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Letteratura spagnola I

Quando parliamo di letteratura spagnola medievale, noi parliamo di una letteratura in lingua
castillana. Il castillano non è l’unica lingua che si parla in Spagna, insieme al basco, catalano e
gallego o galiziano. Dobbiamo saper collocare dove si parlano le lingue e la geografia della Spagna.

Una delle lingue, quella ufficiale quando noi parliamo di spagnolo è il Castillano e si parla in Castilla
la Mancha, zona centrale e anche nel resto della Spagna e si può parlare anche in Cataluna, anche
se potrebbero guardarti schifato. Il Gallego è parlato in Galicia, territorio molto vicino al Portogallo,
come una continuazione e infatti ha molti tratti del portoghese.
Esiste un gallego portoghese perché c’è un’influenza portoghese, lingua utilizzata per la poesia. Poi
c’è il catalano, in Cataluna, dove si trova Barcellona ed è parlato anche un po’ in Valencia. Il Basco è
parlato al nord, in un paese chiamato Pais Vasco, è una zona di pescatori e c’è Bilbao.
Prendono il nome questi dialetti dalle zone in cui vengono parlate ma anche nei dintorni. A nord
Galicia, Pais Vasco, al centro Castilla y Leon e Castilla La Mancha, a destra la Cataluna e a sud
l’Andalucia. L’andaluco è il dialetto parlato in Andalucia, non è una lingua perché è un diverso tipo
di castillano (si mangiano le s). Extremadura confina con il Portogallo.
Quando noi parliamo di letteratura spagnola medievale parliamo di letteratura in lingua castillana,
la letteratura che si è sviluppata a partire dell’evoluzione del latino nel castillano. Lo spagnolo è una
lingua romanza, neo latina, che deriva dal latino.
Quando parliamo di volgare parliamo delle prima attestazioni dello spagnolo nella sua evoluzione
dal latino, tutto quello che era ufficiale nel Medioevo era in latino, anche le funzioni religione, i
documenti, quello che c’era di giuridico, di ufficiale a corte. Tutto il latino, il popolo quindi capiva
ben poco.
Il Medioevo è un periodo che va dal 9 secolo fino alla fine del ‘400 e in Spagna questa cronologia è
data dal fatto che la Spagna vive alla fine del ‘400 diversi avvenimenti.
La letteratura medievale prende il via dal 9 secolo quando noi iniziamo a recepire dei documenti
scritti in castillano e termina nel 1492 per diverse ragioni, in particolare una: la scoperta
dell’America, che ha dato il via ad un’apertura. Sono stati i re cattolici ad inviare Cristoforo
Colombo. Questi re, non solo avevano finanziato la spedizione, ma avevano fatto in modo che si
riunissero i regni di Castilla e Aragona, i due regni della Spagna all’epoca, creando così con il loro
matrimonio nel 1469, un regno unito e forte. Si chiamano re cattolici perché decidono di istituire la
religione cattolica come religione di stato.
Santa Inquisizione è una diretta conseguenza dell’impronta cattolica, è un organo censorio.
La stessa spedizione per la scoperta delle Indie aveva uno scopo religioso, perché si voleva andare
a scoprire queste Indie per convertire i possibili abitanti che la popolavano al cristianesimo, cosa
che è accaduta, ci è stata una colonizzazione dal punto di vista sociale, culturale e così via.
1492, re cattolici sposati, la Spagna sta diventando sempre più forte, sta diventando una colonia e
smette di essere colonia solo nel 1898, quando perde Cuba e Puerto Rico e Filippine, contro gli
Stati Uniti. Per quattro secoli è stata colonia.
Sempre nel 1492, c’è la cacciata del popolo oppressore che si trovava in Spagna da 8 secoli.
Nel 711 d.c. gli arabi invadono la Spagna.
Questa invasione terminerà nel 1492 con la ripresa l’ultima città rimasta in mano agli arabi,
Granada, che si trova in Andalucia. In Andalucia esistono bellissimi palazzi costruiti dagli arabi,
questa cosa deriva dal fatto che l’Andaluz (nome dato dagli arabi, e da cui deriva nome attuale) che
gli arabi sono stati più tempo in questa regione e quindi hanno avuto più tempo di stanziarsi.
Questa dominazione araba, nata nel 711, viene subito osteggiata dagli spagnoli che si alleano per
cominciare la cosiddetta Reconquista, cioè la riconquista dei territori in mano agli arabi. Non ci
riescono subito, però in tutto il periodo c’è stata un’opposizione degli spagnoli nei loro confronti e
allo stesso tempo una convivenza. Gli arabi hanno lasciato molta influenza nel territorio spagnolo e
infatti molte parole nel vocabolario spagnolo derivano dall’arabo.
1492, termina dominazione araba, quindi la Spagna è riunita sotto un unico potere. Altro
avvenimento sempre del 1492 è la pubblicazione da parte di Antonio De Nebrija della Primera
Gramatica della lengua castellana, prima grammatica dello spagnolo.
E molto importante che una lingua abbia delle regole fisse per tutti, significa che fino a quel
momento c’era stata un’evoluzione della lingua dal latino ma c’erano delle regole non scritte e si
potevano commettere errori, la lingua entrava nell’uso ma non nella regola grammaticale.
La pubblicazione della lingua castillana significa che c’è un altro tassello che rende la Spagna
potente, ha anche un’unità linguistica.
1492 – scoperta America, cacciata arabi definitiva e fine Reconquista e Primera Gramatica.
Avvenimenti che fanno finire il Medioevo, anche perché il Medioevo è stato studiato come un
secolo buio, di poco interesse, il periodo successivo si chiama Rinascimento, ossia rinascita dopo il
buio, come se questo Medioevo fosse stato qualcosa in cui non era successo niente.
In realtà il Medioevo è ben pregno di cose interessanti dal punto di vista letterario, sociale,
culturale e storico.
La letteratura spagnola ha origine quindi in un periodo che non è ben definito, quella medievale
termina nel 1492, ma quando comincia? Non abbiamo un documento o una prima attestazione o
qualcosa che ci dia un anno preciso ma ci sono diverse teorie.
Molto spesso si va avanti di teorie perché non abbiamo documenti ufficiali o opere. Nel Medioevo
non c’era la cultura del libro, non c’era la conservazione, niente libri e c’erano i fogli di pergamena
che venivano usati per le trascrizioni ridotti molto spesso male.
Per fortuna ci sono tanti teorici, critici, studiosi che hanno affrontato lo studio di queste origini e
hanno fatto teorie. La teoria più accertata sulle origini della letteratura spagnola è quella di uno
studioso che si chiama Marcelino Menéndez y Pelayo, che è uno studioso dell’800 che muore
all’inizio del ‘900, che scrisse diversi trattati su la letteratura spagnola in generale e quindi anche su
le origini della letteratura spagnola. (nome trattato non importante)
Lui è l’artefice di quella che viene chiamata teoria tradizionalista. Chiamata così perché la parola
tradizionalista deriva dal verbo tradere, che significa trasmettere, consegnare. La teoria si chiama
tradizionalista perché trasmette qualcosa di passato, deriva da qualcosa che era prima, come
appunto per il termine tradizione (qualcosa che passa di generazione in generazione e diventa di
usuale consegnato e trasmesso).
Perché si chiama quindi teoria tradizionalista? Perché Pelayo sostiene che la letteratura spagnola
derivi, o che comunque le sue origini si possano ritrovare in un sostrato culturale precedente.
Sostrato = una cultura che lascia qualcosa, ognuno di noi ne ha uno, quello che ci ha trasmesso
nostra madre o nostro padre o nonni ecc. Qualcosa che ci deriva dalla famiglia e ci viene
trasmesso, in cui noi nasciamo, lo abbiamo di base, conoscenze che ci danno la possibilità di
formarci. Ci formiamo grazie al nostro sostrato culturale.
Pelayo voleva dire che c’è tutto un passato dietro alla nascita delle prime attestazioni della
letteratura spagnola perché derivano da un sostrato culturale di una tradizione più antica. La
Spagna aveva avuto, prima di aver avuto i primi ritrovamenti di opere spagnole, aveva avuto delle
invasioni: quella visigota, romana ecc.
Queste popolazioni avevano istaurato in Spagna una determinata cultura con determinate opere
pubblicate e questa hanno dato vita a quella che sarà la letteratura delle origini.
Sostrato culturale = cultura che si ritrova all’interno della Spagna e che da vita alle prime
attestazioni della letteratura spagnola.
Le due culture che danno origine, secondo Pelayo, alla letteratura spagnola sono:
- Cultura Hispano-romana
- Cultura Hispano-visigota
La teoria tradizionalista è quella più accertata, a questa teoria se ne affiancano altre che non solo
parlano della nascita di questa letteratura delle origini, ma che parlano delle caratteristiche di
questa lettura delle origini, cioè che cosa c’è in comune nelle prime opere che sono giunte fino a
noi che noi abbiamo scoperto?
A fare ciò è un altro studioso che ha studiato la letteratura spagnola e ha pubblicato tanti testi sulla
letteratura spagnola medievale, molte teorie sono sue: Ramón Menéndez Pidal.
Questo studioso nasce a metà dell’800 e vive nello stesso periodo di Pelayo, vive molto di più Pidal
e scrive di più, tra cui trattati, opere critiche come una sui caratteri delle caratteristiche della
letteratura delle origini. Individua dei caratteri salienti della prima letteratura trovata in Spagna,
caratteri che naturalmente ritroveremo nelle opere che andremo a studiare e che man mano si
evolveranno (la letteratura cambia nel tempo).
Sono dei caratteri che riguardano:
- Struttura esterna, ciò che riguarda la composizione e struttura
- Contenuti interni, ciò di cui si parla all’interno delle opere
Ritrova queste caratteristiche perché le riscontra in diverse opere, vede che si sono delle cose che
sono in comune tra opere della letteratura delle origini e sono:
1) COLLETTIVISMO
Già dalla parola si capisce che si parla di qualcosa di collettivo, di varie persone insieme. A questo
collettivismo è strettamente collegata la caratteristica dell’Anonimato. Quasi tutte le opere, almeno
fino 1200 sono giunte a noi anonime, un autore l’avevano ma o non si firmava o non trascriveva le
opere oppure erano un insieme di autori (e quindi ci rifacciamo al collettivismo).
Molto spesso coloro che trascrivevano le opere non erano gli autori, erano dei amanuensi, coloro
che scrivevano a mano le opere. Le opere non erano trascritte dagli autori che le componevano e
quindi non venivano firmate.
Le opere della prima parte del periodo Medievale non solo non avevano l’autore, molto spesso
andavano perse perché non c’era la cultura della conservazione, del testo scritto, della diffusione
del testo, anche perché la stampa arriva in Europa nel ‘400 con Gutenberg.
La stampa viene scoperta in Cina, però ci ha messo tempo per arrivare in Europa, viene scoperta in
Cina nell’anno 1000.
Solo nel 1400 cominceranno ad esserci dei testi a stampa, infatti avremmo il libro del bueno amor
che avrà la stampa solo nel ‘700, ed è un testo del ‘300. In più la maggior parte della popolazione
era analfabeta, quindi anche se uno avesse scritto un testo nessuno avrebbe potuto leggerlo, il
popolo non poteva accedere a un testo scritto.
Perché collettivismo? Perché in realtà queste opere erano create a più mani. Nelle origini c’erano
questi personaggi, i giullari, che erano dei personaggi che non erano autori dell’opera, quelli erano
i trovatori, che erano più acculturati. I giullari erano coloro che li raccontavano questi testi e
passavano di bocca in bocca. Quando non ricordavano una parte dell’opera la cambiavano o
aggiungevano anche qualcosa, ciò significa che l’opera evolveva e ciascuno di loro ci metteva
qualcosa ed è questo il collettivismo, cioè un opera che nella sua definizione finale che era quella
dell’amanuense, che la trascriveva, arrivava trasmessa da più voci e quindi cambiata.
Collettiva perché poteva avere l’apporto di diverse persone. Il collettivismo esisterà anche
successivamente, come per Shakespeare, che scriveva insieme a dei collaboratori o amici, come
anche nel siglo de oro spagnolo ci sono dei autori in teatro che scrivono a più mani, ma era un
lavoro consapevole ed è quello che succedeva con i giullari. E’ come quando si tramanda una
storia, e questo accadeva con le grandi opere delle origini. Ed è per questo che poi sono anonime
perché poi non c’era qualcuno che firmava quest’opera finale.
Molto spesso il nome che si ritrovavano nel testo scritto, quindi trascritto, erano i copisti, coloro
che trascrivevano l’opera non coloro che l’avevano creata.
2) ORALITA’
Collegata alle altre due, come se in realtà si parlasse in un'unica caratteristica. Le opere erano orali,
i giullari raccontavano o cantavano l’opera, non la leggevano perché non c’era il testo scritto.
Questo era aiutato dal fatto che le opere fossero in rima. La rima che caratterizza le opere delle
origini è una rima assonante, che si distingue dalla rima consonante. La rima assonante è la rima
che vede la corrispondenza delle sole vocali a partire dall’ultima vocale tonica del verso.
In una rima assonante pane/mare fanno rima perché c’è la corrispondenza delle vocali. Stesso
discorso per rigo e mito.
Mentre la rima consonante è quella rima in cui troviamo la corrispondenza tra vocali e consonanti,
non più solo vocali. Rimano sia vocali che consonanti, è la cosiddetta rima baciata, come
male/pale.
E’ più facile trovare una rima assonante, perché nella consonante dobbiamo trovare anche le
consonanti uguali e non solo le vocali. Durante il Medioevo, infatti, la rima più utilizzata è quella
assonante. Se io devo riportare a memoria delle opere che erano in versi, non in prosa, (la rima
aiuta la memoria perché ha un ritmo che aiuta a memorizzare) nel momento in cui devo
raccontare delle opere in versi e non mi ricordo che cosa viene dopo e devo inventare, sarà più
facile da fare con la rima assonante. I giullari utilizzavano la rima assonante. La rima consonante
sarà utilizzata dal ‘200 in poi.
Perché tutto ciò è collegato all’oralità, la rima assonante veniva utilizzata nel momento in cui le
opere dovevano essere orali i racconti ed erano rime immediate. Il risultato di tutti questi
cambiamenti, di questi passaggi ecc era quell’opera che giunge a noi, che era probabilmente
diversa da come era stata creata, che però è stata scritta e quindi è quella che rimane.
Anche il Cantar del mio Cid è arrivato a noi come un manoscritto, che probabilmente non è uguale
a quella opera che era stata creata all’inizio e non lo verremo mai a sapere.
3) ANONIMATO
Già parlato prima, le opere erano anonime.

COLLETTIVISMO – ORALITA’- ANONIMATO = CARATTERISTICHE A LIVELLO


STRUTTURALE DELLE OPERE INDIVIDUATE DA PIDAL.
Caratteristiche comuni a livello tematico, individuate da Pidal:
1) REALISMO STORICO
Non si riferisce alla corrente letteraria con Verga, perché siamo nel Medioevo, quindi non si parla di
quel tipo di realismo.
La cosa importante è che il Realismo Storico di cui si parla si riferisce al contenuto delle opere, cioè
le opere rispecchiavano dei racconti reali.
Nelle le chansons de geste ci sono molti elementi fantastici, cioè inventati che non rispecchiano la
realtà, per esempio le spade magiche, o l’intervento di un drago o di una magia. Questo non lo
troviamo nella letteratura spagnola delle origini, ma anche quella della fine del ‘400. Non ci sono
elementi che non corrispondono alla realtà, perché in realtà gli autori che creavano queste opere
volevano quasi sempre insegnare qualcosa, avevano uno scopo didattico.
Se raccontavano delle cose che non corrispondevano alla realtà e quindi esoravano da quella che
era la possibilità della vita di tutti i giorni, allora non ci sarebbe stato alcun insegnamento, perché
era qualcosa talmente lontano dalla realtà di coloro che ascoltavano che non poteva essere seguita
o imitata.
Ciò significa che carcavano di essere quanto più attinenti alla realtà della storia della Spagna, quindi
ai personaggi famosi, a coloro che potevano rappresentare degli esempi, a coloro che erano
conquistatori o eroi. Tutti personaggi che potevano rappresentare un esempio reale di vita di tutti i
giorni, non un esempio fantastico a cui non si può arrivare, e questo è proprio quello che
rappresenta il Realismo Storico.
Il Cantar del mio Cid ruota attorno alla figura di un personaggio storico che è realmente esistito che
non fa mai nulla di più di quello che farebbe un uomo e addirittura piange anche.
2) SOBRIETA’
L’eccessività è il contrario della sobrietà. La letteratura spagnola medievale è senza fronzoli perché
si basa sulla spontaneità, sulla semplicità, sull’improvvisazione. I contenuti che trattavano erano
tutti contenuti pensati per il popolo, quindi non potevano possedere chissà quali fronzoli, erano
quindi molto semplici e immediate.
Se pensiamo che erano orali, se qualcuno si perdeva un pezzo, non poteva tornare indietro a
leggere, dovevano essere capite immediatamente. Dovevano essere necessariamente essere
comprese alla prima battuta anche per il fatto che fossero delle opere a scopo didattico o non si
sarebbe capito quale insegnamento si doveva dare, non arrivavano al loro scopo.
Gli unici fronzoli che può possedere questa letteratura sono quelli collegati alla tradizione
popolare, molto spesso all’interno di queste opere sono immortali proverbi, modi di dire,
metafore, episodi conosciuti dal popolo che venivano tramandati perché erano tutti conosciuti e
quindi erano subito recepiti perché conosciuti.
3) AUSTERITA’ MORALE
Austerità= avere un portamento serio, autoritario e morale si riferisce alla moralità, ossia
all’insegnamento.
Questo fa capire che le opere delle origini hanno una caratteristica di serietà, di voglia di arrivare
all’insegnamento morale didattico ma attraverso qualcosa di austero, di preciso.
Per esempio la tematica dell’amore, non troveremo mai in un opera di questo periodo passioni
sconvolgenti, tradimenti però troveremo l’amore casto, puro, virtuoso. Poi ci sono degli autori che
si sono allontanati da questa austerità morale, come Van Luis con il libro del buon amor. In Italia ad
esempio abbiamo il Decameron.
Tutto quello che veniva dall’influsso esterno veniva quasi depurato. C’era proprio questa voglia di
trasmettere purezza, virtuosità, anche sempre collegato all’insegnamento didattico, che spesso era
collegato alla religione cattolica.
Queste tre caratteristiche sono le caratteristiche individuate da Pidal nella letteratura delle origini
che ritroviamo anche sparse nella letteratura medievale e in continua evoluzione.
Man mano che ci allontaniamo dalle origini, si perdono, per esempio la prima che si perderà sarà
l’anonimato, nel ‘200 già avremo dei nomi.
Pidal si è inserito quindi nella teoria tradizionalista di Pelayo, che dice che la letteratura delle
origini deriva da letteratura hispano-romana e hispano-visigota, e ne ha dettato le caratteristiche.
Però ci sono anche altre teorie, oltre a quella tradizionalista, ci sono critici che parlano dell’origine
della letteratura spagnola come un poeta che si chiama Damaso Alonso. E’ un poeta appartenente
alla generazione del ’27, insieme a Lorca. Damaso Alonso critica quello che diceva Pidal sul
Realismo Storico, perché anche lui ha analizzato la letteratura medievale e ha detto che in realtà la
letteratura delle origini non è caratterizzata solo dal Realismo Storico, ma anche dall’Idealismo,
cioè che ci sono anche delle caratteristiche di idealizzazione di cose raccontate, quindi che possono
essere attinenti anche con la fantasia. Un minimo ha ragione, nel senso che non tutto quello che
viene raccontato nelle opere delle origini è attinente al realismo, ma ha ragione dai cantares de
gestas in poi perché i cantares de gestas sono attinenti completamente al realismo, perché
raccontano di gesta di eroi che sono eroi uomini che non hanno niente di sovrannaturale.
Altro autore critico è Claudio Sánchez-Albornoz, che da una parte appoggia la teoria tradizionalista,
perché dice che sicuramente c’è una tradizione dalla quale proviene la tradizione delle origini ma
non c’è afferma che non c’è solo la questione geografica, cioè il fatto che questi popoli abbiano
occupato geograficamente la zona della Spagna, ma c’è anche una continuità storica.
Cioè che la storia vissuta da questi popoli che si sono trasportati geograficamente in Spagna, hanno
fatto si che la letteratura nascesse da un fattore geografico e un fattore storico, quindi parla di
connessione geografica e storica dell’influsso di queste popolazioni.
Pelayo parlava dell’occupazione romana visigota in Spagna, che era un’occupazione geografica,
Sanchez-Albornoz sottolinea e mette in evidenza il fatto che non sia una tradizione solo geografica,
ma che ci sia una continuità della tradizione, sia dal punto di vista geografico, sia dal punto di vista
storico. Queste popolazioni non occupano solo un luogo, ma occupano il luogo trasportando con
sé la propria storia e quindi di conseguenza influiscono sulla letteratura anche con la loro storia.
Quindi c’è questa mobilità nella tradizione con un equilibrio di fattore geografico e fattore storico.
PER SANCHEZ-ALBORNOZ = GEOGRAFIA : STORIA
Ultima teoria di un altro critico, Amerigo Castro, che in un’opera del 1948, sostiene che non si può
parlare di letteratura spagnola prima del periodo in cui i spagnoli non prendono coscienza del
proprio essere popolo. Cioè, abbiamo detto che gli spagnoli hanno avuto la dominazione araba,
quando hanno cominciato a capire che dovevano allearsi tra di loro e cominciare a cacciare gli
arabi e quindi cominciare la Reconquista, è lì che Amerigo Castro individua il momento in cui può
nascere la letteratura spagnola perché fino a quel momento era una letteratura di un popolo
disconnesso, un popolo non unito.
Secondo Amerigo Castro ci deve essere alla base della nascita della letteratura di un paese,
l’unione di questo paese.
La letteratura è l’espressione orale e poi scritta del popolo, della lingua del popolo. La lingua è il
modo di espressione di un popolo mentre la letteratura è quello che esprime il popolo in quella
lingua. Che poi ci siano le varie correnti che passano da un paese all’altro, ma a seconda del paese
in cui arrivano acquistano delle proprie caratteristiche.
Quindi Amerigo Castro dice che il momento in cui gli spagnoli hanno preso coscienza del loro
essere spagnoli e quindi di voler mandar via l’invasore è il momento in cui si può dire abbiano
cominciato a creare quella che potrebbe essere la letteratura spagnola. Quindi quella vera
letteratura spagnola comincia dopo il 1492 per lui, quando il popolo è completamente unito.
Perché pensava questo? La Spagna è un po’ più spostata rispetto al resto d’Europa, ha l’oceano da
una parte, l’Africa e L’Europa. La sua posizione geografica fa si che sia sempre stata al centro di
mille culture, creando un crocevia di culture.
Infatti soprattutto nel Medioevo la Spagna è particolare, la capitale dell’epoca, cioè Toledo
rappresentava un luogo in cui si intersecavano la cultura cristiana, la cultura ebraica e quella araba.
Tre culture che hanno convissuto per molto tempo e che hanno dati il via a quello che poi sarà la
letteratura e la cultura spagnola.
Gli spagnoli hanno sempre cercato di avere la loro individualità, le loro peculiarità, anche
attingendo dalle altre culture. (spesso possiamo dire, x cosa viene dalla Francia ma acquisisce una
particolarità specifica in Spagna perché viene trasformata).
Amerigo Castro vuole che, secondo la sua teoria, la sua letteratura non è quella prima dei cantares
de gestas perché i cantares de gestas sono quelli che esaltano la cultura spagnola, ma siamo
ancora durante la Reconquista.
Non tenendo conto di quello che dice Castro, le prime attestazioni letterarie che abbiamo della
letteratura spagnola sono dei piccoli componimenti che si chiamano Jarchas.
Noi abbiamo delle piccole attestazioni linguistiche, non letterarie, della lingua spagnola, di cui non
sappiamo molto; si chiamano Glosas Emilianenses. Queste sono l’attestazione più antica della
lingua spagnola, cioè la prima attestazione del volgare castillano che conosciamo (potrebbero
essercene altre che non abbiamo ancora scoperto, ci potrebbe essere molto altro nascosto).
Le Glosas Emilianenses sono l’unica attestazione precedente alle Jarchas. Sono chiamate così
perché sono delle glosse, ossia scritture di lato ai testi che potremmo fare anche noi. Sono degli
appunti scritti al margine di un testo, appunti che servono a noi per ricordare. Queste glosse si
chiamano emilianenses perché sono state scoperte in un monastero, il monastero di San Millán de
la Cogolla, nella regione de La Rioja a nord della Spagna nel 1911.
Sono state trovate queste glosas perché in questo monastero c’era una grande attività culturale,
tant’è vero che li si trovava anche Gonzalo de Berceo e c’era un’immensa biblioteca di testi
soprattutto greci e latini, che erano i testi della classicità, ma in questo testo in latino c’erano questi
appunti al margine che erano traduzioni, commenti e appunti non più in latino ma in volgare
castillano, cioè il monaco che stava studiando questi testi ha pensato di prendere questi appunti,
ma non li ha scritti in latino perché la lingua stava già evolvendo e li scrive in castillano volgare.
Ciò significa che non sono dei testi letterari perché non hanno una continuità interna come può
averla una poesia, un testo ecc., ma ha un piccolo contenuto che si riferisce al testo ma ci fa capire
soprattutto che tipo di castillano si parlasse in quel periodo, per questo sono attestazioni
linguistiche. Naturalmente ci sono tanti cambiamenti da quel castillano volgare che troviamo qui e
anche i cantares de gestas, perché la lingua si evolve. Questo ci serve a capire che tipo di lingua
fosse quella parlata, non essendoci registrazioni.
GLOSAS EMILIANENSES= prima attestazioni di lingua castillana volgare ritrovata in questi
monasteri. (annotazioni marginali)
Una di queste è una preghiera.
Ci sono delle corrispondenze sia francesi che italiane di queste prime attestazioni, c’è un articolo
scritto da Damaso Alonso in cui lui si pregia del fatto che una delle prime attestazioni sia una
preghiera e gli spagnoli avevano un interesse verso l’aldilà più che verso le cose terrene. Egli dice
che ci sono due corrispettivi italiano e francese delle prime attestazioni del volgare.
La prima attestazione del volgare italiano è il Placido Capuano (testimonianze in tribunale di un
monaco dopo che un nobile gli aveva fatto causa perché diceva che aveva occupato delle terre che
appartenevano a lui, questo monaco che conosceva poco il latino, era più del popolo, da la sua
testimonianza in volgare italiano, ’900), Alonso mette quindi a confronto il fatto che la prima
attestazione del volgare italiano fosse giuridica mentre quella spagnola religiosa, così come il
corrispettivo francese è le jugement di Strasburbo (il giuramento di Strasburgo) dell’842, che è un
giuramento fatto in una battaglia, ancora peggio di quello italiano (come diceva Alonso), qualcosa
che deriva dalla violenza. In questo primo documento in lingua francese, in cui una delle parti
giurava in lingua volgare francese.
Quindi Damaso Alfonso diceva:
Prime attestazioni volgare italiano= giuridico
Prime attestazioni francese volgare= giuramento in battaglia
Prime attestazioni castillano volgare= preghiera, quindi per lui loro erano migliori.
Quindi:
1 attestazione linguistica del volgare castillano = Glosas Emilianenses
1 attestazione letteraria del volgare castillano = Jarchas
JARCHAS
Sono chiamate Jarchas Mozarabiche. Il Mozarabe è una lingua a metà tra lo spagnolo e l’arabo,
perché c’erano gli arabi, quindi inevitabilmente c’era questo influsso arabo sulla lingua.
(Anche per questo Castro diceva che non era proprio un inizio di letteratura totalmente spagnola)
Nel 1948 uno studioso Samuel Stern scopre queste piccole poesie e si rende conto di una cosa che
le parole arabe che c’erano scritte erano parole spagnole scritte con i caratteri arabi. Non erano
parole arabe. L’arabo non ha le vocali, quindi la trascrizione dalle parole spagnole era senza vocali
perché era trascritta con i caratteri arabi e quindi non poteva avere vocali.
Carga= dicitura araba jarchas.
Quindi il Mozarabe è la lingua parlata in Spagna in questo momento, era la lingua di comunicazione
tra i due popoli e quindi inevitabilmente nascevano produzioni letterarie scritte. Coloro che
studiano arabo, studiano anche nella loro letteratura le Jarchas, per questo influsso ambivalente.
Molto di quello che hanno lasciato gli arabi ancora lo abbiamo nello spagnolo e in Spagna,
abbiamo i monumenti, e tante parole, come tutte quelle che iniziano con AL (l’articolo arabo).
Anche noi in Italia ne abbiamo: algebra, algoritmo, tutte quelle che si rifanno alla matematica.
Le versioni che sono state scoperte, sia da Samuel Stern e da altri studiosi, ci sono arrivate in due
versioni, quella araba e ebraica. La cosa che le distingue è la maggior parte dei termini arabi o
ebraici che si trovano all’interno delle jarchas, però la maggior parte sono della versione araba.
Le Jarchas si trovavano alla fine di un componimento più lungo chiamato Moaxaja (la x nello
spagnolo medievale si legge sh). Era un testo in versi in arabo, alla fine o come ritornello di questo
testo si trovava la Jarchas. E’ un componimento tutto in arabo, Stern ha trovato mentre le leggeva
questi testi scritti con caratteri arabi, ma corrispondevano a parole spagnole, lui li ha estrapolati e
ci ha fatto un lavoro di aggiunta di vocali. Risalgono all’ 11 e 12 secolo la maggior parte ma ci sono
anche delle attestazioni che risalgono all’inizio del 9 e 10 secolo, proprio nel periodo in cui era
conquistata la dominazione araba.
La stessa parola Jarchas è araba che significa salida, uscita e significa che si trovava alla fine, come
chiusura della Moaxaja, era un ritornello e con il passare del tempo poteva ritrovarsi in più
Moaxaja.
La struttura delle Jarchas:
Si trova negli ultimi due versi, sotto la Moaxaja, detta salida, cioè l’uscita, la fine del
componimento, tutto il resto è la Moaxaja, che è in arabo, non è in mozarabe. E’ un componimento
arabo fatto in Spagna dai poeti arabi, non portano dal loro paese, quindi è qualcosa di arabo che
però è caratterizzato dalla letteratura in quel periodo in Spagna.
Le origini della moaxaja sono arabe, deriva da quella che è la Quasida, cioè il componimento lirico
arabo formato da versi lunghi che sono i versi con la quale è scritto anche il corano. La Moaxaja
deriva da un componimento arabo ma è un componimento degli arabi in spagna, la Quasida è un
componimento fatto di versi molto più lunghi che si trasforma in Spagna dove prende le sembianze
di un componimento con versi più brevi perché si adatta dopo alla struttura della metrica popolare
spagnola.
Dalla Moaxaja nascerà un altro componimento che si chiamerà Zéjel, che è diverso dalla Moaxaja
in quanto i ritornelli che erano in mozarabe non si trovavano solo alla fine, come le harchas, ma
inframezzati nel testo, come una canzone che ha un ritornello sempre uguale. Invece la Moaxaja
aveva solo il testo e il ritornello alla fine che era la Jarchas.
A rappresenta una rima (fingiamo sia una rima
con -are) ogni rima con are viene definita con A.
La rima B è una rima in -ire (esempio). Poi c’è C
con una combinazione diversa che è -ete.
Are-Are Ire-ire-ire Are-are Ete-ete-ete Are-are Usa-usa-usa

E poi c’è la jarchas finale che riprende la stessa


rima con cui inizia la Moaxaja, di solito non
sempre.
La Moaxaja ha una strutta metrica uniforme,
ossia è sempre la stessa, è fissa, tutte le prevedono (ovviamente con rima assonante, quelli sono
sempre esempi).
La Moaxaja, che è sempre un componimento più lungo e di derivazione araba, si era ben installata
in Spagna per acquisire una struttura così fissa, perché altrimenti sarebbero state sempre strutture
diverse.
La Moaxaja nasce, si pensa, nel territorio Andaluco, sud della Spagna; presenta l’assonanza e ha
questi versi. Era un Panegirico, ossia una esaltazione, una lode che si fa a favore di un personaggio.
All’epoca nelle corti si assumevano dei poeti per scrivere delle poesia dedicate ai personaggi nobili
e agli eroi e si facevano delle esaltazioni scritte a favore di questi personaggi. La Moaxaja di solito
rappresenta un panegirico nei confronti del committente, colui che pagava un poeta per avere un
panegirico. E’ quindi un omaggio che il poeta faceva a colui che lo pagava e lo richiedeva.
Poi cambia l’argomento con la jarcha, non è più dedicata al committente e cambia anche la voce
narrante e diventa una fanciulla di solito, che si lamenta della mancanza del proprio amato, perché
o questo amato non la vuole, o è andato in guerra e l’ha abbandonata o questo amato non lo ha
mai conosciuto e lo vorrebbe e si lamenta con un’amica, una madre o una sorella, ed è proprio così
che facevano le fanciulle delle jarchas.
Nelle jarchas si ritrovano delle parole arabe che entreranno anche nel vocabolario spagnolo come
ad esempio è Habib, che è l’amato, in realtà la traduzione sarebbe amico, ma un amico un po’
speciale e anche Sidi, che significa signore, da cui deriva Cid. Nelle jarchas troviamo queste parole
dell’arabo che si rifiniscono all’amato, che veniva definito anche colui che possedeva il cuore di
queste fanciulle.
Al giorno d’oggi sono state ritrovate un’80 di jarchas che hanno tutte più o meno la stessa
caratteristica: 1. la strofa che ha la rima D è una rima di passaggio che si fa tra il panigirico che si fa
della prima parte e la jarcha dell’ultima parte, questa strofa presenta la voce narrante che viene
introdotta e cambia un po’ il registro linguistico a seconda della persona a cui viene data la parola.
Il panigirico utilizza delle parole molto ricercate, mentre poi passa alla fanciulla che appartiene al
popolo e ha un linguaggio più semplice.
La maggior parte della harchas aveva il punto di vista delle fanciulle, alcune volte c’erano anche
inanimati che parlavano, animali, animali che rappresentavano varie virtù e vizi ecc. Queste jarchas
nascono da una situazione davvero esistente e cioè il fatto che le donna rimanevano a casa quando
i mariti andavano a combattere in guerra a riconquistare la terra spagnola o erano donne di soldati
arabi e andavano a combattere per mantenere i territori conquistati spagnoli. Quindi riflette una
situazione storica realmente esistente.
La jarchas è mozarabe quindi ci sono stati alcuni studiosi che hanno detto che non è possibile che
la jarchas possa definirsi come la prima attestazione di lingua spagnola perché c’è l’influenza di
un’altra lingua e cultura. Quindi altri studiosi, come Claudio Sánchez-Albornoz che dice che la
prima attestazione che possiamo riconoscere come prima letteratura spagnola in castillano sono i
poemi epici, tutti quei poemi che fanno parte dei cosiddetti cantares de gestas.
Perché lui ritiene che questi cantares sono le prime attestazioni pure della letteratura spagnola,
sicuramente hanno una derivazione francese e germanica, non sono proprio originali, non nascono
in Spagna come espressione letteraria me derivano da altri paesi. Una volta che vengono coltivati
in Spagna, acquisiscono delle caratteristiche proprie che li rendono originali, propri della
letteratura spagnola e completamente in castillano.
Quindi la lingua pura con cui cono composti i cantar de gestas, e non la lingua mozarabica con la
quale erano le jarchas fa si che Albornoz dica che la prima attestazione sono i cantares de gestas.
Noi studiamo però anche le jarchas perché esistono, e attestano anche un momento della cultura
spagnola.

CANTARES DE GESTAS
Terminologia:
Cantares = canto con la voce, oralmente e quindi oralità. Questi hanno proprio quella caratteristica,
sono orali e di fatti a noi ne giungono pochissimi perché in poche occasioni sono stati trascritti e in
poche occasioni ci sono arrivati integri perché non c’era appunto cultura del libro e della
trasmissione di questi testi.
Raccontavano le gesta, dal latino gelo, ossia fare, compiere. Le gesta sono cose che sono state fatte
e compiute, le imprese, fatte dagli eroi.
Cantares de gestas = canzoni orali che narrano azioni intraprese da qualcuno.
Tutto l’insieme dei Cantares de gestas forma quello che viene chiamata poesia epica. Epica, dal
latino epos, vuol dire parola, discorso, quindi la poesia epica vuol dire discorso in poesia, in versi.
Questo discorso in versi, fatto oralmente, riguarda le gesta dagli eroi.
Venivano cantate dai giullari (juglares) che quindi mettono in atto una corrente in Spagna in questo
periodo che si chiama Mester de Juglaria. Mester, dal latino minsterium che significa lavoro (lo
usiamo anche noi, mestiere) juglaria deriva ioculāris, che significa uomo che scherza (gioco,
giocoliere, da cui deriva giullare) = lavoro dell’uomo che scherza ossia il giullare.
Questi giullari, che sono stati molto studiati da Pidal, che ne ha scritto sopra un testo, avevano
diverse caratteristiche: c’erano dei giullari che sapevano cantare e ballare, c’erano dei giullari che
mimavano e altri che raccontavano ed erano quelli epici che raccontavano i cantares de gestas per
le strade. Poi c’erano quelli lirici che declamavano poesie, più lirici e brevi che avevano contenuti
amorosi o religiosi, si distinguevano.
1. Giullari epici
2. Giullari lirici
Però ognuno aveva una sua caratteristica. La caratteristica comune era però l’oralità.
C’erano questi versi che erano composti, non dai giullari, ma dai trovatori, che erano i poeti a
corte, quelli che studiavano ed erano più acculturati e componevano questi testi che poi
trasmettevano ai giullari che li cantavano per le strade.
A volte i giullari, declaravano questi cantares de gestas, come già detto perdevano qualche pezzo e
non lo ricordavano, quindi cambiavano e quindi cambiava nella trasmissione e da qui deriva quello
che era l’oralità e il collettivismo e poi l’anonimato perché questi trovatori non firmavano questi
testi erano tutti anonimi.
La funzione di questi giullari era come quella dei mezzi di comunicazione di oggi perché quando
raccontavano questi avvenimenti per le strade, aggiornavano il popolo sulle imprese che erano
fatte dagli eroi o erano state fatte, ma aggiornavano il popolo che non aveva altro modo di
aggiornarsi. Erano come le attuali trasmissioni nostre, o anche internet.
A volte si aiutavano anche con la musica, quindi cantavano, proprio perché erano in versi, proprio
perché avevano ritmo. E quanto più riuscivano ad attirare il pubblico, tanto più guadagnavano
perché era un vero e proprio lavoro.
Questi testi che cantavano avevano una composizione abbastanza libera per cui si parla strofe lasse
o tiradas, di fatti il cantar del mio cid è formato da lasse, come tutti i cantares de gestas. Sono
strofe che non hanno mai lo stesso numero di versi.
Le poesie sono composte da versi, che vengono riuniti in sezioni che si chiamano strofe, a seconda
del numero di strofe si crea il componimento, a seconda del numero di versi si crea la strofa. Le
strofe di 4 versi si chiamano quartine, quelli di tre versi terzine e così via. A seconda del numero di
sillabe il verso assume un nome. Per esempio il verso di 7 sillabe si chiama eptasillabo (epta è sette
in greco).
Quindi la strofa più comune dei cantares de gestas o comunque di questa poesia epica è la lassa;
non ha mai lo stesso numero dei versi. Non ha un numero di versi fisso. La lassa è tenuta insieme
dalla stessa rima assonante e uno stesso argomento, quando cambia l’argomento e quando
cambia la rima cambia la lassa. La rima assonante è quella che vede la corrispondenza delle sole
vocali a partire dell’ultima vocale tonica del verso.
In queste strofe viene utilizzato un verso che non ha lo stesso numero di sillabe e quindi si chiama
anisosillabico, la particella -ana all’inizio della parola significa diverso, e -iso significa uguale, cioè
significa un diverso numero di sillabe all’interno del verso.
-aniso significa che le sillabe variano di numero.
Isosillabico invece significa che sono sempre lo stesso numero di sillabe del verso.
Il verso del sonetto è il verso endecasillabo, con 11 sillabe ed è sempre lo stesso, quindi il sonetto
ha un verso isosillabico, mentre le lasse hanno un verso anisosillabico perché potevano variare
(sempre dovuto all’oralità, collettività ecc.).
Orientativamente il numero di sillabe variava intorno alle 14 sillabe, ossia verso alessandrino, ma
poteva variare sempre. Magari il trovatore aveva anche messo 14 sillabe, ma i giullari ne cantavano
di meno o in più.

Di solito una cosa fissa la abbiamo, la divisione del verso in due parti. A metà del verso c’è una
cesura, parte di pausa che divide il verso in due parti, è una parte e l’altra si chiamano emistichi.
Un emistichio + cesura + altro emistichio. Lo troviamo nel Cantar de mio Cid. Viene trascritto così
perché per ricordarlo oralmente c’era questo ritmo.
Il repertorio di ogni giullare era diverso perché non tutti i giullari potevano ricordare tutti i cantares
de gestas, ogni giullare una sua specializzazione, un paio di testi nel repertorio e a volte si
cantavano solo delle scene selezionate di questi cantares, magari uno dei giullari cantava la scena
del Cid che partiva e un altro era esperto su quando il Cid combatteva. Repertorio specifico per
ogni giullare. Però non tutti i cantares sono giunti a noi, il più integro è il Cantar de mio Cid, anche
se comunque ha delle parti mancanti.
Alcuni testi sono giunti a noi trascritti in codici, ossia brevi brani e altri ci sono giunti per essere
stati nominati in altri testi. Cioè in alcuni testi letterari si fa il riferimento a alcuni cantares che noi
non abbiamo mai ritrovato, che però evidentemente sono esistiti e che all’epoca conoscevano
perché vengono nominati.
Nonostante la mancanza di notizie certe su quali testi esistessero all’epoca, oltre quelli di cui
abbiamo notizia, Pidal fa una divisione della cronologia dei cantares de gestas, cioè divide in
quattro date l’evoluzione l’evoluzione dei cantares de gestas, dalle origini fino al ‘400, quindi da
quando abbiamo le prime attestazioni dei cantares de gestas fino al ‘400. Questo non significa che
nel ‘400 ritroviamo ancora i cantares de gestas, ma ritroviamo quelli che sono le loro evoluzioni.
1) ‘900 al 1140
Epoca dei cantares brevi perché i testi che appartengono a questo periodo non sono composti da
più di 500/600 versi. Parlano di gesta compiute da personaggi storici, personaggi che
appartengono alla storia spagnola, come per esempio Fernand González, con il cantares di Fernand
Gonzales, dove egli è un eroe spagnolo e si dice abbia fondato la Castilla. Non è un cantares giunto
fino a noi, ne abbiamo notizia tramite altri testi e fa parte di questa prima tappa.
Le tematiche di questi testi ruotano attorno a personaggi realmente esistiti, che sono personaggi
che rispetto a quando sono stati composti i cantares fanno parte della storia spagnola, ossia eroi
vissuti molto prima rispetto a quando vengono raccontati.
2) 1140 al 1236
Queste due date sono fondamentali, in particolare la prima. Il 1140, che è la data che Pidal sceglie
come inizio di questa seconda tappa è la data della supposta composizione del Cantar de mio Cid
(di non sappiamo quando in realtà quando sia stata composta, sono solo supposizioni).
Questa data viene presa come inizio di questa seconda tappa, che è la tappa della pienezza della
poesia epoca, dove abbiamo dei testi molto lunghi anche fino a 20000/3000 versi. E’ la tappa
centrale della poesia epoca.
Il 1236 è la data ultima di questa seconda tappa perché è la data di creazione del Chronicon mundi
di Lucas de Tuy, che come vediamo si chiamano più cantar, ma chronicon, perché la prima
evoluzione dei cantares de gestas sono le cronache, cioè dei testi in prosa che comunque
raccontano degli aspetti storici. Qui però siamo ancora nella poesia, ma anche dal punto di vista
formale dei contenuti raggiungono le vette letterali, qui c’è la perfezione dei cantares de gestas.
Però si chiude questa tappa quando nasce questo chronicon mundi e comincia la terza tappa.
3) Dal 1236 al 1350
Chiamato periodo delle prolificazioni, ossia essere prolifico = fare qualcosa in grande numero, nel
caso dello scrittore che scrive di più, tante nuove produzioni.
Dai cantares cominciano a nascere dei nuovi tipi di letteratura, dei nuovi testi che sono, appunto le
cronache, che sono opere in prosa (quindi si passa dalla poesia alla prosa), che raccontano sempre
eventi storici ma questa volta senza degli elementi letterari, opere storiografiche, che si basano su
elementi reali storici, senza quell’inserzione dell’invenzione che fa sì che si possa creare un opera
letteraria. La letteratura è finzione, altrimenti sarebbe completamente cronaca.
Se io racconto un fatto accaduto e lo racconto così com’è sto facendo la cronaca del racconto, se
invece ci metto degli elementi inventati, di abbellimento, di finzione, sto facendo un racconto
letterario.
La mancanza di elementi di invenzione e finzione fa si che si riduca a cronaca. Quindi le cronache
non solo non sono più in versi, ma si stacca da tutto quello che era dimensione letteraria. E’ un
evoluzione dei cantares perché riprendono dalle storie che si cantavano nei cantares, quindi dalle
gesta degli eroi, dagli avvenimenti che venivano raccontati nei cantares de gestas.
Si prolificano nuovi generi = quelli delle cronache.
Naturalmente la prosa è più adatta alla cronaca, al racconto senza fronzoli, invece della poesia che
è ritmata. Però tutto quello che viene raccontato in queste cronache comunque fa parte della
storia della spagna, comunque fa parte della comunità a cui venivano poi rivolte.
Chi scrive delle cronache molto importanti è Alfonso X, detto il re saggio, che scrive ad esempio la
Primera crónica general e molte altre. In questo periodo nascono diverse cronicas.
4) Dal 1350 al 1450
Troniamo ai cantares, si passa attraverso le cronicas, fino ad arrivare ai cantares drammatici. Si
ritorna alla letteratura, allontanandosi dal gusto per i vecchi cantares perché si abbandona quel
realismo così stretto e profondo che caratterizzava i vecchi cantares, ci si allontana un po’ da quella
Austerità morale. Infatti stiamo andando verso la fine del Medioevo. Ci avviciniamo ad opere più
letterarie.
Quindi ricapitolando:
opera letterale cantare, auge ossia momento più alto dei cantares, evoluzione e cronache e infine
ritorno alla letteralità, ma ancora più letteraria perché questi cantares drammatici hanno delle
caratteristiche completamente letterarie discostandosi completamente da quello che era il
racconto storico, che invece caratterizzava i primi cantares de gestas.
Vengono comunque raccontate gesta di eroi, ma meno esaltati e di queste gesta vengono riprese
solo le parti più leggendarie, inventate. La poesia francese era tutta finzione e fantasia, anche
magia, cosa che non ritroviamo prima ma che invece ritroviamo in questo periodo.

Ci stiamo avviando verso quello che sarà poi il Rinascimento, verso la fine di questo Medioevo con
una forma che ancora una volta, deriva dalla letteratura francese ma che comunque acquisisce
degli elementi originali spagnoli.
L’influsso francese arriva anche prima dell’anno 1000, anche per la vicinanza geografica tra Francia
e Spagna.
C’era un pellegrinaggio, anche tutt’oggi, che partiva dalla Francia e arrivava a Santiago de
Compostela, il cammino di Santiago.
Questo pellegrinaggio nasce intorno all’anno 1000, quando si scopre la presunta tomba di San
Giacomo a Compostela in Galicia. Dalla Francia partivano i pellegrini e attraversavano quella parte
e arrivavano a Santiago. In questo percorso c’era uno scambio culturale profondissimo, anche
perché per allietare il passaggio dei pellegrini i giullari nelle piazze di passaggio dei pellegrini, si
mettevano a raccontare le gesta degli eroi per avere anche soldi.
Coloro che venivano dalla Francia portavano i loro chanson de jeste e coloro che li accoglievano in
Spagna le facevano proprie e le attualizzavano alla maniera spagnola, quindi c’era questo scambio
culturale. Questo scambio influenzerà fino al ‘200 e anche più avanti dovuto a questa vicinanza.
L’influenza francese è una delle tante influenza subite dalla Spagna. I francesi volevano anche
aiutare gli spagnoli a liberarsi dal dominio arabo, quindi questo scambio culturale era inevitabile.
Queste 4 tappe di cui abbiamo parlato hanno tre caratteristiche sempre individuate da Pidal che si
rifanno a quelle di prima:
1. Realismo, questi cantares de gestas sono completamente attinenti alla realtà. Ci sono
comunque elementi inventati, ma non arrivano al punto di essere impossibili, sempre
potuti essere accaduti all’eroe e quindi possibilmente “imitati” dal popolo.
2. Formalità libera: rima assonante, caratteristica formale, la hanno tutti i cantares de gestas,
il metro irregolare e la conservazione di elementi derivanti dal latino. Siamo ancora con i
cantares molto vicini al latino. Troveremo molto spesso la -e finale, come in ciudade, presa
dal latino, quasi tutte le parole che in latino avevano la f in castillano diventano h.
3. Tradizionalismo, derivazione da qualcos’altro, in questo caso i cantares che derivano da
quelli francesi, derivati quindi dalla letteratura francese, tenendo sempre presente
l’originalità dei cantares spagnoli (non sono spagnoli)
Quali sono le opere di cui abbiamo notizia? Cantar de Fernand Gonzales.
L’opera parla di questo eroe spagnolo che ha scoperto la Castilla, di cui non abbiamo il testo e di
cui non sappiamo nulla. Non sappiamo quanti versi abbia. Sappiamo più o meno il contenuto,
anche perché nel ‘200 viene composto un poema de Fernand Gonzales che riprende il contenuto
del cantares (anche per questo sappiamo che esistesse questo cantares), si ispira a quel cantares.
Il secondo testo che conosciamo è il Cantar de los Siete Infantes de Lara, anche questo non ci è
giunto il testo, abbiamo dei versi di quest’opera in cronache successive. Testo originale mai giunto.
L’argomento di questo cantar sarà un argomento molto ripreso all’interno della letteratura
spagnola, anche successivamente come nei testi del ‘400, che riprendono la storia (Romancero). E’
una leggenda che viene ripresa e ripetuta. Questa storia parla un protagonista che si chiama
Gonzalo Gustios che è sposato con Doña Sancha e hanno 7 figli, i sette infantes. Il fratello di Doña
Sancha, che si chiama Ruy Velázquez si sposa con Doña Lambra. Le famiglie Lara (di gonzalo e
sancha) e Lambra (ruy e Lambra) erano nemiche, avevano avuto delle discordie per cui capita che il
più piccolo dei 7 figli della famiglia Lara Gonzalo Gonzales, uccide il cugino di Doña Lambra, Álvar
Sánchez e quindi Velázquez per vendicare l’onore della famiglia della moglie uccide a tutti i sei figli,
i suoi nipoti. Nel frattempo Gonzalo Gustios aveva tradito la moglie da cui aveva avuto un figlio, che
non era ammesso in famiglia da Doña Sancha, perché era un figlio illegittimo e si chiama Mudarra,
il quale decide di vendicare i suoi fratelli e quindi sfida Velázquez e lo uccide, vendicando così la
morte dei 7 infantes, così Doña Sancha accetta questo ragazzo in casa e lo prende come figlio suo.
La donna con cui aveva tradito la moglie era araba.
Questa legenda entra a far parte dei cantares e poi si diffonderà oltre. Dovevano essere storie che
piacevano.
Altro cantar è quello de Roncesvalles che ci fa capire che è la battaglia di Roncesvalles.
I cantares hanno una discendenza francese, in quanto il cantar de Roncesvalles, composto intorno
alla metà del secolo 13, appartiene al ciclo carolingio, il ciclo di opere che parla di Carlo Magno
come protagonista, che è stato imperatore del sacro romano impero nel 700 e metà 800 d.c. e che
è diventato un personaggio letterario molto importante, sia lui sia i suoi seguaci, tra cui il nipote
Orlando (Roldan in spagnolo).
Roncesvalles è il luogo dove avviene l’uccisione dei seguaci di Carlo Magno e infatti il frammento
che ci è giunto, perché non abbiamo il testo integro, di soli 100 versi, racconta proprio il momento
in cui Carlo Magno ritrova i suoi fedeli seguaci, tra cui anche il nipote, morti. E quindi c’è questo
pianto di Carlo Magno di dolore sui corpi senza vita di questi seguaci.
Il cantar di Roncesvalles rappresenta uno dei cantares de gestas dell’epica spagnola di diretta
derivazione francese ma comunque con elementi originali, tant’è che appaiono all’interno del
cantar anche dei personaggi non presenti nella chancon de roland francese e quindi questo
significa che le fonti da cui nasce il cantar di Roncesvalles sono anche prettamente spagnole.
Ci sono dei personaggi che appaiono solo nel cantar di Roncesvalles e quindi di conseguenza è
completamente originale. Non si sa precisamente di quanti versi fosse composto quello che non è
arrivato fino a noi, quindi il cantar di Roncesvalles originale. Ne abbiamo informazione tramite altre
opere e quindi abbiamo solo questo piccolo frammento che racconta solo questa breve storia.
Fatto sta che comunque, sempre attraverso il cammino di Santiago è giunta questa storia di Carlo
Magno e dei suoi seguaci e quindi questo avvenimento. Tra l’altro Roncesvalles è al confine tra la
Francia e la Spagna ed è la battaglia per cui i francesi volevano entrare in Spagna, ma non per
liberare la Spagna dagli arabi ma perché volevano prendere loro il territorio, volevano strappare la
Spagna agli arabi, proprio per la contiguità geografica tra la Spagna e la Francia, volevano allargare
il loro impero.
I cantares de gestas raccontano di personaggi realmente esistiti in maniera veritiera, la chanson de
ronald, invece, ha degli elementi fantastici, per esempio la spada di Orlando che si chiama
Durlindana, è magica. Le spade degli eroi spagnoli non sono magiche, sono solo una continuazione
del braccio dell’eroe e funzionano perché l’eroe è bravo non perché è la spada che ha potere
magico.
Dopo il cantar di Roncesvalles, parliamo finalmente del cantar più importante della letteratura
spagnola: Cantar de mio Cid.
E’ il più importante dei cantares epici spagnoli e a differenza degli altri c’è giunto quasi integro. C’è
giunto un manoscritto a cui però mancano delle parti, una parte iniziale e una parte in
corrispondenza del secondo cantar. Questo manoscritto ci è giunto in 74 folios. Il folio è un foglio di
pergamena scritto nel retro e nel verso, quindi c’è un fronteretro.
Come sappiamo che mancano questi folios? In realtà come comincia il cantar de mio cid, potrebbe
essere comunque un incipit accettabile e infatti si dice che il cantar de mio cid comincia medias
res, cioè improvvisamente, senza un prologo, senza un introduzione, senza una presentazione del
personaggio. Si comincia improvvisamente con un’azione.
Il fatto che il Cid cominci in media res non sappiamo se è dovuto all’idea dell’autore che lo ha
composto di cominciare così o perché mancano questi fogli iniziali. Non sappiamo in realtà se
questi folios presentassero un’introduzione, una presentazione del personaggio o fossero dei folios
messi con un titolo ecc. Non lo possiamo sapere perché si sono persi e naturalmente si perdono i
fogli iniziali perché sono quelli che più sottostanno all’essere presi, spostati o al non essere
conservati bene. I libri hanno una copertina proprio per tutelare i fogli all’interno.
Pidal ha ideato un possibile incipit in prosa, il cantar de mio cid come tutti i cantares è in versi. Ha
ricostruito in maniera logica, seguendo quello che viene raccontato anche in altre opere, seguendo
lo sviluppo della storia, una sorta di introduzione, ossia cosa era successo prima dell’inizio dei versi
del manoscritto che ci è giunto.
Possiamo capire che sono stati persi quei due folios perché in realtà le pergamene erano piegate a
doppio e si mettevano l’una dentro l’altra, come i fogli di un quaderno che hanno un corrispettivo
dall’altra parte. Qui mancano i corrispettivi iniziali dei due fogli finali e di conseguenza si capisce
che si sono persi quei due davanti. Così anche i corrispettivi al centro dei due fogli. Così si è intuito
che mancassero quelle parti ma rispetto ai 3730 versi dell’opera era una piccolissima parte.
Nella letteratura medievale, soprattutto quella delle origini andiamo avanti a forza di teorie e
tentativi perché non abbiamo delle sicurezze. Le due insicurezze che riguardano il cantar de mio cid
riguardano:
1. La datazione, quando il Cid è stato composto
2. L’autore, chi ha composto l’opera
Sono due quesiti che ancora oggi si basano solo su teorie.
LA DATAZIONE
Tutte le notizie che possiamo desumere rispetto al cantar de mio cid si trovano in questa parte che
si chiama Colophon, ed è la parte finale del testo. Il colophon nei testi di oggi si trova all’inizio, è
quella parte in cui vi dice casa editrice, anno di pubblicazione, se è una traduzione chi ha fatto la
traduzione, insomma quella parte iniziale dei libri.
Anche nel Colophon del cantar de mio cid abbiamo delle indicazioni, sull’ultimo foglio (74).
C’è scritto Per Abbat le escribio en el mes de mayo en era de mil docientos quarenta y cinco anos
(scritto in numeri romani).
Nel Colophon troviamo sue formazioni: un nome Per Abbat e una data 1245. Le problematiche
sono che non sono il vero autore e la vera data.
1245 è un po’ tardi per un cantar de gestas, ma potrebbe anche essere ma per come è scritta la
data, (c’è una sorta di ombra di cancellatura) sembra quasi che sia sporca in quel punto, allora si è
pensato che probabilmente ci fosse un’altra C e che fosse quindi fosse 1345. E’ stata molto studiata
questa pergamena e grazie ad uno studioso che si chiama Antonio Ubiero Arteta, si è scoperto che
in quel punto non c’era nulla, è rovinata così dal tempo e poi l’autore del manoscritto voleva
lasciare uno spazio tra le centinaia e le decine e poi perché era rovinata già in precedenza quindi
non si poteva scrivere direttamente affianco. Le pergamene erano pelli di animali, quindi venivano
tagliate con coltellini per togliere i peli ecc. quindi quel taglietto e specie di ombra che si trova tra
Centinaia e decine deriva da una pulitura mal fatta. Comunque lì non c’era niente la data era 1245.
A questa data, 1245, dobbiamo togliere 38 anni perché all’epoca gli spagnoli avevano un punto 0
differente dal mondo occidentale della nascita di cristo, non partivano dall’anno 0, ma partivano
dal 38 d.c. perché nel 38 d.c. era la data fantasiosa supposta dagli spagnoli di fondazione delle
province dell’hispania fatta da Giulio Cesare. Loro sostengono che nel 38 d.c. Giulio Cesare avesse
cominciato a fondare l’hispania e avesse diviso quel territorio in province e loro iniziavano a
contare da quel momento.
Quindi si arriva al 1207, dal nostro punto di vista. Questa data non è la data di composizione, ma è
la data del manoscritto, ossia la data di colui che ha trascritto questo manoscritto ha finito di
scrivere, ha completato la trascrizione perché era orale ed era trasmesso dai giullari. Ad un certo
punto però ci sarà stata una persona o due che hanno deciso di trascriverlo. Nel momento in cui ha
finito di trascrivere l’opera ci mette la data 1245 alias 1207 nostro.
Quindi finora abbiamo la data di trascrizione del manoscritto, non sappiamo ancora qual è la data
di composizione dell’opera.
AUTORE
Rimanendo nel Colophon sappiamo che c’è un nome: Per Abbat. Per Abbat non ha un’identità
conosciuta, nel senso che si è cercato informazioni su di lui, ma non trovate, c’erano troppi Pedro
Abbate all’epoca in Spagna. Quindi non si è riusciti a risalire all’identità di questo personaggio.
Abbiamo il nome di un uomo che dice ‘escribio per abbat’, ma non è così semplice. Sappiamo che
la trascrizione è orale e il verbo ‘escribir’ contemporaneo sottende un’ambiguità: ha diversi
significati durante il Medioevo. Poteva significare scrivere, comporre o anche copiare. Guardando
anche altri testi del medioevo che avevano un autore certo, ma avevano un copista differente che
scriveva si è capito che il verbo ‘escribio’ significa trascrivere e non creare. Significa scrivere, ma
scrivere qualcosa che era già stato scritto o già stato creato.
Lui potrebbe aver copiato un altro manoscritto o potrebbe aver trascritto qualcosa che già esisteva,
ma non l’ha creato lui. Quindi Per Abbat non è l’autore dell’opera ma è il copista dell’opera. E’ colui
che ha trascritto quest’opera perché magari l’aveva ascoltata, perché qualcuno la cantava e lui la
trascriveva.
Le notizie che ci da il Colophon ci dicono che l’opera è stata composta prima del 1207 ed è stata
composta da un autore anonimo, perché Per Abbat era il copista.
Pidal, che appoggia l’idea che Per Abbat è copista, anche perché quando si componeva si utilizzava
il verbo facer (hacer), che ha lavorato alla più grande edizione critica di quest’opera, ha due teorie
diverse:
1. Pensa prima all’esistenza di un autore unico, un giullare di Medina Feli, una città a nord di
Madrid, che quindi avrebbe composto quest’opera
2. Più tardi però, approfondendo gli studi, e studiando il tipo di stile che si trova all’interno
dell’opera, difende la tesi che sono stati due giullari a comporre l’opera: questo giullare di
Medina Feli e un altro giullare San Esteban de Gormaz, sempre a nord di Madrid, nella
regione di Castilla y Leon.

Cronologicamente va prima il giullare di San Esteban de Gormaz e poi quello di Medina Feli, perché
Pidal dice che il primo sarebbe vissuto in un periodo più vicino a quello in cui è vissuto il
protagonista dell’opera, Rodrigo Díaz de Vivar.
Quindi il giullare di San Esteban de Gormaz avrebbe vissuto in un periodo più vicino a quello del
Cid e quindi avrebbe saputo di conseguenza notizie più certe sulla sua vita e imprese. Questo
giullare avrebbe ideato il piano generale dell’opera e avrebbe composto parte dell’opera, non tutta.
Il Cantar de mio Cid si divide in tre cantari, di cui secondo Pidal, il giullare di San Esteban de
Gormaz avrebbe composto la prima parte e parte della seconda parte. Poi invece il giullare di
Medina Feli, che sarebbe vissuto cronologicamente più distante dal Cid, avrebbe composto l’altra
parte della seconda e la terza.
Pidal dice questo perché secondo lui, la seconda metà della seconda parte è più letteraria, come
anche la terza, quindi ci sono dei fatti meno attinenti alla vita del Cid, più fatti inventati rispetto alla
realtà dei fatti accaduti al protagonista.
Quindi col fatto che sarebbe vissuto più lontano, avrebbe inventato di più.
In realtà la teoria di Pidal è stata abbastanza contraddetta, ci sono altri critici, tra cui Collin Smith,
David Hook che non sono d’accordo con questa teoria, perché sostengono che all’interno del
Cantar de Mio Cid ci sia una coerenza strutturale che rende impossibile l’apporto di due autori
diversi distanti anche nel tempo. Non lavoravano insieme, sono vissuti distanti nel tempo e si
sarebbero dovuti mettere d’accordo.
Questa coerenza generale interna, fa si che si arrivi a essere quasi certi che l’autore si stato un
unico autore, che non si sa se sia stato uno di quei due giullari, un altro giullare o non un giullare,
perché si criticava a Pidal anche il fatto che i giullare di solito erano analfabeti e non avessero le
competenze per creare. I giullari cantavano, riportavano in strada quei testi, ma non erano i poeti
che li creavano, quindi potevano essere anche dei trovatori.
Fatto sta che non sappiamo chi sia stato, ma che probabilmente è stato un unico autore,
probabilmente estraneo al Mester de Juglaria, colto o forse no.
Da dove prende l’idea del Cantar de mio Cid questo autore anonimo?
Probabilmente ha rielaborato un’opera che era un poema in versi che era stato composto poco
dopo la morte di Rodrigo Diaz de Vivar, intorno al 1099. Alcune volte, rispetto a dei personaggi
famosi, si facevano degli omaggi alla loro morte e si creavano anche dei poemi, poesie e altre
opere dedicate. Probabilmente sulla base di questo poema dedicato a Rodrigo Diaz de Vivar,
l’autore anonimo ha creato il cantar de mio Cid, ispirandosi a un poema composto nella deta
intorno alla morte del Cid. Quella potrebbe rappresentare la fonte di questo cantar.
Sicuramente il Cantar de mio Cid proviene da una lunghissima tradizione (come tutti i cantares de
gestas) che si inserisce nella letteratura popolare. (Teoria Tradizionalista)
Probabilmente da quelle due letterature (hispano-visigota e hispano-romana, ma anche quella
germanica) arrivano poi le fonti.
Anche rispetto alle fonti non abbiamo delle sicurezze però.
Ci manca la vera data di creazione del Cantar de Mio Cid, che abbiamo detto essere anteriore al
1207, ma qual è la data supposta di creazione? 1140, che abbiamo detto essere la data d’inizio
della seconda tappa dei cantares de gestas perché è la data supposta di creazione dell’opera.
Pidal riferendosi ai contenuti dell’opera e ciò che viene descritto nell’opera e anche al periodo di
vita di Rodrigo Diaz de Vivar, arriva a questa data orientativa.
Quali sono gli elementi che portano Pidal e altri a dare questa data?
Prima di tutto il tipo di scrittura: la scrittura è naturalmente confacente al periodo in cui viene
trascritta l’opera, ma di solito passa un periodo di tempo dalla morte dell’eroe e poi l’affermazione
dell’opera che riguarda l’eroe.
La scrittura del manoscritto è una scrittura che si chiama gotico rotonda, caratteri della scrittura
gotica. E più del tipo di scrittura, sono le parole presenti ad avere importanza, che rimangono come
erano stati raccontati oralmente perché era in versi e c’era un ritmo che doveva essere mantenuto
(si manteneva la lingua della creazione dell’opera).
Dall’analisi della lingua e dei termini utilizzati all’interno del testo si risale alla metà del 1100.
I dati linguistici solo labili, perché potevano esserci degli arcaismi che non avevano tenuto conto
dell’evoluzione, potevano esserci delle parole che erano trascritte in maniera sbagliata. Non
sappiamo quanti errori può aver fatto l’autore del manoscritto Per Abbat e quindi non sono gli
unici elementi su cui ci si può basare per dare datazione.
Allora si passa a guardare il contenuto, si va a vedere che cosa viene raccontato all’interno
dell’opera e il contenuto riguarda anche costumi e usi dell’epoca che vengono riportati proprio per
quel realismo di cui abbiamo parlato. Quindi i personaggi che ci sono all’interno dell’opera sono
utili per datare la creazione del testo.
I personaggi che appaiono sono tutti contemporanei al protagonista, che è Rodrigo Diaz de Vivar,
che era un infanzón o un hidalgo. L’ infanzón è il nobile della bassa nobiltà, quello che non è legato
e non viva a corte, che non ha il sangue nobile, non ha una discendenza di famiglia nobile, come
anche l’hidalgo, che viene da hijo de algo, cioè che è diventato nobile grazie a qualcosa, di solito lo
si diventava grazie alle imprese, ma sicuramente non si poteva appartenere al basso popolo o non
avresti neppure avuto la possibilità di combattere, ma avere già una situazione sociale che ti
permetteva di farti notare, di conquistare terre e quindi acquisire algo, ossia ricchezze.
E’ importante che il Cid fosse un infanzon e non un nobile, perché è questo che fa scaturire tutte le
varie azioni dell’opera.
Viene chiamato Cid, che deriva dall’arabo signore, e viene chiamato campeador, cioè combattente,
guerriero. Avrà molti soprannomi all’inetrno dell’opera che si riferiscono al suo valore e il suo
essere saggio, perché era un uomo perfetto, altrimenti non sarebbe potuto essere un eroe.
Nasce tra il 1040 e 1050 e muore intorno al 1090 e 1099 (vive una 50ina di anni che all’epoca era
molto). 1099, data più accertata della sua morte. Nasce a Vivar e muore a Valencia.

Già dalla data supposta di morte si può capire quando è stata composta l’opera, perché appunto
dovevano passare degli anni dopo che l’eroe moriva, anche perché non si poteva sapere subito che
fosse morto, quindi una 40ina/50ina di anni dopo la morte si cominciava a creare l’opera e quindi
ci troviamo con il 1140 che ha detto Pidal.
Tutti i personaggi che appaiono nell’opera sono suoi vassalli o comunque sono stai personaggi
realmente esistiti alla corte (non tutti famosi) e già il fatto che abbiamo riferimenti di personaggi
storici (solo alcuni) ci fa capire il periodo in cui è ambientata l’opera.
Ci sono poi delle usanze che appaiono all’interno dell’opera e la prima è quella dei Quiñoneros,
che erano uomini dell’esercito che si occupavano di spartire il bottino appena conquistato tra tutti
coloro che avevano partecipato alla battaglia, le parti del bottino si chiamano Quiñores, seguendo
regole particolare: ci era stato più valoroso, chi aveva combattuto a cavallo, chi a piedi, chi era
intervenuto dall’inizio. Avevano una ricompensa diversa.
Quando si tornava dalla battaglia entrano in campo questi personaggi, questa usanza di divisione
del bottino è un’usanza che si fa fino alla metà del 1100, quindi di conseguenza l’opera è stata
composta quando questa usanza era ancora in vigore.
In più nel testo, non ci sono menzioni di beni in natura, ma c’è solo riferimento ai beni in moneta,
oppure ben preziosi come gioielli, quindi si è abbandonato da poco lo scambio si beni di natura, si
è già passato ai beni in moneta e ci si ritrova sempre intorno a quella data di composizione del Cid.
Questo ci fa capire come si stato analizzato nel dettaglio questo testo, perché proprio tutte le
particolarità e usanze che vengono descritte, inevitabilmente ci possono servire a dare delle
risposte e tutto riporta al 1140.
In più ci sono delle tattiche usate in battaglia, ci sono degli abbigliamenti usati durante le battaglie.
C’è la descrizione del vestiario degli uomini del Cid, con un tipo particolare di sandali, mantello e
anche delle descrizioni delle battaglie e quindi di come venivano portati avanti i duelli. Tutto questi
elementi riportano al 1140, la datazione della supposta composizione dell’opera.
Anche i luoghi geografici, il Cid viaggerà tantissimo durante il testo. Il testo parte mentre lui
comincia un viaggio quindi inevitabilmente attraverserà luoghi che saranno nominati, ci sono molti
riferimenti a luoghi e quindi indicazioni topografiche nel testo e molte strade cambiano il nome,
così all’epoca cambiavano nome di paesi ecc. Rispetto al nome che si trova nel Cid, che è quello
che era prima di un altro che sarebbe cambiato, si risale sempre al 1140.
Tutto quello che c’è all’interno del Cid riporta e ha fatto pensare a Pidal ed altri critici che il 1140
sia la data di composizione dell’opera, tra l’altro l’opera termina con una sorta di causa in tribunale
contro i nemici del Cid e tutte le formule giuridiche utilizzate erano formule che si utilizzavano
intorno a quell’epoca.
Tutti questi indizi ci fanno pensare che il 1140 sia la data di creazione orale del cantar de mio Cid.
1207 è il manoscritto, 1140 creazione. Che poi poteva essere molto diversa da quella che abbiamo
noi perché con il tempo, col collettivismo, oralità potrebbe aver cambiato tanti versi all’interno
dell’opera.
Alcuni giullari erano appunto specializzati su una parte, il Cid ha tre cantares, sono tanti versi,
quindi non potevano ricordare tutto il cantar, quindi avevano della parti che sapevano a memoria,
poi venivano messe insieme, poi magari venivano cambiate e quindi si scambiavano. Potevano
essere successe un sacco di cose dal 1140 al 1207.
Verso 511 = si parla dei Quiñoneros
IL TESTO DEL CANTAR
Il cantar de mio Cid è un cantar diviso in tre cantares:
1. Cantar del Destierro, destierro significa esilio
2. Cantar de las Bodas, bodas sono i matrimoni
3. Cantar de la Afrenta de Corpes, Corpes è un luogo, un querceto, mentre afrenta è lo sconto,
c’è una battaglia.
3 cantares in cui si racconta la storia di questo protagonista e della sua famiglia. Secondo la teoria
di Pidal (quella dei due giullari) il primo giullare avrebbe composto il 1 e parte del 2 e il secondo
giullare parte del 2 e il 3. Ma non è così
Cosa succede in queste tre parti?
1. Nel primo cantar racconta dell’esilio del Cid. Viene esiliato perché si ritiene che alcuni
nemici lo hanno accusato davanti al re di aver rubato dei tributi, le terre che venivano
riconquistate agli arabi dagli spagnoli e in cui gli arabi rimanevano, perché ormai vivevano
li, prevedevano una tassa degli arabi agli spagnoli. Ruy Diaz de Vivar era un uomo di fiducia
del re che era Alfonso VI di Castilla, questo fatto di essere un uomo di fiducia gli attira tante
invidia e arriva ad avere tanti nemici e significa subire degli inganni. Una volta che era
andato a riscotere questi tributi dagli arabi, viene accusato di aver trattenuto per sé parte di
questi tributi e non aver restituito tutto quello che andava restituito al re. Il re crede a
queste male lingue e manda il Cid in esilio. Lui accetta e parte con la moglie e le due figlie.
La moglie si chiama Doña Jimena e le figlie Doña Elvira e Doña Sol. Naturalmente le donne
non potevano seguire il Cid in esilio, di conseguenza vengono lasciate in un convento e il
Cid parte. Non si perde però mai d’animo, essendo un uomo eretto e giusto, continua ad
essere un vassallo del suo re, non va contro il re per sfidarlo ma anzi nel suo esilio continua
riconquistare terre per il suo re e manda parte dei bottini alla reggia e quindi chiede il
perdono in maniera indiretta. Arriva il momento in cui il Cid conquista la città di Valencia,
dove poi morirà, che era una roccaforte araba importantissima e il fatto che lui riconquisti
questa città gli fa avere il perdono parziale del re che gli permette di farlo riunire con la
moglie e le figlie che lo raggiungono a Valencia. Nel frattempo due infantes, due nobili
appartenenti alla vera nobiltà spagnola: Los Infantes de Carrión, Fernando y Diego
González, chiedono in spose le die figlie del Cid
2. In questo cantar si racconta il matrimonio di queste due fanciulle con gli Infantes de
Carrión. La felicità di questo momento di grazia dura poco perché questi infantes hanno in
realtà sposato le figlie del Cid, perché anche loro invidiosi di lui e perché avevano ricevuto
molte prese in giro per la loro vigliaccheria e decidono di vendicarsi del Cid attraverso le sue
figlie. Chiedono di tornare a Carrion con le ragazze dopo il matrimonio.
3. In questa parte i due uomini portano le ragazze al querceto di Corpes e le malmenano fino
quasi alla morte, le lasciano senza vestiti e se ne vanno. E’ questa la afrenta de Corpes che
si intende. Il Cid si vuole vendicare e chiede al re di essere vendicato, il re che nel frattempo
aveva perdonato il Cid, quindi si era ricostruita la coppia re e vassallo, si fa un vero e proprio
tribunale contro questi due infantes che in quanto colpevoli vengono mandati poi loro in
esilio. La punizione che aveva il Cid all’inizio ricade sui suoi nemici, su coloro che poi
all’inizio lo avevano accusato. L’opera termina con un altro matrimonio, sempre delle due
figlie con gli infantes di Navarra e Aragona, che sono superiori in grado rispetto agli infantes
di Carrion.
Questa è la trama.
Questa è una W. Quello di cui abbiamo parlato, ossia la coerenza
interna della struttura del mio Cid, che fa si che si possa attribuire
ad un solo autore la composizione di quest’opera è dovuto a
questo tipo di struttura. La struttura interna del Cantar de Mio Cid
è una struttura doppia W, che è un po’ sbilenca, non è
completamente dritta. Il primo punto è più in basso del quarto
punto.
Significa che il testo del Cid è composto da cadute e risalite
continue, contrariamente a quello che erano i testi dell’epica,
anche francese che hanno una struttura circolare e ritornano allo
stesso punto senza nessun evoluzione del protagonista, l’epica spagnola prevede una strutta
diversa, appunto a W, dove non parte da un punto e si arriva allo stesso punto, si parte da un
punto e se ne arriva ad un altro che è migliore rispetto a quello da cui si è partiti.
Il primo punto è la situazione inziale, lo status quo del Cid, a corte, vassallo del re, vive la sua vita
con la moglie e le figlie.
Il secondo punto è in discesa, è il suo esilio, quindi c’è una caduta verticale della sua vita. Vive una
situazione tragica.
Il terzo punto risale, conquista a Valencia, si ricongiunge con la moglie e le figlie e si sposano, lui
così acquisisce anche un titolo nobiliare vero, perché prima era solo un infanzon e il fatto che le
figlie si sposino con dei nobili fa si che anche lui lo diventi.
Il quarto punto ricade, per quello che succede alle figlie e quindi viene disonorato anche lui.
Il quinto punto è di nuovo in risalita, la vincita in tribunale e che abbia vendicato il suo nome e che
i due infantes vengano mandati in esilio e che le due figlie sposino dei nobili ancora più nobili di
quelli precedenti, quindi la sua vita acquisisce un’elevazione del suo stato sociale.
I tre cantares prevedono 5 punti, non sono quando iniziano e finiscono i cantares bensì sono
distribuiti in maniera uniforme, la questione è capire di queste salire e discese quanti elementi
reali ha corrispondenti alle realtà vera e quanto è inventato.
LA STRUTTURA A W
Abbiamo detto che il fatto che si sia scartata la possibilità di due autori è dovuta sia al fatto che i
giullare non erano compositori acculturati ma ripetevano soprattutto queste opere imparandole a
memoria, quindi o doveva essere un giullare colto oppure l’autore era proprio al di fuori della
Juglaria e non era un giullare, però il fatto che sia un solo autore è dovuto a questa omogeneità
interna chiamata appunto a W, che si oppone alla struttura interna delle chancon de jestes
francesi, perché queste hanno una struttura circolare, cioè l’eroe parte da un determinato punto,
fa tutto un percorso, attraversa ostacoli per tornare al punto di partenza, anche se il suo
personaggio ha avuto un’evoluzione.
Invece la struttura del Cantar de Mio Cid è fatta di cadute e risalite.
ASPETTO IMPORTANTE IN QUESTA STRUTTURA: L’ONORE
La parola onore in spagnolo ha due traduzioni: HONRA e HONOR.
Che hanno come traduzione onore, ma sono due tipi di onore diverso. L’onore privato che
appartiene alla persona, che è quello che dipende dalla propria necessità personale è la honra,
l’onore pubblico, quello che è avvertito dagli altri nei confronti di una persona è l’honor, quanto
onore io ho agli occhi della società.
L’onore privato è contrapposto all’onore pubblica. In realtà c’è una grande alternanza di aspetti
privati e pubblici nel Cid. Prevalgono all’interno gli aspetti privati. Parliamo di un eroe che sta
facendo le gesta, però pare dai tre titoli dei cantares siano stati messi in evidenza i tre avvenimenti
importanti del Cid. La presa de Valencia, ad esempio, è stato uno dei più importanti eventi storici
della Reconquista spagnola, ma non c’è nei titoli del Cid, ma c’è la bodas, che riguarda il
matrimonio delle figlie e l’honra.
Questi punti che noi abbiamo nella W, sono quasi tutti collegati all’aspetto privato. L’autore che ha
composto ha selezionato nella vita di Rodrigo Diaz de Vivar una serie di avvenimenti biografici che
non mettono in risalto un’esaltazione nazionalistica o religiosa, ma evidenzia l’aspetto umano del
personaggio, quello che sottolinea la storia di un piccolo nobile (infancon, hidalgo).
Di questo piccolo nobile, non di sangue ma per le sue imprese, si affida solo alle sue forze per
rinascere, solo al suo essere, alla sua voglia di andare avanti per rinascere.
E’ una scelta delimitata del poeta, non casuale che si sia voluta dare importanza all’aspetto privato,
quindi alla honra.
La honra è l’onore che ha importanza nel testo, però il primo punto è l’inizio del testo a mediasres,
Pidal la ha ricostruita e comincia direttamente con il Cid che sta andando in esilio che è la prima
caduta, perde la sua honra, ma il fatto che fosse un uomo così fidato del re Alfonso XI, sia mandato
in esilio influisce anche sull’andamento della corte. E’ vero che il poeta da importanza agli aspetti
personali del protagonista ma è anche vero che gli aspetti personali non possono prescindere da
quelli pubblici. Sono strettamente collegati e non si alternano, spesso c’è la doppia faccia della
medaglia, sia pubblica che privata.
Dopo la prima caduta c’è l’esilio, ma non va in esilio da solo, ma con pochissimi uomini fidati tra cui
suo nipote Álvar Fáñez (Minaya), sarà l’uomo più fidato del Cid.
Con lui e questi pochi uomini non si da per vinto, vuole dimostrare al re e i nemici che lo hanno
accusato che hanno torto. Non si arrabbia con il re, ma resta un fedele vassallo e anzi deve
dimostrare che quello che lui ha subito non è giustizia e quindi con questi uomini comincia a
conquistare dei terreni di paesi e manda parte del bottino al re.
Questi uomini aumenteranno, il narratore sottolinea sempre il numero alla quale si arriva dei
seguaci del Cid, proprio per sottolineare il fatto che si aggiungevano sempre più persone.
Il primo cantar termina al verso 1086 con la cattura dei uno dei più grandi nemici del Cid, il conte di
Barcellona Bengario Raimondo.
Piano piano quindi il Cid sta risalendo, sta arrivando a quel terzo punto, anche perché lui aveva
lasciato la moglie e le figlie al monastero di monasterio de San Pedro de Cardeña, perché delle donne
non potevano seguirlo nelle battaglie.

Questa risalita che sta facendo il cid è una risalita sia pubblica che privata, perché dal punto di vista
pubblico sta riconquistando delle terre e quindi il suo paese sta riacquistando terre, e lui sta
dimostrando al re che il suo onore è integro e non è mai stato vero ciò che era successo. Si arriva al
terzo punto (più in alto rispetto a quello in cui parte), è il momento in cui si riesce a ricongiungere
con moglie e figlie perché ha chiesto al re, dopo aver conquistato Valencia, di ricongiungersi con
loro e una volta ottenuto il perdono del re accetta di far sposare le due figlie con gli infantes de
Carrion.
Il Cid non voleva farle sposare, non gli piaceva l’idea ma il re voleva e lui non poteva andare contro
il volere del re e quindi le fa sposare. Il Cid non sbaglia mai, non poteva accettare dei personaggi
che poi si sono rivelati essere dei malvagi, lui l’aveva intuito.
Terzo punto quindi las bodas, con qui termina al verso 2277 il secondo cantar.
Terzo punto è quindi risalita pubblica e privata perché ha conquistato Valencia, di nuovo la fiducia
del re, a corte si ristabilisce l’equilibrio. Lui non tornerà alla corte del re, ma rimarrà a Valencia è li
che poi ha le sue ricchezze e i terreni conquistati.
Comincia il terzo cantar, dopo i festeggiamenti delle nozze, gli infantes vengono presi in giro dalla
corte perché sono due personaggi vigliacchi che non riescono ad affrontare le battaglie, molto
spesso vengono coperti dai seguaci del Cid, perché non hanno valore. Tutto questo accumulo di
prese in giro fa si che vogliano vendicarsi. Anche perché il loro ragionamento è che loro sono dei
veri nobili, di sangue e discendiamo da nobili e ci dobbiamo abbassare ad essere presi in giro dai
seguaci di una persona che non è nemmeno nobile, che non è alla loro altezza.
Si vendicano chiedendo al Cid il permesso di portare con sé le loro spose, fanno andare avanti la
schiera di persone che li seguivano nel viaggio e loro si fermano a Carrion, malmenano le figlie del
Cid e le lasciano quasi morte, nel querceto di Corpes. E si sta ricadendo nel quarto punto con la
seconda caduta, che fa perdere la honra, perché le sue figlie hanno subito questo ma al tempo
stesso c’è un onore anche pubblico perché lui era un personaggio in vista, e perdendo l’onore
privato tutta la corte vede il suo onore pubblico perdersi.
Il Cid non si perde l’animo, sa che ha l’appoggio di Alfonso XI e gli rinfaccia che è lui che ha voluto
questo matrimonio ed è lui che deve ripagarlo e chiede una vera e propria causa in tribunale
contro di infantes de Carrion.
La prima cosa che fa è chiedere la restituzione delle due spade che aveva regalato per l’occasione
delle nozze ai suoi generi, che si chiamavano Colada e Tiron (Tizona). Le spade non sono magiche,
non fanno magie e così via, come poteva succedere nelle chancon de jeste, ma hanno nomi. Hanno
identità perché sono compagne fedeli dei guerrieri e al tempo stesso hanno un’identità.
Il fatto di donare delle spade al momento delle nozze era indice di grande fiducia, c’è stata tanta
energia e battaglia per conquistarle. Dopodiché questi due infantes si sfidano a duello con due dei
seguaci del Cid e perdono e verranno mandati in esilio loro stessi.
Stiamo risalendo sempre di più. Il punto più alto si colloca nel momento in cui arrivano altri due
infantes che stavolta sono di due casate molto più importanti di quella di Carrion, cioè Navarra e
Aragona che chiedono in spose le figlie. Il Cid questa volta è contento e dice che possono sposarsi
(erano infantes che avevano valore stavolta) e quindi al verso 2730 termina il terzo cantar e poi c’è
il Codofon.
Anche in questo caso Honra e Honor vanno di pari passo perché il Cid con questo giudizio che
viene dato agli infantes e con il duello vendica doppiamente il suo onore, quello privato, ma anche
quello agli occhi di tutti. Era sotto gli occhi di tutti il fatto che questi infantes fossero stati
condannati sia dal giudizio sia dall’esilio.
Di conseguenza si termina il poema con un’ultima risalita giungendo il Cid ad un punto più alto
dalla partenza iniziale. Si racconta la morte del Cid.
C’è questa serie di sequenze, per cui c’è una crisi di partenza, c’è una risoluzione di questa crisi e
poi il successo finale. Questo andamento fa si che si possa specificare il tipo di storia e soprattutto
pensare che non era possibile che due autori distanti nel tempo abbiamo potuto seguire questa
serie si sequenze, perché era tutto orale e non si riusciva nemmeno ad avere una sequenza
completa della storia.
Pubblico e privato sono strettamente correlati, non si susseguono ma si intrecciano negli stessi
avvenimenti c’è sia l’aspetto pubblico che privato, ma quello che risalta agli occhi dello spettatore
dell’epoca è proprio il fatto che ci troviamo davanti ad un eroe che è un eroe umano. Un eroe che
non è irraggiungibile nelle sue gesta ma da cui si può imparare e prendere spunto.
E’ questo che il poeta che ha creato quest’opera abbia sottolineato questo aspetto, perché il tuo
intento era didattico, lui voleva insegnare. Se avesse rappresentato un eroe che combatteva,
invincibile che non provava emozioni, che non aveva una famiglia, era tutto diverso, era qualcuno
che si vedeva lontano, che non si poteva raggiungere.
In tutte queste cose che vengono raccontate però si alterna anche l’aspetto reale e l’aspetto
dell’invenzione, l’aspetto letterario.
Il testo letterario inevitabilmente prevede qualcosa che è inventato altrimenti sarebbe un testo di
storia, un testo storiografico sulla sua vita ma ci sono degli aspetti del Cantar De Mio Cid che non
rispettano appieno la realtà della storia di questo personaggio e noi lo possiamo sapere tramite i
documenti che ci sono arrivati.
Quest’uomo era davvero un vassallo di Alfonso XI, quindi comunque si hanno notizie e anche sulla
sua famiglia e imprese. Si sono trovate delle disuguaglianze tra quello che viene raccontato nel
Cantar de Mio Cid e quello che ha realmente vissuto Rodrigo de Vivar. Quindi la base è storica, in
quello che si racconta c’è una solida base storica. Il periodo raccontato è il vero periodo, molti dei
personaggi che appaiono sono reali, molti avvenimenti sono realmente accaduti, per esempio la
presa di Valencia, nel 1094, che è stata riconquistata.
Ci sono delle realtà storiche; ma chi compone quest’opera non è uno storico è comunque un
poeta. Aveva l’intenzione di intrattenimento che si fa con cose che possono piacere. Ci dovevano
essere delle caratteristiche piacevoli.
Allora l’autore utilizza una maniera di raccontare epica e non storiografica, cioè letterarie e non
storica. E inserisce all’interno della storia diversi elementi che non corrispondono alla realtà
strettamente storica.
Il realismo storico è quindi questo, dove c’è una realtà realmente esistita ma ciò non significa che
non ci sono elementi inventati o non sarebbe un’opera letteraria.
Quali sono questi elementi che troviamo? Sono elementi anche banali. L’autore del Cid era anche
acculturato, conosceva i riferimenti geografici dell’epoca, quando racconta gli spostamenti del Cid
o anche le battaglie, lui utilizza dei riferimenti topografici, che sono precisi.
Uno degli elementi sulla quale Pidal si basa per dire che l’opera ha una precisa datazione è anche
rispetto ai cambiamenti dei nomi geografici e l’autore li utilizza, ha una conoscenza, anche
conoscenza dei personaggi minori, di cui non abbiamo troppe notizie ma di cui sappiamo essere
realmente esistiti da piccoli documenti ritrovati. Erano personaggi che non avevano fatto grandi
conquiste, che però vengono citati. Quindi sicuramente il poeta che lo ha composto era
acculturato, che aveva fatto anche una bella ricerca sui documenti dell’epoca rispetto a questi
personaggi ma fa degli sbagli.
Non sappiamo se quegli spagli siano realmente sbagli. Il fatto che lui usi delle incongruenze a cosa
deve essere attribuito? All’ignoranza dell’autore o una volontà letteraria?
La risposta è una volontà letteraria, proprio perché era un autore colto, sapeva tanto ma la
motivazione per cui inventa degli elementi nuovi è da attribuire alla necessità di seguire dei canoni
letterari.
Canone= uno schema, punto di riferimento, qualcosa che si crea con il tempo soprattutto.
Ad esempio alcuni scrittori di oggi otterranno un canone tra un po’ di tempo però si crea il canone,
cioè si crea uno schema di esempi. Il canone letterario è qualcosa che si crea con il tempo perché si
ripete, diventa quasi un’abitudine nel tempo e quindi crea il canone.
Esempio: il canone picaresco prevede tutta una serie di opere che hanno delle determinate
caratteristiche.
Quindi è un raggruppamento di opere che fanno da esempio, punto di riferimento.
Il canone letterario dell’epoca aveva delle strutture fisse che venivano dal passato, dalla classicità,
dalla letteratura latina e greca. C’erano delle strutture del canone letterario che l’autore del Cid
decide di riprendere, a cui si ispira.
QUALI ERANO GLI SBAGLI INSERITI NELL’OPERA:
il Cid lascia le due figlie al Monastero, l’abbate che si trova in questo monastero nel testo si chiama
Don Sancho, nome molto comune all’epoca. Il nome vero di quel sacerdote di quel monastero era
Sisebuto, nome che l’autore non poteva non conoscere perché questo Sisebuto divenne santo,
quindi era anche famoso all’epoca. Perché l’autore sceglie di chiamarlo Don Sancho?
Sceglie questo nome perché era più facile da ricordare essendo un nome comune e poi Sisebuto
era composto da 4 sillabe, ed era più difficile da fare la rima assonante con -u e -o alla fine del
verso, mentre Sancho sono due sillabe e con -a -o era più semplice.
Stessa cosa accade per le figlie del Cid, che abbiamo detto chiamarsi Elvira y Sol, in realtà si
chiamavano nella realtà Cristina e Maria, che sono nomi non tanto più lunghi, ma avrebbero
potuto dare fastidio alla rima.
Per questi due primi esempi abbiamo un rifacimento a un invenzione che può essere riportata
come motivazione alla semplicità, all’immediatezza del ricordo e della rima oppure alla voglia di
inventare dei nomi per renderli letterari, per creare dei personaggi letterari.
Elvira y Sol sono le figlie del Cid nel cantar de mio cid, Don Sancho è l’abbate nel cantar de mio cid,
quindi sono dei personaggi solo letterari.
Alvar Fanez, è il nipote del Cid, già sentito come il nipote di Carlo Magno, Orlando. Hanno lo stesso
stretto rapporto zio-nipote. Fanez nella realtà storica non va in esilio con lo zio, rimane a corte, al
contrario l’autore lo fa diventare il primo seguace del mio Cid, sobrino del Cid.
Alvar Fanez segue lo zio in esilio perché vuole rispettere un canone letterario molto importante
dell’epoca che è appunto quello del rapporto zio e nipote, ci sono molte opere con il rapporto zio-
nipote. Il rapporto era con il fratello della mamma, infatti Alvar fanez era il figlio della sorella del
Cid. C’è questo rapporto stretto perché all’epoca quando si sposavano si dava anche una dono,
insieme alla donna donata, anche magari con denaro e ricchezze. Per far si che gli uomini della
famiglia di questa donna non appropriassero completamente di queste ricchezze lo zio istaurava un
rapporto molto stretto con il figlio maschio che nasceva per tenere sotto controllo in qualche modo
gli averi di questa famiglia.
La sorella del Cid si sposa e ha questa dote e ha un figlio, questo figlio avrebbe ereditato tutto,
sarebbe passato tutto dalla parte degli uomini della famiglia, ma avendo un rapporto stretto con la
famiglia di origine attraverso lo zio, c’era la possibilità che queste ricchezze non venissero
completamente sperperate dalla nuova famiglia e quindi si creava questo rapporto stretto.
Questo è dal punto di vista sociale, questa usanza sociale arriva nella letteratura e quindi c’è questa
coppia zio-nipote che si ripete spesso nelle opere letterarie e anche l’autore utilizza questo topos
letterario. Topos=spunto letterario, canone fisso letterario.
Altra problematica legata a un canone letterario è la sconfitta degli infantes de carrion. In realtà
questi sono anche loro dei personaggi realmente esistiti, non vengono mai esiliati perché allora
l’autore del Cid li fa andare in esilio? Per compiacere il lettore, mettere in risalto la risalita del Cid e
risanare il suo onore perché il Cid era buono e gli infantes erano cattivi e il cattivo deve essere
punito.
L’opposizione buoni-cattivi era un canone letterario dell’epoca, sempre ci si faceva la distinzione tra
buoni e cattivi. Il cid non poteva non essere vendicato, doveva solo fare cose buone. Il fatto che
nell’opera si decida di far andare in esilio gli infantes era anche perché subiscono la stessa sorte
subita all’inizio dal Cid, come contrappasso, ma anche per dare unna distinzione tra i cattivi che
vengono puniti e i buoni che rimangono felici e contenti.
Nella realtà il Cid non era molto buono, ci sono cronache in cui si parla di un uomo spietato che
non guardava in faccia a nessuno e ammazzava per conquistare terre.
E’ il personaggio letterario che è l’esempio, nella realtà era solo un soldato che ammazzava. Viene
descritto per dare l’esempio della bontà dell’eroe che si contrappone alla cattiveria dei nemici. Lo
troviamo anche nei primi versi.

1200
Dopo l’esperienza dei cantares de gestas, dopo l’esperienza epica rimaniamo nel mester de juglaria però
parliamo di una piccola evoluzione in quanto coloro che erano solo cantori dei testi, quindi i giullari, iniziano
a diventare anche autori dei testi.

Cominciano ad equipararsi a quelli che erano i trovatori francesi o quelli in generale nelle corti che
componevano le opere. Parliamo di un tipico componimento del 13 secolo che si chiama Poemetto
Giullaresco.

Già dal nome capiamo che sono in versi perché sono dei poemi, e poemetti perché sono più brevi dei
cantares, giullareschi perché abbiamo come cantori, ma anche come autori i giullari. Siamo ancora
all’interno del Mester de Juglaria.

Come era successo per i cantares de gestas hanno un origine francese, un origine trans pirenaica (al di là dei
Pirenei) dal punto di vista della Spagna. Era un componimento tipico francese, trasportato attraverso il
Camino de Santiago in Spagna e adattato alle esigenze spagnole. Le fonti molto spesso sono francesi.

Il camino de Santiago rappresenta ancora una volta l’unione tra letteratura francese e spagnola con una
vicendevole influenza, spesso la letteratura spagnola arriva un po’ più tardi, di conseguenza prende quello
che è già nato negli altri paesi.

Sono una semplificazione di quelli che erano tipici francesi, si continua a mantenere quella sobrietà e quella
austerità morale come caratteristiche delle origini e anche altre due: collettivismo e anonimato. Questi
poemetti sono anonimi.

Nascono in un momento per la Spagna che vede un’apertura anche al mondo Orientale perché oltre a
continuare ad avere la dominazione araba ma soprattutto Toledo (riconquistata nel 1085) diviene sempre di
più il punto dell’incontro delle tre culture maggiori (cristiana, araba, ebraica). Nasce in questo periodo, e
avrà ancora più importanza con Alfonso X, la Escuela de traductores de Toledo.

Una scuola di traduttori perché a Toledo, incontrandosi queste tre culture, c’era l’esigenza di trasporre le
opere di una determinata cultura nelle altre lingue e nasce questa scuola che traduce dall’arabo,
dall’ebraico, indiano ecc. E di conseguenza l’opera tradotta entrava a far parte della cultura spagnola, prima
venivano tradotte in latino poi poco alla volta, anche grazie ad Alfonso X, vengono tradotte in castillano
volgare e quindi sono opere che vengono a far parte della letteratura castillana dell’epoca.

I poemetti giullareschi non sono l’unica espressione di apertura della letteratura spagnola dell’epoca ma c’è
tanto apporto di tante altre culture alla letterature dell’inizio del ‘200. I poemetti rappresentano un vero e
proprio filone che si può dividere in due tipi:

1. Quello religioso, due poemetti


2. Quello delle dispute (contrasti), una disputa è un litigio, ci devono essere almeno due persone che
litigano. Era molto in voga all’epoca. Il pubblico si schierava da una parte e si appassionava alla
storia raccontata e avevano successo perché attiravano tanto pubblico. La loro conclusione non era
esplicita, così non si faceva vincere nessuna delle due parti, così il pubblico partecipava attivamente
allo scontro.

Tutti i poemetti, sia religiosi e quelli delle dispute, hanno sempre valore di ejemplo, di insegnamento morale
come i cantares de gestas.

Quali sono questi poemetti? Sono tutti anonimi e datazione incerta, ad alcuni ci sono arrivati senza
indicazioni di altri non sono arrivati nemmeno i manoscritti.

Il primo testo che appartiene all’ambito religioso è il Llibre de tres reyes (titolo catalano), che si
confonde con l’unica opera teatrale spagnola del Medioevo.

All’interno dell’opera non ci sono caratteristiche di linguaggio catalano e infatti non si sa da dove
provenga questo titolo ed è stato proposto di cambiare il titolo in libro de la infancia y la muerte de
jesus.

Questo testo di iscrive nella tradizione dei vangeli apocrifi, sono vangeli inutili ai fini della storia di Gesù
perché appunto parla della vita di Gesù. E’ composto da 242 versi, molto più brevi dei cantares de
gestas. Si è proposto di cambiare il titolo perché in realtà all’interno dell’opera si parla poco dei tres
reyes, ma si parla di più della storia di gesù. Troviamo dei riferimenti alla tradizione biblica e a fonti orali
provenienti dalla Francia, non si è trovato nessun testo che sia stato utilizzato da fonte e risale
probabilmente alla metà del 13 secolo.

Comincia con la narrazione della visita dei tre magi alla grotta dove è nato Gesù a Betlemme e continua
con la strage degli innocenti fatta da Erode, voleva uccidere tutti i bambini così non crescette un altro re
che potesse spodestarlo e di conseguenza la fuga di Maria, Giuseppe e Gesù in Egitto dove avviene
l’incontro con due piccoli bambini che saranno poi i due ladroni che Gesù incontrerà sulla croce.

Uno di loro che era malato di lebbra, viene bagnato nella stessa acqua di Gesù e quindi guarisce. Non è
un racconto ufficiale, non si racconta nei vangeli questo incontro da piccoli con i ladroni ma è come se
fosse una spiegazione al fatto che poi quando si ritrovano sulla croce uno dei due chieda a Gesù di
essere portato in Paradiso con lui, che è lo stesso bambino che era stato curato da piccolo.

Dal racconto del bagno guaritore si passa direttamente alla crocifissione per questo ha questo titolo:
infancia y muerte. Sono pochi versi non si è raccontata tutta la vita di Gesù.

E’ un esempio di cambiamento di vita dove aver incontrato Gesù, cambiamento totale e di pentimento
di ciò che è stato fatto nella vita. Non si sa l’autore, ma ci sono tratti che permettono di pensare che
fosse un intellettuale, perché utilizza formule che tengono il pubblico attento (come con il cid) e utilizza
gli aparte (quella tecnica teatrali in cui si parla in dispare e coloro che sono sullo stesso palco non
sentono, ma sente il pubblico).

I poemetti visto che mettono in scena delle rappresentazioni dialogate come le dispute sono un
preludio a quelli che sono i testi teatrali.

Secondo testo che appartiene al filone religioso è La Vida de Madona Santa María Egipciaqua. Non si
parla della Madonna, è il termine che viene dal latino che indica la donna. Parla di una Santa.

E’ il racconto di questa santa è quindi è un’opera agiografica, quel filone di opere che parlano delle vite
dei santi. E’ un poemetto un po’ più lungo, 1451 versi e risale forse all’inizio del 13 secolo. Questo
proviene esplicitamente da un’opera francese che ha lo stesso nome ma in francese.
Racconta la vita di una cortigiana, quindi una protistuta, peccatrice che però quando incontra Gesù
cambia la propria vita. Nel poemetto viene descritto questo incontro e quindi viene descritto il
passaggio dalla vita precedente alla vita nuova e l’importanza dell’ incontro con Gesù. Ha tanta
attinenza con il poemetto precedente, perché anche in quel caso l’incontro con Gesù cambia la vita del
protagonista.

Questo è l’insegnamento morale. C’è una base didattica molto forte. Già che si parli di argomento
religioso fa capire che ci stiamo imbattendo in uno scopo didattico moralizzante.

Il racconto spagnolo segue l’originale francese, ma con un intenzione di originalità come sempre perché
si sottolinea in maniera esplicita l’insegnamento morale e ha un’importanza linguistica perché viene
utilizzato il castillano puro del periodo.

Questi sono i due poemetti giullareschi che seguono il filone religioso.

Il più antico poemetto giullaresco che ci è arrivato è la disputa del alma y del cuerpo. Più antico perché
forse risale al 12 secolo, fine del 1100. E’ breve perché non ci è giunto tutto, ma solo un frammento e ci
sono due simboli che si scontrano l’anima e il corpo. E’ uno scontro molto in voga nel Medioevo perché
si ricollega sempre alla voglia di didatticismo dei poemetti e al tema religioso infatti in questo
frammento si racconta un dialogo tra l’anima e il corpo di un defunto, c’è quest’uomo morto e si vede
l’anima rappresentata come un bambino nudo che guarda il cadavere del corpo senza vita dove prima
risiedeva e lo accusa di tutti gli eccessi che ha vissuto durante la sua vita legati ai piaceri del corpo senza
badare a quelli che erano i piaceri dell’anima, coltivare l’interiorità e per questo motivo sarebbero stati
entrambi condannati all’Inferno. Questo frammento riporta quello che dice l’anima, la risposta del
corpo non c’è.

Questa contrapposizione era un tema molto utilizzato nel Medioevo perché era un insegnamento
profondo sulla necessità di abbandonare i piaceri terreni e dedicarsi a cose più alte come la fede e la
religione, a coltivare le cose dell’anime.

Questo non è religioso perché non parla di cose strettamente religiose come la vita di una santa o la vita
di Gesù, ma ha un tema religioso perché vuole dare un insegnamento morale. E’ la religione che da
l’insegnamento di non badare alle cose della terra, ma quelle del cielo.

Altro testo è la disputa entre un cristiano y un hudio (l’ebreo), sono due religioni che si scontrano che
incarnano la religione che rappresentano, quindi la religione cristiana e la religione ebraica.

Questo poemetto forse scritto durante la prima metà del secolo 13 appartiene a un filone apologetico,
ossia l’apologetica è una branca della teologia che ha lo scopo di difendere, parlare, divulgare la
credibilità della fede e allo stesso tempo fondare la religione cristiana su un origine divina, spiegare che
la religione cristiana nasce da un Dio che si è manifestato quindi è quella parte di teologia che difende le
basi della religione cristiana.

Il cristiano parlava e difendeva la sua religione e così faceva l’ebreo. Probabilmente ha come autore un
ebreo converso. I conversos erano coloro che avevano la religione ebraica e nel momento in cui la religione
cattolica diventa la religione di stato loro non possono più proclamare la loro e si convertono al
cristianesimo. Prima erano ebrei e poi diventano cristiani e hanno una profonda conoscenza di entrambe le
religioni. Anche di questa disputa ci è arrivato un piccolo frammento in cui si discute su tre argomenti della
religione ebraica:

1. circoncisione
2. rispetto del sabato, per loro è la nostra domenica
3. natura divina di dio rivelato sulla terra
Di questa non abbiamo un testo da cui deriva, che rappresenta la fonte unica da cui proviene ma
sicuramente deriva da una tradizione molto in voga all’epoca, quella di mettere a confronto le due religioni.
Si faceva per mettere molto spesso la religione cristiana come vincitrice rispetto alle altre.

Non sappiamo su quali argomenti litigassero i due uomini perché è solo un frammento non abbiamo tutta la
visione della disputa

Altro poemetto, il più importante tra quelli che conosciamo Razón de amor con los denuestos del agua y
del vino, anche solo detto razon de amor. Denuestos sinonimo di disputa, quindi contrasto tra acqua e vino.

Razon, nel cid, non è ragione, ma è l’argomento d’amore, una storia e il contrato tra acqua e vino. Questo
testo di autore anonimo risale alla prima metà del ‘200 e composto di 264 versi di nove sillabe. Si accorciano
i versi rispetto alla poesia epica e cominciano ad avere una struttura abbastanza fissa, si sta quasi uscendo
dall’anisosillabismo. A volte utilizza anche la rima consonante, quella baciata perché i poemetti giullareschi
si trovano in mezzo tra i Mester de Juglaria e il mester che verrà dopo il Mester de Clerecia dove ci sarà una
struttura abbastanza fissa delle rime e delle strofe.

Questo poemetto ha anche un colofon, c’è una firma di un Lope de Moros di cui però non conosciamo nulla
ma molto probabilmente si è capito che era il copista più che l’autore.

Questo poemetto ha dato problemi a coloro che lo hanno studiato, si potrebbe dire che è formato da due
parti diverse: una parte di razon de amor e una denuestros de agua y vino. In realtà si è capito che non
erano due testi diversi perché ci sono degli elementi che tornano tra la prima e la seconda parte.

L’episodio amoroso arriva fino al verso 145, poi versi di transizione fino al verso 161 e l’ultima parte fino alla
fine. I versi alla fine rappresentano la richiesta tipica dei giullari con la richiesta del vino, è una formula
giullaresca. Qual è l’elemento che si ritrova?

La prima parte che racconta l’episodio amoroso descrive un locus amenus, si trova nel mese d’aprile, sotto
un melo, un luogo dove quest’uomo che si definisce escolar, ossia intellettuale che ha composto questo
poema che aveva anche viaggiato, si trova e arriva in questo prato e lo colpisce un melo tra cui rami vede
una coppa di vino coperto affinchè non si riscaldasse posto lì da una donna. Il testo continua con un’altra
coppa che era piena d’acqua, si spoglia perché aveva caldo e si vuole riposare perché questo posto lo
invoglia a stare all’ombra di questi alberi.

C’è una descrizione di tutte le cose che ci sono in questo posto, fiori frutti ecc. A un certo punto arriva una
fanciulla che non ha mai visto ma è molto bella e vuole conoscerla cominciano a parlare, e si rendono conto
che loro erano già innamorati ma non si erano mai conosciuti.

Molto tempo fa ci si conosceva tramite messaggeri, lettere e matrimoni combinati. Si riconoscono


attraverso delle prendas, pegni l’amore, che si erano scambiati, lui aveva mandato a lei dei guanti e lei una
cintura e in quel momento dell’incontro indossavano questi pegni. Essendo un’opera spagnola del
Medioevo non sappiamo cosa succede nel momento in cui si riconoscono e dice che sono rimasti lì un po’ di
tempo commentando il nostro amore.

A un certo punto lei se ne va e lo lascia da solo e qui finisce l’episodio amoroso. Poi c’è la parte di
transizione che unisce le due parti, a un certo punto arriva una colombina che volando in mezzo a questo
prato con un campanellino alla zampetta vuole rinfrescarsi e entra nella coppa dell’acqua e la versa in quella
del vino e si mescolano e comincia la parte de los denuestos.

Accertato che fosse un’unica opera.

Perché l’episodio amoroso andava di moda e mettere tutte e due insieme, permetteva di avere quanto più
pubblico possibile, quelli che amavano la disputa e chi amava l’episodio amoroso.
Comincia così questa discussione, che verte sull’argomento religioso. Acqua del battesimo, vino è sangue di
gesù e ci sono tutte queste premesse dell’uno e dall’altra parte.

L’acqua a un certo punto accusa il vino che quando un uomo ne beve perde il senno invece l’acqua è
qualcosa che ti fa riprendere.

Alla fine non vince nessuno perché ognuno ha dalla sua delle motivazioni molto importanti. Le due parti
sono abbastanza equilibrate, con motivazioni forti e termina con questa parte detta dall’autore in prima
persona e non da nessun giudizio nemmeno lui su acqua e sul vino.

Questo testo poteva essere anche interpretato anche da un punto di vista allegorico, soprattutto la prima
parte, in realtà non ci sono dimensione simbolica.

E’ l’esempio di un repertorio giullaresco che doveva soddisfare più esigenze e che quindi probabilmente
aveva altre opere simili, il giullare doveva cercare di guadagnare.

Le fonte principale di quest’opera è francese e come accade per la vid de marie d’ egiptien abbiamo un
testo che esplicitamente ha un titolo molto simile a quello spagnolo disputacion du vin e de l’eau.

Con il passaggio dal francese allo spagnolo si è aggiunta la parte della razon de amor per compiacere il
pubblico spagnolo. Oltra ha questo ha anche una fonte latina che si chiama denudata veritae di cui una
copia si trova in testi latini che si chiama Carmina Murara, nella quale si trova la denudata veritae da cui
deriva la razon de amor.

Testo abbastanza completo dell’epoca, anche il manoscritto è completo lo sappiamo dal fatto che c’è il
colofon alla fine e la firma. Ci dà le indicazioni per cui le dispute non avevano un vincitore esplicito.

Ultimo poemetto giullaresco è Elena y Maria, anche detta disputa del clerico y del caballero. In questo caso
non sono due cose o due religioni, ma sono due donne, due sorelle che però non parlano di se stesse ma
dei loro fidanzati difendendoli. Maria fidanzata con il clerico e Elena con il caballero. La prima pubblicazione
è stata a cura di Pidal nel 1914 e la pubblicazione è avvenuta con la parte del manoscritto arrivata, perché è
arrivato privo di parte iniziale e finale. Non sappiamo se ci fosse stata una vincitrice.

Anche all’interno del manoscritto mancano delle parole e frasi, abbastanza logorato. Composto nel 1280 e i
versi arrivato sono 402, rappresentano l’ultima attestazione del genere dei poemetti giullareschi.

I versi tornano ad essere assonanti e torna l’anisosillabismo. E’ contenuto in un piccolo quadernetto e non è
pregiato.

Le due si scontrano perché ognuna delle due vuole difendere le caratteristiche del proprio fidanzato e
affermare la loro superiorità sul fidanzato dell’altra, non è disputa tra due donne ma tra due stati sociali: il
clero e i cavalieri.

Non parlano della loro vita ma delle caratteristiche del proprio fidanzato difendendole e quelle dell’altra
accusandola. Vengono messi in risalto difetti e pregi tipici del topos del clerico e topos del caballero
dell’epoca. Si diceva che coloro che appartenevano al clero non davano importanza all’aspetto spirituale ma
pensavano spesso ai bisogni terreni e si diceva dei caballeros che non andavano a combattere e si
mantenevano sulle spalle altri, in questo caso la donna, e che quindi non aveva nulla di positivo nel suo
essere cavaliere.

Ad ogni accusa corrisponde una difesa da parte dell’altra, e difesa che corrisponde un’accusa. Non sappiamo
come termina ma sappiamo che non trovando un compromesso tra loro decidono di affidarsi a un giudice
esterno, un re: re Oliol da cui si recano per avere un giudizio per la questione e decidere.
Non possiamo sapere cosa ha detto perché non ci è arrivata la fine. Prima di andare dal re decidono che chi
avrebbe perso sarebbe stata la vassalla dell’altra, siamo ancora nel periodo di sottomissione feudale come
tra il Cid e il re, alla maniera cavalleresca.

La fonte è un’opera francese, che proviene da una regione settentrionale che si chiama Piccardia, che si
chiama le jujement de amour e anche in un’opera latina che parla di una discussione tra due sorelle che si
chiama Fillis e Flora. Aspetto giudizio amoroso e la disputa tra due sorelle.

I due uomini di cui parlano le donne parlano appartengono alla classe sociale superiore, dei belladores e
degli oratores, che si contrastano attraverso le parole delle loro fidanzate sulle caratteristiche tipiche
dell’epoche, questi topos nati su questi tipici personaggi dell’epoca. Il fatto che si voglia introdurre un
giudice esterno ci fa capire che le dispute non avevano un finale definito.

Il testo anche nel momento della difesa di uno dei due comunque ha uno sfondo molto ironico, c’è tanta
ironia e questa ironia di base era un elemento molto originale all’epoca, non si ritrova nelle altre opere
medievali.

Essendo ironico non doveva insegnare molto, era solo una critica ai due stati.

Come i cantares de gestas avevano un titolo che iniziava con cantar, le dispute iniziavano con disputa.

C’è un’opera, l’unica opere teatrale del Medioevo spagnolo: Auto de los reyes magos, viene ritrovato in un
codice latino trascritto sotto, quella parte di sotto è l’inizio. E’ stato trascritto in un testo a cui non
apparteneva e questo ha fatto pensare che non fosse completo e fosse arrivato in una maniera non
completamente definita perché magari era finito lo spazio, ma in realtà il testo è completo.

Si chiama auto perché significa acto, cioè una rappresentazione teatrale, non ne abbiamo altre fino al ‘400.
L’unica cosa che sappiamo del teatro dell’epoca lo sappiamo grazie ad Alfonso X il savio, perché nella sua
opera: las siete partidas, tra i vari argomenti, di diritto soprattutto, parla anche del teatro dell’epoca e i tipi
che c’erano all’epoca. Pare che questo testo sia stato composta tra la seconda metà del 1200 e inizio 1300.
L’autore è anonimo e i versi sono 147, metrica varia e non segue uno schema definito e dal titolo parla dei
re magi.

La fonte è il Vangelo in particolare drammatizza quello che è il racconto fatto nel Vangelo di Matteo, e
veniva rappresentato il periodo dell’Epifania perché i re magi portano i doni e in Spagna il giorno
dell’Epifania si chiama los reyes, perché sono i re magi che portano i regali.

L’unica giunta che conosciamo proprio come opera a carattere teatrale è l’auto de los reyes magos,
da non confondere con il poemetto giullaresco a sfondo religioso.
Questa prima e unica espressione di opera teatrale probabilmente è stata composta tra la seconda
metà del secolo 12 e prima metà 13 (a cavallo tra il 1100 e il 1200).
Mette in scena il racconto che viene fatto nel Vangelo di san Matteo e veniva rappresentato
durante l’epifania, los reyes portano loro i regali quel giorno non la befana.
L’autore è anonimo e questo testo è stato trovato alla fine di un codice che parlava di altro. E’ stato
trascritto alla fine di un codice latino, ritrovato nella Cattedrale di Toledo, che era importante
all’epoca per incontro di culture alla fine del ‘700.
L’auto è composto da 147 versi e il fatto che si trovi alla fine di un codice ha fatto ipotizzare che non
fosse completa perché magari era finito lo spazio e se fosse continuato non c’era altro spazio per
continuare. Non c’è una trascrizione tipica delle opere teatrali, niente introduzione, niente
presentazione dei personaggi, luoghi, tutte quelle indicazioni tipiche delle opere teatrali. Però
comunque rappresenta l’unica testimonianza del genere teatrale di questo periodo, del Medioevo,
fino al ‘400 non ce ne saranno altre.
E’ importante anche perché può essere ritenuto l’antecedente di quello che sarà un genere molto
importante nel teatro spagnolo: L’AUTO SACRAMENTAL.
E’ una messa in scena di ispirazione religiosa, per questo sacramentale, dove vengono messe in
scena degli argomenti religiosi e rappresentata nella festività del Corpus Domini, una settimana
dopo la Pentecoste, in un periodo preciso. Di solito aveva tematiche religiosa e si sviluppava
soprattutto attorno al tema dell’Eucarestia.
Nel Siglo de Oro (‘500-‘600) molti autori come Lope De Vega, Barca ecc. porteranno l’Auto
Sacramental al successo, ne comporranno molti.
L’Auto de los Rayes Magos può essere ritenuto come un’avo di questi che nasceranno più tardi e
arriveranno fino al ‘700-‘800.
Di cosa parla l’auto de los reyes magos?
E’ breve e diviso in 5 scene, con gli studi fatti si è inserito il nome di coloro parlavano e dove si
svolgeva e diviso.
Nella 1 scena: ritroviamo i tre re magi (Gasparre, Melchiorre e Baldassarre) che vedono la stella cometa
e si interrogano sul suo significato. La stessa serve ad arrivare da Gesù. Si chiamavano Magi perché
erano astrologi e osservavano le stelle, scienziati dell’epoca
Nella 2 scena: dopo confronto decidono si seguirla e vedere dove li porterà.
Nella 3 scena: i re magi arrivano dal re Erode, la stella nel percorso li fa passare per di là, a cui
dicono che è nato un nuovo re e quindi il re Erode comincia ad insospettirsi e chiedersi chi è questo
nuovo re. Momento dialogo tra i re magi ed Erode e alla fine gli chiede che dopo che lo avranno
incontrato e adorato questo nuovo re, sarebbero dovuti tornare da lui e dire dove fosse perché
anche lui voleva adorarlo. In realtà voleva ammazzarlo, da qui poi verrà la strage degli innocenti.
Chiede ai re magi di tornare ad informarlo.
Nella 4 scena: i re magi se ne sono andati con i doni (oro= per il re, qualcosa di prezioso, incenso=
sale al cielo va verso il cielo e mirra=essenza profumata per massaggiare, dono di bellezza).
Erode resta da solo che si chiede che sta succedendo e chi può mai essere questo bambino che è
nato che potrebbe salire al trono al suo posto. Comincia a chiamare tutti i saggi del suo regno che
potevano capirne qualcosa.
Nella 5 scena arrivano i saggi che sono dei rabines, rabbini di religione ebraica, che è anche colui
che ha studiato le sacre scrittura. Le due religioni (cristiana ed ebraica) hanno qualcosa in comune,
hanno lo stesso ceppo di discendenza, quella cristiana nasce da quella ebraica, ma la cristiana vede
Gesù come salvatore, per gli ebrei questo salvatore non è ancora arrivato e vedono in Gesù sono
un profeta che annuncia la venuta di un futuro salvatore.
Quindi cosa li distingue? La religione cristiana è una religione rivelata, c’è stata la rivelazione di
Cristo, mentre la religione ebraica non è ancora rivelata.
Gli ebrei quindi non credono nella venuta di Gesù come salvatore e invece nell’opera si
domandano se quello che era scritto dai profeti degli ebrei avevano ipotizzato si fosse rivelato.
Mettono in dubbio che quel bambino appena nato potesse essere il salvatore e quindi degli ebrei
che in qualche modo affermavano la verità cristiana.
Infatti uno di questi rabbini dice che magari devono crederci e così finisce.
Finisce senza una reale conclusione, e anche questo ha fatto pensare che lo spazio fosse finito e
non fosse completo in realtà ci sono degli studiosi che hanno dimostrato il testo fosse solo questo,
che non era stato concluso perché era terminato lo spazio, ma perché l’autore voleva proprio che
degli ebrei concludessero il testo dando una possibilità di verità della credenza della religione
cristiana, e quindi dando una superiorità alla religione cristiana.
Quest’opera termina come le dispute, senza un vincitore, una realtà che viene affermata.
Probabilmente quest’opera era stata riportata in questo codice perché nel periodo dell’Epifania
veniva messo in scena nella Cattedrale di Toledo. Prima non esistevano i teatri; una sorta di spazio
teatrale nasce in Spagna nel ‘500 ed erano dei corrales, cortili dove venivano messe in scena opere
con spettatori ai balconi, fungevano da spazio teatrale.
Prima che nascessero c’erano le chiese e gli edifici reali, erano lì i luoghi in cui si mettevano in
scena le opere, per questo probabilmente veniva messo in scena nella Cattedrale di Toledo. Veniva
messo in scena dagli stessi sacerdoti nella cattedrale perché il clero era quello che era acculturato e
che sapeva il latino, erano anche gli amanuensi, quindi probabilmente Toledo, che rappresentava
questo centro culturale vedeva anche le prime rappresentazioni teatrali.
Il fatto che venisse messo in scena lì ha fatto si che venisse anche trascritto nella Cattedrale di
Toledo nel codice.
L’episodio biblico può essere ritenuto come un testo teatrale, quindi è per questo che gli episodi
religiosi fungevano da tema per le rappresentazioni, senza una composizione ex novo.
Questo è l’unico testo teatrale, ma conosciamo il tipo di teatro messo in scena grazie ad un’opera
di Alfonso X, Las Siete Partidas, che è un’opera legislativa che affronta anche la tematica della
cultura e quindi del teatro e si descrive che tipo di teatro c’era nel ‘200. Dal latino si passa al
volgare, c’è una conoscenza da parte del popolo di queste rappresentazioni che prima erano
incomprensibili perché erano in latino e poi c’erano delle rappresentazioni che venivano chiamate
auto o misteri che avevano sfondo religioso e parlavano di vite dei santi o Cristo e avevano un
corrispettivo in Francia.
Inoltre non c’era solo la rappresentazione a sfondo religioso, ma comincia a nascere un interesse
per qualcosa che va al di là dello sfondo religioso e cominciano a nascere i cosiddetti juegos de
escarnio che erano un po’ meno accettati dalla morale corrente, rappresentavano scene buffe,
satiriche, parole non consone. Veniva rappresentato qualcosa di più basso, quindi popolare che
però piaceva al popolo.
Di queste messe in scena non abbiamo però i testi tranne l’auto de los reyes magos. Ne siamo a
conoscenza tramite altri testi come las siete partidas di Alfonso X.
Dopo la poesia epica c’è un avvicinamento a qualcosa di più evoluto. Fino ad ora abbiamo parlato
del Mester de Juglaria -> mestiere del giullare.
Lentamente c’è un affermarsi di una più profonda coscienza letteraria, comincia un passaggio dal
Mester de Juglaria ad un altro. Non è un’opposizione e quindi una cancellazione del precedente,
ma nasce il Mester de Clerecia.
Che cosa cambia?
Cambia il soggetto che lavora, se prima era il juglar ora è il clerico, che non necessariamente era
colui che apparteneva al clero, ma in molti casi coincideva, coloro del clero studiavano. Il clerico
era un poeta letterato, colui che aveva studiato, come quello della razon de amor.
Il Mester de Clerecia rappresenta la normale evoluzione del Mester de Juglaria che avviene con
l’evoluzione della società e tutto il resto che stava succedendo dal punto di vista storico ecc.
Quindi il clerico è un poeta acculturato che prende coscienza di quello che è la letterature quindi
l’opera letteraria poiché aveva una cultura alla base, soprattutto classica, ecclesiastica e comincia a
capire che si dovevano dare regole alla composizione poetica. Rimaniamo ancora nella poesia, non
ancora opere in prosa, ma poesia molto più rigida dal punto di vista delle regole.
La struttura che viene data dai clericos a queste opere cambia, tutto quello che c’era di non fisso,
non schematico, non ripetuto, nel Mester de Clerecia viene fissato e deciso. All’anisosillabismo si
contrappone l’isosillabismo, il verso ha sempre lo stesso numero di sillabe, ossia 14. Tutte le opere
che appartengono al Mester de Clerecia, salvo alcuni errori che possono capitare, 14 sillabe, detto
verso alessandrino, prima erano un po’ a caso i versi ora sono stabili e per quessto si parla di
isosillabismo.
Sono sempre divise in due emistinchi e i due sono di sette sillabe. La rima non è più assonante, ma
sarà consonante, identità di vocali e consonanti a partire dall’ultima vocale tonica del verso.
L’accento cade sempre sulla vocale, ma tutto il resto è uguale, è la rima baciata.
MODIFICHE CON IL MESTER DE CLERECIA:
1. RIMA CONSONANTE
2. ISOSILLABISMO
3. UNA STROFA CHE HA LO STESSO NUMERO DI VERSI, qui abbiamo una strofa sempre di 4
versi detta quaderna via oppure tetrastico mono rimato " tetrastico" [4 versi] " mono rimato ”
[c'è una sola rima] .

In una quaderna via c’è sempre la stessa rima consonante.


Perché si chiama quaderna via?
In uno dei primi testi del Mester de Clerecia, che si chiama Libro de Alexandre c’è questa
definizione per la prima volta da quando si è cambiato il tipo di Mester.
C’è la definizione di questo nuovo Mester, lo definisce fermoso, hermoso ossia bello, la bellezza sta
nella precisione, nella rigidità e sta anche nella contrapposizione a quello che era il Mester de
Juglaria. E’ sin pecado, ossia senza errori, senza qualcosa di impreciso perché è un Mester de
Clerecia.
Fabla curso rimado, parla in rima attraverso la strofa della quaderna via. A sillabe cuntadas, con
grande maestria, perché ce ne vuole tante per comporre la quaderna via.
Nel libro de Alexandre troviamo questa definizione di quaderna via che ci fa capire quanto diverso
sia questo nuovo Mester e quanto si abbia coscienza del fatto che per comporre un opera ci voleva
maestria e una preparazione di base e non si poteva fare a caso, ci voleva cultura di base.
Nonostante alcuni errori per la maggior parte si segue lo schema della quaderna via.
Si comincia a passare dall’oralità dei giullari a una prima trascrizione di questi versi che però non
erano destinati ad essere rappresentati, piuttosto ad essere letti al pubblico. Si passa da quello che
è l’anonimato, alla piena coscienza dell’autore di un testo che comincia a firmarsi, comincia a voler
sottolineare l’appartenenza di un’opera alla propria creazione.
Gonzalo de Berceo, sarà il primo a firmare le opere nel Medioevo.
Non si può dire in che età i Mester, sia di Juglaria che di Clerecia, siano nati e finiti in secoli
specifici, ma più o meno durano entrambi un secolo e mezzo, ci saranno altre tracce ma più labili.
I clericos apportano questa novità anche perché hanno una concezione diversa della letteratura,
loro sanno e hanno studiato e c’è una concezione diversa da quella di un giullare che recepisce un
testo e lo mette in scena per guadagnare.

IL LIBRO DE ALEXANDRE
E’ uno dei testi che appartiene al Mester de Clerecia e che ebbe molto successo. Lo sappiamo da
quante citazioni fatte di questo testo in altri testi a esso contemporanei.
Il libro de Alexandre lo ritroviamo citato nel: poema de Fernan Gonzalez, altro testo che fa parte
del Mester de Clerecia; il libro del bueno amor e nella carta poemio del Marqués de Santillana, del
‘400.
Citato in un componimento a lui contemporaneo, uno del ‘300 e uno del ‘400, quindi un testo che
ebbe tanto successo. Perché non solo c’è la definizione del nuovo Mester, ma perché rappresenta
una delle prime attestazioni di questo Mester. Risale alla prima metà del 13 secolo.
Conta 2675 strofe, da moltiplicare per 4. Il protagonista è Alessandro Magno ed è uno dei primi
testi senza argomento religioso, ne parla di un eroe prettamente della cultura spagnola, ma
riprende la storia di questo grande eroe europeo, riportata poi nella letteratura spagnola, l’autore è
anonimo, ma si sono fatte diverse ipotesi.
Alcuni lo hanno attribuito a Gonzalo de Berceo, anche se poi come tipo di testo non rientra nelle
caratteristiche delle opere che Berceo ha scritto, è stato attribuito anche ad Alfonso X il sabio, però
lui ha scritto soprattutto opere storiografiche e attribuito anche Juan Lorenzo de Astorga ed è
quella più certa come attribuzione. E’ sicuramente il copista di uno dei manoscritti giunti.
Ce ne sono giunti due, l’autore o il copista di uno dei due è Juan Lorenzo de Astorga, non si sa se sia
solo il copista o anche l’autore proprio dell’opera.
Il primo manoscritto proviene da una potente casata spagnola, la casata de Osuna, una delle più
antiche, e l’altro in un codice della biblioteca di Parigi.
L’autore in quest’opera si definisce come un bon clerico e hondrado, ossia un buon clerico e
onorato, si auto esalta come il poeta della razon de amor.
Ha due fonti entrambi francesi: il poema latino medievale, Alexandreis di Boutin de Chaquignon e
l’altra è Le Roman de Alexandre, poema cavalleresco sempre francese antico che faceva parte del
romanzo francese cortese dell’epoca. In realtà ha un forte influsso anche arabo, avendo comunque
il dominio arabo, e nel testo ritrovato nella casa di Osuna, insieme viene ritrovato anche due testi
in prosa che raccontano la versione musulmana della leggenda di Alessandro Magno, forse servita
da fonti per la creazione.
Parla della storia di Alessandro Magno ma in una maniera complicata, ha una carenza di sintesi, si
racconta la storia ma ci sono insieme altri episodi che si sovrappongono, tanto che si crea una
situazione in cui si sovrappongono tanti anacronismi (-ana=diverso e -cronos=tempo, ossia diverso
tempo, sono quei momenti dei racconti in cui si va avanti e indietro nel tempo senza una
successione lineare).
Potrebbero essere flashback, ma all’epoca non si chiamavano così, nei romanzi di oggi è un tipo di
scrittura alla quale siamo molto abituati, in questo periodo invece era una delle prime volte. Ci
sono tanti episodi insieme non in maniera lineare.
Alla fine l’intreccio della storia è molto complicato, non c’è una comprensione facile e racconta
anche episodi che non appartengono alla vita di Alessandro Magno.
Alla fine si è capito che, nonostante il successo che ebbe, il fatto che ruoti la storia attorno ad
Alessandro Magno fu un pretesto per comporre quest’opera, ma non era l’intento quello di
raccontare la sua storia.
Probabilmente si sta creando un nuovo modo di comporre e il fatto che parlasse della quaderna via
è ciò che ha reso il testo così importante, fa per la prima volta capire questo tipo di nuovo modo di
comporre. E’ un testo che non parla di eroi spagnoli, ma ha un registro molto leggendario e che
viene esaltato quando si parla di lui.
Il libro di Alexandre è uno dei primi testi che appartengono alla quaderna via.
Un altro testo è il Poema di Fernan Gonzalez. E’ uno dei cantares de gestas che non è giunto fino a
noi e che si chiamava Cantar de Fernan Gonzalez, di cui non abbiamo il testo ma di cui si parla in
cronache successive ed è da quello che prende ispirazione il poema de Fernan Gonzalez.
Questo personaggio storico è quello che ha fondato la Castilla, è stato un eroe e personaggio
storico abbastanza famoso.
Inspirazione dai cantar, ma scritto in quaderna via, quindi fa parte del Mester de Clerecia. E’ l’unico
ad oggi, rispetto ai testi giunti, di narrazione epica nazionale presente all’interno dei Mester de
Clerecia.
Le fonti dalla cui proviene sono quindi dal Cantar perduto di cui se ne parla anche nella cronica
general di Alfonso X, sia rispetto alla tradizione popolare, era il fondatore della Castilla e quindi era
conosciuto, sia anche dalla citazione fatta su Fernan Gonzalez da Berceo all’interno di una sua
opera: vida de San Millan, dove c’è una citazione che ispira poi questo poema, dove racconta un
po’ di biografia di Fernan Gonzalez.
Nel poema si racconta della sua vita, di questo eroe e anche della nascita della Castilla, lui ne
rappresenta il fondatore, la Castilla vista come centro della religione cattolica e quindi della
cristianità e come centro politico. E lo stesso eroe, come il Cid, è un grande guerriero che vince
tante battaglie e il miglior governatore. C’è esaltazione di un luogo e dell’eroe che lo fonda. Si parla
anche della Spagna come nazione che viene esaltata a sua volta per le sue terre, la centralità del
luogo in cui si trova e di tutte indicazioni si arriva ad una esaltazione nazionalistica molto profonda.
Il poema rappresenta un opera a sfondo patriottico molto profondo, ma ci sono molte inesattezze
dal punto di vista storico e topografico e questo ci fa capire come non sia un’opera storiografica,
ma sia appunto letteraria il cui scopo è quello di esaltare la Spagna, La Castilla e colui che l’ha
fondata.
La Castilla diventa come modello da prendere poi dal punto di vista storico, politico e naturalistico.
Il terzo testo importante è il libro di Apollonio

LIBRO DI APOLLONIO
Apollonio era il re di Tiro, città antica che si trova nel Libano, vicino alla Siria, vicino Gerusalemme,
Israele e Palestina.
Apollonio era il re di questa vecchia città, oggi ci sono solo i resti e a lui è dedicato questo testo che
fa parte del Mester de Clerecia, probabilmente è proprio il primo testo del Mester de Clerecia
utilizzando la quaderna via. 2624 strofe, la maggior parte rispetta regole del Mester de Clerecia e si
più datare tra il 1230-1235.
Ci è arrivato un manoscritto in un altro codice che conteneva i due poemetti giullareschi a sfondo
religioso di cui abbiamo parlato.
La fonte è una fonte greca mai giunta a noi, lo sappiamo perché abbiamo una fonte latina che
deriva dalla fonte greca che si chiama Historia Appolloni regis tiri (storia di apollonio, re di tiro).
Però il libro di Apollonio non è una traduzione, ma è un testo che ha subito molte variazioni, grazie
all’autore che lo ha composto e che ha seguito una normale trasformazione dei testi che avveriva
all’epoca. Si prendevano fonti e si adattavano.
Apollonio è il secondo tipo di eroe che incontriamo, il primo è il Cid, la sua arma è la spada, si
difendeva con questa, mentre Apollonio non combatte con la spada, ma con la cultura e le arti
perché era un uomo che sapeva cantare, suonare, giocare, fare sport, leggere, comporre e tutte
queste arti servono a lui come arma per andare avanti, per riuscire a sopravvivere nelle varie
vicissitudini.
Apollonio è innamorato della figlia del re di Antiopia, altra vecchia regione antica, Antioco, che
aveva detto che sua figlia poteva sposare solo chi avesse risolto un indovinello e Apollonio ci riesce
perché era un intellettuale, ma da questo scopre che la soluzione dell’indovinello era un rapporto
incestuoso tra padre e figlia, quando Antioco si rende conto di essere stato sgamato fa chiamare
Apollonio, ma lui capisce di non andare e scappa e comincia un lungo viaggio dove si
susseguiranno una serie di eventi negativi, il primo è un naufragio, sulle cose del regno del re
Arcitrastes che riconosce in questo povero naufrago un uomo molto preparato e gli chiede di
diventare il maestro di musica e di canto di sua figlia Luisiana e si innamorano.
I due si sposano e decidono di ritornare a Tiro, Luisiana è incinta, si rimettono in viaggio e
partorisce durante il viaggio una bambina che si chiama Tarsiana, dopo il parto Luisiana sembra
morta e non riesce a riprendere i sensi e quindi la mettono su un’imbarcazione e la lasciano nelle
onde con una sorta di sepoltura.
Le storie di questi personaggi prendono strade diverse: Apollonio disperato affida la bimba ad
alcuni amici e parte per l’Egitto, Luisiana che non è morte si riprende quando approda ad Efeso,
altra città importante dell’epoca, dove viene accolta e come ringraziamento la rendono
sacerdotessa di Diana. Passano 13 anni: Tarsiana è diventata una ragazza, ha vissuto varie
vicissitudini, è stata venduta come schiava e diventa giullaressa e quindi ha le stesse capacità
artistiche di suo padre ed è proprio grazie alla musica che Tarsiana e Apollonio riescono ad
incontrarsi.
Apollonio a Tarso, mentre lei sta facendo uno spettacolo, viene riconosciuta da suo padre e c’è il
momento dell’incontro con suo figlia. Agnizione= momento del riconoscimento, momento della
svolta nei romanzi, dove si capisce cosa sia successo, rivelazione.
Il momento in cui si rincontrano è il momento dell’agnizione.
Successivamente i due riescono anche a ricongiungersi con Luisiana, Tarsiana riesce a trovare la
felicità perché si sposa con l’uomo che l’aveva resa schiava e c’è un ricongiungimento e in più
Apollonio riesce a conquistare il regno di Antioco, il primo regno di cui voleva sposare la figlia,
perché il vecchio re e la figlia erano morti.
Un testo che ha dei protagonisti che sono nobili perché si parla di re, che portano avanti delle doti
morali, culturali e artistiche molto elevate che si trasmettono di padre in figlio e anche un concetto
di onore, che si ritrovava nei cantares che viene riscattato, dopo tutti questi momenti difficili lui
riesce a riscattarsi e riconquistare quel regno di quel re che lo aveva messo in difficoltà.
Il libro di Apollonio è uno dei testi della Clerecia, quindi uno dei testi che segue questa nuova
maniera di fare poesia e abbiamo raccontato di cosa parla. In realtà è molto ricco di avvenimenti e
intrecci. Eroe diverso dal Cid, perché utilizza la cultura invece della spada.
La cosa importante è che lo scopo di questo libro era uno scopo ben preciso, che è lo scopo che
abbiamo visto anche nei cantares de gestas, ossia la funzione moralizzante, l’insegnamento.
Ancora una volta si insiste sul fatto che il male è punito e il bene vince sul male e che per
raggiungere il bene che da sempre un premio e gioia, spesso bisogna attraversare diverse
vicissitudini come Apollonio, però arriva poi alla felicità.
Rispetto ai cantares, che erano solo di insegnamento senza badare all’aspetto piacevole del
racconto, vediamo che già dai poemetti giullareschi, quelli che avevano poi una funzione didattica,
si segue una visione che è quella del deletar aprovechando: cioè quella per cui si racconta
qualcosa e questa cosa è piacevole e intrattiene e allo stesso tempo il pubblico ne prende le cose
positive e impara, sarebbe dilettare approfittando, prendendo un insegnamento però con piacere.
Il libro di Apollonio segue la visione del deletar aprovechando, perché racconta una storia che tiene
sulle spine perché succedono varie cose però nel frattempo è anche una storia piacevole che da un
insegnamento. I modelli letterari che segue il libro di Apollonio sono quelli dell’epoca perché
ritroviamo degli elementi che si possono far risalire anche alla letteratura araba del periodo.
Siamo sempre sotto la dominazione araba, c’è sempre l’influsso della cultura e quindi della
letteratura e per esempio il tema dell’indovinello (quello che Apollonio deve risolvere) è proprio un
tema che viene dalla letteratura araba. In questo periodo si cominciano a tradurre le opere arabe.
Il tema dell’indovinello proviene direttamente dalla letteratura, così come anche il tema del
viaggio. Apollonio viaggia tantissimo e continua a muoversi, anche sua moglie e sua figlia, è un
tema che proviene dalla letteratura greca (Con l’Odissea e Ulisse che viaggia), poi si trasforma nelle
varie e arriva tramite la cultura araba in Spagna.
Ci sono diversi modelli da cui prende spunto quest’opera moralizzante. Altro modello letterario che
viene fondato dal libro di Apollonio è quello della Mezzana e della Picara.
La mezzana è un personaggio che ritroveremo anche nel libro del bueno amor, è un personaggio
che sta in mezzo tra uomo e donna e cerca di farli di fidanzare, di solito è un uomo che si rivolge a
questo personaggio per intercedere con la fanciulla, in spagnolo alcahueta.
In realtà compare molto poco nel libro di Apollonio e si trova alla corte di Antioco e aiuta la figlia,
c’è un accenno a questo modello letterario, che poi sarà presente nel bueno amor e si affermerà
con la Celestina che è un opera della fine del ‘400.
Altro modello letterario è quello della Picara, la letteratura picaresca è nel siglo de oro, perché
nasce il modello letterario del picaro, ossia questo ragazzino che in qualche modo sopravvive (a
picar) con piccoli bocconi, perché era povero. Alla picara precedono vari personaggi e in questo
caso è Tarsiana, la figlia di Apollonio, una ragazza che viene venduta come schiava e comincia ad
essere una giullaressa. Da giullaressa passa a questo modo di vivere delle ragazze dell’epoca per
andare avanti e sopravvivere, guadagnandosi da mangiare e grazie alle sue doti musicali che le
derivano dai genitori, lei riesce a sopravvivere. Si può dire che è il diretto antecedente di quello
che sarà il Picaro del Siglo de Oro. Molto probabilmente anche prendendo spunto da Tarsiana
nasce il Picaro e tra l’altro si da attenzione a un personaggio popolare, di solito abbiamo re, nobili e
combattenti come protagonisti o i religiosi, mentre la letteratura picaresca comincia a dare
importanza a questi personaggi dei bassi fondi, i personaggi popolari. Sarà anche il preludio a
quello che sarà la gitana, come nella Gitanilla di Cervantes, dedicherà una novella ejemplar alla
figura della gitanilla, questa ragazza che canta e balla e che appartiene ai gitani, una classe
popolare dei bassi fondi.
Il libro di Apollonio utilizza delle fonti e dei modelli letterari presenti in Spagna, come la letteratura
araba, come l’indovinello il viaggio e l’essere cortesi che è il protagonista, ma crea anche dei
modelli letterari, da il via a modelli letterari futuri.
La letteratura araba interagisce con la letteratura spagnola come vedremo con Alfonso X e le prime
traduzioni delle favole che entrano nelle cultura spagnola.
GONZALO DE BERCEO
Primo autore di cui sappiamo il nome, è il primo che firma esplicitamente le sue opere. Primo
autore che utilizza l’autonominazio, cioè si auto nomina all’interno delle proprie opere, non solo
nei milagros ma anche in altre. Troviamo spesso l’affermazione “Yo, Gonzalo de Berceo llamado,
escribì este libro”. C’è una rivendicazione della paternità di quei testi ma non per un’esaltazione di
successo o per essere conosciuto il più possibile, ma perché aveva uno scopo ben preciso: voleva
insegnare e il fatto di esporsi e scrivere il proprio nome è una novità profonda, perché appunto
c’era la caratteristica dell’anonimato.
Da questo momento, non tutti iniziano a firmare, ci sono altre opere anonime ma si comincia ad
avere una visione del testo letterario come importante e propria, l’appropriazione della creazione
letteraria.
Berceo nasce negli ultimi anni del 1100, probabilmente prima del 1196 e muore probabilmente
intorno al 1260, tutti questi probabilmente perché in realtà abbiamo documenti sulla sua
esistenza, sappiamo la sua formazione e dove è vissuto ma non abbiamo atti di nascita e né di
morte. Dopo non si sanno notizie quindi sarà morto. Nasce a Berceo che si trova al nord della
Spagna e si forma in uno dei monasteri più importanti: San Millán de la Cogolla, dove sono state
trovate le glosas emilianenses che sono degli appunti al margine di un codice in latino in castillano
volgare, non hanno importanza letteraria ma linguistica.
Si forma in quel monastero perché fu un sacerdote, quindi clerico in tutti i sensi, non solo poeta
letterato ma anche poeta letterato sacerdote. Lui si forma in quel monastero e resta li tutta la sua
vita, quindi si dedica tutta la sua vita al servizio di questo monastero e alla scrittura delle opere. Era
un uomo acculturato che conosceva il latino ma affermava di non conoscerlo e di dover scrivere
necessariamente in volgare. Questa affermazione era falsa perché era un sacerdote e non poteva
non conoscerlo e le alcune fonti delle sue opere sono latine.
Diceva di non conoscere il latino perché voleva avere una platea più ampia possibile di lettori o
conoscitori della sue opere proprio perché il suo intento era didattico, di insegnamento, e quindi
questo insegnamento che voleva dare attraverso le sue opere doveva arrivare a più persone
possibili e il modo di farlo arrivare non era in latino, perché il popolo non lo conosceva il latino.
Attraverso il volgare castillano si arrivava ad avere più persone possibili.
Con questa falsa modestia di non sapere il latino scrive in volgare così quante più persone possibili
possono capire. Molte notizie della sua vita le sappiamo attraverso le sue opere, perché lui non
solo fa l’autonominatio, ma parla anche si sue esperienze, cosa ha vissuto e cosa ha fatto ed
essendo un sacerdote si possono trovare veri documenti sulla sua vita (tranne data nascita e
morte).
Berceo vuole insegnare la vita perfetta dell’uomo, dare delle indicazioni su come vivere la vita
terrena e la vita dell’aldilà, infatti tutte le sue opere hanno una tematica religiosa. La lingua
utilizzata da Berceo è una lingua molto semplice, ma la struttura che lui da alle sue opere è molto
ricercata perché utilizza la quaderna via nella migliore maniera possibile. Ci sono opere dove salta
la rima però per la maggior parte delle volte segue la quaderna via in maniera perfetta.
Quindi la forma è ricercata e precisa, il contenuto è semplice nella sua esposizione, perché deve
arrivare ed essere compreso da tutti.
Fa parte della Clerecia, ma viene chiamato poeta ajuglarado perché molto spesso utilizza delle
formule della Juglaria che possono essere delle riflessioni, dei momenti in cui si richiede atenzione
ma anche delle richieste di ricompense future celesti non terrene che erano proprie della Juglaria,
per questo viene chiamato così. Nella sua perfezione del portar avanti il Mester de Clerecia
comunque non abbandona completamente quella che era la juglaria.
Riunisce le sue opere in trilogie (tre opere per ogni gruppo). Il numero 3 è importante per l
religione cristiana. Anche nei milagros darà attenzione a questa importanza numerologica. Scrive
tre vite dei santi:
1. La vida de San Millan de La Cogolla, utilizzava anche queste opere per promuovere questi
monasteri dedicati a questi santi perché magari arrivavano pellegrini e portavano offerte
2. Vida de Santa Oria
3. Vida de Santo Domingo de Silos.
Scrive tre opere esegetiche, l’esegesi è quella interpretazione del significato di alcuni avvenimenti,
si analizza cosa è accaduto e parlano di verità della religione cristiana:
1. El sacrificio de la misa, parla dell’eucarestia, il sacrificio di Gesù che diventa corpo e
sangue.
2. Los signos che apareceran ante el judicio (los signos del judicio final), in cui si parla dei
segni che ci saranno prima della fine del mondo, prima del giudizio universale.
3. L’unica opera rimasta incompleta, il Martirio de San Lorenzo.
Poi scrive tre opere dedicate alla madonna:
1. Milagros de nuestra senora
2. Loores de nuestra senora
3. El planto que fizo la virgen el dia de la pasion de su fijo, detto anche el duelo de la virgen.

Muore intorno al 1260 e queste opere sono state conservate nel monastero, trascritte da non si sa
chi però comunque abbiamo i manoscritti di queste opere. Cominciano ad esserci più notizie certe
e meno teorie.
Prendiamo il testo: milagros de nuestre senora.
Si parla di miracoli della Madonna, i miracoli rappresentano degli interventi della Madonna ma la
parola Milagros può essere ritenuta come un sinonimo di storia/racconto e si chiamano milagros
perché in tutti i racconti c’è un intervento della vergine a favore di un personaggio nella storia.
Questi milagros rappresentano tutti dei racconti esemplari, ancora di più perché è la vergine la
protagonista delle azioni o quanto meno quella che agisce per cambiare le cose.
Deux ex machina: nei teatri antichi non c’erano mezzi moderni di macchinari, ma venivano usate
cose a mano, nelle rappresentazioni all’improvviso compariva un personaggio che risolveva le
situazioni che di solito veniva calato dall’alto sul palco scenico, poteva essere un santo, un angelo o
altro che però arrivava dall’alto e rappresentava il personaggio di svolta della storia, aiutava a
risolvere la situazione; veniva chiamato con un termine generale deus ex machina, cioè il dio che
arriva attraverso una macchina, controllato da una macchina. E da quel momento questo
significato di questo termine si è esteso a qualsiasi evento o personaggio che risolve la situazione.
Quel personaggio che in una determinata situazione fa si che si risolva bene, Maria nei Milagros
rappresenta il Deus ex machina, interviene a risolvere la situazione.
Di questa opera abbiamo tre manoscritti e diverse fonti, sia latine che francesi. La fonte principale
che utilizza Berceo è una fonte Mediolatina che si chiama Codice Thott 128, e si trova nella
Biblioteca di Copenaghen ed è la fonte primaria di Berceo per scrivere i Milagros. Poi ci sono delle
raccolte di racconti esemplari, due di aria francese e una di aria iberica: la prima è i 49 Miracles de
la Vierge (o Gracial), risalente alla fine del 1100 e di aria anglonormanna, l’altra Miracle de Nostre
Dame di Gautier de Coinci e poi di aria spagnola Le Cantigas de Santa Maria, scritte da Alfonso X
(sono 420 poesie dedicate alla vergine dal re).
Grazie a tutte queste fonti, Bercelo li prende, per esempio i 49 miracles e ne sceglie 24, di questi 24
li riformula e riadatta secondo sue esigenze e poi ne aggiunge un 25. In tutto i miracoli sono 25; 24
derivano da queste fonti, il 25 ha una fonte incerta, non si sa da dove provenga l’idea della storia.
25 perché 5 è il numero della Madonna. 25 Milagros preceduti da una introduzione e che ci fa
capire che tipo di scrittore è Berceo e come si comporta nei confronti del pubblico.
Ne leggeremo insieme 5 e ultima parte, da soli leggere 5 = in tutto da leggere 10.
Si parla di racconti esemplari, per forza devono avere come tematica qualcosa che può avvenire
nella vita di chiunque, si unisce la vita quotidiana di questi personaggi che si incontra con quelle
che sono le opere della vergine, l’intervento della vergine. Si unisce un aspetto verosimile di realtà
che è quello della vita di tutti i giorni insieme ad un aspetto più surreale che è quello
dell’intervento della vergine legato ad una vita ultraterrena. Quindi vita terrena e ultraterrena si
uniscono.
Chi aiutano la vergine? Coloro che si rivolgono a lei, anche chi ha avuto una vita terribile ma se si
dedicano alla vergine lei li ripaga con un suo intervento salvifico e poi smettono di essere cattivi.

Il personaggio viene salvato nel momento in cui dimostra con segni tangibili amore e devozione
per la Vergine, anche se ha commesso atti terribili.
Il protagonista è quasi sempre un uomo rappresenta il vassallo sottomesso al volere della Vergine,
quindi c’è alla base dei Milagros anche una cultura cortese, quella dell’ossequio, di devozione alla
donna.
La vergine appare in diverse vesti, non è sempre solei che è al di sopra della parti e interviene, a
volte ha anche degli aspetti umani come gelosia, si ingelosisce dei suoi fedeli, altre volte è
l’amministratrice della giustizia e dirime le contese altre volte prende il posto di suo figlio e ridà la
vita a chi già era morto, o si oppone alla morte di qualcuno che era stato condannato. Ritroviamo
diversi aspetti di questa vergine, è una figura molto umanizzata, prova sentimenti di un essere
umano ma è anche una madre generosa che perdona i suoi figli, altre volte funge da intermediario
tra l’uomo e l’aldilà, si rende intermediario con Cristo e Dio affinché vengano perdonati i peccati
dell’uomo.
Sia essa umanizzata, sia essa con i poteri dell’aldilà, sia madre amorevole rappresenta un tramite
tra la terra e il cielo e anche un modo per avvicinare l’uomo al cielo e quindi capisce che la vita
ultraterrena non è tanto lontana e vi ci può accedere quando vuole. E’ questo l’insegnamento, non
vi scoraggiate perché l’intervento divino può avvenire in qualsiasi momento.
Quasi tutti hanno una struttura ben precisa, sono tutti strutturati secondo un susseguirsi di
informazioni, c’è un breve prologo, dei versi di introduzione al racconto, a volte troviamo una
localizzazione, il luogo dove si svolge la storia, non c’è mai un tempo preciso, tranne nell’esempio
24, dove si da riferimento cronologico esplicito che è quello aggiunto. Ne aggiunge uno, che non è
il 25 ma il 24esimo, aggiunto in una seconda stesura che è l’unico che non segue questa struttura
fissa di tutti gli altri, tant’è che troviamo il riferimento cronologico.
Il fatto che non ci sia un riferimento cronologico fa in modo che ci sia un’universalità del tempo, il
fatto che non la inserisca fa si che chiunque lo legga anche nel 2023, può immedesimarsi e
prendere l’insegnamento che viene esplicitato nei Milagros.
C’è poi la presentazione del personaggio, anche qui abbiamo un anonimato del protagonista, quasi
mai ha nome sempre per il motivo di prima, ma ha una caratterizzazione di mestiere e qualcosa
che ha fatto nella vita. Già dal titolo si può capire chi siano i protagonisti, ma non hanno nomi.
Tutto poteva essere applicata a chiunque.
Si racconta poi il fatto, cosa è successo, come interviene la vergine nella vita di questi personaggi e
la narrazione si conclude con un epilogo che si contrappone al prologo, alcune volte non c’è, dove
esplicita una morale e si esplicita anche il motivo per la quale è stato inserito nel testo. Quasi tutti i
milagros hanno questa struttura, a volta mancano alcuni ma di solito ci sono quasi tutti.
Nel 24 specifica il tempo perché gli serve per il racconto, parla di quello che succedeva all’epoca,
parlava di un regno, di un preciso momento storico della Spagna.
Si parla di localizzazione spesso nei Milagros, ma non una localizzazione spagnola, tranne tre
milagros che sono ambientati in spagna: 1,18,24 cioè Toledo nei primi due e la Castilla in generale
nel terso, questo sempre perché non voleva che l’insegnamento si riducesse alla Spagna.
L’ejemplo era un escamotage letterario che derivava dalle prediche dei sacerdoti, c’erano delle
formule fisse utilizzate dai sacerdoti che utilizzavano per dare un insegnamento, da lì si ritraevano
le storie. Il popolo che li ascoltava, già conosceva le storie perché ritornavano poi nelle prediche
che ascoltavano la domenica a messa.

Durante il ‘200 troviamo espressioni di letteratura che non sono delle espressioni poetiche, per la
prima volta troviamo delle opere in prosa però non sono delle vere e proprie opere originali
spagnole, perché sono traduzioni.
Berceo aveva dedicato la propria letteratura all’insegnamento, voleva dare insegnamenti morali dal
punto di vista religioso, infatti tutte le sue opere hanno carattere religioso e aveva usato quella che
viene chiamata la Nueva Maestria, ossia il Mester de Clerecia, dopo di che si comincia ad avere
interesse per dei testi che circolavano in Spagna ma che avevano provenienza esterna, soprattutto
provenienza araba o indiana.
Questi testi seguivano lo stesso intento didattico dell’opera di Berceo, anche attraverso questi testi
si voleva insegnare qualcosa, nascono così i testi tradotti di letteratura didattica in prosa. I testi
vengono tradotti in castillano, cioè nella nuova lingua che sta nascendo e si sta affermando, la
lingua nuova della Spagna, un castillano che non è quello perfetto e definitivo ma che segue delle
regole. Queste raccolte di storie arrivano in Spagna grazie agli arabi, che hanno conquistato e
occupano ancora la Spagna e anche gli intellettuali che girano il mondo e che arrivano in Spagna
portando con sé le loro produzioni.
Uno dei primi testi tradotti è il testo del Calila e Dimna che troviamo nel testo come Calila e Digna,
deriva da una raccolta di favole indiane, che erano scritte in versi e in prosa, la raccolta si chiama
Pañchatantra, che è una raccolta di favole composte intorno al terzo secolo d.c. All’interno di questa
raccolta c’è questa opera di Calila e Dimna che è stata tradotta.

Questa raccolta ebbe un successo molto profondo dalla sua pubblicazione per quasi 1500 anni, non solo
Spagna, ma in tutta Europa e in tutto il mondo. In Europa arriva tramite delle traduzioni persiane/arabe e
arriva appunto nel ‘200. La traduzione spagnola deriva da una versione araba del 750, quando un uomo
chiamato Abdallah ibn al-Muqaffa, traduce dall’indiano in arabo questa favola e dall’arabo arriva in Spagna
tradotta probabilmente per volere di Alfonso X nel 1251.

In Italia viene tradotta più tardi in latino da Giovanni da Capua con il titolo di Directorium humanae vitae,
cioè le indicazioni della vita umana, si capisce l’intento didattico di quest’opera.

Calila e Dimna è il titolo della traduzione fatta in Spagna forse per volere di Alfonso X, dalla traduzione
dall’indiano all’arabo fatta da Abdallah ibn al-Muqaffa.

Di cosa parla questa favola? I protagonisti sono due animali che a seconda della traduzione possono essere
o due linci o sciacalli. Come sappiamo, c’è un dialogo tra questi due animali ma anche tra cose, animali,
persone, c’è tutto un avvicendamento con uno scopo didattico. Si danno delle indicazioni per affrontare i
problemi della quotidianità. Alla fine di ogni episodio che viene raccontato c’è l’esplicitazione della morale
che sarà utile per mettere in pratica l’insegnamento.

E’ un testo un po’ variegato, non unitario, c’è un po’di caos però l’unitarietà del testo è data dall’intento
didattico, la voglia di insegnare.

Insieme a Calila e Digma c’è un’altra raccolta di favole tradotta è il Sendebar, questo testo fu fatto tradurre,
o tradotto in prima persona il fratello di Alfonso X, Don Fadrique nel 1253.

E’ un testo chè ha un sottotitolo abbastanza lungo che esplicita il contenuto: Libro de los engaños e los
asayamientos de las mujeres.

Libro degli inganni e i danni delle donne. Già si può capire che è un libro abbastanza misogino e contro le
donne. La storia parla di una donna, la moglie di un re indiano che aveva più mogli, era poligamo, che si
innamora di uno dei figli di questi re e fa delle avances a questo ragazzo che rifiuta queste avances e lei lo
accusa al marito dicendo che era stato lui che aveva voluto provocarla, il re crede alla moglie e immagina sia
stato suo figlio anche perché questo ragazzo secondo un consiglio che era stato da un suo maestro
Sertubete, che gli aveva visto gli astri e aveva previsto che se avesse parlato per 7 giorni sarebbe morto,
quindi gli dice che non poteva discolparsi perché altrimenti sarebbe morto.

Allora Sertubete chiama sette saggi e ognuno di loro per 7 giorni racconta una storia contro le donne che
possa convincere il re del fatto che questa donna sia stata lei a essere bugiarda e non il figlio. Alle sette
storie dei saggi corrispondono sette storie in cui la donna si discolpa e racconta storie dove sono gli uomini
ad essere malvagi. Alla fine dei 7 giorni, il ragazzo può parlare e si discolpa e il re gli crede e la donna viene
condannata a morte.
Abbiamo sempre una visione morale di insegnamento, questa volta abbiamo un insegnamento per tenere
sotto controllo i danni che possono causare le donne, però anche in questo caso abbiamo l’intento di
insegnamento che sarà ancora più esplicito in quella che sarà la letteratura didattica del ‘300 che sarà
sempre in prosa.

Dopo tutto il periodo in cui abbiamo visto testi poetici in versi cominciano ad entrare nella letteratura
spagnola dei testi in prosa, non teniamo conto dei testi che sono le prime attestazioni in prosa in castillano
volgare perché sono attestazioni che hanno soprattutto un’importanza linguistica più che letteraria, noi in
realtà da questo periodo iniziano ad arrivare, abbiamo tanti documenti d’archivio di varie specie in
castillano volgare ma non sono di interesse letterario.

I primi testi che abbiamo in prosa che hanno interesse letterario sono queste traduzioni che sono traduzioni
da testi arabi e indiani. Le traduzioni si collegano strettamente a una scuola: Escuela de traductores de
Toledo, centro della cultura e incontro di culture, che già esisteva da un po’ e alla quale all’interno si
cominciavano a fare tante traduzioni che entrano nella cultura spagnola.

Colui che da un impulso molto profondo a la Escuela de los traductores de Toledo è Alfonso X detto el
sabio. Dedica molta parte della sua vita alla cultura, un re che ha tanto da fare ma che da tanta importanza
alla cultura del suo regno, in particolare da importanza ad un’unitarietà culturale sotto diversi aspetti. Nasce
nel 1221 e muore nel 1284 e possiamo avere date più precise dei personaggi già visti, anche perché lui era
un re e i documenti sui re e i personaggi importanti e gli eroi, di solito sono molto più certi. Fu re di Castilla
y Leon, figlio di Fernando III el santo, che aveva annesso Cordoba e Sevilla alla corona di Castilla y Leon,
quindi aveva ampliato il regno e di Beatrice di Baviera. Diventa re nel 1252 e il fatto che avesse questa
ascendenza spagnola e bavarese e quindi germanica lo rendeva qualcuno che potesse essere l’imperatore
del sacro Impero romano germanico. Ma in realtà questa candidatura non venne accolta dalla chiesa perché
Alfonso X non era ben visto dall’ambiente ecclesiastico, perché aveva degli interessi che non avevano a che
fare con la religione, per esempio studia gli astri, scrive il libro de la ochava esfera, che è un testo di
astronomia e il fatto che avesse questi interessi che per la chiesa erano degli interessi eretici, fa in modo che
non rientri nelle possibili candidature a imperatore.

Combatte contro i musulmani anche prima di diventare re, quindi da principe, quindi combatte per la
Reconquista della Spagna e questo fa capire come non si dedichi solo all’aspetto intellettuale ma anche
all’aspetto politico. Dovette avere a che fare con molte ribellioni interne e la lotta di successione perché
ebbe tanti figli, anche illegittimi, sposa nel 1249 Violante D’Aragona e ci fu una lotta tra i figli che dovevano
salire al trono e alla fine sale Sancho IV.

Ha a che fare con la scuola di traduttori perché Alfonso X el sabio all’attività già affermata e
consolidata di questa escuela, che era già nata e aveva un’attività forte aggiunge un attività di una
sua oficina di traduzione detta Camara Real, cioè crea una fucina di traduzioni guidata da lui, di cui
lui era il supervisore e gestiva il lavoro di questi traduttori.
La Camara Real si inserisce all’interno della Escuela de traductores de Toledo, non la fonda la
escuela, esisteva già, lui semplicemente da un’organizzazione a questa parte di escuela, anche
perché da delle indicazioni precise di traduzioni con dei compiti ben precisi per ciascuno di coloro
che lavoravano alla Camara Real. Il lavoro era diviso in tre parti, c’era:
1. I trasladadores, cioè i traduttori, trasladar è sia trasferire che tradurre, che erano coloro
che traducevano i testi che Alfonso X decideva.
2. Ayuntadores, organizzavano il lavoro dopo la traduzione, mettevano insieme la parti della
traduzione, dividevano in capitoli.
3. Capituladores, che correggevano la traduzione e davano la versione definitiva, davano una
struttura interna precisa.
Queste tre parti all’interno della Camara Real contribuivano poi a questa versione definitiva
dell’opera che veniva approvata da Alfonso X, senza l’approvazione del re, l’opera non andava
bene, ad esempio la vergine con i vangeli con Berceo, che ha approvato i vangeli, stessa funzione di
Alfonso X di approvazione e controllo generale.
La lingua in cui si traduceva il testo era il castillano, ma non uno qualsiasi, un castillano che Alfonso
X chiama Drecho, ossia dritto, cioè un castillano che fosse quasi perfetto e che fosse la lingua
parlata in Spagna all’epoca secondo quello che auspicava all’epoca Alfonso X.
Questo castillano drecho prevede un inserimento di vocaboli nuovi all’interno della lingua che con
le traduzioni dall’arabo o indiano non esistevano in spagnolo, c’era la necessita di creare dei
neologismi, ossia nuove parole perché magari all’epoca nel castillano che si parlava non c’erano
ancora queste parole che invece si trovavano in altre lingue.
Alfonso X vuole dare un’uniformità in Spagna e con il castillano drecho vuole dare un’uniformità
linguistica.
C’erano ancora molti influssi arabi e latini e lui voleva dare un’unitarietà alla lingua parlata e
soprattutto alla lingua scritta e infatti nel libro de la ochava esfera, parla di questo castillano
drecho, come veniva fatta la traduzione? Bisognava affrontare nuovi campi scientifici, non erano
solo traduzioni letterarie, non solo favole, ma anche documenti con dei linguaggi specifici che non
avevano ancora delle parole in castillano, allora Alfonso X e i suoi collaboratori devono
necessariamente trovare dei nuovi termini.
Questa operazione avviene secondo un preciso ordine di precedenza perché la prima cosa fatta è
quella di creare il neologismo in castillano partendo magari da una parola già esistente. Esempio:
Esisteva la parola paladino, l’eroe che combatte, per indicare l’azione del paladino si creava il
neologismo paladinar, cioè si derivava con la desinenza dei verbi da un termina già esistente in
castillano; quindi il primo step che si faceva se era possibile era creare un neologismo in castillano,
se questa cosa non era possibile si ricorreva al latino, si inseriva la forma classica al latino di quel
termine spiegando il significato, si metteva la parola latina con la definizione affianco.
Quando la parola mancava anche in latino ci si rifaceva al greco, si offrivano delle spiegazioni meno
precise e poi alla fine quando non si poteva creare neologismi in castillano, non c’era in latino o
nemmeno in greco allora si ricorreva all’arabo e l’arabo prevedeva delle spiegazioni più precise,
perché era una lingua meno conosciuta, grazie alla presenza di collaboratori arabi all’interno della
Camara Real. La scrittura araba era riportata con caratteri latini occidentali, perché altrimenti non
sarebbero state capite.
Le traduzioni della Camara Real seguivano questo ordine così preciso proprio perché a Alfonso X
vuole dare una unitarietà, uno schema ben preciso della lingua castillana, è anche grazie a lui che
noi oggi parliamo il castillano di oggi perché ha dato delle regole.
Vedremo per la prima volta la prima grammatica nel 1492, dove finalmente vengono scritte le
regole del castillano, con delle regole grammaticali, questa sua voglia di dare un’unitarietà al regno
la vediamo anche sotto un altro punto di vista non solo linguistico ma anche del diritto, legislativo,
infatti scrive un opera che si chiama Las Siete Partidas, al cui interno c’è una descrizione del tipo di
teatro che veniva fato all’epoca medievale.
Non ci sono opere teatrali, l’unica è quella di cui abbiamo già parlato ma sappiamo dei generi di
rappresentazioni.
SIETE PARTIDAS
Si chiama così perché è un testo formato da sette parti, che nel tempo ha avuto diversi titoli: libro
del fuero, libro de las leyes. Però in realtà, Alfonso X non vide mai promulgate queste leggi, perché
le leggi de la siete partidas furono promulgate da Alfonso XI nel 1348, non promulgate
contemporaneamente alla pubblicazione del testo.
Sono circa 2500 leggi e vennero create da Alfonso X per dare una uniformità giuridica al regno
spagnolo. Questo documento legislativo che non venne subito applicato, ma successivamente
preso in considerazione in Spagna, è stato alla base di quella che sarà la legislazione in America
Latina, quando l’America diventerà colonia spagnola, quelli del sud America e quindi come
legislazione verrà esportata questa che abbiamo da Alfonso X.
Nel prologo alla siete partidas infatti Alfonso X espime in maniera esplicita la necessità di mettere
fine alla confusione di leggi che c’era all’epoca e scrive questo testo che abbraccia tutti gli ambiti
della società dell’epoca, non solo il teatro, quindi la cultura, il tipo di cultura dell’epoca, ma anche
la filosofia, la morale, la trilogia, l’economia; vuole abbracciare tutto quello che riguardava la
società dell’epoca e dare delle indicazioni legislative.
Questo testo è un grande specchio della realtà dell’epoca in Castilla, anche perché si fa riferimento
a molti aspetti della vita quotidiana di tutti i giorni, quindi sappiamo attraverso questo testo che
tipo di società c’era all’epoca sotto Alfonso X.
Scrive delle opere, che scrive in collaborazione, perché necessariamente non poteva averle scritte
da solo. Oltre alla siete partidas, insieme agli studiosi a corte, coloro che frequentavano la Camara
Real ecc. oltre a tradurre tanti trattati scientifici, didattici e letterari, elabora due opere ex novo che
sono opere storiche che hanno un interesse soprattutto storico.
La prima è Estoria de España che verrà editata con il titolo de primera cronica general. Fa parte
della suddivisione dei cantares de gestas, sono l’evoluzione storica dei cantares che uniscono realtà
e finzione, le cronicas invece non hanno nulla di finzione ma sono delle vere e proprie cronache
scritte in prosa perché è il genere più adatto alla cronaca non la poesia.
Fu iniziata intorno al 1270 e si basa delle fonti storiche abbastanza modeste perché l’idea di
Alfonso X era quella di scrivere una storia della Spagna dalle origini, dalle prime notizie che si
hanno fino all’epoca contemporanea di Alfonso X, infatti la storia con la storia di Mosè, quindi la
fonte è biblica, prosegue la Spagna pre-romana fino ad arrivare a Fernando III, il re precedente ad
Alfonso X.
Non ha potuto da solo creare da solo un’opera così enorme che abbracciasse tutta la storia della
Spagna quindi si aiutava con i suoi collaboratori. Le fonti sono divere, ci sono poche fonti storiche:
prima di tutto la Bibblia, cronache latine e greche, storie latine, i cantares de gestas, che
rappresentavano le indicazioni sui personaggi storici ma anche leggende, di propriamente storico
c’era ben poco, ma c’era un ispirazione generale a testi latini e greci, testi spagnoli.
Dopo questa enorme opera scrive un’altra cronaca che si chiama Grande e General Estoria in cui
l’intento di Alfonso X è ancora più grande rispetto a quello della prima opera, perché non vuole
raccontare solo la storia della Spagna ma vuole raccontare la storia dell’umanità intera e per
questo si chiama così.
Vuole scrivere una storia universale partendo dall’antico testamento, quindi proprio dalle origini
della Bibbia, ma non riesce a portare a termine questo testo perché muore e si ferma fino alla
storia dei genitori della vergine, di Maria, la storia della nascita della Madonna, ancora prima della
nascita di Gesù, però scrive 5 volumi molto grossi di quest’opera con un abbozzo del 6 volume,
sarebbe potuto arrivare ad una 30 di volumi ma non è riuscito a concluderlo.
Però in queste due opere c’è l’intento di Alfonso X di mettere delle basi, delle conoscenze che siano
conoscenze per tutti, sia della storia della Spagna sia della storia universale, anche per questa
seconda opera la fonte principale è l’antico testamento e rappresenta comunque un grande
esercizio letterario e ci fa capire quanto lavoro ci fosse alla corte di Alfonso X.
Oltre a questi testi e altri trattati sull’astrologia, un libro sui giochi degli scacchi di cui era molto
appassionato, oltre las siete partidas ecc. si dedica anche alla poesia, non produce solo opere in
prosa e per la poesia non usa quella lingua di cui abbiamo parlato, ossia il castillano drecho, ma
utilizza una lingua più lirica e musicale che è il gallego portoghese, la lingua parlata in Galizia, che è
un misto tra il gallego e il portoghese, questa lingua per lui era la lingua più musicale e lirica che si
poteva utilizzare per la poesia e scrive una serie di poesie dedicate alla vergine: le Cantigas de
Santa Maria, che abbiamo già citato perché fonte di ispirazione per Berceo per i Milagros.
Sono poesia dedicate alla vergine e questa raccolta è la più importante e la più bella tra quelle che
scrive Alfonso X e ne scrive anche altre.
Sono più di 400 composizioni in onore della Vergine in cui si trovano non solo lodi alla vergine ma
anche storie dedicate ad essa ed è per questo che Berceo lo prende come ispirazione, dove lei
interviene per aiutare i suoi fedeli e racconta appunto i miracoli fatti dalla Vergine.
Queste Cantigas de Santa Maria sono delle poesia che daranno anche ispirazione per la letteratura
successiva perché sono molto poetiche e sono un grosso esempio di bella poesia spagnola.
Alfonso X non solo faceva tutto quello che faceva ma scriveva anche delle belle poesie.
Con Alfonso X chiudiamo il ‘200 e passiamo al ‘300 e ci avviciniamo a quello che sarà un prossimo
testo che leggeremo insieme e cioè il libro de bueno amor.
IL 1300
Alfonso X ha dei discendenti, tra cui abbiamo visto Sancho IV, che continuerà il lavoro d’interesse
letterario che aveva cominciato il padre e anche con il nipote che si chiama Don Juan Manuel che
sarà un grande autore del ‘300.
Il ‘300 è il secolo della prosa, sia afferma nel ‘300 la vera prosa castillana, quella del ‘200 non era
finta ma non erano opere originali ma traduzioni. Nel ‘300 invece si creano opere in prosa in
maniera originale. Questa prosa continua ad avere uno scopo ben preciso, lo scopo didattico, nel
‘300 troveremmo spessissimo, tranne Juan Luis che è un po’ a parte la voglia di insegnare,
troveremo una coppia che ritorna spesso che è quella del maestro e del discepolo, tramite la
rappresentazione della coppia insegnante e discepolo le opere vengono strutturate per insegnare.
Un maestro che da insegnamenti, io lettore leggo, leggo i dubbi e domande e di conseguenza
imparo anche io quello che il maestro sta spiegando al discepolo. E’ una modalità di insegnamento
nuova che verrà presa da diversi autori dell’epoca, proprio perché si capisce che ha una buona
funzione e riesce ad arrivare dove deve arrivare.
Ci sono diversi tipi di prosa didattica:
1. PROSA DIDATTICA SCIENTIFICA; il fatto che si chiami scientifica ci fa capire che abbia a che
fare con le scienze. Le opere che fanno parte di questo tipo di prosa sono:
1. Traduzione dell’opera italiana Tesoretto di Brunetto Latini, opera di fine ‘200 tradotta
sotto il regno di Sancho IV in castillano. I guelfi e i ghibellini in un dato periodo del ‘200
combattono, i guelfi appoggiavano il papato, i ghibellini appoggiavano l’impero, la parte
laico, i guelfi erano a Firenze e i ghibellini a Siena. L’ultima battaglia che combattono tra
loro è la Battaglia di Montaperti e il protagonista dell’opera era un guelfo, mentre nella
battaglia vincono i ghibellini e quindi sconfortato dalla notizia della vincita dei ghibellini,
comincia un viaggio e si perde in una selva diversa (ispirazione a Dante), in tutto questo
suo cammino incontra dei personaggi allegorici in particolare incontra la
personificazione della natura e delle virtù che lo guidano in questo suo percorso e gli
cominciano a dare delle nozioni su diversi campi del sapere dell’epoca, in particolare sui
comportamenti dell’amor cortese, come ci si deve comportare con una donna ecc.
L’opera si interrompe nel momento in cui incontra Tolomeo che gli sta dando delle
indicazioni astronomiche. Anche in questo caso c’è la coppia maestro-discepolo che
sono diversi maestri che si avvicendano ma c’è il discepolo che acquisisce queste
conoscenze, quindi grazie agli insegnamenti che vengono dati in quest’opera,
quest’opera viene tradotta in castillano e fa parte della prosa didattica scientifica.
2. Altra opera è il Lucidario; è la traduzione di un’opera latina che si chiama Speculum
Naturalae, che faceva parte di un’opera più ampia chiamata Speculum maius
dell’autore Vincenzo di Beauvais. Egli scrive lo Speculum maius diviso in varie parti, una
parte era lo Speculum naturalae, una parte era lo Speculum doctrinalae e una parte era
lo Speculum Distorialae; tutti è tre facevano parte dello Speculum maius, il Lucidario è
la traduzione solo dello Speculum naturalae. Fa parte della prosa didattico scientifica
perché lo Speculum naturalae parlava della scienza naturale, doctrinalae è la filosofia,
distorialae è la storia. Quindi la parte delle scienze viene tradotta in castillano sempre in
questo periodo sotto Sancho IV, fu lui a commissionare la traduzione di quest’opera. E’
un opera enciclopedica, anche prima della scoperta dell’enciclopedia nel ‘700, ma dal
nostro punto di vista perché esprime tanti saperi in un unico testo e riprende non solo
non solo quelle che potevano essere le scienze naturali ma anche tanti aspetti del
sapere dell’epoca e quindi questa cosa fa sia che rappresenti degli apporti alla
letteratura spagnola.
3. Altre diverse cronicas, derivanti dalla Primera Cronica General di Alfonso X, che
formano parte della prosa didattica scientifica.
2. PROSA DIDATTICO MORALE; si propone di dare un insegnamento non con basi scientifiche
ma con basi quotidiane, quindi nella vita di tutti i giorni. Le opere che fanno parte di questo
settore sono formate da sentenze, da proverbi, da esempi che attingono alle fonti popolari
dell’epoca ma anche a fonti classiche, arabe e spagnole. Significa che si volevano dare delle
indicazioni che non riguardassero un particolare ambiente della società (come la prosa
scientifica), ma delle opere che venissero capire e potessero arrivare ad un pubblico più
ampio. Una delle opere più importanti di questo filone è un’opera probabilmente
attribuibile allo stesso re Sancho IV, che è Libro de los castigos e documentos para bien
vivir que don Sancho IV dio a su fijo, quindi sono le indicazioni che Sancho IV dà al figlio.
Opera terminata nel 1292 che probabilmente Sancho IV aveva fatto scrivere o
commissionato lui stesso e che era probabilmente realmente rivolta al figlio Fernando per
insegnargli, per dargli le basi dell’educazione morale e politica per essere un buon re. ‘vivir’
era un vivir riferito a corte, come stare a corte. Questo testo ha sofferto molte
rielaborazioni, la prima originale fatta da Sancho IV aveva 40 capitoli, mentre nel testo
arrivato ad oggi che noi conosciamo ne ha 90. Sono stati aggiunti nel tempo tanti capitoli,
con tanti insegnamenti nuovi. Questo testo ci da delle indicazioni sulle concezioni politiche
dell’epoca, quindi il tipo di comportamento che avevano i re o che comunque si aveva a
corte nell’epoca e contiene, anche se riguarda un testo che è fondamentalmente
appartenente ad un ambito nobile, ha tanti riferimenti a quelle che sono le favole
dell’epoca, l’educazione popolare e quello che fa parte del popolo. Ci sono giunti anche dei
dipinti che rappresentano gli insegnamenti che si sono mantenuti.
3. PROSA STORICO ROMANZESCA; romanzo è una parola che è nata recentemente, è un tipo
di creazione letteraria che all’epoca non esisteva, anzi sta per nascere il primo germe del
romanzo in Spagna, anche se il primo vero romanzo in Spagna sarà il Quijote e si comincia a
parlare proprio di romanzo. Però abbiamo delle opere che preannunciano la nascita del
genere romanzo. Perché storico romanzesca? Perché di questo filone fanno parte quelle
opere che si rifanno ad eventi storici ma che hanno un’ispirazione anche di finzione come
per esempio la CRONICA TROYANA, che è un’opera che deriva dall’opera francese Le
Roman de Troie. Si ispira alla storia di Troia, la presa della città. Altra opera di questo filone
è la Gran Conquista de Ultramar, che poi sarà uno dei testi da cui deriverà il romanzo
spagnolo, molto più avanti e che sarà oggetto di molte discussioni. E’ stato composto alla
fine del 13 secolo, anche se la datazione non è sicura e potrebbe rappresentare uno dei
primi romanzi di cavalleria dell’epoca perché quello che viene raccontato all’interno di
quest’opera sono le crociate basandosi su varie opere latine cha raccontavano appunto
questi avvenimenti delle crociate come anche altre fonti francesi, è un’opera molto prolissa
e pesante, molto monotona perché vuole mettere insieme quello che si sa sulle crociate e
farne una sorta di opera lineare ma l’autore non c’è riuscito. Si trattano anche diverse
tematiche come anche la storia di Carlo Magno nelle varie cose, in goni caso fa parte di
questa prosa didattico perché comunque da delle indicazioni storiche su degli avvenimenti
storici realmente esistiti anche se con qualche elemento fittizio, ma la vera opera
importante di questo terzo filone è un opera che è più sicura ed è ritenuta la base dei
romanzi di cavalleria dell’epoca della letteratura spagnola ossia: Historia del caballero de
Dios che havia por nombre Zifar (Libro del caballero Zifar).
Zifar è il terzo tipo di eroe che troviamo da quando abbiamo cominciato a parlare: il primo era il
Cid che aveva come arma le spade, il secondo era Apollonio che aveva come arma la cultura e il
terzo è Zifar che è un eroe particolare perché quello che lui ha è la fede, una profonda fede in Dio
che non gli permette di arrendersi davanti alle numerosissime messe alla prova da parte di Dio.
L’autore di quest’opera non è certo. Non abbiamo la sicurezza di chi fosse, ma probabilmente è
attribuibile a Ferrand Martinez, probabile autore ma non si sa precisamente.
E’ un’opera abbastanza lunga che è stata divisa in tre parti dalla critica. Zifar ha una famiglia , è un
padre di famiglia, ha due figli che si chiamano Garfin e Roboan e ha una moglie che si chiama
Grima, con loro affronta numerosissime vicissitudini, tutte in cui ha la peggio, in cui perde duelli,
perde regno, deve viaggiare e spostarsi ma accetterà sempre tutto quello che gli capita con
rassegnazione cristiana. Finalmente a un certo punto, quando avevano dimostrato tutti di essere
buoni cristiani, quindi di avere una fede immensa in Dio, finalmente hanno dei premi per la loro
condotta, riescono a raggiungere un regno in cui diventerà re e quindi riescono a trovare un po’ di
pace dopo tante vicissitudini.
Sembra che la storia finisca, in realtà comincia una seconda parte, questa ha come protagonista
Roboan, il secondo figlio, che non potrà essere l’erede al trono perché è appunto il secondo genito
e quindi chiede al padre il permesso di cercare fortuna altrove. Zifar accetta questa volontà del
figlio ma prima di inviarlo, gli da degli insegnamenti, gli spiega come un uomo possa fare ad essere
un buon re, come deve comportarsi nel mondo, come deve affrontare le situazioni, come si deve
comportare nei confronti dei sudditi (coppia maestro-discepolo).
C’è questa seconda parte che è didattica soprattutto, perché ha questa parte in cui Zifar insegna a
Roboan. Successivamente terminata seconda parte comincia la terza, è la parte in cui Roboan parte
e mette in pratica gli insegnamenti del padre riuscendo a diventare un buon re, trova una moglie
alla sua altezza e quindi si trova bene con gli insegnamenti che gli aveva dato il padre e così
termina. Queste tre parti hanno delle caratteristiche diverse: prima di tutto il libro del caballero
Zifar potrebbe essere ritenuto il primo libro di cavalleria se non fosse che i libri di cavalleria hanno
altre caratteristiche, però la prima parte di quest’opera appartiene a un genere che era chiamato
genere bizantino, cioè il genere del viaggio, delle vicissitudini, delle cose da affrontare, la seconda
parte si inseriva perfettamente nella tradizione didattica dell’epoca perché c’è appunto
l’insegnamento da parte del padre al figlio, la terza parte è una vera e propria opera di cavalleria
perché c’è il cavaliere Roboan che affronta le vicissitudini e segue insegnamenti del padre.
C’è un opera importantissima in cui si danno gli insegnamenti per essere dei bravi regnanti: il
Principe di Machiavelli, che però verrà scritto nel 1513, ora siamo nel ‘300, due secoli prima in
Spagna si davano delle indicazioni per il giusto vivere dei regnanti. Infatti la datazione di
quest’opera è probabilmente all’inizio del ‘300 e gli avvenimenti che vengono narrati, visto che ci
sono dei riferimenti storici all’interno, sono fatti risalire intorno al 1301, quindi sarà dei primi anni
del ‘300.
Zifar rappresenta il prototipo del cavaliere cristiano, il Cid lo era anche, anche quante volte si
fermava a credere, ma Zifar ha quello come arma, ha l’essere cristiano come arma che gli fa
superare tutte le varie vicissitudini. Il primo tipo di cavalleria arriverà successivamente in maniera
satirica, come critica ai tipi di cavalleria. Questa è una buona base come libro di cavalleria e anche
come libro didattico, questo libro alla fine del ‘400 venne trovato venne trovato nelle biblioteche di
grandi regnanti come anche nella biblioteca di Napoleone, quindi anche lì a distanza di secoli,
Napoleone lo conserva nella sua biblioteca e ora sta nella biblioteca nazionale di Parigi, per quanto
sia importante questo testo per essere uno dei primi in cui si davano le indicazioni per il buon
regno.

DON JUAN MANUEL


Re Alfonso X si dedica alla cultura e dopo di lui comincia quella didattica in prosa di diverse
categorie, ci siamo immersi nel ‘300 con questo nuove genere, non si abbandona la poesia ma ci si
dedica anche alla prosa, cosa che in precedenza non accadeva, era quasi tutto in versi.
Nel ‘300 c’è un autore importante che si dedica soprattutto alla prosa ed è Don Juan Manuel, che
era parente ad Alfonso X, un po’ tutta la sua famiglia aveva un interesse per la cultura, era sobrino
di Alfonso X.
Nasce nel 1282, nel castello di Escalona, vicino Toledo e diventa molto presto erede del suo regno
perché diventa ad 8 anni orfano, questo acquisire il potere così presto, fece si che si dedicasse da
solo a studiare e conoscere. Acquisì varie conoscenze sull’astronomia e su diversi sport come
equitazione, gioco scacchi, si comincia da molto giovane a dedicare a diverse attività.
E’ anche soldato, quindi si dedica anche alla Reconquista, ed è un valido soldato tant’è che gli
dedicano una moneta, era molto conosciuto all’epoca. Proprio perché era molto conosciuto ed
aveva avuto questo potere così presto, si cominciò ad attrarre alcune invidie a livello del regno e
soprattutto due re dell’epoca: Alfonso XI e Fernando IV tramarono contro di lui per ucciderlo.
Attorno alla sua figura sono iniziate a nascere anche alcune leggende, soprattutto attorno al
rapporto con Alfonso X e si racconta che per entrare nella cerchia di amicizie di Don Juan Manuel,
Alfonso XI avesse chiesto in sposa la figlia di Juan Manuel, chiamata Costanza. Però non si
sposarono mai, perché le nozze venivano rimandate sempre, come a fare un dispetto fino a
rompere fidanzamento, cosa che era impensabile all’epoca fu un grande affronto per Don Juan
Manuel e dichiara guerra ad Alfonso, ci fu anche l’intervento papale per mettere fine a questa
questione, la pace definitiva ci fu solo quando i due si allenarono contro i musulmani in una guerra
chiamata Battaglia del Salado del 1348.
C’è questa pace, però questa apertura è molto tra il leggendario e il reale e fa si che alla fine Don
Juan Manuel abbandoni la vita politica e si dedichi solamente alla vita letteraria, a comporre opere.
Evidentemente la vita politica con tutti intrighi a corte lo avevano stancato.
La sua letteratura è molto variegata, si dedica alla prosa però in realtà la sua devozione religiosa fa
si che dedichi anche lui delle poesie alla vergine, quindi anche lui poeta, scrive queste poesie che
non solo le sue importanti della sua produzione letteraria.
Ebbe molti figli. La sua produzione letteraria si concentra intorno a 3 opere maggiori e diverse
opere minori; partendo dalle minori la prima è un opera molto simile a quella fatta da Sancho IV
che dedicò al figlio e si chiama libro de los castigos o consejos que fizo don johan manuel para su
fijo, detto anche Libro Infinido, perché ci sono tanti consigli di esperienze dell’autore e i consigli da
dare nella vita sono infiniti rispetto alle esperienze che si possono fare nella vita, quindi non è un
libro che può avere una fine. Scrive anche il Libro de la Caza, ossia della caccia, considerato uno dei
primi testi in castillano che parla della caccia contro il falcone, molto in voga tra i nobili e che Don
Juan Manuel, che la praticava, vuole dare delle indicazione proprio sulla caccia in sé, non solo
illustra le tecniche che ci vogliono per cacciare ma anche da elementi di vita quotidiana, indicazioni
sulla vita quotidiana, ma anche sulla sua vita privata all’interno delle opere.
Le sue esperienze personali che diventano materiale letterario con tanto autobiografismo, perché
lui ritiene che le sue esperienze possano essere d’aiuto agli altri, ci fa capire che l’intento delle
opere di Don Juan Manuel era un intento didattico, di insegnamento, che possono essere i consigli
che dava al figlio, i consigli sulla caccia etc.
Altro testo si chiama Crònica Abbreviata, è un testo che lui scrive prendendo l’opera dello zio la
Estoria de España dello zio Alfonso X, lui fa un riassunto capitolo per capitolo e per questo fa una
cronica abbreviata, un riassunto di quella che era la cronaca dello zio.
Ci sono tante sue opere andate perdute, di cui conosciamo l’esistenza all’epoca tramite quelle che
ci sono arrivate. Parla delle sue opere all’interno delle sue opere, si autocita; si acquisisce sempre
di più la coscienza dell’opera scritta e si da dal Mester de Clerecia comincia a cambiare l’idea del
testo, anche del testo scritto, non era solo orale e lui voleva creare dei testi che fossero
corrispondenti a quelli che lui creava, gli venne in mente di creare degli esemplari unici, esemplari
viene da esempi, depositarli in un monastero, in modo tale che tutti quelli che poi si sarebbero
scritti, copiati, dovevano rispettare quel testo che lui aveva depositato.
Stava dicendo questa è la mia opera, questa è l’originale devono essere tutte le opere così. La
deposita nel Monastero di Peñafiel, però purtroppo questo monastero subisce un incendio, ci sono
arrivati altri manoscritti fedeli agli originali, però molte opere sono andate perdute, non tutti i suoi
testi ci sono giunti, ma ne sappiamo perché appunto se ne parla in altre opere.
Queste sono le sue opere minori, poi ci sono le tre opere più importanti. La cosa fondamentale è
che Don Juan Manuel prende come punto di riferimento fondamentale di queste opere quella
coppia saggio-discepolo, in tutte queste 3 opere e anche nelle minori c’è qualcuno che insegna e
qualcuno che apprende, quindi docente e il discente, che è quello che apprende. Questo tipo di
scrittura di un opera lui la chiama FABLIELLA, che non significa favoletta, ma è proprio la
rappresentazione di questa organizzazione narrativa per cui c’è un’organizzazione del discorso
attraverso il dialogo di due personaggi.
La cornice narrativa è quella parte di testo che racchiude il racconto, cioè quella parte presente in
tutto il testo e dentro cui si sviluppa poi il racconto.
Lui struttura tutte le sue opere su questo Fabliella, ed in infatti questo primo testo da lui stesso la
definizione di Fabliella e lo dice nella prima opera delle tre principali: Libro de caballero et del
escudero. Composta nel 1326 che segue lo schema di un’altra opera catalana di uno scrittore
catalano molto importante Ramon Llull, molto importante per la letteratura catalana; scrive Llibre
del orde de caballeria nel 1276, da cui si ispira Don Juan Manuel.
Il testo è formato da 51 capitoli, non ci sono giunti tutti, si sono persi falla fine del 3 al 16, ma è
arrivata una buona parte del testo che ci fa capire che tipo di struttura e che tipo di testo è.
La parte del prologo è la parte in cui parla della Fabliella, presenta quest’opera e presenta questa
cornice narrativa e parla di questi due personaggi che contribuiscono alla cornice narrativa, che
sono un cavallero e un escudero. Gli scudieri sono apprendisti che vogliono essere anche loro
cavalieri e infatti il saggio è il cavaliere, lo scudiero apprende che riceve insegnamenti del cavaliere.
Il cavaliere è un vecchio cavaliere che ha voluto ritirarsi come eremita in un posto isolato e questo
scudiero andava da lui a ricevere questi insegnamenti, questo scudiero riesce a diventare cavaliere
e però torna sempre a trovare questo eremita che gli da insegnamenti anche su problemi della
quotidianità, non solo sul fatto di essere un buon cavaliere e come combattere e comportarsi in
guerra, ma su tutte le problematiche della vita e vita cavalleresca.
Alla fine del testo, che termina quando questo scudiero ormai diventato cavaliere è soddisfatto
degli insegnamenti fatti e il vecchio cavaliere muore e lui assiste al momento in cui viene seppellito
quasi come un passaggio del testimone, dal vecchio al giovane cavaliere, che probabilmente a sua
volta diventerà un saggio per un successivo scudiero e si trasmetterà questo sapere.
La Fabliella è la cornice narrativa di questi due personaggi, all’interno della quale si svolgono tutte
le tematiche che vengono trattate dagli insegnamenti dal cavaliere allo scudiero; lo vediamo anche
nelle altre opere, sono tutte e tre strutturate con questo schema, c’è sempre un saggio e colui che
apprende.
Infatti il secondo testo si chiama Libro de los estados, che si riferisce agli stati della vita dell’uomo
che sono due: stato laico e stato religioso. Nella vita di un uomo si può decidere se seguire una vita
consacrata o laica e in quest’opera si tratta il particolare lo stato della vita laica, fu composto tra il
1327 e 1332, quindi in diversi momenti della vita di Don Juan Manuel con diverse esperienze e
infatti c’è una sostanziale differenze tra la prima parte e la seconda. E’ diviso in due parti, la prima è
molto autobiografica, anche in questo testo ritorna molto dell’esperienza della vita di Don Juan
Manuel, è molto spontanea e malinconica, perché nel periodo in cui Don Juan Manuel ha
composto quest’opera stava attraversando una profonda crisi spirituale, tutto quello che stava
vivendo viene trasmesso in quest’opera e c’è una forte componente autobiografica.
La seconda parte, dove aveva probabilmente superato questo primo periodo di crisi spirituale
iniziale, è molto più schematica e distaccata, non appare tutta quella parte così introspettiva e
autobiografica e infatti si occupa in particolare delle religioni, delle diverse religioni e dei problemi
legati alle religioni, a cui aveva solo alluso nella prima parte.
Prima parte più profonda e seconda parte più superficiale ma più teorica e meno personale. La
cornice narrativa su cui si inseriscono queste due parti e che rappresenta quello che attraversa poi
tutto il testo è un racconto fittizio su cui si inseriscono gli elementi autobiografici dell’autore,
racconta di un re pagano, non cristiano, che si chiamava Morovan, il cui figlio che si chiama Johas,
viene affidato ad un maestro che si chiama Turin. Questo precettore di questo ragazzo non gli
aveva mai fatto accenno all’esistenza della morte, non gli aveva mai raccontato in mezzo a tutte le
indicazioni e i dati teorici che gli aveva trasmesso, non gli aveva mai detto che esisteva la morte
come possibilità.
Un giorno uscendo questo giovane vede un morto in strada e quindi si scontra con questa realtà;
questa storia ricorda la storia di Buddha. Per scrivere questo testo si ispira alla storia di Buddha, ma
non a quella originale, perché Buddha nella sua crescita non conosceva la vecchiala, la malattia e la
morte, ed era un principe che si chiamava Shakyamuni, che viene cresciuto a corte chiuso e
lontano da quelle che erano le culture e anche lui un giorno esce dalla corte e vede prima il
vecchio, poi il malato e poi il cadavere, da questa visione lui decide di voler raggiungere
l’illuminazione, il nirvana, questo stato della vita in cui raggiungi la pace, in cui non esiste morte
malattia e vecchiaia e lui lavora interiormente per raggiungere il nirvana. Questa è la storia di
Buddha, questo profeta, un uomo rivelato sulla terra che ha una versione cristianizzata che si
chiama Barlaam e Josaphat, è il titolo della versione cristianizzata della storia di Buddha; c’è
Barlaam che era un eremita saggio, insegna a Josaphat, che era il giovane discepolo, tutto quello
che doveva insegnare ma Josaphat entra in contatto prima con un cieco, poi con il lebbroso e poi
con un vecchio. Perché è la versione cristianizzata? Perché la morte nel cristianesimo non è la fine
della vita, quindi non incontra il cadavere ma incontra quello che può accadere all’uomo durante la
vita terrena, quindi malattia e vecchiaia. Anche Josaphat ha un’iniziazione per gradi, mentre Johas
direttamente vede la morte, figlio di un re pagano e quindi è una tragedia, non c’è quel pensiero
della possibilità della vita eterna.
A questo punto compare un terzo personaggio, Julio che è la personificazione dello stesso Don
Juan Manuel perché è un personaggio cristiano che rivela la bontà della religione cristiana che
vede una possibilità, un’altra vita dopo la morte e quindi risolleva l’animo di questo giovane che era
stato colpito profondamento dal cadavere e fa si che si che sia Johas sia suo padre si convertano al
cristianesimo e di conseguenza questa seconda parte parla delle religioni, dell’ateismo, della
ebraica, della musulmana e c’è tutta un’analisi delle varie religioni con una conclusione che la
religione cristiana è la migliore ed è l’unica che prevede questa possibilità della vita eterna.
Juan Manuel era uno scrittore cristiano non poteva non mettere questo insegnamento. La coppia
Turin-Johas, saggio e discepolo e successivamente interviene un altro saggio che è Julio che da una
visione più ampia di questa possibilità della vita eterna con una vita ultraterrena nella visione
cristiana. Opera che si ispira alla versione cristianizzata di Buddha.
Terzo testo è l’opera più conosciuta di Don Juan Manuel e si chiama Libro de los exemplos del
conde Lucanor y de Patronio, c’è sempre una coppia, un saggio e qualcuno che apprende. Il saggio
non è il conde ma il suo consigliere che è Patronio e colui che viene consigliato è il conte. E’
un’opera che è stata scritta intorno al 1335 ed è un compendio (di unione, insieme di) di tutte le
conoscenze di Don Juan Manuel, cioè tutto quello che lui aveva acquisito nel tempo, anche perché
la scrive in un momento di maturità della sua vita e riunisce in quest’opera tutto ciò che conosceva.
Potrebbe essere secondo alcuni critici la esternazione di un desiderio di governare e di essere più
importante di quanto fosse, però non è sicura come voce. Il contenuto di quest’opera è un
contenuto didattico.
Che cos’è l’exemplo? Qualcosa molto attinente al Milagro di Berceo, una storia che aveva come
protagonista un personaggio e c’era sempre l’intervento della vergine, ma era una storia
esemplare, dava un esempio rispetto a quello che accedeva ad un qualsiasi personaggio. E’
attinente perché l’esempio è sempre una storia, dove però non c’è l’intervento divino, è qualcosa
di molto più terreno e quotidiano però è un aneddoto che insegna, cioè esemplare, da cui
prendere esempio. E’ diviso in 5 parti, dove gli esempi occupano solo la prima parte del testo, gli
esempi raccontano problemi di qualunque genere, tutti i tipi di problemi di ognuno che
ascoltavano o leggevano quest’opera potevano incontrare nella sua vita o giornata normale.
Erano facilmente riconoscibili, sono 50 esempi preceduti da un prologo, che è la prima parte
dell’opera; nell’esempio si segue una struttura abbastanza fissa, un po’ come la struttura del
miracolo che era sempre fissa, la struttura degli esempi era lo stesso.
Le storie iniziano sempre con una domanda che il conde fa a Patronio, ma una domanda su una
situazione che il conde aveva vissuto, una situazione che gli era capitata e gli chiedeva cosa fare e
lui gli rispondeva riprendendo una storia di qualcosa che è già avvenuto, una storia che riprende da
una favola e attraverso la storia, l’exemplo di questi personaggi che Patronio racconta, il conte
Lucanor riceve l’insegnamento e la risposta alla sua domanda.
Per cui: 1 domanda conde Lucanor, 2 Patronio che rispetto a quella tematica che si deve trattare
racconta qualcosa che era già successo, storie che potevano anche essere fittizie ad esempio di
favole, 3 ricezione del conde che dice ‘farò così, come fa fatto il personaggio di..’.
Dopo di che c’è l’intervento dell’autore che dice ‘così fece il conde Lucanor e si trovò bene’, cioè
quell’esempio e quel consiglio dato da Patronio aveva raggiunto l’obbiettivo, a fatto si che potesse
risolvere la questione che aveva posto, si trovò bene e la morale è questa e c’è una morale alla fine
del testo di ogni esempio. E’ un analisi esplicita e aiuta ancora di più il lettore a capire
l’insegnamento. La morale è detta direttamente da Don Juan Manuel, tutti gli esempi finiscono con
‘e Don Juan vide questo esempio e lo inserì nel suo testo’ con la morale annessa.
Quindi è uno schema fisso per 50 esempi che danno degli insegnamenti al conde Lucanor che sono
degli esempi che vanno bene per tutti, perché leggendo quella storia colui che legge riceve
l’insegnamento. Le fonti di questi esempi sono fonti che avevano un grosso raggio d’azione perché
venivano dalla narrativa orientale, erano fonti di racconti biblici, di tradizione popolare, quindi
anche storie che magari il popolo già conosceva e si erano tramandate.
Don Juan prende tutte queste fonti e le trasmette attraverso questi 50 esempi. Ci sono due tipi di
esempi: l’esempio vitando e l’esempio imitando, cioè l’esempio vitando è l’esempio che viene
fatto in cui si dice ‘non devi fare così perché questo personaggio che ha fatto così si è trovato male’
e l’esempio imitando è quello in cui di dice ‘tu devi fare così’ e quindi devi imitarlo.
Quindi ci sono esempi in cui si racconta qualcosa da evitare e poi invece qualcosa da imitare.
E’ scritto tutto in prosa, come tutte le opere di Don Juan Manuel e prima dei 50 esempi c’è
appunto un prologo, sempre in prosa, in cui Don Juan Manuel inserisce una serie di chiavi di lettura
per affrontare il testo, infatti parla della diversità degli uomini, dice che tutti gli uomini hanno una
struttura uguale avendo due occhi, due orecchie etc. ma tutti all’interno sono diversi, hanno tutti
un carattere diverso e un intimo diverso; però dice che questo testo è dedicato a tutti, può
raggiungere tutti i tipi di uomo, anche se tanto diversi e utilizza la metafora della medicina.
Dice che come il medico addolcisce la pillola quando deve curare il fegato, perché il fegato assimila
subito lo zucchero, così lui addolcisce l’insegnamento, lui si paragona ad un medico che fa delle
medicine ad un paziente, che è il lettore, che recepisce la medicina addolcendola utilizzando quel
famoso deletar aprovechando, quell’insegnamento che arriva attraverso la dolcezza (io ti
intrattengo, ti racconto la storiella, ti dico anche la morale, però in maniera carina, in modo tale
che tu la assimili più facilmente, coma la pillola, anche se è amara, addolcita viene assimilata).
In questa maniera Don Juan Manuel arriva a tutti gli uomini perché addolcendo la pillola
l’insegnamento arriva; questo è il contenuto del prologo dopo di che vengono i 50 esempi.
Questi 50 esempi hanno un’attinenza abbastanza chiara a un’opera italiana formata da diverse
storie: il Decameron, che comunque è un’opera del 1352, quindi successiva a quella di Don Juan
Manuel, ha più o meno la stessa struttura, sono storie raccontate con la differenza che sono 100 e
con presenza del tema erotico, non presente nell’opera di Juan Manuel e c’è molto più una base
materialista, mentre nell’altra c’è più base spirituale.
Ci sono però comunque le attinenze tra un paese e l’altro, c’è una evoluzione della letteratura che
segue più o meno gli stessi percorsi nei vari paesi.
Le 5 parti del testo sono organizzate secondo un gradatio, cioè dalla prima che è quella più
semplice dove ci sono gli esempi, quindi storielle in cui è anche esplicitata la morale, a questa
prima parte arrivano altre 4 parti sempre più difficili di comprensione. Don Juan Manuel vuole
elevare questo testo ad un pubblico sempre più specifico, se la prima parte, quella degli esempi è
una parte per tutti che è chiara, piano piano che va avanti complica la situazione.
Si potrebbe dire le che 5 parti si potrebbero dividere in tre sezioni.
5 parti

1° parte: esempi 2° parte: 3° parte: 5°


2°, 3°, 4°
Parte finale
proverbi

Perché le tre parti centrali sono introdotte da un’altra sorta di prologo, una vera e propria
introduzione in cui si presenta un amico dell’autore che gli dice che dovrebbe parlare in una
maniera mas oscura, gli suggerisce di cambiare il registro con cui si sta esprimendo. Allora lui
comincia ad utilizzare non un discorso normale ma dei proverbi, cominciano a parlare il conde e
Patronio per proverbi e la comprensione del proverbio è più difficile rispetto alla comprensione di
una storia in cui è esplicitata anche la morale. Il proverbio dice qualcosa per esplicitarne un’altra;
quindi nella seconda parte ci sono 100 proverbi, nella terza parte 50 proverbi e nella quarta parte
ci sono 30 proverbi.
La gradatio (passaggio lento e graduale) avviene anche all’interno di quelle tre parti centrali,
perché la 4° parte è più difficile della terza, la 3° più difficile della 2°. In alcune occasioni si utilizza
una struttura che è una struttura particolare dove l’ordine delle parole è invertito, non solo il
proverbio è difficile ma si invertono anche le parole e quindi è più difficile da capire.
La 5° parte che è la terza sezione è una sezione ancora più importante perché non si parla più di
proverbi, ma si parla in maniera discorsiva di un argomento molto difficile e molto alto, cioè la
religione, cioè nella quinta parte, quindi l’ultima parte, utilizza un linguaggio prettamente
filosofico. Parla di tutto ciò che fa riferimento alla dottrina della religione cristiana, si tratta quindi
di temi che sono difficili di comprensione, che fanno ricorso anche alla filosofia. E’ tutto più difficile
e profondo. E’ come una ascesa, una salita. Si parte dalla prima parte, si attraversa la vita
quotidiana in maniera più difficile attraverso proverbi per arrivare a una tematica che è quella
divina, cioè è come un percorso, dalla terra al cielo, per questo ascesa, che però prevede una
complicazione nella narrazione perché se gli argomenti della vita quotidiana sono comprensibili,
quelli che si trattano nell’ultima parte sono molto più difficili trattati con termini filosofici più
difficili da capire.
Tutta l’opera rappresenta un indagine sulla natura umana e la sua complessità, perché dalla
quotidianità all’aspetto interiore religioso abbraccia tutti gli aspetti dell’uomo, parla dei sacramenti,
del rapporto con Dio con l’uomo, dell’ascesa di Cristo sulla terrà e affronta tutte le problematiche
che erano state affrontate da Sant’Agostino etc.
Per questo rappresenta il compendio del sapere di Don Juan Manuel perché non è solo quello della
sua esperienza autobiografica terrena, ma anche quello che quelli che sono i suoi dubbi rispetto
alla fede, la religione, tutto quello che intimamente aveva provato.
Era necessario avere un tipo di eloquio, espressione più difficile quando si tratta di tematiche così
grandi. E’ una parte dottrinale, riporta le dottrine per cercare di darsi una risposta, ma la risposta
era dentro di lui, però le scrive per trasmetterle ad altri che magari potevano avere gli stessi dubbi,
ma come si fa ad esprimere delle cose così profonde con un linguaggio così semplice? Per questo la
5° parte è più difficile e lo fa con degli step, gradualmente.

JUAN RUIZ
E’ un autore di cui conosciamo quest’opera ma di cui non conosciamo nient’altro, cioè è un autore
del ‘300 che non compare nei documenti dell’epoca, non abbiamo notizie al di fuori di quelle
notizie che lui ci dà all’interno del Libro del Buen Amor. Il libro del Buen Amor rappresenta anche
forse, una sua autobiografia, attraverso i dati che ci vengono trasmessi all’interno di questo testo
noi conosciamo alcuni degli avvenimenti biografici di Juan Ruiz, quindi non sappiamo altro, se non
quello che troviamo all’interno del testo.
Il Libro del Bueno Amor è quindi ciò che abbiamo ed è un’opera che ci è arrivata in tre manoscritti
che non avevano un titolo; Menendez Pidal ha preso questa definizione di Buen Amor che si ritrova
in diverse parti del testo, a partire dal prologo fino ad arrivare alla fine del testo, dove lui parla del
buon amor, e lui dice che la tematica del testo è il buen amor, quindi decide di chiamarlo così. Ha
avuto diversi titoli precedentemente perché fino al ‘700 questo testo è stato menzionato o come
Libro del Arcipreste perché l’autore, Juan Ruiz, era un arciprete di Ita, poi venne chiamato poesias
o libro de los cantares.
E’ un testo in versi che non ha una linearità di trama, nel testo non si raccontano degli episodi che
hanno una cronologia ben strutturata e successiva, tutti gli episodi che si raccontano possono
anche essere presi singolarmente, non c’è un prima o un dopo perché probabilmente Juan Ruiz li
ha composti in diversi momenti della sua vita e li ha messi insieme. Per questo si possono chiamare
poesie, perché è una raccolta messa insieme. Sono tenuto insieme dal ‘Yo’, la prima persona, il
narratore di queste opere che è Juan Ruiz.
L’unica parte in prosa è il prologo e non tutta in più non tutta l’opera ha gli stessi versi, c’è tanta
quaderna via, quindi utilizza la struttura del Mester de Clerecia, quasi per tutto il testo, soprattutto
quando c’è una narrazione, quando deve ci sono parti più liriche, per esempio ci sono parti
dedicate alla vergine, o con ritmo più incalzante, utilizza un verso più breve rispetto a quello della
quaderna via.
Prologo in prosa, versificazione mista soprattutto quaderna via nelle zone di racconto e in parte più
liriche versi più brevi e strofe più lunghe. Il testo che abbiamo non ha il testo completo, molte parti
sono saltate, in realtà è abbastanza lungo. Nel nostro testo non c’è il prologo.

Abbiamo parlato di Juan Ruiz e della sua opera. Il titolo è stato attribuito successivamente nel 1898
da Menendez Pidal, che è il titolo con la quale è conosciuto oggi. Il libro del buen amor è uno dei
grandi classici della letteratura medievale spagnola ma in realtà dall’epoca in cui è stato scritto fino
ai giorni nostri ha avuto differenti recensioni perché è un testo molto moderno, molto forte e
attuale però fu molto conosciuto del 14 15 secolo, quindi nel periodo in cui fu scritto e il secolo
dopo. Però poi nei secoli dopo si perdono le tracce di questo testo, forse perché cambia un po’ il
gusto rispetto a quello che viene successivamente. Nel 16 secolo viene poco menzionato, solo in
circoli umanistici molto ristretti, ma non è un testo a divulgazione più ampia. Nel 1790 viene fatta
la prima edizione a stampa.
E’ la prima volta che parliamo di un testo stampato, di un’edizione stampata da manoscritti arrivati.
Nel 1790 Tomás Antonio Sánchez pubblica per la prima volta versione stampata del libro del buen
amor. Questa prima edizione a stampa previde delle soppressioni fatte dall’editore per censura
morale, dal punto di vista morale non veniva accettato.
Quindi nel 1800 si comincia di nuovo a parlare di questa opere per la divulgazione tramite la
stampa. Ci sono censure perché la versione stampata mette insieme quello che è giunto fino ad
oggi a noi cioè tre manoscritti, tutti frammentati, non c’è un manoscritto completo e quindi oltre a
questi tre manoscritti sono stati ritrovati alcuni frammenti sparsi che dimostrano la diffusione che
ebbe l’opera. Abbiamo 3 principali più altri piccoli frammenti che hanno contribuito a creare la
versione definitiva dell’opera, in alcuni casi i piccoli frammenti andavano a colpare delle lacune dei
3 manoscritti più grandi.
Per l’edizione del 1790 sono stati messi insieme i 3 e i piccoli frammenti con censure a livello
morale.
I tre manoscritti principali si chiamano S, T e G. Si
chiamano così perché sono stati individuati
rispetto alla provenienza di ciascun manoscritto.
Il manoscritto G prende la denominazione da
colui che lo possedeva e cioè Don Benito
Martinez Gayoso, arrivò nelle mani di Tomas
Antonio Sanchez che lo mise a confronto con gli
altri e i piccoli frammenti e fece la stampa. E’ il
più frammentario dei 3, quello meno completo e
la sua trascrizione risale alla fine del 14 secolo,
cioè alla fine del ‘300. Oggi è conservato a
Madrid nella Biblioteca della Real Academia.
Il manoscritto T, è stato ritrovato nella cattedrale di Toledo, è stato trascritto sempre nel 14 secolo
ed è leggermente più completo rispetto a G, ma comunque frammentario.
Il manoscritto S si chiama così perché è stato ritrovato nella biblioteca del Colegio mayor de
Salamanca e oggi si trova nella biblioteca dell’università di Salamanca.
Il primo appartenne a un privato, gli altri due in due biblioteche pubbliche.

Il manoscritto S è il più completo dei 3 e riporta anche la firma del copista, ha un Colofon, che si
chiama Alfonso de Paradinas.
Quindi ci sono G T S + vari frammenti sparsi.
I manoscritti derivano dalle stesure delle opere fatte da Juan Ruiz. G e T derivano da una stessa
stesura, S deriva da un’altra stesura. Nel primo caso, Juan Ruiz afferma di completare la prima
stesura dell’opera nel 1330, questo significa che lui ha composto, non sappiamo in quanto, ma nel
1330 lui termina la prima stesura del testo, mentre nel secondo caso l’altra stesura termina nel
1343. Juan Ruiz sottopone il suo testo ad una doppia redazione.
Dopo aver composto quella del 1330, probabilmente da questo si fanno delle copie (come
vediamo da X, Z, Y) che sono copie che non ci sono arrivate, sono ipotetiche che hanno portato ai
manoscritti che noi abbiamo oggi. Potrebbero essere anche di più, non sappiamo quante ce ne
siano dalla stesura del 1330 ai manoscritti G e T.
Quindi lui finisce la stesura del 1330, da cui probabilmente deriva una copia perduta (Z), da cui
sono state fatte altre copie che arrivano a G e T, quelli arrivati oggi. Da questa copia perduta
chiamata Z, l’arciprete stesso decide di fare un’altra stesura, riprende la prima, la revisiona e la
riguarda, anche alla luce delle copie perdute, prende come si era trasformato il testo, migliora lo
stile, magari aveva una coscienza letteraria diversa, integra delle parti e aggiungi nuove
composizione e brani nuovi.
Quindi dall’originale del 1330, passando anche probabilmente attraverso copie, fa una nuova
stesura, quella del 1343 (A1 e A2, originali fatti da lui), da questa seconda versione, derivano altre
copie perdute e poi deriva il manoscritto S.
G e T sono quelli del manoscritto non rivisto di Juan Ruiz.

Perché sappiamo che il manoscritto S deriva dal 1343 e non dal 1330? Perché avendo aggiunto
delle cose e cambiato delle cose nel 1343 e trovandosi queste cose nel manoscritto S e non in G e
T, si capisce che S deriva dal 1343, anche in tema di stile. Il manoscritto S è quello più completo e
quindi è quello che più ha facilitato la ricostruzione del testo. Probabilmente è un manoscritto più
recente agli altri due, probabilmente inizio 15 secolo come trascrizione.
Ci sono voluti secoli di studi per questi manoscritti.
Quindi tre manoscritti senza titolo. Fino al 18 secolo c’erano scarsi riferimenti a questo testo nel
1790, era stato chiamati in vari nomi, anche libro de los cantares perché si ispira ad una strofa del
testo. La strofa dodici; è proprio all’inizio del testo dove chiede un aiuto a chi fede il cielo e la terra
ecc. affinché lui possa rimare un librete de cantares, quindi di poesie. Da questo verso deriva uno
dei titoli dato al testo.
Nel 1898 Pidal decide di chiamarlo Libro del Buen amor, perché in diverse parti del testo si fa
riferimento a questo buen amor, è una dicitura che attraversa il testo. La strofa 13; ancora una
volta parla in 1 persona e dice di illuminare l’arcipreste affinché possa comporre un libro del buen
amor che rallegri i corpi e giovi alle anime, come Berceo si riferisce allo spettatore come Ruiz
usando il Captatio Benevolentiae, cerca di captare la benevolenza del lettore e si parla di buen
amor e anche nella strofa 933; cita sempre il buen amor, ma sono due casi diversi, qui parla ad una
donna con accezione diversa.
CHE COS’E’ IL BUEN AMOR?
Il buen amor si oppone al loco amor, non si abbandona alle passioni, non è un amore passionale. Il
loco amor è l’amore pazzo, l’amore senza limiti, il loco amor è l’amore che si abbandona alle
passioni, il buen amor è quello casto, semplice, che non si fa trasportare dal corpo, ma che mette
prima di tutto il sentimento.
L’espressione buen amor lo ritroviamo in diverse parti, ma con accezioni diverse, nella prima si
rivolgeva a Dio, nella seconda è un omaggio alla vecchia mezzana e in molti altri alterna il
riferimento.
Perché è censurato se parla del buen amor? Perché in realtà non parla del buen amor. Si chiama
così perché in realtà questo testo vuole suggerire le regole del buon amor, attraverso dimostrazioni
del loco amor, quelle raccontate sono storie di loco amor. E’ come se desse degli esempi da evitare.
Tutte le storie di loco amor terminano male, non portano alla felicità. Il protagonista di tutte le
storie di loco amor è Juan Ruiz stesso che le vive come protagonista.
Le storie non sono collegate tra loro, perché c’è poca unione tematica, e l’unica cosa che le mette
insieme è questo Yo di Juan Ruiz. Vuole insegnare agli altri quello che lui non ha fatto, racconta di
cose sue andate male.
Questo autore volendo dare degli insegnamenti di buen amor, venendo da esperienze di loco
amor, guarda con occhio comprensivo coloro che invece hanno esperienze di loco amor, non punta
il dito verso i peccatori, li guarda con comprensione.
Questo protagonista ha una biografia che conosciamo solo tramite l’opera, tutto quello che
sappiamo lo sappiamo all’interno dell’opera. Sappiamo il suo nome: Don Juan Ruiz e che era un
Arcipreste di Ita; Ita era una cittadina che si trova al nord di Madrid in provincia di Guadalajara,
dipendeva dall’arcidiocesi di Toledo e nel periodo in cui lui era arciprete, questa arcidiocesi era
sotto l’arcivescovo Gil de Albornoz; queste cose le sappiamo perché si citano nel testo.
Sono dati certi che conosciamo, gli altri dati si riducono alle allusioni che vengono fatte all’interno
del testo sul protagonista, le parole che gli altri rivolgono a lui o di quando parlano di lui, anche
rispetto alle diverse avventure amorose che ha.
Quali sono i dati che sappiamo?
La nascita che possiamo supporre, il luogo di nascita, nella strofa 1510, non presente nel testo, la
alcajueta saluta una donna mora da parte dell’arciprete e fa un riferimento topografico cioè Alcalà,
un luogo, probabilmente è nato in una indeterminata Alcalà, che può essere dove nasce anche
Cervantes, ossia l’Alcalà de Henares, vicino Madrid, oppure Alcalà La Real, ipotesi più certa, in
Andalucia. Sappiamo un luogo, ma non siamo sicuri su quale dei 2 possa essere, visse tra l’inizio
del 14 e la metà del 14 secolo quando era arcivescovo Albornoz, per questo sappiamo i periodi.
Morì prima del 1351, in questa data lui non era più arciprete di Ita, dai documenti del 1351, passa
ad arciprete un tale Don Pedro Fernandez, può darsi che è morto o che era talmente anziano che
ha dato la carica a un altro.
Alcuni studiosi hanno pensato che questo nome di Juan Ruiz potesse essere uno pseudonimo,
anche se all’epoca era inusuale si usassero, anche se per le tematiche trattate, lui si era chiamato in
un altro nome, essendo lui arciprete, ma non si sa.
Vive probabilmente un periodo di prigionia, questo riferimento a una prigionia appare come
riferimento nella versione del 1343, nel 1330 non ci sono queste strofe che si riferiscono a una
prigionia, quindi probabilmente è avvenuta nel mentre delle date.
Questa ipotesi deriva da due fonti distinte, anche se sono simili, una di esse è il colofon del
manoscritto S, quello che ha la firma di de Paladinas dove fa un riferimento a Ruiz, dicendo che sta
trascrivendo il libro dell’arcipreste de Ita che era stato composto nel periodo in cui era prigioniero
per ordine del cardinale Gil Álvarez de Albornoz (quello di prima citato).
L’altra fonte è all’interno del testo, che nella versione del 1343 fa diverse allusioni ad una prigione
nella quale dice di trovarsi, parliamo delle prime 3 strofe.

Nelle prime tre strofe prosastiche, per esempio, i versi si riferiscono ad una prigionia.
1 d, 2d, 3d sono versi che parlano della prigionia.

Tutto ciò che c'è prima fa riferimento a personaggi biblici che vengono liberati da Dio da una
qualsiasi prigione. Ha liberato giudei ed ebrei dal faraone; ha liberato Daniele dalla fossa dei
leoni senza che fosse sbranato; ha dato la grazia alla regina Ester perché liberata dal re
Assuero; liberato Geremia dal pozzo dov'era caduto; liberato Santiago dagli infedeli e Santa
Margherita dal ventre del dragone. Così lui chiede a Dio di essere (sacado) strappato da questa
prigione in cui giace come ha fatto con tutti gli altri. Questa prigione fu presa in senso letterale
da Alfonso (il copista) e della stessa opinione furono i critici di allora. Dal XIX secolo, si
comincia a pensare che la prigione non fosse reale ma allegorica. Una prigione interiore.
Infatti, parla della miseria interiore. Il topos della prigionia interiore è molto usato nella
letteratura medievale. Tutti coloro che pensavano di essere nel peccato descrivevano questo
stato dell'anima attraverso la chiusura nel peccato. Si tratta di una presa di libertà. Vuole
essere liberato dal peccato. L'anima è intrappolata nel corpo peccatore e l'autore chiede aiuto
a Dio.

Nelle strofe 7 e 10 ci sono elementi ulteriori.

Fa riferimento a qualcuno che lo aveva tradito e mandato in prigione. Lui dice che è in
prigione senza meritarlo (potrebbe essere). Chiede a Dio di dargli la forza per difendersi dai
traditori.

Traydores e mescladores, ricorda i malos enemigos del cid.


Alla fine del testo fa un nuovo riferimento alla prigione chiedendo aiuto alla Vergine.
Menziona una prigione che lui non merita. La prigione viene menzionata solo nella versione
del 1343 e non in quella del 1330.

Tutto ciò fa pensare ad una prigione reale e che lui si senta in una condizione di ingiustizia
provocata da altre persone. Il fatto che lui sia in prigione dà senso alla sua possibilità di
revisionare il testo, avendo più tempo. In ogni caso non si sa se è una prigione reale o meno.

Questi episodi che compongono l'opera hanno tutti come protagonista un arciprete, che è un
clerigo in tutto e per tutto perché è un poeta letterato e fa anche parte della chiesa. Viene
definito ajuglarato anche lui, perché continua a usare forume del Mester de Juglaria, c’è
ancora la presenza del Mester de Juglaria nelle opere del Mester de Clereciaanche qui nel
‘300.

E’ quasi tutta appartenente al Mester de Clerecia perché utilizza la quaderna via per la
maggior parte.

Usa formule antiche e presenta versi dedicati alla Vergine Maria e versi più brevi. Lui
conosceva molto il diritto, la musica; era un viaggiatore ed era anche conoscitore del territorio
di Hita e dei dintorni di Toledo. Tutto questo lo troviamo sempre nel testo.

Fisicamente di lui sappiamo qualcosa dalla strofa 1485:


Señora», diz' la vieja: «yo le veo a menudo:
El cuerpo á muy grant, mienbros largos, trefudo,
La cabeça non chica, velloso, pescuçudo,
El cuello non muy luengo, cabel' prieto, orejudo.
Las cejas apartadas, prietas como carbón,
El su andar infiesto, bien como de pavón,
El paso segurado é de buena rasón,
La su nariz es luenga, esto le desconpón,
Las encías bermejas é la fabla tunbal,
La boca non pequena, labros al comunal,
Más gordos que delgados, bermejos como coral,
Las espaldas byen grandes, las muñecas atal.
Los ojos há pequeños, es un poquillo baço,
Los pechos delanteros, bien trefudo el braço,
Bien cunplidas las piernas; el pie, chico pedaço;
Señora, dél non vy más: por su amor vos abraço.
Es ligero, valiente, byen mançebo de días,
Sabe los estrumentos é todas juglarías,
Doñeador alegre, ¡por las çapatas mías!
Tal ome qual yo digo non es en todas erías.

La descrizione che viene fatta è più che realistica; seguendo i dettagli è possibile realizzare un
autoritratto. I lineamenti e i dettagli sono corrispondenti a delle caratteristiche veritiere. Viene
descritto come spesso, grande, robusto, con la testa piccola, peloso, con spalle grandi, il collo
non molto lungo e grandi orecchie. Ha le sopracciglia storte, cammina eretto come un pavone,
l'andatura è tranquilla, però, il suo naso è lungo. Ha la bocca piccola, le labbra regolari, la voce
profonda; la schiena è molto ampia, gli occhi piccoli. Viene detto che è molto agile, che sa
suonare gli strumenti e che è un poeta. Da questa descrizione abbiamo un'idea o un'immagine
di com'era fisicamente. Non sappiamo, però, nulla di sicuro in realtà.

Le diverse avventure dell'arciprete sono raccontate in prima persona e questi episodi sono
tutti nuclei separati ed indipendenti tra loro e trattano della ricerca di una donna per il
protagonista. Il suo scopo è trovare la donna, ma alla fine non la troverà mai. Queste storie
hanno come filo conduttore il filo autobiografico. L'opera ha comunque un'unità. Il
personaggio principale è autore e protagonista. II YO non scompare nemmeno quando cambia
in un'unica storia il protagonista. E quest'ultima è l'unica che termina bene. In realtà il
protagonista si chiama Don Melón De La Huerta che si innamora di doña Endrina e questi due
alla fine si sposano. Il loro amore è un Buen Amor. Il lettore non si rende mai conto del
cambiamento del protagonista, se ne rende conto solo quando dopo il yo si cita il nome di De
la Huerta. Il narratore usa sempre il YO. Non si abbandona la narrazione in prima persona che
unisce tutto il resto anche quando cambia il personaggio principale perché non si vuole
abbandonare la coerenza e l'unità interna all'opera.

La forma autobiografica non era molto utilizzata nel medioevo, quasi non esisteva, perché si era
soliti raccontare solo le storie di altre persone in terza persona, e non le proprie.
Quindi Juan Ruiz fa quasi un’innovazione rispetto a quello che era la letteratura dell’epoca,
utilizzando la forma autobiografica.
Da dove proviene questa forma autobiografica? In realtà ci sono diverse fonti dalla quale potrebbe
derivare, tra cui anche una fonte araba: per esempio le maqamat che sono delle narrazioni a
sfondo amoroso, in forma autobiografica che appartenevano alla letteratura ebraica e araba.
Questi componimenti erano scritti in forma autobiografica in prima persona, non sappiamo se
Juan Ruiz fosse entrato in contatto con questo tipo di opere o se le avesse lette, però
probabilmente era arrivato al suo orecchio che nella penisola iberica c’erano questi tipi di
composizione. Come prima opera autobiografica spagnola si potrebbe considerare il Lazarillo de
Tormes, che in realtà non è un’opera autobiografica, ma semplicemente un’opera scritta in prima
persona, ma che raccontava storie di altri. La prima vera e propria opera autobiografica europea è
Vita Nova di Dante che viene scritta intorno alla fine del 1200 e che quindi potrebbe essere stata
anche da ispirazione per Juan Ruiz che scrive poco dopo, ma non si sa. La cosa fondamentale è che
questa forma autobiografica era molto originale per l’epoca.
Ritornando al Libro de Buen Amor, nella lezione precedente si è parlato di un cambio di un
protagonista: si passa da Juan Ruiz, l’arcipresete de Hita, ad un altro protagonista che si chiama
Don Melon. Questo cambiamento non è sottolineato da una vera e propria variazione del
narratore, infatti il lettore non si rende conto che sta cambiando il protagonista.
Cosa rappresenta la storia? in realtà Juan Ruiz si ispira ad un insieme di opere che si chiama
“corpus eroticum”, che, come dice il titolo, era un insieme di opere a sfondo erotico, attribuito ad
un poeta latino che probabilmente si chiama Publio Ovidio Nasone (NON è SICURO). Alcune delle
storie raccontate in questo corpus hanno una coincidenza tematica con le storie che sono
raccontate nel Libro de Buen Amor. Quindi molto probabilmente il Libro de Buen Amor si ispira a
questo. Sempre ad ovidio viene attribuita un’altra opera a cui Juan Ruiz si ispira esplicitamente,
“Pamphilus”, una commedia latina da cui Juan Ruiz prende la storia di doña Endrina e don Melon.
Nella strofa 891, Juan Ruiz ammette di aver preso spunto dall’opera di Ovidio.
Quindi Juan Ruiz si rifà al Corpus Eroticum e al Pamphilus di Ovidio, anche se non sappiamo se
Ovidio fosse effettivamente l’autore di entrambe le opere. Nel testo infatti leggiamo (strofa
891):“Se ho sbagliato qualcosa la colpa non è mia, ma è di questa storia presa dal Pamphilus e
quindi è ovidio che l’ha sbagliata”. Rigetta le colpe su Ovidio.
Tutte queste storie del Libro de Buen Amor hanno uno sfondo amoroso: si parla sempre di amore,
sia loco che buen), l’opera mette insieme tanti elementi eterogenei. Tutti questi episodi che
possono sembrare eterogenei sono collegati dalla forma autobiografica. Questa tecnica di unire
insieme storie diverse era abbastanza normale nel medioevo:
-pensando ai Milagros, si tratta di storie diverse, accomunate dalla presenza della Vergine, che
compare in tutte le storie;
-nel libro del Conde Lucanor e Patronio tutti i vari ejemplos sono tenuti assieme dai due
protagonisti che ritornano in ogni ejemplo e dal valore didattico dell’opera.
Così fa Juan Ruiz nella sua opera, in cui compare sempre lo stesso personaggio.
La struttura di questi testi medievali veniva chiamata “relato ensarta” cioè il mettere insieme tutti
questi testi (più o meno estesi) indipendenti, collegati tra loro “ensartados” solo da uno stesso filo
argomentale o tematico. Il fatto che l’opera fosse composta da tutti questi testi ha inciso sul suo
studio, perché tutti volevano capire quali testi venissero prima di altri, quando fossero stati
composti e perché, anche per risalire all’autobiografia dell’autore. Tanto è vero che due degli
studiosi/critici più importanti della letteratura medievale, Pidal e Pelayo, hanno approfondito
proprio questo aspetto del testo, cioè il mettere insieme testi diversi. Questo tipo di opere venne
anche definito “cancionero”, in relazione alla natura antologica dell’opera stessa. La natura
antologica dell’opera di Juan Ruiz fa risalire al fatto che l’autore probabilmente componeva in
diversi momenti della sua vita diversi testi, raccoglieva materiale e poi li metteva insieme. Quindi
alla fine di tutti questi studi si è arrivati alla conclusione che il libro de buen amor è un cancionero
(sinonimo di antologia), ovvero un insieme di poesie in versi (tranne il prologo in prosa), in cui Juan
Ruiz ha unito diverse composizioni create in diversi momenti della sua vita e poi ha cercato di dare
una coesione a tutti questi testi, coesione avvenuta attraverso il genere autobiografico.
Possiamo dire che la cosa che spicca è il didatticismo. Il testo è pieno di elementi parodi e comici,
l’autore utilizza tantissima ironia ed elementi critici.
Il prologo è pienissimo di citazioni in latino, che vengono fatte esplicitamente dall’autore che vuole
dimostrare la sua profonda cultura, la cosa divertente è che queste citazioni a volte se le inventa,
tanto è vero che Juan Ruiz comincia il prologo con una citazione di Aristotele che però non è scritta
da nessuna parte, Aristotele non l’ha mai detta. Perché lo fa? Juan Ruiz lo faceva perché
appoggiandosi sui pensieri dei grandi personaggi del passato, rendeva più credibile quello che
diceva lui agli occhi di chi sentiva o leggeva l’opera. Il fatto di utilizzare delle citazioni in latino,
serviva all’autore per dimostrare la sua cultura, ma anche per dare una veridicità e profondità a
quello che scriveva.

Per l’epoca il linguaggio di Juan Ruiz è molto semplice, l’intenzione è moralizzante, c’è un
intenzione didattica e il fatto che lui utilizzi l’umorismo aiuta ad insegnare (deletar
aprovechando), come anche la pillola di Juan Manuel. Se io ti racconto una cosa con umorismo e
quella cosa ha un sottofondo morale ti arriva più facilmente, perché ti ha divertito e attirato.
Il fatto di essere un poeta ajuglarato si collega sempre a questa maniera di raccontare, i giullari
intrattenevano, il fatto di ispirarsi ai giullari fa si che trovi un rapporto più stretto con il pubblico,
a cui si rivolge direttamente e intrattiene e diverte questo pubblico, in modo tale che lui riesca ad
arrivare con il suo messaggio a quello a cui vuole arrivare.

Abbiamo parlato del cambiamento di versificazione, tra la quaderna via e i versi più brevi e lirici e
questo diritto dell’allegoria che gli permettono di utilizzare delle figure sempre per dire
qualcos’altro. Parlare della Quaresima male può farlo perché parla del personaggio, gli permette
anche di dire cose che non avrebbe potuto dire in quest’epoca.

PERO LÓPEZ DE AYALA


Questo autore, insieme a Juan Ruiz e Don Juan Manuel, è uno degli autori che partecipa a
quest’epoca del 300 infatti nasce nel 1332 a Vittoria (città del Pais Vasco quindi nord della Spagna)
e muore nel 1407. Lui fu poeta, fu uno storico, ma soprattutto un uomo di corte perché
apparteneva ad una famiglia nobile; fu al servizio infatti del re Pedro I di Castiglia e poi di Enrique
IV di Castiglia e a corte ebbe molti compiti importanti, fu anche cancelliere di corte.
Partecipò a delle guerre, fu anche marinaio ed ebbe molte onorificenze, ciò ci interessa perché lui
era un uomo che conosceva molto bene le corti europee perché molto spesso era inviato a Parigi
come ambasciatore quindi conosceva sia la corte spagnola che ad esempio quella francese. Ad un
certo punto del ‘300 succede un avvenimento molto importante che dà una grossa scossa
soprattutto alla religione del periodo e cioè lo scisma d’occidente.

E’ il trasferimento da Avignone a Roma voluto da Gregorio XI nel 1377. Cosa succede? Quando
muore Gregorio XI molti dei personaggi che vivevano all’epoca avevano paura che il papato
potesse tornare ad Avignone, Roma era diventata la sede papale e si voleva rimanesse lì; viene
eletto Urbano VI ma nel 1378 alcuni cardinali o appartenenti alla chiesa soprattutto cardinali
francesi vogliono riportare la sede ad Avignone quindi congiurano ad Anagni (si chiama Congiura
di Anagni) contro questo nuovo papa Urbano VI ed eleggono in maniera non ufficiale (proprio
perché vogliono un papa diverso) Clemente VII chiamato l’antipapa. Immaginate nel Medioevo
dove si aspettava una fine del mondo da un momento all’altro, dove vedono questa divisione
all’interno del cattolicesimo che era un punto di riferimento fondamentale per il popolo, che
paura e senso di smarrimento avevano. Tra l’altro questo scisma dura tanto tempo, termina il
1417 con la chiusura del Concilio di Costanza quando viene eletto come papa Martino V a Roma e
il papato resta lì.
Pero López de Ayala prende molto a cuore questa situazione, lui va ad Avignone per cercare di
trovare, insieme ad altri personaggi importanti dell’epoca, una soluzione allo scisma (non la
troverà): partecipa a dibattiti che ci furono all’epoca. Dopo tutte queste varie vicissitudini di
soldato (e marinaio) e uomo di corte che lo portarono ad essere cancelliere maggiore del regno di
Castiglia quindi diventa un personaggio tanto importante, comincia a scrivere, quindi diventa
scrittore, poeta in età tarda e la sua opera più importante si chiama Libro Rimado de Palacio o
anche Rimado de Palacio dove il Palacio è scritto con la maiuscola perché è la corte il palacio di
cui parla, è una satira o anche una critica, un attacco alla vita di corte dell’epoca dato che lui
sapeva bene le dinamiche e ne poteva parlare. Questo libro si compone di 8200 versi scritti
soprattutto in cuaderna via però utilizza anche strofe di arte mayor quindi di più di otto versi e
anche versi di arte mayor. Com’è composto questo libro? Sono un insieme di poemi che l’autore
ha scritto in diversi periodi della sua vita, comincia a scrivere abbastanza tardi tant’è che comincia
a scrivere verso la fine del 300 per terminare nel 1403 quindi poco prima di morire. Scrive tutti
questi vari testi e poi li riunisce sotto il titolo “Rimado de Palacio”. Oggi non abbiamo il testo
originale però ci sono cinque manoscritti tra cui uno è conservato nella Biblioteca Nazionale di
Madrid e si ritrovano moltissimi tratti autobiografici dell’autore cioè lui parla in maniera esplicita
della sua esperienza a Palacio, si chiama Rimado perché è in rima, sono delle rime sul Palacio. Così
Ayala scrive con un yo autobiografico anche lui delle esperienze a Palacio. Si divide in tre parti:

-La prima parte è una confessione dei propri peccati, quello che lui ha sbagliato nella sua vita
quindi è un mea culpa iniziale dove parla anche di episodi personali quindi rappresenta una parte
più intima dove analizza anche quello che c’è dentro di lui;
-La seconda parte è più generale dove analizza in maniera più distaccata la vita di corte;
-La terza parte è proprio un’accusa, una esplicita accusa verso il palazzo perché lui prende i
moralia (opera sulla morale) e li mette in versi e li inserisce come terza parte di accusa a questa
vita del palazzo. La prima parte è più intimista e sono le colpe individuali poi piano piano passa
alle colpe delle istituzioni quasi come se andasse dal particolare al generale fino ad arrivare alla
moralità in generale e quindi all’accusa della vita del regno. E’ una denuncia della vita di palazzo,
della società dell’epoca, ma una denuncia addolorata dove lui si indigna contro questo tipo di
vita, tra l’altro lui aveva cercato di combatterla da dentro. Inoltre scrive alcune crónicas (quindi in
prosa) dove ancora una volta parla delle descrizioni di eventi storici accaduti però anteriori alla
sua epoca e traduce anche molte opere classiche dal latino e greco in castigliano. Scrive El libro
de la caza de la caza quindi della caccia degli uccelli che è un manuale dove si davano indicazioni
sulla caccia, la quale era molto praticata dai nobili all’epoca, era uno sport dell’epoca e questo
libro diventerà poi alla base di tutti i trattati di falconeria che verranno scritti successivamente.

Ayala è stato l’ultimo autore del secolo 14, secolo in cui nasce qualcosa di nuovo, sia dal punto di
vista tematico, sia strutturale, abbiamo visto le vere opere in prosa, come le cronicas di Alfonso X e
altri testi con intento didattico.

Il ‘400
E’ il secolo di una corrente letteraria dell’Umanesimo, che nasce in Italia, abbiamo una corrente
letteraria che arriva dall’Italia. In questo periodo i rapporti tra Spagna e Italia sono molto forti, c’è
un re, Alfonso V d’Aragona che occupa la parte sud dell’Italia, il Regno di Napoli. La dominazione
spagnola rimane ad esempio nel nostro napoletano.
Alfonso V d’Aragona rappresenta uno dei maggiori collegamenti tra Spagna e Italia, lui occupa il
Regno di Napoli nel 1443 e trasferisce il suo palazzo reale a Napoli. Gli aragonesi saranno i
dominatori del regno di Napoli per parecchio tempo. Alfonso V si circonda di tanti intellettuali,
molti spagnoli, che andavano tra la corte di Napoli nel regno di Napoli e la corte spagnola e
portavano con sé un po’ della cultura spagnola e un po’ della cultura italiana e quindi c’è questo
scambio.
In Spagna si susseguono due re: Juan II e Enrique IV.
Stiamo parlando di un periodo che va dal 1406, quando prende il potere Juan II, fino al 1474,
quando termina il regno di Enrique IV, quindi quasi tutto il ‘400.
Questi due re non hanno l’interesse che aveva Alfonso X per la letteratura, ma contribuiscono ad
avere una corte che ospitasse degli intellettuali, degli artisti da varie parti d’Europa e anche Italia.
Ci sono 3 autori importanti e altri meno importanti, di cui parleremo ora. Tra quelli importanti
troviamo Jorge Manrique, autore di elogia alla morte del padre.
Il primo autore è: Juan Fernández de Heredia.
Come Ayala aveva tradotto delle opere classiche perché si comincia a sentire l’esigenza di leggere
le opere classiche, quelle latine e greche, in castillano. Le opere di fondamento esistevano solo in
latino e greco e quindi si sentiva il bisogno di tradurle, cosa che in Italia si faceva da prima,
Con Fernandez de Heredia continua l’opera di traduzione che aveva iniziato Alfonso X e comincia a
tradurre alcune opere classiche, i cui contenuti confluiscono in un opera chiamata GRAN CRÓNICA
DE ESPANYA, che contiene tutto quello che ha potuto ritrovare nei vari testi e studi di attinente alla
Spagna nelle fonti classiche medievali, quindi tutto ciò che parlava della Spagna lo ha riunito e
messo qui.
Cominciano a cambiare equilibri a corte, si inizia a perdere quel centralismo del potere, nascono
nuove classi sociali, il popolo comincia a studiare ed essere un po’ più alfabetizzato, ma non
troppo. Si comincia ad interessare un po’ alle opere e i nobili stessi si cominciano a distaccare dalla
vita della corte centrale e diventano più autonomi.

Cominciano a dedicarsi alle lettere, anche le persone che appartengono alla nobiltà cominciano a
diventare autori. Anche quello che riguardava la Chiesa comincia a cambiare; lo Scisma
D’Occidente ha dato un grande colpo al potere della Chiesa cattolica, perché dovendosi dividere in
due centri di poteri, Francia con Avignone e Italia con Roma, si disperde il grosso potere della
Chiesa. Non lo inizia a perdere, continuerà ovviamente ad avere tanto potere.
Però la Chiesa si rende conto di questa perdita di potere e spinge ancora di più il laccio a coloro che
riteneva eretici, comincia a controllare le opere con la censura. C’è una perdita di potere reale, ma
per riacquistare un qualsiasi prestigio, vogliono praticare questo potere soprattutto sulla
letteratura.
Il popolo comincia ad avere una coscienza di classe, comincia a rendersi conto che anche lui fa
parte della società e comincia a dimostrare il proprio disagio verso i potenti. Alla fine del ‘400 e
inizio ‘500, si iniziano a scrivere opere che parlano di personaggi marginali come il Lazarillo o la
Celestina, prima si parlava solo di personaggi importanti, ma il sottofondo del popolo che viene a
galla anche nelle opere letterarie.
UMANESIMO
Arriva dall’Italia e significa centralità dell’uomo, per questo si chiama così. L’uomo è importante,
arriva ad essere il centro dell’interesse intellettuale, si comincia a capire che la cosa importante è
lo stile, la bellezza dell’opera, la poesia con cui viene descritta, la qualità dell’opera, così anche le
fonti d’ispirazione, si comincia ad acquisire una coscienza sempre più profonda della letteratura e
l’intellettuale diventa un professionista.
Prima c’era il Mester de Juglaria, quello dei giullari, poi Mester de Clerecia, quello dei clerigos,
comincia ad esserci il Mester dello scrittore, dell’intellettuale, diventa professione e non per una
determinata parte, ma per tutti, persino i nobili.
L’umanesimo spagnolo avrà il suo massimo sviluppo durante l’epoca di Juan II, che termina nel
1454, quando Juan II muore. Durante quest’epoca troviamo due scrittori importanti (che non fanno
parte dei 3 importanti). Il primo è: Enrique de Aragón, che è un autore dedicato completamente
alla cultura, si dedica poca alla vita cavalleresca, è lui che si occupa di traduzioni e traduce l’Eneide
e la Divina Commedia. La Divina Commedia arriva ad essere un punto di riferimento fondamentale
per questi autori, non solo perché c’è l’influsso della letteratura italiana ma perché rinnova la
letteratura. E’ un’opera completamente originale, con un viaggio inventato dove c’è tanto di
didattico, dove ci sono punizioni, la legge del contrappasso, dove si da anche un messaggio
religioso.
Questa innovazione della Divina Commedia viene presa a piene mani dagli spagnoli. Enrique de
Aragon, non solo decide di tradurla, ma a queste traduzioni aggiunge delle glosas (commenti,
come se fossero note a piè di pagine) in cui spiega e commenta i passi più difficili della traduzione e
dell’opera. Quando si ritrova ad affrontare un passo di difficile comprensione, aggiunge un
commento dove lo spiega e anche illustrazione del perché lo ha tradotto così. E’ la prima opera di
critica di traduzione che abbiamo, è uno studio sulla traduzione che fa lo stesso traduttore mentre
traduce.
Lo fa anche per dimostrare la sua cultura classica, ma il motivo è secondario. L’importante è capire
il tipo di lavoro fatto.
Scrive diversi trattati di astrologia e magia che vengono bruciati dalla Chiesa perché non li vedeva
di buon occhio, era qualcosa che andava oltre le credenze religiose. Alcune furono bruciate
soprattutto per volere di Juan II che aveva rapporti con la chiesa.
L’unico che si salva di questi trattati si chiama Tratado del ojo o facinaccion, che parla del
malocchio come se fosse una malattia, in questo trattato descrive i sintomi che possono portare ad
avere il malocchio ma anche le cure.
E’ un opera di superstizione, molto legate alla cultura popolare, da lì venivano le credenze dove
confluisce anche un sapere di medicina, della scienza. Anche se è un trattato ha una forma
epistolare, è formato da lettere. Si può dividere in 3 parti:
1. prevenzione malocchio
2. diagnosi malocchio
3. cura
Altra opera che scrive che si è salvata, perché non aveva tematiche terribili per la chiesa è Arte
Cisoria, dove troviamo primi esempi di manuale di cucina. Questo testo ha come tema la
gastronomia ma anche le maniera a tavola, come addobbare e come comportarsi a tavola, come se
fosse un Galateo ma il Galateo è successivo. Questo si potrebbe dire che è uno dei primi manuali
sia nell’arte della cucina e dell’arte del come comportarsi rispetto al cibo. Non ha molto valore
letterario, ma ci fa capire che tipo di abitudini si avevano all’epoca in cucina e anche a tavola.
Si chiama arte Cisoria si riferisce al taglio, si riferisce al fatto di tagliare i cibi e a seconda del
materiale che taglia e del verso in cui si taglia si mantengono le proprietà alimentari di quel
determinato cibo e anche a questo si riferisce.
Altra opera è Los doce trabajos de Hércules che riprende le 12 fatiche di Ercole, che è una
leggenda su questo personaggio mitologico importante riprendendolo dalle fonti classiche, però a
queste fonti classiche aggiunge delle digressioni con dei fini morali di insegnamento. Accanto al
racconto delle fatiche di Ercule vengono aggiunti degli insegnamenti che dovevano aiutare l’uomo
a superare i vizi e dedicarsi solo alle virtù.
Ultima opera è: a arte de trobar, che significa comporre di cui ci sono arrivati solo alcuni
frammenti dove parla dell’arte di comporre dell’epoca, quindi noi sappiamo che tipo di lavoro
veniva fatto prima di comporre le opere che era dedicato ad un autore: Íñigo López de Mendoza. A
questo autore Enrique dedica l’opera.
Secondo autore meno importante dell’umanesimo spagnolo è: Alfonso de Cartagena, che era
vescovo di Burgos e che quindi aveva un ruolo importante nella società e nella Chiesa, di lui
abbiamo notizie certe (1385-1456). Era un latinista, quindi studioso del latino, traduce un’opera
italiana in latino di Boccaccio il De Casibus, come anche traduce dei trattati di cicerone e opere di
Seneca, tutti autori latini e che traduce in castillano. Fino a questo momento quelle opere
potevano solo essere lette in latino, solo opere latine. Chi non lo conosceva non poteva leggerle.
Scrive anche il Doctrinal De Caballeros, che come molte opere in cui si trattava dell’essere
cavaliere, elenca tutti i doveri e i compiti di un perfetto cavaliere, siamo più avanti rispetto alle
opere precedenti, quindi cambia il comportamento dei cavalieri e il loro ruolo.
Partecipa con un autore italiano Leonardo Bruni in un dibattito sull’etica di Aristotele.
Alfonso V d’Aragona, che è il re che aveva occupato il Regno di Napoli e alla sua corte aveva
intellettuali, dalle opere che scaturiscono da questi intellettuali che vivono a corte nasce un
Cancionero. Con Juan Ruiz si tratta di una raccolta di testi di Juan Ruiz, qui invece si tratta di una
vera e propria antologia, insieme di testi di vari poeti. Il Cancionero che si riunisce alla corte di
Alfonso V si chiama Cancionero de Stúñiga del 1458, in questo cancionero troviamo molta della
produzione poetica di quelli che si trovavano nella corte di Alfonso V nel Regno di Napoli.
Il cancionero diventa una sorta di moda all’epoca, si cominciano a creare diversi cancioneros,
anche con una produzione un po’ più limitata e inferiore, con poeti che non erano veri e propri
poeti. Altro cancionero importante è il Cancionero de Baena, fu riunito da Juan Alfonso de Baena
nel 1445. Raccoglie più di 500 poesie poeti di cui si conoscono nomi e anche una trentina anonimi.
Tutta la poesia lirica fino a questo momento era in galleto-portoghese, questi cancioneros
raccoglievano la poesia scritta in castillano.
Il Cancionero di Beana è importante perché mette insieme un numero di poeti di provenienza non
completamente omogenea, in un ambiente che è anche questo non omogeneo perché
partecipano giullari (la sua figura esiste ancora anche dopo il Mester de Juglaria), poeti a corte, i
nobili che cominciano a scrivere; quindi la provenienza è molto eterogenea.
Insieme ai cancionero in questa epoca si comincia a parlare della morte. Comincia a nascere una
serie di opere che si chiamano Danzas de la Muerte. La morte è un tema che si ritrova sempre
nella letteratura, in periodi non così tanto avanzati, dove si moriva abbastanza giovani, non si
sapevano le cause della morte, c’erano carestie epidemie ecc. c’era questa caducità della vita
(caduco significa che ha un termine), caducità significa che ha una fine ed è veloce. Questa
caducità della vita è qualcosa che inizia ad interessare questi autori dell’epoca e quindi si cerca di
entrare in contatto con la morte in una maniera migliore, non troppo tragicamente.
Tra le Danzas de la muerte la più importante è Dança general, che è una Danza de la Muerte.
Consistevano in un racconto in cui viene rappresentata la morte (come scheletro o una fanciulla
senza volto) e nella Danza general è uno scheletro che danza e che chiama a danzare con sé diversi
personaggi, questi personaggi appartengono a tutte le categorie sociali che potevano esistere
all’epoca perché il messaggio è quello che la morte prende tutti indipendentemente dalla classe
sociale, soldi e il resto.
Nella Dança general la morta comincia a chiamare il Papa, i vescovi, il sacrestano, nobili ma anche
un campesino, quindi non si fa alcuna differenza, nemmeno di religione, perché tutti cadono tra le
braccia della morte, tutti sono coinvolti in questo momento che è parte della vita.
Questa danza de la muerte si basa anche sul voler affrontare questo momento con un
atteggiamento ‘benevolo’. Il messaggio di queste danzas de la muerte è che bisogna essere sempre
preparati perché la muertes può arrivare in qualsiasi momento e quindi dal punto di vista cattolico
devi trovarti in una condizione positiva (che non hai fatto peccati).
Quindi riassumendo:
1. umanesimo come corrente letteraria generale con attezione all’uomo, anche il fatto che si
parli della morte è collegato alla vita dell’uomo, perché fa parte della vita dell’uomo
2. creazione dei Cancioneros
3. attenzione a tematiche vecchie ma captate in maniere diversa.
Arriviamo ora a questi tra autori che sono i tra autori importanti del ‘400; il primo è Íñigo López de
Mendoza, anche detto Marqués de Santillana.
E’ un autore che ha vissuto l’aspetto letterario e l’aspetto di soldato, si è dedicato sia alla vita
cavalleresca (ha un grado nobiliare), sia alla vita letteraria. Il marchese di Santillana riesce a trovarsi
tra la tradizione e l’innovazione perché si dedica alla nuova letteratura del tempo (quella che arriva
anche dall’Italia), ma allo stesso tempo riesce a continuare la tradizione propria della Spagna.
Nasce nel 1398 e muore nel 1458, e questo autore è colui che vede in sé stesso la compatibilità di
armi e lettere, perfetta fusione tra aspetto cavalleresco e intellettuale, bravo in entrambe le cose.
Si ispira all’umanesimo, è un grande umanista. Rappresenta un po’ il ponte tra il Medioevo (che sta
per terminare) e il Rinascimento. Il Rinascimento è chiamato così perché si pensava che il
Medioevo fosse un periodo buio, dove non era successo niente (sbagliano). Dal punto di vista degli
autori del ‘500 si usciva da un periodo buio e si aveva una rinascita. Il marchese di Santillana
rappresenta un po’ questo arrivo nel Rinascimento perché appunto guarda all’innovazione.
La parte innovativa è quella che si ispira alla tradizione italiana, in particolare si ispira a un
componimento italiano, quello del sonetto, composto da 4 strofe, due quartine e due terzine, con
versi endecasillabi. Le strofe sono de arte menor e versi di arte mayor.
Il sonetto ha una struttura rigida, quindi sono breve componimenti, in Spagna non c’era molto il
breve componimento, avevano opere molto lunghe. Arriva questo nuovo componimento e al
marchese piace tanto e lo adatta alla lingua spagnola, anche se il sonetto italiano ha una rima
incrociata nelle quartine ABBA e alternata delle terzine CDC. La lingua spagnola che ha le
consonanti alla fine di solito ha trovato difficoltà, si è messo con impegno e ha composto 42
sonetto contenuti nei Sonetos fechos al itálico modo.
Il marchese dice che ha preso ispirazione da là. In realtà non ci riesce bene, colui che comporrà
sonetti in modo migliore sarà del secolo dopo, però il Marchese di Santillana ci prova.
Le tematiche sono quelle della poesia italiana: amore, donna angelo, l’io poetico. Quindi c’è
ispirazione anche per le tematiche non solo per la forma. Si allontana dalle tematiche italiane
quando dedica sonetti alle tematiche politiche e religiose, però la maggior parte hanno quei temi,
in particolare l’amore verso una fanciulla.
Altra opera del marchese è: Infierno de los enamorados. Qua ritroviamo l’inferno e ci fa capire che
si ispira alla divina commedia e si ispira al canto dei lussuriosi. Infatti l’inferno del titolo, che è
composto da 70 strofe di arte mayor, che si chiamano ottave perché sono di otto versi o coplas, è
quello degli innamorati che durante la loro vita hanno amato troppo e che quindi hanno amato in
una maniera sbagliata, abbandonandosi alla passione e che quindi ora devono bruciare tra le
fiamme dell’inferno perché, secondo la legge del contrappasso, in vita si sono dedicati alle fiamme
della passione. C’è un’ispirazione chiara alla Divina Commedia.
Una differenza con la Divina Commedia è che Danta si concentrava su personaggi del passato, il
marchese si concentra su personaggi contemporanei a lui, personaggi conosceva anche di persona
a corte. La fonte è la Divina Commedia che però lui conosceva tramite la traduzione perché non
conosceva bene il latino e il greco e legge dalla traduzione di Enrique de Aragon.
Conosceva tante lingue, ma non le lingue classiche, non sarà traduttore, ma lo stesso grande
autore. Commissione e finanzia traduzioni ma lui non lo fa di persona. La sua biblioteca era
enorme per tutti i testi che faceva tradurre. Grazie al fatto che lui si ispirasse alla Divina Commedia
fa si che si conoscesse la divina commedia, per cui viene ritenuto uno di coloro che diffonde la
cultura classica e scrive una lettera Carta-proemio al Condestable don Pedro de Portugal che è una
lettera, che rappresenta quasi un testo di critica letteraria perché invia delle poesie a Don Pedro de
Portogallo, cioè il re del portogallo dell’epoca, in cui affronta l’analisi di queste poesie, quasi fosse
un commento letterario a queste poesie in questa carta e che rappresenta un testo teorico sulla
poesia dell’epoca, non solo sulla lingua castillana, ma mette delle poesie dell’epoca, anche il lingua
catalana, galleghe ecc. quindi fa si che si vengano a conoscere delle poesia che lui invia al re del
Portogallo, ma con un suo commento, come un manuale letterario che comprenda poesie
dell’epoca.
Mette a confronto queste poesie e esalta il genere poetico come il migliore rispetto alla prosa.
Altra opera la Comedieta de Ponza, abbiamo un titolo che ci ricorda la Divina Commedia. Ponza è
un posto dove c’è stata una battaglia, la battaglia di Ponza, era una battaglia dell’epoca contro
Alfonso V d’Aragona contro i genovesi, è una battaglia che il marchese prende come esempio e lo
inserisce come evento storico che però gli serve come fonte di ispirazione. Parla del fatto storico
ma inserisce la storia che cambia un po’ i fatti storici, un po’ come il romanzo storico.
E’ una meditazione sul destino dell’uomo, sulla fortuna che viene rappresentata in maniera
allegorica, decide il destino dell’uomo. La provvidenza è la fortuna cristiana, la fortuna è la
provvidenza pagana. Infatti ha un lieto fine, da questo il nome comedieta (qualcosa che finisce
bene) e che si ispira a questa battaglia che fu molto importante per la Spagna che acquisisce il
territorio di Ponza.
Altra opera è Bias contra Fortuna; Bias sono i saggi dell’antica Grecia che riesce a sconfiggere in
diverse prove la fortuna, grazie alla sua saggezza. Va contro qualcosa che gli era stato predestinato
dalla fortuna, questa mancanza di credenza nella fortuna che si impone sul destino dell’uomo. Se
l’uomo ha gli strumenti giusti può anche opporsi al destino voluto dalla fortuna.
Altra opera: Doctrinal de Privados; i privados sono i consiglieri, come Patronio per Lucanor. Il
doctrinal è un trattato dove si parla di questi personaggi in voga all’epoca. A volte i privados
avevano molto più potere perché consigliavano e facevano prendere decisioni ai potenti. L’opera
parla di uno dei privados più importanti Alvaro de Luna, uno dei nobili dell’epoca che aveva più
potere che era un nemico del marchese di Santillana.
Questi fino ad ora elencati, sono tutti testi che guardano all’innovazione, ma il marchese di
Santillana ha un piede nella tradizione e comunque continua ad ispirarsi alla tradizione spagnola e
compone opere ispirate alla tradizione e il folklore spagnolo quindi con ispirazione popolare. Scrive
Los refranes que dizen las viejas tras el fuego, ossia i ritornetti, i detti, i modi di dire ripetuti che
dicono le vecchie davanti al fuoco. Opera completamente ispirata alla tradizione, perché i detti
sono quelli che si tramandano grazie alla tradizione popolare. E’ una raccolta di detti, non solo
della lingua castilllana, ma di varie lingue romanze che si contrappone alla raccolta di poesie
auliche che lo stesso marchese fa però fa capire che interessi c’erano.
Scrive anche i Proverbios, che hanno la stessa ascendenza di tradizione popolareche sono 100 detti
provenienti da varie fonti. Questi non sono componimenti poetici, sono riprese dei modi di dire
riuniti in testi.
Scrive delle composizioni ispirate da composizioni poetiche tradizionali popolari molto antiche che
facevano parte della tradizione spagnola: las serranillas e i villancicos.
Le Serranillas (serranas sono le donne che abitano sulle montagne), queste invece sono delle
composizioni liriche che hanno un argomento che si collega alla montagna, all’ambiente rustico,
del pueblo. Racconta l’incontro galante, con un cavaliere che cerca di conquistare una fanciulla
che spesso non ricambia, altre volte si. Sono ambientate in paesaggi rustici di montagna. Avevano
un’ascendenza di tradizione spagnola molto antica. I versi sono molto brevi, rispettano la liricità
tipica della tradizione spagnola.

Los villancicos (tutt’oggi esistono in Spagna) erano dei brevi canti tipici fatti nel periodo del
Natale, tramandati oralmente (come le nostre canzoncine di Natale, ma gli spagnoli hanno
proprio profonda questa tradizione). Erano delle brevi canzoni popolari, con diverse strofe, di
solito coplas, quindi di arte mayor, che erano intercalata da un ritornello, chiamato refran o
estribillo che si ripeteva. L’argomento era l’amore cortese, come nelle serranillas, anche qui c’era
incontro amoroso, ma c’erano più ispirazioni di carattere storico o collegate a un personaggio
particolare o la storia di una città. Avevano delle ascendenze storiche o di corte, quindi
avvenimenti successi a corte. Avevano delle tematiche sacre, che si rifacevano alla religione,
accompagnati spesso da strumenti. Oggi è passato il villancico da questo argomento storico di
corte e religioso, all’argomento semplicemente religioso perché legato al Natale.

Il marchese riesce a coniugare perfettamente la tradizione e l’innovazione, che prende


spunto dalla letteratura italiana. E’ un autore che è a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.

Parliamo del secondo autore del 400 che si chiama Juan de Mena. Se Marqués de Santillana ce lo
possiamo ricordare perché è stato un autore che ha praticato sia la vita cavalleresca che la vita
delle lettere; Juan de Mena si è dedicato solo ed esclusivamente alle lettere, cioè non ha fatto
parte di quei soldati, di quella gente di cui invece apparteneva Pedro Lopez Ayala.
Juan de Mena nasce nel 1411 e muore nel 1456; in realtà non differisce solo nel fatto che fosse
solo un intellettuale, ma differisce anche per l’ascesa sociale; infatti, lui non aveva una famiglia
nobile alle spalle ma, probabilmente, discendeva da una famiglia bassa di ebrei conversos (sono
quelli che si convertono alla religione cattolica, ne abbiamo parlato quando abbiamo parlato dei
poemetti giullareschi). Tra l’altro rimane orfano molto presto, quindi deve affrontare gli studi in
maniera autodidatta. Era abbastanza povero quindi tutta la sua gioventù non riesce proprio a
studiare ed è qualcosa che riesce a fare da solo.
Però quando arriva a 20 anni comincia ad avviare la sua istruzione perché aveva cominciato a
lavorare quindi era riuscito a raccogliere un po’ di soldi e, a Cordoba prima e poi successivamente
a Salamanca fino a spostarsi a Roma, cominciò a studiare le discipline umanistiche e a Roma
comincia a conoscere gli esponenti dell’umanesimo.
Raccoglie da questi intellettuali quello che concerneva la letteratura e quindi si ispira a loro per
comporre le sue opere. Scrive delle liriche amorose che però sono considerate più come una
letteratura minore, cioè non è che hanno molta importanza, ma la sua opera più importante è “El
laberinto de fortuna” dove torna ancora una volta questo personaggio: la Fortuna, che
rappresenta un personaggio allegorico perché la fortuna è un concetto e si impersona in un
personaggio letterario.
Perché si chiama “el labirinto de fortuna”? Perché è ambientata nel palazzo della fortuna.
Quest’opera è chiamata anche “las trecientas” perché è composta da 294 strofe, quindi quasi 300;
e sono tutte strofe di arte mayor. Probabilmente questo testo è stato composto nel periodo in cui
si trovava a Salamanca ma comunque ispirato dalla letteratura italiana che arrivava in Spagna in
quel periodo.
L’opera, infatti, richiama la Divina Commedia, perché si racconta dell’autore, quindi c’è, come
Dante racconta in prima persona, un Juan de Mena racconta in prima persona la sua esperienza,
dove un po’ come aveva fatto Juan Ruiz che inveniva contro Don Amor perché non riusciva a
conquistare le donne, lui per il suo destino avverso inveisce contro la fortuna. Comincia a
prendersela con questo personaggio perché non riesce a trovare pace e felicità durante la sua vita.
Dopo arriva un altro personaggio che è la provvidenza, la provvidenza che è rappresentata
come una bellissima ragazza, lo accompagna a capire perché lui ha questo destino, lo accompagna
in un viaggio (un po’ come ha fatto Virgilio con Dante e anche come ha fatto Beatrice con Dante).
Gli dice che lo porta a conoscere come funziona il mondo, come è articolato, e lo porta,
trasportato da un carro che è il carro di Bellona (la dea della guerra, sposa di Marte). Una volta
salito su questo carro, arriva nel palazzo della fortuna che è appunto la proprietaria di questo
palazzo, dove non solo la fortuna vive, ma gestisce la vita degli uomini. Tant’è che quello che vede
l’autore è che ci sono tre ruote:

1. quella del presente


2. quella del passato
3. quella del futuro

Quella del passato e del futuro sono ferme, invece quella del presente è in constante movimento,
e soprattutto quella del futuro è velata perché non si può conoscere il futuro.

Ogni ruota è costituita da sette cerchi concentrici, cioè su ogni cerchio ruotano sette cerchi
concentrici, ciascuno dei quali prende il nome dal pianeta che influisce su di essi: Marte, Giove,
Saturno, ecc.… e ogni pianeta determina i vizi e le virtù dei personaggi che sono rappresentati su
ogni ruota (ovviamente sulla ruota del passato sono rappresentati i personaggi del passato, su
quella del presenta sono rappresentati i personaggi del presente, e su quella del futuro ci sono
delle previsioni che fa stesso Juan de Mena). Ogni ruota ospita una determinata categoria di
personaggi del presente, o del passato, che rappresentano un determinato vizio o una
determinata virtù (quelli del futuro non si vedono).
Quindi riprende la Divina Commedia anche se ci sono delle differenze. Così come “los infiernos de
los enamorados” non parlava di personaggi del passato ma di quelli contemporanei al marqués de
Santillana; invece, Juan de Mena non ha a che fare solo con i personaggi del passato ma anche
con quelli del presente (Dante solo quelli del passato, Santillana solo quelli del presente, e Juan de
Mena presente e passato).

Inoltre, non inserisce solo personaggi realmente esistiti ma anche personaggi immaginari per
descrivere quel determinato vizio o virtù. Quindi è veramente letteraria come opera, perché c’è
anche tanto di finzione. Se Dante separa i peccatori nell’inferno, i santi nel paradiso; invece qui
sulla stessa ruota convivono i buoni e i cattivi perché il cerchio rappresenta una determinata
caratteristica che può diventare vizio o virtù a seconda di come è servito al personaggio (es.
l’egoismo potrebbe essere servito per fare del bene, quindi in quel caso è una virtù; ma può essere
rappresentato anche come un vizio, però sta sullo stesso cerchio).
Perché vi ho detto del futuro? È vero che il futuro è nascosto ma, in realtà si parla di Juan II che
era il re in quel momento, ma si parla della previsione del futuro di Juan II che naturalmente è
visto come un futuro di successi, perché era un omaggio di Juan de Mena al re Juan II.
L’intento di quest’opera è l’intento moralizzante perché tra vizi e virtù ci sono delle differenze, e
magari vivono bene quelli che utilizzano queste caratteristiche come virtù e vivono male quelli che
le utilizzano come vizi.
Affianco all’intento morale c’è un grosso esercizio linguistico da parte di Juan de Mena, egli viene
ritenuto l’antecedente di quello che sarà un grandissimo poeta del seicento: Góngora, lui è il
massimo esponente del Barocco, e di una corrente che si chiama Culteranesimo perché utilizzerà
vocaboli molto difficili, un linguaggio molto ricercato, una lingua colta; Juan de Mena fa lo stesso
un po’ di tempo prima, non raggiungendo però Gongora. Lui vuole nobilitare la lingua
castigliana, vuole portarla allo stesso livello della lingua francese e italiana in quel momento (la
lingua italiana con Dante, Boccaccio aveva raggiunto il massimo livello) e quindi lui vuole che
anche la lingua spagnola sia ritenuta tra le lingua importanti europee. Lui, ad esempio, utilizza
molti neologismi (parole inventate nuove, che intenta lui), usa moltissimi termini latini e utilizza
proprio un linguaggio difficile perché non voleva arrivare alle classi bassi ma voleva come
destinatari, i grandi intellettuali, come i clerigos dell’epoca.
Perché non voleva arrivare alle classi più basse? Perché in realtà quello che lui diceva in questo
testo, secondo lui era abbastanza difficile, quindi non voleva che si fraintendesse il messaggio che
poteva arrivare, in modo tale che lo scrive in una maniera difficile per fare in modo che non ci
provino proprio ad interpretare. Invece chi ha già una cultura poteva capirlo. Fa questo per due
motivazioni:

1. Per elevare la lingua castillana


2. Per arrivare a coloro che potevano capire il messaggio che voleva dare, che era un messaggio
moralizzante.

Lui era conosciuto per el laberinto de fortuna ma scrive, oltre a queste liriche, anche il Tratado
sobre el título de duque che è un trattato in prosa dedicato a un conde: el Conde de niebla che
appare anche come personaggio nel “laberinto de fortuna” circa l’origine di questo titolo
nobiliare, ossia il duca, però con delle indicazioni su come un duca debba comportarsi, su quali
siano le maniere e i modi di un perfetto duca, quindi ci sono questi trattati che danno delle
indicazioni.
Altra opera è il Tratado de amor sempre in prosa, che riprende il libro de buen amor di Juan Ruiz;
infatti anche in questo caso parla di un amore positivo e di un amore negativo. L’amore positivo
è chiamato amor lícido (lecito= concesso, che si può fare) che si contrappone all’amor no lícido
(illecito), sarebbe l’amor loco e l’amor buen di Juan Ruiz.
L’amor no lícido era quello che portava al tradimento e all’incesto; quindi, aveva questa
caratterizzazione di amore folle.
Un’altra opera è “L’Omero romançado” (in prosa); è la traduzione di un’opera latina che é Ilias
latina, operetta del I a.C. scritta in versi che Juan De Mena traduce e riadatta perché gli eventi
che vengono raccontati nell’Omero Romançado sono attualizzati nell’opera di Juan de Mena.
Riprende un opera del I secolo a.C. la traduce ma la aggiorna a quello che era la situazione
spagnola dell’epoca, aggiunge riferimenti storici si riferiscono alla contemporaneità dell’autore.
Non era una semplice traduzione di quello che veniva preso come testo di partenza, ma si
aggiungono anche altre fonti per aggiornare e adattare all’epoca presente l’opera. Aggiunge
anche un prologo e una conclusione in cui parla del suo periodo storico, che si rifà al labirinto
della fortuna perché anche lì si parlava del presente di Juan de Mena.
L’ultima opera è la “Conoraciòn del Marqués de Santillana” che è un’opera in versi, sono delle
coplas con versi di 10 sillabe.
Perché chiamato così? Perché ancora una volta si ispira a Dante ed immagina di scendere
nell’Inferno e di parlare ai personaggi mitologici che soffrono delle pene. Si riferisce a questa
vittoria del Marqués di Santillana in una battaglia dove aveva avuto la meglio: la battaglia di
Huelma del 1438, come spunto, punto di partenza, per parlare delle virtù di questi personaggi
che si trovano all’inferno e quindi fondere l’ispirazione alla divina commedia, la satira contro
questi personaggi e accusare questi personaggi per quello che avevano fatto in vita. Un’opera
che parte da uno spunto che è l’ispirazione al Marqués (i due erano amici) per poi parlare dei vizi
dell’umanità.
Passiamo ora a Jorge Manrique, il più grande poeta del medioevo spagnolo, tutti gli altri
scompaiono nel momento che arriva lui, alla fine gli altri erano pochi quelli che avevano un
nome, per cui facilmente diventa il più grande autore del medioevo spagnolo. Nasce nel 1440 e
nasce in una famiglia di importantissimi cavalieri e nobili (ascendenza veramente nobile), tant’è
che le coplas sono dedicate a suo padre Rodrigo Manrique, era stato un uomo d’armi più
importanti del medioevo spagnolo tant’è che era stato cavaliere dell’ordine di Santiago, uno
degli ordini più importanti dei soldati spagnoli dell’epoca, anche Jorge Manrique viene nominato
cavaliere dell’ordine di Santiago. Era una stirpe di importanti cavalieri.
Anche lui come il Marqués de Santillana non si dedica solo alle armi ma anche alle lettere. Muore
in battaglia nel 1479 durante lo scontro contro il Marqués de Villena (altra famiglia
importantissima). Si scontrarono perché avevano idee contrastanti su chi dovesse salire al trono in
quel periodo. Ci stavano tante lotte per salire al trono, avvenivano tante vicende e in questo caso
c’era un lato che voleva che salisse la stirpe di Juan II e Enrique IV e dall’altro lato chi voleva che
salisse al potere Isabella de Castilla, che sarà quella che vincerà perché sarà la Regina Cattolica,
sposandosi con Fernando d’Aragona.
C’era sempre molto restii a far salire una donna al potere e il fatto che ci fosse lei come possibile
regina era molto contrastato. Jorge Manrique appoggia Isabella e combattendo per l’affermazione
del potere di Isabella de Castilla muore in battaglia a 39 anni quindi non ha avuto troppo tempo
per scrivere.
Ci lascia le coplas per la morte di sui padre, prima però nel poco tempo, scrisse un insieme di
poesie raccolte in un cancionero che dedica a sua moglie, questa volta è un cancionero che
raccoglie solo le sue poesie, non è un antologia. Fatto con 50 liriche amorose.
Ma l’opera più importante è le coplas alla morte del padre. Che lui scrive in occasione della
morte del padre, è conosciuto per quest’opera abbastanza piccola. Le introduzioni sono
importanti.
C’è anche la genealogia dei Manrique per capire che famiglia fosse.
Lo scopo dell’opera è rendere omaggio a un uomo che non solo era stato suo padre ma
soprattutto era stato un esempio per la sua vita e per gli altri uomini. La scrive perché vuole
rendere immortale l’uomo, vuole far sì che il padre di continui a ricordare, l’immortalità
attraverso il ricordo. Attraverso il fatto del ricordare il padre automaticamente si auto conferisce
quella fama che conferirà anche a lui l’immortalità.
Si tratta di un elegia, un opera che si scrive come dedica, omaggio ad avvenimenti che possono
essere anche morti, è una dolorosa elegia. Questo avvenimento triste porta un’esaltazione del
personaggio, si passa poi ad una gioia per che si capisce che lui in vita è stato qualcosa da cui
prendere esempio.
Quello da cui parte è la morte (che diventa una delle tematiche) per poi arrivare ad una riflessione
sulla vita, sulla caducità, sulla differenza tra vita terrena e ultra terrena; quindi non solo
un’esaltazione di quella che è stata la vita del padre ma una riflessione su quello che è la vita di
tutti gli uomini e il significato della morte nella vita di questi uomini, per questo è importante, da
modo di riflettere.
Riprende la forma delle coplas, prettamente medievale ma nei contenuti siamo già
nel Rinascimento, fa un’esaltazione delpersonaggio come saranno le intenzioni nelle opere
rinascimentali, apre la strada a questa corrente letteraria. È una meditazione molto profonda ed
intima, c’è il sentimento profondo filiale, di amore verso il genitore, che però diventa generale; lui
parte dal dolore per la morte del padre per arrivare a una constatazione sulla vita e sulla morte
che è universale.
Non sono poi i fatti suoi, ma è un padre che può essere il padre di tutti e preso esempio da tutti
che condivide con tutti il destino della morte.
Il termine coplas non si può tradurre perchè deriva dalla tipica strofa spagnola (un po’ come
sonetto). La traduzione sarebbe dovuta essere Coplas alla morte del padre, ma il traduttore decide
di chiamarla elegia perché un elegia; era un componimento latino e greco basato su un distico
elegiaco. Sono due versi, uno di 5 sillabe (pentametro) e uno 6 (esametro). Questo è il distico
elegiaco e per la lettura greca (Callimaco) e per quella latina (Catullo) sono quelli che l’hanno
utilizzato nella maniera migliore. Tanti distici elegiaci componevano l’elegia. Il contenuto era di
omaggio in occasione di un avvenimento che doveva essere esaltato e raccontato, come anche
una morte.
Durante il Medioevo l’elegia viene denominata in un’altra maniera in Spagna, Planto o Llanto, e
nel 15 secolo, quindi nel periodo di Jorge Manrique viene chiamato o Conoracion (come la
Conoracion del marques) o triunfo o consolatoria, si passa all’esaltazione nel titolo. Non è solo
l’elegia, ma c’è sia il llanto, ossia la tristezza dell’avvenimento e l’esaltazione, come appunto il
triunfo o conoracion.
Se prima l’elegia era un invito al pianto, a partecipare alla tristezza piano piano c’era l’esaltazione
per adottare un atteggiamento, che era un atteggiamento soprattutto spirituale nei confronti della
vita e quindi a guardare in maniera positiva anche la morte perché porta verso una vita
ultraterrena.
Manrique prende tutti e due i significati (significato del llanto, sia il significato della conoracion e
triunfo) e li mette nella sua opera; quindi da una parte c’è il pianto per la morte del padre e
dall’altra l’esaltazione.

Soprattutto lui non utilizza il distico elegiaco perché non era adatto alla letteratura spagnola, era
troppo breve ma utilizza la copla e utilizza una copla molto particolare che si chiama copla de pie
quebrado. La copla de pie quebrado significa verso più corta. Jorge Manrique scrive 40 coplas.

Jorge Menrique screve 40 coplas che in realtà sono riprese come struttura dallo zio, che pure si
dilettava nella letteratura che si chiamava Gomez Manrique, il quale aveva utilizzato questa copla,
ma proprio perché Jorge era l’intellettuale vero, questa copla viene anche detta Manriqueña.
E’ una strofa di 12 versi, ogni due versi c’è un pie quebrado, ossia un verso più breve, i più lunghi
sono di 8 sillabe, i più brevi di 4. La maggior parte dei versi sono di 4 e in alcuni di 5.

Sono versi ottosillabi intercalati da un verso di quattro. Perché il verso più breve da un ritmo
acustico a livello di sentire, di ascolto che da musicalità e armonia. In più quello che è contenuto
nel piè quebrado, cioè nel verso breve è qualcosa su cui ci si ferma, si dà più attenzione.
Leggiamo la prima strofa:
C’è una cadenza ritmica che si ferma sul pie quebrado perché o è 1 o 2 parole. Si dà importanza a
quelle parole nel pie quebrado; quell’idea contenuta nel pie quebrado è l’idea importante che
vuolo dare, contornata dal resto negli altri versi.
La rima è consonante ma non è uguale: è ABC ABC DEF DEF.
E’ una rima alternata che si ripete nei primi dei versi e nei secondi sei versi.

8A 8B 4C, 8A 8B 4C, 8D 8E AF, 8D 8E 4F

Perché il quadrisillabo e l’ottosillabo? Il quadrisillabo è, come abbiamo detto, per dare importanza
e ritmo, l’ottosillabo è il verso per eccellenza della lirica, è il primo verso di arte mayor e quello più
vicino allo stile colloquiale. Lui voleva parlare con tutti e che tutti lo capissero (non come de
Mena).
Lo vuole dire in una maniera diretta, colloquiale e il verso che comunica di più è quello di 8 sillabe,
perché non è né troppo lungo o corto, è a metà, tra le 16 dell’alessandrino e il quadrisillabo, quello
più breve che piò esistere e ti da subito un messaggio.

Quali sono le tematiche di cui tratta? La riflessione filosofica è alla base di questo testo e in questo
testo inserisce tutte quelle che erano le idee, i concetti, i topoi del Medioevo (già ne abbiamo
parlato), anche per questo è uno dei più grandi poeti del Medioevo, perché raccoglie tutto quello
che c’è stato fino ad ora e lo mette in solo 40 coplas; riesce a racchiudere questi concetti che
racchiudono il pensiero medievale.

Lui da questi concetti come una serie di verità, come assodati per avere una visione globale del
mondo, anche se non si chiama ‘trattato’ o ‘libro sobre’, lui da delle indicazioni sul ‘ben vivere’, è
un manuale sul come comportarsi bene nella vita, come avere un modo di vivere positivo per
raggiungere la vita eterna e avere una speranza dopo la morte.
E tutte queste cose sono messe benissimo insieme, questa è la ragione per la quale si è voluto
vedere nelle ‘coplas della morte di mio padre’, come una sintesi della cultura Medievale.

La prima tematica è il tempo: tempus fugi, ossia il tempo che fugge, che passa e passa in maniera
irreparabile. Dice che il presente non esiste, perché nel momento in cui si parla di presente è già
passato e quello che possiamo fare è vivere perfettamente questo presente, cercare di sfruttare il
presente per renderlo un passato degno. Vivere ogni momento del presente per prepararci nel
futuro e avere un passato degno.

Tutto quindi si riduce al passato e se non è un buon passato, non c’è scampo perché non possiamo
cambiarlo più. Come si fa a vivere bene il presente? Dedicandosi all’interiorità, alla religione, alla
spiritualità, perché le cose del mondo sono cose sbagliate. Il mondo, la vita terrena, le cose vane
della vita terrena sono cose da mettere da parte perché non portano a nulla.
Si ispira a un opera di Bartolomeo da Pisa, il De contemptu mundi scritto nel 1397, significa ‘sul
disprezzo del mondo’, cioè l’uomo poiché è attaccato alle cose terrene deve imparare a
distaccarsene, a disprezzarle perché sono cose vane che scompaiono.
Quando si muore tutte le cose che si accumulano in vita si perdono, non possono essere portate.

E lui chiama infatti il mondo Vanitas Vanitatis, ossia la vanità delle vanità.
L’uomo è mosso solo dalle cose vane, è un accusa che si fa al modo di vivere dell’uomo perché
dimentica cosa c’è aldilà ossia Dio, dimentica il fatto che si rivolge all’immortalità, all’idea della
spiritualità può non essere mortale, può non essere finito.

Allora il mondo deve essere visto solo come un luogo di passaggio e in questo luogo di passaggio
l’uomo deve vivere affinché si rivolga alla salvezza dell’anima deve voler salvare la sua anima, il
corpo viene messo da parte, deve essere comunque si curato e nutrito in vita perché è l’involucro
dell’anima ma si deve dare attenzione all’anima con la fede e la spiritualità.
Infatti, lui parla di 3 nemici sulla terra cioè il tempo, la fortuna e la morte. Questi 3 nemici sono
quelli che condizionano la vita durante il nostro passaggio sulla terra.
Come si fa durante la vita ad avere questa predisposizione verso l’altra vita? Grazie alla fama cioè
la popolarità e quanto vieni ritenuta una persona positiva buona grazie a quello che fai e come ti
comporti.
La fama è anche quella che ci costruiamo nella nostra piccola vita e questo.

La fama per Rodrigo Manrique era quella acquisito nelle guerre (quello facevano i soldati all’epoca
tipo cid). Fama era dare valore al proprio paese, essere apprezzato dai nemici, positivo anche con
le persone con cui combattevi e Rodrigo ha fatto questo.

La fama dà senso alla vita dell’uomo sulla terra cioè se nella vita ti dedichi ai valori religiosi
(spiritualità e attenzione, all’anima) e nei confronti della collettività hai un atteggiamento che
viene ricordato e apprezzato otterrai la fama. Anche ognuno di noi si costruisce la fama giorno per
giorno con i propri atteggiamenti.
Questo si ricollega a quello che abbiamo detto rispetto all’umanesimo: l’uomo al centro. Infatti,
nel XV secolo, quando si comincia ad avere una visione antropocentrica (uomo al centro),
comincia a cambiare la prospettiva rispetto a quello che era stato ai secoli precedenti. Alle opere
letterarie viene data tanta importanza e diventano oggetto di ammirazione e cominciano ad
essere collegate al proprio autore e quindi viene data ammirazione e fama all’autore. L’autore
grazie all’essere un intellettuale, uno scrittore, un autore acquisisce fama (se scrive belle cose),
quindi anche l’autore si può costruire una memoria esemplare, si può costruire una fama, perché
è al centro. L’uomo attraverso le sue opere acquisisce la fama.
Presentando il padre, Manrique, insiste sul fatto che le imprese del padre (in guerra) sono una
conseguenza della sua vita esemplare; le opere del padre sono ricordabili perché la sua vita è
stata esemplare. Da qui nasce la teoria per cui Manrique parla di tre vite: la vita terrena, la vita
della fama, e la vita eterna (ultraterrena).
La vita della fama rappresenta il modo in cui si vive la vita eterna ed una sorta di passaggio
obbligatorio per la vita ultraterrena: senza la vita della fama (ovviamente una fama positiva) non
c’è nemmeno la vita eterna. Fama positiva = cose positive, fama negativa= niente vita
ultraterrena. C’è il giudizio di Dio sopra ogni cosa.
Tutta questa situazione avviene perché nella vita c’è la morte, altrimenti se vivessimo in eterno
non ci preoccuperemmo di quello che c’è dopo. La morte è una delle tematiche fondamentali.
C’è una visione della morte abbastanza tragica che si voleva però rendere più leggera. Gli uomini
del XVI/XV secolo avevano vissuto la peste dal 1346-1353 ed erano morte un sacco di persone e
questa era una morte tragica ma nasce dunque una filosofia edonista, è una filosofia che
identifica il bene col il piacere cioè il piacere deve essere il fine ultimo dell’uomo. Bisogna godersi
la vita.
Per affrontare bene la morte nesce questa poesia, però circondandoti sempre di piacere non ti
guardi l’anima, perché molto spesso il piacere è corporeo, non spirituale. Per evitare questa
reazione edonista, questa ricerca del piacere a tutti i costi nella vita si è cercato di contrastarlo
con la paura della morta dal punto di vista religioso.
Proprio perché si vuole dare una via di mezzo tra le due visioni della morte si creano anche le
danzas de la muerte di cui abbiamo parlato perché è una danza, ma si muore tutti, sia il
sacerdote, sia ricco, il povero, cristiano, ebreo muore, e questa è l’indicazione per cui si deve
comunque stare attenti a quello che si fa nella vita e si ricollega a quello che è la fama di
Manrique.
La morte spesso nelle danzas de la muerte viene rappresentata come uno scheletro con la falce
che fa paura, in realtà Manrique la rappresenta in un'altra maniera perché si rifà a questa danza,
questo invito della morte, ma rappresenta la morte come un’amica, un qualcuno che ti viene a
prendere nel momento in cui deve. Il fatto che lui la rappresenti in un’altra maniera fa capire che
anche la rappresentazione di come il padre accolga la morte è una rappresentazione serena,
quindi come se il padre aprisse la porta alla morte e la accoglie sereno perché collega il fatto che
la morte sia arrivata al fatto che è Dio che ha voluto che in quel momento venisse.
Questa morte viene rappresentata da un personaggio allegorico e dialoga con il padre, la morte
parla e il padre risponde, è un personaggio attivo, tranquillo, che si oppone a quella foga con qui
arriva e prende, invece è molto più tranquillo.
Le coplas di ispirano ad alcuni manuali che nascono in questo periodo: manuali su come morire
bene, ars moriendi, ossia l’arte di morire, scritte in latino e che davano consigli per avere una
morte degna e tranquilla e Manrique raccoglie tutta la tradizione medievale sulla morte e
trasforma il personaggio ma mantenendo l’idea che la morte livella tutto perché la vita
discrimina, invece la morte vede tutti uguali.
Grazie a questa visione fa si che l’uomo possa accettare in maniera più serena il momento in cui
deve affrontarla, ricordiamoci pure che il mondo è vanità, quindi quello che lascia non ha
importanza, è quello che gli aspetta che ha importanza. Utilizza un topos: topos dell’ubi sunt
Mantiene però l’idea che la morte livella tutto, al contrario della vita che discrimina. Questa
visione della morte fa sì che l’uomo possa accettare in maniera più serena il momento in cui deve
affrontarla. Dobbiamo anche ricordare che il mondo è cattivo, quindi non ha importanza ciò che
l’uomo lascia, ma ciò che lo aspetta e infatti Manrique utilizza un topos: il topos dell’ubi sunt che
completamente sarebbe ubi sunt qui ante nos fuerunt, ossia dove sono quelli che hanno vissuto
prima di noi?
Tutti i personaggi del passato che fine hanno fatto? E’ una domanda retorica, ci rispondiamo che
non hanno importanza, non ci sono più dimenticati, quindi utilizza questo topos per dire che tutti
questi personaggi sono ridotti al nulla perché non hanno cercato in vita la fama. Quelli che hanno
cercato la fama come Rodrigo sono sopravissuti, l’ubi sunt non vale per lui, non vale per quelli che
non ricordiamo, ma solo per coloro che non ha la fama.
Si ricollega al secondo topos che utilizza Marnique, ossia il topos dell’ homo viator, c’è sempre
questa idea di quest’uomo che viaggia, cioè il pellegrino. Vuole intendere che la vita terrena è un
viaggio e che mano a mano che va avanti, cambia l’essere umano, lo fa evolvere in qualche modo.
Il viaggio attraverso la vita è un viaggio di conoscenza che quindi fa si che l’uomo possa acquisire
delle conoscenze vere e proprie per affrontare la vita terrena, in realtà questo homo viator è un
uomo che attraversa la vita per arrivare alla vita ultraterrena, quindi la vita terrena è un passaggio,
il pellegrino la attraversa con il suo carico, la zavorra delle sue conoscenze e altre volte lo
appesantisce.
Questa questione dell’homo viator che vive la vita terrena sulla terra si collega all’ubi sunt, l’homo
viator deve avere una prospettiva nella sua vita.
Abbiamo parlato di tre vite: vita terrena, della fama e eterna, grazie a questi riferimenti che fa
all’interno del testo uno dei critici che ha studiato le coplas Pedro Salinas, ha diviso il testo in tre
parti. Pedro Salinas è un “amico” di Dámaso Alonso (glosas) e formeranno entrambi “la
generazione del ‘27”, nel XX secolo. Pedro Salinas ha studiato la letteratura spagnola del
medioevo ed è stato uno dei primi critici che ha analizzato le coplas. E ne è uscito fuori che a
seconda della tematica, si può dividere in tre parti, che corrispondono alle tre vite di cui parla
Manrique:

La prima parte è quella che è un po’ più di riferimento filosofico, di riflessione filosofica, più
generale. Ha una struttura a imbuto, che va dal generale al particolare. Dal generale che è più
ampio, fino a ristringersi al particolare.

La prima parte quindi è più ampia, parla di un discorso generale e va fino alla Copla 13, infatti la
prima parte è quella che parla della vita, della fugacità, del tempo, di questa visione dei beni
materiali che sono fugaci e quindi passano, come la vita terrena. E quindi la prima parte è quella
legata alla vita terrena.

La seconda parte, che invece va fino alla Copla 24, è un approfondimento di quello che è stato
detto nella prima parte e si approfondisce quella che è la vita della fama, si spiega che cos’è la vita
della fama, cos’è la fama durante la vita terrena. Come fa a parlare della vita della fama? Parla di
coloro che questa fama la hanno utilizzata o di coloro che non ne hanno usufruito e sono stati
dimenticati.

La terza parte è quella che fa fino alla Copla 40, che è il terzo tipo di vita, la vita eterna, in questa
parte si parla del padre di Jorge Manrique ossia Rodrigo Manrique, come esempio di virtù, come
qualcuno che ha dedicato la sua vita alla fama e quindi può aspirare alla vita eterna.

Anche se in tutto il testo è dedicato alla morte di suo padre, appare verso la fine del testo, c’è tutta
una preparazione, una spiegazione per poter parlare di questo padre. La morte viene trattata in
una maniera diversa dal generale. Le coplas sono state scritte a dopo che è morto nel 1476 e lui
compone l’opera. Però la morta rappresenta la chiusura del testo, quella tematica tanto centrale,
quella rappresentazione così particolare della morte la troviamo verso la fine, che chiude il testo.
C’è una preghiera finale come sempre, c’è questa orazione finale.

Manrique vuole arrivare a dare questo messaggio della vita terrena, fama ed eterna a tutti, quindi
utilizza linguaggio abbastanza semplice. Il castillano si è evoluto, molto più vicino al nostro.
Nonostante sia un’elegia, che rappresentava un componimento alto, non per chiunque, lui vuole
utilizzare uno stile meno elevato, rispetto al tono originale dell’elegia, perché vuole utilizzare un
discorso più chiaro e diretto che arrivi direttamente ad essere compreso che si chiama sermo
humilis, parola umile semplice, discreta, immediata che era quella che verrà utilizzata quando ci
sarà il passaggio dal latino al volgare per le omelie, perché sono rivolte a tutto il popolo, per
spiegare le letture, per dare insegnamenti, quindi devono essere fatto in un modo che il popolo
comprende.

Quindi Manrique vuole ricalcare questo sermo humilis proprio per farsi capire da tutti, non fa le
cose come i suoi colleghi che volevano rendere il castillano all’altezza dell’italiano e francese, ma
vuole che tutti arrivino a capirlo, utilizza anche nella forma delle costruzioni popolari, non
necessariamente dei toni aulici e un discordo ricercato. Anche le costruzione sono di origine
popolare. Troviamo all’interno del testo una profonda coerenza, c’è tutto che si ricollega.

Come nascono i “Romances”?


Alla fine del XIV secolo, cominciarono a prendere molta importanza questi componimenti; quindi, non
solo i componimenti epici dell’epoca che ritroviamo alla fine del Quattrocento, ma sono componimenti
nuovi, originali, ma composti da giullari (che non erano scomparsi, continuavano ad esistere anche
durante questo periodo) e facevano parte della Poesia Popolare, quella del popolo, mediante, ancora
una volta, la trasmissione orale.

I Romances sarebbero, quindi, derivati quindi direttamente dalla Poesia Epica sia nel sistema metrico, dal
numero di sillabe e le rime, sia nel linguaggio e, in molti casi, anche nelle tematiche trattate. È come se
fosse un’evoluzione a distanza di tre secoli di quel che era la Poesia Medievale delle origini. Bisogna
anche dire che non si parla solo dei temi trattati dalla poesia epica, ma si amplia il panorama delle
tematiche.

Si distinguono due “Romanceros”, due raccolte di romances:

- “Romancero Viejo”
- “Romancero Nuevo”
Il Romancero “Viejo” è quello che contiene tutti i romances composti prima della metà
del Cinquecento (tutti quelli composti prima del 1550 sono confluiti nel “Romancero Viejo”)

Quelli composti dopo (cioè dopo il 1550, quindi nell’epoca tardo-rinascimentale, nel barocco etc..),
sono confluiti nel “Romancero Nuevo”.

In realtà, la tradizione del Romance è una tradizione Europea perché, proprio per la sua natura
orale, aveva delle caratteristiche che la potevano collegare alla musica, a quella che in questo periodo, in
tutta Europa, viene chiamata “Ballata” (presenti in più posti d’Europa, in Italia abbiamo le “Ballate”,
“Ballads” in Inglese, “Chanson” in Francese) , quindi “Romance” è l’espressione di questi componimenti in
Spagna, dove naturalmente arriva dalla tradizione spagnola.

Tra Romancero e oralità (una delle caratteristiche della letteratura che abbiamo visto all’inizio), c’è un
vincolo indissolubile, non abbiamo tante trascrizioni dei “Romances”, ci sono arrivati medianti altre strade,
per cui, quello che le caratterizza è l’essere trasmessi oralmente e dobbiamo fare lo stesso identico
discorso dei “Cantares de Gesta” (o generalmente per le opere di giullari), cioè dell’anonimato, del
collettivismo e dell’oralità, tutte caratteristiche che non permettevano la struttura fissa di un “Romance”,
perché a seconda di come veniva ricordato, affidandosi alla memoria di coloro che li cantavano
e proclamavano, poteva cambiare: il modo in cui viene messo in scena da una persona poteva essere
diverso da come lo faceva un’altra (una parola cambiata, una rima diversa o anche un tono
completamente diverso).
[Una ragazza chiede “Prof, ma quindi i Romances corrispondono alle ballate inglesi?”]
“Sì, più o meno, però sono tipici spagnoli, quindi coprono tematiche riguardanti la Spagna, però
come genere è quello che comincia ad essere utilizzato in tutta Europa”

Anonimato (“anonímos”), perché la maggior parte di questi Romances sono anonimi, non hanno
un autore. Sicuramente, in questo periodo, a differenza di com’era all’origine, abbiamo degli autori singoli
(perché come già detto, nell’umanesimo si comincia a dare importanza all’opera) quindi, all’inizio di ogni
Romance, a differenza dei giullares dell’epoca, c’è un autore individuale, però poi quel che è arrivato a noi
(i Romances trascritti) erano frutto del collettivismo essendo un passaggio da bocca-in-bocca dall’autore
originale fino poi alla trascrizione.

Cosa narrano i Romances e quali sono le loro tematiche?


Questi poemi potremmo dire che parlano generalmente di tutto poiché trattano di “avventure
quotidiane”, parlano di cose che possono succedere ogni giorno.

In realtà, coloro che hanno studiato i Romances (Pidal, per esempio, che portò avanti l’idea che i
“Romances” derivassero direttamente dai Poemi Epici) dividono le diverse tematiche in più
categorie:

1. Romances Storici
I testi raggruppati sotto questa dicitura raccontano avvenimenti del passato o che sono avvenimenti
collegati alle epopee nazionali che riguardano la Spagna

Pertanto, i Romances più antichi si ispirano a quel che conosciamo (cioè le avventure degli “Infantes de
Lara”, le avventure del “Cid”, le avventure di Fernán González o avventure di Re, come Fernando I), quindi
ci sono riferimenti ad avvenimenti storici del passato spagnolo.

All’interno dei Romances Storici c’è una subcategoria chiamata “Fronteritos” Romances sullla
frontiera (fronteras) dei luoghi riconquistati dai cristiani e quelli ancora in mano ai Mori; quindi, i
Fronteritos sono i Romances che narrano della convivenza, dei rapporti tra Cristiani e Mori.
Molto spesso, come in questo caso, si va a parlare del rispetto che si va a creare fra i due popoli, siamo
ormai nel periodo in cui i Mori stanno per essere cacciati del tutto dalla Spagna e, a questo punto, si sono
completamente unite le due culture, esistevano anche matrimoni tra Mori e Cristiani, quindi naturalmente
c’era un rispetto in un periodo in cui la sconfitta degli arabi era imminente e la maggior parte, quindi questi
Romances raccontavano di una vera e propria convivenza pacifica tra i due popoli, facendo sempre
riferimento ad avvenimenti storici, quindi raccontavano questi scontri/incontri tra cristiani e mori.

3. Romances Cavallereschi
I Romances Cavallereschi erano romances che si ispiravano ai temi cavallereschi medievali e che vedevano
storie ambientate alla corte di Carlo Magno (quindi ispirate al Ciclo Carolingio o alla Corte di Re Artù,
quindi ai “Cavalieri della Tavola Rotonda” e altri), Romances ispirati a cavalieri del passato che non
facevano parte della storia prettamente spagnola come i Romances Storici.

3. Romances Ageografici
Romances che parlano delle vite dei santi o dei loro miracoli o anche degli episodi della vita di Gesù
ispirandosi ai Vangeli Apocrifi (quelli che non rientrano nei quattro vangeli della Bibbia)

4. Romances Novelescos (tipo di romance più comune)


I Romances Novelescos (da Novela) sono romances con una validità più universale; quindi, che non si
riferiscono a personaggi storici (come Cristiani e Mori) ma che parlano di avventure di anche personaggi
non conosciuti di cui si racconta la storia che vede un finale felice e un finale triste. Raccontano storie che
non hanno necessariamente un fine didattico, alcune vogliono insegnare, quindi ci sono dei modelli di
comportamento, come superare una difficile situazione grazie all’ingegno ed all’esempio di questo
personaggio, ci sono altre, storie d’adulterio, di incesti, racconti di nascite di figli fuori dal matrimonio, di
tradimenti, che quindi non sono necessariamente collegabili a quelle storie didattiche che abbiamo visto
fino a questo momento, quindi hanno una valenza più universale, sono anche più divertenti.

Abbiamo detto che non abbiamo la trascrizione, in realtà tutti questi romances che sono stati poi raccolti
nel Romancero viejo e nel Romancero nuevo sono giunti fino a noi grazie a delle fonti successive, cioè in
alcuni testi successivi vengono riportati i testi di questi romances che erano stati tramandati, fino a
questo momento, oralmente.

Perché sono giunti fino a noi? Perché sono quelli sopravvissuti alla tradizione, quelli che sono piaciuti di
più e quelli che erano più cantati, un po’ come le canzoni degli anni 20 per dire, che sono giunte fino a noi
perché sono quelle che hanno avuto più successo. Quelli che ebbero più successo, che piacquero di più,
che avevano più diciamo colpito la fantasia del pubblico sono arrivati fino a noi e si sono fatte appunto
queste raccolte, quei romanzi medievali che noi conosciamo li conosciamo attraverso delle trascrizioni di
diversi secoli successivi, non abbiamo dei manoscritti con dei romances contemporanei alla tradizione orale
del 400 del 500, e quelli che noi abbiamo trascritti nel XV secolo sono stati trascritti per caso, cioè
la ragione per cui noi abbiamo due trascrizioni dei manoscritti è completamente accidentale.

I due testi più antichi che sono stati conservati sono datati XV secolo e sono due manoscritti dovuti a due
personaggi che non sono né giullari, né scrittori, né compositori sono due personaggi appartenenti al
mondo giuridico: il primo è di uno studente che si chiama Jaume d’Olesa de Mallorca, questo studente a
Bologna nel 1421 studiava legge, giurisprudenza diremmo oggi, nel suo quaderno di appunti trascrive un
romance che aveva imparato in Spagna intitolato “Romace de gentil dona, gentil dona” che si ritrova
appunto nel quaderno di appunti di questo studente, quindi è diventato famoso proprio perché trascrive
uno dei primi romance con anche una bella grafia, il romance appartiene a quelli delle novelas perché
racconta di una donna che cerca di sedurre un pastore.

Il secondo testo si ritrova in un documento notarile, quindi il documento di un notaio, del 1429 è stato
trovato a Saragoza in un archivio, in questo documento viene raccontata l’uccisione di Don Alonso di
Arguello, che all’epoca era l’arcivescovo di Saragoza, per volere del Alfonso V, in questo documento
notarile che parla dell’uccisione di questo arcivescovo, si trova una trascrizione di un altro romance questa
volta però senza sapere chi ha trascritto, probabilmente lo stesso notaio.

Quindi i primi due testi, i primi due romances che noi conosciamo o meglio gli unici due di cui abbiamo
manoscritto ufficiale e che non conosciamo attraverso altri testi sono questi due, trascritti in un ambito di
legge, del diritto, in contesti dove la scrittura veniva utilizzata, perché mettiamo il caso sia stato lo stesso
notaio a trascrivere questo manoscritto e così anche lo studente di diritto, erano persone abituate a
scrivere, una cosa che allora non era così diffusa, e che probabilmente passavano tutto il loro tempo a
scrivere, quindi erano persone portate a usare la scrittura. E così in modo completamente casuale ci sono
arrivati questi testi.

Quali sono le caratteristiche di questi romances?


La prima caratteristica, che è quella più importante, è che hanno un principio e una fine “ex abrupto”
ovvero all’improvviso (come in medias res per il cantar del mio Cid, però quello è l’inizio, non hanno
introduzione che presenta il personaggio. I cantares iniziano senza nessuna spiegazione e senza una vera e
propria fine) sono dei testi che cominciano senza nessuna allusione al contesto della narrazione, che
terminano senza una vera e propria fine quasi nel mezzo del racconto, cioè non si sa molto spesso come
termina questo racconto, cosa che Pidal chiama “Saber callar a tiempo” , però se avessero avuto dei finali
differenti non avrebbero avuto lo stesso successo, perché sono brevi componimenti non sono dei
componimenti lunghissimi.

Nei componimenti del romanceros viejo, la rappresentazione dell’azione è molto schematica e


vuole lasciare nell’ascoltatore e lettore un mistero, un enigma, cioè si cerca proprio di lasciare il racconto
così proprio per interessare ancora di più colui che ascolta, viene fatto molto spesso uso della ripetizione
come si facevano i cantares de gesta, si fa uso di un linguaggio che riprende molto spesso il linguaggio dei
cantares de gestas, quindi c’è una derivazione direttissima da quella che era la poesia antica, e molto
spesso per rendere la rima nei versi pari, si sacrifica la correzione grammaticale, soprattutto i tempi verbali,
si usano dei tempi sbagliati, per esempio se la rima e nía si utilizza l’imperfetto come per esempio quería,
invece di quiso al passato correttamente ( per seguire la rima nei versi pari), c’è molta più volontà di
precisione nei romances rispetto ai cantares de gesta che comunque nascono in un periodo in cui non si
dava tanta importanza al fatto che fossero delle opere letterarie, invece ora si perché si sa che nel ‘400 c’è
molta più importanza.

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