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LETTERATURA SPAGNOLA I
Prof.ssa Notaro Giuseppina

Quando parliamo di letteratura spagnola medievale noi parliamo della letteratura in lingua
castigliana. Il castigliano non è l’unica lingua che si parla in Spagna. Le altre sono: basco
(euskera), catalano e galiziano (gallego). La lingua ufficiale quando parliamo di spagnolo è il
castigliano (si parla nella zona centrale, Castilla La Mancha). Si parla anche nelle altre zone della
Spagna (se andiamo in Cataluña e parliamo castigliano ci guardano male ma ci capiscono). Il
gallego è parlato in Galizia (quasi una continuazione del Portogallo, infatti ha molto del
Portoghese) e c’è anche un dialetto di cui parleremo: il gallego portoghese che ha influenzato la
poesia. Poi c’è il catalano in Cataluña. Il basco invece è parlato al Nord, nel País Vasco, che sta
sul mare, è una zona di pescatori, dove c’è la famosa città di Bilbao. Naturalmente questi dialetti
prendono il nome dalle zone in cui vengono parlate ma anche nei dintorni. Poi al sud troviamo
l’Andalusia: l’andaluso non è un’altra lingua ma è un tipo di castigliano parlato all’andalusa (si
mangiano tutte le s) e infine c’è l’Estremadura a ovest che confina con il Portogallo.
Quindi:
- A nord c’è il basco (País Vasco) nord-ovest il gallego (Galizia)
- Al centro il castigliano (Castilla y León, Castilla la Mancha)
- A est il catalano (la Cataluña e la comunità valenciana)
- A sud troviamo l’Andalusia
- A ovest l’Estremadura che confina con il Portogallo.

Quindi quando parliamo di letteratura spagnola parliamo di letteratura in lingua castigliana: la


letteratura che si è sviluppata a partire dall’evoluzione del latino nel castigliano. Lo spagnolo è una
lingua romanza, neolatina (come il francese, l’italiano, il romeno, il portoghese). Quando parliamo
di volgare parliamo delle prime attestazioni dello spagnolo nella sua evoluzione dal latino. Tutto
quello che era ufficiale nel Medioevo era in latino, anche le funzioni religiose, i documenti, quello
che c’era di giuridico, di ufficiale a corte. Il popolo quindi capiva ben poco, ripetevano a memoria
senza capire.
La letteratura di cui andremo a parlare è la letteratura medievale. Il Medioevo è un periodo che va
dal IX secolo alla fine del ‘400. In Spagna questa cronologia è data ancor di più dal fatto che la
Spagna vive alla fine del ‘400 diversi avvenimenti importanti. La letteratura medievale prende il via
dal IX secolo quando abbiamo recepito dei documenti scritti in castigliano, e termina nel 1492 per
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varie ragioni, tra cui la scoperta dell’America. Sono stati i Re Cattolici a dare il contributo
economico a Cristoforo Colombo con la sua spedizione. I Re Cattolici non solo erano stati gli
sponsor di questa spedizione, ma avevano fatto sì che si unissero i regni di Castiglia e di Aragona,
i due regni importanti della Spagna all’epoca, creando così, con il loro matrimonio nel 1469, un
regno unito e forte. Si chiamano re cattolici perché istituiscono la religione cattolica come religione
di stato.
*domanda* “c’è stata anche l’Inquisizione poi?”
*risposta prof.* “La Santa Inquisizione è una diretta conseguenza dell’impronta cattolica che si
voleva dare, tutto quello che andava contro la religione cattolica doveva passare sotto
quest’organo censorio (perché se non andava bene si veniva imprigionati)*
La stessa spedizione alla scoperta delle Indie aveva uno scopo religioso: si voleva andare a
scoprire queste Indie per convertire i possibili abitanti di queste terre al cristianesimo. Così come
poi è stato perché c’è stata la colonizzazione in tutto e per tutto (dal punto di vista sociale,
culturale, economico).
Grazie all’unione dei Re Cattolici, la Spagna diventa forte, diventa una colonia. L’anno in cui
smette di essere una colonia è il 1898, quando perde Cuba, Portorico, e le Filippine a favore degli
Stati Uniti. La Spagna è stata, dunque, una colonia per quattro secoli.
Nel 1492 ci sono tre (3) eventi importanti che mettono fine all’età del Medioevo
1) La scoperta dell’America da parte di C.C. finanziata dai re cattolici

2) La cacciata definitiva del popolo oppressore che si trovava in Spagna da otto secoli
nel 711 d.c. gli arabi invadono la Spagna, invasione che termina nel 1492 quando viene
riconquistata l’ultima città rimasta in mano agli arabi: Granada (che si trova in Andalusia).
Andalusia proviene da al-Andalus, nome dato dagli arabi. Se andate a Siviglia, Granada, troverete
dei bellissimi palazzi costruiti dagli arabi.
L’invasione degli arabi iniziata nel 711 d.c. viene subito combattuta dagli spagnoli che si alleano
per cominciare la Reconquista. Non ci riescono subito perché appunto l’invasione termina nel
1492. Però per tutto questo periodo c’è stata un’opposizione degli spagnoli nei confronti degli arabi
e anche una convivenza degli arabi con gli spagnoli. Immaginate quanto abbiano potuto lasciare
(di influenza) gli arabi agli spagnoli: vedremo che molti termini del vocabolario spagnolo derivano
dall’arabo. Nel 1492 quindi termina anche la dominazione araba e quindi la Spagna è finalmente
unita, dominata da leggi dal potere spagnolo.
3) Pubblicazione della Primera Gramática de la lengua castellana di Antonio de Nebrija
Altro avvenimento del 1492 è la pubblicazione di Antonio de Nebrija della Primera Gramática de la
Lengua Castellana che è la prima grammatica dello spagnolo. Quindi immaginate quanto sia
importante il fatto che una lingua abbia delle regole fisse per tutti. Significa che fino a quel
momento c’era stata un’evoluzione della lingua dal latino e quindi c’erano delle regole non scritte,
per cui si potevano fare degli errori e la lingua entrava nell’uso ma non nella regola grammaticale.
Il fatto che ci sia la pubblicazione della prima grammatica spagnola significa che c’è un altro
tassello che rende la Spagna forte: l’unità linguistica.

Questi tre avvenimenti, quindi, mettono fine al Medioevo. Il Medioevo è stato studiato
successivamente come un secolo buio, di poco interesse, tant’è che il periodo successivo si
chiama Rinascimento (la rinascita dopo il buio). Il Medioevo in realtà è pregno di cose interessanti
dal punto di vista letterario, sociale, culturale e storico.
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le teorie
La letteratura spagnola ha origine in un periodo che non è ben definito. Quella medievale termina
nel 1492 ma non sappiamo quando inizia, non abbiamo un documento, una prima attestazione,
qualcosa che ci dia un anno preciso. Ma ci sono diverse teorie: spesso avremo avanti per teorie,
perché non ci sono documenti ufficiali. Nel Medioevo non c’erano i libri, c’erano i fogli di
pergamena utilizzati per le trascrizioni.
La teoria più accertata sull’origine della letteratura spagnola è quella di Marcelino Menéndez y
Pelayo, che nasce nella seconda metà dell’Ottocento e muore all’inizio del Novecento. Lui scrive
diversi trattati sulla letteratura spagnola in generale e quindi anche sulle origini della letteratura
spagnola. [ Non ci interessa il nome del trattato ] la cosa fondamentale è che lui è l’artefice di
quella che è chiamata teoria tradizionalista.
- La parola “tradizionalista” deriva dal verbo “Trave” (lat.) che significa trasmettere,
consegnare. Quindi la teoria si chiama tradizionalista perché trasmette qualcosa di
passato, deriva da qualcosa che era prima. Anche noi lo diciamo, la tradizione è qualcosa
che passa da generazione in generazione, che diventa usuale, che viene consegnato e
trasmesso.
Si chiama teoria tradizionalista perché Pelayo sostiene che la letteratura spagnola, o comunque le
origini della letteratura spagnola, si possano trovare in un sostrato (o substrato) culturale
precedente, una cultura che lascia qualcosa. Ognuno di noi ha un substrato culturale, tutto ciò che
ci ha trasmesso la famiglia, i genitori, i nonni… già da quando nasciamo noi abbiamo un substrato.
Pelayo voleva dire che c’è tutto un passato dietro alla nascita della letteratura spagnola perché
derivano da un substrato/sostrato culturale di una tradizione più antica. La Spagna, prima dei
ritrovamenti delle opere spagnole, aveva avuto delle invasioni: l’invasione visigota e romana (la
Spagna faceva parte del Sacro Romano Impero). Queste popolazioni avevano instaurato in
Spagna una determinata cultura con determinate opere pubblicate e queste hanno dato vita a
quella che sarà la letteratura delle origini. Le due culture che danno origine, secondo Pelayo, alla
letteratura spagnola sono quindi la cultura ispano-romana e ispano-visigota.
A questa teoria se ne affiancano altre che non solo parlano della modalità di nascita di questa
letteratura delle origini, ma parlano delle caratteristiche di questa letteratura delle origini, cioè che
cosa c’è in comune nelle prime opere che sono giunte fino a noi e che abbiamo scoperto? A fare
ciò è un altro studioso di cui sentiremo spesso parlare che ha studiato la letteratura spagnola, ha
pubblicato tanti testi sulla letteratura spagnola medievale e quindi molto spesso le teorie di cui
parleremo sono sue. Colui di cui stiamo parlando è Ramón Menéndez Pidal. È uno studioso che
nasce a metà dell’800 e più o meno vive nello stesso periodo di Pelayo (Pidal vive una vita più
lunga e per questo motivo scrive molto di più). Scrive tanti trattati, tante opere critiche sulle
caratteristiche della letteratura delle origini e individua dei caratteri salienti della prima letteratura
nata in Spagna, caratteri che naturalmente ritroveremo nelle prime opere che andremo a studiare
e che piano piano andranno ad evolversi perché la letteratura cambia. Queste caratteristiche
riguardano sia la struttura esterna sia i contenuti interni di queste opere, sia ciò che riguarda la
composizione, la struttura […] sia ciò di cui si parla all’interno delle opere. Queste caratteristiche,
Pidal le riscontra in diverse opere, e quindi vede che sono delle cose che sono in comune tra le
opere della letteratura delle origini.
Le caratteristiche a livello strutturale sono:
1) Collettivismo & Anonimato
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Si parla di qualcosa di collettivo, di comune. Al collettivismo è strettamente collegata la


caratteristica dell’anonimato. Il collettivismo e l’anonimato sono caratteristiche strettamente
collegate perché come abbiamo detto noi andremo avanti di teorie perché quasi tutte le opere,
almeno fino al 1200, sono anonime. O meglio, a noi sono giunte anonime, perché un autore
l’avevano ma o non si firmava, o non trascriveva le opere, oppure erano un insieme di autori [ ed è
qui che ci rifacciamo al collettivismo ]. Molto spesso coloro che trascrivevano le opere non erano
gli autori, ma erano degli amanuensi (coloro che trascrivevano a mano) e quindi dato che non le
trascrivevano gli autori stessi, non venivano firmate. Le opere della prima parte del periodo
medievale, non solo non avevano l’autore, ma andavano anche perse perché non c’era
assolutamente la cultura della conservazione, del testo scritto, della diffusione del testo… questo
anche perché la stampa, che viene scoperta in Cina, arriva solo nel 400 in Europa (grazie a
Gutenberg). Solo nel 1400 inizieranno ad esserci dei testi a stampa, e infatti el libro del buen amor
di Juan Ruíz avrà la stampa solo nel 1700 (ed è un testo del 1300). Inoltre, la maggior parte della
popolazione era analfabeta, il popolo non poteva/sapeva leggere ed anche per questo motivo che
non c’era la diffusione dei testi scritti. Perché collettivismo quindi? Le opere venivano create dai
giullari che però non erano gli autori dell’opera (quelli erano i trovatori che erano più acculturati) i
giullari raccontavano le opere e quando non si ricordavano delle parti le
cambiavano/aggiungevano. L’opera, in questo modo, evolveva -> questo è il collettivismo ->
un’opera, nella sua definizione finale che era quella dell’amanuense che la trascriveva, arrivava
trasmessa da più voci e quindi cambiava. Per questo motivo si tratta di un’opera collettiva. Il
collettivismo ci sarà anche successivamente, ad esempio Shakespeare scriveva le opere con
alcuni collaboratori, e anche nel siglo de oro spagnolo ci sono degli autori che scrivono a più mani.
Era un lavoro consapevole. Molto spesso, i nomi che si trovavano nel testo scritto (quindi trascritto)
erano i nomi dei copisti, coloro che trascrivevano l’opera, e non coloro che l’avevano creata. Il
collettivismo e l’anonimato sono due caratteristiche strettamente collegate e per questo motivo è
come se ne contassimo una (sono unite).
2) Oralità
Le opere erano orali. I giullari raccontavano o cantavano l’opera (non la leggevano perché non
c’era il testo scritto). La rima che caratterizza le opere delle origini è una rima assonante che si
distingue dalla rima consonante. La rima assonante è la rima che vede la corrispondenza delle
sole vocali a partire dall’ultima vocale tonica del verso. Esempi: “pane” può fare rima con “mare”
perché c’è la corrispondenza delle vocali (la a è tonica); anche “rigo” e “mitico” rimano (la i è
tonica). La rima consonante è quella rima in cui troviamo la corrispondenza di vocali e consonanti,
rimano sia le vocali che consonanti. È la rima che noi chiamiamo baciata. Esempi: “mare” con
“fare”, “male” con “pale”. È sicuramente più facile una rima assonante rispetto ad una rima
consonante perché dobbiamo individuare solo il suono vocalico, nelle rime consonantiche
dobbiamo trovare sia le consonanti che le vocali. La rima più utilizzata nelle origini della letteratura
spagnola è infatti la rima assonante: i giullari quando non ricordavano delle parti delle opere le
inventavano, ed era semplice inventare con un testo scritto in rima assonante rispetto ad uno
scritto in rima consonante. La rima consonante sarà utilizzata dal 200 in poi. La rima assonante è
collegata all’oralità: veniva utilizzata perché i racconti dovevano essere orali e le rime dovevano
essere più immediate. Il risultato di tutti questi cambiamenti, di tutte queste trasposizioni, è
appunto l’opera che giunge a noi e che noi conosciamo (che probabilmente era completamente
diversa da quella che era stata creata). Lo stesso Cantar de mio Cid ci è arrivato in un manoscritto
che probabilmente non è l’opera che era stata creata all’inizio e non lo potremmo mai sapere.
Le caratteristiche a livello tematico sono:
1) Realismo storico
non si parla della corrente letteraria del realismo del 1800 ma fa riferimento al contenuto delle
opere. Le opere rispecchiavano dei contenuti reali/la realtà. Chi ha studiato o chi studia francese,
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sa o saprà, le chansons de geste, ci sono molti elementi fantastici all'interno di queste opere che
non rispecchiano la realtà, per esempio, le spade magiche, l’intervento di un drago o di una
magia…ma questo non lo troviamo nella letteratura spagnola. Non ci sono elementi che non
coincidono con la realtà, nella letteratura delle origini o in quelle della fine del ‘400. Perché questo?
Perché gli autori, che creavano queste opere, volevano, quasi sempre, insegnare qualcosa,
avevano uno scopo didattico. Se raccontavano delle cose che non corrispondevano con la realtà,
con la vita di tutti i giorni, non c’era nessun insegnamento. Cercavano di essere, quanto più
attinenti alla realtà della storia della Spagna: personaggi famosi, a coloro che potevano
rappresentare degli esempi, a coloro che erano stati conquistatori, eroi… Quindi tutti i personaggi
che potevano rappresentare un esempio reale, di tutti i giorni e non quello fantastico, a cui non si
può arrivare. Questo è quello che caratterizza il realismo storico. Lo stesso Cantar de mio cid ruota
attorno ad una figura di un personaggio storico realmente esistito, che non fa mai nulla di più di
quello che farebbe un uomo (piange anche).
2) Sobrietà
la letteratura spagnola è senza fronzoli (sempre quella delle origini, medievale), perché si basa
sulla spontaneità, sulla semplicità, sull’improvvisazione. I contenuti che trattavano erano pensati
per il popolo e quindi non potevano possedere chi sa quali fronzoli, dovevano essere molto
semplici e immediate. Oltretutto erano orali e se qualcuno si dimenticava qualche pezzo non
poteva tornare indietro a leggere, quindi dovevano essere delle opere immediate, che dovevano
essere capite immediatamente, che dovevano essere afferrate al volo, e quindi comprese.
Essendo opere a scopo didattico, dovevano essere opere comprese alla prima battuta, altrimenti
non si capiva l’insegnamento che si voleva dare, non arrivavano allo scopo che si erano prefissati.
Gli unici “fronzoli” che può possedere questa letteratura sono quelli collegati alla tradizione
popolare. Molto spesso, all’interno di queste opere, sono riportati: proverbi, modi di dire, metafore,
episodi conosciuti dal popolo che venivano tramandati. Questo perché i proverbi, i modi di dire,
ecc. erano conosciuti dal popolo e quindi subito recepiti.
3) L’austerità morale
(austerità = serio, autoritario) (morale= moralità o insegnamento) questo ci fa capire che le opere
delle origini hanno una caratteristica di serietà, di voglia di arrivare all’insegnamento morale,
didattico, attraverso qualcosa di austero, di preciso. Esempio sulla tematica dell’amore: non
troveremo mai passioni sconvolgenti, tradimenti, sesso (nemmeno nelle altre opere medievali in
realtà però comunque Dante ad esempio faceva delle allusioni, così come Petrarca); l’amore
descritto nelle opere della letteratura medievale spagnola è casto, puro, virtuoso. Poi ci sono degli
autori che si allontanano da questa austerità morale, tipo Juan Ruíz con el libro del buen amor. In
Italia abbiamo il Decameron di Boccaccio. Quindi tutto quello che veniva dal flusso esterno, veniva
depurato, c’era questa voglia di trasmettere purezza, virtuosità, collegato sempre all’insegnamento
didattico.
Queste caratteristiche sono individuate da Pidal nella letteratura delle origini, che ritroviamo anche
sparse in tutta la letteratura medievale e in continua evoluzione. Vedremo nelle opere che
leggeremo, che queste caratteristiche, man mano che ci allontaniamo dalle origini, si perdono, la
prima che si perderà sarà l’anonimato, nel ‘200 avremo un nome dell’autore. Pidal si è inserito
nella teoria tradizionalista di Pelayo. Secondo Pidal, la letteratura spagnola delle origini nasce
secondo la teoria tradizionalista e ha le caratteristiche da lui individuate.
Ci sono altre teorie oltre quella tradizionalista; altri critici che parlano delle origini della letteratura
spagnola: uno tra questi è Dámaso Alonso che è un poeta delle generazione del ’27 (assieme a
Lorca) che critica quello che diceva Pidal sul realismo storico. Perché anche lui, Dámaso, sia da
poeta che critico letterario, ha analizzato la letteratura medievale e ha detto che in realtà la
letteratura delle origini non è caratterizzata solo dal realismo, ma anche dall’idealismo, cioè ci
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sono anche delle caratteristiche di idealizzazione di cose raccontate che possono essere attinenti
anche con la fantasia. Non tutto quello raccontato nelle opere delle origini è attinente al realismo
ma ha ragione dai cantares de gesta in poi, perché i cantares de gesta sono attinenti
completamente al realismo perché trattano delle gesta di eroi uomini che non hanno niente di
soprannaturale.
Altro autore e critico è Claudio Sánchez Albornoz che da una parte appoggia la teoria
tradizionalista, perché pensa che ci sia una tradizione da cui viene la letteratura spagnola delle
origini, ma non c’è solo la questione della continuità geografica (cioè il fatto che questi popoli
abbiano occupato la zona della Spagna) ma c’è anche una continuità storica -> la storia vissuta da
questi popoli, che si sono trasportati geograficamente in Spagna, hanno fatto sì che la letteratura
nascesse da fattore geografico e da un fattore storico.
Un’altra teoria è di un altro critico, Américo Castro, che in un’opera del 1948, un suo saggio,
sostiene che non si può parlare di letteratura spagnola prima del periodo in cui gli spagnoli non
prendono coscienza del proprio essere popolo -> cioè nel ‘711, la Spagna ha avuto la dominazione
araba e quando gli spagnoli hanno cominciato a capire che dovevano allearsi tra loro e cacciare gli
arabi, è il momento in cui nasce la letteratura spagnola, perché fino a quel momento era una
letteratura del popolo disconnesso, non unito. Secondo Américo Castro ci deve essere, alla base
della nascita della letteratura di un paese, l’unione di questo paese. La letteratura è l’espressione
orale (e poi scritta) di un popolo, di una lingua del popolo. Quindi Américo Castro dice che nel
momento in cui gli spagnoli hanno preso coscienza di essere spagnoli, e quindi di voler mandar via
gli invasori, si può dire che hanno iniziato a creare quella che dovrebbe essere la letteratura
spagnola. La vera letteratura spagnola (sempre secondo Castro) comincia nel 1492, quando il
popolo era completamente unito. Perché diceva questo? Perché in realtà la Spagna è sempre
stata, per la sua posizione geografica [ rispetto all’Europa è un po’ spostata, c’è un solo pezzettino
di terra che la divide dall’Africa ] e questo ha fatto sì che sia sempre stata al centro di mille culture.
Infatti, soprattutto nel Medioevo e in particolare nella capitale dell’epoca, cioè Toledo,
rappresentava un luogo in cui si intersecavano la cultura cristiana, la cultura ebraica e la cultura
araba, cioè tre culture che hanno convissuto per molto tempo e hanno dato il via a quello che sarà
poi la letteratura spagnola. Gli spagnoli hanno cercato sempre di avere la loro individualità, le loro
peculiarità (anche attingendo dalle altre culture). La letteratura spagnola, secondo Castro, non è
sicuramente quella prima dei cantares de gesta

le prime attestazioni linguistiche e letterarie


Le prime attestazioni letterarie che abbiamo della letteratura spagnola sono dei piccoli
componimenti che si chiamano jarchas. Sottolineiamo il termine “letterario” perché in realtà noi
abbiamo delle piccole attestazioni della lingua spagnola a cui facciamo un breve riferimento ma
sono attestazioni linguistiche e di cui non possiamo dire chissà cosa perché non sappiamo molto:
las glosas emilianenses. Queste “glosas” sono l’attestazione più antica della lingua spagnola,
cioè la prima attestazione del volgare castigliano (che naturalmente noi conosciamo, perché
potrebbero esserci altre attestazioni che ancora non abbiamo scoperto). Las glosas emilianenses
sono le uniche attestazioni precedenti alle jarchas. Che cos’è la glossa? La scrittura in basso a
destra, quella è una glossa. Senza saperlo, lo facciamo anche noi quando studiamo e prendiamo
appunti affianco ai testi, anche sottolineare un romanzo o farne la traduzione accanto, quelle sono
glosse. Ovvero sono degli appunti scritti a margine di un testo, sono appunti che servono a chi li
scrive per ricordare. Queste glosse si chiamano emilanenses perché sono state ritrovate in un
monastero, nel monastero di San Millán de la Cogolla, nella regione de La Rioja, al nord della
Spagna, nel 1911. Sono state trovate queste glosse perché nel monastero di San Millán, c’era una
grande attività culturale (tant’è che Gonzalo de Berceo risiedeva li). C’era un'immensa biblioteca
di testi, soprattutto greci e latini. Queste glosse erano delle traduzioni, dei commenti, degli appunti
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non più in latino ma in volgare castigliano. Il monaco che stava studiando questi testi ha pensato,
mentre li studiava, di prendere degli appunti, ma non li ha più scritti in latino, perché la lingua stava
già evolvendo e quindi li scrive in castigliano volgare. Quindi cosa significa? Che queste glosse
non sono testi letterari, perché non hanno una continuità interna come può averla una poesia o un
testo teatrale, ma hanno un piccolo contenuto che si riferisce al testo, perciò, sono delle
attestazioni linguistiche. Naturalmente poi ci sono tanti cambiamenti avvenuti da quel castigliano
volgare a quello dei cantares de gesta, perché la lingua si evolve, abbiamo ancora la “t” finale
[come “cibdat” ora è “ciudad”]. Las glosas sono le prime attestazioni di lingua castigliana ritrovate
in questo monastero, e tra l’altro una di queste è una preghiera. C’è un articolo scritto da Dámaso
Alonso in cui lui si pregia del fatto che una delle prime attestazioni sia una preghiera e che quindi
gli spagnoli avevano un interesse verso l’aldilà più che verso le cose terrene → ci sono due
corrispettivi, italiano e francese, delle prime attestazioni del volgare. La prima attestazione del
volgare italiano è il Placito Capuano. I placiti erano delle testimonianze che si facevano in
tribunale e infatti il Placito Capuano è una testimonianza che è stata raccolta in aula nel 960 dove
un monaco di un convento di Capua, testimoniava contro un nobile, dopo che quest’ultimo gli
aveva fatto causa incolpandolo di aver occupato delle terre che appartenevano a lui. Il monaco che
conosceva poco il latino (perché era una persona del popolo) dà la sua testimonianza in volgare,
mentre il nobile parla in latino. Questa testimonianza in volgare italiano viene messa a paragone
da Dámaso Alonso con la preghiera in volgare castigliano così come viene messa a paragone la
prima testimonianza in volgare francese Les jujumon de Strasbourg dell’842 cioè “il giuramento
di Strasburgo” che è un giuramento fatto in una battaglia (((quindi ancora peggio del giuramento
giuridico del monaco e del nobile))) ed è il primo documento di lingua volgare francese, dove una
delle due parti giurava in lingua volgare francese.
Quindi:

 prima attestazione linguistica in volgare castigliano → glosas emilianenses


 prima attestazione letteraria → jarchas

Le jarchas (kharja in arabo, jarcha in spagnolo) sono chiamate jarchas mozárabes → il


“mozárabe” è una lingua a metà tra lo spagnolo e l’arabo, perché c’era l'invasione araba in Spagna
ed inevitabilmente c’era quest’influsso arabo sulla lingua. Nel 1948 uno studioso ungherese,
Samuel Sterne, scopre nella biblioteca del Cairo delle piccole poesie, e si rende conto che le
parole arabe che erano scritte, erano in realtà parole spagnole scritte con i caratteri arabi. Tra
l’altro l’arabo non ha le vocali, quindi la trascrizione dalla parola spagnola era senza vocali. Sterne
ha estrapolato queste parole, le ha analizzate e fatto un lavoro di aggiunta di vocali e ha capito che
erano in mozárabe. Il mozárabe è la lingua di comunicazione tra arabi e spagnoli. Coloro che
studiano arabo, studiano anche nella letteratura araba le jarchas, c’è proprio questo influsso
ambivalente. Molto di quello che hanno lasciato gli arabi lo abbiamo ancora in Spagna sottoforma
di monumenti ma anche di parole -> le parole che derivano dall’arabo sono quelle che iniziano con
AL (AL è l’articolo arabo). Le versioni scoperte da Sterne ed altri studiosi ci sono arrivate in due
versioni: la versione araba e la versione ebraica, in quest’ultima appaiono anche termini in ebraico
mentre in quella araba solo termini arabi quindi la cosa che le distingue è la maggior parte dei
termini arabi o ebraici che si trovano all’interno delle jarchas (la maggior parte delle versioni sono
quelle della sezione araba). Queste jarchas si trovavano alla fine di un componimento più lungo, la
moaxaja (scritta anche muwassaha) ed era un testo in versi in arabo e alla fine, o come ritornello,
si trovava la jarcha. Questi componimenti risalgono all’XI e XII secolo, ma ci sono delle attestazioni
che risalgono anche al IX o X secolo; quindi, nel periodo in cui era cominciata la dominazione
araba. La stessa parola jarcha è una parola araba che significa “salida” (uscita) → significa che si
trovava alla fine della moaxaja come chiusura, come uscita agli ultimi due versi, tutto il resto era la
moaxaja, che è un componimento in arabo fatto però in Spagna, un componimento che i poeti
arabi creano in Spagna. Questa jarcha era un ritornello, come una sorta di piccola canzoncina, e
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con il passare del tempo la stessa jarcha poteva essere ritrovata in diverse moaxajas (era ripresa
come ritornello e trasportata in diverse moaxajas).
La moaxaja deriva dalla qasida, cioè un componimento lirico arabo che era formato da versi
abbastanza lunghi, versi in cui è scritto anche il corano. Quindi la moaxaja deriva da un
componimento arabo (la qasida) ma è prettamente un componimento degli arabi in Spagna. La
qasida è un componimento di versi molto più lunghi che in Spagna si trasforma, dove prende le
sembianze di un componimento di versi più brevi, con meno sillabe, perché si adatta proprio alla
struttura della metrica spagnola. Dalla moaxaja poi nascerà un altro componimento che si chiama
zéjel, che è diverso dalla moaxaja perché i ritornelli, che erano in mozárabe, non si trovavano solo
alla fine e quindi erano gli ultimi due versi come la jarcha, ma si trovavano inframezzati nel testo.

AA / BBB / AA / CCC/ AA / DDD / AA rappresentano le rime.


La jarcha riprende la stessa rima con cui inizia la moaxaja (di solito, non sempre). La moaxaja ha
una struttura metrica uniforme, sempre la stessa.
La moaxaja nasce, si pensa, nel territorio andaluso, quindi in Andalusia nel sud della Spagna. La
moaxaja era di solito un panegirico, ovvero un’esaltazione, una lode che si fa a favore di un
personaggio. Nelle corti, all’epoca, si assumevano dei poeti per scrivere delle poesie dedicate ai
personaggi nobili, agli eroi…si facevano delle esaltazioni scritte che diventavano poi dei
componimenti, a favore di questi personaggi. La moaxaja quindi di solito è un panegirico, un
omaggio, una lode nei confronti del committente, cioè di colui che pagava il poeta per avere il
panegirico. L’argomento poi cambia con la jarcha che non è più dedicata a quel personaggio, e
inoltre cambia anche la voce narrante che di solito diventava quella una fanciulla che si lamentava
della mancanza del proprio amato (perché o era andato in guerra, o non lo aveva mai conosciuto e
ne voleva uno…). La fanciulla si lamenta con le amiche, con la madre, con le sorelle, con le donne
della famiglia, per la mancanza del proprio amato che aveva diverse motivazioni.
Nelle jarchas si ritrovano delle parole come habib, che è l’amato (la traduzione giusta è “amico”, un
amico un po’ speciale) e sidi che significa “signore” (e da qui deriva la parola spagnola “Cid”).
Quindi nelle jarchas troviamo delle parole che si riferiscono all’amato, a quest’uomo che veniva
ritenuto anche “il signore” che possedeva il cuore di queste fanciulle.
Fino ad oggi sono state trovate circa un’ottantina di jarchas che hanno tutte la stessa caratteristica,
ovvero la strofa che ha la rima D è una strofa di passaggio tra il panegirico che si fa nella prima
parte e la jarcha nell’ultima parte. Questa strofa di solito presenta la voce narrante che viene
introdotta e cambia anche il registro linguistico a seconda della persona a cui viene data la parola.
Quindi il panegirico utilizza delle parole abbastanza ricercate e poi si passa la parola alla fanciulla
che di solito appartiene al popolo e che possiede un linguaggio molto più semplice.
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La maggior parte delle jarchas aveva come protagonista delle fanciulle, altre volte c’erano anche
animali o oggetti inanimati. In realtà la jarcha nasce da una situazione veramente esistente, cioè
dal fatto che comunque le donne rimanevano a casa quando gli uomini andavano in guerra a
riconquistare la terra spagnola, o erano donne di soldati arabi che andavano a combattere per
mantenere i terreni conquistati in Spagna. Quindi si potrebbe dire che riflette una situazione storica
realmente esistente, c’è il passaggio tra realtà e letteratura. Esempio di jarcha in foto.

Los cantares de gesta


Le jarchas sono state le prime attestazioni della letteratura spagnola, ma la jarcha è in mozárabe e
quindi ci sono stati molti studiosi che hanno sostenuto che le jarchas non potessero essere
indicate come le prime attestazioni della letteratura spagnola poiché influenzate da un’altra lingua
e un’altra cultura. Partendo da questa idea, Claudio Sánchez Albornoz sostiene che le prime
attestazioni che possiamo riconoscere come letteratura spagnola (cioè in castigliano) sono i poemi
epici, tutti quei poemi che fanno parte dei cosiddetti cantares de gesta. Albornoz sostiene che i
cantares de gesta siano le prime attestazioni pure della letteratura spagnola.
I cantares de gesta hanno una derivazione sia francese che germanica per cui non sono
propriamente originari della Spagna, non nascono in Spagna come espressioni letterarie, venivano
da altri paesi ma una volta arrivati e creati in Spagna acquisiscono delle caratteristiche originali
che li rendono propri della letteratura spagnola e tra l’altro erano completamente in castigliano.
L’elemento che permette quindi ad Albornoz di affermare che i cantares de gesta siano la prima
attestazione della letteratura spagnola, anche se derivanti da una cultura e letteratura germanica e
francese, è il fatto che a differenza delle jarchas, erano scritti totalmente in castigliano.
Cosa vuol dire cantares de gesta? “cantares” = canto; i canti si esprimono oralmente e per questo
a noi ne sono giunti pochissimi in quanto in poche occasioni sono stati trascritti e soprattutto in
poche occasioni sono arrivati integri visto che non c’era la cultura del libro e della trasmissione dei
testi. Questi cantares raccontavano delle gesta/imprese degli eroi. Il termine “gesta” deriva dal
verbo latino “gero” che significa “fare”, “compiere”. Cantares de gesta significa “canzoni” (termine
contemporaneo, vuol dire che erano qualcosa di orale) che narrano azioni intraprese da qualcuno.
Tutto l’insieme dei cantares de gesta forma quella che è chiamata poesia epica. Il termine “epica”
deriva dal greco “epos” che significa parola/discorso; quindi, la poesia epica è un discorso in
poesia, discorso in versi e questo discorso in versi riguarda proprio le gesta compiute dagli eroi.
Coloro che cantavano queste gesta erano i giullari, los juglares. Questi giullari mettono in atto una
corrente in Spagna che viene chiamata Mester de Juglaría -> “mester” dal latino “ministerium”
vuol dire “lavoro” e “juglaría” dal latino “jocularis” che significa “uomo che scherza”. Quindi “il lavoro
dell’uomo che scherza” ossia il giullare, un uomo che intrattiene i nobili nelle corti.
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I giullari sono stati studiati da Ramón Menéndez Pidal che ha scritto proprio un testo sui giullari
che avevano diverse caratteristiche: c’erano i giullari che sapevano cantare e ballare, giullari che
mimavano e giullari che semplicemente raccontavano e che erano i cosiddetti “giullari epici” i quali
raccontavano i cantares de gesta per le strade. C’erano anche i giullari lirici cioè coloro che
declamavano poesie più liriche, più brevi, che avevano anche dei contenuti amorosi e religiosi.
Ognuno si distingueva perché sapeva fare qualcosa, la caratteristica comune era l’oralità. La
funzione di questi giullari era come quella dei mezzi di comunicazione di oggi perché quando
raccontavano questi avvenimenti per strada, informavano il popolo sulle imprese che venivano
compiute dagli eroi o che erano state compiute in passato dagli eroi (le notizie non è che erano
contemporanee come il telegiornale di oggi ma comunque servivano al popolo per sapere dato che
era abbastanza ignorante). I giullari si aiutavano anche con la musica e questo proprio perché los
cantares erano in versi e quindi avevano un ritmo e quanto più riuscivano ad attirare il pubblico,
tanto più guadagnavano.
I testi che i giullari cantavano, e che erano composti dai trovatori che erano più colti e che si
trovavano a corte, avevano una composizione abbastanza libera per cui si parla di strofe chiamate
lasse o tiradas, cioè strofe che non hanno mai lo stesso numero di versi. Tutti i cantares de gesta
sono formati da lasse, pure il Cantar de mio Cid. Ciò che tiene insieme una lassa è la stessa rima,
che è una rima assonante e c’è uno stesso argomento. Quando cambia l’argomento e quando
cambia la rima, cambia la lassa. In queste strofe, che sono così libere e quindi hanno un numero di
versi variabile, viene utilizzato un verso anisosillabico, vale a dire un verso che non ha sempre lo
stesso numero di sillabe -> la particella greca “ana” all’inizio di parola significa “diverso”, “iso”
invece è “lo stesso”. Il verso del sonetto è il verso endecasillabo che presenta 11 sillabe, ed è
sempre lo stesso: ogni verso presenta 11 sillabe; quindi, il sonetto ha un verso isosillabico, le
lasse hanno i versi anisosillabici perché potevano variare sempre dovuto all’oralità, al collettivismo,
ecc…orientativamente il numero di sillabe ruotava intorno alle 14 sillabe, cioè il verso
alessandrino (alejandrino) ma potevano essere anche 15, 16, 17, 13, 12… non era quasi mai un
numero fisso perché magari il trovatore si era impegnato a fare tutti versi da 14 sillabe ma poi
nell’oralità si è cambiava tutto. Di solito, però, una cosa fissa l’abbiamo, cioè la divisione del verso
in due parti. Piu o meno a metà del verso c’è una cesura, cioè c’è una parte di pausa che divide il
verso in due parti, e una parte e l’altra si chiamano emistichi (un emistichio), con al centro una
cesura. La cesura è semplicemente divisione di ritmo: viene trascritto così per ricordarlo oralmente
quando cantavano il componimento, si fermavano e riprendevano, anche per pensarci.
*foto dell’emistichio sul cantar de mio cid*

Il repertorio di ogni giullare quindi era diverso, perché non tutti i giullari potevano ricordare tutti i
cantares de gesta: ogni giullare aveva una sua specializzazione, un paio di testi nel repertorio e a
volte si cantavano solo delle scene preselezionate di questi cantares quindi magari uno dei giullari
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cantava la scena in cui il Cid partiva, un altro invece era esperto di quando il Cid combatteva.
C’era un repertorio specifico per ogni giullare però non tutti sono giunti a noi, il più integro è il
cantar de mio Cid, anche se comunque ha delle parti mancanti. Alcuni testi sono giunti a noi
trascritti in codici e quindi brevi brani di cui non abbiamo i testi interi, altri testi ci sono giunti solo
per essere nominati in altri testi, cioè in alcuni testi letterari si fa riferimento ad alcuni cantares che
noi non abbiamo mai trovato che però evidentemente sono esistiti e all’epoca si conoscevano
perché vengono nominati.

Le quattro tappe d’evoluzione dei cantares de gesta


Nonostante la mancanza di notizie certe su quali testi esistessero all’epoca, oltre quelli di cui
abbiamo notizia, Pidal fa una divisione della cronologia dei cantares de gesta, cioè divide in 4
tappe l’evoluzione dei cantares de gesta dalle origini al 400. Questo non significa che nel 400
ritroviamo ancora i cantares de gesta ma ritroviamo quelle che sono le evoluzioni, vediamo come
si evolvono.

 900 - 1140
È l’epoca dei cantares brevi perché i testi che appartengono a questo periodo non sono composti
da più di 500-600 versi. Questi cantares delle origini trattano delle gesta compiute da personaggi
storici, personaggi che appartengono alla storia spagnola, come, per esempio, Fernán Gonzalez
(Cantar de Fernán Gonzalez) -> è un eroe spagnolo che si dice abbia fondato la Castiglia; quindi,
è un personaggio molto importante in Spagna. Questo cantar non è giunto fino a noi: abbiamo
notizia attraverso altri testi e il cantar de Fernán Gonzalez fa parte di questa prima tappa. Quindi le
tematiche trattate da questi testi ruotano attorno a personaggi realmente esistiti, però sono
personaggi che, rispetto a quando sono stati composti i cantares, fanno parte del passato, della
storia spagnola. Si tratta quindi di eroi vissuti molto prima rispetto a quando sono stati cantati.

 1140 - 1236
queste due date sono date fondamentali che dobbiamo ricordare, in particolare il 1140, che è la
data che Pidal sceglie come inizio di questa seconda tappa, è la data della supposta composizione
del cantar de mio Cid. Noi non sappiamo quando è stato composto il cantar de mio Cid, non
abbiamo una data, ma Pidal ha messo insieme vari elementi e ha pensato che fosse intorno al
1140. Questa tappa è la tappa della pienezza della poesia epica dove abbiamo dei testi molto
lunghi, anche fino a 2000-3000 versi. Diciamo che è la tappa centrare della poesia epica. Il 1236 è
la data ultima di questa seconda tappa perché è la data di creazione, di composizione del
Chronicon Mundi di Lucas de Tuy, che non si chiama più cantar ma si chiama chronicon perché
la prima evoluzione dei cantares de gesta sono le cronache, cioè dei testi in prosa che comunque
raccontano degli aspetti storiografici/storici. Siamo ancora nella poesia epica, le opere sono in
versi e dal punto di vista formale dei contenuti raggiungono le vette letterarie, c’era la perfezione
dei cantares de gesta in questa tappa: esempio ne è il cantar de mio Cid. Però questa tappa si
chiude appunto nel 1236 quando nasce questo chronicon mundi e inizia la terza tappa.

 1236 - 1350
chiamato “periodo delle prolificazioni”, cioè dai cantares cominciano a nascere dei nuovi tipi di
letteratura, dei nuovi testi, che sono appunto le cronache (las crónicas) Le cronache sono delle
opere in prosa, quindi si passa dalla poesia alla prosa, che raccontano sempre degli eventi storici
ma questa volta senza degli elementi letterari: sono delle opere soprattutto storiografiche che si
basano essenzialmente su elementi reali, storici, senza quell’inserzione dell’invenzione che fa sì
che si possa creare un’opera letteraria [la letteratura infatti è finzione, altrimenti sarebbe cronaca].
Le cronache non sono più in versi e si staccano da tutto quello che era l’invenzione letteraria, ma è
un’evoluzione dei cantares perché riprendono dalle storie che si cantavano nei cantares, quindi
dalle gesta degli eroi, dagli avvenimenti che venivano raccontati nei cantares de gesta. Si prolifica
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quindi in nuovi generi (che sono appunto quelli delle cronache); naturalmente la prosa è più adatta
alla cronaca, un racconto senza fronzoli. Tutto quello che viene raccontato nelle cronache,
comunque, fa parte della storia della Spagna, comunque fa parte della comunità a cui venivano poi
rivolte. Chi scrive delle cronache molto importanti è Alfonso X, el sabio, il re saggio, che scrive La
crónica general. In questo periodo dunque nascono diverse crónicas.

 1350 - 1450
torniamo ai cantares, c'è un’evoluzione ulteriore passando attraverso le cronache che è quella dei
cantares drammatici -> si ritorna alla letteratura allontanandosi dal gusto dei vecchi cantares
perché si abbandona quel realismo così stretto e profondo che caratterizzava i vecchi cantares, ci
si allontana un po' da quella che abbiamo chiamato sobrietà, austerità morale (infatti adesso
stiamo andando verso la fine del medioevo, verso il 1450 siamo praticamente agli sgoccioli)
perché ci avviciniamo ad opere più letterarie. Questi cantares drammatici hanno delle
caratteristiche completamente letterarie discostandosi definitivamente da quello che era il lato
storico che caratterizzavano i cantares de gesta. Cosa vuol dire? Che vengono comunque
raccontate le gesta degli eroi (che sono però meno esaltati) ma di queste gesta vengono riprese
solo parti più leggendarie, inventate. Tutta quella finzione letteraria, che caratterizzava ad esempio
la poesia delle origini francesi che abbiamo detto nella prima lezione, verrà ripresa in questo
periodo del 1350-1450, quindi ci stiamo avviando verso quello che sarà il rinascimento, verso la
fine del medioevo, con una forma ancora una volta che deriva dalla letteratura francese ma che
comunque acquisisce degli elementi originali in Spagna [ come arriva l'influsso francese? questo
diciamo che è qualcosa che comincia anche prima dell’anno mille: la Francia e la Spagna
confinano; inoltre c’era il pellegrinaggio di Santiago de Compostela (che c’è tutt’oggi) che contribuì
a questo scambio culturale profondissimo. I giullari spagnoli intrattenevano i pellegrini con los
cantares de gesta e i giullari francesi portavano le loro chanson de geste ]
Questo scambio culturale influirà fino al 200 e anche più avanti e questo è proprio dovuto a questa
vicinanza stretta della Francia con la Spagna (che è in mezzo al mare e quindi ha vissuto tante
rotture che si sono avvicendate e quella francese è una di queste).

Tre caratteristiche delle quattro tappe individuate da Pidál:


1. la prima caratteristica è il realismo
questi cantares de gesta sono completamente (e questo lo prendiamo per le pinze) attinenti alla
realtà. Perché lo prendiamo con le pinze? perché se fossero completamente storici non sarebbero
letterari, infatti lo vedremo nel Cid quali sono gli elementi reali e quali inventati, ma per quanto
possano essere inventati questi elementi non saranno mai degli elementi impossibili ma sempre
che possono essere accaduti all’eroe.
2. la seconda caratteristica è la rima assonante
tutti i cantares de gesta hanno la rima assonante, il metro regolare, e anche la conservazione di
elementi derivanti dal latino. Non siamo ancora nell'evoluzione avanzata del castellano e quindi
per esempio, troveremo molto spesso la /e/ finale nella parola ciudade (ciudad) -> quasi tutte le
parole che oggi terminano con /d/ prima avevano la /e/ finale latina. Troviamo ancora la /f/ fricativa
all'inizio della parola che è quella che oggi è diventata /h/ per esempio formica - hormiga, forno -
horno.
3. La terza caratteristica è la derivazione dalla letteratura francese
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quindi c'è quella che abbiamo chiamato teoria tradizionalista, cioè trarre/trasmettere qualcosa che
deriva da qualcos'altro -> in questo caso sono los cantares de gesta che deriva dalla tradizione
francese.
Le opere di cui abbiamo notizia sono El cantar de Fernán Gonzales, che parla di questo eroe
spagnolo che ha scoperto la Castilla di cui però non abbiamo il testo e non sappiamo esattamente
i versi. Nel 200 viene composto Poema de Fernán Gonzales (di cui abbiamo il testo) che
riprende, a detta di colui che ha composto il poema, il contenuto del Cantar de Fernán Gonzales e
quindi, per tale motivo, siamo a conoscenza dell’esistenza del Cantar de Fernán Gonzales. Il
poema si ispira al cantar.
Il secondo testo che conosciamo è il Cantar de los siete infantes de Lara. Anche di questo non
c'è giunto il testo, abbiamo delle riproduzioni di brevi brani/testi in cronache successive ma il testo
originale non ci è mai giunto. Trama: il protagonista è Gonzalo Gustios che è sposato con Donna
Sancha, i due hanno sette figli che sono los siete infantes. Il fratello di Donna Sancha, che si
chiama Ruy Velázquez, si sposa con Donna Lambra. Le famiglie Lara (che sarebbe la famiglia di
Gonzalo Gustioz) e Ambra erano nemiche, avevano avuto diciamo delle discordie.Succede che il
più piccolo dei sette figli di Gonzalo, Gonzalo Gonzales, uccide il cugino di donna Lambra; quindi,
uccide il cugino della moglie di suo zio. Di conseguenza, Ruy per vendicare l'onore della famiglia
della moglie, uccide tutti e sette i figli di sua sorella e di Gonzalo Gustioz, uccide quindi i suoi
nipoti. Nel frattempo, Gonzalo Gustioz aveva tradito la moglie con un’altra donna e aveva avuto un
figlio che non era ammesso in famiglia da Sancha perché (ovviamente) era un figlio che aveva
avuto con un'altra donna (un bastardo). Questo figlio, Mudarra, decide di vendicare i suoi fratelli
perché erano stati uccisi e quindi sfida a duello Ruy Velázquez: lo uccide vendicando così la morte
dei sette fratelli e donna Sancha lo accetta in casa e lo prende come figlio suo. Tra l'altro, la donna
con cui Gonzalo Gustioz aveva tradito la moglie era araba e quindi Mudarra aveva origini arabe e
viene poi accettato in una famiglia cristiana.
Il terzo cantar è il Cantar de Roncesvalles. Questo Cantar ha una diretta discendenza francese,
in quanto è stato composto intorno alla metà del XIII secolo ed appartiene al cosiddetto ciclo
carolingio cioè il ciclo di opere che ha come protagonista Carlo Magno. Carlo Magno è stato
imperatore del Sacro Romano Impero nel 700 e metà dell’800 d.c. ed è diventato un personaggio
letterario molto importante, sia lui sia che i suoi seguaci, tra cui il nipote Orlando (Roldán in
spagnolo). Roncesvalles è il luogo dove avviene l’uccisione dei seguaci di Carlo Magno e infatti il
frammento che ci è giunto, composto di soli cento versi, racconta proprio il momento in cui Carlo
Magno ritrova i suoi fedeli seguaci, tra cui il nipote, morti. C’è un pianto di dolore da parte di Carlo
Magno sui corpi senza vita dei seguaci morti.
Il Cantar de Roncesvalles rappresenta uno dei cantares de gesta dell’epica spagnola, di diretta
derivazione francese, ma comunque con elementi in ogni caso originali tant’è che appaiono
all’interno del cantar anche dei personaggi non presenti nella Chanson de Roland francese e
quindi questo significa che le fonti da cui nasce il Cantar de Roncesvalles, non sono rappresentate
solo dalla Chanson de Roland, ma anche da altre fonti che sono prettamente spagnole -> ci sono
dei personaggi che appaiono solo nel Cantar de Roncesvalles e quindi di conseguenza è
completamente originale. Non si sa precisamente di quanti versi fosse composto quello che non è
arrivato fino a noi (quindi il Cantar de Roncesvalles originale) poteva arrivare anche a più di 5000
versi, però ne abbiamo un’informazione attraverso altre opere, e poi abbiamo questo piccolo
frammento di cento versi che racconta solo questa breve storia.
Fatto sta che comunque sempre attraverso il Camino de Santiago de Compostela sicuramente è
giunta questa storia di Carlo Magno, dei suoi discepoli, dei suoi seguaci e quindi questo
avvenimento. Tra l’altro Roncesvalles è a confine tra la Francia e la Spagna ed è la battaglia per
cui i francesi volevano entrare in Spagna, ma non per liberare la Spagna dagli arabi ma perché
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volevano loro prendersi la Spagna, volevano strappare la Spagna agli arabi per la contiguità
geografica tra la Francia e la Spagna, i francesi volevano allargare il loro impero.
I cantares de gesta raccontano di personaggi realmente esistiti e raccontano di personaggi
realmente esistiti in maniera veritiera. La Chanson de Roland ha degli elementi fantastici, ad
esempio la spada di Orlando che si chiama “durlindana”. Questa spada faceva anche delle cose
magiche, era magica. Le spade degli eroi spagnoli invece sono solo una continuazione del braccio
dell’eroe e funzionano perché l’eroe è bravo, non perché la spada ha un potere magico.

Cantar de mio Cid


Texto modernizado del Cantar de Mio Cid | Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes (cervantesvirtual.com)

Il Cantar de mio Cid è il più importante dei cantari epici spagnoli e a differenza del Cantar de
Roncesvalles, del Cantar de los infantes de Lara, del Cantar de Fernán Gonzalez, ci è giunto quasi
integro, cioè completo. Ci è giunto un manoscritto a cui però mancano comunque delle parti,
manca una parte iniziale, dei fogli iniziali, e una parte in corrispondenza più o meno del secondo
cantar.
Il manoscritto ci è giunto in 74 folios. Il folio è un foglio di pergamena scritto nel retro e nel verso
(c’è un fronte-retro come diremmo oggi). Perché sappiamo che mancano questi folios?
Il Cantar de mio Cid comincia in medias res (medias res = nel mezzo dei fatti, improvvisamente,
senza un prologo, senza un’introduzione, senza una presentazione del personaggio, si comincia
improvvisamente con un’azione) e il fatto che cominci in medias res non sappiamo se è dovuto
all’idea dell’autore che lo ha composto con l’intenzione di cominciare in medias res o perché se
effettivamente mancano questi fogli iniziali -> se questi fogli iniziali presentassero un’introduzione,
una presentazione del personaggio o fossero dei fogli messi con un titolo ad esempio. Questo non
lo possiamo sapere perché si sono persi [e naturalmente si perdono i fogli iniziali perché sono
quelli che più sottostanno all’essere presi, spostati, al non essere conservati bene…d’altronde i
libri hanno una copertina proprio per essere più tutelati per i fogli all’interno].
Pidál ha ideato un possibile incipit in prosa (ricordiamo che il Cantar de mio Cid come tutti i
cantares è in versi). Pidál ha ricostruito in maniera logica, seguendo quello che viene raccontato
anche in altre opere, e seguendo anche poi lo sviluppo della storia del Cantar de mio Cid, ha
ricostruito in prosa una sorta di introduzione, cioè cosa era successo prima dell’inizio dei versi del
manoscritto che ci è giunto.
Come facciamo a sapere che mancano questi fogli iniziali quindi? Perché come abbiamo detto
potrebbe cominciare tranquillamente così in medias res. In realtà le pergamene erano piegate a
doppio e si mettevano una dentro l’altra (tipo i fogli del quaderno che hanno un corrispettivo
dall’altra parte) e mancano i corrispettivi iniziali dei due fogli finali e quindi di conseguenza si vede
che qualcosa si è perso, così anche i corrispettivi al centro dei due fogli. Si è visto che l’ultimo
foglio della pergamena non aveva il corrispettivo iniziale, così come all’interno mancano due fogli e
ci sono i due corrispettivi però all’interno dall’altra parte. E quindi da questo si è capito che
mancano delle parti ma rispetto ai 3730 versi dell’opera, praticamente è una piccolissima parte.
le teorie del Cantar de mio Cid
Nella letteratura medievale, soprattutto quella delle origini come abbiamo detto, andiamo avanti a
forza di teorie perché non abbiamo delle sicurezze. Le due “insicurezze” che riguardano il Cantar
de mio Cid riguardano la datazione e l’autoría, cioè quando il Cid è stato composto e chi lo ha
composto. Sono due quesiti che ancora oggi si basano solo su teorie che naturalmente per la
maggior parte ha fatto Pidál.

 La datazione
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Tutte le notizie che noi possiamo desumere rispetto al Cantar de mio Cid si trovano in una parte
che si chiama Colophon ed è praticamente la parte finale del testo. Il Colophon nei testi di oggi si
trova invece all’inizio, il colophon è quella parte in cui ci dice: casa editrice, anno di pubblicazione,
se è una traduzione, chi ha fatto la traduzione…anche nel colophon del Cantar de mio Cid
abbiamo delle indicazioni. Quest’ultima parte, il colophon (questo è l’ultimo foglio, c’è scritto 74)
dice: “Per Abbat le escribió en el mes de Mayo en era de mil” poi c’è uno spazio CC (doscientos)
poi c’è una X, una L e una V che sarebbero 245 anni. Quindi il colophon è: Per Abbat le escribió
en el mes de Mayo de era de 1245 años. Nel colophon troviamo due informazioni, un nome Per
Abbat che si dice le escribió e incontriamo una data 1245.
Quali sono però le problematiche? 1245 è un’epoca un po’ tarda per un cantar de gesta, potrebbe
anche essere, perché non è che i cantares de gesta scompaiono improvvisamente, ma sulla data,
c’è una sorta di ombra, una sorta di cancellatura, sembra quasi che la pergamena sia sporca in
quel punto. Allora che cosa si è pensato? Che probabilmente ci fosse un’altra C e che quindi fosse
1345. È stata molto studiata questa pergamena, è stata passata con i vari marchingegni
contemporanei ecc. e grazie allo studioso Antonio Ubieto Arteta si è scoperto che in realtà in
quel punto non c’era nulla. Perché è cancellata così allora? Perché è rovinata dal tempo e poi
probabilmente perché l’autore del manoscritto voleva lasciare uno spazio tra le centinaia e le
decine, quindi 200 e 45, oppure perché era rovinata già in precedenza la pergamena quindi non si
poteva scrivere direttamente a fianco (le pergamene, erano pelli di animali, quindi venivano tagliate
con coltelli per togliere i peli ecc…). Quindi quel taglietto, quella specie di ombra che si trova tra le
centinaia e le unità, probabilmente deriva da una pulitura sbagliata e quindi c’era questo taglietto.
A questa data, ovvero 1245, bisogna togliere 38 anni, quindi 1207, perché all’epoca gli spagnoli
avevano un punto 0 differente da quello del resto del mondo occidentale della nascita di Cristo.
Loro non partivano dall’anno 0, ma partivano dal 38 a.C perché era la data fantasiosa, supposta
dagli spagnoli, di fondazione delle province dell’Hispania fondata da Giulio Cesare. Loro
sostengono che nel 38 a.C Giulio Cesare avesse cominciato a fondare l’Hispania e avesse diviso
quel territorio in province. Gli spagnoli cominciano a contare da quando sono stati fondati da Giulio
Cesare.
1245 è quella scritta sul manoscritto per il mondo ispanico e che corrisponde al 1207 del mondo
occidentale.
Questa data non è quella di composizione del Cantar de mío Cid, ma è la data de manoscritto, in
cui colui che ha trascritto questo manoscritto ha finito di trascrivere. Quindi in quella data si è
completata la trascrizione, dato che il Cantar de mio Cid si trasmetteva tra i giullari oralmente. Ad
un certo punto, una o più persone si sono avvicendate a trascrivere l’opera e nel momento in cui si
è terminata la trascrizione è stata aggiunta la data, ovvero 1245 alias 1207 (data nostra).

 L’autoría
Nel colophon abbiamo detto che c’è un nome, Per Abbat (Pedro Abate). Per Abbat non ha
un’identità conosciuta, nel senso che si sono cercate informazioni su di lui ma possiamo
immaginare quanti Per Abbat c’erano all’epoca, quante persone in Spagna potevano chiamarsi
Pedro Abate. Non si è riusciti a risalire all'identità di questo personaggio, però sappiamo che un
uomo ha detto “Per Abbat le escribiò”, quindi noi pensiamo che se lo ha scritto è l'autore, ma non è
così semplice, dato che come sappiamo la creazione è orale, il verbo “escribir” sottende
un’ambiguità, ha diversi significati durante il Medioevo, infatti poteva significare “scrivere”,
“comporre” ma anche “copiare”. Guardando anche altri testi del Medioevo che avevano un autore
certo ma avevano un copista differente che scriveva le escribiò, si è capito che questo verbo
significa appunto “trascrivere” e non “creare”, significa “scrivere” ma riferendosi a qualcosa di già
scritto/già creato. Lui poteva aver copiato un altro manoscritto, o poteva aver trascritto qualcosa
che già esisteva ma di certo non fu creata da lui. Per Abbat non è l’autore dell’opera, ma è il
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copista. È colui che ha trascritto questa opera perché l’aveva ascoltata o perché qualcuno la
cantava.

Le notizie che ci dà il Colophon ci dicono dunque che l’opera è stata composta prima del 1207
(dato che è l’anno di trascrizione, quindi è stata composta precedentemente), da un autore
anonimo, che non conosciamo, dato che Per Abbat (il nome che fuoriesce dal Colophon) era il
copista.

Pidál, che appoggia l’idea di Per Abbat copista (anche perché quando l’opera veniva composta si
utilizzava il verbo “fahacer”), ha lavorato alla più grande edizione critica di questa opera avanzando
due teorie diverse. Per quanto riguarda la prima teoria pensa all’esistenza di un autore unico, un
giullare di Medinaceli (una città al nord di Madrid), che avrebbe composto quest'opera. Più tardi
però, approfondendo gli studi e studiando per bene anche il tipo di stile che si trova all’interno
dell’opera, difende la tesi che sono stati due giullari a comporre l’opera, il giullare di Medinaceli e il
giullare di San Esteban de Gormaz (un’altra città al nord di Madrid nella regione di Castilla y
León). In realtà cronologicamente c’è prima il giullare di San Esteban de Gormaz e dopo di
Medinaceli perché Pidál dice che il giullare di San Esteban de Gormaz sarebbe vissuto in un
periodo più vicino cronologicamente a quello del Cid, di conseguenza avrebbe saputo notizie più
certe sulla sua vita e sulle sue imprese. Questo giullare avrebbe ideato il piano generale dell’opera
e avrebbe composto parte dell’opera, non tutta. Il Cantar de mio Cid si divide in tre cantari/parti,
per cui secondo Pidál il primo giullare avrebbe composto la prima parte e parte della seconda
parte, e il giullare di Medinaceli, che sarebbe vissuto cronologicamente più distante dal Cid,
avrebbe composto l’altra parte della seconda e la terza. Pidál dice questo perché, secondo lui, la
seconda metà della seconda parte è più letteraria, come anche la terza; quindi, ci sono dei fatti
meno attinenti alla vita del Cid, più fatti inventati rispetto alla realtà dei fatti accaduti al
protagonista; quindi, con il fatto che sarebbe vissuto più lontano, avrebbe inventato di più. Questa
è la teoria di Pidál.
Questa teoria in realtà è stata abbastanza contraddetta, ci sono altri critici venuti successivamente
tra cui Colin Smith e David Hook che non sono d’accordo su questa teoria, perché sostengono
che all’interno del Cantar de mio Cid ci sia una coerenza strutturale che rende impossibile il
rapporto di due autori diversi, tra l’altro distanti anche nel tempo. Non è che lavoravano assieme e
si mettevano d’accordo sulle parti da comporre, ma sono vissuti anche distanti quindi si sarebbero
dovuti mettere d’accordo a prescindere. Questa coerenza nella struttura interna del Cantar de mio
Cid, che è la struttura tipica del Cantar de mio Cid ma un po’ in generale dei cantares spagnoli, fa
sì che si arrivi a essere quasi certo che l’autore sia stato uno solo, che non si sa se sia il giullare di
Medinaceli, il giullare di San Esteban de Gormaz, un altro giullare o non un giullare, perché si
criticava a Pidál anche il fatto che i giullari di solito erano analfabeti, non avevano le competenze
per creare, loro cantavano.
Quindi l’autore del Cantar de mio Cid non si conosce, ma sappiamo che probabilmente è stato un
unico autore, probabilmente estraneo al mester de juglaría, o probabilmente no.

Da dove prende l’idea del Cantar de mio Cid questo autore anonimo che non conosciamo?
Probabilmente ha rielaborato un’opera, più precisamente un poema in versi che era stato
composto intorno al 1099 poco dopo la morte del protagonista del Cantar de mio Cid, Rodrigo
Díaz de Vivar. Alcune volte si facevano rispetto a dei personaggi famosi degli omaggi alla morte, e
si creavano in maniera estemporanea anche delle poesie, delle opere dedicate. Sulla base di
questo poema dedicato a Rodrigo Díaz de Vivar, l’autore anonimo ha creato il Cantar de mio Cid,
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si è ispirato dunque ad un poema composto intorno alla morte del Cid del 1099. Quel poema
potrebbe rappresentare la fonte del Cantar de mio Cid. Sicuramente, comunque, il Cantar de mio
Cid proviene da una lunghissima tradizione come tutti i cantares de gesta che si inseriscono tra la
letteratura popolare: la letteratura ispano-romano, ispano-visigota, tutta la teoria tradizionalista da
dove può nascere la letteratura spagnola, probabilmente da quelle letterature, come anche dalla
letteratura popolare germanica arrivano le fonti per il Cantar de mio Cid -> neanche rispetto alle
fonti abbiamo delle sicurezze.

Ci manca la vera data di creazione del Cantar de mio Cid che abbiamo detto essere sicuramente
anteriore del 1207. La data supposta di creazione è il 1140 che è la data di inizio della seconda
tappa dei cantares de gesta. Perché è la data supposta di creazione dell'opera? Pidál e anche altri
studiosi, riferendosi ai contenuti dell'opera, a ciò che viene descritto nell'opera e al periodo di vita
di Rodrigo Díaz de Vivar, arrivano a questa data orientativa. Gli elementi che portano Pidál e gli
altri studiosi a pensare che sia questa data è prima di tutto il tipo di scrittura che viene utilizzato nel
manoscritto che è ovviamente confacente al periodo in cui viene trascritta l'opera, ma di solito
passa un periodo di tempo tra la morte dell'eroe e poi l'affermazione dell'opera che riguarda l'eroe,
il cantar che riguarda l'eroe. La scrittura del manoscritto è una scrittura che si chiama gotico
rotonda, ma più che tipo di scrittura appartiene all'epoca dove era stato trascritto, sono le parole
presenti nel manoscritto a indicarci il periodo, perché la trascrizione di quei versi è quella orale,
della lingua che veniva utilizzata oralmente, quindi della lingua della creazione dell'opera che viene
mantenuta. Dall'analisi della lingua dei termini utilizzati all'interno del testo si risale più o meno alla
metà del 1100. Tuttavia, potevano esserci degli arcaismi che non avevano tenuto conto di un
evoluzione, potevano esserci delle parole venivano trascritto in maniera sbagliata, e quindi di
conseguenza non sono gli unici elementi su cui ci si può basare per dara la datazione del Cantar
de mio Cid; allora si guarda al contenuto, si va a vedere che cosa viene raccontato all'interno
dell'opera e il contenuto riguarda degli usi/costumi dell'epoca che vengono riportati proprio per quel
realismo di cui abbiamo parlato, quindi i personaggi che ci sono all'interno dell'opera sono utili per
datare la creazione del testo. I personaggi che appaiono nell'opera sono tutti contemporanei al
protagonista Rodrigo Díaz de Vivar, che era un infanzón o un hidalgo: l'infanzón è il nobile della
bassa nobiltà, quello che non è legato alla corte, che non vive a corte, che non ha il sangue nobile,
non ha una discendenza di famiglia nobile, come anche l'hidalgo (viene da hijo-de-algo cioè il
nobile che è diventato nobile grazie a qualcosa e di solito grazie alle imprese). Viene chiamato Cid
(che deriva dall'arabo “Sidi” ovvero signore) e viene chiamato Campeador cioè combattente,
guerriero [ il protagonista avrà moltissimi soprannomi che si riferiscono al suo essere saggio
perché era un uomo perfetto ]. Il Cid nasce tra il 1040 e il 1050, vive una cinquantina d'anni e
muore tra il 1090 e il 1099 (1099 è la data più accertata rispetto alla morte di questo personaggio),
nasce a Vivar, muore a Valencia. Già dalla data supposta di morte si può capire più o meno
quando è stata composta l'opera perché dovevano passare degli anni dopo che l'eroe moriva, una
quarantina / cinquantina di anni dopo la morte si cominciava a creare l'opera e quindi ci troviamo
più o meno con il 1140. Tutti i personaggi che appaiono nell'opera sono stati suoi vassalli, seguaci,
o comunque sono stati personaggi realmente esistiti alla corte e da questi possiamo capire più o
meno il periodo in cui è ambientata l'opera; poi ci sono delle usanze che appaiono all'interno
dell'opera: la prima è quella dei quiñoneros che erano gli uomini dell'esercito che si occupavano
di spartire il bottino appena conquistato (le parti del bottino si chiamano quiñones e perciò loro si
chiamano quiñoneros) con tutti coloro che avevano partecipato alla battaglia, seguendo delle
regole particolari (chi era stato più valoroso, chi aveva combattuto a cavallo, chi a piedi, chi era
intervenuto dall'inizio, ecc.), quando quindi si tornava da una battaglia entravano in campo questi
quiñoneros. Questa usanza di divisione del bottino è un’usanza che si ha fino alla metà del 1100
quindi di conseguenza l'opera è stata composta quando questa usanza era ancora in vigore; in più
nel testo non ci sono menzioni dello scambi di beni in natura ma c'è solo riferimenti ai beni in
moneta oppure in beni preziosi (gioielli), quindi si è abbandonato da poco lo scambio di beni in
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natura, si è già passato a beni in moneta e quindi ci si ritrova sempre più o meno intorno a
quell'epoca di composizione del Cid -> questo ci fa capire come sia stato analizzato nel dettaglio
questo testo, perché tutte le particolarità, tutte le usanze che vengono descritte ci servono per dare
delle risposte e tutte riportano più o meno al 1140. In più ci sono delle tattiche usate in battaglia, ci
sono degli abbigliamenti utilizzati nelle battaglie, ci sono anche delle descrizioni delle battaglie e
quindi dei duelli come venivano portati avanti… tutti questi elementi riportano a circa il 1140.
Anche i luoghi geografici, il Cid viaggerà tantissimo (il testo comincia con lui che fa un viaggio),
attraverserà luoghi che verranno nominati, ci sono molte indicazioni topografiche all'interno del
testo e molte strade cambiano il nome e rispetto ai nomi che si trovano nel Cid si risale sempre a
quella data. Tra l'altro l'opera finisce con una sorta di causa in tribunale contro ai nemici del Cid, e
tutte le formule che vengono utilizzate, che erano delle vere e proprie formule giuridiche, erano
formule che si utilizzavano intorno a quell'epoca. Quindi nel 1207 vi fu trascrizione del manoscritto,
mentre nel 1140 la creazione ORALE dell'opera, che poi poteva essere diversa dalla trascrizione
che abbiamo noi perché il collettivismo, l'oralità […] potrebbero aver cambiato tanti versi presenti
nell'opera, poiché come già detto alcuni giullari erano specializzati su una determinata parte,
quindi, non potevano ricordare tutto il cantar; quindi, è probabile che il testo veniva modificato.
(Al verso 511 si parla dei quiñoneros)
La trama
Il Cantar de mio Cid è un cantar diviso in tre cantares; si racconta la storia del protagonista e della
sua famiglia.
1. cantar del destierro (esilio)
Racconta dell’esilio del Cid che viene esiliato perché alcuni nemici lo hanno accusato al re di aver
rubato dei tributi. Le terre che venivano conquistate agli arabi dagli spagnoli e in cui gli arabi
rimanevano (perché ormai vivevano lì) prevedevano una tassa da parte degli arabi agli spagnoli.
Ruy Díaz de Vivar era un uomo di fiducia del re Alfonso VI di Castilla. Questo fatto di essere un
uomo di fiducia del re attira tante invidie e tanti nemici. Il re crede a queste malelingue e manda il
Cid in esilio. Lui accetta e parte con la moglie Doña Jimena/Ximena e le due figlie Doña Elvira e
Doña Sol - le donne non potevano seguire il Cid in esilio per cui furono lasciate in un convento e
affidate ad un sacerdote. Il Cid non si perde mai d’animo, essendo eroe, un uomo giusto ed un
fedele vassallo del re non va contro di lui per sfidarlo ma anzi nel suo esilio continua a
riconquistare terre per il suo re e manda parte dei bottini alla reggia (chiede in maniera indiretta il
perdono). Arriva il momento in cui il Cid conquista la città di Valencia (roccaforte araba
importantissima) dove si trasferisce e muore. Questo gli permette di avere il perdono parziale del
re (che permette di farlo riunire con la moglie e le figlie che lo raggiungono a Valencia). Intanto due
infantes, due nobili, los infantes de carrión chiedono in spose le due figlie del Cid.
2. cantar de las bodas
Matrimonio delle fanciulle con los infantes de carrión. La felicità di questo momento di grazia dura
poco perché questi due hanno sposato le figlie del Cid per vendicarsi del Cid.
3. cantar de la afrenta de Corpes (è un luogo, querceto = scontro di Corpes)
Los infantes de carrión chiedono di tornare a Carrión con le ragazze dopo il matrimonio, si fermano
nel querceto de Corpes, le malmenano lasciandole quasi morte e se ne vanno. Il Cid si vuole
vendicare, chiede al re (che lo ha perdonato nel frattempo) di essere vendicato, si fa un vero e
proprio tribunale contro los infantes che in quanto colpevoli vengono mandati in esilio. L’opera
termina con il matrimonio delle figlie con los infantes de Navarra y de Aragona (di grado superiore
rispetto a quelli di Carrión).
La struttura interna
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La coerenza interna della struttura del Cantar del mio Cid, che fa sì che si possa attribuire ad un
solo autore la composizione di quest’opera, è dovuta a questo tipo di struttura. La struttura interna
del Cantar del mio Cid è a “w” sbilenca; significa che il testo del Cantar del mio Cid è composto
da cadute e risalite continue (contrariamente a quelli che erano i testi dell’epica anche francese
che avevano una struttura circolare) qui si parte da un punto e si arriva ad un altro migliore da
quello che si è partiti.
1 punto = stato iniziale del Cid (si trova alla corte e vive felicemente al servizio del re con la moglie
e le figlie)
2 punto = esilio (scende)
3 punto = conquista Valencia, si ricongiunge con la moglie e le figlie e le figlie si sposano e il Cid
diventa anche lui nobile dato che le figlie si sposano con los infantes che sono nobili (risale)
4 punto = la afrenta de Corpes dove le figlie vengono disonorate (scende)
5 punto = esilio degli infantes de Carrión e le figlie sposano dei nobili ancora più nobili dei
precedenti (risale)

La struttura del Cantar de mio Cid è fatta di cadute e risalite dovute alla perdita e riconquista
dell’onore del Cid. In spagnolo la parola “onore” ha due traduzioni: honra e honor. 
Honra = l’onore privato che appartiene alla persona, quello che pende dalla propria vicissitudine
personale.
Honor = l’onore pubblico, avvertito dagli altri nei confronti di una persona ovvero quanto onore
possiede una persona agli occhi della società.
Facciamo questa distinzione perché c’è un’alternanza di aspetti privati e aspetti pubblici all’interno
del Cid. L’onore che prevale all’interno del Cid è la honra, l’onore privato, e questo si capisce dai
tre titoli delle tre parti in cui è diviso il Cid (i titoli non stavano nel manoscritto, sono stati messi
dopo) perché “cantar del destierro” si riferisce alla condizione del Cid, al suo esilio, “cantar de las
bodas” si riferisce alle nozze delle figlie del Cid e “cantar de la afrenta de Corpes” si riferisce alle
figlie del Cid maltrattate e disonorate -> tre avvenimenti che si riferiscono all’onore privato e
personale, sono i tre avvenimenti importanti del cantar; non c’è ad esempio il “cantar de la toma de
Valencia” nonostante la conquista di Valencia sia stato uno dei più grandi avvenimenti storici della
Reconquista spagnola. L’autore anonimo che ha composto il Cantar de mio Cid, ha selezionato
nella vita di Rodrigo Díaz de Vivar una serie di avvenimenti biografici che non mettono in risalto (o
non sempre mettono in risalto) un’esaltazione nazionalistica o religiosa, ma mettono in risalto
l’aspetto umano del personaggio, quello che sottolinea la storia di un infanzón, un piccolo nobile
(non di sangue ma nobile di imprese) che è esiliato e che si affida alle sole sue forze per rinascere.
Non è una scelta casuale quella dell’autore di dare importanza agli aspetti personali del Cid. Gli
aspetti personali non possono però prescindere dagli aspetti pubblici, sono strettamente collegati,
e non si alternano ma stanno insieme.
La prima caduta è il Cid che va in esilio: non ci va da solo ma con pochissimi uomini fidati tra cui
suo nipote Álvar Fáñez che è chiamato anche Minaya, l’uomo più fidato di Rodrigo Díaz de Vivar.
Il Cid quando va in esilio non si dà per vinto, la prima cosa che vuole fare è dimostrare al re che i
nemici che l’hanno accusato che hanno mentito, non si arrabbia dunque con il re, resta un fedele
vassallo e anzi vuole dimostrargli a tutti i costi che quello che lui ha subito è un’ingiustizia, e quindi
inizia subito la Reconquista, inizia a conquistare delle città, dei paesi, e una volta che conquista
queste città/paesi manda sempre il bottino al re (perché le terre appartengono al re). I seguaci del
Cid lo aiutano in queste imprese e il narratore del testo sottolinea spesso il numero dei seguaci del
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Cid, per sottolineare che si aggiungevano sempre più persone. Il primo cantare termina al verso
1086 con la cattura dei più grandi nemici del Cid, el Conde de Barcelona, uno di quelli che
l’hanno accusato al re. Il Cid pian piano sta risalendo.
Il Cid andando in esilio, aveva lasciato la moglie Jimena e le due figlie Elvira e Sol, nel convento di
San Pedro de Cardeña perché naturalmente le donne non potevano seguirlo in battaglia e quindi
lui le aveva lasciate al sicuro in un monastero. Questa risalita che sta facendo il Cid è una risalita
pubblica e privata -> dal punto di vista pubblico sta riconquistando delle terre e quindi il suo paese
sta riacquistando fiducia e inoltre sta dimostrando al re che la sua honra, è integra, non è mai stata
vero ciò di cui l’avevano accusato. Il terzo punto è quello in cui il Cid riesce a ricongiungersi con
moglie e figlie perché ha chiesto al re, dopo aver riconquistato Valencia, di ricongiungersi con loro
a Valencia, e una volta ottenuto il perdono del re, accetta di far sposare le due figlie con i due
infantes de carrión -> il Cid non aveva proprio intenzione di far sposare le figlie con questi due
infantes, non era d’accordo ma il re accetta questa proposta dei due infantes alle due fanciulle e
quindi il Cid non poteva andare contro il volere del re e quindi fa sposare le sue figlie. Ricordiamo
che il Cid non sbaglia mai, è un eroe, non poteva accettare dei personaggi che poi si sono rivelati
essere cattivi. Il terzo punto sono las bodas, il secondo cantar, che termina al verso 2277. Terzo
punto quindi risalita più grande della prima, ha conquistato Valencia, si ricongiunge con le sue
donne e quindi si ristabilisce l’equilibrio. Il Cid però non ritornerà alla corte del re, rimarrà a
Valencia perché è lì che ha le sue ricchezze e i beni che aveva conquistato. Comincia il terzo
cantar dopo le nozze e gli infantes de carrión per una serie di motivi vengono presi in giro dalla
corte perché sono due personaggi che non riescono ad affrontare le battaglie, che molto spesso
vengono “coperti” dai seguaci del Cid e questo accumulo di prese in giro scaturisce in loro una
reazione: vogliono vendicarsi nei confronti del Cid. Loro sono dei nobili e vengono addirittura presi
in giro dai seguaci del Cid che non è un nobile e quindi questo fa scaturire in loro una reazione di
vendetta: chiedono al Cid di portare le due spose a Carrión con loro e lì poi le malmenano e le
lasciano quasi morte nel quercete di Corpes. Quarto punto, seconda caduta che fa perdere la
honra al Cid perché privatamente sono le figlie che hanno subìto questo oltraggio, e
pubblicamente si frantuma anche il suo onore pubblico perché la corte viene messa al corrente
dell’accaduto. Il Cid non si perde d’animo, ha l’appoggio del re Alfonso VI e gli rinfaccia il fatto che
lui ha voluto che le due figlie sposassero los infantes de carrión ed era lui che doveva riparare il
danno. Chiede dunque una vera e propria causa in tribunale contro los infantes, chiede un giudizio
pubblico contro los infantes. La prima cosa che fa è chiedere la restituzione delle due spade,
Colada e Tizón, che lui aveva regalato ai suoi generi in occasione delle nozze [ le spade erano le
compagne fedeli dei guerrieri e hanno un nome perché avevano un’identità, oltre ai seguaci
c’erano anche le spade come compagne ]. Il fatto di donare delle spade in momento delle nozze
era simbolo di grande fiducia, erano inoltre due spade conquistate dal Cid in battaglia. Dopo di
che, i due infantes si sfidano a duello con due seguaci del Cid, perdono e vengono mandati in
esilio. Il punto più alto si tocca quando arrivano due infantes, rispettivamente delle casate di
Navarra e di Aragón, che chiedono in spose le figlie del Cid. Il Cid è contento di far sposare le due
figlie con questi due infantes perché erano davvero uomini di virtù, e quindi con queste ulteriori
bodas, termina al verso 3730, il terzo cantar (e poi c’è il colophon). Anche in questo caso, honra e
honor, coincidono, vanno di pari passo: il Cid con il giudizio che viene dato a los infantes de
carrión e con il duello che termina a favore dei seguaci del Cid, vendica doppiamente il suo onore,
quello privato e anche quello pubblico, perché era sotto gli occhi di tutti il fatto che questi infantes
erano stati condannati sia al giudizio sia all’esilio. Si termina il poema con un’ultima risalita,
giungendo il Cid a un punto più alto da cui era partito. Si racconta poi la morte del Cid. C’è quindi
questa serie di sequenze in cui c’è una crisi in partenza, poi c’è la riparazione di questa crisi e poi il
successo finale. Questo andamento che va su e giù specifica bene il tipo di storia di Rodrigo Díaz
de Vivar e quindi la teoria che fossero due scrittori, vissuti inoltre in epoche diverse, non è
affidabile.
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Quello che salta agli occhi del lettore è che l’eroe descritto è un eroe umano che non è
irraggiungibile nelle sue gesta, è un eroe da cui si può imparare, da cui si doveva prendere spunto,
ed è per questo che l’autore anonimo che ha creato il Cantar de mio Cid ha voluto sottolineare
questo aspetto, il suo intento era un intento didattico, voleva insegnare. Se avesse descritto un
eroe invincibile, che combatteva e vinceva tutte le battaglie e che non aveva emozioni umane, era
qualcuno impossibile da aspirare.
L’aspetto letterario
Il Cid contiene degli aspetti che non rispecchiano a pieno la realtà e la storia di questo personaggi
e noi lo sappiamo dai documenti che ci sono rinvenuti. Di questo personaggio si hanno notizie
delle sue imprese, della sua famiglia, e si sono trovate delle discrepanze tra quello raccontato nel
Cantar de mio Cid e quello che è realmente accaduto a Rodrigo Díaz de Vivar. La base è storica,
quello che si racconta ha una solida base storica, il periodo in cui si ambienta è il vero periodo in
cui ha vissuto il Cid e molti dei personaggi che appaiono nel testo sono reali e anche la presa di
Valencia è realmente accaduta, nel 1094 Valencia è stata realmente riconquistata. Ci sono delle
realtà storiche che ritornano nel testo ma colui che ha scritto questa storia non era uno storico, era
forse un giullare o comunque una persona che aveva intenzione di intrattenimento e
inevitabilmente ci dovevano essere delle caratteristiche piacevoli. L’autore dunque utilizza una
maniera di raccontare epica e non storiografica, cioè letteraria e non storica, e inserisce all’interno
della storia diversi elementi che non corrispondono alla realtà storica. Gli elementi che ritroviamo
sono degli elementi anche banali: personaggi di cui nella realtà non abbiamo grandi notizie
vengono citati all’interno dell’opera, conquistano territori e sono presenti nell’opera; inoltre i nomi
dei luoghi geografici vengono cambiati dall’autore ancora prima che cambiassero effettivamente.
L’autore del Cid doveva essere una persona molto acculturata perché era a conoscenza di tutti i
riferimenti geografici dell’epoca infatti utilizza dei riferimenti topografici precisi quando raccontava
delle imprese del Cid – il fatto che l’autore utilizzi queste incongruenze deve essere attribuito
dunque alla sua volontà letteraria e l’inserimento di elementi nuovi all’interno del testo è da
attribuire alla necessità di seguire dei canoni letterari -> canone = un punto di riferimento, un
modello che si crea nel tempo perché si ripete, è uno schema d’esempio, delle strutture fisse; il
canone picaresco ad esempio prevede tutta una serie di opere che hanno delle caratteristiche del
canone picaresco. C’erano delle strutture, un canone letterario a cui l’autore del Cid si ispira.
Elementi che si discostano dalla realtà storica:
L’abate che risiedeva nel monastero di San Pedro de Cardeña nel testo si chiama Don Sancho,
un nome molto comune all’epoca. Il nome vero dell’abate era però Sisebuto, nome che l’autore
non poteva far conoscere perché poi questo stesso Sisebuto divenne santo e quindi era un
personaggio anche famoso all’epoca. L’autore sceglie di chiamarlo Don Sancho per la facilità del
nome e poi anche perché non era facile fare la rima con il nome Sisebuto che ha quattro sillabe, al
contrario Sancho ne ha solo due e quindi più semplice. La stessa cosa accade per le figlie del Cid
che si chiamavano in realtà Cristina e María, nomi che avrebbero creato delle complicanze alla
fine del verso per creare una rima (María finisce con ia). La spiegazione nel cambiare questi nomi
è data dal fatto che erano più facili da ricordare e più immediati oppure semplicemente inventare
dei nomi per renderli letterari e per creare quindi personaggi letterari. Lo stesso Álvar Fáñez,
nipote (sobrino) del Cid, nella realtà storica non va in esilio con suo zio, rimane a corte. Al
contrario, l’autore del Cantar de mio Cid lo fa diventare il primo seguace del Cid perché vuole
rispettare un canone letterario molto importante per l’epoca, lo stretto legame tra zio-nipote.
Questo zio era il fratello della mamma, Álvar Fáñez era il figlio della sorella del Cid e c’era un
rapporto stretto perché all’epoca quando la donna si sposava veniva data una dote e per far sì che
gli uomini della famiglia di questa donna non si appropriassero completamente di queste
ricchezze, lo zio instaurava un rapporto molto stretto con il figlio maschio che nasceva per tenere
ancora sotto controllo gli avere di questa famiglia -> con il controllo/la supervisione dello zio sul
nipote (ereditario di tutte queste ricchezze) queste ricchezze non venivano sperperate. La coppia
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zio-nipote si ripete spesso nelle opere letterarie e anche il Cantar de mio Cid utilizza questo topos
letterario. Un’altra problematica collegata ad un altro canone letterario è la sconfitta degli infantes
de carrión. Questi infantes, che sono anche loro personaggi davvero esistiti e quindi sono
personaggi storici, non vengono mai esiliati dalla Castiglia. L’autore vuole sottolineare la differenza
tra buoni e cattivi, un canone letterario molto noto: il Cid era quello buono, los infantes erano i
cattivi, per dare una distinzione netta tra i cattivi che vengono cacciati e puniti, e i buoni che
vincono e rimangono felici e contenti. La contrapposizione tra personaggi buoni e cattivi c’è
sempre, pensando ad esempio al Cantar de los siete infantes de Lara, los infantes vengono uccisi
e poi vengono vendicati quindi si ristabilisce l’ordine tra buoni e cattivi. Il fatto che nell’opera si
decida di far andare in esilio los infantes era anche perché loro subiscono la stessa sorte del Cid
all’inizio (un po’ come la legge del contrappasso), come era stato punito il Cid così vengono puniti i
suoi nemici. Nella realtà, tra l’altro, il Cid non era così buono, ci sono delle cronache in cui si dice
che fosse un uomo spietato. Il personaggio letterario era un esempio, nella realtà, e quindi il
personaggio storico, era un soldato.
Lettura dei cantari
*il testo bisogna leggerlo integralmente, con la prof leggiamo solo alcune lasse*

La lettera dello spagnolo medievale non si legge come si legge lo spagnolo moderno. Di sotto
riportati solo i cambiamenti (e non quelli che si pronunciano uguale allo spagnolo moderno).
[ pag.27 dal libro ]

 Le lettere [j] e [g] seguite da vocale [e] [i] corrispondono alla g italiana di gentile o alla g del
francese gentil
 La [x] si pronuncia come la sc italiana di sciame
 La [c] seguita da [e] o [i] è da leggersi come la z
 [z] si pronuncia senza interdentale
 [d3] intervocalica si legge [g] come lo spagnolo moderno ad esempio gracias
 ç si legge s
Problematica delle b/v: vengono usate indistintamente in epoca medievale perché avendo lo
stesso suono si usano in maniera intercambiabile.

[ pag. 2 e 3 ] ricostruzione di Pidál del foglio perso che racconta la storia del Cid che mandò messi
a tutti, amici, parenti e vassalli, e spiegava loro che il re che gli ordinava di andare via dalla sua
terra entro nove giorni.
nella versione online il numero a destra è il numero della lassa e quello a sinistra è il numero dei
versi.

La prima lassa è composta da nove versi, la seconda da cinque, la terza da sette…il numero dei
versi cambia, e non hanno lo stesso numero di sillabe (anisosillabici).
Il conteggio delle sillabe avviene per suono, per tonicità della sillaba -> nel primo verso De los sus
ojos tan fuerte mientre llorando sono tredici ; nel secondo verso Tornaba la cabeza & estabalos
catando sono quindici ; nel terzo verso Vio puertas abiertas & uzos sin cañados sono tredici
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È per questo che la rima assonante si conta a partire dalla corrispondenza dell’ultima vocale tonica
del verso perché non necessariamente corrisponde all’ultima sillaba del verso, ma all’ultima vocale
tonica. La rima assonante del primo verso è ao.

Cantar Primero ~ Cantar del destierro


Il primo cantar è il cantar del destierro, il Cid va in esilio nel 1081 quindi il presente dell’azione è il
1081.
LASSA 1 la prima informazione che sappiamo è che sta piangendo. L’eroe forte, valoroso e che
sconfigge chiunque, sta piangendo e non nasconde di star piangendo, sta piangendo a dirotto.
Fuertemente e de sus ojos sottolineano quanto stesse piangendo. Appena conosciamo il Cid non
sappiamo neanche il suo nome, sappiamo che sta piangendo e quindi questo dimostra la sua
grande umanità. Il lettore assume un atteggiamento di compassione nei suoi confronti.
Il pronome los si riferisce a qualcosa detto in precedenza, stava voltando la testa. Voltando la testa
vede tutti degli elementi che facevano parte delle case della nobiltà castellana: le alcandaras sono
gli attaccapanni dove si appendevano i mantelli, le pelli che si mettevano per il freddo; poi los
falcones e adtores sono due uccelli da caccia -> il fatto che lui si girasse e non vedesse questi
elementi significa che prima c’erano e poi era stato tutto svuotato perché lui stava andando in
esilio, stava andando via.
“Mio Cid” – il narratore (cronista) utilizzava l’aggettivo possessivo “mio” perché lo fa proprio, è il
suo eroe e quindi già qui capiamo da che parte si sta schierando il narratore perché non avrebbe
mai detto “mio” a qualcuno di estraneo.
Leggiamo poi per la prima volta le parole dette dal Cid: il Cid parla bien y tan mesurado sono
parole pensate, in quel momento bisognava dire quelle parole. La prima cosa che dice è una
preghiera a Dio quindi questo è un altro elemento di cui veniamo a conoscenza, il Cid è credente,
è un uomo di fede (la religione all’epoca era fondamentale). La prima parola che dice il Cid è
Grado a Ti Señor Padre – grazie a te signore – il Cid sta andando in esilio; eppure, ringrazia Dio
per la sua sola presenza nei cieli. Il Cid sta facendo una preghiera a Dio e rivolge il suo pensiero ai
suoi nemici mios enemigos malos – c’è già dalla prima lassa la distinzione tra bene e male perché
il Cid habla bien y tan mesurado, i nemici son malos. Il cronista e il lettore si schierano da subito, e
inevitabilmente, dalla parte del Cid.
LASSA 2 introduce il secondo personaggio, Álvar Fáñez, il sobrino del Cid. Si contrappone alla
prima perché nella prima abbiamo la fede profonda del Cid, nella seconda ci sono dei presagi,
delle visioni che prevedono delle cose che stavano per accadere. La previsione, il leggere il futuro,
affidarsi a dei segni (segni di animali, del cielo, della terra…) non fa parte della religione cattolica,
ma fa parte delle credenze popolari. Chi assisteva ai racconti di questi giullari era il popolo e di
conseguenza i riferimenti a cose che il popolo conosceva bisognava farli perché bisognava
interessarli: se il popolo non avesse trovato riscontro nei racconti dei giullari non avrebbe assistito
assiduamente quindi i giullari dovevano catturare la loro attenzione con cose che il popolo
conosceva. Il presagio in questo caso è la “corneja” - la cornacchia - che è un uccello con penne
nere che nell’antichità era utilizzato per prevedere il futuro. Di solito l’apparizione della cornacchia
significava presagi oscuri, negativi. Appare due volte la figura della cornacchia: quando escono da
Vivar hanno la cornacchia a destra poi entrano a Burgos che è la città subito successiva a Vivar, e
la trovano a sinistra: questo significa che è una doppia previsione, una negativa ed una positiva,
una a destra e una a sinistra. Il Cid scrolla le spalle e si rivolge per la prima volta al suo sobrino
Álvar Fáñez e gli dice “siamo stati cacciati dalla terra” -> ancora una volta si sottolinea il fatto che
non è un esilio volontario ma sono stati cacciati da Alfonso VI. 
LASSA 3 arrivano a Burgos e qui c’è l’indicazione di quante persone iniziano a seguire il Cid (60 ->
non sono tante). Questi sono i pendones, nobiluomini della Castiglia che aiutavano il re in guerra,
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erano dei soldati che però non erano specializzati in battaglia, aiutavano soltanto il re e iniziano a
seguire il Cid perché erano suoi fedeli uomini.
Tutti gli abitanti della città di Burgos assistono all’arrivo di questi 60 uomini e anche loro piangono
tanto ( “con gli occhi” ), anche loro condividono il dolore del Cid che era andato in esilio e ripetono
tutti una frase che sembra voler esaltare il Cid e il re “que buen vassallo si hubiese buen senor” -
“se avesse avuto un buon signore sarebbe stato un buon vassallo” - c’è l’uso del congiuntivo che
sta a significare che il re non è un buon re, il buono è il Cid. Questo “buen” utilizzato per il Cid e
per il re ha due significati completamente diversi a causa del congiuntivo all’inizio che indica una
possibilità, ma non è così. Niente è lasciato al caso, ancora una volta l’autore, il cronista, fa dire
delle parole a questi Burgalés (cioè gli abitanti di Burgos) che sottolineano la differenza entre
malos e buenos. Anche gli abitanti di Burgos sottolineano il fatto che il Cid abbia subito un torto
perché il señor non è bueno ma malo.  
LASSA 4 la situazione che trovano i 60 uomini del Cid e il Cid stesso a Burgos è una
situazione avversa perché tutti piangono, sono disperati che il Cid stia andando in esilio perché
tutti sanno che il Cid è un fedele vassallo, un bravo cavaliere e anche un fedele servitore del re.
Tutti vorrebbero ospitarlo ma non possono perché il re ha mandato una lettera “fuertemente
señada” [cioè con il sigillo reale], in cui si dice che chiunque avesse ospitato il Cid sarebbe morto
que perderie los haberes y mas los ojos de la cara - “avrebbe perso i suoi averi e gli occhi della
testa” quindi erano tutti impauriti dall’ospitare il Cid, volevano ospitarlo ma non potevano. La
situazione è che nessuno apre al Cid, nessuno gli parla, tranne a un certo punto, una bimba di
nove anni che non ha nulla da perdere, non aveva il terrore che avevano i genitori di essere
ammazzati e presa anche dalla pena che le faceva quest’uomo, si avvicina e gli spiega la
situazione. Come prima il narratore ha raccontato che cosa fosse successo, la bambina lo ripete
quasi con le stesse parole, proprio per sottolineare e far sentire a quelli che ascoltavano, quello
che era successo. Questa bambina, che è l’unica che rivolge la parola al Cid, gli spiega la
situazione e gli dice: “ti prego non insistere, perché tu dal fatto che noi subiamo del male dal re,
non ci guadagni nulla; quindi, ti chiediamo di lasciarci in pace, anche se vorremo tanto
accoglierti”. Nel momento in cui il Cid capisce che non c’è niente da fare (perché crede alle parole
di questa bambina) il Cid si rassegna, si accampa e prega. La prima cosa che fa è pregare. Anche
dinanzi ad un rifiuto così forte lui prega. Mantiene la calma e comincia ad andare verso dei luoghi
[citati nel testo], non ha cibo né denaro per nutrirsi (perché quando è andato in esilio aveva dovuto
lasciare gli averi e i beni).
Mal acogida degli abitanti di Burgos: la reazione degli abitanti di Burgos ci fa capire la differenza di
atteggiamento tra i diversi ordini sociali all’interno del Cantar de mio Cid. I tre ordini sociali erano:
1. nobiltà (bellatores) 2. clero (oratores) 3. popolo (laboratores). Questi ordini sociali
rappresentavano la tripartizione della società dell’epoca per macroaree ed erano abbastanza rigidi,
non si poteva cambiare “categoria sociale”. L’unico modo per passare nei bellatores era compiere
delle imprese -> l’hidalgo poteva entrare a far parte dei belladores (anche se comunque non avrà
mai sangue nobile). Gli oratores sono rappresentati da Don Sancho e da coloro che accolgono le
donne del Cid, le figlie e la moglie. I bellatores sono i nobili, quindi il Cid, gli infantes de Carrión, il
conde de Barcelona, gli infantes de Navarra y Aragón, tutti coloro che combattono insieme al Cid
fanno parte dei bellatores. I laboratores sono gli abitanti di Burgos. Nella terza lassa quando parla
dei sesenta pendones sta parlando dei bellatores perché sono i soldati che seguono il Cid in esilio
quindi è la prima classe rappresentata (anche perché il Cid fa parte di questi). Subito dopo ci sono
i laboratores che hanno un atteggiamento di sottomissione al re, ma non avevano scelta altrimenti
avrebbero perso la vita – in questo caso è rispetto all’atteggiamento che era stato richiesto nei
confronti del Cid – ma anche in altri casi ad esempio se non pagavano le tasse o trasgredivano le
regole potevano essere ammazzati. Dei bellatores fanno parte anche i malos enemigos del Cid.
C’è un altro nome con cui viene chiamato il Cid -> Campeador - “el que campea” - ovvero colui che
lotta, “guerriero”. Ci sono due momenti in cui si ripete la stessa cosa, al rigo 41 e al rigo 58,
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momenti in cui si dà un’altra caratteristica del Cid: el que en buen hora çinxo espada – colui che
afferrò la spada in un buon momento – colui che cinge la spada in un buon momento è un buon
cavaliere, un cavaliere coraggioso, valoroso, colui che è diventato cavaliere al momento giusto.
Questo è uno degli apodos cioè appellativi che vengono usati per il Cid e verrà usato in tutto il
testo. Nonostante lui sia andato in esilio e che nessuno gli apra la porta, resta comunque il
valoroso campeador.
LASSA 5 entra in scena un altro importantissimo vassallo del Cid, Fablo Martin Antolinez.
Quest’uomo non segue il Cid dall’inizio ma è un abitante di Burgos e infatti il narratore lo chiama el
burgales cumplido – “il burgalese valoroso/tutto d’un pezzo” – lui va contro il re. I laboratores
devono necessariamente essere sottomessi al volere del re, i bellatores decidono anche di andare
contro il volere. Quest’uomo che si avvicina all’accampamento del Cid porta dei viveri, del pane e
del vino, ma non li vende, non si fa pagare; quindi, lui non va contro la legge perché non gli sta
vendendo del cibo (la cosa che era vietata era vendere del cibo al Cid ma lui glielo offre). Il Cid fu
appagato di questo gesto e Martin Antolinez gli fa un’espressione di fedeltà al Cid, lui che non lo
conosceva se non per sentito dire, lui che era un uomo di Burgos, decide di parlargli e gli dice che
lo avrebbe seguito, che sarebbe stato uno dei suoi seguaci. Martin Antolinez sapeva che il Cid era
stato accusato ingiustamente quindi se un giorno lui fosse sopravvissuto e si fosse scoperta la
verità della truffa, il re lo avrebbe perdonato. In caso dovesse morire a lui non fregherebbe nulla -
si no cuanto dexo no lo preçio un figo. C’era tanta passione in questi uomini che volevano seguire
il Cid. In questa lassa c’è un altro appellativo per il Cid al verso 71 - en buen hora fuestes naçido
– nato sotto una buona stella – il narratore non tralascia mai di sottolineare la positività di questo
personaggio.
Un’altra cosa importante è: parlò Martin Antolinez, ascolterete quello che ha detto – il narratore sta
parlando con il lettore (all’epoca con il pubblico) – è una forma tipica della juglaría che utilizzavano
i giullari per mantenere viva l’attenzione.
LASSA 6 Il Cid non si fida subito di quest’uomo perché nonostante gli abbia fatto una dichiarazione
di fiducia viene da Burgos e poteva essere un mandante del re per sviarlo/tradirlo e quindi decide
di metterlo alla prova. Il Cid gli ribadisce che non ha nulla, non ha beni e quindi per metterlo alla
prova gli dice qual era la sua intenzione, come voleva procurarsi dei beni. Il Cid in questo caso si
comporta un po’ come un truffatore rispetto a quello che sta mettendo in atto, ma come viene
posto dal narratore, e la motivazione per cui mette in atto questa idea, porta tutti a vedere il Cid
come una persona scaltra.
LASSA 7 Il Cid pensa di rivolgersi a due personaggi, Rachel y Vidas, che sono due ebrei (judíos).
Gli ebrei avevano il dinero, erano coloro che possedevano il commercio. Rachel y Vidas
possedevano una possibilità economica e quindi il Cid pensa di chiedere un prestito a Rachel e
Vidas [ per avere un prestito si devono dare delle garanzie ] e la garanzia per il Cid è imbastire due
arcas (due casse) molto sfarzose e ricce esteriormente, con cuoio pregiato e delle borchie molto
ricche, dei chiodi dorati…che però all’interno avevano solo sabbia ma fa credere che queste due
casse fossero piene di ricchezze. Lo dice a Martin Antolinez perché è lui che deve entrare in
contatto con questi due personaggi, lo mette alla prova. Rachel y Vidas sono due delle poche
figure buffe del Cantar de mio Cid. Loro conoscevano già il Cid e si fidano ciecamente di lui ma
alla fine restano fregati (in realtà alla fine il Cid restituisce le ricchezze anche se nel Cantar de mio
Cid non viene raccontato).
LASSA 8 Appena il Cid gli riferisce questa cosa a Martin Antolinez, lui subito si mette in gioco e va
a cercare Rachel y Vidas. Lui vuole dimostrare che è veramente convinto di voler seguire il Cid e
dare una dimostrazione della sua fedeltà.
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LASSA 9 Martin Antolinez trova Rachel y Vidas che contavano i loro soldi (anche senza fare una
descrizione di personaggi si capisce subito il loro essere). Si svolge tutto di fretta. Martin Antolinez
promette a questi due uomini di farli diventare ricchi per sempre.
[Verso 110] prima volta in cui si fa riferimento al perché il Cid sia stato mandato in esilio. È Martin
Antolinez che racconta a Rachel y Vidas cosa era successo: las parias sono i tributi che i mori
pagano ai cristiani, quelli che il Cid doveva riscuotere, e racconta che il Campeador fosse andato a
riscuotere questi tributi e ne raccolse tantissime che gliene erano anche avanzati, e ne trattenne
per sé un po’. Questo fece sì che venne accusato. Martin Antolinez utilizza l’accusa falsa dei
malos enemigos per convincere e truffare a sua volta Rachel y Vidas (gli doveva pur dire da dove
venivano questi soldi del Cid, loro sapevano che il Cid fosse in esilio senza averi). Sfrutta la
motivazione per cui il Cid era andato in esilio e la racconta a Rachel y Vidas. Da qua si è ricostruito
il prologo. Da questo racconto si è capita la motivazione per cui il Cid fosse stato mandato in esilio.
[ ý al rigo 120 è un avverbio di luogo – lì o qui ]
Martin Antolinez dice a questi due personaggi di prendere queste due arcas, di tenerle sotto
controllo ma di non aprirle mai durante un anno, e in cambio il Cid vuole del denaro da portare con
sé. Rachel y Vidas si consultano per decidere.
[Verso 126] Il narratore utilizza un detto popolare sempre per mantenere viva l’attenzione del
pubblico – no duerme sin sospecha qui haber trae monedado – colui che ha accumulato troppe
monete dorme tra i sospettati – coloro che hanno tanti soldi sono spesso persone corrotte, i soldi
non li hanno accumulati in maniera lecita, trasparente e pulita – Rachel y Vidas fanno parte del
popolo e quindi utilizzano questi modi di dire. C’è poi la decisione di questi due uomini che
accettano ma vogliono sapere cosa dovranno dare al Cid. Il Cid chiede in cambio 600 marchi.
Questo è quanto il Cid chiede ai due per partire. Loro non si fidano di questo scambio dato che
prima vogliono avere la ricompensa e poi daranno al Cid i suoi soldi.
Antolinez vuole che nessuno sappia di queste arche e dice che solo loro due lo dovevano sapere
perché altrimenti si sarebbe sparsa la voce. Rachel y Vidas alla fine sono contenti (pago) di questo
scambio e accettano di dare i 600 marcos al Cid e ai suoi seguaci prendendo le arche come
garanzia. Vanno dove era accampato il Cid e il Cid dice ¡Ya don Rachel y Vidas, habedesme
olvidado! – probabilmente c'erano stati rapporti precedenti tra i due ebrei e il Cid – ci rendiamo
conto del rapporto di vassallaggio tra i tre perché i due baciano le mani al Cid. L’atto del baciare le
mani era un atto di rispetto e sottomissione, così come inginocchiarsi davanti ad un nobile. 
LASSA 11 Antolinez riceve una ricompensa da Rachel y Vidas (30 marcos) per aver fatto da
mediatore nell'affare tra loro e il Cid. Antolinez torna all’accampamento e il Cid lo accoglie a
braccia aperte “abiertos ambos los brazos” e lo chiama mío fiel vasallo. Ha superato la prova ed
entra nella schiera degli uomini del Cid, diventa il sessantunesimo vassallo.
[verso 207]: i 30 marcos che Antolinez ha guadagnato li dà al Cid. I 630 marcos li usano per partire
e per andare a San Pedro de Cardeña per salutare la moglie e le figlie. Dovevano partire subito
per salutare la hija d’algo, la hidalga (anche lei, la moglie, faceva parte di questa nuova nobiltà) e
poi vanno a conquistare le terre perché non c’era molto tempo, entro nove giorni doveva andare
via dalla città. 
LASSA 14 mentre nel verso 232 nessuno parla con il Cid, è senza soldi, deve andare in esilio ed è
notte, qui comincia ad esserci qualche spiraglio di luce perché questa lassa inizia con i galli che
cantano, sta sorgendo il sole (concretamente e metaforicamente) sta cambiando qualcosa per il
Cid, sta risalendo la W – los gallos quieren quebrar albores – i galli vogliono rompere l'alba, far
nascere questo sole immediatamente. Il Campeador arriva a San Pedro de Cardeña in un
momento in cui Don Sancho stava pregando con Doña Ximena e 5 dame. Tutte le persone buone
pregano, persone amiche del Cid, quelle che il lettore deve appoggiare.
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Don Sancho era allegro: le lampade e le candele danno luce e allegria (ottimismo) che si
contrappongono agli abitanti di Burgos che non lo vogliono fare entrare dato che sono impauriti;
qui c'è allegria, c’è gioia perché è un'altra classe sociale, sono gli oratores, non sono sottomessi al
re quindi indipendenti possono accogliere il Cid, il convento è il rifugio migliore perché solo
determinate persone possono entrare, c’è un veto.
LASSA 15 il Cid incontra Don Sancho il quale lo accoglie in maniera gioiosa e ringrazia Dio del
fatto che il Cid sia arrivato al convento. C’è poi il momento di affidamento delle donne del Cid a
Don Sancho stesso. Perché il Cid non ha chiesto ospitalità per i suoi soldati e per sé stesso?
perché non era quella la sua missione, la sua missione era quella di riconquistare la fiducia del re
conquistando le terre e dimostrare che quello che avevano detto su di lui era falso. Doveva
riconquistare la honra e l’honor. Lui, quindi, chiede ospitalità solo per sua moglie e per le sue figlie,
erano le persone a cui lui teneva di più, la sua famiglia. Promette 50 marcos (quelli che aveva
ricevuto da Rachel y Vidas) in cambio di protezione per le sue donne però dice che quando
ritornerà dall’esilio gliene darà il doppio: c’è una ricompensa al momento e una quando tornerà
dall’esilio, è una promessa, il Cid è un uomo d’onore – non voglio fare al vostro monastero un
soldo di danno – per sostentare tutte le esigenze delle sue figlie e di sua moglie dà inoltre altri 100
marcos. Al verso 255 c’è proprio l’affidamento fisico delle due figlie e della moglie a Don Sancho.
Le figlie del Cid non erano adulte, erano delle ragazzine (ma all’epoca comunque bisognava
sposarsi presto) -> il Cid dice dexo niñas proprio per sottolineare che affida due ragazzine indifese
alle braccia dell’abate. La ricompensa futura la ritroviamo anche al verso 260 “per ogni marco che
spenderete al monastero ne darò quattro”. Sempre a questo verso c’è l’avverbio afevos che
incontreremo spesso, è una forma giullaresca che veniva utilizzata per introdurre i personaggi e
per tenere viva l’attenzione del pubblico -> in questo caso introduce il personaggio di Doña Ximena
che si inginocchia davanti al Cid [ atto di rispetto e sottomissione come quello del baciamano che
lo ritroveremo durante tutta l’opera ]. Doña Ximena piange in maniera abbondante e gli bacia le
mani (doppio rispetto). Doña Ximena utilizza il termine malos mestureros che ci ricordano i malos
enemigos, prima lo utilizzava il narratore per dirci che a causa dei cattivi nemici il Cid era stato
cacciato dalla sua terra e qui lo utilizza anche Doña Ximena. C’è questo punto di vista comune tra
un personaggio che fa parte della famiglia del Cid, e che quindi necessariamente è dalla parte del
Cid, e un personaggio che dovrebbe essere oggettivo, il narratore, che invece appoggia sempre il
Cid con il suo racconto. Il Cid è quello buono.
LASSA 16 ritroviamo un’altra caratteristica del Cid: porta la barba – barba tan cumplida –
l’aggettivo cumplido l’avevamo incontrato anche per Martin Antolinez e anche quando il Cid si
riferisce a Doña Ximena dice “mi mugier tan cumplida” -> questo aggettivo è utilizzato quando si
vuole parlare di perfezione, di qualcosa che è ben fatto, rifinito, ben terminato. In questo caso si
parla di barba tan cumplida e barba bellida – il bello è il pelo e barba bellida significa barba folta.
Avere la barba è segno di virilità, onore, rispetto, e quanto più cresce la barba più si è saggi. In
questo caso non sappiamo quanto sia lunga, è l’inizio dell’esilio.
Doña Ximena dice “separati siamo in vita” perché aspettava di separarsi dal Cid soltanto in punto
di morte e invece sempre a causa di quei malos enemigos si devono dividere per la prima volta e
non per morte.
I concetti nel Cantar de mio Cid vengono ripetuti più volte perché dovevano rimanere impressi.
LASSA 17 verso 290 vediamo che si è sparsa la voce che il Cid stia partendo e 115 cavalieri si
aggiungono al suo esercito di 60 cavalieri. L’esilio del Cid non era ancora cominciato, lui aveva
nove giorni per lasciare la patria.
LASSA 18 c’è una preghiera fatta dal Cid e poi da Doña Ximena. Al verso 366 c’è un verbo da
ricordare che è catar che significa osservare, guardare. Finita la preghiera c’è il saluto, il Cid
abbraccia la moglie che a sua volta gli bacia la mano e poi c’è il saluto più tragico che è quello con
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le figlie: la metafora che il narratore utilizza per esprimere il dolore del Cid nell’abbandonare le sue
donne è “separare l’unghia dalla carne”, viene espressa l’umanità del Campeador e interviene
Minaya per ricordargli che lui è el que en buena hora nació e, facendo una sorta di previsione, dice
“tutti questi dolori diventeranno gioie”. Al verso 282b c’è un’altra previsione, quella sul matrimonio
delle figlie del Cid – ci sono tanti rimandi e quindi questo ha fatto pensare che l’autore sia solo uno.
[verso 387] Minaya dice a Don Sancho che se qualcuno arrivava al monastero e diceva di volersi
aggiungere al seguito del Cid doveva seguire le loro tracce; Minaya sapeva che la voce si era
sparsa e che altre persone si sarebbero aggiunte. Successivamente “soltaron las riendas” e
arrivano a Espinazo de Can che è un monte che si trovava tra Burgos e San Esteban de Gormaz
(lo stesso San Esteban de Gormaz di quel giullare di cui abbiamo parlato) e arrivano tantissime
persone che volevano aggiungersi al suo seguito appena uscito dalla patria. Seguono poi tutta una
serie di nomi di paesi che il Cid attraversa.
LASSA 54 verso 951 uno degli episodi più importanti dell’esilio del Cid. *RIASSUNTO DI TUTTE
LE LASSE NON LETTE CON LA PROF Il Cid affronta diverse battaglie contro i mori e incontra
diverse peripezie lungo il tragitto, raccoglie diversi bottini che manda sempre al re Alfonso VI,
Minaya si distingue in battaglia perché non solo è il nipote del Cid ma è anche un guerriere
valoroso* Dopo tutte queste battaglie e peripezie, il Cid arriva nelle terre del Conde de Barcelona,
uno degli acerrimi nemici del Cid: una volta il Cid aveva ferito il nipote del Conde de Barcelona in
battaglia (c’è sempre il rapporto zio-nipote). Il Conde de Barcelona fa parte di quei malos
enemigos che avevano accusato il Cid proprio per vendicarsi di lui.
Il Cid arriva a Huesa, a Mont Alvan, al puerto de Alucad e trascorrono 10 giorni. Si sparge la voce
che lui fosse arrivato in queste terre e la notizia arriva anche al Conde de Barcelona, il cui nome è
Ramón Berenguer. Il Conde de Barcelona era un potente signore di queste terre che
probabilmente aveva anche un collegamento con i mori (dicerie che faceva il doppio gioco con il re
e con i mori).
LASSA 56 El conde es muy follon y dixo una vanidad – la prima cosa che l’autore dice del Cid, la
prima cosa descrizione del Cid è che parla bien y tan mesurado, è il suo biglietto da visita per
capire che persona fosse; qui c’è un contrasto con il Conde de Barcelona che invece viene
presentato come un fanfarone che dice stupidaggini -> ricordiamo sempre che c’è l’intento del
narratore di schierarsi dalla parte del Cid contro il suo nemico. Il narratore dice che il Conde è un
fanfarone perché qualsiasi cosa il Conde faccia contro il Cid avrà la sorte segnata, perderà perché
il Cid vince sempre.
[ probabilmente questo episodio è inventato e non è successo davvero, si sono scontrati davvero
ma probabilmente non per queste motivazioni e per questi meccanismi ]
Le terre del Conde sono enormi ma il Cid ha raccolto con le battaglie che ha fatto fin ora grandi
bottini e tanti cavalieri, addirittura anche i mori si aggiungevano al Cid (i pentiti). Arrivano nella
zona del Conde e arriva il messo (il messaggero) che informa il Cid del fatto che il Conde vuole
sfidarlo perché lui e i suoi soldati hanno occupato le sue terre. Il Cid non vuole combattere con lui,
gli chiede solo di lasciarlo passare e andare via, ma il Conde insiste e dice che pagherà per
l’oltraggio fatto a suo nipote e per aver attraversato le sue terre senza permesso e quindi
conquistarle. Il Cid allora capisce che l’unica soluzione è fare la battaglia.
LASSA 57 discorso che il Cid fa al suo esercito: il condottiero che dà ai suoi seguaci la forza per
andare in battaglia e in questo caso spiega anche il motivo ovvero dice che è il Conde de
Barcelona che vuole fare questa battaglia. Si ripete che ancora una volta (sempre le cose che si
ripetono) che non è il Cid a valore la battaglia ma il Conde de Barcelona. Si parla poi della
strategia utilizzata nella battaglia: i nemici vengono da dietro verso la pianura e portano le calze
più raffinate che erano indossate dai cavalieri della nobiltà, le selle più leggere e le cinghie
allentate -> i cavalli erano più liberi e così potevano correre di più. Il Cid e i seguaci invece
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utilizzano le selle che vengono dalla Galizia e gli stivali sulle calze. Dovranno sconfiggere 100
cavalieri dell’esercito nemico e prima che arrivino giù in pianura dovranno ferirli con le lance così
da svuotare le selle (c’erano più cavalieri su uno stesso cavallo e con una stessa lancia ne
cadevano 3). Il narratore entra nei dettagli anche se non sono così “interessanti” per lo sviluppo
della storia ma ci sono molto spesso dei riferimenti ai tipi di battaglia che si facevano e alle
tecniche utilizzate. Questa lassa 57 dobbiamo ricordarla per la descrizione de las costumbres
dell’epoca.
LASSA 58 tutta la descrizione della battaglia sono 10 versi, è molto breve, la descrizione della
preparazione per la battaglia ne sono molti di più. Al verso 1008 si dice “Vençido ha esta batalla el
que en buen hora nasco. Al conde don Remon a prision le han tomado” -> alla fine la cosa
importante è quindi che il Cid abbia vinto la battaglia e abbia preso come prigioniero il Conte di
Barcellona. È il Cid stesso ad aver imprigionato il Conde.
LASSA 59 la prima cosa che sappiamo dopo che il Cid ha vinto la battaglia è che vince Colada,
una delle due spade che poi darà a los infantes de Carrión -> questa spada ha un nome, una
lettera maiuscola… è come se fosse un personaggio della storia, è la prima spada che il Cid vince
da quando è in esilio quindi importantissima, è una spada che non si scalfisce ma cosa importante
è che non è una spada magica, non aiuta l’eroe a vincere con la magia, è sempre l’eroe a dare la
forza alla spada, il merito è dell’eroe, e infatti quando darà queste spade a los infantes de Carrión
loro non saranno così bravi. Il verso in cui il Cid vince l’altra spada, Tizón, è 2425 lassa 118 -> il re
moro vuole riprendersi Valencia (il Cid l’aveva riconquistata) e quindi l’attaccano, los infantes de
Carrión hanno paura di morire ma il Cid li difende e sconfigge il re moro. Contro il re d’oltremare
(del Marocco) guadagna l’altra spada che vale mille marchi d’oro. Grazie alla vittoria di questa
battaglia continua a ricevere l’onore, sia lui che i suoi seguaci.
Il Cid, che aveva fatto prigioniero il Conde de Barcelona, non lo lascia imprigionato senza vedere
la luce del sole, ma lo invita al banchetto della battaglia vinta. Il Conde si rifiuta di partecipare al
banchetto e per orgoglio non mangia neanche – “No combre un bocado por quanto ha en toda
España, Antes perdere el cuerpo y dexare el alma, Pues que tales malcalçados me vençieron de
batalla.” – il Conde de Barcelona non vuole sottomettersi al Cid e ai nemici che gli hanno rubato le
terre, vuole evitare il vassallaggio.
LASSA 60/61 “odredes” è la parola che utilizza il giullare per mantenere viva l’attenzione nel
popolo. Il Cid e i suoi seguaci, nel frattempo, si dividevano il grande bottino mentre il Conde de
Barcelona continuava a rifiutare il cibo per 3 giorni.
LASSA 62 Il Cid per convincere il Conde a non lasciarsi morire [ il Cid poteva anche non
interessarsi del fatto che il Conde non mangiasse ma lui era un eroe buono a cui importava anche
della salute dei suoi nemici ] lo lascia libero: gli dice che se lui avesse mangiato lo avrebbe fatto
libero con le sue mani, a lui e ai suoi vassalli. Il Conde si rallegra di quello che gli dice il Cid perché
così facendo non dovrà essere vassallo e/o prigioniero del Cid per tutta la vita e dice soprattutto
che se rispetterà quanto detto gliene sarà grato per tutta la vita (il Conde non avrebbe mai lasciato
andare un suo prigioniero e quindi è stupito del fatto che il Cid lo lasci andare) e il Cid non gli
risponde, gli dice solo di mangiare e che poi potrà andarsene, lui e i suoi vassalli, alla condizione
che però tutto quello che ha vinto in battaglia resti a lui, non restituirà niente al Conde di quello che
ha guadagnato. Il Conde si rallegra del fatto che viene liberato dal Cid e prende l’acqua con le
mani (si ripete due volte) e questo ci fa capire quanto fosse affamato il Conde. Sono pronti a
partire e ad ognuno viene dato un palafrén cioè un cavallo da corsa che erano anche ben sellati.
Questo ci fa capire che il Cid non lo caccia via ma gli dà anche dei beni. Il Cid dice loro che se mai
gli verrà in mente di riconquistare le terre appena perdute, li aspetterà.
LASSA 63 ultima lassa del primo cantar. Il Conte comincia a correre via guardandosi alle spalle
perché, sempre pensando con la sua testa, aveva paura che il Cid si sarebbe pentito di averlo
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liberato e che avrebbe fatto una dislealtà ma ovviamente il Cid non avrebbe mai fatto una
deslealtança e l’avverbio alguandre al verso 1081 che significa mai, ce lo conferma. Il Cid inizia a
dividere il bottino – che diventa sempre più grande – tra i suoi soldati e questi ultimi non sanno
quant’è grande.

Cantar Segundo ~ Cantar de las bodas


Termina il primo cantar con la liberazione del Conde de Barcelona da cui il Cid conquista una delle
due spade (Colada) e comincia il secondo cantar [verso 1085].
LASSA 64&65 L’inizio del secondo cantar sembra proprio l’inizio del Cantar de mio Cid perché si
dice “qui cominciano le gesta del mio Cid” e questo ha anche fatto pensare al fatto che ci
potessero essere più autori. In realtà parla dell’inizio delle gesta perché qui comincia la vera
avventura del Cid, è un nuovo inizio tematico, non è un nuovo inizio della storia in generale: è
l’inizio della risalita della W, piano piano il Cid sta risalendo con tutte le conquiste, e in questo
cantar raggiunge il famoso terzo punto che lo vede riconquistare honra e honor. Subito dopo che il
narratore afferma “qui cominciano le gesta del mio Cid” fa tutta una serie di luoghi che il Cid
conquista/sottomette: Alucant, Saragoza, Huesa, Montalbán, Jérica, Onda, Almenara, Borriana.
Poi continua a procedere per arrivare a Valencia – Dentro en Valencia no es poco el miedo – il Cid
stava arrivando a Valencia e i mori avevano paura.
LASSA 71 Indicazione del tempo, come viene descritto all’interno del Cantar de mio Cid. Il Cid
sarà fuori dalla sua terra per lunghi anni ma nel Cantar de mio Cid vengono descritti gli
avvenimenti più importanti e quindi si dà solo l’indicazione cronologica del tempo che passa. In
questa lassa ci dà l’informazione che sono passati tre anni da quando il Cid è partito per l’esilio,
non ci ha raccontato tanto di questi anni ma solo le cose essenziali.
LASSA 72 Ci viene descritto lo stato d’animo di coloro che sono dentro Valencia. Valencia viene
assediata e quelli che stavano dentro non osavano uscire o aggiungersi al seguito del Cid. Non
vivevano un bel periodo e si racconta che il Cid togliesse il cibo a quelli che vivevano a Valencia
per farli arrendere (non solo i mori che occupavano Valencia ma anche le altre persone). Gli
abitanti all’interno della città iniziano a morire di fame – “il padre non dà sostegno al figlio, né il
figlio al padre” – il Cid fa tutto questo per restituire Valencia ai cristiani (sta scritto all’ultimo rigo di
questa lassa). Siccome è sotto il potere dei mori viene inviato un messo al re del Marocco per
avvertirlo dell’assedio. Il Cid non si impaurisce di certo di questa situazione.
LASSA 74 la ricchezza del Cid continua a crescere e crescendo la ricchezza cresce anche l’onore.
Il Cid assedia Valencia (“si lancia nella città”) e come la assedia? la assedia bene (e senza
inganno). Vieta uscire ed entrare coloro che erano già dentro o coloro che volevano entrare. Le
notizie di questo assedio arrivano ovunque, si sparge la voce che il Cid stia assediando Valencia,
e sono sempre più le persone che si uniscono al suo seguito: il Cid riceve rinforzi per l’assedio di
Valencia e continuano ad aggiungersi persone al suo esercito. Siccome è un condottiero
magnanimo permette dei rinforzi anche ai mori. L’assedio dura 9 mesi e al 10 mese i mori si
devono arrendere. Ora il Campeador è felice – grandes son los gozos – c’è anche una differenza
rispetto a quando erano senza soldi e avevano dovuto chiedere il prestito a Rachel y Vidas perché
ora hanno tante ricchezze (e si devono distribuire a tutti coloro che avevano partecipato
all’assedio) – “chi potrebbe mai contare tutti questi soldi?” – i marchi sono 30 mila + altre ricchezze
come cavalli, case, terreni ecc. Il Cid riesce a essere contento e a raggiungere un gozo, una gioia,
perché continua a portare avanti la sua missione che è quella di riconquistare le terre. Lo
ritroviamo metaforicamente nell’alcázar cioè in una fortezza che si trova nel punto più alto di una
città da dove si poteva anche controllare l’arrivo dei nemici (tipo il nostro castello di San Martino a
Napoli).
LASSA 76 la cosa da notare in questa lassa è che la barba del Cid cresce, si va allungando, e il
Cid, che ripete ancora una volta che il re l’ha cacciato dalla sua terra, dice che la barba non verrà
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mai tagliata dalle forbici perché tutti ne dovevano parlare, mori e cristiani. La barba è saggezza,
virilità, onore ed esperienza e il fatto che cresce significa che tutti devono riconoscere questa
grandezza e valore del Cid.
LASSA 77 questa lassa ci dice che i soldati del Cid sono aumentati e sono diventati 3600 dopo tre
anni dall’inizio in cui ne aveva 60.
“Agora habemos riqueza, mas habremos adelante” è una previsione del futuro in cui ci dice che
avranno sempre più ricchezze.
Il Cid chiama Minaya e gli dice di andare dal re per inviargli il bottino (100 cavalli) per avere in
cambio il permesso di ricongiungersi con la famiglia. Lui non può ritornare in patria e quindi bacia
la mano tramite Minaya (per quel segno di vassallaggio e di sottomissione).
[……..] questa parentesi quadra significa che quel pezzo non si legge nel manoscritto quindi c’è
qualcosa che manca.
Il Cid dà anche 1000 marcos d’argento a Minaya da portare a Don Sancho
LASSA 81-82 leggiamo la risposta del re. Da notare lo spazio che viene dato alla presa di Valencia
che è davvero poco (ci dice solo che passano 9 mesi e non ci dà molte informazioni) e invece
viene dedicato tanto tempo al fatto che il Cid mandi Minaya dal re, la risposta del re ecc. Il re è
contento di ricevere dei doni da parte del Cid e di ricevere notizia delle gesta del Cid.
“Maguer plogo al Rey, mucho peso a Garçi Ordoñez” – “maguer” è un avverbio che significa
nonostante e ciò significa che c’è un’opposizione tra due elementi: benché molto piacque al re,
dispiacque molto a Garçi Ordoñez. Garçi Ordoñez è uno di quei malos enemigos di cui si parlava
all’inizio. A lui dà fastidio perché per un periodo (quello dell’esilio) era riuscito a liberarsi del Cid ma
adesso che il Cid sta riacquistando auge e importanza dal re gli dà fastidio. Garçi Ordoñez è lo zio
degli infantes de carrión (da notare sempre il rapporto zio-nipote).
Questa parte [verso 1340-1366] è il contrario di quello che succede a Burgos -> Minaya chiede al
re di riportare le donne del Cid a Valencia e il re è contentissimo di questa idea, la appoggia
completamente, e dice anche che le persone a cui aveva confiscato dei beni per aver appoggiato il
Cid in precedenza, sono perdonate. Tutto quello che il re aveva detto contro il Cid viene
cancellato, adesso tutti devono seguire il Cid Campeador. C’è quindi una ripresa dell’onore
pubblico da parte del Cid. Il re, che prima aveva mandato una lettera fuertemente señada a tutte le
persone dicendo di non accogliere il Cid, si ricrede e restituisce tutti gli averi confiscati alla povera
gente: si rende conto che il Cid è davvero un buon vassallo, non lo aveva tradito. Il re adesso
viene aggettivato con il termine tan vellido (prima non era tanto buono ma adesso che ha
perdonato il Cid lo è).
[Verso 1369-70] ricordiamo che Martín Antolinez aveva già previsto il perdono del re perché
quest’ultimo si sarebbe ben presto accorto che il Cid non l’aveva mai tradito e quindi di
conseguenza avrebbe perdonato lui e tutti gli altri seguaci del re.
Entrano in scena los infantes de Carrión – “Aqui entraron en fabla los ifantes de Carrión” –
loro parlano a bassa voce tra di loro perché sono codardi e perché tramano alle spalle del Cid. Per
compromettere il Cid e la fama che stava riacquistando, pensano bene di sposare le due figlie del
Cid (e così loro avrebbero guadagnato la fama) ma loro sono condes, il Cid è un hidalgo e quindi
loro non possono prendere l’iniziativa perché perderebbero il loro valore di condes e
abbasserebbero il loro livello.
il termine razón è ragionamento e non ragione, è un discorso/questione, lo ritroveremo spesso
nella letteratura medievale anche con i poemetti giullareschi la razón de amor
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LASSA 85 Il Cid ha la notizia che il re ha dato l’approvazione per vedere le sue donne e finalmente
è felice, manda 200 cavalieri per ricevere le donne e Minaya e lui, nel frattempo, aspetta in ansia il
loro arrivo. Si fida ciecamente di Minaya e di tutto quello che ha fatto, ed è anche per questo che le
missioni più importanti le affida al nipote.
LASSA 86 “Afebos” – ed ecco che si introduce quello che sta succedendo per mantenere
l’attenzione. Arrivano le fanciulle e Minaya. Il Cid manda soldati sull’alcázar a guardare l’orizzonte
per vedere appena arrivano e prende Bavieca che è il suo cavallo e va incontro alle figlie. Questo
cavallo, che come la spada è un grande alleato del cavaliere e ha un nome proprio, lo aveva
conquistato in battaglia e lo aveva scelto tra tanti cavalli che aveva conquistato, ma lo aveva da
troppo poco tempo che non sapeva ancora se fosse un cavallo buono in battaglia oppure no
(naturalmente il Cid non sbaglia mai e quindi Bavieca è un cavallo valoroso).
Si organizza una festa per l’arrivo delle donne del Cid e anche in questo caso abbiamo delle
informazioni sul vestiario delle donzelle che accolgono le figlie e la moglie del Cid, sia i chierici che
le accolgono con i crocifissi d’argento e il solito vestiario, sia quello che viene indossato dal cavallo
(la sella messa). Si fa una giostra (la giostra medievale) che è un torneo in cui combattono, anche
in maniera scherzosa, i cavalieri sui cavalli con le lance. Bavieca partecipò a questa corsa tan
extraña cioè in maniera fantastica e si apprezzò la forza di questo cavallo in tutta la Spagna.
Il Cid, la moglie e le figlie piangono dagli occhi ma per la gioia perché si sono rincontrati. Cambia
l’azione del momento, il pianto prima era disperato e di tristezza, qui è di gioia (gozo)
LASSA 87 Sale sull’alcázar anche con la moglie e le figlie, ha raggiunto finalmente la gioia
suprema di guardare dall’alto il suo territorio riconquistato dal más alto lugar de Valencia anche
con le sue donne e iniziano a pregare – c’è sempre il ringraziamento a Dio – e soprattutto
partecipa anche la natura alla gioia del Cid e della sua famiglia perché stava entrando la
primavera, si lascia indietro il buio dell’inverno e si guarda davanti la luce della primavera [ non è
un caso che ci sia proprio qui questo riferimento cronologico ].
“Dezirvos” -> il giullare si sta riferendo al pubblico e si sta accingendo a raccontare del re Yúcef, il
re del Marocco. Il re Yúcef deve sconfiggere il Cid e i soldati del Cid (che erano cristiani) e il Cid e i
suoi soldati dovevano sconfiggere il re del Marocco e i mori. Erano 104 cristiani contro 5 mila mori
ma li sconfiggono ugualmente. Il re Yúcef vuole riconquistare Valencia e quindi inevitabilmente c’è
questa guerra. Le donne per la prima volta assistono alla battaglia (prima stavano nel monastero)
e hanno timore del fatto che possa succedere qualcosa, ma il Cid le rassicura dicendogli che sono
completamente al sicuro. Da queste nuove battaglie il Cid continua a inviare nuovi bottini al re e
continua ad aumentare l’invidia degli infantes de Carrión e di loro zio [ al verso 1859 leggiamo che
“al conde don Garçia mal era airado con diez de sus parientes aparte daban salto” – il conte don
Garçi Ordoñez se ne andò per non vedere la scena in cui il re riceveva i bottini dal Cid ]
LASSE 99bis&100 Pero Vermúez è un altro importante seguace del Cid che lo segue fin
dall’inizio. Il re in cambio di questi bottini del Cid dà dei regali anche ai servitori del Cid che erano
andati fin lì.
LASSA 101 Appena i seguaci del Cid vanno a riposare, entrano in scena los infantes de Carrión
che come sempre tramavano sottovoce in segreto tra di loro. Si dicono che era il momento di
chiedere in spose le due figlie del Cid perché il Cid ha raggiunto un onore enorme. Vanno dal re a
chiedere le due ragazze in moglie perché non possono chiedere direttamente loro al Cid (come
avevano detto, loro erano condes e il Cid era un hidalgo) e quindi vanno dal re. Con il matrimonio
tra loro e le figlie del re crescerebbe il loro onore. Il re non accetta subito, ci riflette una lunga ora,
per lungo tempo (ora era un buen rey e quindi alleato del Cid). Anche il re sa che probabilmente
questa idea non piacerà al Cid ma ne vuole parlare con lui stesso durante una riunione ufficiale,
quindi, dice a Minaya e Pero Vermúez di andare direttamente dal Cid a comunicargli che Diego y
Fernando (i due nomi de los infantes de Carrión) vogliono sposare le sue due figlie. Il Cid avrà in
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cambio dal re il perdono assoluto e riceverà honra e honor. Notiamo che l’atteggiamento del re è
cambiato perché dice anche che potrà decidere il Cid dove svolgere l’incontro.
[Verso 1931] Minaya e Pero Vermúez tornano velocemente a Valencia e incontrano il Campeador.
Gli dicono quello che è successo e le richieste del re. Quando il Cid venne a sapere la notizia inizia
a ragionare su questa proposta. Parla degli infantes e dice che sono dei personaggi orgogliosi, che
non gli piacciono, fanno parte della corte… di questo matrimonio non era tanto contento. Il Cid
manifesta espressamente ai suoi seguaci la contrarietà al matrimonio ma non può permettersi in
questo momento di contrariare il re perché proprio in questo momento ha acquisito la sua fiducia,
non può permettersi di andargli contro; aggiunge infatti: “poiché lo suggerisce colui che vale più di
noi, parliamone in segreto.”
Il primo atteggiamento del Cid è prendere in considerazione il matrimonio nonostante sia contrario
ma appena viene a sapere del fatto che il re lo vuole incontrare per dargli il suo perdono in queste
pistas (in questo incontro) subito acconsente: capisce che il perdono lo avrà solo seguendo la
volontà del re. Il luogo che decide il Cid per l’incontro con il re è al fiume Tajo, uno dei fiumi, se
non il fiume, più lungo della penisola iberica perché attraversa tutta la Spagna e il Portogallo fino a
sfociale nell’Atlantico. È il fiume più importante della Spagna e riunirsi lì significa dare tanta
importanza a questa riunione.
LASSA 103 Arriva la notizia al re che il Cid ha approvato questo incontro e durante queste pistas il
Cid riceverà il perdono dal re e si celebreranno anche le nozze delle due fanciulle.
LASSA 104 [verso 2019] Il Cid era emozionato dato che stava ritornando nella terra di Castiglia e
stava per incontrare il re. Si incontrano il re e il Cid e la prima cosa che fa il Cid è inginocchiarsi –
più che inginocchiarsi si distende completamente e prende con i denti l’erba del campo: finalmente
si sta riappropriando della sua terra fisicamente, morde la terra e piange di gioia. Il re “lo
rimprovera” perché lui ormai l’ha perdonato, non ha bisogno di distendersi ai suoi piedi.
[verso 2033] c’è il perdono del re
[verso 2039] il Cid bacia il re sulle labbra come segno di rispetto. Tutti erano felici di quest
riappacificazione tranne Garçi Ordoñez. C’è il contrasto tra i due termini “sabor” e “pesó”.
[verso 2072] è il re che chiede al Cid di dare in spose le sue figlie a Diego e Fernando de Carrión.
Tutti devono essere testimoni di questa richiesta. Il Cid risponde dicendo che non avrebbe figlie da
far sposare perché sono ancora giovani ma dato che è il re che le ha cresciute a corte e lui le ha
solo generate, deve essere lui a decidere perché lui e le sue figlie sono sotto la sua mercé, lui è
contento con qualsiasi decisione prenda il suo sovrano. C’è il patto delle spade tra il Cid e los
infantes de carrión.
Il Cid si spoglia di tutte le responsabilità e questa cosa si ripete più volte. Il re dà anche degli aiuti
finanziari per le nozze. In tutto ciò le figlie non ci stavano, vengono direttamente informate che si
devono sposare.
LASSA 110 Il Cid dice alle sue figlie che si devono sposare ma ribadisce ancora una volta che non
ha preso lui questa decisione ma il re.
LASSA 111 *la fine* il matrimonio delle figlie dura 15 giorni e tutti coloro che avevano assistito
avevano avuto grandi regali (perché il Cid aveva grandi ricchezze ed era magnanimo). Arrivano
grandi doni anche alle figlie. Il Cid in fin dei conti è contento.
Alla fine, pochi versi sono dedicati a las bodas delle fanciulle del Cid però è denominato Cantar de
las bodas perché è l’ultimo evento con cui si conclude il secondo cantar ma è soprattutto l’evento
che fa sì che il Cid arrivi all’apice -> il Cid è arrivato al terzo punto, è risalito. Anche Diego e
Fernando sono contenti; da questa conclusione di questo cantar sembra che tutti vivano felici e
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contenti perché los yernos (i generi) vivono due anni a Valencia con il Cid, combattono in
battaglia…sembra che tutto vada bene.

Cantar Tercero ~ la afrenta de Corpes


Ci sono vari episodi che preparano l’oltraggio alle due fanciulle, quasi come se lo giustificassero
dal punto di vista degli Infantes; loro attraversano diverse vicissitudini per cui poi ad un certo punto
dicono di avere un grado sociale superiore al Cid e il fatto di prendere in spose le figlie di
quest’ultimo più che a loro, andava a giovare lui che avrebbe potuto avere l’opportunità di salire di
grado sociale nella scala della nobiltà. Una volta che il Cid accetta, sotto la spinta del re Alfonso VI
di dare in spose le sue figlie agli Infantes de Carriόn, questi ultimi si rendono conto che non
vengono proprio ben visti a corte e accade uno degli episodi che precedono l’oltraggio e che
danno agli Infantes una delle motivazioni per cui poi vendicarsi del Cid.
LASSA 112 la scena è ambientata a Valencia, il Cid si trovava lì nel palazzo reale con tutti i suoi
seguaci e i suoi generi, cioè gli Infantes de Carriόn. Ad un certo punto un leone scappa dalla
gabbia. A quell’epoca per i nobili era normale avere questi tipi di animali nei loro palazzi, erano
animali che rappresentavano il potere, e succede qualcosa che definisce i ruoli e le caratteristiche
di tutti coloro che si trovavano lì: tutti avevano avuto paura, i primi che reagiscono sono i seguaci
del Cid i quali prendono i mantelli come prima cosa (i mantelli li usavano i soldati) – embraçan los
mantos los del Campeador – e vanno a proteggere il Cid (il Cid stava dormendo in questo
momento) mettendosi tutti intorno a lui. I due Infantes, hanno invece un atteggiamento molto
diverso: Fernán Gonzales, cerca un posto dove rifugiarsi e, non trovando una porta aperta dove
scappare, si mette sotto alla (sorta di) piccolo lettino dove stava riposando il Cid; Diego Gonzales,
uscì velocemente dalla porta urlando “non rivedrò Carriόn”, volendo dire che non sarebbe più
riuscito a tornare a Carriόn perché sarebbe morto lì, e si nasconde dietro una trave con gran pavor
sporcando così il suo mantello  metafora del modo di agire dei due infantes: i seguaci per
combattere subito prendono il mantello, che è il simbolo del combattente, del soldato, del guerriero
che ha valore e coraggio, mentre gli Infantes non vengono nemmeno sfiorati dal pensiero di
proteggere il Cid e così il loro mantello si sporca, il loro onore si macchia perché hanno paura.
Successivamente il Cid si sveglia e, trovandosi in una situazione strana (si vede circondato),
chiede subito cosa fosse successo. Anche qui si ritrova l’elemento del mantello: il Cid lo ha al
collo, non lo toglie mai perché anche quando dorme è pronto a combattere, quando si alza è già
pronto. Dunque, il Cid sposta tutti i suoi uomini e va diretto verso il leone, lo guarda negli occhi, il
leone avvertendo il suo potere abbassa la testa e lo segue mentre il Cid lo porta in gabbia. NON è
un elemento inverosimile perché ci sono persone che ammaestrano gli animali feroci, tutti sono
soggiogati dalla sua forza, persino un leone nutre rispetto verso di lui abbassando la testa.
Si hanno quindi tre tipi di atteggiamenti diversi, tutti e tre con i mantelli:
1  valore dei seguaci del Cid famosi e coraggiosi
2  reazione codarda degli Infantes
3  reazione da far suo del Cid, anche il leone riconosce il suo potere
Il Cid non se la prende con gli infantes perché il Cid è quello buono ! ricordiamolo sempre ! però gli
altri li prendono in giro (uno degli elementi che li porterà all’oltraggio nei confronti delle figlie del
Cid). Subito il Cid cerca i suoi generi ma non li trova, chiede dove fossero, li richiama ma loro non
rispondono. Quando però li trovano, questi escono dai loro nascondigli impalliditi dalla paura.
A ciò segue el juego, ovvero lo scherno che si fa nei confronti dei due infantes. Il Cid vieta che si
sparli dei suoi generi (non perché a lui importasse di loro ma erano i mariti delle figlie e quindi non
voleva continuare a perdere l’onore). Il Cid quindi non se la prende con gli Infantes, sono tutti gli
altri che hanno assistito alla scena, al tradimento, che tra di loro non possono fare a meno di
35

sottolineare quanto fossero stati codardi gli infantes. Gli Infantes si vedono ingannati e vogliono
vendicarsi.
Dopo la lassa 114 c’è un folio perdido (la parte centrale del manoscritto che si è persa). C’è una
lacuna di cinquanta versi più o meno e nel testo questi vengono ricostruiti in prosa come
l’introduzione. Questo è un altro degli episodi che fanno capire che tipo di combattenti fossero gli
Infantes de Carriόn.
[Mentre parlavano, il re Bucar1 inviò un messaggio al Cid: che gli lasciasse Valenza e se ne
andasse in pace; se no, gli sarebbe costato caro quanto aveva fatto. Il Cid disse a chi portava il
messaggio: «Andate a dire a Bucar, quel figlio di nemico, che entro tre giorni avrà quel che
chiede», Il giorno dopo, il Cid fece armare tutti i suoi, e uscì contro i mori. Gli infanti di Carrión gli
chiesero allora l'onore dei primi colpi. E dopo che il Cid ebbe ordinate le sue schiere, don
Fernando, uno degli in-fanti, s'avanzò per assalire un moro che chiamavano Aladraf. Il moro,
quando lo vide, gli venne incontro. E l'infante, per la gran paura che n'ebbe, tirò le redini e fuggì, e
nemmeno osò aspettarlo. Pedro Bermúdez2, che gli stava vicino, quando vide ciò, andò ad assalire
il moro, lottò con lui e l'uccise. Così prese il cavallo del moro e corse dietro all'infante, che stava
fuggendo, e gli disse: «Don Fernando, prendete questo cavallo, e dite a tutti che avete ucciso voi il
moro cui apparteneva, e io lo confermerò». L'infante gli disse: «Don Pedro Bermúdez, vi ringrazio
assai per quanto dite».]
1
Bucar è il re del Marocco da cui il Cid vince la spada Tizón
2
Pedro Bermúdez era uno dei seguaci più valorosi e fedeli del Cid
 Si dimostra ancora una volta la mancanza di coraggio degli Infantes e la benevolenza dei
seguaci del Cid nei confronti degli Infantes che comunque continuano a coprirli (siccome il Cid
aveva vietato di parlare male di loro, anche i suoi seguaci del Cid li aiutano). Bucar viene
naturalmente sconfitto.
LASSA 123 Avendo vinto si dividono i bottini. I due Infantes parlano con il Cid. Fernán va dal Cid e
utilizza il pronome “noi” per riferirsi al fatto che Bucar sia stato sconfitto: tutti hanno combattuto,
tutti sono stati valorosi, ma in realtà i due infantes non avevano fatto niente. Vanno dunque dal Cid
per ringraziarlo dei bottini che avevano conquistato e per fargli anche una richiesta.
Nel frattempo, i seguaci del Cid parlavano tra di loro sorridendo e cercando di capire chi fosse
stato il più bravo in guerra, ma tra questi non c’erano né Diego né Fernán (era risaputo che loro
fossero dei codardi). Ormai questi Infantes erano scherniti da tutti, nella corte si parlava sempre e
solo male di loro; quindi, di conseguenza, gli Infantes si sentivano messi da parte, soprattutto
perché erano loro ad essere i veri nobili, i nobili di sangue, e dovevano subire tutti quegli scherni.
Pertanto, iniziano ad avere progetti di vendetta e a pensare a che cosa avrebbero potuto fare per
vendicarsi. Amos salieron apart, veramiente son hermanos – gli Infantes parlano sempre tra di loro
in disparte (apart) sono sempre silenziosi, tramano, non si fanno mai sentire; non parlano
direttamente, tramano tra di loro (sono davvero fratelli per quanto si somigliano tra di loro).
“d'esto que ellos fablaron nós parte non ayamos:
- Vayamos pora Carrión, aquí mucho detardamos.
Los averes que tenemos grandes son e sobejanos.
mientra que visquiéremos despender no los podremos.”

Questa parte è molto importante perché tutti e due gli emistichi sono parole del narratore che dice
che di quello che si sono detti i due Infantes non possiamo prendere parte perché parlando tra di
loro. Il narratore si fa complice del pubblico nel non poter sapere che cosa si sono detti i due
Infantes -> crea suspance perché in realtà lui lo sa, è uno stratagemma narrativo per coinvolgere il
pubblico nel fatto che gli Infantes stanno parlando tra di loro e che noi non possiamo sapere che
cosa si stanno dicendo, ma possiamo sapere solo alla fine che Diego dice “Andiamo a Carriόn,
36

abbiamo accumulato così tanti beni che non potremo spenderli in tutta la nostra vita quindi
possiamo tornarcene nella nostra patria”.
LASSA 124 Successivamente i due Infantes si mettono d’accordo sul fatto di portare con sé le
figlie del Cid via da Valencia e oltraggiarle durante il cammino prima che gli rinfacciassero quello
che era successo con il leone – ante que nos retrayan lo que cuntio del leon – frase che viene
ripetuta due volte ai versi 2545 e 2556 (il fatto di ripetere delle frasi o degli episodi serve a
sottolineare, a dare importanza e a farli ricordare meglio).
Dunque, le motivazioni dell’oltraggio sono due:
1  Sono condes e hanno sposato le figlie di un hidalgo;
2  Sono stati derisi (e prima che si continui a parlare di questa cosa è meglio andarsene)
Loro volevano vendicarsi del Cid, era quella l’idea sin dall’inizio, per cui in realtà disprezzano le
due ragazze/ine con cui stanno, le quali saranno oltraggiate perché appunto gli Infantes non sono
contenti di questo matrimonio. Loro, tra l’altro, pensavano di cavarsela dopo questo oltraggio,
mentre dicevano frasi come: “ce la faremo”, “una volta che torneremo…” ma ovviamente non
succede questo.  
[Verso 2560] *più o meno* vanno a chiedere ai genitori delle loro spose (el Cid y Doña Ximena) di
portare via le ragazze, dicendo che le portano a Carrión per far sì che le donne si “appropriassero”
delle terre che erano anche di loro proprietà in quanto loro spose (terre che poi saranno anche dei
figli che avranno un domani). Il Cid, in questo caso, l’unica volta durante tutto il cantar, non si
rende conto del fatto che sta per essere oltraggiato perché ha un po’ abbassato la guardia con i
due infantes, si era anche affezionato ai mariti delle figlie, quindi, non pensa che questa richiesta
possa portare a un oltraggio. Il Cid non si oppone, e anzi da una grossa dote agli infantes: animali
(es. cavalli), soldi, vesti e le due spade Colada e Tizón. Questo è il momento in cui c’è il passaggio
di fiducia dal Cid ai due infantes. Questo è il momento in cui il Cid dà le sue due spade che aveva
guadagnato, che sottolinea aver vinto in battaglia con tutto il suo valore -> non erano senza
significato o senza importanza. C’è poi l’affidamento completo delle sue due figlie. 
Abbiamo un’altra metafora per questo separamento ulteriore -> il Cid parla de “las telas del
corazón” – “gli strappano le tele del cuore” – quello che ricopre il cuore viene strappato perché è
doloroso il distacco dalle figlie ma sa che deve avvenire perché ormai sono sposate e devono
essere affidate ai mariti.
LASSA 125 c’è il momento della separazione che ci fa tornare in quel clima di tristezza e di
sventura che abbiamo trovato all’inizio dell’esilio che si è poi trasformato in gioia/in riso/in giorno. Il
punto sta riscendendo verso il punto più basso in questo momento.
Di seguito al saluto del Cid abbiamo il saluto tra la madre e le figlie che vengono benedette con
tutto il loro amore. Gli infantes, con un seguito di persone, comprese le donne di compagnia delle
due ragazze, escono da Valencia. In realtà il Cid va alegre – Alegre va mio Cid con todas sus
compañas – ma ad un certo punto si ripresentano gli avueros ovvero dei presagi. Questi presagi
gli fanno capire che ci sarà qualche “macchia” nel matrimonio (macchie del mantello dell’Infante,
macchia il matrimonio e quindi l’onore, ma ormai non può più tornare indietro il Cid perché le ha
fatte sposare) dunque l’umore del Cid cambia subito. Nonostante sia ancora felice, appena le figlie
si allontanano inizia a capire che c’è qualcosa che non va.
LASSA 128 verso 2697 ci troviamo con gli Infantes e il loro seguito. Hanno lasciato diverse
cittadine e stanno viaggiando.
Incontreremo in molte opere una tipica presentazione di luogo che è il locus amoenus ovvero
“luogo piacevole” (in italiano si dice proprio ameno) che ha solitamente le seguenti caratteristiche:
37

è grande, è sempre verde con degli alberi da frutto, di solito c’è una sorgente che sgorga, la
temperatura non è né calda e fredda, ci sono gli uccellini che cantano…
Il luogo in cui gli infantes sono arrivati è una sorte di “luogo piacevole” al contrario. Si trovano nel
querceto di Corpes, e già la parola querceto ci fa immaginare degli alberi grandi e possenti, ma
non sono quei tipi di albero che fanno passare la luce, ma quelli in cui c’è il buio. Ci sono alti monti,
los montes, quindi si ritrovano all’interno della natura e, altra caratteristica, i rami arrivano fino in
cielo. Intorno ci sono le bestie feroci, non gli uccellini che cantano. Il tutto è un po’ oppressivo ma
anche pericoloso a causa delle bestie.
I 4 si fermano in una sorta di giardinetto dove c’è una fonte (e qui c’è il locus amoenus) dove fanno
piantare la tenda. Tutti si fermano per la notte, gli infantes hanno ancora degli atteggiamenti
d’amore verso le fanciulle ma c’è l’intervento del giullare che ci dice “mal se lo cumpliero, quando
salie el sol!” ovvero “non avete idea di come cambia il loro atteggiamento quando sorge il
sole”. C’è la differenza tra l’alba quando arrivano a San Pedro de Cardeña in cui c’era il sole, la
luce, e si iniziava a vedere qualcosa di positivo, e invece qui l’alba rappresenta qualcosa in cui
succederà qualcosa di negativo.
Fanno avviare avanti tutti quelli del seguito perché los infantes volevano rimanere da soli con le
loro mogli, dicendo che dovevano avere la loro intimità. Gli infantes erano come i capi, quindi il
restante gruppo stava ad ascoltare i loro comandi. Si avviarono e gli infantes rimasero da soli con
le ragazze.
Nel momento dell’afrenta ha tanti particolari, anche quelli crudi vengono descritti, perché
rappresenta l’attenzione dell’autore per la vita privata.  
Gli Infantes preparano le due ragazze, glielo dicono che le oltraggeranno e gli dicono che le
lasceranno tra i monti e che non arriveranno mai a Carrión e tutto questo perché il Cid deve avere
la notizia di quello che hanno fatto perché si devono vendicare per la questione del leone. Loro,
dunque, spiegano alle due fanciulle il perché dell’oltraggio. Nella parte successiva viene descritto
ciò che fanno.
*
leggiamo la traduzione della parte in cui si descrive quello che viene fatto alle due ragazze *
“ Lì gli levano il manto e pure il pericciole1 le lasciano nude in camicia e in camicione2, gli sproni3
ha già indossato ciascun traditore, in mano prendono le cinghie ognuna dura e forte4 ”
1
los pericones sono delle pelli che si mettevano sopra i mantelli per tenersi caldi
2
abbigliamento intimo
3
o speroni, sono quelli che utilizzano le persone per andare a cavallo e farli correre
4
si entra sempre più nei particolari e viene anche descritto cosa viene utilizzato per picchiare
queste due ragazze, questo atteggiamento violento degli infantes ci fa capire quanto loro si
sentissero oltraggiati/presi in giro.
Doña Sol è la prima che parla e che cerca di convincerli a cambiare idea e chiede di non farle
soffrire. Chiede: “con queste due spade, che mio padre ha dato a voi, tagliateci direttamente la
testa, in questo modo non soffriremo, moriremo direttamente e non ci sarà l’onta per la famiglia e
per noi stesse di essere picchiate e abbandonate” [ a quel punto era meglio morire direttamente ]
Dopo che hanno pregato di essere uccise invece che picchiate, i due infantes non vogliono
ascoltare ragioni, iniziando a picchiarle. La descrizione è dura, perché usano le cinte come delle
fruste, con molta forza e le picchiano con gli sproni aguzzi (quindi ben appuntiti) provocando nelle
ragazze un gran dolore. Inizia a uscire il sangue e tutte le vesti intime, di cui erano rimaste vestite,
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cominciano a sporcarsi di sangue. Ancora una volta c’è la “macchia”, la quale è inferta. È la
macchia dell’onore che viene data dagli infantes de Carrion alle ragazze.
Il narratore, che sta partecipando in maniera molto presa dal momento, dice: “se solo piacesse a
Dio che il Campeador apparisse improvvisamente”, ma lui (il Campeador) non poteva sapere cosa
stava accadendo e quindi non poteva materializzarsi improvvisamente.
Le avevano picchiate talmente tanto che si sono stancati, avevano messo tutta la loro forza nel
picchiare le due ragazze. La cosa più terribile è che facevano a gara a chi dava i colpi più forti
“ensayandose amos qual dara los mejores colpes”. Le lasciano in uno stato in cui sono quasi
morte.
La lassa 129 non presenta nulla di nuovo, ma perché esiste? Per sottolineare delle cose importanti
che sono state dette prima, cioè sta facendo un breve riassunto di quel che è accaduto nella lastra
precedente ricalcando per ben tre volte il fatto che le giovani sono state abbandonate quasi morte
e senza forze.
LASSA 130 “Por los montes do iban ellos, ibanse alabando” i due si vantavano anche di quello che
avevano fatto mentre se ne andavano verso Carrion.
In questa lassa ci sono i due motivi dell’afrenta.
Gli infantes se ne andarono molto contenti per i monti. Uno dei seguaci nota che le fanciulle e gli
infantes non erano ancora arrivati e decide dunque di tornare indietro e trova le fanciulle quasi
morte.
LASSA 131 verso 2826 Arriva notizia a Valencia e il Campeador una gran ora pensó e si
commiserò -> pensa come quando aveva pensato se far sposare le sue figlie o no -> prima
Alfonso VI aveva pensato e commediato, poi il Cid aveva pensato e commediato, ora di nuovo.
[ si ripetono le cose per riallacciare i momenti in modo tale che le persone che stavano là da due
ore a sentire il Cantar ricordavano i fatti accaduti ].
Dopo aver pensato e riflettuto su quello che era successo afferra la sua ormai lunga barba
(testimonia il suo valore, la sua saggezza ed esperienza) e ringrazia in maniera ironica il Signore:
“sono grato a Cristo che mi hanno fatto questo onore gli infantes di Carrión” in realtà sta dicendo
“mi hanno fatto questo onore così IO potrò essere a sposarle questa volta”. Ha saputo che non
sono morte le sue due figlie, e quindi che si sono salvate, e soprattutto che gli infantes di Carrión
non la faranno franca, non scapperanno da questa cosa perché stavolta le farà sposare il Cid con
chi vorrà lui. Torna questo verbo pesó che significa “si dispiacque”. Ora il cantar del Cid ha
assunto nuovamente un risvolto tragico anche perché ha raggiunto quel momento de la afrenta de
Corpes che è il quarto punto in basso. 
[Verso 2888] arrivano le figlie a Valencia (vengono riportate indietro). Sono due le cose importanti
che dice il Cid nel momento in cui abbraccia le figlie che sono tornate a Valencia e di nuovo
sorride, ha riabbracciato le figlie ed ora sta finalmente risalendo verso quell’ultimo punto che sarà
quello culminante e dice (PRIMO PUNTO) che lui ha subito questo matrimonio e quindi è lui che le
deve sposare più avanti con un matrimonio migliore e che (SECONDO PUNTO) gli infantes de
Carrión subiranno la sua ira. 
Pur ritrovando le figlie oltraggiate, picchiate e abbandonate le trova vive: la gioia deriva dal fatto di
poter riabbracciare le figlie.
Il Cid vuole subito inviare dei messaggeri ad Alfonso VI per chiedere vendetta e infatti invia Muño
Gustioz, uno dei suoi più fedeli seguaci, va dal re Alfonso proprio per dargli questo messaggio,
per chiedere vendetta. 
39

Durante questo processo contro gli infantes il Cid ripete molto spesso “non le ho sposate io” e
rinfaccia al re che era stato lui a volere il matrimonio. 
Dal verso 2985 (lassa 135) al verso 3532 (inizio lassa 150) c’è il processo agli infantes con una
terminologia giuridica precisa con tutti dei riti che si susseguono: la vestizione del Cid, chi prende
parola, chi interviene, chi parla a favore, chi parla contro… e c’è anche l’atteggiamento degli
infantes che non si pentono di quello che hanno fatto anzi hanno un atteggiamento molto
spocchioso, di sfida nei confronti del Cid.
Al verso 3175 è il momento in cui il Cid chiede indietro le due spade. Le due spade verranno date
ed il fatto che si illumina tutta la corte non succede perché siano magiche ed emanano luce
dall’interno ma perché sono completamente d’oro e il fatto che brillino tanto illuminano tutta la
Cortes, questo momento in cui si stanno riunendo tutti quanti in cui risaltano questi valori molto
simbolici, sacrali della restituzione delle spade: il Cid ricomincia a sorridere finalmente in maniera
definitiva perché ha ricevuto di nuovo indietro le spade (non avrebbero potuto prenderlo in giro
dandogli altre spade perché lui le conosceva bene) e queste le darà ai due che sfideranno gli
infantes de Carrión cioè Pedro Bermúdez e Martín Antolínez, i due suoi seguaci che sfideranno (e
vinceranno naturalmente) i due infantes de Carrión con le spade che lui aveva donato. 
La lassa 141 è un esempio di questo atteggiamento dei due infantes, lui continua a ripetere che
loro sono contes e che con gli infanzónes non hanno nulla a che fare. Quindi anche nel momento
in cui sono nel torto completo continuano a sfidare il Cid.
LASSA 149 verso 3392 il re Alfonso mette a tacere gli infantes de Carrión perché continuavano a
dire le loro ragioni e nel mentre arrivano due uomini a corte che sono gli infantes de Navarra e de
Aragón che chiedono in spose le figlie del Cid. Leggendo questa parte immaginiamo tutta la scena
della corte riunita con gli infantes de Carrión al centro, arrivano questi uomini che chiedono in
sposa le figlie, tutti si zittiscono e guardano verso il Cid aspettando tutti la risposta. Il Cid ribadisce
ancora una volta che era stato Alfonso VI a mandare le sue figlie in spose agli infantes de Carrión
ma non dice che questa volta deciderà lui perché l’altra volta il re aveva sbagliato a darle in spose
a los infantes de Carrión, ma dice che si sottometterà comunque al volere del suo re -> in ogni
caso sottostà da buon vassallo qual è, da buon seguace di Alfonso VI, e dice “senza il suo ordine
io non farò nulla”. Se Alfonso VI avesse negato il matrimonio, il Cid non si sarebbe dunque
opposto. Il re approva questo matrimonio anche perché così cresce la honra, l’honor e la tierra
(cioè i beni): finalmente il Cid arriva al quinto punto più alto da quello cui era partito e riacquista
tutta la honra e tutto l’honor che aveva perso con l’esilio e con tutti i vari avvenimenti che erano
successi nel tempo [ nel frattempo il gesto del baciamano era stato più volte compiuto ]
Si capisce da quanto viene raccontato che il matrimonio accade nello stesso momento, è in quel
momento che il re sta sposando già i due infantes de Aragón e de Navarra con le figlie del Cid
perché avevano dei buoni motivi per non essere più sposate con gli infantes de Carrión.
LASSA 152 dal verso 3693 hanno perso i due infantes de Carrión, non vengono uccisi perché il
Cid li salva, ma vengono mandati in esilio [noi abbiamo già detto che non è vera questa cosa, gli
infantes de Carrión rimangono a corte nella realtà ma nel cantar devono essere puniti e quindi di
conseguenza mandati via].
Viene specificato che il re è un buen rey.
C’è ulteriormente la specificazione della contrapposizione tra buoni (il Cid e i seguaci) e cattivi (los
infantes de Carrión), gioia (il Cid e i seguaci) e dolore (nelle terre di Carrión) vincitori (il Cid e i
seguaci) e vinti (los infantes e i nemici del Cid). Anche in questo caso abbiamo una opposizione tra
l’onore del Cid e la viltà degli infantes de Carrión.
Questi versi hanno un insegnamento a conclusione di tutto il cantar: chi oltraggia una dama e poi
l’abbandona gli accada questo, oppure anche peggio  Chi va ad oltraggiare una donna deve
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essere punito con la stessa moneta o peggio. Questa è la conclusione moralizzante che viene fatta
alla fine di questo Cantar.
L’infanzón ha vinto gli infantes -> c’è la rivalsa di una classe nobile inferiore sui nobili di sangue [ si
continua ad opporre il buono al cattivo ]
È questo il punto più alto perché se le prime nozze erano state buone, queste sono ancora migliori
rispetto a quelle precedenti e ad un maggiore onore le sposa e maggiore onore acquista di
conseguenza il Cid grazie alle sue figlie. È il punto più alto.
Tra l’altro nella realtà storica non sono le figlie del Cid che si sposano gli ifantes de Navarra e de
Aragón ma sono la nipote e la pronipote di Rodrigo Díaz de Vivar però il narratore prende questo
matrimonio proprio per rappresentare la riacquisizione dell’onore da parte del Cid e di
conseguenza questa risalita verso l’alto. Il Cid è diventato parente degli infantes de Navarra e de
Aragón raggiungendo questo onore alto e si continua a ripetere el que en buen hora nació perché
ci rendiamo conto che la stella sotto cui è nato il Cid è una buona stella proprio perché alla fine
riesce a raggiungere l’onore.
Con 3 versi (gli ultimi) si racconta la morte del Cid ma non si descrive nei dettagli, si dicono le cose
fondamentali cioè che lui lascia il mondo terreno (sieglo; gli anni secolari che si vivono sulla terra).
Quindi viene descritta questa morte in modo veloce e muore il giorno di Pentecoste cioè 50 giorni
dopo la Pasqua, ovvero 50 giorni dopo che è risorto Gesù ed è il giorno in cui discende lo spirito
santo sugli apostoli che si trovavano al Cenacolo impauriti perché era morto da poco Gesù, erano
da soli e non avevano più la loro guida. È un giorno fondamentale per i cristiani perché è il giorno
che arriva lo Spirito Santo mandato per aiutare gli uomini. Quindi si innalza quasi ad un livello
spirituale questa morte del Cid, è una morte importante. Ci si augura che Dio abbia perdono del
Cid, di tutte le cose che ha fatto così come deve fare con noi peccatori e così si conclude la storia.
Questi due versi [3729/3730] concludono la RAZÓN che non è la ragione ma il discorso, la
narrazione, la storia. Si conclude così la narrazione del Cid.
Poi ci sono i tre versi che abbiamo detto chiamarsi colóphon e poi ci sono gli ultimi versi che
rappresentano una tipica formula del mester de juglaría tra due giullari:
el romanz es leído,
datnos del vino:
si no tenedes dineros,
echad allá unos peños,
que bien vos lo darán sobre ellos.

“il poema (romanz) si è concluso (leíder), dateci del vino e se non avete soldi lasciate qui anche
qualcosa così che almeno avremo qualcosa che ci avete lasciato”.
La formula tipica con la quale i giullari terminavano i cantari era proprio la richiesta del vino e dei
soldi, ma se tutto ciò non ci fosse stato esortavano a lasciare qualcosa a piacere come ricompensa
di quanto svolto (la narrazione fatta). 

I poemetti giullareschi
Secolo 1200.
Dopo l'esperienza dei cantares de gesta e dopo l’esperienza epica, continuiamo a rimanere
nell’ambito del mester de juglaría. Si ha una piccola evoluzione del mester de juglaría poiché
coloro che erano solo i cantori dei testi (cioè i giullari) iniziano a diventare anche gli autori dei testi
e ad equipararsi a quelli che erano i trovatori francesi, o comunque ai trovatori in generale che
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abbiamo detto trovarsi nelle corti e che componevano le opere. Parliamo infatti di un tipico
componimento del XIII secolo che è il poemetto giullaresco. Già dal nome capiamo che:
1  sono in versi [perché sono appunto dei poemi] e sono più brevi rispetto ai cantares de gesta
[ecco perché "poemetti"].
2  sono scritti e recitati dai giullari [perciò giullareschi].
Così come per i cantares de gesta, anche i poemetti giullareschi hanno un'origine francese, più
precisamente, un'origine transpirenaica (vista da un’ottica spagnola – tra la Francia e la Spagna ci
sono i Pirenei – “transpirenaica” vuol dire al di là dei Pirenei). Spesso questo tipo di componimento
era tipico francese e viene trasportato in Spagna attraverso el Camino de Santiago de Compostela
e adattato alle esigenze spagnole. Come vedremo infatti, le fonti di questi poemetti molto spesso
sono francesi. El Camino de Santiago rappresenta l’incontro tra le due letterature, c’è una
vicendevole influenza. I poemetti giullareschi spagnoli sono spesso un'esemplificazione dei
poemetti francesi poiché si continua a mantenere la sobrietà, l'austerità morale, il collettivismo e
l'anonimato, che erano i caratteri tipici della letteratura spagnola medievale.
I poemetti giullareschi nascono in un momento in cui la Spagna ha un'apertura nei confronti del
mondo orientale (c'era ancora la dominazione araba che termina alla fine del 400), ma soprattutto,
Toledo, riconquistata nel 1085, diviene sempre più l'epicentro dell'incontro delle 3 culture maggiori,
quella cristiana, araba ed ebraica, motivo per il quale nacque la Escuela de traductores de
Toledo (che avrà poi un’importanza maggiore con il re Alfonso X El Sabio). La Escuela de
traductores de Toledo, era per l'appunto una scuola di traduttori di Toledo. A Toledo poiché c’era
l’incontro tra queste tre culture, c’era l’esigenza di trasporre le opere di una determinata cultura
nelle altre lingue, e quindi nasce questa scuola di traduttori che traduceva dall’arabo, dall’ebraico,
dall’indiano e dalle altre lingue orientali, e di conseguenza l’opera tradotta entrava a far parte della
cultura spagnola: prima le opere venivano tradotte in latino poi piano piano, anche grazie ad
Alfonso X, le opere vengono tradotte in castigliano volgare entrando dunque a far parte della
letteratura castigliana dell’epoca. I poemetti giullareschi non sono l’unica espressione di apertura
della letteratura spagnola dell’epoca, c’è tanto apporto di tante altre culture alla letteratura
dell’inizio del 1200, però i poemetti giullareschi rappresentano un vero e proprio filone, che si può
dividere in 2 tipi: filone religioso e filone delle dispute.
Una disputa è un litigio. All’epoca le dispute erano molto in voga perché il popolo si sentiva
molto coinvolto e si schierava prendendo la storia come una faccenda personale. Le
dispute, chiamate anche contrasti, dunque, attiravano molto pubblico. La conclusione delle
dispute spesso non era molto esplicita in modo tale da non far vincere solo una parte del
pubblico, si lasciava un po’ la questione in sospeso. La parola spagnola per disputa è
disputa (l’accento cade sulla u, è una parola piana).
Tutti i poemetti giullareschi, sia a sfondo religioso che quelli delle dispute, hanno SEMPRE valore
di ejemplo cioè di valore moralizzante, di insegnamento [ la sobrietà morale ]
* Dobbiamo tenere in conto che tutti i poemetti giullareschi sono anonimi e che anche la datazione
è incerta perché sono arrivati dei manoscritti che però non hanno indicazioni, e di altri neanche ci
sono arrivati i manoscritti *

filone religioso
1. Llibre dels tres Reys d'Orient
È un titolo catalano.
DA NON CONFONDERE ASSOLUTAMENTE CON L'UNICA OPERA TEATRALE DEL
MEDIOEVO SPAGNOLO EL AUTO DE LOS REYES MAGOS.
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All’interno dell’opera non ci sono caratteristiche di linguaggio catalane o provenzali, al massimo c’è
qualche aspetto aragonese, e infatti non si sa da dove provenga questo titolo catalano e si era
pensato di cambiarlo in Libro de la infancia y muerte de Jesús (titolo castillano). Questo testo si
inscrive nella tradizione dei vangeli apocrifi -> vangeli che non sono inclusi nella Bibbia perché
ritenuti inutili ai fini della storia di Gesù.
Il testo parla della vita di Gesù ed è composto da 242 versi (molto breve rispetto ai cantares de
gesta). Il cambio di titolo fu proposto perché all'interno del testo si parla poco dei tre magi, ci si
sofferma di più sulla storia di Gesù. Al suo interno troviamo dei riferimenti alla tradizione biblica,
ma anche a fonti orali e anche a fonti provenienti ovviamente dalla Francia. Non si è riuscito a
trovare nessun testo che sia servito da fonte. Risale probabilmente alla metà del XIII secolo.
L'opera inizia con la narrazione della visita dei Re magi alla grotta di Gesù a Betlemme (e forse per
questo ha questo titolo in catalano), e continua con il racconto della strage degli innocenti fatta da
Erode (colui che al sapere della nascita del nuovo re, Gesù, voleva far uccidere tutti i bambini, per
non far sì che ci fosse un nuovo re che potesse spodestarlo), e la conseguente fuga di Maria,
Giuseppe e il bambino in Egitto. In Egitto la sacra famiglia incontra due piccoli bambini, coetanei di
Gesù, i due futuri ladroni che verranno crocifissi ai lati di Gesù. Uno di loro, malato di lebbra, viene
bagnato nella stessa acqua dove era stato bagnato Gesù, e guarisce (nel vangelo questo incontro
tra Gesù e i ladroni da piccoli non viene raccontato, serve come spiegazione del fatto che poi
quando i due ladroni si ritrovano ai lati di Gesù, quello che era stato bagnato da piccolo nella
stessa acqua di Gesù, gli chiederà di essere portato in paradiso con lui). Dal racconto del bagno
guaritore, si passa direttamente alla crocifissione, perciò, ha questo titolo (Libro de la infancia y
muerte de Jesús) non c’è il racconto di tutta la storia di Gesù (essendo 242 versi non è che si
poteva raccontare chissà cosa). Quello del ladrone è un esempio di cambiamento di vita dopo aver
incontrato Gesù, un cambiamento totale di comportamento anche in punto di morte, di pentimento
di quello che era stato fatto durante la vita.
Non si sa l’autore ma il poemetto ha molti tratti che permettono di dire che forse l’autore fosse un
intellettuale, probabilmente un giullare acculturato perché utilizza molte formule che tengono il
pubblico attento e utilizza anche molto gli aparte (tecniche teatrali per cui si parla in disparte e
coloro che stanno sul palco non sentono ma sente il pubblico). Molto spesso, dato che i poemetti
giullareschi mettono in scena delle rappresentazioni dialogate, sono un preludio a quelli che sono i
testi teatrali (gli avi di quelli che poi saranno i testi teatrali). 

2. La vida de Madona Sancta Maria Egipciaqua/ca


È il secondo testo che appartiene al canone religioso. “Madona” è il termine che viene dal latino e
indica la donna (NON parla della Madonna). È una vida, quindi il racconto di questa santa,
un’opera agiografica -> agiografia è quel filone di opere che parlano delle vite dei santi.
È un poemetto un po’ più lungo perché è composto da 1451 versi e risale, probabilmente, all’inizio
del XIII secolo. Questo proviene esplicitamente da un’opera francese Vie de Sainte Marie
l’Egiptienne. Racconta la vita di una cortigiana (prostituta) che però quando incontra Gesù cambia
completamente la propria vita. Nel poemetto viene descritto quest’incontro e quindi viene descritto
il passaggio dalla vita precedente alla vita nuova, quindi l’importanza profonda che assume
l’incontro di Gesù. Ha tanta attinenza con l’altro poemetto religioso perché anche in quel testo il
ladrone che incontra Gesù cambia la sua vita [ insegnamento morale ]. C’è una base didattica
molto forte, già il fatto che parli di un argomento religioso ci fa capire che ci stiamo inoltrando in un
fine didattico/moralizzante. Il racconto spagnolo segue molto da vicino l’originale francese ma
sempre con un’intenzione di originalità perché si sottolinea in maniera molto esplicita nel testo
spagnolo, l'insegnamento morale. Ha anche un’importanza linguistica perché viene utilizzato il
castigliano puro di questo periodo. 
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filone delle disputas


1. La disputa del alma y el cuerpo
Il più antico poemetto giullaresco che ci è arrivato. Risale alla fine del XII secolo, quindi alla fine del
1100. È così breve perché in realtà non ci è giunto tutto, ci è giunto solo un frammento. Non ci
sono due personaggi che si scontrano ma come dice il titolo ci sono due simboli, l’anima e il corpo.
Lo scontro tra anima e corpo è uno scontro molto in voga nel Medioevo perché si collegava
sempre alla voglia di didatticismo dei poemetti giullareschi e al tema religioso. Era un
insegnamento profondo sulla necessità di abbandonare i piaceri e i beni terreni, e a dedicarsi a
cose più alte (la fede, l’interiorità). 
Questo frammento che ci è giunto ci racconta un dialogo tra l’anima e il corpo di un defunto:
l’anima, rappresentata come un bambino nudo, guarda il cadavere dell’uomo in cui prima risiedeva
e lo accusa di tutti gli eccessi che ha vissuto durante la sua vita, eccessi legati ai piaceri del corpo,
aveva vissuto senza dare importanza a quelli che invece erano i piaceri dell’anima e a coltivare
l’interiorità. Per come si era comportato il corpo in vita, sarebbero stati condannati entrambi
all’inferno. Questo frammento riporta quello che dice l’anima e la risposta del corpo non l’ha
sappiamo perché non ci è rinvenuta.
 non rientra nel filone religioso perché non parla di un argomento strettamente religioso come la
vita di una santa o di Gesù [ ha un tema religioso perché vuole dare un insegnamento morale ma
tra l’altro è la religione che ci dice di badare alle cose del cielo e non alle cose terrene per cui il
contrasto tra anima e corpo dà l’occasione di battere su quest’argomento ]. 

2. La disputa entre un cristiano e un judío  


judío = ebreo 
ci sono due personaggi che incarnano la religione che rappresentano, quella cristiana e quella
ebraica. Questo poemetto, probabilmente scritto durante la prima metà del secolo XIII, appartiene
ad un filone apologetico -> l’apologetica è una branca della teologia che ha lo scopo di
difendere/di parlare/divulgare la credibilità della fede, e allo stesso tempo, spiegare che la religione
cristiana nasce da un Dio che si è manifestato. È quella parte della teologia che difende le
credenze della religione cristiana. È certamente questo il motivo per cui questo testo appartiene ad
un filone apologetico, perché il personaggio che incarna la religione cristiana difende la religione
cristiana (e l’altro difendeva la sua).
Probabilmente questo testo ha come autore un ebreo converso -> i conversos erano coloro che
avevano la religione ebraica e nel momento in cui la religione cattolica divenne religione di Stato in
Spagna, loro non poterono più professare la propria religione e quindi si convertirono al
cristianesimo. Sono dunque coloro che hanno una profonda conoscenza teorica di entrambe le
religioni.
Anche di questa disputa ci è arrivato un piccolo frammento in cui si discute di 3 argomenti della
religione ebraica: 1) la circoncisione 2) il rispetto del sabato 3) la natura divina di Dio rivelato sulla
terra. Di questa disputa non abbiamo un testo che rappresenta la fonte unica da cui proviene, ma
sicuramente deriva da una tradizione molto in voga all’epoca cioè mettere a confronto le due
religioni e molto spesso ciò si faceva per mettere come vincitrice la religione cristiana (migliore
religione rispetto alle altre). Non abbiamo tutta la visione della disputa perché ci è arrivato solo
questo piccolo frammento.
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3. razón feita de amor y denuestos del agua y el vino 


https://www.ellibrototal.com/ltotal/?t=1&d=5049
chiamata anche solo razón de amor – “denuestos” è un sinonimo di disputa quindi litigio tra acqua
e vino. Il termine razón è quello che abbiamo visto nel Cid, che non significa ragione ma
argomento, argomento d’amore/storia d’amore. Questo testo, sempre di autore anonimo, risale
probabilmente alla prima metà del 200 ed è composto da 264 versi. La maggior parte dei versi
sono di nove sillabe (notiamo come i versi si accorciano rispetto alla poesia epica) e cominciano
ad avere una struttura abbastanza fissa e quindi si inizia ad uscire dall’anisosillabismo. La rima è
baciata, consonante, perché i poemetti giullareschi si trovano quasi in mezzo tra il mester de
juglaría e il mester de clerecía (dove ci sarà invece una struttura fissa delle rime e delle strofe).
Questo poemetto ha anche un colophon: Lupus, me fecit de Moros 
C’è una firma di un tale Lupus de Moros / Lope de Moros, di cui però non conosciamo nulla ma
molto probabilmente era il copista dell’opera (e non l’autore). Questo poemetto ha dato un po’ di
problemi a coloro che l’hanno studiato perché si potrebbe dire che è formato da due parti diverse:
già il titolo dice “razón de amor y denuestos del agua y el vino”, quindi c’è una parte che è la razón
de amor, e dall’altra i denuestos del agua y el vino -> si poteva pensare che fossero due testi divisi
e poi uniti successivamente nello stesso manoscritto ma alla fine si è capito che non erano due
testi diversi perché ci sono degli elementi che tornano tra la prima parte e la seconda parte.
L’episodio amoroso arriva fino al verso 145 a cui seguono poi pochi versi di passaggio fino al verso
161 e poi l’ultima parte che è la seconda parte fino alla fine. 
I versi alla fine rappresentano la tipica formula giullaresca incontrata anche nel Cid. 
Mi Razon aqui la fino,
e mandat nos dar vino,
qui me scripsit scribat,
seper cum Domino bibat

La prima parte che racconta l’episodio amoroso descrive un locus amoenus -> si trova nel mese di
aprile, sotto un melo, un luogo dove quest’uomo che si definisce escolar (intellettuale che ha
composto questo poema, che aveva studiato in Germania e Francia) si trova en riva in questo
prato. Quando arriva in questo prato lo colpisce un albero di mele, tra i cui rami vede una coppa di
vino vermiglio molto buono, coperto affinché non si riscaldasse; era stato posto lì da una donna. Il
testo continua con un altro vaso (coppa) che era piena d’acqua. L’uomo dal caldo si spoglia e si
risposa in questo posto che lo invoglia a stare all’ombra di questi alberi. Viene fatta tutta la
descrizione delle cose che ci sono in questo posto: la fonte con l’acqua fresca, i frutti gustosi, i
fiori…
Ad un certo punto arriva una fanciulla molto bella che lui non ha mai visto e lui interessato inizia a
parlare con lei. Si rendono conto che in realtà loro erano già innamorati ma non si erano mai
conosciuti (un po’ di tempo fa ci si conosceva tramite messaggeri, matrimoni combinati ecc.). I due
si riconoscono attraverso delle prendas (pegni d’amore) che si erano scambiati. Lui aveva
mandato a lei dei guanti, lei una cintura, e nel momento dell’incontro il caso vuole che
indossassero entrambi questi due oggetti e quindi si riconoscono. Essendo un’opera spagnola del
medioevo, non sappiamo cosa succede nel momento in cui capiscono chi sono e infatti c’è solo
una frase che viene raccontata: una grant pieca alli estando, de nuestro amor ementando 
A un certo punto lei deve andare via e lo lascia da solo. Qui finisce la prima parte, l’argomento
amoroso (razón de amor). 
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C’è poi la parte di transizione in cui riappaiono le due coppe che l’uomo aveva visto sull’albero.
Appare una colombina che, volando in mezzo a questo prato con un campanellino legato alla
zampetta, vuole rinfrescarsi. Entra nella coppa dell’acqua e la versa in quella del vino. Acqua e
vino si mescolano e comincia la parte de los denuestos. Questa parte non è stata aggiunta dopo
per collegare le due opere ma era proprio l’intenzione dell’autore fare ciò e questo perché sia
l’episodio amoroso che le disputas piacevano molto al pubblico e metterle tutte e due insieme
permetteva avere quanto più pubblico possibile. 
Comincia dunque questa discussione che verte ancora una volta sull’argomento religioso [ l’acqua
del battesimo e il vino è il sangue di Gesù ]
Ad un certo punto l’acqua accusa pure il vino che quando l’uomo lo beve perde il senno, invece
con l’acqua questo non succede. Alla fine, non vince nessuno perché ognuno dalla sua ha delle
motivazioni importanti (il giullare alla fine chiede il vino ma fa parte della formula del mester de
juglaría, non c'entra con la disputa). Le due parti sono abbastanza equilibrate. 
Termina con questa parte detta dall’autore (la formula) che non dà nessun giudizio sull’acqua e sul
vino. 
La prima parte potrebbe essere vista come un racconto allegorico, quest’uomo che arriva in questo
prato, il fatto che l’acqua e il vino non si devono mescolare… ma in realtà non c’è nessuna
dimensione allegorica/simbolica altra che non sia quella che viene raccontata. Quest’opera è
l’esempio di questo repertorio giullaresco che doveva soddisfare più esigenze, in questo caso due
esigenze diverse, e probabilmente c’erano già opere simili all’epoca. 
La fonte principale di quest’opera è francese, un’opera franco-provenzale che ha come titolo
Disputoison du vin et de l’eau -> titolo molto simile a quello spagnolo come accade per la Vie de
Sainte Marie l’Egiptienne. Probabilmente quando è stato passato dal francese al castellano,
l’autore ha inserito questa parte del racconto amoroso proprio per compiacere il pubblico spagnolo.
Oltre a questo, ha anche una fonte latina che si chiama Denudata Veritate di cui una copia si
trova nel corpus dei testi latini che risale all’XI/XII secolo che si chiama Carmina Burana (cioè
all’interno dei Carmina Burana si ritrova la Denudata Veritate da cui deriva poi la razón de amor).
Questo testo è dunque abbastanza completo per l’epoca, sia dal punto di vista tematico ma anche
e proprio dal punto di vista del manoscritto che ci è giunto che è completo (lo sappiamo perché c’è
il colophon alla fine e la firma) e quindi, questo testo è quello che ci dà anche l'indicazione per cui
le dispute non avevano un vincitore esplicito.

4. Elena y Maria
Ultimo poemetto giullaresco. Anche chiamato Disputa del clérigo y del caballero. In questo
caso, non sono due cose che si scontrano, non sono due religioni che si scontrano, non sono due
simboli come l'alma y el cuerpo, ma sono due donne: Elena e Maria, che però, non parlano di sé
stesse, ma parlano dei loro fidanzati difendendoli. Sono due sorelle: Maria è fidanzata con un
clérigo e Elena con un caballero. La prima pubblicazione di questo poemetto è stata a cura di Pidal
nel 1214, avvenuta naturalmente solo con la parte del manoscritto che ci è arrivata, perché ci è
arrivato il manoscritto privo di parte iniziale e privo di parte finale, quindi, in questo caso, non
sappiamo se ci fosse stata una vincitrice o meno. Non solo al manoscritto manca la parte iniziale e
finale, ma anche all'interno del manoscritto mancano delle parole e delle frasi, è arrivato
abbastanza logorato. È stato composto intorno al 1280 quindi quasi alla fine del XIII secolo, ed i
versi che ci sono arrivati sono 1402. Alla fine del XIII secolo Elena e Maria rappresenta ad oggi
l’ultima attestazione di genere dei poeti giullareschi. In questo caso, al contrario di quello che
succedeva con la razón de amor, i versi tornano ad essere assonanti, e torna l’anisosilabismo
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[quindi che non è ad un certo punto finisce e poi ricominciano i versi come nel mester de clerecía,
ma si alternano].
Elena e Maria si scontrano, hanno questa disputa, perché ognuna delle due vuole difendere le
caratteristiche del proprio fidanzato, vogliono affermare la superiorità del proprio fidanzato sul
fidanzato dell’altra. Non è la disputa tra due donne ma è la disputa tra due stati sociali, il clero e i
cavalieri. Entrambe parlano delle caratteristiche del proprio fidanzato difendendole, e le
caratteristiche del fidanzato dell'altra, accusandolo: vengono messi in risalto tutti i difetti,
soprattutto, e i pregi tipici del topos del clerico e del topos del cavaliere dell'epoca. Per esempio, si
diceva che i clérigos non davano importanza agli aspetti spirituali, ma solo a guadagnare, a
mangiare bene, e quindi agli aspetti terreni, e si diceva dei cavalieri che, invece, non andavano a
combattere e che vivevano sulle spalle di coloro che li mantenevano (le donne). Ad ogni accusa
corrisponde una reazione di difesa da parte dell'altra sorella. Come termina non lo sappiamo, ma
sappiamo che però ad un certo punto, non trovando un compromesso tra di loro, decidono di
affidarsi a un giudice esterno, un re che si chiama re Oriol, da cui si recano per affidarsi al suo
giudizio e dividere la questione, e quindi decidere chi avesse ragione. La cosa importante però è
che prima di recarsi da re Oriol, decidono che chi avesse perso la questione sarebbe stata la
vassalla dell'altra, si sarebbe sottomessa al volere della sorella (siamo ancora nel periodo in cui si
parla di sottomissione feudale, quella di abbiamo visto tra il Cid, il Re ei suoi seguaci… proprio alla
maniera cavalleresca).
La fonte è un'opera francese, Le jugement d'amour (“il giudizio d'amore”), che proviene da una
regione della Francia settentrionale che si chiama Piccardia. Altra fonte è un’opera latina, Phillips
e Flora, che parla della discussione tra due sorelle. Quindi, c'è l'aspetto del giudizio amoroso e c'è
l'aspetto dell'alterico tra due sorelle. I due uomini di cui parlano le donne appartengono alle due
classi sociali superiori (bellatores e oratores). Il fatto che si voglia introdurre, che si voglia prendere
in considerazione un giudice esterno, ci fa capire quanto le dispute avevano un finale non definito,
proprio perché ci si affidava poi a un'altra voce.
In questo poemetto giullaresco non c’è un vero e proprio insegnamento/morale, è più una critica
ironica nei confronti di queste due classi sociali. Il testo anche nei momenti in cui tratta della difesa
di uno dei due fidanzati comunque ha uno sfondo molto ironico anche nel momento in cui ad
esempio è Maria che sta parlando in maniera positiva del suo fidanzato comunque c'è tanta ironia
in quello che dice nella difesa del suo stesso fidanzato, e questa ironia di base era un elemento
molto originale all’epoca (perché non si trova spesso nelle opere medievali).
Il manoscritto di Elena e Maria è veramente molto piccolo (6cm di larghezza per 5½ di altezza)

Così come i cantares de gesta avevano un titolo che cominciava con “cantar”, le dispute
cominciano con “disputa”.

Teatro del medioevo ~ Auto de los reyes magos


https://laslecturasdeguillermo.wordpress.com/2014/01/06/el-auto-de-los-reyes-magos/
https://www.cervantesvirtual.com/obra-visor/auto-de-los-reyes-magos--0/html/fef96226-82b1-11df-
acc7-002185ce6064_2.html
È l'unica opera teatrale del medioevo spagnolo. È stato ritrovato trascritto sotto un codice latino*
(la parte di sopra è la fine del codice latino, la parte di sotto è l'inizio de l'auto de los reyes magos)
quindi è stato trascritto nella parte bianca di un testo a cui non apparteneva, era tutta un'altra cosa,
e il fatto che sia stato ritrovato così ha fatto pensare che non fosse completo e cioè che fosse
arrivato in maniera non completamente definita perché magari era finito lo spazio in cui si poteva
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scrivere di questo testo e quindi avevano terminato di scrivere, ma in realtà il testo è completo. Si
chiama Auto de los reyes magos perché “auto” significa atto, cioè una rappresentazione teatrale
unica -> non abbiamo altre attestazioni di opere teatrali dalle origini fino al ‘400. L'unica cosa che
noi sappiamo del teatro dell'epoca dal punto di vista teorico e NON come opere, la sappiamo
grazie ad Alfonso X el Sabio perché nella sua opera Las siete partidas, tra i vari argomenti di cui
tratta, che sono argomenti di diritto soprattutto, parla anche del teatro dell'epoca e quindi di tipi di
teatro che c'erano all'epoca e di tipi di rappresentazioni che c'erano all'epoca. Pare che questo
testo sia stato composto tra la seconda metà del XII secolo ed inizio del XIII secolo, quindi a
cavallo tra 1100 e 1200. L'autore anche in questo caso è anonimo e i versi che ci sono giunti
(quindi quelli trascritti in questo codice) sono 147. La metrica è abbastanza varia, non segue uno
schema ben definito, e come dice il titolo, parla dei re Magi che sono i protagonisti principali. La
fonte è il Vangelo, in particolare drammatizza quello che è il racconto fatto nel Vangelo di Matteo.
Veniva rappresentato il periodo dell’Epifania perché i Re Magi portano i doni a Gesù appena nato
(in Spagna il giorno dell'Epifania si chiama Los Reyes, e sono i Re Magi in Spagna che portano i
regali ai bambini).

* Questo codice è stato ritrovato nella cattedrale di Toledo città importante all’epoca come incontro
tra le varie culture di cui abbiamo parlato. Non c’è una trascrizione tipica delle opere teatrali, quindi
non c’è l’introduzione del personaggio che parla, l’indicazione dei luoghi e tutte quelle indicazioni
tipiche delle opere teatrali (si scrive chi c’è nella scena, dove si svolge la scena…) però comunque
rappresenta l’unica testimonianza del genere teatrale di questo periodo. È importante perché può
essere ritenuto l’antecedente di quello che sarà un genere molto importante nel teatro spagnolo:
l’autosacramental -> una messa in scena, un’opera teatrale di ispirazione religiosa (perciò si
chiama autosacramental) dove vengono messi in scena degli argomenti religiosi e venivano
rappresentati in particolare in occasione della festività del corpus domini, cioè una settimana dopo
la Pentecoste. Di solito l’autosacramental aveva una tematica religiosa, ma si sviluppava
soprattutto intorno al tema dell’eucarestia. Nel Siglo de oro (500 e 600) Lope de Vega, Calderón
de la Barca, Tirso de Molina che saranno i grandi autori teatrali spagnoli di questo periodo,
porteranno l’autosacramental al successo, saranno capaci di comporre degli autosacramentales
meravigliosi, però l’auto de los reyes magos può essere ritenuto un’antecedente di questi
autosacramentales che arriveranno fino al 600/700, quindi comunque non è un genere che finisce
in pochi secoli.
Auto de los reyes magos è diviso in 5 scene [ in realtà non c’erano indicazioni sul manoscritto ma
con gli studi che sono stati fatti su questo testo si è inserito il nome di coloro che in quel momento
parlavano e che erano in scena/dove si svolgeva la scena, e sono state divise in 5 scene ]
Nella prima scena incontriamo i tre re magi, Caspar, Melchior e Balthasar, che vedono la stella
cometa e cominciano a interrogarsi sul significato di questa stella così luminosa (serve per indicare
la strada alla grotta dove è nato Gesù). I re magi si chiamavano così perché erano degli astrologhi,
erano degli scienziati che si interrogavano sulle stelle e cominciano a parlare. Nella seconda
scena, i magi dopo un breve confronto decidono di seguirla e vedere dove li porterà. Nella terza
scena i re magi arrivano dal re Erode perché la stella nel percorso verso la grotta, li fa passare nel
castello di Erode che era il re che in quel momento era al potere a cui i re magi dicono che è nato
un nuovo re: Erode comincia a insospettirsi e si domanda chi è il nuovo re. C’è questo momento di
dialogo tra Erode e i tre re magi e alla fine della scena Erode chiede ai re magi che una volta aver
incontrato questo nuovo re, donato i doni che portavano con loro, sarebbero dovuti tornare da lui e
dirgli dov’era questo re perché anche lui voleva conoscerlo (in realtà non voleva che ci fosse un
nuovo re che prendesse il suo posto e infatti da lì nasce la cosiddetta strage degli innocenti).
Quindi chiede ai re magi di tornare ad informarlo. Nel frattempo, i tre re magi se ne erano andati
con i loro doni (oro, incenso e mirra; l’oro è qualcosa di prezioso, l’incenso perché sale al cielo e
quindi si offre un dono che si innalza verso il cielo e rivela la natura divina, la mirra è un’essenza
profumata, un olio profumato, un dono prezioso di bellezza) e nella quarta scena c’è un monologo
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dello stesso Erode che è rimasto da solo e si domanda chi possa mai essere questo bambino che
potrebbe salire al trono al suo posto. Visto che lui da solo non riesce a spiegarsi quello che sta
succedendo inizia a chiamare tutti i saggi del suo regno scrivani, astrologi, retorici, tutti coloro che
più o meno potevano capirne qualcosa. Nella quinta ed ultima scena, arrivano i saggi che sono
degli ebrei  la religione ebraica e la religione cristiana hanno qualcosa in comune cioè hanno lo
stesso centro di discendenza, la religione cristiana nasce dalla religione ebraica, Gesù era ebreo,
però la religione cristiana vede in Gesù il salvatore, colui che viene mandato da Dio per salvare gli
uomini sulla terra, per gli ebrei il salvatore non è ancora arrivato e vedono in Gesù solo la figura di
un profeta che annuncia la venuta di un futuro salvatore. Quello che distingue gli ebrei dai cristiani
è il fatto che la religione cristiana è una religione rivelata (c’è stata la rivelazione di Cristo) mentre
quella ebraica non è ancora rilevata. Gli ebrei si basano solo sull’antico testamento. Gli ebrei,
quindi, non credono nella venuta di Gesù come salvatore e invece nell’auto de los reyes magos, si
domandano se quello che c’era scritto nelle scritture, quello che i profeti ebrei avevano
profetizzato, si fosse in quel momento rivelato. Mettono in dubbio il fatto che magari quel bambino
che era nato potesse essere davvero il salvatore e quindi degli ebrei che in qualche modo
affermavano la verità cristiana. Uno di questi rabines infatti dice:
Non entendes las profecías,
las que nos dixo Jeremías.
¡Par mi ley, nos somos erados!
¿Por qué non somos acordados?
¿Por qué non dezimos vertad?

Lui sta dicendo che il profeta Jeremiah ha predetto questo momento, perché non devono crederci?
E così finisce l’auto de los reyes magos. Finisce senza una reale conclusione perché i rabines
stanno parlando tra di loro e non c’è una conclusione definita. Questo ha fatto pensare che lo
spazio fosse finito e quindi non era stato completato il testo, ma in realtà ci sono degli studiosi che
hanno dimostrato che il testo fosse realmente così, che non era stato concluso perché era
terminato lo spazio ma perché l’autore voleva proprio che degli ebrei concludessero il testo dando
una possibilità di verità alla credenza della religione cristiana e quindi dando una superiorità alla
religione cristiana. Quest’opera termina come terminavano le dispute, senza una reale
conclusione, non c’è un vincitore e una realtà assoluta che viene affermata.
Probabilmente quest’opera era stata riportata in questo codice trovato a Toledo perché nel periodo
dell’Epifania veniva messa in scena alla cattedrale di Toledo. Una sorta di spazio teatrale comincia
a nascere in Spagna nel 500, e non erano degli edifici come i nostri teatri di oggi, erano dei
corrales, cortili dove venivano messe in scena delle opere e c’erano affacciati gli spettatori dai
balconi, erano dei luoghi preesistenti che fungevano da spazio teatrale, ma prima che nascessero
questi corrales c’erano chiese, edifici e palazzi reali ed erano questi i luoghi dove si mettevano in
scena le opere e probabilmente l’auto de los reyes magos veniva messo in scena nella cattedrale
di Toledo e veniva messo in scena dagli stessi sacerdoti, frati o preti che erano nella cattedrale
perché il clero all’epoca era acculturato, sapeva il latino, sapeva leggere e scrivere (erano degli
amanuensi, i monaci che trascrivevano le opere). Quindi probabilmente Toledo, che rappresentava
questo centro culturale così importante, vedeva anche le prime rappresentazioni teatrali nella sua
cattedrale. Il fatto che fosse rappresentato lì ha fatto sì che venisse anche trasferito nella
cattedrale di Toledo in un codice. Già l’episodio biblico può essere ritenuto un testo teatrale perché
si parla con dialoghi, ci sono dei personaggi che interagiscono, ci sono delle storie che vengono
raccontate e quindi è per questo che gli episodi religiosi fungevano all’inizio da tema per le
rappresentazioni: è come se si prendessero dalla Bibbia e poi venissero rappresentati (senza che
ci fosse una composizione ex novo delle composizioni teatrali).
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Conosciamo il tipo di teatro che veniva messo in scena grazie all’opera di Alfonso X, Las Siete
Partidas, opera legislativa che affronta anche la tematica della cultura e quindi del teatro.
Nell’opera si descrive un po’ che tipo di teatro c’era in questo periodo (nel ‘200).

 dal latino si passa al castigliano volgare


l’auto de los reyes magos è in castigliano volgare, c’è dunque una conoscenza da parte del popolo
anche di queste rappresentazioni teatrali che prima invece erano incomprensibili perché erano
appunto in latino.

 c’erano delle rappresentazioni che venivano chiamate “Auto” o “Misteri”


opere che avevano sfondo religioso, che parlavano delle vite dei santi, della vita di Cristo ecc. e
che tra l’altro avevano una rappresentazione anche in Francia perché in Francia c’era un
corrispettivo degli Autos o dei Misteri.

 juegos de los escaños


non c’era solo la rappresentazione a sfondo religioso ma comincia a nascere l’interesse anche per
qualcosa che va al di là dell’argomento religioso e nascono i cosiddetti juegos de los escaños che
erano un po’ meno accettati dalla morale corrente perché rappresentavano delle scene buffe, delle
scene satiriche, molto spesso si rappresentavano dei gesti triviali, delle parole non proprio
consone, veniva rappresentato qualcosa che era propriamente popolare e che quindi piaceva al
popolo perché non avevano delle tematiche così alte come quelle religiose. Di tutte queste scene
non abbiamo i testi, non abbiamo delle vere e proprie rappresentazioni (tranne l’Auto de los Reyes
Magos). Noi abbiamo le notizie di queste “messe in scena” attraverso las siete partidas di Alfonso
X. Se ci pensiamo anche le scene giullaresche avevano qualcosa di teatrale però in quel caso
erano rappresentate nelle piazze ed erano i giullari a metterli in scena e a raccontarli.

El mester de clerecía
Dopo la poesia epica c’è un avvicinamento a qualcosa di più evoluto: fino ad ora abbiamo parlato
del “mester de juglaria” [ mester = lavoro, iocularis = giullare ]. Piano piano però, c’è lentamente,
ma progressivamente, l’affermarsi di una più profonda coscienza letteraria. Comincia un passaggio
dal mester de juglaria al mester de clerecía. [ attenzione !! non è un’opposizione e quindi una
cancellazione del mester de juglaría perché quello continuerà ad esistere e si troverà anche nel
mester de clerecía come forme e come modalità di opere ]
Che cosa cambia tra mester de juglaría e il mester de clerecía? Cambia il tipo di mester, cambia il
soggetto che lavora: se prima era un juglar ora è il clérigo che non necessariamente era colui che
apparteneva al clero, non necessariamente era un consacrato, un sacerdote, un monaco o un
frate, ma in molti casi coincideva perché come vi ho detto coloro che facevano parte del clero
erano coloro che studiavano e che conoscevano le lettere. Il clérigo era un poeta letterato, era
colui che aveva studiato, un po’ come il protagonista de la razón de amor che diceva che aveva
studiato in Germania in Francia […] Il mester de clerecía rappresenta la continuazione, la normale
evoluzione del mester de juglaría, è un’evoluzione che avviene con l’evoluzione della società
dell’epoca, di quello che sta succedendo dal punto di vista storico ecc... Il clérigo è quindi un poeta
letterato che prende coscienza piano piano di quello che è la letteratura, l’opera letteraria, poiché
aveva una cultura alla base, aveva una cultura soprattutto classica, ecclesiastica alla base e quindi
comincia a capire che si dovevano iniziare a dare delle regole a quella che era la composizione
poetica dell’epoca. Rimaniamo ancora nella poesia, non abbiamo ancora delle opere in prosa,
siamo ancora nella poesia, ma è una poesia molto più rigida dal punto di vista delle regole perché
la struttura che viene data dai clérigos, quindi nei mester de clerecía, a queste opere, cambia: tutto
quello che in precedenza c’era di non fisso, non schematico, non ripetuto, nel mester de clerecía
viene fissato e deciso. All’anisosillabismo si contrappone l’isosillabismo cioè il verso ha sempre lo
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stesso numero di sillabe, ovvero 14: tutte le opere che appartengono al mester de clerecía [salvo
sempre degli errori che comunque possono capitare anche da parte di Gonzalo de Berceo ci sono
stati degli errori nonostante fosse un poeta che voleva proprio portare avanti il mester de clerecía
in maniera perfetta], avranno sempre 14 sillabe, il verso alessandrino (el alejandrino); prima
erano 15, 16, 12… ora sono 14 sillabe e per questo si parla di isosillabismo, cioè di sillabe di
numero sempre uguale, sempre divise in due emistichi però ora divisi sempre in 7 e 7 sillabe. La
Rima non sarà più una rima assonante ma sarà una rima consonante: questa volta a coincidere
non sono le vocali, ma le consonanti, l’accento cade sempre sulla vocale ma tutto quello che c’è a
partire da questa vocale tonica è tutto uguale, è la rima baciata, è la rima perfetta. È il contrario
della lassa che era quella che aveva versi sparsi, qui abbiamo una strofa sempre di quattro versi:
la strofa dei mester di clerecía si chiama cuaderna vía (cuaderna = 4) oppure tetrastico mono
rimato (tetrastico = 4 versi ; monorimati = sempre la stessa rima). In una cuaderna vía c’è sempre
la stessa rima consonante. Si chiama cuaderna vía perché in uno dei primi testi dei mester de
clerecía, che si chiama Libro de Aleixandre c’è questa definizione per la prima volta da quando si
è cambiato il tipo di mester e dice:
“Mester traigo fermoso, non es de joglaría
Mester es sin pecado, ca es de clerezía
Fablar curso rimado por la cuaderna vía
A sílabas cuntadas, ca es grant maestría”.

Nel Libro de Aleixandre c’è la definizione di questo nuovo mester: un mester “fermoso”, “hermoso”,
cioè bello, dove la bellezza sta nella precisione, nella rigidità seguita, e sta anche nella
contrapposizione a quello che era il mester de juglaría. “Es sin pecado” che significa è senza
errori, senza qualcosa di non preciso, qualcosa di preciso perché è un mester de clerecía. Come si
comporta questo mester? “Fablar curso rimado” cioè parla in rima, parla grazie a “la cuaderna vía”,
cioè parla grazie alla strofa della cuaderna vía. “A sílabas cuntadas”, cioè sillabe precisamente
contate che è “grant maestría”, nel senso che ci vuole tanta maestria per comporre una cuaderna
vía perché si deve mettere sempre lo stesso numero di sillabe e avere la rima. Nel Libro di
Aleixandre quindi troviamo questa definizione di cuaderna vía che ci fa capire quanto diverso sia
questo nuovo mester rispetto al mester de julgaría ma soprattutto quanto si abbia in questo
momento coscienza del fatto che per comporre un’opera ci voleva maestria, ci voleva comunque
una preparazione di base perché non era una cosa che si poteva fare così a caso, ma ci voleva
una preparazione e una cultura di base. Sicuramente ci sono degli errori, sicuramente delle volte
scappa una rima, sicuramente qualche volta il verso non è di 14 sillabe, ma comunque per la
maggior parte si segue quello che è lo schema della cuaderna vía, anche perché si comincia a
passare dall’oralità dei giullari ad una prima trascrizione di questi versi che però non erano
destinati ad essere rappresentati ma piuttosto ad essere letti in pubblico. Che cosa significa? Che
erano più o meno sempre gli stessi, non potevano essere cambiati: si passa da quello che è
l’anonimato ad una piena coscienza dell’autore di un testo che comincia a firmarsi, che comincia a
voler sottolineare l’appartenenza di un’opera alla propria creazione  Gonzalo de Berceo sarà il
primo autore che conosciamo nel Medioevo a firmare le sue opere.
Non si può dire che il mester de juglaría comincia nell’anno 1000 e finisce nell’anno 1200, e che il
mester de clerecía comincia nel 1200 e finisce nel 1350, ma più o meno durano entrambi un
secolo e mezzo. I clérigos apportano questa novità, anche perché hanno una concezione diversa
della letteratura, loro hanno studiato e quindi hanno una visione totalmente diversa rispetto a
quella del giullare che invece recepisce il testo e lo mette in scena per guadagnare.

 Libro di Aleixandre
Il Libro di Aleixandre è uno dei testi che appartiene al mester de clerecía, ed è un testo che ebbe
moltissimo successo e lo sappiamo da quante citazioni sono state fatte di questo testo in testi a lui
contemporanei. Esempio: se in un romanzo di oggi leggiamo una citazione di Dante o un sonetto
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di Petrarca, o anche un’opera contemporanea: Elsa Morante viene citata da un autore


contemporaneo. Questo ci fa capire che quel testo che viene citato nel romanzo è conosciuto, ha
avuto successo, soprattutto se si parla di testi contemporanei. Naturalmente questo non poteva
accadere nel Medioevo perché non c’era la distribuzione di libri che c’è oggi, ma il Libro di
Aleixandre lo troviamo citato nel Poema de Fernan González (un altro testo che fa parte del
mester de clerecía), nel Libro de Buen Amor di Juan Ruíz, e anche nella Carta Proemio del
Marqués de Santillana, autore del 400. Quindi il Libro di Aleixandre viene citato in un
componimento contemporaneo, in un componimento del 300 e in un componimento del 400 e
quindi un testo che ebbe tanto successo perché non solo c’è quella definizione del mester de
clerecía, ma perché rappresenta una delle prime attestazioni di questo mester e infatti risale alla
prima metà del XIII secolo. È un testo abbastanza lungo perché conta 2675 strofe (non versi ma
strofa perché nel mester de clerecía si conta per tetrastici quindi sono 2675 x 4 che sarebbe il
numero di versi di ogni strofa). Il protagonista è Alessandro Magno, è quindi uno dei primi testi che
incontriamo che non ha un argomento religioso, né parla di un eroe strettamente della cultura
spagnola, ma riprende la storia di questo grande eroe europeo, riportata nella letteratura spagnola.
L’autore è anonimo, ma si sono fatte diverse ipotesi, alcuni lo hanno attribuito a Gonzalo de
Berceo, anche se come tipo di testo non rientra nelle caratteristiche delle opere di Berceo. È stato
attribuito anche ad Alfonso X el Sabio, però stesso discorso di De Berceo, Alfonso X ha scritto
soprattutto opere storiografiche quindi questo testo non è in linea con la sua scrittura; ed è stato
attribuito anche a Juan Lorenzo de Astorga, attribuzione ritenuta più certa, di certo è il copista di
uno dei manoscritti che ci sono giunti (ce ne sono giunti 2), non si sa se è solo il copista o anche
l’autore di tutta l’opera. Il primo dei due manoscritti proveniva dal fondo di una famosa casata
spagnola “la casa de Osuna” una delle più antiche casate spagnole, che aveva un potere enorme
anche culturale. Mentre l’altro è stato ritrovato, sempre in un codice, però in un testo della
biblioteca nazionale di Parigi. L’autore in quest’opera si definisce come un bon clérigo e anche un
honrado, cioè un buon chierico onorato (dal punto di vista delle riconoscenze), si auto-esalta,
dicendo di essere un buon chierico onorato che poteva scrivere quest’opera. L’opera ha due fonti
entrambe francesi: la prima è un poema in latino medievale che si chiama Alexandreis di Gautier
de Chatillon, mentre l’altra Roman d’Alexandre, poema cavalleresco, che faceva parte del
roman pour tua, romanzo cortese francese dell’epoca. In realtà, il Libro de Aleixandre ha anche
un’influenza araba, perché viene composto sotto la dominazione araba; infatti, nel manoscritto
ritrovato nella casa di Osuna, insieme al manoscritto sono state trovate 2 lettere in prosa che
raccontano la versione araba/musulmana della leggenda di Alessandro Magno, che probabilmente
sono servite da fonti per la creazione del Libro di Aleixandre, c’è quindi un’attestazione di
un’ispirazione esplicita alle fonti arabe. Il libro parla della storia di Alessandro Magno in una
maniera abbastanza complicata, è un testo che ha una carenza di sintesi. Si racconta la storia di
Alessandro Magno ma insieme ci sono tanti altri episodi che vengono raccontati, tanto che si
sovrappongono numerosi anacronismi (ana = diverso ; chronos = tempo), dei momenti, dei
racconti in cui si va avanti e indietro nel tempo, senza una successione temporale lineare, è un tipo
di scrittura a cui noi siamo abituati -> flashback o flusso di coscienza -> all’epoca questa era una
delle prime volte in cui si utilizzava tant’è che alla fine l’intreccio della storia che racconta questo
testo è molto complicato, non c’è una comprensione facile della storia, si raccontano pure degli
episodi che non appartengono proprio alla vita di Alessandro Magno. Alla fine, si è capito che
nonostante il successo che ebbe, il fatto che la storia ruoti intorno ad Alessandro Magno è un
pretesto dell’autore per comporre quest’opera, il vero intento non era quello di raccontare
necessariamente la storia di questo eroe. Probabilmente, dato che si sta creando un nuovo modo
di comporre, il fatto che in questo testo sia utilizzata la cuaderna vía è stato ciò che l’ha reso
celebre. Tra l’altro, non è un testo che parla di eroi spagnoli, ma comunque ha un registro molto
leggendario perché in questo protagonista si mescolano profano e divino, quindi viene esaltato
l’eroe. 
 Poema de Fernán González
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Il libro di Aleixandre è uno dei primi testi che appartengono alla cuaderna vía, un altro testo è il
Poema de Fernán González. È uno dei cantares de gesta che non è giunto fino a noi che si
chiamava Cantar de Fernán González, è quello da cui prende ispirazione il poema de Fernán
González. Fernán González è quello che ha fondato la Castilla, è stato quindi un personaggio
storico abbastanza famoso. L’ispirazione viene quindi dai cantares de gesta ma è un poema scritto
in cuaderna vía e quindi, fa parte del mester de clerecía, ed è l’unico esempio di narrazione epica
nazionale nel mester de clerecía (rispetto ai testi che ci sono giunti). Le fonti da cui proviene sono
sia il cantar che ha lo stesso titolo, di cui si parla anche nella Crónica géneral di Alfonso X, sia
dalla tradizione popolare, perché il fondatore di Castilla era conosciuto per la Spagna come l’eroe
che aveva dato vita alle popolazioni di quella zona, sia dalla citazione fatta su Fernán González in
un’opera di Gonzalo De Berceo che si chiama Vida de San Millán (Gonzalo de Berceo ha vissuto
nel monasterio de San Millán *dove sono state ritrovate las glosas emilianenses* ed ha dedicato a
San Millan un’opera). In quest’opera c’è un racconto della vita (biografia) di Fernán González che
ispira il poema.
Nel Poema de Fernán González si racconta della vita di questo personaggio, di questo eroe, e in
particolare della nascita della Castiglia (per cui lui rappresenta proprio il fondatore di questa
regione). La Castiglia è vista come un centro/paradigma della religione cattolica e quindi della
cristianità, ma è anche come centro politico, con una forte importanza politica. Lo stesso eroe, che
è un eroe esemplare, rappresenta un poco come il Cid, un personaggio profondamente religioso
che si rivolge sempre a Dio, e prega Dio in qualsiasi situazione difficoltosa o in battaglia; inoltre è
un grande guerriero che vince tante battaglie di fronte all’esercito nemico, ed è anche il miglior
governatore. Quindi c’è l’esaltazione di un luogo (che è la Castigliae dell’eroe che fonda questo
luogo (che è dunque Fernán González). Si parla anche della Spagna proprio come nazione che
viene esaltata a sua volta per la floridità delle sue terre, per la centralità del luogo in cui si trova, e
per come viene posizionata geograficamente (si trovava infatti sul mare e in Europa). Di tutte
queste indicazioni, si arriva poi ad un’esaltazione nazionalistica molto profonda -> quindi il poema
de Fernán González rappresenta un’opera a sfondo patriottico molto profondo. Nonostante ciò, ci
sono molte inesattezze dal punto di vista storico e topografico, e questo ci fa capire come questa
non sia un’opera storiografica (perché sennò ci sarebbero tutte le indicazioni ben precise dal punto
di vista storico) ma sia piuttosto un’opera letteraria, un poema, il cui scopo è quello di esaltare la
Spagna, la Castiglia, e l’eroe che appunto ha fondato questa regione, e che la rappresenta. Tra
l’altro si dice che di tutta la Spagna, la parte migliore sia proprio la Castiglia (quindi vedete ancora
una volta l’esaltazione di questa zona, la quale diventa proprio il modello da prendere dal punto di
vista storico, politico e naturalistico). 
 El Libro de Apolonio
È il terzo testo importante del mester de clerecía. Apollonio era il re di Tiro, un’antica città
dell’attuale Libano (il Libano si trova in Asia occidentale/Vicino Oriente), di questa ad oggi
rimangono pochi resti. Il testo è quindi dedicato al re Apollonio. Probabilmente, per quanto è stato
studiato, si stima che sia il primo testo composto in cuaderna vía (nel libro de Aleixandre c’è il
riferimento a cosa sia il mester de clerecía, ma il primo testo !! forse !! composto in cuaderna vía è
il libro de Apolonio). Anche questo è un testo abbastanza lungo, in quanto è formato da 2624
tetrastici (2624 strofe ognuna formata da 4 versi, quindi è un poema che ha moltissimi versi, 2624
× 4). La maggior parte dei versi dell’opera, rispetta le regole del mester de clerecía, e l’opera si
può datare intorno al 1230/1235. Di questo testo ci è arrivato un manoscritto in un altro codice che
conteneva i due poemetti giullareschi a sfondo religioso, Llibre dels tres Reys d’Orient e La vida de
Madona Sancta María Egipciaqua. Quindi in questo codice c’erano questi due testi, questi due
poemetti giullareschi e in più c’era anche il libro de Apolonio. La fonte del libro de Apolonio è una
fonte greca che però non è mai giunta a noi. E allora come facciamo a sapere che c’era una fonte
greca? Lo sappiamo grazie al fatto che ciò è stato raccontato in un altro testo -> c’è infatti una
fonte latina che deriva dalla fonte greca, e il suo titolo è Historia Apollonii Regis Tyri (= storia di
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Apollonio re di Tiro). Il libro de Apolonio però non è la traduzione né della versione greca né della
versione latina, ma è un testo che ha subito molte variazioni grazie all’autore che lo ha composto, il
quale ha seguito una normale trasformazione dei testi che avveniva all’epoca perché appunto
prima si prendevano le fonti e poi queste si adattamento all’epoca in cui venivano poste.
Apollonio, eroe e protagonista dell’opera, si può dire che è il secondo tipo di eroe che incontriamo
nel nostro percorso letterario: 

 il primo tipo di eroe è il Cid, eroe cui arma era la spada, lui si difendeva con la spada, la
quale era una sua fedele compagna (così come si vede anche dal nome che gli assegna).

 Il secondo tipo di eroe è Apollonio, lui a differenza del Cid ha un altro tipo di arma: la
cultura e le arti, perché era un uomo che sapeva cantare, suonare, giocare, fare sport,
sapeva anche leggere e concorrere quindi tutte queste conoscenze, tutte queste arti,
servono a lui come arma per andare avanti, per riuscire a sopravvivere durante le varie
vicissitudini. 
Trama della storia: Apollonio è innamorato della figlia del re di Antiochia (altra vecchia regione
del Vicino Oriente) che si chiamava Antioco. Antioco aveva detto che sua figlia poteva sposare
solo chi avesse risolto un indovinello, e naturalmente Apollonio ci riesce perché era un
“intellettuale” e aveva una grande cultura. Però Apollonio, risolvendo l’indovinello, fa venire a galla
che la sua soluzione era un rapporto incestuoso tra padre e figlia, e quando Antioco si rende conto
di essere stato scoperto poiché l’indovinello era stato risolto, fa chiamare Apollonio a corte, ma lui,
con la sua intuizione, capisce che non era il caso di recarsi da lui e decide di scappare. Comincia
così un lungo viaggio dove si susseguiranno una serie di eventi negativi: il primo è un naufragio ->
Apollonio naufraga sulle coste del regno di Architrastes (nome del re del territorio). Il re
Architrastes riconosce questo povero naufrago che aveva perso tutto, il quale appunto non era
più vestito da re, non aveva più beni, e anzi non si voleva far riconoscere come un vecchio re che
aveva perso tutto proprio perché aveva vergogna. Il re Architrastes però, riesce a vedere che
quest’uomo era molto preparato, e infatti gli chiede di diventare il maestro di musica e di canto di
sua figlia Luciana. Dopo qualche lezione, si innamorano, e tra l’altro poi, avviene il riconoscimento
come re di Apollonia. I due si sposano e decidono di ritornare a Tiro, nel regno di Apollonio.
Luciana intanto è incinta, si rimettono in viaggio, e Luciana partorice così durante il viaggio una
bambina che si chiama Tarsiana. Luciana, nel momento in cui sta partorendo, sembra morta: dà la
luce alla bimba e sembra non riuscire a riprendere i sensi. Tutti coloro che erano sulla barca
pensano che Luciana sia effettivamente morta e quindi la mettono su un’imbarcazione e la
lasciano nelle onde insieme ad una sorta di sepoltura, e quindi anche con del denaro, dei fiori ecc.
In questo momento le storie di questi personaggi prendono strade diverse: Apollonio disperato,
pensando di aver perso il suo amore, affida la bimba ad alcuni amici e parte per l’Egitto. Intanto
Luciana, che non è morta, si riprende una volta che era approdata ad Efeso (altra città importante
dell’epoca) dove viene accolta, e come ringraziamento, e grazie anche ai beni e alle monete che
aveva con sé nella barca, diventa sacerdotessa di Diana (dunque si eleva un Tempio dedicato a
Diana e di questo ne diventa sacerdotessa). Passati 13 anni, Tarsiana ormai è diventata una
ragazza, la quale anche lei ha vissuto parecchie vicissitudini: era stata venduta come schiava,
diventa giullaressa e quindi diciamo che acquisisce le stesse capacità artistiche di suo padre
poiché canta e suona benissimo, ed è proprio grazie alla musica che Tarsiana e Apollonio riescono
ad incontrarsi. Apollonio si trovava a Tarso, e mentre Tarsiana stava facendo un suo spettacolo
con le sue capacità musicali, viene riconosciuta da suo padre; si ha dunque il momento
dell’incontro con sua figlia -> la parola giusta è agnizione che indica il momento del riconoscimento
tra due persone che avviene di solito all’interno di un romanzo (il momento della svolta che
avviene nei romanzi, in cui ci sono due personaggi che si rincontrano, in cui si capisce che cosa è
successo, in cui un personaggio ha una rivelazione). Il momento in cui Tarsiana e Apollonio si
rincontrano/si ritrovano è il momento dell’agnizione, in quanto si riconoscono, si ha una rivelazione
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(notiamo quanto è importante l’arte in questo testo perché fa unire le persone). Successivamente, i
due riescono anche a ricongiungersi con la madre Luciana. Oltre a questo ricongiungimento della
famiglia, Tarsiana riesce a trovare anche la felicità perché si sposa con l’uomo che l’aveva fatta
schiava, che la faceva lavorare come giullaressa. In più Apollonio riesce anche a conquistare il
regno di Antioco, in quanto il re Antioco e la figlia erano morti, e poi riescono tutti felici e contenti a
ritornare a Tiro. 
Si tratta quindi di un testo che ha dei protagonisti che sono nobili, proprio perché si parla di re o
comunque di una famiglia di re che portano avanti delle doti morali, culturali, artistiche molto
elevate che si trasmettono di padre in figlio (sia Apollonio che Luciana le trasmettono alla figlia).
Tra l’altro si ha anche il concetto di onore (che era quello che si trovava anche nei cantares de
gesta come nel Cid) che alla fine viene riscattato, perché comunque dopo tutte queste vicissitudini
e dopo tutti questi momenti difficili della vita di Apollonio, lui alla fine riesce a riscattarsi e a
riconquistare non solo il regno di quel re che all’inizio lo aveva messo in difficoltà, ma riesce anche
a ritornare re del suo regno che è il regno di Tiro. Lo scopo del libro di Apollonio è uno scopo ben
preciso (che poi è lo scopo che abbiamo visto fino ad ora anche nei cantares de gesta), cioè la
funzione moralizzante, l’insegnamento. Ancora una volta si insiste sul fatto che il male è punito,
che il bene vince sul male, e che per raggiungere il bene, che dà sempre un premio e gioia il fatto
di praticarlo, bisogna attraversare diverse vicissitudini, come anche Apollonio ne vive diverse.
Rispetto ai testi dei cantares de gesta che erano solo di insegnamento senza badare all’aspetto
anche piacevole del racconto, con queste opere del mester de clerecía si segue una visione del
deleitar aprovechando -> si racconta qualcosa di piacevole, quindi intrattiene, interessa il 
pubblico, ma allo stesso tempo il pubblico ne prende le cose positive e quindi impara; sarebbe
letteralmente “diventare approfittando”, ovvero prendendo un insegnamento dal fatto che si insegni
qualcosa però con piacere, quindi ci si intrattiene e si insegna qualcosa. Questo in realtà lo
vediamo anche già dai poemetti giullareschi, quelli che appunto avevano una funzione didattica. Il
libro di Apollonio segue questa visione deleitar aprovechando perché racconta una storia che tiene
sulle spine, perché succedono varie cose, però nel frattempo si presenta come una storia
piacevole che alla fine dà un insegnamento. 
I poemi letterari che seguono il libro di Apollonio (abbiamo visto le fonti: una fonte greca che poi è
arrivata a noi in una fonte latina e i vari testi medievali francesi) sono quelli propri dell’epoca,
perché ritroviamo degli elementi che si possono far risalire anche alla letteratura araba del periodo:
siamo sotto la dominazione araba, c’è sempre l’influsso della cultura e della letteratura e il tema
dell’indovinello (che è quello che Apollonio deve capire all’inizio) è proprio un tema della letteratura
araba (infatti in questo periodo si cominciano a tradurre delle opere arabe). Anche il tema del
viaggio proviene dalla letteratura araba: Apollonio viaggia tantissimo, naufraga, continua a
muoversi, sua moglie e sua figlia viaggiano ecc. Il tema del viaggio è un tema che proviene dalla
cultura greca (es. dell’Odissea in cui Ulisse viaggia) poi si trasforma nelle altre culture e arriva
anche attraverso la cultura araba in Spagna.
Altro modello letterario, che viene fondato dal libro di Apollonio, è quello del personaggio della
mezzana -> la mezzana è un personaggio che ritroveremo anche nel Libro del buen amor, si
chiama mezzana perché si trova in mezzo tra uomo e donna, cerca di far fidanzare l’uomo e la
donna, di solito è l’uomo che si rivolge a questo personaggio per intercedere con la fanciulla e in
spagnolo si chiama alcahueta. In realtà compare molto nel libro di Apollonio poiché si tratta di un
personaggio che si trova alla corte di Antioco, (questa mezzana che aiuta la figlia di Antioco a
risolvere delle problematiche). C’è dunque un accenno a questo modello letterario che sarà
presente nel libro del buen amor e che si affermerà completamente con la Celestina, un’opera
della fine del 400. 
Altro modello letterario è quello della picara -> la letteratura picaresca è quella del siglo de oro, del
periodo del rinascimento perché nasce il modello letterario del picaro, di questo ragazzino che in
qualche modo sopravvive (dal verbo “picar” che come le galline mangiano piccoli pezzettini)
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perché di solito era un ragazzino povero che doveva trovare dei mezzi per sopravvivere. In questo
caso, Tarsiana, la figlia di Apollonio, è una ragazza che viene venduta anche come schiava e che
comincia ad essere una “giullaressa” comincia a svolgere proprio questo lavoro (la femmina del
giullare). Da giullaressa passa a questo modo di vivere delle ragazze e dei ragazzi dell’epoca in
qualche modo per andare avanti e per sopravvivere, quindi guadagnarsi da mangiare. Grazie alle
sue doti musicali che le derivavano i genitori, lei riesce a sopravvivere. Si può dire che è il diretto
antecedente di quello che sarà il picaro del Siglo de oro. Molto probabilmente anche prendendo
spunto da questo personaggio di Tarsiana, nasce il picaro, e tra l’altro si dà attenzione ad un
personaggio popolare: di solito come protagonisti abbiamo i re, i nobili, i combattenti o i personaggi
religiosi; invece, la letteratura picaresca comincia a dare importanza a questi personaggi dei bassi
fondi, ai personaggi popolari. Sarà il preludio a quella che sarà la gitana. È famosa La Gitanilla di
Cervantes che è una novela ejemplar dell’autore riguardo la figura della gitanilla, di questa ragazza
che canta, balla e appartiene al popolo gitano, una classe popolare.
Il libro di Apollonio, dunque, utilizza delle fonti e dei modelli letterari che erano presenti in Spagna,
come appunto la letteratura araba, l’indovinello, il viaggio, l’essere cortese che caratterizza il
protagonista, ma crea anche dei modelli letterari e dà il via a quelli che saranno dei modelli letterari
futuri. Notiamo anche come interagiscono profondamente la letteratura e la cultura araba con
quella spagnola.

Gonzalo de Berceo
È il primo autore di cui sappiamo il nome e il cognome. Gonzalo de Berceo è il primo che firma
esplicitamente le sue opere, il primo autore che utilizza l’autonominatio -> si autonomina
all’interno delle opere (non solo nei Milagros de nuestra Señora, ma anche in altre sue opere)
spesso troviamo l’affermazione “yo Gonzalo de Berceo llamado escribí este libro”. C’è una
rivendicazione della paternità di quei testi, ma non per un’esaltazione di successo o di essere
conosciuto quanto più possibile, ma perché aveva uno scopo ben preciso: insegnare. Il fatto di
esporsi e scrivere il proprio nome è una novità profonda nella letteratura spagnola (tra le
caratteristiche abbiamo parlato dell’anonimato) e da questo momento si comincia ad avere la
visione dell’appropriazione della creazione letteraria (questo non significa che inizieranno tutti a
firmare le proprie opere, troveremo ancora opere anonime).
Gonzalo de Berceo nasce negli ultimi anni del 1100, probabilmente, prima del 1196, e muore
probabilmente intorno al 1260. Noi in realtà abbiamo dei documenti sulla sua reale esistenza,
sappiamo la sua formazione, sappiamo dove è vissuto, ma non abbiamo né atti di nascita né atti di
morte, abbiamo delle notizie da prima del 1196 fino a prima del 1260, perché dopo non si hanno
più notizie e quindi probabilmente era morto. Nacque a Berceo (perciò si chiamava Gonzalo de
Berceo) che si trova a nord della Spagna e si forma in uno dei monasteri più importanti, il
monastero di San Millán de la Cogolla. Il monastero si trova a nord nella regione della Rioja, e
Gonzalo de Berceo si forma lì perché fu un sacerdote, un clérigo in tutti i sensi, non solo poeta
letterato ma anche poeta letterato sacerdote. Lui si forma nel monastero di San Millán e resta lì
tutta la vita, dedica la sua vita al servizio in questo monastero e alla scrittura delle opere. Era un
uomo acculturato che conosceva sicuramente il latino, ma lui affermava di non conoscerlo e di
dover scrivere necessariamente in volgare. Quest’affermazione era completamente falsa perché:
1. era un sacerdote, non poteva non conoscere il latino; 
2. le fonti delle sue opere sono anche latine (tra le altre fonti)  
Lui diceva di non conoscere il latino perché in realtà voleva avere una platea quanto più amplia
possibile di lettori o di conoscitori delle sue opere, proprio perché il suo era un intento di
insegnamento. Il popolo non conosceva il latino e quindi attraverso il volgare castigliano si riusciva
ad arrivare a molte più persone.
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Molte notizie sulla sua vita le sappiamo attraverso le sue opere, perché lui non solo fa questa
autonominatio all’interno delle opere, ma parla anche di sue esperienze, di dove ha vissuto, cosa
ha vissuto, cosa ha fatto ecc. e poi abbiamo dei documenti, essendo un sacerdote, avendo avuto
varie canonizzazioni, si trovano anche documenti veri/reali e legislativi sulla sua vita (tranne le date
di nascita e di morte che sono non sicure).
Berceo vuole insegnare la vita perfetta dell’uomo, vuole dare delle indicazioni all’uomo su come
vivere la vita terrena e anche la vita dell’aldilà [ infatti tutte le sue opere hanno una tematica
religiosa ]. La lingua utilizzata da Berceo è una lingua molto semplice, ma la struttura che egli dà
alle sue opere è molto ricercata perché utilizza la cuaderna vía e la utilizza nella migliore forma
possibile (sicuramente ci sono delle opere dove salta l’alessandrino e salta qualche volta la rima,
però comunque per la maggior parte delle volte, lui segue la cuaderna vía in maniera perfetta). La
forma è ricercata e precisa, mentre il contenuto è semplice nella sua esposizione sempre perché
deve essere compreso da tutti. È chiamato poeta ajuglarado (= giullarizzato) perché molto
spesso utilizza delle formule della juglaría, che posso essere delle riflessioni, dei momenti in cui si
richiede l’attenzione, ma anche delle richieste di ricompense future, dato che in questo caso sono
ricompense celesti e non terrene, che erano proprie della juglaría ed è per questo viene definito
“poeta ajuglarado” -> nella sua perfezione del portare avanti il mester de clerecía comunque
non abbandona completamente quella che era la juglaría. 
Lui unisce le sue opere in trilogie, cioè tre opere per ogni gruppo. Il numero tre è un numero
importante nella religione cristiana (la trinità, il 3 come numero perfetto), infatti lui anche nei
milagros darà attenzione a questo numero. 
Scrive tre vite dei santi:
1. Vida de San Millán de la Cogolla – lui utilizzava le sue opere per pubblicizzare questi
monasteri dedicati a questi santi, perché magari arrivavano i pellegrini che facevano queste
offerte
2. Vida de Santa Oria
3. Vida de Santo Domingo de Silos

Scrive tre opere esegetiche -> l’esegesi è quell’interpretazione del significato di alcuni
avvenimenti: quando io dico “faccio l’esegesi dell’accaduto” vado ad analizzare che cosa è
accaduto, come, quando, perché. Le opere esegetiche parlano infatti di verità riguardanti la
religione cristiana.
1. Sacrificio de la misa – parla dell’eucarestia, quindi del sacrificio di Gesù che diventa corpo
e sangue;
2. Los signos que aperecerán ante el juicio – chiamato anche los signos del juicio final in
cui si parla dei segni che ci saranno prima del giudizio universale
3. El martirio de San Lorenzo – l’unica opera rimasta incompleta

Scrive tre opere dedicate alla Madonna:


1. Milagros de Nuestra Señora – il più importante tra i tre
2. Loores de Nuestra Señora
3. El planto que fizo la Virgen el día de la Pasión se su fijo – detto anche el duelo de la
Virgen
Quindi tre opere dedicate ai santi, tre opere esegetiche, tre opere dedicate alla Madonna e tre inni.
Tutti scritti in versi naturalmente perché siamo nel mester de clérecia con la cuaderna vía. In realtà
Gonzalo de Berceo riesce in qualche modo ad insegnare, le poesie esegetiche sono rivolte a
insegnare qualcosa perché spiegano quelli che sono dei canoni precisi della religione cristiana. 
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In qualche modo queste opere sono giunte fino a noi proprio perché lui si trovava in un Monastero
e quindi sono state conservate nel monastero, forse trascritte da lui, non si sa. Notiamo che
iniziano ad esserci più notizie certe e meno teorie. 

Milagros de Nuestra Señora


Si parla dei miracoli della Madonna, della Vergine Maria. I miracoli rappresentano degli interventi
della Madonna, ma la parola milagros in questo caso può essere ritenuta un sinonimo di storia,
racconto e si chiamano milagros perché in tutti i racconti c’è un intervento della Vergine a favore di
un personaggio presente nella storia. Questi milagros, dunque, rappresentano tutti racconti
esemplari perché la Vergine è la protagonista delle azioni o quanto meno quella che agisce per
cambiare le cose. L’ejemplo/milagro era un escamotage letterario derivante dalle prediche dei
sacerdoti siccome c’erano delle omelie/formule fisse utilizzate dai sacerdoti durante le liturgie
dell’anno per dare un insegnamento. L’omelia è fatta per spiegare le letture del giorno durante la
messa e per dare un insegnamento. Da lì si ritraevano le storie e il popolo che ascoltava questi
milagos probabilmente già conosceva alcune di queste storie siccome ritornavano nelle prediche
che ascoltavano a messa.
Spiegazione deus ex machina = nei teatri antichi non c’erano macchinari moderni, all’inizio nel
teatro venivano usate tutte cose rudimentali e nelle rappresentazioni all’improvviso compariva un
personaggio che risolveva la situazione. Di solito veniva calato dall’alto del palcoscenico
e rappresentava il personaggio di svolta della storia che aiutava a risolvere la situazione. Quello
veniva chiamato deus ex machina – il Dio che arriva guidato da una macchina – da quel momento
questo significato si è esteso a qualsiasi evento, o soprattutto personaggio, che risolve la
situazione. Maria in questa opera rappresenta il deus ex machina cioè interviene per risolvere la
situazione, non è ovviamente calata dal cielo come nei teatri ma compare nel racconto. 
Di quest’opera abbiamo tre manoscritti e diverse fonti sia latine che francesi. La fonte principale
che utilizza Berceo è latina e si chiama Codice Thott 128 e si trova oggi nella biblioteca di
Copenaghen. Poi ci sono delle raccolte di racconti esemplari (che danno degli esempi come
appunto sono i milagros): due di area francese e una di area spagnola. La prima fonte è 49
Milacre de la Vierge risalente alla fine del 1100 e di area anglo-normanna. L’altra Les Miracles
de Nostre Dame del ‘200 scritta da Gautier de Coincy. Dell’area spagnola abbiamo Cantigas de
Santa Maria di Alfonso X, 420 poesie dedicate alla Vergine da parte del re Alfonso X. Grazie a
tutte queste fonti ne prende 24 e li riadatta a seconda delle sue esigenze e poi ne aggiunge un
venticinquesimo; quindi, in tutto i miracoli sono 25, 24 da queste fonti e il venticinquesimo da fonti
sconosciute. Perché 25? 5 è il numero della Madonna, tant’è che il mese dedicato alla Vergine è
maggio, il quinto mese dell’anno, e 25 è un multiplo di 5. Questi 25 milagros sono preceduti da una
introduzione che ci fa capire che tipo di scrittore è Berceo e come si comporta nei confronti del
pubblico.  
Di che cosa parlano questi milagros? Abbiamo detto che sono esempi, racconti esemplari, dunque
hanno come tematica qualcosa che può avvenire nella vita quotidiana di chiunque. Si unisce la vita
quotidiana di questi personaggi di cui si raccontano le storie, con l’intervento della Vergine; si
unisce un aspetto di realtà che è quello della vita quotidiana insieme ad un aspetto inverosimile,
surreale e cioè l’intervento della Vergine nella vita dell’uomo -> vita terrena e vita ultraterrena si
uniscono. La Vergine aiuta i suoi devoti, quelli che si rivolgono a lei, e anche se sono dei
disgraziati che, come vedremo, hanno una vita terribile, se si rivolgono a lei, la Vergine porge il suo
intervento divino. Il personaggio, dunque, viene salvato nel momento in cui dimostra, con segni
tangibili, amore e dedizione verso la Vergine (anche se appunto ha commesso atti terribili). 
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Il protagonista, che di solito è sempre un uomo, rappresenta un vassallo sottomesso al volere della
Vergine; quindi, c’è alla base dei milagros una cultura cortese, dell’ossequio alla donna. 
Come appare la Vergine? Appare sotto diverse vesti, non sempre è semplicemente colei che è al
di sopra delle parti e interviene, a volte ha anche degli aspetti umani come la gelosia, si
ingelosisce dei propri fedeli, a volte si cela anche sotto la veste dell’amministratrice della giustizia,
altre volte prende il posto di suo figlio e ridà la vita a chi già era morto, oppure si oppone alla morte
di qualcuno che era stato condannato. Ritroviamo diversi aspetti di questa Vergine, è una figura
molto umanizzata che prova dei sentimenti di un essere umano, ed è una madre generosa che
perdona i suoi figli. Altre volte funge da intermediario tra l’uomo e l’aldilà, si pone come
intermediario con Cristo e Dio affinché vengano perdonati i peccati degli uomini che si rivolgono a
lei. Sia essa umanizzata, sia essa donna con poteri dell’aldilà, sia essa una madre amorevole
rappresenta un tramite tra la terra e il cielo e anche un modo per avvicinare l’uomo al cielo che
quindi capisce che la vita ultraterrena non è poi tanto lontana ma vi può accedere facilmente
quando vuole -> questo è l’insegnamento: non bisogna scoraggiarsi perché l’intervento divino può
avvenire in qualsiasi momento. 
I Milagros hanno tutti una struttura ben precisa, sono tutti strutturati secondo un susseguirsi di
informazioni:

 C’è di solito un prologo breve o lungo che sono dei versi di introduzione al racconto.
 A volte troviamo successivamente una localizzazione cioè il luogo dove si svolge la storia
Non c’è una localizzazione spagnola, tranne per tre milagros (1, 18, 24) che sono ambientati in
Spagna. I primi due sono ambientati a Toledo, e l’altro in Castiglia. Questo sempre perché non
voleva che l’insegnamento si riducesse alla Spagna ma fosse universale.

 Non c’è mai un tempo preciso tranne nell’esempio XXIV dove si dà il riferimento
cronologico esplicito
Nell’esempio XXIV c’è il riferimento cronologico specifico perché è un evento storico, parla di
Fernando III re di Castiglia y León morto nel 1252. L’esempio XXIV è quello aggiunto, lui aggiunge
un esempio ai 24 che aveva preso dalle fonti che non è il XXV ma il XXIV. Questo viene aggiunto
in una seconda stesura e infatti non ha la struttura fissa degli altri. Il fatto che nei milagros (tranne
nel XXIV) non ci sia un riferimento cronologico vuol dire che c’è una universalità del tempo e ciò fa
sì che anche chi lo legga in futuro possa immedesimarsi nell’insegnamento specificato dei
milagros. 

 Subito dopo la localizzazione c’è la presentazione del personaggio protagonista


anche in questo caso abbiamo un anonimato del protagonista, quasi mai il protagonista ha un
nome perché così il lettore può immedesimarsi. Non ha un nome ma ha una caratterizzazione di
mestiere, di cosa fa nella vita ecc. 

 Subito dopo la presentazione del personaggio si racconta la vicenda


Si racconta cos’è successo, come interviene la Vergine nella vita dei personaggi

 la narrazione si conclude con un epilogo


l’epilogo si contrappone al prologo che esplicita una morale e, tra l’altro, a volte si esplicita anche il
motivo per cui il miracolo è stato inserito nel testo (l’epilogo a volte c’è e a volte non c’è).
Lettura delle strofe
INTRODUZIONE [ adesso non ci sono più i versi numerati ma le strofe ]
1 Amigos e vassallos de Dios omnipotent, 
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si vos me escuchássedes por vuestro consiment, 


querríavos contar un buen aveniment: 
terrédeslo en cabo por bueno verament. 

STROFA 1 La prima cosa che notiamo è la formula giullaresca amigos y vassallos utilizzata per
attirare l’attenzione del pubblico, in particolare lui si rivolge ad un pubblico specifico cioè i credenti
(… de Dios omnipotent).
Consiment significa piacere, a vostro piacimento. Berceo con questo vuole suggerire ai suoi lettori
di ascoltarlo perché così facendo loro trarranno piacimento, giovamento (si rifà al “deletar
aprovechando” con Apollonio) -> se si prova piacere a leggere al tempo stesso si impara qualcosa;
infatti, è proprio questo l’obiettivo di Berceo: insegnare qualcosa.  
Egli sta dicendo che la sua opera è piacevole e che vuole raccontare qualcosa di bello buen
aveniment sicuramente non sarà qualcosa di negativo. 
buen aveniment  è la buona novella, il vangelo, il bell’annuncio della venuta di Gesù. Quindi
Berceo sta annunciano che la sua novella sarà qualcosa di buono. Berceo con questa prima strofa
sta facendo una captatio benevolentiae, sta catturando la visione buona del lettore [ gli sta
dicendo “leggimi che non te ne pentirai” ] 
La prima strofa dell’introduzione invoca il lettore e illustra la materia alla quale si sta avvicinando. 
STROFA 2/3/4/5 Il protagonista del testo è arrivato in un locus amoenus; questo è uno dei loci
ameni più importanti della letteratura spagnola, è una descrizione di un prato meraviglioso che ha
tutto quello che si può ricercare e trovare in un posto paradisiaco. 
La prima cosa da notare è l’autonominatio – Yo maestro Gonçalvo de Verceo nomnado” – lui è il
protagonista di questo yo che parla che si chiama Gonzalo de Berceo – oltre a quest’opera si trova
la sua firma anche in altre opere come Vida de San Millán de la Cogolla. Troviamo l’autonominatio
con un appellativo che è maestro -> con questo lui sta sottolineando non che sa le cosa, ma che è
un titolo riservato o ai confessori oppure a color che avevano studiato all’università. 
yendo en romería – il romero è il pellegrino, questo è un termine che troveremo spesso nei
milagros perché il pellegrino è la metafora dell’uomo, l’uomo che è pellegrino sulla terra perché
affronta il viaggio della vita in constante; pellegrinaggio infatti è la romería. Gonzalo de Bereco
afferma che nel suo pellegrinaggio arriva in questo prato, è un posto dove non si cerca nient’altro,
c’è dove rinfrescarsi, riscaldarsi, dove magiare, fiori, frutti ecc... 
Ci sono inoltre le 4 fonti dei 4 angoli del prato che sgorgano, gli alberi; il riferimento al melo è un
riferimento a Adamo ed Eva e alla mela colta nell’Eden.  
Notiamo che ogni strofa cambia la rima consonante.
STROFA 6 Mai ha trovato un luogo così meraviglioso per fermarsi e si riposa togliendosi di dosso
quel peso, quella zavorra che portava con sé; il pellegrino porta sempre con sé uno zaino leggero
per non affaticarsi, ma anche se è leggero con la stanchezza pesa comunque. Il fatto di scaricarsi
di questo peso dà sollievo, si cela anche un significato metaforico dietro questa immagine: il
pellegrino porta con sé un peccato, il peccato dell’uomo, di cui si libera nel momento in cui arriva in
un luogo del genere.  
STROFA 7 Dopo aver descritto il prato comincia a descrivere gli abitanti che lo popolano e i primi
sono gli uccelli, che non cantano a caso, ma cantano tutti in accordo tra di loro – nunqua udieron
omnes órganos más temprados – lo abbiamo incontrato anche nel Cid, quando gli uccelli volavano
all’unisono significava che tutto era andato nel verso giusto, tutto era perfetto; in questo caso gli
uccelli sono accordati tra di loro perché dovevano fare un suono perfetto, nei milagros hanno
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significati diversi. Gli uccelli che non sapevano cantare bene non si accostavano proprio a questo
locus amoenus che è perfetto. Anche nella strofa VIII si parla degli uccelli. 
STROFA 9&10 Sta continuando la descrizione dell’aspetto sonoro del prato, ma soprattutto dice
che per quanto possano essere descritte tutte le bontà che c’erano nel prato non si riuscirebbe a
far comprendere neanche la metà di quello che c’era.  
STROFA 11 Anche il prato è perfetto, è sempre verde sia in inverno che in estate, non muta mai la
sua bellezza, la sua bellezza resta sempre integra. 
STROFA 12 Nel momento in cui si stende per terra dimentica tutte le sue preoccupazioni, tutto
quello che fino a quel momento lo aveva fatto disperare e soprattutto dice che chiunque capita in
quel luogo è fortunato.  
STROFA 13 Potevano raccogliere i fiori ma per quanto lo facevano ne nascevano altri tre-quattro;
quindi, il prato non perdeva mai la bellezza dei fiori, si poteva prelevare tutto quello che si voleva
perché non terminava mai.  
STROFA 14 Si potrebbe paragonare questo prato al Paradiso, dove Dio ha profuso tanta grazia e
tanta bellezza come il Paradiso Terreste.  
STROFA 15 Se Adamo ed Eva avessero mangiato i frutti di questo giardino dove è arrivato il poeta
non sarebbe successo quello che è successo con il peccato originale, quando Eva fa mangiare
sotto la spinta del serpente la mela ad Adamo e cioè non sarebbero stati cacciati dal paradiso
terrestre.
Fino alla strofa 15 c'è la piccola introduzione con il nome dell'autore con una preparazione a quello
a cui dovrà assistere il lettore e la descrizione del luogo dove è arrivato il poeta, ma l'introduzione
ha un doppio piano: un piano allegorico e uno esplicito; proprio perché Berceo vuole che
l’insegnamento arrivi a chiunque l’allegoria non la lascia da sola, ma la spiega e la esplicita. 
Dalla strofa XVI inizia a spiegare l’allegoria  
STROFA 16 Riprende prima di tutto la formula giullaresca dell’inizio “Señores e amigos” come se
stesse iniziando una nuova fase, poi riprende l’attenzione e dice “guardate che quello che abbiamo
detto è oscuro, non si capisce bene, quindi vogliamo spiegarla”. Berceo non lascia mai nulla al
caso o all’interpretazione libera perché sapeva che l’interpretazione libera poteva essere sbagliata
siccome parlava con un popolo ignorante. Per esplicitare la sua intenzione di spiegazione utilizza
una metafora: l’albero. L’albero ha una corteccia e un midollo, la corteccia è la parte esterna
mentre il midollo è quello che c’è dentro e non si vede perché è coperto dalla corteccia. Berceo ci
sta dicendo di togliere la corteccia all’albero ed entrare nel midollo per prendere l’essenza e
lasciamo quello di fuori. Quindi, togliamo la parte che si vede ed entriamo in quello che c’è
all’interno, perché è quello che c’è all’interno che ci interessa. La parte esteriore (la corteccia) è
quello che ha detto sino ad ora, mentre il midollo è quello che inizia a spiegare da questo
momento.  
STROFA 17&18 Tutti siamo pellegrini (romeo-romeria) come dice anche San Pietro, e tutti noi che
viviamo in questa terra viviamo in un momento di esilio (“en ageno” che sarebbe un altrove),
momento passeggero che ci fa aspettare qualcosa che è più durevole: la vita eterna. Cioè siamo
pellegrini in questa vita terrena e la attraversiamo per poi giungere alla vita eterna, il nostro è un
pellegrinaggio terreno che conta ad arrivare alla meta che è la vita eterna; infatti, dice che il nostro
pellegrinaggio termina quando inviamo le nostre anime in paradiso.  
STROFA 19 Durante questo pellegrinaggio arriviamo in un bel prato e quindi comincia a prendere
tutte le immagini della prima parte e a spiegarle: la prima è il prato che rappresenta la Vergine che
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accoglie il pellegrino. Quindi la prima esplicitazione dell’allegoria è proprio il prato che rappresenta
la Vergine che sottoforma di prato accoglie noi pellegrini. 

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