindi “che
muoia Don Chisciotte”, lo spagnolo che guarda solo la propria terra, che non sia apre all’Europa
e alle novità. In una seconda parte lo della sua vita lo stesso scrittore reinterpreta questo
personaggio quasi in senso mistico, l’ha paragonato a Santa Teresa d’Avila, che ha girato tutta
la Spagna per rifondare i monasteri; così Don Chisciotte per portare la sua nobiltà e vincere
l’ingiustizia. Ci sono interpretazioni diverse anche nello stesso autore.

Illustrazioni artistiche

Su Don Chisciotte ci sono opere liriche, film, opere teatrali, cartoni animati. La prima forma
d’arte che ha accompagnato questo romanzo è stata l’illustrazione. Gustave Doré, francese,
aveva già illustrato la Divina Commedia e pubblica per l’edizione francese di Don Chisciotte del
1863 le sue illustrazioni. Lo rappresenta intento alla lettura, con tutto questo mondo che lui si
figura partendo dal suo libro: giganti, draghi, armi, battaglie. C’è questo affollamento barocco di
elementi che lo accompagnano. Così come anche questa figura con lui che cavalca, con questo
mondo meraviglioso alle sue spalle. Qui si ritrova quello che diceva Segre sull’oscurità di Don
Chisciotte, quando lui è in scena c’è un paesaggio poco chiaro. Salvador Dalì ha frequentato
spesso il tema di Chisciotte. Dalì era lui stesso un personaggio stravagante, estremamente
esagerato nelle sue manifestazioni. Era un surrealista anche nella vita oltre che nell’arte. Anche
lui fa diversi quadri con diverse tecniche su Chisciotte. La figura più famosa di Don Chisciotte è
lo schizzo di Picasso, con un Don Chisciotte stilizzato ma che l’ha consacrato come alto e
allungato, con Sancho che guarda verso l’alto, con righe tonde.

È uscito un libro del direttore della Real Academia che parla di Cervantes e del Chisciotte.
Ci sono state davvero tante interpretazioni di Don Chisciotte. È stato trasformato il Chisciotte in
un mito per la cultura occidentale, grazie anche agli illustratori, spesso stranieri, soprattutto
inglesi. Bisogna eliminare tutte queste interpretazioni per capire l’opera e chi era l’autore.
L’idea che ha saputo trasformare tutta l’ambiguità e difficoltà dell’esistenza in un personaggio
che ha tuttora molto da dire.
“Don Quijote”

Questo è l’incipit dell’opera. Tutti i capitoli del Don Chisciotte iniziano con questa piccola
descrizione che dice di cosa tratta il capitolo. Questo tratta “delle condizioni e dell’esercizio
(delle azioni e di ciò che diceva) del famoso e valoroso hidalgo Don Chisciotte de la Mancha”.
Cervantes lo presenta come se tutti lo conoscessero.

Il nome “Don Chisciotte della Mancha”

Spesso i cavalieri avevano un nome nobiliare di questo tipo. Normalmente c’era un nome
altisonante e poi una località parimenti alta, esotica. La Mancha è una regione della Spagna che
non ha nulla di eroico, quindi si capisce già dal nome che vuole prendere in giro questi cavalieri.
Anche il nome Quijote, in castigliano la terminazione -ote ha un significato un po’ dispregiativo.
Solitamente è un po’ una presa in giro. Già di per sé fa ridere questo nome, in più è un cavaliere
della Mancha.

Primo capitolo

En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho


tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín
flaco y galgo corredor.

Una delle frasi più famose della letteratura spagnola. La Mancha, luogo poco eroico ed esotico
e molto concreto. In più dice “del cui nome non voglio ricordarmi”. Qui i critici si sono scervellati:
cosa intendeva dire? Qualcuno dice che è semplicemente un ausiliare. Altri dicono che vuole
marcare la differenza con i libri di cavalleria, che erano molto prolissi e si dilungavano nella
descrizione dei luoghi di provenienza dei cavalieri e li dettagliavano molto. Lui taglia corto e dice
che non si ricorda da dove veniva. Quindi sarebbe per ridicolizzare quello stile pomposo.
Può anche essere che si riferisca al paese di Esquivias, nella Mancha, dove lui viveva e dove
aveva fatto quel matrimonio tanto sfortunato e dove non aveva più voluto tornare.
Magari si sta riferendo a quello: “sto cercando di dimenticarmelo”, è legato a un momento
infelice della sua vita. Anche solamente in un verbo chissà cosa voleva dire. Era totalmente
diverso dai libri di cavalleria, pieni di dettagli sui luoghi. “Non voglio ricordarmi” è anche una
dichiarazione di indipendenza della letteratura: “io invento ciò che voglio, in questo caso non
voglio ricordarlo”. È come se non volesse sottostare a nessun dettame artistico.
“Non molto tempo fa viveva un hidalgo”. I romanzi di cavalleria normalmente erano medievali, le
ambientazioni erano del primo medioevo, un medioevo tanto lontano da diventare fatato.
Qui dice “non molto tempo fa”, non ha nulla di esotico per il lettore leggere la storia di una
persona vicina sia nel tempo che nello spazio. Toglie qualsiasi velleità fantasiosa alla storia,
questo si oppone ai libri di cavalleria dell’epoca. Qui elenca una serie di elementi di
riconoscimento che lui ha. La lancia in resta, gli scudi antichi. Gli scudi sono antichi, perché è
una casata antica probabilmente, anche se il racconto è contemporaneo. Il ronzino magro e il
cane da caccia. Inizia con una sorta di ritratto fisico e morale dell’eroe.
Una olla de algo más vaca que carnero, salpicón las más
noches, duelos y quebrantos los sábados, lantejas los viernes, algún palomino de
añadidura los domingos, consumían las tres partes de su hacienda.

Parla di una pentola di un qualcosa che era più mucca che montone, tra le due carni la meno
pregiata. Una pentola per la cena che era più mucca che montone. “Salpicón” è carne con
salsa. Un piatto abbastanza semplice la maggior parte delle sere. “Duelos y quebrantos” è un
piatto povero che si fa con gli avanzi, lo mangiava il sabato. C’è un gioco di parole, “duelo” di
per sé è il lutto, “quebranto” è una rottura, si usa anche per il fallimento delle banche. Queste
due parole di per sé vogliono dire qualcosa di doloroso. Per chi conosce il significato pensa a
qualcosa di poco felice. Le lenticchie il venerdì, qualche piccione in aggiunta le domeniche e
tutte queste cose costituivano i tre quarti della sua rendita. Non era molto ricco, se tutte queste
cose costituivano i tre quarti della sua rendita. Questa è un’altra differenza con gli eroi di
cavalleria, che erano molto ricchi.

El resto della concluían sayo de velarte, calzas de velludo para las fiestas, con sus pantuflos de
lo mesmo, y los días de entresemana se honraba con su vellorí de lo más fino.

Il resto di questa rendita era una casacca di panno, pantaloni di velluto per le feste, le sue
scarpe dello stesso materiale. E i giorni normali della settimana si metteva in mostra con un
fustagno del più fine. Sta descrivendo un abbigliamento che era già antiquato nel ‘600,
qualcuno che non è con un abbigliamento curato o alla moda. È un povero diavolo, e questo lo
pone in contrasto con i romanzi di cavalleria che cerca di deridere.

Tenía en su casa una ama que pasaba de los cuarenta y una sobrina que no llegaba
a los veinte, y un mozo de campo y plaza que así ensillaba el rocín como tomaba
la podadera.

Aveva una governante che superava i 40 anni (non giovanissima per l’epoca). Una nipote che
non arrivava ai 20, un servitore di campo e piazza (che andava bene sia per la campagna che
per le commissioni in città), che allo stesso modo sellava il ronzino come potava le piante (il
servitore faceva tutto).
Letteratura Spagnola 13/04/2022

Frisaba la edad de nuestro hidalgo con los cincuenta años. Era de


complexión recia, seco de carnes, enjuto de rostro, gran madrugador y amigo de la caza.

Qui c’è una descrizione fisica. Sfiorava i cinquant’anni, che per l’epoca era un’età da anziano.
Era di costituzione forte, robusta, secco. Era asciutto nel volto, col volto scavato. Era molto
mattiniero e amico della caccia, gli piaceva svegliarsi presto e andare a caccia. Descrivendolo
in questo modo Cervantes si riferiva probabilmente alla teoria degli umori. Si credeva che ci
fossero quattro qualità elementari che erano il secco, l’umido, il freddo e il caldo; e che ci
fossero quattro umori corporei: il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera. Un po’ di questa
terminologia si usa tuttora. Secondo la descrizione che Cervantes fa di Don Chisciotte si può
trarre la conclusione che fosse un uomo con preminenza di bile nera, in pratica un individuo
collerico e malinconico. Queste caratteristiche di Don Chisciotte, se riferite alla teoria degli
umori, darebbero come risultato una persona collerica e malinconica. Quando si parlava di
malinconia all’epoca si parlava di una sorta di follia. La “malinconia” oggi può essere equiparata
alla depressione, era quindi una sorta di malattia mentale. Con questa descrizione può darsi
che Cervantes si riferisse a questa teoria per indicare un uomo portato alla collera e alla
malinconia (follia).

Quieren decir que tenía el sobrenombre de «Quijada», o «Quesada», que


en esto hay alguna diferencia en los autores que deste caso escriben, aunque por
conjeturas verisímiles se deja entender que se llamaba «Quijana».

Si dice che aveva il soprannome di “Quijada” o “Quesada”. Finge che ci sia una divergenza tra
le fonti, continua a fingere di non aver inventato lui il personaggio, ma di essere alla ricerca
delle fonti per descrivere un personaggio storico realmente esistito. “Ci sono divergenze tra gli
autori che scrivono di questo caso”, come se tanti altri ne avessero scritto. “Per congetture
verosimili si lascia intendere che si chiamasse “Quijana” “.

Pero esto importa poco a nuestro cuento: basta que en la narración dél no se salga un punto
de la verdad.

“Ma questo importa poco per il nostro racconto, basta che nella narrazione di esso non si esca
neanche un po’ dalla verità”. C’è un’ironia sottile, dice “dobbiamo attenerci alla pura verità” ma
non è nemmeno sicuro di come si chiama. La realtà è complessa, prospettica, non è univoca.
Quando parla di “verità” Cervantes è ironico. Già da qui capiamo che sarà un racconto che non
avrà una verità univoca.

Es, pues, de saber que este sobredicho hidalgo, los ratos que estaba ocioso —que
eran los más del año—, se daba a leer libros de caballerías, con tanta afición y
gusto, que olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza y aun la administración
de su hacienda;

“È dunque da sapere che questo suddetto hidalgo nei momenti in cui era ozioso (libero, quando
si svagava), che erano la maggior parte dell’anno, si dedicava a leggere libri di cavalleria con
tanta predilezione e gusto che dimenticò quasi completamente l’esercizio della caccia”. A causa
di questi libri si dimentica quasi del tutto delle sue passioni, e persino dell’amministrazione dei
suoi beni. Aveva perso il contatto con la realtà, sia la passione per la caccia che
l’amministrazione dei suoi beni.

y llegó a tanto su curiosidad y desatino en esto, que vendió


muchas hanegas de tierra de sembradura para comprar libros de caballerías en
que leer, y, así, llevó a su casa todos cuantos pudo haber dellos;

“Arrivò a tanto la sua curiosità e la sua passione in ciò che vendette molti poderi di terra
coltivabile per comprare libri di cavalleria sui quali leggere, e così si portò a casa tutti quelli che
c’erano in giro”. Erano libri costosi, non esistevano edizioni tascabili. Per comprarsele dovette
addirittura vendere parte delle sue terre, era una passione divorante, che gli fa perdere il
controllo della realtà. Quelle poche sostanze che ancora ha, le vende pur di comprare i libri di
cavalleria.

y, de todos, ningunos le parecían tan bien como los que compuso el famoso Feliciano de Silva,
porque la claridad de su prosa y aquellas entricadas razones suyas le parecían de
perlas, y más cuando llegaba a leer aquellos requiebros y cartas de desafíos,
donde en muchas partes hallaba escrito: «La razón de la sinrazón que a mi razón
se hace, de tal manera mi razón enflaquece, que con razón me quejo de la vuestra
fermosura».

“E di tutti nessuno gli sembrava così bello come quelli composti dal famoso Feliciano de Silva”.
Feliciano de Silva era uno di quelli che scriveva le continuazioni dei libri. Ha scritto la seconda
parte della Celestina e la continuazione di Amadís de Gaula, Amadís de Grecia. Si dedicava a
continuare le storie famose. Questa moda aveva causato la fine di questo genere. Pur di far
compiere avventure sempre più improbabili ai cavalieri, questi continuatori di storie arrivavano a
scrivere assurdità. Questo Feliciano de Silva era uno scribacchino, autore di continuazioni di
poco valore letterario. Le più belle opere gli sembravano quelle di Feliciano de Silva, perché la
nitidezza della sua prosa e le ragioni intricate gli sembravano perle di letteratura. E ancora di
più quando arrivava a leggere quelle romanticherie e le lettere di sfida dei duelli. Ci sono
sempre scene amorose e lettere di sfida, che danno vita ai duelli. “Gli piaceva lo stile chiaro e i
ragionamenti nelle parti romantiche e nelle lettere di sfida, dove in molte parti trovava scritto:
[citazione diretta da Feliciano de Silva]”, dove non c’è in realtà nessuna bellezza nello stile, ma
solo un tentativo di intricarlo. Qui Cervantes sta dicendo che questi libri possono piacere a un
povero pazzo che li trova addirittura scritti bene.

Y también cuando leía: «Los altos cielos que de vuestra divinidad


divinamente con las estrellas os fortifican y os hacen merecedora del
merecimiento que merece la vuestra grandeza...»

Questo è un tentativo maldestro di far sembrare questa alta letteratura. Qui diventa chiaro che
Cervantes sta scrivendo una parodia del romanzo cavalleresco. Fare una parodia vuol dire
prendere le caratteristiche di qualcosa e imitarlo in forma burlesca per evidenziarne i limiti.
Con estas razones perdía el pobre caballero el juicio, y desvelábase por
entenderlas y desentrañarles el sentido, que no se lo sacara ni las entendiera el
mesmo Aristóteles, si resucitara para solo ello.

“Con questi ragionamenti che leggeva perdeva, il povero cavaliere, il giudizio e perdeva il sonno
per capirli e sviscerarne il senso”. Erano frasi assurde che non dicevano niente ma a lui
piacevano così tanto che, per capirle, ci passava le notti intere fino a perdere la ragione.
Questo senso non lo avrebbe tirato fuori né queste frasi le avrebbe capite nemmeno Aristotele
se fosse resuscitato per leggerle. La filosofia di Aristotele è una delle più organiche, è un
filosofo che si associa col ragionamento razionale. Quindi neanche un filosofo che ragionava in
questo modo così logico su qualunque dettaglio della vita sarebbe riuscito a capire la ragione di
questi romanzi, perché non hanno un senso.

Questo è l’incipit, da qui in poi prenderà il nome di Don Chisciotte, cavalcherà il suo ronzino,
prenderà un contadino come scudiero e partirà per dare onore alla sua dama immaginaria con
le sue imprese. Da questa prima parte capiamo come si parla di una piccola nobiltà caduta, che
deve fare i conti con le sue magre sostanze, ma che non dimentica il suo passato glorioso.
Ha le insegne a casa, ha questi vestiti, ricordo di qualcosa di più ricco. Si ritrova in una
situazione più misera del suo passato glorioso e vuole nobilitarsi. In questo senso potrebbe
essere rappresentante della Spagna in declino. Cervantes potrebbe volerlo rappresentare con
questo personaggio che vuole resuscitare la sua nobiltà. Fin dalle prime righe si capisce che è
un romanzo-saggio, ci sono discussioni sulla letteratura. Questi sono giudizi sulla letteratura a
lui contemporanea. Sta affermando la sua poetica con queste poche righe, con questo “no
quiero acordarme”, con questo voler scrivere di una tradizione letteraria ormai spompata.
È anche un suo modo di intervenire nel dibattito letterario dell'epoca perché non si limita a
giudicare romanzi del passato, ma anche i suoi contemporanei. Nel volume del 1615 i
personaggi parleranno di quello del 1605. Lo stesso libro Don Chisciotte diventa un argomento
di conversazione letteraria dei personaggi. Sarà una costante di tutto il libro. Un’altra cosa che
si nota è questo rapporto molto complesso con la realtà, cosa è realtà e cosa non lo è.
Sarà evidente quando vede un castello e vuole farsi nominare cavaliere, essendo in realtà
quella una locanda; o quando vedrà i giganti che in realtà sono mulini. Lì è evidente il contrasto
tra l’ideale e la realtà, ma anche qui lo è. Abbiamo una nobiltà che in realtà non c’è più, ma solo
in alcuni segni. Abbiamo un personaggio di cui non si sa nemmeno il vero nome e un autore
che è in realtà forse solo un rielaboratore. Questa costante di vedere una realtà difficile da
interpretare è un elemento fondamentale del Chisciotte e lo sarà anche di tutto il barocco
spagnolo. Siamo partiti da un rinascimento che è quello nel quale si è formato Cervantes, con il
suo equilibrio e nitidezza della forma, il suo ideale ha qualcosa di pacificato. Stiamo lentamente
arrivando a un periodo molto più complesso e nel quale il disinganno sarà l’elemento
fondamentale.
Don Chisciotte sarà sempre deluso da ciò che farà, la realtà non gli darà mai soddisfazione,
anche perché è difficile interpretarla. Don Chisciotte è un povero pazzo e ridiamo di lui perché
non sa vedere la realtà o è l’unico che realmente la vede e si scaglia contro le ingiustizie?
Lotta incessantemente in modo quasi patetico per raggiungere una realtà migliore di quella che
lui vede e per affermarla. Forse è l’unico che vede realmente la realtà, mentre il lettore e chi gli
sta attorno si sono talmente schiacciati nella volgarità del quotidiano che non sono più capaci di
grandi imprese.
Il Barocco

Lo abbiamo parzialmente già introdotto con la nuova sensibilità di Don Chisciotte.


All’inizio del XVII sec. la Spagna è ancora la prima potenza d’Europa, ma di lì a poco inizierà un
processo di decadenza interna che, verso la metà del secolo, porterà alla perdita della sua
egemonia. Questa egemonia si perderà a favore di altre potenze emergenti. Da una parte ci
sono le guerre vinte in Europa e le navi che arrivano con le ricchezze del Nuovo Mondo.
Si è molto romanzata la ricchezza che arrivava dall’America, ma in effetti molte ricchezze e
molto oro arrivavano in Spagna da lì. C’è una sempre maggiore povertà interna al paese, un po’
creata dalle stesse guerre che toglievano ricchezza e manodopera, ma anche dalle epidemie di
peste che si susseguono. C’è una crisi economica evidente, nonostante le ricchezze che
arrivano. Le guerre, le carestie e le epidemie minano la ricchezza del paese dall’interno.
C’è inoltre l’espulsione degli ebrei e dei moriscos. Gli ebrei furono espulsi nel 1492 con un editto
in cui si ingiunge agli ebrei di convertirsi o di lasciare il paese; quasi tutti decidono di lasciare il
paese. Molti erano persone facente parte di una classe media che è venuta a mancare al
paese. La stessa cosa successe con gli arabi. Queste espulsioni significano perdita di
manodopera e quindi il paese era esausto, inizia a manifestare una decadenza imminente. Già
il Lazarillo de Tormes raccontava di una società impoverita, ancora di più la picaresca barocca,
che insisterà molto sul concetto della povertà della società spagnola. La vera decadenza ci sarà
soprattutto con Filippo IV e a partire dalla metà del XVII sec. la crisi riguarderà anche la
letteratura.
Il cosiddetto “siglo de oro” comprende il sec. XVI e metà del XVII. Rinascimento e Barocco sono
i due secoli che costituiscono il cosiddetto “siglo de oro”. Il sentimento più evidente della
letteratura di quest'epoca è la disillusione, il desengaño, che nasce dallo scontro tra apparenza
e realtà, tra grandezza e miseria, tra un passato glorioso e un presente miserabile.
Don Chisciotte è stato pensato soprattutto dalla critica successiva come esempio di questa
decadenza. Questo scontro tra la realtà e l’ideale crea questo sentimento di desengaño che è
quello che più di tutti descrive l’epoca barocca, che inizia in tutta Europa.

La controriforma

Il Concilio di Trento si celebra tra il 1545 e il 1564 come risposta alla riforma protestante.
La Chiesa sta attraversando molte correnti di riforma, abbiamo visto quanta critica ci sia contro
una Chiesa corrotta, sia con tentativi di riforme dall’interno ma anche con eresie o la riforma
protestante. Come risposta la Chiesa organizza il Concilio di Trento, che dà il via alla
controriforma o Riforma Cattolica. I vescovi spagnoli ebbero grande importanza in questo
concilio. Filippo II, re di Spagna in quel momento, fece convertire in leggi dello stato i dettami
che il Concilio di Trento aveva stabilito. C’è questa stretta connessione tra la corona spagnola e
la Chiesa cattolica. Carlo V viene quasi sempre dipinto come un soldato, Filippo II è
rappresentato col rosario in mano, è un altro tipo di approccio. È un concilio oscurantista, da qui
nasce l’idea di Spagna come paese arretrato. Nasce la “leyenda negra”, questa nomea negativa
che la Spagna si guadagna in questo periodo. Il rinascimento spagnolo è splendente, di grande
apertura intellettuale. Dopo il Concilio di Trento inizia questa leggenda della Spagna come
paese legato a un cattolicesimo soffocante. In Spagna il Barocco riprende e rielabora i temi del
Rinascimento, con i suoi riferimenti classici. Non dovremo cambiare il modo di leggere le opere,
i riferimenti sono gli stessi. La conoscenza di sé stessi porta al disinganno. Si parte da una
stessa base classica ma si arriva a una vita che non è così perfetta come quella che vedevano i
classici e i rinascimentali. La vita è breve e piena di contraddizioni e confusione.
C’è l’ossessione del tempo che passa, il tempo passa e ci lascia con nulla, c’è anche una sorta
di pessimismo.
“Vivere non è altro che morire poco a poco”. Il topico letterario classico del carpe diem può
essere declinato anche in senso negativo. Può essere letto come un vitalismo o come una
difficoltà della vita. Si parte da una stessa tematica ma si declina con la nuova sensibilità
dell’epoca che dà più peso al pessimismo, agli aspetti difficili della vita e ai suoi effetti
contraddittori. Quest’idea della vita che è come un’ombra, questo contrasto tra immaginazione e
realtà che abbiamo visto in Don Chisciotte sarà costante in tutto il Barocco. Arriverà a dire uno
degli autori che vedremo che “il mondo è un teatro”, non si sa se è vero o se è tutto una
finzione. Le caratteristiche del Barocco sono queste: pessimismo, disinganno, sfiducia
nell’uomo, angoscia.

Pessimismo

L'armonia a cui aspiravamo come umanisti non è stata realizzata. L’umanesimo parlava di un
mondo equilibrato, perfetto, ma questa cosa le guerre, le pestilenze e le ingiustizie sociali non la
stanno confermando. Questa presa di coscienza porta al pessimismo.

Disinganno

In spagnolo è molto legato a questo tema, i grandi ideali del rinascimento hanno fallito e anche
la grandezza della corona sta svanendo. Questa euforia rinascimentale si spegne e si mette più
l'accento sul fatto che l’uomo è un essere imperfetto, che dovrà morire. Dal momento che dovrà
morire bisogna assicurarsi la salvezza eterna. Si torna un po’ a una certa prospettiva
medievale. “Moriremo, ma se abbiamo vissuto bene guadagneremo una vita diversa”. Si perde
l’entusiasmo per il qui e ora del rinascimento e si torna a pensare in prospettiva, proprio perché
delusi dal presente. Secondo gli umanisti l’uomo nasceva buono. Ora si pensa che la natura
umana sia intrinsecamente cattiva come conseguenza del peccato originale. Lazarillo, opera del
rinascimento, vede, nonostante le miserie, un ragazzo che pensa in positivo; Guzmán de
Alfarache riesce a redimersi solo quando si converte. Fa anche lui una vita da ladro ma, a
differenza di Lazarillo, si converte, e il messaggio dell’autore è che bisogna convertirsi. “Anche i
più grandi peccatori se si convertono trovano la felicità, occorre la grazia divina per superare il
peccato originale”. Thomas Hobbes diceva che l’uomo è lupo per gli altri uomini. L’uomo è un
lupo, appena può approfitta degli altri, c'è bisogno di uno stato forte che detti le regole,
altrimenti sarà una società violenta.

Angoscia

Il sentimento di angoscia si impadronisce degli uomini, o almeno degli intellettuali.


Questa angoscia nasce anche dal fatto che l’uomo è padrone di sé stesso. Questo ce lo ha
insegnato il rinascimento, l’uomo può decidere della sua vita. È responsabile delle proprie
azioni. Questo getta nell’angoscia, perché si capisce che in un contesto del genere c’è bisogno
della grazia divina per potersi redimere, perché la natura ci porta verso il peccato. Quest’uomo
che si dibatte tra il bene a cui aspira e il male da cui è formato è ovviamente un uomo
tormentato, angosciato. Tutto ciò porta a diverse reazioni nella letteratura spagnola, che si
possono riassumere in evasione, stoicismo, moralizzazione, satira e burla.
Evasione

Si lascia perdere la realtà per cantare imprese gloriose, glorie del passato, un mondo ideale,
dove i problemi vengono risolti e si ristabilisce l’ordine. La realtà è talmente misera che la
letteratura si dedica a cantare mondi diversi, più belli. Ne è esempio il teatro di Lope de Vega e
dei suoi discepoli, e di Góngora e dei suoi epigoni.

Stoicismo

Si prende coscienza della fugacità della bellezza e della vita, della transitorietà della gloria del
mondo. Si tenta di resistere a questa fugacità, ad esempio Calderón de la Barca nei suoi autos
sacramentales.

Moralizzazione

La critica dei difetti e dei vizi della società con un intento moralizzante, educativo. Questo lo
faranno Gracián e Saavedra Fajardo, che propongono modelli di comportamento per educare
l’uomo in un momento di crisi come questo. È una reazione propositiva al momento di crisi.

Satira e burla

Si vede soprattutto in Quevedo e Góngora e nella letteratura picaresca, in cui la satira è un


elemento portante. Riscrivono la realtà facendosene burla. Don Chisciotte anticipa questi temi.

Concettismo e culteranesimo

Ci sono due tendenze letterarie. La critica letteraria parlando di barocco parla di concettismo e
culteranesimo. Si tratta di una maniera per semplificare la realtà e spiegarla, è più complessa.
Il concettismo è la preminenza dell’idea sulla forma. Dire molto in poche parole, cercare di
condensare in poche parole concetti anche alti, complessi. Una densità espressiva attraverso
figure retoriche, un linguaggio che cerca di essere semplice, denso, ma racchiude concetti
complessi. Questo è il concettismo, del quale il rappresentante maggiore sarà Francisco de
Quevedo. Il culteranesimo è la ricerca della bellezza formale, la ricerca dello stile complesso e
di metafore audaci, riferimenti colti, classici. È la forma che prende il sopravvento sul concetto.
Sembrano uno l’opposto dell’altro, in verità sono due lati della stessa medaglia. Sono tendenze
che rispondono alla volontà di sorprendere il lettore con l’ingegno.
L'ingegno è un’altra parola chiave di quest’epoca: l’ingegno, la ragione.
Le opere di questo periodo testimoniano il ragionamento, ma anche la capacità di sorprendere il
lettore. Entrambe in realtà complicano la comprensione. Il concettismo è dire poco in poche
parole, ma talvolta usare più parole significa spiegare meglio; invece l’estrema sintesi talvolta
porta a un’oscurità della comprensione. Si tratta di una letteratura complessa e difficile.
Luis de Góngora (1561 - 1627)

Luis de Góngora nasce a Cordoba da una famiglia nobile. Lo zio materno Francisco de
Góngora si incarica della sua educazione e lo manda a studiare a Salamanca. A Salamanca
passa quattro anni studiando, ma non si laurea. Si dedica soprattutto alla letteratura e ad altre
attività intellettuali. Ritorna a Cordoba e si avvia alla carriera ecclesiastica. Continua a scrivere
letteratura, ma studiando per ordinarsi sacerdote. Si ordina quindi sacerdote e riesce a
diventare cappellano reale di Filippo III e Filippo IV. Si colloca dal punto di vista sociale in una
posizione piuttosto “comoda”, non deve guadagnarsi da vivere. Viene poi colpito da epilessia,
verso la fine della sua vita torna a Cordoba, dove muore nel 1627. Ha una vita abbastanza
lunga per l’epoca, durante la quale continuò a scrivere poesie ed opere. Non riuscì mai ad
essere pubblicato.
Fu un autore prolifico, dedito alla pubblicazione letteraria senza avere grande fortuna. Le sue
opere circolavano sotto forma di manoscritti, ma non avevano una grande diffusione.
Circolavano creando polemiche per la sua grande difficoltà, era considerato troppo elaborato.
Non fu capito in vita. La sua produzione è ingente, consiste in poesia popolare, poesia colta e
teatro. Per quanto riguarda la poesia popolare, scritta in ottosillabi, scrive romances e letrillas.
Scrive un centinaio di romances di vario genere, di genere pastorale, di genere morisco.
Il romance è una poesia narrativa, racconta una storia con dei personaggi. Scrive talvolta in
modo serio, talvolta in modo burlesco. Le letrillas sono composizioni vivaci, sentimentali o
satiriche. Scrive romances di svariate tematiche e letrillas, che sono composizioni normalmente
sentimentali e satiriche. In quanto alla poesia colta scrive sonetti, l’influenza del rinascimento
italiano si sente ancora nel barocco, il sonetto sarà ancora la forma metrica per eccellenza.
Scrive poi canzoni e tre grandi poemi: La fabula de Polifemo y Galatea, Las soledades e
Panegírico al duque de Lerma.

La fabula de Polifemo y Galatea è la storia di due giovani amanti che sono avversati nel loro
sogno d’amore da Polifemo. È un poema mitologico, si basa sulle Metamorfosi di Ovidio.
Polifemo è un personaggio che rappresenta la violenza, la mostruosità, l’oscurità, in netta
antitesi con la bellezza e l’armonia dell’epoca rinascimentale.
Questi personaggi oscuri, paurosi, irrompono metaforicamente in ambientazioni rinascimentali,
nella ricerca della bellezza e dell’amore. Il barocco irrompe con questa sua complessità nel
vedere la realtà, non c’è più l’equilibrio che ricordavamo nel rinascimento. Las soledades sono
l’opera più famosa di Góngora. Dovevano essere quattro, ma solo la prima è completa. La
seconda è incompleta e le altre non le scrisse proprio. Delle quattro soledades di cui ci parla
Góngora nelle sue intenzioni la prima è completa, la seconda è incompleta e la terza e la quarta
non esistono; probabilmente a causa delle feroci critiche che ha ricevuto dopo la circolazione
della prima. Si tratta di una composizione scarsamente narrativa ed essenzialmente descrittiva,
con abbondanti metafore che saranno la sua cifra stilistica. È un linguaggio difficile, carico di
figure retoriche, molto difficile, con riferimenti classici. Fa sfoggio della propria cultura e della
propria capacità tecnica. Tratta di un giovane naufrago che approda in una terra in cui viene
accolto da dei poveri contadini. È una terra con una natura lussureggiante, in cui tutto è
armonioso e tutto è descritto con una lingua raffinata, colta. Questa è la storia, è soprattutto un
poema contemplativo. “La solitudine”, “Las soledades”, le solitudini di quel naufrago sono uno
spunto per poter parlare della felicità o della ricerca della felicità dell’uomo in un contesto
bucolico. Panegírico al duque de Lerma è una poesia d’occasione. Scrive moltissimi sonetti e
altre composizioni in arte mayor e due opere teatrali. Un’opera decisamente ricca, sia come
generi che come quantità. Fu disprezzato e deriso in vita a causa della sua difficoltà, del suo
fare uso continuamente di figure retoriche complesse, ma soprattutto dell’accumulo di questi
mezzi letterari. Secondo i suoi contemporanei la sua opera risultava quasi incomprensibile a
causa di questo carico di figure retoriche e riferimenti colti. Fu sempre in qualche modo
orgoglioso di non piacere al volgo, ma questo gli causava anche delle delusioni. Fu anche
oggetto di parodie, ci fu una rivalità accesa con Quevedo, che gli ha dedicato dei sonetti di burla
per prendersi gioco del suo rivale in letteratura. Fu oggetto di un rifiuto generale, e venne
ampiamente rivalutato nel XX sec. Ora lo leggiamo come uno dei più grandi poeti barocchi, ma
per un lungo periodo aveva prevalso questa lettura caricaturale delle sue opere. Verrà rivalutato
dalla generazione del ‘27. Muore nel 1627, nel 1927 gli tributeranno un omaggio alcuni giovani
poeti all’università di Siviglia. Organizzeranno un omaggio a Góngora, che era poco studiato e
preso sottogamba anche dalla critica. Questa generazione rappresenta la generazione più
importante del ‘900 spagnolo. I grandi poeti del ‘900 spagnolo furono attratti proprio dalla sua
difficoltà, dalla sua poesia difficile ed ermetica, che fa ampio uso della metafora; questo sarà un
elemento fondamentale per la poesia del ‘900 spagnolo. La metafora è un elemento di
distanziamento dalla realtà. Parlare per metafore significa allontanarsi dalla realtà e cercare di
descriverla disumanizzandola. Questo piacerà molto agli scrittori della generazione del ‘27, che
si chiameranno così perché celebrano la morte di Góngora con questo evento. Da lì in poi si
capirà l'importanza di questo autore e diventerà un classico della letteratura spagnola.
Luis de Góngora - Soneto

Mientras por competir con tu cabello,


oro bruñido al sol relumbra en vano;
mientras con menosprecio en medio el llano
mira tu blanca frente el lilio bello;

mientras a cada labio, por cogello,


siguen más ojos que al clavel temprano;
y mientras triunfa con desdén lozano
del luciente cristal tu gentil cuello;

goza cuello, cabello, labio y frente,


antes que lo que fue en tu edad dorada
oro, lilio, clavel, cristal luciente,

no sólo en plata o vïola troncada


se vuelva, mas tú y ello juntamente
en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada.

“Finché l’oro brillante rifletterà il sole invano per competere con i tuoi capelli”.
L’oro è già di per sé metafora di qualcosa di brillante, è oro e brillante, riflette il sole e compete
invano con i suoi capelli. Inizia con questa descriptio puellae. “Finché la tua bianca fronte
guarderà con disprezzo il giglio bello in mezzo al piano”. Il giglio è una figura tipica per indicare
purezza, bianchezza. La fronte è ancora più bianca del giglio. Le donne cantate nel
rinascimento e nel barocco sono pallide. “Finché più occhi seguono ogni labbro tuo per
prenderlo, più che il garofano precoce”. Finché gli occhi della gente saranno più attratti dalle tue
labbra che dal garofano che sboccia. È tutto molto tipico, sono elementi della natura utilizzati
per descrivere la donna e metterne in luce la bellezza. “Finché il tuo gentile collo trionfa con
leggiadro sdegno sul lucente cristallo”. Il collo è ancora più lucente del cristallo. Godi di tutti
questi elementi che ti fanno bella, prima che ciò che nella tua età fu oro, giglio, garofano,
cristallo lucente (tutti gli elementi citati) diventi argento, viola troncato. C’è una degradazione,
ciò che era oro diventa argento. Argento, viola troncato, diventerà bianca di capelli. Garcilaso
parlava della neve, “quando la neve coprirà la cima”, qua parla di argento ma il concetto è lo
stesso. È un metallo inferiore all’oro che avevano prima i suoi capelli, e che rimanda a un
imbiancamento.
“Tutto ciò sarà così, e tu insieme a loro sarai terra, fumo, polvere, ombra, niente”.

La struttura è quella del sonetto. C’è questa anafora che risalta subito, la ripetizione di
“mientras”. Dà un po’ d’ansia, perché è la rappresentazione grafica del tempus fugit, indicato da
questa insistente anafora. Capello = oro. Fronte = bianchezza, giglio. Collo = cristallo.
C’è l’accostamento di un elemento della donna con quello della natura, e quello della donna è
sempre superiore. Come avevamo visto in Garcilaso, c’è il topico della descriptio puellae.
Le prime due quartine descrivono la bellezza effimera. “Godi di queste cose”, carpe diem,
collige virgo rosas. Sono topici letterari frequentatissimi nel rinascimento ma anche nel barocco.
È una poesia giovanile di Góngora, ma siamo comunque in epoca barocca. C’è l’enumerazione
degli elementi, abbiamo un’accumulazione. L’ “età dell'oro” è un periodo inesistente, parallelo,
una realtà in cui tutto è bellezza, ordine. Tutto è regolato dal gusto per la bellezza e per il
godimento. “Edad dorada” richiama l’età dell’oro.
“Ciò che fu nella tua età dorata oro, giglio, garofano, cristallo lucente, non solo diventerà
argento, viola troncata, ma tu con loro sarai terra, fumo, polvere, ombra, niente”. Questa è una
gradazione discendente, si parte dal più concreto e si arriva al meno concreto. Sta dicendo alla
donna non solo “godi della tua bellezza finché puoi, perché non sarà sempre così”, ma pone
l’attenzione su cosa diventerà la donna, morirà, sarà polvere. C’è un eco biblico, “polvere siete
e polvere ritornerete”, ma anche l’ombra, c’è quest’idea di un aldilà popolato da ombre. Terra,
fumo, polvere, ombra, sono paragonati agli elementi che prima citava: il giglio, il garofano, il
cristallo, l’oro. È un’enumerazione di elementi sempre più drammatici, una poesia che finisce
con “nada”, nulla: “diventerai nulla”.
Tutto è destinato a svanire, sembra quasi inutile goderne nonostante lui inviti a farlo.
La sensazione che si riporta dopo la lettura è quella di mettersi di fronte al fatto che tutto
svanirà: tutto finisce, tutto è destinato a svanire. Il godimento è effimero, non porterà a nulla.
Questo sonetto è molto simile al Sonetto XXIII di Garcilaso de la Vega. L’attenzione che mette
Góngora nel climax discendente non è la stessa di Garcilaso. Il paragone della donna con la
natura e lo stesso topico letterario del carpe diem e del collige virgo rosas sono interpretati in un
modo che dà più attenzione a ciò che è caduco. L’attenzione ricade più su “nulla” che su “godi
la vita”. È una poesia difficile.
Letteratura Spagnola 20/04/2022

Luis de Góngora è il rappresentante principale del culteranesimo, nel sonetto questa forma e
complessità stilistica è evidente. La forma del sonetto è una forma che rispecchia la perfezione
del mondo, è la forma perfetta per eccellenza nel rinascimento. È una composizione
relativamente breve che racchiude, grazie a un equilibrio tra le varie componenti, il concetto che
si vuole esprimere, una sorta di specchio della bellezza del mondo. Quello di Góngora è un
sonetto molto difficile, rispecchia la complessità del mondo. Il sonetto di Góngora rispecchia il
caos del mondo. L’uomo nel barocco non è più solo la mente che ordina il mondo equilibrato e
ordinato, ma è travolto dalla sua complessità. La difficoltà di capire una poesia è la difficoltà di
capire e interpretare il mondo, questa è una novità del barocco. Le enumerazioni danno il senso
di accumulazione di oggetti e concetti. Il mondo non è più un equilibrio ordinato ma qualcosa di
caotico, in cui si accumulano elementi in modo non del tutto ordinato. C’è il desengaño finale,
con gli elementi umani che si risolvono in nulla. Questo sonetto, per quanto opera giovanile di
Góngora e che riprende un tema molto frequentato dell’epoca classica, ci dice qualcosa sul
barocco. Il barocco riprende i temi del rinascimento ma distorcendoli. Abbiamo questo sonetto,
ma l’ispirazione e la realizzazione ci parlano di un periodo più complesso, pessimista. Il sonetto
di Garcilaso era focalizzato sull’idea di carpe diem. È lo stesso tema che c’è qui, ma forse
Góngora sta ponendo l’accento più sulla disillusione finale piuttosto che sul godere delle cose
terrene.

Luis de Góngora - Letrilla

Altri generi tipici del Barocco sono la satira e la poesia burlesca. Quevedo ne sarà il grande
maestro, ma anche Góngora. Questa composizione è una letrilla, una sorta di variante satirica
del villancico. Il villancico è una composizione di stampo popolare con un ritornello che si ripete
sempre. È una poesia in arte menor, in ottonari. Anche per questo sappiamo che è di stampo
popolare. In più c’è il ritornello, tratto da una frase preesistente. In questo caso è un modo di
dire, “ande yo caliente y ríase la gente“, “che io stia al caldo, e che rida la gente”.
“L’importante è che io stia bene, la gente che rida pure, che faccia ciò che vuole”. Questa è la
frase popolare che Góngora riprende per costruire la sua letrilla. A partire da questi due versi
sviluppa questo poema in modo giocoso, che deforma i topoi della poesia colta.
È una sorta di canzone popolare, con un ritmo incalzante.

Ande yo caliente
Y ríase la gente.

“L’importante è che io stia bene, la gente faccia ciò che vuole”.

Traten otros del gobierno


Del mundo y sus monarquías,

È tutto giocato sul contrasto tra la gente ed “io”. “Che altri si occupino del governo, del mondo e
delle sue monarchie”. Il rumore del mondo è qualcosa di lontano, lui lo vuole lasciare. C’è un
richiamo del disprezzo del mondo, contemptu mundi. C’è questa sorta di rifiuto di ciò che sono
gli intrighi di palazzo, l’idea dell’impegnarsi politicamente per un governo di corrotti.
Mientras gobiernan mis días
Mantequillas y pan tierno,

“Mentre governano i miei giorni burro e pane tenero”. Questa radice del verbo governare
cambia di significato. Prima è il governo, la monarchia, qualcosa di nobile, è in contrasto con
burro e pane tenero.

Y las mañanas de invierno


Naranjada y aguardiente;
Y ríase la gente.

“Naranjada” è la marmellata d’arance, “aguardiente” è una sorta di grappa. Ci ha ricordato Fray


Luis, il poeta voleva ritirarsi per studiare, per vivere una vita di contemplazione. Góngora dice
“mi voglio ritirare per mangiare e bere”. Rielabora in forma ironica i topici letterari.

Coma en dorada vajilla


El príncipe mil cuidados,
Como píldoras dorados;

“Mangi in piatti d’oro”, anche Manrique e Fray Luis avevano quest’idea dei ricchi che mangiano
nei piatti d’oro. Chi si accontenta di una cosa semplice è un uomo più retto, onesto.
“Che mangi nelle sue stoviglie d’oro il principe che si preoccupa molto”. C’è ancora una volta un
richiamo al governo. È un principe ma ha molte preoccupazioni nonostante la ricchezza.

Que yo en mi pobre mesilla


Quiero mas una morcilla
Que en el asador reviente,
Y ríase la gente.

“Che io nel mio povero tavolino preferisco un sanguinaccio che scoppietta sul fuoco”.
“Preferisco farmi un po’ di carne alla brace”. C’è ancora il contrasto tra il rifiuto di qualcosa di
nobile, anche invidiato, come la ricchezza e il potere, non per una vita di contemplazione come
nel beatus ille e nel contemptu mundi ma per mangiare e stare bene. È una sorta di burla, una
rivisitazione burlesca dei topici che conosciamo.

Cuando cubra las montañas


De plata y nieve el enero,
Tenga yo lleno el brasero
De bellotas y castañas,
Y quien las dulces patrañas
Del rey que rabió me cuente;
Y ríase la gente.

“Quando coprirà le montagne”, la forma rimane aulica, c’è un hyperbaton nonostante il tema
giocoso. “Quando le montagne si copriranno di neve, che io abbia pieno il braciere di ghiande e
castagne, e che ci sia qualcuno che mi racconti delle storie”. È un locus amoenus dato non dal
luogo bucolico, ma dallo stare davanti al fuoco con qualcuno di buona compagnia. Non vuole
qualcuno con il quale discorrere di temi alti, ma che gli racconti una storiella.
“El rey che rabió” è una storia popolare tipica spagnola.
È stata ripresa anche nella zarzuela, un genere teatrale noto come “genere piccolo”. Una delle
più famose si chiama “El rey che rabió”. Góngora non vuole sentire disquisizioni filosofiche, ma
solo qualche storiella per passare il tempo davanti al fuoco. C’è il contrasto con coloro che si
preoccupano del governo del mondo.

Busque muy enhorabuena


El mercader nuevos soles;
Yo conchas y caracoles
Entre la menuda arena,
Escuchando á Filomena
Sobre el chopo de una fuente;
Y ríase la gente.

“Che si alzi presto il mercante per cercare nuovi soli”, nuovi continenti. “Io invece, se devo
andare in luoghi esotici, che sia un posto con la sabbia fine, dove ci sono tutte le conchiglie,
ascoltando poesie sul pioppo vicino a una fontana”. “Filomena” è una forma colta per dire
"l'usignolo", che è spesso metafora della poesia. Qui c’è un locus amoenus più classico.
Lui si vuole ritirare in un locus amoenus ad ascoltare la poesia, che la gente faccia quello che
vuole.

Pase á media noche el mar,


Y arda en amorosa llama
Leandro por ver su dama,
Que yo mas quiero pasar
De Yepes á Madrigal
La regalada corriente;
Y ríase la gente.

“Che passi a mezzanotte il mare e arda nella sua luminosa fiamma Leandro per vedere la sua
dama, io invece voglio passare la corrente del vino che va da Yepes a Madrigal”. Yepes e
Madrigal sono due località in cui si fa il vino. Si mette in contrasto con un mito classico, morire
per la propria dama. Leandro, ogni notte, per vedere la sua dama Ero attraversava lo stretto dei
Dardanelli, il mare, per incontrarla. Tutte le notti faceva questo viaggio a nuoto. Un giorno però
affoga ed Ero si suicida. È un classico mito greco. Sta facendo riferimento a una storia tragica,
alta. Questo riferimento al vino è un elemento tipico della poesia anacreontica. Anacreonte era
un poeta greco del IV sec., un poeta greco classico, che cantava spesso di temi giocosi,
d’amore, di vino, di socialità. Spesso nelle poesie di Anacreonte si cantava il bello dell’amicizia
e dello stare insieme. È un carpe diem declinato su temi della società e della convivialità. Da qui
si parla di poesia anacreontica parlando di quella poesia che fa riferimento a questi temi. Si può
dire che Góngora si sia ispirato a questo genere di poesia. “Che Leandro attraversi il mare, io
mi accontento di attraversare il fiume del vino”. Góngora era criticato per la sua poesia,
Quevedo scriverà molte satire per criticare Góngora. È stato anche dimenticato per secoli e
recuperato nel XX sec. Anche in questo suo voler fare continuamente riferimento a “che la
gente rida pure, io sto bene” può essere che avesse un appiglio nella sua biografia e nel suo
essere stato deriso.
Pues amor es tan cruel,
Que de Piramo y su amada
Hace tálamo una espada
Do se junten ella y él,
Sea mi Tisbe un pastel
Y la espada sea mi diente,
Y ríase la gente.

“Poiché l’amore è così crudele che di Piramo e della sua amata fa sì che il talamo sia una
spada”. Piramo e Tisbe è un altro mito greco, di autore ignoto. È stato reso celebre da Ovidio
nelle Metamorfosi. Piramo e Tisbe erano innamorati ma osteggiati dalle famiglie, si parlavano
da una crepa nel muro, amandosi in questo modo. Decidono poi di incontrarsi in un luogo fuori
città per non farsi vedere dalle famiglie. Arriva prima Tisbe e c’è una leonessa che la morde e le
strappa un po’ del vestito con un morso. Quando arriva Piramo trova questa leonessa con un
drappo insanguinato e crede che Tisbe sia stata uccisa, quindi si suicida. Arriva Tisbe che era
scappata, vede Piramo infilzato con la spada e per il dolore si infilza anche lei. I due si trovano
uniti in una sorta di talamo nuziale, ma in realtà è una spada che li trapassa entrambi.
È una storia che si ripete nella mitologia greca. “Poiché l’amore è così crudele che di Piramo e
della sua amata rende una spada il talamo (letto nuziale) dove si riuniscono lei e lui, sia la mia
Tisbe un dolce e la spada sia il mio dente”. Si burla anche dell’amore tragico, dicendo “visto che
l’amore è così crudele che anziché un letto nuziale ha dato a questi due poveri amanti una
spada che li ha trafitti, che la mia amata sia una torta che infilzo non con una spada, ma con i
miei denti”. C’è questa riduzione a burla anche dell’elemento più letterariamente colto.

Questa poesia è una letrilla satirica, è poesia anacreontica per il suo cantare i suoi elementi di
socialità e convivialità. Abbiamo visto come ci siano molti topici, tra cui il beatus ille, beato chi
abbandona il mondo per dedicarsi a occupazioni più nobili. C’è anche il topico dell’aurea
mediocritas, l’esaltazione di ciò che sta nel mezzo. C’è il disprezzo del mondo, il disprezzo della
corte. Vedere il mondo come qualcosa di caduco, preferendo la solitudine. L'aurea mediocritas
è la vita senza eccessi. È una poesia popolare ma con molti riferimenti colti. Mette in
contrapposizione questi miti, rivisitati in modo colto da così tanti poeti, preferendogli il vino o
una torta. Ovviamente l’elemento sagacemente burlesco si capisce solo se uno ha la cultura per
capire l’elemento alto. È una variante satirica del villancico e aggiunge qualcosa alla sensibilità
barocca di mettere in contrapposizione la realtà e l’ideale. Il mondo ideale è quello del governo,
del principe, dei miti, il mondo considerato importante. E c’è invece il mondo reale, fatto di
castagne, di burro, di ghiande. In modo giocoso Góngora sta mettendo in contrapposizione due
mondi. Questa contrapposizione tra ideale e reale tipica del barocco viene declinata in tanti
modi. In questo caso c’è sempre un contrasto.
Francisco de Quevedo (1580 - 1645)

Culteranesimo e concettismo, che non significa una poesia più semplice. È sempre una poesia
complessa, con riferimenti colti, che abbandona la perfezione del rinascimento e il suo
equilibrio. [Su Quevedo c’è un file su Aulaweb in cui si parla della sua opera]

Francisco de Quevedo nasce a Madrid. Suo padre svolge delle cariche importanti nella corte
reale. Si muove quindi nel contesto della corte, con tutto quello che comporta: da una parte
accesso alla cultura, le corti erano un luogo di cultura, c’era un mecenatismo che faceva sì che
si incontrassero artisti; ma c’erano anche intrighi e gelosie di palazzo, tanto disprezzate dai
poeti che gli prediligono la solitudine e la contemplazione. Compie studi molto solidi di
letteratura, di lingue antiche e moderne. Studia anche filosofia e teologia. Studia filosofia ad
Alcalá de Henares, un’importante università alle porte di Madrid, dove era nato anche
Cervantes. Studia teologia a Valladolid, che è un’altra delle università più prestigiose della
Spagna.
Fa studi ampli e solidi. Nel 1613 passa un periodo in Italia a Napoli, come Garcilaso. L’Italia è la
fonte di tutto il rinnovamento poetico e letterario e ha importanza anche nel barocco. È un
collaboratore del Duca di Osuna. In quanto uomo della corte subisce le sorti alterne dei potenti
e dei funzionari con cui collabora. A volte ottiene posizioni importanti se le persone con cui
collabora hanno ruoli importanti da parte dei regnanti, in altri momenti subisce sorti meno
fortunate. È stato persino esiliato e incarcerato. Vivere negli ambienti della corte ha queste
caratteristiche: l’accesso alla cultura ma la sorte alterna a seconda dell’andamento politico dei
funzionari con cui collaborava. La sua produzione è di prosa e poesia. La prosa satirica,
elemento fondamentale del barocco, come fuga dal mondo così complesso e deludente, che si
affronta spesso creandosi mondi alternativi, ma anche cercando una prospettiva più
moralizzante o restituendolo in forma burlesca o satirica. La satira è anche una potente arma di
condanna. Mettendo in ridicolo certi personaggi e abitudini si sta mettendo in luce l’ingiustizia.
È una critica sociale e politica. Le sue opere sono state divise dai critici secondo la struttura che
segue.
Prosa

Prosa satirica

A. Obras festivas
B. Romanzo
C. Satire morali e allegoriche
D. Critica letteraria

Prosa dottrinale
Opere politiche
Traduzioni

Poesia

- Metafisica
- Morale
- Religiosa
- Amorosa
- Satirica e burlesca

Quevedo è stato importante per il recupero degli scritti di Fray Luis de León, era un uomo molto
colto e quindi scrive anche di critica letteraria. Gli studi complessi e ampli che ha condotto lo
portano a potersi esprimere in diverse discipline, anche nella traduzione e anche in opere
politiche e dottrinali, era laureato anche in teologia. I temi della poesia sono vari. È un poeta e
uno scrittore che affronta quasi tutti i temi, spazia dal punto di vista tematico in modo evidente in
virtù di questa grande cultura che aveva, classica e di lingue moderne. Come da costante del
barocco è uno scrittore pessimista, che esprime una sorta di sopportazione stoica delle
circostanze. Si rende conto della decadenza della Spagna e ne ricava un’amarezza
esistenziale, una desolazione che si rifletterà nelle sue opere, sia di saggistica che di prosa
satirica. Quest’idea della decadenza della Spagna è ricorrente. Chisciotte è specchio di questa
decadenza, descrive una società poco nobile, che ha perso quei valori di grandezza del
rinascimento. Quevedo è un uomo della corte, di cui vede gli intrighi, vive la decadenza della
Spagna e della corte dall’interno. Conosce le debolezze della politica che stanno portando a un
declino inesorabile della monarchia spagnola. La disillusione del barocco si declina nelle sue
esperienze personali. Vede queste debolezze dall’interno. Secondo alcuni critici bisogna
dividere le opere di Quevedo prima e dopo la sua esperienza in Italia. In italia ci sta dal 1613 al
1620.
I critici utilizzano come spartiacque la sua esperienza italiana. Nella prima epoca Quevedo
cerca di farsi largo all’interno della corte nonostante i suoi difetti fisici (era miope, zoppicava, era
molto timido). In una corte in cui per affermarsi bisognava essere persone affascinanti
naturalmente il suo senso di non essere all’altezza di questo genere di vita lo rende timido e
insicuro. Ironizzerà molto sui suoi difetti oltre che sugli altri. Scrive poesie di diverso tipo, passa
dalla poesia bucolica alla prosa semi pornografica, satira di costume, polemiche letterarie.
Polemizzerà molto con Góngora, saranno in grande polemica tra loro, anche letteraria.
L’opera più famosa della prima epoca è la Historia del Buscón llamado Don Pablos. Viene
scritta dal 1603 al 1624 (ha una gestazione molto lunga) e viene pubblicata nel 1626. È un
romanzo picaresco.
Don Pablos è un picaro. Il “buscón” è di fatto un picaro. Rispetta tutte le regole della letteratura
picaresca. Don Pablos parla in prima persona, racconta la propria storia. È figlio di un ladro e di
una fattucchiera, quindi di origini umili. Deve lasciare la casa del padre per guadagnarsi da
vivere e ha una struttura episodica, come tutta la letteratura picaresca.
Sono una caratteristica anche del Chisciotte, queste avventure itineranti. Trovano posto in
questi episodi molte realtà dell’epoca. Un episodio si svolge all’interno della compagnia degli
studenti di Salamanca. Quevedo non aveva studiato a Salamanca ma sapeva descrivere
l’ambiente universitario. C’è l’ambiente universitario e svariati casi buffi relativi ai vari padroni
che servirà Don Pablos. È una struttura tipica della letteratura picaresca. Cercherà invano di
migliorare la propria sorte. Questo ci dice molto sul barocco. “Non migliora mai il proprio stato
colui che cambia solo luogo, e non vita e costumi”. L’elemento tipico dell’antieroe picaresco è
quello di cambiare continuamente luogo, ma questa riflessione amara di Don Pablos gli fa
capire come ciò sia inutile. Il cambiamento deve avvenire nella propria vita, non solo cambiando
luogo. È una visione pessimista. Manca in Quevedo una visione ascetica, religiosa. Guzmán de
Alfarache si risolveva con la conversione di Guzmán. L’autore fa capire come la religione sia
l’unico modo di riscatto per chiunque abbia peccato e abbia avuto una vita rocambolesca. In
Don Pablos non c’è questa visione religiosa. Viene ampliata la visione barocca, diventa quasi
una parodia della picaresca, utilizza i suoi schemi per distorcerla. Góngora ama la metafora,
simbolo del caos del mondo. Parlare per metafore significa non parlare in modo univoco, la
metafora descrive il mondo ma può avere più significati, bisogna interpretarla; la descrizione
realistica è univoca. Descriverlo attraverso la metafora significa complicarlo, significa che può
essere interpretato in più modi, significa aggiungere significati a qualcosa. Qui sta la sensibilità
barocca, che ci parla di un mondo di difficile comprensione. Descriverlo attraverso le metafore è
l’unico modo per poterne parlare.
I Sueños sono delle satire morali allegoriche e sono la sua opera più importante. Apparvero nel
1627 ma non si sa quando li scrisse, furono subito censurati dall’Inquisizione. Era uno scrittore
audace nei suoi riferimenti, mordace nelle sue satire, quindi scomodo. In generale le opere
scritte dopo il 1620 esprimono la grandezza di questo poeta. Il dramma esistenziale che vive è
allo stesso tempo sia un dramma esistenziale personale che politico, sociale. Si rende conto
della decadenza e cerca in qualche modo di narrare questa decadenza sia personale che
nazionale. Il barocco rappresenta lo scontro tra la realtà e le aspirazioni di grandezza di una
Spagna che non ha la grandezza di una volta. Da qui il disinganno, la brutalità dei fatti che si
oppone all’ideale.
Per Quevedo il mondo è un teatro. L’idea del mondo come un teatro è molto tipica del barocco.
Perché è un teatro? Il teatro è una rappresentazione. Come nel Chisciotte l’eroe vede un
mondo che non è reale, vede una sorta di rappresentazione, c’è ancora una volta lo scontro tra
reale e immaginato e le varie interpretazioni che può avere il mondo. In questo mondo gli
uomini combattono le loro battaglie con allucinazioni sempre più surreali e grottesche,
soprattutto in opere come il Sueño de la muerte e La hora de todos, che sono due satire. Il
Sueño de la muerte è una rappresentazione della visione del mondo di Quevedo. Il mondo è
governato in maniera dispotica da due realtà: la morte e il diavolo. Il trittico del Giardino delle
delizie è un’opera medievale di Hieronymus Bosch. Ci sono centinaia di personaggi e oggetti. È
un misto tra dettagli molto precisi e mostruosità. È irreale, onirico, grottesco. È un mondo simile
a quello descritto da Quevedo. I rapporti tra medioevo e barocco ci sono, c’è una sorta di
recupero di certe sensibilità medievali nel barocco. È tutto dettagliato ma mostruoso. È questo
che vuole descrivere Quevedo, un’accumulazione di elementi caotici, grotteschi, distanti dalla
perfezione rinascimentale.
Uno dei primi ispanisti italiani dice che “nel Sueño de la muerte, come nel trittico del Giardino
delle delizie, tutto è allo stesso tempo minuziosamente realistico e mostruosamente fantastico.
Il mondo è qui un brulicare di mentecatti, di infermi contagiosi, medici [...]”. È un mondo
mostruoso che è metafora della vita. Quevedo non descrive le storture del mondo in modo
realistico nelle sue satire, ma descrive il mondo mostruoso e l'accumulazione caotica di
elementi grotteschi come metafora della decadenza del mondo.
Qui c’è la sua grandezza sia dal punto di vista stilistico, nel trovare questa chiave di lettura del
mondo che si distanzia dal mondo stesso in modo totale, e dall’altra parte si può permettere di
descriverlo in modo molto dettagliato e preciso, perché sta descrivendo un mondo altro,
specchio della decadenza del mondo attuale. Il Sueño de la muerte è questa satira in cui si
scopre che i personaggi sono tutti morti. C’è ancora una volta il distacco tra la vita e
l’apparenza. I personaggi credono di vivere, ma non stanno vivendo. Ancora una volta vediamo
il mondo come rappresentazione, come teatro. La hora de todos è una sorta di testamento di
Quevedo, parla di un complotto compiuto da alcuni personaggi che, risalendo alla loro identità
attraverso giochi di parole, si scopre che sono personaggi realmente esistiti nella corte di Filippo
IV.
È una storia inventata, ma i personaggi che complottano contro il re in questa satira hanno dei
nomi che anagrammati (o risolti alcuni giochi di parole) si scopre essere dei personaggi veri
componenti della corte di Filippo IV. Alla fine di questi complotti, questi complottatori rivelano di
avere un libro sacro a cui si ispirano, Il Principe di Machiavelli. Tramano per arrivare al potere
della corte ispirandosi al libro di Machiavelli, che descrive un principe che fa di tutto per
raggiungere il potere. Uno dei principi che Machiavelli cita come esempio è Fernando
d’Aragona, il marito di Isabella di Castiglia. Sono satire, la satira è un genere letterario antico
che mette in luce i difetti morali delle persone e della società in modo caricaturale per
sottolineare le storture e le ingiustizie che si compiono. La satira mette in luce i difetti morali
delle persone che critica, anche in modo caricaturale, aumentandone le caratteristiche. Una
caricatura è “caricare”, forzare alcuni elementi, spesso negativi. La hora de todos ha un prologo
che mette in ridicolo persino gli dei. L’inizio di questa satira fa riferimento agli dei. C’è un
riferimento classico, aulico. Dal rinascimento in poi i riferimenti alla mitologia, al classicismo,
sono i più ricorrenti della letteratura. Persino gli dei, persino la mitologia degli dei, viene letta in
senso classico, satirico. Vedremo lo stile di Quevedo, cosa significa il concettismo, dire tanto in
poche parole.
Letteratura Spagnola 27/04/2022

Abbiamo visto, dopo Góngora, il secondo poeta barocco spagnolo per eccellenza, Francisco de
Quevedo. Ha una produzione letteraria molto estesa e ha abbracciato diversi generi.

Francisco de Quevedo - “La hora de todos” - Prologo

La hora de todos è una sorta di testamento di Quevedo. È un’opera che parla di un complotto
compiuto da dei personaggi che, sciogliendo i giochi di parole, si scopre essere personaggi
realmente esistiti nella corte di Filippo IV. È una satira sulla corruzione a corte. Alla fine di
questo complotto rivelano di avere un libro sacro, Il Principe di Machiavelli. Il prologo parla degli
dei. Se Góngora è il rappresentante del culteranesimo, Quevedo è il rappresentante del
concettismo. Una maggiore semplicità ma una grande densità di significato. È una divisione che
si fa per studiarli meglio, ma in realtà si tratta di due lati della stessa medaglia, quella di stupire
il lettore con l’ingegno.

Júpiter, hecho de hieles, se desgañifaba


poniendo los gritos en la tierra; porque
ponerlos en el cielo, donde asiste, no era
encarecimiento a propósito. Mandó que luego a
consejo viniesen todos los dioses trompicando.
Marte, don Quijote de las deidades, entró con
sus armas y capacete, y la insignia de viñadero
enristrada, echando chuzos, y a su lado, el
panarra de los dioses, Baco, con su cabellera de
pámpanos, remostada la vista, y en la boca
lagar y vendimias de retorno derramadas, la
palabra bebida, el paso trastornado, y todo el
celebro en poder de las uvas.

Analisi

Júpiter, hecho de hieles,

Questo è un gioco di parole tipico di Quevedo. Esiste un’espressione in spagnolo che è “hecho
de mieles”, che descrive una persona delicata, dolce, amorevole. “Hieles” è il fiele, è un gioco di
parole per dire che è arrabbiato. Questo stupisce: utilizzare una forma fissa cambiandone il
significato è sorprendente per il lettore.

se desgañifaba
poniendo los gritos en la tierra;

“Si sgolava”. “Poner gritos en el cielo” vuol dire “urlare al cielo”, farsi prendere dall’ira.
Lui è già in cielo essendo un dio, quindi grida alla terra.
porque
ponerlos en el cielo, donde asiste, no era
encarecimiento a propósito.

“Non poteva ostinarsi a mettere grida in cielo perché era già lì, doveva metterle sulla terra”.
C’è un ribaltamento di prospettiva. È anche uno specchio del ribaltamento di prospettive che c’è
sempre nella poesia di Quevedo e nella poesia barocca in generale.

Mandó que luego a


consejo viniesen todos los dioses trompicando.

“Ordinò che dopo venissero a consiglio tutti gli dei ruzzolando (che si mettessero a correre)”.
È una parola da non rivolgere a una divinità “ruzzolare”, è una rappresentazione grottesca di
questi dei.

Marte, don Quijote de las deidades, entró con


sus armas y capacete, y la insignia de viñadero
enristrada,

“Marte, Don Chisciotte degli dei”. Don Chisciotte era già diventato un archetipo all’epoca.
“Entrò con le sue armi e col suo elmo e lo scudo da vignaiolo in resta”. Don Chisciotte era
considerato un eroe un po’ strampalato, era un libro che i contemporanei consideravano buffo.
Ne coglievano i lati ironici e satirici. Don Chisciotte era già all'epoca di Quevedo il simbolo di
questo. Marte è il dio della guerra, ma è un Don Chisciotte degli dei.

echando chuzos, y a su lado, el


panarra de los dioses, Baco, con su cabellera de
pámpanos,

“Buttando lance, e al suo fianco lo scemo degli dei, Bacco, con i suoi capelli di foglie di vite”.

remostada la vista,

Questo è un neologismo che usa Quevedo da “mosto”. “Remostada la vista”, cioè “non ci
vedeva bene a causa del mosto”. Qui si vede il concettismo, Quevedo riassume “aveva la vista
offuscata perché aveva bevuto mosto” con “remostada la vista”.

y en la boca
lagar y vendimias de retorno derramadas,

“Lagar” è il torchio, quello che si usa per schiacciare l’uva. “E vendemmie di ritorno”, il vomito di
vino. Nella bocca aveva sapore di vomito di vino. Era un vecchio ubriacone, che aveva la vista
offuscata e da tanto bere vomitava vino. “Le vendemmie” che danno il vino ma di ritorno, perché
prima le ha bevute e poi le ha “restituite”. È una descrizione degli dei tutt’altro che nobile.
la palabra bebida,

“La parola bevuta”, viene attribuita una caratteristica del personaggio al suo modo di parlare.

el paso trastornado, y todo el


celebro en poder de las uvas.

“Il passo malfermo e tutto il cervello prigioniero delle uve”. È la descrizione di un ubriacone.

È un’opera che inizia nel suo prologo rivolgendosi agli dei, ma con una raffigurazione grottesca.
Il barocco è spesso così grottesco. Come nel quadro del Giardino delle delizie c’è una
descrizione molto dettagliata, molto realistica, ma è irreale, fantastica e grottesca. Il barocco si
rifà spesso al medioevo. Passiamo da un’epoca come il rinascimento, dove tutto era ordine, a
un mondo che si percepisce molto più caotico; e a una bellezza perfetta come quella
rinascimentale ma che diventa una deformazione. Gli dei, che sono la quintessenza della
bellezza, dell’ordine e della perfezione descritti in questo modo. Il rivolgersi agli dei non è un
rivolgersi a una cultura classica che rimanda all’equilibrio, ma il mondo barocco parte da questi
presupposti per descrivere un mondo che si percepisce come decadente. Un po’ per la
decadenza politica e sociale spagnola, ma anche per la decadenza dei costumi che va di pari
passo. Sarà poi anche decadenza culturale e letteraria poco più avanti. Si parte da un mondo
legato a quello rinascimentale e classico, come nell’esempio degli dei, ma si arriva a una realtà
deformata e caotica, che è una specie di contraltare all’ideale che si sogna. In questo Don
Chisciotte è un antesignano. Vede il suo ideale della nobiltà, della cavalleria, di sconfiggere le
ingiustizie ed elevare la sua dama; ma la realtà è di miseria, di delusioni, di personaggi poco
nobili. Lo scontro tra realtà e ideale nel barocco sarà l’elemento fondamentale.
Letteratura Spagnola 02/05/2022

Abbiamo commentato Quevedo, parlando limitatamente della sua produzione. Abbiamo visto il
prologo de La hora de todos, paragonandolo al trittico del Giardino delle meraviglie.
Abbiamo visto come Quevedo distorce la rappresentazione degli dei e abbiamo visto in cosa
consiste il concettismo. “Concettismo” non significa semplicità ma tutt’altro. Il culteranesimo è il
culto della forma, con una forma elaborata e difficile, mentre il concettismo dà più importanza al
significato. Sono due facce della stessa medaglia, in fin dei conti si tratta di stupire il lettore con
l’ingegno e l’uso della retorica.

Francisco de Quevedo - Soneto “A un hombre de gran nariz”

Quevedo ha scritto molto, ha scritto anche sonetti di tematiche serie, auliche. Questo è un
sonetto satirico, burlesco. La satira è una delle reazioni al pessimismo del barocco, al
desengaño.

Érase un hombre a una nariz pegado,


érase una nariz superlativa,
érase una nariz sayón y escriba,
érase un peje espada muy barbado.

Era un reloj de sol mal encarado,


érase una alquitara pensativa,
érase un elefante boca arriba,
era Ovidio Nasón más narizado.

Érase un espolón de una galera,


érase una pirámide de Egipto,
las doce tribus de narices era.

Érase un naricísimo infinito,


muchísimo nariz, nariz tan fiera,
que en la cara de Anás fuera delito.

È evidente l’anafora di “érase”. “Érase” è anche l’inizio di tutte le favole in spagnolo. Ci dà da


subito la sensazione di raccontarci qualcosa.

“C’era un uomo attaccato a un naso”, è la burla di un uomo col naso lungo. Sembra che
l’ispirazione possa essere ciceroniana. Pare che Cicerone avesse un genero molto minuto, e
che una volta abbia detto “chi ha legato il mio genero alla spada?” vedendolo con una spada in
mano.

“C’era un naso superlativo. C’era un naso boia e scriba. C’era un pesce spada molto barbuto”.
C’era quindi un naso enorme. “Boia e scriba” sono sostantivi che fungono da aggettivi. “Sayón”
normalmente si utilizza per intendere il boia di Cristo, e “scriba” può essere interpretato come il
dottore della legge ebraica. È quindi un sonetto antisemita. Il naso adunco fa parte di uno dei
più conosciuti luoghi comuni sulla fisionomia ebraica. Tutto ciò era molto comune all’epoca.
Quevedo ha satire contro gli ebrei, contro le donne, contro i banchieri.
Aveva una vita abbastanza tormentata, non era un uomo di grande fascino, esercitava il suo
diritto di critica in questo modo. Lo stesso Góngora ricevette diverse opere satiriche che lo
prendevano in giro. Si dice che questo sia un sonetto contro Góngora. Le diatribe letterarie
erano all’ordine del giorno ed erano molto accese. Qualcuno dice che sia un sonetto contro il
conte duca de Olivares e che pare avesse questa fisionomia. Sicuramente c’è l’antisemitismo,
che in Quevedo va a braccetto con l’odio per tutte le categorie che non gli andavano a genio.
Gli ebrei furono espulsi nel 1492, e non c’erano quindi ebrei, ma quelli che si erano convertiti al
cattolicesimo pur di non lasciare il paese. Molte persone erano però di origine ebraica, era
quindi molto comune. Si parla nell’800 di “antisemitismo senza ebrei”, perché ufficialmente
erano stati esplulsi. In quest’epoca era molto comune questa satira crudele. “Boia” si riferisce
all’uccisore di Cristo, la principale accusa che si fa agli ebrei è quella di aver ucciso Gesù. Ci
sono degli scritti di ebrei spagnoli durante il medioevo, quando cominciano ad esserci
persecuzioni antiebraiche, che vogliono dimostrare la presenza degli ebrei in Spagna prima
della nascita di Cristo. Ci furono delle spedizioni, con le navi dei Fenici arrivarono in Spagna
anche alcuni ebrei mercanti, ma una vera presenza ebraica in Spagna si ha dal I sec. Perché
questi rabbini medievali volevano dimostrare la presenza ebraica prima della nascita di Gesù?
Per dimostrare che non c’entravano con l’uccisione di Cristo. “Barbado” può voler dire sia
“peloso” che “squamoso”. Quindi può far riferimento sia al pesce squamato che al naso peloso.
Si parla in questo caso di “dilogia”, parola con due significati. “Un pesce spada”, c’è
l’animalizzazione del soggetto, viene paragonato a un pesce spada barbuto. Questo naso era
così lungo da essere comparato a un pesce spada.

“Reloj de sol” è la meridiana. “C’era una meridiana”. “Mal encarado” può voler dire “orientata
male” (deve essere nel punto giusto per segnare l’ora), ma può anche voler dire “con una brutta
faccia”. Anche in questo caso la meridiana, essendo un bastone lungo, è ancora una volta
metafora del naso lungo. “C’era un alambicco pensoso”. Un alambicco ha un tubo molto lungo e
gocciola (c’è ancora una volta il paragone con il naso). Prima abbiamo parlato di
animalizzazione, qui c’è una cosificazione. Sono procedimenti per degradare il soggetto
descritto. Sono strumenti che si utilizzano nella caricatura per dare questo senso di
degradazione del soggetto. “C’era un elefante sottosopra”. “Boca arriba” significa “sottosopra”,
ma è anche letteralmente “sopra la bocca”. Quindi questo è un altro riferimento al naso, e
un’altra animalizzazione. “C’era Ovidio Nasone ma più nasuto”. La famiglia dei Nasoni di Ovidio
viene qui utilizzata per dire “questo era più nasuto del Nasone”, è un gioco di parole. “Narizado”
è un neologismo di Quevedo. Anche in questo caso c’è il riferimento classico, anche se è una
poesia burlesca.

“C’era uno sperone di una barca” (altro riferimento al naso, altra cosificazione). “C’era una
piramide d’Egitto” (un naso grande come una piramide d’Egitto). “Le dodici tribù di nasi era”. Le
dodici tribù sono le dodici tribù di Israele, tutti gli ebrei. “Era come quello di tutti gli ebrei messi
insieme”. È un’iperbole scherzosa antisemita. È vero che ci fu l’espulsione degli ebrei e che
alcuni si convertirono perché la conversione era sufficiente per restare in Spagna. Non lo era
però per avere il rispetto e la fiducia. La Chiesa Cattolica riteneva che col battesimo ogni
peccato fosse sanato. Nella concezione popolare, soprattutto negli strati più bassi, rimane molto
sospetto per questa gente, ritenendo che si fossero convertiti solo per avere una vita più
semplice, ma che continuassero a “giudeizzare” in privato. Si arrivò a pubblicare i cosiddetti
“statuti per la pulizia del sangue”, dividendo tra cristiani vecchi e nuovi. I cristiani vecchi che
avevano avi non ebrei e i cristiani nuovi, discendenti di ebrei convertiti. Per poter avere accesso
a determinate cariche pubbliche bisognava essere cristiani vecchi.
La persecuzione che c’era prima dell’espulsione degli ebrei continua anche dopo, con queste
leggi di restrizione dei diritti. Ne avevamo parlato con il Chisciotte, è lo stesso Sancho Panza
che si vanta di essere un cristiano vecchio. La questione ebraica è molto presente in Spagna in
quest’epoca, anche dopo l’espulsione.

“C’era un nasissimo infinito, moltissimo naso, un naso così fiero (pronunciato, grande) che sulla
faccia di Anna sarebbe stato un delitto”. Anna è il sommo sacerdote che secondo i vangeli
partecipò al processo che condannò Gesù. Persino nella faccia di Anna sarebbe un delitto.
Anna racchiude in sé diverse caratteristiche: di essere un ebreo, di aver partecipato al processo
che ha condannato Gesù e di essere nasone. “Anàs” potrebbe essere un gioco di parole con
l’alfa privativo per dire “senza naso”.

Dal punto di vista formale abbiamo un sonetto perfetto dal punto di vista metrico e rimico.
Abbiamo anche un’ispirazione colta, benché siano satirici sono comunque riferimenti colti quelli
a Ovidio e Anna. Il barocco si basa sui principi del rinascimento ma li distorce. C’è il sonetto e
c’è il classicismo, ma non c’è più equilibrio. Non c’è neanche una conclusione, è come l’inizio di
un racconto che non si svolge. Rimane aperto, tutt’altro che chiuso ed equilibrato come doveva
essere il sonetto rinascimentale. C’è poi questa sperimentazione del linguaggio, con le dilogie.
C’è un uso della lingua, definito dai critici concettismo, che consiste nel dire tante cose in poche
parole. Poi naturalmente anche la reazione al disincanto del barocco, la satira. Questa
evidentemente lo è, con tutte le sue caratteristiche. Anche gli epigrammi greci hanno temi simili.
Qui c’è l’elemento anti giudaico, che è una sorta di aggiornamento delle satire classiche che
hanno queste caratteristiche caricaturali, tipiche della degradazione del soggetto per ricavarne
una caricatura.
Letteratura Spagnola 04/05/2022

Il teatro barocco

Il teatro è probabilmente il genere emblematico del siglo de oro e del barocco in quanto a opere
scritte e coinvolgimento del pubblico. È un fenomeno di costume senza pari. È la prima volta
che la cultura non è più appannaggio solo di chi ha i soldi e delle classi più alte, perché il teatro
può essere fruito anche da chi è analfabeta. È la prima volta che la cultura diventa appannaggio
di tutti. Questo fa sì che abbia una diffusione che le altre opere non potevano avere. Inizia come
imitazione della commedia dell’arte da parte di Lope de Rueda. Poi anche autori spagnoli
cominciano a scrivere opere e diventa una febbre di quest’epoca, la vera ossessione sia del
pubblico che degli autori. Ci sono due generi fondamentali: l’auto sacramental e la commedia.
L’auto sacramental era una rappresentazione sacra che si faceva all’aperto nelle festività
religiose, specialmente durante il Corpus Christi. Anche autori colti scriveranno autos
sacramentales, non è solo una rappresentazione popolare. “Commedia” comprendeva sia i
drammi che le commedie. È un’opera non più religiosa, non più sacra. Questa si rappresentava
o nei teatri di corte o nei corrales. Le corti erano in alcuni casi gli unici luoghi che disponevano
di teatri. I corrales erano i cortili delle case con le balconate, dove si sistemavano quelli che
potevano permettersi un biglietto più costoso, e per terra in piedi si metteva il popolo. Nascono
dapprima in modo spontaneo, poi vengono allestiti i cortili per accogliere le rappresentazioni
teatrali. Poi iniziarono ad essere costruiti i teatri, luoghi appositi per rappresentare queste opere.
I testi erano in versi, ma soprattutto dopo la rivoluzione del teatro di Lope de Vega si potevano
usare versi di diverse lunghezze, comincia ad esserci una libertà maggiore nella strutturazione
di queste opere. I temi erano i più svariati. I pasos sono scenette comiche senza una trama,
quasi degli sketch, costituiti da uno o più dialoghi divertenti, brillanti, e che hanno come
personaggi delle persone di estrazione popolare: servi, ladruncoli, le mezzane. Compare anche
la figura del “bobo”. Il “bobo”, che in spagnolo significa lo sciocco, il tonto, è un personaggio
altamente comico che ha un’importanza fondamentale. Il “bobo”, tra i personaggi popolari con
una parte leggera, è quello che spesso risolve la situazione e trova delle soluzioni inattese,
inaspettate. Nella sua follia ha delle intuizioni che altri non hanno. Anche dal punto di vista
linguistico sfugge dalle canonizzazioni, gli viene consentito un linguaggio più basso e volgare,
riferimenti più audaci. Questo chi conosce il teatro elisabettiano sa che c’è anche nel teatro
inglese, come il fool di Shakespeare. Dagli altri personaggi viene considerato un pazzo, ma dice
le più grandi verità che gli altri non dicono. Questa figura del bobo, che è una figura popolare
che nasce nei pasos, è molto importante. Gli entremeses sono una sorta di evoluzione dei
pasos, sono gli intermezzi tra un atto e l’altro. C’erano momenti vuoti, in cui c’era bisogno di
prendere tempo. Entravano in scena degli attori comici per intrattenere il pubblico in questi
momenti di vuoto. Sono un’evoluzione dei pasos e hanno questa funzione nella commedia.
Hanno di fatto la stessa struttura e saranno anche i precursori delle trame secondarie delle
commedie. Nascono con lo scopo di evitare momenti morti e di far divertire il pubblico, che si
sarebbe annoiato ad aspettare. La struttura abituale di un’opera teatrale dell’epoca è la
seguente.
La comedia

Si comincia solitamente con una lode a un personaggio, che magari ha finanziato l’opera o a
qualcuno a cui ci si vuole rivolgere, a cui l’opera è dedicata. Spesso nella loa si introduce il
tema che si va a trattare nella commedia. Uno degli attori entra in scena, fa una lode e dice di
cosa andrà a parlare l’opera. È qualcosa di tipico, per attirare l’attenzione del pubblico. C’è poi
la prima jornada della commedia (atto), poi c’è un entremés, il secondo atto o seconda jornada,
un altro intermezzo, che spesso era un ballo. Sono spettacoli compositi in cui si alternano
diversi generi: comico, drammatico, ballo. C’è poi la terza jornada della commedia e poi la fine,
che normalmente era un ballo o una sorta di ricapitolazione di quello che era accaduto.
Solitamente ripete anche il titolo dell’opera, così che il pubblico la ricordi. È facile capire come
abbia suscitato l’entusiasmo generale. Non c’era molto altro con cui intrattenersi, ma è qualcosa
che tutti possono capire e tutti possono immedesimarsi. Ci sono personaggi di diversi strati
sociali che possono suscitare l’identificazione o la simpatia del pubblico che spesso
partecipava. La struttura del corral avvolge, si partecipava commentando, c’era chi imparava gli
spettacoli a memoria, non c’erano grandi occasioni di intrattenimento. Diventa una mania
dell’epoca. Si passa dal non avere nulla ad avere spettacoli complessi e coinvolgenti. Nella
seconda metà del 16esimo sec. ci sono autori come Lope de Rueda e Miguel de Cervantes che
contribuiscono all'evoluzione del genere, che arriva nel suo punto più alto alla metà del 17esimo
secolo con Lope de Vega. Lope de Rueda si ispirava alla commedia dell'arte italiana da cui
nasce il teatro di quest'epoca, ma che subisce un’evoluzione evidente negli autori spagnoli e
viene quasi del tutto abbandonato. Se prima le compagnie italiane in Spagna erano
apprezzatissime poi scompaiono e si rivolgono ad altri paesi, perché la Spagna sviluppa questa
civiltà teatrale di grande valore che prende una strada autonoma. Lope de Rueda e poi
Cervantes sviluppano questo genere e alla seconda metà del 17esimo secolo sarà soprattutto
Lope de Vega che svilupperà questo genere. I temi trattati sono soprattutto quello dell’onore,
della vendetta, il cosiddetto genere di “cappa e spada”, ma i generi saranno i più disparati.

Lope de Vega (Madrid 1562 - 1635)

Lope de Vega è un colosso del barocco e del teatro spagnolo. Nasce a Madrid nel 1562. Siamo
a metà del 17esimo secolo. Studia ad Alcalá de Henares, che abbiamo già citato perché è una
delle università più importanti della Spagna. A 13 anni scrive già la prima commedia. È un
autore estremamente precoce ed estremamente prolifico. È uno di quegli autori che scrivono di
getto, sosterrà di aver scritto alcune commedie in poche ore, al contrario di altri autori che
passano una vita intera a meditarle. Lope de Vega avrà una facilità di scrittura impressionante,
che rispecchia il suo carattere interessante e appassionato. Sarà preso da mille avventure di
vario tipo. Ebbe due mogli, molte amanti, si arruolò nell’armada invencible. Fu al servizio del
Duque de Alba. Dei Duchi de Alba si dice che abbiano più titoli nobiliari della casa reale. Pur
non essendo di stirpe reale sono dei nobili potentissimi, anche adesso. All’epoca era
importantissimo, conosce l’ambiente della corte e gli intrighi di corte. È una vita avventurosa,
travagliata, piena di amori, di avventure. Dopo la morte di suo figlio e della seconda moglie ha
una sorta di cambiamento. Rimane molto scosso dalla morte della seconda moglie e del figlio e
decide di ordinarsi sacerdote, cosa che non gli impedirà di avere altre amanti, tra cui un’attrice.
È rilevante che quest’attrice perderà la vista e poco dopo perderà la ragione e lo lascerà nello
sconforto. È una vita vissuta in modo molto audace, che avrà un finale amaro. Cerca conforto
nell’ordinazione sacerdotale, cosa che lo aiuterà, ma questa cecità e follia della sua amante lo
lascia nello sconforto che lo accompagnerà fino alla fine. Gli ultimi anni della sua vita furono gli
unici sereni, quando si dedicò al sacerdozio lasciando la vita di avventure che aveva avuto fino
a quel momento. È autore anche di una produzione poetica molto ingente e varia, di carattere
religioso, amoroso e teologico, ma anche burlesco ed epico. È un autore anche poetico di
grande ispirazione e di grande varietà tematica. Scrive anche prosa, romanzi pastorali, novelle,
un romanzo dialogato del genere della Celestina, che si chiama La Dorotea, che non sarà
rappresentabile per la sua lunghezza ed estensione. È soprattutto un autore drammatico, lascia
così il segno nella letteratura spagnola. La sua produzione letteraria rispecchia la sua vivacità
umana estrema, sperimenta vari generi: la prosa satirica, la prosa burlesca, la prosa amorosa e
lo stesso per la poesia. Come autore drammatico sicuramente è da ricordare un trattato che
scrive nel 1609, Arte nuevo de hacer comedias, che sarà un’influenza per tutti gli autori
drammatici a seguire. “Comedias” significa sia dramma che commedia nel senso moderno.
Quali sono le caratteristiche che deve avere il teatro secondo lui? Il teatro era di ispirazione
classica fino a quel momento, era ispirato al teatro greco e latino. Molte regole secondo Lope
de Vega andranno rispettate.
C’è la divisione in tre atti (exposición, enredo, desenlace). Ci ricorda i poemi epici, inizia con
un’esposizione in cui si espone la situazione e dove si conoscono i personaggi. C’è poi l’enredo,
quel qualcosa che succede e che porta disequilibrio nella situazione iniziale. Il desenlace è la
situazione finale, che va a risolvere quella situazione che aveva squilibrato la situazione di
partenza, riportando un equilibrio. La tragedia classica aveva cinque atti, normalmente il terzo
era quello dell’azione che sconvolgeva l’equilibrio, qui invece si riducono a tre, col secondo che
è quello dell’enredo, la sovversione dell’equilibrio. Scritta in versi, come si era sempre fatto, ma
la lunghezza delle strofe dipende dalla situazione. Se si tratta di una situazione concitata in cui
ci sono persone che si scambiano la parola molto velocemente ci saranno versi più brevi, se è
un punto meditativo ci saranno versi più lunghi. La novità che Lope introduce è quella che i versi
possono essere di lunghezza differente a seconda della situazione drammatica che si sta
rappresentando, però sono scritti in versi. Non rispetta l’unità di tempo e di spazio ma sì l’unità
di azione. Stiamo parlando delle unità aristoteliche: l’unità di tempo, di spazio e di azione.
Secondo il teatro classico greco la rappresentazione doveva svolgersi in un giorno come
massimo di tempo, in uno stesso spazio e seguire le azioni dei protagonisti, senza troppe
distrazioni. Queste erano le regole delle unità aristoteliche. Secondo Lope de Vega si devono
rispettare le unità d’azione ma non quelle di tempo e di spazio. Effettivamente si svolgeranno in
diversi tempi e periodi, i personaggi andranno in diversi luoghi. C’è maggiore libertà rispetto
rispetto alle regole classiche del teatro. Viene rafforzata la figura del gracioso, un personaggio
divertente ma ingegnoso e astuto di cui abbiamo detto in precedenza. La figura del gracioso
avrà una importanza fondamentale e sarà presente praticamente in tutte le opere di Lope de
Vega e dei suoi seguaci. Questo trattato segnerà il teatro spagnolo, il grandissimo successo di
Lope de Vega farà sì che le regole da lui costituite diventino quasi legge per chi voleva scrivere
teatro all’epoca. Sì dà più importanza all’azione che alla psicologia dei personaggi. Calderón de
la Barca farà un teatro che verrà definito “filosofico”, qui siamo all’opposto: l’azione è la cosa
fondamentale. Gli stessi personaggi non si descrivono con lunghi monologhi, ma per ciò che
fanno. La cosa più importante è l'azione, vederli nello spazio scenico parlare e comportarsi,
l’importante è l’azione. Questo rispecchia anche il modo di scrivere di Lope de Vega, un modo
frenetico in cui fa succedere di tutto ai suoi personaggi. Il teatro di Lope abbraccia una
grandissima quantità di tematiche, di personaggi e tuttavia ha uno stretto vincolo con le
tradizioni spagnole. Ci sono vari temi: l’epica, l’onore, la religione. Sono temi che appassionano
il pubblico. Questa è la novità di Lope, l’idea di inseguire i gusti del pubblico. Góngora si
compiaceva di non piacere al pubblico, di essere difficile e non essere capito. Qui c’è tutto il
contrario. Lope de Vega parlando delle sue commedie dice: “siccome le paga il volgo, parliamo
in modo semplice, in modo che possa capire il pubblico e abbia piacere”. C'è la volontà di
piacere al pubblico ed essere popolari, nella forma ma anche nella scelta di tematiche.
La tematica dell’onore era molto sentita nella società dell’epoca. L’onore coniugale ma anche
l’onore nobiliare. Tematiche di cappa e spada, tematiche che si facevano risalire ai poemi epici,
la ripresa di personaggi epici amati dal pubblico. L’importante è piacere, più piaci al pubblico e
più vieni rappresentato, più guadagni. Lope de Vega pensava alle sue commedie come opere
orali. Non le pensava come opere scritte, ma come copioni da consegnare agli attori. Visto il
grande interesse che questo genere suscita si cominciano a pubblicare queste opere. Non
abbiamo l’originale dell’autore, questo è importante da sapere. Lope de Vega non scriveva
l’opera per essere pubblicata. Gli editori iniziano a basarsi per le loro pubblicazioni sui copioni
degli attori, ma gli attori spesso avevano solo una parte o erano piene di annotazioni e
cambiamenti. Non rispecchiano l’opera come l’ha voluta l’autore, sono in qualche modo parziali.
Ci si basa anche sui ricordi del pubblico. Erano così famose certe opere da essere imparate a
memoria. Gli editori, tra i copioni che si fanno dare dagli attori e i ricordi del pubblico, nascono
queste opere pubblicate che erano piene di errori, molto lontane dall’originale che l’autore
avrebbe voluto scrivere. Questo produce una serie di difficoltà filologiche da parte di chi vuole
studiare l’opera dell’autore. Per tanti autori esistono diverse varianti di una stessa commedia e i
critici, confrontandole tra di loro, fanno le cosiddette “edizioni critiche”, che raccolgono tutte le
varianti, e cercano partendo dai propri studi e dagli studi di altri autori, di capire quale fosse la
versione più vicina a quella originale. C’è questa difficoltà: non solo non sono pensate per
essere scritte, ma quando si scrivono si scrivono con molti errori e imprecisioni. Lo stesso Lope
de Vega dichiara di aver scritto 1500 commedie. Lope probabilmente esagerava, era una
persona istrionica e cadeva in queste esagerazioni. Però la sua produzione è comunque
sterminata. È uno dei più grandi autori della letteratura spagnola di cui non si conosce ancora
l’opera completa. Si sa che venivano rappresentate delle opere ma non si trova il testo. La cosa
curiosa è che uno dei più significativi autori della letteratura spagnola non sia ancora stato
catalogato. Il critico Menéndez Pelayo propone una classificazione delle sue opere che è
estremamente complessa. Quello che è evidente è la varietà dei titoli e dei temi che lui tratta.
Perché studiamo Lope come grande punto di riferimento del teatro barocco, qual è la differenza
con gli altri autori? Innanzitutto la sua prolificità, poi la sua capacità lirica. Scriveva di getto e
tuttavia, dal punto di vista lirico e della grandezza e valore letterario, raggiunge livelli altissimi
nonostante la velocità nella scrittura. Un altro elemento è la velocità dell’azione sul palco.
Spesso il pubblico è colto di sorpresa, diventa un teatro imprevedibile, che assolve
completamente al suo compito di divertire il pubblico e distrarlo. C’è poi la veridicità dei
protagonisti. I protagonisti attraverso le loro azioni si configurano come personaggi in cui il
pubblico si identifica o a riconoscere il tipo umano di qualcun altro. Questo riconoscere la
propria vita rappresentata fa sì che Lope svetti rispetto ad altri autori.

Classificazione

È una classificazione lunga perché lunga è la produzione dell’autore.

- Storie e leggende spagnole: Molte opere di Lope de Vega trattano di storie e leggende
spagnole. La conquista del rinascimento è stata quella di coniugare la tradizione
drammatica ispirata al classicismo con temi nazionali. Il barocco continua l’ispirazione
rinascimentale con una nuova sensibilità. Anche in questo caso è così. Coniugare la
tradizione drammatica classica con la storia e le leggende nazionali è molto fortunato.
Le fonti sono le cronache medievali, i romances, le canzoni tradizionali. I romances si
ispiravano all’epica, il teatro si ispira ai romances che a loro volta si ispiravano all’epica.
Leggende nazionali che si ripetono sotto diverse forme e sensibilità.
- Argomenti storici: L’epoca visigotica; i romani una volta conquistata la Spagna chiamano
i visigoti per combattere contro i barbari e i visigoti stabiliscono un regno spagnolo. Il
primo regno spagnolo è il regno visigotico. Su quest’epoca esistono diverse commedie,
Lope de Vega ha scritto diverse commedie. La reconquista è un tema fondamentale, gli
arabi arrivano nel 711 e da lì comincia la conquista della Spagna e la reconquista.
L’eterna battaglia tra mori e cristiani ha dato vita a poemi, romances e opere teatrali. I
fatti contemporanei servono anche per commentare ciò che avveniva, ma anche
leggende. El caballero de Olmedo è forse la più famosa commedia di Lope che si rifà a
una leggenda spagnola.
- Drammi di abuso del potere: Sono una tematica fondamentale di tutto il teatro barocco.
C’è un equilibrio iniziale che viene interrotto con l’irruzione nella vicenda di un potere
ingiusto, per poi ricostituirsi alla fine. Generalmente si tratta dello scontro di un nobile
con il popolo, di un governatore ingiusto. C’è una situazione di pace, quasi idilliaca in cui
vive il popolo. Un governatore ingiusto commette delle ingiustizie che creano la rottura di
quest’ordine e poi però si ristabilisce alla fine attraverso altre azioni. Normalmente lo
scontro è tra un nobile e il popolo o tra il re e il membro di una nobiltà, quando si tratta di
azioni che si svolgono in una classe sociale più alta.

Peribáñez y el comendador de Ocaña tratta di una coppia giovane e innamorata - composta da


Peribáñez e Casilda - insidiata dal commendatore, che si innamora di lei. È inoltre legato con
vincolo di vassallaggio ai giovani, loro sono i vassalli, sono legati da questa struttura
ampiamente medievale che esiste in Spagna all’epoca. La situazione dei due giovani innamorati
felici viene rotta dal fatto che il commendatore si innamora di Casilda e insidia la loro unione. In
quest’opera emerge anche uno dei conflitti sociali più acuti dell’epoca, quello tra cristiani vecchi
e cristiani nuovi. I cristiani vecchi sono quelli che possono vantare nella loro discendenza solo
cristiani. I cristiani nuovi sono quelli che hanno nei loro avi dei convertiti dall’islam o
dall’ebraismo. La storia della Spagna è attraversata da persecuzioni contro i mori e gli ebrei e
dall’espulsione di queste popolazioni. Tuttavia, dato che veniva sempre data la scelta se essere
espulso o convertirsi e rimanere, diverse persone si erano convertite e quindi c’è una
mescolanza ampia di sangue ebraico, musulmano e cristiano. C’è una mescolanza, dopo secoli
e secoli di convivenza. I cristiani nuovi erano moltissimi. Intorno al 1200 viene pubblicato il
cosiddetto “editto della pulizia del sangue”, che stabiliva che solamente i cristiani vecchi
potevano accedere a determinate cariche pubbliche, cosa che è sempre stata osteggiata sia dai
re che dalla Chiesa Cattolica, ma a livello popolare inizia ad imporsi questa differenza di
sangue. Anche nelle opere di Lope de Vega emerge questa distinzione, tanto che si associa il
cristiano vecchio al contadino e al cristiano nuovo la piccola nobiltà, la gente della corte. Si
sostiene che ci siano più cristiani nuovi nelle classi medio-alte. In quest’opera in cui si parla di
abuso di potere, di una classe più alta che abusa del proprio potere contro i più bassi, c’è anche
una sorta di scontro tra critsiani vecchi e cristiani nuovi. Il popolo quindi si sente investito di una
ragione in virtù del fatto di essere un cristiano vecchio. Peribáñez, il giovane la cui amata è
insidiata dal commendatore, ha l’ardire di affrontare il commendatore pur essendo di classe
sociale inferiore. Non si limita nel criticare il commendatore perché è forte della sua
consapevolezza di essere un cristiano vecchio, di avere una nobiltà che va oltre il titolo
nobiliare, che deriva dalla sua pulizia di sangue. Fuenteovejuna si basa su una vera vicenda
storica. Anche in questo caso c’è un commendatore che commette delle vessazioni contro il suo
popolo: maltratta gli uomini, cerca di violentare le donne e commette ingiustizie di ogni tipo.
Anche qui c’è un triangolo, i protagonisti sono Frondoso e Laurencia, due giovani che si amano.
Il commendatore insidia Laurencia, cercando di fermare l’amore tra i due giovani.
L’identificazione del popolo era forte con questa gente e contro gli ingiusti commendatori.
È molto nota la vicenda. Tutto il paese si mette d’accordo per fare un agguato al commendatore
e ucciderlo. Arrivano i re a Fuenteovejuna per intervenire (che erano i re cattolici), costituendo
un processo per individuare il colpevole e punirlo. Il popolo però si organizza e risponde che il
colpevole è “Fuenteovejuna”, risponde il nome del popolo. A dispetto di chi fisicamente ha
commesso l’atto tutti volevano ucciderlo. Vengono interrogati e la risposta alla domanda “chi ha
ucciso il commendatore?” è sempre "Fuenteovejuna". La compattezza di questo popolo che
assume la responsabilità del delitto in modo collettivo. È una storia molto famosa. C’è
l’identificazione del popolo che assiste alla commedia con il popolo di Fuenteovejuna, che è un
paese che esiste veramente, è in Andalucía. Un’altra opera è El mejor alcalde, el rey. Anche
questo è basato su un fatto storico. Spesso Lope de Vega si basa su fatti storici o leggende,
dalle quali trae le vicende che mette in scena nelle sue commedie. “Il miglior sindaco è il re”.
Il potere reale esce normalmente in modo piuttosto punito, sembrano abusi di potere in cui si
invoca una rivoluzione sociale.

- Drammi dell’onore: un’altra tematica fondamentale oltre all’abuso di potere è quella dei
drammi dell’onore. L’onore è una questione molto sentita all’epoca dal popolo. L’onore e
il dramma della perdita di questo onore erano tematiche molto sentite. El castigo sin
venganza parla di un dramma di perdita di onore coniugale.
- Drammi di tematica religiosa: anche la religiosità è fondamentale, c’è un ritorno nel
barocco a una religiosità che ricorda quella medievale, dopo questa sorta di paganesimo
che si vive nel rinascimento. Nella difficoltà di un’epoca così oscura e complessa
l’affidarsi alla religione diventa una via d’uscita. Ritorna una sensibilità religiosa molto
presente. Temi biblici, temi agiografici (si narra la vicenda umana di un santo).
- Drammi mitologici, pastorali e cavallereschi: opere con ambientazione bucolica, in cui i
protagonisti sono pastori. Disquisiscono in maniera aulica di temi alti.
- Drammi riguardanti storie e leggende straniere: non solo leggende spagnole che
circolavano all’epoca, che Lope cristallizza nei propri scritti, ma anche storie
greco-latine, storie medievali europee, storie italiane.
- Comedias de enredo: commedie di intrigo. “Enredo” deriva da “rete”. Alcuni titoli sono La
discreta enamorada, La dama boba e El perro del hortelano. Quest’ultima è una delle
più famose, è molto rappresentata. Le comedias de enredo comprendono peripezie più
disparate, succede un po’ di tutto e alla fine tutto si risolve col matrimonio.
Fuenteovejuna

La commedia di Lope de Vega e dei suoi epigoni si divide in tre atti, siamo nell’ultimo atto.
Laurencia e Frondoso sono i due giovani che erano insidiati dal commendatore.

LAURENCIA:
¿Aquestos los reyes son?

“Sono questi i re?”. Il marito le risponde “sì, e sono potenti in Castiglia”. C’è lo stupore di una
giovane paesana che si ritrova davanti ai re di Spagna. C’è stupore, ammirazione. “Sono
veramente belli, che li benedica sant’Antonio”. Non c’è un tentativo di ribellione contro il potere
reale, i re sono visti come coloro che possono mantenere l’ordine.

ISABEL:
¿Los agresores son éstos?

“Sono loro gli aggressori?”. Prende la parola il Esteban, , l’alcalde, il sindaco di Fuenteovejuna.

ESTEBAN:
Fuenteovejuna, señora,
que humildes llegan agora
para serviros dispuestos.

“Sono Fuenteovejuna, signora, che umili vengono adesso disposti a servirvi”. C’è
un’ammirazione e un rispetto per i sovrani, anche una volontà di servirli, non c’è inimicizia con i
re.

La sobrada tiranía
y el insufrible rigor
del muerto comendador,
que mil insultos hacía
fue el autor de tanto daño.

“L’autore di questo crimine è l’eccessiva tirannia e l’insopportabile durezza del morto


commendatore che mille ingiustizie commetteva un autore di così grande danno”. È stato lui
stesso con le sue azioni ad essere l’autore della sua morte, le sue ingiustizie e la sua durezza
erano insopportabili per il popolo. L’alcalde cerca di giustificare il popolo in questo modo.

Las haciendas nos robaba


y las doncellas forzaba,
siendo de piedad extraño.

“Ci rubava i nostri beni e le donzelle violentava, ed era estraneo alla pietà”. Era crudele.
L’alcalde non ha paura di parlare dell’ingiustizia commessa dal potere, scagliandosi contro il
commendatore e le ingiustizie che commetteva, ma mantenendo il rispetto per i re. Spesso si è
letta come un’opera rivoluzionaria, ma c’è molta sottomissione nei confronti dei re.
FRONDOSO:
Tanto, que aquesta Zagala,
que el cielo me ha concedido,
en que tan dichoso he sido
que nadie en dicha me iguala,
cuando conmigo casó,
aquella noche primera,
mejor que si suya fuera,
a su casa la llevó;
y a no saberse guardar
ella, que en virtud florece,
ya manifiesto parece
lo que pudiera pasar.

“Così tanto che questa ragazza che il cielo mi ha concesso, che nessuno in quanto a fortuna è
comparabile a me”. C’è un elogio della propria amata. L’amore tra i due crea identificazione nel
popolo e parteggiamento. “Quando si sposò con me quella prima notte, quasi come se fosse
sua la portò a casa sua, e se lei non avesse saputo badare a sé stessa, che è florida di virtù,
tutti capiscono cosa sarebbe potuto succedere”. Sta portando la sua esperienza per giustificare
quello che ha detto l’alcalde. Conferma le parole di Esteban. “Questa fortuna meravigliosa che
ho avuto stava per essere insidiata perché voleva fare della mia amata quasi fosse un suo
possedimento e grazie al cielo la sua grande virtù ha fatto sì che non succedesse nulla”.

Prende poi la parola Mengo, il gracioso. Prende la parola e parla in modo concitato, con un
accento dialettale ancora maggiore. Il gracioso è un personaggio più umile degli altri e questo
gli dà maggiore libertà. È uno del popolo, può parlare in modo più semplice. Riporta anche lui la
sua esperienza, ma ad un livello più basso e popolare.

MENGO:
¿No es ya tiempo que hable yo?

“Non tocca a me parlare?”

Si me dais licencia, entiendo


que os admiraréis, sabiendo
del modo que me trató.

“Se mi date il permesso so già che proverete sorpresa sapendo il modo in cui mi trattò”.
Porque quise defender
una moza de su gente,
que con término insolente
fuerza la querían hacer,
aquel perverso Nerón

“Perché ho voluto difendere una ragazza dalla sua gente”. Ho voluto difendere questa ragazza
dagli uomini del commendatore che volevano violarla, da quel perverso Nerone. “Nerone” qui
viene utilizzato come il sovrano ingiusto per antonomasia, è il commendatore. Il re che affama il
popolo e commette ingiustizie.

de manera me ha tratado
que el reverso me ha dejado
como rueda de salmón.

“Mi ha trattato in tal modo che il didietro mi ha lasciato come una fetta di salmone”. “Mi hanno
fatto il sedere rosso dalle botte che mi hanno dato”. In Mengo, il gracioso, la lingua è più
popolare con riferimenti anche bassi. Sta dicendo le cose come stanno.

Tocaron mis atabales


tres hombres con tan porfía,
que aun pienso que todavía
me duran los cardenales.

“Hanno pestato le mie natiche tre uomini con tanta energia che penso che ancora mi durano i
lividi”. Il riferimento alle natiche, al didietro, gli altri personaggi non avrebbero potuto farlo.
Invece è l’occasione di inserire qualcuno che fa ridere e quindi rende più vivace l’andamento
della commedia passando da un tono drammatico a un tono comico, e dire in modo diretto e
semplice la verità.

Gasté en este mal prolijo,


por que el cuero se me curta,
polvos de arrayán y murta
más que vale mi cortijo.

“In questo lungo male la pelle mi si rompe, polvere di misto di mortella più che vale il mio
potere”.
Letteratura Spagnola 09/05/2022

Fuenteovejuna

Il commendatore viene ucciso e i re mandano un giudice in paese per capire chi è stato e
punirlo. Il giudice fa torturare praticamente tutti, ma alla domanda “chi ha ucciso il
commendatore?” tutti rispondono “Fuenteovejuna”. C’è l’unione del popolo contro il potere
corrotto, che non si lascia intimidire neanche dalle torture e non dà il nome della persona ma
dichiara che il colpevole è tutto il popolo. Il giudice torna quindi dai re e dice “o li perdoni, o devi
uccidere tutti”, perché non c’è il nome di un colpevole. Laurencia e Frondoso sono i protagonisti
giovani. Nelle commedie ci sono sempre il galán e la dama, l’eroe maschile e l’eroe femminile.
Nelle commedie di abuso di potere c’è solitamente un tentativo di abuso sulla donna giovane. In
questo caso il triangolo amoroso è formato da Laurencia, Frondoso e il commendatore che la
vuole per sé. Laurencia si difende e mantiene la propria virtù. Arrivano al cospetto dei re e c’è
una situazione di sottomissione nei confronti dei re che non è messa in discussione.
Fuenteovejuna da qualcuno è vista come un’opera di rivoluzione contro il potere, ma in realtà
non si mette mai in discussione il potere reale nelle commedie di quest’epoca. Si mette in
discussione il commendatore perché è corrotto, non perché è un commendatore. Ci vuole
qualcuno che governi. Il popolo in questa fase non cerca una sovranità popolare, ammette la
sottomissione ai re. Sono assolutamente accettati e visti come belli e potenti. Esteban, il
sindaco, prende la parola e dice che “Fuenteovejuna umile è disposta adesso a servirvi”. Il
popolo è disposto a servire i re, non è contrario al potere reale. Frondoso parla della propria
esperienza, dice come la sua amata fosse stata vittima delle attenzioni del comendador che la
porta a casa sua per abusarne, ma riesce a difendersi. Senza che nessuno lo interroghi prende
la parola Mengo, il gracioso. Il linguaggio cambia, non è più così alto come prima, ci sono
riferimenti alle natiche. Evidentemente un tipo di linguaggio che non è presente negli altri
personaggi ma che qui si configura come più popolare e volgare. Capiamo che si tratta del
gracioso. Prende di nuovo la parola Esteban:

ESTEBAN:
Señor, tuyos ser queremos.
Rey nuestro eres natural,
y con título de tal
ya tus armas puesto habemos.
Esperamos tu clemencia
y que veas esperamos
que en este caso te damos
por abono la inocencia.

“Siamo tuoi vassalli, tuoi essere vogliamo, che sei re nostro naturale”. L’ordine delle cose
naturale è che ci sia un re e un popolo sottomesso ad esso. “E come tale noi abbiamo già
messo le tue insegne”. “Portiamo i simboli della tua corona perché siamo tuoi vassalli e
speriamo nella tua clemenza e ti diamo in cambio la nostra innocenza”. Si dichiarano innocenti
di quanto commesso. Il re si ritira per deliberare e sente questa frase, “o los has de perdonar, o
matar la villa toda”. Poi dà il suo verdetto.
REY:
Pues no puede averiguarse
el suceso por escrito,
aunque fue grave el delito,
por fuerza ha de perdonarse.
Y la villa es bien se quede
en mí, pues de mí se vale,
hasta ver si acaso sale
comendador que la herede.

“Poiché non si può verificare che cosa sia accaduto, sebbene fu grave il delitto per forza
bisogna perdonarlo”. Il crimine è condannato, nonostante il commendatore fosse violento e
ingiusto. “Non si castiga il popolo per mancanza di prove, sono costretto a perdonarli, anche se
vorrei punirli”. L’ordine naturale è stato da loro sovvertito in modo violento. L’ordine naturale è
che ognuno abbia un vassallo al quale deve sottostare. “Il paese è bene che rimanga sotto il
mio comando, perché ha fiducia in me”. “Sarò io direttamente a comandare su questo paese,
fino a che non troveremo un altro commendatore che la erediti”. L’ordine rimane lo stesso,
l’opera difende il sistema. La rivolta è servita per sopprimere un elemento che era corrotto, ma
non la sua funzione. Frondoso prende la parola e dice:

FRONDOSO:
Su majestad habla, en fin,
como quien tanto ha acertado.
Y aquí, discreto senado,
Fuenteovejuna da fin

Frondoso, il protagonista maschile, parla e si dirige al pubblico. È d’abitudine in queste parole


che le ultime battute siano dette rivolgendosi direttamente al pubblico e dicendo il nome
dell’opera. In questo caso lo fa Frondoso, che dice “sua maestà ha parlato, e ha detto una cosa
giustissima. E qui, discreto senato (gli ascoltatori, il pubblico), la commedia di Fuenteovejuna
finisce”. Rispetta l’usanza dell’epoca di rivolgersi al pubblico e ripetere il nome della commedia.

La poesia di Lope de Vega

Lope de Vega scrive molte poesie di tutti i tipi. È una poesia che abbraccia molti temi e strutture
metriche. La poesia di Lope passa dalle metriche più popolari a quelle più colte. Scrive lirica
profana, lirica religiosa. Le sue poesie si trovano sia nei libri di poesie, sia disseminate nella sua
opera, come nelle commedie. A volte sono le stesse commedie in cui un personaggio declama
una poesia. Spesso sono canzoni popolari. Lope cerca di incontrare il gusto del pubblico,
spesso quindi sono canzoncine popolari che inserisce nelle sue commedie. Traduce nella sua
poesia la sua esperienza vitale. È un uomo dalla vita turbolenta, agitata: ha avuto molte
avventure amorose, pentimenti, crisi di coscienza, slanci mistici. È una vita vissuta in modo
molto intenso dal punto di vista sentimentale. C’è nella sua poesia un marcato autobiografismo.
È una poesia che appare sincera. Il barocco riprende gli schemi del rinascimento. I sonetti sono
una forma classica, dai quali ci aspettiamo dei temi classici, qualcosa di già conosciuto. La
presenza dell’autore come io lirico è molto forte. In quanto allo stile non si può parlare né di
culteranesimo né di concettismo, o forse di entrambi insieme. Usa gli artifici di entrambe le
correnti perché è comunque un autore barocco, ma in modo molto personale.
Soneto LXI

È un sonetto petrarchista che tratta degli effetti devastanti dell’amore nella psiche dell’amante.
Non ci racconta l’aneddoto, non sappiamo cosa sia successo, ma sappiamo che sta soffrendo
per un amore travagliato, poi si capirà soprattutto per l’assenza dell’amata.

Ir y quedarse, y con quedar partirse,

“Andare, restare, e restando partire”. È un hyperbaton, la costruzione della frase non è lineare.
C’è il verbo alla fine, “partirse”, che ha un doppio significato in spagnolo. “Partir” vuol dire
“andarsene” ma anche “rompere, separare”. C’è una sorta di dilogia. C’è sia un chiasmo sia
delle antitesi. Tutte figure retoriche che indicano uno scontro. Tutto è confuso e contrastato. È
specchio del conflitto dell’amore, dello stato d’animo dell’autore.

partir sin alma y ir con alma ajena,

C’è ancora un chiasmo. “Partire senza anima e andarsene con l’anima altrui”. “Ajena” vuol dire
“altrui”, ma potrebbe significare “con l’anima alienata”. C’è sempre un contrasto, un’antitesi o un
ossimoro. Il conflitto, l’alienazione.

oír la dulce voz de una sirena


y no poder del árbol desasirse;

“Sentire la dolce voce di una sirena e non potersi dall’albero slegare”. C’è ancora un
hyperbaton, la costruzione non segue la linearità della frase. È un riferimento mitologico a
Ulisse e ai suoi marinai, che sentono la tentazione del canto della sirena e si fanno legare
all’albero della nave per non cedere. È un riferimento mitologico a questa scena, che indica
anche l’impossibilità di stare con l’amata. C’è forse anche il topico del carcere d’amore.

arder como la vela y consumirse

“Ardere come la candela e consumarsi”.

haciendo torres sobre tierna arena;

“Facendo castelli sulla tenera sabbia”. Castelli che si sfaldano immediatamente. Significa “farsi
illusioni che si disintegrano immediatamente”.

caer de un cielo, y ser demonio en pena,

“Cadere dal cielo ed essere demonio in pena”. Qui c’è ancora un ossimoro tra il cielo e il
demonio. È anche un riferimento biblico all’angelo caduto che diventa demonio, come Lucifero.

y de serlo jamás arrepentirse;

“E di esserlo non pentirsi mai”. Di tutte queste contraddizioni, addirittura di essere caduto
nell’inferno ed essere un demonio non pentirsi mai, perché fa parte della sua esperienza
d’amore. Non si pente di un amore che lo riduce in questo stato di confusione e perdizione.
hablar entre las mudas soledades,

“Parlare tra le mute solitudini”. Altro ossimoro, un’antitesi: “parlare” e “mute” sono in antitesi tra
loro.

pedir pues resta sobre fe paciencia,

“Chiedere pazienza in prestito alla fede”.

y lo que es temporal llamar eterno;

“E ciò che è temporale chiamare eterno”, cioè l’amore. Chiamare eterno ciò che è temporale,
l’amore è una bugia. Qui c’è il desengaño del barocco: l’amore è una bugia perché finisce e noi
lo cantiamo come fosse eterno. Qui c’è lo scontro tra ideale e reale, tema tipico del barocco,
che si declina nel vissuto amoroso del poeta. Chiamare eterno quello che è temporale. C’è un
riferimento al tempo, tempus fugit, tipico del barocco. Il tempo che fugge e che fa sì che tutto
alla fine scompaia, muoia, si consumi.

Sono tutti verbi all’infinito. È un sonetto costruito solo con verbi all’infinito. Questo fa sì che la
sua esperienza la voglia condividere con tutti. Sta parlando di un’esperienza personale, ma la
vuole rendere universale attraverso questi verbi impersonali.

creer sospechas y negar verdades,

“Credere ai sospetti e negare le verità”. Ancora un’antitesi: creer y negar, sospechas y


verdades. È tutto costruito su un contrasto unico. L’amore ci fa credere a cose che sono solo
speranze e sospetti nostri e negare le verità.

Normalmente dal punto di vista tematico i sonetti sono divisi tra le due quartine e poi le due
terzine. In questo caso è tutto una descrizione con questa accumulazione di opposti anche
violenti, molto diversi tra loro. Gli ultimi due versi è dove cambia un po’ il tema: c’è il primo verbo
coniugato, es.

es lo que llaman en el mundo ausencia,


fuego en el alma, y en la vida infierno.

“Tutto ciò che io ho descritto adesso con questa accumulazione di contrasti è ciò che chiamano
nel mondo l’assenza”. Capiamo che si tratta dell’assenza della sua amata, quella che gli
provoca tutti questi contrasti. L’assenza, forse la chiave di tutto, è “fuoco nell’anima, e nella vita
inferno”. È un inferno in vita l’assenza dell’amata. “Sento il fuoco che arde dentro di me ma non
posso esprimerlo, perché lei non c’è”.

I critici hanno cercato di capire chi fosse la sua amante, erano spesso donne sposate quindi
lontane per ragioni ovvie. Questo “fuoco nell’anima e nella vita inferno” rispecchia la vita che ha
vissuto Lope nel suo passare da una passione all’altra. Il sonetto nel rinascimento indica la
perfezione delle due quartine e delle due terzine, che tematicamente si rispecchiano l’una con
l’altra, lo schema rimico sempre perfetto. Qui invece non c’è nulla di perfetto, c’è solamente la
forma. Il barocco è questo: una forma apparentemente perfetta, ma sotto c’è il fuoco, l’inferno, il
contrasto. L’equilibrio rinascimentale è lontanissimo. C’è questo scontro tra ciò che vorremmo e
che invece è, che abbiamo visto anticipato dal Chisciotte, lo scontro tra ideale e realtà.

Soneto CXXVI

Il tema è simile. Ci sono praticamente due strofe intere formate solo da parole singole separate
da una virgola. È molto moderno, è solo la forma che è quella classica. C’è dentro tutta la
confusione sentimentale, psicologica che crea un amore contrastato.

Desmayarse, atreverse, estar furioso,


áspero, tierno, liberal, esquivo,
alentado, mortal, difunto, vivo,
leal, traidor, cobarde y animoso;

“Svenire, osare, essere furioso, aspro, tenero, liberale, schivo, animoso, mortale, defunto, vivo,
leale, traditore, codardo, animoso”. Essere tutto e il contrario di tutto. Ancora una volta è
impersonale, ci sono i verbi all’infinito e tutti questi aggettivi uno in contrasto all’altro.

no hallar fuera del bien centro y reposo,


mostrarse alegre, triste, humilde, altivo,
enojado, valiente, fugitivo,
satisfecho, ofendido, receloso;

“Non trovare fuori dal bene né agio né riposo. Mostrarsi allegro, triste, umile, altero, arrabbiato,
valoroso, fuggitivo, soddisfatto, offeso, sospettoso”. Mostrarsi tutto e il contrario di tutto.
Qualcosa che sconcerta sia noi che chi ci vede, perché dice “mostrarsi”.

huir el rostro al claro desengaño,


beber veneno por licor süave,
olvidar el provecho, amar el daño;

“Distogliere lo sguardo al chiaro disinganno”. Il desengaño, questa parola chiave del barocco
che è ripetuta due volte nelle terzine, al finale del verso, ha molta importanza. Fugge dal chiaro
disinganno. “So che è un disinganno, so che è un’illusione, ma io fuggo, distolgo lo sguardo per
non vederlo”. Rientra nella poetica barocca. “Bere veleno come se fosse un soave liquore”.
Sappiamo che è veleno, ma facciamo finta che sia un liquore soave. Ancora lo scontro tra reale
e ideale e il voler essere in qualche modo ingannato. “Dimenticare il profitto e amare il danno”.
“Tra il danno e il profitto amo la parte peggiore e mi dimentico dell’altra, sono una
contraddizione vivente”.

creer que un cielo en un infierno cabe,


dar la vida y el alma a un desengaño;
esto es amor, quien lo probó lo sabe.

“Credere che un cielo nell’inferno può rientrare”. L’antitesi tra cielo e inferno, uno rientra
nell’altro. Questo è quasi un elenco, un’accumulazione di elementi contrastanti tra loro che dà
l’idea del caos, della confusione. “Dare la vita e l’anima a un disinganno”. Dare tutti noi stessi a
qualcosa che si rivelerà alla fine una delusione. “Questo è l’amore e chi l’ha provato lo sa”. C’è
un coinvolgimento del lettore, che lo accomuna in un’esperienza che chi ha provato può
riconoscere in questo contrasto e violenza degli opposti, che è il sentimento amoroso descritto
come un “fuoco nell’anima” e lo lascia quasi balbettante.

Tirso de Molina (1579 - 1648)

Il suo vero nome era Fray Gabriel Téllez, è un altro religioso. Molti di questi autori scelgono
l’ordinazione sacerdotale o monacale. Tirso de Molina è stato un poeta, un narratore e
soprattutto un drammaturgo. È autore di moltissime opere teatrali, alcune sono attribuite, non
c’è la certezza che sia lui l’autore. Erano opere scritte per essere recitate, vengono trascritte
dagli editori come copioni. Le opere più importanti che gli vengono attribuite sono El burlador de
Sevilla e El condenado por desconfiado. Si dice che Tirso de Molina sia una figura intermedia
tra i due giganti del teatro spagnolo: Lope de Vega e Calderón de la Barca. Queste due opere
parlano entrambe della salvezza o meno dell’uomo, del libero arbitrio che l’uomo ha di agire per
il bene o per il male. L’uomo davanti al proprio destino e alla libertà che il libero arbitrio gli dà se
salvarsi o peccare. El burlador de Sevilla tratta di un nobile sivigliano che seduce molte donne,
disonorandole. Lo fa ingannandole, facendogli credere al buio di essere il loro amante o in
modo più subdolo. Arriva a uccidere il padre di una di esse e invita la statua funebre di questo
padre a cena. Il secondo titolo è “l’invitato di pietra”. Invita questa statua funebre che va alla
cena di Don Juan. Arriva questa statua alla cena e Don Juan comincia le sue solite burle. La
statua però lo trascina con sé all’inferno. Alla fine il re convoca tutte queste donne, tutte le
coppie separate da Don Juan e le sposa. In qualche modo si ritorna all’ordine iniziale. Si tratta
di una vicenda molto nota e rielaborata. È l’opera che fa nascere il mito di Don Giovanni. Tirso è
il primo ad aver dato una psicologia ai personaggi femminili, tradizionalmente tralasciati. In
questo caso sono molte le donne protagoniste del Burlador de Sevilla che hanno una psicologia
complessa. Tirso de Molina è colui che ha iniziato questa psicologia dei personaggi femminili. Il
siglo de oro spagnolo è molto prodigo di questi miti, che diventano archetipi umani. Si ricordi la
figura della Celestina, del picaro o di Don Chisciotte. È una letteratura quella del rinascimento e
barocco spagnolo che ha fornito grandi personaggi alla letteratura mondiale e anche la maniera
di interpretare la vita. Alcuni di essi sono quasi degli universali. El condenado por desconfiado
parla del libero arbitrio e della salvezza dell’uomo, come nel Burlador de Sevilla Don Juan
utilizza il proprio libero arbitrio per peccare, ma verrà punito alla fine.

Pedro Calderón de la Barca (1600 - 1681)

Siamo a fine barocco, il siglo de oro finisce a metà del ‘600. Siamo agli sgoccioli del siglo de oro
spagnolo, nasce in pieno barocco, nel 1600 e scriverà durante quest’epoca. Il suo è un teatro di
carattere più ideologico e dottrinale. Per questo Tirso è a metà tra Lope de Vega e la sua azione
e Calderón de la Barca con la sua riflessione. È un carattere ideologico, riflessivo. Tutto ciò che
in Lope era vitalismo qui diventa intellettualismo, anche il linguaggio era molto più semplice in
Lope de Vega. Qui invece c’è una scrittura più complicata, più concettista, più intellettualista. I
personaggi sono spesso simbolici, simbolo di qualcos’altro. Visse molto a lungo, 81 anni erano
per l’epoca un lasso di tempo considerevole. Fu soldato e si ordinò sacerdote nella piena
maturità. È un autore esclusivamente teatrale ed è un autore molto prolifico. Non scrisse tanto
come Lope de Vega, ma scrisse intorno alle 200 opere. Si cimenta in molti generi teatrali, come
il dramma filosofico, la comedia de enredo, el auto sacramental, la tragedia politica. È solo
autore teatrale ma si cimenta in diversi generi teatrali. È un uomo molto colto, studia dai gesuiti
e poi passa alle università di Alcalá de Henares e di Salamanca. Anche lui studia nelle due
prime università spagnole per antichità e prestigio. Mette la sua saggezza al servizio del
potentissimo Conde Duque de Olivares, un personaggio molto importante nella corte di Filippo
IV, dal quale è nominato direttore delle rappresentazioni del palazzo. Questo significava che
avrebbe scritto soprattutto per il selezionato pubblico della corte. Questa è un’altra grande
novità e differenza rispetto a Lope: Lope deve guadagnarsi il favore del pubblico inseguendo il
suo gusto e scrivendo in modo semplice e diretto, scegliendo tematiche che il pubblico abbia
voglia di seguire perché le sente come proprie. Calderón de la Barca, in quanto direttore delle
rappresentazioni di palazzo, scrive per un pubblico colto e selezionato, che ha un gusto diverso
da quello del popolo. Questa è una differenza importante. Con la caduta in disgrazia del Conde
Duque de Olivares si ritira ad Alba al servizio del Duca di Alba (altro nobile fondamentale), la
casata di Alba è tra le principali in Spagna. Calderón de la Barca si ordina poi sacerdote a 51
anni. Anche una volta ordinato sacerdote riesce a diventare cappellano reale, rimanendo
all’interno della corte. Dà maggiore spazio alla riflessione anche filosofica, al dramma
esistenziale e alla profondità psicologica. Lope de Vega dà molta più importanza all’azione che
alla profondità psicologica dei personaggi, qui è completamente il contrario. I personaggi
spesso si producono in lunghi monologhi nei quali parlano della propria psicologia ed emerge il
dramma esistenziale e la psicologia del personaggio. In Lope de Vega capivamo com’era un
personaggio dalle azioni, qui la tecnica del monologo viene maneggiata alla perfezione da
Calderón e sarà fondamentale per il suo teatro. Rinnova e dà maggiore importanza alla trama
secondaria. Lope si basava soprattutto sulla trama principale, quella dei protagonisti. In
Calderón avranno un’importanza maggiore la trama secondaria e la figura del gracioso. Il
gracioso è quel personaggio un po’ sciocco e divertente, che parla spesso a sproposito e dice
verità che altri non osano dire. È però un personaggio un po’ stereotipato. In Calderón de la
Barca acquisisce una dignità maggiore rispetto al teatro di Lope. Come tutti gli altri
drammaturghi dell’epoca riprende le regole stilate da Lope nell’Arte nuevo de hacer comedias.
È debitore di Lope perché tutti lo seguono, ma con queste particolarità che lo distinguono da
Lope in modo evidente: la maggior psicologia dei personaggi, l’elemento di riflessione e di
dramma interiore che hanno i personaggi e che esprimono spesso con i monologhi e la figura
del gracioso, che libera dagli stereotipi di cui era prigioniero nel teatro precedente. Il fatto di
vivere a palazzo e di scrivere per questo pubblico più selezionato fa sì che queste differenze si
possano esprimere e venire a galla in modo più evidente. Ebbe come tutti all’epoca avventure e
disavventure, anche amorose, ma non le ostentava. Se Lope era un personaggio estroverso di
cui conosciamo quasi tutto, Pedro Calderón de la Barca era molto più silenzioso, introverso,
modesto e sedentario. Anche le sue opere rispecchiano la sua personalità. Abbiamo visto
l’esplosività vitale di Lope e la sua poesia passionale; in questo caso abbiamo un personaggio
descritto come modesto e solitario e le sue opere sono meno impulsive di quelle di Lope, più
riflessive ed elaborate.

Pessimismo

Calderón de la Barca è nato in pieno Barocco e risente del clima di desengaño diffuso in questo
periodo e del contrasto tra vita e apparenza, la poca fiducia nella realtà. Una costante delle sue
opere è la fugacità della vita, il tempo che passa e non lascia nulla, tutto sfuma, tutto è illusorio.
Non esiste una verità univoca, monolitica, ma ci sono tante sfaccettature, è difficile capire cosa
è falso e cosa è vero. Questi sono tutti elementi tipici del barocco, anticipati dal Chisciotte.
È difficile interpretare il mondo, la realtà, capire cosa è vero e cosa è falso. Normalmente però
prima di cadere nello sconforto e nel nichilismo più totale, i personaggi di Calderón ricevono
l’intervento di un elemento superiore: può essere Dio, la morale, una forza superiore, una
devozione; qualcosa di superiore che interviene e ristabilisce l’ordine. Tuttavia al di sotto di
questa apparente ricostituzione dell’ordine c’è sempre il conflitto dell’uomo. La ricomposizione è
quasi sempre apparente, perché avranno più importanza i dissidi interni, le difficoltà, la fragilità
della vita, la fugacità del tempo. È un teatro che è stato definito “filosofico” per un motivo, si
interroga su tanti temi che sono i temi dell’uomo: la vita, il destino, il libero arbitrio. Come in tanti
autori barocchi la visione di un mondo così fuggevole e ricco di contrasti porta a una visione
pessimistica, per questo pessimismo.

Lingua

Che tipo di lingua è la sua? Nell’epoca di Calderón il concettismo e il culteranesimo sono


pienamente sviluppati quando Calderón comincia a scrivere. Le immagini estreme, la
abbondanza di figure retoriche e metafore, il cultismo di ispirazione gongorina, metafore o
similitudini audaci, le antitesi, sono tutte cose presenti nella sua opera. La lingua che abbiamo
visto per il barocco è anche di Calderón de la Barca. Ciò esprime i mondi labirintici dei suoi
personaggi. Se il mondo è difficile da interpretare e i personaggi si interrogano sulla realtà o
meno di ciò che vedono, sulla difficoltà di vivere. Le metafore e la forma così articolata è anche
uno specchio di questo mondo ricco di contrasti che è il mondo dei personaggi calderoniani. Le
accumulazioni, le metafore ardite si inseriscono perfettamente in questo concetto. Si
inseriscono anche in un filo conduttore molto logico: i personaggi di Calderón de la Barca
parlano con una razionalità e una logica molto evidente. C’è una tendenza all’analisi razionale
dei fatti e delle situazioni. I personaggi analizzano ciò che vedono per cercare di comprendere
ma lo fanno non in modo confuso, ma molto logico e razionale. Questo razionalismo e la
tendenza filosofica si percepiscono molto nei monologhi. Qualche critico ha interpretato questo
razionalismo nei monologhi come qualcosa di freddo, che dà più importanza alla perfezione
formale e logica piuttosto che al contrasto umano.

Destino

Ogni persona è artefice del proprio destino e quindi anche colpevole degli errori che commette,
così come era stato Don Juan. Tirso era a metà tra i due autori per questo: grande azione,
grandi avvenimenti nella trama, ma anche una riflessione filosofica, in questo caso sul libero
arbitrio. C’è questo nodo abbastanza difficile da sciogliere tra il libero arbitrio e i
condizionamenti, anche sociali.

Onore

È molto legato anche al tema dell’onore: un marito tradito deve uccidere la moglie e l’amante, e
viene anche perdonato dalla società e dall’autorità, è un suo dovere difendere il proprio onore.
Calderón dice “in questo caso il mio libero arbitrio mi impedisce di uccidere qualcuno, ma la
convenzione sociale me lo impone. Dove sta il mio libero arbitrio se sono obbligato a compiere
determinate azioni?”. Il tema dell’onore nel teatro precedente dava adito a diverse situazioni
drammatiche, che si risolvevano spesso nei matrimoni. Qui diventa qualcosa di metafisico, di
drammatico. Anche il tema dell’onore rientra in questi dubbi esistenziali di Calderón: “l’onore è
qualcosa che mi nobilita o che mi costringe ad agire in modo contrario alla mia mentalità, ai miei
sentimenti?”. Questi condizionamenti sociali fanno sì che il libero arbitrio non sia poi così libero,
aumenta il dramma della persona e aggiunge questo tema tragico anche al tema dell’onore.
Opere

Di lui si conservano 120 commedie e 80 autos sacramentales, è un’opera davvero ingente.


È lontana dalla produzione di Lope de Vega, ma lui scriveva di getto, anche in poche ore.
Questo è un teatro più meditato, più metafisico, più filosofico. I suoi capolavori sono El alcalde
de Zalamea, La vida es sueño, El mágico Prodigioso. Tra gli autos sacramentales El gran teatro
del mundo e La cena del rey Baltasar. El alcalde de Zalamea è un dramma storico che
denuncia le ingiustizie commesse da un capitano su un suo sottomesso a cui violenta la figlia.
I temi sono spesso ricorrenti. Su una struttura simile si inseriscono i drammi e i dubbi
esistenziali che in Lope de Vega non esistevano. La vida es sueño e El gran teatro del mundo ci
danno l’idea del suo teatro: “la vita è un sogno”, “il mondo è un teatro”. Questo scontro tra
apparenza e realtà in Calderón de la Barca è il fulcro di tutto il suo teatro.
Letteratura Spagnola 11/05/2022

La vida es sueño

La vicenda si svolge in Polonia, una Polonia inventata, un regno simbolicamente rappresentato.


Il principe di Polonia Sigismondo, il protagonista, viene rinchiuso dal padre in una torre perché
una profezia gli ha detto che, quando suo figlio sarebbe diventato re, sarebbe stato un sovrano
sanguinario. Per evitare di insanguinare il proprio regno il re di Polonia fa rinchiudere suo figlio.
Deve decidere la sua successione e ha un ripensamento: vuole provare a dare a Sigismondo
una nuova occasione e vedere se veramente saprà vincere il proprio destino. C’è già uno
scontro tra predestinazione e libero arbitrio. Sigismondo, secondo suo padre, è predestinato ad
essere un sovrano cattivo però il re vuole provare a mettere alla prova il libero arbitrio di suo
figlio Sigismondo e vedere se saprà essere più forte del proprio destino. Decide di fare un
ultimo tentativo e di verificare se sia possibile che l’intelligenza umana possa prevalere su
quanto stabilito dal fato. Trasferisce a corte Sigismondo narcotizzato, quando si sveglia si
ritrova nella corte e si comporta malissimo. Oltraggia tutti, arriva ad uccidere un uomo, esplode
la sua rabbia, non capisce perché si trovi lì. Sfoga la propria rabbia repressa commettendo
persino un omicidio. Al che viene nuovamente narcotizzato e riportato nella torre. Quando si
sveglia si ritrova nuovamente in prigione. Clotaldo, che è il suo servitore, lo convince che è stato
solo un sogno. Si convince che in realtà vivere è sognare, perché lui sente di aver vissuto solo
in quei momenti, è stato sempre incatenato tranne in pochi momenti che per lui sono la vita
vera. Clotaldo lo convince che era un sogno e quindi secondo Sigismondo vivere è sognare, la
vera vita è il sogno. Risvegliarsi significa quindi morire, perché si risveglia e si ritrova in catene.
C’è un contrasto che nasce in Sigismondo tra l’apparenza e la vita vera. Secondo lui la vita vera
era quella della corte, ma Clotaldo lo convince che era solo un sogno, una finzione, e che la vita
vera sono le catene in cui lui vive. Il popolo, saputo che il re di Polonia Basilio tiene prigioniero
l’erede al trono organizza una rivolta per liberarlo. Non capendo il motivo per cui il re debba
imprigionare l’erede al trono si scatena una rivolta popolare e Sigismondo viene liberato e
insediato come re. Basilio viene detronizzato e viene insediato come re Sigismondo. Cosa può
succedere con il trono in mano a un uomo che è stato incarcerato gran parte della sua vita,
destinato ad essere un sovrano sanguinario e che si ritrova con un padre che lo ha costretto a
questa vita? Sigismondo è lacerato da grandi dubbi, si chiede se vendicarsi su suo padre e
quindi imprigionarlo o ucciderlo. È in preda a questa confusione su cosa sia vero o no, sui
motivi della sua incarcerazione. Verso il finale si produce il desenlace finale: la prigionia,
l’esperienza così lacerante della vita narcotizzata e la liberazione hanno reso Sigismondo un
uomo saggio. Sigismondo è un uomo molto riflessivo e ora reclama la possibilità di essere
artefice del proprio destino, vuole essere un uomo buono. Non vuole essere vittima del destino,
vuole esercitare il proprio libero arbitrio per compiere il bene e quindi perdona il padre, che
inizialmente avrebbe voluto umiliare. Con il potere riacquistato restaura la pace e la giustizia nel
regno. C’è il classico ritorno all’equilibrio di tutte le commedie o drammi barocchi, c’è anche il
matrimonio finale. Ci sono molte trame secondarie, Calderón de la Barca sviluppa molto le
trame secondarie rispetto a Lope de Vega. È un dramma che è stato definito filosofico in cui i
temi fondamentali sono quelli dell’uomo, dell’essere umano.
Temi

- Conflitto tra la libertà e il destino. L’uomo che è predestinato. Anche Sigismondo è un po’
un universale, l’uomo che ha un destino e quindi il nodo tra libertà dell’uomo e
predestinazione. È un nodo teologico fondamentale. Quanto c’è nel libero arbitrio
dell’uomo? Quanto l’uomo sia davvero libero o condizionato da un destino o dalla
società. Sigismondo, una volta liberato nella corte si è comportato male perché era
predestinato ad essere cattivo o perché è stata la prigionia inflittagli dal padre a renderlo
violento?
- Inganno dei sensi e difficoltà di capire cosa è reale. Nella storia si tratta soprattutto
dell’episodio della corte, che secondo Sigismondo è stato l’unico momento di vita che ha
vissuto, ma viene convinto che sia stato un sogno. La nostra vita è quella che noi
viviamo o è quello che vogliamo credere che sia? C’è ancora il tema dell’apparenza,
dello scontro tra reale e ideale che avevamo visto in Don Chisciotte e nel barocco.
- Problema metafisico del destino dell’uomo. L’uomo è prigioniero di un destino, qui la
prigionia è anche fisica, è davvero in catene. Sigismondo è un modo per parlare di
qualcosa di più alto per quanto riguarda le nostre vite.

Monólogo de Segismundo, Primera jornada

Sigismondo si trova in catene e non capisce perché. In Calderón de la Barca i monologhi sono
espressione del tormento interiore e qui si condensa tutta la problematica dell'opera.

¡Ay mísero de mí, y ay, infelice!


Apurar, cielos, pretendo,
ya que me tratáis así
qué delito cometí
contra vosotros naciendo;
aunque si nací, ya entiendo
qué delito he cometido.
Bastante causa ha tenido
vuestra justicia y rigor;
pues el delito mayor
del hombre es haber nacido.

Inizia con un lamento, si sta lamentando. Si descrive “misero e infelice”. “O cieli, pretendo di
verificare, giacché mi trattate così, che delitto ho commesso contro di voi nascendo”. Ci sono
degli hyperbaton, tipici della poesia barocca. È un ragionamento che sta facendo con sé stesso,
che utilizza dal punto di vista linguistico le caratteristiche di un ragionamento logico. “Anche se
sono nato capisco che delitto ho commesso”. Ci sono diversi verbi che riportano alla volontà di
capire. “È stata colpevolizzata abbastanza la vostra giustizia e rigore”. Mette quasi sempre due
elementi giustapposti (giustizia/rigore). È un procedimento retorico per dare più ricchezza
all’argomentazione. Ci sono tutte le particelle tipiche di un ragionamento logico. Sta spiegando
in modo molto ragionato, siamo molto lontani dal teatro spontaneo di Lope de Vega, c’è un
ragionamento profondo dietro. “Poiché il delitto più grande dell’uomo è essere nato”. Questa è
un’iperbole dal punto di vista retorico. Parla forse del peccato originale, o del fatto che è un
delitto essere nati perché la vita è difficile da vivere.
Sólo quisiera saber
para apurar mis desvelos
(dejando a una parte, cielos,
el delito de nacer),
qué más os pude ofender
para castigarme más.
¿No nacieron los demás?
Pues si los demás nacieron,
¿qué privilegios tuvieron
qué yo no gocé jamás?

“Vorrei solo sapere”, tutto il monologo è un tentativo di capire il motivo della sua prigionia.
“Vorrei solo sapere, per placare le mie ansie”. È un discorso scritto per essere letti. “Vorrei
sapere cos’altro vi può offendere perché io abbia un castigo ancora più grande”. Le domande
rappresentano una volontà di comprendere. “Non sono nati forse anche gli altri?”. “Poiché se gli
altri sono nati che privilegi hanno avuto dei quali io non ho mai goduto?”. Qua comincia a farne
un’altra serie che danno l’idea dell’incomprensione. Inizia un ragionamento logico in cui per ogni
strofa si paragona a qualcosa.

Nace el ave, y con las galas


que le dan belleza suma,
apenas es flor de pluma
o ramillete con alas,
cuando las etéreas salas
corta con velocidad,
negándose a la piedad
del nido que deja en calma;
¿y teniendo yo más alma,
tengo menos libertad?

“Nasce l’uccello, e con gli ornamenti che gli danno una bellezza somma è solo un fiore di piume
(un pulcino), un mazzolino di ali quando le eteree sale (il cielo) taglia con velocità”. È una
concatenazione di immagini attraverso le quali definisce questo soggetto, l’uccellino.
“Negandosi alla pietà del nido che lascia in calma”. “E io che ho più anima ho meno libertà?”.
Nace el bruto, y con la piel
que dibujan manchas bellas,
apenas signo es de estrellas
(gracias al docto pincel),
cuando, atrevida y crüel
la humana necesidad
le enseña a tener crueldad,
monstruo de su laberinto;
¿y yo, con mejor instinto,
tengo menos libertad?

“Nasce l’animale feroce, e con la pelle che disegna macchie belle appena segno è delle stelle
grazie al sapiente pennello (la natura) quando audace e crudele la naturale necessità gli
insegna ad avere crudeltà”, perché deve cacciare. “È anche lui un animale bellissimo che
diventa crudele per istinto alla vita, mostro del suo labirinto”. C’è un riferimento colto al
Minotauro. “E io che ho un migliore istinto ho meno libertà?”. È una sintassi simmetrica in tutte
le strofe, che iniziano con “nasce —” e finiscono con “ho meno libertà”.

Nace el pez, que no respira,


aborto de ovas y lamas,
y apenas, bajel de escamas,
sobre las ondas se mira,
cuando a todas partes gira,
midiendo la inmensidad
de tanta capacidad
como le da el centro frío;
¿y yo, con más albedrío,
tengo menos libertad?

“Nasce il pesce che non respira, aborto di alghe e muschi e appena è un vascello di squame,
sulle onde si rimira, quando da tutte le parti si gira misurando l’immensità”. Per definizione
l’immensità non si misura, dà l’idea di una libertà estrema. “Di tanta capacità che gli dà
l’ambiente freddo”, l’acqua gli dà questa possibilità. “E io, con più arbitrio, ho meno libertà?”.
Nace el arroyo, culebra
que entre flores se desata,
y apenas, sierpe de plata,
entre las flores se quiebra,
cuando músico celebra
de las flores la piedad
que le dan la majestad
del campo abierto a su huida;
¿y teniendo yo más vida
tengo menos libertad?

“Nasce il ruscello, biscia che tra i fiori si snoda, e appena serpente d’argento tra i fiori offre uno
sfarzo”. Usa molte immagini e figure retoriche per descrivere la realtà. “Il campo aperto dà
maestà alla sua fuga”. Deve fuggire, è come la figura del mare per il pesce. Anche il ruscello
può in qualche modo decidere dove scorrere. “E io, avendo più vita, ho meno libertà?”. “Ho più
anima dell’uccello, ho più istinto dell’animale, ho più arbitrio del pesce, ho più vita di un
ruscello”. Dall’animale che vola, a quello sulla terra, a quello sotto il mare. Prende a esempio
tutti gli elementi, tutto il creato, addirittura gli elementi inanimati come il ruscello hanno più
libertà. C’è questa sintassi simmetrica. Alla fine c’è sempre la stessa domanda.

En llegando a esta pasión,


un volcán, un Etna hecho,
quisiera sacar del pecho
pedazos del corazón.
¿Qué ley, justicia o razón,
negar a los hombres sabe
privilegio tan süave,
excepción tan principal,
que Dios le ha dado a un cristal,
a un pez, a un bruto y a un ave?

“Arrivando a quest’angoscia, sono come un vulcano, un Etna, e vorrei tirar fuori dal petto pezzi
di cuore. Che legge, che giustizia o ragione sa negare agli uomini un privilegio così soave,
un’eccezione così fondamentale che Dio ha dato a un cristallo (acqua), a un pesce, a un
animale, a un uccello?”. Ripercorre tutto al contrario. È una sorta di ricapitolazione di tutto
quanto.

È un teatro che va oltre, dove la logica e la razionalità servono a dare più forza al ragionamento,
ma sotto questa forma logica soggiace un’angoscia profonda.
Monólogo de Segismundo, Segunda jornada

Un altro monologo di Sigismondo, in cui irrompe dopo essere stato a corte ed essere esploso di
rabbia. Viene narcotizzato e riportato nella torre, gli viene detto che ha solo sognato.

Es verdad, pues: reprimamos


esta fiera condición,
esta furia, esta ambición,
por si alguna vez soñamos.
Y sí haremos, pues estamos
en mundo tan singular,
que el vivir sólo es soñar;
y la experiencia me enseña,
que el hombre que vive, sueña
lo que es, hasta despertar.

Il teatro barocco, nonostante certe modernizzazioni introdotte da Lope de Vega, è comunque un


teatro in versi. “È vero dunque”, “dunque” ci fa capire che è arrivato a questo monologo dopo un
ragionamento. “Reprimiamo questa ribelle condizione”. “Devo reprimere il mio tentativo di
ribellione, questa furia, perché forse ho sognato”. C’è questo contrasto, da una parte la ribelle
condizione, ma forse era solo un sogno. “E se faremo così, poiché siamo in un mondo così
bizzarro che il vivere solo è sognare e l’esperienza mi insegna che l’uomo che vive sogna ciò
che è, fino a che si sveglia”. È tutto basato sulle opposizioni (vivir/vive, soñar/sueña). “Vivere è
sognare, e l’esperienza mi insegna che l’uomo che vive sogna ciò che è, finché non si risveglia”.
Il risveglio quindi è la morte.

Sueña el rey que es rey, y vive


con este engaño mandando,
disponiendo y gobernando;
y este aplauso, que recibe
prestado, en el viento escribe
y en cenizas le convierte
la muerte (¡desdicha fuerte!):
¡que hay quien intente reinar
viendo que ha de despertar
en el sueño de la muerte!

“Sogna il re di essere re e vive con questo inganno comandando, disponendo e governando. E


questo applauso che ricevi in prestito nel vento si scrive”. Qui si vede la fugacità, il tempus fugit.
“E in cenere lo trasforma la morte”. Qui si vede il barocco, come nel sonetto di Góngora, tutto
finisce nella morte. Il concetto della morte, della fugacità della vita, sono concetti tipici del
barocco. “Grande sventura la morte, chi potrebbe voler regnare vedendo che deve svegliarsi nel
sonno della morte?”. Tutto si confonde, deve “svegliarsi nel sogno della morte”, ma il sogno era
la vita o la morte? I piani sono tutti sovrapposti, la verità per Calderón non è mai univoca. Non
esiste una verità monolitica, esistono i tentativi di interpretazione dell’uomo, che sono fallaci. Ci
sono sempre ripetizioni dei verbi sognare, svegliarsi, morte, vita. È tutto giocato su questi campi
semantici in opposizione e intercambiabili tra di loro.
Sueña el rico en su riqueza,
que más cuidados le ofrece;
sueña el pobre que padece
su miseria y su pobreza;
sueña el que a medrar empieza,
sueña el que afana y pretende,
sueña el que agravia y ofende,
y en el mundo, en conclusión,
todos sueñan lo que son,
aunque ninguno lo entiende.

“Sogna il ricco nella sua ricchezza, che gli offre più preoccupazioni”. Questo “cuidado” è usato
in tante poesie inteso come “preoccupazioni”, in opposizione con l’aurea mediocritas, il beatus
ille, il contemptu mundi. La ricchezza come fonte di preoccupazioni. L’uomo saggio è colui che
si ritira e vive di poco. La ricchezza per l’uomo saggio è solo fonte di preoccupazioni. “Sogna il
ricco ma sogna anche il povero di soffrire la sua miseria e la sua povertà”. C’è l’anafora di
“sueña” all’inizio di ogni verso. È tutto un sogno. “Sogna colui che inizia a guadagnare, sogna
colui che si affanna e pretende, sogna colui che opprime e offende. Nel mondo, in conclusione,
tutti sognano ciò che sono, ma nessuno lo capisce”. La vita è solo apparenza, sogniamo di
essere quello che siamo.

Yo sueño que estoy aquí,


destas prisiones cargado;
y soñé que en otro estado
más lisonjero me vi.
¿Qué es la vida? Un frenesí.
¿Qué es la vida? Una ilusión,
una sombra, una ficción,
y el mayor bien es pequeño;
que toda la vida es sueño,
y los sueños, sueños son.

Inizia con un ragionamento generale su ciò che è sogno e ciò che è realtà, passa a fare vari
esempi di persone e arriva a sé stesso. Prima ha spiegato bene cosa intende e poi è arrivato a
dire come si sente. “Io sogno di essere qui, di queste prigioni caricato, e ho sognato che in un
altro stato più lieto mi sono visto”. La forma è sempre uno specchio del contenuto. Parlare in
questo modo così arzigogolato è esprimere la confusione che si ha dentro. “Quando mi hanno
portato a corte ero in uno stato più lieto, ma era un sogno”. “Che cos’è la vita? Un delirio. Che
cos’è la vita? Un’illusione, un’ombra, una finzione. Il più grande bene è piccolo, perché tutta la
vita è un sogno e i sogni sono sogni”. Tutto è sogno, sia i sogni veri che la vita, che in realtà è
un sogno. La vita è o essere incatenati o immaginarsi qualcosa. La difficoltà di capire cosa è
veramente reale e cosa è illusorio. C’è questa ripetizione ossessiva con cui si cerca di
spiegarsi, anche con un ragionamento logico, il significato della vita.

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