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Coro dell’Atto III

Dall’Adelchi di Alessandro Manzoni, atto III


● L’Adelchi è una tragedia di Alessandro Manzoni, pubblicata nel
1822.
● Racconta le vicende di Adelchi, figlio dell’ultimo re dei
Longobardi, Desiderio, nel periodo che va dal 772 al 773, anno del
L’opera crollo del regno longobardo a causa di Carlo Magno.
● Come ‘I promessi sposi’, nel mettere in scena le vicende di secoli
lontani, Adelchi ha in realtà un messaggio riferito agli italiani
contemporanei a Manzoni.
● Il coro nella tragedia, viene inteso da Manzoni come lo spazio in
cui l’autore può esprimere il proprio giudizio sugli eventi.
● Dunque, i versi affidati al Coro nell’Atto III dell’Adelchi esprimono
le idee di Manzoni riguardo la storia dell’Italia del passato e del
presente.
● In questa parte dell’opera Manzoni, ancora risentito dalla
Il Coro delusione dei moti del 1821, crea un coro pessimistico, in cui
invita nuovamente il popolo Lombardo, camuffandolo da popolo
Latino, a combattere solo, senza aiuto.
● Il coro presenta una struttura molto forte: le singole parti sono
molto unite tra loro e ciascuna offre una descrizione dettagliata di
ciascun popolo.
Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti, S’aduna voglioso, si sperde tremante,
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti, Per torti sentieri, con passo vagante,
Dai solchi bagnati di servo sudor, Era tema e desire, s’avanza e ristà;
Un volgo disperso repente si desta; E adocchia e rimira scorata e confusa
Intende l’orecchio, solleva la testa De’ crudi signori la turba diffusa,
Percosso da novo crescente romor. Che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti, Irsuti per tema le fulve criniere,

Analisi del Qual raggio di sole da nuvoli folti, Le note latebre del covo cercar;
Traluce de’ padri la fiera virtù: E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
testo (strofe 1-6) Ne’ guardi, ne’ volti confuso ed
incerto
I figli pensosi pensose guatar.
(campo semantico degli animali)
Si mesce e discorda lo spregio
sofferto E sopra i fuggenti, con avido brando,
Col misero orgoglio d’un tempo che Quai cani disciolti, correndo, frugando,
fu. Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
[…] E sogna la fine del duro servir.
Figure retoriche: parallelismo; chiasmo; metonimia; ossimoro; poliptoto;
similitudine; anafora; polisindeto; latinismo; asindeto; allitterazioni.
Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo, Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Son giunti da lunge, per aspri sentier: Per greppi senz’orma le corse affannose,
Sospeser le gioie dei prandi festosi, Il rigido impero, le fami durar:
Assursero in fretta dai blandi riposi, Si vider le lance calate sui petti,
Chiamati repente da squillo guerrier. A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le freccie fischiando volar.
Lasciar nelle sale del tetto natio
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Le donne accorate, tornanti all’addio,
Analisi del A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de’ pesti cimieri,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
testo (strofe 6-12) Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
A torme, di terra passarono in terra, Il forte si mesce col vinto nemico,
Cantando giulive canzoni di guerra, Col novo signore rimane l’antico;
Ma i dolci castelli pensando nel cor: L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Per valli petrose, per balzi dirotti, Dividono i servi, dividon gli armenti;
Vegliaron nell’armi le gelide notti, Si posano insieme sui campi cruenti
Membrando i fidati colloqui d’amor. D’un volgo disperso che nome non ha.

Figure retoriche: parallelismo; chiasmo; sineddoche; metonimia; ossimoro;


poliptoto; apostrofe; figura etimologica; iperbato; similitudine; anafora;
polisindeto; latinismo; asindeto; allitterazioni.
● Il coro affronta un motivo storico molto caro a Manzoni, che purtroppo nello sviluppo
drammatico della tragedia rimane solo sullo sfondo: la sorte del popolo latino sotto il
dominio longobardo.
● Le condizioni di vita di quella massa di uomini comuni che non determinano il corso
stori co e che la storia ufficiale ignora, trovano spazio nella poesia manzoniana.
● Le convenzioni del genere tragico impongono allo scrittore di trattare solo le vicende
dimenticate dei grandi della storia, ma nel coro egli si riserva un «cantuccio» anche per
trattare delle masse anonime e dimenticate.
● Manzoni prende spunto dalle opere dello storico liberale francese Augustin Thierry,
Analisi delle che aveva indagato i rapporti che nel Medioevo esistevano tra popoli germanici
invasori e popoli latini sottomessi e aveva indicato l'origine dei conflitti di classe nei
tematiche conflitti di razza tra conquistatori e conquistati, esprimendo la propria simpatia per gli
oppressi.
● Al di là di questa influenza storiografica, la concezione, nominata in precedenza, è
mossa da motivazioni culturali e ideologiche più profonde: in primo luogo il
cattolicesimo, che spinge Manzoni a concentrare il suo interesse sulla sorte degli
"umili’’.
● Altro fattore determinante nella scelta di raccontare le vicende della gente comune è
da ritrovarsi nell’origine borghese del Manzoni; infatti la borghesia moderna europea,
rivendicava il pieno diritto della gente comune a suscitare l'interesse della letteratura e
rifiutava quella concezione eroica, propria della società aristocratica e della visione
classicistica, che giudicava degne di interesse solo le gesta dei grandi personaggi.
Di Rosa Indresano IV B

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